Feel it again

di _Pulse_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Anno 2029 ***
Capitolo 2: *** Sovversivi ***
Capitolo 3: *** Teorie ***
Capitolo 4: *** Babysitter ***
Capitolo 5: *** Visite sgradite ***
Capitolo 6: *** Non te ne andare ***
Capitolo 7: *** La lettera ***
Capitolo 8: *** Te lo prometto ***
Capitolo 9: *** Rua ***
Capitolo 10: *** Complicazioni ***
Capitolo 11: *** Speranza ***
Capitolo 12: *** Liberazione ***
Capitolo 13: *** La fine della guerra ***
Capitolo 14: *** Ricominciare ***



Capitolo 1
*** Anno 2029 ***


Nota: Eccomi qui con una nuova ff che spero vi piacerà. È molto… strana, direi. Perché l’ispirazione è nata ascoltando una canzone dei Green Day che parla della guerra. E con questo ho detto tutto. Spero che a qualche pazzo piacerà XD Grazie mille in anticipo, seguitela in tanti e ogni tanto recensite, mi raccomando!
Ringrazio tutti quelli che, assiduamente, seguono le mie ff e mi riempiono il cuore di gioia. Un bacio, _Pulse_
I Tokio Hotel non sono di mia proprietà e questo mio scritto è senza alcuno scopo di lucro.

PS: La canzone che ho usato come intro è Fade away, di Celine Dion, ed è un po’ la colonna sonora di questa storia. Veramente magnifica!

 

***

 

 I know that one day I'll find it
Feel it again
But until I do, I'll do it
Fine by myself

Once touched by pain
You're not the same
But time can heal your heart again
So let the clouds that bring you down
You know that

A quarant’anni appena compiuti dovrei avere una vita normale, dico io. Se non normale almeno una vita, ma non ho nemmeno quella. Nessuno di noi ha una vita, qui, se proprio devo essere sincero. Ma perché dovrei? Siamo in guerra, no? E tutto è lecito in guerra.

Fa un freddo cane, ma non mi lamento visto che siamo ancora vivi e, soprattutto, insieme.

«Auguri ragazzi», disse flebilmente Gustav, stretto come noi nel suo cappotto sgualcito, il cappellino calato pesantemente sul viso.

«Già, benvenuti negli anta», ridacchiò Georg per poi concedere spazio a qualche colpo di tosse.

«Auguri Bill», sussurrai.

«Auguri Tom.»

Questa è la nostra vita ora, una vita di stenti, di nascondigli e di illegalità.

Oh certo, tutto questo non sarebbe successo se non fosse salito al potere Rua, imponendo la dittatura su quasi mezzo mondo. Siamo in piena guerra, e fa freddo.

Sono passati vent’anni, è il 2029, io ho appena compiuto quarant’anni con il mio fratello gemello Bill e da artisti famosi in quello stesso mezzo mondo siamo diventati dei fuggiaschi.

Una volta vedevamo i nostri poster appesi dappertutto, e ne eravamo felici ed orgogliosi. Ora vediamo le nostre foto appese ai muri grigi di questa città in rovina con sotto scritto “Wanted”, “Ricercati”, proprio come per i banditi del Far West. Pazzesco.

Quel pazzo di Rua ha messo una taglia su di noi, diecimila euro, vivi o morti. A me sembra un po’ poco per quattro ragazzi del nostro calibro, ma non importa.

Il perché è molto semplice: perché suoniamo, perché siamo una band, perché eravamo e siamo tutt’ora i Tokio Hotel.

Ricordo ancora i nostri momenti memorabili, quelli di vent’anni fa, quando ancora non c’era tutto questo casino, quando non c’era questa inutile guerra, quando non c’era quel demonio al potere.

Eravamo felici, avevamo la nostra vita, una carriera splendente di fronte a noi, e invece…

«Ricercati, puah», sbuffai sfregandomi le mani.

«Chi se lo sarebbe mai immaginato, eh?», disse Bill, anche lui il volto coperto dalla visiera del cappellino e dalla sciarpa nera che teneva sul collo e la bocca, sdraiato su un vecchio divano logoro.

«Io ho votato contro Rua», disse Georg.

«Amico, è vent’anni che lo dici, e sono vent’anni che ti diciamo che quando c’era da votare noi non l’abbiamo fatto», disse Gustav.

«Non sarebbe cambiato nulla comunque, anche se avessimo votato contro», dissi. «Rua ha riempito tutti di belle parole e poi ha fatto tutto il contrario: voleva unificare il paese, lui! Sì, nelle sue mani.»

«E il bello è che non ci hai mai capito nulla di politica», rise Bill, seppure pianissimo.

Ormai eravamo abituati a sussurrare e a ridere sono quando non ce la facevamo più a trattenerci per non farci scoprire e dover fuggire in cerca di un nuovo nascondiglio, ma quella sera dovevamo festeggiare il nostro compleanno, quindi ci era concesso un po’ di svago.

«E il bello è che hai ragione», sorrisi.

Eravamo chiusi lì dentro da un po’, l’atmosfera si faceva sempre più tesa, i nostri nervi erano sempre tesi in quel periodo. Non potevamo fidarci di nessuno, e la cosa era abbastanza semplice visto che nessuno si fidava di noi e tutti tentavano di catturarci per consegnarci al dittatore per ricevere diecimila insulsi euro.

Una vita non si paga, ma la dittatura è pesante da sopportare, noi lo sappiamo bene, e anche l’impossibile diventa possibile se c’è un pazzo come sovrano.

Sentii un rumore che mi distrasse dalle mie riflessioni, la luce del garage impolverato in cui ci eravamo intrufolati senza chiedere il permesso al proprietario, ovviamente, si accese accecandoci e la serranda quasi arrugginita si alzò pian piano.

Eravamo pronti a scattare e a scappare via, Bill che si definiva il più agile però inciampò e cadde a terra, io la raggiunsi e lo tirai su per un braccio.

Appena la serranda si aprì fino a metà busto uscimmo di sorpresa e colpimmo alle spalle l’uomo di cui era il garage.

«Non si ricorderà niente», ci assicurò Georg, ma dovevamo subito trovare un altro nascondiglio. E avevamo anche lasciato tutte le poche provviste che avevamo all’interno del garage per la fretta di non essere scoperti.

«Fermo, non ti muovere, non c’è tempo», dissi a Bill che già stava andando a recuperarle.

«Ma Tom, come faremo?!»

«Ci arrangeremo, come abbiamo sempre fatto. Non ti preoccupare.»

«Andiamo, dobbiamo sbrigarci.»

Era buio pesto, e questo sicuramente ci aiutava a renderci invisibili in quella notte in cui, ancora una volta, eravamo costretti a lasciare tutto per salvarci la pelle.

Da quando era salito Rua al potere c’erano stati molti cambiamenti, tutti l’uno peggio dell’altro. Mi stupiva di come la popolazione poteva aver creduto ad un uomo crudele come quello, e soprattutto di come non si fosse ancora ribellata.

Ci muovevamo silenziosi, non c’era anima viva in giro, tutti erano rinchiusi nelle proprie case perché dalle sei del pomeriggio alle sei di mattina c’era il coprifuoco, ma anche le guardie dell’esercito quella notte sembravano essere sparite.

Era tutto fin troppo tranquillo per essere al sicuro, sentivo uno strano presentimento.

Pochi istanti dopo, una volta entrati in un vicolo buio e stretto per riprendere fiato, Bill cadde di nuovo a terra finendo fra la spazzatura.

«Che compleanno di merda!», sussurrò adirato, cercando di alzarsi in piedi.

Eravamo tutti cambiati in quei vent’anni, ma non avevamo mai smesso di credere nei nostri sogni, e sapevamo che un giorno saremmo ritornati in pista a suonare e a far divertire la gente, nonostante i nostri strumenti fossero stati bruciati di fronte ai nostri occhi per violazione del Decreto n. 1189: Vietato ogni tipo di svago pubblico o riservato ad un pubblico.

Per questo più di ogni altra cosa noi lottavamo, perché bruciare i nostri strumenti era stato come bruciare i nostri sogni. E non l’avremmo mai permesso.

Gustav era dimagrito molto, Georg aveva una lunga barba incolta, come la mia, Bill non si truccava, non si laccava né tingeva i capelli, diventati ormai biondo scuro naturale, e non si metteva lo smalto da ormai vent’anni, e aveva un aspetto più maturo. Ma dentro eravamo sempre i soliti ragazzi, anche se invecchiati di vent’anni, con una grande voglia di riscattarci e di dimostrarci ancora una volta padroni del nostro destino e della nostra vita.  

Scivolammo sulle pareti e ci strinsimo tutti le gambe al petto, per ridurre anche un minimo quel freddo che ci entrava fin dentro le ossa.

«Ragazzi, è tutto troppo tranquillo per i miei gusti stanotte», sussurrai, gli altri non fecero nemmeno in tempo ad annuire che si sentì uno sparo, poi un altro.

«Lo sapevo io!»

Ci alzammo e iniziammo a correre lungo il vicolo, seguiti da quattro guardie dai vestiti neri e pistole in mano.

Un proiettile mi sfiorò la spalla, facendomi sanguinare, ma non feci niente, non dissi niente, continuai solo a correre, perché se avessi fatto il contrario avrei fatto rallentare tutti, soprattutto Bill, e non volevo che finisse in mezzo a causa mia.

Il bruciore era forte, forse non mi aveva sfiorato e basta, ma stringendo i denti riuscii a stare al passo degli altri e seminammo le guardie, nascondendoci in una vecchia casa che da fuori sembrava disabitata.

Non avevamo nemmeno pensato che dentro ci potesse essere qualcuno pronto a catturarci e a consegnarci a Rua, dovevamo salvarci e quello era l’unico rifugio sicuro che avevamo trovato.

«Tom, ma che hai fatto alla spalla?», chiese Bill preoccupato con il fiatone, al buio, stando in quella che sembrava una piccola cucina con al centro un tavolo di legno.

Stranamente però non c’era odore di polvere, di vecchio, di disabitato, c’era odore di… lavanda, possibile? Forse stavo solo delirando a causa dell’eccessiva perdita di sangue. Era più grave di quanto credessi.

Una porta cigolò e restammo tutti in silenzio, immobili, spaventati.

Quella notte non era proprio delle migliori per noi, e menomale che era il nostro compleanno.

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Capitolo 2
*** Sovversivi ***


L’aria si congelò, i nostri respiri si mozzarono, pure il tempo in quell’immobilità sembrò fermarsi.

Dalla porta che divideva quella stanza ad un’altra apparve una gracile figura, i capelli castani lunghi scompigliati, il viso dolce e delicato, con addosso una camicia da notte bianca.

«E voi chi siete? Che ci fate in casa mia?»

«Una domanda alla volta. Non sapevamo che questa casa era abitata, ci dispiace molto», sussurrai senza fiato.

Gli occhi mi si chiudevano, erano pesanti e a malapena mi reggevo in piedi. Un minuto dopo mi trovai steso sul divano e il sonno mi travolse.

 # # #

Era l’alba, la luce del sole mi sfiorava il viso, mentre sentivo il rumore dell’acqua che bolliva e il profumo del caffè in polvere.

La spalla mi faceva ancora male, ma il bruciore si era attenuato e quando me ne resi conto sospirai sollevato, perché sicuramente nella nostra situazione non avremmo mai potuto andare in un ospedale.

Mi ricordai della sera precedente, mi chiesi che fine avevano fatto Bill, Georg e Gustav, e anche chi fosse quella ragazza.

Alzai la testa per guardarmi intorno e vidi proprio lei ai fornelli, che toglieva l’acqua dal fuoco e la versava in due tazze.

Ora, con la luce, potei osservarla meglio e mi accorsi che era proprio bella, con i capelli lunghi fino a metà della schiena, il viso chiaro e gli occhi color cioccolato. Indossava un paio di jeans strappati sulle ginocchia e una maglioncino nero semplice, come tutto il quella casa.

«Ti sei svegliato, finalmente», disse sorridendo, senza girarsi verso di me, lo fece soltanto quando mi porse una delle due tazze calde.

«Chi sei?», le chiesi ritraendomi.

In quel momento mi accorsi che la spalla era bendata da bende bianche macchiate da un po’ di sangue ed ero a torso nudo.

«Io mi chiamo Elisabeth, e sono stata io a fasciarti la spalla. Se avessi voluto consegnarti a Rua avrei potuto farlo tranquillamente, ma non l’ho fatto, quindi non aver paura e bevi qualcosa, ti farà bene», mi sorrise incoraggiante.

Io mi tirai su titubante e presi la tazza fra le mani, guardandone il contenuto. Sembrava caffè, e avevo una voglia matta di scolar melo tutto in un solo sorso, ma non conoscevo questa persona, e non potevo fidarmi, anche se si era presa cura della mia spalla.

«Dove sono Bill, Georg e Gustav?», chiesi.

«Stanno dormendo di là, stanno bene. Vuoi che l’assaggi io o non ti fidi ancora?», indicò la tazza che tenevo fra le mani.

Mi convinse e ne bevvi un sorso minuscolo, poi quando fui del tutto sicuro che non fosse avvelenata né niente finii la bevanda tutta d’un fiato.

«Hai fame?», mi chiese.

«Ma tu sai che siamo?», le chiesi sorpreso dal suo comportamento, era come se stesse parlando con delle persone normali e non con dei ricercati con una taglia sulla testa.

«Certo che lo so, ci sono le vostre foto ovunque.»

«E allora perché ci hai accolti in casa tua?»

A quella domanda non rispose, si alzò dal divano e dal portafrutta in mezzo al tavolo prese una mela, che mi passò.

«Preferivi essere mandato da Rua?», disse.

«No, certo che no, ma…»

«E allora non fare domande. La spalla come va?»

«Io ho diritto di sapere, che ne so, magari ci stai tenendo in forze per consegnarci a lui in buona salute, sperando che magari possa pagarti di più!»

«Abbassa la voce.»

«E per quale motivo dovrei?»

«La smetti di fare domande? Ringrazia il cielo che hai trovato me sulla tua strada, e non qualcun altro che non avrebbe esitato a spedirti da Rua.»

Rimasi in silenzio, non ero più abituato a trattare con le donne e a ribattere alle loro risposte pronte.

L’ultima volta che ero stato con una donna era stato molto tempo prima, prima che diventassimo dei ricercati, intendo, e trovarmene una davanti, così determinata e testarda, non era affatto semplice.

Le donne, da quando si era imposta la dittatura, erano state di nuovo svalutate, in tutti i sensi, sembrava essere ritornati al Medioevo: nessun diritto, né civile né politico, non potevano lavorare, erano oggetti per il piacere dei soldati che se le scambiavano a vicenda, proprio come merci, e in casa erano le schiave che dovevano fare i lavori domestici e curare i bambini. Inoltre dovevano portare rispetto verso l’uomo non chiamandolo mai per nome e se facevano qualcosa di male si potevano picchiare senza alcun problema, e nei casi peggiori, come in caso di adulterio, persino uccidere.

Mi sentii a disagio di fronte ad una specie così rara, una donna che aveva ancora il senso del pudore e l’orgoglio, senza paura.

«Perché sei da sola?», le chiesi incuriosito.

«Io non sono sola», strinse il ciondolo a forma di cuore che aveva legato al collo, la voce ferma e decisa.

«Dov’è tuo marito?», avevo notato la fede.

Nemmeno a quella domanda rispose, questa volta a causa di Gustav che fece la sua comparsa in cucina e ci distrasse dal nostro confuso dialogo. 

«Ehi Tom, come stai?», mi chiese subito premuroso.

«Bene.»

Guardò me ed Elisabeth che ci scrutavamo da lontano e fece un passo indietro, timoroso, quando poi lei si girò e gli sorrise:

«Caffè?»

«Sì, grazie.»

Si mise seduto al tavolo e venne servito. Notai che anche lui era un po’ a disagio, era da molto che stavamo assieme solo noi quattro, senza nessuno accanto, e quella presenza femminile era fonte di mille tormenti. E inoltre non ci potevamo ancora fidare del tutto di lei, di cui non sapevamo niente.

Poco dopo arrivarono anche Georg e Bill, quest’ultimo con una faccia assonnata e i capelli spettinati, proprio come ai vecchi tempi.

Rivedendolo in quelle condizioni mi sembrò di tornare indietro nel tempo, quando nel tourbus era sempre così e ci voleva almeno un’ora prima che si riprendesse da quello stato comatoso, anche grazie al caffè. Mi sembrò di nuovo un ragazzino, se non un bambino.

«Dormito bene, Tom?», mi chiese con voce roca.

«Sì. Tu no, vero?»

«Ci siamo stretti per lasciarti il divano», spiegò Georg mentre si stiracchiava.

«Perché?! Non dovevate!»

«Ma porca miseria, ti ho detto di abbassare quella cavolo di voce!», gridò piano Elisabeth, lo sguardo infuocato.

Tutti la guardammo strabuzzando gli occhi: di quei tempi quel linguaggio sarebbe dovuto essere punito con cinghiate sulla schiena, ma evidentemente lei non aveva paura di noi e sapeva che noi comunque non le avremmo mai fatto nulla di male.

«Che cosa ci stai nascondendo, donna?», le chiesi chiudendo gli occhi a due fessure.

«Ho un nome io, ed è Elisabeth», ringhiò.

«Ok, Elisabeth, ci stai nascondendo…»

Non riuscii nemmeno a finire la domanda che una bambina avvolta in una maglietta a maniche lunghe troppo grande per essere sua comparve dietro la porta della cucina e sbirciò all’interno. Aveva gli occhi identici a quelli di Elisabeth, la pelle chiara, le guance rosse, i capelli biondi lunghi con i boccoli e legata al collo aveva una catenina che come ciondolo aveva una chiave.

«Kay, piccola mia», esclamò Elisabeth raggiungendola e prendendola in braccio.

«Chi sono questi signori, mamma?», chiese la bambina nascondendo il viso nell’incavo della spalla di Elisabeth.

«Sono amici. E ora torna a dormire, è presto.»

La piccola si addormentò subito fra le sue braccia e Elisabeth la portò di nuovo nel letto, mentre noi ci guardavamo sbalorditi nella cucina.

Sempre da quando era salito Rua al potere, tutti i bambini erano stati sequestrati alle famiglie per arruolarli nell’esercito e le femmine, che non potevano andare in campo di battaglia, erano rinchiuse nelle fabbriche per produrre beni di qualsiasi tipo, dagli indumenti alle pallottole per le pistole e i fucili dei soldati.

