More than this

di Airborne
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte 1 ***
Capitolo 2: *** Parte 2 ***
Capitolo 3: *** Parte 3 ***



Capitolo 1
*** Parte 1 ***


Comunicazioni di servizio & avvertenze:
1) Questa fanfiction ha quattro tre capitoli, già finiti e self-betati, che pubblicherò a cadenza settimanale.
2) Cercasi revisore disperatamente. Non avrei voluto postare questa storia senza prima sentire un parere a riguardo, ma non ho trovato nessuno e mi sono stufata di rimandare la pubblicazione. Se c'è qualcuno disposto a betare la fic, mi mandi un messaggio privato. Prometto grandi onori e imperitura gratitudine.
3) Per motivi che non sto a spiegare, io non ho ancora mai visto tutta la serie. So come va a finire la guerra (conosco già più dettagli di quanti vorrei, mannaggia mannaggia), ma molto probabilmente ho scritto cose che stridono con il canon, soprattutto nel primo capitolo. E niente, vi chiedo di perdonare queste sviste-non-sviste e di prendere per buono quello che leggerete. (Avrei voluto chiedere al revisore di segnalarmi eventuali avvenimenti non canon, ma come ho già detto non è stato possibile. Mi riservo il diritto di cambiare qualche dettaglio minore in futuro, nel caso in cui la storia venisse - hopefully - revisionata o io stessa ritenga necessario modificarla quando avrò finito il rewatch di Naruto). E ovviamente no spoiler nelle eventuali recensioni, please! Fate come se tutto quello che so sulla fine della guerra sia scritto nella storia.
4) Non fate troppo caso alle canzoni, non hanno una vera utilità per la trama ma io sono geneticamente programmata per produrre fanfiction solo se ci posso infilare dentro dei brani che mi piacciono. Lo stesso titolo è un po' un ripiego, visto che la mia mente proprio non ha voluto saperne di tirarne fuori uno migliore.
 
Ora basta, ché vi ho tediati anche troppo. Buona lettura, ci si sente sabato prossimo con il secondo capitolo!

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I got a lot to say to you
Yeah, I got a lot to say
I notice your eyes are always glued to me
You're keeping them here and it makes no sense at all
[...]
I guess I'm dreaming again
Let's be more than
This
Paramore - crushcrushcrush
 



 

 
Parte 1: Green Day – Give Me Novacaine

 
Non si era aspettato di sopravvivere alla guerra. In realtà non si era nemmeno aspettato il contrario. Non è tipo da pensare troppo alle cose che non può prevedere in nessun modo e che accadranno comunque. Questo non significa che creda nel destino, perché non ci crede, non dopo che Naruto gli ha ripetutamente sbattuto in faccia che sono tutte cazzate, e comunque non crede di averci mai creduto. Semplicemente, ritiene che darsi pena per qualcosa su cui non si ha potere sia un modo molto stupido di perdere tempo e rovinarsi la sanità mentale. Quindi no, non ha mai veramente pensato a come sarebbe finita la guerra, oltre al fatto che l’Akatsuki, Madara Uchiha e compagnia bella andavano eliminati a ogni costo.

Non aveva nemmeno veramente pensato all’eventualità di uscirne orfano di padre. E quello è tutto un altro paio di maniche.

Accanto a lui, Ino piange ancora, stretta tra le braccia di Choji. Sono vivi, la guerra è finita e l’hanno vinta, ma a lei non importa nulla. Come potrebbe importare qualsiasi cosa quando tuo padre è appena morto?

Shikamaru sta bene, tutto sommato, per quanto bene possa stare un soldato che ha visto la morte in faccia e un ragazzo che si è sentito il padre morire dentro la testa. Ha pianto, e Choji ha abbracciato anche lui. Ha cercato di consolare Ino mentre le lacrime ancora gli rigavano il volto. Ha pensato a sua madre, e ha cercato di non pensare alla voce di suo padre, alla sensazione del suo sguardo addosso, al fatto che non sarà più lì a ridere con lui, a crescerlo, a tirarlo fuori dai guai, a salvarlo, mai più. Ma sta bene. La morte di Asuma e tutto quello che è venuto dopo lo hanno temprato. Per quanto si possa essere temprati di fronte alla morte del proprio padre, e non lo si sarà mai abbastanza.

In realtà, pensa, non me ne sono ancora reso conto del tutto.

E intanto la guerra è finita, e loro l’hanno vinta.

Cosa si fa, mezz’ora dopo aver vinto una guerra?

Intorno a loro non ci sono facce conosciute. Ci sono una massa di soldati con divise di sei colori diversi, la maggior parte delle quali coperte di sangue. Ci sono ossa spezzate, facce stordite, grida disperate e risa sguaiate. Un campo di battaglia subito dopo la fine della guerra è una fiera di tipi umani, ognuno di essi con la stessa domanda dipinta sul volto.

E adesso?

E adesso, pensa, vorrei solo riposarmi. Riprendermi fino a quando sarà tutto passato. Il dolore, i ricordi. Sperando che certe scene e certe parole non vadano a popolare i miei incubi insieme ad Asuma che cade faccia a terra col corpo rosso di ustioni. Ma non ci sarà tempo per riposare, non prima che il mondo sia stato ricostruito, e lui sarà in prima fila con chiodi e martello, perché deve e perché vuole.

Choza spunta dal nulla, stritola Choji fra le braccia, che a sua volta stritola Ino, e acciuffa anche Shikamaru. Non dice niente, Choza. Non ce n’è bisogno. Una vita intera trascorsa insieme a Shikaku e Inoichi e a crescere loro tre come se fossero tutti figli suoi parlano per lui.

«Abbiamo del lavoro da fare» dice poi, quando le sue braccia non li stringono più con così tanta forza e Ino si è calmata. «E con questo intendo che voi avete del lavoro da fare, Shikamaru, Ino. L'Hokage mi ha mandato a prendervi, vi vuole alla riunione con gli altri pezzi grossi».

«Cosa le serve?» domanda Shikamaru.

«Un consigliere», e un'ombra passa sui suoi occhi e non c'è bisogno che loro chiedano il perché, «e qualcuno in grado di metterli in contatto con tutto l'esercito».

Cioè di qualcuno che sostituisca i loro padri.

«Andiamo» dice a Choza, «fai strada».

Vorrebbe chiedergli se ha qualche notizia in più. Vorrebbe chiedergli se sa come stanno i loro compagni. Nient'altro, in realtà. Si guarda intorno a ogni passo e non vede nessuno che conosca. Solo persone che sorridono come se fosse il giorno più bello della loro vita, persone che piangono come se volessero strapparsi il cuore, e persone che fanno entrambe le cose. Ma nessuno che conosca. Vorrebbe chiedere informazioni a Choza, ma ha paura. I loro padri. Neji. Loro sono già abbastanza, molto più che abbastanza. E in quel momento non può sentirsi crollare il mondo addosso un'altra volta. Più tardi. Non adesso.

Choji e Choza non entrano nella tenda di fortuna in cui sono radunati i Kage; promettono di tornare con acqua e cibo. Lui preferirebbe un sonnifero.

I Kage sono seduti in circolo vicino ai rispettivi consiglieri, due per ciascuno tranne che per Tsunade, accanto alla quale c’è solo Ibiki. E anche lui, tra qualche secondo. Se fosse stato nominato consigliere dell'Hokage in circostanze diverse, probabilmente (sicuramente) avrebbe cercato con tutta la sua intelligenza una scusa inoppugnabile per sottrarsi al compito. Ma adesso sente che quello è il suo posto, che lo voglia o no, e che non se ne sottrarrà per nessun motivo al mondo.

Poi incrocia lo sguardo di Temari.

Rimane in piedi davanti ai Kage, dritto, freddo. Sotto i loro sguardi, Ino gli si avvicina d’istinto. Tsunade li fissa con occhi pieni di stanchezza e dolore. Spera che a nessuno venga in mente di fare i nomi dei loro padri.

«Sono dei ragazzini» sputa il Raikage. «Sono stufo di avere a che fare con dei ragazzini».

«Hanno la mia età» puntualizza Gaara lanciandogli un’occhiata che gelerebbe un vulcano.

«Sono tra i ninja più affidabili di Konoha» ringhia Tsunade, «e ti giuro che se non la smetti di lamentarti ti spacco la faccia».

Il Raikage inarca un sopracciglio, ma, secondo Shikamaru molto saggiamente, non si azzarda ad aprire bocca.

«Come possiamo esservi d’aiuto?» chiede Ino.

«Dobbiamo discutere tra noi» risponde l'Hokage, «e capire cosa succederà adesso all'Alleanza. Shikamaru, in mancanza di Kakashi ti nomino mio consigliere. Congratulazioni» continua con il tono di qualcuno che vorrebbe solo pace, esattamente come lui. Le parole e in mancanza di tuo padre sono appese nell’aria come una fila di cartabombe.

«Sì, grazie tante».

Lo Tsuchikage borbotta qualcosa a proposito di “giovani” e “rispetto”, ma lo ignora.

«Dov'è Kakashi, comunque?» chiede, e spera di ricevere la risposta giusta.

«Ha da fare» taglia corto Tsunade. Ergo, non ho nessuna intenzione di parlarne, prova solo a insistere e ti affibbierò così tante missioni che ci annegherai in mezzo.

Ma a quanto pare Kakashi è vivo.

«Ino, tu per il momento aspetta fuori».

«Certo».

Si porta accanto a Tsunade. Dalla parte opposta della tenda, dritto davanti a lui, c’è Temari. La guarda negli occhi per un lungo istante, e poi decide che non la guarderà più fino alla fine della riunione.


 
 
Non che la mia presenza fosse necessaria, pensa quando il generale dei samurai dichiara che la riunione è finita. Si è limitato ad ascoltare e a dire la sua su un paio di cose. E per fortuna ci hanno pensato gli altri, a organizzare il gran casino che sarà il rientro di sei eserciti. Lui non ne avrebbe avuto la forza. Spera solo che alla Schiavista o a Kakashi non salti in mente di portarlo con sé al prossimo Consiglio dei Kage, perché si prospetta un casino ben peggiore di quello. Il suo senso del dovere nel ricoprire quel ruolo è già evaporato. Comunque, ora non ha nessuna voglia di pensarci. Ha solo voglia di riprendersi da tutto quello che è successo negli ultimi tre giorni.

Alza lo sguardo col preciso intento di puntarlo negli occhi di Temari. Lei lo sta già guardando, immobile dall’altro lato della tenda. Ino e Tsunade sono già uscite, Gaara e Kankuro lo stanno per fare. Loro aspettano. Aspettano, e quando il lembo della tenda si chiude dietro al Raikage, l'ultimo ad andarsene, si abbracciano.

Non l’aveva mai abbracciata prima. Non aveva mai pensato che potesse essere così piccola tra le sue braccia, e quanto immensa potesse sembrare nello stesso momento. I suoi capelli gli solleticano il volto. Le sue braccia attorno al corpo sono un appiglio a cui aggrapparsi.

«Ho avuto paura, Shikamaru».

«Anch’io». Di perderti.

Si tengono stretti a lungo. È Temari la prima ad allontanarsi.

«Cos’è tutto questo sangue?» gli chiede.

«Me la sono vista brutta. Per fortuna c’era Sakura nei paraggi».

«Ti fa male?»

«Non troppo». Aveva dimenticato quanto verdi fossero i suoi occhi. Non capisce come ha fatto, ma aveva dimenticato. «Tu stai bene?»

«Sì».

«Bene». Ho avuto paura.

Stanno lì, soli nella tenda dei Kage, a guardarsi negli occhi. Guardarla negli occhi non è mai stato così facile. Stare nella stessa stanza in silenzio con lei non è mai stato così facile, forse perché sa, in cuor suo, cosa sta per succedere, e niente gli è mai sembrato più difficile.

Ma poi Temari distoglie lo sguardo. «Mi dispiace per tuo padre».

Sgrana gli occhi, stupito dalle sue parole. Non che pensasse che non gli avrebbe detto niente a riguardo. Il vuoto che ha tenuto a bada per tutto quel tempo si fa largo nello stomaco e nel petto. «È stato davvero un brutto colpo. Davvero, Shikamaru… Mi sono preoccupata per te quando... Ho pensato che avresti perso la lucidità, e che non sarei stata lì per salvarti».

