Rimpianti e speranze di un Sensei

di Stria93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The day before... ***
Capitolo 2: *** The day after... ***



Capitolo 1
*** The day before... ***


cap 1

The day before...





Kakashi Hatake sedette sul bordo del letto esalando un lento sospiro che gli si riversò fuori dalle labbra come una benedizione dopo quella lunga giornata. Il materasso accolse docile il suo peso, cigolando impercettibilmente.
La luce calda del tramonto che stava calando come un velo dorato sui tetti di Konoha imporporava il cielo e filtrava dalla finestra, rivelando le impalpabili particelle di pulviscolo che fluttuavano senza schema davanti a lui, ora agitate dal flusso d'aria provocato dai suoi movimenti nella stanza.
La schiena curva, le braccia abbandonate inermi sulle gambe con le mani penzoloni, lo sguardo rivolto al labirinto di piccole crepe che si rincorrevano intersecandosi nel pavimento... tutto nel suo modo di sedere su quel letto raccontava di un uomo stanco, scoraggiato.
Non era certo quella l'immagine che il mondo degli shinobi aveva di lui: Kakashi dello Sharingan, il formidabile Ninja-Copia di Konoha, il prodigio che, appena dodicenne, si era guadagnato il titolo di Jonin e che di lì a poco era diventato un eccezionale capitano delle Forze Speciali ANBU, veterano della Terza Grande Guerra.
Il suo nome era rispettato e temuto; sinonimo di talento, valore, e genialità in tutte le cinque Grandi Terre. Ma sulle sue spalle gravava il fardello di un vissuto travagliato segnato da una sequela di eventi tragici che, uno ad uno, avevano concorso a scavare un solco sempre più profondo nella sua anima, inaridendola fino a trasformarla in uno sterile deserto dove l'unica cosa che cresceva era il rovo infestante e velenoso del lutto. Durante il suo ultimo periodo al comando degli ANBU, chi avesse provato a guardare oltre quella corazza di gelida indifferenza, avrebbe scorto solo la triste visione di un giovane uomo che aveva fretta di morire. Una persona intossicata dal rimpianto, che si trascinava giorno dopo giorno alla stregua di un fantasma lungo un infinito sentiero di espiazione privo di una meta, sordo al richiamo di qualunque piacere potesse offrirgli la vita ancora nel pieno della sua primavera.
Il suicidio di suo padre Sakumo aveva messo precocemente fine alla spensieratezza dell'infanzia, sostituita da una maturità non comune per la sua età nonché da una ferrea e quasi ossessiva dedizione verso le regole, tutto ciò affiancato da una ricerca spasmodica della perfezione nelle arti ninja, nelle quali peraltro eccelleva senza alcuna fatica. I suoi superiori e gli abitanti del villaggio si profondevano in lodi ed elogi ammirati rivolti a quel bambino straordinario e così serio che stava rapidamente scalando le vette della rigida gerarchia degli shinobi, sorpassando non solo i suoi coetanei ma perfino guerrieri adulti, forti di molti anni di esperienza. Nel giro di un lustro, Kakashi aveva collezionato una folta serie di successi, bruciando traguardi su traguardi fino alla promozione a Jonin a soli dodici anni.
L'uomo stirò la bocca in un sorriso amaro ripensando al ragazzino borioso che era stato a quel tempo. Fin troppo consapevole delle sue doti, non aveva mai tenuto in gran considerazione i sentimenti di amicizia, solidarietà e fiducia reciproca che univano i compagni di una stessa squadra; la missione aveva la priorità su tutto, sempre. Se in un frangente si fosse reso necessario sacrificare la vita di un membro del suo team per evitare di compromettere il successo della missione, non avrebbe esitato un secondo. Avrebbe fatto ciò che doveva; nientemeno di ciò che ci si aspettava da un vero shinobi.
Per quanto gli avesse voluto bene, aveva giurato a se stesso che non sarebbe finito come suo padre Sakumo, il quale aveva scelto di mettere al primo posto la sorte dei propri compagni decretando così il fallimento della missione della quale era stato messo a capo: un gesto altruistico in apparenza nobile ma che si scontrava con le dure leggi sulle quali si reggevano le fondamenta dell'intero sistema ninja e che gli era valso il biasimo di tutto il villaggio finché, disonorato e caduto in disgrazia, aveva scelto di farla finita piuttosto che continuare a vivere nella vergogna.
Kakashi aveva eletto il rigoroso rispetto delle leggi a vera e propria filosofia di vita. Ma la sua visione delle cose era mutata radicalmente grazie a Obito.
Nel nostro mondo chi infrange le regole viene considerato feccia di bassa lega. Ma chi abbandona i propri compagni al loro destino è anche peggio della feccia.
