Do I wanna know di _ A r i a (/viewuser.php?uid=856315)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Before and now ***
Capitolo 2: *** Changes and routine ***
Capitolo 3: *** Good intentions and bad habits ***
Capitolo 4: *** Tears and wounds ***
Capitolo 5: *** Hopes and dead-end streets ***
Capitolo 6: *** Truths and worries ***
Capitolo 7: *** Fears and hazards ***
Capitolo 8: *** Faith and wishes ***
Capitolo 9: *** Epiphany and determination ***
Capitolo 10: *** Love and death ***
Capitolo 11: *** Epilogue – Do I wanna know ***
Capitolo 1 *** Before and now ***
「 Baby we
both know
That the nights were
mainly made for saying things
that you can’t
say tomorrow day. 」
Artic Monkeys — Do I Wanna Know
「 Broadway,
Boston, 27th January
h. 04:03 p.m. 」
Il suono dell’ultima campanella della giornata risuona ancora
nell’aria, mentre giovani studenti esausti si riversano nel
piazzale all’ingresso del rinomato istituto Cambridge Rindge
and Latine School.
Ragazzi che stringono tra le dita gli spallacci delle cartelle, mentre
un gruppo di loro compagne si allontana compatto, risa che vengono
portate via dal freddo pungente di gennaio.
Caleb picchietta la punta dell’indice sulla sigaretta, una
nuvoletta di fumo che si alza verso il cielo, mentre residui di cenere
svolazzano indisturbati in direzione del suolo, nel loro cadere
così simili a fiocchi di neve.
Tutto sommato, quella davanti ai loro occhi è una scena
pacifica, che a lungo hanno vissuto in prima persona, mentre adesso si
limitano ad essere spettatori di quel teatro.
Uno sbuffo spazientito si leva alle spalle del leader della banda.
«Dobbiamo aspettare ancora molto, Caleb?» cantilena
la voce impigrita di David.
Caleb Stonewall sogghigna malevolo. Detesta il modo in cui i suoi
sottoposti siano incapaci di seguire gli ordini, eppure, in
tutto
ciò, non riesce ad ignorare il divertimento nel rimetterli
in riga ogni volta.
«Cos’è, hai forse paura del giudizio dei
tuoi ex compagni di classe, David?» li ammonisce infatti,
poco dopo, ostentando una divertita crudeltà che non del
tutto gli appartiene. «Se ci tenevi così tanto,
potevi evitare di unirti a noi. Comunque manca poco, ormai.»
David fa roteare gli occhi, per poi sollevarsi il cappuccio della felpa
sulla testa. Joe gli lascia una pacca simpatetica sulla spalla, il che
spinge il turchino ad espirare lentamente e con
un’intensità appena maggiore che in precedenza,
sperando di non scatenare nuovamente le ire del capo della banda.
Ovviamente, però, quel mutamento nel respiro di David non
passa inosservato a Caleb.
«E, per la cronaca, mi pare che vi avessi chiesto di restare
in silenzio – o
sbaglio?» domanda, a tal proposito,
di lì a breve.
«Non ho parlato!» si difende David, gli occhi color
ruggine che scintillano ricolmi di stizza.
«Ora no, ma poco fa sì, idiota» lo
rimbecca Caleb, senza perdere l’occasione. «Adesso
non è il momento di occuparci di questo, ne riparleremo una
volta alla tana.»
Il ragazzo si volta per un momento in direzione dell’ingresso
e, non appena i suoi occhi incontrano la figura che stava cercando, una
scintilla d’eccitazione gli attraversa lo sguardo.
Eccola lì, eterea la sua presenza, i capelli lilla che
ondeggiano lentamente a ritmo del vento, mentre il freddo le fa subito
arrossare le guance. Ha una sciarpa sottile avvolta attorno alla gola
candida, mentre la giacca di tweed fascia con eleganza le sue forme
piccole ma sode, senza soffocarle. Ha un sorriso luminoso che le
splende sul volto, mentre discorre allegramente con una sua compagna di
corso – probabilmente in merito a qualcosa che
dev’essere avvenuto durante quella mattinata di lezioni.
«È lei» annuncia Caleb, in tono conciso.
Avverte distrattamente i suoi compagni affilare lo sguardo e allungare
il collo in direzione dell’ingresso, ma non ci fa caso. Ormai
è perso nei suoi pensieri: si chiede come potrebbe essere se
adesso, al posto di quella ragazza, potesse esserci lui, ad ascoltare i
suoi racconti, a ridere con lei.
Immagina il dorso della sua mano che,
con un gesto casuale, sfiora il tessuto candido del vestito che
indossa, sotto la giacca blu. Può quasi sentirne la
morbidezza tra le dita, e questo potrebbe bastare a farlo impazzire
completamente.
Perché sì, ormai Caleb è consapevole
di star perdendo del tutto il senno della ragione, eppure non
è convinto che la cosa gli importi. Quando ha deciso di
mettere su quel gruppo di giovani scapestrati si era imposto di
lasciare fuori i sentimenti, di non farsi coinvolgere
sentimentalmente da niente e da nessuno.
E poi aveva incontrato lei.
«Beh, cavolo, è carina, capo!» commenta
Joe, accompagnando la frase con un fischio di approvazione.
«Certo che è carina, dubitavate forse del mio
gusto in fatto di ragazze?» replica Caleb, con
un’espressione soddisfatta, mentre si rimette in piedi.
Nel frattempo, la ragazza dalla chioma violetta è sparita
tra la folla.
David si lascia sfuggire un nuovo sospiro annoiato, ancora seduto sui
gradini di pietra dell’ex biblioteca, situata proprio davanti
alla scuola che frequentava con assiduità, fino a pochi mesi
prima.
«Bene, l’hai vista, possiamo andare,
adesso?» domanda, di lì a breve. «Fa
freddo.»
«Però quando siamo con lo skate alla ferrovia
abbandonata non lo senti il freddo, eh?» lo provoca Caleb.
Tuttavia, per evitare la successiva replica lamentosa di David che
già immagina – qualcosa del tipo “Il
freddo non lo sento perché con lo skate faccio
movimento!” – si affretta a
concludere:«Ad ogni modo, l’avete vista. Ora
possiamo andare»
Sente distintamente David mormorare alle sue spalle “Era
ora!”, tuttavia Caleb decide di non prestarci troppa
attenzione, non subito perlomeno. Avrà modo di occuparsene,
una volta tornati alla tana, abbondando ancora una volta con
l’alcol sulle sue ferite.
Sorprendentemente, però, non è David la prima
persona ad alzarsi, subito dopo di lui.
«Io devo entrare a recuperare una cosa che ho lasciato nel
mio armadietto, l’ultima volta» annuncia una quarta
persona, il cappuccio scuro calato sul volto.
Caleb si volta nella sua direzione, un’espressione dubbiosa
stranamente dipinta in viso.
«Uhm?» domanda infatti, confuso. «Va
bene, basta che ti muovi.»
La figura col cappuccio annuisce, per poi scendere in fretta i gradini
e schizzare verso la scuola. Gli altri tre, invece, restano ad
attenderlo all’ingresso, piuttosto sicuri del fatto che il
loro compagno abbia appena rifilato loro una balla colossale.
Jude è consapevole del fatto che gli vengano lasciate tutte
quelle libertà solo perché è il vice
leader, ma in fin dei conti gliene importa relativamente poco.
Finché questo gli avesse permesso di ricevere i vantaggi di
cui aveva bisogno, non vedeva il motivo per cui avrebbe dovuto
preoccuparsi.
I suoi passi veloci riecheggiano nella tromba delle scale, mentre
percorre uno ad uno quei gradini che conosce così bene.
Arrivato al pianerottolo del primo piano gli sfugge un salto sul posto,
evidentemente per salire aveva preso uno sprint troppo veloce, dunque
si affretta a recuperare una certa compostezza, per poi avviarsi lungo
il corridoio centrale, con passo sempre svelto ma adesso decisamente
più adagio.
Mentre cammina, getta furtivamente uno sguardo a destra e a sinistra,
controllando che tutte le aule siano vuote. Rivedere quei banchi, che
fino a qualche giorno prima lui stesso occupava, è un vero
pugno allo stomaco, tuttavia il ragazzo cerca di concentrarsi su
qualcos’altro.
Sta giusto per raggiungere l’ultima aula del piano, ma di
colpo Jude è costretto a rallentare,
quando ha ormai superato la penultima classe già di qualche
passo. Torna indietro, non è sicuro di aver visto bene,
eppure ben presto i suoi dubbi trovano conferma.
Il professor Dark è lì, le maniche della sua
camicia bianca arrotolate fino ai gomiti, gli occhiali da riposo dalle
lenti tondeggianti, piccole, sottili e trasparenti poggiati sul naso.
È immerso nella lettura di un compito,
probabilmente
non si è neppure accorto del suono della campanella.
Jude entra con impeto nella stanza, facendo trasalire l’uomo.
«Jude…!»
«Dobbiamo parlare.»
「 Broadway,
Boston, 2nd October
h. 09:47 a.m. 」
«Ricordami perché lo sto facendo, ti
prego.»
Caleb si trascina dietro due secchi di vernice, con aria svogliata.
Davanti a sé, Jude procede spedito, stringendo tra le dita
il manico di un singolo recipiente, apparentemente senza alcun tipo di
sforzo. Il ragazzo si volta di scatto, con un ampio sorriso sul volto.
«Riqualificazione dell’edificio.» Jude
riattacca con la solita solfa, e probabilmente Caleb vorrebbe
ammazzarlo per questo. «L’amministrazione cittadina
ha messo a nostra disposizione dei nuovi edifici, che possiamo usare a
scopo didattico. La scuola ci permette di usufruirne, a patto che a
sistemarli siamo noi studenti.»
Caleb si arresta sul posto, poggiando i secchi a terra solo per potersi
schiaffeggiare la fronte con una mano.
«Dio, Jude, essere fidanzato con quello ti ha fritto
definitivamente il cervello al punto che hai iniziato a parlare come
una circolare?» gli domanda poco dopo, con un sorrisetto
cinico.
Jude si limita a fulminarlo con lo sguardo, per poi voltare il capo in
direzione dell’ingresso dei locali. Ray li attende
lì davanti, in piedi sui gradini di pietra bianca, le
braccia conserte e un sorriso apprensivo dipinto sul volto. Questo
basta a tranquillizzare in un solo istante il ragazzo: ora che
finalmente il nuovo anno scolastico è iniziato, non ha
più niente da temere. È riuscito a far tornare
sulla retta via quegli idioti dei suoi compagni, per cui
l’unica cosa di cui debbano preoccuparsi adesso sono gli
esami di fine anno. Poi dopo, chissà, magari potrebbe
esserci perfino Harvard ad attenderlo.
Il pensiero fa allargare sorprendentemente il sorriso sul volto di
Jude. S’immagina assieme a Ray, in un appartamento
all’interno della città universitaria, alzarsi al
mattino e prendere un cappuccino da sorseggiare in bicchieri di cartone
lungo la via dell’ateneo, parlando nel mentre del
più e del meno. È ancora indeciso su quale
facoltà frequentare, e lui e Ray devono definire ancora
alcuni dettagli – ad esempio se l’insegnante si
presenterà all’università in veste di
docente o di ricercatore –, tuttavia Jude è certo
che insieme riusciranno a risolvere qualsiasi problema. Già
in passato sono stati in grado di superare un ostacolo non da poco come
quello della banda, per cui in confronto questo dovrebbe essere un
gioco da ragazzi.
Caleb riprende a camminare, così a Jude non resta altro da
fare che seguirlo; in realtà, poco dopo, entrambi sono
costretti a fermarsi nuovamente, poiché hanno ormai
raggiunto la loro meta. Insieme ad altri ragazzi, infatti, dovranno
occuparsi di ritinteggiare la facciata esterna del nuovo edificio.
Un’impalcatura in tubi d’acciaio è posta
alla loro destra, e su di essa è stata posata una tavola in
legno: serve principalmente come sostegno, infatti alcuni ragazzi ne
hanno approfittato per poggiarvi sopra alcuni pennelli già
pregni di pittura.
Caleb si inginocchia a terra, aprendo con un solo rapido gesto il
secchio di vernice; il ragazzo osserva il colore con
un’espressione leggermente contrariata in volto.
«Che schifo questo celeste, è troppo
chiaro» brontola, diffidente.
Jude, nel frattempo, recupera un pennello, facendolo muovere
nell’aria con una rotazione del polso. «Come se
l’avessi scelto io» ribatte, poco dopo, spostando
il peso del corpo da un piede all’altro, con fare
canzonatorio.
Caleb sbuffa, come se una mosca fastidiosa gli stesse ronzando attorno,
tuttavia decide di non dare soddisfazione a Jude, così si
limita a non raccogliere la sua provocazione e a immergere il proprio
pennello nella pittura.
Jude, d’altro canto, sorride soddisfatto: un tempo Caleb non
avrebbe perso tempo per raccogliere quella lieve punzecchiatura e
trasformarla in un valido motivo per attaccare briga; ora, invece,
sembra aver capito che non è più tempo per quei
giochi.
In effetti, in quell’ultimo periodo pareva che Caleb fosse
molto maturato, e di questo Jude non può che esserne lieto.
È piuttosto sicuro che quel cambio radicale di atteggiamento
sia dovuto all’influenza benevola che Camelia riesce ad avere
sul
proprio ragazzo, tuttavia Jude decide di non infierire oltre: in fondo,
quella momentanea calma non gli dispiace affatto.
Il ragazzo si affretta ad imitare l’amico, immergendo a sua
volta il pennello nella vernice e iniziando a passarlo sul vecchio muro
scrostato dell’edificio. Jude riflette in fretta che quella
è un’attività piuttosto rilassante:
stancante a lungo andare, certo, eppure mentre il pennello prosegue
lungo le sue traiettorie lui può dedicarsi nel frattempo a
ben altri pensieri. Finisce infatti per andare avanti a memoria, le sue
mani che si muovono in automatico, mentre volta la testa di lato e gli
occhi si puntano sulla figura di Ray. L’uomo, al momento,
è impegnato a supervisionare tutte le varie
attività in corso nel piazzale, tra le mani il progetto
delle lavorazioni. È, apparentemente, soprappensiero, gli
occhi persi in quelle carte. Jude si domanda quante altre volte
l’abbia visto così, assorto, perso nella lettura
di qualcosa, eppure si ritrova ad ammettere a sé stesso che,
con ogni probabilità, non si stancherebbe mai e poi mai di
osservare quella scena.
Un colpo alla testa arriva a destarlo dai suoi pensieri poco dopo.
Caleb lo osserva, un’espressione divertita dipinta in volto.
«Stavi per finire col pennello nella mia porzione di
muro» lo schernisce, talmente trova esilarante la situazione
in cui ora si trovano. «Che c’è, stavi
forse pensando a qualcos’altro?»
Le guance di Jude si colorano appena di rosso, tuttavia il ragazzo
tenta comunque di dissimulare il proprio imbarazzo.
«Ti sbagli» ribatte infatti, poco dopo.
«Mi sono solo distratto un po’, tutto
qui.»
Caleb si china in direzione di Jude, rendendo più basso il
suo tono provocatore, affinché la loro conversazione non sia
udita dagli altri ragazzi presenti.
«Te l’ho sempre detto che sei pessimo a raccontare
balle» lo ammonisce infatti, prontamente. «Che
dici, ce la fai a staccare gli occhi di dosso dal tuo prof
sì o no?»
Jude sgrana gli occhi, metà tra la sorpresa e
l’indignazione, salvo poi lasciar prevalere
quest’ultima: intinge rapidamente il pennello nella vernice,
per poi tracciare una linea cerulea lungo l’avambraccio di
Caleb.
Per un breve istante, la stessa espressione che poco prima si era
formata sul volto di Jude compare anche su quello di Caleb;
prevedibilmente, tuttavia, quest’ultimo finisce per ripetere
la stessa azione dell’amico, cancellando il sorriso fiero che
già si era impadronito delle labbra dell’altro.
Quella piccola scintilla, in maniera piuttosto ovvia, finisce per
scaturire una breve quanto intensa battaglia tra i due ragazzi, senza
vincitori né vinti e con l’unico risultato per
entrambi di un disastroso pasticcio di colori sulla loro pelle.
Perlomeno, nel mentre, sul volto di entrambi torna il sorriso, ecco
perché Ray non sembra affatto intenzionato a fermarli: dopo
tutto quello che avevano dovuto passare nei mesi precedenti,
è il minimo che possano finalmente divertirsi un
po’.
Per il resto, la mattinata prosegue in fretta e tranquillamente, senza
ulteriori colpi di testa di Jude e Caleb né di altri
ragazzi. Per l’ora di pranzo, ormai, almeno metà
della prima facciata è stata abbondantemente tinteggiata, e
sia i ragazzi che gli insegnanti che supervisionano
l’andamento delle attività sembrano piuttosto
soddisfatti del risultato.
A breve ci sarà la pausa pranzo, perciò gli
studenti, che iniziano ad avvertire la stanchezza dopo tutte quelle ore
di tinteggiatura, lasciano andare i loro pennelli sui muri con molta
meno lena che in precedenza.
Proprio in quel momento, tuttavia, la campanella che determina la fine
delle lezioni della mattina risuona nell’aria, facendo
sì che le teste di tutte le persone presenti nel piazzale si
voltino in direzione dell’ingresso. Le prime classi iniziano
ad uscire da lì a breve, giovani del primo anno che,
finalmente liberi dalle lunghe ore di lezioni, si lasciano sfuggire
sbadigli o profondi sospiri di sollievo.
Gli occhi di Caleb saettano tra la folla, vagando da una parte
all’altra alla massima velocità, senza mai
fermarsi. È evidente che stia cercando qualcuno, senza
però – almeno all’apparenza –
trovarlo.
Quando anche gli ultimi studenti sono scesi giù dai bianchi
scalini marmorei, lasciando l’ingresso vuoto – se
non per la bidella che si appresta a chiudere il portone –
Caleb abbassa lo sguardo, sconsolato.
«Sono giorni che Camelia non si presenta a scuola»
ammette, prima che Jude possa chiedergli qualsiasi cosa.
Il ragazzo si sente in effetti preso un po’ in contropiede;
l’assenza di Camelia è un fatto strano, di solito
la ragazza è così diligente che verrebbe a scuola
perfino con la febbre. Jude si rende conto che, tuttavia, probabilmente
deve essersi sentita poco bene, non riesce ad immaginare un altro
motivo per cui si sarebbe potuta assentare. Resta comunque una
circostanza alquanto bizzarra: se davvero non si fosse sentita bene
avrebbe avvisato Caleb, no?
Jude si sente però in dovere di rassicurare
l’amico; poggia perciò una mano sulla sua spalla,
rivolgendogli un sorriso incoraggiante.
«Vedrai che sarà tutto a posto» commenta
infatti. «Magari è solo un po’
raffreddata e ha preferito non venire a scuola per non contagiare i
suoi compagni. In ogni caso puoi sempre chiamarla per sentire come sta,
no?»
Caleb si limita a sorridere mestamente, annuendo appena, lo sguardo
ancora basso. Jude è il primo a non sentirsi convinto delle
proprie parole, si rende conto tuttavia che non è mai stato
bravo a risollevare il morale agli amici.
Lancia uno sguardo in direzione di Ray. Lui se la sarebbe cavata
sicuramente meglio, in una situazione del genere – Jude ha
ormai perso il conto delle volte in cui l’uomo gli ha
fatto tornare il sorriso. Eppure questa volta, quando i loro occhi si
incontrano, legge in quelli del professore solo una cieca
necessità di parlargli.
E, apparentemente, quelle che ha da dargli non sono buone notizie.
per poi inoltrarsi nelle tenebre insieme agli altri due.
Angolo
autrice
Se
tre anni fa mi avessero detto che Dark Necessities avrebbe avuto un
seguito mi sarei fatta una sonora risata in merito. Purtroppo,
però, nel 2017 ho peccato d'ingenuità,
così,
complice la fretta che avevo di scapparmene dal fandom, ho commesso una
leggerezza. Mesi dopo mi sono ricordata che, prima di pubblicare DN,
avevo postato una os, in cui avevo accennato a delle tematiche che
sarebbero dovute essere presenti nella long, ma che, ovviamente, mi ero
dimenticata. Così, sul finire di quello stesso anno, iniziai
un
lavoro che mi sono portata dietro per anni,
tra stop più o meno lunghi e le mie varie pare mentali. Mi
bloccavo perché ero insoddisfatta del risultato,
perché
avevo paura che la storia non fosse all'altezza della precedente e
molte altre sciocchezze. Tutto questo è andato avanti per
due
anni e mezzo, finché, il 31 maggio scorso, mi sono decisa a
mettere la parola fine a questo progetto. Sicuramente avrei potuto fare
di meglio, e continuo a vivere nel terrore di essermi dimenticata
qualcos'altro, per cui per me essere qui significa già
vincere
una grande battaglia.
Dubito che qualcuno che ha seguito la precedente storia frequenti
ancora la sezione, ergo se leggete oggi questa potreste non aver chiare
alcune dinamiche. Credo di averle chiarite tutte nel corso dei vari
capitoli, però in caso di dubbi non esitate a contattarmi.
Questa storia sarà più lunga e articolata della
precedente. Alcune cose resteranno invariate, molte altre invece
cambieranno –
e per giunta a breve. Per quanto riguarda gli aggiornamenti dei vari
capitoli non vorrei spoilerarvi niente, ma se seguivate la vecchia
storia potreste già immaginare quale sarà la
cadenza,
visto che no, quella non cambierà (come ho lasciato
invariata
anche la formattazione, se ci fate caso). Un piccolo suggerimento:
c'entra un numero molto caro al
mio beloved Trono del Muori.
Altra cosa che non è cambiata: la formattazione. Sebbene nel
corso degli anni le mie abilità di editing siano migliorate,
ho
deciso di lasciare tutto invariato come omaggio alla prima storia e
anche come ideale filo di collegamento. Anche il banner, in effetti, ha
delle somiglianze con quello vecchio, principalmente il font e la
sfocatura.
Sul prologo in realtà non ho molto da dire,
perché più che altro mi è servito –
chiaramente –
ad introdurre la vicenda e a farvi reimmergere nell'atmosfera della
storia. Okay, forse ci sono un paio di hints per la trama, ma
è
decisamente troppo presto per coglierli. Magari li riprenderemo nel
prossimo capitolo, chissà.
Per ora è tutto. Grazie a chiunque deciderà di
imbarcarsi assieme a me in quest'avventura.
Aria
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Capitolo 2 *** Changes and routine ***
「 Baby we
both know
That the nights were
mainly made for saying things
that you can’t
say tomorrow day. 」
Artic Monkeys — Do I Wanna Know
「 Beacon
Hill, Boston, 2nd October
h.
05:59 p.m. 」
Per poco Jude non finisce per strozzarsi con il cappuccino che sta
sorseggiando.
La clientela di Starbucks fissa leggermente infastidita il loro tavolo:
mentre il ragazzo cerca di riprendersi dalla notizia che ha appena
ricevuto con profondi colpi di tosse, la cannuccia verde che danza
nella grossa tazza che tiene in mano, dalla parte opposta Ray lo
osserva con un’espressione serissima in volto. Detesta avere
tutti quegli sguardi addosso, se potesse uscirebbe da quel locale
seduta stante, anche se non può non comprendere le ragioni
del
suo ragazzo.
Jude posa la tazza di cappuccino alla vaniglia sul tavolino, prendendo
dei profondi respiri e pregando dentro di sé che tutti gli
occhi
che sente ora puntati sulla sua schiena possano finalmente lasciarlo in
pace, tornando ad osservare ciò che era il centro delle loro
attenzioni fino a poco prima – un buon libro, lo smartphone o
più semplicemente la propria bevanda.
Il ragazzo sente le guance in fiamme ed è una sensazione che
detesta, soprattutto perché è piuttosto certo che
non si
siano arrossate per lo sforzo dei colpi di tosse di poco prima e
né, tantomeno, per l’imbarazzo di aver richiamato
su di
sé lo sguardo dell’intero locale.
No, c’è dell’altro – rabbia,
con ogni probabilità – che non lo lascia in pace,
e Jude
sa bene che l’unico modo in suo possesso per liberarsene
è
affrontarla.
«Dimmi che ho capito male» Jude prega, quasi
implora Ray,
sperando effettivamente di aver captato delle parole distorte, sopra il
suono del risucchio del cappuccino attraverso la cannuccia.
Eppure, a giudicare dall’espressione mesta
dell’uomo, la situazione lascia ben poco spazio ai dubbi.
«Vorrei poterlo fare» ammette Ray, con un sospiro
affranto,
«eppure, se lo facessi, ti mentirei, e credimi se ti dico che
è l’ultima cosa che desidero.»
A quelle parole, la desolazione più pura riempie gli occhi
del
ragazzo, che si limita a prendersi la testa fra le mani, disarmato.
«No, no, no…» mormora, incredulo. Tira
un sospiro profondo, cercando di rimettere a posto le idee.
«Non ce l’ho con te» esordisce infatti,
di lì
a poco, sperando che i suoi pensieri abbiano un minimo senso logico.
Generalmente Ray è l’unica persona in grado di
mettere in
ordine il caos che c’è nella sua testa, invece
questa
volta si trova in forte difficoltà. «Non
è una cosa
di cui io ti possa biasimare, dopotutto… nessuno avrebbe
immaginato che sarebbe potuto succedere nulla del genere.
Tu…
quando l’hai saputo?»
«Poche ore fa, ahimé» ammette
l’uomo,
intrecciando le mani sopra al tavolino. «Avrei voluto
potertelo
dire prima, ma eri così preso dai lavori assieme agli altri
ragazzi, e poi sembrava che ti stessi divertendo così tanto
e
io… non volevo guastare quel clima di festa, ecco.»
Jude tiene tra due dita la cannuccia, facendola roteare lungo la
circonferenza della sua tazza di cappuccino. Il caffè nero e
amaro di Ray, invece, è rimasto ormai abbandonato
dall’altro lato del tavolino e, apparentemente, il professore
non
sembra intenzionato a mettervi mano a breve.
Perlomeno, le persone intorno a loro sono tornate ad occuparsi delle
loro precedenti attività e non badano più a
ciò
che si stanno dicendo. Meglio così, valuta Jude: sa
già
che quello che sta per chiedere metterà Ray in forte
imbarazzo,
se avessero addosso pure l’attenzione di tutte le persone
presenti nella sala laterale del locale sarebbe davvero la fine.
«Quindi…» Jude scandisce ogni singola
parola con
voce lenta e bassa, sforzandosi affinché l’unico
in grado
di sentirlo sia Ray. «Il Cambridge Rindge and Latine School
ha un
nuovo preside. Che tu conosci. E lui conosce te,
perché…
avete avuto una relazione al tempo del college.»
Le guance di Ray s’imporporano, e Jude può giurare
di
poter contare sulla punta delle dita le volte in cui ha visto succedere
una cosa del genere. Potrebbe perfino sorridere, se solo non si
trovassero in quella situazione così assurda.
«S-sì» Ray fissa le proprie dita
intrecciate, con
aria grave. «Cioè… non era propriamente
una
relazione sana,
però diciamo che tra noi è successo qualcosa,
quello sì, senza ombra di dubbio.»
Jude si lascia sfuggire un sospiro pesante. Se dovesse definire tutta
quella circostanza con una sola parola, non avrebbe esitazioni
nell’utilizzo del termine ‘paradossale’.
Il ragazzo
si porta una mano alla fronte, massaggiandosi le tempie con forza.
Sostenere quella conversazione è piuttosto complesso, si
rende
conto tuttavia che è una cosa che deve fare.
«E… perché me lo stai dicendo
adesso?»
domanda, sempre più perplesso in merito alla piega che quel
discorso sta prendendo.
Stavolta a sospirare è Ray; in effetti quella discussione
è faticosa da portare avanti per entrambi, tuttavia sa che
ad
affrontare certi nodi sul proprio passato deve essere lui in prima
persona.
«Perché era giusto che lo sapessi»
ammette infatti.
Allunga una mano sopra il tavolo, lasciando scivolare le dita di Jude
tra le sue. All’inizio il ragazzo si mostra piuttosto
diffidente
a quel contatto – e Ray non può non capirlo,
soprattutto
dopo quello che gli ha appena detto –, tuttavia ben presto si
lascia andare a quel tocco carezzevole, concedendo all’uomo
di
sfiorare il suo palmo. «Avrei detestato l’idea che
tu
potessi venirlo a sapere da qualcun altro. Voglio essere sincero con te
al cento per cento, lo sai. E poi… non sopporterei la
possibilità che tu possa di nuovo smettere di rivolgermi la
parola perché ho omesso di parlarti di un capitolo della mia
vita che considero ormai concluso da molto tempo.» Ray
sospira a
fondo, permettendosi solo in quel momento di sollevare lo sguardo e di
incontrare quello del suo ragazzo. Temeva di leggervi dentro tanta
rabbia, invece vi trova solo un mare di confusione, che Ray non vede
l’ora di dissipare. «Infine, e questo è
il motivo
principale per cui ti ho chiesto di parlarne, ho paura che possa
scoprire della nostra relazione e usarla contro di noi.»
Se possibile, Jude sembra adesso ancor più confuso di prima.
«Che intendi?» domanda infatti poco dopo al suo
amato.
Ray sorride debolmente – e Jude riconosce che quello
è un sorriso triste
–, continuando ad accarezzare le dita del ragazzo.
«Vedi… ci troviamo davanti ad una persona molto
subdola,
Jude. Negli anni che ho trascorso al college non ha mai perso occasione
per sottolineare quanto io fossi inferiore a lui, umiliandomi in ogni
modo possibile. Credo che tragga piacere nell’infliggere
dolore
agli altri e, in particolar modo, a me. Non lo dico come una forma di
vittimismo, mi baso piuttosto su quanto ho potuto vedere nel corso
degli anni. Per questo, penso di poter affermare piuttosto con certezza
che, qualora si ritrovasse tra le mani un modo per distruggermi, non
esiterebbe nemmeno per un secondo prima di metterlo in atto. Ed
è qui che entri in scena tu.»
Finalmente i tasselli iniziano a mettersi in ordine nella mente di Jude
e, per quanto fino a un momento prima desiderasse così
disperatamente capire quale disegno stesse tracciando Ray davanti ai
suoi occhi, ora che finalmente comprende il senso di quel
discorso
vorrebbe poterlo cancellare via con una gomma.
Dubita tuttavia che questo possa essere possibile.
«Se venisse a conoscenza della nostra relazione, non
perderebbe
tempo per minacciarti o rovinarti per sempre la carriera»
conclude il ragazzo, desolato.
«Già» conviene Ray, continuando a
sorridere tristemente.
Jude sospira pesantemente, ritraendo la propria mano dalla stretta di
quella di Ray. Si porta entrambi i palmi al volto, affondandocelo
dentro. Cercare di dare un senso razionale a tutta quella discussione
sembra ormai una possibilità estremamente remota.
«La cosa che più mi preoccupa, sinceramente, al di
là del mio lavoro come insegnante e tutto il resto,
è
ciò che questa storia potrebbe significare per te»
ammette
Ray, rammaricato. «Non voglio che si vengano a creare di
nuovo
dei problemi con la tua famiglia, Jude. L’anno scorso hai
avuto
continue discussioni con tuo padre per via della banda, ti eri perfino
allontanato dalla scuola… non deve ricominciare tutto
daccapo.»
«E allora questo che significa?» la voce di Jude
trema,
sembra essere sul punto di spezzarsi. «Che non possiamo
più frequentarci, che dobbiamo restare
lontani…?»
«Beh… no. Non necessariamente, almeno»
Ray sorride
debolmente, cercando di recuperare un contatto con le dita del ragazzo.
«Significa solo che dobbiamo stare un po’
più
attenti. Il che vuol dire che a scuola dovremo mantenere un
atteggiamento estremamente formale, ancor più di quanto
già facciamo, comportandoci per quelli che siamo,
ossia un
insegnante e un allievo. Ci limiteremo a parlare solo lo stretto
necessario, durante le lezioni, come abbiamo fatto quasi sempre. Quando
saremo da soli, invece, potremo continuare a baciarci e
quant’altro tranquillamente, facendo però
attenzione che
nessuno legato alla scuola ci veda. Lo so, è tutto
così
assurdo, ma non sono riuscito a trovare una soluzione migliore di
questa…»
La voce di Ray si affievolisce lentamente, mentre
l’insegnante si
rende conto che Jude lo sta seguendo solo in parte. Il ragazzo, seduto
davanti a lui, trema debolmente, mentre le mani gli coprono ancora il
viso.
«Jude…?» Ray lo richiama, la voce bassa
e appena
udibile, mentre avvicina una mano alla spalla del ragazzo, con
l’intenzione di riscuoterlo dolcemente.
Prima che possa sfiorarlo, tuttavia, Jude scatta improvvisamente,
alzandosi in piedi.
«Ho bisogno di una boccata d’aria»
afferma in fretta,
per poi voltarsi su se stesso e muovere delle ampie falcate in
direzione dell’uscita del locale.
Ray resta seduto ancora per un momento, mentre contempla ciò
che
lo circonda: sembra non ritrovarsi più in quel luogo, la
tazza
di cappuccino di Jude che è rimasta colma per
metà. il
trillo della campanella posta sopra la porta d’ingresso del
locale lo ridesta, segno inequivocabile che qualcuno l’ha
aperta,
per poi uscire. Per questo Ray afferra in fretta la propria giacca,
paga distrattamente il conto mentre si sbriga a raggiungere la porta e,
una volta lì, non esita un momento oltre prima di lanciarsi
verso l’esterno.
Fortunatamente, il ragazzo è in quel luogo, non ha mosso un
passo in più per allontanarsi dalla caffetteria. Forse, in
fin
dei conti, non ha idea di dove andare.
Qualcosa di sottile scende dal cielo: istintivamente Ray pensa alla
pioggia, eppure quelle gocce sembrano avere una consistenza
più
solida, quasi come se tendessero ad essere dei fiocchi di neve. Strano,
pensa distrattamente: non sono affatto in periodo di neve, sebbene di
recente il tempo si sia fatto molto più rigido.
L’azzurro
grigiastro del cielo, inoltre, ha già iniziato a scurirsi
verso
i toni blu della notte: pensava che avrebbero avuto a disposizione
più ore di luce, evidentemente tuttavia si sbagliava. Tra
poco
dovrà riaccompagnare Jude a casa – con
l’accortezza
di doversi fermare diversi metri prima del cancello
d’ingresso
alla villa del ragazzo, ahimé –, non gli resta
molto tempo.
I lampioni iniziano ad accendersi e, insieme alle insegne e alle luci
interne dei locali che arrivano dalle vetrine, donano
un’atmosfera calda alla strada.
«Jude» Ray si stringe nella sua giacca di tweed,
preoccupato. Da quando ha raggiunto il ragazzo in strada, accompagnato
da un nuovo trillo della porta, Jude non si è ancora voltato
nella sua direzione, continuando a rivolgergli le spalle. Probabilmente
è arrabbiato con lui – Ray non lo biasima per
questo
–, forse sta addirittura piangendo. Ne ha la conferma quando,
poco dopo, lo sente tirare su col naso: proprio in
quell’istante
una raffica di vento gelato sferza l’aria, e Ray non ha dubbi
sul
fatto che Jude abbia pensato di approfittare della situazione per
inghiottire un singhiozzo, nella speranza che gli agenti atmosferici
coprissero il rumore della saliva che scivola giù lungo la
gola.
Sfortunatamente per lui, tuttavia, Ray se ne è accorto fin
troppo bene.
«È tutto a posto» mente il ragazzo, la
voce flebile
non nasconde alcune lacrime, rimaste ancora impigliate nei suoi occhi.
«Ho solo bisogno di un po’ di tempo per abituarmi
alla
cosa, credo.»
Finalmente Jude si volta, e Ray può vedere chiaramente i
segni
del pianto che hanno già rigato le guance del ragazzo.
«Oh, Jude» Ray si morde un labbro, e
l’istante
successivo ha già coperto la distanza che lo separa dal
ragazzo,
stringendolo in un abbraccio estremamente rassicurante. Si sente
così in colpa: avrebbe dovuto affrontare la questione con
molto
più tatto, e soprattutto non lì, in mezzo a tutte
quelle
persone. Jude affonda il viso contro il petto dell’uomo, il
collo
ben coperto dalla sciarpa di lana.
«Questo non cambierà le cose tra di noi»
mormora
Ray, arruffando affettuosamente i capelli del ragazzo.
«Dobbiamo
solo stare un po’ più attenti del solito,
mh?»
Jude annuisce debolmente, lasciandosi sfuggire un nuovo singhiozzo
mentre stringe con dita tremanti la stoffa della giacca di Ray.
«Ti voglio bene, Ray…» mormora, desolato.
«Te ne voglio anch’io, ragazzo» ammette
il
professore, di rimando. «E non ho alcuna intenzione di
perderti
di nuovo.»
「 Somerville,
Boston, 2nd October
h.
04:21 p.m. 」
Caleb resta immobile davanti alla grigia porta d’ingresso, il
numero in ottone dell’interno 24 che scintilla su di essa.
È al terzo piano di un elegante palazzo, che
dall’esterno
appare come nient’altro che un alto cumulo di cemento armato
ricoperto di vernice bianca, nel quartiere residenziale di Somerville,
non troppo distante da Cambridge, quello in cui si trova il liceo che
frequenta. Probabilmente è uno di quei palazzi davanti a cui
passerai un miliardo di volte, in vita tua, senza mai farci troppo
caso. Eppure, per Caleb, quel palazzo aveva acquistato sempre
più importanza, in quell’ultimo anno della sua
vita.
La luce biancastra di fine pomeriggio irrompe nell’abitato
attraverso delle ampie vetrate. Ha suonato il campanello da diversi
minuti, e quando, dall’interno dell’appartamento,
una voce
delicata ha chiesto chi fosse, ha risposto con un eloquente
“sono
io”. Da quel momento, nessun’altra parola si
è
levata, dalla parte opposta della porta, tuttavia Caleb ha avvertito
nitidamente diversi altri rumori, tra cui l’aprirsi e il
richiudersi di cassetti e dei passi affrettati che si susseguivano uno
dietro l’altro sul parquet. Ormai conosce così
bene quel
posto da avere in mente in maniera abbastanza chiara il tragitto che
viene percorso nonostante si trovi ancora all’esterno; non
che
sia una casa poi così grande, certo, tuttavia
sarà sempre
più spaziosa di qualsiasi abitazione potrà mai
definire
“casa sua” – sebbene, a quel punto, anche
questa lo
sia diventata un po’.
Immagina gambe snelle e pallide muoversi in fretta dalla camera da
letto al bagno, mentre ora il silenzio regna sovrano, sia
all’interno della casa che sul pianerottolo. Nella mente di
Caleb
si dipinge l’immagine di una ragazza, bella come una venere,
intenta ad osservare la propria immagine riflessa nello specchio con
aria piuttosto critica, mentre si passa una mano tra gli spettinati
capelli lilla.
Il ragazzo ne approfitta per recuperare, dalla tasca dei propri
pantaloni, il telefono. Lo sblocca con un gesto automatico, mentre un
suono simile ad un sasso che affonda in uno stagno precede
l’apertura della schermata iniziale. Ha chiamato la ragazza
una
decina di volte, senza mai ricevere risposta. Per questo aveva deciso
di recarsi a casa sua.
In quel momento il rumore dello scatto del chiavistello riempie
l’aria, mentre la porta si dischiude appena davanti a lui. In
un
minuscolo spiraglio, tra la porta e la soglia d’ingresso,
compare
la chioma violetta di Camelia, mentre la ragazza si lascia sfuggire un
lieve sorriso.
«Ciao, Caleb» lo saluta, agitando debolmente una
mano davanti a sé.
«Ti ho chiamato una dozzina di volte» borbotta lui,
con un
grugnito. «Perché non hai risposto? Ero
preoccupato.»
«Ti chiedo scusa, non ho sentito il telefono»
ammette
tristemente la ragazza, mentre stringe forte tra le dita la porta.
«Stamattina non mi sono sentita molto
bene…»
«C-come non ti sei sentita bene? Che hai avuto?»
domanda subito Caleb, di nuovo preoccupato.
«Nulla di grave, tranquillo» si affretta a
rassicurarlo
lei. «Solo un po’ di mal di testa, tutto qui. Solo
che ho
preferito restare a casa.»
La ragazza si decide ad aprire completamente la porta, lasciando spazio
al fidanzato. Caleb entra in fretta, camminando così
rapidamente
che il vestito bianco trapunto di piccoli fiori violacei di Camelia
ondeggia al suo passaggio.
«Avresti comunque dovuto avvertirmi» insiste lui,
ancora teso, in allarme.
«Lo so, mi dispiace…» continua lei,
mentre si
affretta a chiudere la porta e a seguire il ragazzo.
«Purtroppo
stamattina mi sono riaddormentata in fretta e non ho fatto in tempo a
mandarti un messaggio. Scusami…»
Caleb si ferma sul posto, voltandosi in direzione della sua ragazza.
Camelia ha in volto un’espressione così
affranta…
«Ma no, non hai nulla di cui scusarti» si affretta
a
rassicurarla, sentendosi già in colpa per averla fatta
sentire
così in difetto nei suoi confronti. «Scusami tu,
piuttosto, sono stato troppo duro con te…
l’importante
è che ora ti senti meglio.»
«Sì, certo» gli assicura lei,
raggiungendolo e stringendogli la mano.
Caleb affoga il proprio sguardo in quello di Camelia, il verde petrolio
di lui che si mischia all’azzurro di lei, simile alle
tonalità più profonde dell’oceano
– insieme
creano una contaminazione perfetta. La ragazza gli sorride
calorosamente, e Caleb sente tutte le preoccupazioni che gli hanno
attanagliato il petto per tutto il giorno sciogliersi in un secondo.
Avvicina una mano al volto della ragazza, carezzandole una guancia con
dolcezza, per poi spostarsi più in avanti, tra i suoi
capelli
lilla. Camelia muove degli altri passi verso di lui, e Caleb stringe
istintivamente la sua chioma, per poterla sentire ancor più
vicina a sé.
La ragazza poggia le proprie labbra sulle sue. Per un momento la testa
di Caleb vortica pericolosamente, ben presto tuttavia si decide a
ricambiare quel bacio – in un primo momento con dolcezza,
tuttavia, dopo pochi istanti, il desiderio prende il sopravvento,
inducendolo a lasciar scivolare la lingua nella bocca di Camelia e a
chiedere di più da quel contatto. Spinge la ragazza con le
spalle al muro, mentre ormai entrambe le sue mani si sono infilate tra
quei capelli violetti e morbidi; Camelia, d’altro canto,
avvolge
le proprie braccia attorno al collo del ragazzo, mentre si fa forza con
queste e solleva le gambe, che corrono a stringere i fianchi del suo
fidanzato. Caleb strofina il bacino contro quello di Camelia, una, due,
tre volte, e sentendo la ragazza gemere sulle sue labbra sorride
soddisfatto. Fa strusciare la schiena della giovane ancora un
po’
contro la parete, per poi decidersi a distaccarsi finalmente da
quest’ultima, le gambe della ragazza che si sistemano al
meglio
attorno ai suoi fianchi e i piedi nudi che gli sfiorano il sedere.
Caleb procede a passo sicuro lungo il corridoio: ormai conosce a
memoria la strada, tant’è che può
permettersi il
lusso di non guardare dove va, concentrandosi unicamente sul baciare
Camelia.
La camera della ragazza è l’ultima alla fine del
corridoio, sulla sinistra: Caleb vi entra senza esitazioni, dirigendosi
in fretta verso il letto. Ha avuto paura, temeva che qualcuno dal suo
passato fosse venuto a cercarlo e avesse deciso di fare del male a
Camelia… se ci ripensa, si sente uno stupido: non che il
rischio
non ci fosse, eppure, la consapevolezza che tutto sia andato per il
meglio gli riempie il cuore di gioia, al punto che Caleb non si
meraviglierebbe nel sentirlo scoppiare da un momento
all’altro.
La stanza è inondata dallo stesso candido lucore del
pianerottolo. Caleb adagia lentamente la schiena di Camelia sul
materasso, mentre preme le ginocchia ai lati del corpo della ragazza.