«Smettila, Tem». Le prende una mano. Così, d’istinto, perché lei è lì ed è l’unica cosa a cui si può aggrappare in quel momento, mentre le lacrime gli bagnano il viso. Strofina la manica sugli occhi, ma sa che è inutile. Sente che questa volta le lacrime non si fermeranno tanto in fretta. È davvero stato un brutto colpo. Lo è stato perché suo padre era fondamentale per l’Alleanza, perché anche lei lo conosceva di persona, e perché è la persona a cui lui ha voluto più bene sulla faccia della terra. E non lo rivedrà più, non sentirà più la sua voce. Non avrà nemmeno una tomba a cui rendere omaggio.

È morto. Mio padre è morto.

Temari lo abbraccia. Anche se è più piccola, le sue braccia attorno al corpo sono un appiglio a cui aggrapparsi. Una casa in cui trovare rifugio. «Scusa, io…»

«Ehi». Lo lascia andare, gli sorride. Il sorriso di Temari scalda il cuore. «Non ti devi scusare». Gli porta le mani al volto, gli asciuga le lacrime col pollice. «È morto combattendo per proteggere ciò a cui teneva. E continuerà a vivere in te, e tu continuerai a renderlo fiero come hai sempre fatto».

Si ricorda di quando, tempo prima, in un’altra vita, Temari ha nominato suo padre; di come lui non abbia osato approfondire l’argomento e di come, arrivato a quel punto, conosca comunque tutta quella storia dolorosa. Eppure lei è lì a consolarlo. «Io…» Io ti amo vorrebbe dirle, ma le parole non escono. Non perché sia difficile. Non lo è più. La guarda negli occhi e per la prima volta da quando si è risvegliato dal sogno di Madara sente che la guerra è finita davvero.

«Shikamaru…»

E, incapace di fermarsi, la bacia.

 
Give me a long kiss goodnight and everything will be all right
Tell me that I won’t feel a thing
Green Day – Give Me Novacaine
 

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Capitolo 2
*** Parte 2 ***


Parte 2: Fall Out Boy – HOLD ME TIGHT OR DON'T
 
 
Come aveva pensato fin dall’inizio, le fresche, tranquille stanze di crittologia gli vanno molto più a genio di foreste, ghiacciai, deserti, strani anfratti e chi più ne ha più ne metta dove lo spedivano quando faceva parte della divisione operativa. La sua vita è nettamente migliorata da quando Kakashi lo ha assegnato (e addirittura senza che lui abbia dovuto insistere troppo) a quel reparto sotto l’egida di Ibiki, il quale, deve ammettere non senza un certo fastidio, gli ha insegnato più cose in tre mesi che Asuma in quattro anni. Che poi il suo lavoro principale sia persuadere la gente e che sia la persona più terrificante che abbia mai incrociato il suo cammino è un altro conto.

Meglio come mentore che come nemico, comunque.

Tuttavia capita ancora, di quando in quando, che lo mettano alle calcagna di un brutto ceffo o lo spediscano in ricognizione in qualche luogo dimenticato dagli dèi ai confini più remoti del Paese del Fuoco. Kakashi è addirittura arrivato a pronunciare il suo nome e la parola ANBU nella stessa frase, ma, e per questa cosa dovrebbe rendere grazie sgozzando un bue su un altare sacrificale, non ha mai messo in atto le sue minacce. Per il momento, almeno. E comunque lui ha un senso del dovere troppo forte per cercare di dissuadere quelli del coordinamento missioni dall’appioppargli incarichi.

Non può dirsi insoddisfatto della sua vita dopo la fine della guerra. No, a parte la morte di suo padre, di Inoichi, di Neji, il ritorno di Sasuke (davvero, il suo stomaco stava decisamente meglio quando non c’era il rischio di incrociarlo ogni volta che metteva il naso fuori di casa), la faticaccia di ricostruire Konoha e il mondo da zero, si potrebbe dire che la sua vita sia migliorata.

Se non fosse per Naruto, il suo (e di Kakashi, e suo, mannaggia a lui, e di tutti gli altri) piano di diventare Hokage e tutto ciò che comporta. Perché è stato tirato in mezzo pure lui, il che gli ha fatto pensare, non per la prima volta, che il senso del dovere non sia affatto qualcosa di cui andare fieri, bensì una grandissima seccatura. Ed è la prima volta che definisce seccante la sua stessa personalità. Non bene.

Se per molti versi preferisce Kakashi a Tsunade in qualità di Hokage, non è stato per niente contento quando questi lo ha convocato nel suo ufficio, meno di una settimana dopo aver fatto ritorno dalla guerra, e gli ha detto chiaro e tondo cosa succederà di lì a qualche anno: Naruto diventerà Hokage, lui il suo primo consigliere, e Kakashi stesso e Ibiki si occuperanno della loro preparazione. Lo aveva capito subito che la cosa sputa seccature da tutti i pori, e come volevasi dimostrare aveva fatto centro. Perché Kakashi e Ibiki non solo li sotterrano di lavoro d'ordinanza, ma anche di quelle che chiamano molto carinamente “letture”: tomi alti venti centimetri che rispondono a titoli quali Economia e Geopolitica, Rapporti di Potere nelle Terre Ninja e Storia del Mondo nelle Biografie di 20 Kage. Da studiare. E ovviamente, anche se nessuno glielo ha detto chiaro e tondo, è compito suo assicurarsi che Naruto studi, e in un mondo giusto ed equo la cosa dovrebbe comportare come minimo il raddoppiamento del suo stipendio. Anche se rinuncerebbe volentieri a quell’entrata (sempre che ci fosse, perché non c’è) se quell’incombenza gli fosse risparmiata.

«Il secondo Mizukage» ripete Naruto per quella che sarà la trentesima volta, «il secondo Mizukage ha fatto… ha fatto…»

No, decisamente non lo pagano abbastanza.

«Un accordo segreto con il daimyo del Paese del Vento, che l’Eremita delle Sei Vie sia dannato per aver creato i ninja e il tuo diamine di sogno di diventare Hokage».

«A cosa serve imparare tutta 'sta roba?» strilla Naruto, facendo volare via un passero dall'albero al centro del giardino. «Sarà stato secoli fa!»

«Dovresti saperlo, quando è stato» sbuffa, «è stato cinquant’anni fa e ha dato il via agli avvenimenti che hanno portato a una guerra ninja. Cosa che tu e io non dovremo far succedere quando avremo la responsabilità di tutta la baracca. Quindi fammi un favore e mettiti serio, non voglio invecchiare su questo mattone».

«Ma io sono serio!» Shikamaru inarca un sopracciglio, ma il suo compagno di studi non coglie il rimprovero. «Imparare tutta 'sta roba è impossibile, è troppa perfino per te, Shikamaru!»

«Fammi capire» dice puntellandosi sulle mani, «tu diventi amico del bijuu che ti ha rovinato la vita, salvi il mondo, fai pace con Sasuke e impedisci che si becchi la giusta punizione», e qui Naruto si altera, ma lui va avanti imperterrito come se non fosse successo niente, «cambi la mentalità delle persone con discorsetti di cinque minuti, esci con l’erede del clan Hyuuga senza che suo padre chieda in cambio la tua testa e pensi che studiare sia impossibile?»

«Perché Hiashi dovrebbe volere la mia testa, scusa?»

Si domanda se qualcuno gli abbia mai fatto il disegnino delle api e dei fiori e gliene abbia spiegate le implicazioni.

Ma poi Naruto s’illumina d’immenso, cosa che per quanto lo riguarda non è mai un buon segno. «Potrei creare dei cloni e metterli a studiare, così ci sbrigheremmo più in fretta!»

«Non adesso» geme Shikamaru. «Quando studi per conto tuo, se vuoi. Me ne basta uno, di Naruto, grazie». Sembra un metodo niente male, in realtà. A meno che con la Moltiplicazione del Corpo non si moltiplichi anche la confusione tra date, nomi, luoghi e tutto il resto. «Dai, proviamo a cambiare argomento» propone recuperando Principi di Macroeconomia dal pavimento, consapevole che sta andando a farsi del male. «Mi dicevi di non aver capito una cosa sulle dinamiche dell’occupazione…»

Al che Naruto si getta a terra in preda alla disperazione, e Shikamaru pensa che se c’è un modo per andare a colpo sicuro in uno scontro con lui è mettergli sotto il naso qualche grafico da interpretare.

Sul serio, cos’ha fatto di male nella vita per meritarsi tutto questo?

«Ehi, voi due».

Alza lo sguardo verso il giardino e vede Pakkun e il suo proverbiale muso rincagnato. Sospetta che non gli abbia ancora perdonato tutti i pizzicotti alle guance del giorno che Suna e Oto hanno attaccato Konoha. Il giorno che Orochimaru ha ucciso il Terzo, si corregge. Non gli piace pensare che c’è stato un tempo in cui Suna li ha traditi. Comunque, Pakkun è un cagnaccio pulcioso.

Naruto accoglie il suo arrivo con gioia. Tutto pur di non studiare. Shikamaru, invece, sospira rumorosamente. «C’è un messaggio da parte dell’Hokage?»

«Sì. Vuole che lo raggiungiate a palazzo il prima possibile».

Naruto, che fino a trenta secondi prima sembrava in preda alla depressione più nera, salta in piedi con un sorriso che va da un orecchio all’altro. «Magari ci manda in missione! È un secolo che non esco da Konoha!»

«Magari ti ci mandasse da solo, in missione, e mi risparmiasse per qualche giorno il doverti dare ripetizioni» gli dice mettendo a posto i libri. Almeno può dimenticarsene fino all’indomani. Anzi, fino a dopodomani, ricorda con immenso sollievo, perché domani sarà tutto il giorno a crittologia, grazie agli dèi. Kakashi permettendo. Spera con tutto il cuore che non se ne sia uscito con una trovata delle sue, perché non crede che, arrivato a quel punto della giornata, il suo cuore possa reggere a certi colpi. «Noi andiamo a palazzo, ma'» avverte entrando in cucina.

«Riesci a passare da Kurenai, dopo? Ho fatto i biscotti e me ne è avanzato qualcuno». E, ovviamente senza aspettare la sua risposta, gli ficca un mano un contenitore di plastica.

Shikamaru inarca un sopracciglio. «Qualcuno?» Ma sua madre ne sta già porgendo un secondo a Naruto, che si profonde in sentiti ringraziamenti.

«Tua madre è un angelo» dice quando escono in strada, addentando un biscotto.

«Con tutti tranne che con suo figlio» replica lui, pescando dal contenitore di Naruto. «Però devo ammettere che i biscotti li sa fare».

«Come stanno Kurenai e la piccola?»

«Bene. Oddio, Mirai sta bene, Kurenai un po’ di meno visto che non la fa dormire».

«Io e Hinata abbiamo deciso che avremo tre figli» rivela Naruto.

Shikamaru pensa quattro cose.

Uno, tu non sei normale, a programmare figli a diciassette anni.

Due, tu hai deciso che avrete tre figli, perché non credo proprio che Hinata sia riuscita a mettere insieme una frase di senso compiuto sull’argomento.

Tre, io con tre Naruto in miniatura non ci voglio avere niente a che fare.

Quattro, oh, cazzo, adesso parte.

«Ieri sera l’ho portata sulla montagna degli Hokage…» dice infatti.

«Non mi interessa» sbuffa, ben sapendo che non servirà a niente.

«… e ci siamo rimasti tre ore…»

Sì, qualcosa di male doveva averlo proprio fatto, nella sua vita. Doveva avere involontariamente offeso qualche divinità pagana (e in effetti lo aveva fatto, e tutt'altro che involontariamente) che aveva pensato bene di vendicarsi appioppandogli la causa prima di tutte le seccature del mondo per il resto della sua vita.

Lui dalla vita non avrebbe voluto altro che tranquillità. Una moglie né bella né brutta e due figli, prima una femminuccia e poi un maschietto.

Facile fare i conti senza l’oste.

Mano a mano che si avvicinano al Palazzo dell’Hokage, e Naruto procede imperterrito e inascoltato nel racconto della sua serata con Hinata, le strade si fanno più affollate, gli edifici più vicini. Ancora si meraviglia, a volte, a pensare che nemmeno un anno prima non c’era niente, lì, solo nuda roccia e macerie. Che molte delle persone da cui sono circondati in quel momento sono morte e poi resuscitate, che nessuno di loro si è dato per vinto quando l’unica cosa rimasta al mondo era la prospettiva di ricostruire tutto il villaggio da zero. Che Naruto, Naruto, il pagliaccio, il teppista, il demone, l’incapace, il ragazzo che cammina accanto a lui perso nel suo mondo sia un eroe. Che lui stesso, in un certo senso, sia un eroe. A diciassette anni, senza averlo mai desiderato.

È sicuro che Asuma si stia facendo delle grasse risate.

