Florentia

di Florentia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo 1 ***
Capitolo 2: *** Prologo 2 ***
Capitolo 3: *** Prologo 3 ***
Capitolo 4: *** Prologo 4 ***
Capitolo 5: *** Prologo 5 ***
Capitolo 6: *** Prologo 6 ***
Capitolo 7: *** Prologo 7 ***
Capitolo 8: *** Prologo 8 ***
Capitolo 9: *** Prologo 9 ***
Capitolo 10: *** Prologo 10 ***



Capitolo 1
*** Prologo 1 ***



Prologo 1
 
È caduto!”, disse a bassa voce, al tavolino del bar, uno dei due signori, mentre con la mano sollevava il calice, per brindare felice a quell’avvenimento. È caduto.”, ripeté quasi incredulo, con una nota quasi malinconica nella voce, che non lasciava però dubbi sulla felicità che quell’avvenimento sicuramente aveva procurato in lui.
È stato il ragazzo?”, chiese l’altro pensieroso. Stava sicuramente pensando a quello che sarebbe stato il futuro per entrambi, ora che la loro vita da reietti sembrava avere una fine. Avevano passato gli ultimi tre anni a nascondersi, in giro per l’Europa, da quando avevano entrambi sentito bruciare l’avanbraccio, dove un tatuaggio ricordava loro le loro colpe, errori giovanili imperdonabili, ai quali non avrebbero mai potuto riparare. Loro erano andati via prima della prima caduta del Signore Oscuro, quando avevano capito che sarebbe stato un massacro di innocenti, che le sensuali promesse che aveva fatto loro non erano che una trappola per sottomettere sodali ad una causa in cui tutti, veramente tutti, erano vittime. Loro, per gli anni successivi, sarebbero stati tacciati come vigliacchi, da quelli che erano vecchi amici, o che per lo meno consideravano tali. Avevano ottenuto una protezione ministeriale, avevano fatto i nomi di chi aveva partecipato alle peggio torture, agli omicidi. Già una volta era finito, poi era ricominciato.
“Si, a quanto pare è caduto per mano di Potter, nuovamente.”, disse l’amico, sorseggiando il Chianti che, quel giorno, aveva sapore di libertà. “Potremmo anche tornare, ora, no?”. I due erano fuggiti al sud, per nascondersi dalle persone che avevano tradito, per evitare lo scontro. Erano Reietti, come pochi altri, che avevano deciso di ribellarsi a Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato.
“No, meglio di no. Lui è caduto, certo, ma qualcuno dei suoi sarà ancora in giro. È pericoloso. Poi abbiamo fatto una promessa.”. Lui era il più anziano dei due, anche se di pochi anni. Era stato lui ad avere l’idea di andare in Italia, dove la sua famiglia aveva origine, e dove aveva ereditato un piccolo vigneto. Sapeva che quell’attività non avrebbe destato troppo sospetto.
“Vuoi davvero farlo?”, chiese l’altro, mentre squadrava il fondo del bicchiere ormai mezzo vuoto. “Potremmo godercela, sai. La vendita del nostro vino va bene, e siamo ben amati dai babbani di questo paesello. E sinceramente, non mi sembra di aver visti troppe tracce di magia giovane da quando siamo qui. I pochi maghi che abbiamo conosciuto hanno studiato a Beauxbatons, e sono anche abbastanza abili.”
“Albus era sicuro che i francesi non siano in grado di rispondere adeguatamente per tutto il sud Europa, ed è plausibile che ci siano maghi che non sanno di esserlo. Il che può essere pericoloso. Un potere non educato può essere anche fatale per chi lo ha.”. Dicendo quelle parole si ricordò di quella notte, in cui il suo amico gli aveva chiesti esplicitamente di lasciare l’Inghilterra, nel suo ufficio. Sembrava seriamente preoccupato, più di quanto lo avesse mai visto in quegli anni. “Per il tuo bene, è meglio che andiate al Sud. Non posso assicurare che sarà sconfitto, e le prime teste che vorrà saranno quelle di chi lo ha abbandonato.”, gli disse Silente, scuro in volto. “Poi, nel caso in cui la vittoria sia sua, anche questa volta paesi come l’Italia rimarrebbero senza protezione da questa follia. Sai del mio desiderio, che nutro da anni, di rifondare la scuola che, alcuni secoli fa, ha istruito i più grandi maghi della scuola.”, sembrava perso nei suoi pensieri, mentre diceva quelle parole.
“Io ancora mi chiedo perché Albus abbia chiesto a noi, nonostante i nostri delitti, di rifondare Florentia.”, la voce dell’amico lo ridestò da quel flusso di ricordi.
“Lui aveva questo brutto vizio di vedere il buono anche dove noi ci dimentichiamo esistere.”, disse, versandosi un bicchiere di vino, pensando a come Albus avrebbe apprezzato la bevanda. “D’altronde siamo entrati nell’Ordine anche noi. Niente magari ci porterà a perdonarci, ma possiamo per lo meno fare del nostro meglio per recuperare.”, bevve il vino, trattenendo un triste sorriso.
“Più invecchi, più inizia ad assomigliargli.”, gli disse in una risata l’amico.
“Nessuno sarà mai come Albus, men che meno io. Ma possiamo fare di tutto in sua memoria per rendere un po’ migliore questo mondo, ed evitare che un altro Voldemort sorga.”, nel dire per la prima volta quel nome, un brivido gli salì lungo la schiena, e un lieve bruciore sull’avambraccio lo spaventò più del dovuto.
“Ora osi dire il suo nome.”, chiese l’amico con un sorriso.
“Ormai non esiste più, e non può farci del male da morto. Ma questo non significa che il male sia sparito. I suoi seguaci sono ancora in giro, e molti non faranno neanche un giorno ad Azkaban. Per questo è necessario prevenire, e fare la nostra parte.”, dicendo quelle parole, l’idea di ritrovare la scuola di Florentia sembrava meno folle di quanto sembrasse fino a quel momento. In fondo, lo avevano promesso.
“Quindi lo faremo, diventeremo insegnanti?”, lo sguardo dell’amico ora era acceso di un fuoco nuovo, quasi inquietante.
“Chi meglio di noi? Noi abbiamo sbagliato, e il dolore di quegli errori è ancora vivo, sappiamo quanto sia spesso preferibile la nostra morte quando quella di altri ci pesa sul respiro.”, quella dolorosa considerazione era uno sfogo d’orgoglio di quell’amicizia inaspettata che aveva cambiato il destino della sua vita. Silente aveva salvato i due amici, nonostante per anni fossero nemici, fidandosi. Aveva dato loro fiducia, nonostante tutto. E quella fiducia sarebbe stata la pietra dell’educazione di giovani maghi e streghe, memoria di un destino nuovo, che ha cambiato il destino del mondo. “La fiducia è il motore della natura.”, sentenzio, alzando il calice, in un brindisi alla memoria del loro vecchio amico.
“Hai già trovato il motto da incidere all’ingresso?”, lo schernì tra le risate il compagno, alzando a sua volta il calice.
“Magari ci pensiamo meglio e lo aggiustiamo. La prima cosa è ritrovare il castello, cosa che non sarà affatto semplice.”, disse pensieroso.
“Silente non ti aveva dato una mappa?”, gli chiese, “Possiamo iniziare da quella.”
“Sai come era fatto, per lui le cose semplici erano noiose, a quanto pare. La mappa è una serie di frasi enigmatiche, che a quanto pare guidano ad una vallata fuori Firenze, nelle campagne toscane. Ma il castello, oltre ad essere nascosto ai babbani, è stato reso introvabile anche agli stregoni che non ne conoscono l’esatta posizione, perché pare al suo interno sia conservato un antico potente cimelio magico, che si voleva evitare cadesse in mani sbagliate. Non sarà facile, nemmeno Albus riuscì a trovarlo nei suoi viaggi. Ma credo che lui fosse più interessato a quel cimelio, temendo cadesse nelle mani di Voldemort, che pare lo cerco senza risultati a sua volta.”, rispose, sgranocchiando distrattamente del pane.
“Quindi, dobbiamo risolvere questo enigma? Il vino non aiuterà, lo sai, vero?”.
“No, non aiuterà, ma oggi pensiamo a festeggiare. La caduta di Voldemort ci dà del tempo per fare le cose per bene, senza fretta, ma Florentia rinascerà, questo è sicuro. Per Silente.”
“Per Silente.”

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Capitolo 2
*** Prologo 2 ***