Non aveva mai dimenticato quelle parole che l'avevano colpito con la violenza di uno schiaffo in pieno volto. Dal giorno in cui l'amico aveva dato la sua vita per proteggere lui e Rin le aveva fatte sue, ripetendosele come un mantra, custodendole nel tempio del proprio cuore come una formula ammantata di sacralità.
Prima di morire, Obito gli aveva fatto dono del suo occhio sinistro e del potere che vi era contenuto, ma c'era di più: era come se insieme all'abilità oculare dello Sharingan fosse stato trapiantato in Kakashi anche il modo in cui l'amico guardava la realtà intorno a sé. E allora il paradigma secondo il quale aveva impostato la sua esistenza fino a quel momento si era capovolto al punto che il comportamento di Sakumo aveva lentamente iniziato ad acquistare un senso e la disapprovazione del figlio nei confronti del padre era mutata in orgoglio.
Quel triste giorno, mentre le lacrime di Kakashi cadevano sul suo viso per metà sepolto dalle rocce, Obito gli aveva rivolto una sola richiesta. Prenditi cura di Rin.
Ci aveva provato. Kakashi si era davvero impegnato con tutte le sue forze per mantenere la promessa fatta all'amico morente... eppure non era bastato. Non solo Rin Nohara era morta ma, per una crudele ironia della sorte, era stata proprio la sua mano a squarciare il petto della ragazza con il Chidori.
Per mesi ogni notte aveva rivissuto in sogno lo strazio di quegli istanti. Gli occhi sbarrati e colmi di orrore della sua compagna lo perseguitavano ogni volta che, sfinito dalla stanchezza e dal tormento, osava abbandonarsi al sonno; il flebile rantolo della sua voce spezzata mentre, ormai senza fiato, articolava stentatamente le tre sillabe del suo nome prima di spirare gli rimbombava nelle orecchie come amplificato di cento volte insieme allo sfrigolio del fascio di fulmini prodotto dal suo stesso attacco. Riusciva ancora a sentire il calore del suo sangue vischioso che gli colava lungo il braccio e gocciolava ai suoi piedi formando una pozza densa e scura che si allargava sempre di più sotto di lui, come a volerlo inghiottire. L'odore acre di carne bruciata e l'effluvio dolciastro e ferroso che emanava dal terreno intriso di sangue e dal corpo straziato della ragazza pervadevano l'aria e gli saturavano le narici, lasciandolo nauseato anche per diverse ore dopo il risveglio.
Non importava quanto a lungo strofinasse le sue mani sotto il getto d'acqua del lavandino: il rosso cremisi del sangue di Rin non se ne andava mai. Era sempre lì a ricordargli la sua colpa, la sua promessa infranta, l'ennesima persona che non era stato in grado di salvare. Aveva oltrepassato l'epidermide, insediandosi sottopelle come un marchio d'infamia che era divenuto parte di lui e gli aveva fatto guadagnare un nuovo epiteto: Kakashi l'Ammazza-Compagni.
Era occorso molto tempo perché riuscisse a superare il trauma e trovasse il coraggio di tornare ad adoperare il Chidori. Se non fosse stato per Minato, che una volta nominato Hokage aveva avuto l'acume e la lungimiranza di proporre al suo allievo di unirsi alle Forze Speciali, forse non sarebbe mai riuscito a riprendersi.
Ma alla fine, dodici anni prima, quella maledetta notte del 10 ottobre in cui la Volpe a Nove Code si era liberata e aveva attaccato il villaggio, il fato inclemente si era portato via anche il suo maestro.
Da allora Kakashi non aveva mai smesso di servire Konoha al meglio delle sue capacità come capitano della Squadra Speciale, ma si era allontanato dagli affetti, estraniandosi dalla vita collettiva, fermamente deciso a negarsi qualsiasi possibilità di tornare a sperare nel futuro e di redimersi. Si era chiuso in se stesso, divenendo facile preda dell'oscurità vampirica che albergava in lui, dalla quale veniva divorato pezzo a pezzo, consumato. La volontà di opporre resistenza a quel processo inesorabile era ormai svanita e il Jonin si lasciava docilmente sprofondare nel suo inferno privato quasi fosse sotto l'effetto di un anestetico. Avanzava alla cieca come un automa: senza scopo, senza direzione, limitandosi a portare a termine una missione dopo l'altra.
La feroce tirannia dei ricordi non si era placata ma la presenza costante degli spettri del passato gli era ormai diventata famigliare, come se l'abitudine al dolore l'avesse reso meno acuto. Sofferenza e rimpianto erano divenuti suoi inseparabili compagni, senza i quali Kakashi si sarebbe sentito mancare della sua stessa essenza. E quasi senza accorgersene, aveva finito per affezionarsi a quel tormento onnipresente, a ritrovarsi incapace di lasciarlo andare, alimentandolo sempre di più. Perché era giusto così. Era la condanna che doveva scontare per essersi dimostrato incapace di proteggere coloro a cui teneva di più. Per essere ancora vivo, mentre loro erano morti.