Si china su di lei pochi istanti dopo; sente la gola andargli in
fiamme, mentre scende a lasciare baci umidi sul collo della ragazza e
nuovi gemiti caldi gli giungono alle orecchie. Quando l’ha
distesa sul letto, il vestito candido di Camelia si è alzato
leggermente, così Caleb ne approfitta, infilando una mano
sotto
di esso, andando ad accarezzare la coscia e parte della natica della
ragazza, incurante del tessuto bordeaux della mutandina bordata di
pizzo.
«Caleb, a-aspetta…» mormora la ragazza,
le guance arrossate per l’imbarazzo.
«Perché? Lo vogliamo
entrambi…» replica lui, confuso.
«Lo so… solo che… forse non
è ancora
arrivato il momento giusto» ammette Camelia, affranta.
«Mio
padre potrebbe arrivare da un momento all’altro. E poi non mi
sento ancora del tutto bene. Non lo so, non me la
sento…»
Caleb sospira lentamente. Lo sa, fermarsi è la cosa giusta
da
fare; la verità è che non ha mai aspettato
così
tanto prima di farlo per la prima volta. Nella sua vita sono entrate ed
uscite alla velocità della luce una decina di ragazze,
almeno
finché non ha iniziato quella relazione stabile con Camelia.
Con
molte di loro non c’è neppure stata una vera e
propria
storia, bensì si sono limitate ad essere il divertimento di
un
sabato sera in discoteca, tra un sorso di vodka e un po’
d’eroina.
Quello era sesso. Con Camelia, invece, voleva fare l’ amore. E forse, in
fondo, nessuno dei due era ancora pronto per questo.
Con le sue esperienze passate non c’era trasporto,
coinvolgimento
emotivo, desiderio, bensì la semplice voglia di sfogare un
istinto naturale. Ora che era fidanzato, invece, voleva lasciarsi
trascinare da tutte quelle emozioni di cui parlavano nei film romantici
che detestava.
Caleb sospira, accarezzando la fronte accaldata della fidanzata.
«Okay» concede infine, con un lieve sorriso.
«Ho corso troppo, scusami…»
«Ma no» la ragazza solleva la schiena dal
materasso,
posando un bacio sulle labbra del fidanzato. «Va tutto bene,
tranquillo.»
Caleb annuisce, un’espressione seria in volto. Scivola
lentamente
via dal corpo della ragazza, sedendosi al suo fianco. Camelia si tira
su a sedere a sua volta, per poi accomodarsi sulle gambe di Caleb. Gli
prende la testa tra le mani, e stavolta è lei ad affondare
le
dita tra i capelli castani di lui, mentre le loro labbra tornano ad
incontrarsi. Il ragazzo poggia le mani sui seni morbidi della giovane,
iniziando a palpeggiarli piano, per poi acquisire maggior confidenza
man mano che i minuti passano. Porta di nuovo le labbra sul collo
candido della ragazza, attento a non lasciare segni rossastri o
violacei che il padre potrebbe notare facilmente, ma mettendoci
comunque un certo impegno, almeno quello necessario per farla tornare a
gemere, le dita che le sfilano delicatamente la spallina del vestito.
«Perché… non mi racconti…
cosa avete fatto
oggi a scuola?» prova a distrarlo lei, mentre sente
chiaramente
le mani di lui accarezzarle languidamente la schiena sopra la stoffa
del vestito.
«Uhm…» Caleb arresta il movimento delle
labbra, e
Camelia ne approfitta per poggiare la testa sulla sua. «Le
solite
cose noiose, a dir la verità. Ci hanno portato a tinteggiare
il
nuovo edificio, Jude ha flirtato spudoratamente con Dark… e
dopo
la fine delle lezioni se ne sono andati via insieme, onestamente non
voglio nemmeno sapere dove – anche se più o meno
me lo
immagino. In realtà credo che sia successo qualcosa di
strano,
perché Dark sembrava piuttosto agitato…
chissà,
magari un suo amante segreto è tornato dall’ombra
e adesso
minaccia di distruggere la sua relazione con Jude…»
Per tutta risposta, Camelia gli rifila una spinta leggera contro la
spalla. «Intendevo cosa avete fatto oggi a lezione»
puntualizza lei. «Dovresti smetterla di impicciarti nella
vita di
Jude. Sa quello che fa, inoltre lui e Ray stanno così bene
insieme…»
«Perché, secondo te sono stato attento oppure ho
capito
qualcosa di quello che hanno spiegato oggi? Ti sto offrendo qualcosa di
molto più redditizio, ossia del buon, sano
gossip!»
Camelia sospira profondamente, Caleb tuttavia non riesce a togliersi
quel sorrisetto soddisfatto che gli è spuntato sul volto.
«E comunque è un mio amico, è chiaro
che mi
preoccupo.»
«Caleb, invece faresti meglio a stare attento durante le
spiegazioni. Siamo all’ultimo anno, tra pochi mesi ci
diplomeremo, senza contare che dobbiamo ancora inviare le domande
d’ammissione al college… e lo sai che, se i nostri
voti
non sono sufficientemente alti, non avremo mai la
possibilità di
entrare. E non posso sempre salvarti io, per quanto riguarda lo
studio.» Camelia si china appena verso il basso,
così da
poter incontrare gli occhi di Caleb. «Devo invece iniziare a
pensare che sei geloso del tuo migliore amico? Perché
altrimenti
riuscirei davvero difficilmente a spiegarmi questa diffidenza che nutri
nei confronti della relazione tra Jude e Ray…»
«Allora, intanto è Dark, signor Dark o, al
massimo,
professor Dark. Questa cosa che adesso lo chiamate tutti per nome
sinceramente mi fa venire la nausea» replica Caleb, il volto
che
si contrae in un’espressione disgustata. «E non
sono
geloso. Spero solo che questa relazione non lo faccia soffrire. Jude
è stato già sufficientemente male,
quest’anno, e
ammetto che buona parte della colpa è mia, per cui
non
vorrei che succedesse di nuovo, soprattutto perché non se lo
merita…»
«Lo chiamiamo così perché ormai ci
abbiamo
trascorso del tempo al di fuori della scuola e non lo consideriamo
più un perfetto sconosciuto o solamente il nostro insegnante
di
letteratura inglese. E poi è una brava persona…
vedrai
che con lui Jude è al sicuro» insiste Camelia,
intrecciando le dita nella chioma brunastra del suo fidanzato.
È
felice di essere finalmente riuscita a distrarre Caleb da
quell’improvviso desiderio, eppure non riesce a capire
perché s’incaponisca tanto su un discorso del
genere.
«D’accordo, questa storia però continua
a sembrarmi
così strana…» Caleb sospira, rilassato
dal tocco
della ragazza. «Uno studente e il suo
insegnante…»
«È il più classico dei
cliché»
«Ma hanno quarant’anni di
differenza…!» Caleb
scuote la testa, desolato. Ha alzato troppo la voce, lo sa. Questa
storia non dovrebbe turbarlo così tanto: in fondo ha ragione
Camelia, non sarebbero nemmeno affari suoi, inoltre la relazione tra
Ra‒ il professor Dark
e Jude
sembra andare a gonfie vele. Eppure è come se qualcosa
continuasse a non tornargli, lo stesso qualcosa che ha letto
nell’espressione corrucciata che ha visto comparire oggi sul
volto di Dark. Non vorrebbe sbagliarsi, tuttavia uno strano sospetto
continua a martellargli la testa…
Ricorda ancora troppo bene l’aria devastata che aveva assunto
Jude negli ultimi mesi, prima del suo arresto: solo in seguito era
venuto a conoscenza della relazione tra lui e il loro insegnante, e
dell’allontanamento che avevano subìto in quei
mesi. Se
solo pensa che uno dei suoi più cari amici possa soffrire
nuovamente così tanto sente la rabbia montargli al cervello.
«Scusami, ho alzato troppo la voce» Caleb sospira
pesantemente, scuotendo la testa, affranto.
Camelia, per tutta risposta, gli circonda le spalle con le braccia,
stringendolo delicatamente a sé.
«Smettila di scusarti per ogni cosa, Caleb. Va tutto
bene»
la ragazza si china fino ad infilare il capo nell’incavo tra
il
collo e la spalla destra del giovane. «Lo so che ci tieni a
Jude,
che è un tuo amico e che non vuoi vederlo soffrire.
È
normale, anche io la penso come te, e non ho dubbi che anche Joe e
David siano del nostro stesso avviso. Per ora, però, sta
andando
tutto per il verso giusto, e intrometterci sarebbe una nostra mancanza
di rispetto nei loro confronti. Lasciamo che tutto vada come vuole il
destino e, se mai le cose dovessero andare per il verso sbagliato,
allora saremo pronti ad accorrere in soccorso di Jude e a consolarlo,
ma non prima, perché questa è la cosa giusta da
fare.
Perdere una persona fa male, ma stare a crogiolarsi quando non
è
ancora successo niente è perfettamente inutile.»
Caleb si lascia sfuggire un nuovo sospiro. Camelia ha perfettamente
ragione, eppure ormai inizia a credere di aver perso la
capacità
di sapersi raccontare la verità.
«E va bene, hai vinto» le concede infine, poggiando
ancora una volta il capo al suo.
«Oh, andiamo, non ti ho fatto tutto questo discorso
perché volevo vincere» ribatte lei, impettita.
«Ah, no?» commenta lui, con tono ironico.
«No!» insiste Camelia, esasperata.
Caleb sorride, divertito. Afferra morbidamente i fianchi minuti della
sua ragazza e, ruotando appena su se stesso, la porta a trovarsi
nuovamente distesa, con la schiena premuta contro il materasso. Da
quella posizione, in cui può facilmente dominare sul suo
corpo,
Caleb si china rapidamente su di lei, iniziando a solleticarle il
collo, le spalle, i fianchi. Camelia ride divertita, scalciando appena
sotto di lui, fortunatamente però i suoi piedi non
colpiscono
mai Caleb.
In quel momento, una chiave gira all’interno della toppa
d’ingresso, richiamando l’attenzione di entrambi.
«Dev’essere arrivato mio padre» deduce in
fretta la ragazza.
Caleb espira lentamente, sa tuttavia di non avere altre alternative.
«Che dici, andiamo a salutarlo?»
「 Brookline,
Boston, 2nd October
h.
05:25 p.m. 」
La
porta si apre alle sue spalle, eppure Jude non sembra farci troppo
caso. Sono ancora sul pianerottolo, tuttavia non ha perso tempo ed
è già saltato addosso a Ray, stringendogli le
braccia al
collo e le gambe attorno alla vita.
Si scambiano baci intensi, mentre affondano nella penombra
dell’appartamento del professore. Sembrano aver
già
dimenticato le promesse di attenzione che si sono fatti meno di
un’ora prima, fuori da quella caffetteria di Beacon Hill. In
fin
dei conti, tuttavia, chi mai potrebbe vederli lì, tra quelle
quattro mura che appartengono solo a loro?
Ray glielo aveva detto, in fondo: dovevano fare attenzione quando si
trovavano a scuola o in un qualsiasi altro luogo pubblico in cui ci
sarebbe potuto essere qualcuno che li conosceva, ma lì, tra
le
tenebre dell’appartamento del professor Dark, potevano essere
veramente loro stessi.
Ray sospinge la schiena del ragazzo contro la parete, prima
indirizzandola verso l’alto, per poi trascinarla assieme a
lui in
basso, una discesa di appena qualche centimetro, ma che basta a
scatenare nuovi gemiti caldi nel ragazzo. Dubita che arriveranno in
camera vestiti, e proprio per questo inizia a sfilare la felpa di Jude,
mentre si china a baciargli intensamente il collo, inebriato dai
tremori che percorrono in maniera composta il corpo del ragazzo.
L’aria fredda che è entrata assieme a loro dal
pianerottolo aggredisce il torso nudo di Jude, scatenando dei nuovi
brividi intensi, che subito corrono lungo la sua schiena. Sa a cosa
porteranno presto quei baci, quelle carezze, e onestamente non vede
l’ora di arrivare alla parte successiva.
Sente Ray avviarsi lungo il corridoio, ma non per questo smettere di
succhiare alcuni lembi di pelle del suo collo, costringendo il ragazzo
a gemere e ad ansimare sempre più intensamente.
Jude
pianta le unghie nelle spalle forti dell’uomo, reprimendo a
stento le grida più forti.
Nel momento in cui arrivano in camera, il professore fa distendere il
ragazzo di schiena sul letto; prima di raggiungerlo resta a
contemplarlo ancora per qualche istante, incantato. Le mani di Jude,
tuttavia, lo cercano, lo ghermiscono, e Ray si rende conto che
lasciarlo attendere ulteriormente sarebbe una cattiveria che il suo
ragazzo non merita. Così si affretta ad inginocchiarsi sopra
di
lui, riprendendo a baciarlo l’istante successivo. Jude chiude
gli
occhi e trema per bene tra le sue mani, mentre sente le dita fredde e
affusolate di Ray percorrergli la schiena, accarezzargli le spalle
magre e spigolose.
Jude vorrebbe poterlo spogliare come Ray ha fatto con lui, si rende
conto tuttavia che le sue mani – e il suo corpo intero, a dir
la
verità, sono ormai in preda a dei tremori sempre
più
forti, che gli impediscono qualsivoglia movimento razionale.
«R-Ray…» Jude cerca di richiamare il suo
amante,
notando che, per quanto possa provarci, le sue mani non vogliono
saperne di restare ferme neppure per il tempo necessario di slacciare i
bottoni della camicia del professore.
Una camicia. Non poteva mettersi un indumento più semplice
da sfilare? Un golf di lana, ad esempio?
Ray lancia un rapido sguardo verso il basso, intuendo piuttosto
facilmente quale sia il problema del ragazzo. Sorride teneramente,
crede di aver già trovato la soluzione.
«Non preoccuparti, tesoro» le mani di Ray sono
subito su
quelle di Jude, guidando le dita sottili e tremolanti del ragazzo
nell’atto di sfilare ogni bottone dalla propria asola.
«Tutto quello a cui devi pensare adesso è tremare
e
provare quanto più piacere possibile.
D’accordo?»
Jude sente ancora buona parte dei propri fasci nervosi tesi dopo la
scoperta di quel pomeriggio, e probabilmente anche Ray
dev’essersene accorto, visto che – pochi istanti
dopo,
giusto il tempo di finire di aiutare il ragazzo a slacciargli la
camicia e di essersi liberato di quest’ultima –
corre con
le dita a massaggiare il collo e le spalle del giovane. Li trova, in
effetti, sorprendentemente tesi – per fortuna però
niente
che lui non possa sciogliere. Jude deve solo liberare la mente da ogni
pensiero spiacevole e rilassarsi un po’, adesso, altrimenti
nulla
di quello che stanno per andare a fare potrà portargli del
piacere vero e proprio.
Per contro, anche solo quel massaggio gentile basta al ragazzo per
lasciar correre dei nuovi brividi lungo la propria schiena.
È
incredibile – affascinante,
sorprendente, seducente – l’effetto
che Ray riesce ad avere ogni volta su di lui.
Quando sente i nervi iniziare a sciogliersi in maniera soddisfacente,
Ray torna a chinarsi sul corpo del ragazzo, nuovi baci che investono la
gola candida di Jude e nuovi gemiti che sgorgano da essa. Le dita di
Ray tamburellano adesso sul bassoventre del giovane, appena sopra
l’allacciatura dei suoi jeans. Ormai il più
è stato
fatto, la strada verso l’obnubilio non fa che accorciarsi
sempre
di più.
Jude sente il bottone abbandonare l’asola, la zip abbassarsi.
Ray
gli afferra i fianchi con forza e inizia a dondolarsi su di lui,
strofinandosi con intensità contro il bacino del ragazzo.
Jude
sente la vista appannarsi, e pensa che abbandonarsi a quelle attenzioni
sarà il miglior viaggio verso l’inferno di sempre.
Dopo aver perso conoscenza, Jude avverte tutto in maniera piuttosto
confusa. Ricorda che all’inizio è stato piuttosto
dolce,
così caldo e confortevole che per un momento ha creduto di
essersi ritrovato improvvisamente immerso all’interno di una
nuvola. Col passare dei minuti, tuttavia, ogni movimento si
è
fatto più intenso e passionale, tant’è
che hanno
raggiunto l’apice del piacere allo stremo delle energie
fisiche.
È stato diverso da ogni altra volta in cui hanno fatto
l’amore. Non in senso negativo, né positivo.
Solo…
diverso. O almeno, all’inizio non gli era sembrato affatto
così, tuttavia tutta quell’intensità
che Ray aveva
impresso al rapporto gli aveva fatto percepire quasi una sensazione di
disperazione da parte dell’uomo. Disperazione per cosa, poi,
Jude
non riusciva proprio a capacitarsene.
Il ragazzo si volta di lato, dalla parte opposta del letto. Ha riposato
per poco tempo, e adesso non riesce più a riprendere sonno.
La
verità è che, al momento, la sua mente
è
così piena di pensieri che non riuscirebbe a dormire neppure
volendolo; tutto ciò che è in grado di concedersi
non
è che una mezz’ora agitata di dormiveglia, niente
di
più.
Non appena si mette comodo in quella nuova posizione, la prima cosa che
gli occhi rossi come sangue caldo di Jude incontrano è lo
sguardo di Ray, cupo come nubi che preannunciano la tempesta.
«Non riesci a dormire…?» gli domanda
l’uomo,
in apprensione, mentre passa le dita tra i capelli del ragazzo.
Jude scuote la testa, un espressione stanca in volto. Per quanto
vorrebbe riuscire per un momento a dimenticarsi di tutto ciò
che
è successo quel giorno, lasciare fuori la loro discussione
da
quel letto, adesso, gli riesce così difficile.
«Ho paura» ammette, sospirando. Se adesso Ray gli
chiedesse
di spiegargli come si sente, probabilmente Jude non ci riuscirebbe:
è preoccupato, ma non vuole arrendersi. Forse rassegnarsi
sarebbe la cosa più semplice, ma non è
un’alternativa che possa scegliere, non se pensa a Ray e a
quante
cose ci siano in ballo tra loro.
Suo malgrado, Ray non può fare a meno di sorridere, le
labbra
che assumono una piega così inusuale per lui, gli angoli
incurvati verso l’alto. Vedere Jude così
vulnerabile lo
intenerisce: quel ragazzo ha sempre cercato in sua presenza di mostrare
unicamente il suo aspetto forte, temerario, quello di chi non ha paura
di niente. Ma Ray sa che non c’è solo questo, Jude
è molto di più – e non potrebbe esserne
più
lieto.
Il professor Dark si muove piano tra le coperte, avanzando fino a che
non si ritrova vicinissimo al suo ragazzo: lo avvolge con le braccia,
così da poterlo contenere completamente; subito un senso di
protezione pervade Jude, che si sente istintivamente invogliato a
poggiare il capo contro il petto nudo dell’uomo.
«Non dovresti» commenta Ray – e il suo
non suona come
un ammonimento; anzi, sembra sinceramente interessato a rassicurare il
ragazzo. «Lo so che è una situazione complicata,
ma non ho
intenzione di lasciarti da solo ad affrontarla, ci siamo dentro fino al
collo entrambi. E poi non ho alcuna intenzione di perderti.»
Jude strofina il capo nell’incavo del collo di Ray, contro
cui si
è ora rifugiato. Le sue parole lo confortano, ma sa che il
corso
degli eventi non sarà mai completamente in loro controllo.
Potranno certamente fare del loro meglio per non farsi scoprire, ma se
ciò dovesse accadere ugualmente… se qualcuno
dovesse
venire a sapere qualcosa…
Ray gli posa un bacio tra i capelli. Può quasi sentire il
flusso
dei pensieri scorrere furioso all’interno della mente del
ragazzo, tuttavia sa di non poterlo fermare in alcun modo.
Dopotutto, gli stessi pensieri, proprio in quel momento,
stanno
tormentando anche lui. Deve mostrarsi forte, così da
rassicurare
Jude, ma sarebbe sciocco da parte sua negare a se stesso di essere
preoccupato. Conosce l’avversario che si sono ritrovati
davanti,
e sa già che sconfiggerlo non sarà affatto facile.
«Cerca di non pensarci, adesso. Non possiamo lasciarci
annientare
da questa cosa.» Le dita di Ray scorrono lungo la schiena di
Jude, e al contatto il ragazzo subito sussulta.
«Mh…» Jude si lascia sfuggire un gemito,
peccato che
al momento sia così stanco da riuscire a malapena a tenere
gli
occhi aperti.
«Ti conviene riposare, adesso» Ray si lascia
sfuggire una
live risata, mentre gli posa un nuovo bacio tra i capelli,
completamente innamorato di lui. «Non vorrei che domani fossi
troppo esausto per seguire in maniera adeguatamente attenta le
lezioni.»
«Sta’ zitto, Ray» bofonchia Jude, la voce
già impastata di sonno. «E non
lasciarmi…»
Ray sorride ancora, mentre stringe un po’ più a
sé il ragazzo.
«Certo che non ti lascio» commenta, mentre sa di
star ormai
parlando ad un corpo addormentato. Poco dopo si china sul ragazzo,
osservandolo ammirato, una miriade di scintille che si riflettono in
quegli occhi piccoli e neri, le labbra che sfiorano piano
l’orecchio del giovane.
«Buonanotte, Jude» mormora, e quel sorriso non
vuole proprio saperne di scomparire dal suo volto.
Angolo
autrice
And... we are back.
In questi dieci giorni il prologo ha ricevuto un discreto numero di
visualizzazioni, e di questo ve ne ringrazio. Postare il seguito di una
long dopo tre anni è un po’
un azzardo, non so in effetti se ci sia un modo giusto di muoversi in
una situazione del genere.
Va detto anche che siamo in piena sessione estiva, quindi, per quanto
vedere l'assenza di recensioni possa essere demoralizzante, mi rendo
anche conto di non aver scelto un periodo "semplice".
In ogni caso. Nuovo aggiornamento e... cominciano già ad
essere
presenti alcuni argomenti seri. Probabilmente adesso non è
possibile immaginare l'effetto che certe scene avranno sulla trama, ma oh, fidatevi,
sarà fondamentale.
Finalmente incontriamo Camelia *applausi* in DN compariva solo nella
scena finale, oltre ad essere citata un paio di volte da Jude e Caleb,
ma più di questo niente di che, tenendo anche conto del
fatto
che fino ad ora non aveva mai parlato.
Ed è un problema,
perché tecnicamente il personaggio di Camelia doveva
ricoprire
una parte fondamentale già al tempo di DN, solo che me ne
ero
completamente dimenticata oltre a non aver
trovato un punto adatto della trama in cui inserirla e in
realtà se diwk esiste è in buona parte per lei, o
perlomeno per qualcosa che la riguarda.
Sui miei due cretini,
invece... beh, fanno quello che riesce loro meglio, ossia: essere
cretini. Non riesco a biasimarli, perché da fuori sembrano
personaggi seri e degni di stima, poi ti avvicini un po’
per osservarli meglio e capisci che, in effetti, sono cretini. Mi
conoscete, non mi piacciono le cose facili, e anche in questa storia
non dispenserò gioie a destra e a manca, sorry.
A tal proposito: siamo passati dalla relativa calma del prologo ad un
primo capitolo in cui già si prospettano i drammi veri, non
si
può proprio dire che non sia una mia storia. E, fidatevi,
questo
non è che l'inizio.
Non credo di aver molto altro da dire se non che mi ero
dimenticata che le date fossero in courier ma ho già
sistemato per cui mi fermo qui. Grazie a chiunque legga
questa storia, a chi la sta seguendo dubito che qualcuno
lo faccia ma vbb
e a coloro che dovessero decidere di recensire. Ripeto, capisco che sia
un periodo particolare, per cui non ho grandi aspettative al riguardo.
Aria
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Capitolo 3 *** Good intentions and bad habits ***
「 Baby we
both know
That the nights were
mainly made for saying things
that you can’t
say tomorrow day. 」
Artic Monkeys — Do I Wanna Know
「 Somerville,
Boston, 2nd October
h.
08:04 p.m. 」
C’è silenzio all’interno della sala da
pranzo, rotto
unicamente dal monotono tintinnio delle posate contro la superficie
ceramica dei piatti.
Di tanto in tanto, Caleb lancia qualche sguardo di sottecchi a Camelia:
gli sembra piuttosto agitata, ed è abbastanza certo di
averla
vista muovere nervosamente le gambe nel suo vestito candido un paio di
volte, sotto il tavolo, durante la cena.
Non riesce a biasimarla, in fin dei conti. Percival Travis è
un
uomo che emana tutto, fuorché serenità.
L’espressione austera incute timore reverenziale, e Caleb si
chiede come abbia fatto Camelia, in tutti quegli anni, a crescere
accanto ad un uomo tanto severo.
In effetti, forse crescere non è il termine più
adatto:
Percival è uno degli avvocati più influenti di
Boston, ed
era sempre stato piuttosto assente nella vita della figlia.
Gliel’aveva raccontato Camelia, ma nella sua voce non
c’era
rancore: amava suo padre, e non le era dispiaciuto crescere da sola.
S’era fatta forte, e poi sapeva che suo padre non avrebbe mai
potuto privarsi del suo lavoro per starle accanto. Che fosse giusto o
meno non spettava a lei dirlo: era grazie al lavoro di suo padre,
infatti, se si potevano permettere di mangiare, di abitare in
quell’appartamento o se lei aveva la possibilità
di
frequentare la sua scuola.
Quanto a sua madre, Camelia non aveva mai avuto la
possibilità
di conoscerla veramente. Era morta quando lei era ancora molto piccola,
e Camelia non aveva alcun ricordo di lei. Caleb, da quel punto di
vista, poteva capirla: anche lui aveva perso entrambi i suoi genitori
mentre era ancora un bambino, ma non amava parlare di quella storia. In
parte, il suo destino era stato simile a quello di Jude, anche lui
rimasto orfano sia di madre che di padre, tuttavia, a differenza sua,
alla fine il suo migliore amico aveva trovato una famiglia adottiva.
Caleb, invece, era sempre stato l’incubo degli assistenti
sociali: un bambino piuttosto ribelle, di cui nessuno s’era
voluto prendere cura. Alla fine, compiuta un’età
che la
legge aveva definito giusta, era finito a vivere da solo, e forse da
lì in poi la vita di Caleb era migliorata: non gli
dispiaceva la
solitudine, anzi, forse la preferiva perfino ad alcune famiglie in cui,
per brevissimo tempo, gli era capitato di stare: quel caos non faceva
per lui; si trovava decisamente meglio nel suo silenzio.
Non l’avrebbe mai ammesso, ma forse, se si trovava
così
bene con Jude, era anche per via del loro passato così
simile.
Caleb osserva il suo piatto, non senza una certa diffidenza: gli sembra
di avere lo stomaco chiuso, quella sera – e dire che,
generalmente, era un tipo a cui l’appetito non mancava mai
–, infatti non ha ancora praticamente per nulla intaccato i
ravioli che Percival ha preparato per loro.
Quando il padre di Camelia è arrivato a casa, qualche ora
prima,
i ragazzi lo hanno raggiunto in salotto per salutarlo. Hanno scambiato
a malapena qualche parola, dopodiché Percival
s’era chiuso
nel suo studio a leggere un libro. Caleb e Camelia, invece, erano
tornati in camera della ragazza.
«Credo che abbia avuto una giornata particolarmente
difficile» aveva commentato Camelia, poggiando il suo libro
di
matematica sulle coperte del proprio letto.
«Mh.» Caleb, disposto perpendicolarmente rispetto
al
materasso, la testa che pendeva di lato, in direzione del pavimento,
aveva roteato gli occhi. «Oppure, più
semplicemente, mi
odia.»
«No che non ti odia» si era affrettata a negare
Camelia.
«Oh, sì, invece» aveva insistito lui.
«E non
mi ha mai potuto sopportare, per l’esattezza. In fondo non lo
biasimo: d’altronde anch’io probabilmente, se fossi
padre,
non sarei poi così entusiasta se mia figlia fosse fidanzata
con
un ex teppista.»
Camelia, per zittirlo, gli aveva posato un bacio leggero sulle labbra.
«Peccato che a me non importi nulla del suo parere»
era
stato il suo commento, mentre rifletteva la sua espressione sardonica a
pochi centimetri di distanza dal volto del ragazzo.
«Dovrebbe, invece» era stato il commento di Caleb.
Camelia aveva sospirato profondamente, mentre si lasciava cadere
distesa piano sul letto alle sue spalle. «Non
fraintendermi» s’era affrettata a chiarire, poco
dopo,
«è chiaro che per me la sua opinione sia
importante:
è mio padre, dopotutto. Tuttavia, non voglio che sia lui a
decidere chi devo amare o meno: i miei sentimenti sono qualcosa di cui
posso occuparmi solo io, credo.»
Il resto del pomeriggio lo avevano passato a studiare – o
meglio,
Camelia aveva studiato; di tanto in tanto, Caleb cercava di distrarla
per infastidirla, ma la ragazza era stata intransigente. Caleb, dal
canto suo, non aveva fatto un bel niente, ma il pensiero di separarsi
dalla sua amata era insostenibile, così alla fine era
rimasto
lì, ad osservare la sua affascinante chioma di capelli lilla
ondeggiare soavemente mentre scriveva il risultato di una nuova
equazione, sorridendo ogni volta che la ragazza sollevava lo sguardo
per chiedergli cosa stesse facendo, e quando lei si rendeva di nuovo
conto che se ne stava con le mani in mano i suoi occhi turchesi
venivano attraversati da una buffa scintilla di rabbia, che faceva
scoppiare a ridere Caleb.
Dio, ma quant’era bella quando si arrabbiava?
Verso sera Percival era riemerso dal suo studio, diretto verso la
cucina. In pochi minuti aveva fatto saltare i ravioli nella padella,
salvo poi chiamare i due ragazzi per la cena, chiedendo anche a Caleb
di restare.
Il ragazzo aveva accettato, ma non senza qualche indugio: lui e il
padre di Camelia non si erano mai particolarmente sopportati, dunque il
pensiero di cenarci insieme non rientrava nella sua lista dei desideri.
Camelia, tuttavia, aveva insistito, e alla fine non aveva potuto far
altro che accettare – in fin dei conti, neanche lui era
ancora
pronto per lasciare quella casa, e soprattutto la sua ragazza.
Così s’era ritrovato in quella situazione
paradossale,
seduto ad una tavola di persone che non interagivano tra loro, tutti e
tre evidentemente in imbarazzo.
Camelia sospira pesantemente; non riesce a sopportare quel silenzio
così opprimente, ed è del tutto intenzionata a
romperlo.
«P-possiamo provare a vedere se in frigo
c’è del dessert…» propone,
titubante.
«No» replica Percival, lapidario, alzandosi dalla
tavola.
«Non ho più fame. Torno nel mio studio.»
Così dicendo, l’uomo si alza, sparendo in
pochi istanti dalla sala da pranzo.
Caleb e Camelia restano a guardarsi, in un silenzio imbarazzato.
Camelia si morde il labbro inferiore, mentre alcune lacrime fanno
capolino dai suoi occhi, minacciando di cadere e rigarle le guance
innocenti da un momento all’altro.
«Mi dispiace…» mormora, sinceramente
mortificata.
«Dovevo aspettarmi che sarebbe andata a finire
così…»
«Non è colpa tua» Caleb sospira
pesantemente, ma riesce lo stesso a rivolgere un live sorriso alla
ragazza.
Lo pensava sul serio. In realtà avrebbe dovuto aspettarsi
che
sarebbe andata a finire in quel modo – entrambi lo
sospettavano,
fin dall’inizio, ma forse s’erano illusi che
potesse andare
diversamente. Che sciocchi che erano stati. La verità era
che
Percival detestava Caleb – e, di conseguenza, nemmeno il
ragazzo
aveva un’alta considerazione di lui – e non aveva
apparentemente alcuna intenzione di cambiare opinione su di lui. Caleb
sapeva che Camelia aveva cercato in ogni modo di convincerlo che fosse
cambiato, e che ormai non avesse più nulla a che fare con la
banda, i crimini e quant’altro, ma sembrava quasi che
Percival
non l’avesse ascoltata affatto. Per lui, ciò di
cui Caleb
si era macchiato in passato era troppo grave, e il pensiero che
restando vicino a sua figlia potesse ferirla –
volontariamente o
meno – era insopportabile.
«Mi accompagni alla porta?» domanda il ragazzo, gli
occhi fissi in quelli della fidanzata.
Camelia annuisce e fa per alzarsi, ma quelle lacrime non vogliono
saperne di allontanarsi dai suoi occhi. Ed è quella la cosa
che
più detesta Caleb: non è giusto che ci vada in
mezzo lei,
che in tutta la vicenda non c’entrava niente. Poteva capire
che
suo padre potesse avere una cattiva idea di lui, e in un certo senso
Caleb lo rispettava perfino per questo – teneva troppo a
Camelia
per non volerne il suo bene, e sapere di non essere l’unico a
pensarla in quel modo era quasi rassicurante, per lui –,
tuttavia
non sopportava di vederla piangere, né di sapere che per
quell’astio che intercorreva tra lui e Percival la persona a
soffrirne maggiormente fosse proprio Camelia. La loro era una questione
privata, ed era giusto che rimanesse tale. Non aveva senso mettere in
mezzo Camelia, e forse questo Caleb e Percival lo sapevano
già,
nonostante ciò tuttavia ora la persona che per entrambi era
la
più importante della loro vita ne stava rimanendo
ingiustamente
vittima – e per cosa, poi? Perché si stavano
comportando
come dei ragazzini per quell’odio reciproco?
All’ingresso, Caleb s’infila la giacca, e Camelia
continua ad osservarlo con gli occhi lucidi.
«Ci sarai domani a scuola?» le domanda il ragazzo,
cercando di sottrarla dai suoi pensieri.
«Credo di sì» gli conferma lei, la voce
ancora un
po’ incerta. «Caleb, mi dispiace davvero per
stasera…»
«Non pensarci» il ragazzo le posa un bacio
premuroso sulla
fronte. «Nulla che non potessimo prevedere,
d’altronde… ma non importa, ci abbiamo
provato.»
A quelle parole, Camelia gli rivolge un debole sorriso. Ecco, era
questo il Caleb che le era mancato, l’anno precedente, quando
con
la storia della banda si era allontanato così drasticamente
da
lei, il ragazzo che cercava di trovare il lato positivo in ogni
situazione – sebbene non senza un pizzico di sarcasmo
–, il
ragazzo di cui, in fin dei conti, era innamorata.
Camelia apre la porta, e sente già un pezzo di sé
allontanarsi da quella casa.
«Buonanotte» la ragazza saluta il fidanzato,
lasciando
ondeggiare la chioma violetta nell’aria fredda del
pianerottolo.
«Buonanotte» Caleb si volta, e inizia ad
incamminarsi verso le scale.
Camelia resta ad osservarlo, e aspetta paziente fino a che la figura
del ragazzo è ormai diventata invisibile ai suoi occhi. Solo
allora chiude il portone, con un lieve clangore, mentre si lascia
sfuggire un sospiro affranto e la sua figura scivola lentamente verso
il basso, rannicchiandosi a terra, le ginocchia strette al petto.
Sa di non essere del tutto sincera con Caleb, di recente, ma ha paura
che – se solo lo fosse – finirebbe per perderlo per
sempre.
E Camelia non può permetterselo.
「 Broadway,
Boston, 14th October
h.
04:10 p.m. 」
Jude sorride, passandosi pigramente una mano tra i capelli. Le lezioni
sono appena finite, e lui è già uscito dalla
scuola.
È seduto di lato, sulle grandi gradinate della scuola, e sta
aspettando che Caleb, Joe e David lo raggiungano.
Spera solo che facciano presto: ultimamente ha avuto un sacco di
grattacapi di cui occuparsi, e per un pomeriggio vorrebbe solo poter
svuotare la mente da qualsiasi pensiero assieme ai suoi amici,
proprio come un tempo.
Continua a pensare a ciò che Ray gli ha detto, meno di due
settimane prima: davvero rischia di dover sacrificare la relazione con
la persona che ama a causa di un demone prepotente?
Il ragazzo lascia vagare gli occhi sulla folla di studenti che si
è dispersa attorno all’uscita
dell’edificio
scolastico: alcuni sono già fuggiti via – come
biasimarli,
d’altronde –, altri invece sono ancora fermi nei
paraggi,
raccolti in piccoli gruppi, intenti a domandarsi come sia andata la
verifica che avevano in programma per quel giorno o ad organizzarsi per
uscire insieme quel pomeriggio.
D’un tratto, a Jude sembra di incrociare,
all’interno della
folla, un paio di occhi grigi intenti ad osservarlo. Sul volto del
ragazzo compare un’espressione confusa, non riesce a
riconoscere
a chi appartengano…
Una mano si posa sulla spalla di Jude, facendolo sussultare.
«Oh! S-scusami, Jude, non mi ero accorto che fossi
soprappensiero…» si affretta a giustificarsi
David, un
lieve rossore che compare sulle sue guance.
Jude rivolge un lieve sorriso all’amico, con
l’intento di
rassicurarlo. Poco dopo, tuttavia, il suo sguardo torna a saettare in
direzione della folla, nel punto in cui, poco prima, aveva visto quegli
occhi grigi osservarlo…
Impossibile. Sembravano
essere spariti in un battito di ciglia.
Eppure non se li era sognati… o forse sì?
Jude si porta una mano alla tempia, massaggiandosela brevemente. Gli
sembra di star impazzendo, di recente. Di sicuro, tutto lo stress che
sta accumulando non gli sta facendo bene.
Forse ha davvero bisogno di staccare la spina assieme ai ragazzi, per
quel pomeriggio, decreta infine. Jude si volta nuovamente verso David,
con un sospiro sconsolato.
«No… ti chiedo scusa io, piuttosto» si
affretta a
rassicurarlo. «Non era niente di importante,
tranquillo.»
«Sicuro?» fa per domandargli l’amico.
Prima che il ragazzo possa rispondergli, tuttavia, i due amici vengono
interrotti di colpo.
«Ehi, di che state parlando?» Caleb sbuca da dietro
David,
circondando le spalle dell’amico con un braccio.
«Non
starete mica confabulando senza di noi, mh?»
«Magari confabulano contro
di noi» puntualizza Joe, con tono fortemente sarcastico, la
schiena poggiata allo stipite del portone d’ingresso della
scuola
– deve essere arrivato insieme a Caleb, realizza in fretta
Jude.
«Oh, andiamo, lo sapete che non lo faremmo
mai…» si affretta ad assicurare loro David.
Jude, dal canto suo, rotea gli occhi: gli è chiaro che Joe e
Caleb stessero scherzando – come sempre,
d’altronde. A
volte si chiede come faccia David a non averlo ancora capito, e a
cadere ancora nelle trappole di Caleb, dopo tutto quel tempo…
Diversamente dal solito, tuttavia, Caleb non coglie la palla al balzo
per prendersi gioco di David. Sembra stranamente concentrato in
pensieri seri, e Jude è piuttosto curioso di sapere quali
siano
– ma sa perfettamente che quello non è
né il luogo
né il momento adatto per domandargli di che cosa si tratti.
L’ex capo della banda, nel frattempo, riacquista il solito
sorriso spavaldo.
«Ehi, branco d’idioti, parlando di roba importante,
che ne
dite di fare un salto alla cara, vecchia tana, oggi?» propone
infatti, sogghignando entusiasta.
«B-branco d’idioti a chi?»
fa per obiettare David.
«Caleb, ma non avevamo chiuso con quella vita?» gli
fa notare Joe, con un cipiglio alterato.
«Non ho mica detto “andiamo in giro a devastare
cose e a
rubare roba”, ragazzi» precisa Caleb, il sogghigno
sul suo
volto che sembra allargarsi sempre di più.
«Pensavo
piuttosto a qualcosa della serie “ci beviamo qualcosa e ce ne
stiamo sul nostro divano sfondato”. Allora, chi è
con
me?»
Sorprendentemente, Jude è il primo ad alzare la mano. David
e
Joe lo osservano confusi, ma alla fine si limitano ad imitarlo.
Caleb annuisce, soddisfatto. «Bene, per la gioia di David
ritiro
il “branco d’idioti”. Alla fine non siete
poi
così stupidi, a quanto pare» commenta, infatti.
«Direi che possiamo andare. Prima, però, volevo
avvisare
Camelia…»
«È inutile che la cerchi, Caleb» lo
informa David,
risoluto. «Oggi aveva laboratorio di scultura con me, e non
si
è presentata. Ho chiesto ad una sua amica, una certa Nelly,
e mi
ha detto che oggi non c’era neanche a inglese, né
ad
algebra. Temo che sia assente…»
Per un momento, il ragazzo sembra accigliarsi. È strano: di
recente Camelia è spesso assente da scuola, e quando
c’è sembra impegnarsi in tutti i modi ad evitarlo.
Caleb
è confuso, non ha idea di cosa le stia succedendo:
è per
quello che era successo l’ultima volta che si erano visti, a
cena
a casa di lei? No, impossibile: avevano risolto, in fin dei conti.
Dev’esserci qualcosa di più grosso sotto, Caleb ne
è certo, d’altronde ormai conosce fin troppo bene
Camelia
e sa che non si comporterebbe mai in un modo del genere senza un motivo
importante. E allora che sta succedendo…? Vorrebbe poterlo
sapere già in quel momento, tuttavia ora si è
impegnato a
stare con la banda, e non li può abbandonare senza dire loro
nulla.
«Va bene, andiamo» afferma allora. Fa per
incamminarsi
giù dalle gradinate, ma si ferma un momento prima di
scendere
dal primo scalino. «Tu non devi salutare nessuno,
Jude?»
«No…» il ragazzo scuote leggermente il
capo, per poi
lanciare uno sguardo malinconico verso l’interno della scuola.
Caleb inarca le sopracciglia. “Non di
nuovo…”
borbotta tra sé, angustiato. Non avrà di nuovo
litigato
con Ray, vero? Forse è solo troppo preoccupato dal pensiero
che
il suo migliore amico possa di nuovo soffrire come l’anno
precedente, ma se davvero dovesse essere così…
Caleb si ammonisce mentalmente, richiamando al pensiero le parole di
Camelia. “Perdere una persona fa male, ma stare a crogiolarsi
quando non è ancora successo niente è
perfettamente
inutile”… aveva detto così, no?
«Ottimo» conclude infine, sbuffando rumorosamente,
mentre
inizia finalmente a scendere giù per le scale.
«Allora
cosa aspettiamo, gente? Forza, andiamo: ci attende un pomeriggio
elettrizzante.»
「 Southwest
Corridor, Boston, 14th October
h.
05:58 p.m. 」
Sono
mesi dall’ultima volta che sono stati lì, eppure
nulla
sembra essere cambiato – almeno all’apparenza.
Il vecchio covo di Southwest Corridor li accoglie con la solita
desolante fatiscenza, alti strati di polvere e sporcizia che invadono
ogni angolo, il vecchio tappeto che non era mai stato lavato ancora
sporco di fango, proprio come l’ultimo giorno.
Ogni dettaglio è al solito posto, e potrebbe essere ieri
l’ultimo giorno in cui vi sono entrati, se non fosse per un
dettaglio. Perché sì, il covo era sempre lo
stesso, ma
quelli ad essere cambiati, in fondo, erano proprio loro.
David si lascia cadere sul vecchio divano dalle sedute sfondate e
stiracchia le braccia, con una leggera risata. Joe, invece,
è
già scattato verso un piccolo mobile, in fondo alla stanza,
dove
un tempo conservavano le scorte di alcol.
Jude si volta di lato. La vecchia finestra, dalla parte opposta della
stanza, è ancora lì, con i suoi vetri rotti.
Pensa a
quando era lì, mesi fa, a fare compagnia a Caleb, mentre
entrambi fumavano, e un sorriso malinconico gli fa capolino sulle
labbra. È giusto che i tempi andati rimangano tali, forse
però, in fin dei conti, non tutto è da buttare:
basta
pensare a quella strana amicizia con quei tre ragazzi. Era nata in
maniera rocambolesca, per salvare la famiglia Sharp da uno scandalo
mediatico, ma a conti fatti i quattro erano finiti per diventare
inseparabili, legati da un rapporto sincero e profondo.
Joe recupera una bottiglia di bourbon – da quando in qua
c’era roba così pregiata, tra le loro scorte?
– e la
lancia in direzione di Caleb, che l’afferra senza troppi
sforzi.
