Oltre quel muro

di lady hawke
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Casa chevalier ***
Capitolo 2: *** La ninfa ***



Capitolo 1
*** Casa chevalier ***


Oltre quel muro

Oltre quel muro

 

 

 

 

Ho avuto una folgorazione ascoltando un pezzo della colonna sonora del film “ il favoloso mondo d’Amèlie”. N’è uscito un racconto che ha del fiabesco, non so quanto senso possa avere, ma non ho resistito alla tentazione di scriverlo. Fatemi sapere cosa se pensate, mi fareste davvero molto felice…quindi coraggio commentate^^

Grazie mille, un bacione a tutti

Lady hawke

 

 

Casa Chevalier

 

 

Se alzi un muro, pensa a ciò che resta fuori.

Italo Calvino

Tratto da “ Il Barone Rampante”

 

 

 

Da anni nessuno frequentava più casa Chevalier.

Quella che una volta era stata una deliziosa villa in campagna dove trascorrere piacevolmente le afose estati giaceva abbandonata come un relitto insabbiato sul fondo del mare. Le imposte scardinate cadevano a pezzi, la vernice che le ricopriva si separava dal legno arricciandosi nervosamente; l’intonaco era completamente sbiadito, al posto di quel bel giallo brillante che una volta ornava le pareti era rimasta una debole sfumatura che tendeva al grigio, e numerosi frammenti cadevano dal muro, sbriciolandosi a contatto con la terra producendo un soffocato rumore. Anche il tetto versava in pessime condizioni; solo l’imponente muro di cinta che si ergeva intorno all’abitazione resisteva orgogliosa allo scorrere del tempo.  Era l’unica cosa ancora in grado di asservire la sua funzione originale. Era stata aggiunta poco più di un centinaio d’anni prima, allo scopo di evitare gli sguardi curiosi del mondo esterno; quella muraglia era una difesa, un rifugio isolato ed incontaminato. Nessuno da allora era più riuscito a scorgere nulla dell’immenso giardino che proteggeva; il possente muro alto due metri e mezzo celava ancora il suo misterioso segreto. Nessuna breccia aveva scalfito quella solida parete, nemmeno una fessura, nemmeno le erbacce erano riuscite ad invaderlo. Dal bordo però si potevano scorgere le immerse fronde delle numerosissime querce, dei tigli e degli alberi da frutto. Era una visione meravigliosa poter osservare in primavera quel tripudio di fiori galleggianti come le ninfee sugli stagni.

Ma anche il giardino era abbandonato, come tutto il resto. Le aiuole ornamentali erano state invase e distrutte da prepotenti erbe selvatiche alte e sgraziate; i sentieri bianchi di pietre che si districavano all’interno come serpenti sinuosi erano stati cancellati; le siepi erano incolte e la crescita sregolata aveva donato loro forme grottesche; gli alberi da frutto che una volta deliziavano con i loro doni erano cresciuti a dismisura ed erano diventati incapaci di generare frutti dolci e succosi. Era davvero un bene che nessuno potesse entrarvi perché in quel giardino avrebbe trovato solo desolazione ed incuria. Dalla morte della vecchia signora Anne, che aveva voluto passare in quel luogo i suoi ultimi anni, nessuno dei suoi figli aveva più fatto ritorno in quella casa, fino a quel giorno.

La figlia più piccola, Nausicaa, ormai divenuta madre, voleva che anche i suoi figli passassero le estati in quella che era stata l’oasi di pace e di riposo della sua infanzia, non le piaceva stare in città, non le era mai piaciuto.  Sopportava i quei lunghi inverni grigi e bui solo per facilitare la carriera del marito, un uomo d’affari; ma le estati passate al chiuso, tra quelle quattro mura soffocanti, erano una tortura. Il rumore di quelle nuove automobili, venute a sostituire le carrozze, ormai troppo lente, che correvano veloci sul selciato cittadino la infastidiva infinitamente.

Scese dalla carrozza si sistemandosi il lungo abito e lanciò un fugace sguardo alla vecchia villa. Quella vista le strinse il cuore. Capì in quel momento di aver aspettato troppo. La casa versava in condizioni paurose, erano davvero passati così tanti anni? O forse lei aveva impresso nella memoria il ricordo della sua infanzia? Anche quando la madre vi si era ritirata con quella poca servitù nessuno aveva più badato alla manutenzione. Era un peccato, lo sapeva, ma forse sarebbe riuscita a recuperarla e a riportarla agli antichi splendori.

< Katie, portami le chiavi, per favore >

< Eccole qui signora. È qui che passavate le estati da bambina? >

< Sì, molto tempo fa, come vedi qui è tutto da rifare >

< Penso che vostro marito avrà di che ridire >

< Lo so, sarà un lavoraccio, ma questo favore non può negarmelo >

Sorrise leggermente, più a se stessa che alla cameriera, quello che aveva detto a Katie era vero, ma con qualche sforzo sarebbe riuscita realizzare il suo desiderio. Impugnò il mazzo di chiavi e si diresse verso il portone per aprirlo. Non fu facile come immaginava, la serratura era andata arrugginendosi negli anni, e ci volle l’aiuto di Katie per far girare la chiave nella toppa. In breve tempo furono sommerse dalla vegetazione selvaggia.