Tuttavia, dopo dieci anni di militanza negli ANBU, il Terzo Hokage lo aveva infine dispensato dal suo incarico, ritenendo che quell'ambiente non fosse più compatibile con le sue condizioni psicologiche e delegandogli la supervisione dei giovani diplomati all'accademia, sebbene Kakashi stentasse a riconoscersi pienamente in quel ruolo.
Non che avesse mai avuto davvero l'opportunità di mettersi alla prova come Sensei: il suo esame preliminare si era sempre concluso a sfavore dei suoi aspiranti allievi, che erano stati prontamente rispediti in accademia senza tanti complimenti. Mai nessuno era stato promosso al grado di Genin.
E ora ci risiamo. Pensò Kakashi, lasciandosi sfuggire un altro sospiro. Il Terzo Hokage l'aveva informato che tre neodiplomati erano stati selezionati per far parte della nuova Squadra 7.
Doveva ammettere con se stesso che questa volta le circostanze rendevano la faccenda più intrigante del solito: si sarebbe ritrovato a fare da guida al figlio orfano del Maestro Minato, il Jinchuuriki della Volpe, e all'unico sopravvissuto allo sterminio degli Uchiha... sempre che, naturalmente, quei ragazzi si fossero dimostrati all'altezza della sua “esercitazione di sopravvivenza”, eventualità tutt'altro che scontata.
Non si faceva troppe illusioni a riguardo. Aveva già assistito a quello scenario desolante negli anni precedenti: un trio di teppistelli arroganti che pensavano di potersi considerare ninja in virtù del fatto che era stato concesso loro di indossare il coprifronte della Foglia. Ormai conosceva il tipo: a quei bambocci spocchiosi interessava unicamente prevalere gli uni sugli altri, dimostrare di essere migliori dei propri compagni, talvolta arrivando perfino a scontrarsi tra loro per decretare chi fosse meritevole di divenire suo allievo. E quand'anche la prima parte della prova non si fosse risolta in un esito così disastroso, nessuna squadra era poi stata in grado di superare il trabocchetto del secondo test, notevolmente più insidioso.
Non era affatto sicuro che le cose si sarebbero concluse diversamente. Aveva trascorso la mattinata a spiare di nascosto i tre che gli erano stati affidati, cercando di farsi una prima idea delle loro personalità e del modo in cui interagivano per capire rispettivi punti di forza e di debolezza. Al momento di presentarsi a loro era stato accolto da quello scherzo idiota del cancellino sulla porta e gli era bastata un'occhiata per ottenere la conferma di ciò che già aveva dedotto dalla sua indagine in incognito: quei tre ragazzini erano tutto fuorché una squadra. Ciascuno era concentrato solo su se stesso e sulle proprie mire egoistiche, del tutto disinteressato a fare fronte comune.
Durante il giro di presentazioni aveva notato l'esuberanza dello scapestrato Naruto, maldestro, impulsivo, immaturo e alla costante ricerca di attenzioni; l'atteggiamento civettuolo e puerile di Sakura, tutta presa dalle sue fantasie romantiche nei confronti di Sasuke; e poi c'era la fredda supponenza del giovane Uchiha, interessato unicamente a vendicare il suo clan e a diventare abbastanza forte da uccidere il fratello maggiore.
Si trattava indubbiamente di tre soggetti che avevano ben poco da spartire, per non parlare della differenza abissale che poneva Naruto e Sasuke letteralmente agli antipodi. Riuscire a farne un vero team sarebbe stata un'impresa alquanto ardua.
Kakashi sollevò lo sguardo sulla fotografia un po' scolorita che ritraeva la sua vecchia squadra e si permise un sorriso nostalgico. Ma del resto, anche noi eravamo così, all'inizio.
Forse, dopotutto, quella poteva essere la volta buona. Chi poteva dirlo!
L'indomani li avrebbe messi alla prova e solo a quel punto avrebbe capito se quei tre si sarebbero rivelati l'ennesimo fallimento o piuttosto una preziosa opportunità di tramandare l'eredità del Quarto Hokage e di Obito a una nuova generazione di shinobi.
Il Terzo Hokage gli aveva assegnato quel compito e Kakashi avrebbe fatto il suo dovere, come sempre... ma alle sue condizioni. Non gli importava che gli altri lo considerassero troppo duro con le nuove reclute fresche di diploma, né che i maestri dell'accademia scuotessero la testa ogni volta che gli aspiranti Genin sottoposti al suo giudizio facevano ritorno in aula delusi e imbronciati: non avrebbe mai permesso che qualcuno incapace di collaborare con i propri compagni e di comprendere l'importanza dello spirito di squadra diventasse shinobi. Mai.
In quell'istante, un refolo di vento tiepido soffiò attraverso la finestra, sfiorando in una carezza gentile i capelli argentati dell'uomo e lambendo la coppia di campanellini appesi al muro. Un dolce tintinnio si levò alle spalle di Kakashi, come in risposta al pensiero appena formulato dal Jonin.




