Figlia della Luce

di Ufun
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** Capitolo Primo ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***


PROLOGO


 
La prima cosa che ricordai fu una leggera brezza tra i capelli, sulle gambe, sul viso. Dove mi trovavo?
Un forte tepore proveniente dalla pietra su cui ero rannicchiata mi scaldava il cuore, mi faceva sentire… viva.
Aprii piano gli occhi abituandoli alla luce da cui ero circondata e mi guardai attorno. Sembrava tutto così familiare, eppure mi sentivo contemporaneamente estranea. Attestai di trovarmi in una sorta di oasi verde, la pietra su cui mi ero svegliata era rotonda e piatta, e uno strano disegno su di essa pulsava e rappresentava un… cosa? Non riuscivo a capire, era molto stilizzato. Alla mia sinistra trovai delle nicchie, anch’esse leggermente luminose, mentre davanti a me sei portali e alla mia destra ce n’era un settimo, ma diverso dagli altri, quasi mi incuteva timore data la sua altezza e impotenza.
Mi avvicinai a un laghetto poco distante da dove mi trovavo e rimasi sorpresa dalla limpidezza dell’acqua, tanto limpida che riuscivo a vedere il mio riflesso. Passai le dita tra i miei capelli lunghi e candidi come la neve, provando a ricordarmi perché ero lì e come ci ero finita. Era tutto così… paradisiaco.
Ero consapevole di avere un compito, ma quale? Era importante?
-Ah, ecco un’altra piccola tarma- disse una voce maschile alle mie spalle.
Mi voltai, ritrovandomi davanti a un ragazzo poco più alto di me. Pelle chiarissima quasi quanto i capelli, lunghissimi e raccolti in una treccia chilometrica. Due occhi neri come la pece mi scrutavano e un mezzo sorriso che spuntava da due labbra sottili ma molto ben definite mostrava il divertimento nel guardarmi.
-Tarma a chi, scusa?!- sbottai. Tarma a me? Da quel poco che ero riuscita a vedere di me stessa, tutto sembravo tranne che una tarma!
-Izat… hai trovato il tuo nuovo giocattolino?- chiese una terza voce. Un altro ragazzo sbucò alle spalle di… Izat, mettendogli un braccio intorno alle spalle e dandogli un buffetto sul petto. I suoi capelli invece erano leggermente lunghi, quasi a caschetto con una ciocca raccolta da un paio di anellini su un lato del viso, la sua pelle abbronzata lasciava intendere che era abituato ad un clima caldo e soleggiato e faceva apparire ancora più bianchi i suoi denti allineati perfettamente. Aveva due occhi viola che avrebbero attirato l’attenzione di chiunque sia per il colore, sia per l’allegria che facevano trasparire.
-Oh Dio, Vowet, dai! Fammi divertire un po’…- sospirò Izat gonfiando e sgonfiando teatralmente il petto.
Notai che c’erano altri ragazzi intorno a noi, mi osservavano curiosi, non ne conoscevo nessuno però. Più che altro, c'erano sempre stati, ma solo in quel momento mi resi conto del via vai di gente.
Quello stato di confusione iniziava a pesarmi.
-Ragazzi, ragazzi… qualcuno può spiegarmi per favore cosa ci faccio qui?- mormorai continuando a guardarmi attorno. Una cosa avevo capito: a differenza di tutti gli altri, io non avevo un mantello. Ce n’erano di tutti i tipi e colori: quello di Izat era rosso fuoco, mentre Vowet ne aveva uno talmente bianco che guardarlo a lungo faceva male agli occhi. Entrambi indossavano pantaloni neri fermati in vita da una cintura larga e avvolgente, da cui spuntava una maglietta bianca, la stessa che avevo anch’io e che avevano tutti gli altri. Sulle spalle portavano rispettivamente una piccola arpa e un tamburo.
-Ah guarda, dovresti prendere una luce per capire- disse Izat roteando gli occhi. Una luce? Quale luce?
