Gemme gemelle

di dispatia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I come Imprevisto ***
Capitolo 2: *** D come Duello ***



Capitolo 1
*** I come Imprevisto ***


 
Nota importante prima di cominciare:
Questa raccolta è basata sul manga di yu-gi-oh GX, che segue una story-line abbastanza diversa da quella dell'anime (abbastanza per non dire che fa totalmente di testa sua). E sarò sincera, non ho idea di cosa sia canon sia nel manga che nell'anime, perché l'anime l'ho praticamente appena iniziato, dato che sono schifosamente pigra. In ogni caso, è tutto spiegato nel testo, quindi non credo ci siano problemi per chi non ha mai letto il manga – in caso, basta chiedere!! O cercare le scan del manga e leggere di prima mano ;3 ne vale la pena.
Unica nota, le personalità dei personaggi del manga sono leggermente diverse da quelle dell'anime. Ryo è, secondo me, più "soft", meno rigido – un pochino pochino – e più affettuoso (dio, non fa altro che stare fianco a fianco a Fubuki) mentre per quanto riguarda quest'ultimo non ne ho assolutamente idea, ma non mi stupirebbe se la personalità da donnaiolo fosse invariata onestamente.
 
 
 
 
I COME IMPREVISTO
 

 
— Quindi, Ryo, cosa ne pensi dell'America?
— Non lo so, non siamo neanche arrivati.
Fubuki gettò un'occhiata al suo compagno di cabina, con un esasperato giramento degli occhi riferito forse a lui, forse al libro che stava leggendo. Trovava quasi ridicolo che si fosse messo a studiare nel momento stesso in cui avevano messo piede in quella nave, quasi tre ore prima, e non avesse smesso se non per cenare: per quanto potesse essere inflessibile e preciso come una macchina, Ryo era comunque un adolescente, prima del miglior studente dell'Accademia e prima ancora che un duellante in generale.
Perlomeno, a cena aveva finalmente dimostrato un'ombra di emozione – forse nervosismo, o forse la realizzazione che erano davvero diretti verso l'America, che davvero ci sarebbero stati per due mesi, e che davvero avrebbe dovuto sopportare Fubuki come unico altro giapponese con cui fare squadra almeno finché qualcun'altro non fosse stato scelto per quello stesso scambio. Si era sinceramente chiesto quanti pensieri gli passassero per la mente in quel momento, e avrebbe voluto chiederglielo direttamente, ma quando era tornato in cabina, Ryo era già chino su qualche ricerca o qualche compito facoltativo – qualsiasi cosa fosse, non lo interessava particolarmente –, e non gli aveva prestato più un briciolo di attenzione.
Qualcuno con l'ego più fragile si sarebbe offeso.
Non Fubuki.
— Sai cosa intendo. Pensa a quante belle ragazze, quante spiagge e...
— Non siamo in vacanza, siamo lì per studiare.
Ryo finse di non vedere il secondo giro completo dei suoi occhi dietro il cranio, e tornò a fissare la stessa pagina che stava cercando di studiare da mezz'ora. Non era neanche sicuro di cosa stesse cercando di fare. Assicurarsi di essere al pari anche quando non gli era richiesto? Calmarsi? Ignorare il suo compagno di stanza? Probabilmente tutte e tre.
Tamburellò le dita sul tavolo, con un sospiro, il viso appoggiato mollemente su una mano. Non che non si aspettasse di essere scelto per qualcosa del genere, tutt'altro. Fin da quando per la prima volta era stata accennata la possibilità di uno scambio culturale per gli studenti migliori aveva avuto l'assoluta certezza che sarebbe stato su quella nave, e se doveva essere totalmente sincero, era stato sicuro al novantanove per cento che Fubuki sarebbe stato lì al suo fianco. Per quanto avesse volontariamente scelto di essere "degradato" dal suo posto di "miglior studente", il Fubu-king era pur sempre il Fubu-king (quel soprannome era stato così stupido da rimanergli impresso, e poi quando era diventato Kaiser non aveva neanche più avuto modo di prenderlo in giro).
— Guarda che lo so che non stai studiando.
Smise di rigirarsi la penna fra le dita, con uno sguardo di avvertimento atto a far ritirare all'altro la mano che gli aveva posato con troppa leggerezza sulla spalla.
Non gli piaceva il contatto fisico. 
No, non era vero. Non gli piaceva il contatto fisico da lui.
Non gli era chiaro il motivo, ma ogni volta che si sfioravano, ultimamente, si sentiva attraversare da una scarica elettrica a livello emotivo. Lo metteva a disagio, sentirlo così vicino, quando riusciva a sentire il suo profumo, il suo calore, e a discernere perfettamente ogni sfumatura del suo shampoo. Era fastidioso, e gli dava il mal di stomaco.