Se Elisabeth aveva ancora con sé la sua bambina voleva dire che anche loro erano delle sovversive, come noi, e che lei era così scontrosa e allo stesso amorevole con noi per lo stesso motivo per cui lo eravamo noi con lei: la sopravvivenza. E lei aveva un motivo in più per non fidarsi e per lottare: la propria bambina, che difendeva proprio come una leonessa difendeva i propri cuccioli.

Quando tornò in cucina chiudendosi la porta alle spalle, fece un respiro profondo e si sistemò i capelli dietro le spalle.

«Sovversiva anche tu, a quanto vedo», commentai.

«Provate a torcerle anche un solo capello e io…»

«Non ti preoccupare, non vogliamo farle del male», la rassicurò Bill sorridendo. Non aveva mai perso quel sorriso innocente che vent’anni prima conquistava orde di ragazzine impazzite.

«Come hai fatto a tenerla nascosta per tutto questo tempo?», chiese Georg.

«Per quanto tempo intendi, tu?»

«Da quando è salito al potere Rua.»

«Non ho sempre dovuto nasconderla, io. Eravamo… dei privilegiati, diciamo.»

Aveva pronunciato quella parola con rabbia e rancore, come se odiasse profondamente quel termine, come se lo avesse rifiutato da tempo, tradita da quegli stessi privilegi.

«Io credo di aver già visto quella bambina», disse Gustav.

«Impossibile», rispose nervosamente Elisabeth.

«E credo di aver visto anche te.»

«Ti stai sbagliando.»

«Sì, potrebbe essere.»

«Sicuramente.»

Quella donna ci nascondeva qualcosa, sicuramente. E non avrebbe ceduto a rivelarci tutti quei segreti che l’avvolgevano molto facilmente.

«Ragazzi, sovversiva o no, non possiamo stare qui, metteremmo in pericolo lei e la sua bambina», disse Bill.

«Hai ragione, ma con Tom in queste condizioni…»

«Sto bene, ho la spalla ferita, ma posso camminare!»

«Per alcuni giorni devi stare comunque a riposo, hai perso molto sangue anche se non sembra», disse Elisabeth. «Non puoi sforzarti e se doveste essere di nuovo visti dalle guardie non so se finirebbe così bene.»

«Tu cosa proponi allora? Sentiamo.»

«Potreste stare qui, fin quando il vostro amico non si riprenderà un po’.»

«Sei sicura? È troppo rischioso…»

«So quello che faccio, e non è la prima volta che ospito dei sovversivi in casa mia», rivelò.

«Quindi ce ne sono altri!», disse Georg animato da un barlume di speranza.

«Ovviamente! Siamo molti, nascosti qua e là.»

«Hai detto che non è la prima volta, ma dove li tenevi? È un po’ piccolo qui», fece notare Gustav.

«Allora resterete qui?», chiese Elisabeth.

Noi ci guardammo pensierosi e alla fine annuimmo, tanto restare lì o vagare per la città come nomadi aveva le stesse probabilità di rischi, solo che stando lì sarebbero entrate in gioco altre due vite.

«Come faremo a ricambiarti il favore?», chiesi.

«In questo momento non è importante. Ora seguitemi.»

Bill mi aiutò ad alzarmi e Elisabeth ci condusse nella sua camera da letto, dove sotto alle coperte dormiva la piccola Kay.

«E ora?», chiesi.

«C’è qualche statua o qualche cosa che se la tiri giù la stanza si gira rivelando un passaggio segreto? Io amo queste cose!», disse Bill, seppur piano per non svegliare quell’angioletto di nome Kay.

Le nostre facce erano tra lo scocciato e il divertito, una perfetta via di mezzo. Bill riusciva sempre ad alleggerire qualsiasi situazione, anche in una sparatoria, come quando aveva gridato di immaginarci delle fan impazzite che ci rincorrevano, e non dei soldati armati dell’esercito.

«Potete darmi una mano a spostare questo?», chiese Elisabeth indicando una cassettiera incastonata al muro.

Le diedero una mano Georg e Gustav, Bill accantonò la scusa che doveva sorreggermi, anche se io potevo stare benissimo in piedi da solo. Avrebbe fatto di tutto pur di non affaticarsi quando non era strettamente necessario.

Spostata la cassettiera si intravide una botola fra le assi di legno. Elisabeth prese una maniglia invisibile, fatta di fino di nylon, e la aprì rivelando una scala che portava ad una specie di bunker sotterraneo.

«Venite.»

Scendemmo le scale e ci ritrovammo in un ampio spazio illuminato da una lampadina appesa al soffitto, con due letti a castello e un letto singolo, un armadio e anche una piccola televisione su un tavolino in fondo alla stanza, sotto alla quale c’erano dei fumetti e dei libri per passare il tempo. Elisabeth ci mostrò anche una specie di dispensa dove c’era molta roba, ma quella era solo in caso d’urgenza.

«Cavolo… e questo da dove arriva?», chiese sbalordito Georg.

«L’ha… niente, lasciate perdere. Potete stare qui per un po’. Ora… è meglio se vi lascio riposare, ok?»

Salì in fretta le scale e chiuse la botola, senza metterci sopra la cassettiera ovviamente.

Noi ci guardammo intorno sentendo odore di chiuso, ma era molto più accettabile questo di tutti i posti in cui ci eravamo rifugiati prima di conoscere quella stramba ragazza sovversiva chissà per quale motivo, per quale ideale, che aveva anche una bambina piccola.

***

 
Ringrazio: 

layla the punkprincess: Eheh, ora sai chi è la proprietaria della casa e cos'ha fatto!! Mi fa piacere che ti attiri, grazie mille!!

Utopy: Visto? Avanti nel tempo! Tante grazie!! **

Win: Grazie!! 

H u m a n o i d: Grazie mille!!

Alla prossima, grazie anche a chi ha messo questa ff fra le preferite e le seguite, vi voglio bene, _Pulse_!

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Capitolo 3
*** Teorie ***


Passammo l’intero pomeriggio a dormicchiare, e Bill si era addormentato proprio con la testa sul mio stomaco. Ogni tanto sembrava ancora un bambino, ma mi piaceva vederlo così rilassato e sereno.

Georg si era addormentato anche lui, ma Gustav era sveglio e stava cercando di sintonizzarsi su una radio qualsiasi per avere un po’ di aggiornamenti sulle mosse di Rua.

«Gustav?»

«Sì? Che c’è Tom?»

«Che ne pensi di Elisabeth?»

Si girò e mi guardò, mettendosi a gambe incrociate sul suo letto, pensieroso.

«È molto strano che non sia abituata a dare del lei agli uomini, ed è altrettanto strano che sia riuscita a tenere Kay.»

«Prima hai detto che le avevi già viste da qualche parte, dove?»

«Ricordi quando Rua è salito al potere e ha fatto quella specie di parata per la città? Lui era in una macchina superlussuosa…»

«Oh sì, me lo ricordo! Quello sbruffone, manco fosse il papa!»

«Lì le ho viste.»

«Tra la folla?»

«No, sulla macchina.»

Strabuzzai gli occhi, incredulo: «È impossibile!»

Gustav invece chiuse gli occhi e annuì con la testa, sconsolato.

«Erano accanto a lui e al suo generale di fiducia.»

«Quello che è stato ucciso…», mormorai.

Tutti i pezzi stavano andando al suo posto, lentamente. Mi vennero in mente le parole di Elisabeth, quando le avevo chiesto di suo marito: “Io non sono sola”. Che quel ciondolo contenesse la foto del generale?

«Aspetta… ma se erano con lui…»

«È questo che non capisco, Tom. Perché curarti se sta dalla parte di Rua? Non sappiamo niente di questa donna, e fin quando non sapremo di più non potremo mai fidarci di lei totalmente.»

«Questo potrebbe spiegare perché ha ancora Kay.»

«Sì, ci ho pensato anch’io.»

«C’è qualcosa che non torna, Gustav. Quando le abbiamo chiesto come aveva fatto a tenere nascosta Kay ha detto che non ha sempre dovuto nasconderla…»

«Quando c’era suo marito, il generale. Allora erano privilegiati

«Ma quando è morto…»

«Ha iniziato a nasconderla per paura che Rua potesse farle del male.»

«È da allora, da quando è morto il generale, che è diventata una sovversiva.»

«Le nostre sono solo teorie, Tom. Magari è ancora dalla parte di Rua e sta attendendo che qualcuno dell’esercito ci venga a prendere.»

«Sì, hai ragione…», mi coprii il viso con le mani e sospirai.

Ormai eravamo abituati a mangiare quando capitava, se capitava, e la fame non la sentivamo quasi mai. Però sentii l’istinto di dover andare in bagno. Finché potevo, perché non sfruttare quella possibilità?

Mi alzai facendo attenzione a non svegliare Bill e controllai le fasciature delle bende intorno alla spalla, si erano smollate un po’.

«Dove vai?», mi chiese Gustav mentre la radio iniziava a gracchiare, in cerca di un segnale.

«In bagno.»

«C’è anche qui, non è necessario che tu vada di sopra.»

«Lo so, ma voglio andare a vedere che cosa sta facendo Elisabeth.»

«Ok, come vuoi.»

Salii le scale di legno scricchiolante e aprii la botola con una mano. Fuori sembrava tutto tranquillo, e non c’era nessuno nella camera da letto.

Andai verso la cucina e sentii delle deboli risate, erano le voci di Elisabeth e di Kay.

«E poi cos’è successo, mamma?», chiese vivace la bambina.

«Poi tuo papà si è messo in ginocchio e mi ha chiesto di sposarlo, io non facevo altro che ridere.»

«Ti manca papà?»

«Moltissimo, piccola.»

«Anche a me.»

Tossii per annunciarmi e Elisabeth alzò la testa dal maglione di lana che stava facendo per la piccola Kay, sarebbe stato un inverno rigido quello. Mi guardò negli occhi profondamente, e mi fece sentire nudo, come se stesse scavando nella mia anima con gli occhi. Nessuna ragazza era mai riuscito a farmi sentire così a disagio, perché lei sì?

«Salve signor Tom», mi salutò Kay muovendo la manina.

«Chiamami pure Tom, piccola», le sorrisi.

«Sei venuto qui per…?», mi incalzò Elisabeth, mollando i ferri sul divano e dicendo a Kay di andare un attimo a riposarsi a letto che doveva fare il suo sonnellino.

La bambina era piuttosto ubbidiente, e faceva tutto con  il sorriso sulle labbra. Chissà se anche Elisabeth un tempo era stata così. 

Quando la bimba fu fra le coperte, la intravedevo dal piccolo corridoio, mi girai verso di lei e ritrovai lo stesso sguardo, quello che riusciva a spogliarmi di ogni difesa.

«Sono venuto per…»

«La spalla?», chiese.

«Sì», annuii senza nemmeno riflettere.

«Ti brucia?»

«Non più di tanto, ma si sono smollate le bende.»

«Oh, vieni qui allora che te le sistemo.»

Mi fece sedere sul divano e imbarazzata mi chiese se potevo togliermi la maglietta così da poter lavorare meglio. Nessuna ragazza me l’aveva mai chiesto prima, e di nuovo mi trovai a disagio mentre mi scioglieva le bende e mi metteva del disinfettante sulla ferita che non era molto estesa, ma profonda.

«Ho sentito quello che vi siete dette prima, tu e Kay, non l’ho fatto apposta», dissi. «Tuo marito è morto, non è così?»

Potevo essere stato un po’ brutale, ma a volte le parole dette chiaramente, senza giri di parole, erano meno dolorose di quelle dette con sensibilità, io lo sapevo. Era successa la stessa cosa quando i nostri genitori, miei e di Bill, si erano separati: ce l’avevano detto chiaro e tondo, era stato un duro colpo all’inizio, ma riflettendoci quella era stata la soluzione migliore. 

«No, non è morto, me l’hanno ucciso», disse ferma, senza dare segni di debolezza.

«Chi?»

«L’odio, la guerra, Rua, il sistema.»

«Accuse pesanti, quando tuo marito era il generale dell’esercito più fidato proprio di Rua.»

«Tu non hai nessun diritto di parlare, non sai niente, l’unica cosa che devi fare in questo momento è tapparti la bocca, chiaro?»

«Ma che hai contro di me?!», sbraitai, anche se divertito da quella situazione.

Lei accennò un sorriso, stringendomi troppo forte la benda e facendomi lamentare.

«Non ho proprio nulla contro di te, sei tu che dovresti farti un po’ gli affari tuoi.»

«Devi capire la nostra situazione.»

«E voi, soprattutto tu, dovete capire la mia di situazione. Se prendono mia figlia è la fine, io mi ammazzo.»

«Perché allora ci tieni qui? Rischi il quadruplo con noi quattro. Già rischiate per conto vostro, non dovevate assumervi anche questo peso. Possiamo benissimo farcela da soli, come abbiamo sempre fatto.»

«Vi tengo qui perché non voglio che qualcun altro venga ucciso in questa stupida guerra, ok? Mi è bastato quello che ho perso. So che la mia è un’idea assurda e che c’è continuamente gente che muore lì fuori, ma voglio fare anch’io la mia parte», abbassò il viso, i pugni stretti in grembo.

«Ehi…», le presi il mento fra le dita, delicatamente, per guardarla dritta negli occhi.

Da quanto tempo era che non sfioravo una ragazza? Avevo dimenticato il piacere di sentire sotto le dita quel soffice velo che era la loro pelle, il piacere di guardarne una negli occhi e di sentirmi attratto da una di loro.

Non ero più quello di una volta, avevo capito molte cose non avendone una diversa ogni sera, ero cresciuto, maturato, ma quella voglia di averne una mi stava lentamente ritornando.

Ma che cosa stavo farneticando? Eravamo in piena guerra, eravamo dei ricercati con una taglia alla testa, rischiavamo la vita ogni giorno, e io pensavo alle donne?

Le donne erano solo fonte di distrazione in quel momento, e non potevamo distrarci.

«Cosa?», soffiò ricambiando il mio sguardo, tirandomi fuori dai miei stessi ragionamenti.

«Le… le tue idee non sono insensate. Certo un po’ difficili da attuare, questo sì, ma bisogna credere nei propri ideali, nei propri sogni.»

«Tu in cosa credi?», mi chiese.

«In un mondo libero e giusto», le accarezzai la guancia, come ipnotizzato dal chiarore della sua pelle delicata.

Lei si ritrasse, abbassando di nuovo lo sguardo: «Anche Charles la pensava così.»

«Che cos’hai detto scusa?»

«Io? Niente.»

Si alzò in fretta e mi disse di rivestirmi, altrimenti mi sarei preso un’accidenti e non sarebbe stato un bene sicuramente.

Ancora quante cose non sapevo di lei, della sua vita? Ma sentivo che era sincera, che potevamo fidarci. Era una sensazione, più che una certezza, e avevo visto nei suoi occhi la vera voglia di combattere, nonostante la sua giovane età.

 # # #

«Quanto tempo era che non mangiavamo seduti intorno ad un tavolo?», chiese Bill all’improvviso, durante la cena.

«Secoli?», disse Georg sorridendo.

Possibile che grazie a due presenze femminili nella nostra vita fin troppo maschile fino a poco tempo fa, fossimo tutti così rilassati e sereni? Come se la guerra non fosse anche tra noi, ma in un paese lontano.

«Molto tempo», disse Gustav.

«Non hai appetito, Tom?», mi chiese Elisabeth, seduta di fronte a me.

«Non molto, è tutto così strano che mi devo ancora abituare.»

«Pensa se domani ci svegliamo ed è tutto un sogno, anzi… un incubo, e ci risvegliamo nelle nostre lussuose camere d’hotel?»

«Non viaggiare troppo con la fantasia, Bill», lo rimproverai.

«Io seguivo la vostra musica, fino a quando… beh lo sappiamo», disse Elisabeth abbassando lo sguardo su Kay che tentava di infilzare assieme le ultime due orecchiette in bianco nel suo piatto, ma che continuavano a sfuggirle.

«Kay, una per volta no, eh?»

«Se solo… non riesco a prenderle! Scappano via!»

Quella bambina era un portento, un mix di vivacità e tenerezza che riusciva a fare innamorare tutti di lei ad un primo sguardo, e riusciva sempre a portare l’allegria.

«Quanti anni hai, Kay? Posso saperlo?uanQuanti», chiese Bill.

«Ne ho così», indicò cinque con la manina. «Anche se non si dovrebbe chiedere alle signorine.»

«Giusto, hai perfettamente ragione, Bill è un maleducato», disse Georg sorridendo.

«Io vorrei sapere quanti anni ha la tua mamma invece, me lo dici nell’orecchio?», le chiesi.

«Parlare nell’orecchio è maleducazione, e poi sono tanti gli anni della mia mamma, non li so contare con le dita», disse guardandosi le mani.

«Abbiamo sei anni di differenza, io e te», rispose Elisabeth.

«Come fai a sapere quanti anni ho?»

«Beh, te l’ho detto che seguivo la vostra musica», sorrise imbarazzata. «E ieri hai fatto gli anni se la memoria non mi inganna, auguri. Anche a te, Bill.»

«Grazie!», esclamò Bill contento. «Che bello sapere che esistono ancora le vere fan!»

«La prossima volta come ci sorprenderai, Elisabeth?», chiese Gustav.

«Mah, chissà», sorrise per poi guardare la figlia e ridere piano.

***

 

Ciao ragazze!!! Scusate il ritardo, ma ieri mi sono sentita poco bene e non sono riuscita a postare. Inoltre mi sa che dovrete aspettare ancora di più per il prossimo capitolo perchè non avrò internet per qualche giorno. Scuasatemi!!! Ci vediamo presto però XD
Sono un pò di fretta, quindi ringrazio (un pò alla cacchio XD) layla the punkprincess, Giulia504, H u m a n o i d, xoxo_valy, Utopy, Isis 88. Grazie mille a tutte!! Spero di trovarne ancora di più quando tornerò, e scusatemi ancora, non era previsto ._. Un bacio, vostra _Pulse_

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Capitolo 4
*** Babysitter ***


Eccomi, sono tornata! Scusate l'assenza, ma è stato tutto un casino al ritorno dalle vacanze. Non me li ricordavo così i rientri, ma fa niente XD Grazie per esserci stati comunque, e ora devo impegnarmi per recuperare tutte le storie che sto leggendo, perchè sono indietrissimo! -.-" Beh, ora vi auguro solo buona lettura, i ringraziamenti veri e propri alla fine!