Spazio Autrice


Kon'nichiwa! :)
Vi rubo giusto altri due secondi. Innanzitutto voglio ringraziare chiunque abbia aperto questa storia e speso un po' del suo tempo per leggere. Non scrivevo da un bel po' e questo è solo il mio secondo lavoro nel fandom. Sinceramente non sono convintissima del risultato, ma è il meglio che sono riuscita a fare. Sono apertissima a suggerimenti e critiche costruttive.
Al prossimo e ultimo capitolo di questa mini-storia introspettiva (che, vi prometto, sarà un pochino meno angst).
Domo arigato!


P.S. Un ringraziamento speciale a Menade Danzante, senza la quale probabilmente questa storia non avrebbe mai visto la luce.
Grazie Menade del mio cuore!


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Capitolo 2
*** The day after... ***


cap.2

The day after...




Morning





Kakashi sollevò la palpebra destra un minuto prima che la sveglia iniziasse a trillare. In realtà non ne aveva mai avuto bisogno: il suo orologio interno era sempre perfettamente puntuale... che poi lui decidesse deliberatamente di arrivare in ritardo agli appuntamenti era un altro paio di maniche.
Allungò un braccio dietro di sé e afferrò il piccolo congegno, disinnescando il meccanismo che entro una manciata di secondi l'avrebbe azionato. Le lancette, che dividevano il quadrante in due perfette metà, indicavano le 6 in punto.
Il Jonin rimise la sveglia al suo posto e si stiracchiò, ridacchiando all'idea dei suoi tre esaminandi che dovevano già trovarsi al campo di addestramento ad attenderlo da almeno un'ora, rigorosamente a stomaco vuoto, come si era premurato di raccomandare loro prima di congedarsi.
Scostò le coperte e si alzò dal letto, gettando un'occhiata alla finestra. Il chiarore e le tinte pastello del cielo sereno e sgombro da nubi promettevano una bella giornata di sole. L'uomo aprì le ante e inalò la brezza del primo mattino: l'alba portava con sé il profumo delicato di muschio e resina e la freschezza fragrante dell'umidità notturna si condensava in lingue di foschia che serpeggiavano tra le vie del villaggio. Sì, si prospettava davvero una splendida giornata.
Ma quelle condizioni climatiche favorevoli non avrebbero certo facilitato le cose a quei tre, e lui non aveva alcuna intenzione di andarci piano solo perché si sarebbe trovato davanti dei ragazzini inesperti. D'altra parte, una delle qualità imprescindibili per uno shinobi era la determinazione; la perseveranza che spingeva a non soccombere anche dinanzi alle situazioni più difficili.
Kakashi si fece una doccia e gustò una colazione leggera, dopodiché si preparò per raggiungere i ragazzi al luogo dove sarebbe avvenuta la prova.
Quando rimosse i due campanellini dal muro scoccò uno sguardo alla fotografia accanto alla finestra. Obito, Rin, Maestro. Oggi sarà finalmente la volta buona? Posso permettermi il lusso di sperare?
I volti sorridenti di Rin e Minato sembravano comunicargli un invito ad essere fiducioso, mentre l'espressione ostinata di Obito pareva indirizzargli un messaggio lievemente diverso: forse non sarebbe stato facile e poteva darsi che, ad una prima impressione, Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha e Sakura Haruno fossero del tutto inadatti a diventare Genin e a far parte di un team. I primi due, in particolare, erano diversi quanto il giorno e la notte e Kakashi era perfettamente conscio del fatto che non si potessero soffrire. Ma nonostante l'astio che in principio intercorreva anche fra loro, alla fine Obito si era dimostrato il compagno e l'amico più leale che potesse immaginare e Kakashi sapeva che, se fosse stato vivo, avrebbe pienamente appoggiato il suo metodo di selezione dei giovani Genin. In fondo, stava applicando ciò che Obito stesso gli aveva insegnato.




