Ellipsism

di sleepystranger
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ***
Capitolo 2: *** moving on when you know that you never can ***



Capitolo 1
*** Prologue ***


Ellipsism

(n) la tristezza di non sapere mai come è andata a finire la storia.

 

Jeon Jeongguk ha dodici anni, mani piccole e occhi grandi, quando incontra Kim Taehyung, un nuovo studente arrivato da una piccola cittadina di campagna appena fuori Daegu. Taehyung arriva all’inizio del secondo semestre della prima media, quando l’inverno è al suo punto più freddo e l’eccitazione per le feste è scomparsa. In tutta la sua goffaggine preadolescenziale, Taehyung è in piedi davanti tutta la classe.

“S-sono Kim Taehyung,” balbetta mentre si presenta – l’accento strano, in un modo che i ragazzini di Seoul come Jeongguk non sentono quasi mai. Lo sguardo del ragazzo si sposta continuamente per la stanza, le dita saldamente intrecciate. La sua voce è debole, come se avesse paura di essere sentito, e Joengguk sta a malapena ascoltando, trova che disegnare sull’angolo del proprio libro di matematica sia più interessante. È quando alza lo sguardo che Taehyung lo guarda per sbaglio negli occhi. E Jeongguk balza, come se si fosse appena bruciato, e immediatamente fissa il pavimento.

Jeongguk non sa perché gli dia fastidio, o per quale motivo trovi adorabile la timidezza di Taehyung. Ma da quel momento, per qualche innocuo motivo, Jeongguk decide che Taehyung non gli piace.

Taehyung è strano – lo sanno tutti in classe. La sua pelle è scura perché viveva in campagna, del tutto in contrasto col pallore a cui aspirano i ragazzini di Seoul. I suoi capelli, marrone scuro, sono sempre in disordine. Legge sempre libri da solo in cortile e indossa ogni giorno sempre lo stesso paio di scarpe piene di buchi. Taehyung è l’epitomo dell’essere diverso, un completo contrasto con Jeongguk, che è forte, coraggioso e popolare.

Non parla nemmeno tanto, e quando lo fa sono sempre frasi incoerenti mormorate sottovoce. A volte si ferma in mezzo alla strada mentre torna a casa per raccogliere uno scarabeo e metterlo nell’erba. Quando piove e il pavimento si riempie d’acqua, raccoglie i vermi dal marciapiede e li mette in un vaso pieno di terra prima che possano morire, solo per poi liberarli una volta che smette di piove, e Jeongguk pensa sia stupido che qualcuno si prenda tutto questo disturbo per salvare un verme. È stupido ma incredibilmente tenero e fa solo si che a Jeongguk piaccia ancora meno. Perché Taehyung, in tutta la sua stranezza, è comunque bello. È innegabilmente bello, e lo sanno tutti.

Nonostante abbia i buchi nelle scarpe, entro il primo mese, decine di ragazze gli hanno confessato i propri sentimenti, e lui le ha gentilmente respinte tutte quante. Taehyung non sembra essere molto interessato al sesso opposto, e dopo aver rifiutato l’undicesima ragazza, sono cominciate a giare delle brutte voci su di lui. Le scuole medie sono crudeli, soprattutto una d’élite come la loro, e fra i sussurri scambiati fra i bigliettini passati sotto i banchi, a Jeongguk arriva un pezzo di carta dalle dita tozze di un compagno di classe.

È un pezzo di carta strappato dall’angolo di un quaderno e distrattamente piegato. Quando Jeongguk lo apre e legge le grosse lettere, viene sopraffatto dalla rabbia e anche da qualcosa che la sua mente da dodicenne non riesce a decifrare.

C’è scritto, KIM TAEHYUNG È GAY? Jeongguk strappa immediatamente il bigliettino e tutti i pezzetti cadono sul pavimento, mentre la rabbia gli si espande nel petto e rischia di uscire fuori. È ovvio sia un tipo di rabbia irrazionale, uno che non riesce a capire, e l’unica cosa che sa è che deve fare qualcosa. Qualunque cosa.

Pensa che forse, se non fosse stato così ignorante all’epoca, le cose sarebbero potute andare diversamente, ma Jeongguk era giovane e possedeva quella crudele ignoranza di un ragazzino che non conosceva niente se non quello che aveva di fronte. Sapeva che i suoi vicini che abitavano due case più in là erano due uomini che si baciavano e si tenevano per mano. Aveva solo sei anni all’epoca, ed era la prima volta che Jeongguk vedeva delle persone gay. Nonostante fosse inizialmente affascinato, suo padre era tutto tranne che contento.

“Non hanno nessun senso del pudore a stare così appiccicati l’uno all’altro così in pubblico?” aveva detto con un tono di scherno. “Un mucchio di froci, ecco cosa sono.”

Jeongguk era confuso dell’apparente ostilità del padre verso i loro vicini, e si era voltato verso di lui, con occhi grandi e meravigliati. “Papà, cos’è un frocio?”

“Un frocio è qualcuno che andrà all’inferno, Jeongguk.”

Jeongguk si era acciglieto. “Si può andare all’inferno per essere innamorati?”

Suo padre gli aveva lanciato un’occhiataccia, come se non riuscisse a credere a quello che aveva sentito. “Gli uomini non possono amare altri uomini, Jeongguk. È sbagliato, e Dio si arrabbierà se lo fai.”

“Non voglio andare all’inferno, papà,” aveva mormorato tristemente Jeongguk, gli occhi pieni di lacrime.

“Non ti preoccupare.” Suo padre gli aveva poi sorriso, la crudeltà completamente scomparsa dal suo volto e gli occhi che brillavano con affetto mentre appoggiava una mano sulla testa di Jeongguk. “Finché trovi una brava ragazza da sposare, Dio ti amerà sempre.”

Mordendosi l’interno della guancia, Jeongguk lancia un’occhiataccia a Taehyung, il quale è completamente ignaro di come tutti quanti intorno a lui lo stiano indicando e parlando di lui. È completamente immerso nel libro che sta leggendo e Jeongguk sa che dovrebbe lasciarlo stare – che non sono affari suoi. Solo che è così tremendo che li fa diventare affari suoi e prima di poter anche pensare a quello che sta facendo, Jeongguk va verso il banco di Taehyung.

“Perché non parli mai con nessuno?” chiede immediatamente, lo sguardo accigliato. È la prima parola che gli abbia mai rivolto.

Taehyung alza lo sguardo dal libro che sta leggendo, lo stupore evidente sul suo viso. “C-ciao,” balbetta timidamente, la voce così soffice che Jeongguk riesce a malapena a sentire la risposta.

Per qualche motivo, la sua espressione ingenua fa solo arrabbiare Jeongguk ancora di più, perché qualunque cosa fa, fa arrabbiare Jeongguk. Suo padre gli ha insegnato che i ragazzi non dovrebbero essere dolci, e Kim Taehyung è la definizione di dolce.

“Sei gay?” chiede con voce piuttosto alta. Intorno a loro, le chiacchiere che avevano riempito la classe fino a quel momento, scompaiono. Da qualche parte, una penna cade. Sa che stanno tutti aspettando con occhi affamati che Taehyung risponda, pronti a spargere la voce non appena succede, perché è così che sono i ragazzini.

