Fama
Seconda
shot per questa raccolta ^^
Ringrazio
tutti coloro che hanno letto anche la prima e che leggeranno questa ^^
Ecco a voi
siore e siori un viaggio indietro nel
tempo fino a raggiungere un’epoca sconosciuta, in Spagna.
Orochimaru
e Kabuto, come toreri, e la loro dipendenza... Diversa.
Orochimaru,
il torero, dipendente dalla fama, dalla gloria e dall’immortalità.
Kabuto, il
suo allievo, dipendente da lui.
Questa fic
ha passato il primo turno del Piramidy Contest indetto da ShiIta.
Ringrazio
la giudice per il suo splendido giudizio *_*
E
naturalmente complimenti a tutte le partecipanti, sia chi ha passato il turno
sia chi no.
Siete magnifiche!
Ecco la
fan art cui dovevo ispirarmi:
Buona
lettura! ^^
Fama
« Da quanto tempo stai qui ragazzo?
»
« Cinque anni… I cinque anni più
lunghi della mia vita… »
Guardai il bicchiere sporco e il
rhum al suo interno mescolarsi sinistro.
Spostai lo sguardo lungo il bancone
logoro e incrostato di alcol colato dai bicchieri.
Un luogo tutt’altro che silenzioso,
ma preferivo così.
Niente cui pensare, solo per quel
momento.
« Ha visto la corrida señor? »
Sentii una lama fredda scivolarmi
tra le costole, come fosse ghiaccio.
Lo sentii continuare sul come e
quando il toro era riuscito a infilzare il torero.
Strinsi la mano sul bicchiere di
vetro grezzo bevendo d’un fiato il liquore nel bicchiere.
Lanciai due pesos sul bancone
scivolando nel mio mantello nero e uscendo dal locale senza proferir parola.
Non ne meritavano.
Non meritava un solo mio respiro
quella feccia che infangava la memoria del più grande torero mai esistito.
Il mio maestro.
Orochimaru sama.
§§§
Presi lo
straccio lucidando avido il bastone della lancia che si utilizzava per ferire
il dorso del toro.
Seduto su
una cassa di legno, continuavo ad ammirare l’arma.
Era
leggera ma potente.
Era pura
forza tra le mani.
Poteva
ferire un toro con la sua sola punta di metallo.
Afferrai
il manico dal centro come a volerla scagliare.
Potevo
vedere davanti a me la folla in ovazione, il toro scalpitante battere i suoi
possenti zoccoli sul terreno per caricare, potevo sentire la sabbia gialla
dell’arena sotto i miei piedi.
Mi alzai
in piedi ponendo indietro il braccio pronto a colpire.
Una
scarica di adrenalina mi attraversò la schiena mentre guardavo negli occhi
rossi di sangue l’animale davanti a me.
Dio in
terra, sono io, posso decidere della vita o della morte del toro.
Sorrisi
compiaciuto compiendo un piccolo scatto del braccio con la lancia in avanti.
« La vara de picar non è un gioco per garzoni
cabron! »
Una voce
melliflua mi arrivò alle orecchie pungente come un ago.
Abbassai
il braccio guardando la figura sinuosa appoggiata alla porta con le braccia
incrociate.
Riconobbi
le vesti dorate e rosse.
Il torero.
« Chiedo
umilmente perdono, non intendevo arrecare danno a questo patrimonio. »
Feci un
inchino umile davanti all’autorità del maestro.
Quello si
avvicinò strisciando silenziosamente i piedi sul terreno, prese tra le sue mani
la lancia guardandomi con superiorità.
« Non si
tiene come un legionario con la sua spada. La corrida è un’arte, non è un
combattimento gretto. »
Mosse il
braccio facendolo scivolare lungo l’asta, poggiando l’avambraccio sul legno
levigato.
Un’estensione
del suo braccio, la vara sembrava fare parte di sé.
Girò sulle
sue gambe esili compiendo ampi cerchi sul terreno con le gambe e muovendo le
braccia con flessuosità.
Si rialzò
in piedi tenendo la lunga lancia al suo fianco.
« Garzone,
sai ballare? »
« Sì mio
signore. »
« E allora
perché con la lancia ti muovi meccanicamente? »
Abbassai
lo sguardo mordendomi un labbro.
Rialzai lo
sguardo incontrando per la prima volta quegli occhi freddi, calcolatori,
d’ambra gelida.
