Croce di Ferro

di Star_Rover
(/viewuser.php?uid=964505)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte I ***
Capitolo 2: *** Parte II ***



Capitolo 1
*** Parte I ***


Premessa
Il protagonista della vicenda è un personaggio secondario del mio racconto “Dulce et decorum est”, trattandosi di uno spin-off non è necessario conoscere gli eventi narrati nella storia principale.

 
 
Croce di Ferro
 
 
Sul terribile sfondo si erge il combattente, un uomo semplice senza nome; su di lui poggiano il peso e il destino del mondo.
Ernst Jünger

 
 
Le semplici forme dell’insegna di ferro brunito erano illuminate dalla calda luce della lampada a carburo, il contorno di metallo argentato brillava nella penombra del rifugio.
Il capitano Richter esaminò la preziosa onorificenza stringendola delicatamente tra le dita per poi riconsegnarla al legittimo proprietario.
«Complimenti tenente, non potrei essere più orgoglioso di lei. Ha dimostrato di essere un ufficiale competente e valoroso, le sue imprese sono davvero lodevoli!»
August rispose con la sua solita modestia: «grazie signore, ma ho semplicemente svolto il mio dovere. Non mi aspettavo alcuna ricompensa per quel che ho fatto»
«Lei ha messo in pericolo la sua vita per salvare i suoi commilitoni, questo è ciò che l’Esercito tedesco pretende dai suoi ufficiali: cameratismo ed eroismo»
Spengler non credeva che a quel punto della guerra quelle parole potessero ancora avere significato, era per disperazione che aveva deciso di sfidare le pallottole nemiche. Non aveva più alcuna possibilità, doveva essere pronto a morire rischiando ogni cosa per il bene dei suoi uomini. Le uniche alternative sarebbero state arrendersi o attendere la fine, entrambe scelte che un buon comandante non avrebbe mai potuto considerare.
Ciò che i suoi superiori definivano eroismo per Spengler era solo senso del dovere. Un uomo d’onore come lui non avrebbe potuto agire diversamente.
Il tenente sistemò la Croce di Ferro sotto al taschino sinistro della giubba.  
Il suo superiore accennò un sorriso: «questa è l’occasione giusta per festeggiare»
Richter non esitò a versare una generosa quantità di brandy in entrambi i bicchieri.
August brindò senza troppo entusiasmo ad una fantomatica vittoria. In quel momento il fronte era bloccato dal freddo e dalla neve, la linea Siegfried si stava rafforzando con truppe fresche e riposate. Tutto appariva calmo e tranquillo, ma l’esperienza gli aveva insegnato che in guerra non c’erano certezze, la situazione avrebbe potuto degenerare in qualsiasi momento.
 
 
Quella notte Spengler ripensò al maggiore Breyer, suo caro amico nonché mentore che l’aveva istruito al mestiere della guerra. Ormai di lui restava solo un lontano ricordo, erano trascorsi due anni dalla sua morte. August ricordò tristemente l’accaduto.
 
Dopo lunghi mesi di immobilità sul Fronte Orientale era finalmente giunto il momento di affrontare il nemico in campo aperto. Seppur in una posizione sfavorevole i comandanti avevano deciso di attaccare, prendendosi le responsabilità di ogni rischio. Per raggiungere la sua postazione il plotone di Spengler aveva dovuto attraversare il versante di una collina completamente allo scoperto. I soldati erano usciti uno ad uno dalla trincea, correndo nella terra di nessuno ed esponendosi al pericolo.
Spengler aveva proseguito a fianco del maggiore Breyer, si era sempre fidato di quell’uomo, anche in un momento così drammatico era certo di poter affidare la propria vita nelle sue mani.
Per ripararsi dalle schegge di un’esplosione entrambi si erano gettati in una trincea abbandonata. Erano rimasti a lungo soli in quella buca, schiena contro schiena, potendo fidarsi solamente l’uno dell’altro.
Poi all’improvviso una pallottola aveva colpito il maggiore Breyer, l’uomo era caduto con il volto nel fango. August si era chinato sul corpo inerme del suo compagno, pur sapendo che ormai era troppo tardi aveva rivoltato il suo viso, notando il sangue che continuava a fuoriuscire dal foro sulla sua tempia.
Spengler si era accasciato accanto al cadavere, in quel momento si era sentito veramente solo e abbandonato senza più il supporto del suo superiore. Aveva temuto di perdere il controllo, il dolore l’aveva reso fragile e vulnerabile. Alla fine però erano state la rabbia e la disperazione a prevalere. Spinto dal desiderio di vendetta August si era appostato al parapetto e aveva puntato il suo fucile contro la linea nemica.
Aveva continuato a combattere aspramente finché non era rimasto privo di munizioni. I suoi compagni l’avevano soccorso trovandolo gravemente ferito e ormai incosciente.
 