Non aveva mai ammesso a se stesso che quel "mal di stomaco" era piacevole, e che non gli dispiaceva davvero, quel fastidio – che forse non era neanche corretto, definirlo così. Era una questione che non capiva, e nella quale non gli interessava neanche indagare troppo. I sentimenti non erano il suo forte, e aveva già abbastanza da fare nella sua strada per diventare un duellante prefessionale senza perdere tempo prezioso ad analizzare cosa ci fosse di così buono nella sua crema per il viso.
E in ogni caso, non voleva essere toccato da lui.
Si scansò, nello stesso momento in cui Fubuki si tirò indietro, e si aspettava la questione finisse lì. Invece neanche un attimo di respiro e se lo ritrovò con la testa sopra la sua, il petto contro la sua schiena. Avrebbe voluto alzarsi e costringerlo a spostarsi, ma per qualche motivo si scoprì immobile al suo posto, come paralizzato. Non era male. Aveva un buon profumo, e si mischiava perfettamente con quello del sale e del mare per essere stato troppo tempo sul ponte; inoltre lo stava facendo per attirare la sua attenzione, e non gli avrebbe dato quella soddisfazione.
Poteva rimanere quanto voleva.
— Starei studiando, se tu mi lasciassi.
— In realtà non ne hai voglia neanche tu. Questi giorni in mare sono l'unica vera pausa che avremo per Dio sa quanto tempo Ryo! Dovremmo godercela!
— Fubuki-
S'interruppe di colpo, quando si sentì girare la sedia per ritrovarsi faccia a faccia con un sorriso che sapeva di guai.
Non l'avrebbe trascinato in una delle sue avventure notturne. Non di nuovo. Era tanto bravo a tirarlo fuori dalla sua zona di comfort quanto a crearsi da solo problemi facilmente evitabili con un minimo di buon senso.
— Andiamo a fare amicizia con gli altri nella nave.
— Vuoi dirmi che non ci hai già fatto amicizia da solo?
Per quanto la sua voce fosse sempre calma e statica, quella punta di sarcasmo non passò inosservata.
— Cos'é, vuoi prendermi in giro per essere charming e irrestistible?
— Sono felice di sapere che hai ampliato il tuo vocabolario inglese prima di partire.
— Non evitare la mia domanda!
Bastò la risata di Ryo, per quanto soffice e soffocata, a sciogliere Fubuki di qualsiasi dubbio. Voleva sentirlo ridere di nuovo, e se per farlo avesse dovuto prenderlo in braccio e costringerlo con la forza, l'avrebbe fatto.
— Non fare l'asociale Kaiser. Vieni a fare amicizia.
— Ho già abbastanza amici. Tu vali per dieci.
Fece per girarsi di nuovo sulla sedia, solo per essere afferrato dall'altro. Si girò di scatto, per dirgli di piantarla di toccarlo così tanto, che non poteva sempre fare come voleva, che era importante studiare e prepararsi, più che "fare amicizia" o qualcosa del genere – che non gli piaceva la confusione, e sperava l'avesse capito, in quegli anni. Invece gli si bloccarono le parole in gola, di fronte alla sua espressione implorante.
Era così vicino da mandargli in corto-circuito il cervello. Ci fu un attimo di pausa, che sembrò durare un eternità; Fubuki si fece più serio, il rumore delle onde e dei gabbiani si attutì fino a diventare nullo. Giurò che si fosse avvicinato, prima che riuscisse a ritornare in sè e scostare il viso di scatto, rendendosi conto di essere arrossito.
Altro silenzio. Si ostinò a non guardarlo, mentre si rimetteva dritto e sospirava.
Non aveva la minima idea di cosa fosse appena successo, e non sapeva se stesse provando paura o eccitazione. Aveva sentito dire che le due cose si assomigliassero spaventosamente. Credeva fosse un'idiozia.
— Mi dispiace. Non volevo metterti pressione.
Mormorò Fubuki, alla fine. Dai passi Ryo immaginò si stesse dirigendo verso la porta.
E all'improvviso non voleva vederlo andare via senza di lui.
— Aspetta.
Quell'espressione felice valeva la pena soffrire un po' una situazione scomoda. Era ingiustamente bello quando lo guardava così, un po' incredulo, come un bambino a cui veniva fatto quel regalo troppo costoso che non si aspettava davvero; perdeva la facciata da donnaiolo, lo sguardo scherzosamente malizioso che sembrava piacere così tanto, e rimaneva soltanto la sua versione più pura e cristallina.
— Vengo con te.
— Grandioso!
Il momento eroico era passato molto più in fretta di quanto si aspettasse, e stava già iniziando a pentirsi della sua scelta.
— Allora devi cambiarti i vestiti, perché così rovini l'atmosfera.
Ryo sospirò, passandosi una mano fra i capelli. Se non gli avesse voluto così tanto bene l'avrebbe odiato a morte.