« Hai
voglia di diventare un maleta? »
« Mi
perdoni mio signore, ma non la capisco. »
« Un
maleta è un apprendista torero. Hai dentro di te il desiderio ardente di
guardare negli occhi la morte. Lo vedo. »
Annuì
serio.
Porgendo
la mia mano ruvida vidi nei suoi occhi un lampo sadico uguale al mio.
Strinse
delicatamente la mano con alterigia.
«
Orochimaru. Il torero. »
« Kabuto
Yakushi. Il suo umile servo. »
§§§
« Non è
una vacca! È un toro! E tu sei il torero! Se hai paura, puoi anche andartene! »
Una lancia
colpì il suolo accanto ai miei piedi. Alzai lo sguardo su quegli occhi freddi,
furiosi.
Riposai lo
sguardo sul manichino di toro di ferro battuto per l’allenamento.
Strinsi la
mascella.
Ero un
torero, ma se mi ponevo davanti alle corna del toro, sarei morto in una corrida
vera.
Scese con
grazia dagli spalti e si avvicinò prendendo la vara nella sua mano.
Si pose
con sicurezza davanti alla testa del toro mantenendo la sua finezza anche in
quel momento.
« Una vita
per una vita, cabron!, non è un
gioco! La vita spetta o a te o al toro! Se avrai il coraggio di affrontare il
toro guardandolo negli occhi rimarrai immortale, altrimenti perirai come tutti!
»
« La
maggior parte dei tori che entrano in quest’arena sono tori mansi, quindi buoni solo ad essere
uccisi. »
Conficcò
la punta della vara in terra avvicinandosi sinuosamente a me.
In un modo
molto ambiguo, come al suo solito.
« I tori bravi, quelli devi temere. Perché quelli
che si conquistano il diritto alla vita hanno il diritto di rimanere su questa
arena. »
« Ma in
ogni caso voi mi avete detto che se non lo colpisco morirà lo stesso a causa
dell’adrenalina che sale al cervello, quindi perché devo fronteggiarlo? »
« Perché
solo chi ha sangue freddo e coraggio vive in questo mondo. Non c’è gloria a far
morire un animale così possente d’infarto. Bisogna colpirlo, e bere con lo
sguardo il suo sangue. »
Raccolse
dal mucchio di oggetti appoggiati alla parete dell’arena un fioretto.
Cominciò a
danzare sopra la sabbia creando nuvole dorate ad ogni suo passo. Mosse in
fretta le mani facendo scivolare la spada tra le mani e facendola volteggiare
in aria.
Il suo
volto etereo pareva perso nel vuoto oltre la spada, oltre le mura dell’arena.
« Sai
perché la corrida si fa alle cinque del pomeriggio? »
« No mio
signore. »
« La festa
dei tori è una riflessione estetica sulla morte. Non importa se è la morte di
un toro o di un uomo, sopra la morte in generale. Alle cinque del pomeriggio il
sole comincia a tramontare, e l’oscurità occupa il posto della luce. La luce è
il simbolo della vita, e l’oscurità della morte. Anche l’arena, circolare, con
la sabbia dorata, è un simbolo del sole, che si macchia del rosso del sangue,
il simbolo del tramonto. »
Alzai gli
occhi verso il sole che brill.
La luce è
vita, è rumore, l’oscurità è morte, è silenzio.
Un
dualismo comune in natura, ma trasformato in arte dalle sue parole.
Ammirai le
sue movenze leggere, quasi degne di un ballerino, susseguirsi veloci.
Era l’uomo
più complicato e raffinato che avessi mai incontrato.
Era
intrigante.
Troppo
intrigante per un povero maleta come me.
§§§
Orochimaru
sama sciolse i lunghi capelli neri e setosi facendoli cadere con la solita
grazia sulle spalle.
Presi la
sua giacchetta nera aiutandolo ad infilarsela.
Sera di
festa, di movida.
O per
meglio dire, sera di spionaggio e di tradimento.
Due erano
i toreri meglio conosciuti in questa città, due che erano stati entrambi
allievi dello stesso maestro.
Orochimaru
sama e Jiraya sama.
« Stasera
andremo nella taverna di Tsunade. Ricordati di osservare attentamente come si
comporta l’allievo di quel poveraccio, mi riferirai tutto in seguito. »
Annuii
convinto.
Guardai attraverso
lo specchio la mia immagine riflessa con rispetto.
