Feel it again di _Pulse_ (/viewuser.php?uid=71330)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Anno 2029 ***
Capitolo 2: *** Sovversivi ***
Capitolo 3: *** Teorie ***
Capitolo 4: *** Babysitter ***
Capitolo 5: *** Visite sgradite ***
Capitolo 6: *** Non te ne andare ***
Capitolo 7: *** La lettera ***
Capitolo 8: *** Te lo prometto ***
Capitolo 9: *** Rua ***
Capitolo 10: *** Complicazioni ***
Capitolo 11: *** Speranza ***
Capitolo 12: *** Liberazione ***
Capitolo 13: *** La fine della guerra ***
Capitolo 14: *** Ricominciare ***
Capitolo 1 *** Anno 2029 ***
Nota:
Eccomi qui con una nuova ff che spero vi piacerà.
È
molto…
strana, direi. Perché l’ispirazione è
nata
ascoltando una canzone dei Green Day
che parla della guerra. E con questo ho detto tutto. Spero che a
qualche pazzo
piacerà XD Grazie mille in anticipo, seguitela in tanti e
ogni
tanto recensite,
mi raccomando!
Ringrazio tutti quelli che,
assiduamente, seguono le mie ff e mi riempiono il cuore di gioia. Un
bacio, _Pulse_
I Tokio Hotel non sono di mia proprietà e questo mio scritto
è senza
alcuno scopo di lucro.
PS: La canzone che ho usato come
intro è Fade
away, di Celine Dion, ed
è un po’ la colonna sonora di questa storia.
Veramente
magnifica!
***
I
know that one
day
I'll find it
Feel it again
But until I do, I'll do it
Fine by myself
Once touched by pain
You're not the same
But time can heal your heart again
So let the clouds that bring you down
You know that
A
quarant’anni appena compiuti
dovrei avere una vita normale, dico io. Se non normale almeno una vita,
ma non
ho nemmeno quella. Nessuno di noi ha una vita, qui, se proprio devo
essere
sincero. Ma perché dovrei? Siamo in guerra, no? E tutto
è
lecito in guerra.
Fa un freddo cane, ma
non mi
lamento visto che siamo ancora vivi e, soprattutto, insieme.
«Auguri
ragazzi», disse
flebilmente Gustav, stretto come noi nel suo cappotto sgualcito, il
cappellino
calato pesantemente sul viso.
«Già,
benvenuti negli anta»,
ridacchiò Georg per poi concedere spazio a qualche colpo di
tosse.
«Auguri
Bill», sussurrai.
«Auguri
Tom.»
Questa è la
nostra vita ora, una
vita di stenti, di nascondigli e di illegalità.
Oh certo, tutto
questo non
sarebbe successo se non fosse salito al potere Rua, imponendo la
dittatura su
quasi mezzo mondo. Siamo in piena guerra, e fa freddo.
Sono passati
vent’anni, è il
2029, io ho appena compiuto quarant’anni con il mio fratello
gemello Bill e da
artisti famosi in quello stesso mezzo mondo siamo diventati dei
fuggiaschi.
Una volta vedevamo i
nostri
poster appesi dappertutto, e ne eravamo felici ed orgogliosi. Ora
vediamo le
nostre foto appese ai muri grigi di questa città in rovina
con
sotto scritto
“Wanted”, “Ricercati”, proprio
come per i
banditi del Far West. Pazzesco.
Quel pazzo di Rua ha
messo una
taglia su di noi, diecimila euro, vivi o morti. A me sembra un
po’ poco per
quattro ragazzi del nostro calibro, ma non importa.
Il perché
è molto semplice:
perché suoniamo, perché siamo una band,
perché
eravamo e siamo tutt’ora i Tokio
Hotel.
Ricordo ancora i
nostri momenti
memorabili, quelli di vent’anni fa, quando ancora non
c’era
tutto questo
casino, quando non c’era questa inutile guerra, quando non
c’era quel demonio
al potere.
Eravamo felici,
avevamo la nostra
vita, una carriera splendente di fronte a noi, e invece…
«Ricercati,
puah», sbuffai
sfregandomi le mani.
«Chi se lo
sarebbe mai
immaginato, eh?», disse Bill, anche lui il volto coperto
dalla
visiera del
cappellino e dalla sciarpa nera che teneva sul collo e la bocca,
sdraiato su un
vecchio divano logoro.
«Io ho votato
contro Rua», disse
Georg.
«Amico,
è vent’anni che lo dici,
e sono vent’anni che ti diciamo che quando c’era da
votare
noi non l’abbiamo
fatto», disse Gustav.
«Non sarebbe
cambiato nulla
comunque, anche se avessimo votato contro», dissi.
«Rua ha
riempito tutti di
belle parole e poi ha fatto tutto il contrario: voleva unificare il
paese, lui!
Sì, nelle sue mani.»
«E il bello
è che non ci hai mai
capito nulla di politica», rise Bill, seppure pianissimo.
Ormai eravamo
abituati a
sussurrare e a ridere sono quando non ce la facevamo più a
trattenerci per non
farci scoprire e dover fuggire in cerca di un nuovo nascondiglio, ma
quella
sera dovevamo festeggiare il nostro compleanno, quindi ci era concesso
un po’
di svago.
«E il bello
è che hai ragione»,
sorrisi.
Eravamo chiusi
lì dentro da un
po’, l’atmosfera si faceva sempre più
tesa, i nostri
nervi erano sempre tesi in
quel periodo. Non potevamo fidarci di nessuno, e la cosa era abbastanza
semplice visto che nessuno si fidava di noi e tutti tentavano di
catturarci per
consegnarci al dittatore per ricevere diecimila insulsi euro.
Una vita non si paga,
ma la
dittatura è pesante da sopportare, noi lo sappiamo bene, e
anche
l’impossibile
diventa possibile se c’è un pazzo come sovrano.
Sentii un rumore che
mi distrasse
dalle mie riflessioni, la luce del garage impolverato in cui ci eravamo
intrufolati senza chiedere il permesso al proprietario, ovviamente, si
accese
accecandoci e la serranda quasi arrugginita si alzò pian
piano.
Eravamo pronti a
scattare e a scappare
via, Bill che si definiva il più agile però
inciampò e cadde a terra, io la
raggiunsi e lo tirai su per un braccio.
Appena la serranda si
aprì fino a
metà busto uscimmo di sorpresa e colpimmo alle spalle
l’uomo di cui era il
garage.
«Non si
ricorderà niente», ci
assicurò Georg, ma dovevamo subito trovare un altro
nascondiglio. E avevamo
anche lasciato tutte le poche provviste che avevamo
all’interno
del garage per
la fretta di non essere scoperti.
«Fermo, non ti
muovere, non c’è
tempo», dissi a Bill che già stava andando a
recuperarle.
«Ma Tom, come
faremo?!»
«Ci
arrangeremo, come abbiamo
sempre fatto. Non ti preoccupare.»
«Andiamo,
dobbiamo sbrigarci.»
Era buio pesto, e
questo
sicuramente ci aiutava a renderci invisibili in quella notte in cui,
ancora una
volta, eravamo costretti a lasciare tutto per salvarci la pelle.
Da quando era salito
Rua al
potere c’erano stati molti cambiamenti, tutti l’uno
peggio
dell’altro. Mi
stupiva di come la popolazione poteva aver creduto ad un uomo crudele
come
quello, e soprattutto di come non si fosse ancora ribellata.
Ci muovevamo
silenziosi, non
c’era anima viva in giro, tutti erano rinchiusi nelle proprie
case perché dalle
sei del pomeriggio alle sei di mattina c’era il coprifuoco,
ma
anche le guardie
dell’esercito quella notte sembravano essere sparite.
Era tutto fin troppo
tranquillo
per essere al sicuro, sentivo uno strano presentimento.
Pochi istanti dopo,
una volta entrati
in un vicolo buio e stretto per riprendere fiato, Bill cadde di nuovo a
terra
finendo fra la spazzatura.
«Che
compleanno
di merda!»,
sussurrò adirato, cercando di alzarsi in piedi.
Eravamo tutti
cambiati in quei
vent’anni, ma non avevamo mai smesso di credere nei nostri
sogni,
e sapevamo
che un giorno saremmo ritornati in pista a suonare e a far divertire la
gente,
nonostante i nostri strumenti fossero stati bruciati di fronte ai
nostri occhi
per violazione del Decreto n. 1189: Vietato ogni tipo di svago pubblico
o
riservato ad un pubblico.
Per questo
più
di ogni altra cosa
noi lottavamo, perché bruciare i nostri strumenti era stato
come
bruciare i
nostri sogni. E non l’avremmo mai permesso.
Gustav era dimagrito
molto, Georg
aveva una lunga barba incolta, come la mia, Bill non si truccava, non
si
laccava né tingeva i capelli, diventati ormai biondo scuro
naturale, e non si
metteva lo smalto da ormai vent’anni, e aveva un aspetto
più maturo. Ma dentro
eravamo sempre i soliti ragazzi, anche se invecchiati di
vent’anni, con una
grande voglia di riscattarci e di dimostrarci ancora una volta padroni
del
nostro destino e della nostra vita.
Scivolammo sulle
pareti e ci
strinsimo tutti le gambe al petto, per ridurre anche un minimo quel
freddo che
ci entrava fin dentro le ossa.
«Ragazzi,
è tutto troppo tranquillo
per i miei gusti stanotte», sussurrai, gli altri non fecero
nemmeno in tempo ad
annuire che si sentì uno sparo, poi un altro.
«Lo sapevo
io!»
Ci alzammo e
iniziammo a correre
lungo il vicolo, seguiti da quattro guardie dai vestiti neri e pistole
in mano.
Un proiettile mi
sfiorò la
spalla, facendomi sanguinare, ma non feci niente, non dissi niente,
continuai
solo a correre, perché se avessi fatto il contrario avrei
fatto
rallentare
tutti, soprattutto Bill, e non volevo che finisse in mezzo a causa mia.
Il bruciore era
forte, forse non
mi aveva sfiorato e basta, ma stringendo i denti riuscii a stare al
passo degli
altri e seminammo le guardie, nascondendoci in una vecchia casa che da
fuori
sembrava disabitata.
Non avevamo nemmeno
pensato che
dentro ci potesse essere qualcuno pronto a catturarci e a consegnarci a
Rua,
dovevamo salvarci e quello era l’unico rifugio sicuro che
avevamo
trovato.
«Tom, ma che
hai fatto alla
spalla?», chiese Bill preoccupato con il fiatone, al buio,
stando
in quella che
sembrava una piccola cucina con al centro un tavolo di legno.
Stranamente
però non c’era odore
di polvere, di vecchio, di disabitato, c’era odore
di…
lavanda, possibile?
Forse stavo solo delirando a causa dell’eccessiva perdita di
sangue. Era più
grave di quanto credessi.
Una porta
cigolò e restammo tutti
in silenzio, immobili, spaventati.
Quella notte non era
proprio
delle migliori per noi, e menomale che era il nostro compleanno.
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Capitolo 2 *** Sovversivi ***
L’aria si
congelò, i nostri
respiri si mozzarono, pure il tempo in
quell’immobilità
sembrò fermarsi.
Dalla porta che
divideva quella
stanza ad un’altra apparve una gracile figura, i capelli
castani
lunghi
scompigliati, il viso dolce e delicato, con addosso una camicia da
notte
bianca.
«E voi chi
siete? Che ci fate in
casa mia?»
«Una domanda
alla volta. Non
sapevamo che questa casa era abitata, ci dispiace molto»,
sussurrai senza
fiato.
Gli occhi mi si
chiudevano, erano
pesanti e a malapena mi reggevo in piedi. Un minuto dopo mi trovai
steso sul
divano e il sonno mi travolse.
#
# #
Era l’alba, la
luce del sole mi
sfiorava il viso, mentre sentivo il rumore dell’acqua che
bolliva
e il profumo
del caffè in polvere.
La spalla mi faceva
ancora male,
ma il bruciore si era attenuato e quando me ne resi conto sospirai
sollevato,
perché sicuramente nella nostra situazione non avremmo mai
potuto andare in un
ospedale.
Mi ricordai della
sera
precedente, mi chiesi che fine avevano fatto Bill, Georg e Gustav, e
anche chi
fosse quella ragazza.
Alzai la testa per
guardarmi
intorno e vidi proprio lei ai fornelli, che toglieva l’acqua
dal
fuoco e la
versava in due tazze.
Ora, con la luce,
potei
osservarla meglio e mi accorsi che era proprio bella, con i capelli
lunghi fino
a metà della schiena, il viso chiaro e gli occhi color
cioccolato. Indossava un
paio di jeans strappati sulle ginocchia e una maglioncino nero
semplice, come
tutto il quella casa.
«Ti sei
svegliato, finalmente»,
disse sorridendo, senza girarsi verso di me, lo fece soltanto quando mi
porse
una delle due tazze calde.
«Chi
sei?», le chiesi
ritraendomi.
In quel momento mi
accorsi che la
spalla era bendata da bende bianche macchiate da un po’ di
sangue
ed ero a
torso nudo.
«Io mi chiamo
Elisabeth, e sono
stata io a fasciarti la spalla. Se avessi voluto consegnarti a Rua
avrei potuto
farlo tranquillamente, ma non l’ho fatto, quindi non aver
paura e
bevi
qualcosa, ti farà bene», mi sorrise incoraggiante.
Io mi tirai su
titubante e presi
la tazza fra le mani, guardandone il contenuto. Sembrava
caffè,
e avevo una
voglia matta di scolar melo tutto in un solo sorso, ma non conoscevo
questa
persona, e non potevo fidarmi, anche se si era presa cura della mia
spalla.
«Dove sono
Bill, Georg e Gustav?»,
chiesi.
«Stanno
dormendo di là, stanno
bene. Vuoi che l’assaggi io o non ti fidi ancora?»,
indicò la tazza che tenevo
fra le mani.
Mi convinse e ne
bevvi un sorso
minuscolo, poi quando fui del tutto sicuro che non fosse avvelenata
né niente
finii la bevanda tutta d’un fiato.
«Hai
fame?», mi chiese.
«Ma tu sai che
siamo?», le chiesi
sorpreso dal suo comportamento, era come se stesse parlando con delle
persone
normali e non con dei ricercati con una taglia sulla testa.
«Certo che lo
so, ci sono le
vostre foto ovunque.»
«E allora
perché ci hai accolti
in casa tua?»
A quella domanda non
rispose, si
alzò dal divano e dal portafrutta in mezzo al tavolo prese
una
mela, che mi
passò.
«Preferivi
essere mandato da
Rua?», disse.
«No, certo che
no, ma…»
«E allora non
fare domande. La
spalla come va?»
«Io ho diritto
di sapere, che ne
so, magari ci stai tenendo in forze per consegnarci a lui in buona
salute,
sperando che magari possa pagarti di più!»
«Abbassa la
voce.»
«E per quale
motivo dovrei?»
«La smetti di
fare domande?
Ringrazia il cielo che hai trovato me sulla tua strada, e non qualcun
altro che
non avrebbe esitato a spedirti da Rua.»
Rimasi in silenzio,
non ero più
abituato a trattare con le donne e a ribattere alle loro risposte
pronte.
L’ultima volta
che ero stato con
una donna era stato molto tempo prima, prima che diventassimo dei
ricercati,
intendo, e trovarmene una davanti, così determinata e
testarda,
non era affatto
semplice.
Le donne, da quando
si era
imposta la dittatura, erano state di nuovo svalutate, in tutti i sensi,
sembrava essere ritornati al Medioevo: nessun diritto, né
civile
né politico,
non potevano lavorare, erano oggetti per il piacere dei soldati che se
le
scambiavano a vicenda, proprio come merci, e in casa erano le schiave
che
dovevano fare i lavori domestici e curare i bambini. Inoltre dovevano
portare
rispetto verso l’uomo non chiamandolo mai per nome e se
facevano
qualcosa di
male si potevano picchiare senza alcun problema, e nei casi peggiori,
come in
caso di adulterio, persino uccidere.
Mi sentii a disagio
di fronte ad
una specie così rara, una donna che aveva ancora il senso
del
pudore e
l’orgoglio, senza paura.
«Perché
sei da sola?», le chiesi
incuriosito.
«Io non sono
sola», strinse il
ciondolo a forma di cuore che aveva legato al collo, la voce ferma e
decisa.
«Dov’è
tuo marito?», avevo notato
la fede.
Nemmeno a quella
domanda rispose,
questa volta a causa di Gustav che fece la sua comparsa in cucina e ci
distrasse dal nostro confuso dialogo.
«Ehi Tom, come
stai?», mi chiese
subito premuroso.
«Bene.»
Guardò me ed
Elisabeth che ci
scrutavamo da lontano e fece un passo indietro, timoroso, quando poi
lei si
girò e gli sorrise:
«Caffè?»
«Sì,
grazie.»
Si mise seduto al
tavolo e venne
servito. Notai che anche lui era un po’ a disagio, era da
molto
che stavamo
assieme solo noi quattro, senza nessuno accanto, e quella presenza
femminile
era fonte di mille tormenti. E inoltre non ci potevamo ancora fidare
del tutto
di lei, di cui non sapevamo niente.
Poco dopo arrivarono
anche Georg
e Bill, quest’ultimo con una faccia assonnata e i capelli
spettinati, proprio
come ai vecchi tempi.
Rivedendolo in quelle
condizioni
mi sembrò di tornare indietro nel tempo, quando nel tourbus
era
sempre così e
ci voleva almeno un’ora prima che si riprendesse da quello
stato
comatoso,
anche grazie al caffè. Mi sembrò di nuovo un
ragazzino,
se non un bambino.
«Dormito bene,
Tom?», mi chiese
con voce roca.
«Sì.
Tu
no, vero?»
«Ci siamo
stretti per lasciarti
il divano», spiegò Georg mentre si stiracchiava.
«Perché?!
Non dovevate!»
«Ma porca
miseria, ti ho detto di
abbassare quella cavolo di voce!», gridò piano
Elisabeth,
lo sguardo infuocato.
Tutti la guardammo
strabuzzando
gli occhi: di quei tempi quel linguaggio sarebbe dovuto essere punito
con cinghiate
sulla schiena, ma evidentemente lei non aveva paura di noi e sapeva che
noi
comunque non le avremmo mai fatto nulla di male.
«Che cosa ci
stai nascondendo,
donna?», le chiesi chiudendo gli occhi a due fessure.
«Ho un nome
io,
ed è Elisabeth»,
ringhiò.
«Ok,
Elisabeth,
ci stai
nascondendo…»
Non riuscii nemmeno a
finire la
domanda che una bambina avvolta in una maglietta a maniche lunghe
troppo grande
per essere sua comparve dietro la porta della cucina e
sbirciò
all’interno.
Aveva gli occhi identici a quelli di Elisabeth, la pelle chiara, le
guance
rosse, i capelli biondi lunghi con i boccoli e legata al collo aveva
una
catenina che come ciondolo aveva una chiave.
«Kay, piccola
mia», esclamò
Elisabeth raggiungendola e prendendola in braccio.
«Chi sono
questi signori,
mamma?», chiese la bambina nascondendo il viso
nell’incavo
della spalla di
Elisabeth.
«Sono amici. E
ora torna a
dormire, è presto.»
La piccola si
addormentò subito
fra le sue braccia e Elisabeth la portò di nuovo nel letto,
mentre noi ci
guardavamo sbalorditi nella cucina.