-Izat!- cantilenò Vowet –non essere scortese con i nuovi arrivati! Senti…- disse riferendosi questa volta a me –se vuoi ti spiego io un po’ di cose, è normale essere confusi all’inizio, lo siamo stati tutti la nostra prima volta qui-
-Per favore, sì! Non sto capendo molto, mi sento strana, e non capisco delle cose… perché abbiamo tutti i capelli bianchi?-
-Ma perché siamo fatti di luce, per Dio! Non la senti?- sbuffò Izat prendendo la mia mano e portandola sul mio petto. Imbarazzata da quel gesto improvviso, sentii le guance colorarsi e… un tepore provenire dal cuore.
-Sono fatta di luce? Scusa ma… in che senso?- dissi corrugando le sopracciglia. Più quel ragazzo albino mi diceva, meno capivo.
-Vieni con noi all’Isola dell’Alba, ti accompagnamo. È da lì che capisci tutto- disse Vowet facendomi segno di seguirli. Ci avviammo verso il primo dei sette portali che avevo visto appena mi ero svegliata. Appena ci avvicinammo, questo si illuminò e più passi avanti facevo, più quella luce mi accecava. Chiusi temporaneamente gli occhi per il bagliore e quando li riaprii mi ritrovai in una distesa di sabbia infinita, con qualche roccia qua e là.
Vowet e Izat erano davanti a me e parlocchiavano mentre io mi sentivo sempre più parte di quel mondo che inizialmente mi sembrava talmente sconosciuto ed estraneo. Era come se fossi a casa. Camminando dietro i due ragazzi, notai i loro passi fermi e decisi, le spalle robuste ricoperte da quei mantelli a dir poco stupendi e le loro acconciature. Sembravano… angeli. Più che la luce, riuscivo a percepire la loro aura, ed era forse anche quella che mi faceva sentire al sicuro. Si fermarono di colpo e io, assorta nei miei pensieri, mi scontrai sulla schiena di Izat, che gemette di dolore. Un frammento di luce si staccò dal mantello e finì sulla sabbia. Izat si accasciò sulla sabbia tossendo e Vowet si abbassò immediatamente soccorrendolo.
-Iz, per l’amor del cielo, stai bene? Tutto ok?- gli chiese sollevandogli piano il collo.
-Oh Dio! Ti ho fatto male?! Mi dispiace! Non so come…- sbiascicai allarmata tendendo le mani verso di lui.
-Se magari stessi più attenta a dove metti i piedi, te ne sarei davvero grato.- Izat mi rivolse lo sguardo più cupo che potessi ricevere. Lo guardai mortificata e poi guardai quel frammento di luce, che ancora giaceva tra noi 3 tra i granelli di sabbia. Avvicinai piano la mano, quasi lo sentivo chiamarmi, attirarmi, e guardandolo più intensamente capii tutto.
Inizialmente c’era un unico regno, la luce regnava sovrana. Tutto era in armonia con tutto, piante, animali, terra, acqua, aria, fuoco. Poi subentrarono le tenebre. Iniziai ad ansimare. Mi mancava l’aria. Una serie di immagini si susseguirono nella mia testa. La luce si divise in tanti piccoli pezzi, cadde. Si nascose nei sette RegniTrovala, figlia della luce. Raccoglila e riportala quassù, dove mi appartiene.
Cercai di fare respiri più calmi e profondi.
Inspira.
Espira.
-Ragazzi però io sono uno solo, non posso sdoppiarmi e soccorrere entrambi!- esclamò Vowet impanicato.
-Io sto meglio, tranquillo, è stato solo improvviso, non ero pronto al distacco- lo calmò Izat alzandosi e stendendosi il mantello.
-Ti chiedo scusa se ti ho ferito, non era mia intenzione…- mi scusai portando i palmi sul viso e cercando ancora di calmarmi per quello che avevo sentito e visto fino a due secondi fa.
-Tranquilla, non potevi saperlo, dopotutto sei ancora una piccola tarma- mi rispose facendomi l’occhiolino e sorridendomi. Vowet mi guardò sorridendo anche lui.
-Ascolta, potresti non chiamarmi tarma? Mi fa un po’ schifo sinceramente, poi non ho ancora capito perché lo fai…- e così dicendo mi chinai per prendere quel frammento di luce e ridarglielo. Vowet fece una risatina nervosa e Izat impallidì.