Spengler si riprese dalle sue memorie lasciandosi sfuggire una lacrima. Il maggiore Breyer era morto affrontando il nemico con onore e coraggio.
August si domandò come avrebbe reagito il suo amico sapendo della sua onorificenza, di certo sarebbe stato orgoglioso di lui.
Il ricordo dei compagni caduti era uno dei motivi per cui ancora non si era arreso a quella guerra, non poteva permettere che quell’enorme sacrificio restasse vano, era suo dovere combattere anche per rendere loro giustizia.
L’ufficiale richiuse gli occhi, rimase solo con i suoi pensieri finché non si abbandonò alla stanchezza.
 
 
Poco prima dell’alba il tenente Spengler si rialzò dal suo giaciglio, si sciacquò il viso con l’acqua gelida che aveva raccolto nell’elmetto e si rivestì in fretta.
Il suo attendente giunse puntuale con la colazione e la posta. August fu lieto di trovare una lettera di suo fratello, anch’egli arruolato nell’esercito ed impegnato a combattere sul Fronte Occidentale.
 
Caro August,
ho appena appreso la notizia della tua ultima grande impresa. Sono molto felice per te, ti sei davvero meritato quella medaglia.
Qui la situazione è sempre la stessa, poiché sono il nuovo arrivato mi assegnano sempre i turni più scomodi e i compiti più faticosi. Nonostante ciò non posso lamentarmi, ho dei compagni affidabili e dei buoni comandanti. 
Ormai gli ufficiali mi conoscono come “il fratellino del tenente Spengler”, all’inizio ammetto che ciò suscitava in me un po’ di risentimento. In realtà tutti provano stima e ammirazione nei tuoi confronti, quindi posso solo sentirmi fiero di essere riconosciuto come tuo fratello.
Non ho ancora avuto occasione di affrontare la mia prima battaglia, ma questo non mi preoccupa, sono pronto a compiere il mio dovere in questa guerra. Ho intenzione di seguire il tuo esempio, ti prometto che farò il possibile per non deluderti.
Cerca di stare attento, voglio ritrovarti sano e salvo per Natale.
Con affetto,
Oskar

 
August fu contento di sapere che egli stesse bene, non si erano quasi mai visti al fronte e probabilmente era meglio così. Preferiva pensare a lui lontano dalla guerra, temeva sempre che ogni incontro sarebbe potuto essere l’ultimo e non voleva ricordare l’amato fratello nel fango delle trincee.
Spengler rimase a fissare la lettera che stringeva tra le mani, con malinconia ripensò agli ultimi momenti vissuti insieme in tempo di pace. I due erano sempre stati molto uniti, Oskar aveva solo un paio d’anni in meno di lui. Come fratello maggiore August aveva cercato di essere un buon esempio, in fondo sentiva di avere delle responsabilità nei suoi confronti.
Era certo che Oskar si fosse arruolato per avere la sua approvazione, ovviamente era orgoglioso di lui, ma non pretendeva alcuna dimostrazione da parte sua.
Era consapevole che ormai suo fratello fosse cresciuto e non avesse più bisogno della sua protezione, ma non per questo avrebbe smesso di preoccuparsi per lui.
 