Ero
diventato non solo il maleta del più grande torero della città, ma avevo anche
ricevuto compiti molto più importanti.
Sistemai
gli occhiali riportandoli in alto sul naso.
Per lui
l’importante era la fama, il potere. E non si faceva scrupoli per riuscire ad
ottenerli.
La sua
dipendenza, la notorietà.
Mi
avvicinai abbastanza da sentire la fragranza di colonia ricercata diffondersi
per la stanza del locale in cui eravamo da poco entrati.
Continuai
a rimanergli accanto, in fondo era meglio inspirare a pieni polmoni il suo
delicato profumo che l’odore acre di vino e liquore che si diffondeva per la
stanza. Guardai intorno a noi la plebaglia ubriacarsi inconsapevole di avere di
fronte una persona tanto ammirevole.
Le donne
vestite libidinosamente giravano attorno ai tavoli cercando un cliente per la
serata.
Orochimaru
sama mi fece cenno, sempre girato di schiena, di guardare infondo alla sala un
piccolo tavolo ben imbandito di bevande da cui facevano capolino due figure.
Avvicinandoci
le riconobbi, l’uomo sulla destra era un omaccione ben tornito, con braccia e
corpo robusto, i capelli crespi bianchi come la neve, stravaccato sulla panca
con un bicchiere in mano a ridere sguaiatamente. E invece alla sinistra un
ragazzo di qualche anno più giovane di me, i capelli biondo grano e gli occhi
color cielo e decisamente troppo entusiasta per i miei gusti.
Storsi il
naso appena mentre ci fermavamo davanti al tavolo.
« Jiraya…
Sono felice di vedere che ancora non sei morto. »
La voce
melliflua del maestro raggiunse le mie orecchie come un sorso di acqua fresca
durante la siccità.
«
Orochimaru! Che piacere vederti! Siediti! Ti presento il mio allievo, Naruto
Uzumaki! »
« Piacere
di conoscerla! »
Con grazia
ci sedemmo alla tavola.
I due
toreri si lanciavano occhiate di sfida, d’intesa, di odio e di ammirazione.
Sapevo che
tra loro c’era un passato tormentato, ma non riuscivo a immaginare come un
bigotto del genere fosse paragonabile al mio grande maestro.
Non che lo
sottovalutassi, ma sicuramente nell’arena chi sarebbe stato in grado di stupire
di più il pubblico sarebbe stato sicuramente Orochimaru sama.
« Questo
invece è il mio allievo. Kabuto Yakushi. »
« Onorato
di conoscerla signore. »
« Andiamo
Orochimaru! Non dirmi che quello nuovo è un ghiacciolo come te! »
« Mantiene
il sangue freddo in qualsiasi situazione, non è un difetto. »
« Ah, io
non direi se poi non è in grado di far esaltare la platea! »
Guardai il
volto del mio maestro rimanere impassibile.
In realtà
dietro la sua maschera di cera si potevano vedere quei segni microscopici che
indicavano la rabbia.
Con un
tonfo un vassoio di legno fu poggiato sgraziatamente sul tavolo.
I
bicchieri traboccanti di rhum lasciarono cadere qualche goccia sul legno
creando una piccola pozza zuccherina.
Alzai lo
sguardo verso la locandiera. Una bella donna, molto prosperosa, aveva poggiato
le mani sui fianchi squadrando i due.
I capelli
biondi raccolti in due codini soffici rimanevano inerti sulle spalle e sul seno
grande messo ben in mostra dal vestito scollato.
« Non
cominciate a litigare di nuovo o sarò costretta a dividervi con la forza! »
« E dai
Tsunade Hime! Non stavamo facendo niente di male! Solo una chiacchierata tra
amici! »
« Giusto,
come ha detto Jiraya, questa è solo una chiacchierata tra amici di vecchia
data. »
«
Orochimaru… È un piacere rivederti dopo tanto tempo… »
« La tua
locanda è peggiorata molto da quando ci venivamo da ragazzi… »
« Colpa
dei tempi fruttiferi! Ognuno ha soldi da spendere e viene a spenderli in alcol
e donne! »
« E
scommetto che Jiraya è un cliente fisso, vero? »
Sorrisi
alla battuta guardando la donna e l’avversario del mio maestro ridere di gusto.
Tra le
risate vidi una cosa scioccante.
Una mano
liscia come il marmo sfiorare quella rozza e grezza della locandiera, Tsunade.