«Dobbiamo festeggiare qualcosa?» domanda David,
sorpreso, aggrottando le sopracciglia.
Il suo fidanzato si volta a guardarlo, con un sorriso complice.
«Beh, per esempio il fatto che per una volta non siamo
entrati
qui dopo aver devastato qualcosa o in seguito all’essere
sfuggiti
alla polizia» commenta infatti, poco dopo, Joe, ironico.
David, cogliendo quella sfumatura, decide di assecondarlo.
«Oh,
sì» aggiunge infatti, «e nemmeno dopo
aver rubato
qualcosa!»
«Che vocine allegre» commenta Caleb.
«Cos’è, avete sfogato le vostre
frustrazioni
sessuali nei bagni di scuola, stamattina?»
David allarga le braccia, esasperato. «Possibile che per te
debba
ridursi tutto sempre e solo a una questione di sesso?»
domanda,
la voce chiara che, alzandosi di qualche ottava per
l’irritazione, sembra quasi uno scampanellio agitato, come di
sonagli agitati dal vento forte dell’inverno.
«In tal caso, visto l’umor nero che sembri avere
oggi, di
recente tu devi essere andato in bianco, Caleb» commenta
Jude,
con un sorriso scaltro.
Per un momento, nel covo cala il più gelido dei silenzi.
Jude,
sebbene il suo volto non lasci trasparire emozioni, dentro trema come
una foglia. E adesso che succederà? Caleb vorrà
fare a
botte, come ai vecchi tempi?
Sorprendentemente, invece, sono le risate di Joe e David ad irrompere
nell’aria. Caleb finge disinteresse, ma il suo volto
s’imbroncia lo stesso, in maniera quasi inevitabile.
«Sì, ridete, ridete» commenta, a bassa
voce –
ma non lo sente comunque nessuno, a causa del fragore delle risate
degli altri ragazzi. «Tanto poi ci penso io, a voi.»
Anche Jude scoppia a ridere, sinceramente divertito. Forse era proprio
quella la parte che gli era mancata di più di quella vita di
strada che si era ritrovato ad intraprendere, nell’ultimo
anno
della sua vita: quei momenti di spensieratezza e di euforia, in cui
essere vivi sembrava avare un valore così importante.
Caleb gli passa la bottiglia di bourbon, come una vecchia tradizione
che tornava a ripetersi – era sempre il vice il primo a cui
il
capo della banda offriva da bere –, dopodiché Jude
resta
ad osservarlo mentre lo vede allontanarsi in direzione della finestra.
Non riflette a lungo sul se seguirlo o meno: un istante dopo sta
già camminando dietro di lui.
Caleb si ferma, e Jude con lui. L’ex capo della banda sembra
avere lo sguardo perso nel vuoto, mentre osserva i mattoni rossi che
compongono il fabbricato, o le schegge di vetro abbandonate sul
davanzale della finestra. Uno spiffero di vento irrompe con prepotenza
nella stanza, soffiando ululante tra gli spifferi.
«Te la sei presa, per quello che ho detto prima?»
s’informa Jude, più per rompere il silenzio che si
è venuto a formare tra loro che perché lo pensi
davvero.
«No» ammette infatti Caleb. «Forse un
tempo
l’avrei fatto, ma ormai credo di essere cambiato. E comunque,
per
tua informazione, avevi ragione.»
Jude scrolla le spalle. «Non m’interessava, a dir
la
verità. Devo supporre che tu sia così nervoso per
questo,
oggi?» chiede ancora, cercando di deviare il discorso su
qualcosa
che, in realtà, gli interessa di più.
«E io devo supporre che tu abbia tutta questa voglia di fare
battute perché invece la tua vita sessuale è
molto
più attiva della mia?» sbotta Caleb, con un
leggero
sogghigno sulle labbra. «In ogni caso, non era poi
così
male, quella battuta.»
«Per tua informazione, la risposta sarebbe un
sì» Jude sorride, strizzando appena gli occhi.
«Beh, non m’interessava» Caleb agita le
braccia, a
disagio. Jude ormai sa bene che il ragazzo sia in imbarazzo ogni volta
che la storia del suo fidanzamento con Ray viene tirata in ballo, e
proprio per questo si diverte a farla sbucare fuori appositamente nei
loro discorsi, di tanto in tanto. Caleb in difficoltà
è
uno degli sfizi più entusiasmanti che Jude ami concedersi.
«Ad ogni modo, se proprio vuoi saperlo, non era questo a
preoccuparmi» Caleb tira fuori da una delle tasche dei suoi
pantaloni un pacchetto di sigarette.
«Non avevi smesso, con quelle?» gli domanda Jude.
Nel
frattempo, il rumore dello schiocco di baci tra David e Joe arriva alle
loro orecchie dalla parte opposta della stanza.
«Non sarà certo una sigaretta ogni tanto ad
uccidermi,
Jude» commenta Caleb, mentre dal suo accendino schizzano
scintille aranciate.
Jude incrocia le braccia, irremovibile. «Una ogni tanto no,
ma
tutte quelle che ti sei fumato prima lo faranno, un giorno di
questi» gli fa notare, con un tono saccente involontario.
«Beh, tanto prima o poi dobbiamo morire tutti, no?»
Caleb
sbuffa, e una nuvola di fumo inonda l’aria tra di loro.
«Quando fai questi discorsi sembri mia madre, Jude.»
«Meglio morire il più tardi possibile, non
trovi?»
insiste il ragazzo, testardo. «Comunque, per quale motivo
saresti
nervoso, allora?»
«Da che pulpito.» Caleb inarca le sopracciglia,
sogghignando appena. «Non eri tu quello che voleva buttarsi
da un
ponte, l’anno scorso?»
«Era una situazione diversa!» Jude, che finora ha
parlato a
voce sommariamente bassa, per un momento sembra perdere la sua
compostezza. Caleb lo osserva, con un sorriso trionfante sul volto, e
questo basta a Jude per comprendere di aver appena commesso un errore.
Subito dopo, infatti, prende dei respiri profondi, senza smettere di
osservare l’altro ragazzo. «Non hai ancora risposto
alla
mia domanda» gli fa notare, di nuovo calmo.
«Ci scaldiamo facilmente, mh? Allora forse la tua vita
sessuale
non è poi così attiva come vuoi farci
credere.»
Caleb sembra essere così divertito che Jude non si
sorprenderebbe se, da lì a breve, gli scoppiasse a ridere in
faccia. E tutto questo perché Jude non sa controllare le
proprie
emozioni.
Perfetto.
Il ragazzo poco dopo, tuttavia, riprende a parlare, e senza avere,
almeno apparentemente, alcuna intenzione di prendersi gioco
dell’altro, non questa volta, almeno. «Il padre di
Camelia
mi detesta» gli confida infatti, con una
spontaneità che
mai Jude si sarebbe aspettato da Caleb. Il loro rapporto era evoluto in
maniera considerevole, nel tempo, ma Caleb era sempre stato restio ad
aprirsi con qualcuno.
«Cosa te lo fa pensare?» Jude si appoggia con la
schiena
alla parete alle sue spalle, senza mai distogliere lo sguardo dalla
figura di Caleb.
«Non mi ha mai rivolto veramente la parola. L’altra
sera,
quando ero a cena da loro, non appena ha potuto alzarsi dal tavolo se
n’è andato, senza dire niente né a me
né a
Camelia. Lui e la figlia litigano spesso, e anche se Camelia non fa
altro che ripetergli che sono cambiato, che non sono più un
teppista e che la mia vita non è più la stessa di
prima,
lui continua a non tollerare la nostra relazione.» Le dita di
Caleb picchiettano contro la sigaretta, residui di cenere che cadono
lentamente verso il suolo. «Non lo biasimo, Jude, ma non
voglio
che lei stia male per questo. Non c’entra niente,
cazzo.»
Jude annuisce. La situazione è leggermente più
complessa
di quanto si aspettasse e, in un certo senso, crede di riuscire a
comprendere Caleb.
Una relazione difficile
da portare avanti, mh?
«Hai parlato con lei di questo?» Jude lancia un
calcio a
terra, e una piccola nuvola di polvere si solleva nel punto in cui il
suo piede ha colpito.
«Dice che non le importa di suo padre e che per lei
ciò
che conta è stare con me» Caleb scuote la testa.
«Però non voglio che si metta nei guai a causa
mia.»
«Beh, magari potresti parlare tu con suo padre» gli
suggerisce Jude, in tono conciliante. «Forse, se sei tu ad
assicurargli che hai chiuso con quella vita, se ne
convincerebbe.»
Caleb resta in silenzio, come rapito da chissà quali
pensieri.
Jude si chiede se stia realmente valutando la sua proposta; poco dopo,
tuttavia, si rende conto che non è così.
«Invece cosa sta succedendo tra te e Dark, Jude?»
gli domanda Caleb, prendendolo alla sprovvista.
Una risata sale alle labbra di Jude. «Come sarebbe a dire
“cosa sta succedendo”?» domanda,
divertito.
«Credi che non me ne sia accorto?» Caleb fissa
intensamente
Jude negli occhi, come se stesse cercando le tracce della sua bugia.
«Ultimamente sembra che tu lo stia evitando.»
«Beh, è una tua impressione» Jude stappa
la
bottiglia di bourbon, per poi berne un sorso, cercando di dissimulare
il disagio. Mentre il liquore ambrato gli scivola giù sente
l’alcol raschiargli la gola, ma è una sensazione a
cui
è ormai abituato. «Sfortunatamente non posso
saltargli
addosso ogni volta che voglio, in particolar modo mentre siamo a
scuola. Deve pur sempre mantenere un profilo rispettabile,
no?»
Caleb non sembra essere convinto dalla spiegazione di Jude. Si spinge
appena in avanti, fino a ritrovarsi davanti all’amico; gli
poggia
le mani sulle spalle, con fare paternalistico.
«Se dovessi di nuovo soffrire a causa sua… lo sai
che non
me lo perdonerei mai, vero?» gli domanda, il tono che di
colpo
sembra essersi fatto cupo, solenne.
Jude sobbalza, ma continua a sorridere, ostentando quella
serenità che in realtà sa di non avere. Con un
gesto
rapido della mano si libera dalla presa di Caleb, allontanandosi di
qualche passo. «Di che hai paura, Caleb? La nostra relazione
procede nel migliore dei modi.» Il ragazzo si affaccia dalla
finestra: sono in un quartiere periferico, e tutto ciò che
riesce a vedere da lì è il palazzo accanto a
loro. Il
paesaggio nelle vicinanze, ormai Jude lo sa bene, non è poi
così diverso: una sfilza di magazzini abbandonati, i mattoni
rossi a vista. «Io amo Ray, e Ray ama me. Non
c’è
motivo di preoccuparsi che qualcosa possa andare per il verso
sbagliato.»
Jude non ha idea del perché, eppure, mentre pronuncia quelle
frasi, sembra quasi star cercando di convincere anche se stesso di
tutto ciò.
Caleb scrolla il capo; c’è qualcosa che continua
non
convincerlo, in tutta quella faccenda. Forse ha ragione Camelia e si
sta preoccupando più del dovuto, però…
mah,
chissà.
«C’è anche un’altra cosa, a
dir la
verità» Caleb sospira, passando la sigaretta a
Jude.
«Ho l’impressione che Camelia mi stia nascondendo
qualcosa.»
Jude aspira avidamente una boccata di quel fumo insalubre che sa
lacerargli i polmoni, ma di cui sente di avere così
disperatamente bisogno, adesso. «Credo che dovresti provare a
parlare anche di questo con lei, Caleb.» commenta, gli occhi
cremisi che nel mentre cercano quelli dell’altro.
«Mh…» Caleb annuisce, e fa per
commentare, ma dal
divano il rumore dei baci di Joe e David sembra essersi fatto
più intenso.
A Caleb sembra di star vivendo un déjà-vu.
«La fate finita, voi due?» sbottano insieme lui e
Jude.
Quando i due ragazzi si rendono conto di aver parlato
all’unisono, si lanciano uno sguardo d’intesa, e un
sorriso
compare sul volto di entrambi.
Angolo
autrice
Non ho
molta voglia di parlare.
Avrei tante cose da dire, però sono talmente devastata che
faccio fatica a tirarle fuori. Di solito preparo le note dei capitoli
qualche giorno prima della pubblicazione, ed è stato
così
anche con quelle del precedente. Forse è stato meglio
così, perché se le avessi dovute scrivere il 27
stesso
non so come avrei fatto.
Uno dei miei migliori amici del liceo non c'è
più. Non so
nemmeno perché lo sto scrivendo qui, forse non è
giusto,
non dovrei farlo... ma dopo più di una settimana faccio
ancora
fatica ad accettarlo.
Non credo che lui abbia mai dato al nostro rapporto il valore che gli
attribuivo io. Però per quattro anni della mia vita, di cui
tre
vissuti praticamente in simbiosi, è stato per me una
presenza
costante. E
anche se adesso
non c'è più e la cosa mi fa star male, so che
sarebbe
felici di sapermi ancora alle prese con la scrittura. Mi ha sempre
sostenuta molto, da sotto questo punto di vista. Per questo sto
cercando di andare avanti con la pubblicazione della storia, nonostante
questo non sia chiaramente un periodo positivo per me.
Esattamente tre anni fa cominciavo a pubblicare Dark Necessities, e
oggi sono qui a postare il nuovo capitolo del seguito di quella storia.
Com'è strana la vita. Spero che la storia vi stia piacendo.
Per il
resto... in realtà su questo capitolo non ho molto da
dire. Quello che succede qui è più una
"transizione"
verso gli sviluppi di trama che vedremo già a partire dal
prossimo aggiornamento. Vi dico solo che sta per arrivare l'angst, uhuh.
Curiosità: nella vecchia storia il quartiere della scuola
(realmente esistente, lo ricordo) era identificato con quello di
Cambridge, invece poi ho scoperto che in realtà è
a
Broadway, ecco perché l'ho cambiato, lol. Invece
già dal
precedente capitolo ho inserito nuove zone, come Beacon Hill (dove si
trova lo Starbucks dove Jude e Ray si fermano a conversare) e
Somerville (che invece è il quartiere di residenza di
Camelia).
Ah, ci siamo anche lasciati il capitolo più lungo alle
spalle.
Era il precedente, non so nemmeno io il perché.
Sì, ho
fatto il calcolo di quante parole ci sono in ciascun capitolo, oltre ad
aver in effetti già ultimato la divisione in capitoli e dato
un
nome a ciascuno di essi. Il che è un bene, considerando che
prima passavo l'intero giorno della pubblicazione a scervellarmi
pensando a cosa avrei dovuto scegliere. Tra l'altro probabilmente
già tra uno o due aggiornamenti inizierete a vedere alcuni
cambiamenti nello stile di scrittura, perché come ho
già
spiegato ho lasciato e ripreso diverse volte la stesura di questa
storia.
Probabilmente dovevo dire anche qualcos'altro, ma onestamente al
momento mi sfugge, inoltre queste note sono già fin troppo
lunghe, per cui sarà meglio chiuderle qui.
Scusate se per la maggior parte del tempo ho parlato di cose a caso, ma
credo che ne avessi bisogno.
A presto
Aria
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Capitolo 4 *** Tears and wounds ***
「 Baby we
both know
That the nights were
mainly made for saying things
that you can’t
say tomorrow day. 」
Artic Monkeys — Do I Wanna Know
「 Broadway,
Boston, 6th November
h. 10:22 a.m. 」
È da poco suonata la fine dell’intervallo alla
Cambridge
Rindge and Latin School, ma stranamente il professore di matematica non
è ancora arrivato in classe. Gli studenti si godono quegli
ultimi attimi di tregua prima dell’inizio
dell’agonia, un
piccolo capannello radunato nel corridoio davanti alla loro aula.
Jude osserva lo schermo del suo telefono, con aria impensierita. Di
recente è tutto così silente: Ray si fa sentire
di rado,
giusto con qualche messaggio durante il corso della giornata, oltre a
quelli del buongiorno e della buonanotte. Quella mattina, tuttavia,
Jude non ha ricevuto alcun genere di comunicazione da parte sua.
È una cosa insolita, ma Jude vorrebbe poterci non dare
troppo
peso: magari è impegnato a spiegare un argomento importante
alla
classe, oppure un collega l’ha intrattenuto a parlare. Il
fatto
che di recente si parlino meno è dovuto al fatto che, come
gli
ha detto Ray, devono stare attenti, non perché
d’improvviso l’insegnante ha perso interesse nei
suoi
confronti… no?
Forse il problema
è che sono
troppo giovane… e se stesse pensando che ormai ha
l’età per mettere su famiglia, e con me non
potrebbe mai
farlo?
Jude vorrebbe darsi uno schiaffo per quei pensieri, che così
poco gli appartengono. Da quando in qua si lasciava tormentare da dei
dubbi del genere? Sta solo riflettendo troppo, tutto qui.
Il professore di matematica compare in fondo al corridoio, e un
generale brusio indolente serpeggia tra i ragazzi.
«Beh, che fate ancora lì? Filate in classe,
forza!» li ammonisce l’uomo, severo.
Subito i ragazzi chinano il capo, rassegnati al fatto che le loro
deboli proteste non sortirebbero alcun effetto, così
iniziano ad
avviarsi verso la classe.
Jude fa per seguirli, ma, quando il professore lo raggiunge, poggia una
mano sulla sua spalla, fermandolo.
«Tu no, Sharp» gli comunica, in tono grave.
«Sei stato convocato in presidenza.»
Mentre sale le scale diretto al piano della presidenza, Jude sente il
cuore martellargli nel petto ad una velocità insostenibile.
Ha
un sospetto, ma spera tanto di sbagliarsi… il problema
è
che, fondamentalmente, per quale ragione potrebbe mai essere stato
convocato in presidenza? La scuola è ricominciata da appena
tre
mesi, e non gli sembra di aver commesso alcun errore. È
stato
presente ad ogni lezione, ha ottimi voti in tutte le materie, non ha
avuto discussioni con nessun professore… allora cosa
potrebbe
mai essere?
Magari si sbaglia e si tratta si una cosa bella. Potrebbe…
potrebbe essere… che per i suoi meriti scolastici abbiano
deciso
di premiarlo, sì. Oppure potrebbero voler parlare di quanto
successo lo scorso anno, ma anche di questo non doveva preoccuparsi:
ormai la banda non esisteva più, per cui andava tutto bene,
no?
Jude si arresta di colpo, rendendosi conto che ha ormai raggiunto la
porta della presidenza. È verniciata di bianco, una
targhetta
dorata al centro riporta il nome del nuovo dirigente scolastico.
“Il Cambridge
Rindge and Latine
School ha un nuovo preside. Che tu conosci. E lui conosce te,
perché… avete avuto una relazione al tempo del
college.”
“Ho paura che
possa scoprire della nostra relazione e usarla contro di noi”
“Credo che
tragga piacere nell’infliggere dolore agli altri”
“Se venisse a
conoscenza della
nostra relazione, non perderebbe tempo per minacciarti o rovinarti per
sempre la carriera”
Jude non sa perché, ma d’improvviso gli torna alla
mente
quella conversazione avuta con Ray poco più di un mese
prima,
nello Starbucks di Beacon Hill. Sembra come se i tasselli di un enorme
mosaico abbiano trovato la loro collocazione, in quel momento, eppure
Jude si rifiuta di accettarlo.
Lui e Ray sono stati attenti a non farsi scoprire, limitando a zero le
loro interazioni a scuola e prestando massima attenzione nello
scambiarsi effusioni anche all’infuori di essa, le loro
labbra
che s’incontravano solo nel buio della camera da letto del
professore.
Non ha senso, non ha senso, non ha senso…
Jude ha la gola completamente secca, mentre bussa piano alla porta
della presidenza.
Dall’interno, si leva una voce atona.
«Avanti» concede infatti un tono roco e maschile.
Jude abbassa la maniglia, e spinge lentamente la porta davanti a
sé. Quando inizia a rendersi conto della scena che si
è
appena ritrovato davanti, non riesce a non trasalire, sbiancando
visibilmente.
Due delle tre persone presenti nella stanza le conosce bene: una di
esse è suo padre.
L’altro è Ray.
Cazzo.
Jude vorrebbe poter illudersi che vogliano solo parlare del numero
esorbitante di assenze che ha collezionato l’anno scorso e
metterlo in guardia sul fatto che quest’anno farà
bene a
non farne, altrimenti la sua possibile ammissione ai college
più
prestigiosi della nazione potrebbe risentirne, ma a giudicare
dall’espressione disperata sul volto di Ray dubita che sia
così. Anche perché, se fosse per quello, la
presenza del
suo insegnante di letteratura inglese all’interno di quella
stanza non avrebbe senso, no?
Eppure… erano
stati attenti… a non farsi scoprire…
«Ben arrivato, signorino Sharp» lo accoglie il
preside
– e Jude, sebbene non abbia idea del perché,
percepisce
una nota di scherno nelle parole dell’uomo. «Prego,
si
accomodi, la stavamo aspettando.»
Jude lascia che la porta si chiuda alle sue spalle, mentre si avvia
lungo la stanza, prendendo posto cercando di ostentare una calma che al
momento non gli appartiene. Ma certo: deve fingere che non ci sia nulla
di strano, così non potranno incolparlo di nulla.
«Come mai sono stato convocato qui?» domanda,
simulando un
tono innocente. «Non mi risulta di aver commesso niente di
sbagliato.»
Jude si sofferma ad osservare l’uomo di fronte a
sé: non
è particolarmente alto, ma emana un’aura di potere
tale da
farlo sembrare un gigante. I suoi occhi sono piccoli e verdi, come
foglie di magnolia, tuttavia sono completamente freddi, come se non
fossero mai attraversati da emozioni – se non da quelle
negative.
Ha una barba folta e scura, sembra una nube in tempesta.
Forse, se si trovasse in una situazione diversa, non farebbe caso a
tutti quei dettagli, o non si sentirebbe così inquietato da
essi. Ma ora che è lì, a Jude sembra quasi che si
stia
per decidere il suo destino.
«Questo dovrebbe dirmelo lei, in
realtà.»
L’uomo spegne un grosso sigaro in un posacenere vitreo di
fronte
a sé, premendo attentamente la testa che ha acceso
–
chissà perché, di colpo, Jude si sente come
quella
bacchetta di tabacco: a testa in giù, spremuto per il capo.
«Mi sono giunte alle orecchie delle voci secondo cui lei e il
professor Dark stareste intrattenendo una relazione.»
Panico.
L’aria si blocca nella gola di Jude, e per poco il ragazzo
non finisce per strozzarsi.
Accanto a lui, Ray smette di respirare, per un momento fin troppo lungo.
«N-non c-credo di aver capito…» Jude
sente mormorare da suo padre, con tono incredulo.
«È una menzogna» risponde Jude, in tono
perentorio,
forse fin troppo. Perché fa così male dirlo?
«Non
ha prove di questo.»
«Vero» il preside agita una mano a
mezz’aria,
scacciando via un alone di fumo del suo sigaro, senza curarsene troppo.
«Ma ho preferito accertarmene di persona. Sapete, sarebbe
stato
uno scandalo immane se fosse stato vero. Uno studente che ha una
relazione con il suo insegnante… non avrebbe certo giovato
alla
rinomata reputazione del nostro istituto.»
Un freddo cieco investe Jude, tormentandolo fin nelle ossa. Ray ha il
capo chino, e da quando quel colloquio ha avuto inizio non ha aperto
bocca.
Di colpo Jude si rende conto di quanto sta accadendo: può
negare
fino alla morte la loro relazione, non è quello il punto
della
questione. Quella convocazione in realtà non è
che una
farsa, una dimostrazione di potere. Posso distruggervi, se voglio, ma
lascerò che siate voi stessi a farlo.
Dopo le parole di Ray, Jude aveva compreso di avere a che fare con un
individuo senza scrupoli, eppure non era riuscito ad immaginare una
vendetta così subdola.
«Preside Rice…» fa per richiamarlo il
signor Sharp, confuso.
«Pertanto» l’uomo fa roteare appena la
sedia su cui è seduto – sta dondolando le gambe?
È felice?
–, gli occhi crudeli che non si schiodano da quelli di Jude.
Ha
completamente ignorato suo padre, si rende conto il ragazzo.
«L’unica cosa che posso augurarmi è che
certe brutte
voci non si diffondano più. Ovviamente… questo
significa
che il vostro dovrà limitarsi ad essere un normale rapporto
tra
studente e insegnante, come d’altronde è
sempre stato, dico bene?»
Prima di rispondere, Jude lancia uno sguardo a Ray. Nei suoi occhi
c’è una scintilla di terrore, oltre ad una nota
vittimista
che Jude non riesce a sopportare.
“ Perdonami…”
«Certo, signor preside.»
Il preside apre la porta del suo studio, congedandoli. Suo padre si
avvia subito verso le scale, e Jude fa per seguirlo.
Non ha salutato il preside, troppo ripugnato per farlo, limitandosi a
chinare il capo e ad allontanarsi. Ha ricevuto il più grande
pugno nello stomaco della sua esistenza, e al momento vorrebbe solo
poter dimenticare quanto appena successo.
«Jude, aspetta.»
Il ragazzo si arresta sul posto, affranto. Cosa c’è
ancora, Ray? Cos’altro hai da dirmi? Non vedi che tutti i
nostri sogni sono appena stati infranti?
Jude solleva lo sguardo, e si rende conto che deve avere
un’espressione stravolta, in quel momento, perché
Ray lo
fissa negli occhi e sembra rimanere ferito. O forse
c’è
dell’altro, ma adesso Jude è troppo affranto per
provare a
domandarsi di che cosa si tratti.
«Che vuoi?» domanda, con un tono che suona
più scontroso del dovuto.
Ray fa per parlare, ma il modo in cui Jude gli si è rivolto
lo
fa tentennare. D’un tratto sono tornati indietro di mesi,
quando
sul tetto il ragazzo gli aveva detto di non cercarlo più.
Il professor Dark si volta indietro. Alle sue spalle, dalla dirigenza,
il preside li sta ancora fissando. L’uomo lascia loro un
ultimo
sogghigno, per poi tornarsene nel suo studio, chiudendo la porta.
Ray torna ad osservare Jude, un lieve sorriso di sollievo che gli
compare sul volto. Cerca allora di afferrare il polso del ragazzo, ma
Jude si ritrae dalla presa.
«Ascolta…» Ray sospira pesantemente,
mentre smette
di sorridere. Le parole che sta per pronunciare pesano come macigni, e
sa già che feriranno entrambi. «Allo stato attuale
delle
cose, continuare sarebbe un suicidio. Non voglio metterti in
difficoltà, rischieresti di rovinarti la carriera
scolastica, o
peggio…»
Jude scuote la testa. Non riesce a capire sinceramente dove voglia
andare a parare.
«Ray, che cosa…»
«Forse è meglio se la finiamo qui, Jude.»
Crack.
Un milione di vetri infranti.
Fili invisibili che si spezzano, rendendolo di colpo incapace di stare
in piedi.
Jude non cade, eppure sente di star precipitando, una caduta infinita
nel vuoto, terribile vertigine che precede un impatto devastante.
Ghiaccio che s’infrange, e colpisce la sua pelle sotto forma
di schegge, ferendolo mortalmente.
Era così che si era sentito Ray, mesi prima, quando aveva
tagliato tutti i ponti con lui?
E allora perché adesso stava facendo la stessa cosa, se
sapeva quanto facesse male?
«Continuerò ad essere il tuo insegnante»
continua,
come se non avesse appena visto quell’esile figura spezzarsi,
andare in frantumi, distruggersi. «Ma frequentarci al di
fuori di
qui… è impossibile. Se davvero
c’è qualcuno,
qualcuno che sa,
allora non possiamo rischiare di rovinare tutto. Perché deve esserci
qualcuno, Jude, altrimenti tutto ciò non avrebbe alcun
senso…»
« Sei stato tu.»
Le parole di Jude sono un sussurro così flebile che, per un
momento, Ray crede di averle sognate.
«Jude, come puoi pensare una cosa del genere? Credi davvero
che
avrei potuto dirgli della nostra…» fa per
ribattere Ray,
ma Jude lo interrompe di nuovo.
«Sei stato tu a rovinare tutto, Ray»
L’uomo apre la bocca, come a voler dire qualcosa, ma Jude non
gliene dà la possibilità.
Il ragazzo, infatti, è già scattato in direzione
delle scale, incapace di trattenere oltre le lacrime.
「 Broadway,
Boston, 6th November
h. 04:36 p.m.」
Caleb flette pigramente la testa in avanti, per poi sospingerla
all’indietro, facendo pressione sulle spalle. Le lezioni sono
finite già da diversi minuti, eppure nessuno dei suoi amici
l’ha ancora raggiunto all’esterno
dell’edificio.
Strano… da
quando in qua quei
tre si facevano pregare per non fuggire a gambe levate da scuola, una
volta che la giornata era giunta al termine?
L’unico che sarebbe potuto essere stato giustificato, da quel
punto di vista, era Jude. Eppure anche lui, ultimamente, aveva
cominciato a comportarsi in maniera insolita. Già, Caleb non
se
l’era ancora tolto dalla testa. Avrebbe dovuto farlo, in
realtà: non sembrava esserci nessun pericolo imminente,
inoltre
probabilmente, se avesse continuato ad essere così
diffidente,
Camelia gli avrebbe fatto l’ennesima ramanzina.
C’era
qualcosa, tuttavia, in tutta quella vicenda, che continuava a
tormentare Caleb, a dirgli che diversi aspetti non quadravano, senza
lasciarlo in pace.
«Caleb!»
Dei passi affrettati lo strappano violentemente dalle sue riflessioni.
Ha già riconosciuto la voce, per cui non prova nessuna
sorpresa
quando, voltandosi, incontra lo sguardo color ruggine di David, che gli
corre incontro, Joe al suo fianco.
Anche qui, però, qualcosa non torna, nella mente del
ragazzo: perché sono solo loro due? Che fine ha fatto Jude?
Quando lui e Joe raggiungono finalmente Caleb e possono così
smettere di correre, David si piega su se stesso, poggiando le mani
sulle ginocchia mentre cerca affannosamente di riprendere fiato.
«Siete in ritardo» fa notare loro seccamente il
ragazzo dagli occhi verde petrolio.
«Scusa…» risponde David, il respiro che
ancora
incespica. «Abbiamo fatto il giro di tutta la scuola,
correndo
come disperati… è da stamattina che non vedevamo
più Jude, eravamo preoccupati…»
Caleb inarca un sopracciglio. Effettivamente, adesso che ci riflette,
neppure lui vede Jude da ore. Ricorda di averlo incrociato quella
mattina, all’ingresso, solo che quel giorno avevano tutti
corsi
diversi, per cui era stato impossibile incontrarlo a lezione. A pranzo,
nella sala della mensa, i ragazzi si erano riuniti al solito tavolo,
tuttavia Jude non li aveva raggiunti. Nessuno dei tre ci aveva dato
troppo peso, dopotutto non era la prima volta che succedeva: a volte
Jude passava l’ora del pranzo con Dark, e nessuno gliene
aveva
mai fatto una colpa. Certo, ultimamente le interazioni tra i due si
erano ridotte praticamente a zero, perlomeno a scuola, tuttavia nessuno
di loro poteva sapere se avessero qualcosa da dirsi o meno. Le
questioni private di quei due non erano affar loro, dopotutto, no?
«Beh, magari è con…» fa per
dire Caleb.
«Ray?» lo interrompe David. «No, non
aveva lezioni
dopo la pausa pranzo. Comunque, Caleb, c’è
qualcosa che
non va… prima, in corridoio, ho incontrato una ragazza che
oggi
era al corso di matematica con lui. Mi ha detto che
all’inizio
Jude era con loro, poi, quando il professore li ha raggiunti,
è
scomparso. Infine, una ventina di minuti dopo, è tornato in
classe, ha preso lo zaino e se ne è andato. A quanto pare si
vocifera che sia venuto a prenderlo suo padre…»
La testa di Caleb tentenna. Il governatore Sharp era un uomo
profondamente impegnato, difficilmente si sarebbe mosso spontaneamente
per il figlio. Se l’aveva fatto, significava che doveva star
succedendo qualcosa di grosso.
«Non è tutto.» David riprende, e subito
l’attenzione di Caleb torna a puntarsi su di lui.
«La
ragazza con cui ho parlato mi ha detto anche che, quando è
tornato in classe, Jude pareva essere piuttosto sconvolto. Ha parlato a
malapena, e sembrava che avesse… pianto… Caleb,
che cosa
sta succedendo?»
L’ex capo della banda sospira sonoramente. La situazione in
cui si trovavano non appariva affatto facile.
«Non lo so, ragazzi» ammette infine, infilando
nervosamente
le mani nelle tasche dei suoi jeans laceri. «Ma ho come
l’impressione che stia succedendo qualcosa di molto
brutto…»
Caleb si ferma di colpo. Forse vorrebbe aggiungere
dell’altro,
forse no, fatto sta che di colpo ogni parola diventa priva
d’importanza.
Dall’altra parte della strada, una chioma violetta sfila
lungo la
strada, rapida come un soffio di vento, quasi non volesse farsi notare
da nessuno.
Caleb la osserva, e stenta a credere ai suoi occhi.
Un basco color sabbia le cade dolcemente sulla nuca, mantenendo
tuttavia una certa rigidità, una mano, all’altezza
del
petto, tiene stretta una giacca nera. La borsa di cuoio scuro le
rimbalza ritmicamente contro il fianco destro, mentre passi veloci si
susseguono uno dietro l’altro.
Per un momento teme di aver visto un fantasma, e quella pelle
così pallida gli sembra una conferma.
Erano giorni che nessuno la vedeva più, a scuola. Aveva
provato
a chiedere in giro, ma nessuno sembrava saperne nulla. Aveva ipotizzato
che stesse male, quando però aveva cercato di chiamarla non
gli
aveva mai risposto.
Era una situazione strana, e avrebbe voluto poterne parlare con
qualcuno, ma non l’aveva fatto, sia perché non ne
aveva
avuto il tempo materiale, sia perché di recente Jude,
l’unico con cui si sarebbe potuto confidare in merito,
sembrava
essere più impegnato ad evitare Dark per i corridoi che a
curarsi di qualsiasi altra cosa.
«Camelia…» mormora, come
ipnotizzato.
Caleb sembra accorgersi che lui e i ragazzi sono rimasti in piedi per
tutto quel tempo davanti all’ingresso della scuola, senza
muoversi. Adesso, invece, una forza sconosciuta pare spingerlo via da
lì.
Il ragazzo ignora le voci degli amici che lo richiamano e si getta nel
mare di persone che ancora affollano il cortile
dell’istituto,
pronto a seguire la ragazza.
L’unica cosa che conta per lui è Camelia, adesso.
「 Cambridge,
Boston, 6th November
h. 04:36 p.m.」
L’aveva
seguita, restando sempre qualche passo indietro, attento a non farsi
vedere.
In realtà non aveva idea del perché facesse
così
attenzione affinché non lo scoprisse; se Camelia si fosse
accorta che la stava pedinando di nascosto, probabilmente sarebbe
andata su tutte le furie. Caleb temeva tuttavia che, se si fosse
rivelato a lei, la ragazza non gli avrebbe mai detto la
verità
sulla sua destinazione, eludendo a tutti i costi ogni domanda in merito.
Non capiva perché di colpo fosse diventata così
misteriosa, e in un certo senso Caleb temeva quella situazione. Non
sopportava quando qualcuno non gli diceva tutta la verità, e
di
recente sia Jude che Camelia erano diventati fin troppo sospetti per i
suoi gusti. Caleb ricordava ancora fin troppo bene le facce delle
persone attorno a lui quando i suoi genitori erano morti: lo fissavano
con quegli sguardi colmi di compassione unita a falsa pietà,
ed
erano così disgustosi che non era riuscito a sopportarli in
alcun modo. Sentiva che gli nascondevano qualcosa, come se la
verità fosse troppo dolorosa da sopportare per lui. Caleb
non
aveva mai richiesto alcun tipo di trattamento di favore,
perché
d’altronde sapeva che prima o poi avrebbe pur dovuto
affrontare
la verità. Anche se era ancora un bambino, non avrebbe avuto
senso addolcire la pillola.
Da quel momento, aveva iniziato a detestare tutte le persone che
sentiva gli stessero nascondendo qualcosa.
E occuparsene di due contemporaneamente, specie se sono la tua ragazza
e il tuo migliore amico, non è affatto facile.
Camelia aveva raggiunto la fermata della metro di Harvard,
dopodiché aveva iniziato a scendere giù per i
gradini con
lena, il passo leggero e aggraziato come al solito. Caleb si era calato
il cappuccio grigio sul capo, così da non farsi riconoscere,
per
poi seguire la ragazza anche sottoterra.
Per fortuna era l’orario di punta, il che significava che,
nella
calca di studenti appena usciti da scuola, difficilmente Camelia si
sarebbe accorta di lui. Il fatto che ci fosse così tanta
gente,
tuttavia, implicava che andar dietro ad una persona, per di
più
senza che questa se ne accorgesse, fosse ancora più
difficile.
Non che fosse entusiasta di nascondere qualcosa alla sua ragazza. Ma
era stata Camelia la prima a farlo, no? In ogni caso, continuava a
sperare che lei non si accorgesse di nulla, perché
spiegargli
cosa ci facesse lì sarebbe stato complicato, e rinfacciarle
che
lei non gli aveva detto a sua volta delle cose non era
un’opzione
possibile – era fin troppo vile.
Caleb detestava chi gli nascondeva qualcosa, ma ancora di
più
non sopportava quando era lui a non dire tutta la verità.
Sentiva tuttavia che, sotto a quella vicenda, si celava qualcosa di
serio. Se lo faceva a fin di bene, e se scoprire quella
verità
lo avrebbe aiutato veramente a risolvere qualcosa, seguirla di nascosto
non sarebbe stato poi così spregevole, giusto?
Camelia era salita su uno dei vagoni della red line.
Era rimasta in piedi, gettando di tanto in tanto qualche sguardo
furtivo intorno a sé. Caleb, invece, si era seduto,
lasciandosi
il cappuccio a coprirgli il volto. Lo scorso anno aveva trascorso la
maggior parte del suo tempo a sfuggire alla polizia, e ormai aveva
imparato qualche trucchetto per riuscire a farla franca. Ad ogni modo,
le occhiate guardinghe di Camelia continuavano a sembrargli strane,
come se la ragazza avesse paura che qualcuno potesse seguirla, solo
che… perché avrebbe dovuto averne?
Tre fermate dopo, all’altezza di Charles, Camelia era scesa.
Caleb non riusciva a capire dove stesse andando: non gli risultava che
frequentasse quella zona, e aveva iniziato ad innalzare grandi e
improbabili scenari nella sua mente. Che lo tradisse…?
Era un pensiero così sciocco che si distrusse nella sua
mente
nel momento stesso in cui si era formato: nessuno al mondo lo amava
più di Camelia. Era rimasta al suo fianco anche quando, nel
corso dell’ultimo anno, si era ritrovato a prendere delle
decisioni che la ragazza aveva disapprovato, e non l’aveva
lasciato neppure quando lo avevano arrestato. Non riusciva ad
immaginare qualcuno che potesse tenere a lui più di quella
ragazza, ed era certo che i suoi sentimenti fossero sinceri e
disinteressati. Non gli avrebbe mai mentito, non su questo, ecco
perché era sicuro che non ci fosse qualcun altro. In caso
contrario, Camelia era una persona così onesta che Caleb non
stentava a dubitare che sarebbe stata lei stessa a dirgli se ci fosse
stato qualcosa che non andasse. Eppure gli pareva evidente che stesse
nascondendo qualcosa, altrimenti non avrebbe avuto motivo di
comportarsi in quel modo. Solo che, di cosa si trattasse, Caleb non ne
aveva proprio idea.
Camelia riemerge all’aria aperta, i tunnel caldi, affollati e
maleodoranti della metropolitana d’improvviso sembrano essere
un
lontano ricordo. La ragazza inizia a destreggiarsi tra ampi viali, e
Caleb fatica a starle dietro, sia perché quella zona gli
è così poco familiare e sia perché
centinaia di
persone affollano i marciapiedi.
Nel frattempo, Caleb cerca di fare mente locale, ricordando a se stesso
cosa ci sia in quel quartiere: Cambridge è, da sempre, il
quartiere universitario, frequentato da studenti e professori, pieno di
caffetterie perfette in cui rifugiarsi per studiare. L’odore
intenso di cappuccino invade le strade, mentre si alterna ad alcune
librerie dalle pittoresche insegne in legno e agli onnipresenti
grattacieli.
Forse Camelia è lì per incontrare una sua amica,
eppure
tutto ciò continua a sembrare piuttosto strano agli occhi di
Caleb: Cambridge non è esattamente vicina alla loro scuola
– e neppure a casa di Camelia, visto che non gli risulta che
la
ragazza si sia presentata alle lezioni, quel giorno; che motivo avrebbe
dunque di andare così lontano per incontrarsi con delle
amiche?
Un’ultima svolta, e Caleb s’immobilizza sul posto,
come pietrificato.
Una struttura dalle innumerevoli vetrate si erge davanti a lui.
È piuttosto imponente, e finisce per incutere in Caleb un
certo
timore reverenziale.
Non era mai entrato là dentro – grazie al cielo
–, tuttavia sapeva perfettamente di che luogo si trattasse.
Il Massachusetts General Hospital.
Che motivo aveva Camelia di recarsi in quel luogo? D’accordo,
di
recente si era assentata da scuola, il che poteva significare che non
stesse bene, ma ciò implicava che si trattasse
necessariamente
di qualcosa di grave…? Camelia… Camelia
gliel’avrebbe detto, qualora fosse stato così,
no…?
Si erano sempre detti tutto, loro due…
Caleb sembra risvegliarsi solo in quel momento da quel torpore che
l’ha colto d’improvviso, e realizza con sgomento
che, in
quei pochi attimi di distrazione, ha completamente perso di vista
Camelia. Il ragazzo si getta in avanti con uno scatto fulmineo, alla
ricerca della giovane.
L’interno è di un bianco asettico, abbagliante, e
per un
momento Caleb è costretto a chiudere gli occhi: il passaggio
dal
grigiore della città a quel candore è stato fin
troppo
repentino, e adesso piccoli puntini neri danzano sotto il riparo sicuro
delle sue palpebre. Il ragazzo si scosta lentamente dal volto il
braccio che aveva avvicinato per proteggere la vista e, riaprendo
lentamente gli occhi, si accorge delle occhiate diffidenti che quasi
tutti i presenti gli stanno lanciando, a cominciare dagli infermieri
dell’accettazione fino ai vari pazienti.
Non che a Caleb importi poi molto di quella gente, di cui non conosce
né il nome né il volto. C’è
solo un motivo
per cui si trova lì, e non ha intenzione di lasciarsi
distrarre
da niente o nessuno.
Il ragazzo scatta in direzione delle scale, correndo letteralmente su
per i gradini. Di tanto in tanto incontra qualche medico o infermiera
che lo guardano in maniera stranita, o che gli urlano dietro di andare
più piano, ma Caleb sembra essere del tutto sordo alle loro
parole.
Il ragazzo ispeziona ogni reparto minuziosamente, e man mano che va
avanti una profonda inquietudine continua a crescere dentro di lui.
Dov’è Camelia? Che cos’ha?
Perché si trova
lì? Sta molto male? Per quale motivo non gli ha detto niente
di
tutto ciò…?
Caleb apre la porta della stanza successiva quasi per sbaglio. Non ha
letto neppure il cartello sulla porta, talmente forte è
l’apprensione che sente adesso star divorandogli il cuore.
Ciò che si ritrova davanti agli occhi, tuttavia, lo
sconvolge
profondamente.
Ci sono una serie di lettini, bianchi, asettici, lo schienale inclinato
in verticale. Caleb sente di star odiando tutto quel bianco, ed
è quasi sollevato dal fatto che le pareti della stanza siano
tinteggiate di un blu intenso, un turchese scuro. È una
tinta
calma, rassicurante quasi, e per un momento Caleb sente i suoi sensi
rilassarsi, come se non ci fosse più alcun motivo per
restare
ancora all’erta.
Poi, però, i suoi occhi si soffermano sui sostegni, bianchi
anch’essi – maledetti –, ai lati dei
letti. Sono
formati di modo che, in alto, ci sia una parte incurvata,
utile
per contenere un oggetto. Ed effettivamente ogni asta ha la sua
insenatura e, all’interno di essa, è contenuto una
sorta
di flacone di vetro, ricolmo di un inconsistente liquido trasparente.