“P-prego?” squittisce Taehyung, l’abbronzatura sulle sue guance diventa scarlatta.

“Tutti dicono che ti piacciono i ragazzi.” Jeongguk è diretto con le parole, le usa con noncuranza, senza pensare alle conseguenze, e di fronte a lui, Taehyung sembra molto più piccolo.

“Non è-”

“Lo sai che è strano, vero?” Jeongguk interrompe Taehyung. Indica il resto degli studenti e gonfia le guance per aggiungere più teatralità. “Se non sei gay, allora pensi di essere migliore di tutti gli altri? È per questo che hai rifiutato tutte quelle ragazze?”

Taehyung è completamente mortificato a questo punto. Le spalle incurvate come se si stesse chiudendo su se stesso, e stringe saldamente i pugni. Non risponde, ma si morde forte il labbro inferiore e fissa il libro aperto dimenticato sul banco.

“Sei venuto qui perché hanno scoperto tutti che pervertito sei?” continua Jeongguk. Sa che dovrebbe fermarsi. Sa che si è spinto troppo in là nel momento in cui ha aperto la bocca e ha chiesto a Taehyung della sua sessualità di dronte a tutti quanti. Ma il cuore gli batte forte nel petto e l’adrenalina gli scorre nelle vene. Alimentato ancora di più dal silenzio di Taehyung, Jeongguk lo distrugge come fosse il veleno del mamba nero. “Non li vogliano nemmeno qui i froci.”

Taehyung rimane sempre in silenzio, rifiutandosi di guardare Jeongguk. Continua a fissare il suo stupido libro con lo sguardo assente e Jeongguk è quasi tentato di prenderlo e lanciarlo dall’altra parte della stanza, ma invece prova a resistere alla rabbia. Mordendosi la lingua, si forza ad allontanarsi da Taehyung e tornare dai suoi amici, che non nascondono nemmeno il fatto che stanno ridendo di Taehyung.

“Sei stato figo.” Mingyu ride e gli da una pacca sulla schiena. “Hai delle palle di ferro, amico.”

Jeongguk guarda Taehyung, che non si è ancora mosso di un millimetro, gli occhi perso, come se non fosse davvero lì. È leggermente sorpreso quando Soyeon e Jisoo (due ragazze che si erano confessate a Taehyung) gli si avvicinano. Si inginocchiano accanto al suo banco e gli sussurrano parole di conforto, e sembrano molto più arrabbiate con Jeongguk di quanto lo sia Taehyung.

Rimuovendo lo sguardo dalla scena, Jeongguk alza semplicemente le spalle. “Qualcuno doveva pur dirlo, no?”

I suoi amici stanno ancora ridendo e urlando rumorosamente, rivolgendo orribili insulti a Taehyung, e Jeongguk prova a sorridere, ma per qualche motivo si sente brutto dentro – come se il mondo si fosse spostato dal suo asse e ci fosse qualcosa che non va. Si sente male dentro. Ma lo ignora comunque.

Invece, mettendosi le mani intasca, finge non stiano tremando.

 

Col passare del tempo si fa sempre più freddo, e velocemente diventa inverno, e ora c’è la neve sul pavimento. Gli alberi sono spogli e contorti. Il mondo perde il suo verde e l’eco delle urla dei bambini nel parco giochi si fa muto. L’inverno è rigido, ma Jeongguk ama il freddo. È sereno, tranquillo – irreale, in un certo senso.

Ma con la rigidità della stagione viene la crudeltà dei ragazzini. Dopo che Jeongguk ha umiliato Taehyung di fronte a tutta la classe, tutti tranne Soyeon e Jisoo hanno iniziato a evitarlo. I mormorii si sono fatti più cattivi; piccole mani dodicenni disperate di gossip, di qualcosa di cui parlare.

La domanda: Kim ‘Taehyung è gay?’ diventa ‘Kim Taehyung va a letto con gli insegnanti maschi?’

Sono tutti pettegolezzi senza nemmeno il barlume di una prova, ma tutti ci credono. Tutti tranne Jeongguk, che non ride più. Comincia a pensare che forse i suoi compagni di classe si stanno spingendo troppo in là, il che è provato quando un giorno Taehyung entra in classe con nulla se non i suoi calzini sbiaditi bianchi. Non ha le scarpe.

Sulle risatine sommesse avanza Jisoo, rossa in viso quando urla, “chi cazzo ha buttato le scarpe ti Taehyung nel fiume?!”

Seduti accanto a lui, gli amici di Jeongguk sembrano tutti compiaciuti, ma nessuno parla. Mingyu si appoggia indietro sulla sedia, si toglie il lecca-lecca alla ciliegia dalla bocca e si lecca le labbra, la sua lingua macchiata di rosso. “Stai accusando i tuoi compagni di classe di qualcosa di così orrendo?” provoca. “E poi quelle scarpe appartengono al cassonetto della spazzatura per come erano conciate. Non eri stanco di indossare quelle scarpe logore, Taehyung?” ma Taehyung è silenzioso, non guarda nemmeno Mingyu. “Se fossi in te, ringrazierei chiunque te le abbia portate via.” c’è un certo senso di minaccia nel suo tono.

Il tormento continua. È solo qualche giorno prima che Taehyung entri in classe con lo zaino completamente zuppo, fradicio e che gocciola su tutto il pavimento. Soyeon e Jisoo sembrano pronte a piangere mentre urlano contro tutti quanti di nuovo. Minacciano di andare a dirlo al preside, anche se poi non lo fanno mai. E non diminuisce. A volte ci sono scritti insulti su tutto il banco di Taehyung. Chan dice a Jeongguk che qualcuno gli ha messo una rana morta nell’armadietto, e Jeongguk sa che quel ‘qualcuno’ sono i suoi amici. Eppure, Taehyung non sembra mai arrabbiato; fissa sempre e solo il pavimento, le labbra contratte. Senza dire niente.

A un certo punto la cosa si fa fisica. Taehyung ha l’occhio sinistro nero, le braccia piene di lividi e Jeongguk si sente male. Arrabbiato. Disgustato. Nulla di tutto ciò è mai stato divertente, e sta cominciando a odiare i suoi amici.

“Forse dovreste lasciate Taehyung in pace,” accenna a pranzo. La caffetteria è rumorosa e le parole di Jeongguk sono basse, quasi completamente soppresse dal rumore intorno a loro.

Chan pare confuso, come se non riuscisse a credere a ciò che sente. Come se a Jeongguk fosse comparsa una seconda testa o qualcosa del genere. “Stiamo solo scherzano. Non è niente di che.”

Jeongguk si acciglia. Lo avete picchiato. Quello non è scherzare.”

“È caduto,” spiega inutilmente Jun. Sembra infastidito. “Non capisco perché stai facendo così, tanto quello è un cazzo di strambo.”

Mingyu sbuffa. “Probabilmente si tocca il cazzo pensando a noi.” E poi, guardando duramente Jeongguk, dice, “non stai difendendo Taehyung perché vuoi che ti faccia un pompino o una cosa del genere, vero? Perché se no saresti un frocio, amico.”

“No.” Jeongguk risponde velocemente, il cuore che gli martella nel petto. Pensa a come Taehyung sia bello anche con i buchi nelle scarpe. “Ovviamente no.”