Prologo 2 Pioveva a dirotto, le gocce picchiettavano prepotenti sulla finestra della cucina, dove la famiglia faceva colazione. Un’altra noiosa giornata stava per cominciare per Iris, uguale a quella prima, monotona. Colazione, scuola, casa, compiti, nanna. Non che la scuola non le piacesse, anzi, andava bene, studiava, e riusciva ad avere anche qualche amico. Il problema è che desiderava qualcosa di più. Non si sentiva a suo completo agio con quel che viveva. Come molti undicenni, preferiva vivere nel mondo di fantasia che aveva scoperto coi libri, i fumetti e i videogiochi. La sua famiglia era una famiglia relativamente normale, con le difficoltà economiche tipiche di qualsiasi altra famiglia, ma che con l’impegno di tutti permetteva di arrivare a fine mese senza troppe lacrime. La fortuna vuole che Iris e i suoi genitori fossero andati a vivere con la strana nonna, una donna anziana, che aveva vissuto parte della sua vita in Inghilterra, da dove era fuggita durante la seconda guerra mondiale col marito, per andare a vivere a Tufara, un piccolo centro della Valle del Fortore, dove avevano aperto una locanda che per lo più, si dice, accoglieva strani forestieri, tipi che parevano loschi ai più, che si trovavano in viaggio nel sud Europa. Iris andava molto d’accordo con la nonna, che fin da bambina le raccontava strane storie di creature fantastiche, avventure di eroi contro persone cattive o mostri. Fu lei a regalarle, a otto anni, i libri di “Harry Potter”, la saga che ormai da sette anni le faceva compagnia nei momenti in cui si sentiva triste. La nonna condivideva con lei questo amore per il maghetto, invogliandola a leggere i libri, vedere i film, vivendoli come amici e compagni quando si sentiva sola. Iris aveva molti amici che avevano letto i libri, coi quali discuteva su quale fosse la casa migliore a quale appartenere, su quale fosse il personaggio più coraggioso, su quale fosse il più carino, anche. Il suo personaggio preferito era Luna Lovegood, nella quale rivedeva quella malinconia che spesso l’accompagnava. Lei vedeva in Luna la migliore amica che non riusciva a trovare nella vita reale. Un’amica l’aveva, sia chiaro, Maria, e le voleva veramente bene, ma a lei Harry Potter non piaceva, anzi, a lei non piaceva per nulla leggere. Aveva visto qualche volta i film assieme ad Iris, ma, più che avere qualche foto di Robert Pattinson circondata da cuoricini, non riuscì ad appassionarsi. Così passavano il tempo a giocare insieme e a fare passeggiate lungo il fiume prima di cena e dopo i compiti, quando il tempo lo permetteva. Dopo cena, quindi, Iris si ritrovava a leggere con la nonna, che per lei era la persona più importante, e quei momenti insieme a lei diventavano i più attesi della giornata. Quel giorno, Iris, a scuola aveva compito in classe di matematica, materia che non sopportava, e che non riusciva a comprendere, nonostante le ore passate a sbattere la testa su quelle formule e quelle figure geometriche. Lei preferiva l’italiano e l’inglese, materie che poteva studiare con la nonna, che, ovviamente, parlava fluentemente la lingua straniera, in quanto gliel’aveva insegnata l’amato marito. Si ritrovava, quindi, a mangiare stancamente la sua colazione, nervosa, col tempo esterno che non faceva che aumentare quel suo senso di malinconia. “Mamma, ma se oggi rimanessi a casa, ho un po’ di mal di gola.”, tentò timidamente, rivolgendosi alla madre, ma sicura che quel tentativo non avrebbe portato a nulla. “Iris.”, iniziò la madre, con un tono di voce che non consentiva altri tentativi, se pur piena di quella dolce gentilezza della madre, “Lo sai che la scuola è importante, nonostante tutto l’importante è che ci provi. Se sbaglierai qualcosa nel compito, avrai la possibilità di vedere i tuoi errori, e imparare qualcosa di nuovo.”. Iris odiava quella teoria della madre, non la comprendeva. Lei e la matematica erano distanti anni luce, ma capì che, senza febbre o sintomi tangibili, non si sarebbe evitata quel giorno di scuola. Finì quindi la colazione, per poi correre a lavarsi i denti e recuperare lo zaino. Mentre lavava i denti, notò in giardino un gattino seduto, che pareva guardare verso la sua direzione. Il gattino era bianco, con un solo orecchio felpato di nero, di una bellezza rara, che muoveva delicatamente la coda. Iris era sicura di non averlo mai visto da quelle parti. Si sbrigo quindi, in maniera da uscire velocemente di casa, per andare ad accarezzarlo. Una volta uscita fuori di casa, con delusione, notò che l’animale non era più nel cortile del palazzo dove abitava. Provò a guardarsi intorno, senza trovarlo. Attese quindi la mamma e il fratellino, Mattia, sotto casa, per poi andare a scuola insieme a loro. Durante le lezioni ed il compito, era distratta dal gattino, tanto che sul foglio del compito si ritirò a disegnarlo distrattamente, cosa che le costò una sgridata da parte della maestra, che la richiamò all’attenzione verso quello che stava facendo. Risvegliata da quello stato incantato, riuscì sorprendentemente anche a completare tutti gli esercizi, cosa che le diede una certa dose di soddisfazione. Mentre si apprestava a consegnare il compito, notò che fuori dalla finestra, nel cortiletto della scuola, c’era di nuovo il gattino che la osservava, col suo dolce sguardo curioso, che muoveva delicatamente la coda. La cosa parve strana ad Iris, che rimase distratta per il resto della mattinata, tanto che non si accorse che Maria, la sua amica, le chiedeva se dopo scuola sarebbero andate insieme a mangiare una cioccolata nella pasticceria del paese. Dovette scuoterla per farsi notare, e, quando Iris le rispose di no, che doveva studiare, se ne andò un po’ indignata dalla cosa. Iris tornò a guardare fuori dalla finestra, ma, anche stavolta, il gattino era sparito. Durante il pomeriggio, invece che studiare, si ritrovò a disegnare coi suoi acquerelli il gattino. La nonna entrò nella sua camera, incuriosita dal disegno. “Tesoro mio, questa volta ti sei superata!”, esclamò la nonna, con il suo dolce sorriso sul viso. “Questo lo incorniciamo e lo metto alla locanda, che ne dici?”. “No, nonna, dai, mi vergogno.”, rispose Iris, per quanto fosse felice che il suo disegno piacesse tanto alla nonna. “Ma ti vergogni di cosa, cara? Questo disegno è davvero bello. Il gattino sembra vivo. È magico.”. Ogni volta che qualcosa piaceva davvero tanto alla nonna, lo definiva in quel modo: magico. E ogni volta che lo faceva per qualcosa che aveva a che fare con Iris, lei si ritrovava ad essere davvero felice. “Ok nonna, ma non metterlo proprio troppo in vista. Magari dietro il bancone.”, disse Iris, con un sorriso a trentadue denti. “Oh, va bene, come vuoi. Comunque se poi scendi alla locanda lo appendiamo insieme e ci beviamo un bel bicchiere di Thè freddo alle rose, che ne dici?”. Iris era felice di scendere alla locanda della nonna, anche perché ultimamente era sempre più vuota, frequentata solo da alcuni vecchietti che passavano il tempo a giocare a scacchi, e che ogni tanto discutevano di cose che solo loro sembravano conoscere. La nonna non aveva, in realtà, la necessità economica di aprire la locanda, avendo la sua piccola pensione, ma, diceva spesso, era un modo per rimanere attiva e giovane, oltre al fatto che era davvero affezionata a quel luogo che aveva costruito col nonno, ed era talmente abituata a quella routine quotidiana da poterne fare a meno. Iris finì quindi il disegno, felice, e lo portò nella locanda della nonna, dove rimase fino all’ora di cena, con un libro in mano, a bere il suo thè freddo.

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Capitolo 3
*** Prologo 3 ***


Prologo 3 Alla porta della locanda bussarono forte, in tarda notte. L’anziano proprietario però non era allarmato. Anzi, attendeva dietro il bancone che qualcuno arrivasse a portare nuove notizie. “Ciao Bill. Certo che anche qui fa freddo, eh.”. L’interlocutore indossava una pesante sciarpa. Bill lo fece accomodare. “Ti posso offrire qualcosa di caldo da bere?”, per il locandiere era prassi, e nella zona era famosa la sua cioccolata alle noci, cosa che faceva avvicinare anche gli avventori più intimoriti dalla strana clientela che abitualmente frequentava le mura della “Tazza Traboccante”. Di solito viaggiatori che da tutta l’Europa venivano in Italia per visitarne le bellezze ai più sconosciute. “No, amico mio stanotte ci vuole qualcosa di forte per festeggiare.”, disse, togliendosi il giubbotto, e accomodandosi ad una sedia. “Ma dov’è Auriga?”. “Sta riposando. Oggi ha pulito la locanda da cima a fondo, poveretta, mentre io facevo scorta di legna in un boschetto qui vicino.”, rispose il locandiere, versando un bel bicchierone di vino aromatizzato ad entrambi. “Infatti cerchiamo di non fare troppo rumore, per non svegliarla. La informerò io di tutto domattina. Buone e cattive notizie.”. “Ma quali cattive notizie, Bill. È caduto. È caduto, e ora siamo liberi.”, disse il viaggiatore con un sorriso immenso, e gli occhi che brillavano di una gioia immensa. “Si, ma a quale costo?”, disse Bill, con una nota di amarezza nella voce. Le voci che gli erano arrivate via gufo non erano per niente rassicuranti. Soprattutto perché conosceva il nonno di Potter, erano stati amici prima che lui lascasse l’Inghilterra con la moglie, per potersi liberamente sposare in Italia. Aveva già visto le brutalità di Gindelwald, all’epoca. E aveva sperato che brutalità simili tra maghi non accadessero più. Poi era arrivato Lui, e la follia era tornata. E anche da lontano aveva imparato ad avere paura e a guardare con sospetto le persone che si avvicinavano alla sua locanda. “Si, scusa. I Potter sono morti. Ma a quanto pare il piccolo è sopravvissuto. Ci sono strane voci in giro che dicono che sia stato lui a sconfiggerlo.”, disse, bevendo un sorso del suo vino. “Il bambino?”, chiese sorpreso Bill, che non si aspettava minimamente un’informazione del genere. “Come è possibile che un bambino di nemmeno un anno abbia potuto sconfiggere il più potente mago oscuro della storia? Suvvia, questa è una di quelle storielle colorate che vengono raccontate in questi casi, per rendere più colorato il racconto.”, disse il locandiere ridacchiando. “Oh no, la fonte è attendibile, mio caro. Ero al Paiolo prima di venire qui. È stato Hagrid a raccontarci tutto, in cambio di qualche bicchiere.”, disse convinto l’interlocutore. “Allora sarà stato troppo ubriaco. Ho sentito parlare di lui da Aberforth in qualche lettera. Non pare essere una cima. Sicuramente avrà capito male.”, sentenziò Bill, convintissimo che quella voce fosse un’esagerazione su qualcosa che probabilmente sarebbe rimasto per sempre avvolto nel mistero. “Sarà, ma a quanto pare è stato lui a recuperarlo dalle macerie della casa, per portarlo in un luogo sicuro. Povero bimbo, che destino crudele.”. I due rimasero un po’ in silenzio a riflettere. “Hai mai pensato di tornare in Inghilterra?”, chiese di colpo il viaggiatore. “Ci ricordiamo di quando al Paiolo c’eri anche tu, e di come fosse buono all’epoca il tuo idromele.” Bill era contento di sentirsi dire quelle parole, ma ormai in Italia aveva messo su famiglia. E sua figlia si stava per sposare. Non avrebbe mai pensato di obbligare la sua Auriga a tornare in Inghilterra, dove anni prima si erano conosciuti. Pareva davvero un’altra epoca, quando lui faceva il garzone al Paiolo Magico. Era lì che aveva imparato il mestiere che aveva fatto per tutta la sua vita. E la “Tazza” era diventata il suo piccolo orgoglio. Lì, con la sua amata moglie, aveva riposto le speranze di vivere una vita felice e tranquilla, riuscendo a rimanere in contatto col suo mondo. Erano fuggiti perché, in Inghilterra, un mago non avrebbe potuto sposare una babbana. Il loro amore era mal visto all’epoca. Ma i tempi erano per fortuna cambiati. Ora pareva, finalmente, essere normale, vivere in libertà il proprio amore. “Ti capisco. Hai messo su qualcosa di davvero accogliente. Ma il tuo nome, tra gli avventori abituali del “Paiolo”, è leggenda.”, disse con un sorriso il viaggiatore. “Poi qui in Italia non siamo in molti, vero?”, “No, ma credo che in realtà molti non sappiano di esserlo. Eppure è strano, le tracce di magia molto antica, anche qui intorno, sono tante. Io sono ignorante, figurati, se riesco a riconoscerle pure io. Una volta è venuto Albus, qui, proveniva dalla Toscana. A quanto pare stava cercando qualcosa che non riuscì a trovare. Fu comunque una bella serata. In quell’occasione forse bevemmo qualche bicchierino di troppo. Ma in quanti possono dire di aver bevuto con Albus Silente?”, disse con una risata Bill. Lui era stato amico di Aberforth Silente. Avevano intrapreso entrambi lo stesso lavoro, e alla Testa di Porco aveva imparato come fare il suo famoso vino speziato. In pochi sapevano che con la locanda di Hogsmeade avessero in comune quella ricetta. Uno dei primi a berla fu proprio Albus, che da poco aveva ristretto i rapporti col fratello, incrinati dalla loro giovinezza. Non aveva mai avuto il coraggio di chiedere il perché, in effetti. “Beh, mi dispiace dirlo, ma Albus, dietro la sua nomea eroica, è famoso al Paiolo per essere un raffinato bevitore. Non esagera mai, no, ma gradisce. Ed è anche un intenditore per quanto riguarda le canzoni da bevuta.”. fece l’occhiolino al locandiere. “Si, questa leggerezza mi mancava. E sono solo poche ore. Forse dobbiamo ancora realizzare.”, disse con un sorriso il viaggiatore. “Sai che non è finita, vero? I suoi saranno ancora in giro, purtroppo, Successe anche con Grindelwald. Qualcuno venne a cercarmi pure qui, all’epoca.”, disse serio Bill. “Poi, ci sono voci che non esista un cadavere, è vero?”, chiese. “Hai ragione su entrambe le cose. Il ministero e gli Auror si sono già messi alla caccia di entrambe le cose. Alcuni pensano che non sia davvero morto, ma che sia talmente debole da non poter più nuocere. Non che faccia molta differenza, alla fine.”, disse il viaggiatore, come nel tentativo di non perdere l’entusiasmo accumulato in quella notte. “Speriamo che sia come dici tu, mio caro. Ma il male serpeggia ancora tra noi. Credimi, da Serpeverde, so esattamente quanti esaltati pericolosi esistono in giro.”, disse Bill. “Oh, non solo tra i Serpeverde. Ti assicuro che anche tra i Tassorosso esistevano tipetti poco raccomandabili. Alcuni di loro sono affiliati ai Mangiamorte. E ti assicuro che non erano obbligati, se non da loro stessi. Ho imparato che non è la casa ad Hogwarts che detta il nostro destino. Pregiudizi a cui diamo ancora troppa importanza. Beh, amico mio, è meglio che torni nella grigia Inghilterra. Domani sicuramente sul Profeta ti arriveranno notizie più complete delle mie. La ricevi ancora, sì?”, chiese. “Oh, sì. Il servizio di abbonamento all’estero è diventato molto più efficiente.”, rispose Bill alzandosi, per accompagnarlo alla porta. “Allora salutami la cara Auriga, Bill. Spero di avere tempo la prossima estate di venirmi a fare una vacanza qui. In Estate deve essere meravigliosa.”, disse, uscendo dalla porta. “Oh, sì, lo è. Si riempie di fiori profumati. L’abbiamo scelta per questo. A mia moglie piacciono i fiori.”, disse, stringendo la mano al viaggiatore, che con un ultimo gesto, salutò, per poi smaterializzarsi.