 
Fra le svariate cose che aveva sempre ammirato di Fubuki c'era la sua assurda capacità di mimetizzarsi come un camaleonte in ogni ambiente, senza perdere una battuta. Non sembrava mai a disagio, mai nervoso, non esitava mai ed era impossibile non adorarlo. Era sempre circondato da una sorta di aura divina, ballando dei passi che lui non capiva e non riusciva a seguire.
Si erano seduti ad un tavolino, uno di fianco all'altro, e come sempre succedeva si erano ritrovati circondati di persone come luci per le falene. Fubuki si comportava come se li conoscesse tutti da anni, specialmente quel paio di ragazze che continuavano a chinarsi verso di lui, ridacchiare e giocherellare coi capelli. Chissà perché Ryo le trovava insopportabili, e dovevano rendersene conto perché evitavano accuratamente di incrociare il suo sguardo.
Se non ci fosse stato l'altro, si sarebbe alzato e andato in meno di un secondo, ma voleva farlo contento, per una volta. E poi non era così indifferente a quella forza magnetica, al suo modo di sorridere e scoccare occhiate come armi e lasciarsi scivolare accidentalmente qualche parola di troppo che in realtà sapeva essere calibrata al millimetro per colpire dove serviva. Era davvero un animale sociale – ed un don Giovanni –, e proprio per questo Ryo si ritrovava a dover distogliere con la forza lo sguardo dal suo viso prima che sembrasse ambiguo, sforzandosi di concentrarsi sul suo drink, sugli altri, sulla macchinetta dei pop-corn, solo per pensare distrattamente a quanto era bella la sua voce e all'improvviso lo stava guardando di nuovo, e aveva bisogno di bruciarsi di nuovo la gola con l'alcool.
Era tutto molto più faticoso di quanto pensasse, e non capiva perché. Era solo Fubuki. Era sempre il solito stupido ragazzo che aveva conosciuto anni e anni prima, al suo primo regionale, lo stesso che a nove anni gli aveva regalato un braccialetto dell'amicizia in cui era riuscito a sbagliare il nome, e che a dieci gli aveva regalato le sue bustine protettive edizione limitata piangendo tutto il tempo, tanto che si era sinceramente chiesto per quale motivo maledetto lo stesse facendo. Lo stesso Fubuki che cadeva costantemente dalla bicicletta, ed era impacciato nei vestiti eleganti dei campionati finché non era arrivato all'età giusta per capirne il fascino, e che d'estate ogni tanto gli si addormentava contro dopo aver passato troppo tempo a surfare. Lo stesso, sempre lo stesso.
E i suoi sentimenti verso di lui, anche quelli erano sempre gli stessi. Amichevole rivalità, amicizia, rispetto. Non c'era nulla di diverso fra loro, nulla di tangibile. Eppure, era tutto mille volte più intenso.
Si rese conto che si era zittito.
Intorno a loro, gli altri continuavano a bisbigliare, creando un brusìo che si mescolava con la musica jazz, eppure quasi Ryo non se ne rendeva conto. Si riflesse in quegli occhi marroni – erano sempre stati così grandi, così belli, così... preoccupati? –, e ci mise un po' a realizzare quello che stava succedendo. Si tirò un poco indietro nei divanetti, per quanto possibile dato che si era stupidamente messo al lato estremo, e si sforzò di guardare altrove finché la sua voce non lo costrinse a voltarsi di nuovo.
— Stai bene?
Rigirò il ghiaccio nel bicchiere, sforzandosi di non incrociare i suoi occhi. Poteva immaginarseli, così limpidi da specchiarvisi dentro – e perdersi.
Ryo non era mai stato bravo con i sentimenti. Ryo era freddo, concentrato, preciso come un bisturi e ugualmente tagliente; era un Kaiser compassato ed intelligente, dove la parte sinistra del suo cervello comandava alla perfezione tutto quanto. I sentimenti erano caotici, imprevedibili, violenti come uno tsunami e tendenzialmente superflui; erano materia di Fubuki, quelli.
Era così distaccato dalle sue stesse emozioni che dove chiunque altro avrebbe capito in un istante il suo problema, lui annaspava, finendo a sentirsi solamente frustrato e in difensiva, incapace di difendersi da ciò che non vedeva. E così in quel momento era arrabbiato con se stesso, e confuso, terribilmente confuso.
La sua logica era la sua qualità più sviluppata. Dov'era finita?
— Sto bene. Sai che non mi piacciono troppo le persone.
Mormorò alla fine, bevendo un altro sorso nonostante non ci fosse quasi più nulla. Ora che ci pensava, avevano il permesso di bere? Quante lavate di capo avrebbe subito nel momento in cui fosse saltato fuori?
— Perché non provi a socializzare e guardi tutti come se li volessi uccidere Ryo! Cerca di tirare su un sorriso, dai.
Prima ancora che potesse ribattere fu faccia a faccia con Fubuki, che tentava di tirargli su gli angoli della bocca, e solo un'entità superiore gli impedì di spingerlo giù prima dal divanetto e poi dall'oblò, in mare aperto. Come faceva ad essere sempre così stupido, e fuori luogo, e...
— Hai sorriso! Hai sorriso! Fallo di nuovo!
— Non sono un'animale da circo. Piantala.
— Ma sei così bello quando sorridi-
Troncò di colpo, ma era troppo tardi. Quella singola frase era stata come un colpo allo stomaco, la ciliegina sulla torta di quel momento che stava andando fuori controllo troppo in fretta.
— Uh- intendevo- ecco- piaceresti di più alle ragazze se-
— Vado a prendere una boccata d'aria.
Svicolò dalla sua presa, stringendosi fra il tavolo e il divanetto per non toccarlo, e in un battito di ciglia era sparito nel corridoio buio che portava alle scale.