Sempre da quando era
salito Rua
al potere, tutti i bambini erano stati sequestrati alle famiglie per
arruolarli
nell’esercito e le femmine, che non potevano andare in campo
di
battaglia,
erano rinchiuse nelle fabbriche per produrre beni di qualsiasi tipo,
dagli
indumenti alle pallottole per le pistole e i fucili dei soldati.
Se Elisabeth aveva
ancora con sé
la sua bambina voleva dire che anche loro erano delle sovversive, come
noi, e
che lei era così scontrosa e allo stesso amorevole con noi
per
lo stesso motivo
per cui lo eravamo noi con lei: la sopravvivenza. E lei aveva un motivo
in più
per non fidarsi e per lottare: la propria bambina, che difendeva
proprio come
una leonessa difendeva i propri cuccioli.
Quando tornò
in cucina
chiudendosi la porta alle spalle, fece un respiro profondo e si
sistemò i
capelli dietro le spalle.
«Sovversiva
anche tu, a quanto
vedo», commentai.
«Provate a
torcerle anche un solo
capello e io…»
«Non ti
preoccupare, non vogliamo
farle del male», la rassicurò Bill sorridendo. Non
aveva
mai perso quel sorriso
innocente che vent’anni prima conquistava orde di ragazzine
impazzite.
«Come hai
fatto
a tenerla
nascosta per tutto questo tempo?», chiese Georg.
«Per quanto
tempo intendi, tu?»
«Da quando
è salito al potere
Rua.»
«Non ho sempre
dovuto
nasconderla, io. Eravamo… dei privilegiati,
diciamo.»
Aveva pronunciato
quella parola
con rabbia e rancore, come se odiasse profondamente quel termine, come
se lo
avesse rifiutato da tempo, tradita da quegli stessi privilegi.
«Io credo di
aver già visto
quella bambina», disse Gustav.
«Impossibile»,
rispose
nervosamente Elisabeth.
«E credo di
aver visto anche te.»
«Ti stai
sbagliando.»
«Sì,
potrebbe essere.»
«Sicuramente.»
Quella donna ci
nascondeva qualcosa,
sicuramente. E non avrebbe ceduto a rivelarci tutti quei segreti che
l’avvolgevano molto facilmente.
«Ragazzi,
sovversiva o no, non
possiamo stare qui, metteremmo in pericolo lei e la sua
bambina»,
disse Bill.
«Hai ragione,
ma con Tom in
queste condizioni…»
«Sto bene, ho
la spalla ferita,
ma posso camminare!»
«Per alcuni
giorni devi stare
comunque a riposo, hai perso molto sangue anche se non
sembra»,
disse
Elisabeth. «Non puoi sforzarti e se doveste essere di nuovo
visti
dalle guardie
non so se finirebbe così bene.»
«Tu cosa
proponi allora?
Sentiamo.»
«Potreste
stare
qui, fin quando
il vostro amico non si riprenderà un
po’.»
«Sei sicura?
È troppo rischioso…»
«So quello che
faccio, e non è la
prima volta che ospito dei sovversivi in casa mia»,
rivelò.
«Quindi ce ne
sono altri!», disse
Georg animato da un barlume di speranza.
«Ovviamente!
Siamo molti,
nascosti qua e là.»
«Hai detto che
non è la prima
volta, ma dove li tenevi? È un po’ piccolo
qui»,
fece notare Gustav.
«Allora
resterete qui?», chiese
Elisabeth.
Noi ci guardammo
pensierosi e
alla fine annuimmo, tanto restare lì o vagare per la
città come nomadi aveva le
stesse probabilità di rischi, solo che stando lì
sarebbero entrate in gioco
altre due vite.
«Come faremo a
ricambiarti il
favore?», chiesi.
«In questo
momento non è
importante. Ora seguitemi.»
Bill mi aiutò
ad alzarmi e
Elisabeth ci condusse nella sua camera da letto, dove sotto alle
coperte
dormiva la piccola Kay.
«E
ora?»,
chiesi.
«C’è
qualche statua o qualche
cosa che se la tiri giù la stanza si gira rivelando un
passaggio
segreto? Io
amo queste cose!», disse Bill, seppur piano per non svegliare
quell’angioletto
di nome Kay.
Le nostre facce erano
tra lo
scocciato e il divertito, una perfetta via di mezzo. Bill riusciva
sempre ad
alleggerire qualsiasi situazione, anche in una sparatoria, come quando
aveva
gridato di immaginarci delle fan impazzite che ci rincorrevano, e non
dei
soldati armati dell’esercito.
«Potete darmi
una mano a spostare
questo?», chiese Elisabeth indicando una cassettiera
incastonata
al muro.
Le diedero una mano
Georg e
Gustav, Bill accantonò la scusa che doveva sorreggermi,
anche se
io potevo
stare benissimo in piedi da solo. Avrebbe fatto di tutto pur di non
affaticarsi
quando non era strettamente necessario.
Spostata la
cassettiera si
intravide una botola fra le assi di legno. Elisabeth prese una maniglia
invisibile, fatta di fino di nylon, e la aprì rivelando una
scala che portava
ad una specie di bunker sotterraneo.
«Venite.»
Scendemmo le scale e
ci ritrovammo
in un ampio spazio illuminato da una lampadina appesa al soffitto, con
due
letti a castello e un letto singolo, un armadio e anche una piccola
televisione
su un tavolino in fondo alla stanza, sotto alla quale c’erano
dei
fumetti e dei
libri per passare il tempo. Elisabeth ci mostrò anche una
specie
di dispensa
dove c’era molta roba, ma quella era solo in caso
d’urgenza.
«Cavolo…
e questo da dove
arriva?», chiese sbalordito Georg.
«L’ha…
niente, lasciate perdere.
Potete stare qui per un po’. Ora… è
meglio se vi
lascio riposare, ok?»
Salì in
fretta
le scale e chiuse
la botola, senza metterci sopra la cassettiera ovviamente.
Noi ci guardammo
intorno sentendo
odore di chiuso, ma era molto più accettabile questo di
tutti i
posti in cui ci
eravamo rifugiati prima di conoscere quella stramba ragazza sovversiva
chissà
per quale motivo, per quale ideale, che aveva anche una bambina
piccola.
***
Ringrazio:
layla the punkprincess:
Eheh, ora sai chi è la proprietaria della casa e cos'ha
fatto!! Mi fa piacere che ti attiri, grazie mille!!
Utopy:
Visto? Avanti nel tempo! Tante grazie!! **
Win:
Grazie!!
H u m a n o i d:
Grazie mille!!
Alla prossima, grazie
anche a chi ha messo questa ff fra le preferite e le seguite, vi voglio
bene, _Pulse_!
|
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Capitolo 3 *** Teorie ***
Passammo
l’intero pomeriggio a
dormicchiare, e Bill si era addormentato proprio con la testa sul mio
stomaco.
Ogni tanto sembrava ancora un bambino, ma mi piaceva vederlo
così rilassato e
sereno.
Georg si era
addormentato anche
lui, ma Gustav era sveglio e stava cercando di sintonizzarsi su una
radio
qualsiasi per avere un po’ di aggiornamenti sulle mosse di
Rua.
«Gustav?»
«Sì?
Che
c’è Tom?»
«Che ne pensi
di Elisabeth?»
Si girò e mi
guardò, mettendosi a
gambe incrociate sul suo letto, pensieroso.
«È
molto
strano che non sia
abituata a dare del lei agli uomini, ed è altrettanto strano
che
sia riuscita a
tenere Kay.»
«Prima hai
detto che le avevi già
viste da qualche parte, dove?»
«Ricordi
quando
Rua è salito al
potere e ha fatto quella specie di parata per la città? Lui
era
in una macchina
superlussuosa…»
«Oh
sì,
me lo ricordo! Quello
sbruffone, manco fosse il papa!»
«Lì
le
ho viste.»
«Tra la
folla?»
«No, sulla
macchina.»
Strabuzzai gli occhi,
incredulo:
«È impossibile!»
Gustav invece chiuse
gli occhi e
annuì con la testa, sconsolato.
«Erano accanto
a lui e al suo
generale di fiducia.»
«Quello che
è stato ucciso…»,
mormorai.
Tutti i pezzi stavano
andando al
suo posto, lentamente. Mi vennero in mente le parole di Elisabeth,
quando le
avevo chiesto di suo marito: “Io non sono sola”.
Che quel
ciondolo contenesse
la foto del generale?
«Aspetta…
ma se erano con lui…»
«È
questo che non capisco, Tom.
Perché curarti se sta dalla parte di Rua? Non sappiamo
niente di
questa donna,
e fin quando non sapremo di più non potremo mai fidarci di
lei
totalmente.»
«Questo
potrebbe spiegare perché
ha ancora Kay.»
«Sì,
ci
ho pensato anch’io.»
«C’è
qualcosa che non torna,
Gustav. Quando le abbiamo chiesto come aveva fatto a tenere nascosta
Kay ha
detto che non ha sempre dovuto nasconderla…»
«Quando
c’era suo marito, il
generale. Allora erano privilegiati.»
«Ma quando
è morto…»
«Ha iniziato a
nasconderla per
paura che Rua potesse farle del male.»
«È
da
allora, da quando è morto
il generale, che è diventata una sovversiva.»
«Le nostre
sono
solo teorie, Tom.
Magari è ancora dalla parte di Rua e sta attendendo che
qualcuno
dell’esercito
ci venga a prendere.»
«Sì,
hai
ragione…», mi coprii il
viso con le mani e sospirai.
Ormai eravamo
abituati a mangiare
quando capitava, se capitava, e la fame non la sentivamo quasi mai.
Però sentii
l’istinto di dover andare in bagno. Finché potevo,
perché non sfruttare quella
possibilità?
Mi alzai facendo
attenzione a non
svegliare Bill e controllai le fasciature delle bende intorno alla
spalla, si
erano smollate un po’.
«Dove
vai?», mi chiese Gustav
mentre la radio iniziava a gracchiare, in cerca di un segnale.
«In
bagno.»
«C’è
anche qui, non è necessario
che tu vada di sopra.»
«Lo so, ma
voglio andare a vedere
che cosa sta facendo Elisabeth.»
«Ok, come
vuoi.»
Salii le scale di
legno
scricchiolante e aprii la botola con una mano. Fuori sembrava tutto
tranquillo,
e non c’era nessuno nella camera da letto.
Andai verso la cucina
e sentii
delle deboli risate, erano le voci di Elisabeth e di Kay.
«E poi
cos’è successo, mamma?»,
chiese vivace la bambina.
«Poi tuo
papà si è messo in
ginocchio e mi ha chiesto di sposarlo, io non facevo altro che
ridere.»
«Ti manca
papà?»
«Moltissimo,
piccola.»
«Anche a
me.»
Tossii per
annunciarmi e
Elisabeth alzò la testa dal maglione di lana che stava
facendo
per la piccola
Kay, sarebbe stato un inverno rigido quello. Mi guardò negli
occhi
profondamente, e mi fece sentire nudo, come se stesse scavando nella
mia anima
con gli occhi. Nessuna ragazza era mai riuscito a farmi sentire
così a disagio,
perché lei sì?
«Salve signor
Tom», mi salutò Kay
muovendo la manina.
«Chiamami pure
Tom, piccola», le
sorrisi.
«Sei venuto
qui
per…?», mi
incalzò Elisabeth, mollando i ferri sul divano e dicendo a
Kay
di andare un
attimo a riposarsi a letto che doveva fare il suo sonnellino.
La bambina era
piuttosto
ubbidiente, e faceva tutto con
il
sorriso sulle labbra. Chissà se anche Elisabeth un tempo era
stata così.
Quando la bimba fu
fra le
coperte, la intravedevo dal piccolo corridoio, mi girai verso di lei e
ritrovai
lo stesso sguardo, quello che riusciva a spogliarmi di ogni difesa.
«Sono venuto
per…»
«La
spalla?», chiese.
«Sì»,
annuii senza nemmeno
riflettere.
«Ti
brucia?»
«Non
più
di tanto, ma si sono
smollate le bende.»
«Oh, vieni qui
allora che te le
sistemo.»
Mi fece sedere sul
divano e
imbarazzata mi chiese se potevo togliermi la maglietta così
da
poter lavorare
meglio. Nessuna ragazza me l’aveva mai chiesto prima, e di
nuovo
mi trovai a
disagio mentre mi scioglieva le bende e mi metteva del disinfettante
sulla
ferita che non era molto estesa, ma profonda.
«Ho sentito
quello che vi siete
dette prima, tu e Kay, non l’ho fatto apposta»,
dissi.
«Tuo marito è morto, non
è così?»
Potevo essere stato
un po’
brutale, ma a volte le parole dette chiaramente, senza giri di parole,
erano
meno dolorose di quelle dette con sensibilità, io lo sapevo.
Era
successa la
stessa cosa quando i nostri genitori, miei e di Bill, si erano
separati: ce
l’avevano detto chiaro e tondo, era stato un duro colpo
all’inizio, ma
riflettendoci quella era stata la soluzione migliore.
«No, non
è morto, me l’hanno
ucciso», disse ferma, senza dare segni di debolezza.
«Chi?»
«L’odio,
la guerra, Rua, il
sistema.»
«Accuse
pesanti, quando tuo
marito era il generale dell’esercito più fidato
proprio di
Rua.»
«Tu non hai
nessun diritto di
parlare, non sai niente, l’unica cosa che devi fare in questo
momento è
tapparti la bocca, chiaro?»
«Ma che hai
contro di me?!»,
sbraitai, anche se divertito da quella situazione.
Lei accennò
un
sorriso,
stringendomi troppo forte la benda e facendomi lamentare.
«Non ho
proprio
nulla contro di
te, sei tu che dovresti farti un po’ gli affari
tuoi.»
«Devi capire
la
nostra
situazione.»
«E voi,
soprattutto tu, dovete
capire la mia di situazione. Se prendono mia figlia è la
fine,
io mi ammazzo.»
«Perché
allora ci tieni qui?
Rischi il quadruplo con noi quattro. Già rischiate per conto
vostro, non
dovevate assumervi anche questo peso. Possiamo benissimo farcela da
soli, come
abbiamo sempre fatto.»
«Vi tengo qui
perché non voglio
che qualcun altro venga ucciso in questa stupida guerra, ok? Mi
è bastato
quello che ho perso. So che la mia è un’idea
assurda e che
c’è continuamente
gente che muore lì fuori, ma voglio fare anch’io
la mia
parte», abbassò il
viso, i pugni stretti in grembo.
«Ehi…»,
le presi il mento fra le
dita, delicatamente, per guardarla dritta negli occhi.
Da quanto tempo era
che non
sfioravo una ragazza? Avevo dimenticato il piacere di sentire sotto le
dita
quel soffice velo che era la loro pelle, il piacere di guardarne una
negli
occhi e di sentirmi attratto da una di loro.
Non ero più
quello di una volta,
avevo capito molte cose non avendone una diversa ogni sera, ero
cresciuto,
maturato, ma quella voglia di averne una mi stava lentamente
ritornando.
Ma che cosa stavo
farneticando?
Eravamo in piena guerra, eravamo dei ricercati con una taglia alla
testa,
rischiavamo la vita ogni giorno, e io pensavo alle donne?
Le donne erano solo
fonte di
distrazione in quel momento, e non potevamo distrarci.
«Cosa?»,
soffiò ricambiando il
mio sguardo, tirandomi fuori dai miei stessi ragionamenti.
«Le…
le
tue idee non sono
insensate. Certo un po’ difficili da attuare, questo
sì,
ma bisogna credere nei
propri ideali, nei propri sogni.»
«Tu in cosa
credi?», mi chiese.
«In un mondo
libero e giusto», le
accarezzai la guancia, come ipnotizzato dal chiarore della sua pelle
delicata.
Lei si ritrasse,
abbassando di nuovo
lo sguardo: «Anche Charles la pensava
così.»
«Che
cos’hai detto scusa?»
«Io?
Niente.»
Si alzò in
fretta e mi disse di
rivestirmi, altrimenti mi sarei preso un’accidenti e non
sarebbe
stato un bene
sicuramente.
Ancora quante cose
non sapevo di
lei, della sua vita? Ma sentivo che era sincera, che potevamo fidarci.
Era una
sensazione, più che una certezza, e avevo visto nei suoi
occhi
la vera voglia
di combattere, nonostante la sua giovane età.
#
# #
«Quanto tempo
era che non
mangiavamo seduti intorno ad un tavolo?», chiese Bill
all’improvviso, durante
la cena.
«Secoli?»,
disse Georg
sorridendo.
Possibile che grazie
a due
presenze femminili nella nostra vita fin troppo maschile fino a poco
tempo fa,
fossimo tutti così rilassati e sereni? Come se la guerra non
fosse anche tra
noi, ma in un paese lontano.
«Molto
tempo», disse Gustav.
«Non hai
appetito, Tom?», mi
chiese Elisabeth, seduta di fronte a me.
«Non molto,
è tutto così strano
che mi devo ancora abituare.»
«Pensa se
domani ci svegliamo ed
è tutto un sogno, anzi… un incubo, e ci
risvegliamo nelle
nostre lussuose
camere d’hotel?»
«Non viaggiare
troppo con la
fantasia, Bill», lo rimproverai.
«Io seguivo la
vostra musica,
fino a quando… beh lo sappiamo», disse Elisabeth
abbassando lo sguardo su Kay
che tentava di infilzare assieme le ultime due orecchiette in bianco
nel suo
piatto, ma che continuavano a sfuggirle.
«Kay, una per
volta no, eh?»
«Se
solo… non riesco a prenderle!
Scappano via!»
Quella bambina era un
portento,
un mix di vivacità e tenerezza che riusciva a fare
innamorare
tutti di lei ad
un primo sguardo, e riusciva sempre a portare l’allegria.
«Quanti anni
hai, Kay? Posso
saperlo?uanQuanti»,
chiese
Bill.
«Ne ho
così», indicò cinque con
la manina. «Anche se non si dovrebbe chiedere alle
signorine.»
«Giusto, hai
perfettamente
ragione, Bill è un maleducato», disse Georg
sorridendo.
«Io vorrei
sapere quanti anni ha
la tua mamma invece, me lo dici nell’orecchio?», le
chiesi.
«Parlare
nell’orecchio è
maleducazione, e poi sono tanti gli anni della mia mamma, non li so
contare con
le dita», disse guardandosi le mani.
«Abbiamo sei
anni di differenza,
io e te», rispose Elisabeth.
«Come fai a
sapere quanti anni
ho?»
«Beh, te
l’ho detto che seguivo
la vostra musica», sorrise imbarazzata. «E ieri hai
fatto
gli anni se la
memoria non mi inganna, auguri. Anche a te, Bill.»
«Grazie!»,
esclamò Bill contento.
«Che bello sapere che esistono ancora le vere fan!»
«La prossima
volta come ci sorprenderai,
Elisabeth?», chiese Gustav.
«Mah,
chissà», sorrise per poi
guardare la figlia e ridere piano.
***
Ciao
ragazze!!! Scusate il ritardo, ma ieri mi sono sentita poco bene e non
sono riuscita a postare. Inoltre mi sa che dovrete aspettare ancora di
più per il prossimo capitolo perchè non
avrò internet per qualche giorno. Scuasatemi!!! Ci vediamo
presto però XD
Sono un pò di fretta, quindi ringrazio (un pò
alla cacchio XD) layla the punkprincess,
Giulia504,
H
u m a n o i d, xoxo_valy,
Utopy,
Isis
88. Grazie mille a tutte!!
Spero di trovarne ancora di più quando tornerò, e
scusatemi ancora, non era previsto ._. Un bacio, vostra _Pulse_
|
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Capitolo 4 *** Babysitter ***
Eccomi, sono tornata!