***


Mi svegliai di colpo e sbattei la testa contro alla rete del letto di Bill, sopra al mio.
Mi guardai intorno e mi ricordai di essere a casa di Elisabeth, e di avere una spalla messa maluccio.

La mia memoria iniziava a fare cilecca.

Sbirciai l’ora sull’orologio scassato allacciato intorno al polso ciondolante di Bill, era una fortuna se andava ancora.

Mi alzai e salii di sopra, avevo un certo languorino: la sera prima non avevo mangiato quasi niente.

Appena aperta la botola venni travolto da quel profumo di lavanda e caffè, che mi disorientò.

Vidi Kay addormentata nel letto della madre, avvolta nelle coperte. Elisabeth non c’era, questo voleva solo dire che era già in piedi.

Andai verso la cucina, ma prima feci una capatina in bagno per sciacquarmi il viso e controllarmi allo specchio: era molto che non lo facevo, che non pensavo alla mia immagine come vent’anni orsono. Ora pensavamo a salvarci le penne, altro che al look.

Raggiunsi la cucina ed entrai: le prime luci dell’alba illuminavano il tavolo già apparecchiato per sei e sul pavimento c’era l’ombra esile di Elisabeth. Salii su di lei con lo sguardo e vidi i riflessi dorati dei suoi capelli castani, era bellissima.

«Buongiorno», disse sorridendo.

«Hai i radar al posto delle orecchie?», chiesi.

«No, semplicemente ti ho visto.»

Sorrisi e mi misi seduto al tavolo, Elisabeth mi porse la mia tazza di caffè e la assaporai pian piano, goccia dopo goccia. Non dovevo abituarmi a quei lussi, nulla poteva essere eterno in quel periodo.

«Sei mattiniero», disse.

«Sì, avevo fame», confessai, le ridacchiò.

«C’è del pane nel mobile, se vuoi puoi prendere quello.»

«Sicura?»

«Sì, è quello che hai avanzato ieri. A proposito di cibo…»

Intanto andai al mobile a prendere il pane, passandole accanto. Quando si girò e io mi trovavo all’incirca dietro di lei per ritornare a sedermi, i suoi capelli mi sfiorarono il viso e mi resi conto che era lei a profumare di lavanda, quasi ne rimasi paralizzato.

«Sì?», chiesi a fatica.

«Oggi devo andare a fare rifornimento, non immaginavo di avere ospiti», sorrise.

«Siamo d’impiccio?»

«No, in verità mi siete molto utili in queste circostanze.»

«Che cosa intendi dire?»

«Che mentre io andrò al mercato voi potrete badare a Kay. Sai, prima dovevo lasciarla chiusa in casa da sola e avevo una maledetta paura che le succedesse qualcosa, ma se ci siete voi ora…»

«Ehi, frena l’entusiasmo! Noi non abbiamo mai trattato con bambini e non sappiamo come fare!»

«Kay è tranquillissima, basta tenerla con voi nel bunker e proteggerla se… dovesse succedere qualcosa.»

«Non mi convinci. Perché dovrebbe succederci qualcosa?»

«Vieni qui», mi prese per il polso e mi fece sedere al tavolo, ancora con il pacchetto del pane chiuso in mano. Lei si mise di fronte a me, seria in volto.

«Mio marito, Charles, era il generale più fidato di Rua.»

«Lo so.»

«Io ero e sono tutt’ora sua moglie, metti in moto il cervellino!»

«Aspetta un attimo… i soldati vengono a trovarti?», strabuzzai gli occhi.

«Esattamente. Non sappiamo mai quando vengono, fanno a sorpresa. E non penso che lo facciano per vedere se sono ancora viva o se sono morta di fame, ma per vedere se nascondo qualcosa.»

«Perché dubitano di te? Eri la moglie del generale più fidato di Rua, non dovrebbero nemmeno sospettare che…»

«Ok, Tom, credevo che fossi un tantino più intelligente, ma probabilmente mi sbagliavo. Charles faceva il doppio gioco, è sempre stato un sovversivo pure lui. E la sua morte non è stata durante una sparatoria, come hanno detto alle televisioni e alle radio, ma perché Rua in qualche modo l’ha scoperto e l’ha fatto uccidere. Ora capisci? Il bunker l’ha costruito lui, lui è sempre stato dalla parte dei buoni e la pensava proprio come te, voleva un mondo libero e giusto.»

La confessione la rese esausta, tanto che dovette sdraiarsi sul divano, accovacciata su sé stessa, come per proteggersi dal mondo e da quei ricordi che la ferivano ancora, nonostante fosse passato tanto tempo ormai.

«Mi dispiace», mormorai, ma dubitavo che sarebbero servite a qualcosa quelle due insignificanti parole, non di fronte ad un dolore così grande.

«Anche a me.»

Si alzò all’improvviso, ritornando composta e fiera. Non poteva dimostrare così tanta debolezza di fronte ad un uomo.

«Allora, credete di potercela fare?», chiese.

«Sì… credo. Io non sapevo nemmeno che c’era un mercato.»

«Ovvio che c’è un mercato, noi lo chiamiamo il Mercato dei Poveri, puoi ben capire perché. Siamo più o meno tutti sovversivi.»

«Quindi se passano le guardie siete fregati.»

«Sì, facciamo come i vu cumprà di una volta sulle spiagge: iniziamo a correre», ridacchiò, io sorrisi mentre addentavo finalmente il pane.

Poco dopo, uno dopo l’altro, si svegliarono anche gli altri e si misero intorno al tavolo, compresa la piccola Kay, che aveva un indiscutibile debole per Bill, il più giovane di noi e ancora il più bambino dentro, che appena lo vide lo salutò con un sorriso a trentadue denti e si mise seduta sulle sue ginocchia.

«Dobbiamo fare da babysitter oggi», annunciai ai ragazzi più addormentati che svegli.

«A chi?», sbadigliò Gustav.

«A Kay.»

«Davvero?», disse Bill chiedendo conferma ad Elisabeth, che annuì.

«Oh, ma è bellissimo!», si alzò e la prese in braccio facendola volare come se fosse un aereo planino, mentre lei rideva felice.

Elisabeth sorrise e poi commossa abbassò lo sguardo, afflitta ancora da quel dolore che era provocato dalla mancanza di Charles.

E io che credevo che fosse sempre stato dalla parte di Rua, che fosse stata un bene per tutti la sua morte, quando invece era tutto il contrario, perché era sempre stato dalla nostra parte in incognito e aveva abbandonato la moglie e sua figlia.

«Elisabeth?», la chiamai con dolcezza.

«Che c’è?», si passò le mani sul viso e io le sorrisi, annuendo.

«Potresti chiamarmi zio! Mi farebbe piacere avere una nipotina! Eh Tom, fammi una nipotina vera!», squittì Bill ancora con Kay fra le braccia.

In quel momento stavo ancora guardando Elisabeth, senza nemmeno rendermene conto, e sentendo quella frase e vedendola ridere quasi caddi dalla sedia, imbarazzato.

«Ma tu sei tutto scemo!», gli gridai, quando tutti erano già scoppiati a ridere.

 # # #

Elisabeth uscì per andare al mercato e noi quattro rimasimo con Kay, portandola nel bunker, la nostra casa ormai.

Era stata poche volte in quel posto e come tutte le poche volte ne era rimasta sbalordita, anche se non ci trovavo nulla di particolare io, ma vederla con quell’espressione tenera mi aveva fatto sorridere.

Gustav si era messo come al solito sul suo letto per trovare un segnale con la radio, Georg si mise a leggere qualche fumetto, Bill e Kay si erano messi a giocare al gioco delle pulci con delle monetine, al quale mi ero aggiunto anch’io poco dopo, non sapendo cosa fare.

«Non vale Kay, hai barato!», si lamentò Bill.

«Non è vero, sei tu che non sei capace!», lo prese in giro ridendo.

«È vero, sei una schiappa se ti fai battere da una bambina di cinque anni!», risi.

«Zitto tu, che ha battuto anche te la bambina di cinque anni!»

Ci stavamo proprio divertendo, quando Kay si mise seduta a gambe incrociate, il viso sorretto dalle mani.

«Che è successo, Kay?», le chiese Bill.

«Niente…»

«Come niente, hai un faccino triste!»

«Voi andrete via, vero?»

«Cosa? Non capisco.»

«Voi andrete via proprio come il mio papà, vero?»

«Spero proprio di no!», disse Bill sorridendo, ma non fece ridere nessuno.

«No, Kay, noi non ce ne andremo.»

Mi guardò con gli occhi pieni di speranza, brillanti e color cioccolato proprio come quelli di Elisabeth: mi tolse il respiro con la sua innocente bellezza.

«È una promessa?»

«È una promessa.»

Forse non avrei dovuto illuderla, prima o poi ce ne saremmo andati comunque, se non morendo scappando, ma l’avremmo fatto. Solo che quegli occhi, quel desiderio ardente di avere delle conferme, dei punti solidi su cui appoggiarsi, mi avevano fatto tornare bambino anche a me e non volevo darle un altro dispiacere.

«Ti manca il tuo papà?», le chiesi.

«Tanto, tanto. Tu gli assomigli.»

«Io?», mi indicai stupito.

«Sì, solo che lui aveva i capelli biondi più chiari e gli occhi azzurri.»

«Capisco, beh allora… grazie.»

«Non dovresti ringraziarla, ti ha detto che assomigli ad un generale di Rua», disse acido Georg.

«Era un sovversivo anche lui, questo posto l’ha costruito lui, con Rua faceva solo il doppio gioco, ma non so per quale motivo. Era davvero furbo però se ha resistito per così tanto tempo senza essere scoperto», spiegai lasciandoli tutti ammutoliti.

«Sì, papà era furbo!», sorrise Kay alzandosi in piedi e saltellando in giro raccontandoci di tutte le sue promesse che sfortunatamente non aveva potuto mantenere, di tutta la sua determinazione e voglia di cambiare il sistema.

«Io una volta gli ho chiesto di farmi vedere quello che disegnava, ma non me l’ha fatto vedere», disse. «Poi il giorno in cui se n’è andato ha dato un bacio alla mamma e ha detto che l’amava. Poi le ha detto qualcos’altro su dei quaderni, ma non ho capito bene. Ero piccola!»

Continuò a saltellare in giro canticchiando una specie di ninna nanna patriottica contro Rua che le aveva insegnato probabilmente Charles, fino a quando non cadde fra le braccia di Bill incominciò a ridere, donando una spazzata di aria pura a quell’atmosfera.

«Kay, sei una peste!», gridò Bill rincorrendola dopo che lei gli aveva tirato i capelli.

«Non è vero! Tu hai i capelli troppo lunghi!»

«Se vorrò tagliarli andrò da un parrucchiere, non da una bambina!»

«Io non sono una bambina, sono una signorina», disse a braccia incrociate, il nasino all’insù.

«Oh, è vero, mi scusi signorina!», si inchinò di fronte a lei e le fece il baciamano, sorridendo.

«Ora va meglio», disse sbadigliando.

«Hai sonno, piccola?», le chiesi.  

«No… non ho… sonno…»

Traballò ad occhi quasi chiusi e finì fra le mie braccia, dove si addormentò di sasso, il viso contro il mio petto.

«Come siete teneri! Sembra proprio tua figlia», mi sussurrò Bill facendomi l’occhiolino.

«No, caro, te lo puoi anche scordare.»

«E dai! Fallo per me, una volta sola!»

Sbuffai irritato e le accarezzai i capelli prima di baciarla sulla tempia, proprio come avrebbe fatto un padre con la propria bambina.

«Oh… sei proprio dolce…», disse Bill con gli occhioni e le mani giunte al petto.

«Sese», borbottai.

Guardandola però sorrisi, perché sentire il suo piccolo cuoricino battere regolare nel petto e i suoi respiri caldi contro la pelle, tenerla fra le braccia, era piacevole, era una bella sensazione, e ti faceva sentire calmo e rilassato, in pace con il mondo.

Forse era di quello che aveva paura Rua, dei bambini che con la loro semplicità erano in grado di portare pace e amore, tutto ciò che lui odiava.

 

***

 
Ringrazio

layla the punkprincess: Non ho mai visto questo film, uhm... Beh sono contenta che ti piaccia ^^ Elisabeth è sempre piaciuto anche a me come personaggio, credo sia la prima volta che faccio una madre affettuosa e che non pugnala alle spalle (Vedi Sogno di un sogno, Leben Zeigen... XD), è un'esperienza nuova per me. Sì, i casini sono tanti per lei, vedrai. Alla prossima, ciao e grazie!

Utopy: Tornata, alè! Wow, non può mancare, fedele! XD Grazie mille, i tuoi complimenti sono sempre molto ben accetti *__* Grazie <3 un bacio.

Isis 88: Kay è adorabile, sì lo so! *.* Grazie mille!

H u m a n o i d: Beh, meglio tardi che mai, no? XD Tommino, eheheh! Spero che ti sia piaciuto anche questo, io ce la metto tutta!! Grazie!!

Ringrazio di cuore anche tutti quelli che leggono, non amo la matematica, ma i numerini che salgono mi fanno piacere! *___* Alla prossima, speriamo presto visto i problemi! Un bacio, vostra _Pulse_

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Capitolo 5
*** Visite sgradite ***


La spalla migliorava di giorno in giorno, Kay si affezionava sempre di più a noi e ci vedeva come dei fratelli maggiori (idea inculcatale da Bill dopo il tentativo fallito di farsi chiamare zio), Elisabeth però sembrava sempre agitata e quando andava al mercato, ogni volta tornava con qualcosa in meno del solito.

«Elisabeth, tutto bene?», le chiesi entrando in cucina, dov’era seduta al tavolo, la testa nascosta fra le braccia incrociate.

«Sì, perché?»

«È un po’ di tempo che sei strana. Sicura di stare bene?»

Mi misi seduto di fianco a lei, aspettando una qualsiasi risposta.

«Non doveva andare così…», sussurrò sull’orlo delle lacrime, gli occhi spenti fissi sulla superficie del tavolo.

«Che cosa? Elisabeth, parla.»

«Non so come possa essere accaduto…»

«Che cosa, Elisabeth?!»

«Ci hanno scoperti…»

«In… in che senso?»

«Sanno che voi siete qui.»

«Chi lo sa?» 

«Qualcuno al mercato deve essersi insospettito vedendo che compravo più roba del normale e… deve avervi visti, magari quando mangiavamo qui o non lo so… Scusatemi…»

«Tu non hai colpe, Elisabeth. Hai fatto anche fin troppo per noi, e poi qui siamo al sicuro, no?»            

«No, perché da quando si è sparsa la voce fra i sovversivi tutti sono contro di me perché potrei avere diecimila euro subito e risollevare un po’ anche loro, ma io non voglio consegnarvi a Rua… Hanno iniziato a darmi meno roba, siete in pericolo da tutte e due le parti ora…»

«Lo spirito di sopravvivenza, accidenti. Sacrificare qualcuno per avere in cambio qualcos’altro, succede anche in natura.»

«Siete in pericolo, ed è tutta colpa mia…»

«Elisabeth, no», le presi il viso con la mano e le feci guardare i miei occhi.

Rimasimo così, in silenzio, per diversi minuti, quando io mi avvicinai e come posseduto da chissà chi o cosa le sfiorai le labbra in un bacio.

Si allontanò guardandomi stordita, impaurita, sorpresa, arrabbiata, e tutte le emozioni impossibili immaginabili che potevano mostrare i suoi occhi.

Si alzò e uscì di casa, sbattendosi la porta alle spalle. La guardai attraverso la finestra, scostando di un minimo la tenda, mentre si sedeva in veranda, sulla sedia a dondolo, prendendo in mano il ciondolo a forma di cuore che teneva sempre legato al collo e aprendolo rivelando la foto di Charles, bello e sorridente.

Non sapevo perché l’avevo baciata, ma in quel momento era stato così naturale che non avevo pensato ai pro e ai contro di quel gesto.

Elisabeth si alzò all’improvviso, si sporse verso la strada e ansiosa in viso rientrò in casa, quasi di corsa.

«Svelto, stanno arrivando i soldati dell’esercito!»

Mi prese per il polso e mi strattonò fino al bunker, dove trovammo gli altri che facevano quello che si poteva fare lì dentro, il solito.

«Sono arrivati i soldati dell’esercito, ok? Non è uno scherzo e sono costretta a chiudervi qui sotto fino a quando non se ne andranno, dovete fare assoluto silenzio in modo tale che non vi scoprano, ok?», disse serissima, senza celare un po’ di quell’agitazione che le si muoveva impazzita dentro. «Kay, hai capito? Niente pianti, niente paura, come sempre, ok?»

La bambina annuì, anche se tremava di fronte alla madre, gli occhi gonfi di lacrime.

Mi guardò e riuscii a parlarmi con gli occhi, dicendomi chiaramente di proteggerla, io annuii, dopodiché salì e chiuse la botola trascinandoci sopra la cassettiera.

Kay si girò lentamente e mi fissò, incominciando a piangere in silenzio.

«Piccola, la tua mamma torna», la rassicurai.

«Ho paura, tanta paura», tremò abbracciandomi e nascondendo il viso bagnato dalle lacrime.

La presi il braccio e la portai con me sul letto, dove ci stesimo assieme, abbracciati. L’avrei protetta anche con il mio stesso corpo se necessario, avevo fatto una promessa e volevo mantenerla.

# # # 

Si sistemò allo specchio e quando sentì bussare alla porta andò ad aprire stendendo un sorriso, mascherando perfettamente la tensione e l’ansia di essere scoperta.

«Buongiorno! Che bella sorpresa!», esclamò come se fosse davvero contenta di vedere due soldati varcare la soglia di casa sua con le pistole alla cinta.

Ormai era così abituata a mentire che nessuno si sarebbe mai accorto delle sue continue bugie.

«Buongiorno, come sta?»

«Tutto bene, grazie. E voi? Posso offrirvi qualcosa?»

«No, grazie.»

I due soldati giravano in giro per la casa e ad un certo punto si diressero in camera da letto, Elisabeth ebbe un tuffo al cuore pensando che magari erano stati insospettiti da qualche rumore che non doveva esserci.

Li seguì con il sangue congelato nelle vene e li guardò ispezionare l’ambiente picchiando qualche volta i tacchi degli stivali sul pavimento in legno, facendole venire i brividi magistralmente repressi.

«Qual buon vento vi porta qui?», chiese allora.

«Nessun buon vento, passavamo da queste parti…»

«E abbiamo pensato di venire a trovarla.»

Quelle parole, con quello sguardo, la fecero morire dentro, ma non si scompose più di tanto. Sarebbe successo un’altra volta, e un’altra volta avrebbe subito in silenzio.

