L’ultima ora della notte

di AlmaKarma
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Samantha ***
Capitolo 2: *** DEAN ***
Capitolo 3: *** PARTENZA ***
Capitolo 4: *** LA STRADA È LUNGA ***



Capitolo 1
*** Samantha ***


SAMANTHA 

La birra calda era particolarmente sgradevole.
-Lascia perdere!
Disse Jack togliendomi il bicchiere di plastica dalle mani.
-Prova questa.
Mi porse il suo bicchiere contenente un liquido rosso. La bevanda dolciastra mi risvegliò le papille gustative.
-mmm... ottimo. Cos’é?
Chiesi leccandomi le labbra.
-Un cocktail alla ciliegia, si chiama “sangue...” accidenti non lo ricordo.
Mi sfuggì un mezzo sorriso.
-Ciliegia? Molto femminile!
-Lascia stare! Era l’unico cocktail a base di vodka liscia. Potevano almeno preparare dei Bloody Mary! Sarebbe stato più adatto ad una festa di Halloween.
Disse iniziando a sorseggiare la mia birra. Una smorfia gli si dipinse sul volto.
-Come cavolo puoi far pagare 5 dollari una birra calda!
Lo osservai passarsi le dita tra i folti capelli biondi. Un gesto che faceva spesso.
-Era la bevanda che costava di meno, a dire il vero.
-É comunque un furto!
Continuai a sorseggiare il cocktail rosso guardandomi in torno. Il locale era pieno di studenti universitari. Il pub distava pochi chilometri dal campus e c’era molta affluenza anche nei semplici venerdì sera.
-Hey Jack!
Mi voltai verso un ragazzo travestito da zombie.
-Hey Luis!
-Da che cavolo sei vestito?
Disse il ragazzo moro poggiando la sua birra sul nostro tavolino,
-Non si vede?
Allargò il corto mantello nero legato sopra la camicia bianca.
-Sono il conte Dracula!
-Si certo, ti sei impegnato molto vedo.
Rise dandogli una pacca sulla spalla. Poi si voltò verso di me.
Con i miei jeans neri e maglietta rosa ero decisamente fuori luogo in una festa di Halloween.
-No, non guardarmi così, anche io sono travestita.
Dissi tirando fuori dalla borsa un frontino nero a cui avevo incollato il disegno di uno smeraldo. Tenuto ben fissato con una molla in ferro sembrava fluttuarmi sulla testa.
-Visto? Sono un Sim!
Lui rise e riprese la sua birra.
-Si, non è proprio quello che ci si aspetta da una festa di Halloween.
Scossi la testa e mi morsi il labbro inferiore.
-É che non sono una grade fan dell’horror.
-Comunque, io propongo un brindisi!
Intervenne Jack cambiando argomento. Sapeva che per me era un tasto dolente anche se non ne comprendeva il perché.
-Certo, a cosa?
Luis sollevò la sua birra verso di noi.
-A Sam e all’ottimo risultato del suo test di ammissione!
-Grazie ma non è niente di speciale...
Dissi porgendo il mio bicchiere.
-Lei fa la modesta ma ha preso 174!
-Cavoli é fantastico!
Luis mi guardò con profonda ammirazione
-Significa che puoi scegliere qualsiasi facoltà per continuare gli studi in legge.
-Si be, in realtà ho già un colloquio qui questo lunedì.
Ero contenta di riceve quelle attenzioni, ma non sentivo di aver fatto qualcosa di straordinario. Però era sinceramente felice, il sogno di una vita che finalmente si realizzava.
-La tua famiglia deve essere molto orgogliosa di te,
Continuò Luis.
Eccolo, il passato che faticavo ad allontanare da me.
-No, veramente loro non sanno nulla.
-Scherzi?! Io avrei fatto mettere i manifesti in città!
Guardai Jack sorseggiare la mia birra. Mi strinsi nelle spalle e puntai lo sguardo sul mio cocktail.
-Be vedi, non siamo la famiglia Brady!
Conclusi ridendo.
-E noi non siamo i Robinson!
Mi rispose Luis ridendo.
-Forza un altro giro!
Disse allontanandosi.
-No Luis!
Sollevai il mio bicchiere ancora pieno, ma si era già allontanato.
-Hey Sam.
Jack posò il suo bicchiere ed afferrò la mia mano.
-Andrai benissimo, lunedì li stenderai tutti. Sono così orgoglioso di te!
Annui felice di sapere che lui era dalla mia parte.
-Grazie.
Dissi semplicemente mentre lui già si avvicinava per baciarmi.