Scusate l'assenza, ma è stato tutto un casino al ritorno
dalle vacanze. Non me li ricordavo così i rientri, ma fa
niente XD Grazie per esserci stati comunque, e ora devo impegnarmi per
recuperare tutte le storie che sto leggendo, perchè sono
indietrissimo! -.-" Beh, ora vi auguro solo buona lettura, i
ringraziamenti veri e propri alla fine!
***
Mi svegliai di colpo
e sbattei la
testa contro alla rete del letto di Bill, sopra al mio.
Mi guardai intorno e mi ricordai
di essere a casa di Elisabeth, e di avere una spalla messa maluccio.
La mia memoria
iniziava a fare
cilecca.
Sbirciai l’ora
sull’orologio
scassato allacciato intorno al polso ciondolante di Bill, era una
fortuna se
andava ancora.
Mi alzai e salii di
sopra, avevo
un certo languorino: la sera prima non avevo mangiato quasi niente.
Appena aperta la
botola venni
travolto da quel profumo di lavanda e caffè, che mi
disorientò.
Vidi Kay addormentata
nel letto
della madre, avvolta nelle coperte. Elisabeth non c’era,
questo
voleva solo
dire che era già in piedi.
Andai verso la
cucina, ma prima
feci una capatina in bagno per sciacquarmi il viso e controllarmi allo
specchio: era molto che non lo facevo, che non pensavo alla mia
immagine come
vent’anni orsono. Ora pensavamo a salvarci le penne, altro
che al
look.
Raggiunsi la cucina
ed entrai: le
prime luci dell’alba illuminavano il tavolo già
apparecchiato per sei e sul
pavimento c’era l’ombra esile di Elisabeth. Salii
su di lei
con lo sguardo e
vidi i riflessi dorati dei suoi capelli castani, era bellissima.
«Buongiorno»,
disse sorridendo.
«Hai i radar
al
posto delle
orecchie?», chiesi.
«No,
semplicemente ti ho visto.»
Sorrisi e mi misi
seduto al
tavolo, Elisabeth mi porse la mia tazza di caffè e la
assaporai
pian piano,
goccia dopo goccia. Non dovevo abituarmi a quei lussi, nulla poteva
essere
eterno in quel periodo.
«Sei
mattiniero», disse.
«Sì,
avevo fame», confessai, le
ridacchiò.
«C’è
del pane nel mobile, se vuoi
puoi prendere quello.»
«Sicura?»
«Sì,
è quello che hai avanzato
ieri. A proposito di cibo…»
Intanto andai al
mobile a
prendere il pane, passandole accanto. Quando si girò e io mi
trovavo
all’incirca dietro di lei per ritornare a sedermi, i suoi
capelli
mi sfiorarono
il viso e mi resi conto che era lei a profumare di lavanda, quasi ne
rimasi
paralizzato.
«Sì?»,
chiesi a fatica.
«Oggi devo
andare a fare
rifornimento, non immaginavo di avere ospiti», sorrise.
«Siamo
d’impiccio?»
«No, in
verità mi siete molto
utili in queste circostanze.»
«Che cosa
intendi dire?»
«Che mentre io
andrò al mercato
voi potrete badare a Kay. Sai, prima dovevo lasciarla chiusa in casa da
sola e
avevo una maledetta paura che le succedesse qualcosa, ma se ci siete
voi ora…»
«Ehi, frena
l’entusiasmo! Noi non
abbiamo mai trattato con bambini e non sappiamo come fare!»
«Kay
è
tranquillissima, basta
tenerla con voi nel bunker e proteggerla se… dovesse
succedere
qualcosa.»
«Non mi
convinci. Perché dovrebbe
succederci qualcosa?»
«Vieni
qui», mi prese per il
polso e mi fece sedere al tavolo, ancora con il pacchetto del pane
chiuso in
mano. Lei si mise di fronte a me, seria in volto.
«Mio marito,
Charles, era il
generale più fidato di Rua.»
«Lo
so.»
«Io ero e sono
tutt’ora sua
moglie, metti in moto il cervellino!»
«Aspetta un
attimo… i soldati
vengono a trovarti?», strabuzzai gli occhi.
«Esattamente.
Non sappiamo mai
quando vengono, fanno a sorpresa. E non penso che lo facciano per
vedere se
sono ancora viva o se sono morta di fame, ma per vedere se nascondo
qualcosa.»
«Perché
dubitano di te? Eri la
moglie del generale più fidato di Rua, non dovrebbero
nemmeno
sospettare che…»
«Ok, Tom,
credevo che fossi un
tantino più intelligente, ma probabilmente mi sbagliavo.
Charles
faceva il
doppio gioco, è sempre stato un sovversivo pure lui. E la
sua
morte non è stata
durante una sparatoria, come hanno detto alle televisioni e alle radio,
ma
perché Rua in qualche modo l’ha scoperto e
l’ha
fatto uccidere. Ora capisci? Il
bunker l’ha costruito lui, lui è sempre stato
dalla parte
dei buoni e la
pensava proprio come te, voleva un mondo libero e giusto.»
La confessione la
rese esausta,
tanto che dovette sdraiarsi sul divano, accovacciata su sé
stessa, come per
proteggersi dal mondo e da quei ricordi che la ferivano ancora,
nonostante
fosse passato tanto tempo ormai.
«Mi
dispiace», mormorai, ma
dubitavo che sarebbero servite a qualcosa quelle due insignificanti
parole, non
di fronte ad un dolore così grande.
«Anche a
me.»
Si alzò
all’improvviso,
ritornando composta e fiera. Non poteva dimostrare così
tanta
debolezza di
fronte ad un uomo.
«Allora,
credete di potercela
fare?», chiese.
«Sì…
credo. Io non sapevo nemmeno
che c’era un mercato.»
«Ovvio che
c’è un mercato, noi lo
chiamiamo il Mercato dei Poveri, puoi ben capire perché.
Siamo
più o meno tutti
sovversivi.»
«Quindi se
passano le guardie
siete fregati.»
«Sì,
facciamo come i vu cumprà di
una volta sulle spiagge: iniziamo a correre»,
ridacchiò,
io sorrisi mentre
addentavo finalmente il pane.
Poco dopo, uno dopo
l’altro, si
svegliarono anche gli altri e si misero intorno al tavolo, compresa la
piccola
Kay, che aveva un indiscutibile debole per Bill, il più
giovane
di noi e ancora
il più bambino dentro, che appena lo vide lo
salutò con
un sorriso a trentadue
denti e si mise seduta sulle sue ginocchia.
«Dobbiamo fare
da babysitter oggi»,
annunciai ai ragazzi più addormentati che svegli.
«A
chi?»,
sbadigliò Gustav.
«A
Kay.»
«Davvero?»,
disse Bill chiedendo
conferma ad Elisabeth, che annuì.
«Oh, ma
è bellissimo!», si alzò e
la prese in braccio facendola volare come se fosse un aereo planino,
mentre lei
rideva felice.
Elisabeth sorrise e
poi commossa
abbassò lo sguardo, afflitta ancora da quel dolore che era
provocato dalla
mancanza di Charles.
E io che credevo che
fosse sempre
stato dalla parte di Rua, che fosse stata un bene per tutti la sua
morte,
quando invece era tutto il contrario, perché era sempre
stato
dalla nostra parte in
incognito e aveva abbandonato la moglie e sua figlia.
«Elisabeth?»,
la chiamai con
dolcezza.
«Che
c’è?», si passò le mani sul
viso e io le sorrisi, annuendo.
«Potresti
chiamarmi zio! Mi
farebbe piacere avere una nipotina! Eh Tom, fammi una nipotina
vera!», squittì
Bill ancora con Kay fra le braccia.
In quel momento stavo
ancora
guardando Elisabeth, senza nemmeno rendermene conto, e sentendo quella
frase e
vedendola ridere quasi caddi dalla sedia, imbarazzato.
«Ma tu sei
tutto scemo!», gli
gridai, quando tutti erano già scoppiati a ridere.
#
# #
Elisabeth
uscì
per andare al
mercato e noi quattro rimasimo con Kay, portandola nel bunker, la
nostra casa
ormai.
Era stata poche volte
in quel
posto e come tutte le poche volte ne era rimasta sbalordita, anche se
non ci
trovavo nulla di particolare io, ma vederla con
quell’espressione
tenera mi
aveva fatto sorridere.
Gustav si era messo
come al
solito sul suo letto per trovare un segnale con la radio, Georg si mise
a
leggere qualche fumetto, Bill e Kay si erano messi a giocare al gioco
delle
pulci con delle monetine, al quale mi ero aggiunto anch’io
poco
dopo, non
sapendo cosa fare.
«Non vale Kay,
hai barato!», si
lamentò Bill.
«Non
è
vero, sei tu che non sei
capace!», lo prese in giro ridendo.
«È
vero,
sei una schiappa se ti
fai battere da una bambina di cinque anni!», risi.
«Zitto tu, che
ha battuto anche
te la bambina di cinque anni!»
Ci stavamo proprio
divertendo,
quando Kay si mise seduta a gambe incrociate, il viso sorretto dalle
mani.
«Che
è
successo, Kay?», le chiese
Bill.
«Niente…»
«Come niente,
hai un faccino
triste!»
«Voi andrete
via, vero?»
«Cosa? Non
capisco.»
«Voi andrete
via proprio come il
mio papà, vero?»
«Spero proprio
di no!», disse
Bill sorridendo, ma non fece ridere nessuno.
«No, Kay, noi
non ce ne andremo.»
Mi guardò con
gli occhi pieni di
speranza, brillanti e color cioccolato proprio come quelli di
Elisabeth: mi
tolse il respiro con la sua innocente bellezza.
«È
una
promessa?»
«È
una
promessa.»
Forse non avrei
dovuto illuderla,
prima o poi ce ne saremmo andati comunque, se non morendo scappando, ma
l’avremmo fatto. Solo che quegli occhi, quel desiderio
ardente di
avere delle
conferme, dei punti solidi su cui appoggiarsi, mi avevano fatto tornare
bambino
anche a me e non volevo darle un altro dispiacere.
«Ti manca il
tuo papà?», le
chiesi.
«Tanto, tanto.
Tu gli assomigli.»
«Io?»,
mi
indicai stupito.
«Sì,
solo che lui aveva i capelli
biondi più chiari e gli occhi azzurri.»
«Capisco, beh
allora… grazie.»
«Non dovresti
ringraziarla, ti ha
detto che assomigli ad un generale di Rua», disse acido
Georg.
«Era un
sovversivo anche lui,
questo posto l’ha costruito lui, con Rua faceva solo il
doppio
gioco, ma non so
per quale motivo. Era davvero furbo però se ha resistito per
così tanto tempo
senza essere scoperto», spiegai lasciandoli tutti ammutoliti.
«Sì,
papà era furbo!», sorrise
Kay alzandosi in piedi e saltellando in giro raccontandoci di tutte le
sue
promesse che sfortunatamente non aveva potuto mantenere, di tutta la
sua
determinazione e voglia di cambiare il sistema.
«Io una volta
gli ho chiesto di
farmi vedere quello che disegnava, ma non me l’ha fatto
vedere», disse. «Poi il
giorno in cui se n’è andato ha dato un bacio alla
mamma e
ha detto che l’amava.
Poi le ha detto qualcos’altro su dei quaderni, ma non ho
capito
bene. Ero
piccola!»
Continuò a
saltellare in giro
canticchiando una specie di ninna nanna patriottica contro Rua che le
aveva
insegnato probabilmente Charles, fino a quando non cadde fra le braccia
di Bill
incominciò a ridere, donando una spazzata di aria pura a
quell’atmosfera.
«Kay, sei una
peste!», gridò Bill
rincorrendola dopo che lei gli aveva tirato i capelli.
«Non
è
vero! Tu hai i capelli
troppo lunghi!»
«Se
vorrò tagliarli andrò da un
parrucchiere, non da una bambina!»
«Io non sono
una bambina, sono
una signorina», disse a braccia incrociate, il nasino
all’insù.
«Oh,
è
vero, mi scusi
signorina!», si inchinò di fronte a lei e le fece
il
baciamano, sorridendo.
«Ora va
meglio», disse
sbadigliando.
«Hai sonno,
piccola?», le
chiesi.
«No…
non
ho… sonno…»
Traballò ad
occhi quasi chiusi e
finì fra le mie braccia, dove si addormentò di
sasso, il
viso contro il mio
petto.
«Come siete
teneri! Sembra
proprio tua figlia», mi sussurrò Bill facendomi
l’occhiolino.
«No, caro, te
lo puoi anche
scordare.»
«E dai! Fallo
per me, una volta
sola!»
Sbuffai irritato e le
accarezzai
i capelli prima di baciarla sulla tempia, proprio come avrebbe fatto un
padre
con la propria bambina.
«Oh…
sei
proprio dolce…», disse
Bill con gli occhioni e le mani giunte al petto.
«Sese»,
borbottai.
Guardandola
però sorrisi, perché
sentire il suo piccolo cuoricino battere regolare nel petto e i suoi
respiri
caldi contro la pelle, tenerla fra le braccia, era piacevole, era una
bella
sensazione, e ti faceva sentire calmo e rilassato, in pace con il
mondo.
Forse era di quello
che aveva
paura Rua, dei bambini che con la loro semplicità erano in
grado
di portare
pace e amore, tutto ciò che lui odiava.
***
Ringrazio
layla the punkprincess:
Non ho mai visto questo film, uhm... Beh sono contenta che ti piaccia
^^ Elisabeth è sempre piaciuto anche a me come personaggio,
credo sia la prima volta che faccio una madre affettuosa e che non
pugnala alle spalle (Vedi Sogno di un sogno,
Leben
Zeigen... XD), è
un'esperienza nuova per me. Sì, i casini sono tanti per lei,
vedrai. Alla prossima, ciao e grazie!
Utopy:
Tornata, alè! Wow, non può mancare, fedele! XD
Grazie mille, i tuoi complimenti sono sempre molto ben accetti *__*
Grazie <3 un bacio.
Isis 88:
Kay è adorabile, sì lo so! *.* Grazie mille!
H u m a n o i d:
Beh, meglio tardi che mai, no? XD Tommino, eheheh! Spero che ti sia
piaciuto anche questo, io ce la metto tutta!! Grazie!!
Ringrazio di cuore anche
tutti quelli che leggono, non amo la matematica, ma i numerini che
salgono mi fanno piacere! *___* Alla prossima, speriamo presto visto i
problemi! Un bacio, vostra _Pulse_
|
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Capitolo 5 *** Visite sgradite ***
La spalla migliorava di giorno in
giorno, Kay si affezionava sempre di più a noi e ci vedeva
come dei fratelli maggiori (idea inculcatale da Bill dopo il tentativo
fallito di farsi chiamare zio), Elisabeth però sembrava
sempre agitata e quando andava al mercato, ogni volta tornava con
qualcosa in meno del solito.
«Elisabeth, tutto
bene?», le chiesi entrando in cucina, dov’era
seduta al tavolo, la testa nascosta fra le braccia incrociate.
«Sì,
perché?»
«È un
po’ di tempo che sei strana. Sicura di stare bene?»
Mi misi seduto di fianco a lei,
aspettando una qualsiasi risposta.
«Non doveva andare
così…», sussurrò
sull’orlo delle lacrime, gli occhi spenti fissi sulla
superficie del tavolo.
«Che cosa? Elisabeth,
parla.»
«Non so come possa essere
accaduto…»
«Che cosa,
Elisabeth?!»
«Ci hanno
scoperti…»
«In… in che
senso?»
«Sanno che voi siete
qui.»
«Chi lo sa?»
«Qualcuno al mercato deve
essersi insospettito vedendo che compravo più roba del
normale e… deve avervi visti, magari quando mangiavamo qui o
non lo so… Scusatemi…»
«Tu non hai colpe,
Elisabeth. Hai fatto anche fin troppo per noi, e poi qui siamo al
sicuro, no?»
«No, perché da
quando si è sparsa la voce fra i sovversivi tutti sono
contro di me perché potrei avere diecimila euro subito e
risollevare un po’ anche loro, ma io non voglio consegnarvi a
Rua… Hanno iniziato a darmi meno roba, siete in pericolo da
tutte e due le parti ora…»
«Lo spirito di
sopravvivenza, accidenti. Sacrificare qualcuno per avere in cambio
qualcos’altro, succede anche in natura.»
«Siete in pericolo, ed
è tutta colpa mia…»
«Elisabeth,
no», le presi il viso con la mano e le feci guardare i miei
occhi.
Rimasimo così, in
silenzio, per diversi minuti, quando io mi avvicinai e come posseduto
da chissà chi o cosa le sfiorai le labbra in un bacio.
Si allontanò guardandomi
stordita, impaurita, sorpresa, arrabbiata, e tutte le emozioni
impossibili immaginabili che potevano mostrare i suoi occhi.
Si alzò e
uscì di casa, sbattendosi la porta alle spalle. La guardai
attraverso la finestra, scostando di un minimo la tenda, mentre si
sedeva in veranda, sulla sedia a dondolo, prendendo in mano il ciondolo
a forma di cuore che teneva sempre legato al collo e aprendolo
rivelando la foto di Charles, bello e sorridente.
Non sapevo perché
l’avevo baciata, ma in quel momento era stato così
naturale che non avevo pensato ai pro e ai contro di quel gesto.
Elisabeth si alzò
all’improvviso, si sporse verso la strada e ansiosa in viso
rientrò in casa, quasi di corsa.
«Svelto, stanno arrivando
i soldati dell’esercito!»
Mi prese per il polso e mi
strattonò fino al bunker, dove trovammo gli altri che
facevano quello che si poteva fare lì dentro, il solito.
«Sono arrivati i soldati
dell’esercito, ok? Non è uno scherzo e sono
costretta a chiudervi qui sotto fino a quando non se ne andranno,
dovete fare assoluto silenzio in modo tale che non vi scoprano,
ok?», disse serissima, senza celare un po’ di
quell’agitazione che le si muoveva impazzita dentro.
«Kay, hai capito? Niente pianti, niente paura, come sempre,
ok?»
La bambina annuì, anche
se tremava di fronte alla madre, gli occhi gonfi di lacrime.
Mi guardò e riuscii a
parlarmi con gli occhi, dicendomi chiaramente di proteggerla, io
annuii, dopodiché salì e chiuse la botola
trascinandoci sopra la cassettiera.
Kay si girò lentamente e
mi fissò, incominciando a piangere in silenzio.
«Piccola, la tua mamma
torna», la rassicurai.
«Ho paura, tanta
paura», tremò abbracciandomi e nascondendo il viso
bagnato dalle lacrime.
La presi il braccio e la portai con
me sul letto, dove ci stesimo assieme, abbracciati. L’avrei
protetta anche con il mio stesso corpo se necessario, avevo fatto una
promessa e volevo mantenerla.
#
# #
Si
sistemò allo specchio e quando sentì bussare alla
porta andò ad aprire stendendo un sorriso, mascherando
perfettamente la tensione e l’ansia di essere scoperta.
«Buongiorno!
Che bella sorpresa!», esclamò come se fosse
davvero contenta di vedere due soldati varcare la soglia di casa sua
con le pistole alla cinta.