# # # 

Quanto tempo era passato? Avevo perso la cognizione del tempo accanto a Kay, ad osservarla dormire e ad accarezzarle i capelli.

«Ragazzi, sono preoccupato», disse Bill leggendomi nel pensiero, come sempre.

«Quanto è passato?»

«Un’ora? Un’ora e mezza?»

«Vado a controllare», dissi deciso.

«Non ci pensare nemmeno, Tom. E se ti dovesse succedere qualcosa? Elisabeth sa quello che fa, e non si è sentito niente di preoccupante, quindi…»

«Quindi è inutile che insisti, io vado a controllare comunque. Mi sto annoiando.»

«Tom, non lo fare, ti supplico.»

«Bill, non ti preoccupare, so quello che faccio», gli sorrisi incoraggiante, iniziando a salire le scale.

Mi ricordai solo quando provai ad alzare la porta della botola che Elisabeth l’aveva coperta con la cassettiera.

Restai con l’orecchio teso in cerca di un suono qualsiasi per diverso tempo, poi quando iniziai ad abituarmi al silenzio riuscii a sentire dei singhiozzi provenienti dalla camera da letto.

Era sicuramente Elisabeth, perché mi salii un groppo in gola che non riuscii proprio a buttare giù.

Non l’avevo mai vista né sentita piangere, quindi dubitavo che di fronte a dei soldati si fosse messa a dimostrare la sua debolezza, tenace com’era.

Ma non potevo rischiare, se mi stavo sbagliando avrei messo fine a troppe vite, tra cui anche la mia – non che fosse la più importante la mia, ovviamente.

Tornai di sotto abbattuto e vidi Kay seduta sul letto, appoggiata alla parete con la schiena e le gambe strette al petto, lo sguardo vuoto.

«Credi sia successo ancora?», mi chiese senza nemmeno alzare lo sguardo.

«Che cosa?»

«Quando vengono i soldati mamma piange sempre, una volta l’ho vista perché non avevo fatto in tempo a nascondermi bene e mi sono messa nell’armadio…», iniziò a singhiozzare, anche se tentava di stare zitta tappandosi la bocca con le mani.

«Che cos’hai visto, Kay?», le chiesi preoccupato.

«Loro… e lei… che… non so cosa stessero facendo… erano sul letto… prima uno e poi l’altro…»

«Oddio no… oddio questo no!», disse Bill adirato, a bassa voce.

«È successo di nuovo?», chiese con le lacrime sulle guance.

«Piccola io… non lo so… Ma se è successo ancora gli daremo una lezione, a quelli lì, te lo prometto.»

Kay si asciugò il viso e mi fece un debole sorriso, affondando il viso nel mio petto abbracciandomi.   

Si approfittavano di una vedova, della vedova del loro generale defunto, quegli stronzi. Non potevo sopportarlo, eppure mi stupivo di come ancora fossi lì abbracciato ad una bambina di cinque anni invece di aver già scatenato l’inferno.

Non mi importava della spalla, se a volte mi faceva ancora male, volevo solo giustizia, e avrei fatto di tutto per ottenerla.

Sentimmo la cassettiera spostarsi rumorosamente sul pavimento sopra le nostre teste e poi una boccata d’aria fresca entrare nel bunker, con quell’accenno di profumo alla lavanda.

Scese le scale a passi lenti, e quando apparve Kay si alzò e corse da lei, abbracciandola.

«Amore sono qui, sono qui», la rassicurò baciandole il viso.    

Elisabeth alzò lo sguardo e incontrò i miei occhi arrabbiati e assetati di vendetta, e l’unica cosa che poté fare fu quella di fuggirne, sentendosi profondamente in colpa.

«Beh, non mi chiedete com’è andata?», chiese alzandosi di nuovo in piedi, Kay stretta fra le sue braccia.

«Se sei qui è andata bene, e poi sappiamo com’è andata», dissi duro.

Perché mi ostinavo a sentirmi arrabbiato con lei? Lei non aveva fatto niente, anzi aveva solo fatto ciò che le aveva permesso di risparmiarsi la vita con quei soldati senza scrupoli, e facendo così io la facevo sentire solo ancora più male.

Che fossi geloso di due uomini che avevano approfittato di lei? Con grande disgusto pensai che era proprio così, che ero geloso. Mi ero appena accorto di essermi affezionato molto di più a lei di quanto avessi mai dovuto esserlo.

Elisabeth abbassò nuovamente lo sguardo, facendomi sentire un verme, e in silenzio risalì le scale portandosi con sé Kay.

Ci fu un infinito silenzio, poi la porta della botola si sbattè e mi sentii non un verme, ma uno addirittura spiaccicato al suolo dopo il passaggio di una macchina.

«Tom, tutto bene?»

«No, non va per niente tutto bene.»

 

***

Le cose si complicano, ragazze!! Staremo a vedere.
Ringrazio:

M_Lucry_J: Grazie mille, sono contenta perchè avevo proprio voglia di fare qualcosa di nuovo ^^ Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto e che la tua curiosità sia stata soddisfatta.

H u m a n o i d : Grazie XD E chi non lo ama Tom? Bill è matto ma mi fa tanta tenerezza ^^ Spero ti piaccia anche questo!! Baci 

Utopy: Ah, eccoti qua!! Sì, Charles è furbo e non hai ancora visto niente!! XD Kay è adorabile, sì, è la mia sorellina immaginaria ^^ Dei Tom stupendi? I tuoi Tom preferiti? Ahahah, ricordati però che sono SOLO di mia proprietà!! Ahahah, alla prossima, grazie!!!

layla the punkprincess: Grazie mille, sono felice che ti piaccia!! *__* Alla prossima, ciao!! Non importa per i riardi ^^

Ringrazio tutti di cuore, anche quelli che non hanno recensito perchè si sono persi per strada XD Vostra _Pulse_

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Capitolo 6
*** Non te ne andare ***


Kay stava disegnando appoggiata al tavolo della cucina, Elisabeth stava lavando i piatti della cena.

Dovevo parlare assolutamente con Elisabeth per chiarire quella situazione che si era creata, perché non potevo sopportare il fatto che non riuscissimo nemmeno a guardarci, come era successo a tavola.

C’era un silenzio di ghiaccio, si sentivano solo le forchette nei piatti e la pioggia che iniziava a cadere facendo tintinnare il tetto.

«Che cosa volevano i soldati, mamma?», chiese all’improvviso Kay, mentre Elisabeth le stava mettendo dell’acqua nel bicchiere. Le scivolò la bottiglia e ne cadde un po’ sulla tovaglia, poi si coprì il viso con la mano.

«Non volevano niente, niente», rispose.

«Tu mi dici le bugie», mugugnò la bambina.

«Kay, ti assicuro che certe cose è meglio non saperle.»

«Tipo?»

«Tipo che devi stare zitta e mangiare, ok?»

Kay si ammutolì con la testa china sul suo piatto, e io guardai severamente Elisabeth, che ricambiò per un attimo e poi scappò.

Non feci nemmeno in tempo ad annunciarmi che Elisabeth disse a Kay di andare a dormire perché si stava facendo tardi.

La bambina raccolse la sua matita rossa e il suo disegno e si avviò in camera, salutandomi con la mano, dopodiché Elisabeth si girò verso di me stando appoggiata con le mani al lavabo e mi guardò negli occhi.

Non ci fu nemmeno bisogno di dire che dovevamo parlare, lo sapevamo entrambi ed era arrivato il momento.

«Da quanto va avanti sta storia?», chiesi con le braccia al petto.

«Non ti dovrebbe nemmeno interessare.»

«Suppongo che i soldati non sappiano dell’esistenza di Kay.»

«Ovviamente no.»

«Chi lo sa?»

«Solo Rua. Tutti credono che dopo la morte di Charles sia stata prelevata anche lei, ma non è stato così.»

«Perché?»

«Perché… perché lei è…»

«Kay è…?»

«Rua è il cugino di Charles e quindi lui e Kay sono… parenti.»

«Non ci posso credere», dissi afflitto, mettendomi seduto pesantemente sul divano, la testa fra le mani. «Cioè, fammi capire. Rua è cugino di Charles eppure sono due persone così diverse? Uno pensa al dominio assoluto del pianeta e l’altro ad un mondo libero e giusto?»

Annuì a testa bassa, senza spiccicare parola.

«E comunque non è giusto quello che ti fanno i soldati, e se solo potessi io li strozzerei con le mie stesse mani», ringhiai.

«Sei patetico.»

«Che cosa, scusa?»

«Sei patetico, perché sei geloso.»

Quelle parole mi stroncarono, oltre a ferirmi inspiegabilmente. Perché se tenevo a lei ed ero geloso dovevo essere considerato patetico?

«Che altro potevo fare, Tom? Me lo dici, ora? Cosa? Se non lo facessi mi avrebbero uccisa già da un pezzo, e non voglio abbandonare Kay.»

«Lo so questo, ma… è comunque ingiusto. E non voglio che tu lo faccia ancora, non devi farlo mai più.»

«Con una pistola puntata alla tempia è un po’ difficile prendere delle decisioni, non credi?»

«Elisabeth…»

«Che cosa c’è? Che cosa vuoi da me?», singhiozzò celando le lacrime che le rigavano le guance dietro le mani.

«Non voglio niente da te, Elisabeth…», le dissi dolcemente, alzandomi, preoccupato per lei, ma lei mi rivolse uno sguardo rabbioso nonostante le lacrime ferme sul suo mento.

«Perché mi hai baciata, allora?»

«Io… beh io… non so perché l’ho fatto… Mi dispiace se…»

Non feci in tempo a finire, Elisabeth mi attirò a sé prendendomi per la nuca e mi baciò. In quel bacio le sue lacrime si mescolarono alle nostre labbra e quando si staccò riprese fiato come se fosse stata in apnea, gli occhi sbarrati.

«Bene, non è stato poi tanto male», disse pensando ad alta voce, guardandomi negli occhi subito dopo.

«Ora dovrei chiederti io perché mi hai baciato?», le chiesi confuso.

«È meglio che tu non lo faccia.»

«Ok, perché mi hai baciato?»

«Testa dura», mormorò. «Per vedere se c’era qualche differenza fra te e quei soldati», ammise.

«È ovvio che c’è differenza!», sbraitai mosso nell’orgoglio, lei mi tappò la bocca con la mano.

«Questo l’ho capito da sola», sorrise. «C’è un enorme differenza. Tu… tu sembri Charles.»

«L’ha detto anche Kay», sussurrai accarezzandole i capelli, spostandoglieli dalla fronte.

Ci eravamo avvicinati sempre di più, sentivo il suo corpo sfiorare il mio, il suo cuore battere accanto al mio impazzito nella cassa toracica, il suo respiro lento e il suo profumo che subito mi aveva attratto e che mi piaceva tanto.

«Voi rischiate troppo con noi accanto», dissi, anche se con il cuore infranto. «Non posso permettere che vi succeda qualcosa a causa nostra. Avete già fatto troppo per noi.»

«No, non potete andarvene», disse spaventata, prendendomi i polsi. «Non voglio.»

«Elisabeth… prima o poi ci scopriranno.»

«No, no invece! Non ti ricordi la promessa che hai fatto a Kay? Non puoi deluderla!»

«E tu come fai a sapere che le ho fatto quella promessa?»

«Me ne ha parlato lei, e se le distruggi pure questa sei solo un farabutto», disse con rabbia, anche se aveva le lacrime gli occhi. «Non te ne andare, Tom, ti prego non te ne andare…»

«Elisabeth, io…»

Mi abbracciò lasciando inconcluse le parole che nemmeno io volevo che uscissero dalla mia bocca, facendomi sentire felice e all’improvviso così legato a lei da volerla difendere anche a costo della mia stessa vita, com’era successo quel pomeriggio con Kay.

«Non me ne andrò», le sussurrai sfiorandole i capelli sulla nuca e stringendola a me, rassicurandola nel mio abbraccio.

  # # #

Il giorno seguente mi svegliai per ultimo e quando salii in cucina vidi Kay che guardava incuriosita la madre lavorare con farina e uova, Bill, Georg e Gustav accanto a lei come dei bambini speranzosi di ricevere la propria parte.

«Che cosa sta succedendo qui?», chiesi.

Elisabeth alzò lo sguardo e mi fece un sorriso smagliante, che mi lasciò frastornato e come un ragazzino alla prima cotta ricambiai.

«Buongiorno signor Tom! La mia mamma sta facendo dei biscotti, sai?»

«Kay, perché ti ostini a chiamarmi signor Tom, quando comunque non mi dai del lei?», le chiesi sorridendo.

«Mi piace chiamarti così!»

«Se piace a te… Dei biscotti? Come mai?»

«Ma non puoi mai evitare di fare domande?», chiese Elisabeth mordicchiandosi il sorriso che non riusciva a mandare via dalle labbra da quando mi aveva visto.

«No, non posso, è più forte di me.»

Bill ci guardò, prima me e poi Elisabeth e viceversa, per un paio di minuti continuò quel ping pong e poi sorrise beffardo guardandomi negli occhi.

«Non guardarmi così, mi metti paura», gli dissi, anche se non avevo paura di mostrare al mondo i miei sentimenti, non quella volta.

«Tomi, noi dobbiamo parlareeeee!», canticchiò battendo le mani e saltellando.

«Perché è così eccitato?», chiese Georg indicandolo.

«Boh, sai com’è… dev’essere che già all’idea di mangiare i biscotti sia impazzito.»

Elisabeth ridacchiò e Kay scese dalla sedia per unirsi a Bill in quello strano balletto, lasciandosi prendere per le mani.

«Che banda di pazzi», commentò Gustav divertito.

 

***

 
Ecco qui il sesto capitolo!! Che ne pensate?? Mi raccomando tante recensioni, ok? Perchè stanno calando!! 
E ora Ringraziamenti Time, un nuovo programma su _Pulse_Channel! XD (Sono fuori, sì)

layla the punkprincess: Concordo pienamente con tutto quello che hai detto ^^ Grazie per le tue recensioni, ci sei sempre e questo mi rincuora!! Alla prossima, ciao!

M_Lucry_J: Grazie mille per i complimenti, spero solo che questo capitolo mi sia uscito bene, io ci ho messo impegno U.U Sono contenta che tu sia curiosa  di sapere come andrà a finire, mi fa molto, molto piacere! Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto, ciao bacio!!

Utopy: Eccola qui, la mia Frenzy-Ale!! :D Sono contenta che ti piaccia e il fatto che sei rimasta con il fiato sospeso mi ha resa la ragazza più felice del mondo, era quello che volevo che accadesse!! Grazie mille *___*

_samy: Ed eccola qui anche lei!! Oh sì!! Sono contenta di averti aiutata ad iscriverti, non era la prima volta che lo facevo (Vedi Utopy, sopra di te xD)!! Ti ringrazio ancora tanto, oltre che su msn anche qui, per aver recensito tutti i capitoli di Feel it again dal primo al quinto, mi ha fatto molto piacere *__* E GRAZIE per la propaganda Scrivi Recensioni Ad Ary, ne ho bisogno XD Sono contenta che la mia storia venga presa sul serio, perchè anche io la ritengo importante, e sai che il mio scopo è solo quello di fare ragionare la gente la maggior parte delle volte ;-) Ancora grazie mille <3 Alla prossima, ciao!!

Vostra, _Pulse_

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Capitolo 7
*** La lettera ***


Settimo capitolo! Non sono ancora molto dell'umore giusto per ridere e scherzare (cose che faccio sempre di solito), ci sono delle cose che mi fanno arrabbiare, ma sono solo degli schizzi, non vi preoccupate ^^ La vostra _Pulse_ tornerà più forte di prima, o per lo meno si spera XD
Prima di consegnarvi a questo capitolo un pò di tempo fa avrei voluto fare un appello per pregarvi di scrivere un pò più di recensioni (ero davvero giù di morale e pensavo che tutto andasse male, che le mie storie facessero schifo e che io facessi schifo come persona), ma ci ho ripensato, sapete perchè? 
Non importa quante recensioni si ricevano, l'importante è scrivere per sè stessi se non per altri, e sentirsi bene, e non sentirsi vincolati da dei commenti che comunque fanno sempre piacere se ci sono ^^ Io NON scrivo principalmente per vedere le recensioni, ma perchè mi piace e perchè senza la scrittura la mia vita sarebbe tremendamente noiosa, senza tutti i miei personaggi e le loro vicende che sanno far piangere, ridere, gridare e annoiare. Amo ogni mio personaggio a modo suo, e amo scrivere: questo è l'importante
Detto questo, sentendomi molto più libera e serena, quasi felice, vi auguro buona lettura e vi ricordo che risponderò alle recensioni del capitolo precedente alla fine del capitolo.
Vostra _Pulse_

***

Elisabeth sistemò la mensolina del bagno prendendo il suo beautycase: era un sacco di tempo che non dedicava del tempo a sé stessa ma non ne aveva mai fatto un dramma, inoltre Charles diceva sempre che era bellissima anche senza i pochi trucchi che usava.

Le mancava tanto il suo amato Charles, ogni volta che lo pensava le veniva un groppo in gola che era difficile da mandar giù, mai l’avrebbe dimenticato, soprattutto grazie alla sua piccola Kay che glielo ricordava così tanto con quei riccioli biondi e il suo sorriso affascinante.

Però non poteva stare da sola, lei era un donna forte, l’aveva sempre dimostrato, ma voleva qualcuno accanto a sé e la sua bambina, qualcuno che fosse in grado di occuparsi di entrambe. E forse quel qualcuno l’aveva trovato: Tom.

All’inizio l’aveva visto come un povero uomo in grado solo di provare diffidenza per tutto e tutti, ma poi quando aveva visto negli occhi della figlia quella grande stima che gli riservava aveva iniziato a guardarlo con i suoi occhi, e si era accorta che stranamente era sempre con lui che si confidava.

Ogni volta che lo vedeva si sentiva strana, il cuore le martellava nel petto come solo anni prima aveva fatto e quella sensazione di smarrimento l’aveva portata a mettere un muro fra loro, ma non aveva retto, era crollato non appena l’aveva baciata e confortata.

Ormai non poteva vedere quella casa senza quei quattro maschi, senza Lui, e non voleva che ne se andassero, anche a costo di rischiare la vita. 

Kay con loro aveva ritrovato il sorriso, quello vero e bellissimo che per un po’ non le aveva visto sul viso, e ciò non poteva che renderla felice.

«Elisabeth, cosa stai facendo?»