Mingyu sorride, lentamente e crudelmente. “Fidati di noi. Siamo amici, no?”

Jeongguk annuisce. Il sorriso tirato. “Sì, amici.” Quelle parole gli sembrano strane, ma lo ignora. Mangia il suo pranzo mezzo cotto e chiude la bocca.

Passa un mese prima che Taehyung smetta di venire a scuola. Per giorni il suo banco è vuoto, nemmeno Jisoo e Soyeon sanno nulla, e Jeongguk comincia a preoccuparsi. Sente il suo stomaco attorcigliarsi dolorosamente e al quinto giorno è nauseato. Anche gli altri studenti sono nervosi, gli sguardi fuggenti. I pettegolezzi cominciano a girare ma Jeongguk si tappa le orecchie. Finge che Taehyung non sia mai esistito.

È l’appello. Jeongguk è ancora intontito, la mente mezza addormentata. A questo punto nemmeno guarda più il banco vuoto. Lo fa sentire troppo in colpa. Solo allora entra il professor Ahn, l’espressione cupa – Jeongguk si sente male.

“Taehyung si è trasferito in un'altra scuola.” Sospira pesantemente, si appoggia al podio. Professor Ahn è quel tipo di insegnante a cui importa fin troppo degli studenti. Il tipo che fa sentire Jeongguk meno perso nel mondo.

C’è silenzio. Jeongguk fissa il muro. Fissa le proprie scarpe. Le sue mani. Guarda ovunque tranne che al professor Ahn perché, perché – non è sconvolto. Tutto ciò non dovrebbe importargli perché non è che ha costretto Taehyung ad andarsene. Non stato lui a scrivere frocio sul suo banco col pennarello. Non sono affari di Jeongguk e non gli importa di Taehyung. Taehyung, che è impacciato, silenzioso, ma gentile. Tahyung, che è gay.

“Sono così deluso da tutto vuoi,” dice professor Ahn, il suo tono piatto ma arrabbiato, in un modo che fa sentire Jeongguk come se lo stesse rimproverando. “Un paio di studenti mi hanno detto che Taehyung era bullizzato. Chi è stato?”

Jeongguk pensa alle minacce di Sooyeon e Jisoo di dirlo al preside, e quando vede che Sooyeon ha la testa bassa Jeongguk sa. Sa che non dovrebbe incolparle – non riesce ad arrabbiarsi. Si sente sollevato.

Sono tutti in silenzio. Mingyu e Chan si guardano negli occhi, si spostano scomodamente nelle loro sedie. Jun scuote la testa a entrambi, sussurra qualcosa a bassa voce. Finisce per cogliere lo sguardo di Jeongguk e sorride nervosamente.

“Se qualcuno non parla tutta la classe verrà punita.” la voce del professor Ahn è dura e Jeongguk non ha mai sentito nessun insegnante parlare così.

Il cuore gli batte forte nelle orecchie, Jeongguk sente il sangue scorrergli velocemente verso il viso mentre la vergogna gli fiorisce nello stomaco. Pensa a Taehyung e a quanto più piccolo sembrasse mentre veniva sempre più bullizzato – a come a volte sembrasse pronto a crollare su se stesso come una casa abbandonata, come se il mondo fosse pronto a inghiottirlo. Pensa a come Taehyung non ci sia più ed è tutta colpa sua.

La colpa lo consuma, come se ci fosse un cobra annidato nella sua gola, e alla giovane età di dodici anni, Jeongguk impara che il suo unico talento è ferire le persone col veleno sulla sua lingua. Pensa che dovrebbe almeno dire qualcosa. Stare in silenzio non gli sembra giusto.

Lentamente, come se dei pensi lo tenessero inchiodato verso il basso, comincia ad alzare la mano, una confessione sulla punta della lingua. Comincia ad alzare la mano, ma-

“È stato Jeongguk!” dice Chan. Si alza e indica Jeongguk. Accanto a lui, Jun e Mingyu si scambiano uno sguardo di panico, e per un momento il tempo sembra fermarsi. Jeongguk prova a esaminare le parole nella sua testa, e prima che possa difendersi, gli atri suoi amici cominciano a parlare.

“S-sì. È stato Jeongguk. Ha sparso le voci su Taehyung,” dice Mingyu. “Ha detto a tutti che a Taaehyung piacevano i ragazzi e ha buttato le sue scarpe nel fiume.”

Tutti iniziano a dargli ragione e velocemente tutta la classe comincia a intervenire.

“È stato Jeongguk.”

“Sì, è sempre stato cattivo con Taehyung.”

È incredibile come la vita di qualcuno possa cambiare in meno di un secondo. Tutti mormorano il proprio dissenso e Jeongguk si sente caldo ovunque. Professor Ahn serra la mascella, fissa dritto Jeongguk e tutto quello che voleva dire gli muore in gola, perché da come professor Ahn guarda Jeongguk è ovvio che non crederebbe a nulla che possa dire.

A una tale giovane età, Jeongguk non aveva mai pensato che avrebbe provato cose come dolore e tradimento. Ma ora è come affrontare la bocca di una tempesta ed è lui quello che tutti chiamano gay e che viene schernito dai suoi compagni. Si sente così male da tremare tutti e non riesce ad alzare lo sguardo. Quando Jun spiega al professor Ahn che Jeongguk ha insultato Taehyung, si chiede se fosse così che si sentiva Taehyung; come se dei ragni gli camminassero sotto la pelle quando le persone lo indicavano. E adesso capisce perché Taehyung andava sempre in giro con le spalle incurvate, come se così diventasse invisibile.

Nei giorni seguenti cominciano a girare delle voci. Voci su Taehyung in ospedale dopo aver provato a suicidarsi, il tutto causato dal ragazzo più amato della scuola e capitano della squadra di calcio, Jeongguk. I bigliettini passati fra le mani dei ragazzini non parlano più della sessualità di Taehyung. Questa volta le grandi lettere dicono, KIM TAEHYUNG HA PROVATO A UCCIDERSI PER COLPA DI JEONGGUK?

A dodici anni, Jeongguk impara quanto possano essere cattivi i bambini. Prendono una qualunque cosa e te la sputano di nuovo in faccia quando non è più buona abbastanza. Ti sotterrano sotto il cemento come capro espiatorio. Oh, gli amici possono usarti – è questo ciò che Jeongguk impara. Tirano fuori fiori dallo spazio fra le tue costole, e quando non c’è più niente ti buttano via senza dirti niente. Gli amici ti usano. Ti rompono.

A dodici anni, Jeongguk vorrebbe non aver mai ferito Taehyung.


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Potete trovare l'originale, in inglese qui --> https://archiveofourown.org/works/14916719

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Capitolo 2
*** moving on when you know that you never can ***


A vent’anni, Jeongguk non pensava sarebbe arrivato molto lontano nella vita. Crescendo, tutte le persone che aveva attorno gli avevano sempre detto che sarebbe per sempre stato un nessuno – uno spreco di spazio. Una brutta persona che non si merita nulla di buono. E in qualche modo, in tutti e otto gli anni di tormento, Jeongguk riesce a malapena a tirare avanti.