 
A volte il destino poteva creare situazioni assurde, il fronte era un luogo dove eventi improbabili capitavano con inaudita frequenza.
Il tenente Heinrich Festner era un vecchio compagno di scuola di August, da allora i due si erano rivisti solamente una volta all’inizio della guerra. Al tempo Spengler era in partenza per il fronte russo e Festner gli aveva rivelato il suo desiderio di arruolarsi nelle Fliegertruppen[1].
A distanza di tre anni si erano ritrovati sul Fronte Occidentale a causa di una serie di curiosi eventi.
Il Fokker di Festner era stato abbattuto oltre al confine, egli aveva superato le linee nemiche per raggiungere le sicure trincee tedesche. A causa dei bombardamenti il pilota era rimasto bloccato in prima linea, probabilmente i suoi compagni avevano già annunciato la sua morte, ma in guerra accadeva anche che i fantasmi tornassero in vita.
Heinrich attendeva con impazienza di poter tornare al campo. La sua presenza in trincea non era molto apprezzata dagli ufficiali, i quali mal sopportavano il suo carattere arrogante e presuntuoso. I soldati invece sembravano gradire i suoi avventurosi racconti e le sue interessanti teorie sulle tattiche del combattimento aereo. Ovviamente Festner era un estimatore di Boelcke[2], anche se il suo volo era più simile a quello del suo allievo più celebre[3], poiché era meno tecnico ed aggraziato e ben più feroce ed irruento. In ogni caso quasi tutti i suoi attacchi risultavano letali.
Spengler conosceva ormai a memoria le vicende di Heinrich, in quei giorni aveva ascoltato decine di volte il racconto di quando l’aviatore tedesco aveva vinto uno scontro con due Spad britannici e la storia dell’appassionante battaglia durante la quale aveva abbattuto un asso inglese.
Festner gli rivolse il suo solito irreverente sorriso: «dannazione August, hai un aspetto terribile!»
«Anche io sono felice di rivederti» replicò Spengler.
L’altro scoppiò in una sincera risata. I due si scambiarono qualche amichevole battuta, August fu lieto di avere a che fare con una vecchia conoscenza, in altre circostanze quella situazione sarebbe stata ben più spiacevole. Festner l’aveva accolto con spirito cameratesco nonostante l’ormai consolidata rivalità tra fanti ed aviatori. Questa era una strana dinamica dell’Esercito tedesco, dove bisognava sempre dimostrare di star rischiando la pelle più degli altri.
«Così anche tu hai ottenuto la tua medaglia. Era ora, temevo che non ci saresti più riuscito prima della fine della guerra!»
«Non sono qui per parlare delle nostre conquiste personali, ho bisogno del tuo aiuto»
«Certo…ti offrirei qualcosa, ma a quanto pare qui non ve la passate molto bene. Non sono riuscito a trovare nemmeno un goccio di grappa!»
«In prima linea ogni bene è prezioso. Chi possiede ancora dell’alcol lo nasconde gelosamente»
Heinrich sospirò.
«Dunque, che posso fare per te?»
August estrasse dal taschino una cartina topografica e l’aprì sul tavolo.
«Devi provare a dirmi dove è caduto il tuo aereo e che strada hai fatto per arrivare qui»
«Non credo di poterti essere molto utile, ovviamente ho dovuto spostarmi di notte con l’oscurità per raggiungere le nostre linee, non ho idea di come abbia fatto a salvarmi»
«Le sentinelle hanno detto di averti visto arrivare da sud-ovest. Hai affermato di aver incontrato il nemico, ma gli inglesi avevano abbandonato quelle trincee dopo l’ultimo attacco»
«Be’, a quanto pare i Tommies sono tornati!»
Spengler osservò la mappa: «hanno riconquistato terreno vicino al fiume?»
«No, sono più vicini».
August trasalì: «ne sei sicuro?»
«Sì certamente. Ho visto quei bastardi con i miei occhi!»
Il tenente Spengler assunse un’espressione preoccupata, il freddo e la neve non avevano ostacolato l’avanzata inglese, il prossimo attacco sarebbe iniziato prima del previsto.
Mentre August era oppresso da questi pensieri il suo compagno si mostrò impassibile.
Festner possedeva un’eleganza e una compostezza invidiabili. Era sopravvissuto a un incidente aereo e aveva attraversato un intero campo di battaglia sfuggendo alle pallottole nemiche, nonostante ciò era seduto a quel tavolo con innata pacatezza e sfoggiava la sua divisa da aviatore come se si trovasse ad una cerimonia di gala.
Il suo sguardo fiero ed orgoglioso era quello dei suoi nobili antenati, eroi passati della cavalleria.
Eppure in Festner brillava una luce diversa, il suo spirito era stato forgiato dai recenti eventi del rapido e inarrestabile progresso. Una nuova e impetuosa ondata di eccitazione bellica aveva travolto la sua generazione.
Ovviamente anche Spengler era rimasto affascinato dal volo, egli però aveva una concezione diversa della guerra. La sua rappresentazione del combattente era un uomo stremato che marciava nel fango, appesantito dallo zaino e dal fucile, con la divisa annerita dal fumo e macchiata di sangue.
La sua visione non era né eroica né romantica, per lui i valori sul campo di battaglia erano altri.
Spengler ammirava il cuore ardito degli aviatori, ma riteneva che nel loro caso il coraggio si tramutasse in follia con fin troppa facilità.
 