«Ehi, Naruto! Shikamaru!» C’è Kiba, a un incrocio, con l’onnipresente Akamaru e Shino al seguito. I due casinisti si lanciano in un saluto tribale mentre lui e Shino li guardano storto. Almeno lo hanno salvato dai blateramenti su Hinata. C’è solo da sperare che non la nominino anche loro.

Dèi, più il tempo passa e più quella giornata diventa seccante.

«Menomale che vi abbiamo incontrati» dice Kiba, «ci avete risparmiato la caccia al tesoro per tutta Konoha».

«È successo qualcosa?» chiede Naruto. Poi sbianca. «Hinata…»

«No, a Hinata non è successo niente, razza di zucca vuota» lo anticipa Kiba. «Che cazzo, Naruto, vuoi smetterla di asfissiare la gente? Non ho ancora capito come faccia a stare con te».

«Perché sono bello, forte…»

«Sì, sì, abbiamo capito, chiudi il becco».

«Comunque è stata Ino a dirci… Bè, a dirmi, in realtà…» ghigna Kiba guardandolo negli occhi. Shikamaru aggiunge "irritanti allusioni al fatto che Ino e Kiba si frequentino" alla lista delle cose da dimenticare di quella giornata. Io non capisco come lei faccia a stare con te, gli vorrebbe dire. «… di dirvi che domani c’è una festa al Totem».

«Il Totem?»

«Eddai, Shikamaru» esclama Kiba, «ho capito che sei un asociale del cazzo, ma almeno conoscerli, i posti!»

«È la discoteca sotto la faccia di Tsunade» spiega Shino, «e Kiba ha ragione, tra parentesi. Anche se non credevo che avrei mai detto una cosa del genere».

«Non potevano metterla in un luogo migliore» commenta solo. E pensa che sia a dir poco inopportuno che le discoteche siano già operative e avviate quando tre quarti del villaggio è un cantiere a cielo aperto.

«Che festa?» domanda Naruto.

«Niente di troppo particolare, in realtà, ma c’è l’open bar. Dalle undici e mezza alle quattro, 2500 ryo».
Shikamaru, che non rinuncerebbe a una notte di sonno per lo stipendio di un mese, figurarsi per 2500 ryo in meno nel suo salvadanaio, quasi scoppia a ridere.

«E chi c’è?»

«Un po’ tutti, immagino. Noi, Ino e Choji di sicuro, ma conoscendo Ino», e Shikamaru quasi ringhia, «avrà invitato tutti quelli che conosce».

Sbuffa. Quella sera deve vedere Ino e Choji, il che significa che gli scasseranno le palle per convincerlo a venire. Quindi farà finta di accettare e poi tirerà pacco all’ultimo. Ino glielo rinfaccerà per almeno due settimane, ma nella vita bisogna pur sacrificare qualcosa, e, visto che lui è un asociale del cazzo, quindici giorni di Ino che si lamenta con lui gli sembrano il male minore.

«Noi ci siamo» dice Naruto. «Io e Hinata, intendo».

«Magari prima chiedile se vuole venire, eh» suggerisce Shino, in modo fin troppo gentile a suo parere.

«Tu, Shika?» gli domanda Kiba.

«Manco morto».

«Dai, per una volta potresti pure venire, invece di fare lo sfigato come al solito».

«Non questa. La prossima, forse».

«Ma se dici sempre così!»

«Esatto» sbadiglia. Non riesce proprio a concepire perché gli secchino tutti così tanto la vita per trascinarlo in posti dove non fa nessuna differenza che lui ci sia o meno. Andassero in discoteca e lo lasciassero in pace. «Dai, Naruto, muoviamoci». Fa un cenno a Shino, ma non si disturba a salutare Kiba visto che sta sbraitando qualcosa su Ino che ha casa libera.

Shotaro*, meglio conosciuto come il galoppino di Kakashi, li accompagna fino all’ufficio, in cui l’Hokage è sommerso da rapporti e moduli vari. Shikamaru si chiede se Naruto abbia mai pensato al fatto che il lavoro dei suoi sogni è molto più noioso di quello che fa al momento. Probabilmente no, si risponde.

«Tutto bene, ragazzi?»

Come no, gli vorrebbe dire, fare da babysitter al tuo allievo è il modo migliore che mi venga in mente per passare il tempo.

Kakashi intuisce i suoi pensieri, perché il suo occhio destro si chiude, segno che sta sorridendo per prenderlo per il culo, lo stronzo.

«Vi ho mandati a chiamare per dirvi che partiamo per un viaggio».

E già si comincia male. «Partiamo chi?» domanda, mentre Naruto, con un tono completamente diverso, chiede per dove.

«Noi tre e Ibiki» risponde Kakashi, e Shikamaru è certo che nessuna buona notizia sia mai cominciata con quelle parole, «e faremo una serie di visite diplomatiche in tutti i villaggi ninja».

Lui avrebbe solo voluto una vita tranquilla. Una moglie né bella né brutta, due bambini, prima una femminuccia e poi un maschietto, e un posto fisso a crittologia. Non gli sembra poi molto in cambio di ciò che la vita gli ha riservato fino a quel momento.

«Ufficialmente, voi due sarete consiglieri allo stesso livello di Ibiki» continua Kakashi, «ma tu, Naruto, durante gli incontri starai a guardare senza aprire bocca». Non ci crede nemmeno lui. «Invece tu potrai intervenire, se vorrai, Shikamaru. Sempre che Ibiki acconsenta».

«Perché lui sì e io no?»

«Perché lui è stato un consigliere e tu non sei né consigliere, né Hokage». Ha una mezza idea di dire che un consiglio dei Kage di nemmeno due ore, raffazzonato, in una situazione di emergenza e il cui scopo era rispedire tutti a casa non conta come esperienza pregressa in qualità di consigliere, ma Kakashi non gliene lascia il tempo. «Partiamo tra dieci giorni e staremo via un mese». Evviva evviva, un mese senza crittologia e per di più a stretto contatto con Naruto. «Domani o dopodomani vi farò avere il programma completo» Poi si alza e punta dritto alla libreria, e Shikamaru è certo che nessuna buona notizia sia mai arrivata da un gesto del genere. «Dovrete studiare questi per prepararvi».

Morale della favola, tre libri da analizzare, studiare e spiegare a Naruto in dieci giorni. Davvero fantastico.

«Questo ha la precedenza su tutto, perciò tu, Naruto, sei esentato da ogni altro impegno fino al giorno della partenza. E ti chiuderò a chiave nella stanza qui accanto per essere sicuro che non ti distragga» aggiunge soave come un fringuello e, allo stesso tempo, come un pugno di Sakura in dirittura d’arrivo. «Shikamaru, vorrei scambiare due parole a quattr'occhi. Tu puoi andare, Naruto. Ti consiglio di non ciondolare in giro, stasera». Non ci crede nemmeno lui, a maggior ragione se una certa ragazza il cui nome inizia per H e finisce per inata Hyuuga è nei paraggi. Santa donna. Dev’essere proprio brutto essere l’interesse romantico di Naruto.

«Allora, Shikamaru» esordisce Kakashi quando la calamità in arancione si è chiusa la porta alle spalle, «come procede a crittologia?»

Gli lancia una mezza occhiataccia. Sa che può permetterselo, anche se lui è l’Hokage. «Diciamo che le seccature sono altre».

Kakashi ridacchia. «Come dire… Ti è toccato e te lo tieni».

«Eh, grazie al cazzo».

«Sai come si dice, no?» L’occhio destro dell’Hokage si chiude nuovamente nell’espressione ti-sto-prendendo-per-il-culo. «I veri eroi sono quelli che non hanno mai voluto esserlo».

«L’eroe è Naruto, non io». E dubito che non abbia mai voluto esserlo, pensa.

«Poco importa» taglia corto Kakashi. «Stavamo parlando di crittologia».

«Va tutto bene, a crittologia. È difficile, ma mi diverto». E già questo è un fatto straordinario.

«Hai ancora parecchio da imparare» dice fissandolo con tanta intensità da metterlo quasi in soggezione, «ma Ibiki tesse lodi sperticate su di te».

«Davvero?» domanda senza sforzarsi di sembrare sorpreso. Sa cosa Ibiki dice di lui e sa che anche Kakashi lo sa.

«Dice che sei il miglior crittologo che abbia mai incontrato».

«Sembra che abbiamo trovato anche il mio talento, alla fine».

Kakashi tace, ma Shikamaru sa cosa sta pensando. Il suo talento è noto già da anni. L’intelligenza è il suo talento più grande e la sua arma più potente; è un buon crittologo perché sa ragionare.

Shikamaru intuisce ciò che Kakashi sta per dire, e non ne è contento. Perciò ha pronunciato quella frase, pur sapendo che è inutile e che non cambierà niente.

«Prima o poi dovrai lasciare crittologia».

«Spero più poi che prima, sinceramente».

«Chissà perché, ma me lo immaginavo». Ricomincia a scartabellare i fogli sulla scrivania. «Sei un ninja troppo dotato per rimanere tutta la vita rinchiuso in un ufficio a decifrare codici».

«Che seccatura». A che gioco sta giocando, comunque? Lo sta tenendo lì per ribadirgli cose che sa già?

«Ma per nostra fortuna sei anche molto più ligio al dovere della maggioranza dei ninja».

«Scusami», ma anche no, «potremmo arrivare al dunque?»

Kakashi lo fissa divertito. «Ibiki ritiene che tu sia pronto per… avanzare di livello».

«In crittologia?» chiede, e non ci crede neanche lui.

«No, come consigliere». Appunto. Mai una cosa che vada come dovrebbe. «Da ora in poi sarai la sua ombra in ogni momento del suo incarico da consigliere. Il che vuol dire…»

«Meno tempo per crittologia».

«Sì».

Shikamaru sospira. Avrebbe dovuto saperlo che era troppo bello per durare. «Va bene. Non che abbia molta scelta, comunque».

«Infatti».

«Ma non era proprio possibile esentarmi dal dare ripetizioni a Naruto invece che da crittologia?»

Kakashi ridacchia. «Ti è toccato questo, mi dispiace» dice in un tono per niente dispiaciuto.

«Oh, bè, suppongo di dovermela godere finché posso».

Sente la porta aprirsi alle sue spalle. «Mi scusi, Hokage».

«Sì, Shotaro?»

«È appena arrivata Temari da Suna».

Shikamaru quasi si strozza.

Cosa cazzo ci fa Temari qui?, pensa sperando che Kakashi non si accorga della sua improvvisa, seccantissima confusione. Temari è qui, cazzo, pensa poi, schiarendosi la gola, facendo un respiro profondo e cercando di mantenere il suo solito aspetto quasi annoiato, pregando tutti gli dèi di non arrossire, non mangiarsi le parole, non fare movimenti inconsulti che tradiscano il suo stato d’animo e cercando di non ricordare quello che è successo l’ultima volta che si sono visti.

Ovviamente, non appena s’impone di non pensarci la scena gli irrompe nella mente in tutta la sua forza. Gli occhi verdi di Temari fissi nei suoi, le dita ad asciugargli le lacrime, le loro labbra che si toccano, lei che torna a Suna e lui a Konoha senza una parola a riguardo.

Questa storia delle reazioni chimiche al semplice sentirne il nome non va affatto bene.

«Falla passare» dice Kakashi, e Shikamaru si sente improvvisamente il cuore in gola. Si volta verso la porta giusto in tempo per vederla entrare nell’ufficio.

Lei non lo vede subito. Entra con il suo solito passo deciso, puntando dritto alla scrivania di Kakashi. Sembra provata dal viaggio, col vestito nero stropicciato e il volto stanco, ma il suo sguardo è fermo e attento. La sua semplice presenza gli fa raddrizzare la schiena, togliere le mani dalle tasche e sorridere. Prova a non farlo, ma è difficilissimo. Si era dimenticato, come al solito e inspiegabilmente, di quanto bella sia e quanta influenza abbia su di lui con la sua semplice presenza.

«Buonasera, Hokage» dice, ed è la stessa voce con cui ha sussurrato il suo nome un momento prima che lui la baciasse.

«Bene arrivata, Temari» la saluta Kakashi. «Fatto buon viaggio?»

«Sì, tutto tranquillo». Poi, arrivata quasi al centro della stanza, alza lo sguardo e lo vede.

Calma, calma. È la stessa persona che ti chiama piagnucolone da quattro anni.

Chissà perché, ma il pensiero non lo aiuta.

Il volto di Temari si illumina quando incrocia il suo sguardo. Gli sorride come farebbe la primavera se fosse una persona**. Il sorriso di Temari scalda il cuore. E spazza via le facoltà mentali, per quanto lo riguarda. Ma lo fa anche sentire meglio di qualunque altra cosa. «Come al solito non faccio nemmeno in tempo ad arrivare che ti ho già tra i piedi, Nara».