Evening




Kakashi entrò nella stanza sfilandosi la giacca dell'uniforme e appendendo una busta di carta allo schienale della sedia , poi si gettò sul letto a pancia in su, sistemando un braccio dietro la testa per maggiore comodità. Sotto la maschera si sarebbe potuta intravedere l'ombra di un sorriso e il suo occhio destro brillava di una luce che sembrava scomparsa da parecchi anni. Intorno a quell'iride grigia aveva ripreso a vibrare qualcosa di simile ad uno slancio vitale.
Ce l'avevano fatta. Avevano superato la prova!
L'uomo trasse dalla tasca i due campanellini e prese a rigirarseli tra le dita, facendoli tintinnare. Non si aspettava certo che i ragazzi riuscissero a sottrarglieli come richiesto dalla consegna che aveva fornito (anche se doveva ammettere di aver sottovalutato il giovane Uchiha) ma l'esame non era stato proposto allo scopo di capire chi tra loro fosse lo shinobi migliore. Il fine era testare la loro capacità di fare gioco di squadra e unire le forze per raggiungere l'obiettivo comune, e in quella prima parte della prova tutti e tre avevano fallito miseramente. Ma sperare che Naruto, Sasuke e Sakura decidessero spontaneamente di lavorare insieme fin dall'inizio sarebbe stato ottimistico al limite dell'ingenuità. Sapeva fin dal principio che sarebbe stato necessario il suo intervento per far comprendere loro l'importanza del lavoro di squadra.
Aveva parlato ai ragazzi del valore della collaborazione, della fiducia, dello spirito di sacrificio che doveva accomunare i membri di un team e dell'imprescindibilità dell'aiuto reciproco. Aveva cercato di infondere alle sue parole quanta più passione riuscisse a richiamare e alla fine, quando si era sentito piuttosto sicuro che il messaggio fosse stato recepito da tutti, aveva lanciato l'esca, concedendo ai ragazzi una seconda chance di superare il test nel pomeriggio e il permesso di pranzare per recuperare le forze ma mettendo bene in chiaro che passare anche solo un singolo boccone a Naruto, in punizione per aver tentato di rubare i bentō, avrebbe comportato la squalifica immediata di tutto il trio.
Una volta definita quella condizione si era dileguato tra gli alberi, ben nascosto agli occhi dei ragazzi ma abbastanza vicino da poterli osservare. Quello era il momento della verità: in base alla scelta che avrebbero compiuto, Kakashi avrebbe stabilito se promuoverli a Genin e accettarli come suoi allievi o bocciarli e rimandarli all'accademia.
Non osava concedere troppo margine alla speranza. Le probabilità che Sasuke e Sakura disobbedissero alle sue regole e condividessero i loro bentō con Naruto erano notevolmente basse, inoltre il profilo che aveva tracciato di quei due ragazzini non collimava affatto con la predisposizione a contravvenire a un divieto imposto da un superiore. Erano entrambi studenti modello, primi della classe, portati in palmo di mano dai maestri, massimo dei voti in quasi tutte le discipline: quanto ci si poteva aspettare che rischiassero la bocciatura per il bene di quella testa quadra del loro compagno?
Si sentiva un po' ipocrita, in verità. Aveva speso tante belle parole riguardanti la fiducia tra compagni e adesso era il primo a dubitare del loro successo. I suoi amici e il suo maestro avevano creduto in lui all'epoca, quando gli era stata affidata la sua prima missione in qualità di Jonin in capo e anche se alla fine li aveva delusi, questo non sminuiva il valore della fede che essi avevano riposto in lui. Ciononostante, Kakashi si sentiva comunque restio a scommettere sull'esito positivo di quella giornata. Temeva che lasciarsi trasportare troppo in alto dalle fragili ali dell'ottimismo avrebbe reso l'impatto della rovinosa caduta al suolo delle sue illusioni ancora più devastante.