✠  
 
Quel pomeriggio August fu convocato al centro di comando dal colonnello von Kühn.
«Tenente Spengler, sono lieto di rivederla»
Egli rimase in silenzio, in attesa di conoscere il reale motivo di quell’incontro.
«Credevamo che gli inglesi si fossero ritirati dopo l’ultima battaglia, ma a quanto pare così non è stato. È nostro dovere compiere una ricognizione ed io ho pensato di affidare a lei il comando»
Spengler si sentì onorato, ma allo stesso tempo non riuscì a nascondere la sua preoccupazione.
Il suo superiore indicò un punto sulla mappa: «l’obiettivo sarà raggiungere la cima della collina per individuare e segnalare le postazioni nemiche. La missione avrà inizio domani dopo il tramonto. Sarà affiancato dal tenente Falk, egli è già al corrente della situazione. Tutto chiaro?»
«Sissignore»
Il colonnello sorrise con aria soddisfatta.
«Si faccia onore tenente, non dubito delle sue capacità. Questa è la sua occasione per dimostrare che si è realmente meritato quella medaglia»
Spengler si congedò formalmente, uscì rapidamente dal rifugio e a grandi passi tornò sulla strada. Si fermò ai margini del campo e respirò a pieni polmoni. Quella notizia l’aveva scosso nel profondo, era consapevole di non poter deludere né i suoi compagni né i suoi superiori. L’ufficiale rimase immobile a lato del sentiero finché l’eco di una lontana esplosione non lo riportò alla realtà. August si sistemò la medaglia sul petto, essere degno di quella decorazione non era solo un onore, ma anche una responsabilità.
 
Spengler fu sorpreso nel trovare tra i volontari anche il soldato Weber, un ragazzo diligente e volenteroso, ma ancora inesperto. Il tenente decise di essere sincero nei suoi confronti.
«Si tratta di una missione veramente pericolosa. Non voglio mentirti, potremmo anche non tornare»
Il giovane non si lasciò intimorire da quelle parole: «lo so signore, in ogni caso sono pronto a fare il mio dovere»
August annuì, ma il suo sguardo si rattristò.
«Voglio solo che tu sia consapevole di questa decisione»
Weber accennò un timido sorriso: «mi fido di lei tenente, al suo fianco sono pronto ad affrontare qualsiasi avversità»
L’ufficiale fu lieto di sentire quelle parole, nonostante tutto il sostegno dei suoi commilitoni era sempre confortante.
 
Spengler rimase solo nel suo angolo di trincea, il suo sguardo si perse nella terra di nessuno, contemplando il campo deserto e devastato dalle esplosioni. In quel raro momento di tranquillità la sua mente lo portò lontano dal fronte. Ripensò alla sua vita prima della guerra, il soldato Weber gli aveva ricordato il se stesso del passato. Un tempo anch’egli era stato un giovane sognatore e speranzoso.
La guerra gli aveva portato via gli anni della sua gioventù, privandolo dell’innocenza e della spensieratezza.
August aveva rinunciato a tutto nel momento in cui aveva deciso di partire per il fronte, ma non si era mai pentito per questo. Sentiva di trovarsi esattamente dove avrebbe dovuto essere, faticava ad immaginare un futuro lontano dal campo di battaglia. Aveva dimenticato il significato della pace, dopo tanti anni di coinvolgimento in quel conflitto aveva iniziato a vedere le cose in modo differente. Più volte si era sentito vivo nel mezzo dei cruenti scontri, in certe circostanze l’esperienza bellica diventava qualcosa di intrigante e affascinante.
Il suo destino era combattere quella guerra, in ogni caso era determinato a compiere il suo dovere. Come unico conforto gli restava la consapevolezza di non avere alcun rimpianto.
 