Tutto sommato, è sempre la solita Temari stronza e tagliente come un kunai appena affilato e cosparso di veleno. La cosa lo mette a suo agio molto di più del pensiero di quanto ne è innamorato, e gli fa anche leggermente passare la voglia di abbracciarla lì davanti a Kakashi. Le sorride di rimando. «Magari sei tu che mi vieni a cercare».

Per un secondo teme di aver esagerato, ma poi vede un guizzo nei suoi occhi, e lei non smette di sorridere. Non smette di sorridere, cazzo. «In realtà avevo urgenza di parlare con l’Hokage».

Colpito e affondato.

«A che proposito?» domanda Kakashi. Shikamaru può quasi vedere la maschera incresparsi sulle labbra, dove molto probabilmente c’è un sorrisetto per lo scambio a cui ha appena assistito.

«È confidenziale».

«Shikamaru è quasi il mio braccio destro, e di certo saprai che si sta preparando a diventare consigliere». Lui è oltremodo compiaciuto dal vedere meraviglia e, soprattutto, una punta d’irritazione nell’espressione di Temari. «Ma se è una richiesta esplicita del Kazekage, ovviamente accondiscenderemo. Avevamo comunque finito».

«Certo» dice Shikamaru recuperando i biscotti per Kurenai dallo scaffale sopra il quale li ha appoggiati. «A domani, Hokage. Temari».

Prima di uscire la guarda negli occhi a lungo. Nessuno dei due ha ancora smesso di sorridere. Nel momento in cui la sfiora passandole accanto, mezzo di proposito e mezzo no, crede di non essere mai stato più felice di vederla. Cosa strana, pensa chiudendosi la porta alle spalle e appoggiandosi alla parete lì accanto, visto come sono andate le cose l’ultima volta che si sono visti. Il giorno in cui è finita la guerra, il giorno in cui l’ha baciata.

L’aveva baciata ancora piangendo, quasi (un contrappasso niente male visto come lei lo prende sempre in giro per il suo pianto di quattro anni prima), con il corpo che tremava e il cuore in gola per la paura che lo mandasse all'altro mondo. Ma poi lei aveva dischiuso le labbra e lui aveva pensato che sarebbe morto lo stesso, e comunque a causa sua.

Si era allontanato senza capire nulla di quello che stava succedendo, cosa che nella vita gli era capitata molto raramente. Temari lo aveva guardato con gli occhi spalancati, le gote imporporate e le labbra incurvate in un sorriso e Shikamaru non si sarebbe sorpreso se il cuore gli fosse saltato fuori dal petto. E quello sarebbe stato il momento perfetto per dirle che l’amava, e adesso pensa che avrebbe dovuto farlo, che avrebbe dovuto zittirla e dirglielo in quell’istante in cui non capiva un cazzo e non aveva la forza di pensare alle conseguenze. Ma invece non lo aveva fatto, aveva fissato le sue labbra, quelle che aveva appena baciato, dèi, mentre lei diceva una delle sue delicatissime frasi. «Bè, Nara…»

Aveva passato giorni e giorni a chiedersi cosa stava per dire. Bè, Nara, sei un cretino? Bè, Nara, mi piaci? Bè, Nara, baci da far schifo? Cosa diamine stava per dirgli, Temari, quando Akatsuchi era entrato nella tenda, interrompendola e scusandosi come se non avesse né capito né avuto intenzione di farsi i fatti loro (almeno quello), per recuperare una dannatissima mappa che si era dimenticato? Poi, naturalmente, lui era arrossito tanto che avrebbero potuto friggergli un uovo sulle guance, Temari aveva distolto lo sguardo e aveva mormorato «Andiamo» precedendolo fuori dalla tenda. E allora lui, dèi potentissimi, avrebbe dovuto fermarla e chiederle cos’era stata sul punto dire e baciarla di nuovo, magari, se quello che avesse detto lo avesse giustificato; ma aveva avuto paura, quella era la verità, e poi era spuntato Choji con un sorriso malefico da un orecchio all’altro (e vedere un sorriso malefico sul volto di Choji Akimichi ti fa credere che sia arrivata la fine del mondo), gli aveva teso una borraccia e lo aveva trascinato fuori con un braccio intorno alle spalle, senza dire una parola su Temari o su quello che poteva essere successo nella tenda, ma con uno sguardo che toglieva ogni dubbio riguardo al fatto che avesse capito.

E poi tutti erano tornati ai rispettivi villaggi e loro non si erano più visti.

Erano passati quasi sei mesi, lui aveva ricevuto notizie di Temari per vie traverse e aveva dedicato una parte imbarazzante del suo tempo a riflettere su cosa era stata sul punto di dirgli. No, diciamoci la verità: a fantasticare che fosse stata sul punto di dirgli di essere innamorata di lui. Eventualità che non era del tutto da escludere se ragionava razionalmente sul suo comportamento (il baciarlo con la lingua; l’accarezzargli il collo; il sorridergli), ma vai a sapere cosa pensa veramente Temari. Conoscendola, avrebbe potuto benissimo essere sul punto di prenderlo in giro. O, magari, di averlo lasciato fare per confortarlo, perché stava male per suo padre. Il che sarebbe stato una vera bastardata da parte sua.

Bè, pensa sperando che il colloquio con Kakashi non duri tanto, ora che è a Konoha sarebbe cosa buona e giusta chiederglielo.

Sarebbe.

Gli tremano le ginocchia al solo pensiero.

Si è quasi stufato di aspettare quando Temari esce dall’ufficio di Kakashi. Forse, pensa appena la porta si apre e per un momento (o due, tre, quattro) gli si attorcigliano le viscere, sarebbe stato meglio se me ne fossi andato. Non sta scritto da nessuna parte che deve aspettarla. Forse, inorridisce, ha fatto addirittura male ad aspettarla, perché non sono niente, loro, sono solo due colleghi di lunga data che si sono baciati in un momento di sconforto e adrenalina. Ma in ogni caso ormai è troppo tardi.

Shikamaru si stacca dal muro mentre Temari si guarda intorno chiudendo la porta. No, non è corretto: non si guarda intorno, volta la testa verso di lui come se sapesse già che lo troverà lì. «Era ora» le dice strascicando le parole. «Stavate componendo un poema epico?»

«Sì, su un eroe che ti taglia la lingua perché tu la smetta di lamentarti». Gli sorride come faceva fino a sei mesi prima, quando non si erano ancora baciati. Buon segno? Brutto segno? Boh. Non che abbia molto senso cercare di capire la mente di una (quella) donna. Poi cambia tono di voce, completamente. «Ciao, Nara» gli dice andandogli incontro, e sembra quasi una carezza (una carezza? Temari?). Un momento dopo, quasi senza rendersene conto, si ritrova tra le sue braccia. A casa.

I suoi capelli gli solleticano il volto. Lei è piccola e immensa allo stesso tempo. Le sue mani sulla schiena sembrano così familiari, come se fossero state fatte apposta per abbracciarlo e non per uccidere nemici. Non si aggrappa a lei come il giorno in cui la guerra è finita, ma la tiene stretta, come se non volesse più lasciarla andare.

Non vuole, in realtà.

«Sono contenta di vederti».

«Anch’io».

Sa che non la bacerà, non in quel momento. Probabilmente lo sa anche lei ed è per questo che è così rilassata, che lo abbraccia così a lungo. Fosse per lui, starebbero lì tutta la notte.

Ma poi si allontanano, Shikamaru incrocia il suo sguardo, capisce che anche lei sta pensando le sue stesse cose e s’impone di non arrossire.

«Sono stanchissima» dice.

«Non mi avevi detto che saresti venuta». Lo ha detto tanto per parlare, ma dall’espressione che compare sul volto di Temari capisce che, per qualche strano motivo, avrebbe fatto meglio a tacere.

«Da quando in qua ti devo informare dei miei spostamenti?»

A quel punto non ha il coraggio di risponderle a voce, così la guarda negli occhi e spera che il messaggio passi lo stesso. Pensavo che avessimo raggiunto un punto per cui ci avvertiamo, quando siamo nei paraggi. Lui l’avrebbe fatto, se l'avessero spedito a Suna. Ma forse non è la stessa cosa, visto che è innamorato di lei e non riesce a togliersela dalla testa nemmeno per mezza giornata, mentre lei... non si sa.

La segue lungo il corridoio. «Non mi pare che tu mi abbia detto che stai per diventare veramente consigliere».

Oh, bè, quando ha ragione, ha ragione. «Non sto per diventare consigliere. Lo diventerò prima o poi. Purtroppo».

«Purtroppo?»

«È solo…»

«… una grandissima seccatura, lo so, risparmiami». Adesso completa anche le sue frasi. Buon segno? Brutto segno? Boh. Chi lo sa.

«Quanto rimani?» È la cosa che gli preme di più sapere.

Ok, la seconda cosa che gli preme di più sapere.

«Due settimane. Gaara mi ha mandata a negoziare alcuni accordi internazionali. E l’Hokage mi ha preso per un ninja aggiuntivo da sfruttare, a quanto pare» aggiunge non senza irritazione.

«Io ho iniziato a chiamarlo il Sadico».

Temari ridacchia. Lui non può trattenersi dal sorridere. «Cosa c’è lì dentro?» dice ammiccando al contenitore.

«Biscotti».

«Non ti vergogni a non offrirmene neanche uno quando ti ho appena detto che sono stanchissima per il viaggio?»

«Sono per Kurenai» spiega, ed è divertito dalla sua espressione quando capisce di aver parlato a sproposito, «ma puoi prenderne uno se vuoi».

Gli edifici del villaggio risplendono nella calda luce pomeridiana. Dove nemmeno un anno prima c’era un deserto, Konoha trabocca di gente e di vita. Temari sembra pensare la stessa cosa, perché lo guarda da sotto in su vagamente preoccupata. «Immagino che il mio appartamento non sia dov’era il vecchio».

«No».

«Cazzo».

«Quanta finezza per un problema così triviale» commenta con un piano diabolico già bello che definito in mente.
Temari sbuffa. «Non ho né il tempo né la voglia di mettermi a cercarlo. Portamici tu».

Appunto.

«Guarda che non sono più il tuo accompagnatore».

«Dai, Nara, stai zitto e fai strada» ordina, ordina, pescando un biscotto dal contenitore che Shikamaru le porge.

«Ti avverto, non so di preciso dove sia. Non ho più avuto occasione di andare ai complessi dei diplomatici». Sottinteso: ci vado solo se ci sei tu.

«Sono sicura che riuscirai a farmici arrivare». Poi addenta un biscotto. «Bè, se non riesci a diventare consigliere puoi sempre aprire una pasticceria».

«Non li ho fatti io» dice, perché le parole di Temari potrebbero pure sembrare un complimento, ma lui sa che lo sta prendendo in giro. «Li ha fatti mia madre, ovviamente».

«Come sta?» chiede. Non fa nessun accenno a suo padre, ma ci stanno pensando entrambi.

«Rompe i coglioni come al solito».

«Bè…» Temari esita. «È un bene, no?»

«Sì, credo». Non le dice quanto è stata male e quanto spesso pianga ancora adesso, perché non sono fatti suoi e sua madre non vuole farsi vedere nemmeno da lui. Non le dice quanto lui senta la mancanza di suo padre, perché è superfluo. «Mi ha detto che le hai scritto una lettera, dopo che sei tornata dalla guerra».

«Mi sembrava il minimo. Anch’io conoscevo tuo padre, e conosco lei».

«L’ho letta» rivela. Sta guardando verso di lei, ma Temari ha gli occhi fissi davanti a sé. All’improvviso è tutto più silenzioso, e non solo perché hanno lasciato la via principale. «È una bella lettera. Ha pianto tantissimo, ma poi è stata meglio». Sembra che tu abbia saputo consolare più di un Nara, vorrebbe dirgli.

«Bene, sono contenta».

«A dire il vero ci sono rimasto un po’ male che tu non abbia scritto anche a me».

Vede un’ombra passarle negli occhi e la guarda scegliere con cura le parole. Un passo falso in quel momento potrebbe creare problemi che non vuole affrontare. Forse. «Non mi è sembrato che ce ne fosse bisogno».

«No, non ce n’era» sospira.

Cala il silenzio, e improvvisamente il bacio che si sono scambiati è più reale che mai. Non sono più i colleghi-amici-nemici di sempre, sono Shikamaru e Temari che si sono baciati, hanno lasciato in sospeso cose non dette e sono tornati a casa prima di rendersene conto. Sono Shikamaru che è innamorato fino al midollo e Temari che…

Che cos’è, Temari? Che cosa prova nei suoi confronti?