Illudersi che contenga acqua è inutile.
Dall’estremità inferiore della boccia vitrea
pendono
alcuni tubicini di plastica. All’interno della stanza ci sono
almeno quattro di essi, e Caleb nota che quei piccoli tubi sono posti
di modo che la loro parte finale, costituita da un ago a farfalla, sia
infilato endovena ai pazienti.
C’è ancora un altro dettaglio, tuttavia, che
contribuisce
a turbare maggiormente Caleb. Buona parte dei pazienti, infatti, ha
perso tutti i capelli, o gliene sono rimasti pochi, a ciuffi radi sulla
nuca.
E poi, il colpo di grazia.
Camelia, in fondo alla stanza; si toglie la giacca, e
un’infermiera cortese gliela prende, per poi poggiarla su una
sedia poco distante. La ragazza si siede su uno dei lettini, per poi
cominciare a sollevare una delle maniche della sua maglietta.
L’infermiera si avvicina di nuovo, tenendo tra le mani
l’ago della flebo.
Le parole chemioterapia
e tumore
rimbombano forte nella mente di Caleb, sebbene tutto intorno a lui ci
sia un silenzio assordante e quasi innaturale.
Il ragazzo osserva ancora la sua fidanzata. È
incredibilmente
pallida, e cupe occhiaie violacee fanno capolino da sotto i suoi occhi.
Camelia è sempre stata una ragazza fragile, almeno
all’apparenza, ma dotata di una grande forza
d’animo e
bontà. Ora, invece, seduta su quel lettino, con la flebo
nella
vena, di colpo Caleb la trova vulnerabile come mai gli è
apparsa, ed è una consapevolezza così dolorosa
che
d’un tratto gli sembra di avvertire una fitta al petto.
Caleb indietreggia, e quasi gli pare di aver perso la
capacità
di stare in piedi. Barcolla piano, finendo per urtare un carrello pieno
di strumenti medici alle sue spalle. Prima che qualcuno possa
rimproverarlo, e che Camelia possa notare la sua presenza
all’interno della stanza, il ragazzo schizza via, la porta
che
sbatte piano alle sue spalle.
Camelia si volta, incuriosita dal rumore, ma ormai non
c’è più nessuna persona di cui
incontrare lo sguardo.
Caleb corre di nuovo lungo i corridoi, e ancora una volta non ascolta
minimamente i dottori che gli intimano di procedere più
lentamente.
Si sente un vigliacco, a fuggire in quel modo, sa tuttavia di essere
completamente disarmato in quella situazione.
Angolo
autrice
Oh. Il
capitolo delle sofferenze.
Ve la ricordate la relativa calma dei capitoli precedenti? Ecco,
dimenticatevela.
Ah, penso siano passati due anni –
forse meno okay –
da quando ho scritto questa parte. Ricordo la sofferenza nello
scriverla, e ancora oggi rileggerla è un colpo al cuore.
Partiamo dalla fine. La malattia di Camelia. Sì,
è questa la cosa
che
mi ero dimenticata di mettere in DN, il pretesto che mi ha dato modo di
scrivere una nuova long che si è rivelata essere
più
lunga della precedente. Più passa il tempo e più
mi
chiedo dove avrei dovuto inserire questo snodo di trama nell'altra
storia, e sinceramente non riesco a darmi una risposta.
Ovviamente è tutto fuorché un dettaglio buttato
là
a caso. La vicenda di Camelia avrà una rilevanza
preponderante
all'interno della storia. Ricordo come se fosse ieri tutte le ricerche
che ho fatto prima di trattare quest'argomento. Non mi piace essere
inaccurata, e il terrore di aver scritto qualcosa di sbagliato mi
attanaglia ancora oggi.
Ad ogni modo. Nei prossimi capitoli approfondiremo meglio questo
aspetto, e siccome non voglio togliervi la curiosità
è tempo di
andare avanti!
Di male in peggio. Forse qualcuno di voi starà
festeggiando. Io, sinceramente, no.
No, questa serie non è tale se Jude e Ray non vengono
separati a
un certo punto della storia. Non so chi ricordi quello che era successo
in DN –
o perlomeno se qualcuno qui abbia letto quella storia –
ma a un certo punto *SPOILER
ALERT* Jude
lasciava Ray perché, secondo Caleb, continuare a seguire le
lezioni era incompatibile con la loro vita da teppisti. Jude si recava
così per un'ultima volta alla Cambridge, ma solo per
comunicare
a Ray la sua intenzione di lasciare gli studi in
realtà nella storia gli consegnava il modulo di rinuncia
agli
studi, ma visto che ho poi scoperto che questo può essere
firmato solo da studenti maggiorenni e Jude lì non lo era
ancora
facciamo finta che le cose siano andate in maniera diversa, shh.
In seguito all'arresto di Caleb, tuttavia, Jude è disperato,
e
solo grazie a Ray, che lo incontra casualmente su un vecchio ponte di
metallo prima che il ragazzo possa compiere una sciocchezza, la
situazione si risolve, perché Ray salva Jude e, in seguito,
sarà proprio il professor Dark a pagare la cauzione per
la scarcerazione di Caleb, anche se gli unici due a conoscenza
della cosa rimarranno sempre e solo Jude e Ray, per volontà
di
quest'ultimo.
In questo caso, invece, a determinare la separazione dei due amanti
è il nuovo e pericoloso preside della Cambridge che, senza
troppe sorprese a dir la verità, si rivela essere Zoolan.
Forse
i due avrebbero potuto continuare a vedersi, in qualche modo, ma il
rischio era troppo alto: essendo stati esposti così, un
altro
passo falso avrebbe comportato senza tante esitazioni il licenziamento
per Ray e, in maniera molto probabile, la preclusione a tutte le
università più prestigiose del paese per Jude. E,
per
quanto a mio avviso Ray sarebbe quasi stato contento di allontanarsi da
quella scuola e dal suo passato meno
da Jude, e probabilmente è per questo motivo se non si
è
dimesso fino a questo momento, oltre al fatto che avrebbe dovuto
trovare prima un altro impiego [non che sarebbe stato difficile, per
lui, ma okay, di questo ne riparleremo in seguito –
forse],
mettere nei guai Jude è l'ultimo dei suoi desideri.
Chiaramente,
lo stesso discorso vale anche a parti inverse per Jude. E come si
risolve tutto ciò? Probabilmente nel modo peggiore che
avrebbero
potuto auspicarsi: per quanto qualcuno di loro –
ossia Jude –
continui a negarlo a se stesso, l'unica soluzione che hanno al momento
è troncare i rapporti. Ray in questo momento è
quello
meno sconvolto tra i due –
intendiamoci, sta soffrendo anche lui, così come va detto
che
anche il comportamento di Jude è da elogiare, visto che
nonostante il modo in cui Zoolan li ha messi in difficoltà
è stato l'unico a non perdere il sangue freddo sul momento,
a
differenza di Ray anche
se si sono comunque ritrovati fregati ma vbb –
e riesce a trovare la lucidità sufficiente per comunicare a
Jude
l'interruzione della loro relazione. Sinceramente non riesco a
biasimare la successiva reazione di Jude, è sconvolto,
stanno
succedendo troppe cose insieme, gli sta letteralmente crollando il
mondo addosso. In effetti è
come se si fossero invertite le parti rispetto all'anno precedente.
E adesso? Eheh... ovviamente non posso dirvi niente. Stiamo per entrare
in un tunnel fitto di eventi, che ci terrà impegnati per
diverse
settimane. Cosa succederà? Eh, chi lo sa... ma siamo solo
all'inizio della storia, sappiatelo.
Ed
è apparso il
quartiere di Cambridge, ohoh. Ho passato la scorsa storia ad inserirlo
continuamente in maniera scorretta e adesso finalmente compare
sensatamente.
Queste lunghe note per un lungo capitolo si chiudono qui. Ci vediamo
tra gieci giorni per il prossimo aggiornamento.
Aria
|
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Capitolo 5 *** Hopes and dead-end streets ***
「 Baby we
both know
That the nights were
mainly made for saying things
that you can’t
say tomorrow day. 」
Artic Monkeys — Do I Wanna Know
「 Brookline,
Boston, 20th November
h. 05:21 p.m. 」
Silenzio. Tutto intorno a lui c’è silenzio, e non
riesce ad immaginare niente di più piacevole.
Le imposte sono serrate, così che la luce non possa entrare;
per una sicurezza in più, inoltre, le tende sono state
tirate.
Jude sente di non aver mai detestato tanto la luce come in
quell’ultimo periodo.
D’altronde, di recente gli sembra che neppure più
il sole abbia senso: sente sempre quel freddo che lo divora da dentro,
gli martella le ossa, e per quanto possa ostinarsi ad avvolgersi in un
vecchio plaid non vuole saperne di abbandonarlo.
Jude strofina appena una guancia contro il cuscino morbido di piume; il
suo letto ha lenzuola di raso vellutato, di un color oro impolverato.
Tutto sembra più scuro nella penombra della stanza, ma deve
ammettere che non gli dispiace affatto.
Gli occhi gli bruciano dolorosamente, come se avesse fiamme vive al
loro interno, e per quanto vorrebbe poter trovare una soluzione a quel
suo stato si è ormai rassegnato all’idea di non
poterlo fare. Forse, in fin dei conti, gli va anche bene
così. Magari è una sorta di punizione divina che
gli è toccata in sorte per il suo più grande
errore: essersi illuso, credendo di potersi fidare dell’amore.
Mai leggerezza gli era costata tanto.
Il silenzio è rotto da alcuni rumori improvvisi al piano
inferiore, ma Jude non ha molta voglia di domandarsi di che cosa si
tratti.
Anzi, a dir la verità non ha voglia di chiedersi
alcunché.
Gli manca il silenzio che c’era poco fa. Era rassicurante, in
un certo senso: c’è stato per giorni, da quando si
è rinchiuso in camera sua, uscendo solo di notte, per andare
in bagno e bere un po’ d’acqua. Non avrebbe voluto
farlo, a dir la verità, e lasciarsi semplicemente morire, ma
forse aveva paura che potessero incolpare suo padre di averlo costretto
a farlo.
Non era vero, ovviamente. Dopo la convocazione in presidenza il signor
Sharp aveva preteso che lo seguisse a casa, e Jude era stato ben lieto
di accontentarlo. Non si erano parlati, né lungo il tragitto
verso la villa, né una volta arrivati. Jude s’era
subito rinchiuso in camera sua, la porta serrata a chiave, ma era certo
che, anche se non l’avesse fatto, non ci sarebbe stato
comunque nulla che avrebbero dovuto dirsi: era già tutto
così fin troppo palese, continuare con quella pantomima non
avrebbe giovato a nessuno.
Per quanto s’impegnasse per non mangiare, alla fine cedeva
sempre. Quando si alzava in piedi era così debole che gli
tremavano le gambe, quindi si rifugiava in cucina, seduto a terra
dietro l’isola che dominava la stanza, nel cuore della notte
a sgranocchiare barrette energetiche. Era certo che i domestici si
fossero accorti di quello che stava combinando, ma se era fortunato
avrebbe potuto contare sul loro appoggio ancora per un po’.
Come se fosse mai stato fortunato, in vita sua.
Dal piano di sotto i rumori non accennano a diminuire. Adesso passi
affrettati sembrano star salendo su per le scale, mentre voci accese
animano un diverbio.
«Dove credete di andare? Questa è casa
mia!»
Voce austera, tono imperioso. Suo padre, senza ombra di dubbio.
Nonostante i suoi modi autoritari, tuttavia, i passi continuano a
rincorrersi. Probabilmente adesso devono star percorrendo il corridoio,
valuta in fretta Jude.
La porta della sua stanza si apre di scatto. Jude ha un lieve sobbalzo,
mentre si rende conto di averla lasciata aperta per distrazione durante
la sua ultima spedizione notturna. Ora che ci pensa, è da
più di una settimana che non ha interazioni con alcun essere
umano. I primi giorni si è sforzato di andare a scuola,
tuttavia seguire le lezioni di letteratura e ritrovarsi davanti quello
che, fino a poco prima, era il suo fidanzato e che di colpo era
diventato un estraneo era fin troppo doloroso. Non riusciva a
capacitarsi che l’avesse lasciato: fino a qualche giorno
prima erano lì, nel buio di una camera da letto, a
scambiarsi baci intensi, e adesso non erano che due sconosciuti. Ray
lasciava cadere il foglio di una verifica in cui aveva preso D
– il voto più basso che avesse mai preso in
letteratura, a sua memoria – sul suo banco, con aria
completamente casuale, senza nemmeno guardarlo; Jude che, una volta
suonata la fine dell’ora, era il primo a schizzare fuori
dall’aula, recuperando distrattamente la cartella e sfilando
a gran velocità davanti alla cattedra, senza fermarsi.
I loro occhi non s’incontravano più, nemmeno per
sbaglio, e faceva male, troppo male. Non parlarsi lo logorava,
ignorarsi gli veniva innaturale. Durante le lezioni era distratto, e
finiva sempre per guardare fuori la finestra, perdendosi in pensieri
che lo ferivano fin nell’anima.
Era per questo che, nell’ultima settimana, aveva deciso di
non uscire più di casa. Suo padre aveva provato ad imporsi,
a costringerlo ad andare a scuola, ma non c’era stato verso
di farlo uscire da lì.
«È casa sua? E a noi che importa?»
domanda una voce sfrontata, che Jude conosce fin troppo bene.
Il signor Sharp fa per ribattere, ma la porta viene richiusa di colpo.
Caleb avanza senza esitazioni attraverso la stanza, nessuno che cerchi
di ostacolare il suo cammino. David, invece, corre ad inginocchiarsi ai
piedi del suo letto.
«Jude!» il ragazzo con i capelli turchini lo chiama
con voce apprensiva. «Sono giorni che non ti vedevamo
più a scuola, eravamo preoccupati…»
Caleb apre la finestra, spingendo le imposte verso l’esterno.
Un fascio di luce intensa e grigiastra irrompe nella stanza, insieme ad
una folata di vento gelido. Jude si copre il volto con un lembo del
plaid, proteggendosi da quella luce. C’è…
c’è troppa luce…
«Non c’è… bisogno che vi
preoccupiate» mormora, e si rende conto in quel momento che
ha appena pronunciato le sue prime parole dopo aver passato un bel
po’ di tempo in silenzio. Si pente di averlo fatto nel
momento esatto in cui la sua bocca inizia a muoversi, ma ormai
è troppo tardi. La sua voce, inoltre, è suonata
incredibilmente incerta, e Jude se ne vergogna infinitamente.
«Sì, invece!» insiste David. Joe si
siede in fondo al letto, mentre Caleb continua ad osservare il
paesaggio fuori dalla finestra. «Sei nostro amico,
è normale che ci preoccupiamo per te.»
Jude si stringe maggiormente la coperta attorno al corpo; non riesce
proprio a smettere di sentire freddo. Non sa bene cosa dire ai ragazzi:
non vuole che si preoccupino per lui, né che cerchino di
sollevarlo da quella sua misera condizione.
«Si può sapere cos’è
successo?» si azzarda a domandare Joe, temerariamente.
Un silenzio gelido cala nella stanza; Jude non crede di avere la forza
necessaria per poter pronunciare quelle parole. Quel silenzio che si
è di nuovo venuto a formare, inoltre, gli piace da morire,
vorrebbe potersi cullare al suo interno all’infinito.
Quando parla non si accorge di star facendolo. La voce gli risale lungo
la gola, senza che abbia la possibilità di controllarla, di
fermarla. Le parole che pronuncia fanno male, soprattutto
perché è la prima volta che lo ammette davanti a
qualcun altro.
«Ray mi ha lasciato» confessa, e sente una parte di
sé morire definitivamente.
L’espressione di sconcerto che vede comparire sul volto di
David è la stessa che si forma su quelli di Joe e Caleb.
Tutto si sarebbero aspettati nella vita, tranne che assistere alla
rottura del rapporto tra quei due. Erano una coppia strana, ma tutto
sommato funzionante. Che motivo avevano di lasciarsi…?
«Jude…» David lo osserva con gli occhi
pieni di tristezza, e Jude riconosce sincerità
nell’emozione del ragazzo. Nessuno, tra loro, aveva mai
voluto del male né a lui né a Ray, anzi, in un
certo senso si erano affezionati ad entrambi, e adesso sapere che la
loro relazione era finita così improvvisamente lasciava
spiazzati tutti quanti.
Non c’erano i presupposti per una fine così
improvvisa, lo sapevano tutti, e forse era proprio questo a
sconvolgerli tanto.
Da sopra il plaid, Joe stringe appena il polpaccio di Jude –
gli sembra così debole che ha quasi paura di metterci troppa
forza –, in un lieve gesto di incoraggiamento. «Mi
dispiace…» mormora, sinceramente coinvolto.
«Questo non è il Jude che conosco.»
Tre teste si muovono, nel medesimo istante, in direzione della finestra.
«Raramente ti ho visto abbatterti per qualcosa» gli
fa notare l’ex capo della banda «specialmente per
una situazione del genere.»
In un primo momento Jude apre la bocca e fa per ribattere, ben presto
tuttavia si trova a dover abbandonare quel progetto. La
verità è che Caleb ha ragione: caratterialmente,
è sempre stato incline ad accusare ogni colpo senza troppe
ripercussioni. Vorrebbe dire che questa volta è diverso, ma
già in passato gli è capitato di dover affrontare
momenti particolarmente difficili. Forse, in fondo, ha solo perso la
voglia di continuare a lottare.
C’è anche qualcos’altro, che Jude non
riesce a comprendere con precisione. La voce di Caleb sembra lontana,
assente, come se fosse rapito da pensieri tremendamente cupi. Sono
giorni che Jude ha notato che qualcosa non va nel suo migliore amico,
ma egoisticamente non si è mai premurato di chiedergli cosa
fosse ad angustiarlo. Si sente quasi in colpa per non essersi
preoccupato a dovere di lui, troppo concentrato a lasciarsi trascinare
sul fondo dai propri problemi.
Per la prima volta da quando è arrivato nella stanza, Caleb
smette di guardare fuori dalla finestra.
«Sentivo che c’era qualcosa che non
andava» commenta, e Jude non riesce a fare a meno di notare
la sfumatura di rabbia presente nella sua voce. «Eravate
troppo strani, non riuscivo a spiegarmelo… ma mi sono
ripromesso che non ti avrei più voluto vedere star male a
causa sua. Dio, se solo potessi gli metterei le mani addosso seduta
stante…»
«Non farlo» Jude sospira pesantemente, lo sguardo
basso. «Io tengo a lui, e sono convinto che ci sia una
spiegazione dietro a questo comportamento…»
Caleb aggrotta le sopracciglia.
«D’accordo» concede infatti
«ciò non toglie tuttavia che non ti permetteremo
di restartene qui a deprimerti»
Jude sbuffa, e nella sua amarezza si lascia quasi sfuggire una risata
di disperata rassegnazione.
«Ah, sì?» domanda, quasi schernendolo.
«E come avresti intenzione di fare?»
Caleb si avvicina al letto a grandi falcate. Quando se lo ritrova
davanti, Jude nota che ha uno strano ghigno sul volto.
«Una sola parola, caro mio: discoteca.»
「 Back
Bay, Boston, 20th November
h. 02:04 a.m.」
Il buio è così intenso da risultare quasi
accecante, in alcuni momenti. Le tenebre vengono dissipate solo a
tratti dai colori intensi e fluorescenti delle luci a led, che si
muovono inquieti sopra le teste dei ragazzi in pista. Danzano
ammassati, in maniera scomposta, eppure sembra che una
felicità ebbra si sia impossessata dei loro corpi, scossi da
movimenti scoordinati sopra la musica sparata a tutto volume.
Il Blue Lagoon
nel suo bicchiere da cocktail è di un azzurro intenso,
scintillante, tanto da sembrare una pozione magica. Jude muove con le
dita la cannuccia nera, facendola roteare nel bicchiere, tra piccoli
flutti di alcol.
In quel momento vorrebbe solo dimenticare ogni cosa. Più
riflette sul fatto di essersi lasciato trascinare lì e
più non riesce a comprendere come sia stato possibile. Non
ha mai amato le discoteche, e il fatto che adesso si trovasse
lì, da solo in un angolo a sorseggiare il suo drink, senza
neppure la compagnia dei suoi amici ne era l’ennesima
dimostrazione.
Già, i suoi amici. Avevano insistito tanto per farlo uscire
di casa, salvo poi abbandonarlo prontamente una volta arrivati
all’interno del locale. Probabilmente adesso stavano
ballando, chissà con chi, chissà su quale
canzone, ma in fin dei conti a Jude non importava più di
tanto. Non era mai stato l’anima della festa, ne era
consapevole, e non s’era mai dato pena per questo.
Il ragazzo si porta la cannuccia alle labbra e, non appena un sorso gli
invade la bocca, avverte un’esplosione di sapori esotici in
bocca: l’ananas si mischia al sapore dolciastro
dell’alcol e alle note aromatiche dell’arancia. Una
nebbia piacevole gli avvolge la mente, e Jude inizia a valutare che
l’unico lato positivo di aver accettato
quell’invito – sebbene sarebbe più
corretto dire che si sia lasciato trascinare passivamente lì
– sia la possibilità di dimenticare tutto
ciò che gli è successo in quell’ultimo
periodo, almeno per qualche ora. È un sollievo breve, questo
Jude lo sa, tuttavia al momento è così disperato
che si accontenterebbe perfino di cinque minuti di tregua.
Sente il cuscino duro e rivestito di pelle scura dello sgabello accanto
al suo piegarsi lievemente sotto il peso leggero della persona che ora
lo occupa. È una ragazza giovane e avvenente: pelle ambrata
e labbra carnose da far girare la testa ad ogni ragazzo, incorniciati
da una chioma della stessa tonalità di azzurro del cocktail
di Jude.
«Un Margarita,
grazie» chiede al barman, con una voce calda e morbida, come
burro fuso.
Jude la osserva meglio e, nel buio del locale, la riconosce. Si chiama
Suzette e, l’anno precedente, aveva avuto un flirt con Caleb,
prima che il ragazzo mettesse la testa a posto e decidesse di
impegnarsi seriamente con Camelia.
Suzette e Camelia non si conoscevano minimamente e, a detta di Jude,
non avevano nulla da spartire l’una con l’altra. La
giovane che adesso sedeva poco distante da Jude era estroversa,
energica, allegra; Camelia, invece, era sempre stata avvolta da
un’aura riflessiva e cauta. Forse era per questo che lei e
Caleb stavano così bene assieme: l’uno compensava
le mancanze dell’altra.
L’uomo dall’atra parte del bancone allunga in
direzione di Suzette un bicchiere contenente un liquido bianco dalle
sfumature giallastre: Jude riesce a sentirne il profumo intenso di
limone fin da lì. La ragazza afferra il drink e, nel farlo,
il suo corpo si protende in avanti: nel buio del locale, paillettes
rosse scintillano come fuochi d’artificio nella notte.
Jude fa per voltarsi, come realizzando d’improvviso che forse
sta osservando quella ragazza da fin troppo tempo – ma che
poteva farci, lui, se gli era capitato un catalizzatore di attenzioni
accanto – e fa per tornare a sorseggiare il suo cocktail.
Suzette, però, sembra essersi accorta del suo sguardo,
infatti poco dopo inclina il capo di lato.
«Che ci fa un tipo come te qui, tutto solo
soletto?» gli domanda, il rossetto cremisi che sottolinea il
movimento lento e sinuoso delle sue labbra.
A Jude ci vogliono diversi secondi prima di comprendere che quella
ragazza così incredibile avesse deciso di degnare proprio
lui della sua considerazione. Il ragazzo sbatte le palpebre diverse
volte, dopodiché apre la bocca, come per parlare, tuttavia
Suzette lo anticipa.
«Dovresti andare a ballare» gli fa notare
– e nel suo tono non c’è boria
né malizia, ma solo il tentativo sincero di offrirgli un
consiglio spassionato. «Il vero divertimento è
lì.»
Jude sa che forse dovrebbe dirle qualcosa, perché non si
aspettava che qualcuno – per il quale era
pressoché uno sconosciuto – potesse dimostrarsi
così gentile nei suoi confronti. Alla fine, tuttavia, si
limita ad alzarsi in piedi, chinando lievemente il capo e mormorando un
leggero “grazie” a fior di labbra. La ragazza
annuisce, e Jude non ha idea se abbia capito le sue parole o meno,
tuttavia decide di non restare lì a domandarselo oltre,
perché probabilmente finirebbe per fare una figura ancor
più miserabile di quella che ha già fatto.
Così Jude si allontana, in direzione della folla sulla pista
da ballo. L’idea di infilarsi in quella calca non gli piace
affatto, forse però raggiungere i suoi amici sarà
una scelta migliore che restarsene da solo in un angolo.
Jude sta avanzando a stento, quando incontra di nuovo tra la folla due
occhi grigi che lo fissano con intensità.
È lo stesso sguardo che lo ha inchiodato a terra,
all’ingresso della scuola; continua ad essere certo di
conoscere la persona a cui appartiene, eppure non riesce a ricordare
dove l’abbia vista prima…
Una vertigine lo coglie all’improvviso. Jude si porta una
mano alla fronte, e ha paura di stare per svenire da un momento
all’altro…
«Jude!»
La voce di David sembra ridestarlo. Jude si guarda intorno, e intravede
i suoi amici a pochi passi da lui.
Di quegli occhi grigi,
invece, non v’è più nessuna traccia.
Jude scuote lievemente la testa, come cercando di liberarsi da un
improvviso torpore. Nel frattempo, ha già ripreso a muoversi
faticosamente in direzione dei ragazzi: David agita una mano nella sua
direzione, mentre Joe e Caleb, accorgendosi del suo imminente arrivo,
hanno momentaneamente smesso di ballare.
David, tuttavia, deve essersi accorto che qualcosa non va,
perché di colpo un’espressione preoccupata compare
sul suo volto.
«Va tutto bene?» gli domanda infatti, poco dopo,
quando Jude li ha ormai raggiunti.
«Oh…?» Jude sembra rendersi conto solo
in quel momento di avere ancora le dita fredde che premono contro la
sua tempia. «Sì, tutto sotto controllo,
è solo un capogiro…»
«Forse faresti meglio ad uscire fuori a prendere un
po’ d’aria» gli propone Joe,
«oppure potresti andare in bagno a sciacquarti i polsi. In
ogni caso, se vuoi veniamo con te nel parcheggio…»
«Oh, no, non sarà necessario!» si
affretta ad assicurargli Jude. «Ti ringrazio, Joe, ma credo
che mi limiterò ad andare un momento in bagno.»
«Sicuro?» insiste David, con un cipiglio
preoccupato in volto.
Jude si limita ad annuire e, poco dopo, si è già
avviato in direzione del bagno, prima che qualcuno possa aggiungere
altro.
Non riesce a smettere di pensare al fatto che, da quando sono usciti da
casa sua, Caleb non abbia proferito nemmeno mezza parola. È
strano, non ha neppure approfittato del suo improvviso malore per
deriderlo, come invece avrebbe fatto di solito. Deve esserci qualcosa
di grosso sotto, Jude ne è certo, solo che l’unico
modo che ha di scoprire di che cosa si tratti è parlarne
direttamente con Caleb.
Arrivare in bagno è una sorta di odissea, un percorso
ostacolato da quei corpi così vicini gli uni agli altri.
Quando Jude preme finalmente i propri palmi sul maniglione antipanico
della porta del bagno gli sembra un miracolo; il ragazzo si spinge in
avanti, lasciandosi cadere all’interno della toilette.
Il bianco di quella stanza è accecante, in netta
contrapposizione con il buio pesto della sala da ballo. La buona
notizia è che, fortunatamente, non sembra esserci nessuno a
parte lui, là dentro.
Jude sospira pesantemente. Si rimbocca appena le maniche, lasciando
scoperti gli avambracci pallidi ed esili, dopodiché lascia
che l’acqua inizi a fluire lentamente nel lavandino. Porta i
polsi sotto il getto freddo, espirando di piacere quando questo entra
in contatto con la sua pelle.
Non credeva di averne così bisogno.
Il ragazzo chiude gli occhi, lasciando che un brivido gli percorra la
schiena. Sente la testa smettere di vorticargli, piano, come che il
gorgo che l’aveva ingoiata stesse rallentando e adesso si
trovasse in uno degli anelli più esterni, dove tutto gira
più lentamente, come se la tempesta si stesse placando.
Quando Jude riapre gli occhi, tuttavia, sente che quelle acque sono
incredibilmente lontane dal calmarsi.
Lo sguardo cremisi del ragazzo si posa nello specchio davanti a lui, e
ciò che vede alle sue spalle gli fa sentire il corpo pesante
come una statua di gesso.
Appoggiato ad una delle porte lignee dei bagni, Ray lo osserva
attentamente, come se non lo vedesse da anni e stesse cercando di
imprimere nella propria memoria ogni suo minimo dettaglio.
«Jude» l’uomo si lascia sfuggire un
sospiro profondo. «Speravo di poterti parlare.»
Il ragazzo sbarra gli occhi, mentre un brivido corre lungo il suo corpo.
«Parlarmi?» domanda, con tono acido, voltandosi.
«Cos’altro devi dirmi, Ray? Non credi di aver
già rovinato sufficientemente tutto, l’ultima
volta?»
«Aspetta, lasciami spiegare…» Ray si
sposta in avanti, stringendo piano il polso del ragazzo tra pollice ed
indice. «Credevo che lo avessi capito… lo sai che,
fosse stato per me, non sarei mai arrivato a questo, Jude. Ci stavano
col fiato sul collo, che altre scelte avevo se non quella di
allontanarti da me? Non è per me che temo, ma per la tua
carriera scolastica. Se qualcuno dovesse scoprire quello che
c’è tra di noi non perderebbero occasione per
rovinarti in ogni modo, visto che sa perfettamente che non temo nulla,
se non che possano farti qualcosa…»
Il ragazzo agita il polso violentemente, finché
strattonandosi non riesce a liberarsi.
«Ma lo senti quello che dici?» sbotta, irato.
«Come se a me importasse qualcosa di essere il migliore della
scuola o di essere ammesso in una delle migliori università
del paese! Io volevo stare con te, è così
difficile da capire?»
Ray si morde un labbro; sta facendo molta fatica a rimanere fermo sul
posto, tuttavia sa che, se tentasse nuovamente di afferrare il ragazzo,
Jude si adirerebbe ancora di più. «Tu pensi che
queste cose non t’interessino, ma se di colpo ti venisse
negata la possibilità di poterle avere sono certo che ne
soffriresti, anche se faresti di tutto per non darlo a vedere. La tua
afflizione sarebbe la mia punizione, e no, non posso condannarti ad una
condizione del genere» commenta, rammaricato.
Negli occhi di Jude la rabbia scintilla come lapilli incandescenti.
«E da quando in qua pensi di conoscermi meglio di me stesso,
Ray? Di sapere ciò che voglio più di quanto lo
sappia io?» gli domanda, algido.
Prima che l’uomo possa rispondere, Jude gli volta in fretta
le spalle, uscendo dal bagno. Non ha idea di come sia arrivato
lì, né di come abbia fatto a sapere che lui e i
suoi amici ci si sarebbero recati, quella sera –
probabilmente li ha pedinati fin da quando sono usciti da casa sua
–, tuttavia non gli interessa affatto saperlo. Per ora,
l’unica priorità di Jude è lasciare
quel posto più in fretta possibile.
Di nuovo tra la calca, Jude cerca di farsi strada, lungo una zona
rialzata di qualche gradino rispetto alla pista da ballo. Spera che
Caleb, David e Joe lo vedano e lo raggiungano fuori, perché
non ha intenzione di trascorre anche un altro solo momento
là dentro.
Non appena esce dalla discoteca, l’aria gelida di fine
novembre lo accoglie impietosa, pungendogli la pelle con
crudeltà. Neppure la vicinanza al mare mitiga la
temperatura; d’altronde, hanno detto che quello
sarà uno degli inverni più freddi degli ultimi
anni, e che presto arriverà anche la neve.
Jude cammina a passo spedito, il vento che gli schiaffeggia la faccia,
come se volesse punirlo della sua codardia. Non ha avuto abbastanza
coraggio nell’affrontare Ray, ecco perché adesso
sta fuggendo con passo spedito. Sente alcune lacrime affacciarsi agli
angoli dei suoi occhi, decide però di fingere che siano
lì a causa del freddo.
Il parcheggio alla sua sinistra è pressoché
deserto – è troppo presto per andarsene di
già, lo sa, ma non ha altra scelta. Meglio così,
valuta tra sé il ragazzo, almeno nessuno lo vedrà
mentre ha gli occhi lucidi.
Dei passi affrettati, poi di nuovo una voce, sempre la stessa.
«Jude…!» Ray gli corre dietro, senza
curarsi che là intorno qualcuno possa vederli. Un tempo Jude
avrebbe apprezzato quel gesto, ma ormai gli sembra di non provare
più niente a riguardo.
Il ragazzo si volta di scatto, lo sguardo colmo di dardeggianti lampi
di furia. «Lasciami in pace!» grida, e nelle sue
parole c’è tutta la frustrazione,
l’amarezza e la delusione che ha covato nell’ultimo
periodo.
Ray si arresta di colpo, sul volto un’espressione
esterrefatta; tardi, troppo
tardi Jude comprende che il motivo di tanto stupore sono le lacrime che
hanno iniziato a solcargli il volto.
L’uomo fa per andargli incontro – vorrebbe
così tanto poter cancellare ogni traccia di quel pianto
nefando –;
non appena muove un passo in avanti, tuttavia, qualcuno lo precede.
« Jude…!»
La voce di David, ancora una volta. Lui, Joe e Caleb sfilano da dietro
la schiena del professor Dark, e l’ex capo della banda non
perde occasione per urtare l’uomo poco involontariamente.
David circonda le spalle di Jude con un braccio, in maniera protettiva.
«Ti portiamo a casa» lo rassicura Joe, deciso. Jude
annuisce, senza riuscire a smettere di fremere dalla rabbia, e i tre
ragazzi si allontanano insieme, venendo inghiottiti dal buio di quella
notte gelida, mentre Ray resta immobile sul posto, a guardarli
scomparire.
Angolo
autrice
"Due cose:
una brtt e una brttixima" cit.
No, okay, in realtà sono una brutta e una bella forse.
Da quale volete che cominci?
Vbb, decido io, facciamo prima quella che almeno io ritengo bella
– poi magari per voi è una piaga ma chi sono io
per giudicare –: ultimamente editavo i capitoli qualche
giorno prima della pubblicazione, perché mi dava un senso di
organizzazione maggiore disagi
mentali personali, ignorate pls, invece oggi mi sono
ridotta all'ultimo, anzi scusate se doveste trovare errori sparsi da
qualche parte. E per quale motivo, direte voi? Perché
"procrastinazione is the way"? Anche. Ma la verità
è che...
*inhales*
*big annuncione is coming*
... HO FINITO UN'ALTRA LONG! YAAAY!
Ecco, per quanto nei giorni precedenti mi sia ripetuta spesso di non
volerne sovrapporre la pubblicazione a diwk, mi sono detta che alla
fine non mi fila nessuno, quindi anche se postassi due long in
contemporanea le cose non cambierebbero :) è una storia che
ho letteralmente iniziato e finito in circa una settimana,
più o meno come ttoym, e considerando che l'idea m'era
venuta circa un anno fa ma non l'avevo mai presa in mano per mie pare
mentali varie ("Sarò all'altezza di rendere il concetto che
ho in mente? E se venisse male?" e via dicendo) e che nel mentre aveva
subito cambiamenti, ampliamenti e modifiche varie nel mio cervello
direi che è un bel traguardo. In ogni caso, se non le avessi
pubblicate in contemporanea avrei dovuto aspettare l'anno prossimo,
perché a mio avviso è una storia che va postata
in estate altre
pare rip, per cui yay! Per quanto riguarda la trama non
posso fare spoiler, in ogni caso spero che possa piacervi.
Passiamo alla notizia brutta: ultimamente ho poca voglia di
aggiornare/editare questa storia. Non so perché...
sarà il caldo direi di no visto che
nel mentre ho scritto un'intera long? Sarà la
stanchezza per gli ultimi giorni in cui ho scritto e basta? Non lo so,
fatto sta che per me diwk è un progetto davvero importante a
cui ho lavorato letteralmente per degli anni, per cui sinceramente mi
sentirei tremendamente in colpa ad abbandonarlo, soprattutto
considerando che ho tutti i capitoli pronti. Venendo a questo, di
capitolo... in realtà non succede niente di particolare, e
vi anticipo che lo stesso varrà anche per l'aggiornamento
del 7 agosto. Dal 17, invece, le cose si complicheranno ancor di
più... però avevo bisogno di preparare il
terreno. La situazione è delicata, ci sono più
personaggi sofferenti, ognuno sul proprio fronte, e ci tenevo ad
inquadrare bene tutto prima di proseguire con altre parti della storia
che saranno altrettanto importanti.
Anyway! Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e grazie a chiunque
continui a leggere! See
you soon!
Aria
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Capitolo 6 *** Truths and worries ***
「 Baby we
both know
That the nights were
mainly made for saying things
that you can’t
say tomorrow day. 」
Artic Monkeys — Do I Wanna Know
「 Broadway,
Boston, 1st December
h. 02:21 p.m. 」
Il pennello danza lentamente nell’acqua, lasciando scie di
colore azzurro all’intero di essa.
Jude resta ad osservarlo, come incantato. Per un momento gli sembra di
dimenticare la tela davanti a sé, su cui sta dipingendo un
paesaggio dai colori freddi, una spiaggia deserta, dalla sabbia
grigiastra, e un mare in tempesta, onde agitate e schiuma
bianca
che schizza nell’aria.
È un paesaggio invernale che ha imparato a conoscere bene,
in
quell’ultimo periodo. Ha la mente troppo piena di pensieri,
di
dubbi e di dolore, così, appena può, si rifugia a
Back
Bay, da solo, senza che nessuno sappia nulla. Si siede alla fine di un
pontile, accoccolandosi alla ringhiera in ferro, e resta lì
anche per ore, incurante del vento freddo che ruggisce e gli fa
sbattere i vestiti contro la pelle, ad ascoltare lo sciabordio nervoso
delle onde e cercando di trarre da esso le risposte di cui sente di
aver così disperatamente bisogno, in quell’ultimo
periodo,
ma che crudeli continuano a sfuggirgli.
Jude non è mai stato un fervente amante dell’arte;
ultimamente, tuttavia, gli sembra di aver trovato in essa
l’unico
modo che ha per sfogarsi.
Accanto a lui, David sospira di frustrazione. Sta litigando da un
po’ con la creta davanti a sé, senza troppi
risultati.
L’insegnante passa alle loro spalle, sollevando un
sopracciglio
– se per disapprovazione o per sorpresa è
impossibile
dirlo.
«Samford, stai cercando di fare una scultura al
fango?»
domanda, non senza una punta di sarcasmo. Poi si volta in direzione di
Jude e aggiunge:«Sharp, in cinque anni che frequenti questa
scuola non ti ho mai visto ottenere dei risultati così buoni
in
arte. Che sta succedendo?»
Il ragazzo scrolla le spalle, mentre estrae il pennello dal vasetto
colmo d’acqua davanti a sé.
«Nulla, professore» risponde semplicemente,
ostentando noncuranza.
L’uomo non sembra molto convinto, per fortuna,
però
– con sommo sollievo di Jude – decide di non
indagare
oltre, limitandosi a proseguire verso altri ragazzi.
Gli alunni sono disposti a cerchio, in un’aula spaziosa, e
ognuno
lavora con la tecnica che preferisce. Nell’ultimo periodo
Jude
è tornato a detestare la sua scuola, deve però
almeno darle il merito di avere diversi corsi interessanti, in
cui
vengono concesse diverse libertà agli studenti.
David si lascia ciondolare in avanti, sconsolato. «Mi
arrendo» commenta infatti, poco dopo. «Sono negato
per
queste cose.»
Jude sospira, e un sorriso accenna quasi a comparire sul suo volto, ma
ci sono troppe ferite, troppi fili dentro di lui che lo trattengono
affinché ciò non avvenga. «Ma se sei
sempre stato
tu il più bravo tra noi due in arte?» gli fa
notare,
cercando di rassicurarlo.
«Già, ma…» David alza lo
sguardo, facendo per
parlare. Ben presto, tuttavia, è costretto a interrompersi,
lo
sguardo che cade sul dipinto di Jude. «Non sapevo che
disegnassi
così bene…» ammette, stupito.
Jude rotea gli occhi, trattenendosi a stento dal sospirare nuovamente.
D’accordo, non era mai stato un granché nelle
materie
artistiche, però perché adesso si stavano
mettendo
d’impegno tutti insieme per farglielo notare?
«Non lo sapevo nemmeno io, a dir la
verità»
commenta, con una semplicità che finisce per stupire
anzitutto
se stesso.
David appoggia le testa contro la spalla di Jude. Hanno sempre avuto un
legame molto particolare, e Jude non stenta a credere che abbia intuito
perfettamente cosa si cela dietro quelle onde in tempesta.
«Vuoi che ti vada a prendere dell’acqua
pulita?» gli propone, con il solito tono gentile.
Jude abbassa lo guardo di colpo, come ricordandosi solo in quel momento
del dipinto. La tavolozza di plastica bianca che ha usato per mescere i
suoi acquerelli è piena di macchie grigie e azzurre, mentre
il
contenitore per l’acqua davanti a sé, vetro
trasparente
dalle forme tondeggianti, ha striature di blu in più punti.
Probabilmente era così assorto da non essersene accorto.
«Va bene» concede infine, non tanto per una vera e
propria
necessità, quanto piuttosto perché teme
altrimenti di
deludere David.
In quell’ultimo periodo sono stati tutti molto gentili, con
lui.
Alla fine di quella disastrosa serata in discoteca, i ragazzi lo hanno
scortato fino alla sua abitazione, e se ne sono andati soltanto nel
momento in cui ha preso definitivamente sonno. Jude si è
sentito
rassicurato e protetto da quelle accortezze, così, quando si
è accorto che nei giorni successivi i ragazzi hanno
continuato a
prendersi cura di lui, non ha fatto nulla per fermarli –
anche
perché, in realtà, è troppo stremato
da ciò
che gli è successo in quell’ultimo periodo per
opporsi in
alcun modo.
Così, ogni giorno, al momento di tornare a casa,
c’è sempre almeno uno di loro pronto a fare la
strada
assieme a lui. Oppure, all’ora di pranzo, gli impediscono
sempre
di restarsene da solo in mensa, perché sanno che
altrimenti passerebbe il tempo a intristirsi e a cercare lo
sguardo di Ray tra la folla, per cui lo trascinano a mangiare fuori,
sotto ad un grande albero, davanti all’ingresso della scuola.
Fa
freddo, e il vento pizzica insistentemente le loro guance, ma anche
solo il fatto di essere lì, loro quattro, assieme,
è
sufficiente a riscaldarli, almeno un po’.
Lui e Ray non hanno più parlato, ovviamente. Dopo quanto
è successo in discoteca, probabilmente entrambi hanno perso
la
voglia di discutere in maniera definitiva. In classe, durante le sue
lezioni, Jude sembra essere diventato di vetro, troppo fragile e sul
punto di spezzarsi. Le parole gli passano attraverso, e le lezioni di
letteratura inglese hanno ormai perso tutto il loro splendore, almeno
ai suoi occhi.
Gli manca. Gli manca terribilmente, davvero. Ha cercato di capire cosa
abbia sbagliato, cosa non abbia funzionato. E non ci è
arrivato,
nonostante tutto il suo ragionare; per quanto si sia spremuto le
meningi, c’è sempre un pezzo che non torna
– andava
tutto bene, fino al giorno prima… di colpo, però,
ogni
cosa era crollata –; e poi, c’è quello
che gli ha
detto Ray in discoteca. Quella sera Jude era troppo poco lucido per
comprendere veramente quelle parole, nei giorni successivi, tuttavia,
non ha fatto che pensarci. Non era stata colpa sua? E di chi, allora?
Stava forse alludendo al fatto che qualcuno gli avesse fatto delle
pressioni affinché troncasse il loro rapporto? E, se
così
fosse stato, di chi si trattava?