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Capitolo 2
*** DEAN ***


Mi rigiravo tra le lenzuola senza riuscire a prendere sonno. Jack aveva il respiro pesante di chi è in un sonno profondo. Osservai il suo volto illuminato dal chiarore della luna. I lineamenti delicati, pallidi sotto la tenue luce. Fuori dalla finestra il cielo era sereno, riuscivo a intravedere qualche stella. Voltai lo sguardo verso il soffitto. Un avambraccio dietro il capo, le dita che giocavano con le ciocche castane dei miei capelli. L’altro poggiato sullo stomaco. Chiusi gli occhi e cercai di fare profondi respiri. Avevo letto su qualche sito che per combattere l’insonnia é necessario inspirare ed espirare profondamente, concentrarsi sul movimento delle proprie narici. O era una tecnica per gestire l’ansia pre-esame?
Sbuffai e mi girai di lato, chiusi gli occhi e aspettai di addormentarmi.
1:03
1:25
1:45
Alle due inizia a percepire i primi segnali di stanchezza, le palpebre più pesanti.
Un suono sordo.
Un oggetto che cade sul tappeto.
Mi tirai su di scatto e tanti saluti a Morfeo. Voltai la testa verso Jack, dormiva profondamente, non sembrava essersi accorto di nulla. Per un attimo fui tentata di svegliarlo ma scacciai il pensiero dalla testa. Un ladro, con ogni probabilità, si era intrufolato dentro il nostro appartamento. Era di sicuro pericoloso ma potevo gestire la situazione da sola. 
Scesi lentamente dal letto, attraversai a piedi nudi la stanza per giungere fino all’armadio semi-aperto. Estrai la mazza da baseball di Jack e strinsi l’impugnatura con entrambe le mani. In punta di piedi mi avvicinai alla porta. Attraversai il breve corridoio. Il buio pesto non mi permetteva di vedere nulla, camminavo aiutata dal ricordo della disposizione del mobilio. Feci un profondo respiro e girai l’angolo. Il salotto era leggermente rischiarato dalla luce rossastra dei lampioni. Quel tanto che bastava per vedere un’ombra scura che si aggirava per la stanza. Un brivido mi percorse il corpo. La paura e l’adrenalina si sommavano creando una sensazione terribilmente piacevole. La sagoma non sembrava essersi accorta di me. Aspettai che avanzasse ancora di qualche altro passo. Quando fu abbastanza vicina scattai in avanti con la mazza di legno ben salda tra le mani e pronta a colpire. 
Con mia sorpresa riuscì ad evitarla, il colpo andò a vuoto fendendo l’aria. La sagoma si risollevò e prima che io riuscissi ad effettuare un altro fendente mi bloccò entrambi i polsi, fermando di colpo il movimento della mazza. Mesi di divano e patatine non si erano rilevati un buon allenamento a quanto pare. Le grandi mani stringevano i miei polsi: “un uomo” pensai. Ma prima di dargli modo di attaccare, gli assestai un calcio nello stomaco. Lasciò immediatamente la presa arretrando chino su se stesso. Era il mio momento. Lasciai cadere la mazza a terra che con l’impatto riempi il silenzio della stanza. Mi lanciai contro l’intruso, cademmo entrambi sul pavimento, bloccandolo sotto di me mi preparai a tirargli un bel pugno in pieno volto. 