«E Kurenai? Come sta?» gli chiede. Per allontanare il pensiero che occupa la mente di entrambi, probabilmente.

«Bene».

«E il bambino?»

«La bambina. Si chiama Mirai ed è un terremoto».

Temari non trova niente da commentare. Cala di nuovo il silenzio mentre si addentrano in un quartiere residenziale pieno di impalcature, pile di mattoni e sacchi di sabbia. Shikamaru pensa che prima o poi dovrà mettere mano al suo coraggio e tirare in ballo la questione in un momento in cui lei deve per forza starlo a sentire. Non possono fare finta di niente. Lui non può fare finta di niente, non ci riuscirà per sempre. Anche in quel momento pieno di tensione non vorrebbe fare altro che abbracciarla e premere le labbra sulle sue.

Non adesso. Non quando ha tre giorni di cammino alle spalle e pochissima voglia di affrontare l’argomento.

Nemmeno lui ne ha voglia. Ha solo voglia di abbracciarla, e ha paura.

«Ti aspetto da me per le sette e mezza?»

Temari non è a suo agio con quella cosa, Shikamaru lo vede chiaramente. Esita a rispondere, atteggiamento strano rispetto al suo solito ma non così tanto alla luce di ciò che è successo l’ultima volta che si sono visti.

È una specie di tradizione, per loro, cenare insieme la prima sera di Temari a Konoha. All’inizio non era stata una loro iniziativa. La prima volta che lei si era recata al villaggio in veste di ambasciatrice, il ricordo delle selezioni dei chuunin era ancora troppo fresco, ai suoi occhi Shikamaru era un ragazzino petulante, il sentimento era ampiamente ricambiato e nessuno dei due sopportava l'altro, né l'idea di dover lavorare a così stretto contatto per un arco di tempo ben più lungo di quanto sarebbero riusciti a resistere. Ma Temari era l’ambasciatrice di Suna e Shikamaru aveva avuto la colossale sfortuna di essere designato dalla Schiavista come suo accompagnatore, con la gentile richiesta che la portasse fuori a cena per darle il benvenuto che si conviene a un diplomatico straniero in visita ufficiale. Almeno mangio gratis nel ristorante migliore di Konoha, si era ripetuto per tutta la sera. Era comunque tornato a casa pensando che nemmeno dieci cene pagate valessero la seccatura di passare tutto quel tempo con Temari.

A volte si chiede cosa sia successo dopo, come sia stato possibile che fossero diventati così… intimi. Non propriamente amici. E come sia stato possibile che lui si sia innamorato di lei.

«Ci sono anche Choji e Ino, ero già d’accordo per trovarmi con loro» dice.

«E io dovrei passare la serata con la Yamanaka?»

«Non mi sarei organizzato con loro se mi avessi detto che saresti venuta». Questa volta a maggior ragione, vorrebbe aggiungere.

Temari sorride. «Touché. Le sette e mezza va bene». Shikamaru si ferma davanti a quello che crede sia il nuovo complesso per gli ospiti in visita ufficiale. «Ma non starò molto, sono distrutta e voglio solo buttarmi a letto». Si volta verso di lui. Il vento le smuove i capelli, il suo sguardo è limpido, le sue labbra incurvate in un sorriso. «Grazie per avermi accompagnata».

«Inizia a pensare a come sdebitarti».

«Se dovessi essere tu a sdebitarti con me, Nara…» ride.

È così bella quando ride.

Cazzate, è bella sempre.

«Temari».

«Cosa?»

Adesso è lui a esitare. Sa che Temari non ha voglia di parlarne, perché se così non fosse avrebbe preso il toro per le corna con la sua proverbiale delicatezza da elefante, e lui stesso ha paura di affrontare l’argomento. Ma non possono fare finta di niente.

E lei capisce cosa gli sta passando per la mente, perché il suo sorriso si congela e gli occhi guizzano di una certa qual ansia. Shikamaru non crede di averle mai visto addosso un’espressione del genere.

«Ci vediamo dopo».


 
 
La sveglia suona, spietata come un Aburame. O come Ibiki con una spia nemica tra le grinfie. O come sua madre in un momento qualsiasi della giornata. O come un ninja di Suna.

Al quarto paragone, Shikamaru si rende conto di essere sveglio da vari minuti (lo scorrere del tempo la mattina presto è un mistero che nessuno, e di certo non lui, sarà mai in grado di dipanare) e che i suoi pensieri sono pericolosamente vicini a una certa persona che gli procura un sacco di grane e a cui vorrebbe non pensare a quelle ore improbabili.

Vorrebbe.

Si alza lentamente, sbadigliando e stiracchiandosi e sfregandosi gli occhi un numero esagerato di volte ancora prima di aver pescato i vestiti dall’armadio. Non per la prima volta, e sicuramente non per l’ultima, pensa che chiacchierare con Ino e Choji fino alle due di notte è stata un’idea per niente furba. Vero è che avevano argomenti di primaria importanza su cui confrontarsi, riassumibili in problemi-di-cuore seccature secondo la sua visione delle cose e la-tensione-sessuale-tra-te-e-Temari secondo Ino. Chissà come mai gli riesce naturale non pensare agli utili consigli dell’amica mentre si lava la faccia, ma quando prova a riservare lo stesso trattamento ai pensieri su Temari non ha il minimo successo.

Ieri sera Temari è arrivata a casa sua puntuale come gli strilli di Mirai alle ore dei pasti, ha chiacchierato amabilmente con sua madre (il che è molto preoccupante sotto molti punti di vista) facendo finta che lui, Choji e Ino non ci fossero (probabilmente per evitare che quest’ultima attaccasse bottone), gli si è seduta davanti e, stando a quello che i suoi amici gli hanno riferito più tardi sorseggiando birra di nascosto e senza orecchie indiscrete ad ascoltare, non gli aveva staccato gli occhi di dosso per tutta la cena. Cosa assolutamente ricambiata, aveva anche aggiunto Ino con un ghigno che lo aveva fatto rabbrividire.

Senza dubbio è vero, pensa indossando i pantaloncini. Però cosa significhi è un mistero.

In ogni caso è troppo presto e la giornata davanti a lui è fin troppo piena di impegni per aver voglia di rimuginare sulla cosa. Anche perché la sua opinione a riguardo conta probabilmente meno di zero nella realtà delle cose.

Come al solito, a quell’innominabile ora del mattino Konoha è poco più che appena sveglia. Il sole è relativamente basso a est, le ombre sono lunghe, la temperatura è ancora sopportabile. Iniziando a corricchiare verso il campo di allenamento, Shikamaru pensa che sarebbe stato molto meglio nascere più a nord, ma non troppo, dalle parti di Iwa per intenderci, in modo da risparmiarsi il caldo estivo. Magari non in una delle Grandi Terre Ninja. E in una città di civili e non di soldati. Sarebbe stato bellissimo: avrebbe avuto una vita tranquilla, avrebbe sposato una donna né bella né brutta, avrebbe avuto due figli, prima una femminuccia e poi un maschietto. E invece è nato in un cazzo di villaggio ninja e per giunta in una delle più antiche famiglie di combattenti. Gli è toccato nascere a Konoha, crescere a suon di sudore e sangue (letteralmente), finire incastrato a lavorare per tutta la vita a stretto contatto con una delle persone più seccanti che abbiano mai camminato sulla faccia della Terra e doversi pure alzare tutti i giorni a orari indecenti per allenarsi.

E, come se non bastasse, trovare il campo di allenamento già occupato.

Temari indossa pantaloncini, canottiera e scarpe da ginnastica ed è coperta di sudore. Come faccia a essere così sudata a) quando il sole è ancora basso, b) quando la giornata deve ancora iniziare e c) pur essendo abituata alla vita in un deserto infernale è un mistero. Ma non sono questi i primi pensieri che passano per la testa di Shikamaru quando vede la sua pelle nuda. La guarda da lontano per vari secondi prima che si accorga di lui e si blocchi a metà di una serie di flessioni. «Che cosa ci fai qui?» gli domanda sgranando gli occhi dalla sorpresa.

«Buongiorno anche a te» gracchia lui con la voce ancora impastata dal sonno. «La stessa cosa che fai tu, immagino».

«Sono sorpresa da cotanta voglia di fare».

Shikamaru non replica. Non ha né la voglia né l’intenzione di pensare a una risposta. I suoi piani non prevedevano di aprire bocca prima delle otto, soprattutto per parlare con la seccatura incarnata. Le si avvicina e dedica un paio di minuti allo stretching, prima di iniziare gli esercizi. Non la guarda, non ne ha bisogno per sentire la sua presenza e il suo sguardo fisso su di lui.

«Che ora avete tirato stanotte?»

«Le due».

«Sono sempre più sorpresa della tua levataccia».

«Sei tu che pensi che io sia uno sfaticato».

«Non lo sei?»

Sbadiglia senza preoccuparsi di coprirsi la bocca. Lei lo guarda con disapprovazione. «Sì, lo sono».

«Allora vedi che ho ragione, come al solito».

Temari comincia una nuova serie di flessioni. Si chiede se si lascerebbe guardare, in caso lui alzasse la testa. Potrebbe essere un modo per indurla ad affrontare l’argomento tensione-sessuale-tra-me-e-Temari, altresì detto (a ragione) seccature. Ma il rischio che finisca male è troppo alto. Ci sono molte probabilità che porti più seccature di quelle che vale. «Sei quasi più sottotono del solito».

«È un periodo estremamente stressante».

«Sì, immagino» commenta lei, senza nemmeno provare a nascondere lo scetticismo. «Come l’ultima volta che ci siamo visti, e quella prima, e quella prima ancora».

Sfacciata, pensa Shikamaru. Nominare così l’ultima volta che ci siamo visti senza neanche battere ciglio.

Forse è lui che ne è ossessionato. Non potrebbe essere altrimenti, però. Ed è un fottutissimo problema.

«Questa volta è davvero stressante». Rotola su se stesso, incurante della polvere che gli sporca i vestiti, e inizia a contare mentalmente le flessioni. «Devo studiare un sacco di cose noiose, fare da baby sitter a Naruto, seguire Ibiki come un’ombra dappertutto tranne che alle carceri, grazie agli dèi, fare la mia parte nella ricostruzione del villaggio e vivere con mia madre». Dalla posizione in cui si trova potrebbe fissare Temari dritta negli occhi, ma non alza lo sguardo dalla terra sotto di lui. «Se non avessi iniziato a lavorare a crittologia, probabilmente mi sarei già dato alla macchia».

«Crittologia?»

«Sì».

«Non sapevo che avessi iniziato a lavorare lì. Ti piace?»

«È meglio di tutti gli altri incarichi che ho avuto finora».

«Sembra una noia mortale».

Shikamaru non replica. Dopo la ventesima flessione rimane giù e conta i secondi di recupero. Sente Temari mettersi a sedere davanti a lui. «Mi sa che mi toccherà sopportarti parecchio, queste due settimane». Ma magari. Non chiede altro che passare con lei più tempo possibile. Anche se probabilmente si pentirebbe di averlo desiderato dopo un’ora al massimo. «Morino dovrà presenziare alle negoziazioni». Pensa, non per la prima volta, a quanto sia strano che cenino e si allenino insieme poche ore prima di sedere ai lati opposti di un tavolo diplomatico. Pensa che in passato ha avuto a che fare con parecchi ambasciatori, e Temari è l’unica con cui parla anche al di fuori del lavoro. E ci parla anche troppo, a dirla tutta. «Come dicevo ieri, sempre tra i piedi, Nara».

«Non lamentarti» dice cominciando la seconda serie, «potrebbe andarti molto peggio».

«Non dire a me di non lamentarmi».

«Com’è che ogni volta che ti vedo sei sempre più seccante?»

Temari esita. Shikamaru crede di sapere che tipo di pensieri le stanno attraversando la mente. Perché mi hai baciato se sono così seccante?. Sa anche che non ne vuole parlare. Sa che probabilmente conosce già la risposta.

«Devi fare le addominali?» le chiede, alzando finalmente gli occhi verso di lei. Lo sta guardando, ovviamente; ha continuato a guardarlo per tutto il tempo, e non è contenta che lui l’abbia colta in flagrante. Gli riesce difficile non far scorrere lo sguardo sulle gambe nude e sul seno.

«Sì».

«Possiamo farle insieme, se vuoi».