Alzò lo sguardo dal beautycase che aveva appoggiato in grembo, sorridendo, e vide Bill alla porta, che la guardava curioso come un bambino.

«Hai mangiato i biscotti?», gli chiese inarcando un sopracciglio.

«Io? Nooooooo!»

Elisabeth ridacchiò, indicandogli di guardarsi allo specchio. Aveva delle macchie di cioccolato sulle labbra e intorno alla bocca, proprio come se fosse stato un bambino troppo goloso per resistere.

«Ok, mi hai beccato», disse sorridendo, pulendosi con l’acqua.

«Spero per te che tu non li abbia finiti, perché se Kay lo scopre ti mangia a te.»

«Quella bimba è forte, come i genitori suppongo.»

«Sì, spero che abbia ereditato tutto da Charles», sospirò.

«Senti Elisabeth… ho parlato con mio fratello e…»

Elisabeth alzò di nuovo lo sguardo, gli occhi vivi da un luccichio che Bill riconobbe come gioia pura nel sentire un sinonimo del nome “Tom”.

«E lui mi ha detto che vi siete baciati! Ben due volte!», disse emozionato, saltellando dentro al bagno e mettendosi seduto di fianco a lei velocemente, prendendole le mani, proprio come una pettegola di prima categoria.

«Devi raccontarmi tutto, lui fa il timido! Sì, potrebbe non sembrare, ma è così, fidati, io sono il suo fratello gemello e certe cose…»

«Stop! Time-out!», gli disse mettendogli una mano di fronte al viso.

«Attacco di logorrea, scusa», disse sorridente, facendola ridere.

«Non fa niente, Bill. Tom ti ha davvero parlato di… noi?»

Com’era strana quella parola riferita a lei e ad un altro uomo che non fosse il suo defunto marito, non era affatto abituata, ma la sensazione non era poi tanto male.

«Sì, gli ho cavato le parole di bocca perché avevo visto che era al settimo cielo, ma… sì.»

«Al settimo cielo?»

«Oh sì! È giorni che sorride come un’ebete! Sembra persino che si sia innamorato. Wow, da quanto tempo aspettavo questo momento!»

«Bill, frena con la fantasia», disse abbassando lo sguardo.

«E perché?», chiese come un bambino deluso, cercando di sbirciare il suo viso nascosto dai capelli lunghi.

«Perché… insomma, perché dovrebbe interessarsi ad una vedova con una figlia a carico? Sarebbe tutto più complicato di quello che è già.»

Prima non ci aveva pensato, ma quell’ipotesi non era da scartare, anzi era da tenere bene a mente per non volare troppo con la fantasia, perché se fosse volata troppo in alto e se fosse caduta si sarebbe fatta molto male.

«Tom è innamorato di Kay quanto lo è di te», le disse dolce mettendole una mano sulla spalla.

Elisabeth alzò lo sguardo sorpresa da quelle parole, che le avevano rinvigorito lo spirito di una ventata d’ossigeno fra le tante preoccupazioni che la fece sentire euforica e piena di energie.

«Dici davvero?»

«Ovviamente! Se li vedessero andare in giro per strada tutti crederebbero che è sua figlia, non c’è da dubitare di questo.»

«È tutto troppo bello per essere vero.»

«E invece è tutto vero, dal dramma nascono spesso cose belle, come un fiore che nasce dalla cenere dopo un incendio.»

Si guardarono intensamente negli occhi e si sorrisero, lei leggermente commossa da quelle parole che le avevano riaperto il cuore a quel sentimento che da quando Charles se n’era andato non era più riuscita ad accettare: la fede, e con lei la speranza di poter ricominciare con qualcuno al proprio fianco, e di essere di nuovo felice assieme alla sua bambina.

«Cavolo che capelli lunghi che hai…», gli disse cambiando argomento, prendendogli una ciocca fra le dita.

«Sì… eheh, non ho fatto in tempo ad andare dal parrucchiere in questo periodo…»

«Dovreste darvi tutti una sistemata, sapete? Sareste anche meno riconoscibili.»

«Sì, ma come?»

Elisabeth si alzò e andò all’armadietto dove teneva la scatoletta del pronto soccorso, la stessa che aveva usato per la ferita alla spalla di Tom, quando l’aveva conosciuto, e tirò fuori il vecchio rasoio elettrico di Charles. Non aveva mai toccato la sua roba dalla sua scomparsa, ma doveva andare ancora.

«Sei sempre una sorpresa, Elisabeth», le disse sorridente.

# # # 

Scesero di sotto, nel bunker, dove c’erano anche gli altri, ed Elisabeth sentì il proprio cuore ingrandirsi quando vide Kay fra le mie braccia, che mi raccontava un episodio divertente della sua infanzia, e io l’ascoltavo rapito quanto sereno e felice.

«Ragazzi, chi vuole farsi la barba?», chiese Bill mostrando gli accessori scovati da Elisabeth.

«Io!», disse Kay facendoci ridere tutti quanti, compresa Elisabeth. «Tu devi farla, perché mi pungi», mi sorrise.

«Sì, credo proprio che io la farò, anche se mi piaceva pungerti!», risi cercando di sfiorarle la pelle con le guance, facendola scappare via e nascondere dietro le gambe della madre, che mi sorrise contenta.

Andai da lei e l’abbracciai, appoggiando la guancia alla sua testa, mentre mi prendeva per la schiena e mi stringeva.

Kay ci guardò senza fiato, piacevolmente sorpresa, e poi guardò Bill che le fece l’occhiolino.

«Il signor Tom diventerà il mio papà?», chiese grattandosi la testa confusa. 

«No… ehm… il tuo papà resterà sempre Charles… però io… se la tua mamma lo vorrà… potrò essere qualcosa di molto simile», arrancai a dare la risposta, in evidente imbarazzo, ma il sorriso di Elisabeth mi fece rendere orgoglioso e adempì tutti i miei sforzi per pronunciare quelle ventuno parole così difficili.

Le ore seguenti le passammo a darci una sistemata sotto gli occhi attenti di Kay ed Elisabeth che rideva sempre, era bella la sua risata, sembrava che fosse tornata di nuovo in vita dopo molti anni di apatia verso ciò che la circondava.

«Posso tagliare io i capelli a Bill?», chiese Kay tirando la mano ad Elisabeth.

«Vedi? Perché a lui lo chiami solo Bill e non signor Bill?», feci notare, mentre lui se la sghignazzava.

«Perché sei solo tu il signor Tom! Mamma posso allora? Eh, posso, posso? Per favore!»

«No che non puoi, peste! Non mi farò mai tagliare i capelli da una bambina!»

Ma successe il contrario, quando Elisabeth di nascosto fece tagliare una ciocca a Bill da Kay, e l’ignaro credeva che gliel’avesse tagliata la madre.

Alla fine ridemmo e scherzammo per tutto il pomeriggio, quando bussarono alla porta e noi e Kay dovettimo filare nel bunker per non essere scoperti.

«Mi raccomando Elisabeth», le sussurrai con la fronte appoggiata alla sua, donandole un lieve bacio a causa della fretta.

Una volta nascosti, andò ad aprire e si trovò davanti il ragazzino che c’era sempre al mercato, un bambino di circa otto anni, sfuggito anche lui alla cattura, che di sua iniziativa aveva deciso di portare a Elisabeth e Kay qualcosa da mangiare ogni tanto. Era evidente che avesse un debole per la piccola Kay, e chi poteva resisterle, d’altronde?

«Oh, ciao Dimitri! Entra!»

Dimitri si tolse il cappello educatamente ed entrò in casa. Posò il cesto con della frutta e altra roba trafugata alla bancarella del mercato di suo padre e poi le diede una lettera.

«Chi me la manda?», chiese Elisabeth insospettita.

«Un soldato mi ha incontrato al mercato e mi ha detto di consegnarla a te quando saresti venuta a fare spese, ma visto che non puoi più venire… te l’ho portata.»

«Un soldato?»

«Sì.»

«Ti ha fatto del male, Dimitri?»

«No, è stato anche molto gentile perché mi ha pagato!»

«Sono felice per te, allora! Grazie Dimitri, per tutto quello che fai.»

«Non si preoccupi, per me è un piacere! Mi saluti tanto Kay!»

«Ok, stai attento mi raccomando!»

«Sì!»

Chiuse la porta alle sue spalle e si diresse al divano, voleva leggere quella misteriosa lettera prima di farci salire di nuovo.

 

***

 
_samy: Eh sì, manca poco! Non stai più nella pelle, eh? Ahahah. Grazie per la propaganda ;-)

M_Lucry_J: Grazie mille, davvero, è bello vedere che ci sono persone che apprezzano *____*  Bacio

layla the punkprincess: Parenti serpenti? Questa non la sapevo ^^ Beh comunque è proprio così, e non hai visto ancora nulla di Rua XD Tra Tom e Elisabeth si vedrà molto presto, ma se son rose fioriranno visto che andiamo di proverbi. Ciao, alla prossima!

xClaRyx: Grazie mille *__* A me piacciono i tuoi capelli fucsia! ^^ Un bacio anche a te ^^

Alla prossima!
Vostra, _Pulse_

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Capitolo 8
*** Te lo prometto ***


La lettera che le era arrivata era aperta, stesa al centro del tavolo. Intorno ad essa c’eravamo tutti, che valutavamo i pro e i contro prima di prendere una decisione.

«Perché Rua ti avrebbe invitata a cena?», chiese Georg.

Elisabeth era seduta al mio fianco, Kay fra le braccia, ignara di tutto. La stringeva come se la stesse per abbandonare per sempre, triste; io avrei tanto voluto fare qualcosa, ma avevamo le mani legate tutti quanti.

«Secondo me è una trappola», disse Gustav. «Dev’esserci qualcosa di losco sotto.»

«Beh… cosa potrebbe fare, allora? Se non ci andasse finiremmo tutti per essere scoperti e uccisi, noi perché siamo dei sovversivi e loro per tradimento… Se ci andasse, invece…», Bill abbassò lo sguardo.

«Non si sa se tornerò», disse debolmente Elisabeth, arresa all’evidenza.

«Potremmo dire che stai male e che non puoi.»

«Rimanderemmo e basta, Rua non si arrende mai.»

«Hai ragione… Ma come possiamo fare? Tom, perché stai così in silenzio? Tu hai qualche idea?»

Aprii gli occhi e lo guardai a braccia incrociate, la schiena appoggiata pesantemente allo schienale.

Cosa si poteva fare? Praticamente nulla. Per un motivo o per un altro avrei perso comunque la persona di cui mi ero innamorato. Perché ogni volta che mi sentivo felice – sì, perché mi sentivo felice con Elisabeth e Kay, due altre componenti della nostra famiglia –, tutto cadeva a pezzi lasciandomi quel grande vuoto dentro? Perché?

«Non cambierebbe niente, Bill», dissi fermo. «Moriremo comunque, prima o poi.»

«Tom, sii ottimista! La speranza non è sempre l’ultima a morire?»

«Non riesco ad essere ottimista, sapendo che Elisabeth dovrà andare a cena con quell’essere disgustoso, sapendo che magari non tornerà.»

Mi alzai scuotendo la testa, sentendo il cuore martellare nel petto come mai, la testa esplodere e un’enorme voglia di piangere, come non ne avevo mai avuta.

Mi trascinai nel bunker, mi gettai sul mio letto e chiusi gli occhi.

Forse restai lì per ore, forse per minuti, o forse solo per qualche secondo, ma sentii dei passi soffici raggiungermi e un peso leggero sedersi al mio fianco.

«Kay, sei tu?», chiesi.

«Sì, sono io.»

«Che cosa c’è che non va?» Tutto, tutto non va.

«Perché mamma deve andare via?»

Mi girai e la guardai: aveva gli occhi pieni di lacrime, ma non piangeva. Era forte ed orgogliosa come la madre, come doveva essere stato anche il padre che aveva sacrificato la vita per loro e per tutti quelli che erano contro Rua.

«Piccola… Ti prometto che…»

«Tu mi hai fatto troppe promesse, non riuscirai a mantenerle tutte!», gridò.

Non l’avevo mai vista così, e oltre a farmi paura, mi spezzò il cuore in tanti piccoli pezzi, anche se lo era già a causa di quella lettera improvvisa e inaspettata.

«Kay, perché dici così?»

«Perché anche il mio papà me ne ha fatte tante», tirò su col naso.

«Lotterò fino a quando non avrò più respiro per te e la tua mamma, ok?»

«Ma non mi promettere niente, signor Tom», sorrise pronunciando quel nome a me fastidioso. Ma mi stavo abituando, e detto da lei era tenero e mi riscaldava il cuore.

«Piccola peste che non sei altro, se ti prendo!»

La rincorsi per il bunker e quando riuscii ad afferrarla per i fianchi la sollevai e le feci fare un giro come se fosse un aeroplano, libero di volare nel cielo come suo padre e come io avrei voluto.

Quando smise di ridere si addormentò fra le mie braccia, sdraiata sul mio letto. Sorrisi accarezzandole i capelli e le baciai la guancia, poi mi alzai e salii di sopra per vedere a che punto erano arrivati della discussione, ma sulle scale incontrai Bill, Georg e Gustav demoralizzati, tutti a testa basta. Conoscevo quello sguardo, e sentivo che qualcosa sarebbe andato storto.

«Che è successo?», chiesi.

«Nulla… Elisabeth…»

«Ha preso la sua decisione?»

Bill annuì afflitto, sorpassandomi e scendendo nel bunker. Gli altri lo seguirono in silenzio, io proseguii verso la cucina, dove trovai subito Elisabeth seduta sul divano, con in mano il maglioncino di lana di Kay e i ferri.

«L’hai quasi finito», dissi sorridendo. 

«Sì, vorrei finirlo entro stasera.»

«Allora… vai.»

«Cos’altro potrei fare?»

«Potremmo andarcene da qui, fuggire, sarebbe come… scomparire da questo mondo.»

«Con una bambina di cinque anni? Kay non ce la farebbe, è troppo piccola e debole.»

«Debole?»

«Da piccola ha sofferto di cuore.»

«Ora è così scatenata!»

«Già, ha sempre combattuto contro tutti, lei.»

«Come te e Charles.»

Elisabeth smise di lavorare e unì le mani in grembo, il ricordo di Charles era sempre presente in lei, ogni volta che si pronunciava il suo nome impronunciato chissà per quanto tempo un velo di tristezza appannava i suoi occhi luminosi e mi sentivo soffocare io per lei.

«Scusa», mi pentii abbassando la testa.

«Non è colpa tua, Tom. Sai, io e lui ne abbiamo passate tante insieme. Voleva un fratellino per Kay, ma non abbiamo fatto in tempo.»

Sorrisi e alzai lo sguardo per incrociare il suo di nuovo sereno.

«Diceva che lui avrebbe continuato la sua battaglia, se non ci fosse riuscito lui. Aveva così tanti sogni, così tanta speranza…»

Mi misi seduto accanto a lei e le accarezzai i capelli mettendoglieli dietro l’orecchio, dolcemente.

«Tom, tu credi davvero che qualcosa possa cambiare?», mi chiese guardandomi negli occhi.

«Sì, qualcosa è già cambiato nelle nostre vite.»

«Sarebbe?»

«Abbiamo altre due persone nella nostra famiglia formato maschile… E io… mi sono innamorato di te e di Kay, per non parlare di Bill che la tratta come una principessa. Senza di voi la nostra vita tornerebbe grigia e… triste.»

«Io l’ho sempre detto che le donne sono meglio degli uomini», sogghignò, io sfiorai il suo naso con il mio, scherzosamente.

«E gli uomini con le donne sono ancora meglio», sussurrai prima di baciarla.

Le sue labbra erano calde ed invitanti, i suoi capelli profumavano di lavanda, la sua pelle era seta da sfiorare, il suo calore fra le braccia indescrivibile.  

Cercai di memorizzare tutto nella memoria, anche ogni minimo dettaglio di lei in quella notte che passammo abbracciati stretti a fare l’amore veramente, con sentimento, senza paure e costrizioni, solo seguendo il nostro cuore di nuovo colmo di speranze e sogni.

Mi piaceva tutto di lei, anche i suoi difetti oramai mi erano entrati nel cuore e difficilmente sarebbero potuti volare via se non con qualcosa di più forte che mi avrebbe trascinato via da questo mondo e dalla mia anima gemella.

L’amavo, tutto qui. E amavo sua figlia, cosa ancora più bella di tutte.  

La strinsi fra le braccia baciandole la fronte, spostandole i capelli che mi ricadevano delicatamente sul petto facendomi un piacevole solletico che mi scatenava i brividi.

La luna fuori risplendeva, le stelle erano visibili, una più luminosa delle altre ci indicava la via. La stella di Charles che sorrideva vedendo la moglie di nuovo felice dopo tanto dolore per la sua perdita, sua figlia felice di aver trovato non un padre, ma ben quattro su cui appoggiarsi nei momenti difficili.

«Tom, ti fa male la spalla?», mi sussurrò sollevando la testa dal mio petto e guardandomi con gli occhi gioiosi e luminosi come non li avevo mai visti, le guance ancora arrossate dopo la passione.

«No, non mi fa più male da tempo.»

«E perché allora a volte ti lamentavi?»

«Per ricevere le tue attenzioni, no?», sorrisi, lei ricambiò e mi baciò morbida sulle labbra, per poi riappoggiarsi a me e stringere i pugni di fianco al viso.

«Qualcosa non va?», le chiesi.

«Scommetto che ti sei dimenticato che domani devo andare da Rua.»

«Non me ne sono dimenticato», dissi amaramente.

«Qualsiasi cosa dovesse succedere, Tom…»

«Sì?»

«Ti amo.»

Incontrai il suo sguardo e quella punta di tristezza nei suoi occhi, assieme alle lacrime che stavano per sfregiarle il viso, mi fece star male e aumentare la stretta intorno alla sua vita.

«Anch’io Elisabeth, anch’io.»

«Proteggi Kay, mi raccomando. Non permettere a nessuno di farle del male, ti prego…»

«La proteggerò, te lo prometto. Tu mi prometti una cosa?»

«Che cosa?»

«Promettimi che tornerai, Elisabeth.»

Anche a me le lacrime punsero gli occhi, molto fastidiosamente. Erano anni che non piangevo, anni che avevo passato a scappare e a pensare solamente a salvarmi la pelle e a proteggere i miei amici.

«Come posso farti una promessa se non so se riuscirò a mantenerla?»

«Tu promettilo e basta, Elisabeth.»

«Te lo prometto.»

«E promettimi di amarmi, sempre, in qualsiasi circostanza.»