C’è qualcosa, però, che tortura Jude
ancor di
più: se veramente è stato costretto a lasciarlo,
perché ha accettato di farlo?
Più ci pensa, e più soffre. Crogiolarsi non ha
senso, si
era detto, ma se veramente Ray lo aveva lasciato… se gli
aveva
detto quelle cose… cos’avrebbe dovuto significare,
che non
l’aveva mai amato?
È un pensiero destabilizzante, che Jude tenta di
evitare
con tutto se stesso. Eppure, nonostante ciò, la sua mente
torna
spesso a solleticarlo, con malignità.
Jude osserva quella tela, su cui ha cercato di rappresentare quello
che, nell’ultimo periodo, è il suo stato
d’animo:
l’oceano in tempesta, onde alte pronte a trascinare via ogni
certezza. Ci sono scogli appuntiti, di un colore cinereo, e Jude pensa
distrattamente che siano un’ottima resa delle
difficoltà
che sta affrontando di recente. Non si è accorto di cosa
stesse
raffigurando, né è partito con un progetto
preciso nella
mente: ha lasciato andare la mano, e quello è il risultato.
David non è ancora tornato, e Jude valuta che è
un fatto
alquanto curioso. Il ragazzo lascia vagare lo sguardo di lato,
attraverso la stanza, e individua in fretta l’amico ancora
nei
pressi del lavello, dalla parte opposta dell’aula rispetto a
lui.
Sta osservando una ragazza alle sue spalle; la giovane, non appena si
accorge che qualcuno la sta fissando, arrossisce di colpo, stringendosi
al petto il foglio su cui sta disegnando. David inarca le sopracciglia,
sorpreso, dopodiché attraversa nuovamente la stanza, con
passo
spedito, mentre un sorriso divertito fa capolino sul suo volto.
Jude inclina la testa di lato. È confuso, non ha la
più
pallida idea di cosa stia succedendo: non ha ben capito a che scena ha
appena assistito, né perché
d’improvviso David
sembra essere diventato così ilare e quella ragazza
imbarazzata.
L’amico torna a sedersi accanto a lui, restituendogli il
vasetto,
di nuovo colmo d’acqua pulita. Nell’impeto di
tornarsene al
posto, David ha lasciato uscire alcune gocce, così adesso la
superficie vitrea è piuttosto scivolosa. Jude recupera un
panno,
lo stesso su cui prima ha asciugato le setole del proprio pennello, ed
inizia a passarlo sul recipiente. Nel frattempo, David non riesce a
trattenere oltre una risata divertita, che copre portandosi una mano
alle labbra.
Il ragazzo si china in avanti in direzione di Jude, finché
non
è così vicino da potergli sussurrare
all’orecchio.
«A quanto pare hai una spasimante» mormora infatti,
trattenendo Jude per un braccio, così da tenerselo vicino.
«La vedi la ragazza con i capelli rossi, dall’altra
parte
della stanza? Ti stava disegnando di nascosto un ritratto al
carboncino. Quando si è accorta che ero dietro di lei ha
nascosto l’album su cui stava lavorando, ma sono riuscito a
vedere lo stesso il ritratto. Hai fatto colpo, Jude!»
«Macché» Jude si libera dalla presa di
David, poco
convinto dalle sue parole. «Come se qualcuno potrebbe mai
essere
interessato a…»
Jude non riesce a finire la frase.
Il suo sguardo vaga, ancora una volta, lungo l’aula di arte,
fino
a quando non si posa esattamente davanti a sé, dalla parte
opposta del circolo in cui gli studenti sono seduti, e per un lungo
momento Jude rimane pietrificato.
Di nuovo loro.
Per giorni Jude ha continuato a incrociare quegli occhi grigi, senza
riuscire a realizzare a chi appartenessero. Ora ce si ha lì
davanti, e di colpo ogni cosa sembra essere tornata ad avere un senso.
Una ragazza qualunque, che in ogni altra occasione avrebbe continuato a
passargli inosservata, le guance leggermente paffute, i capelli di un
rosso opaco, come impolverato, e poi quegli occhi grigi, grandi,
espressivi, profondi come un fosso pieno di ragnatele, agitati come
nubi cariche di pioggia pronte a scatenare un temporale. Sembra voler
sfuggire allo sguardo di Jude, eppure, per qualche motivo ignoto al
ragazzo, è come incapace di farlo, imprigionata in un legame
troppo forte.
Una ragazza che segue il suo stesso corso di arte, che ha continuato ad
osservarlo per tutto quel tempo, di nascosto, circondata da altre
persone, così che Jude non fosse in grado di accorgersi a
chi
appartenesse quello sguardo. Adesso che ce l’ha davanti,
però, sarebbe sciocco negare a se stesso
l’evidenza:
quegli occhi che lo seguono ovunque vada – davanti a scuola,
in
discoteca… – quelle guance che, ad un suo sguardo,
subito
arrossiscono…
Quella ragazza è innamorata di lui? E cosa dovrebbe
fare,
esattamente? È ancora troppo innamorato di Ray per lasciarsi
intrappolare in una nuova relazione, o almeno così si dice;
inoltre non la conosce affatto, come potrebbe provare qualcosa per
lei…?
È strano, sentirsi desiderati: gratificante,
certamente, se
non che Jude preferirebbe di gran lunga che a farlo sia
qualcun
altro.
Il ragazzo immerge il pennello nell’acqua pulita, e sente di
nuovo quello sguardo grigio tornare a puntarsi su di lui.
「 Somerville,
Boston, 4th December
h. 05:26 p.m.」
Ancora lì, davanti a quella porta. A Caleb sembra che sia
diventata un’abitudine, nell’ultimo tempo
– le
attese, i rumori dalla parte opposta –, ma la
verità
è che non sa se ci sia un modo per cambiarla.
Sono giorni che non fa che pensare ad altro; a causa del crollo
improvviso di Jude, non ha avuto molto tempo per stare a riflettere
sulla propria vita privata, tuttavia non può continuare a
ignorarla, fare come se non esistesse.
Ha suonato al campanello di Camelia da almeno cinque minuti, eppure la
ragazza non gli ha ancora aperto. Fino a qualche mese fa la immaginava
a farsi bella ai suoi occhi davanti allo specchio del bagno, adesso
però sa che si nasconde qualcosa di più profondo
della
leziosità dietro quei gesti.
Pudore. Ripudio verso se stessa e le proprie condizioni.
La porta si apre lentamente, e da dietro di essa compare appena Camelia.
Ha la pelle chiarissima, come se stesse per scomparire da un momento
all’altro, mentre un maglione di lana azzurra le cinge
dolcemente
le spalle, come se volesse inghiottire la sua figura. Il freddo
è arrivato in anticipo quest’anno, a Boston, e
Camelia
sembra essere stata colta impreparata da quell’evenienza: le
scapole e il collo magrissimo sfuggono al riparo del pullover, troppo
grande per lei, e Caleb non stenta a credere che stia morendo di freddo.
«Ciao…» lo saluta lei, dolcemente.
Caleb nemmeno ricambia. Entra in casa con furia, lasciando la ragazza
ferma sul posto.
Non è riuscito a fare a meno di notare gli occhi azzurri e
profondi come l’oceano di Camelia leggermente annebbiati di
lacrime, e non ha dubbi sul perché.
Questo non vuol dire che faccia meno male.
Camelia chiude la porta, con un sospiro pesante.
«Caleb…» lo richiama piano,
dall’ingresso, con
un tono di voce spezzato, come se perfino parlare fosse troppo
faticoso, per lei.
Il ragazzo entra in bagno, per poi riemergerne poco dopo, con una
spazzola in mano. Camelia inizia ad avvicinarsi, il jeans stretto che
le fascia perfettamente le gambe esili.
«E questa cosa vorrebbe dire?» le domanda il
ragazzo,
agitandole la spazzola davanti agli occhi. È piena di
capelli
violacei, fin troppi, come se intere ciocche fossero venute via dal suo
capo.
«In autunno si perdono molti più capelli che
durante il
resto dell’anno…» gli fa notare lei.
C’è qualcosa che non va, Caleb lo percepisce
nitidamente:
la sua voce sembra affetta da un morbo complesso, che la rende pesante
e innaturalmente accaldata. Camelia preme una mano contro il muro, come
se stesse per cadere da un momento all’altro.
« Stronzate»
ringhia Caleb. Il ragazzo lascia cadere la spazzola a terra, senza
curarsene troppo, per poi riprendere a marciare, stavolta in direzione
della camera della ragazza.
Camelia sospira pesantemente. È già stanca, non
sa per
quanto tempo riuscirà ancora a reggersi in piedi. Cerca
comunque
di trascinarsi fino in camera sua, per non destare ulteriori sospetti
in Caleb.
Non sa che, ormai, è già troppo tardi.
Quando arriva sulla soglia della stanza, infatti, trova il ragazzo con
le mani nei suoi cassetti. In altre circostanze sarebbe furiosa, ma
è troppo debole per arrabbiarsi con lui – e poi sa
che
Caleb ha perfettamente ragione: gli ha nascosto qualcosa di troppo
importante, e adesso ha tutto il diritto di avercela con lei.
Anzi, per la verità si sorprenderebbe del contrario.
Tra le mani di Caleb ci sono diverse scatole di farmaci. Non ne
riconosce i nomi, e sono così complessi che bastano a
spaventarlo terribilmente.
Camelia li nascondeva tra reggiseni e mutandine, certa che Caleb non
sarebbe stato così sfacciato da andare a frugare tra la sua
biancheria intima. Il ragazzo sente il pizzo sfiorargli le dita, ma
è l’ultima cosa di cui riesce a preoccuparsi al
momento.
«Caleb, allontanati da quei cassetti…»
gli intima
Camelia, stringendo con forza lo stipite della porta per reggersi in
piedi.
«Cos’è questa roba?» domanda,
ignorando completamente le sue parole.
«Antibiotici» risponde lei, cercando di non tradire
la nota
incerta che si nasconde nella sua voce. «Sono stata poco
bene, ho
avuto un’influenza e il mio medico me li ha somministrati per
aiutarmi a riprendermi…»
Caleb scaglia le scatole nel cassetto con veemenza.
«E ti aspetti che ci creda? Che non mi accorga che non sono
farmaci per l’influenza?» Il ragazzo si volta ad
osservarla, furioso. «Come se non avessi mai avuto
un’influenza in vita mia…» commenta, e
nella sua
voce c’è amarezza, delusione.
«Caleb…» lo chiama ancora lei, cercando
di farlo ragionare.
«Ti ho vista, un mese fa, fuori dal Cambridge»
ammette.
«Erano giorni che non venivi più a scuola, nessuno
sapeva
che fine avessi fatto, provavo a chiamarti e non mi
rispondevi…
ero preoccupato, cazzo! Così ti ho seguita,
e…»
«Aspetta, mi hai seguita…?» domanda lei.
Probabilmente è arrabbiata, ma a Caleb non interessa.
«Oh, andiamo, non venire a farmi la paternale per averti
seguita,
quando tu mi hai tenuto nascosto qualcosa di ben più
grave!» sbotta lui, avanzando verso di lei con ampie falcate.
«Per un momento ho perfino pensato che avessi un altro, e lo
avrei quasi preferito…!»
«Caleb, mi hai seguita di nascosto! Non ne avevi nessun
diritto!» lo riprende lei, stringendo i pugni. Non sa da dove
le
venga tutta quella forza, credeva di non averne più, in
corpo.
«A-avresti dovuto parlarne con me, se avevi dei dubbi su di
me o
sulla nostra relazione, ti avrei detto la
verità…»
«E mi avresti risposto?» la sfida lui, ormai giunto
davanti
a lei. Si trattiene a stento dal toccarla, perché teme che,
qualora lo facesse, la vedrebbe frantumarsi dinanzi ai propri occhi.
«Se non me l’hai detto prima, perché
avresti dovuto
farlo adesso?»
Camelia sente le forze venirgli meno del tutto. Non è
sorpresa,
ha resistito fin troppo – è da tempo che non
riesce a
restare a lungo in piedi. Le gambe cedono sotto il suo peso esile, e
sente il suo corpo cadere verso il basso, come reclamato dalla
gravità.
Caleb non fa in tempo ad afferrarla. Ha la mente annebbiata, continua
non credere che ciò che ha visto al Massachusetts General
Hospital possa essere la verità. Ha sperato, a lungo si
è
illuso di essersi sbagliato, ma vederla adesso cadere così
inerme a terra non è che l’ennesima conferma ai
suoi
timori.
Le ginocchia di Camelia impattano violentemente contro il suolo, e una
smorfia di dolore attraversa il volto della ragazza. Caleb sembra
risvegliarsi solo in quel momento, e subito s’inginocchia a
terra, circondando le spalle della fidanzata con un braccio.
«Non volevo… che lo venissi a sapere
così.»
Il corpo di Camelia è scosso da violenti colpi di tosse, che
la
ragazza non riesce in alcun modo a controllare.
«E allora co…» fa per domandarle il
Caleb, ma un nuovo colpo di tosse di Camelia lo interrompe.
«N-non lo so, ma non così…!»
gli risponde
lei, in un momento di tregua che il suo corpo le concede dal dolore.
Cala un silenzio profondo, in cui nessuno dei due sa cosa dire,
entrambi troppo pieni di ferite per comportarsi come se non ne abbiano.
Camelia guarda in basso, con uno sguardo colpevole che fa soffrire
ancora di più Caleb – non può lasciare
che si
distrugga così, non è in grado di concederglielo.
Così la afferra piano, circondandole la schiena e le
ginocchia
con le braccia, per poi sollevarsi da terra, tenendola stretta a
sé in braccio.
La sente tremare, e di riflesso la stringe ancor di più,
pregando con tutto il cuore di non farle male – è così
fragile…
Caleb attraversa lentamente la stanza, fino a quando non si ritrova
davanti al letto della giovane. Distende con cautela il corpo di
Camelia sul materasso, per poi inginocchiarsi ai suoi piedi, un amante
pronto a servire in ogni modo la padrona del suo cuore.
Il ragazzo sfiora piano la mano della fidanzata, disegnandole con le
dita piccole spirali sul dorso. Quel gesto sembra rilassare
immediatamente Camelia, che si lascia sfuggire un lieve sospiro.
«Ho una leucemia linfoblastica acuta» spiega la
ragazza, lo
sguardo fisso sul soffitto – perché guardare
Caleb,
adesso, le farebbe fin troppo male. «I farmaci che hai visto
sono
antidolorifici. A volte sto così male che prenderli
è
l’unico modo che ho per alleviare almeno un po’ il
dolore.»
Caleb sbatte le palpebre diverse volte, come incapace di credere alle
proprie orecchie. Preservarsi da quel dolore aveva senso quando ancora
non aveva la certezza che Camelia fosse malata; ora che lo ha ammesso
lei stessa non serve a nulla continuare a mentire a se stessi dicendo
che tutto ciò non esiste se non a stare peggio,
no…?
E allora perché il suo cervello si rifiuta di accettarlo?
«N-non ho capito…» ammette, con aria
sconsolata.
Camelia sospira, accarezzando rassegnata il capo del fidanzato.
«È una malattia infida» continua, le
dita che
tracciano percorsi invisibili tra i capelli bruni di Caleb.
«Ho
più globuli bianchi di quanti dovrei averne, e il mio corpo
continua a produrne, senza fermarsi.»
Caleb deglutisce a vuoto, sente la gola secchissima.
«Da… da quant’è che lo
sai…?» le domanda.
«Mesi, in realtà» si ritrova a
confessare lei,
cercando di sistemare la testa in una posizione comoda sul cuscino.
Per Caleb è come ricevere l’ennesimo pugno allo
stomaco.
«Mesi…?» chiede ancora, incredulo.
«E perché non me l’hai detto
prima?»
Camelia chiude stancamente gli occhi, mentre un brivido le percorre la
schiena. «Per lo stesso motivo per cui adesso mi sto pentendo
di
avertelo detto, Caleb. Perché temevo la tua reazione, e
sapevo
perfettamente che non sarei stata in grado di gestirla» gli
rivela, col più sincero dei dispiaceri a riempirle la voce.
«Se… se me l’avessi detto prima avremmo
potuto
affrontare insieme questa cosa fin dall’inizio!» le
fa
notare il ragazzo, ancora ferito dal fatto che gli abbia nascosto
qualcosa di tanto importante così a lungo.
«Volevo dirtelo solo quando sarei stata certa delle mie
condizioni» continua lei, «poi però hai
ricominciato
ad andare a scuola, e avevo paura che, se lo avessi saputo, avresti di
nuovo smesso di studiare pur di starmi accanto giorno e
notte…
e, beh, non è questo ciò che voglio,
né per te
né per me.»
Caleb si porta in avanti, sovrastando il corpo della ragazza con il
proprio. Camelia lo osserva attentamente, mentre lo sente posarle le
mani sul volto e iniziare ad accarezzarle le guance, pieno di
delicatezza e di premure.
«Sei proprio una stupida» commenta, e il volto di
Camelia
arrossisce con levità. «Io ti amo, e tu credevi
che avrei
potuto lasciarti se avessi saputo che eri malata?»
Camelia abbassa lo sguardo – di nuovo quell’aria
colpevole
che si forma sul suo volto. Doveva immaginare che Caleb avrebbe
compreso subito le motivazioni: d’altronde, nessuno la
conosceva
bene quanto quel ragazzo.
«Guarirai, vero?» le chiede Caleb, con un tono che
difficilmente accetterà un no come risposta.
Camelia sospira di nuovo, pesantemente. Sta diventando così
difficile, continuare a parlare…
«Caleb, non lo so» si ritrova ad ammettere,
tristemente.
«Ho finito il primo ciclo di chemioterapia, e adesso i medici
stanno aspettando di vedere come reagirà il mio corpo. Nel
frattempo, non ci resta che aspettare…»
Caleb è così furioso che vorrebbe poter prendere
a pugni
la trapunta di Camelia, e se non lo fa è solo
perché ha
troppa paura di spaventarla. Detesta aspettare, restarsene con le mano:
è una cosa che lo fa sentire completamente vulnerabile,
vittima
del fato – e a Caleb quell’idea non piace affatto;
se deve
seguire il destino, preferisce farlo per delle scelte che ha preso lui,
non un essere superiore.
«Non è possibile che questa sia l’unica
cosa che
possiamo fare…» ringhia, chiudendo gli occhi con
forza.
Camelia lo osserva, una dolcezza lenita dal dolore le riempie gli occhi
mentre gli stringe piano una mano. Quel gesto porta Caleb a riaprire
subito gli occhi, sorpreso.
«Qualcos’altro forse
c’è» gli confida
lei, inclinando il capo di lato, così da poter ricambiare lo
sguardo del ragazzo.
Le parole di Camelia sono fiamme che accendono una pericolosa scintilla
di speranza in Caleb.
«Cosa?» le domanda subito lui, impaziente.
Camelia allunga una mano in direzione del volto di Caleb,
accarezzandoglielo piena di premura, mentre un sorriso sincero le
compare sul viso.
«Restami vicino, Caleb» risponde lei, come trovando
finalmente la serenità, dopo tanto dolore. «Se mi
resti
vicino, sento di poter riuscire a fare qualsiasi cosa.»
Gli occhi di Caleb vengono attraversati da una luce indecifrabile
– speranza, forse – che lo porta, poco dopo, ad
afferrare
la mano di Camelia, avvicinandosela alle labbra e riempiendola di
piccoli baci.
«Certo… certo che ti rimango vicino» le
assicura,
tremando appena. «Non ti lascerei da sola per nessun motivo
al
mondo… affronteremo questa cosa insieme, te lo
prometto…»
Camelia chiude gli occhi, esausta, senza smettere di sorridere.
È rimasta cosciente per molto più tempo di quanto
le sia
in grado di resistere ultimamente, e ora sente di stare per
addormentarsi di nuovo. Questa volta, però, accanto a lei
c’è Caleb, e sa già che
finché le
sarà vicino non potrà accaderle nulla di male.
Angolo
autrice
Ho passato
mezzo capitolo a litigare con i tempi verbali. Spero con tutto il mio
cuore che siano giusti.
Come vi avevo anticipato nelle note dello scorso capitolo, in
realtà per questo aggiornamento non ci sono particolari
avvenimenti degni di nota. Chiamiamolo capitolo di transizione o come
volete, fatto sta che in realtà non succede molto. Per
quanto
riguarda la prima parte, ci sono come al solito un mare di paranoie di
Jude e, forse, la cosa più interessante è il
fatto che,
per la prima volta, il nostro caro protagonista abbia visto in
maniera più nitida la persona che di recente continua a
fissarlo. Avete capito di chi si tratta? Non preoccupatevi,
perché anche qualora la risposta dovesse essere no, credo
che
lo scoprirete molto prima di quanto possiate immaginare...
Quanto alla seconda parte, invece, finalmente abbiamo avuto una
panoramica più chiara sulla situazione di Camelia. Qualche
anno
fa ho scritto una one shot, che si chiama Colorful lenses, dove avevo
già trattato il tema di Camelia malata di leucemia. L'idea
era
quella di inserire questo espediente narrativo già in DN,
solo
che, tra una cosa e un'altra, ho finito per dimenticarmene. E
così eccoci qui, a distanza di tre anni, mentre cerco di
porre
rimedio alle mie inadempienze, lol. Continuo a sperare di essermi
documentata a sufficienza e di non aver scritto nulla di incorretto,
soprattutto in ambito medico, anyway,
here we are.
E adesso? Mah, nulla in particolare. Tra dieci giorni ci
sarà il
prossimo aggiornamento, e io già soffro per una cosa in
particolare...
Ma non è tempo di disperarsi! Ci stiamo avvicinando a
importanti snodi di trama, so... stay
tuned!
Aria
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Capitolo 7 *** Fears and hazards ***
「 Baby we
both know
That the nights were
mainly made for saying things
that you can’t
say tomorrow day. 」
Artic Monkeys — Do I Wanna Know
「 Broadway,
Boston, 9th December
h. 10:41 a.m. 」
« Le cose
diventano più
dolci quando sono perdute. Lo so: perché una volta volevo
qualcosa e l’ho ottenuta. È stata la sola cosa che
abbia
mai voluto davvero, Dot. E quando l’ho ottenuta mi si
è
ridotta in polvere tra le mani.»
Ray chiude il libro, contenente diversi racconti di Francis Scott
Fitzgerald, davanti a sé, sospirando piano. La classe
è
piombata in un silenzio profondo, tutti gli studenti ascoltano ammirati
le parole lette dal professore.
Tutti, eccetto uno.
Jude osserva il mondo scorrere fuori dalla finestra, senza alcun vero
interesse per quelle parole. Le sente vicine, eppure sa che non gli
apparterranno mai completamente.
La cosa che lo infastidisce più di ogni altra è
che solo
lui riesce a cogliere il vero significato che si cela dietro a quella
lettura, e se un tempo ne sarebbe stato onorato adesso non
può
che trovarlo un crudele scherzo del destino.
Che senso ha? Prima mi
lascia e poi
legge davanti a tutta la classe un brano su quanto sia difficile
perdere qualcosa a cui si teneva?
Jude continua a pensare che, in realtà, sia stato un atto di
estrema vigliaccheria da parte di Ray: giusto qualche mese prima aveva
insistito in tutti i modi pur di tenerlo vicino a sé e
allontanarlo dalla vita sregolata della banda, dichiarandosi pronto ad
ogni genere di sacrificio e poi, messo di fronte alla prima vera prova
del loro amore, lo aveva lasciato?
Aveva mai contato qualcosa quel legame, per lui?
Lo sai che, fosse stato
per me, non sarei mai arrivato a questo, Jude.
Come no.
Non sa perché si ostini a seguire le lezioni di Ray
–
anzi, no, del professor Dark. Ormai non c’è
più
alcun genere di legame tra di loro, per cui è sciocco da
parte
sua continuare a chiamarlo per nome. O forse lo fa per lo stesso motivo
per cui continua a seguire le sue lezioni, perché
– in
fondo – spera che tra loro non sia tutto finito.
Oppure è semplicemente autolesionista.
«Allora» il professore chiude gli occhi per un
momento, per
poi riaprirli poco dopo. «Chi vuole dire qualcosa in merito a
quello che abbiamo letto?»
Jude avverte un movimento d’aria alle sue spalle. Qualcuno
deve aver alzato la mano.
«Prego» concede Ray.
«Mi scusi, professore» si introduce una voce
femminile,
pochi posti dietro a Jude. «Solo che mi chiedevo…
come mai
abbiamo letto un brano di Francis Scott Fitzgerald? Non ci siamo ancora
arrivati, con il programma…»
Ray scuote la testa, con aria sconsolata. Jude ormai lo conosce
abbastanza bene da aspettarsi già cosa sta per rispondere
alla
ragazza, e sarebbe una circostanza perfino esilarante, se solo loro due
fossero ancora una coppia.
Il professore si mette in piedi, per poi fare lentamente il giro della
cattedra, a cui poco dopo si appoggia, con fare casuale. Jude non
dovrebbe trovarlo affascinante, non dopo quello che è
successo
tra loro, eppure il modo in cui la camicia aderisce al suo corpo
è sufficiente ad annebbiargli la mente.
Va’ al
diavolo, Ray Dark.
«Più passano gli anni» esordisce, in
tono grave
«e più mi auguro di riuscire a lasciare qualcosa,
nella
mente dei miei studenti. Un segno, un’impronta –
seppur
appena tangibile – dei miei insegnamenti. Quando ricevo
domande
del genere, tuttavia, mi viene spontaneo domandarmi se stia svolgendo
bene il mio mestiere o meno.»
Una pausa. La ragazza fa nuovamente per parlare, o quantomeno cercare
di limitare i danni del suo intervento, tuttavia poco dopo Ray le nega
la possibilità di farlo.
«Quello che ho sempre cercato di insegnarvi, nella mia
mediocrità» prosegue infatti il professor Dark,
non senza
una nota di teatralità nella voce, «è
di andare
oltre queste concezioni mentali. Le gabbie, gli ordini cronologici, i
programmi… lasciateli da parte, quando assistete ad una mia
lezione. Ciò che mi preme che voi comprendiate sono le idee,
non
le date.»
Un’altra pausa. Buona parte degli studenti si guardano tra
loro,
mentre probabilmente la studentessa che ha posto quella domanda
starà morendo d’imbarazzo, adesso.
«Penso che a tutti noi sia capitato, almeno una volta nella
vita,
di perdere qualcosa che ci era particolarmente cara» riprende
Ray, sollevando lo sguardo sulla classe. «Come vi siete
sentiti,
quando ciò è avvenuto? Confusi? Feriti?
Spaesati?»
Gli studenti continuano a rivolgersi occhiate, mentre in loro sboccia
una nuova consapevolezza. Sì, l’hanno
già provato
il dolore della perdita, Ray sa di star parlando di qualcosa di
universalmente comprensibile, ed era esattamente ciò che
desiderava fare.
«Ecco, non è importante tanto cosa abbiate
provato, quanto
piuttosto il fatto che siate passati attraverso tale dolore. Ed
è qui che sta il punto della lezione di oggi: la perdita di
qualcosa, di qualcuno è un avvenimento non raro nella nostra
esistenza, che talvolta può lasciare segni profondi dentro
di
noi. La dolcezza di cui parla l’autore è il
rimpianto che
proviamo, nel momento in cui non li abbiamo più. Avremmo
dovuto
dire loro qualcosa, prima che se ne andassero, e ora non potremo farlo
più. Quanto al concetto dello spezzarsi tra le
mani»
conclude il professore, con aria solenne, «più
desideriamo
qualcosa e più siamo disposti a tutto pur di ottenerla. Poi,
però, una volta che finalmente l’abbiamo
posseduta,
finiamo spesso e volentieri per distruggerla, perché non
sappiamo come preservarla. Questo vorrei che voi imparaste: a trattare
ciò che ci viene donato con gentilezza, a non lasciarlo
andare
via. E questo continuerò a ripetervi nelle mie lezioni,
affinché possiate farne tesoro: voglio che vi sia chiaro
ciò a cui punta veramente la letteratura. Potrete anche
sapere
la vita intera di un autore, ma non vi servirà a nulla se
non
riuscirete a comprenderne il messaggio. Ci sono poesie, o romanzi, che
sono stati scritti secoli fa, ma che ancora trovano un terreno su cui
attecchire ai giorni nostri. Questo vorrei che capiste, e che ci
rifletteste su.»
La campanella della fine dell’ora trilla, e gli studenti si
preparano a lasciare l’aula con più lentezza del
solito,
ancora incantati dalle parole del loro insegnante.
Jude, invece, è il primo ad andarsene. S’infila un
singolo
spallaccio, dopodiché si alza, schizzando via davanti alla
cattedra. Ray si è rimesso seduto sulla sua sedia, e tiene
lo
sguardo basso. Un tempo Jude sarebbe stato l’ultimo ad
andarsene,
e sarebbe rimasto assieme a lui a discutere sulla lezione appena
conclusa.
Ormai, però, quei giorni erano lontani – ed era
stato proprio Ray a lasciarli fuggire.
Una volta in corridoio, a Jude sembra di tornare a respirare dopo un
lungo periodo di apnea. Non gli sembra di aver trattenuto il fiato,
durante la lezione, quindi forse è solo colpa di Ray che
continua ad ucciderlo, nonostante tutto.
Sì, deve essere assolutamente così.
In corridoio si sono riversate già centinaia di studenti,
tutti
pronti a vagare verso l’aula della loro prossima lezione.
Jude li
segue, almeno fino al suo armadietto – si è
dimenticato di
prendere i libri per la materia successiva, può essere
così sciocco?
Forse, il pensiero di dover seguire l’ennesima ora di
letteratura
inglese gli ha fatto dimenticare tutto il resto. E se riflette su
quanto gli faccia male il pensiero di essersene andato da quella classe
senza aver scambiato neanche mezza parola con Ray non fa che stare
peggio. In quel momento, Jude vorrebbe solo sbattere con veemenza
l’anta del suo armadietto, alla fine però riesce a
trattenersi a stento, stringendo tra le dita il metallo freddo,
verniciato di rosso.
Il ragazzo batte un paio di volte le palpebre, cercando di ricomporsi.
Controlla l’orario, un foglietto attaccato nella parte
interna
dell’anta dell’armadietto: la prossima lezione
sarà
quella di storia moderna, per cui farà meglio a recuperare
il
loro corposo manuale e a dirigersi in fretta verso l’aula del
corso.
Le dita di Jude si stringono giustappunto attorno al libro, quando una
voce alle sue spalle richiama la sua attenzione.
«Scusa, tu sei Jude?» si sente domandare, infatti.
Il ragazzo inizia a voltarsi. Gli sembra di aver riconosciuto, in quel
timbro, lo stesso della ragazza che prima, in classe, ha posto quella
domanda a Ray. Jude vorrebbe chiederle se sia nuova di quel corso,
perché ormai tutti sanno che il professor Dark odia quel
genere
di domande, ma è costretto ad interrompersi prima ancora di
farlo.
Salopette di jeans, t-shirt rosa pallido.
Capelli rossi come piccole fiamme.
Occhi grigi, simili a
nuvole in tempesta.
È lei, la ragazza che ha visto fuori da scuola, poi
in
discoteca e infine al corso di arte. Il suo sguardo lo ha seguito
dovunque, e ora che se la ritrova davanti e che può
finalmente
associare una voce a quegli occhi, lo stupore cresce in modo
esponenziale in Jude, lasciandolo pressoché a corto di
parole.
Sono tante le cose che non riusciva a spiegarsi: perché lo
ha
osservato di nascosto, in tutti quei mesi? E perché, proprio
adesso, si è palesata davanti a lui?
Prima di rispondere, Jude inspira profondamente.
«Sì, sono io» risponde, con tono calmo
ma controllato. «Con chi ho il piacere di parlare?»
«Oh!» La ragazza sembra sorpresa che le abbia
concesso la
parola, e subito allunga una mano nella sua direzione. «Mi
chiamo
Victoria, piacere! Frequentiamo lo stesso corso di
arte…»
«… e di letteratura» conclude Jude,
battendola sul tempo.
La ragazza arrossisce, colta di sorpresa. Poco dopo si lascia sfuggire
una lieve risata imbarazzata.
«Te ne sei accorto» commenta, passandosi una mano
tra gli scarmigliati capelli rossi.
Jude scrolla le spalle. Si è già accorto di
molteplici
cose, a dir la verità: del ritratto che quella ragazza gli
ha
fatto durante l’ora di arte, ad esempio – anche se
il
merito di quella scoperta è da attribuire interamente a
David
–, oppure dell’imbarazzo che le tinge le gote ogni
volta
che lo guarda. Non ci vuole un genio per comprendere che quella ragazza
si sia presa una cotta per lui, solo che Jude non ha la
più
pallida idea di come gestire quella situazione. «Ho solo
riconosciuto la tua voce, tutto qui» ammette lui, offrendole
un
sorriso di incoraggiamento.
«C-che acuto osservatore…» nota lei,
senza riuscire
a liberarsi di quell’imbarazzo. «Anche io ho notato
una
cosa, però, sai? Oggi, a lezione, eri parecchio distratto, e
non
hai preso nemmeno un appunto. Così, mh, mi chiedevo se te ne
servissero…»
«No, in realtà.» Jude chiude gli occhi
per un
momento, pensieroso. È un pretesto stupido per attaccare
bottone, lo sanno entrambi. «Un mio amico segue lo stesso
corso,
e mi ha già passato una copia dei suoi appunti» le
spiega,
remissivo.
«Oh! Oh… c-capisco…» si
affretta a concludere
lei, mortificata. Probabilmente si è appena resa conto di
aver
fatto una delle peggiori figuracce della sua vita, e non vede
l’ora di troncare quel discorso. «Beh,
allora… ci
vediamo, mh?»
La ragazza si volta, facendo per allontanarsi lungo il corridoio.
C’è qualcosa, però, che trattiene Jude
dal
considerare quella conversazione conclusa. Una voce che mormora al suo
orecchio, persuasiva – forse fin troppo. Dopotutto, Ray non
si
è fatto troppi problemi a lasciarlo, allora
perché adesso
dovrebbe gettare al vento la sua giovane vita, nell’attesa di
un
ritorno che potrebbe non esserci mai?
Non lasciarla andare
via, Jude.
«Ehi, aspetta!» si ritrova ad esclamare, prima
ancora che se ne possa rendere conto.
La ragazza si volta subito, sorpresa. È ormai già
quasi arrivata a metà del corridoio.
«S-sì?» domanda, incerta.
Prima di pronunciare la frase successiva, Jude prende un respiro
profondo.
Andrà tutto
bene. Non puoi aspettarlo per sempre.
«Ti andrebbe di uscire insieme, un giorno?» le
chiede, con gentilezza.
Il volto di Victoria si illumina, come se avesse appena ricevuto la
proposta più bella della sua vita.
«Volentieri!» acconsente, e questa volta la sua
voce non trema.
La ragazza lo saluta, agitando una mano nella sua direzione, per poi
riprendere a camminare lungo il corridoio, un sorriso che fatica a
scomparire dal suo volto.
Jude resta ad osservarla, incapace di comprendere fino in fondo
ciò che è appena accaduto.
Cosa diavolo ha
combinato?
「 Southwest
Corridor, Boston, 14th December
h. 04:49 p.m.」
Ormai dev'essere diventata un’abitudine per loro. Ogni volta
che
Jude è sul punto di persuadersi che siano entrati per
l’ultima volta nel vecchio covo di Southwest Corridor, i suoi
amici finiscono puntualmente per smentirlo.
Non che gli dispiaccia più di tanto, in fin dei conti. Di
recente gli sembra che, più va avanti, e più ogni
cosa
perde di significato.
Il ragazzo è seduto sul vecchio divano, gli occhi chiusi e
la
mente assorta in mille pensieri. Probabilmente si sta cacciando in un
guaio più grosso di lui.
«Non mi avete ancora detto per quale motivo siamo
qui»
commenta, cercando di accantonare tutte le sue preoccupazioni. Come
sarebbe bello, a volte, avere la mente vuota e leggera…
David attraversa la stanza quasi saltellando, stringendo tra le mani
una bottiglia di liquore ambrato. Dev’essere parecchio
allegro,
valuta tra sé Jude.
«Dobbiamo festeggiare, ovviamente!» risponde,
sedendosi a
sua volta sul divano e avvolgendo le spalle di Jude con un braccio.
«Hai un appuntamento e non volevi dirci niente,
Jude?»
Per poco Joe non finisce per strozzarsi con la sua stessa saliva.
«C-che?» domanda a fatica poco dopo, tra i colpi di
tosse.
«E-ecco…» Jude cerca di sottrarsi dalla
stretta del
braccio di David, mentre le sue guance s’imporporano appena
per
l’imbarazzo. «C’è una ragazza,
nel corso di
arte che frequentiamo io e David… una certa
Victoria…
diciamo che di recente è stata piuttosto carina con me,
così ho pensato di invitarla ad uscire…»
Sul volto di Joe compare all’istante un sorriso radioso.
«Ma è una notizia fantastica!» esclama
poco dopo,
avvicinandosi a grandi falcate al divano e restando in piedi a pochi
passi da questo.
«Visto? Lo dicevo io che avevamo un buon motivo per
festeggiare» insiste David, mentre si appresta a versare il
bourbon nel bicchiere che Joe gli sta tendendo.
L’unico a non sembrare particolarmente entusiasta della
notizia
è Caleb. Il ragazzo non ha fatto altro che restarsene in
disparte per tutto il tempo, la schiena premuta contro uno dei piloni
di cemento a vista che sostengono l’edificio. Evita di
fissare i
suoi compagni, forse perché non vuole che si accorgano di
tutti
i pensieri che gli affollano la mente: basterebbe infatti guardarlo
negli occhi per comprendere che ci sia qualcosa che non va.
L’unico ad essersi accorto di quel comportamento insolito,
apparentemente, è David.
«Ehi, Caleb» lo richiama, con fare gentile.
«Smettila
di fare il musone e vieni qua! Non vorrai mica guastare la festa,
no?»
Gli occhi di Caleb si aprono di colpo, rivelando una severa
disapprovazione.
«Una festa, eh? E sentiamo, che cosa ci sarebbe da
festeggiare?» domanda, non senza una nota di sdegno nella
voce.
«Il fatto che Jude esca con una ragazza sebbene non sia
minimamente interessato a lei?»
«A-aspetta…» fa per obiettare David.
«E a te questo chi lo ha detto?» replica Jude, lo
sguardo
fisso sul bicchiere, mentre continua a mescere il liquore con un
leggero movimento della mano.
Caleb sbuffa, spazientito. «Non prendermi per il culo, Jude,
come
se qua dentro nessuno avesse capito che sei ancora innamorato di lui e che esci con
questa poverella solo per convincerti del contrario.»
«Pensi di essere nella mia testa, Caleb? Di sapere meglio di
me
ciò che provo?» Jude si porta il bicchiere alle
labbra,
bevendo un sorso di liquore. È piuttosto soddisfatto di come
sta
portando avanti la discussione con Caleb, un tempo arrivato a questo
punto avrebbe perso la calma già da un bel po’.
«È vero, magari adesso non sono ancora del tutto
sicuro
dei sentimenti che nutro nei confronti di Victoria, tuttavia non
è detto che uscire con lei non mi aiuti proprio ad avere
delle
idee più chiare in merito, no?»
«Stronzate» Caleb scosta la schiena dal pilastro,
muovendo
qualche passo in avanti. «Stai cercando di rimpiazzarlo
–
forse anche per farlo ingelosire, non lo so –, fatto sta che
a te
di questa Victoria non frega niente. Lascia perdere, Jude, non sei
bravo a fare l’infame.»
Oh, al diavolo la calma.
«Tu non hai la minima idea di cosa voglia dire perdere
qualcuno» sibila Jude, alzandosi in piedi e fulminando Caleb
con
lo sguardo.
«Sì che ce l’ho, invece!»
sbotta
l’altro, serrando i pugni. «Fa male, eh? Ti sembra
di non
saper più respirare, e per quanti sforzi faccia niente
potrà cambiare la realtà dei
fatti…!»
Un silenzio gelido cala nella stanza. Caleb abbassa lo sguardo,
osservando furente il pavimento. Sa di dovere agli altri delle
spiegazioni, peccato che lasciar scivolare fuori quelle parole dalle
labbra faccia così male.
«Camelia è malata» ammette, con voce
apparentemente
piatta, che tuttavia nasconde tutte le emozioni che sta provando in
quel momento – rabbia,
dolore, frustrazione
–, questo i ragazzi lo sanno bene. «Ha un cazzo di
tumore,
una leucemia. E io mi sento così fottutamente inutile, in
una
situazione del genere…»
Per degli istanti che paiono durare ore, l’aria nella stanza
sembra quasi congelarsi.
Caleb attraversa lentamente la stanza, fino a ritrovarsi accanto al
divano. Una volta lì, si lascia cadere pigramente su di
esso,
finendo seduto tra David e Jude. I due ragazzi si lanciano una rapida
occhiata, e un secondo dopo entrambi si sono fatti un po’
più vicini a lui.
«C-che stai dicendo?» domanda David, sconvolto,
mentre gli
avvolge un braccio intorno alle spalle. «Quando
l’hai
saputo?»
«I primi di novembre» ammette lui, mestamente.
«Ho avuto la conferma da parte sua qualche giorno
fa.»
Joe, nel frattempo, si è avvicinato, e adesso si trova alle
loro
spalle; il ragazzo afferra l’imbottitura dello schienale,
imprimendo con rabbia la sua presa su di essa.
«Perché non
ce ne hai parlato prima? Hai sempre detto che tra noi non dovevano
esserci segreti.»
Jude sospira pesantemente.
«Credo che sia stato a causa mia» spiega il
ragazzo, con
espressione affranta. «Era appena successa la cosa con Ray
e… temo che Caleb abbia preferito non parlarci dei suoi
problemi
per non guastare ulteriormente l’umore generale. Avevo notato
che
era insolitamente giù di morale, e avrei voluto chiedergli
cosa
stesse succedendo, ma ero… troppo disperato per caricarmi le
spalle di altre preoccupazioni. Ti chiedo scusa, Caleb, sono stato fin
troppo egoista.»
«Tks» Caleb rotea gli occhi. «Non ti
facevo
così egocentrico, Jude. Non puoi sapere sempre tutto, non
sei… il centro del mondo.»
Jude si lascia sfuggire un sospiro profondo, tuttavia volta la testa di
lato, nascondendo un lieve sorriso. Forse è questo
ciò
che più ammira in Caleb, la sua capacità di non
perdersi
d’animo, neppure nelle situazioni più drammatiche.
A volte
vorrebbe avere anche lui un briciolo di quella tenacia, gli sarebbe
senza dubbio d’aiuto.
«Senti, Caleb» la voce di Jude ha un suono
inaspettatamente
dolce quando riprende a parlare. «A me non importa niente del
perché tu non ci abbia parlato prima di questa cosa. Sono
affari
tuoi, alla fine, e si vede che evidentemente non eri ancora pronto per
farlo. In ogni caso, ora ce l’hai detto, e sappi che per
qualsiasi cosa potrai sempre contare su di noi. Siamo amici, no? Per
cui è ovvio che saremo al tuo fianco.»
«Giusto!» conviene David, riacquistando il solito
tono entusiasta.
Sul volto di Caleb compare un sogghigno appena accennato.
C’è poco da stare allegri, lo sa bene, tuttavia
inizia a
pensare di aver fatto la cosa giusta parlando di quella situazione ai
suoi amici. Dopotutto, quando si condivide un peso diventa
più
leggero, no?
«Ora non esagerate con i sentimentalismi» commenta
poco
dopo, cercando di tornare ad un’apparente
imperturbabilità. «Quella che ha più
bisogno di
qualcosa al momento è Camelia, non io. Cerca di dimostrarsi
forte agli occhi di tutti, ma da sola non può
farcela.»
Il volto di David sembra illuminarsi.
«Beh, allora dobbiamo starle vicini!» esclama,
entusiasta
di quell’idea improvvisa. «Potremmo organizzare dei
turni
per passare il pomeriggio insieme a lei, così non sarebbe
mai
sola‒»
Jude posa una mano sulla spalla di David, e il ragazzo subito smette di
parlare.
«David» s’intromette il primo, poco dopo.