< Temo che dovrete assumere un giardiniere >

< Già, credo anche io >

S’inoltrarono attraverso quello che una volta doveva essere stato il viale principale che le condusse direttamente al portone principale della villa. Era invaso dalla vegetazione, ma, a differenza degli altri sentieri, si poteva ancora distinguere dalla schiera di siepi che ne costeggiava i contorni. Nonostante tutti quei cambiamenti la signora lo riconobbe con facilità.

< Avresti dovuto vederla ai tempi d’oro, Katie. Quello che vedi non le rende minimamente onore >

Katie osservava sorridente la sua signora persa nei ricordi della sua infanzia, la conosceva da anni, sapeva che era una persona a cui piaceva sognare, sempre immersa in altri pensieri e poco attenta ai tumulti del mondo, ma non l’aveva mai vista così presa da qualcosa.

Entrarono nell’atrio e si trovarono nella più completa oscurità. Sparute lame di luce fendevano di tanto in tanto la luce illuminando la danza del pulviscolo, ma non erano certo sufficienti quei pochi raggi per illuminare la stanza.

< Katie, per favore dammi una mano ad aprire le imposte, presta attenzione, sono così malridotte che potrebbero rimanerti in mano > disse ridendo.

< Spero proprio di no, non saprei dove appoggiarle! >

Si diedero da fare con le numerose vetrate e in meno di un minuto la luce torno a regnare su quelle stanze.

C’era uno strato di polvere ovunque, persino il pavimento appariva opaco, a fatica si distingueva il complicato arabesco che lo ornava; le due donne camminando avevano lasciato le loro impronte, e la signora con il lungo vestito aveva lasciato una lucida scia ad ogni suo passo. Sembrava che qualcuno avesse fermato il tempo, tutti i mobili, gli oggetti, le suppellettili erano perfettamente sistemati al loro posto come se il proprietario se ne fosse andato solo per un attimo. Tutto era in ordine: il bel sofà rosso sulla destra, il tavolino di mogano accanto, le pile di libri sulle mensole e le librerie…

< Nessuno di voi è più tornato qui, signora? >

< Da quando è morta mia madre no. Vedi, nel suo testamento aveva chiesto che questa casa mantenesse le sue funzioni di un tempo. Doveva essere usata come casa estiva e nient’altro. Né io né i miei fratelli ci abbiamo più pensato, non pensavamo di tornarci; ma ora penso possa tornarmi utile >

< Penso che dovremmo arieggiare un po’, c’è un discreto odore di chiuso, signora >

< Prima preferisco ispezionare la casa, vorrei vedere quanto lavoro dovremo fare effettivamente >

< Come preferite >

Nonostante il desolante aspetto esteriore, la villa non se la passava male. Le stanze erano state ermeticamente chiuse, e il buio aveva evitato i danni maggiori, all’interno si trattava, più che altro, di un’enorme opera di pulizia e di rinnovamento. I mobili erano perfettamente riutilizzabili, una volta cambiati i tendaggi e le carte da parati tutto sarebbe stato perfetto. Nausicaa andava avanti e indietro per le stanze immaginando come le avrebbe potute sistemare, e sognava e sognava seguita dalla fida Katie.  Attraversarono stanze e stanzette, piccoli corridoi, ampi porticati che davano sul giardino. La giovane donna sentiva ancora prepotentemente la presenza della sua infanzia, ogni oggetto poteva evocare un ricordo. Un piatto, un nastro ben nascosto in una scatola, un libro di fiabe, soprattutto libri di fiabe. Quante avventure aveva letto da bambina? Quante saghe memorabili, principesse, draghi, battaglie rivivevano nella sua mente. Un teatro dell’immaginario rimasto chiuso per troppo tempo in un angolino della sua memoria.

La stanza dei giocattoli fu quella che la colpì di più, quasi non la ricordava, a quei tempi non era importante dove si era, ma quali storie si potevano creare ed inventare. Ritrovò, nascosta in un baule, la sua bambola preferita. Era consunta dagli abbracci, ora si ricordava, la portava con sé ovunque, a letto, a tavola, ai pic-nic, era stanca e vissuta, povera bambola di pezza, l’aveva sfruttata fino all’ultimo. Ora se ne stava lì, a guardare la sua vecchia padroncina ormai cresciuta. Aveva perso molti capelli, ma qualche ciuffo di lana bionda si intravedeva sulla sua testa enorme; invece il suo eterno sorriso compariva ancora davanti agli occhi della donna, stinto, consumato ma ancora allegro. Il vestito rosso era proprio rovinato, mancava una manica, la destra, e l’orlo della gonna completamente strappato. A Nausicaa però parve bellissima, bella ed inconsistente come un ricordo felice, pronto ad uscire ogni qualvolta sul tuo viso compaia un velo di tristezza.