Ormai
era così abituata a mentire che nessuno si sarebbe mai
accorto delle sue continue bugie.
«Buongiorno,
come sta?»
«Tutto
bene, grazie. E voi? Posso offrirvi qualcosa?»
«No,
grazie.»
I
due soldati giravano in giro per la casa e ad un certo punto si
diressero in camera da letto, Elisabeth ebbe un tuffo al cuore pensando
che magari erano stati insospettiti da qualche rumore che non doveva
esserci.
Li
seguì con il sangue congelato nelle vene e li
guardò ispezionare l’ambiente picchiando qualche
volta i tacchi degli stivali sul pavimento in legno, facendole venire i
brividi magistralmente repressi.
«Qual
buon vento vi porta qui?», chiese allora.
«Nessun
buon vento, passavamo da queste parti…»
«E
abbiamo pensato di venire a trovarla.»
Quelle
parole, con quello sguardo, la fecero morire dentro, ma non si scompose
più di tanto. Sarebbe successo un’altra volta, e
un’altra volta avrebbe subito in silenzio.
#
# #
Quanto tempo era passato? Avevo
perso la cognizione del tempo accanto a Kay, ad osservarla dormire e ad
accarezzarle i capelli.
«Ragazzi, sono
preoccupato», disse Bill leggendomi nel pensiero, come
sempre.
«Quanto è
passato?»
«Un’ora?
Un’ora e mezza?»
«Vado a
controllare», dissi deciso.
«Non ci pensare nemmeno,
Tom. E se ti dovesse succedere qualcosa? Elisabeth sa quello che fa, e
non si è sentito niente di preoccupante,
quindi…»
«Quindi è
inutile che insisti, io vado a controllare comunque. Mi sto
annoiando.»
«Tom, non lo fare, ti
supplico.»
«Bill, non ti
preoccupare, so quello che faccio», gli sorrisi
incoraggiante, iniziando a salire le scale.
Mi ricordai solo quando provai ad
alzare la porta della botola che Elisabeth l’aveva coperta
con la cassettiera.
Restai con l’orecchio
teso in cerca di un suono qualsiasi per diverso tempo, poi quando
iniziai ad abituarmi al silenzio riuscii a sentire dei singhiozzi
provenienti dalla camera da letto.
Era sicuramente Elisabeth,
perché mi salii un groppo in gola che non riuscii proprio a
buttare giù.
Non l’avevo mai vista
né sentita piangere, quindi dubitavo che di fronte a dei
soldati si fosse messa a dimostrare la sua debolezza, tenace
com’era.
Ma non potevo rischiare, se mi
stavo sbagliando avrei messo fine a troppe vite, tra cui anche la mia
– non che fosse la più importante la mia,
ovviamente.
Tornai di sotto abbattuto e vidi
Kay seduta sul letto, appoggiata alla parete con la schiena e le gambe
strette al petto, lo sguardo vuoto.
«Credi sia successo
ancora?», mi chiese senza nemmeno alzare lo sguardo.
«Che cosa?»
«Quando vengono i soldati
mamma piange sempre, una volta l’ho vista perché
non avevo fatto in tempo a nascondermi bene e mi sono messa
nell’armadio…», iniziò a
singhiozzare, anche se tentava di stare zitta tappandosi la bocca con
le mani.
«Che cos’hai
visto, Kay?», le chiesi preoccupato.
«Loro… e
lei… che… non so cosa stessero
facendo… erano sul letto… prima uno e poi
l’altro…»
«Oddio no…
oddio questo no!», disse Bill adirato, a bassa voce.
«È successo di
nuovo?», chiese con le lacrime sulle guance.
«Piccola io…
non lo so… Ma se è successo ancora gli daremo una
lezione, a quelli lì, te lo prometto.»
Kay si asciugò il viso e
mi fece un debole sorriso, affondando il viso nel mio petto
abbracciandomi.
Si approfittavano di una vedova,
della vedova del loro generale defunto, quegli stronzi. Non potevo
sopportarlo, eppure mi stupivo di come ancora fossi lì
abbracciato ad una bambina di cinque anni invece di aver già
scatenato l’inferno.
Non mi importava della spalla, se a
volte mi faceva ancora male, volevo solo giustizia, e avrei fatto di
tutto per ottenerla.
Sentimmo la cassettiera spostarsi
rumorosamente sul pavimento sopra le nostre teste e poi una boccata
d’aria fresca entrare nel bunker, con quell’accenno
di profumo alla lavanda.
Scese le scale a passi lenti, e
quando apparve Kay si alzò e corse da lei, abbracciandola.
«Amore sono qui, sono
qui», la rassicurò baciandole il viso.
Elisabeth alzò lo
sguardo e incontrò i miei occhi arrabbiati e assetati di
vendetta, e l’unica cosa che poté fare fu quella
di fuggirne, sentendosi profondamente in colpa.
«Beh, non mi chiedete
com’è andata?», chiese alzandosi di
nuovo in piedi, Kay stretta fra le sue braccia.
«Se sei qui è
andata bene, e poi sappiamo com’è
andata», dissi duro.
Perché mi ostinavo a
sentirmi arrabbiato con lei? Lei non aveva fatto niente, anzi aveva
solo fatto ciò che le aveva permesso di risparmiarsi la vita
con quei soldati senza scrupoli, e facendo così io la facevo
sentire solo ancora più male.
Che fossi geloso di due uomini che
avevano approfittato di lei? Con grande disgusto pensai che era proprio
così, che ero geloso. Mi ero appena accorto di essermi
affezionato molto di più a lei di quanto avessi mai dovuto
esserlo.
Elisabeth abbassò
nuovamente lo sguardo, facendomi sentire un verme, e in silenzio
risalì le scale portandosi con sé Kay.
Ci fu un infinito silenzio, poi la
porta della botola si sbattè e mi sentii non un verme, ma
uno addirittura spiaccicato al suolo dopo il passaggio di una macchina.
«Tom, tutto
bene?»
«No, non va per niente
tutto bene.»
***
Le
cose si complicano, ragazze!! Staremo a vedere.
Ringrazio:
M_Lucry_J:
Grazie mille, sono contenta perchè avevo proprio voglia di
fare qualcosa di nuovo ^^ Spero che anche questo capitolo ti sia
piaciuto e che la tua curiosità sia stata soddisfatta.
H u m a n o i d :
Grazie XD E chi non lo ama Tom? Bill è matto ma mi fa tanta
tenerezza ^^ Spero ti piaccia anche questo!! Baci
Utopy:
Ah, eccoti qua!! Sì, Charles è furbo e non hai
ancora visto niente!! XD Kay è adorabile, sì,
è la mia sorellina immaginaria ^^ Dei Tom stupendi?
I
tuoi Tom preferiti? Ahahah,
ricordati però che sono SOLO di mia proprietà!!
Ahahah, alla prossima, grazie!!!
layla the punkprincess:
Grazie mille, sono felice che ti piaccia!! *__* Alla prossima, ciao!!
Non importa per i riardi ^^
Ringrazio tutti di cuore, anche
quelli che non hanno recensito perchè si sono persi per
strada XD Vostra _Pulse_
|
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Capitolo 6 *** Non te ne andare ***
Kay stava disegnando appoggiata al
tavolo della cucina, Elisabeth stava lavando i piatti della cena.
Dovevo parlare assolutamente con
Elisabeth per chiarire quella situazione che si era creata,
perché non potevo sopportare il fatto che non riuscissimo
nemmeno a guardarci, come era successo a tavola.
C’era un silenzio di
ghiaccio, si sentivano solo le forchette nei piatti e la pioggia che
iniziava a cadere facendo tintinnare il tetto.
«Che cosa volevano i
soldati, mamma?», chiese all’improvviso Kay, mentre
Elisabeth le stava mettendo dell’acqua nel bicchiere. Le
scivolò la bottiglia e ne cadde un po’ sulla
tovaglia, poi si coprì il viso con la mano.
«Non volevano niente,
niente», rispose.
«Tu mi dici le
bugie», mugugnò la bambina.
«Kay, ti assicuro che
certe cose è meglio non saperle.»
«Tipo?»
«Tipo che devi stare
zitta e mangiare, ok?»
Kay si ammutolì con la
testa china sul suo piatto, e io guardai severamente Elisabeth, che
ricambiò per un attimo e poi scappò.
Non feci nemmeno in tempo ad
annunciarmi che Elisabeth disse a Kay di andare a dormire
perché si stava facendo tardi.
La bambina raccolse la sua matita
rossa e il suo disegno e si avviò in camera, salutandomi con
la mano, dopodiché Elisabeth si girò verso di me
stando appoggiata con le mani al lavabo e mi guardò negli
occhi.
Non ci fu nemmeno bisogno di dire
che dovevamo parlare, lo sapevamo entrambi ed era arrivato il momento.
«Da quanto va avanti sta
storia?», chiesi con le braccia al petto.
«Non ti dovrebbe nemmeno
interessare.»
«Suppongo che i soldati
non sappiano dell’esistenza di Kay.»
«Ovviamente no.»
«Chi lo sa?»
«Solo Rua. Tutti credono
che dopo la morte di Charles sia stata prelevata anche lei, ma non
è stato così.»
«Perché?»
«Perché…
perché lei è…»
«Kay
è…?»
«Rua è il
cugino di Charles e quindi lui e Kay sono…
parenti.»
«Non ci posso
credere», dissi afflitto, mettendomi seduto pesantemente sul
divano, la testa fra le mani. «Cioè, fammi capire.
Rua è cugino di Charles eppure sono due persone
così diverse? Uno pensa al dominio assoluto del pianeta e
l’altro ad un mondo libero e giusto?»
Annuì a testa bassa,
senza spiccicare parola.
«E comunque non
è giusto quello che ti fanno i soldati, e se solo potessi io
li strozzerei con le mie stesse mani», ringhiai.
«Sei patetico.»
«Che cosa,
scusa?»
«Sei patetico,
perché sei geloso.»
Quelle parole mi stroncarono, oltre
a ferirmi inspiegabilmente. Perché se tenevo a lei ed ero
geloso dovevo essere considerato patetico?
«Che altro potevo fare,
Tom? Me lo dici, ora? Cosa? Se non lo facessi mi avrebbero uccisa
già da un pezzo, e non voglio abbandonare Kay.»
«Lo so questo,
ma… è comunque ingiusto. E non voglio che tu lo
faccia ancora, non devi farlo mai più.»
«Con una pistola puntata
alla tempia è un po’ difficile prendere delle
decisioni, non credi?»
«Elisabeth…»
«Che cosa
c’è? Che cosa vuoi da me?»,
singhiozzò celando le lacrime che le rigavano le guance
dietro le mani.
«Non voglio niente da te,
Elisabeth…», le dissi dolcemente, alzandomi,
preoccupato per lei, ma lei mi rivolse uno sguardo rabbioso nonostante
le lacrime ferme sul suo mento.
«Perché mi hai
baciata, allora?»
«Io… beh
io… non so perché l’ho
fatto… Mi dispiace se…»
Non feci in tempo a finire,
Elisabeth mi attirò a sé prendendomi per la nuca
e mi baciò. In quel bacio le sue lacrime si mescolarono alle
nostre labbra e quando si staccò riprese fiato come se fosse
stata in apnea, gli occhi sbarrati.
«Bene, non è
stato poi tanto male», disse pensando ad alta voce,
guardandomi negli occhi subito dopo.
«Ora dovrei chiederti io
perché mi hai baciato?», le chiesi confuso.
«È meglio che
tu non lo faccia.»
«Ok, perché mi
hai baciato?»
«Testa dura»,
mormorò. «Per vedere se c’era qualche
differenza fra te e quei soldati», ammise.
«È ovvio
che c’è differenza!», sbraitai mosso
nell’orgoglio, lei mi tappò la bocca con la mano.
«Questo l’ho
capito da sola», sorrise. «C’è
un enorme differenza. Tu… tu sembri Charles.»
«L’ha detto
anche Kay», sussurrai accarezzandole i capelli,
spostandoglieli dalla fronte.
Ci eravamo avvicinati sempre di
più, sentivo il suo corpo sfiorare il mio, il suo cuore
battere accanto al mio impazzito nella cassa toracica, il suo respiro
lento e il suo profumo che subito mi aveva attratto e che mi piaceva
tanto.
«Voi rischiate troppo con
noi accanto», dissi, anche se con il cuore infranto.
«Non posso permettere che vi succeda qualcosa a causa nostra.
Avete già fatto troppo per noi.»
«No, non potete
andarvene», disse spaventata, prendendomi i polsi.
«Non voglio.»
«Elisabeth…
prima o poi ci scopriranno.»
«No, no invece! Non ti
ricordi la promessa che hai fatto a Kay? Non puoi deluderla!»
«E tu come fai a sapere
che le ho fatto quella promessa?»
«Me ne ha parlato lei, e
se le distruggi pure questa sei solo un farabutto», disse con
rabbia, anche se aveva le lacrime gli occhi. «Non te ne
andare, Tom, ti prego non te ne andare…»
«Elisabeth,
io…»
Mi abbracciò lasciando
inconcluse le parole che nemmeno io volevo che uscissero dalla mia
bocca, facendomi sentire felice e all’improvviso
così legato a lei da volerla difendere anche a costo della
mia stessa vita, com’era successo quel pomeriggio con Kay.
«Non me ne
andrò», le sussurrai sfiorandole i capelli sulla
nuca e stringendola a me, rassicurandola nel mio abbraccio.
# # #
Il giorno seguente mi svegliai per
ultimo e quando salii in cucina vidi Kay che guardava incuriosita la
madre lavorare con farina e uova, Bill, Georg e Gustav accanto a lei
come dei bambini speranzosi di ricevere la propria parte.
«Che cosa sta succedendo
qui?», chiesi.
Elisabeth alzò lo
sguardo e mi fece un sorriso smagliante, che mi lasciò
frastornato e come un ragazzino alla prima cotta ricambiai.
«Buongiorno signor Tom!
La mia mamma sta facendo dei biscotti, sai?»
«Kay, perché
ti ostini a chiamarmi signor
Tom, quando comunque non mi dai del lei?», le chiesi
sorridendo.
«Mi piace chiamarti
così!»
«Se piace a
te… Dei biscotti? Come mai?»
«Ma non puoi mai evitare
di fare domande?», chiese Elisabeth mordicchiandosi il
sorriso che non riusciva a mandare via dalle labbra da quando mi aveva
visto.
«No, non posso,
è più forte di me.»
Bill ci guardò, prima me
e poi Elisabeth e viceversa, per un paio di minuti continuò
quel ping pong e poi sorrise beffardo guardandomi negli occhi.
«Non guardarmi
così, mi metti paura», gli dissi, anche se non
avevo paura di mostrare al mondo i miei sentimenti, non quella volta.
«Tomi, noi dobbiamo
parlareeeee!», canticchiò battendo le mani e
saltellando.
«Perché
è così eccitato?», chiese Georg
indicandolo.
«Boh, sai
com’è… dev’essere che
già all’idea di mangiare i biscotti sia
impazzito.»
Elisabeth ridacchiò e
Kay scese dalla sedia per unirsi a Bill in quello strano balletto,
lasciandosi prendere per le mani.
«Che banda di
pazzi», commentò Gustav divertito.
***
Ecco qui il sesto capitolo!! Che ne pensate?? Mi raccomando tante
recensioni, ok? Perchè stanno calando!!
E ora Ringraziamenti
Time, un nuovo programma su _Pulse_Channel!
XD (Sono fuori, sì)
layla the punkprincess:
Concordo pienamente con tutto quello che hai detto ^^ Grazie per le tue
recensioni, ci sei sempre e questo mi rincuora!! Alla prossima, ciao!
M_Lucry_J:
Grazie mille per i complimenti, spero solo che questo capitolo mi sia
uscito bene, io ci ho messo impegno U.U Sono contenta che tu sia
curiosa di sapere come andrà a finire, mi fa
molto, molto piacere! Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto,
ciao bacio!!
Utopy:
Eccola qui, la mia Frenzy-Ale!! :D Sono contenta che ti piaccia e il
fatto che sei rimasta con il fiato sospeso mi ha resa la ragazza
più felice del mondo, era quello che volevo che accadesse!!
Grazie mille *___*
_samy:
Ed eccola qui anche lei!! Oh sì!! Sono contenta di averti
aiutata ad iscriverti, non era la prima volta che lo facevo (Vedi Utopy,
sopra di te xD)!! Ti ringrazio ancora tanto, oltre che su msn anche
qui, per aver recensito tutti i capitoli di Feel it again dal primo al
quinto, mi ha fatto molto piacere *__* E GRAZIE per la propaganda
Scrivi Recensioni Ad Ary, ne ho bisogno XD Sono contenta che la mia
storia venga presa sul serio, perchè anche io la ritengo
importante, e sai che il mio scopo è solo quello di fare ragionare
la gente la maggior parte delle volte ;-) Ancora grazie mille <3
Alla prossima, ciao!!
Vostra, _Pulse_
|
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Capitolo 7 *** La lettera ***
Settimo capitolo! Non sono ancora
molto dell'umore giusto per ridere e scherzare (cose che faccio sempre
di solito), ci sono delle cose che mi fanno arrabbiare, ma sono solo
degli schizzi, non vi preoccupate ^^ La vostra _Pulse_
tornerà più forte di prima, o per lo meno si
spera XD
Prima di consegnarvi a questo capitolo un pò di tempo fa
avrei voluto fare un appello per pregarvi di scrivere un pò
più di recensioni (ero davvero giù di morale e
pensavo che tutto andasse male, che le mie storie facessero schifo e
che io facessi schifo come persona), ma ci ho ripensato, sapete
perchè?
Non
importa quante recensioni si ricevano, l'importante è
scrivere per sè stessi se non per altri, e sentirsi bene, e
non sentirsi vincolati da dei commenti che comunque fanno sempre
piacere se ci sono ^^ Io NON scrivo principalmente per vedere le
recensioni, ma perchè mi piace e perchè senza la
scrittura la mia vita sarebbe tremendamente noiosa, senza tutti i miei
personaggi e le loro vicende che sanno far piangere, ridere, gridare e
annoiare. Amo ogni mio personaggio a modo suo, e amo scrivere: questo
è l'importante.
Detto questo, sentendomi molto più libera e serena, quasi
felice, vi auguro buona lettura e vi ricordo che risponderò
alle recensioni del capitolo precedente alla fine del capitolo.
Vostra
_Pulse_
***
Elisabeth
sistemò la mensolina del bagno prendendo il suo beautycase:
era un sacco di tempo che non dedicava del tempo a sé stessa
ma non ne aveva mai fatto un dramma, inoltre Charles diceva sempre che
era bellissima anche senza i pochi trucchi che usava.
Le
mancava tanto il suo amato Charles, ogni volta che lo pensava le veniva
un groppo in gola che era difficile da mandar giù, mai
l’avrebbe dimenticato, soprattutto grazie alla sua piccola
Kay che glielo ricordava così tanto con quei riccioli biondi
e il suo sorriso affascinante.
Però
non poteva stare da sola, lei era un donna forte, l’aveva
sempre dimostrato, ma voleva qualcuno accanto a sé e la sua
bambina, qualcuno che fosse in grado di occuparsi di entrambe. E forse
quel qualcuno l’aveva trovato: Tom.
All’inizio
l’aveva visto come un povero uomo in grado solo di provare
diffidenza per tutto e tutti, ma poi quando aveva visto negli occhi
della figlia quella grande stima che gli riservava aveva iniziato a
guardarlo con i suoi occhi, e si era accorta che stranamente era sempre
con lui che si confidava.