 

Il giorno in cui viene rilasciato dai confini delle uniformi scolastiche e detenzioni, prova un immisurabile sollievo. I lividi sulle costole non gli fanno più male e per un secondo sente come se può finalmente respirare. Forse le cose stanno cominciando ad andare meglio.

 

Jeongguk è fortunato ed entra in un’università a Seoul, e i suoi genitori sono felicissimi – lo chiamano il figliol prodigo. Non ha ricevuto tante attenzioni da suo padre in anni. Ed è bello. È come se avesse finalmente acquisito l’approvazione che ha cercato per anni. Finalmente. Finalmente.

 

È bello finché Jeongguk non dice di voler studiare musica, e suo padre non sorride più. Serra le dita attorno al collo di una bottiglia di birra e sbuffa. “Non ti porterà da nessuna parte nella vita.” E Jeongguk nemmeno prova a discutere, perché sa cosa succede quando prova a difendersi. Ed essendo il vigliacco qual è, con un tremante sorriso, Jeongguk propone di studiare economia. E così rinuncia al suo sogno di fare musica e suo padre è di nuovo contento. Lo chiama addirittura genio. Dice che sapeva che Jeongguk avrebbe cambiato idea.

 

E così Jeongguk studia economia anche se non gli interessa nulla di soldi. Non gli interessano i numeri. Certo, è quasi uno studente modello, ma non ne è appassionato. Quella passione è rimasta a Busan, con la sua chitarra e il piano. Lì dove le suo dita creavano melodie che sua mamma amava ascoltare. Ma qui si sente così vuoto. Sempre troppo vuoto.

 

Onestamente, un’ingenua parte di Jeongguk sperava che tutto si sarebbe sistemato una volta all’università. Sua madre lo aveva chiamato un nuovo inizio così che si sarebbe cominciato a comportare bene, così che avrebbe smesso di essere un ragazzino così problematico. Ma per persone come lui, tutto peggiora. I bambini sono crudeli, ma la realtà lo è ancora di più. Anche se le spinte e i sussurri della sua infanzia non lo seguono più, per Jeongguk l’università diventa un posto dove isolarsi. I suoi genitori gli comprano un bel posto fuori dal campus. Non troppo vistoso, ma abbasta grande perché gli altri sappiano che viene da una famiglia con i soldi.

 

Sua madre lo chiama dopo poco per sapere se si sta ambientando, e Jeongguk ride leggermente nella cornetta del telefono. Spera che la sua voce non suoni troppo tesa. “È carino, mamma.” Non le dice che lo odia. Che è troppo grande – così grande che Jeongguk sente di poter scomparire. Che c’è dello spazio nel salone dove potrebbe mettere un piano.

 

“Sarà perfetto per,” dice. E poi, esitando, “magari incontrerai una ragazza carina.”

 

Jeongguk torna coi piedi per terra. “Sì, forse.”

 

E un ragazzo invece? Vorrebbe chiedere, ma non lo fa perché sa che non dovrebbero parlare di quelle cose. Se lo fanno suo padre potrebbe arrabbiarsi.

 

Ricorda come sua madre piangeva ogni volta che era steso sul pavimento della cucina come un martire. Quando il suo occhio destro era così gonfio da non riuscire ad aprirlo. Quando non riusciva a respirare.

 

Forse si farà una fidanzata.

 

 



È molto più difficile farsi degli amici all’università (non che ci provi nemmeno), e Jeongguk si sente più invisibile che mai. Non c’è nessuno che lo spinge contro gli armadietti o che lo umili di fronte a altri venti ragazzi, ma non c’è nemmeno nessuno che noti la sua presenza. Va a lezione da solo, mangia da solo, ed evita ogni tipo di attività sociale. Quando le cose si fanno troppo brutte, Jeongguk pensa che la solitudine sia peggio che farsi prendere a pugni. Perché almeno, in quel caso, le persone sanno che esiste, anche se non nel migliore dei modi. Almeno era utile a qualcosa.

 

Ogni mattina, prima di uscire dal suo santuario, Jeongguk si guarda allo specchio del bagno e sorride al suo riflesso. “Stai bene, Jeon Jeongguk,” si dice. “Non hai bisogno di nessuno se non di te stesso.” Prova a convincersi di essere bravo in questo: che il dolore non lo ferisce più. Che non ha bisogno di amici perché le persone non ci mettono nulla ad abbandonarlo. Il dolore è okay. È familiare. Gli viene naturale. Sta bene. Jeongguk ci è abituato. È abituato a stare da solo.

 

E per la maggior parte, Jeongguk pensa di stare andando bene date le circostanze. Che problema c’è se non sta facendo l’unica cosa che gli abbia mai portato gioia nella vita? I suoi genitori sono contenti e lui li ha già feriti abbastanza. Jeongguk sa sopportare bene. Finché non sa più farlo.

 

Finché non è seduto in uno Starbucks a studiare – anche se non sta davvero studiando perché è troppo occupato a guardare un gruppo di ragazze parlare felicemente qualche tavolo più in là ed è invidioso; una certa voglia gli si accende nello stomaco vi prego notatemi. Sento di star scomparendo. Ma Jeongguk sa cosa succede ai ragazzi come lui che non sanno tenere la bocca chiusa. Sa come mordersi la lingua perché le sue parole sono sempre come un nido di vespe ed è sempre e solo bravo a fare del male alle persone. Ma una parte di lui vuole comunque essere egoista, vuole di più.

 

Jeongguk lascia parti di sé ovunque e spera che qualcuno le noti e le raccolga. Come fili sfilacciati su una porta. Come origami nascosti sotto il suo letto. Come lettere strappate – la cicatrice sulla sua guancia. Il neo sotto il suo labbro inferiore. A volte si domanda come sarebbe se qualcuno li raccogliesse tutti – quanto a fondo taglierebbe, ma sa che non è il tipo di persona per cui nessuno vuole sanguinare.

 

A volte, ragazze come quelle sedute vicino a Jeongguk provano a parlargli, ma prima che possano dire qualcosa, Jeongguk si è già chiuso in se stesso. Ragazze carine dagli occhi grandi, labbra lucide e capelli morbidi. Ragazze carine che gli chiedono se è single o se vuole andare al cinema, ma tutto ciò che Jeongguk riesce a fare è tremare. Apre il palmo della sua mano e vede la bruttezza fra le crepe e non può – non può. Dice sempre di no perché se tiene le persone a distanza, non potranno rovinarlo di nuovo.

 

E ha paura. Ha paura che se da una possibilità a una qualche ragazza, lei capirà già al primo appuntamento che non è etero. He gli piace il cazzo e spalle larghe, ma mai il seno. Gli piace la rudezza dei ragazzi. La barba sul mento.

 

Jeongguk è bravo a distruggersi. Va bene se è sui a fare del male a se stesso, giusto? Se fa delle cose brutte, almeno è la sua stessa vita che distrugge. Se si lancia sul pavimento e lascia che il dolore gli si appiccichi addosso, nessuno può più puntargli il dito contro. Ma il tutto lo raggiunge quando è a letto sveglio alle due del mattino, che fissa il soffitto e si chiede da dove è cominciato tutto. A volte, a notte tarda, pensa a Kim Taehyung.