< Guarda Katie, questa è la mia vecchia bambola >

< Doveva essere bella, peccato che sia così rovinata >

< Oh, lo so, ma sai ne ha passate tante, mi stupisce che sia ancora intera, la portavo ovunque, anche quando andavo a fare le escursioni in montagna, era sempre sotto al mio braccio. >

La ripose con cura, aveva tempo ora per occuparsi di lei, tutto il tempo del mondo. Più avanti rivide un cavalluccio a dondolo di legno scuro, il passatempo dei suoi due fratelli Harry e Mark. Facevano un gioco da bambini, lei piccola e indifesa, vessata dai fratelli prepotenti e gelosi, interpretava sempre la parte della giovane fanciulla indifesa, o della principessa in pericolo da salvare. Immancabilmente Harry e Mark avevano il compito di salvarla, no, non era un compito, era una vera e propria missione. Facevano a gara a chi la salvava per prima, l’onore innanzi tutto; il cavallo a dondolo aveva sempre un gran ruolo. Lui era il fedele destriero del campione, giovane e forte; se solo avesse potuto muovere un solo passo. Era divertente vedere un bambino scalmanato dondolare dolcemente mentre fingeva di correre al galoppo sfrenato in una prateria. Fortunatamente poi lei era cresciuta e aveva imparato a difendersi, due fratelli grandi possono sempre tornare utili nonostante gli svantaggi iniziali. Sua madre era inorridita all’idea che la sua dolce bambina si trasformasse in un maschiaccio.

La donna dovette malgrado abbandonare la stanza per continuare il loro giro. Si trovarono ben presto in una stanza ottagonale circondata da vetrate colorate. Le pesanti tende di tessuto erano ancora tirate, ma, nonostante tutto, una fioca luce riusciva a filtrare illuminando di caleidoscopici colori l’ambiente.  Spalancarono le finestre e finalmente la luce bianca investì le pareti chiare. Nausicaa la riconobbe all’istante, la stanza che sua madre preferiva, la Stanza della Musica. La cara Anne adorava la musica, e da ragazza aveva insistito le poter imparare a suonare uno strumento. La reticenza dei genitori era caduta davanti l’ostinazione della figlia. Aveva scelto dapprima il violino e poi, verso i dodici anni, il pianoforte. Anne aveva abbracciato la musica con passione ed era diventata una musicista molto abile. Era un incanto poter vedere le sue esili mani correre veloci su quei tasti bianchi e neri. Da bambina Nausicaa aveva creduto la madre una sorta di fata, capace di far uscire melodie meravigliose da quella scatola magica. In quella sala troneggiava ancora, al centro, l’enorme pianoforte a coda della madre. Quante volte da piccola si era seduta accanto a lei, ad ascoltare. Avrebbe tanto voluto imparare anche lei a suonare, ma non era mai stata una persona costante, al contrario era volubile per carattere. Rimpiangeva ora, a distanza d’anni, di non essersi applicata con dedizione. Un magnifico strumento sprecato. Ma l’avrebbe conservato ugualmente, e l’avrebbe fatto accordare, era troppo legata a quell’oggetto.

< Un bellissimo strumento signora >

< Se fossi capace di suonare lo sarebbe ancora di più. Apparteneva a mia madre, non sai quante volte l’ ho vista sedersi lì e suonare. Capitava a volte che ci raccontasse delle storie accompagnate dalla musica, verso il tramonto. Con le luci fioche era tutto così magico. >

 

Mentre pronunciava queste parole a Nausicaa tornò in mente una storia che Anne le aveva raccontato una sola volta, in assenza dei suoi fratelli. Con il passare degli anni aveva tentato inutilmente di convincere sua madre a ripetergliela; peccato era davvero una bella favola.

 

 

 

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Capitolo 2
*** La ninfa ***


La ninfa

La ninfa

 

 

Anne stava suonando il piano, come sovente faceva. I suoi bambini, in genere, al pomeriggio correvano per il giardino improvvisando battaglie e duelli. A lei la confusione non piaceva, ma non poteva negare loro un po’ di sana scorribanda, lo aveva fatto anche lei da piccola, di conseguenza aveva preso l’abitudine di ritirarsi, nelle ore più calde della giornata, in quella stanza, sola con i suoi spartiti. Fu perciò sorpresa quando qualcuno bussò piano all’uscio. Dalla porta comparve Nausicaa, la più piccola. Aveva il viso scarlatto, doveva avere corso per le scale, e il viso imbronciato.

< Cosa c’è che non va, piccola? >

< Non li sopporto quando fanno così, non vogliono farmi giocare perché sono una bambina, staranno da soli. Ma non è giusto mamma! > cantilenò la bambina.

< Lasciali fare, presto verranno a cercarti loro. Vuoi rimanere qui con me? >

< Posso davvero? >

< Certo > aveva risposto sorridente la donna rimettendosi a suonare.

Nausicaa si era avvicinata alla madre e si era seduta accanto a lei sullo sgabello. La osservava silenziosamente con gli occhi lucidi di meraviglia, non conosceva nessuno in grado di suonare il piano così. Sua zia si cimentava spesso in nelle Carole di Natale, la sera della Vigilia, ma non era certo la stessa cosa.

Anne con la cosa dell’occhio osservava la figlia compiaciuta. Era una bella bambina, dolce e composta, peccato che i suoi compagni di giochi fossero quei due scapestrati di Harry e Mark, la bambola che teneva sotto il braccio non poteva certo compensare quella mancanza.