«Oh, questo è facile», sorrise. «Ti amo, e ti amerò sempre. Te lo prometto. Tu?»

«Anch’io te lo prometto, Elisabeth. E questa sarà la promessa più facile da mantenere, te lo giuro.»

 

***

 
Eccoci qui, con l'ottavo capitolo! Tra Elisabeth e Tom è scoppiato l'ammmmmmore!!! *___* Oh che bello.
Ringrazio infinitamente:

_samy: Ora sai chi ha mandato la lettera ad Elisabeth e non è una bella cosa ç_ç Dai su, il patrigno di Kay arriverà ma devi aspettare ancora un pò XD Solo questione di capitoli ;D Grazie 1000!!

M_Lucry_J: Scusami, ma ho dovuto per tenervi incollati, anche se ho visto che vi siete innamorati di questa ff ^^ Grazie tante, sono contenta che ti piaccia la love story xD Bacio.

xClaRyx: Nuoo, non sono più fuxia? Peccato, stavi bene! Comunque grazie mille, sì Bill è sempre un bambino ;D Grazie, la considerazione iniziale ci stava perchè mi ero arrabbiata parecchio e poi pensandoci bene il perchè per cui scrivo era sicuramente più importante delle recensioni ^^ Grazie.

layla the punkprincess: Bill e Kay, che coppia, eh? XP La lettera l'avevi già capito su msn da chi era e non ti è piaciuto XD Povera Elisabeth, a questo punto!!! Ciao alla prossima!!

Utopy: Non importa, fedele! Anche se non avevi recensito l'altro capitolo ti sei fatta perdonare u.u Adesso sai chi ha scritto la lettera ad Elisabeth e non è bello ç_ç Baci Frenzy, alla prossima!!

A presto!
Vostra, _Pulse_

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Capitolo 9
*** Rua ***


Era arrivato il momento, il fatidico addio che speravo fosse un arrivederci a presto. Anzi, lo sapevo, perché Elisabeth me l’aveva promesso: sarebbe tornata, in un modo o in un altro.

Guardai Elisabeth mentre si metteva gli orecchini e si passava il rossetto sulle labbra. Era una ferita vederla così bella per un dittatore assassino, e non lo era solo per me, ma anche per lei.

Indossava un vestito nero stretto, lungo fin sotto le ginocchia; i capelli erano sciolti sulle spalle, in morbide onde che mi ricordarono il mare con il riflesso del sole che li faceva brillare.

«Tom, non mi guardare così, mi sto sentendo già abbastanza in colpa di mio.»

La guardai girarsi verso di me con lo sguardo triste, che stonava con tutta la sua bellezza.

«Lo so… lo so, ma non posso farne a meno.»

«Ho paura.»

«Anch’io.»

Ci abbracciammo così forte quasi da soffocarci, le strappai un lamento che subito dopo aver diminuito la stretta si era trasformato subito in una risata leggera, ma io non riuscivo a staccarmi da lei, non riuscivo nemmeno a pensare che avrebbe mangiato assieme a quel verme. E tantomeno alla possibilità di non riaverla più indietro.

«Mi raccomando, stai attenta.»

«Sì, ho delle promesse da mantenere.»

Sollevò il viso e la baciai chiudendo gli occhi, tenendola forte a me, sentendo il suo calore attraversare i vestiti e raggiungere la mia pelle fino a farmi correre dei brividi lungo la schiena.

«Ora… è meglio che vada», disse a malincuore.

Dovetti fare un grandissimo sforzo per lasciarla andare, per vederla camminare verso la porta e per vederla salutare Kay tenendola in braccio con le lacrime agli occhi.

«Mamma, ma torni, vero?», chiese Kay una volta a terra, la madre in ginocchio di fronte a lei.

«La scena si sta ripetendo una seconda volta, Kay? È questo quello che stai pensando?»

«Beh… anche papà ha fatto così prima di lasciarci», singhiozzò senza versare una lacrima.

«Piangi, piccola mia, non ti tenere tutto dentro, ti fai solo del male.»

«Non voglio piangere, non ce n’è motivo, perché tu tornerai.»

Elisabeth sorrise seppur avesse le lacrime agli occhi e la abbracciò di nuovo, affondando il viso fra i suoi capelli biondi.

Una macchina nera si fermò di fronte alla casa e suonò il clacson, facendo sobbalzare Kay che non ne aveva mai sentito uno nei suoi cinque anni. Elisabeth si sistemò tirandosi in piedi e ci guardò uno per uno.

«Abbiate cura di Kay», disse un’ultima volta, prima di uscire.

Io non dissi niente, a differenza degli altri, quello che avevo da dirle gliel’avevo già detto.

La guardai uscire e salire in macchina in completo silenzio, gli occhi che parlavano da soli.

Quando se ne fu andata mi girai verso Kay e mai come prima, perlustrandola con lo sguardo, notai il ciondolo che aveva legato al collo.

Ma perché mi preoccupavo di un ciondolo quando la persona che amavo aveva scarsissime possibilità di tornare a casa?

 # # #

Tutto quello che voleva e che aveva avuto si era distrutto di fronte ai suoi occhi: prima suo marito, poi sua figlia e infine il suo nuovo amore, Tom.

Odiava quel mondo ingiusto, odiava la guerra, odiava Rua, odiava tutti quelli che uccidevano – soldati, mercenari – seguendo i suoi ordini, solo per soldi.  

La macchina che l’era passata a prendere scorreva velocemente fra le strade devastate dalla povertà e dal degrado della guerra. Sui muri grigi delle case vide scorrere serie e serie di foto di Bill, Georg, Gustav e Tom, i ricercati.

Strinse i denti e pugni, poi pensò che almeno loro li avrebbe dovuti proteggere, assieme a Kay, anche sacrificando la propria vita.

Ci misero poco ad arrivare alla villa gigantesca di Rua, su una collina, da dove si poteva gustare quel panorama che era sinonimo di odio e distruzione.

Il giardino era immenso, perfettamente curato dalla sua servitù, i muri erano bianchi, c’erano vetri a specchi, fontane e tutto ciò che era lusso e spreco.

Il popolo non era niente, era solo la banca di Rua attraverso le pesanti tasse che tutti dovevano obbligatoriamente pagare ogni tot di tempo.

Elisabeth aveva visto intere famiglie sfaldarsi a causa della mancanza di denaro e morire di fame, senza che ne nessuno se ne preoccupasse.

Entrò nel grandissimo salone adornato di statue di marmo bianco e da un lampadario di cristallo che quasi non l’accecò e vide subito un maggiordomo di Rua che l’aspettava.

«Prego signora, da questa parte», disse cortesemente.

Lei non lo guardò negli occhi e nemmeno lo ringraziò: non dovevano aspettarsi nulla da lei, se non il disprezzo di aver rovinato anche la sua, di famiglia.

«Eccellenza, è arrivata la Sua ospite», l’annunciò il maggiordomo.

«Oh, sìsì, falla entrare subito.»

Il maggiordomo la scortò fino ad un’enorme sala da pranzo, con un tavolo lunghissimo e al cui capo c’era seduto Rua, in una vestaglia rossa e un sorriso stampato sul viso.

«Ciao, Elisabeth. Come stai?»

«Potrebbe sicuramente andare meglio, Rua.»

Rua scoppiò in una risata odiosa, mentre le guardie erano già pronte a prendere la donna che l’aveva chiamato per nome e sbatterla in galera.

«No, lasciate perdere», gli disse con un gesto della mano.

«Cara Elisabeth, ho sempre apprezzato il tuo caratterino. Siediti, accomodati. Cosa preferisci mangiare? Carne, pesce…?»

«Niente. È presente nel menù?»

«No, purtroppo no, ma potrò fare un’eccezione per te.»

«Perché mi hai chiamata qui?»

«Per sapere come stavi, ovviamente!»

Con un’occhiata ordinò alle guardie di uscire dalla sala, e loro, anche se un po’ confuse da quel comportamento insolito, ubbidirono e si ritirarono fuori dalla stanza.

«Allora… come sta la piccola Kay?», chiese una volta che furono soli, sporgendosi sul tavolo, verso di lei.

«Sta bene, non c’è bisogno che tu te ne debba preoccupare.»

«Io me ne preoccupo, invece… Sai, non si sa mai che i soldati l’abbiano scoperta…»

«Se fosse stato così tu l’avresti saputo.»

«Già… Hai visto quanti bei manifesti ci sono appesi per la città? Tu per caso hai visto i ricercati da qualche parte?»

Il cuore le mancò di un battito pensando a Bill, Georg, Gustav e Tom. Possibile che Rua li avesse scoperti?

«No, non ne so assolutamente niente.»

«Non mentire con me!», gridò sbattendo i pugni sul tavolo e alzandosi, sovrastandola. «So che sono con te, ma i soldati che sono venuti non li hanno trovati. Dove li nascondi?!»

«Quei soldati mi hanno solo usata! E ti ho detto che non ne so niente di loro!»

«Non sono al corrente di quello che fanno i soldati quando li mando in missione, il loro compito era quello di controllare se c’erano i ricercati con te.»

«Dovresti esserne al corrente, invece. Rua, non hai un minimo di rispetto per niente, nemmeno per Charles!»

«Io ho sempre odiato Charles! È sempre stato il migliore in famiglia, e quello che gli è successo se l’è meritato! E tu finirai come lui se non mi dici subito dove sono i ricercati!»

«Perché sei così sicuro che siano da me?»

«Portate la prigioniera!», gridò Rua verso la porta, e pochi istanti dopo le due guardie entrarono scortando una donna con il viso sciupato, che si dimenava.

Appena la vide abbassò lo sguardo vergognandosi di sé, di averla tradita, ed Elisabeth ebbe un colpo al cuore vedendo che quella donna era proprio la madre di Dimitri, il bambino che le portava sempre da mangiare da quando non poteva uscire di casa a causa dei cosiddetti ricercati.

«È stata lei a dirmelo», disse Rua. «E a meno che questa donna non abbia mentito, loro sono da te. Che cosa dici ora?»

Elisabeth restò immobile, senza sapere che cosa fare. Non voleva che la madre di Dimitri venisse uccisa, se fosse successo a lei di perdere la madre in questo modo avrebbe odiato chi l’aveva mandata a morire per tutta la vita, però in cambio avrebbe salvato la vita di sua figlia e di Bill, Georg, Gustav e Tom.

Abbassò il capo stringendo gli occhi, pronti a sgorgare nuove lacrime, e strinse i pugni, impotente.

«Continui a stare zitta? Bene, mandatela dal boia!», ordinò Rua, la donna si mise a gridare mentre veniva strattonata via, Elisabeth si lasciò scappare un singhiozzo di dolore per aver ucciso una donna, la madre del bambino che le stava tanto a cuore.

Rua le sfiorò il viso e le prese il mento fra le dita per fargli guardare i suoi occhi azzurri, ma pieni di odio e cattiveria:

«Hai visto? Se tu mi avessi detto dove sono quei fuggiaschi a quest’ora quella donna non starebbe per morire. Tutto per colpa tua.»

«Sei un essere spregevole, Rua», sibilò piena di rabbia.

«E tu sei una sovversiva proprio come Charles e i tuoi amici! Chiudetela in cella, domani penserò a come sistemarla.»

Le guardie la presero per le braccia e la condussero nei sotterranei della villa, così tetri e maleodoranti rispetto alla lussuosità sopra di lei, e la sbatterono sul pavimento duro e freddo, chiudendola a chiave sghignazzando.

Elisabeth si trascinò alla parete, nell’ombra della cella, e raccolse le gambe al petto, iniziando a piangere.

 

***

 

Le cose sembrano farsi sempre pù complicate... Vedremo cosa succederà! Ringrazio:

_samy: Sì, sul serio povera Elisabeth, soprattutto adesso. Vedremo cosa farà il signor Tom.... Comunque boh, chi lo sa, magari sì, magari no... boh! XD

Utopy: Tu sei proprio fissata con sti matrimoni! XD Per l'arcano segreto devi aspettare il prossimo capitolo! La bomba delle mutande? XD Ahi-ahi!!

layla the punkprincess: Hai detto proprio bene, che bello e che sfiga. Rua mi è uscito proprio bene da odiare, eh? XD Alla prossima!

M_Lucry_J: Grazie mille!! Mi sono commossa anch'io rileggendo *__*

xClaRyx: Rua sta antipatico a tutti, nulla di nuovo quindi XD Sì dai speriamo nel meglio, sempre sperare!! Tom ed Elisabeth sì, eh? *_____* Grazie tante!!

Alla prossima, vostra
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Capitolo 10
*** Complicazioni ***


Mi svegliai male, con tutti dei dolori alla schiena e un bruttissimo presentimento.

I dolori alla schiena erano facilmente provocati dalle ginocchia di Kay che si era addormentata da me e non si era più schiodata da lì mettendosi a piangere come un’isterica svegliando tutti.

Il presentimento… quello poteva essere solo riferito ad Elisabeth. Non mi sarei mai perdonato se le fosse successo qualcosa di male, mai.

Mi alzai seduto stiracchiandomi e appoggiai le mani alle ginocchia, chiudendo gli occhi e respirando profondamente.

Elisabeth…

Guardai Kay muoversi al mio fianco e mi accorsi che il suo viso non era sereno come sempre, pure nel sonno era triste, come se le mancasse qualcosa, e tutti sapevamo che cosa le mancasse in quel momento. Io per primo perché mancava pure a me.

Andai di sopra e scoprii che la camera da letto di Elisabeth era vuota. Con un groppo in gola proseguii, sperando di vederla sorridente e impegnata in cucina, ma non la trovai nemmeno lì.

Era già l’alba e di lei nessuna traccia. E il bello era che non potevo fare assolutamente niente se non aspettare qualche sua notizia o la sua miracolosa comparsa di nuovo tra noi.

Mi misi seduto al tavolo e poco dopo vidi Bill che mi fissava alla porta, lo sguardo triste.

«Non è ancora tornata, vero?»

Scossi la testa, afflitto. Lei mi aveva promesso che sarebbe tornata, ma come avrebbe mai potuto se… Non volevo nemmeno pensare a quella possibilità fin troppo ampia, sia per me che per Kay. Quella bambina aveva già perso il padre, non poteva perdere anche lei a causa di quell’ignobile di Rua.

«Tom…»

«Uhm?»

«Tra te e lei c’è stato qualcosa, non è così?»

«Non era così difficile intuirlo.»

«E… con Kay?»

«Che cosa intendi dire?»

«Sei davvero sicuro di volerti prendere la responsabilità di quella bambina? Se non sei convinto… non illuderla.»

«Perché tutti mi dicono che illudo le persone? Io le promesse che faccio le mantengo. Sempre.»

«Su questo non ne dubito, però tu… padre?», sorrise.

«Sì, non ci avevo mai pensato. E nemmeno di diventarlo in questo modo e durante questa stupida guerra. Fino a poco tempo fa vivevo principalmente per salvarmi la pelle, ora vivo per adempire a delle promesse che ho fatto: vivo per delle persone.»

Bill mi sorrise e dietro di lui comparve Kay, ma non sapevo se lui se ne fosse accorto.

«Kay…», mormorai.

«Dov’è la mia mamma?», chiese dura, arrabbiata.

Come se la colpa fosse mia, in fondo. E un po’ lo era, perché invece di tentare di salvarla stavo lì con le mani in mano.     

«Io… io non lo so, Kay…»

«Voglio la mia mamma», la sua voce iniziava a tremare, ma di piangere non ne aveva nessuna intenzione. Non era più una bambina, lei.

«Anche io la voglio, Kay. Tutti la vogliamo.»

«La salveremo, vero?»

Era sicura che fosse ancora viva, perlomeno. E nei suoi occhi brillava lo stesso suo ardore, la stessa voglia di combattere per le persone che amava.

«Sì, ma… come?»

In quel momento il mio sguardo cadde di nuovo sul ciondolo che aveva legato al collo. Una chiave. E non sembrava una chiave giocattolo, sembrava una chiave vera ed era anche abbastanza vecchia.

Che fosse quella la chiave per salvare Elisabeth?

 # # #

Non aveva dormito molto quella notte, come avrebbe potuto? Aveva continuato a pensare a sua figlia, a Tom, ai suoi amici, guardando il soffitto buio su cui si creavano delle ombre grazie alla luce tremolante di una lampada ad olio delle guardie appostate non molto lontano da lei.

Le sentiva ridere, bere, giocare a carte… e lei era lì, in silenzio, a pensare a come potessero stare tutte le persone che stava facendo preoccupare. Avrebbe voluto dirgli che stava bene, ma non avrebbe promesso di tornare, non nella situazione in cui si trovava.

Alle prime luci dell’alba sentì un brivido.

Tom…

Che la stesse pensando? Possibile che riuscisse a percepire quando accadeva, come se fossero legati da un filo invisibile e profondo, lo stesso che l’aveva legata a Charles molti anni prima?

Trovò assurda quella possibilità, perciò si disse che era solo il freddo di quella notte scura che le si era insidiato nelle ossa.

Sentì dei rumori, dei tacchi sul pavimento di pietra e le guardie si alzarono in piedi e fecero un inchino. Sospettava già chi fosse venuto a farle visita, ma sperò proprio di no fino all’ultimo; piuttosto che vederlo si sarebbe lasciata marcire in quella cella per il resto dei suoi giorni.

Lo vide, ancora nella sua vestaglia rossa, il suo sguardo accattivante e il suo sorriso maligno così diverso da quello dolce di Charles. Ancora non riusciva a capacitarsi di come loro due un tempo potessero essere stati cugini.

«Elisabeth, passata una bella nottata?»

«Molto meglio qui dentro che con te sicuramente.»

«Mi fa piacere. Senti, ho pensato molto a come punirti, ma… come potrei punire la moglie del mio caro cugino defunto?»

«Mi fai schifo», ruggì alzandosi e avvicinandosi alle sbarre.

«Dai, non dire così che non lo pensi. Comunque pensavo che tu potresti diventare mia moglie.»

«Te lo puoi anche scordare!»

«Preferisci davvero morire e lasciare la tua carinissima Kay piuttosto che sposarmi?», chiese offeso, ma divertito.

«Certo!»

«Beh, sta di fatto che la mia non era una richiesta, ma un ordine. Tu diventerai mia moglie, come avrebbe dovuto essere da sempre.»

«E con questo cosa vorresti dire?»

«Che ero geloso marcio di Charles anche perché aveva te, la donna di cui mi sono innamorato.»