-Wow vacci piano raggio di sole.
Il pugno si fermò a metà strada, a qualche centimetro dal suo volto. 
-Dean?
Domandai incerta. 
La luce inondò la stanza. Il passaggio dall’oscurità alla luce artificiale mi infastidì la vista. Per una manciata di secondi sbattei le palpebre cercando di abituarmi il più velocemente possibile alla transizione.
-Samantha presto vieni qui, chiamò la polizia!
Disse Jack con il cellulare in una mano mentre l’altra era protesa verso di me.
-Non è necessario! 
Dissi voltando lo sguardo verso Dean. Ancora bloccato dal mio peso, piegò le braccia in segno di resa mentre il suo sguardo passava da me a Jack con il suo solito sorriso da sfacciato.
-Già, non è necessario.
Ripeté mentre io mi spostavo di lato. Mi alzai con un ginocchio dolorante. Jack spostava il suo sguardo tra me e Dean e la mazza da baseball abbandonata sul pavimento.
-Sam, lo conosci?
I capelli spettinati e gli occhi arrossati dal sonno ma ormai ben vigili, cercava di mettere insieme tutti i pezzi. 
-Si, lui è Dean, mio fratello.
Dissi indicandolo.
-E lui è Jack, il mio ragazzo.
Proseguì spostando il braccio nella direzione opposta.
-Dean...
Ripeté Jack mentre il suo volto si distendeva 
-si certo, ho sentito parlare di te.
Continuò porgendo la mano.
-Davvero?
Domandò Dean rispondendo al saluto, mentre mi guardava stupito. In tutta risposta sollevai le spalle. Effettivamente di tanto in tanto mi era capitato di parlare con Jack della mia famiglia... senza scendere nel dettaglio.
-Io invece non ho mai sentito parlare di te.
Proseguì con un sorrisetto strafottente.
Questa volta lo fulminai con gli occhi.
Davanti allo sguardo perplesso di Jack continuò
-Sai, la mia sorellina non chiama molto spesso. 
Finsi un sorrisone e gli diedi una sonora pacca sulla spalla che gli fece sfuggire una smorfia di dolore.
-Allora Dean, come mai questa piacevole visita alle 2:10 del mattino? 
Domandai osservando l’orologio nel salotto. 
-Si... ti devo parlare in privato.
Si divincolò dalla mia presa e iniziò ad aggirarsi per la stanza osservando con un misto di curiosità e di ammirazione il mobilio.
-Qualsiasi cosa sia puoi dirla di fronte a lui, non abbiamo segreti. 
Dissi sorridendo a Jack che continuava a guardare mio fratello con diffidenza. 
-Va bene.
Si fermò infilando le mani nella tasca del cappotto di pelle. 
-Papà è andato a caccia e non è tornato.
Mi sfuggì un sorriso ed incrociai le braccia al petto.
-E allora? Sarà da qualche parte ubriaco. Non è certo la prima volta, tornerà tra qualche giorno.
Dean spostò lo sguardo su Jack, poi mi guardò con maggior attenzione. Gli occhi cercavano di comunicare più delle parole.
-Sammy, papà è andato a caccia e non è tornano.
Questa volta diede peso ad ogni parola. Sciolsi le mie braccia e le lascia cadere lungo i fianchi.
-Jack? Ti dispiacerebbe lasciarci un attimo da soli? Io e mio fratello dobbiamo parlare. 