< Sai Nausicaa, la musica contiene sempre delle storie >

< Storie? Come le fiabe che ci racconti la sera? >

< Sì, si nascondono fra le note e non aspettano altro che qualcuno le narri >

< Me ne racconti una per favore? Ti prego! Ti prego! >

< Come vuoi, ma questo pezzo non è adatto, vediamo se trovo qualcosa di meglio >

Anne aveva smesso di suonare e si era alzata per prendere un altro spartito, appoggiato sulla libreria. La bambina aveva seguito avidamente i movimenti della madre, era incuriosita da quello che le aveva appena detto.

< Ecco, questa dovrebbe andare > disse sedendosi e sfogliando le pagine.

Nausicaa ascoltò attentamente le prime note cercando di captare qualcosa, un personaggio, un paesaggio, una sensazione, una cosa qualsiasi insomma, ma non ci riuscì.

< Mamma, cosa ti fa venire in mente questa canzone? Qual è la sua storia? >

< Mi viene in mente una bambina, seduta sull’altalena… >

 

Immagino una bambina, sugli otto anni, alta più o meno come te. Ha un viso tondo e due occhi vispi,verdi come gli smeraldi. I capelli biondi sono raccolti in una treccia stretta. Gli unici ciuffi liberi di svolazzare sono quelli della frangetta. È seduta sulla sua altalena all’ombra di una quercia secolare, nata molto prima che le costruissero una casa accanto. Gliel’ ha costruita suo padre due anni prima. Le è sempre piaciuto dondolarsi piano piano e guardare in alto, tra le foglie dell’imponente albero. Quando c’è vento le foglie cominciano a vibrare cambiando sfumatura di verde e cominciano a frusciare delicatamente, suonando sempre una canzone diversa. La luce non è più regolare e il sole fa fatica ad infiltrarsi, solo qualche raggio scintillante sfugge alla rete del fogliame. Vorrebbe arrampicarsi, ma non ne è capace. Ci ha provato molte volte. È sempre arrivata al primo ramo, e mai oltre. Perché ha paura. Quando si arrampica vede il prato allontanarsi e ha paura di cadere, inoltre se i suoi genitori lo scoprissero si arrabbierebbero molto, la bambina vuole invece che loro siano fieri di lei. Eppure ai suoi occhi non sembra un’impresa impossibile, né pericolosa; i rami sono grandi e possenti, potrebbe starci seduta sopra a cavalcioni e vedere cosa c’è oltre quell’ enorme muro di cinta che le impedisce sempre di guardare fuori. Lei non ha mai visto cosa si nasconde là fuori, la sua camera è al piano terra, guarda sul giardino e ai piani alti sta la servitù, lei non ci può andare. Esce spesso da quella casa, ma viaggia in carrozza e da quei piccoli finestrini è difficile riuscire a vedere qualcosa. Verde e soltanto verde, nessuna forma distinguibile in quel mare tutto uguale.

Però oggi la bambina è annoiata. Fa caldo e tutti stanno facendo una pennichella, ma lei non ha sonno, eppure non sa cosa fare. È uscita in giardino nella speranza di trovare qualche svago. Vorrebbe avere un fratello, o una sorella, per poter giocare. E invece si ritrova lì sempre da sola, circondata solo da adulti.

Perché la mamma non la vuole accontentare?

C’è la sua palla di cuoio lì per terra. Ma a che può servire se non hai nessuno a cui lanciarla?

Però è da sola, nessuno la controlla. Se salisse su quell’albero nessuno lo verrebbe mai a scoprire, sarebbe il suo segreto. Corre verso la grande quercia e si mette a guardarla con il naso all’insù. Non le è mai sembrata così alta come oggi, ma non può tirarsi indietro, non adesso che si è decisa. Spicca un salto e si appende al primo ramo. Ora bisogna farsi forza e tirarsi su, ma le mani scivolano, non ci riesce, meglio mollare la presa e saltare giù. L’atterraggio non è dei migliori. Ma non si è fatta niente, e il vestito non è rovinato. La piccola sospira e guarda in alto, di nuovo. L’albero l’ ha sconfitta. Perché non vuole che lei salga lassù in cima?

Non bisogna mai arrendersi al primo insuccesso. La bambina salta di nuovo e si riappende al ramo, stavolta deve assolutamente riuscire a tirarsi su. Una gamba, e poi l’altra.

Ma perché il ginocchio brucia così tanto?

Nel salire se lo è sbucciato contro la ruvida corteccia del tronco. Sono comparse due piccole gocce scarlatte di sangue. Le fa male, vorrebbe piangere e chiamare qualcuno, ma così sarebbe scoperta. Si siede e succhia via quel poco sangue che sta uscendo, e pensa che se la ferita si rimarginerà in fretta nessuno noterà nulla.