✠  
 
Il sonno fu agitato e tormentato. August si rigirò nel suo giaciglio, trasalendo al colpo di ogni proiettile che esplodeva nella notte. Il tenente osservò il soffitto traballante del rifugio, ogni tanto qualche cumulo di terra cadeva dall’alto. Spengler pensò ai suoi commilitoni che in quel momento si trovavano nell’oscurità, come spettri che vagavano tra le fiamme. Una visione infernale a cui aveva assistito molte volte in prima persona.
Un altro botto fece tremare le pareti del rifugio. L’ufficiale ebbe quasi la sensazione di avvertire le grida di quegli uomini atterriti dall’orrore di essere sepolti vivi.
August si alzò a sedere, era solo. In tutto quel tempo aveva imparato a considerare accogliente e familiare ogni aspetto di quella galleria, che in qualsiasi momento avrebbe potuto trasformarsi nella sua tomba. Ma a questo Spengler non pensava, nonostante tutto si sentiva al sicuro. Era come se quei pochi metri di terra fredda e bruna che lo separavano dalla superficie fossero impenetrabili. Quel rifugio, in cui a malapena poteva muoversi senza urtare travi e pareti, era la sua casa. D’altra parte dopo la terribile esperienza nei bunker di Sigfrido[4] aveva imparato ad apprezzare molto di più qualsiasi altra sistemazione.
Il tenente rimase immobile ad ascoltare i rumori della battaglia, come se si trattasse di un violento temporale.
Alla fine recuperò il cappotto e la pistola e decise di abbandonare la sua tana per raggiungere i suoi compagni.
 
August ebbe la sensazione di trovarsi in un sogno. La luce argentea della luna si rifletteva sul freddo metallo degli elmetti e dei fucili, tutto sembrava avvolto da un alone patinato. In lontananza si potevano scorgere solo ombre e luccichii. La Croce di Ferro sul suo petto brillava nella notte.
Il tenente notò i volti inespressivi dei suoi uomini, quieti e silenziosi, attenti a captare ogni segnale di pericolo.
Tutto sembrava tranquillo, gli echi delle esplosioni erano sempre più distanti.
Spengler attraversò i camminamenti stringendo saldamente la pistola nella mano destra e poggiando la sinistra sul cinturone, pronto ad innescare una granata se necessario. Le intrusioni notturne non erano rare, bisognava sempre restare in allerta e tenere gli occhi aperti.
L’ufficiale percorse l’intera trincea senza trovare nulla di preoccupante o sospetto.
Un bagliore rossastro comparve sopra alle colline, altri spari echeggiarono in lontananza.
August ripose la pistola, il suo settore non era in pericolo quella notte.
 
✠  
 
I momenti che precedevano l’azione erano sempre carichi di tensione, il tenente Spengler conosceva bene quelle sensazioni. Era necessario mantenere i nervi saldi e liberare la mente da ogni distrazione.
August nascose la Mauser nella tasca della giubba, riempì le tasche di munizioni e recuperò il fucile. Aveva già provveduto a procurarsi una buona scorta di bombe sferiche. Esitò qualche istante davanti al pugnale, poi si decise ad agganciare l’arma al cinturone, era meglio essere pronti per ogni evenienza.
 