«L’idea di passare del tempo con Camelia
è senza
dubbio lodabile, e sono certo che lei ne sarebbe molto lieta, ma temo
che prima dovremo informarci in merito alle sue condizioni. Non abbiamo
idea del tipo di cure a cui dovrà sottoporsi, né
del
luogo in cui le verranno somministrate, né quanto a lungo
durerà il trattamento. Lei non ci allontanerebbe mai qualora
la
infastidissimo, però, nel caso in cui fosse troppo
debole…»
Jude lascia la frase in sospeso, facendola cadere nel vuoto. Le sue
parole hanno una risonanza inaspettata sui ragazzi, tanto che per un
momento l’entusiasmo sembra svanire dal volto di David.
Caleb, tuttavia, non sembra essere dello stesso avviso di Jude.
«David ha ragione» commenta infatti – e
sul volto del
diretto interessato sembra tornare un accenno di sorriso.
«Cercherò di restare vicino a Camelia, per quanto
mi
sarà possibile. Se deciderete di fare lo stesso, credo che
lei
non potrà che esserne felice.»
David accetta subito, seguito poco dopo da Joe. A Jude basta rivolgere
un sorriso appena accennato a Caleb, e sa che non
c’è
bisogno di aggiungere altro. Certo che sarà accanto a loro,
per
Camelia farebbe questo ed altro. Inoltre è lieto di non
essere
più al centro dell’attenzione, sebbene non possa
non
essere preoccupato per Camelia. Ha paura che i ragazzi stiano prendendo
la questione con fin troppa leggerezza: chiedersi come intrattenere la
ragazza dovrebbe essere l’ultimo dei loro problemi, adesso.
Oppure… oppure hanno ragione loro. Forse Jude si sta
preoccupando troppo. Dovrebbe essere positivo e cercare un modo per
rendere quei giorni meno gravosi per Camelia, solo che…
Magari è solo troppo sconvolto dalla notizia che ha appena
ricevuto, o si sta lasciando influenzare dalla negatività
che ha
accumulato in quell’ultimo periodo, eppure non riesce ad
essere
così ottimista come i suoi amici.
「
Back
Bay, Boston, 21st December
h. 04:10 p.m.」
Il
Copley Place è un lussuoso centro commerciale situato nel
centro
di Boston. Illuminato come per le migliori occasioni in vista delle
imminenti festività natalizie, la struttura dà
sfoggio di
sé, con le sue ampie vetrate e centinaia di persone che si
aggirano attorno ad essa. Ci sono famiglie piene di buste e pacchi
regalo che passeggiano in piena tranquillità, i bambini che
corrono da una parte all’altra dell’ampio atrio, le
sciarpe
che danzano lievi al loro passaggio mentre le loro risate si propagano
nell’ara; qualcuno sta acquistando, in netto ritardo,
l’albero di Natale, mentre in molti sono seduti ai tavoli di
una
caffetteria, intenti a chiacchierare e a sorseggiare un caramel macchiato.
In
quell’atmosfera, Jude si sente così maledettamente
fuori
posto. Si stringe il colletto della giacca attorno al mento, mentre
avanza imperturbabile attraverso i corridoi di quella sorta di tempio
dello shopping. Ha dato appuntamento a Victoria lì per quel
pomeriggio, ma la verità è che vorrebbe solo
poter
scappare, tornarsene di nuovo fuori, sotto i freddi fiocchi di neve che
hanno iniziato a cadere già da qualche ora, e poi correre a
perdifiato fino a casa sua, per poi non uscirvi più.
No.
Deve andare avanti, se l’è ripetuto decine di
volte… non può tornare indietro.
Individua
Victoria piuttosto in fretta. È in piedi davanti ad una
fontana,
esattamente al centro del grande atrio. Indossa un vestito color
fragola, e sopra di esso una giacca pesante blu. I capelli, lunghi fino
alle spalle, sono stati pettinati e lasciati sciolti, sebbene tra di
essi vi siano alcuni fermagli argentei, mentre sul volto sono presenti
alcune tracce di trucco, soprattutto sulle guance e sulle labbra.
Dio,
no.
È
tutto
così sbagliato, Jude non prova nessun interesse per quella
ragazza, per lui non ha assolutamente alcun valore
quell’uscita
insieme. Si sente un mostro ad illuderla così, eppure una
parte
di lui continua a desiderare di innamorarsi almeno un poco di quella
ragazza, così da liberarsi di quel chiodo fisso che lo
tormenta
– l’altra
metà
del suo animo, invece, ci tiene a ricordargli che niente di tutto
ciò potrà mai avvenire.
Quando
arriva davanti a lei, le rivolge un sorriso cortese.
«Ciao»
la saluta, assicurandosi di mettere premura nella sua voce.
La
ragazza
sorride di rimando, per poi abbassare per un momento lo sguardo. Fissa
le punte dei suoi scarponcini, o forse le calze nere, trapunte di
piccoli pois del medesimo colore, ottenuto con del filo cucito in modo
da risultare in rilievo.
Jude
non si
aspettava quell’atteggiamento così pudico. Quando
incrociava il suo sguardo, nei corridoi della scuola, Victoria
interrompeva subito il contatto ed arrossiva, eppure, quando gli aveva
rivolto la parola per la prima volta, un paio di settimane addietro,
aveva dimostrato anche un certo coraggio, essendo stata lei ad
attaccare bottone.
Poco
dopo la
ragazza torna a ricambiare il suo sguardo, occhi grigi che affondano
nel rosso dei suoi. È tutto così sbagliato,
dovrebbero
essere nere le iridi davanti a lui…
Victoria
sorride, sembra aver riacquisito un po’ di sicurezza.
«Sono
felice che tu sia qui» commenta, quasi in un sussurro.
«Che
ne dici di farci un giro?»
C’è
un bar, all’ultimo piano del centro commerciale. Una terrazza
corre lungo tutta la circonferenza dell’edificio, offrendo
una
visuale sui negozi sottostanti. La vita continua a scorrere
imperturbabile.
Lui
e Victoria
hanno girato per un po’, soffermandosi di tanto in tanto in
qualche negozio di abbigliamento. Victoria osservava maglioni e
parigine, sorridendo entusiasta e chiedendo di tanto in tanto un parere
a Jude. Il ragazzo finiva per fare apprezzamenti su tutto
ciò
che lei gli mostrava, senza crederci veramente.
E
così
sono finiti lì, seduti al tavolo di quel bar, due cioccolate
calde con panna davanti a loro e il pacchettino dello shopping di
Victoria poco distante. Sarebbero potuti essere una normalissima coppia
di ragazzi al loro primo appuntamento, eppure Jude continua a percepire
tutta quella situazione come profondamente sbagliata.
Ormai
è
giunto il momento che più di tutti Jude ha cercato di
rimandare,
durante quel pomeriggio. Mentre passavano da un negozio
all’altro
è riuscito in qualche modo a salvarsi, adesso che sono
seduti
l’uno davanti all’altra, tuttavia, evitare di fare
conversazione sarebbe impossibile.
Avrebbe
dovuto metterlo in conto, nel momento in cui aveva chiesto a quella
ragazza di uscire insieme.
Il
cucchiaino
di Victoria affonda nella panna bianca e morbida, impreziosita da
qualche sprazzo di cannella in polvere, per poi volare subito verso la
sua bocca con un gesto leggiadro della mano.
«Ancora
non ci credo!» esordisce, entusiasta. «Il ragazzo
più carino della scuola che m’invita ad un
appuntamento…»
Suo
malgrado,
Jude non riesce a fare a meno di avvertire le proprie guance scaldarsi,
segno che probabilmente si sono anche tinte di rosso.
«B-beh» si affrettata a precisare «ci
sono un sacco
di ragazzi più carini di me, a scuola…»
Gli
occhi di
Victoria si puntano nei suoi. Per un momento Jude teme che quella
fuliggine finirà per soffocarlo, prima o poi.
La
ragazza gli
rivolge un sorriso enigmatico, per poi sporgersi sul tavolo in
direzione di Jude. «Oh, ma io gli altri non li considero
affatto,
sai?»
Jude
sobbalza. Sbagliato, tutto sbagliato…
La
ragazza nel
frattempo torna a sedersi di nuovo correttamente al suo posto,
lasciandosi sfuggire una risata simile ad uno scampanellio.
«Non
dirmi che ti ho spaventato!» commenta, affondando il
cucchiaino
sotto la panna, permettendogli di danzare tra strati liquidi e bollenti
di cioccolata. «In realtà sono sorpresa. Non
pensavo che
ti saresti mai accorto di me, né che mi avresti mai rivolto
la
parola, figurarsi un invito ad uscire…»
«Ora
non
mortificarti» cerca di riprendersi Jude, sorridendo appena.
Ormai
è in quella situazione, e non ha alcun modo di tirarsi
indietro.
«Cioè, non… non
c’è motivo per cui non
avrei dovuto farlo, no? Voglio dire, sei… una ragazza
carina,
è normale che qualcuno voglia uscire con te, no?»
Victoria
arrossisce lievemente al complimento, abbassando lo sguardo con fare
timido. “Sbagliato, tutto sbagliato…”
continua a
mormorare la voce maligna all’interno della mente di Jude.
«È
solo che… mi sei sempre sembrato così distante.
Ogni
tanto ti osservavo a scuola, ed eri sempre così…
sfuggevole. Come un fantasma, sai? Qualcuno che non è mai
completamente in un luogo, ma sempre in parte altrove» spiega
lei, lo sguardo che per un momento si perde tra la folla del centro
commerciale.
Jude
si ferma a
riflettere sulle parole di Victoria. È quella
l’impressione di sé che dà agli altri?
Probabilmente sì. All’inizio, durante i primi anni
del
liceo, era sempre stato il ragazzo perfetto, quello con i voti
più alti di tutta la scuola, ammirato da tutti, figlio
integerrimo di una famiglia ricca e impeccabile. Poi, quando Caleb e
gli altri ragazzi della banda erano entrati a far parte della sua vita,
aveva lasciato la scuola, sparendo misteriosamente dalla circolazione.
Forse era per questo che Victoria lo aveva definito un
“fantasma”. Infine, nelle ultime settimane, era
diventato
più che mai trasparente: a volte Jude temeva di essere
diventato
come di vetro, e che gli altro potessero vedere attraverso il suo
corpo. Solo che, ad attenderli, non v’era altro che una
distesa
infinita di dolore e sofferenza.
Lo
sguardo di
Jude si posa in quello di Victoria, e questo basta a farlo ridestare.
Per un momento sobbalza anche, davanti all’espressione serena
e
sorridente della ragazza.
«Tutto
bene?» gli domanda lei, inclinando leggermente la testa di
lato.
«S-sì»
risponde subito lui, sebbene appaia un poco tentennante.
«Stavo
solo pensando a quello che mi hai detto. Non pensavo che gli altri mi
vedessero così…»
Jude
si porta
la tazza di cioccolata alle labbra, facendo per prenderne un altro
sorso, ma Victoria allunga le mani sopra il tavolo, raggiungendo quelle
di Jude e carezzandogli le dita con le proprie. A quel
contatto,
il ragazzo non riesce a non sobbalzare nuovamente.
«Non
è una cosa negativa!» si affretta a rassicurarlo
lei.
«In questo modo non hai fatto altro che accrescere la tua
aura di
“ragazzo misterioso”… è
affascinante.»
Jude
si
allontana lentamente la tazza dal volto. «Non credo di aver
mai
voluto avere questa reputazione. È qualcosa di ancor
più
pesante da sostenere se ad attribuirtela non sei tu ma gli altri, non
pensi?» replica, una nota di amarezza stoica che preme nella
sua
voce.
Le
dita di
Victoria scivolano sul naso di Jude, dove è rimasta qualche
traccia di panna. La ragazza si affretta a portargliele via con tocchi
leggeri delle dita, che disegnano piccoli archi lungo la punta elegante
del naso del ragazzo. Le guance di Jude s’imporporano
nuovamente,
per un nuovo tipo di imbarazzo.
È
strano lasciarsi toccare così da qualcuno che non
è la
persona che si ama. È strano fingere di non amare
più la
persona che si ama.
Victoria
volta la testa di lato, e d’improvviso sembra illuminarsi.
«Oh»
commenta, entusiasta, «guarda chi
c’è!»
Jude
ha quasi
paura di voltarsi. Conosce bene la sua proverbiale sfortuna, ed
è certo che non abbia smesso di accompagnarlo tutto
d’un
colpo. Però no, è impossibile, il destino non
può
star prendendosi gioco di lui in modo così plateale.
Invece,
a
quanto pare, è proprio così. Perché
Jude segue lo
sguardo di Victoria, e nota che si è posato
sull’ingresso
di un’erboristeria.
Erboristeria
dalla quale sta giustappunto uscendo in quel momento il loro insegnante
di letteratura, Ray Dark.
«Andiamo
a salutarlo!» esclama Victoria, completamente ignara di
ciò che sta innescando. La ragazza si alza in fretta dal
tavolo,
afferrando Jude per un braccio ed iniziando a trascinarlo via dal bar.
«N-no,
Victoria, ferma, aspetta!» cerca di farla ragionare Jude.
«È un nostro professore, non puoi andare
lì e fare
finta di niente. Che fai, vai lì e gli gridi “Buon
Natale!”? E poi starà facendo acquisti per le
feste,
sarà impegnato‒»
«Ma
è da solo!» replica lei, come se fosse la cosa
più ovvia del mondo.
Jude
apre la
bocca. Vorrebbe dirle tante cose, tipo che a quanto pare non ha preso
minimamente in considerazione quello che ha appena finito di elencarle,
e al tempo stesso ci sono altrettante cose che non le confiderebbe mai,
nemmeno sotto tortura – come ad esempio il fatto che, fino a
poco
più di un mese fa, lui e Ray stavano insieme, che si sono
lasciati in maniera tutt’altro che pacifica e che forse non
è il caso che lui lo veda adesso in compagnia di una
ragazza, ma
forse è meglio che Victoria non sappia niente di tutto
ciò –, tuttavia a Jude manca letteralmente il
tempo
materiale per parlare alla ragazza, perché ecco che un
secondo
dopo – giusto il tempo di un battito di ciglia – la
folla
davanti a loro si è dipanata, ed ora l’unica
persona che
si erge di fronte a loro è proprio Ray.
Per
un attimo
che pare infinito lo sguardo di Jude affonda nuovamente in quello
dell’uomo. Mentirebbe a se stesso se dicesse che non gli
è
mancata quella sensazione, potente e annullante, di quel vortice nero
che lo attira e lo cattura, senza lasciargli più alcuna via
d’uscita. Però adesso è tutto diverso
– tutto
sbagliato – perché Jude non
è più il suo ragazzo e quella prigione non ha
motivo di essere piacevole.
Victoria,
nel
frattempo, non sembra essersi accorta minimamente dello scambio di
sguardi tra il suo insegnante e il ragazzo con cui sta uscendo,
né del fatto che la bocca di Jude è ancora
socchiusa,
come se avesse voluto dirle qualcosa, senza tuttavia esserci riuscito.
Ignara di tutto ciò, rivolge un sorriso a trentadue denti a
Dark.
«Buonasera,
professore!» esclama, raggiante. «Anche lei da
queste parti?»
«Già.»
Ray non stacca nemmeno per un momento gli occhi di dosso da Jude.
«Dovevo finire di acquistare alcuni regali di Natale.
Dopotutto,
ormai non manca molto tempo.»
Jude
ha la
testa voltata di lato. Non ha il coraggio di fissarlo, per quanto senta
lo sguardo dell’uomo ancora fisso su di sé.
Avverte le
proprie guance in fiamme, e sta faticando per non scoppiare a piangere.
L’anno precedente ha passato questo periodo proprio con Ray.
Ricorda i fuochi d’artificio, la colonna sonora dei loro baci
mentre facevano l’amore, la notte di capodanno, e vorrebbe
solo
singhiozzare.
«Oh,
non
la facevo uno da regali dell’ultimo momento,
professore!»
commenta Victoria, senza perdere quel pizzico di entusiasmo che sembra
contraddistinguerla.
Sono
così radicalmente differenti, lei e Ray. L’una
esuberante
e creativa, l’altro pacato e razionale. Jude quasi si augura
che
lui se ne renda conto, che Victoria non è il suo tipo, che
se
dipendesse da lui sarebbe ancora sotto quelle coperte a gemere forte, e
a pregarlo di farlo ancora, ancora, ancora… ma forse si sta
solo
illudendo. Forse Ray non capirà, penserà che sta
solo
andando avanti e che forse dovrebbe farlo anche lui.
No,
amore mio, aspettami…
Ray
lo conosce meglio di chiunque altro, cerca di rassicurarsi Jude. Lui
capirà, ne è certo.
O
forse no?
Dopotutto,
cosa
c’è da capire, Jude? Non avevi detto di voler
andare
avanti? Che non potevi rimanere ad aspettarlo in eterno?
Sbagliato,
tutto sbagliato…
Ray
si lascia sfuggire un lieve colpo di tosse, richiamando
l’attenzione di entrambi i ragazzi.
«Mi
ha
fatto piacere incontrarvi, ragazzi. Adesso devo andare, vi auguro una
buona serata. E mi raccomando, studiate, al ritorno dalle vacanze vi
attende un incessante periodo di verifiche» conclude
l’uomo, lasciando un leggero sorriso ad entrambi.
Victoria,
al contrario, s’imbroncia.
«Uff,
ma doveva proprio ricordarcelo?» bofonchia, sospirando
pesantemente.
Nel
frattempo Ray inizia ad allontanarsi, salutandoli con una mano.
«Arrivederci,
prof! Buon Natale!» lo saluta Victoria, che nel frattempo
sembra
aver ritrovato il suo consueto entusiasmo.
In
quel
momento, Jude si sente così terribilmente in conflitto con
se
stesso. È lieto che Ray se ne sia andato, lo ha tolto da un
imbarazzo immane, tuttavia ora che lo vede allontanarsi già
gli
manca.
Perché,
perché la vita ci ha fatto questo, Ray?
Victoria
lo
strattona per una manica. Jude si volta a guardarla, un'espressione
tristissima in volto, e la ragazza muove il capo verso
l’alto.
Jude la imita, e attraverso le enormi vetrate poste sul soffitto del
centro commerciale si accorge che la neve ha cominciato a cadere con
maggiore abbondanza.
Prima
che Jude
possa dire alcunché, Victoria ha già iniziato a
trascinarlo verso l’esterno. Quando si ritrovano nel piazzale
d’ingresso, i fiocchi di neve iniziano subito ad impigliarsi
tra
i capelli del ragazzo.
«È
tutto perfetto» commenta Victoria, sorridendogli dolcemente.
Poco
dopo delle labbra di posano su quelle di Jude, ma non sono quelle che
vorrebbe.
Angolo
autrice
Non
so perchè ma ultimamente trovo più soddisfacente
editare
diwk che la long sui pirati. Ed è strano, perché
tra
l'altro questo è il capitolo della sofferenza...
Aehm. Andiamo con ordine.
Mi ero ripromessa di non arrivare all'ultimo per editare, e invece toh,
eccoci qua. Ho litigato per mezzo pomeriggio con tempi verbali sballati
e html posseduto da satana, e adesso sono le nove di sera e sono ancora
qui a scrivere le note a fine capitolo, per cui yay, mega stonks direi.
Questo capitolo mi riporta alla mente un mare di ricordi. La frase
all'inizio, ad esempio, ossia la citazione di Francis Scott Fitzgerald.
Ricordo di aver passato un mare di tempo a sceglierla,
perché
avevo bisogno di una che aderisse alla situazione. Oh, e il discorso di
Ray. All'epoca ero abbastanza fiera del risultato, adesso invece temo
di essermi dilungata troppo. Comunque, finalmente abbiamo svelato anche
l'identità del personaggio che tanto a lungo
è rimasto a fissare Jude, e, senza troppe sorprese, si
è rivelato –
anzi, rivelata...?
–
essere Victoria. Voglio dire, capelli rossi, occhi grigi, diciamo che
negli scorsi capitoli avevo disseminato fin troppi indizi
perché
non si fosse intuito che si trattasse di lei. E sì, la
nostra
cara ragazza ha una palese cotta per Jude. Lui non sembra ricambiare,
ma decide di darsi comunque una possibilità, di provare ad
andare avanti e di lasciarsi alle spalle il passato, Ray e le
sofferenze dell'ultimo periodo. Funzionerà? Chi lo sa...
Oh, inoltre finalmente i ragazzi hanno scoperto da Caleb della malattia
di Camelia. Ricordo che quando ho scritto questo pezzo ho usato la
modalità revisione per sistemare alcuni pezzi, ero
disturbata
dalla temporalità con cui avveniva ogni azione, mi sembrava
tutto troppo affrettato stavo
male lol. In
ogni caso, sinceramente sono quasi sollevata, perché alla
fine
dubito che per un ragazzo giovane come Caleb sia possibile sopportare
da solo un peso così grande. La banda affronterà
insieme
questa situazione, e nei prossimi capitoli vedremo come se la caveranno.
Infine, il pezzo che per me è
fonte di maggiori sofferenze. L'aneddoto per questa parte è
che
è una di quelle che mi ha creato maggiore
difficoltà,
credo di essermici bloccata sopra per tipo un anno. Il
perché
è presto detto: la sofferenza. Sentite, sono strana, sto
male
nel veder soffrire i miei personaggi preferiti però poi sono
io
stessa la prima a metterli in certe situazioni e questo potrebbe
essere un buon riassunto di com'è nata questa storia.
Perché? Non lo so, forse perché mi piace
complicarmi
l'esistenza o forse perché trovo che le gioie dopo tanto
dolore
siano più dolci, fatto sta che eccoci qui, con Jude
intrappolato
in un appuntamento a cui non avrebbe voluto essere e che, mentre si
trova lì, incontra perfino il suo ex, che lo vede in
compagnia
di una ragazza. E, dulcis
in fundo perché
noi non ci facciamo mancare proprio niente, no no,
abbiamo perfino un bacio finale tra Jude e Victoria. Okay, Aria,
bellissimo l'angst e tutto quello che vuoi, ma non credi di aver
esagerato un pochino, stavolta?
s c u s a t e
m i
Okay, anche per stavolta vi ho detto tutto, ma prima di
andare un annuncione: dal prossimo capitolo sarà tutta roba nuova,
cose che nessuno ha mai letto prima d'ora perché
sì, ogni tanto facevo leggiucchiare parte di questa storia
ad
alcune mie conoscenti, e loro tanto quanto me erano convinte che non
l'avrei mai finita, e invece
surprise b****.
Probabilmente lo stile
sarà diverso –
forse lo si percepiva già qui, visto che avevo ripreso in
mano la storia dopo un mare di tempo –,
ma non saprei dirvi se in positivo o in negativo, dopotutto dopo uno
stop si è sempre un po' arrugginiti. Sono quasi emozionata,
sapete?
A presto
Aria
|
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Capitolo 8 *** Faith and wishes ***
「 Baby we
both know
That the nights were
mainly made for saying things
that you can’t
say tomorrow day. 」
Artic Monkeys — Do I Wanna Know
「 West
End, Boston, 22nd December
h. 09:57 a.m. 」
Caleb sa che non dovrebbe essere lì.
Camelia gli ha chiesto esplicitamente di non andarci. Ormai
però
sono cominciate le vacanze di Natale, e visto che non deve andare a
scuola l’alternativa sarebbe restarsene a casa ad annoiarsi,
e
non rientra decisamente nei suoi piani.
O forse, più semplicemente, non riesce ad accettare di
lasciare
da sola la sua ragazza il giorno in cui deve iniziare il secondo ciclo
di chemioterapia.
Le è stato lontano a lungo, in parte anche contro la sua
volontà. Camelia non voleva che la vedesse in quello stato,
debole, fragile, vulnerabile, eppure Caleb non riesce a non sentirsi in
colpa. Per non essersi accorto prima di cosa stava succedendo alla sua
ragazza, per non esserle stato accanto in un momento così
difficile.
Ecco perché adesso è li, nel reparto di oncologia
del
Massachusetts General Hospital, all’insaputa di Camelia,
attendendo di veder comparire la sua ragazza da un momento
all’altro.
Caleb è certo che, da quando è arrivato, le
infermiere
del reparto gli abbiano lanciato diverse occhiate sospettose, ma non
gli importa. L’unica cosa che conta per lui, adesso,
è
restare accanto a Camelia.
Un ascensore arriva al piano. Viene annunciato da un trillare
insopportabile, ma quel suono persistente svanisce dalla mente di Caleb
nel momento in cui le porte si dischiudono.
Due persone scendono al piano, ma gli occhi di Caleb sono puntati solo
su una di queste.
Camelia affonda il mento nel collo alto del suo morbido maglione di
lana color crema. Ha gli occhi spalancati, grandi come due tazza da
tè: di sicuro non è la prima volta che mette
piede in
quel luogo, eppure sembra essere spaventata come se lo fosse. Sotto la
corta gonna lilla, le gambe avvolte da collant candidi sembrano
tremare, e i passi incerti dei suoi piedi sono celati da bassi
stivaletti marroni, non più alti della caviglia.
È stupenda. Semplicemente stupenda. Nonostante il luogo in
cui
si trovano, e l’angoscia che quest’ultimo gli
infonde,
Caleb non riesce davvero a pensare a nient’altro.
Era da tanto tempo che non la vedeva uscire fuori da casa sua. Immersa
in quel reparto ospedaliero sembra un pesce fuor d’acqua, e
Caleb
vorrebbe ancor più aiutarla.
Qualcuno posa le mani sul suo pesante cappotto dalle
tonalità
della sabbia del deserto. Le stringe le spalle, con fare simpatetico,
per poi muovere la destra in direzione del capo, lasciando la chioma di
capelli lavanda finalmente libera dal berretto di lana bianco e
soffice. Nessuna acconciatura elegante o elaborata: scendono liberi
lungo la schiena, dolcemente.
Per un momento, l’attenzione di Caleb viene rapita dalla
figura
alle spalle di Camelia. Percival indossa un completo blu notte, e al
braccio porta un soprabito dalle stesse tonalità scure. A
dir la
verità, Caleb è sorpreso di vederlo: non si
aspettava che
riuscisse a trovare del tempo, nella sua vita faticosa e piena
d’impegni, per stare vicino a Camelia. Forse,
però,
avrebbe dovuto prevederlo: in fondo, per quell’uomo non
c’era nulla di più prezioso di sua figlia,
esattamente
come per lui.
I due muovono i primi passi all’interno del reparto, e Caleb
sa
che è giunto il momento di raggiungerli. Gli basta scostare
la
schiena dalla colonna a cui si era appoggiato, e sa già di
avere
l’attenzione di Camelia su di sé.
Gli occhi della ragazza, se possibile, si allargano ancor di
più.
«Caleb!» sussulta subito, destando subito anche
l’interesse di Percival.
L’uomo gli rivolge un’occhiata che, da sola,
basterebbe ad
incenerire il più agguerrito degli eserciti, ma Caleb non
sembra
darci troppo peso. Tira fuori il sorriso migliore che riesca a trovare
in quel momento, inclina leggermente la testa di lato e continua ad
avvicinarsi a loro.
«Toh, che coincidenza» commenta, sarcastico. Nel
momento in
cui raggiunge Camelia, cerca con dolcezza la mano della ragazza. La
trova quasi subito, e ne approfitta per accarezzarle il dorso vellutato
con le dita. «Lo so, mi avevi chiesto di non esserci, ti
chiedo
scusa…»
Percival è già sul punto di lasciarsi sfuggire
una replica acida, sua figlia tuttavia lo precede.
«Non fa niente» lo rassicura infatti la ragazza,
sorridendo dolcemente. «Sono felice di vederti qui.»
Caleb le restituisce il sorriso, gli occhi che non riescono a spezzare
la catena che li lega. D’improvviso il ragazzo sente un
calore
stupendo avvolgere il suo corpo, e sa che nessun’altra
persona al
mondo sarebbe in grado di fargli provare quelle sensazioni che Camelia
suscita in lui.
A rompere l’incantesimo in cui di colpo si sentono
catapultati,
è Percival, che si lascia sfuggire alcuni colpi di tosse.
«Camelia, dobbiamo andare» la richiama piano.
La ragazza annuisce, comprensiva. Alcuni infermieri stanno
già venendo nella loro direzione.
Durante il trattamento, Camelia non permette né a Caleb
né a suo padre di entrare, così entrambi restano
nella
sala d’attesa, ad aspettare che tutto finisca.
Travis va a prendersi un caffè al distributore automatico,
senza
nemmeno chiedere a Caleb se anche lui voglia qualcosa. Al ragazzo, in
fin dei conti, va bene anche così: lui è
lì per
Camelia, alla fine non gli importa se suo padre nemmeno gli parla.
Non gli resta molto da fare. Se ne sta lì, seduto su una
poltroncina di pelle verde in un corridoio di quella struttura dalle
pareti asettiche che tanto odia, e aspetta.
「 Southwest
Corridor, Boston, 21st January
h. 04:14 p.m.」
Non
c’è un bel niente da festeggiare.
Jude continua a ripeterselo dal primo momento in cui ha messo piede,
per l’ennesima volta nella sua vita, nella tana di Southwest
Corridor, e lo stesso aveva fatto nelle ore, giorni e settimane
precedenti. In fondo, che senso ha festeggiare il tuo compleanno quando
non hai accanto a te l’unica persona che invece vorresti?
Peccato che, apparentemente, Victoria non fosse dello stesso avviso.
Aveva contattato di nascosto David, chiedendogli di aiutarla a
preparare una festa a sorpresa, nonostante Jude le avesse ripetuto
più e più volte che non fosse in vena di
festeggiare
– come
biasimarlo, in fin dei conti?
E così, ecco che si erano ritrovati lì, un
capannello di
sei persone stipati in un vecchio nascondiglio polveroso e abbandonato,
cartelloni recitanti la scritta “Buon compleanno
Jude”
appesi a mezz’aria e un tavolo di plastica su cui erano state
appoggiate ciotole di patatine e bottiglie di aranciata.
C’è qualcosa di profondamente triste in tutto
ciò, e Jude non sa spiegarsi del tutto da dove venga.
Quando erano arrivati, Jude aveva preso da parte David, e il ragazzo
gli aveva confessato che, al telefono, Victoria si era presentata come la sua ragazza.
Uh. Ancora peggio.
Seduto sul vecchio divano distrutto, Jude osserva quella scena, che
nella sua mente stride tremendamente. I suoi più cari amici
che
si aggirano attorno a un tavolo imbandito di schifezze varie, e due
ragazze – Victoria e Suzette, sebbene Jude non riusciva a
spiegarsi a che titolo fosse stata invitata quest’ultima
–
che non riuscivano a smettere di ronzare vicino a loro. È
tutto
così cacofonico e stridente, perlomeno se lo paragona
all’immagine che è ormai abituato ad attribuire a
quel
luogo.
Non è l’unica cosa insensata che gli viene in
mente se
pensa a quell’ultimo periodo. Natale e Capodanno erano
passati in
maniera buffa, senza che lui stesso riuscisse a dare loro un senso.
Poco prima della Vigilia il governatore Sharp aveva invitato a cena
Victoria e suo padre. Era stato un avvenimento ai limiti del
paradossale: una volta scoperto che il signor Vanguard era un
importante diplomatico aveva iniziato a pregustare
un’importante
alleanza governativa, così avevano passato buona parte della
cena a discutere di lavoro, tra i silenzi imbarazzati riempiti solo dal
cozzare delle posate contro la ceramica dei piatti e gli sguardi di
Victoria che non volevano saperne di smettere di posarsi su Jude,
mettendolo continuamente in imbarazzo. Quando suo padre era venuto a
conoscenza del fidanzamento con Victoria, si era mostrato
eccessivamente entusiasta della cosa. La verità era che il
signor Sharp fremeva dalla gioia al pensiero che il figlio si fosse
tolto così in fretta dalla testa quella storia con
quell’insegnante che reputava sciocca e priva di senso
– la verità, tuttavia, era ben altra, ma ad
esserne a conoscenza era solo Jude.
Capodanno, se possibile, si era dimostrato ancor più
faticoso:
Jude aveva passato il tempo a sentire la mancanza di Ray, ricordando
come, esattamente un anno prima, avessero trascorso assieme quella
notte. Avrebbe voluto così tanto trovarsi ancora tra le sue
braccia, e invece adesso erano divisi, e Jude non aveva idea se e
quando sarebbe riuscito a tornare con lui. L’unica cosa che
gli
restava era il pacchetto che aveva trovato sotto l’abete di
casa
Sharp. Non sapeva come fosse giunto lì, ma scartandolo aveva
avuto la certezza di chi glielo avesse mandato. Un segnalibro, che
profumava di pino marittimo e proveniva dall’erboristeria del
Copley Place, la stessa fuori dalla quale, pochi giorni prima, lui e
Victoria avevano incontrato Ray, intento a fare compere. Faceva male,
perché era l’ultima cosa che gli restava di lui.
Jude
l’aveva nascosta allo sguardo severo di suo padre, e a
Capodanno
l’aveva stretta a sé tra le lacrime.
Paradossale. Era tutto così assolutamente e ridicolmente
paradossale.
Jude si alza mestamente dal divano. Sa di avere gli occhi di Caleb
addosso, ma cerca di non darci troppo peso.
Attraversa la stanza, cercando di non dare nell’occhio, e si
rifugia nell’angolo opposto a quello del tavolo. Si ritrova
davanti alla vecchia finestra rotta, schegge di vetro che spuntano come
aghi acuminati dal telaio metallico. Jude le sfiora con le dita,
sentendo di essere ancora con la mente altrove, lontano, in un posto
decisamente più felice.
«Non è cortese da parte del festeggiato
abbandonare il party in suo onore.»
La voce di Caleb alle sue spalle lo fa sobbalzare. Non ha avvertito il
rumore dei suoi passi, doveva essere completamente assorto nei propri
pensieri.
«Avevo solo… bisogno di prendere una boccata
d’aria, credo» cerca di giustificarsi il ragazzo.
Caleb gli rivolge un sorriso sghembo. È chiaro che non ci
creda,
tuttavia, a quanto pare, ha deciso di lasciar correre e risparmiargli
uno dei suoi soliti commenti sbeffeggiatori. Probabilmente nemmeno lui
è in vena di scherzare, riflette Jude.
Caleb gli porge un piccolo pacchetto. Jude solleva un sopracciglio,
rivolgendogli un’espressione dubbiosa.
«È da parte di Camelia» si affretta a
spiegare
l’altro. «Lo so che non volevi regali,
gliel’ho
detto, ma lei ha insistito comunque per fartene uno.»
Jude sorride e accetta il regalo. Non stenta ad immaginare Camelia
incaponirsi e insistere pur di fargli un regalo, e alla fine
è
quasi un sollievo sapere che la testardaggine non l’abbia
abbandonata, nonostante tutto. Jude non ha mai conosciuto una ragazza
tanto caparbia quanto Camelia, e quello è senza dubbio uno
dei
motivi per cui la ammira così tanto – tra i quali
figura
chiaramente anche il riuscire a sopportare Caleb.
«Grazie» commenta Jude, cominciando a disfarsi
della carta spessa, di un porpora intenso.
Caleb sbuffa sonoramente. «E comunque anche gli altri ti
hanno fatto dei regali» annuncia, quasi infastidito.
Per un momento Jude solleva lo sguardo, fissando Caleb quasi incredulo.
Possibile che per gli altri la sua parola non valga un bel niente?
Aveva chiesto di non avere una festa di compleanno, di non ricevere
regali e, puntualmente, ogni sua richiesta era stata bellamente
ignorata.
Da una parte è consapevole di non poter colpevolizzare
Victoria,
d’altronde lei è all’oscuro di tutta la
vicenda con
Ray – e Jude si augura che possa continuare ad esserlo per
sempre. Nonostante tutto, però, la voglia di fuggire via da
lì a gambe levate continua ad essere così
incredibilmente
forte…
L’incarto del regalo cade a terra, e tra le mani di Jude
rimare
una scatolina bluastra. Il ragazzo la apre, e quest’ultima
gli
svela finalmente il suo contenuto: un braccialetto sottile, argenteo, a
cui è appeso un ciondolo a forma di libro. Incastonata nella
copertina c’è una piccola pietra azzurra, forse
uno
zaffiro.
« Oh…
non dovevate…»
comincia Jude, sentendosi già terribilmente in colpa al
pensiero
di quanto possa essere costato loro un oggetto del genere.
Caleb si stringe nelle spalle. «Ha detto che le faceva
pensare a
te» commenta, per poi estrarre qualcosa dalla tasca.
«C’è anche questo.»
Jude si vede porgere un piccolo biglietto. Apre in fretta la busta, e
un sorriso sincero gli spunta sul volto leggendo il messaggio.
“ A Jude, il
miglior insegnante che abbia mai avuto. Passa una serena giornata di
compleanno.”
Jude si lascia sfuggire un lieve sospiro. Ricorda in maniera
così vivida i pomeriggi che hanno trascorso assieme, lui,
Caleb,
Camelia, David e Joe, poco prima della fine dello scorso anno
scolastico. Rifugiati nella camera della ragazza, libri di algebra e
storia sempre spalancati, chi disteso a terra con la pancia premuta
contro il pavimento e chi supino sul materasso morbido. È
stato
un periodo caotico ma al tempo stesso piacevole, e Jude vi è
profondamente legato.
Ripensa al modo buffo e tenero al tempo stesso che Camelia ha di
mordicchiare le sue matite, e un sorriso non può fare a meno
di
spuntare sul suo volto.
«Si scusa per non essere venuta, è rimasta a casa
a
riposare ma avrebbe voluto esserci con tutta se stessa» gli
confida Caleb.
Jude scuote piano la testa. «Non c’è
problema»
lo rassicura. «È da così tanto tempo
che non la
vedo… mi manca. Uno di questi giorni dovrei farle
visita…»
«Sarebbe felicissima di vederti» gli assicura Caleb.
Jude fissa intensamente l’amico. Ci sono così
tante cose
che vorrebbe dirgli, e altrettante è certo che Caleb abbia
già compreso.
«Caleb, io…» fa per confessare, prima
che, l’istante successivo, una voce li interrompa.
«Ehi, voi due!» esclama Suzette. «Farete
meglio a correre qui!»
Caleb gli lancia un ultimo, intenso sguardo, e Jude ha quasi la
percezione che sia riuscito a leggere dentro di lui, che sappia
già tutto ciò che c’è da
sapere. Non sarebbe
la prima volta che succede una cosa del genere, in fin dei conti.
Un secondo dopo, gli ha già voltato le spalle.
«Umpf,
arriviamo» risponde, lasciandosi sfuggire un grugnito
fintamente
infastidito, mentre ha già cominciato ad avviarsi verso gli
altri.
Jude ripone il braccialetto nella scatola, col desiderio di conservarlo
quanto più in sicurezza possibile, dopodiché si
affretta
a sua volta a fare ritorno verso il centro della festa.
La scatola che tiene tra le mani non sfugge allo sguardo di Victoria.
«Ehi, avete già cominciato a scartare i regali,
non
vale!» strepita, serrando i pugni come una bambina leziosa.
«Beh, ormai è successo, fattelo andare
bene» replica seccamente Caleb, sogghignando appena.
Il volto di Victoria arrossisce per la stizza. «Caleb, sapevi
che
i regali dovevano essere aperti dopo la torta…»
comincia a
rimproverarlo.
L’arrivo di Jude, tuttavia, sembra far calmare gli animi
all’istante.
«Torta? Che torta?» domanda, posando una mano sul
braccio della ragazza.
In un istante, l’espressione di Victoria sembra rilassarsi.
«Oh» risponde, allargando le braccia in direzione
del
tavolino. «Beh… questa torta!»
In effetti, bibite e salatini hanno ora lasciato posto ad un dolce
ricoperto di soffice panna montata. Diciotto candeline azzurre sono
accese lungo la circonferenza perfetta del pan di spagna. Quel contesto
intimo e rilassato stride sempre di più con lo stato di
abbandono e sfacelo della tana, Jude non riesce a non percepirlo.
Il ragazzo sta per spegnere le candeline, non vede l’ora di
buttarsi alle spalle tutta quella giornata, ma Suzette lo ferma.
«Ricordati di esprimere un desiderio quando soffi!»
esclama infatti.
Jude ci riflette per un momento. Un
desiderio, eh? Beh, in realtà non ha molti
dubbi al riguardo, c’è solo una cosa che desidera
davvero.
Un secondo dopo, Jude chiude gli occhi e soffia, soffiando sulle
candeline.
Vorrei che Ray tornasse
accanto a me.
Uno scroscio di applausi gli aveva fatto risollevare le palpebre.
«Che desiderio hai espresso?» gli chiede Victoria,
stringendosi al suo braccio.
«Non posso dirtelo, altrimenti non si
avvererà» le risponde Jude, e sente di essersi
salvato per un pelo.
Victoria ride, e Jude è pressoché certo che stia
immaginando che il desiderio sia qualcosa della serie “ Vorrei che io e Victoria
rimanessimo per sempre insieme” – oh, niente di più
lontano dalla realtà, valuta tra sé
il ragazzo.
Ma tanto questo tu non
lo saprai mai, Victoria.
Quando giunge il momento dei regali, Jude si ritrova sommerso da buste
e pacchetti. Quello che più apprezza viene da Joe e David:
è una felpa, dalle tonalità fiammanti. Ricorda di
averla
vista assieme a loro nella vetrina di un negozio, qualche settimana
prima, e di aver commentato ad alta voce il fatto che fosse decisamente
bella. È felice che i ragazzi se ne siano ricordati
–
allora, forse, non parlava sempre a vuoto.
Da parte di Suzette riceve un profumo, dalle fragranze maschili. A
detta della ragazza è quello più in voga al
momento tra i
giovani della loro età, e Jude si fida ciecamente del suo
parere. Ne spruzza una piccola quantità nell’aria
in mezzo
a loro, e non è un’oppressione ammettere che, in
effetti,
sembri davvero delizioso.
L’ultimo, infine – prevedibilmente –
è il
regalo di Victoria. E, altrettanto prevedibilmente, è un
libro,
per l’esattezza la raccolta di racconti di Francis Scott
Fitzgerald che Ray ha letto in classe il giorno in cui la ragazza gli
ha rivolto la parola per la prima volta. Victoria si dilunga per
diversi minuti spiegando quanto quel libro sia importante per lei,
visto che in un certo senso le ha permesso di conoscere il ragazzo che
tanto ama e che è ora la parte più luminosa e
importante
della sua vita, e Jude decide di evitare di dirle che lo ha
già
letto tempo fa, a casa di Ray.
A volte Jude si sente ancora un mostro al pensiero di essersi messo con
quella ragazza che lo ama alla follia e che farebbe letteralmente
qualsiasi cosa per lui solo nella speranza di riconquistare il
professor Dark, prima o poi. Però non vuole ferirla:
troverà il modo più dolce possibile per
lasciarla, lo ha
già deciso da tempo. E, ormai, non dovrebbe mancare molto.
Suzette taglia e posa fette di torta di panna e pan di spagna in
piccoli piattini di plastica mentre Victoria gli getta le braccia al
collo e bacia le sue labbra, in quel momento tuttavia la mente di Jude
riesce a pensare solo a Ray.
Angolo
autrice
Capitolo
corto. Cortissimo. E non fa niente, perché i prossimi due
saranno pieni di avvenimenti importanti, quindi va bene così.
Sapevo che questa settimana sarebbe stata dura, che avrei dovuto
editare un giorno sì e l'altro pure, ciononostante oggi
è
mercoledì intendo
mentre sto scrivendo queste note, so che quando voi le leggerete
sarà già giovedì ma vbb e
sono già esausta. Ma okay, non fa niente, stringo i denti,
tengo duro e vado avanti.
Come vi avevo anticipato a partire da questo capitolo trovate le ultime
cose che ho scritto, più o meno intorno a maggio di
quest'anno.
Buffo, considerando da quanto tempo mi porto avanti questa storia. Tra
l'altro prima stavo ridando un'occhiata all'epilogo i privilegi di essere
l'autrice di questa storia comportano anche non dover aspettare un
altro mese prima di leggerlo
e mi sono resa conto di aver descritto una cosa che mi è
successa davvero nella vita reale esattamente un mese dopo, quindi
senza averla già vissuta. È
paradossale, perché la somiglianza dei due eventi
è tale
da mettere i brividi, però c'è poco da stare
allegri...
vbb cambiamo argomento, non vorrei spoilerare troppo.