E adesso? Come fare per salire ancora? Più in alto non è mai andata, e ha paura. Il trucco è non guardare mai in basso, ma dovrà pur far caso a dove mettere i piedi. Le sudano le mani e la sua presa è poco salda, tenta comunque di andare un po’ più in alto, su di un ramo che sta proprio di fianco a lei. Però non è esperta e si è attaccata ad un ramo secco, che si è spezzato non appena ha provato ad attaccarcisi. Per un attimo ha perso l’equilibrio, si è dovuta accucciare per rimanere saldamente sulla pianta, per poco non cadeva di sotto, non si era mai spaventata tanto. Per oggi ne ha abbastanza, scende velocemente e corre a sedersi sulla sua altalena, che è molto più sicura. Il ginocchio fa ancora male. La bimba sbuffa e si scosta la frangetta dalla fronte sudata. È delusa, nemmeno oggi ha compiuto la sua impresa. Sospira e comincia a dondolarsi distrattamente. L’aria fresca che le arriva sul volto è un sollievo. Senza quasi accorgersene comincia ad andare sempre più veloce, sempre più in alto. Ora con i piedi riesce a sfiorare le foglie dei rami più sottili, sorride, felice. È vero, non è riuscita a salire sulla quercia, ma non è mai andata così in alto. Con la su altalena non ha paura, può guardare il prato allontanarsi e ritornare, avanti e indietro, senza aver paura di cadere. La bambina ride contenta.

Qualcosa però le passa davanti agli occhi,è un attimo, lo vede appena. Lei si guarda intorno incuriosita, cosa può essere stato? Non vede però nulla, forse se lo è solo immaginato.

Ecco, di nuovo qualcosa le passa vicino silenziosamente. Non è riuscita a capire di cosa si tratti, ma una cosa è certa, lei ha visto qualcosa di lilla. Continua a dondolarsi guardando freneticamente intorno, nel tentativo di scorgerla, ma nulla, non riesce a vederla.

Ad un tratto però nota qualcosa, qualcosa che si muove fra le foglie, ed è lilla.

Ora ha capito, è una farfalla, una piccola farfalla dalle ali colorate. È davvero molto bella. La bimba comincia a dondolare più piano, è concentrata sulla farfalla, ora. L’ insetto spicca il volo, e in un attimo è su un altro ramo, poi su una foglia, e poi sul ramo ancora. È così leggera mentre svolazza da una parte all’altra, lei la osserva affascinata.

Poi comincia a volarle vicino, così vicino che le sembra di poter sentire il rumore delle ali che si muovono, le fa quasi il solletico. Fruscia intorno ai suoi capelli, al suo vestito; la farfalla sembra attratta dalla bambina. Si è posata sulla sua mano. Lei la guarda incuriosita, non ha mai visto una creatura del genere così da vicino. Le sue ali sono splendenti e piene di luce, ad ogni movimento d’ali cambiano sfumatura e colore. La bambina vorrebbe toccargliele. Si avvicina con l’altra mano per accarezzarla, ma basta accennare quel gesto e l’insetto sfugge via. La piccola sembra delusa, ma poi le viene in mente una cosa che le aveva raccontato la nonna..

 

Mai toccare le ali di una farfalla, perché sono fragili come le fate, e come loro sono magiche. È in quella piccole macchie di colore che risiede la polvere che le fa volare, toccarle, anche solo sfiorarle equivale a privarle dei loro poteri, equivale ad ucciderle.

 

La bambina adesso si sente in colpa, stava per fare del male alla sua compagna di giochi, ma il piccolo insetto torna a farle compagnia, non l’ ha abbandonata come aveva pensato. Si comporta in modo strano però. Sembra che la chiami, che la voglia guidare da qualche parte. Si avvicina, le sfiora una guancia e poi vola lontano verso il giardino. Poi torna, l’accarezza di nuovo e ritorna verso il giardino, un po’ più lontano di prima. Questa piccola, strana danza si ripete diverse volte fino a che la bambina non scende dall’altalena e si appresta a seguirla.

La farfalla ora vola veloce verso la sua meta, solo di tanto di tanto rallenta la sua corsa, come per accertarsi di essere seguita. La piccola la segue a fatica perché l’insetto non prosegue mai in linea retta ma a zig-zag deviando continuamente. E così lei deve passare il tempo a stare attenta a dove mette i piedi per evitare aiuole, siepi e alberi. Spesso rimane indietro e deve mettersi a correre per non perdere di vista la sua amica volante. Seguirla forse è uno sciocco passatempo, ma lei è convinta che la farfalla voglia guidarla da qualche parte, in un posto meraviglioso, magari proprio nel regno delle fate.

Alla fine però, la magica creatura scompare alla vista. La fanciulletta continua a correre sperando di trovarla, invano. Continua a camminare fino a che non si imbatte nel muro di cinta, il confine del giardino, la fine della sua breve avventura. Si guarda intorno sconsolata, la sua amica non può averla abbandonata a se stessa, non può aver superato il muro senza di lei. Quasi per caso, nota un piccolo cancello a lei sconosciuto. È davvero grazioso, la grate sono finemente sbalzate, e la serratura è un piccolo capolavoro, perché non l’ ha mai notato? In effetti non si era mai spinta così lontano nell’enorme giardino, era sempre rimasta vicino a casa, in modo da poter sentire i richiami della madre. E se la stessero cercando? No, è troppo presto, staranno ancora riposando. Torna a guardare il cancello, curiosa. Chissà cosa potrà vedere da lì, finalmente vedrà la campagna. Si affaccia titubante, sta per scoprire qualcosa di nuovo e ha un po’ paura. Prende le sbarre con le mani e rimane a fissare incantata l’immensità di ciò che è apparso ai suoi occhi. È semplicemente meraviglioso.