Il tenente Spengler si fermò sulla soglia del rifugio e si accese un’ultima sigaretta. I suoi uomini erano schierati lungo la trincea, trepidanti e in attesa dei suoi ordini.
Il fuoco d’artiglieria aumentò d’intensità, i colpi divennero sempre più intensi e violenti.
Finalmente giunse il momento di abbandonare le trincee. August fu il primo ad arrampicarsi oltre al muro di fango e a superare i reticolati, seguito immediatamente dal tenente Falk.
Gli uomini raggiunsero la terra di nessuno a piccoli gruppi, quello era il metodo più sicuro per attraversare l’area di combattimento.
August si ritrovò a vagare in una nuvola di fumo, il terreno tremava sotto ai suoi piedi. Decine di lampi fiammeggianti illuminarono il cielo notturno.
Spengler saltò rapidamente all’interno di una buca, rannicchiandosi accanto al tenente Falk. Non sapeva in che modo il suo parigrado fosse tornato al suo fianco, ma ciò non aveva importanza. In quel momento fu rassicurato dalla sua presenza.
Un gruppo di shrapnel si scagliò contro di loro con una fragorosa tempesta di frammenti metallici. August abbassò la testa per ripararsi dalle schegge incandescenti.
All’improvviso Falk l’afferrò per un braccio e con forza lo strattonò fuori dalla fossa. Spengler seguì istintivamente il suo compagno, ma ben presto si perse tra la nebbia e l’oscurità.
August continuò ad avanzare, in quella tempesta di fuoco aveva perso i suoi soldati, in quel momento non poté far altro che progredire, sperando di ritrovare i suoi commilitoni ai margini della foresta.
Anche il tenente Falk era scomparso, la sua squadra aveva l’ordine di percorrere il sentiero a sud, se tutto fosse andato secondo i piani avrebbero dovuto ritrovarsi a metà strada.
August prese un profondo respiro, poi con un balzo superò l’ennesimo ostacolo. Fortunatamente un razzo illuminò la terra di nessuno, indirizzandolo verso la giusta direzione.
 
Il tenente Spengler si ritrovò solo con cinque uomini: il giovane Weber, il buon sergente Hofmann e i soldati Keller, Müller e Roth.
Prima di proseguire il cammino l’ufficiale ripeté il piano per accertarsi che tutti avessero chiaro l’obiettivo di quella missione.
«Dovremo raggiungere la cima per individuare la posizione del nemico, non sappiamo che cosa potremo trovare su questa collina, quindi è necessario restare sempre vigili e attenti»
Gli altri annuirono con un cenno deciso. Ad ogni modo ognuno era pronto ad affrontare il proprio destino.
Il sergente Hofmann conosceva ogni aspetto della guerra, così come l’esperto soldato Müller. Keller era un compagno leale ed affidabile, mentre Roth sapeva bene che l’unica cosa importante era sopravvivere. Infine Weber possedeva l’eccitazione e l’entusiasmo delle reclute, qualità tanto preziose quanto pericolose.
August era certo che i suoi sottoposti l’avrebbero seguito anche all’inferno, per questo si sentiva responsabile per la loro sorte.
 
 
 



Note
 
[1] Letteralmente “truppe volanti”, componente aerea dell’Esercito Imperiale Tedesco. Dal 1916 prese il nome di Luftstreitkräfte.
[2] Asso tedesco della Grande Guerra. Considerato il padre dell’aviazione tedesca, fu il primo a formalizzare le regole del combattimento aereo (Dicta Boelcke).
[3] Manfred von Richthofen, il Barone Rosso. 
[4] Rifugi scavati nelle pareti delle trincee, potevano contenere solo due uomini, i tetti coperti di terra erano rinforzati con lamine di zinco.  