-Non prenderlo!- intimò Vowet.
-Ma tranquilli, non ci perdo nient…- iniziai, ma appena le mie dita sfiorarono quel pezzo di luce abbagliante, questo venne inglobato dalla mia mano e sentii caldo. Lo sentivo nel petto. Eravamo un tutt’uno. Quel calore che mi aveva fatto sentire viva fino a poco fa quando ero ancora rannicchiata. Quel calore che era lo stesso provenire dalla pietra su cui mi ero svegliata. Mi sollevò da terra di pochi centimetri e quella luce si riversò sulle mie spalle, formando una leggera patina luminosa e di un colore freddo e abbagliante. Mi voltai cercando di guardare la mia schiena e avere una visuale completa di ciò che mi era appena apparso sulla schiena, ottenendo però risatine di entrambi i ragazzi perché mi ritrovai a girare su me stessa come un cagnolino che rincorre la sua coda.
-E niente, ormai è fatta…- disse poi lagnandosi Izat nascondendo il viso tra le mani.
-Eh già, amico-
-Dov’è finito?! È dentro di me?!- chiesi allarmata girando su me stessa e osservando il mio mantello.
-Perché il mio è celeste? E perché i vostri sono più luminosi?- continuai.
-Sei una tarma- esordì Vowet –all’inizio tutti ce l’hanno così… spento, poi trovando frammenti di luce diventa più potente e magari smetteremo di chiamarti così quando ti vedremo volare in alto. Speravo solo che il tuo primo frammento di luce non fosse quello di Izat…- concluse ridacchiando.
-Già, quello che adesso hai era il mio frammento, non dovevi prenderlo! Ci ho messo un’infinità a trovarlo- si lamentò l’altro.
-Non era mia intenzione, ti giuro! Te lo restituisco!- risposi rivolgendogli uno sguardo di scuse.
-No, non farlo, mi piace più pensare che da ora in poi mi devi un favore- ribattè lui facendomi l’occhiolino.
-Ahia ahia, parti male, ragazzina… sei stata mandata da poco e già ti trovi in debito con uno di noi!- scoppiò a ridere Vowet.
-Come vuoi! Vedrò di saldare il debito il prima possibile- dissi incrociando le braccia.
-Tempo al tempo, Ekoful- Izat aveva appena detto il mio… nome.
-Come fai a sapere…-
-Lo sappiamo tutti, avvicinandomi a te l’ho letto nella tua aura-
E aveva ragione. All’inizio non ci avevo fatto caso perché troppo presa dalle novità che mi trovavo intorno, ma era successo anche a me con i loro nomi: li conoscevo, ma non nitidamente come loro conoscevano il mio, quando si sono chiamati per nome è stato come vedere affiorare un ricordo. Era come se ci conoscessimo già tutti. Dopotutto, come Izat stesso mi aveva detto all’inizio, eravamo tutti fatti di luce.
-Beh io direi che è anche abbastanza tardi qui, l’abbiamo tirata troppo per le lunghe e Iz, ti ricordo che oggi è stata una giornata pesante per entrambi- esordì Vowet. Izat rispose annuendo e rabbuiandosi. Chissà cosa era successo, mi chiesi.
-E’ scontato dirti che da domani ti istruiremo un po’, ormai ti abbiamo preso sotto la nostra ala- continuò sorridendomi. Abbassai il capo in segno di riconoscimento.
Ci avviammo verso quello che loro chiamarono “il dormitorio”. Lungo il tragitto mi parlarono un altro po’ del nostro compito tra quei Regni, del nostro dovere verso chi c’era lassù. Glielo dovevamo, continuava a specificare Vowet, glielo dovevamo perché è stata lei a crearci. Da quel che compresi c’erano effettivamente quei sette Regni, uno più pericoloso dell’altro, e quotidianamente tutti andavano in cerca di questi frammenti di luce, che poi restituivano a lei. Glielo dovevamo, perché era stata lei a darci la possibilità di volare grazie al mantello. Come mi aveva già accennato Vowet, più frammenti raccoglievamo, più forti diventavamo e più in alto e più a lungo riuscivamo a volare. In alcuni Regni, aggiunse a un certo punto Izat, era fondamentale avere una carica ben maggiore rispetto ad altri. I due ragazzi si scambiarono uno sguardo d’intesa abbastanza cupo, ma non capii il motivo e per il momento non volevo esagerare con le domande.