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Capitolo 4
*** Prologo 4 ***


Prologo 4 “Non dirmi che davvero dobbiamo chiuderci in una biblioteca?”. chiese Damian, mentre osservava il nero cancello che emanava antichità da ogni punto lo si guardasse. Odiava le biblioteche già dagli anni passati ad Hogwarts, in quanto Damian Edwards non era uno studente modello, preferiva passare il tempo a gironzolare nel parco presso il lago di Hogwarts, luogo dove aveva stretto alcune delle amicizie più importanti della sua vita, alcune di queste lo avevano spinto nel baratro che lo aveva portato a vivere in Italia. Di molte cose si era pentito, tranne che di aver abbandonato alcune compagnie prima che potessero spingerlo nelle tenebre senza uscita in cui loro, seguendo l’Oscuro Signore, erano caduti tutti assieme. Ma uno, insieme a lui aveva detto basta, ed era lì, a Siena, con lui, davanti a quel cancello. Era Mason Hughes. Lui sì che era stato uno studente brillante, all’epoca, cosa che, unita ad una bellezza mediterranea, derivante dalle sue origini italiane, gli conferiva un fascino intellettuale latino che, scherzosamente, Damian aveva sempre inviato. Damian non era brutto, qualche chilo in più e una barba forse troppo lunga, ma non pensava di essere meno bello. Sopperiva dove poteva con l’arguzia e la simpatia. Una cosa era certa, Mason gli aveva dato la possibilità di scegliere, quando la situazione in Inghilterra iniziò davvero e degenerare. Mason decise di chiedere aiuto ad Albus Silente, il loro nemico in quella guerra, dandogli le poche informazioni che due Mangiamorte di seconda categoria quali erano potevano avere. Si erano uniti a Voldemort in quanto fieri Purosangue, provenienti da famiglie facoltose, non cattive, ma orgogliose di essere annoverate nella cerchia che il mago oscuro voleva porre al governo e al potere. Quando infatti decisero di entrare nel braccio armato, le loro famiglie appoggiarono quella scelta. Ma non immaginarono all’epoca le atrocità a cui sarebbero stati spinti. A quel punto, si allearono all’Ordine della Fenice, che aveva bisogno di persone fuori dall’Inghilterra per contenere quella follia, e, per ordine di Albus, si ritrovarono in Italia, dove Mason possedeva un vigneto ereditato da un vecchio parente, e dove iniziarono a produrre Chianti. Ma Silente aveva fatto loro un’altra richiesta, ed era arrivato il momento di onorarla. “Questa è una delle biblioteche più antiche della Toscana.”, disse Mason, leggendo il cartello della Biblioteca Comunale degli Intronati, a Siena. “Qui, a quanto pare, sono conservati importanti libri a cui i babbani non riescono a dare un’interpretazione, talmente astratto è il loro contenuto. È plausibile che qui dentro riusciamo a trovare informazioni su Florentia, e soprattutto magari capire cosa contiene di così terribile, prima di aprirla a dei ragazzini indomiti.”. Era da un po’ che Mason ci pensava: non si trattava solo di trovare, magari restaurare, quel castello, ma anche capire cosa all’interno è contenuto, e che ha causato il suo nasconderla anche ai maghi, nel momento in cui si è deciso di chiuderla. Si incamminò dentro la biblioteca. ” Ok, andiamo a prendere polvere, con grazia della mia allergia agli acari”, rispose Damian, con un tono stizzito. “Però te lo dico, dopo una birra ce la prendiamo.”. Seguì il compagno dento la biblioteca, rassegnato. Entrarono in una stanza con un tetto a cupola, con lungo le pareti, delle librerie cariche di tomi più o meno moderni. Mason sembrava nel suo mondo, guardava infatti quei libri con desiderio pulsante. Quello sguardo, che Damian aveva imparato a riconoscere, era desiderio di sapere, bisogno che pareva davvero vitale per il suo amico. Fosse stato per lui, probabilmente, avrebbe iniziato ad aprire ogni singolo volume, sfogliandolo cercando un’informazione qualsiasi che attirasse la sua attenzione, e che dovesse essere alimentata con un nuovo volume, in una reazione a catena senza fine. Ma vedeva anche la resistenza a quella tentazione, perché era cosciente che dovevano trovare dei volumi specifici. “Bene, Mason, da cosa pensi di cominciare.”, chiese Damian, sconcertato dal numero di volumi lì dentro. “I libri magici, devi sapere, hanno una traccia della magia che contengono, e dovresti ricordare che esistono incantesimi che rivelano le tracce magiche.”, disse, sollevando in maniera discreta la bacchetta che teneva ormai sempre nascosta nella manica. “Dobbiamo solo fare attenzione a non farci notare.”. “Oh, sarà semplice.”, disse Damian, guardandosi nervoso attorno. “Beh, se non la smetti di agitarti così, no, non lo sarà. Lascia fare a me. Datti una calmata.”. Mason iniziò a camminare, come se nulla fosse, nel frattempo sussurrando tra sé una serie di incantesimi, cercando di rilevare il minimo segnale di presenza magica attorno a loro. “Si, mi piacerebbe proprio leggere “Cime Tempestose””, disse a voce irragionevolmente alta Damian. “Come scusa?”, chiese sorpreso Mason, che non capiva il senso di quell’affermazione. “Sennò sembra che parli da solo, sussurrando così, quindi faccio finta di rispondere a qualche tua domanda.”, gli sussurrò stizzito Damian. “E non puoi fare finta pure tu di sussurrare?”, gli fece notare Mason. “Se urli così attiri davvero l’attenzione.” “Giusto. Si. Scusa.”, gli rispose Damian. Proseguirono a camminare all’interno della biblioteca, con Mason che dava sfogo a tutte le sue conoscenze magiche per riuscire a trovare qualcosa. Era sicuro che qualcosa in quel luogo ci doveva essere, almeno una memoria di ciò che era stata Florentia, anche una piccola traccia, ma ci doveva essere. Arrivarono affianco ad una parete, che iniziò a illuminarsi di un verde quasi fluorescente al loro passaggio. Rimasero colpiti dalla cosa. “Interessante.”, disse Mason. “Interessante.”. “Esattamente: cosa?”, chiese Damian, mentre con la mano tastava la parete. È inutile che tasti, è celata. Qui dietro c’è una porta, che, scusami il gioco di parole, sicuramente porta a qualcosa che ha a che fare con la magia.”. “E non è esattamente quello che stavamo cercando?”, disse appoggiandosi alla parete, per poi scomparirvi attraverso a sua volta. Si trovò davanti Damian che si rialzava da terra, spolverandosi gli abiti. Erano entrati in una stanza illuminata da torce magiche, che si accendevano di una luce bluastra al loro passaggio. Le pareti erano stipate di tomi che parevano ben più antichi di quelli che stavano dall’altra parte della parete. Lo sguardo di Mason era ben più eccitato di prima. “Bene, e or...”, tentò di dire Damian, prima di ricadere. Da sotto le sue gambe un qualcosa di piccolo sgattaiolo in maniera sgraziata davanti a loro. “Guarda guarda guarda.”, disse una voce acuta e sgraziata. “Maghi, dopo tutto questo tempo.”. La piccola creaturina pareva entusiasta. “Un elfo domestico?”, chiese Damian, che nuovamente si rialzava. “BIBLIOTECARIO!”, rispose l’elfo stizzito. “Non mischiatemi con la manovalanza. Io custodisco il sapere magico di Siena.” “Perdona il mio amico. Non voleva offenderti.”, disse Mason, a sua volta sorpreso da ciò che avevano davanti. L’elfo pareva davvero anziano, anzi, antico. Ma, oltre questo, non era vestito coi soliti abiti consunti, anzi. Vestiva un abitino elegante, e sul lungo naso aveva dei piccoli occhiali da lettura. I pochi capelli, bianchi, erano pettinati all’indietro. Ai piedi delle scarpe in pelle lucida. Da lui emanava un piacevole odore mentolato. “Oh, sì sì, perdonato, Avete intenzione di dirmi cosa siete venuti a fare, o volete occuparmi tutto il giorno?”, chiese in tono fintamente gentile, come se fosse disturbato da quella presenza, che andava a rompere una sua qualche routine. “Da quanto tempo non vedi un mago, elfo?”, chiese Damian, che guardava con un misto di sorpresa e divertimento la creatura. “Oh, sicuramente più di 200 anni. Prima questa stanza era frequentata da persone dall’intelligenza sopraffina e giovani alla ricerca della conoscenza. Poi sono spariti tutti, lasciandomi qui a proteggere il loro sapere. I Signori avevano tanta fiducia in me.”, disse nostalgico l’elfo, che si apprestava a mettere in ordine alcuni fogli. “Sei 200 anni da solo?”, chiese Mason, sorpreso. “No, non solo. Con la compagna più fedele: la conoscenza. Mi prendo cura di questi volumi, e loro si prendono cura di me. È un compito importante, sapete?” I due amici si guardarono speranzosi. Forse li avrebbero trovato davvero ciò che stavano cercando. “Senti elfo, sai qualcosa di Florentia?”, chiese Mason, speranzoso. Gli occhi dell’elfo si illuminarono all’istante. “Se so qualcosa? Ero il bibliotecario lì”.