Tra l'altro !! ora che abbiamo finito gli aggiornamenti di agosto
passeremo a quelli di settembre, e vi annuncio già che per i
prossimi due capitoli io saltellerò come un coniglietto per
la
gioia. Poi ci sarà l'epilogo e, se ci penso, provo un misto
di
emozioni al riguardo. Mi sembra che sia passato già un mare
di
tempo da quando ho iniziato a pubblicare questa storia a giugno,
però se rifletto sugli anni che ho impiegato per scriverla
mi
sembra un periodo decisamente breve. Ah, ora che ci penso domani –
cioè oggi per voi che leggete –
saranno esattamente tre anni dal 27 agosto 2017, il giorno in cui ho
postato l'epilogo di Dark Necessities, quella che sarebbe dovuta essere
la mia ultima storia su questo fandom. Inutile dirvi che da allora
è passato diverso tempo e io ho chiaramente ripreso a
postare
qui, per cui uhm, a quanto pare non sono poi così brava a
mantenere le promesse che faccio che
poi non è vero, scusate. prendete ad esempio la rigorosa
precisione dei miei aggiornamenti... qualcosa mi riesce bene, no?
Su questo capitolo in realtà non ho molto da
dire,
perché ve lo ripeto, secondo me è un po' come la
quiete
prima della tempesta, considerando quello che ci attende nei prossimi
capitoli. Caleb finalmente sta dimostrando a Camelia la sua vicinanza,
e siamo tutti felici di questo.
Per quanto riguarda Jude, invece, sì, lo so che in teoria in
Ares hanno detto che il suo compleanno è il 14 aprile, ma
per me
Ares e Orion non esistono, lasciatemi perdere o
se esistono è solo perché lì Kageyama
è
vivo e posso fantasticare su lui e Kidou che si incontrano, ma avrei
talmente tanto da ridire sulle caratterizzazioni di un po' tutti i
personaggi che forse è meglio lasciar perdere e andare avanti
per cui sì, qui ho deciso di lasciare un mio vecchio
headcanon –
ma vecchio vecchio, giuro, tipo del periodo in cui non pubblicavo
ancora ff qui la
preistoria, quindi –
per cui il bday
del mio best boy fosse
il 21 gennaio. Non ho ancora capito se ce lo vedo bene come acquario o
sarebbe meglio toro come nella ""realtà"", ma oh well, immagino
sia un side issue,
dico bene?
E potrei dirvi che il microscopico riferimento a quel segnalibro mi
manda in brodo di giuggiole e vorrei darmi un bacio in fronte da sola
per questo ho problemi,
ignoratemi così
come che in realtà mi sono piaciuti un po' tutti i regali,
li ho
trovati azzeccati per Jude, e anche la festa alla tana, un luogo che mi
fa subito tornare con la mente ai tempi di DN,
perché questo è sempre stato un posto
importante per
i ragazzi e sono felice che alla fine, nonostante tutto, ogni tanto
continuino a tornare lì.
Non so se ho detto tutto, spero di sì. Continuo a dire che
sono
impaziente di arrivare al prossimo mese e mostrarvi quello che ho
combinato ma gnn, immagino di dover rimanere qui buona buona in un
angolo e aspettare ancora per un po' :(
See ya,
Aria
|
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Capitolo 9 *** Epiphany and determination ***
「 Baby we
both know
That the nights were
mainly made for saying things
that you can’t
say tomorrow day. 」
Artic Monkeys — Do I Wanna Know
「 Somerville,
Boston, 4th February
h. 03:22 p.m.」
È da poco pomeriggio quando Jude raggiunge il palazzo di
Camelia.
Sale le scale a piedi, sorprendendosi del silenzio che sembra regnare
in ogni appartamento.
Quando arriva al piano giusto e si ritrova davanti al portone dei
Travis, avverte quasi uno strano senso di soggezione. Stringe a
sé il quaderno che si è portato dietro,
deglutisce una volta a vuoto e, finalmente, si decide a suonare il
campanello. Dal pianerottolo inferiore si avvertono alcune voci
schiamazzanti di bimbi.
Dei passi sicuri si avvertono avvicinarsi dall’altro lato
della porta. Poco dopo, Percival gli apre.
«Ciao, Jude» lo saluta.
«Buonasera, signor Travis.» ricambia composto Jude.
Il ragazzo muove a mezz’aria i libri che tiene tra le mani.
«Sono passato per aiutare Camelia con gli ultimi argomenti di
algebra.»
L’uomo annuisce comprensivo. «Sì, David
mi aveva avvisato che ci saresti stato tu oggi pomeriggio.»
conclude. «Prego, accomodati.»
Travis si scansa di lato, e Jude s’infila
all’interno dell’appartamento. Non
c’è molta luce – forse infastidisce
Camelia, chi lo sa.
Il padrone di casa fa strada al ragazzo verso la camera della figlia,
sebbene Jude sappia bene da tempo come raggiungerla. Probabilmente non
ha mai rivolto le stesse cortesie a Caleb: Travis, infatti,
è indulgente e permissivo con gli altri componenti della
banda – soprattutto con Jude –, quando si tratta di
Caleb, tuttavia, la sua remissività viene un poco meno. Di
recente si sono tacitamente accordati, per il bene di Camelia, che
limitarsi a tollerare in silenzio l’altro sia la migliore
scelta possibile, ma Jude non riesce a fare a meno di chiedersi se
sarà così per sempre.
Arrivati davanti alla camera della ragazza, Percival fa un passo
indietro. «Buono studio, ragazzi» si congeda, per
poi allontanarsi in direzione del suo studio.
Jude non entra subito nella stanza. Per un momento resta sulla soglia,
e osserva.
Camelia è seduta sul letto, lo sguardo puntato sulla
finestra e un vestito candido a cingerle il corpo. La casa è
calda e riscaldata, il golf di lana turchina che le copriva le spalle
è caduto tra le trapunte, così ora le braccia
nude sono lasciate scoperte.
Jude non stenta a credere che Caleb si sia innamorato di quella
ragazza. Se dovesse trovare un aggettivo per definirla, probabilmente
questo sarebbe eterea.
Ed è buffo, perché è quanto di
più lontano Jude riesca ad immaginare pensando invece a
Caleb, eppure quei due funzionano così bene, e non esiste al
mondo qualcuno che possa negarlo.
Il lucore pallido e grigiastro di febbraio s’infrange sulle
pareti violette della stanza con eleganza, quasi come a voler rimarcare
quel concetto.
Prima di entrare, Jude si lascia sfuggire un colpo di tosse.
Camelia volta la testa nella sua direzione. «Ehi»
lo saluta, un lieve sorriso che fa capolino sul suo volto.
«Ciao» ricambia lui. «Sono passato
per…»
«Algebra» lo anticipa lei. «Lo so.
Vieni.»
Jude sorride e china appena il capo, facendo ingresso nella stanza.
Sulla parete alla sua sinistra ci sono un sacco di foto che seguono la
crescita di Camelia, la ritraggono fin da quando era una bambina
piccolissima fino ad arrivare a giorni più recenti. In molte
compaiono i suoi genitori, in alcune Caleb e perfino un paio con gli
altri membri della banda. La prima volta in bicicletta, le candeline
che si spengono alla festa per il quinto compleanno, una giornata
passata alla baia assieme ai ragazzi. Jude è sempre stato
affascinato da quei piccoli scorci di vita, e non fatica a comprendere
perché Camelia tenga così tanto a conservarli.
La ragazza dà dei colpetti con la mano alla porzione di
materasso accanto a sé, e Jude si affretta ad accettare
l’invito sedendosi accanto a lei. Gli occhi delle stesse
tonalità dell’oceano della ragazza sono fissi su
di lui, e come sempre Jude vi legge dentro solo tanta dolcezza.
«È passato un sacco di tempo dall’ultima
volta che ci siamo visti» gli fa notare la ragazza, posando
piano il proprio palmo della mano sul suo.
«Già» Jude inclina la testa di lato.
«Mi dispiace non essere stato presente‒»
«Non dirlo nemmeno per scherzo» taglia corto
Camelia. «Ora sei qui, è questo che
conta.»
Jude le sorride grato. Abbassa lo sguardo e apre il libro di algebra.
David gli ha accennato a che punto fossero arrivati con gli argomenti,
per cui ha un’idea abbastanza chiara di ciò di cui
le parlerà oggi…
La voce di Camelia richiama ancora la sua attenzione.
«Jude?»
«Uhm?» La testa del ragazzo si solleva di scatto.
Camelia sorride. Incrocia le gambe sul letto, per poi chinarsi
leggermente in avanti.
Quando la voce soave della ragazza torna a riempire il silenzio della
stanza, alle orecchie di Jude giunge una domanda che mai si sarebbe
aspettato di ricevere.
«Come stai, Jude?» gli chiede infatti Camelia, con
quella sua disarmante ingenuità.
Per un momento Jude finisce per strozzarsi con il suo stesso respiro.
« I‒ In che
senso…?» domanda a sua volta. In
effetti è piuttosto spiazzato, non mente a se stesso se si
dice di non sapere come rispondere a quella domanda.
Camelia inclina la testa di lato, come intenerita dalla
difficoltà in cui ora, di colpo, sembra trovarsi Jude
– lui, sempre perfetto in ogni occasione, sembra impossibile
vederlo annaspare. «Beh…» Camelia si
avvicina ancora un po’ di più a lui,
«Caleb mi ha detto che stai frequentando una ragazza.
Victoria, giusto?»
Jude tentenna. Perché stanno parlando di questo, adesso?
«Sì» ammette. «Da circa un
mesetto.»
« Oh»
Camelia sembra sinceramente incuriosita. «E
com’è? Dai, parlami di lei!»
Il ragazzo si porta una mano dietro alla testa, cercando di dissimulare
il suo imbarazzo. «Beh… ha gli occhi grigi come
nuvole in tempesta e i capelli rossi. Frequentiamo lo stesso corso di
arte e lei si è presentata a me dopo una lezione di
letteratura…»
«E la ami?»
La domanda arriva mentre Jude sta ancora parlando. È
così improvvisa che ci mette qualche secondo per elaborarla
correttamente, e quando ci riesce è come se qualcuno gli
abbia procurato un graffio sulla guancia.
Mentirebbe se dicesse di non esserselo mai chiesto. Ci riflette, ma
sono più frequenti le volte in cui la sua mente cerca di
mettere a tacere le risposte.
«Io… non lo so» ammette, sebbene si
senta così terribilmente in colpa per questo.
L’intenzione di Camelia, tuttavia, non è
apparentemente quella di fargli pesare i suoi errori.
«E Ray?»
Se possibile, quella domanda fa ancora più male della
precedente. Come se d’improvviso qualcuno gli abbia tirato un
secchio d’acqua gelida addosso, o come se di colpo il mondo
avesse perso ogni colore. Per un attimo i suoi occhi non sembrano
più percepire alcunché, tutto intorno a lui
diventa d’un nero cieco ed asfissiante.
«C-che c’entra Ray…?» chiede,
quasi annaspando.
Camelia inclina la testa di lato e sorride, come se si fosse resa conto
solo in quel momento di avere a che fare con un bambino, un bambino che
si approccia per la prima volta ad una realtà tutta nuova e
si trova piuttosto in difficoltà. «Beh…
la vostra era una storia importante, ed è finita in modo
improvviso» commenta. «Non oso immaginare come tu
possa esserti sentito dopo.»
Un sorriso amaro compare sul volto di Jude. Parlare di Ray è
così difficile, adesso. Camelia ha sottolineato qualcosa di
fin troppo importante, per lui, vale a dire la chiusura brusca del loro
rapporto. Forse, più di tutta la situazione in
sé, era stata quella lacerazione a ferirlo maggiormente: un
solo, singolo strappo, e nulla era stato più come prima.
Era stato come se ogni cosa avesse perso importanza
d’improvviso. Non riusciva ad immaginare una vita che non
comprendesse l’uomo accanto a sé. Il mondo era
diventato privo di ogni colore, e il gelo regnava sovrano per le strade.
Gli era parso di venire sommerso di colpo da un’onda enorme,
e di non riuscire più a respirare. Perderlo era stato tutte
quelle cose, e per la verità ne era anche molte di
più, tuttavia Jude non era in grado di esprimere a parole
nessuna di queste.
«È… passato del tempo» cerca
di giustificarsi il ragazzo, senza fare minimamente accenno a
ciò che ha pensato. «Sto cercando di andare
avanti. Passerà, prima o poi.»
«Lo ami ancora?»
Una domanda. Una sola, semplicissima domanda, che basta tuttavia a
mandare in frantumi tutta l’instabile realtà che
Jude s’è premurato di costruirsi attorno in tutti
quei mesi.
Cosa dovrebbe rispondere? Che è andato avanti? Che
l’ha superato? Mentirebbe a se stesso, e lo sa lui come lo sa
Camelia. Non passa giorno in cui non pensi a Ray, e a volerla dire
tutta anche quella nuova, folle relazione era nata nella speranza che
la situazione, in qualche modo, migliorasse, si stabilizzasse.
Tornasse come prima.
Vorrebbe che Ray fosse ancora al suo fianco. Vorrebbe poter tornare a
fare assieme a lui progetti sulla loro vita futura, fantasticare sul
college, invecchiare insieme, uno accanto all’altro.
Da quando non c’è più, invece, gli
sembra di camminare bendato lungo un sentiero che non sa dove lo
porterà.
Non ha bisogno di riflettere su quella domanda, in cuor suo sa
già quale sia la risposta. Il problema è che non
sa come fare, né come potrebbe riuscire ad ottenere
ciò che realmente desidera.
Ma una cosa è certa: cercherà di raggiungerla,
vuole almeno provarci.
Jude tamburella con le dita sul libro, cercando di concentrarsi
nuovamente sullo studio nel quale si prepara ad immergersi.
«Dunque, proviamo a risolvere
un’equazione…»
「 West
End, Boston, 18th March
h. 11:03 a.m.」
È una primavera strana, quella.
Manca ancora qualche giorno all’inizio ufficiale di quella
nuova stagione, e per quanto il clima continui ad essere ancora
piuttosto freddo alcuni fiori hanno già cominciato a
sbocciare sugli alberi.
Caleb si augura di tutto cuore che sia un buon auspicio.
La pausa primaverile quest’anno è una manna dal
cielo, perché gli permette di restare ancor più
vicino a Camelia. Finalmente, per una settimana potrà starle
accanto da mattina a sera, e non potrebbe chiedere davvero di meglio in
attesa dell’estate.
Questo, chiaramente, comporta anche accompagnare Camelia in ospedale.
La ragazza è ancora abbastanza reticente all’idea,
ma Caleb non ha voluto saperne niente. Che razza di fidanzato sarebbe,
se non fosse accanto a lei anche nei momenti difficili?
Camelia sbuffa con levità, e Caleb affonda maggiormente il
mento nella felpa azzurra che indossa.
«Non è questo il punto» gli ripete lei,
sistemando il collo alto del maglione lilla che indossa.
«È un momento particolarmente brutto e doloroso
per me. M’infastidisce l’idea che tu possa vedermi
in uno stato simile…»
Lui si volta di scatto, e deve trattenersi per non sferrare un pugno
nell’aria che li circonda. «Sì, ma come
pretendi che il peso di certe situazioni si allievi se non mi permetti
di starti accanto? Se non mi permetti di
aiutarti…?»
Camelia gli rivolge un sorriso simpatetico. Afferra la sua mano,
stringendola piano.
«Caleb» lo richiama. «Sarebbe da sciocchi
credere che tu non mi stia aiutando. Guardati!»
Ha ragione, lo sa. Quando gli ha confessato della sua malattia, Camelia
ha ammesso di non avergliene parlato prima perché sapeva
che, altrimenti, Caleb sarebbe stato disposto ad abbandonare ogni cosa
– la scuola, i ragazzi – pur di accertarsi che lei
stesse bene, rimanendo sempre al suo fianco per essere sicuro che non
le mancasse nulla. Probabilmente sarebbe andata così, Caleb
lo sa bene. Eppure ha sempre quella sensazione, quella paura di non
essere mai abbastanza per lei. È abbastanza presente? Riesce
a fare tutto ciò che potrebbe per lei?
Accompagnarla in ospedale per le terapie è davvero il
minimo. Il pensiero di restare separato da lei più del tempo
necessario lo dilania.
E, per quanto Camelia sia riluttante al pensiero di averlo attorno in
certi momenti, sa che buona parte delle sue convinzioni siano dettate
da una buona dose di orgoglio. Ha paura di apparire vulnerabile ai suoi
occhi, teme che possa trovarla fragile, che vedendola in quel modo non
la amerà più. Quello che Camelia non ha capito,
tuttavia, è che, agli occhi di Caleb, lei ora sembri ancor
più forte e bella.
L’ascensore trilla piano e le porte si aprono,
accompagnandoli all’ingresso del loro piano. Un altro piccolo
traguardo sa di averlo raggiunto nel momento in cui, a partire dal mese
precedente, Percival ha cominciato a permettergli di accompagnare
Camelia da solo in ospedale, senza più la sua supervisione.
Caleb non sa esattamente come prendere quella cosa: ha iniziato a
fidarsi maggiormente di lui, oppure ha solo più lavoro da
fare come ha detto loro?
Non lo sa. Sono tante le cose che ignora, di recente. Da una parte,
però, è quasi felice di non conoscerle,
perché così può immaginare lui la
risposta, e di recente ha scoperto che questo è proprio un
gran sollievo, soprattutto se ci si trova in una situazione difficile
come la loro: puoi cercare sempre di vederla in positivo, e tanto basta
ad aumentare almeno un po’ la motivazione.
I due ragazzi attraversano i corridoi del reparto continuando a tenersi
per mano, come se quel legame fosse più forte di qualsiasi
ostacolo – e per Caleb lo è, se accanto a lui
c’è Camelia si sente invincibile. Gli infermieri
che incontrano lungo il loro cammino li salutano tutti, ormai a forza
di presentarsi lì così spesso hanno imparato a
conoscerli.
Camelia si ferma solo una volta raggiunta una certa porta, e Caleb sa
il perché della sua incertezza fin troppo bene. Serra
leggermente di più la stretta attorno alla mano della
ragazza, cercando di infonderle un po’ di coraggio.
Camelia lo guarda, e in quegli occhi blu come il mare Caleb ci vede un
milione di sfumature. E, forse per la prima volta da quando hanno
cominciato quel percorso assieme, anche della pura.
Perché?
«Entra anche tu, oggi» gli propone lei,
rivolgendogli un sorriso dolcissimo.
Caleb si acciglia per un momento. «Sei sicura?»
domanda. «Mi era parso di capire che non
volessi…»
Camelia inclina appena la testa di lato. «Forse hai ragione
tu» ammette. «Credevo di poter affrontare questo
mostro da sola, ma inizio a domandarmi per quanto ancora le mie forze
mi sosterranno…»
Caleb apre la bocca, cerca di dire qualcosa, ma le parole sembrano
essersi impigliate nella sua gola, come se non volessero proprio
saperne niente di uscire. Sbatte le palpebre un paio di volte, prova ad
afferrare un pensiero che evidentemente continua a sfuggirgli.
Camelia però non gli lascia possibilità di
replica. Un momento dopo è già entrata nella
stanza, salutando il suo medico.
«Buongiorno, dottoressa Schiller» esordisce
infatti, muovendo appena una mano a mezz’aria.
«Buongiorno, ragazzi» ricambia la donna.
«Sono felice di vedere che ci sia anche Caleb,
oggi.»
Il ragazzo segue Camelia all’interno della stanza. Lei, nel
mentre, sta sistemando la giacca sull’appendiabiti.
«Sì» concorda Camelia. «Gli ho
chiesto io di venire. Sono felice che lui sia qui.»
La ragazza si accomoda sulla poltroncina di pelle blu presente nella
stanza, sollevandosi una manica del maglione mentre la dottoressa
Schiller finisce di preparare l’ago che deve iniettarle.
Caleb resta in disparte, premendo la schiena contro la parete
– quasi come se sperasse che quest’ultima lo
risucchiasse. Continua a pensare alle parole che gli ha rivolto poco
prima Camelia, senza riuscire a venire a capo del loro vero
significato. Che voleva dire quel discorso? Per mesi Camelia ha
affrontato quel calvario con tenacia, senza mai retrocedere
né dare la possibilità alla malattia di
spaventarla. Ha combattuto fin da subito e non è mai stata
intenzionata a demoralizzarsi. E adesso? Che sta succedendo?
Caleb fino ad ora è sempre stato certo che le cure stessero
andando per il meglio, o perlomeno questo è ciò
che Camelia gli ha sempre ripetuto. Certo, sa anche che la ragazza
è sempre stata preoccupata dal mancato ritrovamento di un
donatore di midollo osseo compatibile con lei, tuttavia la cosa non
l’ha mai scoraggiata. È cambiato qualcosa, senza
che Caleb se ne accorgesse?
Il ragazzo volta la testa di lato. Fin da lì, riesce ad
intravedere alcuni rami di alberi, su cui stanno cominciando a
sbocciare dei fiori.
E Caleb non vede l’ora di ammirare quella primavera assieme a
Camelia.
「 Brookline,
Boston, 26th May
h. 04:49 p.m.」
Aprile
è stato devastante.
Al rientro dalla settimana di pausa a marzo, i professori si sono messi
d'impegno per farli trovare in difficoltà, ammassando
verifiche su verifiche nel giro di pochi giorni.
Per Jude, fortunatamente, non è stato poi nulla di
così impossibile.
Ha sempre amato studiare, gli riesce pressoché naturale
– nonostante passi comunque ore ed ore sui libri ogni giorno
alla stregua dei suoi compagni, giacché se desidera
raggiungere i risultati che si è prefissato deve essere
pressoché perfetto –, in più studiare
lo aiuta a distrarsi.
A non pensare.
La sua vita è diventata un vero e proprio disastro.
Intrappolato in una relazione che non ha mai veramente voluto,
destinato a perdere per sempre chi ama nel giro di poco più
di una settimana.
Già, perché il suo tempo è ormai
concluso.
Manca circa una settimana alla cerimonia dei diplomi, e non ha la
minima idea di cosa succederà dopo. Sarà
l’ultima volta in cui vedrà Ray. No, non riesce ad
accettare un futuro che non lo comprenda.
E allora?
Non è mai stato a casa di Victoria. Finalmente liberi dagli
impegni scolastici, lei lo ha invitato lì e a Jude, seppur
di malavoglia, è toccato andarci. Anche lei come lui
– e come Ray, gli ricorda una vocina malefica nel suo
cervello – vive in uno dei quartieri più eleganti
e alla moda di Boston. C’era da aspettarselo, in effetti. Ora
che ci pensa, non riesce a fare a meno di chiedersi come faccia Ray con
il solo stipendio da insegnante a…
No. Non deve pensare a lui.
Soprattutto se si trova nei paraggi di Victoria.
Casa Vanguard, come immaginava, è di una bellezza ricca,
sfarzosa, appariscente. Ignorando tuttavia i pregiati tappeti
dell’ingresso, i quadri alle pareti e il lusso del salone,
fatto di divani di pelle, volumi dalle apparenze antichissime stipati
tra gli scaffali di una lunga libreria e una vetrina contenente liquori
di pregiate annate, Victoria si era diretta senza troppe cerimonie
verso la sua camera da letto.
E questo non aveva fatto altro che mettere ancor più a
disagio Jude
La stanza di Victoria sembra in contrapposizione con il resto della
casa. È come se lì il tempo si sia fermato,
bloccandosi all’infanzia della ragazza. Ci sono stelle
adesive incollate al soffitto, di quelle fluorescenti che
s’illuminano col buio. Un telescopio è posto
vicino alla finestra, le tende sono aperte e arricciate sul fondo, a
offrire una piacevole visuale su una delle più raffinate e
trafficate vie della città, poco sotto di loro. Sulle pareti
azzurre ci sono macchie di altri colori, e questo fa subito pensare a
Jude alla vena artistica di Victoria.
«Benvenuto nel mio mondo» commenta lei,
saltellandogli tra le braccia.
È a dir poco euforica, e Jude teme di sapere fin troppo bene
perché. Seppur con riluttanza, finisce per cingere la vita
della ragazza con le braccia, e per Victoria quello è un
gesto fin troppo eloquente. Poggia le labbra su quelle di Jude, e
prende a baciarle con dolcezza e desiderio al tempo stesso.
Sbagliato. È tutto così sbagliato. Jude lo sa, lo
sente, e non riesce a fare a meno di pensarci. Vorrebbe poter fuggire
via da lì a gambe levate, lo ha sempre voluto, eppure eccolo
qui, intrappolato per l’ennesima volta, un nodo in gola che
gli rende complicato perfino respirare.
Victoria lo conduce verso il letto. Si lascia cadere sul materasso,
trascinando il corpo del ragazzo sopra di sé. Suo padre
sarà fuori per lavoro fino a sera, è
l’occasione che attende da mesi.
Oh, no.
Le labbra di Victoria scivolano sul collo di Jude, mentre le dita abili
cominciano a slacciargli i bottoni della camicia. Probabilmente si
è accorta dell’incertezza del ragazzo, forse
l’ha scambiata per goffaggine e ha deciso di cercare di
aiutarlo, prendendo un’iniziativa così insolita
per lei. Jude le tiene le mani sui fianchi, ma sembra non collaborare
in nessun modo, né riuscire a godere delle attenzioni che
gli sta dedicando, non un gemito, neppure un sospiro a dimostrare il
suo compiacimento.
Forse Victoria starà pensando che sia strano, oppure magari
lo ritiene normale, dopotutto ormai frequenta Jude da mesi e, per
quanto stiano insieme da un po’, non lo ha mai visto
lasciarsi andare del tutto. Potrebbe pensare che sia parte del suo
carattere.
La verità, tuttavia, è ben altra.
«Victoria…» Jude la chiama piano,
sperando che riesca a percepire il disagio nella sua voce.
A quanto pare funziona. La ragazza solleva il capo, tuttavia sembra
crucciata.
«Ehi, che succede?» domanda, carezzandogli piano
una guancia.
Le labbra di Jude tremano, e il ragazzo deve fare appello a tutto il
suo autocontrollo per non crollare. «Andiamo con
calma» propone. «Non ci corre dietro nessuno,
no?»
La ragazza sospira sonoramente ma lo lascia andare. Jude non stenta ad
immaginare quanto sia impaziente, quanto non veda l’ora di
donarsi completamente al ragazzo che ama. E questo basta e avanza a
farlo indugiare.
Per l’ennesima volta, finisce per sentirsi in colpa. Non ha
mai voluto farle del male, perciò si sentirebbe di una
crudeltà inaudita a prendere la sua verginità
senza amarla nemmeno un briciolo. E, d’accordo, non
è attratto da lei, e non riesce ad immaginare in alcun modo
di avere un rapporto così intimo con una ragazza, ma quello
è un discorso che non ha alcuna voglia di tirare in ballo.
Non con Victoria, almeno.
Se dovesse essere davvero sincero, c’è solo una
persona al mondo a cui si donerebbe interamente, ora però
gli sembra così lontana e irraggiungibile…
Jude si tira a sedere sul letto, incrociando le gambe e sospirando a
sua volta. Sa che è solo questione di secondi prima che
Victoria torni nuovamente alla carica, per cui deve trovare un modo per
distrarla, almeno per un po’.
Si guarda attorno. In fondo alla stanza c’è una
piccola libreria. Deve essere piuttosto vecchia, perché al
suo interno Jude v’individua anche alcuni libri per
l’infanzia. Immagina gli scaffali crescere assieme a
Victoria, così come l’intera stanza, modificarsi a
seconda della sua età, passando dalle stelle adesive da
bambina ai classici di Louisa May Alcott durante
l’adolescenza. Jude sorride: non stenterebbe a credere, se
glielo dicessero, che anche gli arredi posseggano vita propria.
Jude si alza in piedi. Attraversa la stanza, con calma misurata, senza
riuscire a staccare gli occhi di dosso da quella libreria. Alcuni
scaffali ospitano souvenir provenienti da tutto il mondo: Parigi,
Berlino, Madrid…
Su uno di questi, poi, c’è un oggetto che Jude non
si aspettava di trovare.
È in fondo ad uno scaffale pieno di libri,
all’estrema destra, come se qualcuno cercasse di nasconderla
alla vista di occhi indiscreti. E in effetti se quello è
l’effetto desiderato funziona in pieno, perché
prima di avvicinarsi Jude non l’aveva proprio notata. Jude si
chiede perché nascondere un oggetto del genere, dopotutto
sembra così affascinante…
Una macchina fotografica per polaroid, di un celeste molto chiaro. Il
ragazzo è sorpreso, non si aspettava di trovarne una
lì.
«Non sapevo fossi appassionata di
fotografia…» commenta, come esprimendo a parole i
suoi ultimi pensieri.
«Sì, è… una passione che ho
da parecchi anni. In effetti non te ne ho mai parlato prima»
ammette.
C’è qualcosa di strano, nella voce di Victoria.
Sembra… tesa,
eppure Jude decide di non darci troppo peso. Magari è solo
poco entusiasta al pensiero che possa toccare le sue cose, anche se
è strano, in tutti quei mesi non gli ha mai dato
l’impressione di non sopportare una cosa del genere. Jude
decide di non farci caso, forse sta solo immaginando cose che in
realtà non esistono. E poi quella macchina fotografica gli
piace sul serio, non gli dispiace l’idea di darle
un’occhiata più da vicino.
Il ragazzo si ferma davanti alla libreria. Allunga una mano in
direzione dell’oggetto che l’ha attirato a
sé, come un canto di sirena, e alle sue spalle Victoria si
muove tra le coperte, cercando di alzarsi in fretta e furia dal letto.
Troppo tardi.
Jude afferra la macchina fotografica e, con essa, qualcosa cade a
terra. Il ragazzo batte le palpebre un paio di volte, confuso, alla
fine tuttavia si china verso il basso a raccoglierle. Dopotutto
è stato lui a farle cadere, sarebbe scortese da parte sua
lasciarle lì.
Prendendole in mano, si rende conto che si tratta di alcune polaroid.
Ma non del genere di scatti che una ragazza appenderebbe in camera sua,
circondati da una striscia di lucine dalle tonalità calde.
Si aspetta foto di Victoria, magari in compagnia delle sue amiche, o al
massimo memorie della sua infanzia, come quelle in camera di Camelia. E
invece no, ad attenderlo non trova niente del genere.
In quelle foto c’è lui. In ogni singolo scatto.
Ed è evidente che sia finito impresso su quelle pellicole
contro la sua volontà, perché in nessuno scatto
fissa l’obiettivo. Una volta è a scuola, intento a
recuperare qualcosa nel suo armadietto, un’altra è
con i ragazzi e ridono, chissà ripensando a quale impresa.
Sono foto risalenti a mesi prima del loro fidanzamento, Jude lo sa
bene, perché non ha mai visto Victoria con quella macchina
fotografica in mano da quando stanno insieme. C’è
un dettaglio, tuttavia, che lo inquieta più di ogni altra
cosa.
Jude riconosce quello scatto. Risale ai primi giorni di ottobre, e il
luogo sullo sfondo è innegabilmente lo Starbucks di Beacon
Hill.
In quella foto, Jude ha lo sguardo basso. Dietro di lui, Ray lo
abbraccia, cercando di confortarlo.
È allora che Jude capisce. Una prospettiva agghiacciante si
affaccia nella sua mente – spera tanto di sbagliarsi, ma
dubita di farlo.
D’improvviso una rabbia cieca inizia a montargli dentro, e
Jude decide che è arrivato il momento di abbandonare il suo
consueto autocontrollo.
Se solo pensa che per
tutti quei mesi è stato lui a sentirsi meschino…
«J‒Jude…» Victoria lo raggiunge alle
spalle, di soppiatto. Probabilmente ha già capito
cos’è appena successo.
«Fammi capire» Jude si volta nella sua direzione,
furioso. Nel suo sguardo non c’è spazio per la
compassione. «Cosa significherebbero queste?»
«I‒Io…»
«Che c’è, non riesci a rispondere? Oh,
se vuoi posso aiutarti io» continua il ragazzo. Sul suo volto
compare un sogghigno malefico. «Mi hai spiato per mesi. Eri
così ossessionata da me che hai iniziato a seguirmi ovunque
e a scattarmi queste fotografie. Poi, però, hai scoperto
qualcosa che non immaginavi: la mia relazione con Ray. Così,
accecata dal desiderio di avermi solo per te, hai portato queste foto
al preside Rice…»
«N‒No!» strepita la ragazza.
«È vero, ho detto al preside di aver scoperto che
avevate una relazione, ma non gli ho dato le foto! Lui le voleva, ma io
mi sono rifiutata di dargliele, perché temevo che se lo
avessi fatto saresti riuscito in qualche modo a risalire a
me… J‒Jude, mi dispiace, non volevo… non volevo
che lo venissi a sapere così…»
«Beh, è ovvio, perché se non avessi
trovato queste foto oggi tu non me l’avresti mai
detto!» sbotta Jude, lasciando cadere le polaroid a terra,
sulla moquette scura e pregiata della stanza. «Pensi che non
avergli dato le foto ti renda meno colpevole? Hai letteralmente esposto
la vita privata di due persone per il tuo tornaconto!»
Victoria cerca di afferrare la manica della camicia di Jude.
«M‒Ma io ti amo…» ammette, negli occhi
ancora un piccolo barlume di speranza.
«Beh, io no!» esclama Jude, liberandosi dalla sua
presa. Si sente libero, più leggero di almeno dieci chili.
Finalmente ha ammesso la verità, e non ha più
paura di ferire Victoria, non dopo quanto ha appena scoperto, non dopo
tutto il male che lei gli ha procurato. «Non ti ho mai amata,
a dir la verità! Mi sono messo con te nella stupida, vana,
miserevole speranza che Ray s’ingelosisse e provasse in
qualche modo a riconquistarmi. Non ho mai provato nulla per te. Dio, se
solo penso che ho perso tutti questi mesi lontano dall’uomo
che amo a causa di questo sciocco teatrino…!»
Gli occhi di Victoria si riempiono di lacrime. La ragazza si lascia
cadere a terra, ma a Jude non importa più nulla. Si sente
così felice che sta quasi per scoppiare a ridere, ma evita
di farlo perché inizia a temere di aver perso per sempre la
sua sanità mentale.
Volta le spalle a Victoria. Ormai non ha più motivi per
rimanere lì. Tutte le catene che lo imprigionavano si sono
di colpo spezzate, e non riesce ad immaginare una sensazione migliore
di quella.
Jude attraversa la stanza senza fermarsi. S’arresta solo per
un momento, arrivato ormai sulla soglia.
«Penso che sia inutile dirti che tra noi è
finita» conclude.
Jude esce dalla stanza, poi dalla casa. Si lascia alle spalle il pianto
di Victoria che irrompe nell’aria, ma non gliene importa
niente, vuole solo dimenticare tutta quella storia il prima possibile.
Angolo
autrice
È
un orario imbarazzante della notte. Sto editando. Va tutto bene.
Domani voglio buttarmi su un treno e andare via lontano, non pensare
più a niente, almeno per un giorno. Quindi, visto che
tecnicamente è già il 7 settembre, edito e
pubblico adesso, così non ci penso più.
A proposito, siamo finalmente arrivati a settembre. Ma ci pensate che
il prossimo capitolo è l'ultimo prima dell'epilogo? Io non
riesco ancora a realizzarlo, ho passato così tanto tempo ad
essere incapace di finire questa storia che darle invece una
conclusione mi lascerà disarmata. Tecnicamente l'ha
già fatto quando l'ho scritta, ma penso che pubblicarla
sarà diverso.
Tra l'altro questo è un capitolo che attendevo con ansia,
per cui non capisco perché non mi andasse di editarlo ed ecco anche
perché mi sono ridotta a quest'ora per farlo, tanto per me
dormire è un optional--
Ma andiamo con ordine. Per quanto riguarda le prime due scene in
realtà non ho molto da dire. La prima ci mostra l'amicizia
tra Camelia e Jude, che purtroppo visto che sono scema
ho sempre fatto passare in secondo piano. E a pensarci bene
sì, è un po' Camelia a dare la "spinta" a Jude
affinché apra gli occhi su ciò che prova
realmente.
Nella seconda scena probabilmente invece sembra che non succeda niente,
ma vedrete, nel prossimo capitolo sarà tutto più
chiaro.
Infine, arriviamo al punto di cui mi preme parlare. Sì,
finalmente la relazione tra Jude e Victoria è finita, e io
sono felice, perché ovviamente non li shipperò
mai nella vita e poi soprattutto perché più che
una relazione era una menzogna ‒ da parte di entrambi, se ci pensate:
Jude che si ostinava a stare con lei nonostante non la amasse e
Victoria che gli ha nascosto fin dal principio di essere stata lei ad
aver rivelato a Zoolan la relazione tra Jude e Ray.
Per questa cosa mi sono scervellata da morire. Sono sicura che
inizialmente non avessi messo in conto questo plot twist, probabilmente
le cose dovevano andare diversamente, tipo che Zoolan aveva dei
sospetti e bluffava malamente ma non riuscivo a farmi quadrare le cose,
perché così non mi tornava il ruolo di Victoria
in tutta la questione. Poi mi è venuto in mente che poteva
essere lei l'anello di conginuzione e boh, l'ho arrangiata
così. Io spero sinceramente che non ci siano buchi di trama,
mi sono portata dietro questa long per tre anni e anche se so che in
realtà non è neanche tanto tempo per me
è molto, fidatevi.
Sento di star
dimenticandomi di dire qualcosa, rip
Ho l'impressione che Jude possa sembrare troppo crudele nel lasciare
Victoria. Però da una parte lo capisco, l'hanno imbrogliato
e preso in giro un po' tutti, forse adesso vorrà rifarsi
anche lui.
Nulla, come dicevo il prossimo è l'ultimo capitolo prima
dell'epilogo sigh
e again,
ci sarà un'altra importante svolta della trama...
sì, me le sono lasciate tutte alla fine, ahahah.
Ma non temete, miei cari. Siamo in dirittura di arrivo, per cui tutto
è destinato a risolversi, nel bene e nel male.
A presto mentre
prego di non aver lasciato troppi errori lungo il testo
Aria
|
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Capitolo 10 *** Love and death ***
「 Baby we
both know
That the nights were
mainly made for saying things
that you can’t
say tomorrow day. 」
Artic Monkeys — Do I Wanna Know
「 Broadway,
Boston, 1st June
h. 10:44 a.m.」
La toga nera continua a frusciargli attorno alle caviglie.
Probabilmente sono in ritardo, ma suo padre ha preteso che lo
aspettasse prima di raggiungere il liceo.
Jude è piuttosto divertito dal fatto che
l’integerrimo governatore Sharp sia riuscito a trovare del
tempo nelle sue giornate piene d’impegni da dedicare al
figlio.
Forse è così solo perché quello non
è un giorno come un altro.
In effetti Jude non sente per niente ansia o altre emozioni di quel
tipo, perché, di fatto, per lui quello è un
normalissimo giorno come un altro. Gli esami sono finiti, non ha niente
da temere.
Immagina qualcuno dell’ufficio di direzione generale scoprire
da suo padre che quel giorno ci sarà la cerimonia di
consegna dei diplomi e consigliare al governatore di presenziare. Un
figlio si diploma una sola volta nella vita, dopotutto.
A detta di Jude, è tutta una gran questione di ipocrisia.
Suo padre lo reputa la più grande delusione della sua vita,
e Jude non nutre più alcun timore nei suoi confronti. Presto
si trasferirà per l’università,
è inutile continuare con quella farsa di benevolenza.
Si sopportano a malapena, meno tempo trascorrono l’uno con
l’altro meglio stanno, per la maggior parte delle volte
evitano perfino di parlarsi. Dev’essere davvero una grande
sofferenza un figlio delinquente, e soprattutto incapace
d’innamorarsi di una ragazza.
Suo padre è stato il primo a sapere della rottura con
Victoria. Lo ha visto rientrare a casa insolitamente in anticipo
rispetto all’orario che gli aveva prospettato, e quando gli
aveva chiesto se fosse capitato qualcosa aveva risposto
seccamente:«Ho lasciato Victoria.»
Quella dev'essere stata l’ennesima delusione per suo padre,
ma in tutta franchezza a Jude non importa davvero più niente
di tutto ciò. Quella sera si era sentito forte come non gli
capitava da tempo, percepiva di essere riuscito finalmente a riprendere
in mano la propria vita.
E non avrebbe potuto desiderare niente di meglio, davvero.
In lontananza, Jude scorge Joe fare un cenno nella sua direzione. Senza
alcuna esitazione, si affretta a raggiungere i ragazzi.
Subito dopo aver informato suo padre della fine della sua relazione, a
saperlo sono stati i ragazzi. Caleb gli aveva lasciato una pacca sulla
spalla, soddisfatto.
«Era ora che ti decidessi a fare la cosa giusta»,
aveva commentato.
E lo era davvero. Suo padre vedeva in quel fidanzamento solo interessi
politici al pensiero di avere un ambasciatore parte della sua famiglia,
inoltre già lo immaginava sposato, lui e Victoria felici con
a carico un esercito di pargoletti. Se solo ci pensa a Jude viene il
voltastomaco.
Non è mai stato questo ciò che desidera per se
stesso. Si sente così sciocco al pensiero di essere rimasto
intrappolato in quella realtà per fin troppo tempo.
«Ehi!» saluta gli altri, entusiasta.
«In ritardo come le star» commenta Caleb, un
sorriso sardonico che gli compare in volto.
«Beh, a quanto pare c’è qualcuno che ha
tardato più di me, no?» replica Jude, posandosi le
mani sui fianchi, in segno di sfida.
«Sì, David non è ancora
arrivato» conferma Joe. Il ragazzo estrae il telefono dalla
tasca dei pantaloni, litigando un po’ con il tessuto
ingombrante della toga prima di riuscire a tirarlo fuori del tutto.
«Forse dovrei chiamarlo di nuovo…»
Caleb sta per fare uno dei suoi soliti commenti pungenti, Jude tuttavia
fa arrestare entrambi.
«Ragazzi, eccolo!» esclama infatti.
Gli altri due alzano la testa, e vedono a loro volta la figura di
David. L’amico sta correndo nella loro direzione, il fiato
corto e il volto arrossato.
«Siamo alle solite» commenta Caleb, in un sussurro.
Non appena li raggiunge, David si lancia tra le braccia di Joe,
scoppiando in una risata cristallina. Ci sono centinaia di altri
studenti a circondarli, ma a loro non importa. Jude vorrebbe
così tanto che la stessa cosa potesse valere anche per lui e
Ray.
«Non ditemi che volevate cominciare la festa senza di
me?» scherza David, sistemandosi una ciocca di capelli
turchini e scompigliati dopo la corsa dietro ad un orecchio.
«Oh, non lo abbiamo mai pensato…»
replica Caleb. Jude si rende conto che nella voce dell’ex
capo della banda c’è qualcosa di strano.
È passato tanto tempo dall’ultima volta in cui
hanno parlato, forse dovrebbe chiedergli se sia tutto a posto, tuttavia
non gliene viene concesso il tempo.
Poco dopo, infatti, una professoressa compare alle loro spalle, sulla
soglia dell’edificio.
«La cerimonia sta per cominciare!» annuncia, per
poi sparire l’istante successivo di nuovo
all’interno dell’istituto.
Jude guarda i suoi amici. Sa che continua a sembrargli tutto
così strano, come se il tempo fosse di colpo sospeso, ma
stanno effettivamente per mettere la parola fine a un capitolo
importante della loro vita. È tutto così solenne,
ma al tempo stesso inverosimile. Jude sorride.
«Forza, andiamo» esorta gli altri.
I locali della palestra sono stati riconvertiti in vista della
cerimonia. Centinaia di sedie di plastica si susseguono in file
ordinate lungo il parquet del campo di basket e, in fondo
all’enorme stanza, un fondale nero è stato
appoggiato a nascondere la presenza di uno dei canestri. Davanti a
quello che sembra essere un pezzo riciclato da una scenografia del club
di teatro, qualcuno ha montato un palco. Ci sono sedie a sufficienza
per tutti gli insegnanti, e una cattedra munita di microfono dalla
quale Jude immagina che il preside consegnerà i diplomi e
esporrà il suo discorso di fine anno.