Una
frazione di secondo, uno sguardo indecifrabile, probabilmente visto solo da me.
Ma che era una stilettata al cuore per me.
Jiraya
prese la parola non vedendo – o fingendo di non vedere – il gesto del rivale.
« Allora,
Orochimaru, vedo che il tuo allievo non è esattamente il più indicato per
questo mestiere… Non come l’altro almeno. »
« Vedo che
nemmeno il tuo sembra esattamente il massimo. È rozzo e stupido, si vede a
occhio nudo. »
« È
fisicamente perfetto, non come il tuo maleta. Lo sai anche tu di sfidare la
sorte, vero? »
« È
perfettamente in grado di reggere la pressione dello spettacolo. »
« No che
non lo è. Lo vedi il suo difetto o lo vedo solo io? »
Il viso
sempre impassibile di Orochimaru sama si trasfigurò in una smorfia irosa.
Cominciò a
sibilare delle offese soffiando come un serpente davanti a un aggressore.
« È
perfettamente in grado di farcela Jiraya. Solo tu prediligi la forza bruta
davanti alla grazia! »
« Oh
andiamo! È miope! Se durante una corrida perdesse gli occhiali cosa farebbe?! »
Guardai i
due toreri, i due più grandi colossi alzarsi in piedi e sfidarsi con lo
sguardo.
Adrenalina
pura scorreva nelle loro vene. Pulsava come il ticchettio di un orologio sotto
la pelle, la sentivo.
Rimasi
fermo sul mio posto stringendo le mani sul mio grembo.
Dall’altro
lato il maleta di Jiraya si preparava all’attacco, velocemente e
aggressivamente.
« Non
tollero risse nel mio locale! »
Una voce
rauca, greve ma femminile interruppe bruscamente la lite.
Morsi il
labbro inferiore sentendo una furia cieca addosso.
Lui mi aveva detto che ero perfetto per questo mestiere.
E non mi
aveva mentito.
Ne ero
sicuro.
Lui era il
migliore, per questo mi aveva scelto. Io ero il suo degno erede.
« Non
preoccuparti Tsunade Hime… Non intendo scatenare una rissa! Vorrei solamente un
altro rhum poi tolgo il disturbo mia cara… »
Lo sguardo
languido tra i due mi sorprese.
Osservai
il mio avversario dall’altro lato del tavolo. Anche lui era rimasto basito
quanto me, solamente in maniera più visibile.
La
locandiera chiamò entrambi i toreri a seguirla. Quando mi alzai per andare con
il mio maestro, mi comandò di rimanere seduto al mio posto a bassa voce.
« Kabuto,
sto facendo questo per te, ricordatelo. Tieni d’occhio l’altro maleta, rimani qui.
»
Mi
risedetti in maniera composta osservando attraverso gli occhiali il ragazzetto
biondo che non riusciva a star fermo sulla sedia.
Mi guardò
portando le mani dietro la nuca in maniera annoiata, io rimandai un sorriso
falsamente gentile.
« Ma tu lo
sapevi che quei due hanno litigato proprio per la vecchia Tsunade? »
« Davvero?
Non lo sapevo… »
« Sì
quell’idiota di Jiraya me l’ha raccontato quando ci allenavamo! »
« Sei
molto gentile, grazie mille… Dimmi, il tuo maestro è forte come dicono? »
« Certo! È
il migliore! La sua unica debolezza sono l’alcol e le donne! Soprattutto le
donne! »
Risi alla
sua battuta mordendomi in seguito l’interno della guancia.
Subito
riprese il discorso. Certo che proprio non riusciva a tacere!
« La nonna
Tsunade ha un rapporto speciale con
entrambi. Cioè, intendo che con Jiraya stava quasi per sposarsi, ma poi quando
erano sull’altare, lei ha capito che amava anche Orochimaru. Nel senso, il tuo
maestro non ha mai mostrato tenerezza verso di lei, però si vede che sono
legati. E anche adesso tutti e tre sono legati in maniera speciale. Hai capito
quello che ho detto? »
« Certo. »
« Beato
te! Io non ho mai capito molto di queste cose… »
« Naruto!
Andiamo muoviti! »
Il vocione
di Jiraya sovrastò il rumore della locanda.
Il ragazzo
si alzò in piedi salutandomi gioioso.
« Ciao
amico! Sei simpatico! »
Sorrisi e
ricambiai la cortesia, poi mi alzai a mia volta raggiungendo Orochimaru sama e
Tsunade.