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Capitolo 5
*** Prologo 5 ***


Prologo 5 “Iris! IRIS!”, chiamava la mamma, dalla cucina. Si sveglio, non velocemente, visto il dolce tepore delle coperte, sulle quali era raffigurata Edvige, la bianca civetta di Harry nei libri. In effetti tutta la cameretta era un piccolo templio votato alle sue passioni, con sui mobili statuette, libri, DVD, tutte che raccontavano dei mondi ai quali era affezionata. Quello era il suo piccolo universo, nei quali si sentiva protetta e soprattutto felice, anche in quei giorni che sembravano più pesanti. Guardò l’ora, erano le 9:11, strano che la mamma la svegliasse così presto di domenica, decise quindi di fare finta di nulla, e rimettersi sotto le coperte al calduccio. Avrebbe detto che non l’aveva sentita, più tardi, ad una richiesta di spiegazioni. “IRIS!”, disse la mamma spalancando la porta, facendo spaventare Iris per quell’inconsueto comportamento. Era la prima volta che la mamma, di domenica, insisteva nel voler attirare la sua attenzione. “Che c’è?”, chiese scocciata la bambina alla madre, mentre si sollevava dalle coperte, con i ricci capelli completamente scompigliati, il segno del cuscino sul viso, e un’espressione accigliata. “Vieni a vedere, corri!”, disse la mamma, chiudendosi la porta alle spalle, lasciando Iris completamente perplessa. Si alzo, cercando a tentoni gli occhiali sul comodino, per poi infilare la vestaglia, nel tentativo di conservare il tepore del letto. “Chissà cosa è successo?”, chiese alla Pop! di Luna Lovegood che aveva sul mobiletto dove aveva lo specchio, davanti al quale cercava di sistemare la chioma con un elastico. Scese le scale con ancora il sonno addosso, dicendo qualche parolaccia tra sé e sé, come faceva per non farsi sentire dai genitori e dalla nonna. Sapeva che era una brutta abitudine, ma quando era arrabbiata, la faceva calmare. E essere svegliata presto la domenica era una cosa che proprio non sopportava. Raggiunse la sala, dove il padre leggeva il suo giornale sportivo della domenica, bevendo il suo cappuccino, e la televisione accesa sul telegiornale sportivo, dove un omino parlava alterato di una qualche partita della sera prima. “Vero, vero.”, mormorava il padre, quasi a voler dare ragione ad un vecchio amico, ma Iris sapeva che non ascoltava con attenzione, in quanto era più interessato a leggere ciò diceva il giornale. Alzò lo sguardo quel tanto che bastava per vedere arrivare la figlia: “Ciao bella!”, disse, con un sorriso sugli occhi. “Ciao Pa’.”, disse Iris, trattenendo uno sbadiglio. Sembrava una normale domenica, e proprio non riusciva a capire cosa ci facesse già in piedi. “Si può sapere perché mi avete svegliata così presto?”, si lamentò, quasi arrabbiata. “Guarda!”, si limitò a dire la mamma, indicando verso il basso. Ciò che vide la colpì e sveglio di colpo. Leccando il latte da una ciotola, lì, nel suo salotto, il gattino che qualche giorno sembrava la stesse seguendo ovunque, e che pensava di aver solo immaginato, e il quale aveva ritratto nel disegno che ora stava alla locanda della nonna. Non riusciva a credere ai propri occhi. Era lì, che con tutta la tranquillità del mondo, si gustava il suo pasto. “Era qui nel giardino, tutto bagnato per la pioggia, quando sono andato a comprare il giornale.”, disse il padre. “I suoi occhioni infreddoliti mi hanno intenerito, e, di nascosto dalla mamma, l’ho portato dento.”. “Non troppo di nascosto, direi.”, disse la mamma, trattenendo una risata. “Il poverino era davvero fradicio, povero. Sicuramente non è abituato a stare per strada, altrimenti avrebbe cercato un riparo dalla pioggia.”. La mamma lo accarezzò dietro le orecchie, con il gattino che fece le fusa per un attimo, interrompendosi dal mangiare il latte. “In realtà è in giro da queste parti da qualche giorno.”, disse Iris, sedendosi per terra per osservarlo meglio. Intorno agli occhi aveva dei segni che ricordavano degli occhiali, cosa che subito gli ricordò la Professoressa McGranitt di Harry Potter, con la differenza che lui era un maschietto, e lo si notava per il fatto che non fosse ancora stato castrato. “Deve essere nato randagio, credo.”. Era una cosa strana, visto che la maggior parte gatti che conosceva, erano stati castrati dai padroni, e il padre le aveva anche spiegato il perché una volta. “Si, in effetti questa cosa l’ho notata pure io.”, disse il padre, poggiando il suo giornale, e avvicinandosi a sua volta al gattino. “Non pare nemmeno troppo giovane, in realtà. Magari è fuggito a qualcuno che ha deciso di non castrarlo. Ma non mi pare di averlo mai visto da queste parti.”. Il padre ora lo esaminava con più attenzione, cosa che parve non piacere al gattino, che smise di mangiare per allontanarsi e rintanarsi sotto il mobiletto della TV. “Ha anche il suo bel caratterino, a quanto pare.”, concluse il padre. “Be’, se uno sconosciuto venisse a osservarmi così, mi allontanerei pure io.”, disse Iris, che seguiva con lo sguardo i movimenti del gattino, incuriosita da quella creaturina che aveva causato il suo brusco risveglio, ma che le comunicava un senso di tenerezza che aveva fatto sparire la rabbia. “Credo che sia il caso di fargli una foto, e mettere un annuncio per vedere se qualcuno l’ha perso.”, disse la mamma. “Per un paio di giorni possiamo pure tenerlo con noi, finché non scopriamo se qualcuno lo sta cercando, poi però dovremmo trovargli una sistemazione.”. La mamma non era d’accordo col tenere animali in casa, in quanto non amava fare le pulizie, e avere un animale in casa significava farne più del dovuto. “Tenetelo fermo mentre cerco di fargli una foto”, disse, prendendo il suo cellulare. Iris quindi lo prese in braccio, accarezzando il pelo morbido del gatto. “Fotografa solo il gatto, perché io sono impresentabile.”, disse. Il gattino parve capire l’intenzione della mamma, e iniziò ad agitarsi in braccio ad Iris, che faticava a tenerlo fermo. “Dai, è solo una foto, non vogliamo farti nulla.”, insisteva la bambina, che cercava di tenerlo il più fermo possibile. Il gattino riuscì a fuggire dalla presa, per andare ad accoccolarsi sul divano, proprio sopra il giornale del padre. “No, lì no”, dissero all’unisono i genitori, mentre Iris lo riprendeva in braccio, facendo in modo che la mamma potesse finalmente fotografarlo. “Lo porto su in camera con me.”, disse Iris, portandosi dietro il gattino. “Avvisatemi appena è pronto il pranzo. Io nel frattempo mi guardo qualche episodio di “Stranger Things” su Netflix, quindi NON DISTURBATEMI.”. Salirono su in camera sua. Fece scendere il gatto sul tappetino che riproduceva la “Mappa del Malandrino”. Lui iniziò a girare intorno alla mappa, incuriosito dai disegni, e con la zampetta toccando alcuni punti della stessa. Sembrava che quei disegni, in qualche modo, li capisse, e che gli piacessero. Iris nel frattempo armeggiava con il televisore, cercando l’applicazione di Netflix, per arrivare all’episodio che doveva vedere della serie TV che in quel periodo la stava appassionando, ma lo faceva distrattamente, perché con la coda dell’occhio seguiva i movimenti del gattino. Finalmente comunque trovò l’episodio che doveva vedere, ed iniziò a concentrarsi su questo. “Che bei colori vivi, questo quadro, mi a cara.”, disse all’improvviso una voce dietro Iris. Lei spaventata, si voltò. Non c’era più traccia del gattino, al suo posto un signore, vestito con una strana tunica, che guardava concentrato lo schermo della TV, incuriosito. “Si, noi a Florentia non abbiamo quadri così realistici.”, sentenziò.

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Capitolo 6
*** Prologo 6 ***