 
La prima volta che aveva parlato davvero con Fubuki aveva sette anni, e aveva appena vinto il suo primo regionale. Già ai tempi era considerato una sorta di "bambino prodigio", destinato a diventare un campione mondiale, e una stella, per quanto ancora fossero ancora discorsi empirei dai quali poteva scappare con la stessa facilità con cui evitava i suoi compagni di classe e la loro curiosità per tutti i suoi giorni di assenza.
Con la consapevolezza di poi, era stato malsano trascinare un bambino per settimane da una parte all'altra del Giappone per farlo competere in duelli professionali, spesso con persone con più del doppio dei suoi anni ed esperienza, ma sicuramente lo aveva temprato ad una lingua tagliente e una sottile mancanza di fiducia negli adulti. Qualcuno parlava di "traumi" e "infanzia rubata", ma sinceramente non avrebbe mai potuto chiedere di meglio; gli piaceva eccellere, gli piaceva vincere, gli piaceva sentirsi forte.
Era solo asociale.
Questo almeno, finché non aveva incontrato lui.
Lo odiava. Era rumoroso, mischiava le carte per troppo tempo, e sembrava distrarsi ad ogni soffio di vento. Non che si fossero affrontati, fortunatamente, ma erano stati messi fianco a fianco alla fine dell'evento, e allora aveva scoperto che anche lui era una promettente stella nel mondo dei duelli.
Come, non si sapeva.
In ogni caso, questo non cambiava che fosse stupido e irritante. Non che glielo avesse detto, certo, era il bambino più ben'educato che si fosse mai visto, ma dal suo sguardo non s'intuiva nessuna particolare simpatia.
Non voleva fare amicizia con nessuno. Non esistevano amicizie nel mondo dei duelli.
E invece, in quegli anni, Fubuki Tenjoin – anzi, 10join, come gli piaceva firmarsi per qualche stupido motivo – era diventato il suo unico punto fisso nel caos di una vita sempre in movimento. Dove era l'uno, per una coincidenza o per l'altra, c'era anche l'altro. Si erano sfidati e scornati una quantità indefinibile di volte, e altrettante si erano stretti la mano davanti ad una coppa o una medaglia.
Sempre insieme, persino in Accademia. Sempre insieme, fino a diventare le gemme gemelle.
Gli aveva mai dato fastidio quell'epiteto? Essere sempre accorpato a Fubuki era mai stato un problema? Perché no? Aveva sempre detestato essere rassomigliato a qualcun'altro, come Edo Phoenix, o qualsiasi altro campione proclamato. Ryo Marufuji era solo Ryo Marufuji, un Kaiser, un imperatore.
Eppure essere sempre fianco a fianco non era mai stato un problema. Anzi, teneva i loro articoli di giornale in una scatola, insieme ai suoi primi deck, le certificazioni, gli album di foto, alcuni trofei. Come se fosse una parte di sé così imprescindibile da non potersene separare, né potendo né volendo.
Gemme gemelle.
Perse lo sguardo sull'acqua scura, illuminata romanticamente da una Luna piena e brillante. Sembrava una scena ritratta nel Romanticismo, magari con la descrizione semplicistica "Luna e Venere" o qualcosa di simile.
Lentamente, ma inesorabilmente, stava mettendo insieme i pezzi, complice il silenzio martellante intorno a lui che lo costringeva a farlo, dopo aver passato tutti quegli anni a scappare dai suoi sentimenti; stava realizzando perché aveva pianto quando Fubuki aveva accennato a doversi trasferire in Europa (e aveva sorriso il suo sorriso migliore quando era rimasto), perché aveva odiato tutte le sue relazioni, perché sorrideva così spesso quando c'era di mezzo lui, perché lo trovasse così speciale.
Luna e Venere, perché erano gli unici occhi bonari che lo stava guardando, quando, con un singulto quasi sorpreso, di un'innocenza infantile, Ryo Marufuji realizzò di essere innamorato del suo migliore amico.
— Ryo?
Per poco non cadde giù dalla nave, con un sobbalzo che non era per niente da lui, tanto si era perso in quella terribile realizzazione. Era l'ultima persona che voleva vedere, eppure eccolo lì, a incastrarlo fra il parapetto e la sua faccia. Perché doveva sempre stargli così vicino?
— Scansati.
Lo disse in tono molto più brusco di quanto intendesse, ma sentiva la paura serrargli la gola – quella, e l'ansia, la terribile ansia di rovinare tutto e di perderlo per sempre. Non glielo avrebbe detto. Non aveva senso. Fubuki era etero, si era visto più di una volta, e in ogni caso, non gli sarebbe potuto piacere lui. Anzi, forse l'avrebbe trovato predatorio, disgustoso, una ferita irrimarginabile alla sua fiducia e alla loro amicizia.
No, non glielo avrebbe detto. Se lo sarebbe fatto passare, come l'acqua sotto quella nave, e se non fosse passato l'avrebbe semplicemente rinchiuso in una scatola, come tutti quei ritagli di giornale, e non ci avrebbe più pensato, perché sopra tutto voleva vederlo felice, più di quanto lo volesse per sé.
Si avvicinò alla piscina, sedendosi su una delle sdraio e accettando in silenzio che si sedesse al suo fianco. Per un attimo si chiese cosa leggesse nei suoi occhi: dolore? Tristezza? Forse lo tradivano, e ci leggeva tutto quell'Amore appena realizzato.
— Sei scappato via in quel modo... Scusami. Ti ho messo a disagio con quel commento e- sì, insomma. Mi dispiace.
Per la prima volta, fu lui a spezzare il contatto visivo.
Seguì il silenzio, denso come la melassa e pesante come il piombo, riempito solo da quella strozzata musica jazz, dalle onde, dai loro respiri.
— Ryo, ascolta.
Sembrava deciso, anche se teneva lo sguardo basso, pieno di qualcosa che non seppe distinguere.
— C'é una cosa che ti devo dire. Da un sacco di tempo. E se continuo a non dirtela andrà tutto a... rotoli.
Apprezzò come avesse moderato i termini, per quanto tutto il suo linguaggio corporeo, teso e nervoso, tradisse un'infinita voglia di imprecare ogni santa cosa.
Prese un respiro profondo. Poi tornarono faccia a faccia, e si sentì vacillare il cuore.
Fu Fubuki a iniziare. Si chinò verso di lui, e gli mandò il cervello nel panico.
Ryo tirò indietro, di scatto, come se l'avesse morso un serpente, e in due passi e un inciampo era dentro la piscina, dove sperò sinceramente di affogare.