Verde, verde e oro ovunque si posi lo sguardo. Di fronte a sé vede una distesa infinita di campi di grano, lucenti e rigogliosi. Le ricche spighe altissime ondeggiano pigramente come le onde del mare sotto il sole del pomeriggio. Più lontano riesce a scorgere le piccole, grigie casupole dei contadini e i grandi casolari bianchi dei borghesi. Riesce anche a sentire, portato dal vento, l’abbaiare furioso di un cane, anche lui vorrebbe correre nell’immensità della campagna, ma una catena, nemmeno molto lunga, lo tiene saldamente. Sopra di sé c’è il meraviglioso blu del cielo, punteggiato dalle nuvole bianche che corrono veloci verso una meta misteriosa, come le amanti che corrono al luogo del loro appuntamento segreto. Il sole rovente è così abbacinante che non si riesce a fissarlo. Qualche corvo vola gracchiando sguaiatamente di qua e di là, prima di tuffarsi nell’oro dei campi. Alla sua sinistra si spande un piccolo boschetto multiforme popolato da delicate betulle chiare, possenti querce e molte altre piante e arbusti di cui ignora il nome. Se solo potesse andarci…

La farfalla compare di nuovo davanti ai suoi occhi, oltre il cancello. La sta di nuovo invitando a seguirla. Ma come può aprire il cancello? Lei non ha con sé nessuna chiave. Si sporge come per guardare meglio per l’ultima volta ciò a cui dovrà, suo malgrado rinunciare quando il cancello si muove davanti a lei, aprendosi. La piccola lo spinge con forza, fino a spalancarlo completamente, non c’è più nessun ostacolo che la possa fermare, è sola davanti alla sua libertà inattesa. L’insetto la incoraggia di nuovo, incalzante. La bambina prende in mano l’orlo del suo vestito, indecisa. Se segue quell’animaletto dove finirà? E se si perdesse? Si deve fidare o è meglio che torni indietro? Ma se torna indietro chissà quando potrà tornare il quel mondo misterioso…

Basta un attimo e lei decide.

 

Un passo..

 

Un altro passo…

 

L’erba si piega soffice sotto ai suoi piedi…

 

Ad un tratto si ferma 

 

Ora lei è nell’ignoto, ha lasciato la sua casa per l’avventura.

Si volta ancora per guardare il familiare giardino, sembra quasi noioso ora in confronto a quello che la aspetta là fuori. Accosta il cancello, e prende la via del bosco seguendo la sua amica.

Attraversa i campi dorati di corsa ridendo forte. Con le mani accarezza le spighe che si piegano docili sotto al suo tocco. La gambe scoperte e non protette dalla stoffa vengono pizzicate dai gambi ruvidi. La farfalla vola alta nel cielo, ma sempre visibile, come una cometa, come un aquilone. I gridolini della bimba sono così forti che spaventano i corvi che fuggono irritati dai loro nascondigli. Al suo passaggio lascia dietro di sé una sottile scia, e i preziosi chicchi si spargono sul terreno. Poi l’oro del grano si esaurisce e davanti a sé compare un largo canale pieno d’acqua verdastra, l’ultimo ostacolo prima della sua meta. Deve stare attenta ora, se il salto sarà troppo breve farà un bagno non previsto. Prende la rincorsa corre e spicca il salto. Atterra sull’argine umido, ma un piede ciondolante si immerge nell’acqua melmosa. La faciulletta lo ritrae di corsa, ma ormai è troppo tardi, si arrampica fino alla riva per poi poter constatare i danni. Si toglie la scarpa di vernice sporca di fango e di alghe, purtroppo è irrimediabilmente rovinata. Si strizza la calzetta gocciolante e la indossa di nuovo. Si rimette anche la scarpina e passa ad esaminarsi il vestito. Trova macchie verdi e scure d’erba e di terra un po’ ovunque. Qualunque cosa faccia ora è nei guai, tanto vale proseguire. Solleva lo sguardo verso il cielo, la farfalla è ancora lì, prova per guidarla. L’insetto s’immerge nel verde, ora vola piano, radente ai rami in modo da non essere persa di vista. Prosegue per un po’ silenziosa godendosi lo spettacolo della natura, degli alberi, ascoltando il tintinnante canto degli uccellini che festeggino la bella giornata di sole. L’afa dei campi è scomparsa e la bimba sente di nuovo la dolce aria fresca che accompagnava il suo ozio in giardino. La luce però si fa, man mano che prosegue, più tenue. Non può trattarsi del tramonto, è ancora troppo presto, perché però non riesce più a vedere i raggi del sole tra  i rami?