Prologo 6 “Elfo, non scherzare, le ultime notizie di Florentia risalgono all’assedio di Firenze, nel 1530, non puoi essere così vecchio.”, disse Damian, incredulo, guardando stupito l’elfo domestico. “Mago, tante cose sono ancora misteriose alla vostra gente, che pensa di aver svelato i segreti antichi della natura, con l’egoismo di elevarsi al di sopra delle altre creature. Se una cosa ai tuoi occhi appare impossibile, non significa che lo sia.”, l’elfo rispose quasi infastidito, visto che Damian aveva messo in dubbio una sua affermazione. “Hai avuto ordine di proteggere qualcosa?”, chiese Mason, quasi aspettandosi la risposta dall’Elfo, che aveva cominciato a guardarlo con interesse. “Non vorrai dirmi che gli credi?”, chiese Damian sorpreso all’amico, con lo stesso sguardo con cui prima guardava l’elfo. “Vedi, esiste una teoria sugli elfi, che non è mai stata provata, ma che secondo Newt aveva un fondo di verità.”, Mason aveva letto di questa cosa in un libro della biblioteca di Hogwarts, nel quale aveva anche trovato un appunto del famoso Scamander, col quale aveva in seguito intrapreso una fitta corrispondenza, curioso di conoscere qualcosa di più sulle creature magiche. “Se ad un Elfo Domestico dai un compito, egli sarà costretto a portarlo a termine, per la sua natura. Questo significa che finché non lo ha portato a termine, secondo alcuni, queste creature non possano morire. Quello che mi lascia perplesso è che tu, elfo, possiedi degli abiti, quindi dovresti essere libero da ogni legame.”, disse Mason, esponendo la sua teoria. “La fedeltà ha varie forme, mago. E il mio padrone è la conoscenza che è conservata tra queste mura. Il mio compito è fare in modo che non cada nelle mani sbagliate.”, l’elfo ora guardava con sospetto Mason, quasi dimenticando la presenza di Damian. È impossibile, dai. Si tratta di magia potentissima, e anche, mi sembra, pericolosa.”. Damian non sorrideva più, aveva capito che erano capitati in mezzo a qualcosa di importante, forse più di quanto si aspettassero di trovare in quel luogo. “Interessante.”, disse Mason, guardandosi attorno. “Quindi questi libri arrivano da Florentia? Siamo di fronte a sapere magico molto antico, quindi?”. Mason non guardava più con desiderio, i libri, Lo sguardo era cambiato, e si poteva notare una sorta di terrore. Mason non avrebbe capito, ma Damian sapeva che in quelle pagine era probabile ci fossero informazioni che non sarebbero mai dovute cadere in mani sbagliate. “Si, mago, questa è una parte della biblioteca della Scuola di Florentia. Quella che siamo riusciti a mettere in salvo, dopo l’attacco. Qualcosa magari è sopravvissuta, ma questo è quello che ho il compito di proteggere.”, gli occhi dell’elfo apparivano seri. I ricordi che stava riportando alla mente dovevano essere dolorosi. “Quale attacco?”, chiese senza tatto Damian, incuriosito dalle parole dell’elfo. Mason lo fulminò con lo sguardo. “Che c’è?”, chiese. “Mago, sono cose che non capiresti.”, tagliò corto l’elfo. “Non pensiate che io mi sia completamente isolato dal mondo. Per sapere bisogna tenersi informati. Tutti i giorni esco di qui per trovare una copia di un qualsiasi quotidiano locale, per leggervi una traccia del mondo magico. Qui i babbani, così li chiamate, sono completamente ignari di ciò che si cela ai loro occhi. Alcuni di loro sono ancora portatori di sangue magico, e fanno qualche danno senza riuscire a controllare il loro potere. Pare esista una qualche scuola in Francia, ma in pochi, credo, qui ne siano a conoscenza. Forse quelli con un potere fuori dal comune, ma non di più.”. L’elfo pareva triste, pensando a queste cose. “Tu sapresti ritrovare Florentia?”, chiese Mason, prendendo la palla al balzo. “Noi vorremmo riaprirla ai maghi e streghe italiani.”. Mason, pur soppesando le parole, decise per un approccio drastico. “Riaprirla? Voi non sapete.”, disse arrabbiato l’elfo. “E’ proprio per ciò che si cela in quelle mura che è stata attaccata. Fa gola a molti, ancora oggi. Abbiamo provato a proteggerla, e a proteggere i ragazzi, ma non ci siamo riusciti. Fu una strage, intere generazioni di giovani maghi cedettero tra quelle mura. No, deve rimanere celata, per il bene di tutti.”, l’elfo ora tremava. Damian guardava Mason, con sguardo preoccupato. Mason si chinò, così da poter guardare negli occhi l’elfo. “Vuoi dirci cosa è successo?”, con una voce calma e calda, in qualche modo rassicurante. L’elfo guardò direttamente negli occhi il suo interlocutore, come nel voler cercare qualcosa che potesse portarlo a fidarsi di lui. “I tuoi occhi, mago, hanno visto il Male. Ne hai paura, però.”, sentenziò l’elfo, andando a sedersi su una bassa poltrona, prendendo da un mobiletto li affianco una pipa intagliata, che pareva essere molto antica e di pregio. “Accomodatevi.”, disse, facendo schioccare le dita, facendo apparire così due sedie. I due amici si sedettero. Nelle loro mani apparvero due calici, pieni di quello che pareva vino. “Tranquilli, non è vecchio come me. Bevete.”, disse affabile l’elfo. Aveva deciso di fidarsi di loro. “Dovete sapere che in antichità, l’Italia era il paese con il più alto tasso di Magia d’Europa. Le grandi menti pensarono fin dai tempi antichi che bisognava educare i giovani maghi al loro potere. Vi è stata anche un’epoca in cui maghi e babbani convivevano in pace. Sorsero quindi varie scuole in cui insegnare la Magia e i misteri del mondo. In queste, sono transitate anche personalità note ai babbani. Per secoli vissero in pace tra loro, senza invidie, ma anzi, facendo in modo di scambiarsi il sapere. Questo fino a quando non nacque la rivalità e l’invidia, che come fuoco brucio molti rapporti, distruggendoli.”, l’elfo tirò con la pipa, assaporando il sapore del tabacco. “Alcune scuole volevano dimostrare di essere più forti di altre, e di poter, in qualche modo, chiedere di essere poste a controllo di altre, considerate più deboli. Divenne quindi cosa comune che queste si armassero di armi o strumenti magici sempre più potenti, per potersi difendere dagli attacchi di altre scuole. Tra queste, una scuola romana, iniziò a parlare di purezza di sangue, accettando solo figli di altri maghi, e incentivando l’incesto, considerato come unica via per conservare il potere. Questa scuola divenne più violenta di altre, e le sue aggressioni divennero sempre più frequenti. Molte scuole sparirono, distrutte da questa follia, e con esse il sapere che contenevano. Alcune scuole si allearono, per fermare questo massacro di innocenti. Tra queste Florentia, che diventò anche la sede dell’Alleanza Magica Italiana, dove si girò di non cadere più negli errori del passato. La pace durò comunque poco, perché alcuni folli di questa scuola romana rimasero in vita, dando i natali ad una seconda alleanza, la Romana Unio Magicis, che si prefissava di preservare il sapere magico solo in una ristretta cerchia di nati maghi, conservando questa caratteristica attraverso l’incesto.”. Si interruppe per vedere se i maghi lo stavano ancora ascoltando. Tiro nuovamente con la pipa, sbuffando alcuni cerchi con la bocca, per poi riprendere. “Ebbene, la guerra tra queste due compagini riscoppio, più violenta di prima, con l’Alleanza che cercava un dialogo, e la controparte che non si faceva scrupoli ad uccidere chi si ponesse nel suo cammino, maghi e babbani. “La battaglia finale avvenne proprio a Florentia, con centinaia di cadaveri dentro e fuori le mura. A concluderla fu proprio ciò che è nascosto nel castello. I pochi superstiti di entrambe le parti decisero di non tramandare più un sapere tanto pericoloso, nascondendo il possibile, in maniera che in epoca più illuminata, si potesse riprovare ad insegnare ai giovani le arti magiche. Da allora, la magia, in Italia, cadde nell’oblio della storia.”. Smise di raccontare. La stanza si ritrovò avvolta nel silenzio. “Capisco.”, disse Mason. Guardava l’elfo, col bicchiere in mano. Nei suoi occhi si leggevano i pensieri che si rincorrevano, uno dietro l’altro. Albus aveva dato loro forse un compito più grande di quanto avesse mai immaginato. Chissà se il grande Silente fosse al corrente di tutta questa storia, all’epoca della loro chiacchierata in merito. “Tu saresti in grado di ritrovarla?”, chiese poi all’elfo, che iniziò a guardarlo indagatore. “Mago, nei tuoi occhi leggo tristezza. Sai perfettamente cosa la Magia, se in mani sbagliate, può fare. Perché credi di essere in grado di fare ciò che uomini più grandi di te hanno fallito?”, l’elfo pareva rispettare in qualche modo Mason, e Damian pareva capire che dietro quella creaturina si nascondesse non solo sapere, ma una Magia antica, tanto da decidere di non intromettersi in quel dialogo, capendo di non essere all’altezza di ciò che in quella stanza accadendo. “Ho fatto parte, a mio modo, di quel Male che tu temi, elfo. Non voglio che quella brutalità alla quale entrambi abbiamo, a nostro modo, assistito, possa essere vista da altri occhi. Magici o meno che siano.”. Mason pareva serio, avvolto da un’aura di sicurezza che gli era nuova. Damian osservava l’amico, riconoscendo nelle sue rughe quelle di Albus, mentre prendeva un altro sorso di vino. L’aria era ferma, la tensione della storia tagliava la pelle, penetrandola e incidendovi l’importanza di quegli istanti. “No, non so dove si trova. La posizione è stata celata magicamente.”, disse l’elfo. “Ma non è perduta. Attende che qualcuno la trovi. E forse voi potreste essere le persone giuste.”

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Capitolo 7
*** Prologo 7 ***


Prologo 7 Il bizzarro uomo con la tunica fissava lo schermo attraverso i suoi occhiali, con un sorriso in faccia, divertito da ciò che vedeva. Iris era al contempo era terrorizzata, impossibilitata a fare alcunché. Non notò nemmeno che il gattino era sparito dalla alcunché stanza. “Mmmmh, forse questa è la famosa tecnologia di cui parlano i ragazzi a scuola. Certo che l’effetto è veramente realistico. I babbani non smetteranno mai di sorprendermi.”, disse l’uomo, aggiustandosi gli occhiali e pettinandosi la barba. “Ba-ba-babbani?”. Quella parola risuonò nella mente di Iris, richiamando qualcosa di più, in qualche modo facendola sentire al sicuro. “Mi stai pre-pre-prendendo in giro?”, chiese, tremante all’uomo. “Come scusa? Oh, sei spaventata?”, chiese l’uomo, che sembrava essersi ricordato di lei in quel momento. “Non devi, cara. Non sono pericoloso. Cioè, posso sembrarlo in effetti.”, disse, ridendo. Solo in quel momento Iris notò lo strano accento di quell’uomo. “MA-MA-MAMMA!!!!”, urlò Iris. “Ehm, si, in effetti dovrei parlare anche coi tuoi genitori.”, disse, arrossendo, l’uomo. Il suo guardo ora sembrava dispiaciuto. “Missa che ho fatto un po’ di macello. Succede sempre quando il professor Hughes mi dà una missione.”. “Che succed.... E TU CHI SEI???”, gli occhi della mamma uscirono fuori dalle orbite, spaventata quanto la figlia nel vedere quell’uomo. “Oh, sì, dovrei presentarmi. Prima di tutto, signora, la ringrazio per il latte caldo, stavo davvero morendo di fame.”, disse l’uomo. “La-latte?”, chiese Iris, che iniziava ad avere un sospetto. Troppe cose coincidevano. “Se-se-sei un Animagus?”. Si sorprese lei stessa a fare quella folle domanda. “In effetti sì. È una delle poche abilità magiche che riesco a far funzionare.” “Iris, vieni qui. Chiamo la polizia.”, disse la mamma, tassativa. “N-n-no signora, a-a-a-a-a-a-aspett-aspetti.”, inizio a balbettare l’uomo. “Ho-ho-ho-ho-ho-ho una lettera per voi!”. Mise davvero tanto impegno nel dire quelle poche parole, spaventato da ciò che la madre di Iris avesse detto. Si tolse dalla tasca una busta, tutta spiegazzata, con sopra qualche pelo di gatto. A Iris tutto ciò pareva stranamente familiare, anche se folle. Le ricordava il mondo di Harry Potter. Dentro di sé la paura stava lasciando il posto ad una folle speranza. Sapeva, razionalmente, che era impossibile. Ma una piccola speranza nasceva in lei. “LA LETTERA PER HOGWARTS!”, si ritrovò ad esclamare, arrossendo subito dopo. “Non dire fesserie, e vieni qui!”, disse la madre, guardando con sguardo preoccupato la lettera che l’uomo tendeva, nella speranza che qualcuno la prendesse. “No, non Hogwarts. Mi pare sia la Scuola inglese, giusto?”, disse l’uomo. “Forse è dove ha studiato proprio il professor Hughes, ora che ci penso.”. Pareva soppesare quell’informazione nella sua testa. Ad Iris iniziava ad apparire innocuo, quasi stupidotto. “Io vengo da Florentia, Scuola di Magia e Stregoneria!”, disse, infine, con una nota di orgoglio. “Come?”, disse Iris, che non riusciva a capire. Si ritrovò a strappare di mano la lettera all’uomo, con la mamma che cacciava un urlo incomprensibile nel mentre che lei l’apriva, buttandosi nella lettura. Carissima signorina Mignona, È con profondo piacere che le annunciamo la sua ammissione alla Scuola di Magia e Stregoneria di Florentia, dal prossimo anno scolastico. Sappiamo perfettamente che questa informazione la coglierà di sorpresa, e che penserà si tratti di uno scherzo, ed è per questo che abbiamo mandato il Signor Bogumil Fabbrich per consegnarle la presente missiva, che sarà lieto di rispondere a qualsiasi domanda o dubbio che lei abbia al momento. L’attendiamo a Scuola per l’inizio dell’anno scolastico nel giorno della festa di Iside, il prossimo 3 Settembre. In allegato trova l’elenco del materiale che sarà necessario per i suoi studi, e che potrà trovare al mercatino che si terrà per la Sabba del Raccolto tra il 31 Luglio e il 1° agosto presso il Borgo di Bevagna. In caso di problemi, troverà Dei nostri addetti ad aiutarla. I nostri più cordiali saluti, Professoressa Astée Roux, insegnante di Incantesimi e capocasa Primulablu. Iris rilesse più volte la lettera, isolata nel suo mondo, mentre anche il papà era arrivato in camera, e discuteva con la madre e col giovane. Non riusciva a capire se ciò che stava leggendo fosse uno scherzo oppure no. “Sentite, capisco che ho combinato un macello, ma se mi date la possibilità vi posso dimostrare che è tutto vero.”, stava dicendo Bogumil, mentre i genitori della bambina gli urlavano contro. Di colpo si trasformò di fronte a loro in un gattino, per poi tornare ad assumere le sembianze del giovane. Il silenzio calò all’improvviso sulla stanza. “Si può sapere cosa è tutto questo baccano?”, la voce della nonna proveniva dal corridoio. D’improvviso entrò nella camera della ragazza. “”Oh, ciao Bogumil.”, disse, guardando la strana situazione nella stanza. “Tu lo conosci, mamma?”, disse la madre di Iris, che ormai era pallida, scompigliata e confusa come mai lo fosse stato in vita sua. “Ci hai anche giocato da bambina, era solito venire alla locanda. Mi sembra strano che tu non lo abbia riconosciuto.”, disse la nonna. “Ed ero sicura che prima o poi qualcosa del genere sarebbe accaduta.” “Cosa intendi nonna? Vuoi dirci che è tutto vero?”, il cuore di Iris batteva all’impazzata. “Tuo nonno era un mago, Iris.”, disse la nonna. “E, a quanto pare, tu hai ereditato questo.” La madre di Iris si accasciò contro il muro. Il padre iniziò a muovere la bocca senza emettere alcun suono. “Non è possibile.”, disse la madre. “Oh, eccome se lo è. Credete veramente che la storia di Harry Potter sia falsa? È stata una decisione del mondo magico di provare a renderla nota ai babbani come noi, in maniera da preparare i giovani all’idea che la magia esista.”. Nel dire quelle parole, la nonna si sedette sul letto, prendendo in braccio il pupazzo della civetta Edvige. “Si, Iris, sei una piccola maga.”. Il tutto pareva surreale alla bambina, che vedeva la stanza girare. In così poco tempo aveva appreso una marea di informazioni che fino alla notte prima sarebbero apparse impossibili. Era tutto vero. Il mondo in cui aveva sognato di essere, era lì, e la stava per accogliere. “Cara Auriga, penso di aver fatto un po’ di macello. Come al solito.”, disse Bogumil, guardandosi le scarpe imbarazzato. “Non chiamerete la Palizia, vero?”. “No, non la chiameranno, tranquillo.”, disse la nonna. “Anzi, credo che sia il caso di prenderci una bella cioccolata calda per discutere la cosa.”. La nonna sembrava stranamente a suo agio, rispetto agli altri. La mamma e il papà di Iris stavano leggendo la lettera, rigirandola tra le mani. “Mamma, come hai potuto tenermi nascosta una cosa simile?”, lo sguardo della madre di Iris, era arrabbiato e deluso allo stesso tempo. “Suvvia, cara, l’ho fatto per evitarti una delusione. Tuo padre ha sperato in un qualche segno magico in te, che purtroppo non si è mai manifestato. Ci è voluto tanto tempo per accettare la cosa, ma questo non ha mai minato l’amore per te. È per questo che, lui in primis, ti ha sempre voluto tener nascosto tutto. Tuttavia, Iris, sin da piccola, ai suoi occhi, pareva avere qualche segno di Magia. Ed è questo che, nella malattia, gli aveva dato tanta gioia. Tuttavia mi ha chiesto di aspettare che qualcuno di loro venisse a cercarla a tempo debito. Ma voleva che assolutamente conoscesse la storia di Potter.”, disse la nonna. “Dovrò convincermi a leggere qualcosa pure io.”, disse distrattamente Bogumil, che nel frattempo era tornato a guardare la televisione. “Si, dovresti, perché continui ad essere l’unico mago a non conoscerla”, disse la nonna, rimproverandolo. “Oh, io non sono un mago, ho imparato solo a diventare un gatto.”, disse l’uomo. “E a Florentia faccio il manutentore, non ho tanto tempo per leggere.”, concluse. “Dove si trova?”, chiese Iris, che voleva sapere il più possibile di questo nuovo improbabile futuro che l’attendeva. “In Toscana”, disse l’uomo. “Ma è raggiungibile solo attraverso un treno che parte da Siena, e che attraversa la campagna.”. “Ed è grande? Ci sono tanti maghi?”, chiese la ragazza, che era sempre più entusiasta. “Oh, non troppi, no. I professori si impegnano nel riuscire a trovare tutti i giovani maghi e streghe italiani, ma non sono ancora riusciti a perfezionare un sistema per riuscire a localizzarli tutti. È una Scuola pressoché giovane. E tante cose devono migliorare. Ciò che è però di grande livello è la didattica. Ogni professore è veramente tanto preparato nella propria materia. Ma vedrai che la migliorerà di anno in anno. Il professor Hughes, il preside, è una persona magnifica.”, disse. “Beh, vogliamo parlarne davanti ad una cioccolata, invece di stare tutti qui?”, disse la nonna.