Obito, Rin, Maestro. Sto forse sbagliando tutto? Dovrei credere in loro così come voi avete creduto in me?
E a cosa era valsa quella fiducia? Ne era stato degno? Era stato in grado di proteggere le persone care nel momento del pericolo?
La risposta a quelle domande era incisa sul monumento ai Caduti in missione, eretto proprio in quello stesso campo di addestramento, e su una pietra tombale del cimitero di Konoha.
Kakashi si era lasciato andare contro il tronco dell'albero dietro di lui, avvertendo la ben nota sensazione di sconfitta e impotenza che lo coglieva ogniqualvolta rievocava le sue mancanze nei confronti degli amici. Se solo non fosse stato così cieco... Se solo avesse capito prima... Se solo avesse agito diversamente...
Ma a un tratto, la penosa catena di tutti quei “se solo” era stata interrotta dalla voce di Sasuke: “Su, prendine un po'” e Kakashi aveva creduto che le sue orecchie lo stessero ingannando. Forse si era trattato solo di uno scherzo del vento che frusciando tra le foglie e mescolandosi ai suoi pensieri gli aveva fatto immaginare di aver udito quelle parole. Ma quando si era voltato per sincerarsene aveva visto molto chiaramente Sakura e Sasuke allungare bocconi del loro pasto a Naruto, che mangiava con gratitudine. Kakashi aveva trattenuto il respiro e si era sentito colmare di una gioia incredula. Stava succedendo davvero!
Spinto da quell'impulso, si era arrischiato a sporgersi un po' di più oltre il suo nascondiglio e aveva sollevato il coprifronte che teneva sempre calato sull'occhio sinistro, quasi volesse accertarsi tramite lo Sharingan dell'evento eccezionale che si stava svolgendo davanti a lui.
Obito, li hai visti?
E in quel momento gli era parso di sentire le voci dei vecchi compagni e del Maestro Minato che sussurravano il suo nome e tre paia di mani che premevano gentilmente ma con decisione sulla sua schiena, spingendolo a uscire allo scoperto e a raggiungere il trio.
Era stato difficile piombare sui ragazzi come una furia e fingere di essere adirato con loro per aver infranto la consegna quando tutto il suo animo era in preda a un'euforia commossa che lo induceva a scoppiare in una risata liberatoria.
- Vi avevo avvertiti! Sapevate cosa sarebbe successo se non aveste rispettato le mie regole! Avete qualcosa da dire a vostra discolpa? -
Naruto, Sasuke e Sakura erano impalliditi nel trovarsi di fronte il Jonin con quell'aria più minacciosa che mai e ovviamente non avevano fatto caso al sorriso trattenuto a fatica che premeva per affiorare alle sue labbra o al guizzo di orgoglio e soddisfazione che luccicava in un punto imprecisato del suo occhio.
Tuttavia, sebbene impietriti dallo spavento, quei tre avevano trovato la forza e il coraggio per replicare e difendere il loro gesto, ricordandogli come fosse stato proprio lui a invitarli ad unire le forze e ad agire come una squadra piuttosto che individualmente. Avevano sostenuto il suo sguardo con fermezza, pronti ad affrontare la sua collera, insieme.
E allora quella facciata di sdegno si era dissolta e Kakashi aveva potuto finalmente dare voce alla frase che ormai disperava di poter pronunciare: - Siete promossi! -