Si girò di spalle a lei, stordita, e ordinò alle guardie di liberarla e di portarla nella stanza più lussuosa fra quelle degli ospiti della sua villa, e sorvegliarla fino al suo ritorno: doveva organizzare il matrimonio che si sarebbe svolto la mattina seguente.

 # # #

«Kay, Kay dimmi a cosa serve quella chiave», la scossi per le braccia ansioso, la bambina mi guardò senza sapere che fare o che dire.

«Io non lo so, non me lo ricordo.»

«Sì che lo sai, invece. Kay, dimmelo, è per il bene di tua mamma!»

La bambina sobbalzò, si liberò dalla mia stretta e si rannicchiò sul divano, la testa fra le ginocchia.

«Kay… probabilmente ti avranno detto di non dirlo a nessuno, ma… la tua mamma è in pericolo, e noi dobbiamo salvarla, ti ricordi?»

Kay annuì, strinse la chiave nella mano e poi si levò la collana dal collo, la fece penzolare di fronte al mio viso e intanto la guardava, parlando.

«Me l’ha data papà prima di non tornare, anche se mamma non era d’accordo, diceva che correvo troppi pericoli se ce l’avevo addosso, ma papà ha voluto così… Io non so a cosa serve, ma mi hanno sempre detto di non dirlo a nessuno e di non togliermela mai, di proteggerla.»

«Ti puoi fidare di noi, Kay», le sorrisi. Kay ricambiò e la lasciò cadere nella mia mano, per poi mettermi le braccia al collo in un abbraccio.

«Ti voglio tanto bene, signor Tom.»

Sorrisi e le massaggiai la schiena, stringendola al mio petto.

«Anch’io piccola, tanto. Ma ora dobbiamo cercare ciò che si apre con questa chiave.»

Kay mi seguì a svegliare gli altri, ma non fecimo in tempo a vederli giù dal letto che qualcuno bussò furiosamente alla porta di sopra.

Il cuore mi accelerò, sentivo il pericolo nell’aria, ma costrinsi i ragazzi a stare nel bunker mentre io andavo a vedere.

Salii le scale lentamente, il battito del mio cuore che mi rimbombava nella testa, il sangue congelato nelle vene, la mente piena di mille pensieri sconnessi e… il corpo attraversato da brividi di paura. Mai come ora avevo paura di morire, avevo fatto troppe promesse e dovevo mantenerle.

Sbirciai dalla tenda e vidi Dimitri, il bambino che ci portava i viveri ogni tanto, rubandoli dalla bancarella al mercato di suo padre.

Aprii la porta con cautela e lasciai che fu lui da solo ad entrare, per non farmi vedere all’esterno.

Quando mi vide appiattito alla parete, il sudore sulle tempie, mi salutò con un gesto della mano nervoso e chiuse la porta. Sembrava triste, ma allo stesso tempo arrabbiato e desideroso di vendetta.

«Cos’è successo?», gli chiesi.

«Mia madre è morta.»

«Mi… mi dispiace… come’è successo?»

«L’hanno uccisa, ha fatto la spia con voi e…»

«Mi dispiace davvero tanto, Dimitri… io…»

«Non importa. Sono venuto qui per dirvi di Elisabeth.»

Il mio cuore rimbalzò nel petto e iniziai di nuovo a sentirmi nervoso ed agitato, desideroso di sapere ma anche impaurito per quello che avrebbe potuto dirmi.

«Dimmi…»

«C’è una notizia buona e una cattiva.»

«Qual è quella buona?»

«Elisabeth è viva e sta bene.»

«Oh, menomale», sospirai sollevato, sentendomi poi in colpa per quel povero bambino che aveva appena perso la madre, ma come potevo aiutarlo io? Certi dolori erano impossibili da guarire, soprattutto in un cuore così piccolo. «E quella cattiva qual è?»

«Quella cattiva è che è stata arrestata e ora Rua vuole sposarla, domani mattina.»

«No! Se lo può anche scordare!»

«Cosa avrebbe potuto fare? Ha dovuto accettare per forza, sa di voi per colpa di mia madre e l’ha minacciata di uccidervi tutti se non l’avesse sposato.»

«Merda! No, no, no!», gridai prendendomi la testa fra le mani.

«Che cos’è successo?», chiese Bill, apparso in cucina dopo essersi accertato che fosse tutto tranquillo. Con lui c’erano Kay, fra le sue braccia, Gustav e Georg.

«Un’enorme, maledettissimo, casino.» 

 

***

 

Ringrazio subito, visto che non sono di molte parole perchè ho un mal di testa che mi uccide XD

_samy: Sì, davvero davvero male. Riusciranno a salvarla? Mah, chi può dirlo XD Ciao bacio.

layla the punkprincess: Maledetto davvero, tutto sta venendo a galla. Vedremo cosa succederà alla povera Elisabeth, chissà se riusciranno a salvarla. Ciao, alla prossima! 

Utopy: Io sono crudele?! E' Rua, non io!! La mamma di Dimitri l'ha fatto solo per disperazione, poverina... Boh, vedremo che succederà ora!! ^___^

Alla prossima, vostra
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Capitolo 11
*** Speranza ***


«Che tipo di casino, scusa?», chiese Bill preoccupato, lasciando a terra Kay.

«Elisabeth sta bene, ma Rua l’ha costretta a sposarlo.»

«Quando?», strabuzzò gli occhi Georg.

«Domani mattina», ripeté Dimitri.

«Dobbiamo fare qualcosa!», esclamò Gustav, il pungo nella mano.

«Sì, mamma deve sposare il signor Tom!», si aggiunse Kay, facendomi boccheggiare come un pesce fuor d’acqua.

Sposare?!

«Tom? Ehi, ci sei?»

«Sì, ci sono… più o meno. Beh comunque dobbiamo assolutamente fare qualcosa, perché Elisabeth non può sposare nessuno…»

«Oltre il signor Tom», ribadì ancora Kay, un sorrisetto divertito sulle labbra.

«La vuoi finire?!», le gridai ridendo. «Non possiamo stare qui a ridere mentre lei si sta per sposare contro la sua volontà! Dobbiamo trovare qualcosa che si può aprire con questa chiave! Sono sicuro che è importante.»

«Da dove partiamo a cercare?», chiese Bill.

«Dappertutto! Dimitri ci serve anche il tuo aiuto.»

«Certo, contate pure su di me!» 

E così si diede inizio ad una caccia al tesoro davvero difficile: era come cercare un ago in un pagliaio. Non conoscevamo bene quella casa e Kay non sapeva nulla, probabilmente Charles ed Elisabeth erano stati attenti a non dirle una parola di più perché avrebbe potuto confessare a qualcuno il suo segreto, anche se non l’avrebbe mai fatto, come maggiore precauzione diciamo.

Dimitri non piangeva, cercava assieme a noi comportandosi proprio come un uomo maturo e responsabile, anche se era ancora troppo piccolo.

L’ingiustizie di quel mondo erano infinite: quel bambino aveva perso la madre a causa della povertà e dell’avidità e della crudeltà di Rua e lui non poteva nemmeno piangere perché era diventato grande troppo in fretta.

«Ehi ragazzi, forse ho trovato qualcosa!», esclamò Georg chino a terra, sotto al lavandino del bagno, che frugava fra le cianfrusaglie dell’armadietto sotto di esso.

Tirò fuori una specie di valigetta impolverata e Kay ebbe un sussulto quando la vide, si allontanò precipitosamente e si mise rannicchiata nell’angolino del bagno.

«Kay, che succede?», le chiesimo preoccupati.

«Quella è di papà.»

«Ne sei sicura?»

Annuì con la testa, gli occhi colmi di lacrime. «Ci metteva i suoi disegni.»

A quell’affermazione rimasimo tutti un po’ delusi: come potevano dei disegni aiutarci a salvare Elisabeth?

«Tom, la chiave.»

«Sì, facciamo un tentativo comunque», sorrise Bill stendendo la mano verso di me.

Guardai la chiave nella mia mano e gliela diedi, lui la passò a Gustav e quest’ultimo la infilò nella serratura della valigetta.

C’eravamo, era l’ora della verità.

Si sentì uno scatto e la valigetta si aprì, lasciandoci tutti con il fiato sospeso. Anche Kay si era alzata e si era unita a noi per sbirciare.

Georg tirò fuori con delicatezza i cosiddetti disegni che aveva fatto Charles quando ancora era in vita e ce li mostrò. Kay non sapeva che in realtà quelli erano molto più di disegni, erano la salvezza di Elisabeth. 

Bill, in piedi al mio fianco, prese un foglio e lo guardammo con attenzione, cercando di memorizzare il più possibile delle mappe dell’enorme villa di Rua, compresi i passaggi segreti e le prigioni sotterranee.

Mi girai verso la piccola Kay che mi guardava piena di speranza e le sorrisi: «Il tuo papà era davvero bravo.»

Le si illuminarono gli occhi e quelle lacrime trattenute a lungo le tracciarono silenziosamente le guance e stese le braccia verso di me. Io la presi in braccio e la cullai, mentre gli altri già si davano da fare per escogitare un piano per la liberazione di Elisabeth.

Già quei disegni mi avevano fatto tornare la speranza, mi avevano fatto sentire un uomo ancora libero di credere nei miei sogni, nella vita. E Kay era del mio stesso parere.

 # # #

Era ormai il tramonto, Elisabeth era nella stanza che non riusciva a vedere come propria, non riusciva a vedere niente di quel posto, non voleva vedere. L’unica cosa che voleva era tornare a casa dalla sua famiglia allargata, nulla di più.

Invece era fra i mobili di lusso e i tappeti raffinati, con due sarte intorno mentre le sistemavano l’abito da sposa bianco, con lo sguardo perso fuori dalla finestra, sul sole infuocato d’arancio.

Aveva dovuto accettare per forza, o Rua avrebbe mandato ad uccidere tutti quanti, persino Kay.

Strinse i denti e trattenne le lacrime, perché sapeva di non star facendo un torto a Tom, non stava infrangendo la promessa che aveva fatto, stava solo tentando di salvargli la vita assieme a quella di Kay, di Bill, Gustav e Georg.

Quando si sarebbe sposata con Rua tutto sarebbe andato meglio, perché lei avrebbe avuto parte del potere e forse avrebbe potuto buttarlo giù dal trono e mettere la parola fine a quella tremenda agonia che imprigionava tutti i paesi da lui schiavizzati.

Le sarte se ne andarono dopo un tempo infinitamente lungo, Elisabeth non si era nemmeno guardata allo specchio, non voleva vedersi: l’unica volta che si era guardata con un abito bianco era stata prima di sposarsi con Charles, e la sua espressione era di gioia pura, non come in quel momento. Non si sarebbe sopportata vedendosi.

Si tolse il vestito e si mise i propri, anche se ne aveva quintali nel grande armadio bianco con le incisioni dorate, e si mise fra le coperte di seta del suo letto a baldacchino.

Quando la chiamarono per la cena disse che non aveva appetito e Rua non andò a disturbarla pensando che fosse nervosa per il giorno seguente.

Fra quelle lenzuola non si sentiva a casa, il suo cuore era come perso e chissà dove, probabilmente accanto a quello della sua famiglia e dei suoi amici.

Continuava a pensare a loro, al povero Dimitri che per colpa sua era orfano di madre e a tutte le persone che a causa di Rua soffrivano.

Si sentì completamente inutile, incapace di fare qualcosa di concreto per salvare almeno le persone a cui voleva bene, pensando egoisticamente. Ma se non riusciva a proteggere loro, come poteva proteggere interi stati?

Con le lacrime sul viso pensando alla sua piccola Kay, guardò il sole calare dietro gli alberi del maestoso giardino della villa, per dare spazio alla luna calante.

 

***

 

Passo subito con i ringraziamenti ^^ :

_samy: Nei pasticci? E' proprio nella cacca u.u Finalmente però sembra esserci la tanto agognata soluzione, speriamo in bene ottimista!! :-) Grazie mille.

M_Lucry_J: Grazie mille *____* Sì, povero Dimitri... :° Bacio alla prossima, spero che anche questo ti sia piaciuto.

xClaRyx: Il signor Tom! Credo che lo chiamerò così d'ora in poi, è un tormentone XD Beh sì dai, speriamo che ora finalmente troveranno la soluzione ad ogni problema. Grazie per il buon rientro a scuola, anche tu ^^ Grazie mille *__*

Utopy: Eccola qui, la mia fedele ispiratrice saggia e magica, diciamolo u.u XD Hai visto, Rua è il rivale del signor Tom, e la sua storia non è ancora finita qui, vedremo cosa succederà ^^ Deve morire? O_O Bah, vedremo XD Dimitri è davvero una stellina, ma ho riservato un bel futuro per lui dopotutto ^____^ Ed è forte, ce la farà. Bacio, dalla scrittrice (Ahahahah)

Alla prossima, vostra
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Capitolo 12
*** Liberazione ***


Era ora.

Nel buio della notte sgattaiolammo fuori dalla casa in cui eravamo stati ospiti per quasi due settimane e raggiunsimo la via principale della città.

Trovammo con facilità il tombino indicato da Charles sulle sue mappe ed entrammo nelle fogne senza dare nell’occhio, anche perché di guardie non se ne vedevano in giro.

«Sono un po’ preoccupato per Kay», disse Bill mentre Georg accendeva la lampada ad olio e attraversavamo i cunicoli gocciolanti e pieni di ratti che si nascondevano nell’ombra.

«Con Dimitri è al sicuro.»

«Ma se quel bambino ha sì e no otto anni!»

«Sono nascosti nel bunker, non hai di che aver paura. Se andrà tutto per il meglio torneremo domani mattina all’alba», spiegò Gustav.

«Tom, sei troppo silenzioso per i miei gusti, a cosa stai pensando?», mi chiese Bill.

Poco dopo avermi fatto quella domanda si mise a gridare a causa di ratto che gli era passato fra i piedi e cadde nell’acqua verdastra delle fogne.

«Che schifo!», gridò, e la sua espressione di disgusto diceva tutto.

«Bill, vedi di non gridare troppo, ok?», gli dissi, dandogli una mano a tirarsi su.

Si scrollò come un cane, schizzando tutti quanti, che infastiditi lo lasciammo indietro e lui dovette rincorrerci gridando sottovoce.

«Tom, dove siamo ora?», chiese Georg illuminando la mappa che tenevo fra le mani con la lampada, Gustav e Bill dietro di noi.

«Dovremmo essere arrivati sotto le segrete della villa.»

Mi fermai e mi guardai intorno, e trovai subito l’uscita che aveva indicato Charles. Era stato proprio eccezionale, il suo lavoro si stava rendendo davvero utile, proprio per salvare la donna che amava.

«Vado a vedere se la via è libera», sussurrai arrampicandomi sulla scaletta. «Aspettate il mio segnale prima di salire.»

«Ok.»

«Tomi… stai attento», mi disse Bill, io gli sorrisi.

Salii le scalette e feci scorrere piano il tombino sopra la mia testa. Sbirciai se c’era qualche guardia nei paraggi e quando fui sicuro che la via fosse libera chiamai gli altri.

Uscimmo dalle fogne, con molto sollievo da parte di Bill, ma quando sentimmo delle voci, in silenzio ci nascondemmo dietro la parete.

Vidimo due guardie che giocavano a carte su un tavolino in fondo al corridoio, uno dei due aveva appese alla cinta le chiavi di tutte le celle, e non sembravano nemmeno tanto lucidi da come sghignazzavano e dalle bottiglie di birra che avevano sparse sul tavolo.

«E ora come facciamo?», chiese Gustav.

«Beh, potremmo fare come nei film: li stordiamo, li leghiamo, li nascondiamo da qualche parte, gli rubiamo i vestiti e fingiamo di essere delle guardie per girare indisturbati», disse Bill alzando gli occhi al soffitto.

Tutti lo guardammo e quando se ne accorse il suo sorrisetto scomparve: «Che c’è?»

«Sei un genio, Bill», gli dissi sorridendogli.

«Grazie, lo so.»

Ci avvicinammo furtivamente alle due guardie che non si erano minimamente accorte della nostra presenza e con due colpi ben piazzati in testa con due bottiglie di birra li misimo K.O.

«Bene», commentò Georg guardando i due uomini a terra. «Dovrebbero dormire per un paio d’ore, quindi dobbiamo sbrigarci.»

«Sì, ma il problema è… chi si veste da guardia di Rua?»

Nessuno di noi era molto felice all’idea anche solo di fingere di essere dalla parte di Rua, ma toccò a me e a Bill perché ci andavano giusto a pennello.

Certo, io mi ero offerto subito perché volevo liberare Elisabeth con le mie stesse mani, ma Bill era stato un po’ più difficile da convincere, solo con l’evidenza si era arreso. Si era anche inventato che erano fuori moda!

Una volta vestiti, Gustav e Georg ci guardarono facendo una smorfia di disapprovazione, ma fecero finta di niente e presero le chiavi delle celle.

«Noi liberiamo questa povera gente innocente, voi andate a liberare Elisabeth. Muovetevi!»

Io e Bill annuimmo e iniziammo a correre, ma facendo così avremmo solo dato nell’occhio visto che non avevamo nessun motivo per correre, eravamo le guardie di Rua! Quindi ci fermammo e cercammo di fare i più naturali possibili, anche se ci prudeva la pelle stando dentro a quelle divise che avevamo per primi disprezzato con tutti noi stessi.

Tutto sembrava filare liscio come l’olio, ma ad un certo punto incontrammo altre guardie mentre attraversavamo un corridoio e ci venne la pelle d’oca, il cuore che scoppiava per il timore di essere scoperti.

Ma quelle due guardie non fecero una piega, ci salutarono solo con un gesto del capo e noi ricambiammo meno convinti, il viso rivolto verso terra, ma quando girarono l’angolo emisimo entrambi un sospiro di sollievo.

«L’abbiamo scampata per un soffio», disse Bill.

«Già.»

Ma i pericoli non sembravano essere finiti, infatti di fronte a quella che riconoscemmo come camera di Elisabeth, con una grande porta di legno massello e le raffinate greche dorate, dovettimo affrontare le due guardie immobili che la curavano.

Ci fermammo di fronte a loro, cercando di nascondere la paura, e fecimo lo stesso gesto di prima, quello che ci avevano fatto le altre guardie incrociate.

«Già finito il giro di ricognizione?», chiese una guardia.

Per fortuna che Elisabeth ci aveva fatti fare la barba e ci aveva sistemato i capelli troppo lunghi, se no ci avrebbero riconosciuti subito!

«Sì. Rua ci manda per prendere il vostro posto. Il vostro turno è finito», dissi fermo.