Entrammo nel dormitorio e mi aiutarono a trovare la mia camera. Una volta sola, iniziai a curiosare ovunque. Nell’armadio trovai sette magliette tutte uguali, dei pantaloni simili a quelli che già indossavo, qualche gonna corta e svasata e dei pantaloncini. Tutto era in bianco. L’idea di indossare una divisa non mi entusiasmava, ma supposi che era solo l’inizio ad essere così, perché tutti gli altri ragazzi che avevo visto quel giorno erano vestiti in maniera differente, tranne per la maglia che invece era uguale per tutti. Ma Vowet mi aveva promesso che nei giorni seguenti mi avrebbe “istruito”, quindi i miei dubbi avrebbero ricevuto a breve delle risposte. Andai in bagno per rinfrescarmi il volto e mi ritrovai a fissarmi non appena davanti ebbi uno specchio.
Due occhi azzurri correvano lungo tutta la mia figura. Dai capelli bianchi, lunghi e mossi, alle labbra a cuore carnose e leggermente rosate, alle spalle, al seno pieno, alla vita asciutta, fino alle gambe affusolate. Tastavo la mia pelle, il mio viso, e appena premevo un po’ più del solito mi… illuminavo leggermente. Era tutto così nuovo per me, tutto così… eccitante. Volevo iniziare quell'avventura, volevo conoscere tutti gli altri ragazzi del dormitorio.
Ero pronta a vivere quella vita che mi era stata data. Ero pronta a fare nuove amicizie, a scoprire quei Regni e a volare.
Non appena mi stesi a letto, la sottile patina che era il mio mantello si affievolì ancora di più, scomparendo quasi del tutto e permettendomi di rigirarmi senza ostruirmi i movimenti.
È fatto di luce, pensai tra me e me.
La mia prima luce.






Angolo Autrice
Ciao ragazzi! Innanzitutto vi ringrazio per essere arrivati fin qua: avete superato il prologo di questa storia, quindi credo (spero) l'abbiate trovata interessante almeno tanto quanto l'ho trovata io scrivendola. Questa storia mi piace pensarla come un esperimento. E' tratta da un mobile-game che mi ha rapito il cuore: Sky:Children of the Light. Ho pensato che sarebbe stato carino scriverci una storia dando vita al mio personaggio.
Che dire, spero vi sia piaciuta fin qui, e spero continuerete a seguirla! Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate anche voi, man mano!
Un bacio e al prossimo capitolo <3
Cate

 

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Capitolo 2
*** Capitolo Primo ***


CAPITOLO 1
Il sogno che feci quella notte fu particolarmente strano.
Sognai una ragazza. Sapevo chiamarsi Afelo, lo percepivo dalla sua aura. Era una ragazza minuta e aggraziata, aveva i capelli a caschetto e il viso appuntito, abbellito da due occhi marroni e frizzanti. Le sue forme morbide erano però irrigidite dalla postura e dal suo tono di voce, perché mi stava parlando con un tono serio e preoccupato.
Mentre mi sciacquavo il viso, cercavo di ricordare le sue parole, ma più il tempo passava e più si affievolivano. L’ultima cosa che ricordavo era la sua figura girarsi, darmi le spalle e iniziare a camminare senza lanciarmi un ultimo sguardo.
Più il tempo passava, più non sembravano miei ricordi. Io Afelo ero sicura di non conoscerla, tanto meno di averla incrociata per sbaglio, visto che fino alla sera prima semplicemente non ero esistita.