Mi fece
cenno di seguirlo in silenzio e feci ciò che mi ordinava.
Salimmo
per le scale su un lungo corridoio soppalcato che dava l’accesso a molte
stanze.
Stanza 29.
Ci fermammo sull’uscio e il maestro mi lasciò tra le mani la giacchetta.
« Kabuto,
rimani qui. »
Annuii in
silenzio stringendo tra le mani l’indumento.
Orochimaru
sama chiuse la porta alle sue spalle.
Guardai
quella fredda superficie di legno che mi separava dai suoi segreti.
Serrai la
mascella combattendo contro me stesso.
Il maestro
lo faceva per me. Ogni sua scelta era per il mio futuro.
Me lo
ripetevo nella mente, stringendo i denti, ricacciando indietro le lacrime che
salivano agli occhi.
Strinsi le
spalle contro la parete lignea cercando di non farmi distruggere dalle mie
emozioni.
Ma ogni
gemito di piacere, ogni mugolio, era come una spada che si infilava fredda tra
le costole. Un colpo dritto al cuore.
Quando il
rapporto fu consumato, sentii alcuni passi ovattati dietro la porta e un
discorso confuso.
« Dimmelo
Tsunade. »
« Prima
dimmi cosa vuoi fare. »
« Sai bene
cosa voglio. Dimmi dove sono. »
«
Scordatelo! »
Una risata
rauca raggiunse le mie orecchie.
Una voce strana, malata e sgraziata.
« Tsunade…
Presto morirò. Curami, o dimmi come sconfiggere il mio nemico e diventare
immortale. »
«
Orochimaru… Io… Non posso… »
« Sai
Tsunade, esistono due modi di soffrire, o di morire. Padecer e Sufrir, il
primo è sentire dolore, come gli animali, senza sapere a cosa sia dovuto il
dolore, mentre il secondo soffrire sapendo di provare dolore per qualcosa, e
sapere per cosa. Sucumbir e Morir, come prima, il primo è
soccombere, senza sapere di morire, il secondo è avere coscienza di stare per
morire, e vivere ogni attimo in preda all’agonia. Io provo entrambe le due
possibilità più dolorose per la mente e per il fisico. Dimmi dove sono le
chiavi. »
« Lui… Le
ha il suo maleta… »
« Grazie
Tsunade. A buon rendere. »
Vidi
uscire il mio maestro, con alterigia e serietà.
Prese la
giacchetta dalle mie mani e la infilò con grazia, con quei movimenti fluidi che
lo caratterizzavano.
Dietro la
porta semichiusa, un pianto rotto accompagnava quella scena di bellezza.
Spostò i
lunghi capelli fluenti che si erano impigliati tra la stoffa della giacca e la
camicia lasciandoli ricadere morbidamente sulla schiena modellata.
Quel
pianto diventava più forte, ogni secondo di più.
Tradita
traditrice.
Fin dove
ci si può spingere per amore?
§§§
« Dove
stai guardando cabron?! Non sono io
l’avversario! È il toro davanti a te! »
« Maestro
io… »
« Fa
silenzio. Non m’interessa quello che ti turba. Se sei in arena, non devi
pensare ad altro che allo spettacolo, e a non morire. Vieni dentro. »
Annuii
mordendomi l’interno della guancia e lo seguii all’interno del magazzino.
Nella
semioscurità vedevo i suoi occhi brillare come topazi.
Belli,
stupendi e crudeli.
« Kabuto,
devi fare una cosa per me… »
Amavo
quelle parole dette da lui.
Un brivido
piacevole accompagnava il suo discorso, il suo piano.
Avevo
deciso di tenere nascoste le mie scoperte su di lui. Anche dopo un anno.
Orochimaru
sama sapeva di poter contare su di me quando voleva.
Ero
costantemente a sua completa disposizione.
« Mi sono
fidato di te dal primo momento, sono quattro anni che sei il mio allievo, e se
tutto andrà secondo i piani, potresti prendere il mio posto nell’arena. Non
deludermi. »
« Sì, mio
signore. »
« Vai. »
Annuii
avvolgendomi completamente nel mio mantello nero.
Uscii alla
luce del sole coprendomi il volto. Mi sentivo al sicuro, protetto.
Metà volto
coperto dall’ombra che il cappuccio gettava sulla mia pelle.