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Capitolo 8
*** Prologo 8 ***


Prologo 8 I due maghi lasciarono la biblioteca, dopo essersi congedati dall’elfo domestico che custodiva parte del sapere di Florentia. Ciò che avevano appreso non era proprio positivo, a tratti anche terribile. Ma nello sguardo di Mason si poteva leggere una fiamma nuova. Damian decise di non parlare, per lasciare che il flusso di pensieri che sicuramente correva inarrestabile nella mente di Mason fosse libero di elaborare quelle informazioni. In tutta risposta si accese una sigaretta. Aveva sempre seguito l’amico nelle sue avventure, senza mai dubitare delle capacità di questo, anzi, aveva deciso di fidarsi ciecamente di lui, anche in questa nuova folle avventura. Avevano fatto troppi errori, ed era arrivato il momento di porvi rimedio. Ma un vecchio sentimento, che più volte aveva fatto compagnia a Damian, si stava facendo largo: la Paura. Era per paura di deludere i propri genitori che era diventato mangiamorte, e quella scelta lo aveva portato ad azioni terribili. Ma sapeva di essere diverso, non ne godeva come gli altri. E questo lo aveva legato ancora di più all’amico, quando si confessarono questo malessere. Cosa però di cosí terribile poteva essere nascosto dentro quella scuola, tanto da aver causato uno sterminio, in epoche remote? Loro il mostro lo avevano visto dritto negli occhi, ci avevano banchettato insieme, saziando fame e carne, dando piacere e dolore ai sensi nella stessa quantità. “Ho paura.”, disse, senza girarci troppo attorno. “Si.”, si limitò a dire Mason. “Hai una sigaretta?”, gli chiese. Damian gliela porse, scoprendo nel gesto un lieve tremore alla mano, che istintivamente gli fece strofinare l’avambraccio. “Niente può essere invero peggio di lui.”, disse Mason con un sorriso inespressivo, che lasciava trapelare il dubbio che si insinuava in quelle stesse parole. “Perché lì anche noi eravamo estensione del suo male.”, concluse, accendendosi la sigaretta. “Si.”, si limitò a dire Damian. Camminarono, nelle strade vecchie di Siena. La Toscana era un mondo a parte, completamente diverso a ciò cui erano abituati. Il calore veniva dalle persone da cui si trovavano circondati. La roccia stessa era portatrice di un sapere antico e profondo. Era logico che in questi luoghi la Magia avesse raccontato storie di vita. Nell’aria ora gli pareva di captare qualcosa di diverso. “Metteremo a rischio queste persone.”, disse Damian, che stava iniziando ad interpretare le sue paure. “Innocenti.”. “Non se scopriamo cosa si nasconde dentro Florentia, prima di riaprirla.”. Mason ora pareva più sicuro di sé. “Anche perché se è celata per questo, per quello che è nascosto al suo interno, credo che la scelta migliore sia capire cosa conserva tra le sue mura.”. Assaporava la sua sigaretta, cercando di guardare negli occhi l’amico per rassicurarlo. Poteva chiedergli di seguirlo anche in questa avventura? D’altronde lo aveva seguito fidandosi ciecamente per tutto questo tempo. Aveva dato per scontato che anche questa l’avrebbero vissuta insieme. Si sentì egoista. Damian nello Yorkshire aveva una famiglia. Non come lui, che nell’amico, già da Hogwarts, aveva trovato un fratello. Non poteva perderlo, ma non voleva nemmeno privarlo della libertà di scegliere. “Non sei costretto a seguirmi in questa, se ti sembra una follia.”, disse, nascondendo il dolore di quelle parole. “Ci siamo dentro insieme, sempre.”, disse Damian senza pensarci. Se lo erano detto tante di quelle volte, che ormai quel pensiero era automatico, ma sempre più vero. Dove sarebbe andato uno, sarebbe andato l’altro. Era sempre stato cosí. E sempre lo sarebbe stato. Erano usciti dalle tenebre assieme, illuminandosi a vicenda la via, e avevano deciso di percorrerla insieme. “Non torno nella mia casa nello Yorkshire, lo sai perfettamente. La vita in pantofole non mi piace. E poi la donna italiana è migliore.”. Aveva assorbito subito la risposta dell’amico, che gli riempì il cuore. “Si, scusa.”, disse Mason. “Dovevamo farci una birra, no?”, disse Damian, indicando quella che aveva le sembianze di essere una taverna. Si avviarono insieme a sedersi nel tavolo più vicino. ‘’Qual è il prossimo passo quindi?”, domandò Damian, mentre riempiva i bicchieri dei due, osservando con desiderio il tagliere pieno di salumi locali. “Decidere se credere all’elfo, in effetti.”, rispose Mason. “Non è detto che la solitudine non gli abbia causato un qualche danno, dopotutto”. “Danno? Quel piccoletto è più cosciente di noi. Sapeva esattamente cosa stava dicendo. No, l’elfo è sincero.”, disse Damian, mentre girava un’altra sigaretta col tabacco, tenendo fuori la lingua come tutte le volte in cui era fortemente concentrato. “Se uno è pazzo, però le pazzie le pensa e dice con sincerità.”, fece notare Mason. “E gli anni in cui è dietro quel muro senza avere contatti con nessuno forse sono davvero tanti. E probabilmente ne passerà altrettanti, se nessuno si prende l’impegno di proteggere per lui quei libri.”. “Strane strane creature gli elfi.”, disse Damian. °Ma il suo tabacco doveva essere davvero buono, per quanto stagionato.”, disse distrattamente, addentando una fetta di lardo. “Più che altro è la pipa che ha qualcosa di famigliare. Non so, gli intagli, mi pare di averlo già visti da qualche parte. Pareva davvero antica.”. Mason ci aveva fatto caso quasi subito. Trovava famigliari i disegni finemente incisi. Li aveva sicuramente visti da qualche altra parte. Se non quelli, qualcosa di simile. “Se pure quella proviene da Florentia, magari capire le incisioni ci potrebbe dare una strada.”. “Tu pensi troppo mio caro. Può anche essere che la pipa fosse soltanto una pipa. Sarebbe più interessante il tabacco.”. Damian ormai era nella fase di relax da pasto. Mason lo osservava. A volte invidiava quella innata spensieratezza, che non riusciva ad avere. Lui i suoi momenti di relax li passava sui libri, per apprendere, per sapere. Damian aveva iniziato a giocare ad un gioco babbano nei momenti liberi, con gli altri che lavoravano alla vigna, andando dietro ad una palla e colpendola col piede. Il calcio. Sorrise. Non lo avrebbe mai capito il calcio, avrebbe sempre preferito il Quidditch. “Se non penso io per entrambi, sarebbe un bel problema.”, provocò l’amico, con una frase che sapeva avrebbe scatenato l’ira di Damian. “Ah no, questa volta non ci casco. Non mi rovinerai questa magnifica birra.”, rispose Damian, riempiendosi la bocca con del rigatino. “Comunque l’elfo è un inizio inaspettato. I sospetti di Albus erano fondati. Manca qualche tassello nella Storia della Magia che conosciamo”, rifletté Mason. “Ed è questo a turbarti. Dentro i libri non c’è tutto, vedi?”, lo provocò di rimando Damian. “Oppure non abbiamo trovato il libro giusto.”, rispose Mason, di rimando, mandando giù un sorso di birra. “Vuoi andare in tutte le biblioteche della Toscana?”, chiese Damian, con un tono lamentoso nella voce. “No no, probabilmente basterà andare in una sola di queste, abbastanza grande, e per certi versi misteriosa. Al Vaticano.”, penso Mason, che stava iniziando ad avere una teoria. “A Roma?”, chiese Damian, che non si aspettava di dover intraprendere un viaggio fino alla capitale italiana, cosí di punto in bianco. “Se è vero che chi voleva conquistare in un qualche modo Florentia proviene da lì, è probabile esistano carte di missive o di piani di attacco, che con molta probabilità sono conservati nelle biblioteche vaticane. Tentare non nuoce.”, disse Mason, prima di finire di bere la birra. “Non siamo mai stati a Roma, questo vuol dire che…”, inizio a dire Damian. “…viaggeremo on maniera tradizionale, si.”, concluse Mason. “In treno? Amico mio, io stasera avrei un appuntamento, non avrai intenzione seriamente di prendere ora un treno per andare fino a Roma?”. Lo sguardo di Damian era un misto tra l’esasperato e lo speranzoso. “Appuntamento”, chiese Mason, sorridendo. Sapeva che qualcuno, o meglio, qualcuna, era entrata nelle grazie dell’amico. “Oh, insomma, si! Damian ha un appuntamento. Ti pare una cosa cosí strana?”, rispose Damian offeso. “No no, mio caro, non mi pare una cosa strana. E comunque un viaggio del genere va organizzato. Probabilmente dovremmo passare un intero finesettimana a Roma. Il tuo appuntamento può quindi considerarsi salvo.”, disse Mason sorridendo. °In camere separate. °, si affrettò a dire Damian. “Non come l’ultima volta, che abbiamo dovuto dividere una camera matrimoniale”. “Ovviamente.”, disse sorridendo Mason. A volte si sorprendeva di come erano riusciti a tornare a quella sorta di normalità, dopo tutto quello che avevano combinato nella loro vita. Mai avrebbe pensato che loro due sarebbero stati tranquillamente ad un tavolo di una taverna a mangiare e bere, come normali amici. E questo lo dovevano a Silente. Sorrise guardando il cielo. Si chiedeva spesso dove potesse essere finito quel vecchio misterioso ma al contempo talmente buono da fidarsi di due reietti come loro due. E adesso stavano per, in suo nome, sconvolgere nuovamente quella loro vita e normalità. Chissà in cosa si sarebbero imbattuti di lì a poco. La vita era davvero un viaggio la cui destinazione è misteriosa. Sicuramente, ovunque fosse, Albus se la stava ridendo di quella follia in cui li aveva spinti. Mason si alzò, prese una cartina, del tabacco, si giro una sigaretta. Nell’accenderla si incamminò. “Ehi, dove pensi di andare? C’è da pagare. Non fare il finto tonto. Avevi detto che offrivi tu. Torna immediatamente indietro.”