Ogni
volta che lo vedeva si sentiva strana, il cuore le martellava nel petto
come solo anni prima aveva fatto e quella sensazione di smarrimento
l’aveva portata a mettere un muro fra loro, ma non aveva
retto, era crollato non appena l’aveva baciata e confortata.
Ormai
non poteva vedere quella casa senza quei quattro maschi, senza Lui, e
non voleva che ne se andassero, anche a costo di rischiare la vita.
Kay
con loro aveva ritrovato il sorriso, quello vero e bellissimo che per
un po’ non le aveva visto sul viso, e ciò non
poteva che renderla felice.
«Elisabeth,
cosa stai facendo?»
Alzò
lo sguardo dal beautycase che aveva appoggiato in grembo, sorridendo, e
vide Bill alla porta, che la guardava curioso come un bambino.
«Hai
mangiato i biscotti?», gli chiese inarcando un sopracciglio.
«Io?
Nooooooo!»
Elisabeth
ridacchiò, indicandogli di guardarsi allo specchio. Aveva
delle macchie di cioccolato sulle labbra e intorno alla bocca, proprio
come se fosse stato un bambino troppo goloso per resistere.
«Ok,
mi hai beccato», disse sorridendo, pulendosi con
l’acqua.
«Spero
per te che tu non li abbia finiti, perché se Kay lo scopre
ti mangia a te.»
«Quella
bimba è forte, come i genitori suppongo.»
«Sì,
spero che abbia ereditato tutto da Charles»,
sospirò.
«Senti
Elisabeth… ho parlato con mio fratello
e…»
Elisabeth
alzò di nuovo lo sguardo, gli occhi vivi da un luccichio che
Bill riconobbe come gioia pura nel sentire un sinonimo del nome
“Tom”.
«E
lui mi ha detto che vi siete baciati! Ben due volte!», disse
emozionato, saltellando dentro al bagno e mettendosi seduto di fianco a
lei velocemente, prendendole le mani, proprio come una pettegola di
prima categoria.
«Devi
raccontarmi tutto, lui fa il timido! Sì, potrebbe non
sembrare, ma è così, fidati, io sono il suo
fratello gemello e certe cose…»
«Stop!
Time-out!», gli disse mettendogli una mano di fronte al viso.
«Attacco
di logorrea, scusa», disse sorridente, facendola ridere.
«Non
fa niente, Bill. Tom ti ha davvero parlato di…
noi?»
Com’era
strana quella parola riferita a lei e ad un altro uomo che non fosse il
suo defunto marito, non era affatto abituata, ma la sensazione non era
poi tanto male.
«Sì,
gli ho cavato le parole di bocca perché avevo visto che era
al settimo cielo, ma… sì.»
«Al
settimo cielo?»
«Oh
sì! È giorni che sorride come un’ebete!
Sembra persino che si sia innamorato. Wow, da quanto tempo aspettavo
questo momento!»
«Bill,
frena con la fantasia», disse abbassando lo sguardo.
«E
perché?», chiese come un bambino deluso, cercando
di sbirciare il suo viso nascosto dai capelli lunghi.
«Perché…
insomma, perché dovrebbe interessarsi ad una vedova con una
figlia a carico? Sarebbe tutto più complicato di quello che
è già.»
Prima
non ci aveva pensato, ma quell’ipotesi non era da scartare,
anzi era da tenere bene a mente per non volare troppo con la fantasia,
perché se fosse volata troppo in alto e se fosse caduta si
sarebbe fatta molto male.
«Tom
è innamorato di Kay quanto lo è di te»,
le disse dolce mettendole una mano sulla spalla.
Elisabeth
alzò lo sguardo sorpresa da quelle parole, che le avevano
rinvigorito lo spirito di una ventata d’ossigeno fra le tante
preoccupazioni che la fece sentire euforica e piena di energie.
«Dici
davvero?»
«Ovviamente!
Se li vedessero andare in giro per strada tutti crederebbero che
è sua figlia, non c’è da dubitare di
questo.»
«È
tutto troppo bello per essere vero.»
«E
invece è tutto vero, dal dramma nascono spesso cose belle,
come un fiore che nasce dalla cenere dopo un incendio.»
Si
guardarono intensamente negli occhi e si sorrisero, lei leggermente
commossa da quelle parole che le avevano riaperto il cuore a quel
sentimento che da quando Charles se n’era andato non era
più riuscita ad accettare: la fede, e con lei la speranza di
poter ricominciare con qualcuno al proprio fianco, e di essere di nuovo
felice assieme alla sua bambina.
«Cavolo
che capelli lunghi che hai…», gli disse cambiando
argomento, prendendogli una ciocca fra le dita.
«Sì…
eheh, non ho fatto in tempo ad andare dal parrucchiere in questo
periodo…»
«Dovreste
darvi tutti una sistemata, sapete? Sareste anche meno
riconoscibili.»
«Sì,
ma come?»
Elisabeth
si alzò e andò all’armadietto dove
teneva la scatoletta del pronto soccorso, la stessa che aveva usato per
la ferita alla spalla di Tom, quando l’aveva conosciuto, e
tirò fuori il vecchio rasoio elettrico di Charles. Non aveva
mai toccato la sua roba dalla sua scomparsa, ma doveva
andare ancora.
«Sei
sempre una sorpresa, Elisabeth», le disse sorridente.
#
# #
Scesero di sotto, nel bunker, dove
c’erano anche gli altri, ed Elisabeth sentì il
proprio cuore ingrandirsi quando vide Kay fra le mie braccia, che mi
raccontava un episodio divertente della sua infanzia, e io
l’ascoltavo rapito quanto sereno e felice.
«Ragazzi, chi vuole farsi
la barba?», chiese Bill mostrando gli accessori scovati da
Elisabeth.
«Io!», disse
Kay facendoci ridere tutti quanti, compresa Elisabeth. «Tu
devi farla, perché mi pungi», mi sorrise.
«Sì, credo
proprio che io la farò, anche se mi piaceva
pungerti!», risi cercando di sfiorarle la pelle con le
guance, facendola scappare via e nascondere dietro le gambe della
madre, che mi sorrise contenta.
Andai da lei e
l’abbracciai, appoggiando la guancia alla sua testa, mentre
mi prendeva per la schiena e mi stringeva.
Kay ci guardò senza
fiato, piacevolmente sorpresa, e poi guardò Bill che le fece
l’occhiolino.
«Il signor
Tom diventerà il mio papà?», chiese
grattandosi la testa confusa.
«No…
ehm… il tuo papà resterà sempre
Charles… però io… se la tua mamma lo
vorrà… potrò essere qualcosa di molto
simile», arrancai a dare la risposta, in evidente imbarazzo,
ma il sorriso di Elisabeth mi fece rendere orgoglioso e
adempì tutti i miei sforzi per pronunciare quelle ventuno
parole così difficili.
Le ore seguenti le passammo a darci
una sistemata sotto gli occhi attenti di Kay ed Elisabeth che rideva
sempre, era bella la sua risata, sembrava che fosse tornata di nuovo in
vita dopo molti anni di apatia verso ciò che la circondava.
«Posso tagliare io i
capelli a Bill?», chiese Kay tirando la mano ad Elisabeth.
«Vedi? Perché
a lui lo chiami solo Bill e non signor
Bill?», feci notare, mentre lui se la sghignazzava.
«Perché sei
solo tu il signor Tom! Mamma posso allora? Eh, posso, posso? Per
favore!»
«No che non puoi, peste!
Non mi farò mai tagliare i capelli da una bambina!»
Ma successe il contrario, quando
Elisabeth di nascosto fece tagliare una ciocca a Bill da Kay, e
l’ignaro credeva che gliel’avesse tagliata la madre.
Alla fine ridemmo e scherzammo per
tutto il pomeriggio, quando bussarono alla porta e noi e Kay dovettimo
filare nel bunker per non essere scoperti.
«Mi raccomando
Elisabeth», le sussurrai con la fronte appoggiata alla sua,
donandole un lieve bacio a causa della fretta.
Una volta nascosti, andò
ad aprire e si trovò davanti il ragazzino che
c’era sempre al mercato, un bambino di circa otto anni,
sfuggito anche lui alla cattura, che di sua iniziativa aveva deciso di
portare a Elisabeth e Kay qualcosa da mangiare ogni tanto. Era evidente
che avesse un debole per la piccola Kay, e chi poteva resisterle,
d’altronde?
«Oh, ciao Dimitri!
Entra!»
Dimitri si tolse il cappello
educatamente ed entrò in casa. Posò il cesto con
della frutta e altra roba trafugata alla bancarella del mercato di suo
padre e poi le diede una lettera.
«Chi me la
manda?», chiese Elisabeth insospettita.
«Un soldato mi ha
incontrato al mercato e mi ha detto di consegnarla a te quando saresti
venuta a fare spese, ma visto che non puoi più
venire… te l’ho portata.»
«Un soldato?»
«Sì.»
«Ti ha fatto del male,
Dimitri?»
«No, è stato
anche molto gentile perché mi ha pagato!»
«Sono felice per te,
allora! Grazie Dimitri, per tutto quello che fai.»
«Non si preoccupi, per me
è un piacere! Mi saluti tanto Kay!»
«Ok, stai attento mi
raccomando!»
«Sì!»
Chiuse la porta alle sue spalle e
si diresse al divano, voleva leggere quella misteriosa lettera prima di
farci salire di nuovo.
***
_samy:
Eh sì, manca poco! Non stai più nella pelle, eh?
Ahahah. Grazie per la propaganda ;-)
M_Lucry_J:
Grazie mille, davvero, è bello vedere che ci sono persone
che apprezzano *____* Bacio
layla the punkprincess:
Parenti serpenti? Questa non la sapevo ^^ Beh comunque è
proprio così, e non hai visto ancora nulla di Rua XD Tra Tom
e Elisabeth si vedrà molto presto, ma se son rose fioriranno
visto che andiamo di proverbi. Ciao, alla prossima!
xClaRyx:
Grazie mille *__* A me piacciono i tuoi capelli fucsia! ^^ Un bacio
anche a te ^^
Alla
prossima!
Vostra, _Pulse_
|
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Capitolo 8 *** Te lo prometto ***
La lettera che le era arrivata era
aperta, stesa al centro del tavolo. Intorno ad essa c’eravamo
tutti, che valutavamo i pro e i contro prima di prendere una decisione.
«Perché Rua ti
avrebbe invitata a cena?», chiese Georg.
Elisabeth era seduta al mio fianco,
Kay fra le braccia, ignara di tutto. La stringeva come se la stesse per
abbandonare per sempre, triste; io avrei tanto voluto fare qualcosa, ma
avevamo le mani legate tutti quanti.
«Secondo me è
una trappola», disse Gustav. «Dev’esserci
qualcosa di losco sotto.»
«Beh… cosa
potrebbe fare, allora? Se non ci andasse finiremmo tutti per essere
scoperti e uccisi, noi perché siamo dei sovversivi e loro
per tradimento… Se ci andasse,
invece…», Bill abbassò lo sguardo.
«Non si sa se
tornerò», disse debolmente Elisabeth, arresa
all’evidenza.
«Potremmo dire che stai
male e che non puoi.»
«Rimanderemmo e basta,
Rua non si arrende mai.»
«Hai ragione…
Ma come possiamo fare? Tom, perché stai così in
silenzio? Tu hai qualche idea?»
Aprii gli occhi e lo guardai a
braccia incrociate, la schiena appoggiata pesantemente allo schienale.
Cosa si poteva fare? Praticamente
nulla. Per un motivo o per un altro avrei perso comunque la persona di
cui mi ero innamorato. Perché ogni volta che mi sentivo
felice – sì, perché mi sentivo felice
con Elisabeth e Kay, due altre componenti della nostra famiglia
–, tutto cadeva a pezzi lasciandomi quel grande vuoto dentro?
Perché?
«Non cambierebbe niente,
Bill», dissi fermo. «Moriremo comunque, prima o
poi.»
«Tom, sii ottimista! La
speranza non è sempre l’ultima a morire?»
«Non riesco ad essere
ottimista, sapendo che Elisabeth dovrà andare a cena con
quell’essere disgustoso, sapendo che magari non
tornerà.»
Mi alzai scuotendo la testa,
sentendo il cuore martellare nel petto come mai, la testa esplodere e
un’enorme voglia di piangere, come non ne avevo mai avuta.
Mi trascinai nel bunker, mi gettai
sul mio letto e chiusi gli occhi.
Forse restai lì per ore,
forse per minuti, o forse solo per qualche secondo, ma sentii dei passi
soffici raggiungermi e un peso leggero sedersi al mio fianco.
«Kay, sei tu?»,
chiesi.
«Sì, sono
io.»
«Che cosa
c’è che non va?» Tutto, tutto non va.
«Perché mamma
deve andare via?»
Mi girai e la guardai: aveva gli
occhi pieni di lacrime, ma non piangeva. Era forte ed orgogliosa come
la madre, come doveva essere stato anche il padre che aveva sacrificato
la vita per loro e per tutti quelli che erano contro Rua.
«Piccola… Ti
prometto che…»
«Tu mi hai fatto troppe
promesse, non riuscirai a mantenerle tutte!»,
gridò.
Non l’avevo mai vista
così, e oltre a farmi paura, mi spezzò il cuore
in tanti piccoli pezzi, anche se lo era già a causa di
quella lettera improvvisa e inaspettata.
«Kay, perché
dici così?»
«Perché anche
il mio papà me ne ha fatte tante», tirò
su col naso.
«Lotterò fino
a quando non avrò più respiro per te e la tua
mamma, ok?»
«Ma non mi promettere
niente, signor Tom», sorrise pronunciando quel nome a me
fastidioso. Ma mi stavo abituando, e detto da lei era tenero e mi
riscaldava il cuore.
«Piccola peste che non
sei altro, se ti prendo!»
La rincorsi per il bunker e quando
riuscii ad afferrarla per i fianchi la sollevai e le feci fare un giro
come se fosse un aeroplano, libero di volare nel cielo come suo padre e
come io avrei voluto.
Quando smise di ridere si
addormentò fra le mie braccia, sdraiata sul mio letto.
Sorrisi accarezzandole i capelli e le baciai la guancia, poi mi alzai e
salii di sopra per vedere a che punto erano arrivati della discussione,
ma sulle scale incontrai Bill, Georg e Gustav demoralizzati, tutti a
testa basta. Conoscevo quello sguardo, e sentivo che qualcosa sarebbe
andato storto.
«Che è
successo?», chiesi.
«Nulla…
Elisabeth…»
«Ha preso la sua
decisione?»
Bill annuì afflitto,
sorpassandomi e scendendo nel bunker. Gli altri lo seguirono in
silenzio, io proseguii verso la cucina, dove trovai subito Elisabeth
seduta sul divano, con in mano il maglioncino di lana di Kay e i ferri.
«L’hai quasi
finito», dissi sorridendo.
«Sì, vorrei
finirlo entro stasera.»
«Allora…
vai.»
«Cos’altro
potrei fare?»
«Potremmo andarcene da
qui, fuggire, sarebbe come… scomparire da questo
mondo.»
«Con una bambina di
cinque anni? Kay non ce la farebbe, è troppo piccola e
debole.»
«Debole?»
«Da piccola ha sofferto
di cuore.»
«Ora è
così scatenata!»
«Già, ha
sempre combattuto contro tutti, lei.»
«Come te e
Charles.»
Elisabeth smise di lavorare e
unì le mani in grembo, il ricordo di Charles era sempre
presente in lei, ogni volta che si pronunciava il suo nome
impronunciato chissà per quanto tempo un velo di tristezza
appannava i suoi occhi luminosi e mi sentivo soffocare io per lei.
«Scusa», mi
pentii abbassando la testa.
«Non è colpa
tua, Tom. Sai, io e lui ne abbiamo passate tante insieme. Voleva un
fratellino per Kay, ma non abbiamo fatto in tempo.»
Sorrisi e alzai lo sguardo per
incrociare il suo di nuovo sereno.
«Diceva che lui avrebbe
continuato la sua battaglia, se non ci fosse riuscito lui. Aveva
così tanti sogni, così tanta
speranza…»
Mi misi seduto accanto a lei e le
accarezzai i capelli mettendoglieli dietro l’orecchio,
dolcemente.
«Tom, tu credi davvero
che qualcosa possa cambiare?», mi chiese guardandomi negli
occhi.
«Sì, qualcosa
è già cambiato nelle nostre vite.»
«Sarebbe?»
«Abbiamo altre due
persone nella nostra famiglia formato maschile… E
io… mi sono innamorato di te e di Kay, per non parlare di
Bill che la tratta come una principessa. Senza di voi la nostra vita
tornerebbe grigia e… triste.»
«Io l’ho sempre
detto che le donne sono meglio degli uomini»,
sogghignò, io sfiorai il suo naso con il mio,
scherzosamente.
«E gli uomini con le
donne sono ancora meglio», sussurrai prima di baciarla.
Le sue labbra erano calde ed
invitanti, i suoi capelli profumavano di lavanda, la sua pelle era seta
da sfiorare, il suo calore fra le braccia indescrivibile.
Cercai di memorizzare tutto nella
memoria, anche ogni minimo dettaglio di lei in quella notte che
passammo abbracciati stretti a fare l’amore veramente, con
sentimento, senza paure e costrizioni, solo seguendo il nostro cuore di
nuovo colmo di speranze e sogni.
Mi piaceva tutto di lei, anche i
suoi difetti oramai mi erano entrati nel cuore e difficilmente
sarebbero potuti volare via se non con qualcosa di più forte
che mi avrebbe trascinato via da questo mondo e dalla mia anima
gemella.
L’amavo, tutto qui. E
amavo sua figlia, cosa ancora più bella di tutte.
La strinsi fra le braccia
baciandole la fronte, spostandole i capelli che mi ricadevano
delicatamente sul petto facendomi un piacevole solletico che mi
scatenava i brividi.
La luna fuori risplendeva, le
stelle erano visibili, una più luminosa delle altre ci
indicava la via. La stella di Charles che sorrideva vedendo la moglie
di nuovo felice dopo tanto dolore per la sua perdita, sua figlia felice
di aver trovato non un padre, ma ben quattro su cui appoggiarsi nei
momenti difficili.
«Tom, ti fa male la
spalla?», mi sussurrò sollevando la testa dal mio
petto e guardandomi con gli occhi gioiosi e luminosi come non li avevo
mai visti, le guance ancora arrossate dopo la passione.
«No, non mi fa
più male da tempo.»
«E perché
allora a volte ti lamentavi?»
«Per ricevere le tue
attenzioni, no?», sorrisi, lei ricambiò e mi
baciò morbida sulle labbra, per poi riappoggiarsi a me e
stringere i pugni di fianco al viso.
«Qualcosa non
va?», le chiesi.
«Scommetto che ti sei
dimenticato che domani devo andare da Rua.»
«Non me ne sono
dimenticato», dissi amaramente.
«Qualsiasi cosa dovesse
succedere, Tom…»
«Sì?»
«Ti amo.»
Incontrai il suo sguardo e quella
punta di tristezza nei suoi occhi, assieme alle lacrime che stavano per
sfregiarle il viso, mi fece star male e aumentare la stretta intorno
alla sua vita.
«Anch’io
Elisabeth, anch’io.»