La voglia di scoppiare a ridere aveva preso ancora più spazio davanti alle espressioni allibite e confuse dei suoi allievi, che lo guardavano come se il loro maestro fosse impazzito... o viceversa.
Kakashi si crogiolò in quel ricordo, accarezzandone la superficie come se temesse di mandarlo in frantumi se vi si fosse soffermato troppo. Una parte di lui, ancora imbrigliata dalla pessimistica rassegnazione nella quale aveva vissuto gli ultimi anni, lo tratteneva dall'esultare; eppure era tutto vero. Non si era trattato di un sogno o un'illusione: era perfettamente sveglio, come gli comunicava il metallo fresco dei campanelli che si stava pian piano scaldando a contatto con le sue mani.
Il tempo della sua vita aveva infine ricominciato a scorrere; il sangue gli pompava nelle vene con maggior vigore, la cortina di nebbia grigia che aveva oppresso la sua mente così a lungo si stava diradando e le catene di piombo che avvolgevano il suo cuore avevano allentato la morsa, ritraendosi in favore di una ritrovata scintilla di speranza, da troppo sopita.
Kakashi espirò lentamente, assaporando quel tumulto di sensazioni vivificanti, poi si alzò dal letto e riappese al muro il laccio con i due campanelli, che tintinnarono un'ultima volta prima di tacere.
Trattenendo il fiato, immerse la mano nella busta che aveva appeso allo schienale della sedia, estraendone l'oggetto che vi era contenuto: si trattava di una semplice cornice in legno all'interno della quale era stata inserita una fotografia dai colori brillanti, scattata poche ore prima. L'immagine ritraeva la formazione della neonata Squadra 7: Sakura sorrideva in primo piano tra Naruto e Sasuke che si guardavano in cagnesco l'un l'altro mentre un soddisfatto Kakashi torreggiava dietro di loro con le mani posate sulle teste dei due ragazzi nel tentativo di fare da paciere e di convincerli a guardare verso l'obbiettivo della macchina fotografica.
Il Jonin sistemò la cornice accanto a quella già presente sulla mensola dietro il letto e il profilo del sorriso nascosto sotto la maschera si fece ancora più marcato: eccole lì, la vecchia e la nuova Squadra 7. Da una parte il passato, ormai scritto nero su bianco e immutabile; dall'altra la pagina bianca del presente che recava in sé il seme del futuro e tutto l'infinito potenziale dell'avvenire. A vederle vicine, chiunque avrebbe potuto notare delle evidenti somiglianze; ma ora il ragazzino che nella prima foto esibiva un atteggiamento annoiato, al limite dell'insofferenza, era l'entusiasta Sensei che posava insieme ai suoi allievi nella seconda.
No, non i suoi allievi. I suoi nuovi compagni. E questa volta non avrebbe fallito. Questa volta li avrebbe protetti ad ogni costo, in qualunque circostanza. Non avrebbe permesso a nessuno di far loro del male. Non avrebbe lasciato che le tragedie del passato si ripetessero.
Sapeva di non essere stato un buon compagno per i suoi amici, ma forse ora gli si presentava l'occasione di essere un buon Sensei per la nuova generazione e di riscattare gli sbagli commessi. Forse il destino gli stava aprendo una nuova strada per proseguire il suo cammino di espiazione.
Sì, quella che gli si stava offrendo era una possibilità insperata di fare ammenda per tutte le volte in cui aveva deluso le persone a cui teneva e rendere migliore il futuro di Konoha.
Kakashi decise che avrebbe fatto di tutto per non sprecarla. Lo doveva a suo padre, a Obito, a Rin, al Maestro Minato, e anche a se stesso.



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