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A presto!

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Capitolo 3
*** PARTENZA ***


Riempì alla rinfusa il borsone. Avevo promesso a Dean un weekend, un solo weekend. Il lunedì seguente sarei dovuta tornare per il colloquio di ammissione.
-Aspetta, dove vai?
Jack camminava avanti e dietro, percorreva interamente la lunghezza della camera da letto fermandosi, di tanto in tanto, davanti la finestra. Dean mi stava aspettando in auto.
-Te l’ho detto, un paio di giorni a cercare mio padre. Lunedì sarò qui.
-Non capisco, non parli mai della tua famiglia e ora prendi e parti nel cuore della notte.
Si sedette sul letto, a fianco al borsone. Mi guardava con insistenza aspettandosi una risposta. Non ero in vena di confessioni e storie di famiglia.
-Lo so, può sembrare un contro senso da parte mia. Ma hanno bisogno di me.
Chiusi il borsone, la cerniera che scorreva sovrastò per una manciata di secondi la mia voce.
Mi infilai la giacca di jeans e sollevai il borsone.
-Va bene.
Concluse Jack sospirando.
-Ma cerca di non fare tardi lunedì.
-Promesso.
Risposi lasciandoli un delicato bacio sulle labbra.
 
L’aria della sera era fresca. Il vento mi scompigliava i lunghi capelli castani. Mi strinsi nella giacca mentre mi dirigevo verso l’impala parcheggiata sul lato opposto della strada. Dean non uscì dall’auto, gettai il borsone sul sedile inferiore. Aprì lo sportello del passeggero, prima di entrare mi voltai verso il palazzo dai mattoni rossi. La luce che illuminava la finestra al secondo piano si spense.


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Capitolo super corto, lo so! Ma presto arriverà uno molto più lungo!

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Capitolo 4
*** LA STRADA È LUNGA ***


-Altro caffè?
Chiese la ragazza della tavola calda rivolgendo un immenso sorriso a Dean. Lui le sorrise di rimando e prima che lei si voltasse le fece l’occhiolino. Mi schiarì la gola.
-Che c’è?
Chiese con aria innocente mentre si portava alle labbra la tazza bianca. Alzai la mia dal manico. Bevvi l’ultimo goccio e la poggiai rumorosamente sul tavolo ma la ragazza dai capelli neri e perfettamente piastrati era troppo presa da una conversazione telefonica. Con una mano reggeva il cellulare vicino l’orecchio, con l’altra puliva distrattamente il bancone rosso. Ascoltando le sue parole potevo capire di che argomento stesse parlando. Era decisamente troppo presto per parlare con quel tono di voce di una certa Emily e della sua relazione con un certo Josh.
Mi guardai attorno. Oltre noi un uomo robusto mangiava delle uova strapazzate a due tavoli di distanza. Fuori dalle grandi vetrate il cielo scuro mostrava i primi avvisagli di un’alba che sarebbe sorta da lì a poco. Nel giro di una mezz’oretta la tavola calda si sarebbe riempita di automobilisti che transitavano lungo la I-5 N. Eravamo in viaggio da sole tre ore.
-Allora, dove siamo diretti?
Chiesi osservando alcune foto di una cittadina bellamente esposte su una parete bianca. La targhetta d’orata riportava a caratteri cubitali “Redding”. Avevo visto quel nome sui cartelli stradali poco prima di fermarci nel piazzale della tavola calda. Doveva trovarsi a meno di un miglio di distanza. Eravamo ancora in California ma ci dirigevamo verso nord.
-Oregon.
Rispose mio fratello con la bocca piena. Addentava con voracità il sandwich che reggeva con entrambe le mani.
Sorrisi e tornai a guardare attraverso il vetro sporco il parcheggio ancora vuoto.
-E che ci andiamo a fare in Oregon?
Dean si infilò in bocca l’ultimo boccone e si pulì le mani sfregandole tra loro. Poi estrasse da una tasca della vecchia giacca in pelle un foglio dai bordi strappati ed irregolari.
Scossi la testa prendendolo in mano. Vi era segnato un indirizzo.
-Falls City? Che significa?
Lui alzò le spalle.
-Non ne so più di te, ma a quanto pare papà stava lavorando ad un caso collegato a quella città. Forse si trova lì o è passata da quelle parti.
Notando il mio sguardo perplesso si affretto ad aggiungere
-non è un grande indizio, ma è l’unico che abbiamo al momento.
-Falls City…
Pronunciai quelle parole a fior di labbra restituendoli il pezzo di carta.
-Non è vicino Salem?
Lui annuì.
-Streghe?
Domandò cercando di intuire i miei pensieri. Io scossi la testa, in realtà non stavo pensando a nulla in particolare. Mi riportai la tazza alle labbra salvo poi ricordarmi che era ancora vuota e la cameriera continuava a spettegolare della povera Emily. 
-Lo mangi quello?
Continuò Dean indicando i miei pancakes ancora intatti. Non risposi e gli porsi il piatto. Non avevo molta fame. Tutta quella situazione mi aveva tolto l’appetito. Papà che era scomparso, Dean che era venuto a chiedermi aiuto irrompendo nel mio appartamento nel cuore della notte e poi c’era Jack. Probabilmente a quell’ora stava dormendo, lo avrei chiamato tra qualche ora.
Fuori ormai albeggiava.
Sabato primo novembre, avevo solo 2 giorni per risolvere un caso di cui non sapevo ancora nulla.
 

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