Gli alberi sono più vicini, più ammassati, il fogliame più fitto. Ovunque c’è ombra, tanto che l’erba in basso non cresce più. Anche le piante sono diverse, strane, lugubri, innaturalmente alte. I rami bassi sono secchi, morti e senza foglie, e tutto un protendersi verso l’alto nella disperata ricerca del sole, della luce e della vita .L’insetto prosegue sicuro, convinto, la bambina però non è più così convinta.

L’aria sta diventando fredda, lei sente i brividi, vuole tornare indietro. Si ferma e si guarda intorno, spaesata.

Da dove è venuta? In che direzione troverà i campi dorati? Si è persa. Ora ha davvero paura. Continua a camminare, ma i rami secchi si impigliano tra i suoi vestiti e i suoi capelli, la treccia è ormai completamente sciolta. Una lacrima solca la sua piccola guancia rosata. La farfalla la vede, le sia avvicina e le asciuga la piccola goccia di acqua salata. La piccola sorride timidamente, non si è persa, ha una guida, una guida che saprà riportarla nel suo giardino. Sospira e continua a camminare. Il paesaggio cambia ancora, ora tutto è ricoperto da uno strato di edera: le rocce, le piante, le radici…ogni cosa. La terra diventa un po’ fangosa. La sua piccola amica le sta indicando qualcosa ora, ma lei non vede nulla. Si avvicina curiosa. Si tratta di un arco di pietra, ricoperto dall’edera. L’insetto lo attraversa, e lei lo segue. Il passaggio però è basso e stretto, la piccola lo supera con fatica.

Allora esiste davvero….

È arrivata nel paese delle fate.

 

C’è un piccolo stagno davanti a lei, popolato da numerose ninfee in fiore. È magnifico, sembra un quadro. Le foglie sono piatte e scure e i fiori sono rosa screziati con le tonalità più strane. L’atmosfera che si respira è…magica. L’acqua trasparente riflette la natura che le sta intorno, come un enorme specchio. Intorno una varietà infinita di fiori.

Cespugli di rose gialle, grandi come soli e dal profumo intensissimo. Sul prato centinaia e centinaia di margherite e all’ombra sulle piccole scarpatelle primule e viole.

La bambina però è attratta dall’acqua. Vuole specchiarsi in quel piccolo stagno.

E  la farfalla? Eccola là, su una rosa, a godersi un meritato riposo dopo quel lungo tragitto percorso insieme.

La bimba si avvicina carponi verso la sponda e si sporge. Ora si vede riflessa nell’acqua. Mamma mia, che aspetto trasandato. Le guance arrossate, i capelli spettinati e l’abito sporco. Ma è felice, non vorrebbe che essere lì, con le fate. Sorride alla sua immagine che ricambia dolcemente. Ad un tratto però la sua immagine vacilla, si scompone e scompare. Sulla superficie dell’acqua si formano delle increspature. Lei le osserva, affascinata, infrangersi contro le sponde. Le ninfee ondeggiano placide. Poi tutto torna calmo. E il suo riflesso ricompare. Ma c’è anche un altro riflesso nell’acqua, l’immagine di un’altra bimba come lei. Che sia una fata? O anche lei è stata portata qui da una farfalla? Continua a guardare il riflesso con un’espressione stupita dipinta sul volto. Poi alza lo sguardo e vede la bambina di fronte a lei, sull’altra sponda. Si guardano un attimo, per un lungo momento, poi la ragazzina la saluta la saluta con la mano, e svanisce come un’ombra.

La piccola spalanca la bocca per lo sgomento. Si guarda attorno, poi incredula si stropiccia gli occhi.

Li riapre e si ritrova nella sua camera, a letto. Scaglie di luce penetrano dalle persiane accostante. Si mette in piedi e guarda la sveglia sul suo comodino: segna le sette. Tutti dormono ancora.

Che sia stato un sogno?

Corre verso l’armadio e lo apre. Il vestito è pulito, e le scarpe sono rovinate, allora è vero, si è immaginata tutto. La piccola comincia a pensare accarezzandosi i capelli sciolti, e sente che qualcosa è impigliato. È un rametto di legno scuro, come quelli che le si erano impigliati nel bosco…

Qualcuno chiama, è ora di colazione. La bambina posa il ramo sul comodino e corre via.

 

 

 

Anne suonò ancora un paio di note e poi il brano finì. Sua figlia la guardava ora con occhi scintillanti.

< Ti è piaciuta? >

< O si moltissimo. Ne conosci altre? > chiese speranzosa.

< Può darsi, dipende tutto dalle note, ma non vorrai che te le racconti tutte adesso no? >

Nausicaa scosse la testa, delusa. Anne le carezzò i capelli e le baciò la fronte.

< Vuoi sapere un segreto? >

< Sì!! >

< Devi promettermi di non dirlo mai a nessuno però >

< Perché? >

< Prometti >

< Nemmeno a Harry e a Mark posso dirlo? >

< Soprattutto a loro. Loro non dovranno mai saperlo >

la bambina pensò un attimo dubbiosa. Perché la mamma non voleva che loro due conoscessero quel segreto? Poi si convinse, in fondo sarebbe stato divertente.