«D’accordo». Gli si avvicina, incastra i piedi ai suoi. Ieri si sono abbracciati, ma per qualche strano motivo quel contatto gli sembra appena meno intimo di quello tra le loro labbra. «Tre serie da trenta».

«Schiavista peggio di Tsunade» le dice.

«Adesso non esagerare». Gli sorride prima di spingersi all’indietro con le mani dietro la testa, e Shikamaru, manco a dirlo, sente attorcigliarsi le viscere. «Uno». Lui sbuffa e si lascia cadere. «Due, e sei già indietro».

«Non seccare». Incrocia il suo sguardo per un attimo prima che il volto scompaia dietro le sue ginocchia, e lo sta ancora prendendo in giro solamente guardandolo.

«Tre».

E poi, al «Dodici», si trovano faccia a faccia, occhi negli occhi, i volti vicini. Di colpo, tutto quello che c’è tra loro è più tangibile che mai. Temari non si lascia cadere nella tredicesima ripetizione, figurarsi lui. Potrebbe chinarsi qualche centimetro in più e posare le labbra sulle sue. Sarebbe così facile, da un punto di vista puramente logistico. Sotto tutti gli altri punti di vista, gli sembra che non ci sia niente di più difficile.

«Tred…»

«Cosa mi stavi per dire prima che Akatsuchi entrasse in quella tenda?»

Esita. I suoi occhi sono enormi in quel momento. La fronte è imperlata di sudore e lei è più rigida che mai. «Come faccio a ricordarmi, Nara?»

«Non ci credo che non te lo ricordi».

«Sono passati sei mesi».

«Io mi ricordo quello che avrei voluto dirti». Lo sguardo di Temari lo trapassa da parte a parte. È sempre più vicina. No, io sono sempre più vicino, si corregge. Vorrebbe solo stringerla a sé. Vorrebbe protendersi un po’ di più e baciarla. Si chiede come reagirebbe se lo facesse. Risponderebbe come ha fatto sei mesi prima? Gli tirerebbe un calcio nelle palle?

«Niente di intelligente o umile, probabilmente».

«Questo è poco ma sicuro». Innamorarsi di lei non è stata una mossa né intelligente né umile. Nemmeno baciarla lo sarebbe, ma davvero non pensa ad altro mentre lei gli prende una mano e gli si avvicina ancora di più. Completamente irrazionale. «Non vuoi sapere cos'avrei voluto dirti?»

«Non credo che sarebbe una buona idea».

Non si stanno più guardando negli occhi. La fronte di Temari è appoggiata alla sua e lui fissa le sue labbra che si muovono. Gli respira addosso mentre i loro visi si sfiorano. Quello che hai detto non ha senso, pensa portandole la mano libera alla nuca. Puoi ripeterlo quanto vuoi, ma ogni parte di te sta urlando l’opposto.

«Nara, non…»

«Lo sai già cos’avrei voluto dirti, e ti va bene».

La bacia, e lei è lì che lo aspetta a labbra aperte e cuore in mano. La parte razionale della sua mente sente che c’è qualcosa che non va, ma l’altra, quella che lo fa pensare a lei mentre dovrebbe ascoltare Ibiki e che fa sobbalzare il suo cuore ogni volta che sente la parola “Suna”, non riesce a pensare ad altro che non sia il corpo di Temari così vicino al suo, le loro bocche che si toccano, quanto ama quella dannata, spietata, ruvida, pungente donna che per cinque anni non ha fatto altro che prenderlo in giro e salvargli la vita, più di una volta e in più di un modo. La bacia e si sente morire da come Temari lo bacia a sua volta, da quanto cerca di farglisi vicino e da cosa significa tutto ciò. E poi non pensa più a niente e non sente più niente per quelli che sembrano giorni interi trascorsi in un battito di ciglia.

«Non dovremmo, Shikamaru».

«Forse no» dice respirando forte.

«Non possiamo».

Allontana il volto dal suo e la guarda negli occhi. Sta male da quante sensazioni e sentimenti lo attraversano quando ci si specchia. «Perché no?»

«Siamo di due Paesi diversi».

«Importa davvero?»

«Io ho degli obblighi nei confronti di Suna e tu ce li hai nei confronti di Konoha».

«Non riguardavano le… le persone amate, l’ultima volta che ho controllato».

«Potremmo essere nemici».

È con quella frase, con quell’immane cazzata che Shikamaru inizia a sentirsi male sul serio, e non perché è innamorato di lei fino al midollo e l’ha appena baciata.

«Non abbiamo mai fatto altro che litigare». Non lo guarda negli occhi. Ha anche allentato la presa sulla sua mano. «Soffriremmo e basta».

Non sa cosa rispondere. Si sente intontito, come se qualcuno lo avesse colpito in testa. Tutto intorno a lui gira e le gambe di Temari sono ancora contro le sue, ma lei non è mai stata così lontana, dopo nemmeno un minuto dopo essere stata più vicina di quanto abbia mai osato sognare.

«Scusami, Shikamaru». La guarda in viso mentre si alza, sudata, scarmigliata, con gli occhi bassi. «Non avrei dovuto».

«Perché non mi hai spinto via, allora?» le chiede mentre qualcosa dalle parti del cuore sanguina come una ferita da katana.

«Ci vediamo in giro». Temari gli volta le spalle e attraversa il campo di allenamento quasi correndo. Il cuore di Shikamaru martella contro la cassa toracica mentre la guarda scomparire dalla sua vista, e le sue parti razionale e irrazionale gli dicono la stessa cosa. Che fa malissimo come ha sempre sospettato che sarebbe successo.

 
Realized I can’t not be with you or be just your friend
I love you to death but I just can’t, I just can’t pretend
We were lovers first, confidants but never friends
Were we ever friends?
Fall Out Boy – HOLD ME TIGHT OR DON’T
 
 
 
Note:
* Informazione superflua di cui probabilmente non vi frega nulla: qualche giorno fa ho scoperto per caso che il doppiatore giapponese di Shikamaru si chiama Shotaro. Coincidenze? Io non credo.
** Frase liberamente ispirata a Drops Of Jupiter dei Train. Spero che suoni meno cringe di quanto non faccia nella mia testa.
 
Salve a tutti, bella gente!
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e vi abbia spezzato il cuore, muahahaha! È parecchio lungo, lo so, ma mi piaceva l’idea di descrivere la situazione dopo la guerra per aggiungere dettagli alla storia e alla caratterizzazione di Shikamaru. E mi serviva un pretesto per sparare a zero su Sasuke en passant (lo odio, non c’è niente da fare).
Ultimissimissima informazione: diversamente da quanto avevo in programma, ho deciso di unire gli ultimi due capitoli. Ergo, la storia si concluderà con la Parte 3, che pubblicherò sabato prossimo.
Statemi bene!
Airborne

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Capitolo 3
*** Parte 3 ***


Parte 3: OneRepublic – Let’s Hurt Tonight
 

La vede un paio d'ore dopo, di sfuggita in un corridoio del palazzo, e di nuovo quel pomeriggio, in una stanza luminosa con un tavolo al centro e vari pezzi grossi seduti intorno. Temari non lo guarda neanche una volta mentre s’impunta su ogni singolo articolo di un fottutissimo accordo internazionale di cui lui non capisce un accidente, non perché sia troppo complicato, con somma irritazione di Ibiki che se ne accorge dopo due minuti e passa i restanti centodiciotto a pensare a come fargli pagare tutta quella disattenzione. Sa che si meriterà i provvedimenti e non gliene frega niente. Quando esce dal palazzo punta dritto a casa di Choji, ponderando di passare in tabaccheria ma cambiando subito idea al pensiero di sua madre che gli sbraita addosso per la puzza di fumo e lo ricatta per fargli passare il vizio in mezza giornata, non come “l’altra volta” che ci ha messo una settimana. L’ultima cosa di cui ha bisogno quel giorno sono le seccature evitabili. Saluta gli Akimichi, si sdraia sul tetto e non dice una parola fino a quando Choji non gli tira fuori tutta la storia con la stessa agilità con cui l’Akatsuki ha estratto i bijuu dalle loro forze portanti. Se ne va all’ora di cena, consapevole che Ino sarà al corrente di tutto prima che lui infili le chiavi nella serratura del cancello di casa. Mangia, dà la buonanotte a sua madre e si butta a letto con la stessa espressione contratta che ha messo su quando ha visto Temari scomparire tra gli alberi attorno al campo di allenamento.

Non riesce a capire se è più arrabbiato o confuso. L’unica cosa che sa è che fa un male cane. Perché cazzo ha ricambiato il suo bacio se a detta sua non ha mai avuto intenzione di assecondarlo? Perché gli ha detto tutte quelle cazzate senza capo né coda sull’essere di villaggi diversi? (Sono tutte domande retoriche, perché sa benissimo qual è il motivo, e dovrebbe sembrargli la cosa più strana del mondo ma la conosce, cazzo, la conosce meglio di chiunque altro esclusi i suoi fratelli e perciò non ne è sorpreso). E perché il suo dannato cervello non vuole saperne di pensare ad altro? Gli andrebbe bene qualsiasi cosa pur di non pensare a lei e a ciò che è successo quella mattina.

Il giorno seguente è uguale, con la differenza che non va da Choji e non sente il bisogno di spaccare qualcosa in mille pezzi. Il terzo giorno Ino riesce ad accalappiarlo, e sono dolori. Insulta prima Temari, poi lui, e alla fine gli dice che se non fa qualcosa lo rimpiangerà tutta la vita. Grazie al cazzo, le risponde Shikamaru. Devi tirare fuori le palle, smetterla di adagiarti sugli allori e conquistarla, lo ignora lei. È questo che vogliamo noi donne. Sarà, ma non gli sembra che Naruto abbia dovuto impegnarsi così tanto per conquistare Hinata. Semplicemente, Ino è più simile a Temari di quanto ammetterà mai e sono due assolute, colossali, stramaledettissime seccature. E non gli sembra affatto che Temari voglia essere conquistata. È stata molto chiara nel mettere un muro tra loro. Lui strangola nemici e uccide immortali, ma muri non ne ha mai abbattuti.

E tuttavia sa, per quanto sia amareggiato, che Temari non può uscire dalla sua vita. Che lui non può lasciare che accada.

Non sono giorni facili quelli che seguono. Il lavoro è più stressante che mai, lui palesemente non sta bene e Ibiki se ne frega, vede Temari tutti i santi giorni e a malapena si salutano. Pensa, a volte, che sarebbe disposto a non baciarla più per il resto della vita se almeno lei gli rivolgesse la parola. Forse. Non è mai successo prima che non passassero del tempo insieme, anche troppo tempo visto che le giornate finivano a insulti una volta sì e una no, durante le sue missioni diplomatiche a Konoha. E non è certo per i baci che si è innamorato di lei, al contrario di quello che dice Ino. Forse dovrebbe “darsi una svegliata” e “fare di tutto per togliersela dalla testa”, perché “queste sono precisamente le cotte che ti rimangono piantate nel cuore tutta la vita, Shika, e tu non vuoi vivere con un peso del genere. Io di sicuro non voglio passare la mia esistenza a raccogliere i cocci che quella là ha rotto”. E non ha tutti i torti. La parte razionale del suo cervello è assolutamente convinta e decisa a risparmiarsi tutto quel dolore, ma, come ha già dato prova nei giorni precedenti, lui non è tutto razionalità come la gente crede. Anzi.

«Mi dispiace, questo proprio non è possibile».

Sono le due del pomeriggio, fa un gran caldo e lui vorrebbe solo dormire. Un pisolino veloce, una ventina di minuti, abbandonare la testa sul tavolo e dormire. Dopo lavorerebbe molto meglio. La prima cosa che consiglierà a Naruto quando diventerà il suo consigliere sarà di istituire la pausa pisolino. Sarà divertentissimo vedere l’espressione di Temari alla sua prima visita diplomatica dopo la loro nomina. Può già sentire le sue proteste indignate.

Poi si rende conto che non ha bisogno di immaginarle, le proteste di Temari, perché ne sta facendo varie in quel momento.

«Le derrate dal Paese del Fuoco sono fondamentali per Suna. Non potete bloccarle ora, soprattutto non dopo tutti gli aiuti economici che vi stiamo dando per la ricostruzione».

«Appunto perché la nostra situazione attuale è nota ci stupisce che chiediate un aumento così cospicuo delle forniture».

«Anche noi abbiamo avuto le nostre perdite a causa della guerra, e lo vedete anche da voi che quest’anno le condizioni ambientali non sono clementi».

«Sì, ma rimane il fatto che non abbiamo una disponibilità di derrate sufficiente a darvene così tante».