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Capitolo 9
*** Prologo 9 ***


Prologo 9 Damian era uscito per il suo appuntamento, quindi in casa non c’era nessuno. Mason ne approfittò per lasciarsi andare ai ricordi. Con un gesto della bacchetta accese il fuoco del camino nella sala, buttandoci dentro un po’ di erba secca affinché profumasse la stanza. Da quando era arrivato in Italia si era dovuto abituare alla solitudine, in quanto l’amico da subito si impegno a trovare impegni locali ai quali dedicarsi. Lui non era mai stato un animale sociale, aveva sempre preferito un buon libro al caos. E, da quando la sua vita era stata travolta dalle vicissitudini delle scelte sbagliate, aveva imparato che la fiducia negli altri era lontana dalla sua natura. Aveva deciso di fidarsi solo di chi, dopo molto tempo, non gli avrebbe stravolto la vita, portandolo nuovamente nel baratro. L’ultima volta c’era stato Albus a tendergli la mano, a strapparlo dalle tenebre nelle quali era finito. Ora si trovava lui a dover camminare nei biomi per provare a risolvere un problema. Si verso un bicchiere di scotch liscio, e tir fuori la pipa del nonno, che gli rimase in eredità. Quella sera però niente tabacco. Aveva una piantagione segreta, nascosta nella vigna, dove coltivava della cannabis. Damian non ne sapeva nulla, anche perché probabilmente l’avrebbe fatta sparire in pochissimo tempo. Era uno dei pochi segreti che non condivideva con l’amico, e forse il meno grave. Se solo avesse saputo di ciò che aveva lasciato fare a Carro, quella notte, per paura, probabilmente Damian non lo avrebbe più voluto vedere. Premette col dito dentro la pipa, per comprimere l’erba essiccata, bevendo lo scotch. Ormai il ricordo era riaffiorato violentemente, ed era impossibile fermarlo. Tanto valeva lasciarlo sfogare. Era una notte in cui era stato incaricato di fare ronda alla ricerca di mezzosangue collegati in qualche modo all’Ordine. Carrow era euforico, si era sempre divertito a fare quel genere di cose, che gli permettevano di sfogare i suoi piú bassi istinti. Mason, d’altro canto, era convinto che dovessero entrare in azione solo se veramente necessario, che mantenere un basso profilo sarebbe stato piú utile, in maniera da mantenere lontani gli uomini del Ministero che non aspettavano altro che un loro passo falso per incastrarli, e portarli ad Azkaban. Stavano camminando per le viuzze di Whitstable, in quanto girava voce che li si era stabilito un informatore dell’Ordine, con la famiglia, che aveva fatto dei nomi su chi potesse essere Mangiamorte al Ministero. L’idea era di spaventarlo e usarlo, affinché facesse qualche nome di innocenti, che però potevano diventare fastidiosi per la causa. Carrow era sicuro di avere il modo migliore per persuaderlo. “Dovrebbe essere questa.”, disse, guardando la porta della casa. Sollevo la bacchetta, per verificare se lì intorno ci fossero tracce di Magia. “Ah-a!”, esclamò, dopo che la sua ricerca ottenne il risultato. ‘”Qui ci stanno maghi.” “Ok, cerchiamo di entrare gentilmente.”, disse Mason avviandosi verso il portone, bacchetta in mano. “Quanto sei noioso.”, disse Carrow. “BOMBARDA!”, urlò. La porta venne completamente sbalzata fuori dai cardini. Subito dopo si accese una luce al piano superiore. “Che diavolo pensi di fare?”, chiese Mason, strattonando per un braccio il compagno. “Oh, vedrai.”, rispose l’altro con un sorriso. Si avviò di corsa dentro la casa. Entrarono nel pianerottolo, pieno di polvere, mentre un uomo sulla cinquantina scendeva le scale, seguito da una donna e una ragazzina. “Expelliarmus.”, fece subito Carrow per disarmare l’uomo. “Voglia perdonare questa nostra invadenza, ma avevamo una certa premura d’incontrarla, signor Griffiths.”, lo canzonò il Mangiamorte, mentre prendeva al volo la bacchetta magica, per poi spezzarla. “Chi siete? Cosa volete?”, chiese l’uomo, cercando di fare scudo verso la famiglia, mentre tremava come una foglia. “Niente di ché.”, intervenne Mason nel tentativo di impedire che la situazione precipitasse ancora piú del dovuto. “Solo chiederle di continuare a fare ciò che sta facendo. Ovviamente alle nostre condizioni.” “Non capisco cosa voglia dire.”, disse l’uomo con le lacrime agli occhi. “Andate dentro.”, disse alla moglie e alla figlia. “Non cosí in fretta.”, disse Carrow, alzando la bacchetta. Subito le due furono legate da stette corde. “È maleducato lasciare la sala quando si hanno degli ospiti.”. Mason guardò torvo il compagno per un attimo, per poi tornare a rivolgersi a Griffiths. “Sappiamo che ha fatto dei nomi di persone, accusandole di essere Mangiamorte, e creando problemi difficili da risolvere. Beh, vorremmo che tu continuassi a farlo, con dei nomi che ti forniremo noi.”. Mason cominciava ad essere a disagio. Sapeva che Carrow stava tramando qualcosa. “Non vi aiuterei mai.”, disse Griffiths in un moto di orgoglio. “Oh, sei coraggioso. Ma ti ricordo che non c’è solo la tua incolumità in gioco. CRUCIO.”, disse, puntando la bacchetta verso la moglie. Le due iniziarono ad urlare, una per la maledizione, l’altra per la corda che stringeva e sfregava sulla pelle. “BASTA!”, urlò l’uomo, cercando di spingerle fuori dal tiro dell’incantesimo. “Siamo solo all’inizio, se non deciderai di aiutarci.”. Carrow era preso da un folle desiderio di fare del male, Mason lo sapeva. “Possiamo smettere anche ora se decidi di averci come amici, piuttosto che come nemici.”, disse Mason. Voleva a tutti i costi concludere quella storia, il prima possibile. “Loro non mi crederanno mai. Hanno già degli informatori che riescono a dare loro notizie piú sicure delle mie. Vi prego, lasciateci in pace.”, tentò l’uomo disperato. “Cerca di essere convincente, allora.”, disse Carrow, che leccava la punta della bacchetta. “Esiste un modo per far fare alle persone ciò che vogliamo, se vuoi possiamo insegnartelo. IMPERIO.”. La moglie inizio a camminare verso i due Mangiamorte, trascinandosi dietro la giovane figlia, che piangeva e urlava. “Fermati.”, tentò Mason, abbassando la bacchetta dell’altro. “Non c’è bisogno di esagerare. Sono sicuro che Griffiths ci darà il suo aiuto.” Carrow sì libero dalla presa, con sguardo disgustato. La sollevò subito dopo, puntandola contro la ragazza. Un lampo di luce verde parti, in un istante, colpendola. “Riprovaci e il prossimo sarai tu.”, disse il Mangiamorte guardando negli occhi Mason. “Basta, ora.”. In pochi istanti uccise gli altri due. Quella note Mason capì che delle vite innocenti erano in pericolo, e capì che era il caso di prenderne le distanze. Ma piú di tutto, non aveva fatto nulla per evitarlo. Tiro con la pipa, trattenendo una lacrima, aspettando che i cannabinoidi facessero effetto, alleviando quel dolore. Osservò le sue mani. Non erano meno sporche di sangue di altri. Eppure era lì, pronto a costruirsi ancora una volta un futuro, laddove era riuscito ad essere benvoluto. Probabilmente nessuno era in grado di vedere il mostro che era dentro di lui. Si punto una bacchetta alla tempia, pronto ad alleggerirsi di quel peso, una volta per tutte. Poi ci ripensò. Quel ricordo, quell’avvenimento, era uno dei motivi per i quali era lì. Si chiese se Damian avesse mai vissuto, all’epoca, situazioni simili, e come si fosse comportato. Sapeva che era in grado di fare cose terribili, se la situazione lo richiedeva, ma era sicuro che non avrebbe mai ucciso a sangue freddo delle persone con tanta leggerezza. Si ricordo poi come proseguì quella serata, in un pub, dove Carrow diede spettacolo ubriacandosi, prima di tornare a casa. Casa. No, base. Forse era questo il termine piú esatto. Il luogo dove rimanevano in attesa di compiacere la volontà del Signore Oscuro, del quale erano diventati fide marionette. Fini di fumare la pipa, per poi versarsi un altro bicchiere di scotch. La solitudine era dolorosa, quella notte. Si recò alla libreria, dove prese un volume a caso tra quelli che aveva iniziato a collezionare. Da esso cadde una foto: lui e Damian da giovani, ai tempi della scuola. Ridevano nel cortile, sotto il sole primaverile. Non ricordava in che occasione e da chi fu scattata quella foto. Sorrise. Era forse il caso di andare a letto, i sensi erano alterati, piú del dovuto. Decise di darsi il colpo di grazia con un ultimo goccio di scotch. “Al diavolo.”, esclamo. Prese tutta la bottiglia e se a portò con sé. Salì a tentoni le scale, al buio. Barcollava, mentre trangugiava un altro sorso del liquore. “Ehi, che combini?”, disse una voce alle sue spalle. “Oh, amico mio, vieni a farti un goccetto.”, disse Mason, senza ben capire cosa stesse dicendo, e con un’allegria che non gli apparteneva. “Si, magari un altro giorno.”, rispose, andando di corsa a prendere l’amico, per sorreggerlo prima che cadesse dalle scale. “Si, forse hai ragione.”, ammise Mason in un momento di lucidità. Damian lo accompagno in camera sua, per poi metterlo a letto. “Da quando è che bevi?”, chiese. “Ho sempre bevuto, lo abbiamo fatto anche assieme.”, rispose Mason. “Si, ma difficilmente fino ad essere in queste condizioni. Dammi i piedi.”, rispose, accorgendosi che laico non riusciva a togliersi gli stivali. “Credo sia la prima volta dopo tanto tempo. Dovremmo farlo piú spesso.”, disse Mason, stendendosi in una strana posizione sul letto. “Si, magari insieme, cosí poi mi evito di toglierli gli stivali.”, disse, con lo sguardo schifato dall’odore. “Oh, dai, è questo che fanno gli amici.”. Singhiozzò. “Solo quando lo sono da tanto tempo.”. Damian trattenne una risata. “Ti voglio bene.” “Ti voglio bene anch’io.”