 

È strano perché non vede l’altro da otto anni, ma quando le notti sono lunghe e il petto gli fa male, la sua mente pensa sempre al castano. Si chiede se si pieghi ancora su se stesso quando qualcuno lo guarda. Se trema ogni volta che uno dei suoi tormentatori lo prende in giro. Si chiede se Taehyung abbia mai imparato a tenersi su da solo senza lasciare cadere pezzi di sé – o se è rotto quanto lo è Jeongguk. La sua voce è ancora così soffice quando parla? Bacia i ragazzi negli spogliatoi come se in quel modo riuscisse a mandare via tutto il trauma che gli ha causato Jeongguk?

 

KIM TAEHYUNG È GAY?
 

Jeongguk è bravo a farsi consumare dal passato. Il come-sarebbe-stato che tiene come un monumento fra i suoi denti. E se non avesse aperto la bocca? E se avesse fermato Mingyu e gli altri prima che le cose si spingessero troppo in là? E se si fosse scusato? E se invece di essere il bullo di Kim Taehyung fosse stato suo amico? E se. E se. E se?

 

Non è in grado di lasciare andare le cose – si tiene stretto tutte le parti più sbagliate della sua vita, almeno sa che c’è stato un periodo in cui era felice. Tanto tempo fa, c’era un tavolo apparecchiato per tre, ed entrambi i suoi genitori gli sorridevano. Una volta, suo padre gli voleva bene. Una volta, aveva amici con cui ridere. Una volta, tanto tempo fa, c’è stato un periodo in cui la luce del sole filtrava nella sua pelle e Jeongguk si sentiva completo.

 

O forse è solo una punizione autoinflitta; come se in qualche modo, se lo tiene abbastanza stretto a sé, in qualche porto, da qualche parte, Taehyung è felice. Taehyung è vivo.

 

Jeongguk prova a essere contento a vivere la sua vita in relativo isolamento. Affonda il naso nei libri. Si mette le cuffiette e affonda nel suono del mondo circostante. Vive nella sua piccola bolla dove il passaggio del tempo è solo una conoscenza. Lavora da solo ai progetti di scuola, raramente con altri, e quando lo fa non si ricorda come sono i loro visi. Se Jeongguk prova a pensare alle persone con cui è andato al liceo, le loro facce sono sempre sfocate. Non riesce a ricordare. Ma comunque, non vuole nemmeno.

 

Perché quando ci riesce, quando Jeongguk si ricorda di come sorridono o come i loro occhi brillano quando sono felici, significa qualcosa. Se Jeongguk riesce ad associare un nome a un viso, significa che possono ferirlo. E non lascerà che ciò accada di nuovo.

 

Però c’è questo ragazzo nella sua classe di fisica che non lascia che Jeongguk se lo dimentichi. Si chiama Jung Hoseok, e l’unico motivo per cui Joengguk lo sa è che Hoseok è arrivato tardi a lezione, e a quel punto tutti hanno già scelto i loro compagni. E ovviamente, Jeongguk era quello in più. Quello strano e silenzioso seduto in fondo alla classe e a cui nessuno ha provato a parlare.

 

La professoressa lo rimprovera per essere in ritardo. Da un’occhiata alla classe e poi indica in fondo. “Hoseok, tu sei con Jeongguk,” dice la professoressa, e Hoseok non esita. Non si ferma e non guarda male Jeongguk, non sembra nemmeno offeso o irritato. Sale i gradini, fino ad arrivare in fondo all’aula dove è seduto Jeongguk.

 

“Io sono Jung Hoseok!” afferma allegramente e allunga una mano in attesa.

 

Ma Jeongguk non ci fa nemmeno caso. “Lo so,” sussurra, disegnando sul suo quaderno. Prova a fingere che non gliene importi davvero, quando invece è così nervoso, perché Hoseok lo intimidisce. Brilla fin troppo e ha un portamento che fa sentire chiunque a proprio agio. Sembra anche essere un tipo che non si impegna troppo e Jeongguk spera di non dover stare con qualcuno che gli fa fare tutto il lavoro, perché l’ultima volta che è successo è rimasto sveglio per cinquanta ore di fila. E Jeongguk è così stupido da farlo comunque perché ha paura di entrare in conflitto con qualcun altro. Ha paura di offendere.

 

Hoseok non sembra affatto turbato dalla mancanza di entusiasmo di Jeongguk. Si siede accanto a lui e continua a parlare. “Sembri intelligente,” dice, e Jeongguk alza semplicemente le spalle in risposta. Hoseok si appoggia all’indietro sulla sedia. Lascia andare un lungo sospiro. “Faccio schifo in matematica, sto riuscendo a malapena a passarla, perciò sii paziente con me, per favore.”

 

Oh, fantastico, Jeongguk dovrà di nuovo fare tutto il lavoro da solo, vero?

 

“Incontriamoci in biblioteca domani alle sei,” dice severamente, ignorando completamente le parole di Hoseok.

 

Hoseok non vacilla nemmeno per un secondo. Sorride e concorda con fin troppo entusiasmo. “È un appuntamento!”

Jeongguk non sorride nemmeno, torna a disegnare e a ignorare tutti intorno a lui. Hoseok rimane seduto accanto a lui fino alla fine della lezione.

 

 



Hoseok non stava mentendo quando ha detto di non essere bravo in matematica. Ma sorprendentemente, si è presentato in biblioteca per lavorare al progetto e non ha saltato nemmeno un incontro, anche se è sempre stato Jeongguk a decidere il giorno e l’ora. Non riesce a capire per bene il progetto, e Jeongguk diventa un tutor, piuttosto che essere un partner, ma per qualche strano motivo, non gli da fastidio come cosa. Anche se inizialmente Hoseok gli è sembrato come uno che scherza fin troppo e non prende le cose seriamente, in realtà è attento e disposto a imparare.

 

Ed è paziente. Fin troppo paziente. Quando Jeongguk si è intoppato su una spiegazione per la millesima volta, Hoseok non l’ha interrotto e non è sembrato scocciato. Sembrava incantato da ogni parola che usciva dalla bocca di Jeongguk e Jeongguk non riesce a capire perché è sempre così frustrato con la sua inettitudine a comunicare come un normale essere umano. Non capisce come Hoseok sia così okay con la sua ovvia goffaggine.

 

“Ah, sei un genio,” lo aveva complimentato Hoseok. “Come Einstein.”

 

E, beh, Jeongguk era arrossito e si era rifiutato di guardarlo negli occhi. Invece, si era distratto togliendosi lo sporco da sotto le unghie. “È p-piuttosto semplice, in realtà.”

 

Anche nel silenzio della biblioteca, la sua voce era troppo bassa. Jungkook aveva da tempo perso l’abilità di parlare con un qualunque tipo di fiducia in se stesso. Le sue parole sempre un mormorio, e spesso Hoseok deve allungarsi oltre il tavolo per sentirlo, ma non sembra affatto infastidito e Jeongguk è confuso perché non riesce a capire.

 

“Semplice?” Hoseok aveva sbuffato una risata, un’espressione incredula sul suo volto. “Amico, tipo metà classe sta fallendo il corso e per te questa è come matematica di prima elementare. Genio assoluto.”