Mi asciugai il viso sospirando e indossai un paio di pantaloncini che avevo trovato nell’armadio. Il mio mantello celeste si fece più visibile una volta finito di prepararmi e pettinandomi i capelli mi resi conto che forse avrei dovuto tagliarli, erano un po’ ingombranti così lunghi e con il mantello di mezzo. Appena misi piede fuori dalla mia camera, centinaia di voci si sovrapposero tra di loro. Ragazzi di tutti i tipi occupavano il corridoio del mio piano: c’era chi correva, chi camminava frettolosamente e chi chiacchierava poggiato alle pareti. Le ragazze avevano quasi tutte i capelli raccolti in code di cavallo o codini piuttosto bizzarri, notai. I ragazzi avevano trecce, capelli corti, capelli a caschetto, c’era una varietà di acconciature impressionante. Tutti erano splendidi e sulla parte centrale del mantello, dall’alto verso il basso, avevano dei simboli, chi più chi meno, e alcuni portavano anche oggetti sulle spalle, come avevo visto fare anche a Izat e Vowet.
Io di simboli ne avevo solamente uno, ma anche altri erano come me.
Non sei l’unica, Ekoful.
Non sapendo esattamente dove andare, mi limitai a seguire la massa. Si sarebbero sicuramente diretti fuori o comunque in una qualche area comune, pensai. Ed effettivamente mi ritrovai nell’Oasi comune in cui mi ero svegliata il giorno precedente. E ad osservarla più attentamente constatai la presenza anche di qualche panchina qua e là. Alcuni ragazzi oltrepassavano i portali da soli, altri in gruppo, altri in coppia, tenendosi per mano. Fuori dal settimo portale, invece, quello più alto e “imponente”, c’era chi sostava diversi minuti prima di entrare deciso, o chi salutava chi sarebbe entrato, con un abbraccio, come a significare che non si sarebbero rivisti per un po’ di tempo.
-Ciao piccola tarma!- riconobbi la voce. Vowet. Mi salutò agitando una mano da lontano, e mentre si avvicinò si passò una mano tra i capelli lisci. Era senza dubbio un ragazzo molto affascinante.
-Ehilà Vowet, come stai?- chiesi educatamente e arrossendo un po’, non ancora abituata al mio nuovo amico.
-Ma come stai tu, piuttosto? Dormito bene la tua prima notte qui?- ribattè lui sorridendo e facendomi segno di sedermi su una panchina lì vicino.
-Beh sì. Ma ad essere sincera ho fatto uno strano sogno…- iniziai a dire rigirandomi una ciocca di capelli tra le dita. Vowet mi sembrò anche abbastanza interessato a ciò che stavo per dire, quando spostò lo sguardo su qualcuno dietro di me e istintivamente mi girai anch’io. Dal portale dell’Isola dell’Alba era spuntato Izat e stava camminando verso di noi. Spostò lo sguardo da Vowet, che salutò con un cenno del capo, a me, poi alle mie gambe.
Cosa sono questi sguardi spudorati?
Risollevò gli occhi e quando notò i miei occhi increduli deglutì vistosamente, sedendosi davanti a noi sull’erba. Mi coprii le cosce, per quanto potevo, con il mantello. Vowet fece caso alle dinamiche e si schiarì la voce.
-Mi stavi parlando del tuo sogno?- riprese. Izat stese e piegò le gambe davanti a sé un paio di volte mugugnando. Sembrava avesse volato per tanto tempo, e ovviamente non doveva averle mosse più di tanto. Stavo per riaprire bocca per rispondergli, quando optai per il non farlo e il tenermi l’accadimento per me, ancora per un po’.
-Uhm sì, ma non me lo ricordo proprio chiaramente…- mentii -Piuttosto, sono curiosa di provare a volare. Non avreste dovuto istruirmi?-
-Ma certo, certo. Se hai voglia, possiamo iniziare dal primo Regno.- esordì Vowet alzandosi in piedi e indicando l’Isola dell’Alba. Annuii decisa e mi alzai anch’io, seguita da Izat. Lui però non lo vedevo molto convinto.
-Ragazzi, io preferirei andare a riposare, mi sono svegliato prestissimo stamattina e ho fastidio alle spalle…- disse, infatti.
-Tranquillo Iz, ti capisco. Anzi ti ripeto che per me quello che fai è inutile, non troverai… altri frammenti nel primo Regno-
-Ne abbiamo già parlato, non mi va di ripetere le stesse cose, e fino a prova contraria ho più frammenti di te- tagliò corto Izat, rivolgendomi un cenno di saluto con un sorriso e un occhiolino, per poi voltarsi e dirigersi verso il dormitorio. Ricambiai agitando la mano e osservando il mantello stanco ricadere pigro sulle sue spalle larghe. Mi voltai verso Vowet.