«Konoha non ha la disponibilità sufficiente?» sbotta Temari. Shikamaru sapeva che sarebbe successo. Lo ha visto trenta secondi prima dal modo in cui la sua mascella si è contratta.

Temari lo guarda negli occhi per un istante, poi si affretta a riportare la sua attenzione su Ibiki. È l’ennesima ripetizione di un gesto avvenuto fin troppe volte negli ultimi giorni. Lui quasi non fa altro che fissarla, durante quegli incontri, mentre lei si sforza di non farlo ma non ci riesce completamente. Forse è quello, più di ogni altra cosa, che stuzzica il lato irrazionale del suo cervello. Che Temari, in fondo a una parte di sé a cui non vuole dare ascolto, provi qualcosa nei suoi confronti. Non necessariamente dei sentimenti positivi, ma qualcosa che le impedisce di allontanarsi da lui come dice di volere.

«Nonostante l’assassinio del Terzo Hokage» dice Ibiki, e Shikamaru può vedere sul volto di Temari lo sforzo fisico per non guardarlo, perché è un argomento di cui hanno discusso spesso in passato, mentre buttavano le basi per un rapporto fondato su mezzi insulti e mezzi sorrisi, «Suna si è dimostrata un alleato fondamentale per…»

«Un alleato? Sareste ancora in ginocchio se non fosse per…»

Shikamaru sgrana gli occhi. Cosa cazzo stai facendo, Tem?

Ibiki, nota, le impedisce di proseguire il discorso per il bene di entrambe le parti. «… un alleato fondamentale per Konoha, ed è nell’interesse di entrambi i villaggi e Paesi mantenere questa alleanza e aiutarsi per quanto possibile. Ma le derrate che ci state chiedendo sono la metà di quelle che produciamo al momento, e non possiamo permetterci di darvele».

«Il Paese del Vento è un deserto

Al che Shikamaru capisce che è arrivato il momento di evitare un disastro. «Facciamo una pausa» sussurra a Ibiki, che annuisce e dice a Temari, in un magistrale giro di parole cortesi e ben mirate, di andare a rinfrescarsi le idee visto che ne ha un bisogno impellente. È tranquillo, con la sua solita espressione di chi sa di avere il mondo in mano e poter fare in modo che le cose vadano a suo piacimento e si pieghino a servire le sue necessità, ma la stessa cosa non si può dire degli altri rappresentati di Konoha. Come biasimarli dopo una scenata del genere, pensa Shikamaru. Poi si chiede perché ha ritenuto necessario impedire a Temari di combinare un disastro, visto che, tecnicamente, le condizioni in cui Suna uscirà da quelle trattative non sono affar suo, le ragioni di Ibiki sono più che legittime ed è pure pagato troppo poco e sottoposto a troppo stress per preoccuparsi degli altri Paesi. Si risponde anche, ovviamente, mentre segue con gli occhi Temari che attraversa la stanza a passo di carica e con notevole sforzo riesce a non sbattersi la porta alle spalle. E la segue.

La raggiunge sulla terrazza di metà corridoio, un posto ancora più caldo, se possibile, della sala dei negoziati. Temari gli dà le spalle, ma sa che lo ha sentito. «Cosa succede?» le chiede, fermo qualche passo dietro di lei, indeciso se avanzare e temendo per la propria incolumità.

«Morino è un idiota».

Shikamaru aspetta pazientemente che elabori su quella sua convinzione, rendendosi conto che Temari ha una strana e potenzialmente pericolosa tendenza a chiamare “idiota” le tre persone più intelligenti di Konoha, e se nel suo caso non c’è da preoccuparsi, lo stesso non si può dire per l’Hokage e il suo consigliere.

«Non è usanza insegnare i fondamenti della geografia ai bambini dell’Accademia, qui?»

Così come apparentemente a Suna non è usanza insegnare la logica vorrebbe risponderle, ma decide che è meglio di no. A lui l’hanno insegnata, la logica, e una frase del genere andrebbe contro tutto ciò che ha imparato. «Anche noi abbiamo le nostre ragioni. La guerra ha colpito soprattutto Konoha».

«Noi viviamo in un cazzo di deserto, Nara!» sbotta.

Shikamaru sospira. «Lo accetti un consiglio?»

«Non da un consigliere di Konoha durante un negoziato con Konoha».

Gli sta ancora dando le spalle. È appoggiata al parapetto con tutto il suo peso e Shikamaru sa che si sta conficcando le unghie nei palmi dal nervoso. Non ne conosce il motivo e non è per niente sicuro che glielo rivelerà. Poi decide di mettere in gioco la propria vita come si confà a un ninja, sospira di nuovo e si porta accanto a lei, guardandola dall'alto verso il basso, non ricambiato. «Da me lo accetti?»

«Non sprecare fiato per dirmi di stare calma».

«Che cos’hai, Tem?»

«Niente, cosa dovrei avere?»

«È quello che ti ho chiesto. E non dirmi che va tutto bene, perché lo so che non è vero».

Temari non risponde. Per qualche strano motivo non è mai stata così impenetrabile. Passa in rassegna le ragioni per cui potrebbe essere così nervosa (Ibiki è un idiota, Suna è messa veramente male, lui), ma nessuna gli sembra veramente plausibile.

«Sai sempre tutto, tu» dice Temari alla fine. Sembra più calma. «Hai idea di quanto sia irritante?»

«Non avrebbe senso preoccuparmene, non credi?»

«Certo che no, se sei egocentrico».

Altra cosa di cui non si è mai preoccupato.

«Me ne stanno succedendo di ogni, in questi giorni. Suna in ginocchio, Gaara che mi manda in questo dannato villaggio con mezza giornata di preavviso, l'Hokage che mi schiavizza, tutte queste noiosissime menate dei negoziati internazionali, Kankuro che si mette continuamente nei guai, tu che...» S'interrompe di colpo, mordendosi il labbro per l'irritazione. Shikamaru pensa che se si azzardasse a parlare si ritroverebbe sfracellato quattro piani più in basso senza nemmeno rendersene conto. «È dalla fine della guerra che non mi fermo un attimo» spiega dopo qualche secondo di silenzio. «E in questo momento ho le vite di due popoli sulle spalle e me le devo gestire con Morino, non so se mi spiego». Decisamente no. Ibiki è il miglior diplomatico in cui Konoha poteva sperare, e anche Suna visto il modo in cui sta conducendo quel negoziato. «Odio quando Gaara mi dà incarichi diplomatici. Sono noiosi e non vanno mai a finire come voglio io. Non è per niente facile» si corregge poi.

«Me ne sono accorto».

«Tu però sarai molto migliore di me» sospira dopo qualche secondo.

Per quante volte l’abbia vista scoraggiata (più di quelle che ci si aspetterebbe e imperdonabilmente troppe dal punto di vista di Temari), gli fa sempre un certo effetto assistere ai suoi due minuti di vulnerabilità. Ancora più impressionante è che si faccia vedere così da lui. Vorrebbe solo abbracciarla, più del solito.

«Non impuntarti» le dice, anche se gli ha espressamente vietato di darle consigli. «Trova un punto d’incontro con Ibiki, stasera non rimuginare sul lavoro e vedrai che domani andrà meglio».

«Grazie, non ci sarei davvero arrivata se non me l’avessi detto tu».

«E non essere così passivo-aggressiva».

«Ti avverto, Nara» lo minaccia, e i loro occhi si incontrano davvero per la prima volta dopo giorni.

«A volte uno ha bisogno di sentirsi dire cose che sa già».

Le iridi di Temari sono più chiare che mai nella luce del sole, e loro sono i due ragazzini che hanno scoperto di capirsi al volo dopo aver combattuto da alleati e non da avversari. Temari lo ringrazia con gli occhi, perché parole per farlo non ne ha mai avute.

«Pensati quando ci sarò io, al posto di Ibiki, con te dall’altra parte del tavolo». Nel momento in cui lo dice si rende conto che potrebbe essere un motivo sensato perché loro rimangano sempre nei rapporti in cui sono adesso, e lo capisce anche Temari.

«Dirò a Gaara di mandare qualcun altro al posto mio».

«Mai sentito idea più stupida».

«Detto da te è grave».

«Non ti hanno insegnato che non è educato insultare la gente?»

«Certo, ma dire le cose come stanno lo è».

Shikamaru non rilancia. Si guardano a lungo, senza parlare e dicendosi tutto. Grazie, prego, senza di te sarei persa in questo villaggio di cretini, idem, ti voglio bene, ti amo.

«Rientriamo, prima che i tuoi compaesani vadano fuori di testa».

Suna è palesemente carente nel reparto educazione-al-vivere-civile.


 
 
In questo modo, il Secondo Mizukage riuscì efficacemente ad accerchiare le truppe mercenarie del Paese del Fulmine, tagliando loro tutte le vie di fuga e costringendole alla resa. Il daimyo del Paese del Fulmine e il Secondo Raikage capitolarono e il Paese dell’Acqua ebbe da quel momento il controllo sulla maggior parte delle acque territoriali contese fino a quel momento.

Non riesce a trattenere uno sbadiglio. Lascia cadere il braccio sul letto, sposta un po’ le gambe, fissa il soffitto ben sapendo che gli ci vorranno almeno cinque minuti per convincersi di riprendere lo studio, anche se non se li potrebbe permettere. Ma è davvero troppo stanco, fa davvero troppo caldo e una zanzara gli ronza nell’orecchio. Per un momento prende in considerazione l’idea di andare alla finestra per sentire un po’ di aria “fresca” sulla faccia, ma dovrebbe alzarsi dal letto e ciò lo fa desistere. Pensa anche che varrebbe la pena riprendere in mano il jutsu di teletrasporto del Quarto Hokage e perfezionarlo. Sarebbe decisamente un gran miglioramento nella sua vita.

La zanzara continua a ronzargli nell’orecchio, lui continua a fissare il soffitto e le cose che dovrebbe studiare continuano a non essere studiate.

È davvero incredibile come la mente umana odi il non fare niente, salvo poi ritenerlo la cosa migliore al mondo quando l’alternativa è lavorare.

«Shikamaru!» L’urlo belluino di sua madre risuona per il corridoio.

Lui sbuffa giusto un secondo prima che la sua figura si stagli sullo stipite della porta. «Cosa c’è?»

«Di là c’è Temari che chiede di te».

Shikamaru stringe gli occhi mentre un brivido gli scorre lungo la schiena al nome di Temari. Che cosa ci fa a casa sua alle nove e mezza di sera dopo giorni che a malapena gli rivolge la parola?

Oddio, una mezza idea ce l’ha, ma a quel punto gli sembra troppo bello per essere vero. Spera solo che non sia lì per avvertirlo di una missione urgente.

Piega l’angolo della pagina a cui è arrivato e chiude il libro senza prendersi la briga di posarlo sul comodino o, eresia, sulla scrivania dall’altro lato della stanza. Si infila la maglietta che usa come pigiama ed esce strascicando i piedi.

Temari è, ovviamente, intenta a scorrere lo sguardo sui libri di suo padre e sta morendo internamente per scegliere quale chiedergli in prestito. Non ha con sé il ventaglio e indossa una tutina a fiori smanicata e molto corta. «Ciao, Tem».

Lei aspetta un paio di istanti prima di girarsi, per mettere in chiaro che non l’ha presa di sorpresa come pensa che lui avrebbe voluto fare. O forse solo perché stava finendo di soppesare i libri. «Buonasera». Gli sorride; non uno dei suoi sorrisi migliori, ma comunque più di quanto Shikamaru potesse auspicare.

«Ti vedo più rilassata». Hai seguito i miei consigli.

«Sì». Li ho seguiti.

«Qual buon vento ti porta qui?»

Temari coglie l’allusione, ma non lo prende in giro come si aspettava. Distoglie lo sguardo, quasi, e si stringe le mani una nell’altra. «Ti va di fare due passi?»

Tradotto: dobbiamo parlare e non voglio che tua madre ci senta.

Shikamaru si riveste, dice a sua madre che esce e si sente rispondere di tornare entro mezzanotte.

«Ma sarà mai possibile essere un veterano di guerra e avere il coprifuoco?» borbotta chiudendosi il cancello alle spalle. Normalmente non sottolineerebbe questo dettaglio con Temari, ma c’è un gran bisogno di alleggerire l’atmosfera che li circonda da tre giorni.

«Ragazzino eri e ragazzino sei rimasto».

«Non lo pensi. So che non lo pensi».

«No, ma questa storia del coprifuoco te la rinfaccerò finché campo».

«Che seccatura, cazzo».

«E sei troppo piccolo per dire le parolacce».