 

Jeongguk non ha mai avuto un partner come Hoseok, che si prende tanto disturbo per essere fin troppo gentile. E all’inizio, è piuttosto sospetto, perché nessuno è mai così gentile senza avere altri motivi. Quando è con Hoseok, Jeongguk è sempre pronto a un impatto che non arriva mai. Da una parte pensa che forse Hoseok sia semplicemente una brava persona e Jeongguk non sa come gestirlo – non sa come accettare le brave persone.

 

E Hoseok è buono, anzi, molto più che buono. La scadenza si avvicina, e dopo aver consegnato il progetto Jeongguk sa che non parleranno mai più, perché va sempre così. Finge di non essere completamente deluso. Finge di non volere che Hoseok resti e continui a parlargli. Ma va sempre così, perché è così che deve essere. Perché non resta mai nessuno.

 

Tranne per il fatto che alla lezione successiva, Hoseok si dirige dritto verso Jeongguk e si siede accanto a lui, come se Jeongguk fosse un suo vecchio amico.

 

“Cavolo, sono contento che questo diamine di progetto sia finalmente finito.” Sospira drammaticamente. “Ti devo la mia vita, Jeon Jeongguk.”

 

Jeongguk batte le palpebre in confusione. Si pizzica il braccio giusto per essere sicuro che la sua mente non stia creando amici immaginari.

 

“Um,” inizia goffamente, “il progetto è finito.”

 

“Sì? L’ho appena detto.”

 

“N-non devi più sederti con me.”

 

Hoseok si acciglia, e ora Jeongguk non è l’unico a essere confuso. “Lo so…”

 

Jeongguk continua a fissarlo per un lungo momento, le labbra arricciate. Le rotelle girano nella sua mente. Si volta quando il professore entra in aula. “Va bene allora,” sussurra. Non dice un’altra parola per il resto della lezione.

 

 


Jeongguk non riesce a capire Hoseok. Per niente. Per qualche motivo, Hoseok si è fissato con lui, e sarebbe una bugia se Jeongguk dicesse di non essere spaventato da questa svolta. La presenza del più grande è scioccante, completamente all’opposto dell’isolamento in cui Jeongguk ha vissuto per otto anni.

 

Hoseok non entra nella sua vita come una tempesta, perché non lascia indietro alcuna distruzione, ma più come una lunga estate. Il tipo di estate che vorresti non finisse mai, e Jeongguk non sa come adattarsi. Non crede di riuscirci. All’inizio prova a evitare Hoseok, ma deve avergli attaccato addosso un qualche tipo di GPS, perché non importa quanto veloce Jeongguk corra da una parte all’altra del campus per evitarlo, Hoseok riesce sempre a trovarlo.

 

Il suo secondo tentativo di liberarsi di Hoseok è semplicemente di ignorarlo per sempre, tranne per il fatto che fallisce ancora più velocemente del primo. L’energia positiva di Hoseok è contagiosa, e Jeongguk sente di star iniziando a cedere. Il tutto inizia con un piccolo gesto, come sorridere timidamente alle sue battute o con l’avere una breve (perlopiù a senso unico) conversazione su cose che non riguardano la fisica. A volte Hoseok lo trascina fuori a cena o al cinema, ed è la prima volta in anni che Jeongguk passa del tempo con qualcuno in questo modo. Così liberamente e senza stress che è come se fossero amici.

 

“Vuoi andare a vedere un altro film questo fine settimana, Jeongguk?”

 

Sono seduti su una panchina fuori da una gelateria. Jeongguk ha preso un gelato al mirtillo e Hoseok alla fragola, due palline a testa. È un po’ triste, perché le ultime tracce d’estate sono scomparse qualche settimana fa e il freddo dell’autunno gli rende le dita insensibili, ma non gli importa, perché questo momento è speciale. Perché è la prima volta dalle elementari che Jeongguk mangia un gelato con qualcuno così.

 

“Certo. Che film?” Jeongguk tira su col naso, lo strofina per provare a ridargli un po’ di calore. Spera di non ammalarsi.

 

“Ancora non lo so.” Hoseok alza le spalle. “Sono usciti un sacco di film sui supereroi ultimamente. Direi Justice League, ma sappiamo tutti che la DC fa schifo a fare film, quindi pensavo al nuovo Iron Man, magari?”

 

Jeongguk inspira rumorosamente, e poi è più forte di lui. Davvero, non ce la fa. Il suo viso si illumina come un albero di Natale mentre, con occhi grandi, dice. “Io adoro Iron Man.”

 

La sua reazione prende Hoseok alla sprovvista, ma poi il più grande sembra felicissimo, come se avesse trovato una pentola d’oro. “Oh, sì?”

 

Jeongguk annuisce, un po’ in imbarazzo. “È il mio supereroe preferito.”

 

“Come mai?”

 

“Perché…” Jeongguk si morde nervosamente il labbro inferiore. Non è abituato a prlare così di se stesso. “P-perché anche se è egoista e non fa sempre la cosa giusta, è sempre un eroe. Tutti lo amano.”

 

Jeongguk vorrebbe che le persone amassero anche lui.

 

Non ricorda quand’è stata l’ultima volta che qualcuno non è stato solo un momento nella sua vita. Ha passato gli ultimi otto anni dimenticando visi, ma Hoseok è un barlume di luce in un mondo che agli occhi di Jeogguk ha perso colore, e per quanto sia terrificante, Jeongguk pensa che il viso di Hoseok risalti tra la folla. Il suo naso lungo, la curva della sua mascella – quando chiude gli occhi, Jeongguk riesce a ricordarsi esattamente com’è fatto, e questo lo terrorizza.

 

Hoseok, rumoroso e ottimista; che ride con tutto il corpo e sorride come fosse il fottuto sole. Jeongguk non lo ammetterà mai, ma si è affezionato, e Hoseok è quel tipo di persona con cui vuole essere amico, ma è il tipo di amico che Jeongguk non meriterà mai.

 

Perciò ogni volta che Hoseok dice una battuta stupida che riesce a far sorridere Jeongguk, lui serra i pugni e guarda altrove, perché non ha il diritto di godersi questi piccoli momenti di sollievo. Se Howok lo nota, non dice niente, resta accanto a Jeongguk e gli parla come se fossero più che due ragazzi che hanno lavorato a un progetto scolastico insieme una volta. Non è felicità, ma per qualche momento, quando Jeongguk è con Hoseok, il suo petto non è così pesante. E pensa, forse me lo merito.

 

Ma poi si guarda di nuovo i palmi delle mani e pensa a tutti gli errori che ha commesso e si ritira su se stesso. Non può. Non può attaccarsi a qualcuno come Hoseok e contaminarlo. Non può chiedere a Hoseok di restare perché potrà solo dipingerlo di nero dentro. Jeongguk si rifiuta di ferire qualcun altro così.

 

Ma è come se Hoseok sapesse che qualcosa in Jeongguk è rotto, come se sapesse che Jeongguk non ha mai imparato a staccare le parti incollate di se stesso; come se sapesse che Jeongguk è vetro in frantumi, troppo pericoloso da raccogliere perché ci sono così tante parti di se stesso che non troverà mai sparpagliate sul pavimento della cucina. È gentile con Jeongguk, e stranamente in armonia coi suoi sbalzi d’umore. Come se sapesse quando può toccarlo e quando deve lasciare spazio fra di loro quando si siedono uno accanto all’altro.