-Di cosa avete già parlato, se posso chiedere?- provai piano. Ero curiosa di conoscerli, conoscere la loro amicizia. Sembravano amici da tantissimo tempo, si conoscevano bene e si capivano anche solo con uno sguardo.
-Ma sì che puoi, figurati, non c’è niente da nascondere qui- rispose con non-chalance lui e avviandosi verso il portale con me di fianco. A guardarci saremmo sembrati un maestro e la sua allieva sia a giudicare da come eravamo vestiti, sia dal numero di simboli che c’erano sui nostri mantelli a confronto.
-Vedi, io e Izat inizialmente non eravamo la coppia di amici migliore di questi mondi. Lui è sempre stato particolarmente solare con gli altri ragazzi, mentre io ero solito svolazzare per conto mio e fare il mio dovere. Ci siamo ritrovati nel quinto Regno, un giorno, io e lui. Non c’era nessun altro a quell’ora e io ero in particolare difficoltà perché il mio mantello era sporco di fango. È un brutto mondo, quello. Ti consiglio di andarci solo quando sarai ben forte- si rabbuiò per un attimo.
-Comunque- riprese –Izat mi aiutò tanto. Si avvicinò, mi trasmise energia. Ecco, lezione di oggi: ci si può trasmettere energia a vicenda, se si ha bisogno. Siamo fatti di luce, quindi se la tua luce è flebile io posso aiutarti semplicemente avvicinandomi a te o toccandoti- e così fece. Mi sfiorò il palmo della mano, ma lo guardai confusa perché non sentii nulla di che.
-Beh adesso non ne hai bisogno, la tua luce non è debole, anzi… per avere solo un frammento dentro di te sei anche abbastanza attiva- mi confermò.
Senza accorgermene, mi resi conto che nel frattempo eravamo arrivati al limite di un precipizio. Sotto i nostri piedi c’era solo sabbia, infinite distese di sabbia. Ogni tanto si scorgevano delle rupi, ma in lontananza.
-Buttati- disse a bruciapelo.
-Come, scusa?-
-Devi volare, buttati. Stendi le braccia e vola.-
Mi affacciai ancora oltre il limite del precipizio. Eravamo parecchio in alto. Feci un paio di respiri profondi. Alternavo lo sguardo dalla sabbia sotto i miei piedi agli occhi viola di Vowet, che mi guardava sorridendo fiducioso.
-Dai, Eko, non ho tutta la giornata!-
-Non mettermi fretta per favore, potrei schiantarmi!-
-Ok, ok, hai ragione. Prenditi tutto il tempo che vuoi- mi rispose allora lui, facendo un passo indietro. Lo sentivo fischiettare e passeggiare dietro di me, sentendo i suoi scarponcini affondare nella sabbia.
Ok Ekoful, è arrivato il momento che stavi aspettando. Feci un respiro profondo.
1… 2…
E sentii una leggera spinta sulla schiena, seguita da una piccola risata angelica.
Andai nel panico. Non vedevo altro che sabbia, sabbia e ancora… sabbia. Il vento mi sferzava il viso, riuscivo a tenere gli occhi aperti per miracolo. Stavo precipitando giù. Il mio battito cardiaco iniziò ad aumentare, lanciai un grido d’aiuto. Poi mi ricordai cosa mi aveva detto Vowet poco prima.
Stesi le braccia.
E immediatamente pace. Il vento non mi fischiava più nelle orecchie, bensì mi accarezzava la pelle, le gambe, mi agitava i capelli. Mi sentivo a casa. Il cuore ritornò a battere più lentamente, mentre volavo sulle distese di sabbia. Dei ragazzi in lontananza mi gridarono parole di approvazione e incoraggiamento. Sorrisi felice.
Ce l’ho fatta. Sto volando.
Voltandomi, vidi Vowet che si avvicinava a me sorridendo lasciando una scia dietro di sé. Per quella che mi sembrò un’eternità volammo uno al fianco dell’altra in quel Regno così spoglio ma così meraviglioso. Ogni tanto Vowet faceva qualche piroetta e io tentavo di imitarlo, fallendo miseramente. Il mio mantello non era ancora forte quanto il suo, per il momento riuscivo solo a volare in linea retta e virare.