Per fortuna anche che Charles aveva scritto perfettamente tutto quello che accadeva e com’era il sistema delle guardie, con i diversi turni e i giri di ricognizione. Se non avessimo trovato i suoi archivi non sapevo proprio come avremmo fatto.

«Menomale, iniziavo ad annoiarmi!», esordì l’altra guardia, sbadigliando.

Le due guardie si avviarono e girato l’angolo Bill mi diede una pacca sulla spalla, sorridendomi, mentre io riprendevo fiato.

«Sei grande, fratello.»

Dopodiché Bill restò fuori a fare da palo e io entrai in camera di Elisabeth. La vidi seduta di fronte alla finestra, gli occhi tristi che guardavano la luna e le stelle nel cielo di quella notte scura.

Quando si girò, mi guardò piena di odio non riconoscendomi e mi sentii male per quello sguardo, ma quando mi tolsi il cappello e le mostrai il viso la sua espressione cambiò, quasi non si mise a piangere.

Mi corse incontro e mi saltò in braccio cingendomi il collo con le braccia, il viso nascosto nell’incavo della mia spalla.

«Tom, sei venuto…», singhiozzò.

«Non potevo lasciarti qui, Elisabeth.»

La porta si aprì e mostrò un Bill in controluce, la sua ombra scura e poi il suo sorriso fra le rughe quasi invisibili sul suo viso ancora giovane.

«Guarda come ci siamo conciati per te», le sussurrò sorridendo.

«Oddio Bill, ci sei anche tu!»

«E anche Gustav e Georg. Sono di sotto che liberano i carcerati», le spiegai. Nei suoi occhi brillò della preoccupazione guardandomi, pensando a Kay. «Non ti preoccupare, lei è al sicuro nel bunker con Dimitri.»

Le sorrisi, lei mi accarezzò il viso e mi baciò le labbra, come se quella fosse l’ultima volta che ci vedessimo.

«Piccioncini, forse è meglio se ci sbrighiamo, sento puzza di guai», disse Bill guardandosi indietro.

«Giusto, andiamo Elisabeth», la presi per mano e la condussi con me, ma lei ad un tratto si fermò e tornò in stanza. Prese qualcosa da sotto il letto, un mantello nero con tanto di cappuccio, e se lo infilò, per non essere riconosciuta.

Mi sorrise tornando da me e mi baciò sulle labbra prima di riprendermi la mano e di correre via, quando sentimmo le guardie che ci avevano scoperti.

«Da che parte si va, Tom?», mi chiese Bill correndo al mio fianco, fra i corridoi lussuosi della villa.

Io non avevo il tempo per guardare la mappa, ma più o meno me la ricordavo, e se non era così sarei andato ad istinto, comunque riuscimmo a raggiungere il giardino.

«Non possiamo scappare così, Tom! Ci sono Georg e Gustav dentro!», gridò Bill.

La nostra vita era appesa ad un filo, e io avevo il coltello, senza sapere in che modo. Eravamo completamente in un vicolo cieco: se scappavamo lasciavamo Gustav e Georg, se restavamo avevamo i minuti contati. Non avevo la più pallida idea di che cosa fare.

«Allora?! Prendi una decisione, Tom!»

Incontrai lo sguardo preoccupato di Bill, molto più maturo di me in quel momento, e poi quello di Elisabeth, ansioso.

Perché a me quella decisione?

 

***

 

Beh, almeno l'hanno salvata, no? XD Ringrazio:

layla the punkprincess: Nessuno vuole che Elisabeth sposi Rua, fidati! E il signor Tom l'ha salvata? Mah, non è detta l'ultima parola. Vi lascio sempre nel dubbio, sono perfida XD Ciao, alla prossima e Grazie!! ^^

_samy: Il signor Tom versione 007? Potremmo farci su una collezione di bambole XD signor Tom con la barba, signor Tom con la spalla fasciata... ahahah. Sei sicura che l'abbiano liberata del tutto? Mah, vedremo!! Grazie, kuss *_____*

Utopy: L'hanno già salvata? Mah... dubitiamo ancora un pò, dai XD Sono veramente perfida! Muahmuahmuah! La piccola Kay è sempre stata la chiave di tutto... ("Kay", "Key" -chiave in inglese- XD) Dimitri ormai mi sa che lo adotti tu XD Grazie Frenzy bla bla bla XD Bacio <3

Vostra,
_Pulse_

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Capitolo 13
*** La fine della guerra ***


«Tom, sbrigati!», mi gridò ancora Bill, io ero come se mi sentissi senza ossigeno, immerso nell’oceano più blu.

Le guardie stavano arrivando, stavamo rischiando tutti per colpa della mia indecisione. Forse non ero in grado di fare la parte dell’eroe, forse non ero all’altezza della situazione.

Sentii la stretta di Elisabeth farsi più forte intorno alla mia mano, abbassai lo sguardo e incontrai il suo.

«Fai quello che senti, Tom. Io credo in te.»

Quelle parole mi aprirono gli occhi, una nuova ondata di speranza mi restituì abbastanza ossigeno da prendere quell’agognata decisione.

«Tieni, Bill!», gli lanciai i rotoli delle mappe, lui li prese al volo e mi guardò interrogativo. «Tu vai ad aiutare Gustav e Georg, io vado a mettere Elisabeth al sicuro, poi vi raggiungo!»

«Ok, così ti voglio Tom!», mi gridò sorridendomi.

Ci dividemmo forse per la prima volta in tanti anni e io presi Elisabeth per mano, iniziammo a correre verso le stalle.

Sentimmo Bill in lontananza che gridava qualcosa alle guardie per attirare la loro attenzione e lasciarci andare indisturbati, io mi sentii in lui, parte della mia forza dentro di lui, come sentivo parte della sua in me. Indivisibili come sempre.

Feci salire Elisabeth su un cavallo bianco e io mi misi davanti a lei, lo slegai e con un calcio sul ventre il cavallo si rizzò in piedi nitrendo e corse nella notte, diretto verso il bosco in mezzo a quel giardino sconfinato.

«Da piccola desideravo il mio principe azzurro sul cavallo bianco, ma non intendevo questo!», disse Elisabeth stringendo forte le braccia intorno al mio petto mentre sfrecciavamo fra gli alberi.

«E io non immaginavo nemmeno di diventare il principe azzurro! Non ho nemmeno mai cavalcato un cavallo in vita mia!»

«Però, hai del talento allora!»

Riuscimmo a ridere, anche in quella circostanza. Il vento mi scompigliava i capelli e il veloce cavalcare del cavallo mi metteva l’adrenalina addosso, che spazzò via in un attimo la paura, e le braccia di Elisabeth intorno al mio corpo mi donarono sicurezza.

In mezzo al bosco si scorse la radura che avevo pregato di vedere, e al centro di essa si ergeva una piccola chiesa. Speravo che almeno lì Elisabeth sarebbe stata al sicuro per un po’, fin quando non sarei tornata a prenderla.

Scesimo da cavallo e la condussi all’interno per assicurarmi che fosse tutto tranquillo. C’era silenzio, alcune candele erano accese nei ceri e i vetri colorati si riflettevano sul pavimento della navata centrale grazie alla luce della luna.

Guardai Elisabeth e lei mi abbracciò con impeto, baciandomi le labbra.

«Non ho mai tradito la promessa che ti ho fatto, Tom», mi sussurrò col viso ad un palmo dal mio. «Non l’avrei mai fatto.»

«Lo so, Elisabeth, lo so», le sorrisi dolce passandogli le dita sulle guance.

«Stai attento, mi raccomando. Promettimi che tornerai da me.»

«Te lo prometto. Fosse l’ultima cosa che faccia», le cinsi la vita con le braccia e la strinsi a me, baciandola sulle labbra per un’ultima volta.

«Che scenetta commovente, davvero.»

Ci girammo contemporaneamente e vidimo Rua con un mantello blu sulle spalle, fermo davanti all’altare, rivolto verso di noi.

«Tu… qui?», berciai pieno d’odio.

«Perché ti sorprendi tanto, fuggiasco? E tu, Elisabeth… ah, mi deludi. Mi chiedo per quale motivo tu sia così irresistibilmente attratta dai sovversivi.»

«Sicuramente perché sono meglio di te.»

Rua scoppiò a ridere tirando fuori una pistola e puntandola verso di noi.

«Tutti i nodi vengono al pettine, prima o poi, sapete?»

«E con questo cosa vuoi dire?», chiesi nascondendo dietro di me Elisabeth, anche se si dimenava. Era troppo importante per me per lasciarla così esposta.

«Voi due siete due dei nodi più fastidiosi che mi siano mai capitati, e ora siete giunti alla fine.»

«Sei sempre stato così crudele anche da bambino? Eh? No, perché vorrei proprio capire che cosa ti ha reso così o se ce l’hai proprio nei geni!», gridò Elisabeth, spiazzando Rua che la guardò perduto.

«Toccato un tasto dolente?», chiesi sorridendo.

«State zitti, state zitti!», gridò prendendosi la testa con una mano e infilando il dito nel grilletto della pistola nell’altra mano.

«Se solo ci facessi capire… Perché ti comporti così, Rua?», continuò Elisabeth, dolce come se stesse parlando con la sua Kay.

«Elisabeth, non ti immischiare!»

Partì un colpo dalla pistola, che fece cadere il candelabro con i ceri accesi. In poco tempo una tenda prese fuoco.

«Non puoi nemmeno immaginare quello che ho passato prima di arrivare a questo punto!»

«Potresti almeno provare a spiegarmelo! Possiamo aiutarti, puoi ancora cambiare!»

«È troppo tardi ormai», disse sconsolato.

Il fuoco iniziava ad espandersi nella chiesa, rompendo i vetri di cristallo e accaldando l’atmosfera, mentre il fumo iniziava ad intossicarci.

«Non è mai troppo tardi, Rua!»

«Eravamo una famiglia povera, vivevamo nella miseria, eravamo stati sfrattati e poco tempo dopo vennimo ospitati dalla famiglia di Charles, benestante. A lui non mancava mai niente, lo invidiavo da morire. Poi quel giorno d’estate sei arrivata tu, lui era innamorato perso e tu ancora di più. Non ti sei nemmeno accorta di me, del mio sguardo. Sono sempre stato nell’ombra io, ero l’asociale del gruppo. E il potere, il controllo assoluto, mi ha fatto sentire importante!»

Cadde un trave dal soffitto, la triste vita di Rua ci aveva quasi fatti dimenticare dell’incendio che si stava verificando intorno a noi.

«Elisabeth, dobbiamo andarcene da qui», tossii stringendola a me.

«Questa è la mia vita, e non vedo via d’uscita», disse Rua proprio prima che gli cadesse una trave infuocata addosso, finendo la sua vita tormentata.

Portai fuori Elisabeth e la feci salire di nuovo sul cavallo imbizzarrito dal pericolo del fuoco. Fuggimmo via da lì e Elisabeth si strinse forte a me, appoggiando il viso alla mia schiena, in quella notte illuminata anche dal fuoco oltre che dalla luna, mentre lacrime silenziose le tracciavano le guance per quella vita sbiadita e ridotta in cenere.

«Avremmo potuto salvarlo», disse mentre cavalcavamo verso la villa ad aiutare Georg e Gustav.

«Se lo meritava, Elisabeth?» 

«Tutti devono avere il diritto di una seconda possibilità, non credi?»

«Sinceramente… ha ucciso troppe persone per dargli un’altra possibilità. Ha ucciso pure Charles, te lo ricordo.»

«Lo so», mi strinse più forte, io mi rattristai per le mie stesse parole.

«Scusami, Elisabeth. Non volevo. È che tu sei troppo buona.»

«Lo so, Tom. Voglio andare a casa.»

Raggiunsimo Gustav, Georg e Bill e lo spettacolo che vedemmo ci sorprese non poco: guardie di Rua e popolazione civile erano uniti, i feriti venivano curati indistintamente, anche lo stesso Bill aveva una pezza insanguinata sull’avambraccio e una guardia vestita di nero lo stava medicando. Altri del corpo dell’esercito stavano accanto alle loro famiglie, stavano abbracciando e baciando i loro figli, le loro mogli, i loro parenti.

«Questa cosa è… assurdamente magnifica», dissi senza fiato, scendendo da cavallo.

Diedi una mano ad Elisabeth a scendere, che si tolse il cappuccio dalla testa e sorrise ai ragazzi asciugandosi alle lacrime.

«Oh, Elisabeth…», disse Gustav aprendo le braccia, dove lei si rifugiò per un po’, per poi fare lo stesso con Bill e Georg.

«Grazie. Grazie di tutto», sussurrò di nuovo fra le mie braccia.

«Grazie a te», le sorrisi prima di baciarle la fronte.

«E Rua? Dov’è finito?», chiese Georg.

A quella domanda tutti si girarono verso di noi e io guardai Elisabeth stringendole la mano.

«È morto nell’incendio che c’è stato nella chiesa in mezzo al bosco del giardino.»

Sentimmo un elicottero volare sopra le nostre teste e dirigersi verso le fiamme alte che si stavano sempre di più espandendo nel bosco, per spegnere l’incendio.

«Rua è morto… non ci posso credere.»

«È finita… la guerra è finita… Questo è incredibile!»

«Ah, non vi preoccupate, è normale! Io non riesco ancora a credere che saremo sui libri di storia!», disse Bill facendoci ridere.

Elisabeth si girò verso di me e mi mise le braccia intorno al collo, sfiorandomi la punta del naso con il suo, sorridente, occhi negli occhi.

«E ora andiamo da Kay e Dimitri.»

 

***

 

Ecco a voi il penultimo capitolo!! Siamo agli scoccioli, eh sì ^__^
Ringrazio davvero tantissimo Utopy, la mia fedele *_______* <3 , e _samy che mi sostiene sempre con tanta pazienza, ti faranno santa XD Un bacio, alla prossima gente, con l'ultimo capitolo!! _Pulse_

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Capitolo 14
*** Ricominciare ***


Musica.

Finalmente della musica vera, bella, quella che mi era tanto mancata durante quei duri vent’anni di guerra.

Ma adesso la stavo rivivendo, stavo di nuovo facendo ciò per cui avevo lottato sin dall’inizio. Ed ero felice.

Bill cantava, io suonavo la chitarra, Georg il basso e Gustav la batteria, come alle origini.

Certo, eravamo un po’ ammaccati e arrugginiti, ma eravamo sempre in pista, e ciò era quello che contava.

Davanti a noi un piccolo pubblico: Elisabeth, Kay, Dimitri e il nuovo arrivato fra noi, il piccolo Charles.

Elisabeth lo teneva in braccio, sorridendoci ogni tanto, Kay saltellava di qua e di là per il bar che Elisabeth aveva riaperto dopo vent’anni di cessata attività, Dimitri accompagnava Kay ridendo felice. Dopo la morte della sua mamma suo padre era stato assalito dal dolore ed era morto anche lui, così si era unito alla nostra famiglia molto volentieri.

Il nuovo arrivato, invece, il piccolo Charles, era stato annunciato qualche settimana dopo la famosa liberazione di Elisabeth e la morte di Rua alla villa. Avevamo deciso di chiamarlo come il padre di Kay e vecchio marito di Elisabeth in suo onore e ricordo.

Ora tutto andava alla perfezione, i vecchi capi di stato avevano riformato gli stati ed era stata riportata la democrazia come forma di governo.

Certo ci sarebbe voluto un po’ di tempo prima che tutto si sistemasse e tornasse come prima, ma ero sicuro che ce l’avremmo fatta.

Ora la nostra bellissima famiglia allargata viveva in una casetta bianca un po’ più grande rispetto a quella che aveva prima Elisabeth, con un giardinetto all’esterno dove i bambini potevano giocare.

Incontrai lo sguardo di Elisabeth e le sorrisi contento ed orgoglioso della mia nuova famiglia, nata in mezzo alla guerra e ora vivente solo nella felicità e nella spensieratezza.

Feci gli ultimi accordi di chitarra e tutto si spense, ma non la gioia incontenibile che pervadeva il mio cuore.

«Bravo signor Tom!», gridò Kay battendo le mani.

«Quando la smetterai di chiamarmi in quel modo?»

«Probabilmente mai», rispose Elisabeth al posto suo.

Scesi dal palco e la sollevai sulla spalla come se fosse un sacco di patate, ridendo insieme a lei. Raggiunsi la sua bellissima mamma e la baciai accarezzandole i capelli, poi infilai il dito nella manina del piccolo Charles, gli occhi brillanti e il sorriso di Elisabeth.

«Beh ma ormai non c’è bisogno che mi chiami in quel modo, no?»

Sfiorai la mano sinistra di Elisabeth, dove c’era la fede che testimoniava il nostro rapporto ormai definitivo. Sì, ci eravamo sposati. Una cosa intima.

Ci sorrisimo e Kay si fece di nuovo viva dimenandosi e Bill la prese fra le sue braccia, coccolandola proprio come se fosse sua figlia.

Tutti quanti più o meno ci eravamo interessati di nuovo alle ragazze, ma lui diceva che ne aveva già due a cui badare e gli andava bene così, anche se aveva una ragazza sua.

Proprio lei fece la sua comparsa nel bar con il fiatone e si guardò intorno alla ricerca di Bill.

«Ehi, sono qui», disse lui. «Successo qualcosa?»

«Sì, sono incinta!»

«Mi sa che avrai un'altra ragazza da curare», dissi sorridendo.

«Eh già», concordò Gustav dandogli delle pacche sulle spalle, congratulandosi con un Bill quasi sconvolto, ma felice.

Guardai le mie ragazze e il mio bimbo e sorrisi, unendo tutti e tre in un abbraccio collettivo.

Quanto mi sentivo felice. Con loro ero riuscito di nuovo a credere nel mio cuore, quello che avevo creduto di aver perso durante quegli anni freddi e senza emozioni. Con loro avevo ricominciato, e sarebbe andata sempre meglio.

 

***

 

Ecco l'ultimo capitolo, è finalmente arrivato e questa ff è terminata, ma ritornerò presto non vi preoccupate ^_____^ Ringrazio tutte le persone che hanno sostenuto e seguito questa ff, davvero tantissime grazie, anche se questo capitolo non mi piace tanto. Non ci sarà un seguito. 

elekaus483

H u m a n o i d

Kvery12

layla the punkprincess

M_Lucry_J

tokiohotellina95

Utopy

vivifurimmer

xClaRyx

xoxo_valy

xXx__TokioHotel__xXx

Giulia504

Grazie Mille!! Un bacio grande,
_Pulse_

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