La guarda male, ma Temari sta ridacchiando. Non ha nessuna intenzione di farsi prendere in giro solo per vederla ridere, ma in quel momento è un sollievo. «Stiamo andando in un posto in particolare?»

«No, solo una passeggiata».

Previsto come una giornata rovente a Suna, cala il silenzio.

La luna è alta nel cielo, non un filo d’aria attraversa il cantiere che è Konoha, l’afa gli si appiccica addosso su ogni centimetro di pelle scoperto. Temari gli cammina accanto facendosi strada tra le vie che lui stesso le ha fatto conoscere, eppure diverse da prima. Tutto è diverso da quando Pain ha raso al suolo il villaggio. Da quando Asuma è morto.

Shikamaru scaccia via quei pensieri. Da quando è tornato dalla guerra, certe cose gli vengono in mente un po’ troppo spesso per i suoi gusti. Ma in quel momento non vuole pensare alla guerra, ad Asuma o a suo padre. Non vuole altro a occupargli la mente che non sia Temari, la seccante, problematica, immensa Temari, e le cose che devono sistemare. Crede, spera, che quella sera sia meno propensa ad aggredirlo con tutta la sua furia. È accanto a lui, ci sono solo una decina di centimetri tra i loro polsi, e lo sanno entrambi anche se guardano fisso davanti a loro.

«Volevo ringraziarti per oggi» dice infine Temari, e la frase le esce più veloce di quanto dovrebbe.

«Non ho fatto niente, io» mente.

«Il negoziato sarebbe finito male senza il tuo zampino» replica. «E la finta modestia mi manda fuori di testa, lo sai».

«Allora ho salvato Konoha e Suna dall’Apocalisse, se proprio vuoi sentirmelo dire».

«Adesso non allargarti troppo, ne hai di strada da fare prima di salvare le persone con le parole» ridacchia.

«Ma sarò comunque più bravo di te».

«Qualche primato dovrò pure lasciartelo. Fra cent’anni».

«La solita megalomane».

«Giù le orecchie, ragazzino».

Ma sta sorridendo, Temari, e allora sorride anche lui facendo vagare lo sguardo tra le stelle. «Non me la darai mai vinta, eh, Tem?»

«Mai». E il suo sorriso di scherno si allarga, e lui sente il bisogno fisico di abbracciarla, perché non l'ha mai vista rivolgere quello sguardo a nessun altro. «E mi volevo scusare per l'altra mattina» cambia discorso all'improvviso, arrossendo ma senza distogliere lo sguardo, prendendolo in contropiede come sempre. «Ho un po' esagerato, forse».

Shikamaru si chiede se si stia scusando per averlo baciato anche se "non avrebbe dovuto" o per essersene andata via in quel modo e averlo evitato per tutti quei giorni. E se domandarglielo sia una buona idea.

«Non c'è niente di cui ti devi scusare» dice invece.

«Non avrei dovuto piantarti lì come un tizio qualunque. Ma», e quella parolina spazza via la strana sensazione di calore e speranza che lo ha preso per un attimo, «è vero che non possiamo. Sia perché siamo di due villaggi diversi, sia perché ogni volta che ti vedo ti spaccherei la testa».

«Non venirmi a dire queste cazzate, Tem».

È tranquillo. È molto più tranquillo di quanto si sarebbe aspettato di essere in una situazione del genere. Temari, invece, non lo è.

«Cosa c’è, non credi che ogni tanto ti spaccherei la testa?»

«Non venirmi a dire che non possiamo… Che non possiamo perché siamo di villaggi diversi» dice, fermandosi in mezzo alla strada. Lei si ferma a sua volta, e lo guarda dritto negli occhi. No, non è tranquilla, per niente. «Lo sai anche tu che sono tutte cazzate».

«Non è vero» borbotta, e abbassa lo sguardo. «Siamo soldati, gli interessi dei nostri villaggi…»

«Lascia perdere tutte queste storie» Non nasconderti dietro a tutte queste storie, vorrebbe dirle. «Lo sai anche tu che non valgono niente, in confronto a…», e qui pensa che le prossime parole potrebbero ucciderlo e non ci sarebbe niente da stupirsi, «... a quello che c'è tra noi».

Temari lo fissa spiazzata. Non sembra molto in grado di parlare, così Shikamaru continua. Si sente implodere, ma non avrà mai più un'occasione migliore di quella. Vada come vada, pensa il lato razionale del suo cervello, ha ragione Ino, non posso vivere tutta la mia vita con questa cosa piantata nel cuore. «Io ti voglio un bene dell'anima, Tem. E credo di essere innamorato di te. Sono parecchio sicuro, in realtà».

Ecco, lo ha detto. Ora può pure andare a sotterrarsi. O meglio, dirle che aspetti almeno che si sia scavato la fossa in un posto decente prima che lo mandi al creatore con un metodo di sua scelta.

«E... posso capire se... se vuoi che le cose rimangano così. Credo. Ma non puoi negare che non siamo propriamente colleghi di lavoro e basta. Non puoi nasconderti dietro a queste cazzate».

Temari abbassa lo sguardo a terra, e Shikamaru sa di aver colpito nel segno. Lo sapeva ancora prima di aprire bocca, se è per questo. Lui sa sempre tutto. «Sei il solito gradasso, Nara». Lo aggredisce con le parole, ovviamente. Non si aspettava niente di diverso.

Oh, bè, già che ha fatto trenta, non vede perché non dovrebbe fare anche trentuno.

«E tu hai paura».

La reazione non si fa attendere. Temari rialza lo sguardo di scatto, irritata, quasi arrabbiata. La cara vecchia Temari come si mostra a tutti quanti e in ogni situazione, che lui ha conosciuto alla terza prova delle selezioni dei chuunin molto prima di conoscere quella che protegge gli altri, che sorride, che mostra il proprio cuore di sua spontanea volontà. «Io avrei paura

Sei terrorizzata, pensa, ma lo tiene per sé. Invece le si avvicina; lei trasalisce, ma non si sposta di un centimetro, nemmeno quando le prende il polso. Rabbrividisce nel sentire la sua pelle sotto le dita. «Anch'io ce l'ho» le sussurra, «perché sei una dannatissima cartabomba sul punto di esplodere in ogni momento. Ma non riesco a starti lontano». Avvicina il volto al suo, la guarda da sotto le palpebre semichiuse. La vuole baciare, dèi, ma non lo fa. Deve essere lei, a farlo. Deve essere lei, e poi potrà morire felice (per mano sua, probabilmente). «E tu non riesci a stare lontana da me». E se non lo farà morirà lo stesso, crede.

«Non ho parole per descrivere quanto sei sfrontato» gli dice. Sotto le dita, i suoi muscoli si contraggono. È nervosa, è nervosa. Ma, come volevasi dimostrare, l'altra mano gli si posa sul braccio. Non che la cosa non gli faccia accelerare il battito. «Magari stai pure aspettando che io faccia qualcosa, razza di inetto che non sei altro».

«Come mi conosci tu...»

«Sì, parla, Nara, parla. Ultimamente sembra che tu non sappia fare altro».

La intravede socchiudere le palpebre. O forse sta solo guardando le sue labbra. «Posso andare avanti tutta la notte, se vuoi». Dèi, è così vicina.

«Sì, e domani il Sadico chi lo sente?»

«Che c'entra lui adesso?»

«Fammi un favore, taci un po'».

Non c'è spazio tra i loro corpi, non più. Potrebbe contarle le ciglia, se ne avesse voglia. Potrebbe fare metà della metà della metà di un passo e premersi contro di lei, e gli dèi sanno quanto vorrebbe. Per quello che vale potrebbe anche trovarsi un kunai piantato nello stomaco nel giro di mezzo secondo, ma per fortuna Temari è disarmata.

«Non ti sopporto, Nara» sussurra.

Poi lo bacia.

Lo bacia nello stesso modo in cui lui l'ha baciata nella tenda, mettendoci tutto il cuore che ha, e il suo, di cuore, impazzisce. No, decide, col cavolo che riuscirebbe a non baciarla più per il resto della vita se almeno lei gli rivolgesse la parola. A non abbracciarla, a non sentirsi così.

Poi Temari si allontana, troppo presto per i suoi gusti, senza lasciarlo andare. «Sei un ragazzino interessante, Nara». È la stessa frase che gli ha detto una vita prima, dopo averlo salvato all'ultimo secondo di una missione che aveva lasciato più ferite di quelle visibili e dopo averlo visto piangere. Gli aveva fatto venire i brividi, allora, e non in senso positivo. Sa che lei sa che se lo ricorda. Glielo ha detto apposta. «Cioè, eri un ragazzino interessante. Adesso» dice guardandolo dritto negli occhi con un mezzo sorriso che per quanto lo riguarda ne vale quattro, «sei un uomo. Forse non stavo aspettando altro». Lo bacia di nuovo. È più breve, ma lei è più vicina. «Sei un irritante pallone gonfiato idiota, e gli dèi solo sanno il casino in cui mi sono appena cacciata, probabilmente la paura è solo un meccanismo di difesa...», e adesso è lui a baciarla perché sta sproloquiando troppo, «ma nonostante questo… forse, forse, mi piaci in un modo in cui preferirei che non mi piacessi. E avrei voluto dirti questo, in quella tenda».

Ora sì che avrà un infarto. Ce lo avrà di sicuro, dopo quelle parole, dopo avergliele sentite dire guardandola negli occhi e aver visto che sono vere. «Quanto sei stronza, Tem».

«Non mi sembra una novità».

«E seccante, anche. Hai fatto tutte quelle storie per dirmi che ti piaccio... Le avessi almeno fatte per mandarmi a quel paese, così avrebbe avuto senso».

Temari abbassa di nuovo lo sguardo. Non bene. Non solo perché così non può raggiungere le sue labbra. «Non stavo scherzando, quando dicevo che non funzionerebbe perché siamo di villaggi diversi. Ci vediamo ogni sei mesi, Nara. E poi, ribadisco, non ti sopporto».

Le accarezza il viso. Rabbrividisce al pensiero che sta accarezzando il viso di Temari. «La distanza non è mai importata».

«Adesso importerebbe».

«Ma ne varrebbe la pena». Dèi, varrebbe la pena vivere in simbiosi con Naruto per stare con lei. «E poi se ti vedessi tutti i giorni probabilmente ti lascerei nel giro di due settimane».

«Chi è lo stronzo adesso?» ribatte Temari. «E poi non mi puoi lasciare, visto che non stiamo insieme».

«Ah, no?» la provoca, ben sapendo che non lo accetterà mai.

«Mi viene l'orticaria solo a pensarci».

«Bè» sogghigna, «dicono che le relazioni clandestine siano più eccitanti».

Al che Temari lo guarda per un istante con tutta l'aria di volergli tirare un pugno, ma poi non riesce a non sorridergli. «Ti sei montato la testa come al solito».

«Non esiste che tu rinunci a una cosa del genere solo per la distanza. O per un meccanismo di difesa, come lo hai chiamato».

«Questo è tutto da vedere». I suoi occhi sono come il mare, e lui la ama da morire.

«Toccherà riparlarne prossimamente, allora. Quando ci saremo fatti un'idea più precisa sul da farsi. Se valga la pena o no». Ha parlato al plurale per pura cortesia nei suoi confronti. Per quanto lo riguarda, varrebbe la pena vivere in simbiosi con Naruto per stare con lei.

Al che il sorriso di Temari si allarga ancora di più. «Mi sembra ragionevole».

La bacia di nuovo, non un solo pensiero nella testa, e da come Temari si aggrappa a lui capisce che non avranno poi molto di cui riparlare prossimamente.

 
So you get the lights and I'll lock the doors
Let’s say all of the things that we couldn’t before
Won’t walk away, won’t roll my eyes
They say love is pain, well, darling, let’s hurt tonight
OneRepublic - Let’s Hurt Tonight

 

 
Note:
E niente, raga, che vi devo dire? Grazie di aver letto fino a qui, spero davvero che la storia vi sia piaciuta! E spero che quest’ultimo capitolo sia all’altezza degli altri, personalmente è quello che mi piace di meno e infatti l’ho modificato tante di quelle volte che ho perso il conto.
Also, cercasi ancora beta disperatamente, anche la storia è completa. Se qualcuno volesse revisionarla, che si faccia avanti senza paura :)
Un grazie di cuore a Felpie e a Nate_ che hanno recensito i capitoli precedenti, a chi recensirà la storia oggi, domani e tra dieci anni (megalomania portami via) e anche a chi si “limiterà” a leggere. Sapere che i miei deliri di fangirl tengono compagnia a qualcuno è una sensazione bellissima.
Airborne

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