«Proteggi Kay, mi
raccomando. Non permettere a nessuno di farle del male, ti
prego…»
«La
proteggerò, te lo prometto. Tu mi prometti una
cosa?»
«Che cosa?»
«Promettimi che tornerai,
Elisabeth.»
Anche a me le lacrime punsero gli
occhi, molto fastidiosamente. Erano anni che non piangevo, anni che
avevo passato a scappare e a pensare solamente a salvarmi la pelle e a
proteggere i miei amici.
«Come posso farti una
promessa se non so se riuscirò a mantenerla?»
«Tu promettilo e basta,
Elisabeth.»
«Te lo
prometto.»
«E promettimi di amarmi,
sempre, in qualsiasi circostanza.»
«Oh, questo è
facile», sorrise. «Ti amo, e ti amerò
sempre. Te lo prometto. Tu?»
«Anch’io te lo
prometto, Elisabeth. E questa sarà la promessa
più facile da mantenere, te lo giuro.»
***
Eccoci qui, con l'ottavo capitolo! Tra Elisabeth e Tom è
scoppiato l'ammmmmmore!!! *___* Oh che bello.
Ringrazio infinitamente:
_samy:
Ora sai chi ha mandato la lettera ad Elisabeth e non è una
bella cosa ç_ç Dai su, il patrigno di Kay
arriverà ma devi aspettare ancora un pò XD Solo
questione di capitoli ;D Grazie 1000!!
M_Lucry_J:
Scusami, ma ho dovuto per tenervi incollati, anche se ho visto che vi
siete innamorati di questa ff ^^ Grazie tante, sono contenta che ti
piaccia la love story xD Bacio.
xClaRyx:
Nuoo, non sono più fuxia? Peccato, stavi bene! Comunque
grazie mille, sì Bill è sempre un bambino ;D
Grazie, la considerazione iniziale ci stava perchè mi ero
arrabbiata parecchio e poi pensandoci bene il perchè per cui
scrivo era sicuramente più importante delle recensioni ^^
Grazie.
layla the punkprincess:
Bill e Kay, che coppia, eh? XP La lettera l'avevi già capito
su msn da chi era e non ti è piaciuto XD Povera Elisabeth, a
questo punto!!! Ciao alla prossima!!
Utopy:
Non importa, fedele! Anche se non avevi recensito l'altro capitolo ti
sei fatta perdonare u.u Adesso sai chi ha scritto la lettera ad
Elisabeth e non è bello ç_ç Baci
Frenzy, alla prossima!!
A presto!
Vostra, _Pulse_
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Capitolo 9 *** Rua ***
Era arrivato il momento, il
fatidico addio che speravo fosse un arrivederci a presto. Anzi, lo
sapevo, perché Elisabeth me l’aveva promesso:
sarebbe tornata, in un modo o in un altro.
Guardai Elisabeth mentre si metteva
gli orecchini e si passava il rossetto sulle labbra. Era una ferita
vederla così bella per un dittatore assassino, e non lo era
solo per me, ma anche per lei.
Indossava un vestito nero stretto,
lungo fin sotto le ginocchia; i capelli erano sciolti sulle spalle, in
morbide onde che mi ricordarono il mare con il riflesso del sole che li
faceva brillare.
«Tom, non mi guardare
così, mi sto sentendo già abbastanza in colpa di
mio.»
La guardai girarsi verso di me con
lo sguardo triste, che stonava con tutta la sua bellezza.
«Lo so… lo so,
ma non posso farne a meno.»
«Ho paura.»
«Anch’io.»
Ci abbracciammo così
forte quasi da soffocarci, le strappai un lamento che subito dopo aver
diminuito la stretta si era trasformato subito in una risata leggera,
ma io non riuscivo a staccarmi da lei, non riuscivo nemmeno a pensare
che avrebbe mangiato assieme a quel verme. E tantomeno alla
possibilità di non riaverla più indietro.
«Mi raccomando, stai
attenta.»
«Sì, ho delle
promesse da mantenere.»
Sollevò il viso e la
baciai chiudendo gli occhi, tenendola forte a me, sentendo il suo
calore attraversare i vestiti e raggiungere la mia pelle fino a farmi
correre dei brividi lungo la schiena.
«Ora…
è meglio che vada», disse a malincuore.
Dovetti fare un grandissimo sforzo
per lasciarla andare, per vederla camminare verso la porta e per
vederla salutare Kay tenendola in braccio con le lacrime agli occhi.
«Mamma, ma torni,
vero?», chiese Kay una volta a terra, la madre in ginocchio
di fronte a lei.
«La scena si sta
ripetendo una seconda volta, Kay? È questo quello che stai
pensando?»
«Beh… anche
papà ha fatto così prima di lasciarci»,
singhiozzò senza versare una lacrima.
«Piangi, piccola mia, non
ti tenere tutto dentro, ti fai solo del male.»
«Non voglio piangere, non
ce n’è motivo, perché tu
tornerai.»
Elisabeth sorrise seppur avesse le
lacrime agli occhi e la abbracciò di nuovo, affondando il
viso fra i suoi capelli biondi.
Una macchina nera si
fermò di fronte alla casa e suonò il clacson,
facendo sobbalzare Kay che non ne aveva mai sentito uno nei suoi cinque
anni. Elisabeth si sistemò tirandosi in piedi e ci
guardò uno per uno.
«Abbiate cura di
Kay», disse un’ultima volta, prima di uscire.
Io non dissi niente, a differenza
degli altri, quello che avevo da dirle gliel’avevo
già detto.
La guardai uscire e salire in
macchina in completo silenzio, gli occhi che parlavano da soli.
Quando se ne fu andata mi girai
verso Kay e mai come prima, perlustrandola con lo sguardo, notai il
ciondolo che aveva legato al collo.
Ma perché mi preoccupavo
di un ciondolo quando la persona che amavo aveva scarsissime
possibilità di tornare a casa?
#
# #
Tutto
quello che voleva e che aveva avuto si era distrutto di fronte ai suoi
occhi: prima suo marito, poi sua figlia e infine il suo nuovo amore,
Tom.
Odiava
quel mondo ingiusto, odiava la guerra, odiava Rua, odiava tutti quelli
che uccidevano – soldati, mercenari – seguendo i
suoi ordini, solo per soldi.
La
macchina che l’era passata a prendere scorreva velocemente
fra le strade devastate dalla povertà e dal degrado della
guerra. Sui muri grigi delle case vide scorrere serie e serie di foto
di Bill, Georg, Gustav e Tom, i ricercati.
Strinse
i denti e pugni, poi pensò che almeno loro li avrebbe dovuti
proteggere, assieme a Kay, anche sacrificando la propria vita.
Ci
misero poco ad arrivare alla villa gigantesca di Rua, su una collina,
da dove si poteva gustare quel panorama che era sinonimo di odio e
distruzione.
Il
giardino era immenso, perfettamente curato dalla sua
servitù, i muri erano bianchi, c’erano vetri a
specchi, fontane e tutto ciò che era lusso e spreco.
Il
popolo non era niente, era solo la banca di Rua attraverso le pesanti
tasse che tutti dovevano obbligatoriamente pagare ogni tot di tempo.
Elisabeth
aveva visto intere famiglie sfaldarsi a causa della mancanza di denaro
e morire di fame, senza che ne nessuno se ne preoccupasse.
Entrò
nel grandissimo salone adornato di statue di marmo bianco e da un
lampadario di cristallo che quasi non l’accecò e
vide subito un maggiordomo di Rua che l’aspettava.
«Prego
signora, da questa parte», disse cortesemente.
Lei
non lo guardò negli occhi e nemmeno lo ringraziò:
non dovevano aspettarsi nulla da lei, se non il disprezzo di aver
rovinato anche la sua, di famiglia.
«Eccellenza,
è arrivata la Sua ospite»,
l’annunciò il maggiordomo.
«Oh,
sìsì, falla entrare subito.»
Il
maggiordomo la scortò fino ad un’enorme sala da
pranzo, con un tavolo lunghissimo e al cui capo c’era seduto
Rua, in una vestaglia rossa e un sorriso stampato sul viso.
«Ciao,
Elisabeth. Come stai?»
«Potrebbe
sicuramente andare meglio, Rua.»
Rua
scoppiò in una risata odiosa, mentre le guardie erano
già pronte a prendere la donna che l’aveva
chiamato per nome e sbatterla in galera.
«No,
lasciate perdere», gli disse con un gesto della mano.
«Cara
Elisabeth, ho sempre apprezzato il tuo caratterino. Siediti,
accomodati. Cosa preferisci mangiare? Carne,
pesce…?»
«Niente.
È presente nel menù?»
«No,
purtroppo no, ma potrò fare un’eccezione per
te.»
«Perché
mi hai chiamata qui?»
«Per
sapere come stavi, ovviamente!»
Con
un’occhiata ordinò alle guardie di uscire dalla
sala, e loro, anche se un po’ confuse da quel comportamento
insolito, ubbidirono e si ritirarono fuori dalla stanza.
«Allora…
come sta la piccola Kay?», chiese una volta che furono soli,
sporgendosi sul tavolo, verso di lei.
«Sta
bene, non c’è bisogno che tu te ne debba
preoccupare.»
«Io
me ne preoccupo, invece… Sai, non si sa mai che i soldati
l’abbiano scoperta…»
«Se
fosse stato così tu l’avresti saputo.»
«Già…
Hai visto quanti bei manifesti ci sono appesi per la città?
Tu per caso hai visto i ricercati da qualche parte?»
Il
cuore le mancò di un battito pensando a Bill, Georg, Gustav
e Tom. Possibile che Rua li avesse scoperti?
«No,
non ne so assolutamente niente.»
«Non
mentire con me!», gridò sbattendo i pugni sul
tavolo e alzandosi, sovrastandola. «So che sono con te, ma i
soldati che sono venuti non li hanno trovati. Dove li
nascondi?!»
«Quei
soldati mi hanno solo usata! E ti ho detto che non ne so niente di
loro!»
«Non
sono al corrente di quello che fanno i soldati quando li mando in
missione, il loro compito era quello di controllare se
c’erano i ricercati con te.»
«Dovresti
esserne al corrente, invece. Rua, non hai un minimo di rispetto per
niente, nemmeno per Charles!»
«Io
ho sempre odiato Charles! È sempre stato il migliore in
famiglia, e quello che gli è successo se
l’è meritato! E tu finirai come lui se non mi dici
subito dove sono i ricercati!»
«Perché
sei così sicuro che siano da me?»
«Portate
la prigioniera!», gridò Rua verso la porta, e
pochi istanti dopo le due guardie entrarono scortando una donna con il
viso sciupato, che si dimenava.
Appena
la vide abbassò lo sguardo vergognandosi di sé,
di averla tradita, ed Elisabeth ebbe un colpo al cuore vedendo che
quella donna era proprio la madre di Dimitri, il bambino che le portava
sempre da mangiare da quando non poteva uscire di casa a causa dei
cosiddetti ricercati.
«È
stata lei a dirmelo», disse Rua. «E a meno che
questa donna non abbia mentito, loro sono da te. Che cosa dici
ora?»
Elisabeth
restò immobile, senza sapere che cosa fare. Non voleva che
la madre di Dimitri venisse uccisa, se fosse successo a lei di perdere
la madre in questo modo avrebbe odiato chi l’aveva mandata a
morire per tutta la vita, però in cambio avrebbe salvato la
vita di sua figlia e di Bill, Georg, Gustav e Tom.
Abbassò
il capo stringendo gli occhi, pronti a sgorgare nuove lacrime, e
strinse i pugni, impotente.
«Continui
a stare zitta? Bene, mandatela dal boia!», ordinò
Rua, la donna si mise a gridare mentre veniva strattonata via,
Elisabeth si lasciò scappare un singhiozzo di dolore per
aver ucciso una donna, la madre del bambino che le stava tanto a cuore.
Rua
le sfiorò il viso e le prese il mento fra le dita per fargli
guardare i suoi occhi azzurri, ma pieni di odio e cattiveria:
«Hai
visto? Se tu mi avessi detto dove sono quei fuggiaschi a
quest’ora quella donna non starebbe per morire. Tutto per
colpa tua.»
«Sei
un essere spregevole, Rua», sibilò piena di
rabbia.
«E
tu sei una sovversiva proprio come Charles e i tuoi amici! Chiudetela
in cella, domani penserò a come sistemarla.»
Le
guardie la presero per le braccia e la condussero nei sotterranei della
villa, così tetri e maleodoranti rispetto alla
lussuosità sopra di lei, e la sbatterono sul pavimento duro
e freddo, chiudendola a chiave sghignazzando.
Elisabeth
si trascinò alla parete, nell’ombra della cella, e
raccolse le gambe al petto, iniziando a piangere.
***
Le cose sembrano farsi sempre
pù complicate... Vedremo cosa succederà!
Ringrazio:
_samy:
Sì, sul serio povera Elisabeth, soprattutto adesso. Vedremo
cosa farà il signor Tom.... Comunque boh, chi lo sa, magari
sì, magari no... boh! XD
Utopy:
Tu sei proprio fissata con sti matrimoni! XD Per l'arcano segreto devi
aspettare il prossimo capitolo! La bomba delle mutande? XD Ahi-ahi!!
layla the punkprincess:
Hai detto proprio bene, che bello e che sfiga. Rua mi è
uscito proprio bene da odiare, eh? XD Alla prossima!
M_Lucry_J:
Grazie mille!! Mi sono commossa anch'io rileggendo *__*
xClaRyx:
Rua sta antipatico a tutti, nulla di nuovo quindi XD Sì dai
speriamo nel meglio, sempre sperare!! Tom ed Elisabeth sì,
eh? *_____* Grazie tante!!
Alla prossima, vostra
_Pulse_
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Capitolo 10 *** Complicazioni ***
Mi svegliai male, con tutti dei
dolori alla schiena e un bruttissimo presentimento.
I dolori alla schiena erano
facilmente provocati dalle ginocchia di Kay che si era addormentata da
me e non si era più schiodata da lì mettendosi a
piangere come un’isterica svegliando tutti.
Il presentimento… quello
poteva essere solo riferito ad Elisabeth. Non mi sarei mai perdonato se
le fosse successo qualcosa di male, mai.
Mi alzai seduto stiracchiandomi e
appoggiai le mani alle ginocchia, chiudendo gli occhi e respirando
profondamente.
Elisabeth…
Guardai Kay muoversi al mio fianco
e mi accorsi che il suo viso non era sereno come sempre, pure nel sonno
era triste, come se le mancasse qualcosa, e tutti sapevamo che cosa le
mancasse in quel momento. Io per primo perché mancava pure a
me.
Andai di sopra e scoprii che la
camera da letto di Elisabeth era vuota. Con un groppo in gola
proseguii, sperando di vederla sorridente e impegnata in cucina, ma non
la trovai nemmeno lì.
Era già l’alba
e di lei nessuna traccia. E il bello era che non potevo fare
assolutamente niente se non aspettare qualche sua notizia o la sua
miracolosa comparsa di nuovo tra noi.
Mi misi seduto al tavolo e poco
dopo vidi Bill che mi fissava alla porta, lo sguardo triste.
«Non è ancora
tornata, vero?»
Scossi la testa, afflitto. Lei mi
aveva promesso che sarebbe tornata, ma come avrebbe mai potuto
se… Non volevo nemmeno pensare a quella
possibilità fin troppo ampia, sia per me che per Kay. Quella
bambina aveva già perso il padre, non poteva perdere anche
lei a causa di quell’ignobile di Rua.
«Tom…»
«Uhm?»
«Tra te e lei
c’è stato qualcosa, non è
così?»
«Non era così
difficile intuirlo.»
«E… con
Kay?»
«Che cosa intendi
dire?»
«Sei davvero sicuro di
volerti prendere la responsabilità di quella bambina? Se non
sei convinto… non illuderla.»
«Perché tutti
mi dicono che illudo le persone? Io le promesse che faccio le mantengo.
Sempre.»
«Su questo non ne dubito,
però tu… padre?», sorrise.
«Sì, non ci
avevo mai pensato. E nemmeno di diventarlo in questo modo e durante
questa stupida guerra. Fino a poco tempo fa vivevo principalmente per
salvarmi la pelle, ora vivo per adempire a delle promesse che ho fatto:
vivo per delle persone.»
Bill mi sorrise e dietro di lui
comparve Kay, ma non sapevo se lui se ne fosse accorto.
«Kay…»,
mormorai.
«Dov’è
la mia mamma?», chiese dura, arrabbiata.
Come se la colpa fosse mia, in
fondo. E un po’ lo era, perché invece di tentare
di salvarla stavo lì con le mani in mano.
«Io… io non lo
so, Kay…»
«Voglio la mia
mamma», la sua voce iniziava a tremare, ma di piangere non ne
aveva nessuna intenzione. Non era più una bambina, lei.
«Anche io la voglio, Kay.
Tutti la vogliamo.»
«La salveremo,
vero?»
Era sicura che fosse ancora viva,
perlomeno. E nei suoi occhi brillava lo stesso suo ardore, la stessa
voglia di combattere per le persone che amava.
«Sì,
ma… come?»
In quel momento il mio sguardo
cadde di nuovo sul ciondolo che aveva legato al collo. Una chiave. E
non sembrava una chiave giocattolo, sembrava una chiave vera ed era
anche abbastanza vecchia.
Che fosse quella la chiave per
salvare Elisabeth?
#
# #
Non
aveva dormito molto quella notte, come avrebbe potuto? Aveva continuato
a pensare a sua figlia, a Tom, ai suoi amici, guardando il soffitto
buio su cui si creavano delle ombre grazie alla luce tremolante di una
lampada ad olio delle guardie appostate non molto lontano da lei.
Le
sentiva ridere, bere, giocare a carte… e lei era
lì, in silenzio, a pensare a come potessero stare tutte le
persone che stava facendo preoccupare. Avrebbe voluto dirgli che stava
bene, ma non avrebbe promesso di tornare, non nella situazione in cui
si trovava.
Alle
prime luci dell’alba sentì un brivido.
Tom…
Che
la stesse pensando? Possibile che riuscisse a percepire quando
accadeva, come se fossero legati da un filo invisibile e profondo, lo
stesso che l’aveva legata a Charles molti anni prima?
Trovò
assurda quella possibilità, perciò si disse che
era solo il freddo di quella notte scura che le si era insidiato nelle
ossa.
Sentì
dei rumori, dei tacchi sul pavimento di pietra e le guardie si alzarono
in piedi e fecero un inchino. Sospettava già chi fosse
venuto a farle visita, ma sperò proprio di no fino
all’ultimo; piuttosto che vederlo si sarebbe lasciata marcire
in quella cella per il resto dei suoi giorni.
Lo
vide, ancora nella sua vestaglia rossa, il suo sguardo accattivante e
il suo sorriso maligno così diverso da quello dolce di
Charles. Ancora non riusciva a capacitarsi di come loro due un tempo
potessero essere stati cugini.
«Elisabeth,
passata una bella nottata?»
«Molto
meglio qui dentro che con te sicuramente.»
«Mi
fa piacere. Senti, ho pensato molto a come punirti, ma… come
potrei punire la moglie del mio caro cugino defunto?»
«Mi
fai schifo», ruggì alzandosi e avvicinandosi alle
sbarre.
«Dai,
non dire così che non lo pensi. Comunque pensavo che tu
potresti diventare mia moglie.»
«Te
lo puoi anche scordare!»
«Preferisci
davvero morire e lasciare la tua carinissima Kay piuttosto che
sposarmi?», chiese offeso, ma divertito.