 

È confortevole. Troppo confortevole.

 

Scusa se sono così incasinato, vorrebbe dire Jeongguk. Ma non lo fa.

 

È di nuovo seduto in uno Starbucks, disegnando a caso negli spazi vuoti del suo libro di scuola. Jeongguk non riesce a concentrarsi sui suoi compiti, non è uno di quei giorni. Uno di quei giorni in cui il fatto che è triste e non potrà mai inseguire i suoi sogni, lo colpisce fin troppo. La sua pelle formicola per l’ansia e non riesce a stare fermo. Guarda male il suo libro d’economia e vorrebbe darli fuoco.

 

Si impegna più a disegnare che a fare qualsiasi altra cosa, alzando appena lo sguardo verso tre persone appena entrate, e quando sta per ignorarle riconosce Hoseok fra loro. Ed essendo l’asociale qual è, Jeongguk prova a fingere di non averlo visto – il che non funziona affatto perché il suo Jeon Jeongguk radar è attivo e Hoseok lo riconosce quasi subito.

 

“Gukkie!” lo chiama eccitato.

 

Jeongguk finge di non sentire Hoseok, perché forse se fissa abbastanza il suo libro, l’altro coglie l’indizio e se ne va, ma invece Hoseok va da lui e Jeongguk alza lo sguardo, sorridendo saldamente.

 

“Ciao,” squittisce.

 

Hoseok sorride. “È una settimana che non ti vedo, amico. Dove sei stato?”

 

Jeongguk prova a pensare a una scusa plausibile che non involga il dire a Hoseok che a volte la sua ansia è così brutta da non riuscire nemmeno a uscire di casa. A volte ha troppa paura di andare a lezione, anche se sa che non è come al liceo, sa che non ci sono teenager in attesa di infilargli di nuovo la testa nel water, ma l’ansia resta comunque. E se qualcuno lo spingesse di nuovo nel fango? Magari un altro occhio nero? A volte riesce ancora a sentire il dolore di ogni pugno, ma come può dirlo a qualcuno?

 

Perciò sta zitto. “Um… in giro.”

 

Hoseok ride come se Jeongguk fosse la persona più divertente sul pianeta e di fronte ad altre due persone che non conosce e che si rifiuta di guardare, Jeongguk si sente a disagio.

 

“Okay, beh, è da un po’ che volevo presentarti ai miei amici, ma tu scappi via ogni volta appena mi distraggo,” lo rimprovera scherzosamente Hoseok.

 

“Questo è Jimin.” Hoseok presenta il ragazzo alla sua sinistra, il quale sorride dolcemente. È bello, in un modo che fa sentire Jeongguk a disagio. I lineamenti soffici, labbra morbide e i capelli biondi scompigliati in un modo che lo fa sembrare incredibilmente soffice.

 

“Ho sentito parlare così tanto di te. Sei fottutamente adorabile,” dice Jimin. La sua voce è piacevole da ascoltare, leggermente rauca e acuta, ma piacevole. Ed è bello. Decisamente bello. Probabilmente si fa il bagno in petali di rose e bath bombs. Mentre Jeongguk ha addosso la stessa maglietta bianca da tre giorni.

 

Si gratta la testa in imbarazzo. “Grazie,” mormora.

 

“E lui,” Hoseok indica l’altro ragazzo, e questa volta Jeongguk lo guarda. Oltre il mento, il naso e - oh. Nel momento in cui i loro occhi si incrociano, se ne pente. Vorrebbe poter guardare altrove, ma non ci riesce, perché è troppo tardi, e dei brividi gli corrono lungo la spina dorsale, perché questo ragazzo è così bello da mozzare il fiato, come fosse nato dall’universo. Bello come se Zeus l’avesse creato con le sue stesse mani e Jeongguk sente il sangue gelarglisi nelle vene. Inizia a tremare, perché quel ragazzo è etereo, e gli è familiare in un modo che gli fa crescere una certa paura nello stomaco. Gli è familiare, e Jeongguk si sente come se non ci fosse arie nella stanza.

 

Solo loro due.

 

“T-Taehyung,”

 

Sta per sentirsi male.

 

Jeongguk prova a distogliere lo sguardo, ma è come se Taehyung lo tenesse inchiodato sul posto. Lo fissa con grande intensità per un lungo momento, l’espressione illeggibile e Jeongguk sente caldo e freddo allo stesso momento. Sente come se il mondo stesse per crollargli sotto i piedi perché tutto ciò deve essere una specie di scherzo crudele. Taehyung non può essere qui. Ma lo è.

 

Finalmente, dopo quella che sembra un’eternità, Taehyung si muove, gli angoli della sua bocca si alzano in un sorrisetto. “Ciao Jeongguk,” lo saluta freddamente. “Non pensavo ti avrei mai rivisto.”

 

Tutta l’aria che gli è rimasta lascia i polmoni di Jeongguk, ed è come quando è stato colpito in petto con una mazza da baseball a nove anni e non riusciva a respirare; tranne per il fatto che questo è quel tipo di dolore che si porta attaccato alle caviglie, come dei pesi, e lui riesce appena aggalla, cerca di rimanere con la testa in superficie. È come se Taehyung avesse scosso il suo lago con appena poche parole, ma Jeongguk non ha mai imparato a tenersi tutto insieme senza che tutto il male straripi.

 

È un momento velenoso – Taehyung e Jeongguk sono come due satelliti che non dovrebbero mai connettersi, ai lati opposti del pianeta. Sono più stereotipi di fuoco e ghiaccio, e Jeongguk non è così ingenuo da giocare con qualcuno che gli regala bruciature di terzo grado. Ci ha provato a dimenticarsi di Taehyung, ma è come se ogni volta che prova a lasciarlo andare, tutto quanto gli torna alla mente e lo ferisce. O forse non ha mai davvero provato a dimenticare; voleva che la propria mente diventasse un cimitero, ma Taehyung non potrebbe mai essere il cadavere.

 

Tanto non è mai nemmeno stato bravo ai funerali.

 

E Taehyung è qui, bello e non più un bambino. Non più piccolo e fragile. Il suo sguardo è tagliente. Non c’è più il Taehyung che fissa il pavimento con grandi occhi ingenui. Non è più pronto a frantumarsi come una vecchia casa abbandonata. Ora è alto e ha i lineamenti definiti, da uomo.

 

La sua voce è profonda e forte, l’opposto del balbettante bambino di molti anni prima. Pare tenersi con tale sicurezza e fiducia in se stesso. La sua presenza è rumorosa, non come Hoseok, ma più come una forza travolgente – come potesse inghiottire Jeongguk.

 

Kim Taehyung è cresciuto, ed è diventato bello; innegabilmente e irrevocabilmente bello.

 

È come la bocca di una tempesta. Taehyung non guarda Jeongguk terrorizzato. Non con odio o disgusto, ma come se fosse un predatore che si gode la caccia. Come se trovasse la presenza di Jeongguk divertente, più che qualunque altra cosa – una vecchia fiamma del suo passato su cui concentrare temporaneamente la sua attenzione. Come se KIM TAEHYUNG HA PROVATO A UCCIDERSI PER COLPA DI JEON JEONGGUK? non fosse mai esistito.