Peccato che Jude non abbia voglia di ascoltare mezza parola proveniente
dalle labbra di Zoolan Rice.
Si è servito delle – discutibili – prove
di una studentessa minorenne pur di rovinare l'esistenza di un uomo che
aveva passato la vita a tormentare e di un ragazzo che nemmeno
conosceva. A Jude sembra di essere precipitato in uno di quei film
dalla trama assurda e irrealizzabile, e non è ancora certo
di essere riuscito a trovare la via d’uscita.
I ragazzi decidono di sedersi a metà del grande mare di
sedie. Jude si accorge che fin da lì riesce a vedere Ray,
seduto assieme ad altri professori sul palco. È impeccabile
nel completo scuro che indossa, e i capelli sono legati nella solita
coda bassa.
Gli manca. Terribilmente. Jude sa che è egoista da parte sua
aspettarselo, tuttavia spera che non abbia mai smesso di aspettarlo per
tutto quel tempo. Non sa come, ma è ancora certo di voler
tornare da lui.
Gli studenti continuano a prendere posto. Ad un certo punto, nella
folla, Jude si accorge di avere ancora una volta gli occhi grigi di
Victoria puntati su di sé. Gli basta una sola, breve
occhiata gelida per dissuaderla dall’osservarlo: non appena
la fulmina con lo sguardo, occhi rossi che inceneriscono i suoi color
del fumo, la ragazza punta all’istante lo sguardo a terra, il
volto rosso d’imbarazzo.
Per Jude quella è una parentesi di vita ampiamente conclusa.
Spera che Victoria se ne renda presto conto.
Non appena la stanza si è riempita del tutto, Zoolan si
avvicina al microfono e attira l’attenzione dei presenti,
cominciando il suo discorso. Come previsto, Jude non ne ascolta nemmeno
mezza parola.
Tra i ragazzi, in effetti, si è sollevato un argomento
decisamente più interessante.
«Caleb» chiede infatti David, «ma Camelia
non c’è?»
Sul volto dell’ex capo della banda compare, per la prima
volta da quella mattina, un’espressione triste. «Ha
detto che stava poco bene e non se la sentiva di venire»
ammette.
Jude s’impensierisce. Ha sottovalutato per mesi la salute di
Camelia, gli sembra di rendersene conto solo in quel momento. Gli
dispiace che lei non sia lì con loro, in quel momento:
Camelia è una parte effettiva della sua vita, Jude non se la
sentirebbe mai di tagliarla fuori. Le vuole bene, e sperava di poter
vivere quell’esperienza assieme a lei.
Non importa,
cerca di rassicurarsi. Sta per arrivare l’estate, ed
è certo che sarà un periodo meraviglioso che
vivranno assieme, tutti e cinque.
O tutti e sei, contando speranzosamente anche Ray. Non aveva motivo di
preoccuparsi.
«Jude Sharp»
La voce di Zoolan lo strappa violentemente dalle sue fantasie. Per un
momento Jude teme che voglia metterlo in ridicolo davanti a tutta la
scuola, lo scroscio di applausi che tuttavia lo travolge di
lì a poco gli fa capire cosa realmente stia succedendo.
Il ragazzo si alza in piedi, e accompagnato da quegli applausi che non
vogliono saperne di fermarsi cammina verso il palco.
Va tutto bene. Respira.
È il ragazzo che si è diplomato con i voti
più alti dell’istituto. Ha ottenuto
l’accesso ad una delle più prestigiose
università di tutto il paese.
All’improvviso un sorriso di consapevolezza compare sul volto
di Jude.
È tutto finito.
Nei pochi metri che lo separano dal palco, a Jude sembra di rivivere
tutti i momenti che ha trascorso in quel liceo. I voti altissimi in
matematica e quelli inspiegabilmente bassi in letteratura, la relazione
con Ray, l’ingresso nella banda, l’allontanamento
dagli studi e il conseguente riavvicinamento una volta risolta tutta la
situazione con i ragazzi, l’arrivo di quel nuovo preside che
aveva sconvolto loro l’esistenza, la rottura con Ray, il
dolore, la sofferenza, poi quel suo lanciarsi a capofitto nella storia
con Victoria, sperando che le cose tornassero alla
normalità. La scoperta delle menzogne, la rottura con la
ragazza, e poi, Ray, Ray, Ray…
Jude non riesce a toglierselo dalla testa. Per quanto si ostinasse a
negarlo, ha continuato a pensare a lui per tutti quei mesi. E adesso
è lì, a pochi passi da lui, e Jude vorrebbe con
tutto se stesso correre da lui e baciarlo davanti a tutti, noncurante
del loro parere.
Ma non può. Lo sa.
Gli occhi rossi tornano ad annegare in quelli neri, e
d’improvviso sembra che una luce sia tornata ad illuminare lo
sguardo di entrambi.
Jude sale i gradini del palco. Zoolan gli consegna il suo diploma.
Sotto la barba dell’uomo vi è un ghigno crudele,
ma quest’ultimo si infrange nel momento esatto in cui i suoi
occhi si posano sul ragazzo.
Jude sorride.
Zoolan ancora non lo sa, ma la partita l’ha vinta Jude.
Il ragazzo prende il diploma e si volta di spalle, tornando a scendere
giù dal palco, mentre gli altri studenti continuano a
battere le mani per lui.
Quando tutti i diplomi sono stati consegnati, ognuno lancia il proprio
tocco in aria. Alcune lacrime di commozione scorrono sul volto di
David, mentre Jude trattiene le proprie.
Non c’è tempo per piangere. Deve fare ancora una
cosa.
「 Brookline,
Boston, 5th June
h. 03:28 p.m.」
Una pioggia sottile tamburella contro i finestrini dell’auto.
Jude osserva con disinteresse il panorama esterno, invariato ormai da
interminabili minuti. È per questo che non ama muoversi in
auto a Boston, si finisce sempre per restare imbottigliati nel
traffico. Suo padre non sembra curarsi troppo della cosa: da quando
sono partiti da casa non ha mai smesso di parlare al telefono con uno
dei suoi più stretti collaboratori, discutendo sulle
prossime manovre politiche da effettuare o di alcuni avversari che gli
stanno dando del filo da torcere. Jude non è particolarmente
sorpreso dal fatto che l’uomo passi praticamente tutto il suo
tempo ad ignorarlo, è solo l’ennesima conferma
della disapprovazione che prova nei suoi confronti; Jude, tuttavia, non
riesce a biasimarlo: in fin dei conti, il loro è un
disinteresse reciproco.
La pioggia bagna tutto ciò che incontra sul suo cammino, le
pareti dei palazzi sembrano essere madide e grondanti d'acqua. Se si
perde con lo sguardo tra le varie architetture, capisce che lo stile
è così simile alla loro abitazione, segno che
hanno fatto veramente poca strada finora. Qualcuno fuori suona il
clacson, la fila interminabile non avanza di un millimetro.
Suo padre, ancora al telefono, borbotta nervosamente. È
buffo, per un uomo sempre così composto come lui.
«Lo so che sono in ritardo, Albert!» sbotta
frustrato al suo collaboratore. «Sembra che in questa
città la gente perda la capacità di muoversi non
appena dal cielo cominciano a cadere due gocce! Non puoi chiedere ai
rappresentanti di questa impresa di costruzioni di attendere ancora per
qualche minuto…?»
Jude poggia pigramente la testa contro lo sportello. Non sa ancora cosa
gli abbia detto il cervello quando ha accettato la proposta di suo
padre di seguirlo a questo importante incontro di lavoro. A lui non
interessa niente dei suoi impegni governativi, la politica non
è certo la strada che vuole prendere nella sua vita. La
verità è che a casa non ha niente da fare, e
piuttosto che restare rinchiuso tra quelle quattro mura a commiserarsi
su quanto faccia pena la sua vita ha pensato che andare con lui fosse
l’unico modo per distrarsi.
Deve ammettere che non sta funzionando per niente.
Qualcuno suona nuovamente il clacson, suo padre inveisce ancora una
volta contro il traffico e Jude sta seriamente cominciando a pensare di
mettersi ad ascoltare un po’ di musica in cuffia,
improvvisamente però la sua attenzione viene attirata da
qualcos’altro.
Non si è nemmeno accorto di quale sia la via in cui ora si
trovano.
Col tempo Jude ha imparato a conoscerla così bene, ed
è certo che anche i palazzi lì ormai sappianoo
chi lui sia. Troppe notti lo hanno osservato sfilare sui
marciapiedi, in un silenzio tombale, ed infilarsi in uno di quegli
appartamenti.
Lo trova subito, a pochi metri da loro. Si chiede come abbia fatto a
non notarlo prima.
Quando la banda era ancora in piedi, quello era stato il suo rifugio.
Lontano da casa, dalle continue ramanzine di suo padre e al tempo
stesso anche dall’alcol e dalle notti piene di eccessi di
Caleb e gli altri.
Un porto sicuro in cui sostare, mentre tutto intorno a lui era tempesta.
Si rende conto che, in effetti, in quegli ultimi mesi si è
trovato proprio nel bel mezzo di una burrasca, una relazione che non ha
mai desiderato, una delle sue più care amiche gravemente
malata, il rapporto con suo padre completamente perduto e, soprattutto,
l’unica persona che avrebbe voluto accanto così
lontana. Ray aveva questa straordinaria abitudine di riuscire a
rimettere tutto a posto, come era successo con l’arresto di
Caleb, l’anno precedente. Senza dubbio, se non fossero stati
divisi a causa di Victoria e Zoolan, sopportare quel periodo difficile
sarebbe stato meno gravoso.
Certo, ragionare per ipotesi non serve poi a molto. Ormai, teme di aver
perso Ray per sempre…
Quel pensiero fugace s’interrompe nel momento esatto in cui i
suoi occhi si posano sul portone d’ingresso del palazzo.
Qualcuno sta uscendo: osserva dubbioso il cielo e la pioggia che cade
giù da esso, incerto se prendere la bicicletta che tiene tra
le mani, ancora immobile sui gradini dell’uscio, mentre una
borsa di cuoio bruno gli pende da una spalla.
Per un momento Jude crede di esserselo immaginato, dopotutto una
visione così idilliaca sarebbe degna dei suoi sogni
più dolci, tuttavia è impossibile: non
confonderebbe mai Ray Dark con nessun’altra persona al mondo.
Ray abbassa lo sguardo, e sembra quasi che i loro occhi
s’incontrino ancora una volta: il rosso che annega nel nero,
che, di nuovo, gli chiede di essere salvato.
E così accade.
A Jude sembra di avere d’improvviso tutto chiaro. Si sente
uno sciocco per non averlo compreso prima, quasi gli viene da ridere.
Posa la mano sulla maniglia della portiera, sta quasi per aprirla
quando si rende conto che, nel frattempo, la telefonata di suo padre si
è conclusa.
Era così rapito dai suoi pensieri da non essersene reso
conto. Suo padre, il governatore Sharp, gli rivolge uno sguardo
affilato.
Ha compreso, Jude ne è certo. Deve aver visto anche lui Ray,
e in quegli occhi Jude non trova possibilità di perdono.
«Se scendi da questa macchina puoi smettere di considerarti
mio figlio» pronuncia, lapidario.
Agli occhi di Jude, quello è un ricatto in piena regola.
Scegliere tra suo padre e l’uomo che ama.
Non gli è mai sembrata una decisione così facile.
Non ha più nulla da spartire col governatore Sharp,
è da lungo tempo che il filo che li legava si è
spezzato, senza contare che a lungo, troppo a lungo è stato
costretto a restare lontano da Ray. E Jude è davvero stanco
di tutte quelle persone che si sono interposte nella loro relazione.
Jude si china in avanti. Sul suo volto compare un sorriso scaltro.
«Convivrò con questo peso» conclude.
Il volto del governatore Sharp diventa paonazzo dalla rabbia, ma Jude
non ha tempo per ascoltare qualsiasi replica abbia intenzione di
rifilargli. Tira la maniglia, e si lascia scivolare fuori dalla vettura
scura.
La portiera sbatte alle sue spalle, ma Jude non se ne cura. La pioggia
comincia a cadere sul suo corpo, e d’improvviso si ritrova
catapultato indietro di un anno, ed è di nuovo su quel ponte
di ferro. Non deve più scegliere tra vita e morte,
l’ha già presa la sua decisione, ed è
la migliore che potesse aspettarsi.
Jude inizia a correre. Le auto continuano a suonare il clacson e i
guidatori lo fissano con sguardi pieni di disapprovazione mentre cerca
di trovare uno spiraglio per attraversare quella strada affollatissima.
A Jude non importa davvero più di nulla. Vede solo lo
sguardo esterrefatto di Ray che non si scolla più dal suo, e
quella è la vittoria più grande per lui.
Senza dargli il tempo di dire una parola, sale quei gradini che li
separano trattenendo il fiato, per poi lanciarsi finalmente tra le sue
braccia. Preme le labbra sulle sue, e per la prima volta dopo mesi
sente di star facendo la cosa giusta.
I pezzi di un puzzle scomposto troppo a lungo che finalmente trovano la
loro collocazione, l’allineamento di pianeti che ha sempre
cercato.
Ray lo stringe come se tenesse tra le braccia la cosa più
preziosa del mondo, ma al tempo stesso senza alcuna intenzione di
lasciarlo andare più, mai più.
Jude lo avverte ricambiare quel bacio, e sente che potrebbe svenirgli
tra le braccia in quel preciso momento, tanta è la gioia di
averlo finalmente ritrovato.
È la prima volta in cui non si curano di ciò che
la gente possa pensare di loro. Non conta più nessuna
opinione, ci sono solo loro e quei baci di cui hanno sentito
così tanto la mancanza.
Nessuno dei due vorrebbe separarsi, ma Ray allontana appena i loro
volti, così che possano riprendere fiato. Accarezza piano le
guance di Jude, ancora incredulo al pensiero che sia lì,
davanti a lui.
«Ma… tuo padre… quella
ragazza…» accenna confuso.
«Non me ne importa niente» Jude prende a sua volta
il volto di Ray tra le mani, i loro occhi che continuano a divorarsi.
«Ti amo, voglio passare il resto della mia vita con
te… quello che pensano gli altri non mi interessa.»
Ray sorride e lo bacia nuovamente. Lo trascina piano
all’interno dell’edificio, e di colpo la pioggia,
Boston, nulla ha più senso. Ci sono solo loro, e quella
è l’unica cosa che conta.
Fare l’amore dopo tutti quei mesi di lontananza è
come cadere di nuovo per la prima volta nella spirale che
l’ha intrappolati fin dal primo momento, da quel bacio
nascosti dai finestrini di un’auto, e prima ancora gli
sguardi in classe, le chiacchierate, la voglia di scoprire insieme un
nuovo mondo, fatto di racconti e parole, provenienti da epoche vicine e
lontane, stralci di vite che facevano vibrare l’anima.
Jude si gode ogni momento, ogni tocco di Ray sul suo corpo, le dita che
sembrano voler lasciare un solco sui suoi fianchi, tanto ferrea
è la presa in cui li stringe. Le labbra sono incapaci di
staccarsi, i corpi ancora bagnati di pioggia si asciugano nella carezza
confortante delle lenzuola.
È tutto così bello e perfetto, e Jude si domanda
come abbia potuto rinunciarvi tanto a lungo. Anche quando tutto
è finito non riescono a smettere di annegare l’uno
negli occhi dell’altro, Ray che lo tiene stretto contro il
suo petto e al caldo sotto le coperte. È chiaro che non
hanno più intenzione di perdersi. Sorridono entrambi,
finalmente felici.
E di colpo Jude ci crede, a quel futuro assieme che tanto a lungo hanno
sognato.
「
Somerville,
Boston, 5th June
h. 05:17 p.m.」
Caleb
detesta i temporali.
Quella pioggia odiosa ha cominciato a cadere da qualche ora,
intensificandosi negli ultimi momenti. Insomma, stanno andando incontro
all’estate, possibile che debba ancora piovere?
Si stringe maggiormente il cappuccio attorno al capo, sbuffando
sonoramente. Sta andando a casa di Camelia, ed è
già terribilmente in ritardo.
Ha atteso a lungo quell’estate e beh, un temporale non
è esattamente il modo migliore in cui potesse cominciare, ma
non importa. Ci saranno un mare di giorni per recuperare, e sa
già che li passerà accanto a Camelia, per cui
saranno stupendi.
Questo basta a fargli tornare il sorriso sul volto. Non vede
l’ora di organizzare una giornata alla baia come
l’anno precedente, sarebbe bello tornare lì,
magari anche insieme ai ragazzi.
Caleb sta per mettersi a camminare più in fretta, motivato
da quei propositi, quando il suo cellulare si mette a suonare.
Non sa nemmeno come faccia a sentirlo sopra al trambusto del temporale,
dev’essere un caso.
Il ragazzo sbuffa di nuovo. Recupera in fretta il telefono dalla tasca
dei pantaloni, e si ferma per un momento sotto alla pioggia per
rispondere. Sarà sicuramente qualcosa di breve, immagina che
sia David per una delle sue solite idiozie…
Il numero che gli compare sul display è quello di Percival.
È strano che lo chiami, dopotutto sa che sta per arrivare a
casa loro.
Caleb decide di rispondere comunque.
«Pronto?»
Silenzio. La pioggia non si ferma. Caleb sente la voce
dall’altro capo del telefono, ma dopo le prime frasi
è come se non la stesse ascoltando veramente. Gli sembra che
il suo cervello sia incapace di processare quell’informazione.
La pioggia continua a cadere, mischiandosi alle lacrime.
Angolo
autrice
Ed eccolo
qui, finalmente, l'ultimo capitolo prima dell'epilogo. Se qualcuno
dovesse chiedermi se ho elaborato il fatto che tra dieci giorni
posterò la conclusione di questa storia la risposta
è no, non
è così. Ma andiamo avanti, non
è ancora il momento di parlare di questo, anche
perché penso che gli dedicherò ampio spazio nelle
note del prossimo capitolo, lol.
Sì, fondamentalmente questo aggiornamento si intitola ἔρως
e θάνατος,
concetto che mi porto dietro dalla terza media e che mi ha sempre
affascinata. Perché sì, questo capitolo
è di sicuro il trionfo dell'amore, ma non solo. Anyway, ci
arriviamo tra un attimo.
Andiamo con ordine. Anzitutto: la cerimonia dei diplomi. Pensandoci
bene è un cerchio che si chiude anche per me,
perché tre anni fa ho cominciato questa storia con i ragazzi
che frequentavano il liceo –
o meglio, che a causa della banda non
lo frequentavano –
e adesso si sono finalmente diplomati. Sono una proud mom, potrei
quasi commuovermi.
Come al solito Jude è il solito secchione e ha ottenuto i
voti più alti della scuola. Sì, è
anche entrato in un'università prestigiosa, ma non voglio
spoilerarvi niente, ne parleremo meglio nell'epilogo.
Tra l'altro in questo capitolo abbiamo chiuso diverse sottotrame, per
esempio quelle di Zoolan, Victoria e del signor Sharp. Personalmente
non ne sentirò affatto la mancanza, di nessuno di loro, ma
immagino lo sospettaste già.
A proposito di Victoria, spero che non vi sembri che l'abbia fatta
soffrire troppo. Per quanto mi riguarda, merita questo e altro.
E siamo arrivati finalmente al punto che aspettavo. C'è la
pioggia, come nella scena finale del penultimo capitolo di Dark
Necessities e, a ben pensarci, non è l'unica similitudine
tra i due pezzi.
Jude, prevedibilmente, ha scelto Ray, e io sinceramente non riesco a
fargliene una colpa, e non tanto perché siano la mia otp,
quanto piuttosto perché non riesco a immaginare l'uno vivere
senza l'altro. Se Jude fosse rimasto con suo padre, d'altronde, che
futuro avrebbe avuto? Infelice, e per sempre lontano dalla persona che
ama? Anche su questo discorso credo che torneremo nelle note finali
della long, per cui per ora mi limito a dire che sono felice che si
siano finalmente ricongiunti e... yaaay!,
I guess...?
La parte finale preferisco non spiegarla, anche perché temo
sarebbe uno spoiler immane. L'epilogo verterà praticamente
intorno ad essa, per cui credo di non poter far altro che lasciare
tutto alla vostra immaginazione –
anche se, secondo me, è tutto fin troppo chiaro, ma okay, io
sono l'autrice per cui sono di parte.
Credo di aver detto tutto per oggi un applauso a me che
finisco sempre per editare tutto all'ultimo nonostante i miei mille
buoni propositi, ahahah. Ci vediamo domenica 27 settembre
per l'epilogo –
ancora non ci credo.
Aria
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Capitolo 11 *** Epilogue – Do I wanna know ***
「 Baby we
both know
That the nights were
mainly made for saying things
that you can’t
say tomorrow day. 」
Artic Monkeys — Do I Wanna Know
Epilogue – one year
later
「 Cambridge,
Boston, 5th June
h. 09:02 a.m.」
Un raggio di sole fastidioso penetra dalla finestra, finendo
direttamente sul suo volto.
Jude mugugna pigramente, affondando il viso nel cuscino. Inspira a
fondo il profumo di pulito delle lenzuola, e subito un sorriso gli
compare sul volto.
Il ragazzo si ritrova a rotolare tra le lenzuola, finché non
si ritrova a puntare lo sguardo sul soffitto. Travi di legno che si
susseguono, in un’alternanza perfetta.
Percepisce una moltitudine di profumi: legno stagionato, il delizioso
profumo della carta dei libri e, infine, l’aroma meraviglioso
del caffè.
Il sorriso sul suo volto si allarga ancor di più mentre si
mette a sedere sul materasso.
Non si sono trasferiti da molto tempo nel campus universitario di
Harvard. Il letto è l’unico mobile che i
trasportatori non hanno ancora consegnato, ma Jude non riesce a
dispiacersene, in fin dei conti si trova comodissimo anche con il solo
materasso poggiato a terra. Le ultime due settimane sono state
piuttosto caotiche, piene di scatoloni da riempire, bagagliai
di automobili da colmare, viaggi da un appartamento all’altro
e poi la ricerca del posto adatto per ciascun oggetto nella loro nuova
collocazione, un attico da poco ristrutturato all’interno di
quello che, in pochissimo tempo, era diventato il loro nuovo mondo. Un
luogo piccolo, calmo, accogliente, il migliore che potesse desiderare.
Boston è veramente dietro l’angolo, eppure Jude
sente in un certo senso di essersela lasciata alle spalle. Il campus
è la sua nuova dimensione: le lezioni occupano la maggior
parte del suo tempo, ma quando è lontano dalle aule gli
piace entrare in un caffè e prendersi un cappuccino caldo da
sorseggiare.
In quella nuova dimensione si sente così a suo agio. I suoi
compagni di corso lo adorano, gli esami stanno andando benissimo
– ha sempre totalizzato il massimo dei voti, per ora
– e le lezioni sono una più interessante
dell’altra. È felice di aver scelto la
facoltà di matematica e non quella di economia, come invece
la sua famiglia aveva da sempre progettato per lui. Gli sembra di aver
cominciato a respirare veramente solo in quell’ultimo anno di
vita.
Il parquet scricchiola mentre dei passi si avvicinano a lui.
Istintivamente il volto del ragazzo si illumina di gioia.
Ray tiene in mano due tazze di caffè, e ricambia subito il
sorriso del ragazzo non appena lo vede seduto sul materasso.
«Oh, ti sei svegliato» commenta, sedendosi accanto
a lui. «Buongiorno, tesoro.»
Ray gli posa un bacio sulle labbra, e Jude sente il cuore battere ancor
più veloce. Quella convivenza è
l’esperienza migliore della sua vita, sul serio.
«Buongiorno» ricambia, lasciandosi passare la tazza
che Ray gli sta porgendo.
«Spero di non averti svegliato io mentre litigavo con i
fornelli» commenta, infilando una mano tra i capelli
arruffati del ragazzo e scompigliandoli ancor di più.
«Nah» lo rassicura Jude. «Diciamo
piuttosto che è stata colpa di un raggio di sole
dispettoso…»
Ray si prende il mento in una mano, pensieroso. «Mh, in
effetti forse dovremmo prendere delle tende…»
Jude sospira, ma un sorriso si forma comunque sul suo volto. Sgattaiola
piano lungo il letto fino a raggiungere la figura dell’uomo,
per poi accoccolarsi tra le sue gambe.
Ray Dark è l’uomo più straordinario che
esista al mondo, di questo Jude ne è convinto da molto
tempo. Dopo che Jude era tornato da lui, Ray gli aveva raccontato di
aver consegnato le dimissioni dal Cambridge Ringe già prima
della cerimonia dei diplomi. In inverno, dopo la loro separazione, Ray
aveva mandato il suo curriculum ad Harvard, certo che i dottorati che
aveva conseguito ai tempi del college e le varie ricerche che aveva
pubblicato su diverse riviste letterarie nel corso degli anni fossero
delle referenze più che valide. La verità
è che avrebbe potuto fare quel passo già molto
tempo prima, solo che fino ad allora non aveva avuto il coraggio
né, soprattutto, una valida motivazione per farlo. Certo, la
paga come insegnante in un liceo non sarebbe mai equivalsa a quella che
una delle migliori università americane avrebbe potuto
offrirgli, tuttavia nella piccola e quieta dimensione liceale non
s’era mai trovato male.
Da quando Zoolan aveva ottenuto la cattedra del liceo in cui
così a lungo aveva insegnato, tuttavia, la sua vita aveva
ricominciato ad essere un incubo. Credeva di essersi liberato di
quell’individuo una volta terminati gli studi, e invece no,
era tornato direttamente dal suo passato per rendergli ancora una volta
la vita un inferno. Quella volta, tuttavia, Ray aveva deciso di non
rimanere spettatore. Non voleva più osservare
immobile tutto ciò che nel tempo e con molti sacrifici aveva
costruito andare in frantumi, così s’era mosso
prima che fosse troppo tardi.
Il rettore Raimon si era dimostrato entusiasta al pensiero di assumere
uno dei più brillanti ex studenti
dell’università come nuovo professore. Ray aveva
ottenuto la cattedra di letteratura inglese moderna, e per lui era
stata una vera e propria benedizione. Nel momento in cui aveva
cominciato ad insegnare ad Harvard, a Jude gli era parso di vederlo
rinascere: di rado lo aveva mai visto così felice prima.
È tutto perfetto. Compreso il fatto che tutti sono a
conoscenza della loro relazione. Stanco di nascondersi, Ray prima di
accettare l’incarico aveva parlato con il rettore della loro
relazione. La sua risposta era stata semplice quanto spiazzante.
“Finché non interferisce con il tuo insegnamento,
non vedo che problema possa esserci.”
Ed era vero. Jude frequenta la facoltà di matematica, Ray
insegna in quella di letteratura. Due mondi che non avranno mai modo di
collidere e di influenzarsi dal punto di vista professionale.
Così era cominciata la loro nuova vita, fatta di passeggiate
mano nella mano lungo i viali del campus e pomeriggi passati a
sorseggiare insieme tè verde in una caffetteria. Felici,
innamorati, sotto agli occhi di tutti.
Il sogno che avevano sempre conservato si era finalmente realizzato.
Ray osserva accigliato il ragazzo, che gli si è stretto al
petto in cerca di protezione. Gli accarezza piano i capelli, scivolando
verso la spalla.
«Oggi è il giorno» mormora, intuendo le
sue preoccupazioni.
Jude si abbandona alle sue carezze. «Mh mh» mugola,
ancora intrappolato nei suoi pensieri.
Ray si china piano su di lui. Gli tiene il volto tra le mani, e lo
bacia con tutta la dolcezza del mondo. Percepisce la paura crescere
piano dentro di lui, e adesso vorrebbe solo poter alleggerire un poco
il peso che gli grava sul cuore.
«Ehi» lo chiama piano. «Sarò
lì accanto a te, non hai nulla di cui temere. Ho intenzione
di tenere la tua mano stretta e di non lasciarla nemmeno per un
secondo…»
Ray si interrompe, avvertendo il ragazzo affondare il volto contro il
suo petto e strusciarsi sul tessuto candido della camicia che indossa.
«Lo so» ammette. «Tu sei
l’unico motivo per cui sento di potercela
fare…»
Ray gli posa piano un bacio tra i capelli. Ce la farebbe comunque,
perché per quanto Jude si ostini a non volerlo comprendere
lui è probabilmente la persona più forte che
abbia mai conosciuto in vita sua, ma se il suo supporto può
essergli in qualche modo d’aiuto Ray è determinato
a non farglielo mai mancare in alcun modo.
«Partiamo solo quando te la senti» conclude,
continuando a tenerlo stretto a sé.
L’autostrada si schiude davanti a loro come una lunga lingua
di asfalto grigio.
Jude preme la suola delle sue scarpe contro il cruscotto
dell’auto. Ray ha perso il conto delle volte in cui gli ha
chiesto di non farlo, ma ormai si è arreso.
E poi quello non è un giorno come un altro. È
tutto diverso, e lo sanno bene entrambi.
«Hai più sentito tuo padre?» domanda
soprappensiero.
Jude cambia stazione radio e Ray si morde la lingua, certo di aver
combinato un casino. Apparentemente, però, non è
così.
«No» si limita a rispondere Jude.
Il ragazzo volta lo sguardo di lato, mettendosi a fissare le auto che
scorrono accanto a loro lungo la strada. È una giornata
calda, e il sole è alto nel cielo. Una strana discordanza,
considerando che esattamente un anno fa quello stesso giorno si era
scatenato un violento temporale.
A ripensarci bene, forse si era trattata di un’avvisaglia di
quello che sarebbe successo poche ore dopo.
Jude viene rapito nuovamente dai suoi pensieri. No, non ha
più sentito suo padre da quando, quel pomeriggio a
Brookline, ha scelto Ray. Sinceramente, la cosa non gli ha mai pesato
per nulla, perché alla fine lui ha sempre voluto passare il
resto della sua vita con Ray, e ora che finalmente
c’è riuscito sente di non avere alcun rimpianto.
Non sa se un giorno lui e suo padre torneranno a parlarsi, per ora si
accontenta di quella nuova normalità che così
tanto ama.
Più si avvicinano alla loro meta, e più Jude
sente quel peso che già dal mattino s’è
fermato nel suo petto crescere ancor di più. Non
c’è nulla di bello nel momento che si stanno
apprestando a vivere, lo sa bene.
Ray svolta a destra, e la macchina imbocca un ampio viale. Fin da
lì, Jude riesce a vedere le mura alte che si stagliano verso
il cielo.
La macchina s’arresta. Jude comprende che sono arrivati.
Scende piano dall’auto, mentre Ray recupera dai sedili
posteriori ciò che hanno portato.
Non appena lo raggiunge, Jude lo sente stringergli la mano, e gli
è così grato per quel gesto.
Non è da solo. Sono insieme. Affronteranno insieme
ciò che sta per accadere.
S’incamminano assieme verso i cancelli, e Jude riesce ad
individuare fin da lì le tre figure che li stanno attendendo.
Non vede i ragazzi dall’estate precedente, ed è
grato di averli finalmente ritrovati, anche se si sarebbe auspicato
delle circostanze più liete.
David si era iscritto all’università di San
Francisco. Joe, chiaramente, l’aveva seguito, e aveva trovato
lavoro presso un’officina in città. I due sembrano
il ritratto della felicità, e la loro relazione procede a
gonfie vele.
Caleb, invece, era rimasto a Boston. Si manteneva trovando di tanto in
tanto qualche lavoretto saltuario, tuttavia nessuno di loro aveva
informazioni precise al riguardo.
Non appena lo vede avvicinarsi, David gli rivolge un sorriso smagliante.
«Jude» lo saluta. «Sono felice che siate
venuti.»
«Ciao, ragazzi» ricambia Jude, incerto.
Joe accenna un saluto a mezza voce, mentre Caleb si limita ad
osservarlo. In quegli occhi verdi Jude ci legge un mare di emozioni, da
troppo tempo tuttavia vi vede albergare una tristezza che mai avrebbe
immaginato di attribuire all’ex capo della banda. Purtroppo
però è evidente che nel corso
dell’ultimo anno le cose non sono cambiate poi molto.
«Andiamo?» domanda Joe, e sa già che la
risposta rimarrà sospesa nell’aria.
Varcano i grandi cancelli di ferro in un silenzio inviolabile. Jude
continua a tenere la mano di Ray serrata nella propria, e gli pare
l’ultimo contatto che ancora gli rimane con la
realtà. David sta tutto stretto al corpo di Joe, e fatica
già a trattenere i singhiozzi.
Caleb è imperscrutabile. Più Jude ci pensa, e
più non riesce a fare a meno di chiedersi se lasciarlo da
solo in quei mesi sia stata la scelta giusta. I primi tempi ha fatto la
spola tra Boston e l’università, cercando di
rimanergli vicino quanto più possibile. Ora che
però la vita universitaria l’ha risucchiato del
tutto, non può che chiedersi se le cose siano migliorate.
Il cimitero di Boston è una continua alternanza tra piccole
lapidi e mausolei imponenti. Jude lo ricorda ancora
dall’unica altra volta in cui è entrato
lì, circa un anno prima. Quel luogo riesce ad infondergli
uno strano senso di soggezione, che lo porta ad affondare il capo nella
felpa e le mani ancor più a fondo nelle tasche. Ray tiene
tra le mani un mazzo di piccoli fiori azzurri, non ti scordar di me.
È sembrata loro la scelta floreale migliore: nel nome
risiede tutto ciò che hanno da dire.
L’idea di quell’incontro è stata di
Caleb, ma a contattarlo ci ha pensato David. Per un po’ Jude
si è chiesto il perché di
quell’anomalia, ed è giunto alla conclusione che,
forse, Caleb non avrebbe avuto le forze per pensarci da solo.
Si fermano solo una volta raggiunta una lapide in particolare.
È di pietra, bianca e lucida, e sembra spiccare tra le altre
che la circondano.
In alto al centro compare la foto della persona sepolta là
sotto: una ragazza dai capelli violetti, che nello scatto tiene gli
occhi chiusi mentre un sorriso le solca il viso.
Jude non avrebbe saputo scegliere una foto migliore per rappresentare
Camelia: una ragazza dolcissima, sempre sorridente, altruista e leale.
Era stata il collante delle anime di quei quattro ragazzi disperati, la
luce nella loro miseria.
No, non è riuscita a vincere la sua battaglia. Ma
l’ha condotta fino alla fine con una grande perseveranza, e
forse questo è ciò che conta di più.
David e Joe sono i primi a deporre i fiori accanto al sepolcro.
«Me lo ricordo ancora il giorno in cui Caleb ci ha
presentati» racconta David. «Avevi un sorriso
delizioso, ed è lo stesso che ti è rimasto sempre
in volto. Anche quando passavo ad aiutarti con lo studio, negli ultimi
mesi, non hai mai smesso di sorridere. Senza di te non so dove saremmo
oggi. Ci hai aiutati a ritrovare la strada, e d‒di questo te ne saremo
sempre grati…»
La voce di David si spezza verso la fine. Le lacrime bagnano copiose il
suo volto, e Joe lo aiuta ad allontanarsi pacatamente, cercando di
provare a fargli riprendere fiato.
Jude sa che ora tocca a lui. Non lascia la mano di Ray nemmeno per un
momento, e si avvicinano assieme alla lapide. Posa i non ti scordar di
me accanto ai fiori di David e Joe, e poi, lentamente, comincia a
parlare.
«Siamo sempre state quattro navi perse nel mare»
ammette. «Cercavamo una via, la luce di un faro che
c’indicasse la rotta da percorrere, senza però
riuscire a trovarla. Se c’era qualcosa su cui fossimo tutti
d’accordo, tuttavia, era il fatto che tu stessa fossi una
luce di salvezza. Quando Caleb ci parlava di te, vedevamo i suoi occhi
illuminarsi, e per un attimo ci sembrava di averla trovata, la via per
fuggire dal baratro che ci aveva inghiottiti. Ci avevano definiti
“giovani senza speranze”, senza un futuro, ma credo
che se adesso quel futuro l’abbiamo trovato sia solo merito
tuo. Caleb è letteralmente tornato alla vita grazie a te,
noi abbiamo ricominciato a studiare, ci siamo diplomati…
tutto per merito tuo. Questo non significa che non ci siano stati altri
momenti bui. Mi ricordo che l’anno scorso mi ero
letteralmente perso, mi guardavo allo specchio senza riconoscermi.
Quando ne ho parlato con te, però, tu sorridendo sei stata
in grado di farmi aprire gli occhi. Finalmente ho capito quello che
avrei dovuto fare, e se oggi sono la persona che sono non esagero
dicendo che il merito è quasi tutto tuo. Sei stata una delle
migliori amiche che potessi desiderare...»
Jude si ferma. Respira a fondo e tira su col naso, cercando di non
crollare proprio all’ultimo.
«Ti voglio bene, Camelia. Riposa in pace, ovunque tu
sia» conclude.
Un brivido gli corre lungo la schiena. Ray lo stringe forte a
sé, e insieme si allontanano di qualche passo.
L’ultimo ad essere rimasto davanti alla lapide è
Caleb. Per un momento un sorriso triste gli compare sul volto:
è fin troppo evidente che gli altri gli abbiano voluto
lasciare un po’ di tempo da solo.
Si avvicina alla lapide, inginocchiandosi a terra. Posa i propri fiori
tra quelli di David e gli altri portati da Jude, per poi passare le
dita lungo la pietra candida e gelida. Stacca piano alcuni fili
d’erba che sono cresciuti in prossimità del
sepolcro, infine si perde per un momento ad accarezzare la foto di
quella che è stata la sua ragazza.
L’ha amata. L’ha amata con tutto se stesso, e
l’ama tutt’ora. Non riesce ad immaginare di poter
amare un’altra persona tanto quanto ha amato lei.
«Beh, è stato un bel viaggio» commenta.
«Penso che non ti dimenticherò mai.»
Un soffio di vento si alza, carezzando la pelle di Caleb, e per un
momento gli occhi del ragazzo si riempiono di lacrime. Caleb le
ricaccia subito indietro, troppo l’orgoglio che gli arde
dentro per mostrarsi più vulnerabile di quanto
già sia, e volta la testa di lato.
Si rimette in piedi, piano. Non riesce a fare a meno di pensare che
quel soffio di vento sia stato l’ultimo saluto di Camelia.
Caleb tossisce, cercando di ricacciare quelle lacrime che, nel mentre,
gli sono di nuovo salite agli occhi. Volta lentamente le spalle alla
tomba, per poi cominciare a raggiungere gli altri.
David e Jude gli sorridono. Insieme, un passo alla volta, cominciano ad
avviarsi nuovamente verso i cancelli del cimitero.
Prendono ancora una volta tre strade differenti: Ray e Jude
s’incamminano verso Harvard, David e Joe partono in
direzione San Francisco, e a Caleb infine non resta che avviarsi verso
il suo appartamento, lì a Boston.
Anche se adesso vivono lontani, sanno che il legame che li unisce non
si spezzerà mai del tutto.
È quello che Camelia avrebbe voluto per loro.
Angolo
autrice
È
strano
mettere la parola "fine" a questa storia. Penso a quando l'ho
cominciata, ormai quasi tre anni fa, e a tutte le volte in cui sono
stata certa che no, non l'avrei mai conclusa. E invece no, ecco che
adesso siamo qui, all'epilogo. Do I wanna know ha voluto dire tanto per
me, è stata una compagna di viaggio per lungo tempo e adesso
che è arrivato il momento di salutarci penso a quante cose
sono cambiate nel frattempo. Lo stile che è mutato non
è che la punta dell'iceberg; sto letteralmente per
affacciarmi a una nuova fase della mia vita, e probabilmente la ragazza
che aveva così tanto bisogno di fuggire da questo fandom una
volta finita Dark Necessities adesso non c'è più.
Ed è un grande passo avanti, aver compreso che fuggire non
serve a niente e che, in fondo, io qui mi sento un po' come a casa. Una
casa da cui sono scappata a lungo, perché di colpo per me
non era più ospitale, ma è bello vedere che, di
tanto in tanto, le cose cambino anche in maniera positiva.
Parlo. Parlo tanto, tantissimo, e so che lo sto facendo per
tergiversare. Rileggere quest'epilogo mi ha fatto male, profondamente.
L'ho scritto a fine maggio e, esattamente un mese dopo, ho vissuto un
lutto che mi ha segnata, e mi segna tutt'ora. È
stato tutto così strano, soprattutto rileggere la scena
finale, in cui Caleb sente quel soffio di vento sfiorargli la pelle, a
distanza di mesi, perché mi sono resa conto che,
quest'estate, è accaduta la stessa identica cosa a me. Ho
perso qualcuno, qualcuno a cui sono stata profondamente legata. La
notizia mi è arrivata il giorno in cui ho pubblicato il
secondo capitolo di questa long, infatti non so con quale forza io sia
riuscita a farlo. Poi, il giorno del funerale, ho sentito quello stesso
vento alzarsi, e più ci penso e più mi convinco
del fatto che non sia una coincidenza. Un paio di settimane fa, dopo
aver editato lo scorso aggiornamento, ho riletto per la prima volta
l'epilogo, dopo averlo scritto a maggio, e ritrovare quella scena,
quella stessa scena che avevo vissuto in prima persona a fine giugno
m'ha provocato un dolore simile a una coltellata, perché per
me è stato come essere di nuovo lì, a quel
funerale. Fa così strano, è come se avessi
anticipato gli eventi della vita reale, e anche se so che non
è così non riesco a non sentirmi in colpa per
questo.
Quando ho finito la storia non avevo ancora idea di cosa significasse
perdere qualcuno a cui hai voluto così tanto bene. Ora ce
l'ho, e posso assicurarvi che ogni dolore è amplificato.
Perché sì, per quanto possa aver lasciato la cosa
sul vago alla fine dello scorso capitolo, Camelia è morta,
non c'è più. A distanza di un anno, la banda si
riunisce, e le porge ancora una volta i suoi saluti.
Jude e Ray vivono insieme, e io, ovviamente, sono felice. Stanotte
m'è venuto in mente che ci sarebbe potuta stare bene una
scena in cui Ray aiutava Jude a prepararsi, ma non l'ho messa, sia a
causa della mia innata pigrizia, sia perché ormai era troppo
tardi per aggiungerla e sia perché, essendo
io scema, ogni volta che modifico a posteriori una scena che
ho già scritto tutto il risultato finisce per non
soddisfarmi più. E così penso che ci limiteremo a
gioire perché la mia coppietta preferita finalmente
può vivere insieme felice e contenta, facendo ciò
che amano e soprattutto senza Zoolan, Victoria o signor Sharp vari ed
eventuali a rovinare loro la vita, yaay.
Per i motivi di cui vi ho parlato sopra faccio fatica a commentare la
scena del cimitero. Penso che mi limiterò a lasciarvi una
chiosa finale.
Diwk ha sempre voluto dire molto per me e, dopo quello che è
successo quest'estate, significa ancora di più. Non
m'importa del mancato riscontro, questa storia resterà
online, a imperitura memoria, perché è giusto che
sia così, perché dopo tre anni è bene
che la storia si concluda e resti qui col suo epilogo. Poi
chissà, magari un giorno qualcuno in preda alla noia
finirà per imbattersi in questa ff, deciderà di
leggerla e io non potrò che esserne più lieta. A
tal proposito, ringrazio chiunque abbia deciso di leggerla e chi lo
farà in futuro, chi ha inserito la storia tra le preferite o
anche chi si è solo limitato a seguirla. Per me è
un sostegno che vale più di quanto possiate immaginare, sul
serio.
E adesso? Non lo so. Ho scritto una flash che dovrebbe partecipare ad
un contest e che dovrei pubblicare tra una decina di giorni, ma vi
confesso che non so ancora se lo farò, visto che non sono
particolarmente soddisfatta del risultato. Dopodiché, penso
che mi prenderò una pausa un po' da tutto, compreso il mondo
delle ff. Ho scritto e pubblicato tanto, quest'anno, e forse con la
chiusura di questa long a cui ho lavorato tanto a lungo ci sta che
riprenda fiato. Per un folle attimo ho pensato di partecipare al
writober, ma... nah, siete salvi ahahah.
E
così siamo all'epilogo di questo capitolo della mia vita. Da
domani dovrei anche cominciare le lezioni all'università,
per cui sì, ci siamo.
Grazie a chiunque ci sia stato, e anche a chi non c'è
più.
Aria
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