«Certo!»
«Beh,
sta di fatto che la mia non era una richiesta, ma un ordine. Tu
diventerai mia moglie, come avrebbe dovuto essere da sempre.»
«E
con questo cosa vorresti dire?»
«Che
ero geloso marcio di Charles anche perché aveva te, la donna
di cui mi sono innamorato.»
Si
girò di spalle a lei, stordita, e ordinò alle
guardie di liberarla e di portarla nella stanza più lussuosa
fra quelle degli ospiti della sua villa, e sorvegliarla fino al suo
ritorno: doveva organizzare il matrimonio che si sarebbe svolto la
mattina seguente.
#
# #
«Kay, Kay dimmi a cosa
serve quella chiave», la scossi per le braccia ansioso, la
bambina mi guardò senza sapere che fare o che dire.
«Io non lo so, non me lo
ricordo.»
«Sì che lo
sai, invece. Kay, dimmelo, è per il bene di tua
mamma!»
La bambina sobbalzò, si
liberò dalla mia stretta e si rannicchiò sul
divano, la testa fra le ginocchia.
«Kay…
probabilmente ti avranno detto di non dirlo a nessuno, ma…
la tua mamma è in pericolo, e noi dobbiamo salvarla, ti
ricordi?»
Kay annuì, strinse la
chiave nella mano e poi si levò la collana dal collo, la
fece penzolare di fronte al mio viso e intanto la guardava, parlando.
«Me l’ha data
papà prima di non tornare, anche se mamma non era
d’accordo, diceva che correvo troppi pericoli se ce
l’avevo addosso, ma papà ha voluto
così… Io non so a cosa serve, ma mi hanno sempre
detto di non dirlo a nessuno e di non togliermela mai, di
proteggerla.»
«Ti puoi fidare di noi,
Kay», le sorrisi. Kay ricambiò e la
lasciò cadere nella mia mano, per poi mettermi le braccia al
collo in un abbraccio.
«Ti voglio tanto bene,
signor Tom.»
Sorrisi e le massaggiai la schiena,
stringendola al mio petto.
«Anch’io
piccola, tanto. Ma ora dobbiamo cercare ciò che si apre con
questa chiave.»
Kay mi seguì a svegliare
gli altri, ma non fecimo in tempo a vederli giù dal letto
che qualcuno bussò furiosamente alla porta di sopra.
Il cuore mi accelerò,
sentivo il pericolo nell’aria, ma costrinsi i ragazzi a stare
nel bunker mentre io andavo a vedere.
Salii le scale lentamente, il
battito del mio cuore che mi rimbombava nella testa, il sangue
congelato nelle vene, la mente piena di mille pensieri sconnessi
e… il corpo attraversato da brividi di paura. Mai come ora
avevo paura di morire, avevo fatto troppe promesse e dovevo mantenerle.
Sbirciai dalla tenda e vidi
Dimitri, il bambino che ci portava i viveri ogni tanto, rubandoli dalla
bancarella al mercato di suo padre.
Aprii la porta con cautela e
lasciai che fu lui da solo ad entrare, per non farmi vedere
all’esterno.
Quando mi vide appiattito alla
parete, il sudore sulle tempie, mi salutò con un gesto della
mano nervoso e chiuse la porta. Sembrava triste, ma allo stesso tempo
arrabbiato e desideroso di vendetta.
«Cos’è
successo?», gli chiesi.
«Mia madre è
morta.»
«Mi… mi
dispiace… come’è successo?»
«L’hanno
uccisa, ha fatto la spia con voi e…»
«Mi dispiace davvero
tanto, Dimitri… io…»
«Non importa. Sono venuto
qui per dirvi di Elisabeth.»
Il mio cuore rimbalzò
nel petto e iniziai di nuovo a sentirmi nervoso ed agitato, desideroso
di sapere ma anche impaurito per quello che avrebbe potuto dirmi.
«Dimmi…»
«C’è
una notizia buona e una cattiva.»
«Qual è quella
buona?»
«Elisabeth è
viva e sta bene.»
«Oh, menomale»,
sospirai sollevato, sentendomi poi in colpa per quel povero bambino che
aveva appena perso la madre, ma come potevo aiutarlo io? Certi dolori
erano impossibili da guarire, soprattutto in un cuore così
piccolo. «E quella cattiva qual è?»
«Quella cattiva
è che è stata arrestata e ora Rua vuole sposarla,
domani mattina.»
«No! Se lo può
anche scordare!»
«Cosa avrebbe potuto
fare? Ha dovuto accettare per forza, sa di voi per colpa di mia madre e
l’ha minacciata di uccidervi tutti se non l’avesse
sposato.»
«Merda! No, no,
no!», gridai prendendomi la testa fra le mani.
«Che
cos’è successo?», chiese Bill, apparso
in cucina dopo essersi accertato che fosse tutto tranquillo. Con lui
c’erano Kay, fra le sue braccia, Gustav e Georg.
«Un’enorme,
maledettissimo, casino.»
***
Ringrazio subito, visto che non
sono di molte parole perchè ho un mal di testa che mi uccide
XD
_samy:
Sì, davvero davvero male. Riusciranno a salvarla? Mah, chi
può dirlo XD Ciao bacio.
layla the punkprincess:
Maledetto davvero, tutto sta venendo a galla. Vedremo cosa
succederà alla povera Elisabeth, chissà se
riusciranno a salvarla. Ciao, alla prossima!
Utopy:
Io sono crudele?! E' Rua, non io!! La mamma di Dimitri l'ha fatto solo
per disperazione, poverina... Boh, vedremo che succederà
ora!! ^___^
Alla prossima, vostra
_Pulse_
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Capitolo 11 *** Speranza ***
«Che tipo di casino,
scusa?», chiese Bill preoccupato, lasciando a terra Kay.
«Elisabeth sta bene, ma
Rua l’ha costretta a sposarlo.»
«Quando?»,
strabuzzò gli occhi Georg.
«Domani
mattina», ripeté Dimitri.
«Dobbiamo fare
qualcosa!», esclamò Gustav, il pungo nella mano.
«Sì, mamma
deve sposare il signor Tom!», si aggiunse Kay, facendomi
boccheggiare come un pesce fuor d’acqua.
Sposare?!
«Tom?
Ehi, ci sei?»
«Sì, ci
sono… più o meno. Beh comunque dobbiamo
assolutamente fare qualcosa, perché Elisabeth non
può sposare nessuno…»
«Oltre il signor
Tom», ribadì ancora Kay, un sorrisetto divertito
sulle labbra.
«La vuoi
finire?!», le gridai ridendo. «Non possiamo stare
qui a ridere mentre lei si sta per sposare contro la sua
volontà! Dobbiamo trovare qualcosa che si può
aprire con questa chiave! Sono sicuro che è
importante.»
«Da dove partiamo a
cercare?», chiese Bill.
«Dappertutto! Dimitri ci
serve anche il tuo aiuto.»
«Certo, contate pure su
di me!»
E così si diede inizio
ad una caccia al tesoro davvero difficile: era come cercare un ago in
un pagliaio. Non conoscevamo bene quella casa e Kay non sapeva nulla,
probabilmente Charles ed Elisabeth erano stati attenti a non dirle una
parola di più perché avrebbe potuto confessare a
qualcuno il suo segreto, anche se non l’avrebbe mai fatto,
come maggiore precauzione diciamo.
Dimitri non piangeva, cercava
assieme a noi comportandosi proprio come un uomo maturo e responsabile,
anche se era ancora troppo piccolo.
L’ingiustizie di quel
mondo erano infinite: quel bambino aveva perso la madre a causa della
povertà e dell’avidità e della
crudeltà di Rua e lui non poteva nemmeno piangere
perché era diventato grande troppo in fretta.
«Ehi ragazzi, forse ho
trovato qualcosa!», esclamò Georg chino a terra,
sotto al lavandino del bagno, che frugava fra le cianfrusaglie
dell’armadietto sotto di esso.
Tirò fuori una specie di
valigetta impolverata e Kay ebbe un sussulto quando la vide, si
allontanò precipitosamente e si mise rannicchiata
nell’angolino del bagno.
«Kay, che
succede?», le chiesimo preoccupati.
«Quella è di
papà.»
«Ne sei sicura?»
Annuì con la testa, gli
occhi colmi di lacrime. «Ci metteva i suoi disegni.»
A quell’affermazione
rimasimo tutti un po’ delusi: come potevano dei disegni
aiutarci a salvare Elisabeth?
«Tom, la
chiave.»
«Sì, facciamo
un tentativo comunque», sorrise Bill stendendo la mano verso
di me.
Guardai la chiave nella mia mano e
gliela diedi, lui la passò a Gustav e quest’ultimo
la infilò nella serratura della valigetta.
C’eravamo, era
l’ora della verità.
Si sentì uno scatto e la
valigetta si aprì, lasciandoci tutti con il fiato sospeso.
Anche Kay si era alzata e si era unita a noi per sbirciare.
Georg tirò fuori con
delicatezza i cosiddetti disegni che aveva fatto Charles quando ancora
era in vita e ce li mostrò. Kay non sapeva che in
realtà quelli erano molto più di disegni, erano
la salvezza di Elisabeth.
Bill, in piedi al mio fianco, prese
un foglio e lo guardammo con attenzione, cercando di memorizzare il
più possibile delle mappe dell’enorme villa di
Rua, compresi i passaggi segreti e le prigioni sotterranee.
Mi girai verso la piccola Kay che
mi guardava piena di speranza e le sorrisi: «Il tuo
papà era davvero bravo.»
Le si illuminarono gli occhi e
quelle lacrime trattenute a lungo le tracciarono silenziosamente le
guance e stese le braccia verso di me. Io la presi in braccio e la
cullai, mentre gli altri già si davano da fare per
escogitare un piano per la liberazione di Elisabeth.
Già quei disegni mi
avevano fatto tornare la speranza, mi avevano fatto sentire un uomo
ancora libero di credere nei miei sogni, nella vita. E Kay era del mio
stesso parere.
#
# #
Era
ormai il tramonto, Elisabeth era nella stanza che non riusciva a vedere
come propria, non riusciva a vedere niente di quel posto, non voleva
vedere. L’unica cosa che voleva era tornare a casa dalla sua
famiglia allargata, nulla di più.
Invece
era fra i mobili di lusso e i tappeti raffinati, con due sarte intorno
mentre le sistemavano l’abito da sposa bianco, con lo sguardo
perso fuori dalla finestra, sul sole infuocato d’arancio.
Aveva
dovuto accettare per forza, o Rua avrebbe mandato ad uccidere tutti
quanti, persino Kay.
Strinse
i denti e trattenne le lacrime, perché sapeva di non star
facendo un torto a Tom, non stava infrangendo la promessa che aveva
fatto, stava solo tentando di salvargli la vita assieme a quella di
Kay, di Bill, Gustav e Georg.
Quando
si sarebbe sposata con Rua tutto sarebbe andato meglio,
perché lei avrebbe avuto parte del potere e forse avrebbe
potuto buttarlo giù dal trono e mettere la parola fine a
quella tremenda agonia che imprigionava tutti i paesi da lui
schiavizzati.
Le
sarte se ne andarono dopo un tempo infinitamente lungo, Elisabeth non
si era nemmeno guardata allo specchio, non voleva vedersi:
l’unica volta che si era guardata con un abito bianco era
stata prima di sposarsi con Charles, e la sua espressione era di gioia
pura, non come in quel momento. Non si sarebbe sopportata vedendosi.
Si
tolse il vestito e si mise i propri, anche se ne aveva quintali nel
grande armadio bianco con le incisioni dorate, e si mise fra le coperte
di seta del suo letto a baldacchino.
Quando
la chiamarono per la cena disse che non aveva appetito e Rua non
andò a disturbarla pensando che fosse nervosa per il giorno
seguente.
Fra
quelle lenzuola non si sentiva a casa, il suo cuore era come perso e
chissà dove, probabilmente accanto a quello della sua
famiglia e dei suoi amici.
Continuava
a pensare a loro, al povero Dimitri che per colpa sua era orfano di
madre e a tutte le persone che a causa di Rua soffrivano.
Si
sentì completamente inutile, incapace di fare qualcosa di
concreto per salvare almeno le persone a cui voleva bene, pensando
egoisticamente. Ma se non riusciva a proteggere loro, come poteva
proteggere interi stati?
Con
le lacrime sul viso pensando alla sua piccola Kay, guardò il
sole calare dietro gli alberi del maestoso giardino della villa, per
dare spazio alla luna calante.
***
Passo subito con i ringraziamenti
^^ :
_samy:
Nei pasticci? E' proprio nella cacca u.u Finalmente però
sembra esserci la tanto agognata soluzione, speriamo in bene
ottimista!! :-) Grazie mille.
M_Lucry_J:
Grazie mille *____* Sì, povero Dimitri... :° Bacio
alla prossima, spero che anche questo ti sia piaciuto.
xClaRyx:
Il signor Tom! Credo che lo chiamerò così d'ora
in poi, è un tormentone XD Beh sì dai, speriamo
che ora finalmente troveranno la soluzione ad ogni problema. Grazie per
il buon rientro a scuola, anche tu ^^ Grazie mille *__*
Utopy:
Eccola qui, la mia fedele ispiratrice saggia e magica, diciamolo u.u XD
Hai visto, Rua è il rivale del signor Tom, e la sua storia
non è ancora finita qui, vedremo cosa succederà
^^ Deve morire? O_O Bah, vedremo XD Dimitri è davvero una
stellina, ma ho riservato un bel futuro per lui dopotutto ^____^ Ed
è forte, ce la farà. Bacio, dalla scrittrice
(Ahahahah)
Alla prossima, vostra
_Pulse_
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Capitolo 12 *** Liberazione ***
Era ora.
Nel buio della notte sgattaiolammo
fuori dalla casa in cui eravamo stati ospiti per quasi due settimane e
raggiunsimo la via principale della città.
Trovammo con facilità il
tombino indicato da Charles sulle sue mappe ed entrammo nelle fogne
senza dare nell’occhio, anche perché di guardie
non se ne vedevano in giro.
«Sono un po’
preoccupato per Kay», disse Bill mentre Georg accendeva la
lampada ad olio e attraversavamo i cunicoli gocciolanti e pieni di
ratti che si nascondevano nell’ombra.
«Con Dimitri è
al sicuro.»
«Ma se quel bambino ha
sì e no otto anni!»
«Sono nascosti nel
bunker, non hai di che aver paura. Se andrà tutto per il
meglio torneremo domani mattina all’alba»,
spiegò Gustav.
«Tom, sei troppo
silenzioso per i miei gusti, a cosa stai pensando?», mi
chiese Bill.
Poco dopo avermi fatto quella
domanda si mise a gridare a causa di ratto che gli era passato fra i
piedi e cadde nell’acqua verdastra delle fogne.
«Che schifo!»,
gridò, e la sua espressione di disgusto diceva tutto.
«Bill, vedi di non
gridare troppo, ok?», gli dissi, dandogli una mano a tirarsi
su.
Si scrollò come un cane,
schizzando tutti quanti, che infastiditi lo lasciammo indietro e lui
dovette rincorrerci gridando sottovoce.
«Tom, dove siamo
ora?», chiese Georg illuminando la mappa che tenevo fra le
mani con la lampada, Gustav e Bill dietro di noi.
«Dovremmo essere arrivati
sotto le segrete della villa.»
Mi fermai e mi guardai intorno, e
trovai subito l’uscita che aveva indicato Charles. Era stato
proprio eccezionale, il suo lavoro si stava rendendo davvero utile,
proprio per salvare la donna che amava.
«Vado a vedere se la via
è libera», sussurrai arrampicandomi sulla
scaletta. «Aspettate il mio segnale prima di
salire.»
«Ok.»
«Tomi… stai
attento», mi disse Bill, io gli sorrisi.
Salii le scalette e feci scorrere
piano il tombino sopra la mia testa. Sbirciai se c’era
qualche guardia nei paraggi e quando fui sicuro che la via fosse libera
chiamai gli altri.
Uscimmo dalle fogne, con molto
sollievo da parte di Bill, ma quando sentimmo delle voci, in silenzio
ci nascondemmo dietro la parete.
Vidimo due guardie che giocavano a
carte su un tavolino in fondo al corridoio, uno dei due aveva appese
alla cinta le chiavi di tutte le celle, e non sembravano nemmeno tanto
lucidi da come sghignazzavano e dalle bottiglie di birra che avevano
sparse sul tavolo.
«E ora come
facciamo?», chiese Gustav.
«Beh, potremmo fare come
nei film: li stordiamo, li leghiamo, li nascondiamo da qualche parte,
gli rubiamo i vestiti e fingiamo di essere delle guardie per girare
indisturbati», disse Bill alzando gli occhi al soffitto.
Tutti lo guardammo e quando se ne
accorse il suo sorrisetto scomparve: «Che
c’è?»
«Sei un genio,
Bill», gli dissi sorridendogli.
«Grazie, lo so.»
Ci avvicinammo furtivamente alle
due guardie che non si erano minimamente accorte della nostra presenza
e con due colpi ben piazzati in testa con due bottiglie di birra li
misimo K.O.
«Bene»,
commentò Georg guardando i due uomini a terra.
«Dovrebbero dormire per un paio d’ore, quindi
dobbiamo sbrigarci.»
«Sì, ma il
problema è… chi si veste da guardia di
Rua?»
Nessuno di noi era molto felice
all’idea anche solo di fingere di essere dalla parte di Rua,
ma toccò a me e a Bill perché ci andavano giusto
a pennello.
Certo, io mi ero offerto subito
perché volevo liberare Elisabeth con le mie stesse mani, ma
Bill era stato un po’ più difficile da convincere,
solo con l’evidenza si era arreso. Si era anche inventato che
erano fuori moda!
Una volta vestiti, Gustav e Georg
ci guardarono facendo una smorfia di disapprovazione, ma fecero finta
di niente e presero le chiavi delle celle.
«Noi liberiamo questa
povera gente innocente, voi andate a liberare Elisabeth.
Muovetevi!»
Io e Bill annuimmo e iniziammo a
correre, ma facendo così avremmo solo dato
nell’occhio visto che non avevamo nessun motivo per correre,
eravamo le guardie di Rua! Quindi ci fermammo e cercammo di fare i
più naturali possibili, anche se ci prudeva la pelle stando
dentro a quelle divise che avevamo per primi disprezzato con tutti noi
stessi.
Tutto sembrava filare liscio come
l’olio, ma ad un certo punto incontrammo altre guardie mentre
attraversavamo un corridoio e ci venne la pelle d’oca, il
cuore che scoppiava per il timore di essere scoperti.
Ma quelle due guardie non fecero
una piega, ci salutarono solo con un gesto del capo e noi ricambiammo
meno convinti, il viso rivolto verso terra, ma quando girarono
l’angolo emisimo entrambi un sospiro di sollievo.
«L’abbiamo
scampata per un soffio», disse Bill.
«Già.»
Ma i pericoli non sembravano essere
finiti, infatti di fronte a quella che riconoscemmo come camera di
Elisabeth, con una grande porta di legno massello e le raffinate greche
dorate, dovettimo affrontare le due guardie immobili che la curavano.
Ci fermammo di fronte a loro,
cercando di nascondere la paura, e fecimo lo stesso gesto di prima,
quello che ci avevano fatto le altre guardie incrociate.
«Già finito il
giro di ricognizione?», chiese una guardia.