 
Decisero entrambi, silenziosamente, di non parlare mai più di quello che era successo. Sarebbe stato imbarazzante, e avrebbe inevitabilmente distrutto il loro rapporto.
Dove l'uno non riusciva a smettere di maledirsi per aver provato a fare qualcosa del genere, spinto da chissà quale fiducia accecante di non aver mai sbagliato un colpo, l'altro avrebbe voluto strozzarsi con le sue stesse mani per non aver accettato quello che l'avrebbe fatto stare meglio. Era troppo tardi per tornare indietro – non era vero, non lo sarebbe stato per nessuno con un po' meno di orgoglio, ma non gli interessava –, il treno era passato e aveva perso la corsa.
Non era solo quello. In fondo in fondo, non era sicuro di meritarselo, Fubuki, e non era sicuro di sé e dei suoi sentimenti. Se avesse sbagliato, ma anche se avesse avuto ragione, sapeva potesse trovare di meglio, qualcuno di gentile, che non ringhiava al contatto e sorrideva.
Qualcuno che non si lamentasse per un centinaio di anni per non farsi asciugare da lui, solo per chiudere gli occhi come un gatto sotto al calore del phon e alle carezze fra i capelli, atte ad asciugarli uniformemente. Un tempo quel contatto gli sarebbe stato indifferente, ma adesso gli faceva venire voglia di piangere.
Che stupido.
Forse se l'avesse capito prima. Se avesse saputo come lavorare con i suoi sentimenti. Se non fosse stato un disastro.
Non era mai stato da lui dubitare di sé, ma come poteva fare altrimenti?
— Se vuoi puoi prendere una delle mie magliette pulite per dormire. Così non sporchi le tue.
— Perché? Non ho mica bagnato il pigiama.
— Così non sporchi una delle tue e hai una maglietta in più. Non mi ascolti proprio eh?
Socchiuse gli occhi, guardandosi nel riflesso dello specchio. Era una scena familiare, Fubuki che gli asciugava i capelli per farsi perdonare.
Certo, l'altra volta che era successo era stato in circostanze decisamente meno spiacevoli.
— Ti ascolterei se dicessi qualcosa d'intelligente Fubuki.
— Va bene, fai come vuoi, musone.
Ryo fu certo di averlo visto accennare ad un sorriso, nascosto in fretta dall'uscita dal riflesso.
Sarebbero stati ancora migliori amici. Non chiedeva altro.
Migliori amici, e i migliori duellanti della loro Accademia.
Le gemme gemelle, di cui tutti amavano il riflesso.

 
Note
Whew, l'ho finita!
Ci ho messo più tempo del previsto, e sinceramente, inizialmente non volevo iniziare a lavorare a questa fic finché non avessi finito anche l'anime, ma mi prudevano le mani da quando ho finito il manga e non ho resistito.
Sono un po' nervosa a pubblicare, sia perché ho la fama di iniziare mille cose e non finirne una, sia perché è un rare-pairing tra i più rare che ci siano, ma sono stranamente fiera di com'é uscita e sarebbe inutile aspettare.
Inoltre, so che sono stata super-indulgente con me stessa, a livello stilistico, ma non ho più la pazienza di passare più di mezz'ora a fare editing e sono anche incapace di analizzare correttamente cosa va bene e cosa no, quindi, uh, facciamo finta di niente. Un giorno avrò una beta-reader che abbia abbastanza pazienza da sopportare qualcuno come me!
Iiin conclusione, non so quando aggiornerò ma probabilmente in tempi decenti, perché ho già tutto perfettamente allineato in testa. So dove deve andare, come, quando, dove e perché, stranamente.
Grazie a chiunque abbia dato un'occhiata a questa storia, e al prossimo aggiornamento :3
PS. Teoricamente nel manga non viene menzionato che Fubuki si firmi 10join, ma per qualche motivo mi fa ridere e l'ho inserito comunque. In realtà non è neanche canon che si conoscano da quando erano piccoli, o anche solo che duellino professionalmente da quando erano praticamente dei feti, ma, beh, ops--

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Capitolo 2
*** D come Duello ***


 


D COME DUELLO


 


 

Il primo ricordo di Edo veniva dal campionato d'Asia, il primo a cui avesse mai preso parte. Ai tempi aveva qualcosa come quindici anni, era fresco del primo – altalentante – anno di Accademia, e stava ancora imparando come socializzare correttamente con altri esseri umani che non fossero Fubuki o i professori.