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Capitolo 10
*** Prologo 10 ***


Prologo 10 Di solito la domenica mattina la “Tazza Traboccante” rimaneva chiusa, in quanto Auriga non aveva più le energie di quando era giovane. Il sabato tendeva a rimanere aperta fino ad una certa ora, ma più per abitudine che altro. Era dietro il bancone, che osservava lo strano assortimento sul tavolo, la figlia Lilia col marito, la nipotina Iris, e in più il caro Bogumil. Aveva imparato ad apprezzare quel ragazzo un po’ strano, fidato contatto col mondo della magia, oltre che caro amico del marito. Non avrebbe mai pensato di assistere ad una scena così particolare. Iris entusiasta riempiva di domande l’animagus, il genero che sorseggiava un caffè amaro, e la figlia, accigliata, che guardava il vuoto. Si erano sempre odiati per non averle mai detto la verità, ma lei non aveva mai dato segnale di aver ereditato la particolarità del padre, quindi non c’era mai stata ragione di deluderla. Ma vederla lì, accigliata, faceva davvero male. Cercava di sorridere solo quando Iris la coinvolgeva nella discussione, ma si notava che la tristezza che la circondava. Non aveva mai saputo affrontare una delusione. E forse questa era la più cocente che le potesse capitare, in quanto inaspettata. “Lilia, cara, puoi venire un attimo a darmi una mano?”, chiese Auriga, nel tentativo di rimanere da sola con lei. “Certo.”, rispose freddamente la donna, alzandosi quasi automaticamente dalla sedia. “Devo prendere qualcosa nel magazzino, vieni.”. Si ritrovarono da sole nello scantinato impolverato della locanda, circondate da scatoloni e bottiglie. Una sola finestrella illuminava lo spazio. Fin da bambina, Lilia aveva temuto scendere lì sotto, e oggi non era da meno. Era colma di sentimenti contrastanti. Non sapeva se quello che stava accadendo fosse vero, ma soprattutto sicuro. Che fossero diventati tutti matti? “Che hai?”, chiese senza troppi giri di parole la madre, affrontandola faccia a faccia. “Che ho? Secondo te devo accettare tutto questo senza problemi? Hai visto Iris? È entusiasta. Non capisce che tutto questo è una follia.”, aveva iniziato a parlare, lasciando andare tutte le emozioni e dubbi, rovesciandoli sulla madre, nella speranza segreta di sentirsi dire che fosse tutto uno scherzo. “Non ti sto chiedendo di accettare tutto dal nulla, ma solo di provare ad ascoltare quello che sta accadendo.”, disse Auriga. “Io so che per quanto assurdo possa sembrare, questa è la verità, e non posso dirti il contrario, anche se conoscendoti è ciò che vorresti. Tuo nonno era un mago, e questo ci ha creato problemi nei nostri primi anni insieme, quando ancora vivevamo in Inghilterra. E tua figlia ha ereditato questa cosa.”. “Mi vuoi dire che mi avete mentito su tutto? Che non siete fuggiti perché i genitori di papà non vedevano di buon occhio il vostro rapporto?”, chiese Lilia trattenendo le lacrime. “No no, questo è tutto vero. Anzi. Non vedevano proprio per questo bene il nostro rapporto.”, disse sorridendo la donna, lasciandosi andare ai ricordi. “Devi sapere che l’amore tra non maghi e maghi non è mai stato visto bene, in quanto alcuni vorrebbero conservare solo tra le famiglie dette pure la magia. Io non sono una strega, e questo loro non riuscivano ad accettarlo. Dovemmo fuggire per riuscire a vivere quello che eravamo sicuri fosse il nostro destino. E ora tu sei nella brutta situazione di dover accettare che quello di tua figlia sia diventare una strega.”. “E tu come fai a sapere che questa per lei sia la cosa migliore?”, chiese Lilia senza troppi giri di parole. “Perché immagino che questo la allontanerà da casa, lontano dai suoi amici. Non può essere semplice come la fai tu, mamma.”. Lilia iniziava a realizzare che questa storia l’avrebbe allontanata dalla figlia, così presto. Non era pronta. “Se capisci come vivere questa cosa, oltre ad avvicinarvi, questa cosa potrebbe cambiare in meglio anche la tua vita. Però ti assicuro che educarla ad usare la sua magia è l’unico modo perché per lei non diventi un pericolo. E a Florentia ci sono gli insegnanti migliori che possa trovare.”. Auriga aveva realizzato molto tempo prima quella cosa. “Vedo che ti sei preparata il discorso per bene.”, disse Lilia alla madre. “Oh, perché l’ho già vissuta con tuo padre, quando eri ancora piccola. Lui mi ha fatto capire che, se tu fossi stata una strega, sarebbe stato il caso di educarti. Ma allora Florentia non esisteva. Saresti dovuta andare, nella migliore delle ipotesi, in Francia, se non in Inghilterra.”. Auriga ricordava bene quella litigata, avvenuta su alla locanda, una notte, con solo una candela accesa. E si ricordò come fu difficile per lei accettare quella possibilità. “Senti, la magia è un qualcosa di potente, ma può essere controllata con le giuste conoscenze. Se non educata, invece, può mettere a rischio la sua e vostra incolumità, col passare degli anni. Più lei diventa grande, più il suo potere aumenta. Tanto che potrebbe anche prendere il sopravvento. Io capisco tutte le tue paure, ma è per il suo bene.”. “In poche ore è impossibile realizzare che tua figlia è una strega, e che bisogna educarla affinché possa controllare questa…questa…cosa!”. Lilia era in contrasto coi suoi stessi sentimenti. Era una situazione troppo grande, arrivata di colpo nella sua vita. Poi realizzò. “Luigi. Lui perché è così tranquillo, lì sopra?”. Rifletté. “Lui sapeva già tutto, mamma?”. “Non lo nego, no. Un giorno vide tuo padre far volare i tavoli alla locanda, mentre facevamo le pulizie. Era passato per un saluto, non sapevamo sarebbe venuto. Gli abbiamo dovuto raccontare la verità, pregandolo di non dirti nulla.”, rise. “Lui quella volta svenne.”. “Quindi avete tutti complottato contro di me?”. Si mise a piangere. Girò, le spalle, e fuggì fuori. Era troppo. “Ehi mamma, sai che...mamma?”, disse Iris, guardando la mamma correre via dalla locanda. “Luigi, forse è il caso che tu la segua. È alquanto turbata.”, disse Auriga, apparendo dietro il bancone, con un sorriso malinconico sulle labbra. “Non la presa bene, vero?”, disse il padre. “No”. “Allora vado. Tu Iris fai la brava qui. Cercherò di sistemare la cosa.”, disse il padre della bambina, infilandosi la giacca. “Ma...”. Iris stava realizzando che intorno a lei non tutti erano entusiasti di quella novità. “Non preoccuparti, cara. Le passerà.”, disse la nonna, arrivando al tavolo con tre bottiglie, che Iris non aveva mai visto alla locanda. “Ho fatto molto danno?”, chiese malinconico Bogumil. “Ti avevo detto di passare prima qui con la lettera. Ma non importa, sistemeremo le cose. Ore bevete.”, diede una bottiglia a testa. “Cosa è?”, chiese sospettosa Iris. “Burrobirra. Quella vera.”, disse la donna, ricambiando il sorriso stupefatto della nipote. “Dobbiamo comunque festeggiare questo giorno. Tua mamma capirà. Ha paura, ed è normale.”. “A Florentia sarà al sicuro, non deve temere nulla.”, disse Bogumil. “Lo so, caro. Ma la figlia sarà lontana da casa con degli sconosciuti. Non è facile accettarlo.”, disse la nonna. “Ma ci sarò io, a me mi conosce.”, fece notare il ragazzo. “Non gli hai fatto la migliore delle impressioni, purtroppo.”, rise la nonna. “Iris, tu come stai?”, chiese. “Strana. A quest’ora avrei dovuto essere ancora a letto, invece sono qui a realizzare che ciò che ho sempre voluto fosse vero, lo è. Ma vorrei che la mamma fosse qui con me.”, disse un po’ malinconica la bambina. Voleva davvero che la mamma fosse lì con lei. “Vedrai che capirà.”, disse la nonna. “Adesso dobbiamo organizzarci per andare a comprare le che ti serviranno. Però una cosa la voglio provare adesso. Si alzò, dirigendosi verso una credenza. Da un cassetto tirò fuori una scatoletta di legno. Era anni che non la tirava fuori. Tornò al tavolo. Aprì il contenitore, dalla quale estrasse un telo arrotolato. Srotolandolo, rivelò quello che sembrava essere un bastoncino di legno. “Questa era la bacchetta di tuo nonno. Ora, io non so bene come funzioni, ma pare che sia vera la storia che sia la bacchetta a scegliere il mago o la strega. Avrebbe voluto, ne sono sicura, che l’avessi tu.”, e così dicendo la porse alla bambina. “Ma è magnifica.”, disse Bogumil, cercando di toccarla, e prendendosi uno schiaffo sulla mano dalla nonna. “Ahia”. Iris la afferrò, sentendo uno strano calore scorrere nel palmo della mano. La bacchetta emise alcune scintille rossastre. “Sembra che voi due andiate d’accordo.”, disse la nonna. “Spero che imparerai a fare tutte le cose fantastiche che ci faceva tuo nonno.”. Nel dire ciò, si asciugò una lacrima.

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