Per fortuna che Elisabeth ci aveva
fatti fare la barba e ci aveva sistemato i capelli troppo lunghi, se no
ci avrebbero riconosciuti subito!
«Sì. Rua ci
manda per prendere il vostro posto. Il vostro turno è
finito», dissi fermo.
Per fortuna anche che Charles aveva
scritto perfettamente tutto quello che accadeva e com’era il
sistema delle guardie, con i diversi turni e i giri di ricognizione. Se
non avessimo trovato i suoi archivi non sapevo proprio come avremmo
fatto.
«Menomale, iniziavo ad
annoiarmi!», esordì l’altra guardia,
sbadigliando.
Le due guardie si avviarono e
girato l’angolo Bill mi diede una pacca sulla spalla,
sorridendomi, mentre io riprendevo fiato.
«Sei grande,
fratello.»
Dopodiché Bill
restò fuori a fare da palo e io entrai in camera di
Elisabeth. La vidi seduta di fronte alla finestra, gli occhi tristi che
guardavano la luna e le stelle nel cielo di quella notte scura.
Quando si girò, mi
guardò piena di odio non riconoscendomi e mi sentii male per
quello sguardo, ma quando mi tolsi il cappello e le mostrai il viso la
sua espressione cambiò, quasi non si mise a piangere.
Mi corse incontro e mi
saltò in braccio cingendomi il collo con le braccia, il viso
nascosto nell’incavo della mia spalla.
«Tom, sei
venuto…», singhiozzò.
«Non potevo lasciarti
qui, Elisabeth.»
La porta si aprì e
mostrò un Bill in controluce, la sua ombra scura e poi il
suo sorriso fra le rughe quasi invisibili sul suo viso ancora giovane.
«Guarda come ci siamo
conciati per te», le sussurrò sorridendo.
«Oddio Bill, ci sei anche
tu!»
«E anche Gustav e Georg.
Sono di sotto che liberano i carcerati», le spiegai. Nei suoi
occhi brillò della preoccupazione guardandomi, pensando a
Kay. «Non ti preoccupare, lei è al sicuro nel
bunker con Dimitri.»
Le sorrisi, lei mi
accarezzò il viso e mi baciò le labbra, come se
quella fosse l’ultima volta che ci vedessimo.
«Piccioncini, forse
è meglio se ci sbrighiamo, sento puzza di guai»,
disse Bill guardandosi indietro.
«Giusto, andiamo
Elisabeth», la presi per mano e la condussi con me, ma lei ad
un tratto si fermò e tornò in stanza. Prese
qualcosa da sotto il letto, un mantello nero con tanto di cappuccio, e
se lo infilò, per non essere riconosciuta.
Mi sorrise tornando da me e mi
baciò sulle labbra prima di riprendermi la mano e di correre
via, quando sentimmo le guardie che ci avevano scoperti.
«Da che parte si va,
Tom?», mi chiese Bill correndo al mio fianco, fra i corridoi
lussuosi della villa.
Io non avevo il tempo per guardare
la mappa, ma più o meno me la ricordavo, e se non era
così sarei andato ad istinto, comunque riuscimmo a
raggiungere il giardino.
«Non possiamo scappare
così, Tom! Ci sono Georg e Gustav dentro!»,
gridò Bill.
La nostra vita era appesa ad un
filo, e io avevo il coltello, senza sapere in che modo. Eravamo
completamente in un vicolo cieco: se scappavamo lasciavamo Gustav e
Georg, se restavamo avevamo i minuti contati. Non avevo la
più pallida idea di che cosa fare.
«Allora?! Prendi una
decisione, Tom!»
Incontrai lo sguardo preoccupato di
Bill, molto più maturo di me in quel momento, e poi quello
di Elisabeth, ansioso.
Perché a me quella
decisione?
***
Beh, almeno l'hanno salvata, no? XD
Ringrazio:
layla the punkprincess:
Nessuno vuole che Elisabeth sposi Rua, fidati! E il signor Tom l'ha
salvata? Mah, non è detta l'ultima parola. Vi lascio sempre
nel dubbio, sono perfida XD Ciao, alla prossima e Grazie!! ^^
_samy:
Il signor Tom versione 007? Potremmo farci su una collezione di bambole
XD signor Tom con la barba, signor Tom con la spalla fasciata...
ahahah. Sei sicura che l'abbiano liberata del tutto? Mah, vedremo!!
Grazie, kuss *_____*
Utopy:
L'hanno già salvata? Mah... dubitiamo ancora un
pò, dai XD Sono veramente perfida! Muahmuahmuah! La piccola
Kay è sempre stata la chiave di tutto... ("Kay", "Key" -chiave
in inglese- XD) Dimitri ormai mi sa che lo adotti tu XD Grazie Frenzy
bla bla bla XD Bacio <3
Vostra,
_Pulse_
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Capitolo 13 *** La fine della guerra ***
«Tom,
sbrigati!», mi gridò ancora Bill, io ero come se
mi sentissi senza ossigeno, immerso nell’oceano
più blu.
Le guardie stavano arrivando,
stavamo rischiando tutti per colpa della mia indecisione. Forse non ero
in grado di fare la parte dell’eroe, forse non ero
all’altezza della situazione.
Sentii la stretta di Elisabeth
farsi più forte intorno alla mia mano, abbassai lo sguardo e
incontrai il suo.
«Fai quello che senti,
Tom. Io credo in te.»
Quelle parole mi aprirono gli
occhi, una nuova ondata di speranza mi restituì abbastanza
ossigeno da prendere quell’agognata decisione.
«Tieni, Bill!»,
gli lanciai i rotoli delle mappe, lui li prese al volo e mi
guardò interrogativo. «Tu vai ad aiutare Gustav e
Georg, io vado a mettere Elisabeth al sicuro, poi vi
raggiungo!»
«Ok, così ti
voglio Tom!», mi gridò sorridendomi.
Ci dividemmo forse per la prima
volta in tanti anni e io presi Elisabeth per mano, iniziammo a correre
verso le stalle.
Sentimmo Bill in lontananza che
gridava qualcosa alle guardie per attirare la loro attenzione e
lasciarci andare indisturbati, io mi sentii in lui, parte della mia
forza dentro di lui, come sentivo parte della sua in me. Indivisibili
come sempre.
Feci salire Elisabeth su un cavallo
bianco e io mi misi davanti a lei, lo slegai e con un calcio sul ventre
il cavallo si rizzò in piedi nitrendo e corse nella notte,
diretto verso il bosco in mezzo a quel giardino sconfinato.
«Da piccola desideravo il
mio principe azzurro sul cavallo bianco, ma non intendevo
questo!», disse Elisabeth stringendo forte le braccia intorno
al mio petto mentre sfrecciavamo fra gli alberi.
«E io non immaginavo
nemmeno di diventare il principe azzurro! Non ho nemmeno mai cavalcato
un cavallo in vita mia!»
«Però, hai del
talento allora!»
Riuscimmo a ridere, anche in quella
circostanza. Il vento mi scompigliava i capelli e il veloce cavalcare
del cavallo mi metteva l’adrenalina addosso, che
spazzò via in un attimo la paura, e le braccia di Elisabeth
intorno al mio corpo mi donarono sicurezza.
In mezzo al bosco si scorse la
radura che avevo pregato di vedere, e al centro di essa si ergeva una
piccola chiesa. Speravo che almeno lì Elisabeth sarebbe
stata al sicuro per un po’, fin quando non sarei tornata a
prenderla.
Scesimo da cavallo e la condussi
all’interno per assicurarmi che fosse tutto tranquillo.
C’era silenzio, alcune candele erano accese nei ceri e i
vetri colorati si riflettevano sul pavimento della navata centrale
grazie alla luce della luna.
Guardai Elisabeth e lei mi
abbracciò con impeto, baciandomi le labbra.
«Non ho mai tradito la
promessa che ti ho fatto, Tom», mi sussurrò col
viso ad un palmo dal mio. «Non l’avrei mai
fatto.»
«Lo so, Elisabeth, lo
so», le sorrisi dolce passandogli le dita sulle guance.
«Stai attento, mi
raccomando. Promettimi che tornerai da me.»
«Te lo prometto. Fosse
l’ultima cosa che faccia», le cinsi la vita con le
braccia e la strinsi a me, baciandola sulle labbra per
un’ultima volta.
«Che scenetta commovente,
davvero.»
Ci girammo contemporaneamente e
vidimo Rua con un mantello blu sulle spalle, fermo davanti
all’altare, rivolto verso di noi.
«Tu…
qui?», berciai pieno d’odio.
«Perché ti
sorprendi tanto, fuggiasco? E tu, Elisabeth… ah, mi deludi.
Mi chiedo per quale motivo tu sia così irresistibilmente
attratta dai sovversivi.»
«Sicuramente
perché sono meglio di te.»
Rua scoppiò a ridere
tirando fuori una pistola e puntandola verso di noi.
«Tutti i nodi vengono al
pettine, prima o poi, sapete?»
«E con questo cosa vuoi
dire?», chiesi nascondendo dietro di me Elisabeth, anche se
si dimenava. Era troppo importante per me per lasciarla così
esposta.
«Voi due siete due dei
nodi più fastidiosi che mi siano mai capitati, e ora siete
giunti alla fine.»
«Sei sempre stato
così crudele anche da bambino? Eh? No, perché
vorrei proprio capire che cosa ti ha reso così o se ce
l’hai proprio nei geni!», gridò
Elisabeth, spiazzando Rua che la guardò perduto.
«Toccato un tasto
dolente?», chiesi sorridendo.
«State zitti, state
zitti!», gridò prendendosi la testa con una mano e
infilando il dito nel grilletto della pistola nell’altra
mano.
«Se solo ci facessi
capire… Perché ti comporti così,
Rua?», continuò Elisabeth, dolce come se stesse
parlando con la sua Kay.
«Elisabeth, non ti
immischiare!»
Partì un colpo dalla
pistola, che fece cadere il candelabro con i ceri accesi. In poco tempo
una tenda prese fuoco.
«Non puoi nemmeno
immaginare quello che ho passato prima di arrivare a questo
punto!»
«Potresti almeno provare
a spiegarmelo! Possiamo aiutarti, puoi ancora cambiare!»
«È troppo
tardi ormai», disse sconsolato.
Il fuoco iniziava ad espandersi
nella chiesa, rompendo i vetri di cristallo e accaldando
l’atmosfera, mentre il fumo iniziava ad intossicarci.
«Non è mai
troppo tardi, Rua!»
«Eravamo una famiglia
povera, vivevamo nella miseria, eravamo stati sfrattati e poco tempo
dopo vennimo ospitati dalla famiglia di Charles, benestante. A lui non
mancava mai niente, lo invidiavo da morire. Poi quel giorno
d’estate sei arrivata tu, lui era innamorato perso e tu
ancora di più. Non ti sei nemmeno accorta di me, del mio
sguardo. Sono sempre stato nell’ombra io, ero
l’asociale del gruppo. E il potere, il controllo assoluto, mi
ha fatto sentire importante!»
Cadde un trave dal soffitto, la
triste vita di Rua ci aveva quasi fatti dimenticare
dell’incendio che si stava verificando intorno a noi.
«Elisabeth, dobbiamo
andarcene da qui», tossii stringendola a me.
«Questa è la
mia vita, e non vedo via d’uscita», disse Rua
proprio prima che gli cadesse una trave infuocata addosso, finendo la
sua vita tormentata.
Portai fuori Elisabeth e la feci
salire di nuovo sul cavallo imbizzarrito dal pericolo del fuoco.
Fuggimmo via da lì e Elisabeth si strinse forte a me,
appoggiando il viso alla mia schiena, in quella notte illuminata anche
dal fuoco oltre che dalla luna, mentre lacrime silenziose le
tracciavano le guance per quella vita sbiadita e ridotta in cenere.
«Avremmo potuto
salvarlo», disse mentre cavalcavamo verso la villa ad aiutare
Georg e Gustav.
«Se lo meritava,
Elisabeth?»
«Tutti devono avere il
diritto di una seconda possibilità, non credi?»
«Sinceramente…
ha ucciso troppe persone per dargli un’altra
possibilità. Ha ucciso pure Charles, te lo
ricordo.»
«Lo so», mi
strinse più forte, io mi rattristai per le mie stesse parole.
«Scusami, Elisabeth. Non
volevo. È
che tu sei troppo buona.»
«Lo so, Tom. Voglio
andare a casa.»
Raggiunsimo Gustav, Georg e Bill e
lo spettacolo che vedemmo ci sorprese non poco: guardie di Rua e
popolazione civile erano uniti, i feriti venivano curati
indistintamente, anche lo stesso Bill aveva una pezza insanguinata
sull’avambraccio e una guardia vestita di nero lo stava
medicando. Altri del corpo dell’esercito stavano accanto alle
loro famiglie, stavano abbracciando e baciando i loro figli, le loro
mogli, i loro parenti.
«Questa cosa
è… assurdamente magnifica», dissi senza
fiato, scendendo da cavallo.
Diedi una mano ad Elisabeth a
scendere, che si tolse il cappuccio dalla testa e sorrise ai ragazzi
asciugandosi alle lacrime.
«Oh,
Elisabeth…», disse Gustav aprendo le braccia, dove
lei si rifugiò per un po’, per poi fare lo stesso
con Bill e Georg.
«Grazie. Grazie di
tutto», sussurrò di nuovo fra le mie braccia.
«Grazie a te»,
le sorrisi prima di baciarle la fronte.
«E Rua?
Dov’è finito?», chiese Georg.
A quella domanda tutti si girarono
verso di noi e io guardai Elisabeth stringendole la mano.
«È morto
nell’incendio che c’è stato nella chiesa
in mezzo al bosco del giardino.»
Sentimmo un elicottero volare sopra
le nostre teste e dirigersi verso le fiamme alte che si stavano sempre
di più espandendo nel bosco, per spegnere
l’incendio.
«Rua è
morto… non ci posso credere.»
«È
finita… la guerra è finita… Questo
è incredibile!»
«Ah, non vi preoccupate,
è normale! Io non riesco ancora a credere che saremo sui
libri di storia!», disse Bill facendoci ridere.
Elisabeth si girò verso
di me e mi mise le braccia intorno al collo, sfiorandomi la punta del
naso con il suo, sorridente, occhi negli occhi.
«E ora andiamo da Kay e
Dimitri.»
***
Ecco a voi
il penultimo capitolo!! Siamo agli scoccioli, eh sì ^__^
Ringrazio davvero tantissimo Utopy,
la mia fedele *_______* <3 , e _samy
che mi sostiene sempre con tanta pazienza, ti faranno santa XD Un
bacio, alla prossima gente, con l'ultimo capitolo!! _Pulse_
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Capitolo 14 *** Ricominciare ***
Musica.
Finalmente della musica vera,
bella, quella che mi era tanto mancata durante quei duri
vent’anni di guerra.
Ma adesso la stavo rivivendo, stavo
di nuovo facendo ciò per cui avevo lottato sin
dall’inizio. Ed ero felice.
Bill cantava, io suonavo la
chitarra, Georg il basso e Gustav la batteria, come alle origini.
Certo, eravamo un po’
ammaccati e arrugginiti, ma eravamo sempre in pista, e ciò
era quello che contava.
Davanti a noi un piccolo pubblico:
Elisabeth, Kay, Dimitri e il nuovo arrivato fra noi, il piccolo
Charles.
Elisabeth lo teneva in braccio,
sorridendoci ogni tanto, Kay saltellava di qua e di là per
il bar che Elisabeth aveva riaperto dopo vent’anni di cessata
attività, Dimitri accompagnava Kay ridendo felice. Dopo la
morte della sua mamma suo padre era stato assalito dal dolore ed era
morto anche lui, così si era unito alla nostra famiglia
molto volentieri.
Il nuovo arrivato, invece, il
piccolo Charles, era stato annunciato qualche settimana dopo la famosa
liberazione di Elisabeth e la morte di Rua alla villa. Avevamo deciso
di chiamarlo come il padre di Kay e vecchio marito di Elisabeth in suo
onore e ricordo.
Ora tutto andava alla perfezione, i
vecchi capi di stato avevano riformato gli stati ed era stata riportata
la democrazia come forma di governo.
Certo ci sarebbe voluto un
po’ di tempo prima che tutto si sistemasse e tornasse come
prima, ma ero sicuro che ce l’avremmo fatta.
Ora la nostra bellissima famiglia
allargata viveva in una casetta bianca un po’ più
grande rispetto a quella che aveva prima Elisabeth, con un giardinetto
all’esterno dove i bambini potevano giocare.
Incontrai lo sguardo di Elisabeth e
le sorrisi contento ed orgoglioso della mia nuova famiglia, nata in
mezzo alla guerra e ora vivente solo nella felicità e nella
spensieratezza.
Feci gli ultimi accordi di chitarra
e tutto si spense, ma non la gioia incontenibile che pervadeva il mio
cuore.
«Bravo signor
Tom!», gridò Kay battendo le mani.
«Quando la smetterai di
chiamarmi in quel modo?»
«Probabilmente
mai», rispose Elisabeth al posto suo.
Scesi dal palco e la sollevai sulla
spalla come se fosse un sacco di patate, ridendo insieme a lei.
Raggiunsi la sua bellissima mamma e la baciai accarezzandole i capelli,
poi infilai il dito nella manina del piccolo Charles, gli occhi
brillanti e il sorriso di Elisabeth.
«Beh ma ormai non
c’è bisogno che mi chiami in quel modo,
no?»
Sfiorai la mano sinistra di
Elisabeth, dove c’era la fede che testimoniava il nostro
rapporto ormai definitivo. Sì, ci eravamo sposati. Una cosa
intima.
Ci sorrisimo e Kay si fece di nuovo
viva dimenandosi e Bill la prese fra le sue braccia, coccolandola
proprio come se fosse sua figlia.
Tutti quanti più o meno
ci eravamo interessati di nuovo alle ragazze, ma lui diceva che ne
aveva già due a cui badare e gli andava bene
così, anche se aveva una ragazza sua.
Proprio lei fece la sua comparsa
nel bar con il fiatone e si guardò intorno alla ricerca di
Bill.
«Ehi, sono
qui», disse lui. «Successo qualcosa?»
«Sì, sono
incinta!»
«Mi sa che avrai
un'altra ragazza da curare», dissi sorridendo.
«Eh
già», concordò Gustav dandogli delle
pacche sulle spalle, congratulandosi con un Bill quasi sconvolto, ma
felice.
Guardai le mie ragazze e il mio
bimbo e sorrisi, unendo tutti e tre in un abbraccio collettivo.
Quanto mi sentivo felice. Con loro
ero riuscito di nuovo a credere nel mio cuore, quello che avevo creduto
di aver perso durante quegli anni freddi e senza emozioni. Con loro
avevo ricominciato, e sarebbe andata sempre meglio.
***
Ecco l'ultimo capitolo,
è finalmente arrivato e questa ff è terminata, ma
ritornerò presto non vi preoccupate ^_____^ Ringrazio tutte
le persone che hanno sostenuto e seguito questa ff, davvero tantissime
grazie, anche se questo capitolo non mi piace tanto. Non ci
sarà un seguito.
elekaus483
H u m a n o i d
Kvery12
layla the punkprincess
M_Lucry_J
tokiohotellina95
Utopy
vivifurimmer
xClaRyx
xoxo_valy
xXx__TokioHotel__xXx
Giulia504
Grazie Mille!! Un bacio grande,
_Pulse_
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