Non si era stupito di vedere qualcuno di così piccolo come ultimo rivale, tutt'altro; lo rispettava, e ne era incuriosito, perché da quanto ne sapeva Fubuki stesso lo aveva affrontato qualche tempo addietro. Per quanto quest'ultimo avesse vinto, era stato uno scontro all'ultimo sangue, tanto da far lamentare il novello campione per settimane (è stancante duellare con lui Ryo, è come duellare con te, ti guarda in quel modo cattivissimo e BAM! Negato! Contrattacco! Alle strette fino all'ultimo!), cosa vagamente comica, considerando che l'intera idea dietro un campionato era di scontrarsi con persone ad un tuo stesso livello di abilità.

Almeno, per le persone con meno pigrizia di Fubuki.

In ogni caso, la prima impressione che ne aveva avuto aveva confermato le parole del suo accidioso compagno di stanza: quegli occhi d'acciaio, che stonavano su un viso così infantile, se li era marchiati nella memoria. E quel loro duello era stato brutale a dir poco, tanto che quasi si era dimenticato fosse solo un gioco di carte e non una battaglia per la sopravvivenza di due gladiatori in un'arena.

Lo aveva adorato.

Era diverso da qualsiasi cosa avesse mai giocato prima. Era strafottente, ma ne aveva tutto il diritto, e persino quando aveva perso Ryo un po' non ci credeva. Era rimasto qualche secondo di troppo con le carte fra le dita, ancora bloccato al suo ultimo attacco, come se si aspettasse una risposta che non era arrivata.

Come ci si sente ad essere campione d'Asia così giovane?

Kaiser, un'intervista!

Ha in programma di scontrarsi con Fubuki Tenjoin?

Una dichiarazione!

L'unica cosa a cui riusciva a pensare erano quegli occhi furibondi, mentre i suoi genitori lo portavano via.


 

I duelli erano nettare e ambrosia per persone come loro.

Ryo, in particolare, ci era cresciuto in mezzo, e forse nel momento esatto della propria nascita era stato segnato il suo destino nella complessa tela della scena competitiva. Suo padre era stato inflessibile nella sua educazione, sua madre, al meglio, assente, come un ciarliero fantasma che amava apparire e scomparire per regalargli scatole edizione limitata che non c'entravano nulla coi suoi deck prima di sparire. L'unico con cui avrebbe potuto legare era suo fratello minore, eppure, cresciuto così distante e distaccato, aveva finito per vederlo costantemente avvolto fra fumo e specchi.

Era stato un fratello esemplare, questo andava detto. L'aveva protetto, forse un po' troppo, dalle idee del padre, e avvicinato quasi con la forza a sua madre; gli aveva insegnato le basi, e l'aveva guardato arrancare, staccandogli le rotelline con l'unico amore che conosceva – duro e rigido –, solo per passargli il disinfettante ad ogni caduta.

Che se ne dicesse, Ryo amava suo fratello. Era solo negato nel dimostrarlo.

Specialmente se si trattava di duelli.

Non era mai riuscito a perdonargli nessun'errore, neanche all'inizio. Forse era anche perché prima di crescere e maturare mentalmente era più simile ad un lupo affamato che ad un essere umano; l'avevano gettato in una gabbia di squali con solo il talento e il denaro come armi, e gli avevano detto nuota da solo. Per questo ogni volta che sbagliava si ritrovava a sbranarlo, anche solo per puro istinto, per poi scappare di fronte alla confusione che gli causava il sapore dei brandelli di una carne che non aveva mai voluto assaggiare fra i denti e la lingua.

Per questo Shō era cresciuto con una visione ambivalente e un po' mistica di suo fratello; da una parte, la figura protettiva che si era naturalmente sostituita a quelle impalpabili genitoriali, dall'altra, un tiranno terrificante che lo distruggeva volta dopo volta. E la chiave di tutto, come sempre, era quel gioco, che in fondo era la sua stessa vita.

Si poteva dire che quell'atteggiamento bipolare fosse una realtà formata di Ryo, anche se forse, ad un avversario qualunque, non risaltava così tanto, la differenza fra il ragazzino silenzioso e l'infallibile macchina da guerra. In ogni caso, nessuno aveva il coraggio di farglielo notare, preferendo il silenzio al rischio di rivedere quegli occhi assetati di sangue.

Il primo a dirglielo era stato Fubuki.

— Si può sapere che ti prende? Perché ti comporti così?

Non ricordava neanche quanti anni avessero, ma era estate, e il tramonto si stava riversando ovunque intorno ai pallidi ologrammi che iniziavano a disperdersi. Fubuki era per terra, il viso distorto in un'espressione di indignazione confusa, e Ryo in piedi, che non capiva quale fosse il problema. Lo aveva già visto duellare, eppure sembrava ferito personalmente dalla sua tattica, come fosse un affronto.

— Di che stai parlando?

— Lo sai di che sto parlando! Sembravi sul punto di uccidermi, come se fossi- se fossi- ah, non lo so, qualcuno che odi con tutto te stesso! Cos'é, non ti piace come duello?