< Mmm…va bene d’accordo, così impareranno a non farmi giocare. Prometto. >

< Vedi piccola, la bambina della storia ero io >

< Cosa? Davvero? > chiese Nausicaa sconcertata.

< Davvero >

< Hai conservato il rametto che hai trovato tra i tuoi capelli? >

< Certo, posso fartelo vedere >

Anne si alzò e si diresse verso il suo scrittoio. Aprì un piccolo cassetto e ne trasse una scatolina di legno intagliato. La porse alla figlia ancora seduta sullo sgabello del pianoforte.

< Ecco, guarda tu stessa >

Nausicaa aprì la scatolina e trovò al suo interno un piccolo rametto di legno scuro. Guardò la madre a lungo prima di pronunciare quella domanda che le premeva tanto.

< E…chi era la bambina che hai visto? >

< Eri tu, Nausicaa. Ti ho incontrato quando ero ancora una bambina >

< Ma non ero nemmeno nata allora! > esclamò confusa.

< Dimentichi che era un sogno >

< E il rametto allora? E come fai a dire che ero io? >

Anne tornò a sedersi, pensò a lungo prima di rispondere.

< Ci sono cose che non sono in grado di spiegare, come quel sogno, o quel rametto. Ma sono sicura che quella bambina eri tu. Ogni giorno che passa me ne rendo sempre più conto. Sai quel sogno mi ha cambiato la vita. Da piccola ero molto sola, ma da quel giorno in avanti sono sempre riuscita a trovare volti amici, finalmente non ero più circondata da soli adulti. Il giorno dopo che feci quel sogno arrivò la nuova governante che aveva una figlia della mia età. Una vera compagna di giochi. Per questo tu ti chiami Nausicaa >

< Perché? >

< Nausicaa era il nome di un personaggio del libro dell’ Odissea, il nome delle ninfee che popolavano quello stagno, tu porti il loro nome >

Nausicaa avrebbe voluto fare molte altre domande alla madre, ma non vi riuscì. I suoi fratelli erano entrai senza nemmeno bussare.

< Nausicaa vieni a giocare con noi? >

< Harry! Mark! Come vi permettete, entrare senza bussare, chi vi ha insegnato certe

cose? >

< Scusa, mamma. Nausicaa può venire? >

< Certo, vai a giocare piccola, tu non devi rimanere in casa >

< Ma…io… >

< Vai… > disse Anne accompagnandola fuori.

 

In futuro Nausicaa non riuscì più a parlare con la madre di quello strano sogno, la madre era diventata inspiegabilmente riluttante sull’argomento. Non riuscì nemmeno a farle suonare quel brano. Negli anni, crescendo se ne dimenticò. Ma ora, di nuovo in quella casa, tutto era tornato nitido come allora, ma non aveva più una madre con cui parlarne.

< Signora? Mi state ascoltando? >

< Si Katie, cosa c’è? >

< Dicevo, ora che abbiamo finito il giro d’ispezione diamo aria a queste stanze.. >

< Va bene, vai pure giù, io ti raggiungo >

 

Aspettò che la donna uscisse e poi si diresse velocemente verso lo scrittoio. Aprì il cassettino e trovò di nuovo la scatolina di legno intagliato, il rametto era ancora lì.  All’interno recava un biglietto..

 

Cara Nausicaa, so che non ti ho dato le risposte che volevi quando eri bambina, ma non potevo dirti altro, non sapevo altro. Sei cresciuta e te ne sei dimenticata, per me è stato quasi un sollievo. Se sei qui a leggere questo messaggio però significa che questo posto ti ha riportato alla mente vecchi ricordi. Capisci ora perché sono stata così esigente con le mie ultime volontà? Questa casa per me è stata tutto il mio mondo, non volevo che passasse in mano d’altri. Troverai il mio spartito, quello che per anni hai cercato di farmi suonare in una carpetta rossa. Ora potrai sentirlo ogni volta che vorrai. È un peccato che tu non ti sia mai applicata abbastanza. Ma potresti imparare con un po’ di pazienza a suonare il piano come si deve, sei ancora in tempo.

Sei la più piccola, ma forse sei quella a cui ho voluto più bene. è ingiusto lo so, una madre non dovrebbe mai fare distinzioni, o avere preferenze. Ma per me tu sei molto speciale, sei una di quelle fate che volevo incontrare da bambina, e lo sarai sempre. Pensa a me ogni volta vedrai volare una farfalla.

Ti voglio bene, Anne.

 

Nausicaa ripose la lettera e la scatola nel vano dello scrittoio con le  lacrime agli occhi. Corse alla finestra e guardò fuori, la campagna si scorgeva lontana aldilà del muro. Una farfalla bianca si posò sul davanzale, incuriosita dalla presenza della donna. Le volteggiò intorno e sparì come era arrivata. Nausicaa sorrise, quella casa Chevalier sarebbe stata molto più che una residenza estiva.

Uscì dalla Sala della Musica e corse da Katie che la stava chiamando.

 

 

 

Fine

 

 

Ringrazio chiunque si sia soffermato su questo breve racconto e lo prego di lasciare un piccolo commento per farmi sapere le sue impressioni.

Grazie Ladyhawke

 

 

 

 

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