Le vesti
scure non lasciavano trasparire nessun particolare del mio corpo.
Raggiunsi
con frenetico eccitamento la locanda.
Salii sul
soppalco, silenziosamente, come un fantasma.
Naruto
stava sulla porta a braccia incrociate, sbadigliando annoiato.
Ancora un
passo Kabuto, ancora un passo…
§§§
« Adesso
Kabuto, sta a guardare come quella bestia crolla sotto il peso della sua vara de picar… »
In
silenzio mi sedetti affianco al mio maestro, sugli spalti dell’arena.
Guardai in
basso, sul palcoscenico si
giostravano un uomo e un toro.
Jiraya
sama era l’uomo.
« Quello
che vedi in arena è un toro bravo. Ha
il diritto di vivere, ma non vivrà. Jiraya è troppo bravo perché possa farsi
sottomettere da un semplice toro. »
Tacqui,
non avevo parole.
Jiraya
sama non danzava deliziosamente come Orochimaru sama.
Sembrava
più un ballo primitivo. Come un fronteggiarsi di onde possenti.
Una
valanga di emozioni mi travolse. Era, strano,
particolare.
Non mi ero
mai sentito così, apparte nelle esibizioni del mio maestro.
Quel
fantastico e incredibile gioco di sguardi, gioco di rispetto e complicità che
si era instaurato tra il torero e la sua vittima era spettacolare.
Ora capivo
perché Orochimaru sama avesse così paura del suo rivale.
Un solo
movimento, un attimo prima che il toro perdesse definitivamente la testa e si
accasciasse al suolo.
La vara si
conficcò nel muscolo vibrante dell’animale.
Il toro
urlò calpestando violentemente il suolo con gli zoccoli.
Le narici
si allargavano e si restringevano affannosamente, era eccitato, nervoso, e
anche iroso.
Partì alla
carica contro Jiraya sama che con una capriola si scansò lateralmente.
Vidi
Naruto lanciargli il fioretto e alcuni ganci ornati con dei nastri.
Il torero
li raccolse e con scontri sempre più forzati e avvicinamenti al limite del
rischio.
Con forza
riuscì a raggiungere la schiena del toro infilzandolo quasi con crudeltà. Perse
in mano il fioretto facendolo danzare nella sua mano.
Sempre
mantenendo lo sguardo si scagliò contro il toro.
Lo
fronteggiava, senza paura.
Il fragore
della folla si spense per alcuni attimi che sembrarono infiniti.
Il toro e
il torero si fusero in un’unica cosa, un’unica massa.
L’ultimo
battito della bestia risuonò nell’aria chiaro e potente – o almeno così mi era
parso.
Vidi con
una lentezza esasperante ogni minimo movimento. Il ghigno sadico aprirsi sul
volto di Orochimaru sama, la lancia passata da una mano all’altra per quel
gesto.
Il sorriso
del mio maestro si aprì radioso a quel
gesto.
Un fischio
potente si espanse per tutta l’arena.
« Fin del
juego. »
La voce
melliflua del mio maestro risultava quasi irrisoria.
Si alzò in
piedi scivolando tra il pubblico sconvolto. Rimasi al mio posto guardando
stranito il mio maestro.
Rigirai lo
sguardo portandolo al palcoscenico.
Il rivale
era accasciato al suolo sorretto appena dal suo maleta.
Stava
soffocando.
Dunque…
Era questo il punto in cui ci si può spingere per la fama?
§§§
«
Bastardo! »
Un pugno
mi colpì in pieno volto.
La mano
premuta contro la clavicola si serrava a ritmo concitato facendomi male.
Sorrisi
sputando da un lato il sangue che si riversava nella bocca.
« Il curaro è un veleno molto forte, te ne
sei accorto, vero Naruto? »
Un altro
pugno mi colpì in faccia. Lo sentii ringhiare per la rabbia. Lo guardai negli
occhi, le lacrime gli offuscavano la vista.
« Ti
abbiamo rubato le chiavi del magazzino, poi abbiamo bagnato l’asta della vara
de picar di Jiraya sama con il veleno. Orochimaru sama aveva previsto tutto.
Lui si sarebbe ferito la mano, la solita mano debole, la sinistra, nella troppa
foga di uccidere il toro. E quando ha passato la lancia alla mano ferita, il
veleno è entrato in circolo. »
« Perché?!
Perché? »
« Perché
Orochimaru sama voleva così.»