Scambiandoci battute e ridacchiando, ci posammo entrambi su una roccia abbastanza grossa che vedemmo sotto di noi. Improvvisamente sentii le spalle stanche, un peso, quasi. Mi voltai il più possibile per guardare il mio mantello e mi resi conto che era diventato di un celeste particolarmente spento.
-Mi sento esausta…- dissi più tra me e me che rivolgendomi a Vowet.
-E’ normale, ti stanchi facilmente con un solo frammento.- e così dicendo si avvicinò, mi tocco il braccio e quello che accadde dopo è difficile da descrivere. I miei occhi si incatenarono ai suoi, che divennero di un viola acceso e penetrante. Vowet si fece serio, socchiuse le labbra ed espirò. Mi sentii rinvigorita da quel tocco, riuscivo a sentire lo scambio di energia che stava avvenendo tra i nostri corpi. Particelle minuscole di luce che si moltiplicavano dentro di me grazie al semplice contatto con lui, che in sé per sé era una vera e propria fonte di energia.
Oh mio Dio.
Una volta staccata poi la mano, mi sorrise anche lui e si scostò dalla fronte la ciocca fermata dagli anellini. I suoi occhi ritornarono del solito viola acceso, sì, ma non come poco prima.
-E’ stato fantastico- mormorai –è come se avessimo…-
Vowet scoppiò a ridere divertito.
-E’ stato un momento intimo, lo scambio di luce tra due corpi avviene tutti i giorni con chi vogliamo, ma la prima volta con un'altra persona fonda l’amicizia. Ora siamo connessi, io e te.- mi confermò.
-Sì ma non immaginavo sarebbe stato così… intenso-
-Beh non sono il primo con cui l’hai avuto. Anzi, ieri è stato molto più intimo rispetto ad oggi.- sorrise maliziosamente mentre io lo guardavo confusa, non sapendo a cosa si stesse riferendo.
-Il frammento di Izat- specificò allora lui –l’hai preso tu, ma apparteneva a lui, è come se avessi un pezzo della sua anima dentro di te- finì poi. Ora era tutto chiaro. La sera prima avevo avuto quel contatto con la luce di Izat, seppur minimo, che però mi aveva illuminato sulla ragione per cui io ero lì, sul mio compito in quei mondi.
-Sarà stato anche più intimo, ma oggi è stato diverso- obiettai io, cinicamente. Non sapevo bene cosa stessi provando in quel momento. Forse mi sentivo solo imbarazzata per aver preso qualcosa che non mi apparteneva senza permesso da una persona che conoscevo a malapena e con cui avevo scambiato solo qualche parola.
-E’ stato diverso perché oggi c’è stato un contatto tra me e te- mi confermò ancora una volta Vowet.
-Izat non ti ha toccato il braccio, o viceversa, come invece ho fatto io oggi con te. Ma ti abituerai a questo tipo di sensazioni, anche perché conoscerai altra gente e ti capiterà sicuramente di nuovo, magari non tanto di ricevere, quanto di dare energia. Chissà, magari capiterà anche proprio con Iz, un giorno!- concluse soffocando una risata. Gli rivolsi uno sguardo interrogativo e si grattò la nuca imbarazzato.
-Izat conosce molte persone, ma sono poche le persone con cui scambia energia-
-Come mai?- chiesi prontamente. Ne guadagnai un’alzata di spalle.
-Non so, lo fa con me, con altri suoi amici, lo faceva anche con… un’altra ragazza, ma… diciamo che non si parlano più-
-Cos’è successo?- gli chiesi ancora intimandolo a continuare. Mi sembrò non volerlo fare però, come a non voler mettere piede in affari che non erano i suoi. Era strano, lui e Izat erano molto amici, ma in alcuni momenti Vowet sembrava sottostare alle decisioni dell’altro senza opporre resistenza.
-Ti spiego brevemente cosa è successo, ma per farlo devo parlarti dell’Eden- mi disse infine. Bene, facevamo progressi. Aveva intenzione di raccontarmi. Annuii con calma, provando a nascondere l’adrenalina che mi stava salendo per il sapere di più.