 

Hoseok li guarda con gli occhi socchiusi. “Vi conoscete?”

 

E Jeongguk non riesce a rispondere. Si sente avvizzire sotto il deciso sguardo soffocante di Taehyung. Se gli occhi sono lo specchio dell’anima, Jeongguk sente di star guardando un muro di mattoni. Taehyung è completamente chiuso. Ogni piccolo movimento delle labbra è misurato, ogni cambiamento d’espressione è controllato.

 

Jeongguk percepisce l’ansia inziare a salirgli in gola. Come se delle mani gli si stessero chiudendo attorno al collo. Guarda cosa hai combinato. Guarda il casino che hai creato. È come se avesse di nuovo dieci anni, tranne che questa volta è lui a camminare in classe senza scarpe. Ha lividi sulle ginocchia e ogni frase inizia con una sillaba balbettata.

 

“Eravamo conoscenti prima che mi trasferissi,” spiega Taehyung senza nemmeno interrompersi. Non esita, come fossero davvero stati semplici sconosciuti.

 

Il viso di Hoseok si illumina. “Davvero? Che mondo piccolo.”

 

“Già,” risponde inflessibile Taehyung, gli occhi che non lasciano per un secondo quelli di Jeongguk. “È davvero piccolo.”

 

È piccolo. Troppo piccolo. Così piccolo che è soffocante. Seduto lì, ghiacciato sulla sedia di fronte al bambino che bullizzava, Jeongguk sente la pelle scioglierglisi sulle ossa.

 

WStai bene?” chiede Taehyung, e Jeongguk riesce solo a deglutire. Non sa come Taehyung ci riesca – come riesca a parlare a Jeongguk così casualmente, come se non fosse lui il motivo per cui Taehyung ha dovuto cambiare scuola. Come se non fosse il pezzo di merda più grande sul pianeta.

 

Jeongguk realizza che stanno tutti aspettando che risponda. “S-sì,” riesce a balbettare. Distoglie lo sguardo da Taehyung, alle mani che gli tremano poggiate sulle gambe. “Sto bene.” Le parole gli escono in un bisbiglio e Jeongguk si sente stupido. Fottutamente stupido. È uno scherzo del destino? Tipo, oh, per una volta qualcuno non pensa tu sia un pezzo di merda? Beh, indovina? Ti ricordi quel ragazzino che bullizzavi? Beh, è uno dei suoi amici. Pensavi davvero qualcuno potesse davvero volerti bene?

 

È una sensazione amara.

 

“È un bene,” dice Taehyung. “Mi fa piacere vedere che ne stai facendo qualcosa della tua vita, Jeongguk.” Lo dice in una maniera che potrebbe sembrare amichevole, ma a Jeongguk è chiaro il vero tono delle parole di Taehyung, e la vergogna gli infiamma le guance.

 

Non ne sta facendo nulla della sua vita. Sta solo perdendo tempo e perdendosi in esso.

 

“Jeongguk?” ripete Jimin. “Intendi Jeon Jeongguk?” la sua voce è tesa, e quando Jeongguk osa alzare di nuovo lo sguardo, Jimin non sta più sorridendo.

 

“Oh sì. Non te ne avevo parlato, Jimin?” Taehyung alza un sopracciglio.

 

“Ho sentito dire fossi piuttosto affascinante all’epoca.” Il tono di Jimin è derisorio. Si volta verso Taehyung, e dallo sguardo che si scambiano è ovvio sia uno scherzo fra loro.

 

Jeongguk sa esattamente cosa intende.

 

Quindi sei tu quello che ha bullizzato il mio migliore amico e ha reso la sua vita un inferno?

 

Già.” Jeongguk deglutisce. “Sono io.” È un’ammissione di colpa, e Jeongguk si sente appassire. Sente il proprio cuore battergli forte nelle orecchie e oh, sta per avere un attacco di panico davanti al ragazzo che ha tormentato come se fosse lui quello a soffrire? Che razza di logica al contrario è questa?

 

Ma è troppo e Taehyung è troppo. Troppo travolgente. Troppo bello. E Jeongguk – sa sempre solo come far trapelare la luce dagli spazi fra le sue ossa e all’interno è una casa piena di ragni con non vogliono aiutarlo a vivere.

 

“Devo andare,” dice. Prova a raccogliere le sue cose, ma le mani gli tremano così forte che la penna vola sul pavimento, e prima di poterla prendere, Taehyung si è già piegata per raccoglierla.

 

“Ti è caduta questa,” dice ovviamente. Gli porge la penna e fissa Jeongguk con sguardo di sfida.

 

C’è un momento di imbarazzo in cui nessuno dei due si muove, ma il bisogno di scappare lo stordisce e Jeongguk allunga una mano per afferrarla, con la testa abbassata. “G-grazie,” sussurra.

 

Prima che Hoseok possa provare a fermarlo, Jeongguk è già corso fuori dalla porta, ma i suoi piedi non si muovono abbastanza veloci. Anche quando il coffee shop scompare dietro l’angolo, si sente ancora soffocare. Come se stesse per affondare nel cemento sotto i suoi piedi.

 

Vorrebbe poter fingere che l’incontro con Taehyung sia solo una coincidenza. Vorrebbe poterlo ignorare e lasciarlo andare, perché sono passati otto fottuti anni, ma non ci riesce. Perché questo è il karma tornato a prendersi un altro pezzo di lui, ed Jeongguk è fin troppo debole. La più piccola puntura di uno spillo gli apre la pelle, ma vedere Taehyung lo ha completamente lacerato, e fa male.

 

Fa male come la prima volta che Jeongguk ha baciato un ragazzo e l’ha detto a suo padre. Fa male come quando gli hanno detto che era disgustoso. Sporco. Non sei mio figlio. Il sole comincia a tramontare come gli ultimi granelli di sabbia in una clessidra, e non brilla più niente, se on il sangue di Jeongguk sulle sue unghie da dove si strappa la pelle. Jeongguk prova a tenersi stretto, ma non ci riesce, perché tutto il casino qual è gli fuoriesce dai palmi e gocciola sull’asfalto.

 

Non cammina molto, prima di gettarsi in un vicolo e sedersi sul pavimento sporco. Il mondo gira e il petto è pesante, un singhiozzo gli esce dalla gola. Jeongguk non sa per quanto resta lì, piegato su se stesso. Le unghie conficcate nelle braccia, facendo uscire sangue. Pensa sia più carino così, quando soffre – quando sanguina.

 

Non sa molte cose; come ad esempio perché sia ancora vivo. Perché Dio crea persone come lui. Perché Taehyung è qui?  Perché è perfetto e così composto? Perché è bello. Splendido. Irreale. Perché, dopo tutti questi anni, Jeongguk vuole ancora baciarlo?

 

Perché Jeongguk è gay? Perché devo essere gay?

 

I ragazzi non baciano altri ragazzi. Gliel’ha detto suo padre.

 

Freddo e terribilmente solo, Jeongguk piange. Per quanto tempo non lo sa. Tutto ciò che sa è che vuole andare a casa. Ma dov’è casa, questo non lo sa.

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