« Spero
che gli sia servita la lezione che gli ho dato. Una persona bastava, non può
rubarmene due! »
« Cosa gli
hai fatto? »
Una risata
roca mi stordì le orecchie, insieme a quella confessione.
Sbarrai
gli occhi fissando il volto del mio rivale farsi scuro, quasi malvagio. Come se
avesse un demone dentro che premeva per uscire.
« Vai al
suo spettacolo, ti sorprenderà piacevolmente. Non penso che Tsunade abbia fatto
un miracolo a curarlo. »
Con
un’altra spinta della sua mano contro pa mia spalla, mi lasciò andare sparendo
in un vicolo.
Mi
appoggiai come meglio potevo al muro massaggiando la clavicola dolorante.
Troppe
cose mi erano oscure, troppe cose non riuscivo a capire. Mi rialzai in piedi
appoggiandomi sempre alla parete e corsi barcollante verso l'arena.
Due
persone aveva portato via a Naruto il mio maestro, non una, due!
Una era
Jiraya sama, ma l’altra?
Perché
Jiraya sama mi aveva definito imperfetto? Chi era l’altro?
Perché Orochimaru
sama aveva detto di stare per morire?
Per quanto
fossi intelligente e sveglio, non riuscivo a trovare un collegamento.
Vidi le
grandi arcate dell’arena comparire davanti a me, ne imboccai una raggiungendo
l’apertura del campo.
Al centro,
con un fioretto in mano, il mio maestro si reggeva in piedi a fatica lasciando
le mani penzolanti nel vuoto. Un toro bravo…
Afferrai
il bordo del muro di legno che mi separava dalla gialla sabbia. Le nocche ormai
erano bianche da quanta forza mettevo nello stringere lo steccato.
Orochimaru
sama si spostò di lato schivando un attacco del toro.
Era
affaticato, lo vedevo con il respiro affannato, malfermo sulle gambe.
In quei
pochi attimi sentii come se lentamente la mia vita si fermasse, culminando in
quell’unico secondo di morte.
Come se
fossi fuori dal mio corpo, mi vidi saltare oltre la barriera lignea, guardare
nelle pupille il toro poi il torero.
Orochimaru
sama mi guardò fiero, supplicante, o malinconico, non seppi leggere il suo
sguardo.
Un rumore
innaturale si spanse per lo spazio dell’arena, un rumore sordo di ossa
spezzate, un ticchettio di gocce di sangue che cadevara giù dalle corna
dell’animale.
Fui
catapultato nuovamente nel mio corpo, con uno schianto così violento da farmi
male.
« No! »
Mi gettai
sul corpo inerme del mio maestro lasciato cadere senza alcun riguardo dalla
feroce bestia.
Con le
mani tremanti, reggevo il suo capo. Guardai le sue labbra rosse di sangue.
« Non… Non
è possibile… Maestro… »
«
Una
riflessione sopra la morte… E la morte hanno avuto…
Kabuto, prendi il mio
posto… Io sono immortale… Sono immortale… Sono
l’unico degno adesso… L’unico… »
I suoi
occhi erano vuoti, persi nel cielo. Vaneggiava, sentivo le sue parole come echi
lontani.
Lacrime
amare mi salirono agli occhi mentre tremavo appoggiando la mia fronte contro la
sua.
Singhiozzavo
tanto forte che pensavo i muscoli non avrebbero retto.
Guardai il
mio maestro, la sua vita pian piano si affievoliva.
Il suo
sguardo serio, fiero, ironico e sadico non esisteva più. La sua anima, la sua bellezza,
non c’era più, c’era solo un involucro vuoto.
Il suo
spirito, quello che amavo tanto era sparito ormai.
Mi rialzai
guardando quel corpo sconvolto. I lunghi capelli neri giacevano intorno alla
sua figura, i suoi occhi semichiusi erano vuoti.
Poi notai
un’altra cosa…
Da sotto
le lunghe maniche della sua maglia spuntavano delle bende.
« Delle
bende… Naruto… »
§§§
« Me lo
dica Tsunade sama! Non sopporto che dei sudici ubriaconi infanghino la sua
memoria senza che io sappia la verità! »
« Te lo
dirò ma… Ti prego! »
Raccolsi
il coltello affianco al suo bicchiere e con un colpo secco tagliai la pelle del
mio avambraccio facendo uscire del sangue. Emofobia, era la mia specialità far
leva sulle debolezze altrui, come con Jiraya sama, mentre lui era con una
donna, avevamo messo in atto il nostro piano.