-Per entrare nell’Eden devi oltrepassare il settimo portale, quello più alto che vedi nell’Oasi comune. È un mondo che tutt’oggi divide amicizie, a volte anche… relazioni. Come ti ho già detto, il nostro compito qui è quello di trovare più frammenti possibili e riportarli a colei che è lassù. Per farlo dobbiamo passare per l’Eden, per forza.-
-E dov’è il problema?- lo guardai curiosa. Cosa c’era di male in tutto ciò?
Lui sembrò temporeggiare prendendo il tamburo che portava sulle spalle e passandoci una mano sopra, piano.
-Beh, per ridare la luce dobbiamo… morire. L’Eden è l’ultimo stadio. È il posto più pericoloso tra i sette mondi e quello con più frammenti. Davvero, ce ne sono un’infinità. Ma nessuno riesce a sopravvivere fino alla fine. E una volta morti, rinasciamo. Non fraintendermi, io sarò di nuovo io e tu sarai di nuovo tu- disse incando me e lui rispettivamente.
-Però siamo così tanti in questi mondi che sarebbe impossibile ritrovarsi, poi. E per ricollegarci al discorso iniziale: Izat era… molto legato, diciamo così, a questa ragazza, che però un giorno sentì il bisogno di entrare nell’Eden. Lui non riuscì a farle cambiare idea. Anche qui, non fraintendermi, tutti vogliamo restituire la luce prima o poi, però lei voleva farlo subito-
Ascoltavo rapita il suo racconto, mentre il sole stava tramontando. Eravamo seduti su quella roccia da almeno un’ora e iniziava a fare più freddo, quindi mi coprii con il mantello e iniziai a giocherellare con una ciocca di capelli, continuando a guardare Vowet.
-Il fatto è che forse lei non era ancora forte abbastanza da entrare nell’Eden. È il settimo Regno, non a caso l’ultimo tra tutti quelli che ci sono. E che tu voglia o no, per quanto ti possa impegnare, una volta messo piede lì dentro morirai, se vai fino alla fine. Insomma… lei ci è andata. Izat era distrutto.-
-E lei non è rinata? Non si sono incontrati di nuovo?- chiesi flebilmente io. Era una storia drammatica. Provai tenerezza per Izat, avevo voglia di abbracciarlo ed esprimergli tutto il mio dispiacere.
-Non ancora, lui fa questi orari assurdi in cui vola per ore tra i mondi. Dice che lo fa per cercare altri frammenti, ma secondo me è per ritrovarla. Però, d’altronde, è passato tanto tempo da quando si sono persi- e dicendo così si alzò, tendendomi una mano per aiutarmi a rialzarmi. La presi e ci incamminammo verso l’Oasi comune. Camminammo in silenzio, ognuno perso nei suoi pensieri. Ma volli sapere ancora un po’ di più.
-Voi due non siete mai entrati nell’Eden?-
Vowet rise nervosamente grattandosi la nuca.
-No. Non ancora. Voglio essere più forte di come lo sono ora e in ogni caso mi presenterei al Suo cospetto con troppa poca luce. Izat nemmeno ci è entrato, ma lui è molto più forte di me, è tra i più forti tra noi, sai?- sorrise con uno sguardo di ammirazione profonda. Sorrisi anch’io intenerita da quel gesto, lui ammirava Izat e io ammiravo la loro amicizia.
Eravamo nel frattempo arrivati nel dormitorio, ci saremmo separati di lì a poco perché la mia camera e la sua erano l’una dalla parte opposta dell’altra.
-Posso chiederti un’ultima cosa?- dissi guardandomi i piedi, timorosa di oltrepassare il limite. Vowet annuì.
-Come si chiamava quella ragazza?-
-Oh Dio, Eko! Non dirmi che ora ti ossessionerai con questa storia!- rise dandomi un buffetto sulla spalla e incamminandosi verso la sua ala di dormitorio.
-Si chiamava Afelo, comunque- disse voltandosi appena, facendo tintinnare gli anellini che portava tra i capelli e girando l’angolo del corridoio.

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