Aveva esitato, mentre l'altro si alzava in piedi, spazzolandosi i vestiti. Si sentiva stranamente mortificato, anche se non capiva il motivo, e per la prima volta si era reso conto di che impressione dovesse dare, dall'altra parte del tavolo.

— Faccio paura?

— Sei terrificante. Se fai così non ci duello più con te.

Era una frase così infantile, eppure aveva fatto così male, l'idea di perdere il suo unico amico, tanto da spezzare quell'espressione impassibile in una smorfia storta, come se volesse piangere, ma si fosse scordato le lacrime.

Ryo non piangeva mai.

— Fai pure. Buona fortuna ai distrettuali.

Aveva detto. Non era quello che pensava. Eppure era quello che aveva detto. E si era voltato, ricomponendo la sua regale indifferenza.

Era proprio un piccolo imperatore.

E Fubuki aveva deciso che l'avrebbe costretto fuori da quella gabbia di ghiaccio che si era costruito intorno.


 

— Pensavo non volessi più vedermi.

— Sei l'unico invitato al mio compleanno super-duper-brillantemente-spettacolare-iper-splendido. Si dice "grazie". Prego, Ryo, anch'io ti adoro.

Ryo ci aveva messo un pezzo ad elaborare tutte quelle parole, messe di fila con la velocità di una mitraglia, e non ci aveva comunque cavato nulla. Non capiva quell'improvviso cambio di marcia, da "non voglio più duellare con te" a "andiamo insieme a prendere la torta, e poi passiamo in sala giochi", e si era fatto trascinare senza aprire bocca, cercando senza successo di capire cosa pensasse quel cervellino effervescente di tanto e di niente.

— Quindi. Il mio regalo?

Sgranò gli occhi, guardando Fubuki con l'espressione più persa gli avesse mai visto.

— Non sapevo volessi un regalo.

— Certo che lo voglio, è il mio compleanno, scemo.

— Non ho niente.

— Certo che ce l'hai. Hai il tuo deck dietro?

Era bello come gli brillavano gli occhi, di una convinzione cieca e assoluta in quello che stava facendo. Ryo poteva solo stargli dietro in qualche modo, inciampando sui suoi passi e capitombolando in sfumature di significato oscure.

— Sì ce l'ho ma-

— E allora duelliamo! Ma ad una condizione.

Non si era dimenticato lo sguardo che gli aveva rivolto, mai più per il resto della sua vita.

— Devi godertelo.


 

— E per festeggiare il primo giorno di Accademia vogliamo proporvi un duello che molti stavano sperando di vedere: Fubuki Tenjoin e Ryo Marufuj!

Come li avevano incastrati in quella storia?

Il primo giorno di Fubuki era stato più stancante del previsto. Era stato circondato all'ingresso, sotterrato di gridolini all'esame, si era addormentato in classe prendendosi un urlaccio, e poi Ryo non gli aveva dato la giusta attenzione, neanche dopo circa dieci palline di carta piene di scarabocchi caricaturali del professore, di loro, dei suoi mostri e, alla fine, di quello che stavano studiando. Palline che aveva dovuto raccattare tutte, per punizione, e far vedere all'insegnante, che non sembrava aver apprezzato particolarmente il paragone fra lui ed un Ojama.

E non era ancora riuscito a trovare una ragazza degna del suo interesse, senza considerare che era persino stato costretto a duellare, ciliegina sulla torta, con un uomo, quando aveva chiarito più di una volta che gli interessava solo ed unicamente il gentil sesso.

Certo, se si trattava di Ryo non si lamentava. Era l'unico che avrebbe accettato come compagno di stanza, e l'unico di fianco al quale si sedeva a lezione, e l'unico che aveva il permesso di non trovare divertenti i suoi commenti sottovoce. Insomma, era l'unico uomo della sua vita.

Figurativamente parlando.

Detto questo, avrebbe preferito duellare con quella ragazza coi capelli scuri che continuava a fissarlo a cena. O, beh, qualsiasi altra. Ma se doveva essere Ryo, per una volta, l'avrebbe perdonato.

Intorno a loro, c'erano una quantità di studenti, specialmente i nuovi arrivati, che li fissavano come delle divinità. Non gli dispiaceva quel tipo di attenzione; non l'avevano soprannominato re per nulla, e se la giocava benissimo, fra sorrisi smaglianti e cenni delicatamente diretti ad un'unica parte del pubblico – quella munita di una gonna e un sorriso sufficientemente adorante.

Ryo, di contro, era totalmente indifferente. Per un attimo gli aveva quasi ricordato il Kaiser di anni prima, almeno finché non gli aveva stretto la mano prima di iniziare ed aveva accennato, seppur tirandolo e forzandolo, un sorrisino.

— Pronto a rovinare la tua impeccabile reputazione già il primo giorno, Kaiser?

— Solo se tu sei pronto a deludere tutte le tue fan, Fubu-king.

E sotto le prime timide stelle, si erano affrontati nell'ennesima amichevole della loro vita, senza nessuna considerazione per il pubblico acclamante.


 

— Mi dispiace averti fatto cadere in mare.

— Dillo con più convinzione.

— Mi dispiace moltissimo averti fatto cadere in mare.

— L'avevo appena lavata questa divisa.

— Oh andiamo, ho detto scusa, perché farmela pesare? Ero solo molto emozionato del mio attacco.

— ... Emozionato? Sei serio?