« Che cosa
ha fatto Naruto al mio maestro? Che cosa intendeva Jiraya sama con quello
nuovo? Che cosa sa su Orochimaru sama? »
« Io non…
Ho cercato di curarlo al meglio, gli avevo detto di non andare, di non combattere,
ma non mi ha ascoltato… »
« Orochimaru
sama ti aveva detto di stare per morire, perché? »
« Era
malato… Aveva il cancro, in questo momento era nello stadio terminale presto
sarebbe morto nei più atroci dolori, in fondo Naruto gli ha fatto un gran
favore… »
« Ho visto
delle bende che spuntavano da sotto le maniche. Perché erano fasciate le sue
braccia? »
« Naruto…
In una colluttazione con Naruto si è slogato entrambe le braccia… Lui era
arrabbiato con Orochimaru, ingannava tutti, qualsiasi persona gli capitasse a
tiro… Anche tu sei stato ingannato da lui… »
« Cosa
stai dicendo?! Non è vero! »
«
Orochimaru ha scelto te perché non sei alla sua altezza! Puoi imparare al
meglio qualsiasi suo segreto, ma non sarai mai al suo livello, ha scelto te
perché porti gli occhiali, perché sei imperfetto… Solo una persona è alla sua
altezza… »
« Jiraya
sama è morto. Non c’è più nessuno che sia come lui. »
« Ti
sbagli… Jiraya era forte, era incredibile, ma non è di lui che sto parlando. Il
primo allievo di Orochimaru, era solo un bambino quando l’ha preso con sé.
Jiraya e Orochimaru a quel tempo erano ancora amici, andarono all’orfanotrofio
e raccolsero i due bambini che più sembravano in grado di imparare, che
avessero questa passione dentro. Jiraya scelse Naruto, ma era ancora troppo
piccolo per imparare, l’ho tenuto con me fino a qualche anno fa. Mentre
Orochimaru scelse Sasuke. Quel bambino era… Era un genio, in tutto, era
riuscito a crescere come maleta in pochi anni. Sasuke e Naruto erano molto
amici da bambini, in continua rivalità ma amici, però Orochimaru è riuscito ad
allontanarli, a farli odiare. Sasuke era stato abbandonato in orfanotrofio dal
fratello, un omicida che aveva ucciso tutta la sua famiglia, ma aveva salvato
lui. Non se l’era mai perdonato di esserselo lasciato sfuggire. Orochimaru
sapeva dov’era, e Sasuke dopo avergli estorto tutti i segreti di cui era a
conoscenza con l’inganno è fuggito, per cercare il fratello. Naruto ha
incolpato a Orochimaru, per questo non ha avuto altra scelta che rimanere con
il rancore e quando sarebbe diventato abbastanza famoso, l’avrebbe cercato. Ma
ora, dopo che Orochimaru ha ucciso Jiraya, non ha più basi per poter realizzare
il suo sogno… »
« Questo
Sasuke, era più forte di Orochimaru sama come torero? »
Annuì, mordendosi
il labbro. Dio solo sapeva quanto soffriva per quelle confessioni.
Guardai i
suoi occhi riempirsi di lacrime.
Lui voleva
la fama, lui voleva l’immortalità.
’alui
l’avrebbe avuta.
ahoma;">« Dov’è
Sasuke? »
« Io non…
Non lo so. È andato a nord ma non so che fine abbia fatto… »
« Bene. »
Mi rialzai
in piedi rintanandomi nuovamente nel mio mantello.
Fin dove
ci si poteva spingere per la fama?
Fino a
dove per l’immortalità?
Fin dove
per l’amore?
Avevo
deciso di rispondere a tutte quelle domande.
Avrei reso
di nuovo immortale Orochimaru sama, avrei ripristinato la sua fama.
Perché lo
amavo, avrei dovuto uccidere il suo allievo, Sasuke Uchiha.
Aprii la
porta della locanda. Un altro passo, ma questa volta, i miei passi li avrei
compiuti per me.
Per quello
che ritenevo giusto, per quello che provavo.
Perché
un’anima nata nel silenzio dopo che scopre il ritmo del proprio cuore che batte
non può più fermarsi.
E lui era
ancora con me. Per ora, per sempre.
Questo, non è un addio maestro.
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