Fubuki dovette sforzarsi di non scoppiare a ridere di fronte all'espressione furibonda di Ryo, cercando di mantenere intatta la sua facciata da cane bastonato.

Intorno a loro risuonava il timido sfrigolìo delle cicale, risvegliate dai primi caldi estivi; il sole spargeva mille frammenti aranciati fra le onde, sospinte quietamente dal venticello serale che gli arruffava i capelli ed accarezzava il viso. Tra l'Accademia che risplendeva come un gioiello, e l'allegro chiasso proveniente dai dormitori degli Osiris poco lontano, sembrava tutto perfetto per l'ultimo duello dell'anno prima degli esami finali.

Invece, era riuscito a diventare uno scenario funesto di occhiate che avrebbero ucciso un assassino dalla paura, capelli appiccicati al viso e una divisa nuovamente da buttare in lavatrice.

Era diventato un regalo per lo stupido senso dell'umorismo del maggiore dei Tenjoin, insomma, che faceva davvero pena a dimostrarsi dispiaciuto. Ryo sapeva che voleva solo scansarsi lo strangolamento, e non stava funzionando per nulla. Al contrario.

— Fubuki Tenjoin-

— Non chiamarmi così, sono sensibile.

Si morse la lingua, di fronte all'ennesimo fulmine nell'espressione dell'altro, e si strinse nelle spalle, con aria plastificatamente innocente.

— Insomma hai fatto una combo eccezionale, e mi sono sentito così emotivamente toccato da-

— Da dovermi spingere in acqua?

— Volevo abbracciarti Ryo, per tutte le divinità egizie! Sei pessimo. E sai cosa? Hai perso un'occasione. Non capita spesso io voglia toccare un ragazzo. — esitò, e fece un passo indietro, rendendosi conto che forse parlargli di opportunità perse non era l'ideale. — In ogni caso, c'è vento, fa freddo, tra poco è notte, ti riaccompagno ad Obelisk. Anzi sai un'altra cosa? Ti asciugo io i capelli. E ti lavo i vestiti. Sono bravissimo con i capelli, Asuka me lo dice sempre.

Ci sarebbero state mille cose da ribattere – cominciando dall'improvviso braccetto iniziato da Fubuki e non finendo più –, ma qualcosa gli fece morire le parole in gola.

Gli piaceva l'idea che facesse tutto lui. Era stanco, no, esausto dopo tutti quei mesi in Accademia uniti ai campionati, alle vittorie e sopratutto alle sconfitte che portavano così tanto acido e rancore da fargli un buco allo stomaco; aveva bisogno di calore umano – non pensava l'avrebbe mai detto –, sopratutto per mano del suo unico vero amico.

Non l'avrebbe ammesso, certo. Non mentre si faceva la doccia, non mentre teneva il broncio di fronte a Fubuki riscopertosi parrucchiere, non mentre, nel cuore della notte, si infilava una felpa e usciva a guardare le stelle, trovandosi incapace ad addormentarsi.

Non l'avrebbe ammesso, non ancora, ed era bello così. Erano innocenti, spassionati, colorati della stessa luce; non avevano bisogno di parlarsi per capirsi.

E nonostante questo, si capivano così poco, che se Ryo quella sera avesse potuto fare un giro nella testa dell'altro, che si fingeva addormentato nel letto sotto al suo, avrebbe trovato così tanto amore che non ne avrebbe tirato fuori niente di comprensibile.

E se, di contro, Fubuki avesse potuto vedere l'espressione malinconica, seppur ancora incosciente, con cui guardava le costellazioni cercando una risposta, non avrebbe più trovato il coraggio di chiedergli per l'ennesima volta il giorno dopo, con il solito tono spensierato:

La vuoi una rivincita?




 

Note

 

E con questo si conclude anche questo capitolo, di cui, ancora una volta, vado stranamente fiera!

Non ho niente in particolare da dire, se non tre punti;

1. Edo è stato inserito all'inizio perché ho intenzione di parlarne più tardi, probabilmente nella prossima one-shot, e sopratutto volevo parlare un po' di lui perché come... come non potrei. Il fatto che si siano incontrati prima che Ryo e Fubuki arrivassero in America non è canon credo? Non ne sono proprio sicura, ma in fondo questa ff non è altro che una raccolta di headcanon che mi piacciono legati con una stringa.

2. Anche se questa è una raccolta di one-shot, quindi non una long vera e propria, la storyline è tutta collegata fra sé; ogni cosa viene detta è vera in ogni one-shot (tipo, l'accenno alla prima volta che Fubuki gli ha asciugato i capelli che viene ripreso qui, e altre cose che verranno riprese più tardi). Ci tengo a specificarlo per non causare confusione ;-;

3. Non chiedetemi perché Fubuki abbia apparentemente una fissa per far finire Ryo in acqua, ma sono fermamente convinta sia canon perché Fubuki sembra quel tipo di persona + sono ingiustamente addolcita all'idea di Ryo che si lascia asciugare i capelli e credo sia perché a. vicinanza e b. calore e conforto.

Scusate se questa oneshot è MOLTO più corta dell'altra ma mi sembrava giusto finisse così. E spero non sembri troppo "fuori strada"; volevo approfondire un po' di più su loro due prima dell'Accademia ecco.

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