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Parte II ***



Uno stretto sentiero si insinuava tra gli arbusti e i tronchi bruciati, il percorso era ostacolato dagli alberi sradicati dalle esplosioni. Le figure create dai lunghi rami intrecciati erano suggestive ed inquietanti.
I soldati si inoltrarono nella foresta. August affondò nella neve fino ai polpacci, al gelo con ogni respiro espirava una condensa di vapore. L’ufficiale sopportò il freddo continuando a marciare in salita.
I suoi commilitoni camminarono in silenzio sotto al peso delle munizioni e delle armi.
L’unico rumore proveniva dalla neve che crepitava sotto agli stivali, ma quella quiete non era affatto rassicurante. Müller alzò lo sguardo osservando il pendio ghiacciato, ogni riparo tra gli alberi e ogni sperone di roccia era un possibile nascondiglio per il nemico.
Il sergente Hofmann rallentò il passo per aspettare il soldato Weber, il quale arrancava a fatica sul sentiero.
«Forza ragazzo, non puoi restare indietro»
Il giovane tentò di ignorare l’intensa fitta al fianco, con il fiato corto e i polmoni in fiamme cercò di reggere lo sforzo.
I tedeschi avanzarono fino ad un’ampia radura, un ampio spiazzo deserto li separava dalla continuazione del percorso.
Il tenente Spengler ordinò ai suoi commilitoni di proseguire con cautela e di prestare particolare attenzione ad ogni segnale di pericolo.
Le raccomandazioni dell’ufficiale furono previdenti, appena i soldati uscirono dalla boscaglia avvertirono l’eco di alcuni spari.
Una mitragliatrice scaricò su di loro interi nastri di proiettili. Spengler iniziò a correre, a metà strada il tenente si gettò al riparo in un fosso. Stava per risalire in superficie quando ad un tratto avvertì un grido. August si voltò, il soldato Weber ricadde sul fondo della buca con un tonfo, un proiettile l’aveva colpito all’addome.
Il tenente si affrettò a soccorrere il suo compagno, la ferita era profonda, egli però era ancora cosciente.
La mitragliatrice si quietò, gli altri, più o meno incolumi, avevano raggiunto il margine della foresta.
L’ufficiale realizzò che per mettersi in salvo avrebbe dovuto attraversare la radura come unico bersaglio sotto al tiro del nemico.  
Spengler osservò Weber che giaceva al suolo ansante e sofferente. Sapeva di non avere altre possibilità, così si caricò il ferito sulle spalle e si preparò ad affrontare quel pericoloso tratto scoperto.
Spengler arrancò nella neve, i botti degli spari erano sempre più vicini.
Il soldato Weber strinse le braccia intorno al collo del suo superiore, August continuò a resistere, sentendosi in dovere di portare al sicuro il suo sottoposto.
Il tenente raggiunse un rifugio tra gli alberi, stremato si gettò a terra, immediatamente i suoi commilitoni si occuparono del ferito.
Appena si fu ripreso August si preoccupò per le condizioni di Weber, aveva perso molto sangue, la situazione sembrava piuttosto grave. Il sergente Hofmann era intento a premere sulla ferita per bloccare l’emorragia.
Il giovane gridava e si lamentava per il dolore, quando il tenente si chinò al suo fianco egli parve rassicurarsi.
«Non agitarti, il sangue si è quasi fermato» lo confortò Hofmann.
Il ragazzo tremava per il freddo, Spengler lo coprì con il suo cappotto.
Weber avvertì che le forze lo stavano abbandonando, l’ultima cosa che vide prima di perdere i sensi fu la lucente Croce di Ferro sul petto del tenente.
 
August si guardò intorno in cerca di qualche punto di riferimento, ma nella notte non riuscì a scorgere nulla.
I suoi commilitoni erano sempre più nervosi.
«Non possiamo restare qui. Dobbiamo andarcene da questa foresta maledetta!» gridò Roth esternando la propria frustrazione.
Il sergente Hofmann rivolse uno sguardo preoccupato al ferito.
«Weber non resisterà a lungo in queste condizioni»
«Ormai gli inglesi avranno occupato l’intera collina, siamo circondati» continuò Roth.
Keller si unì alla discussione.
«Ma perché gli uomini del tenente Falk non sono ancora tornati? Questa situazione non mi piace per niente…»
Spengler ascoltò in silenzio tutte quelle considerazioni, il suo volto rimase impassibile. Sapeva di essere un punto di riferimento per quei soldati e non poteva mostrarsi titubante in un momento di difficoltà. Era suo dovere mantenere la calma e riportare l’ordine.
Dopo qualche istante di riflessione l’ufficiale prese la sua decisione.
«Non possiamo tornare indietro, dobbiamo raggiungere la cima»
«Come faremo con Weber?» chiese Roth.
«Lo trasporteremo a turno, coraggio, dobbiamo muoverci in fretta!»
 
Il gruppo proseguì in salita sul versante della collina. Iniziò a nevicare, il freddo era sempre più intenso.
August marciava in testa alla fila, ogni tanto si fermava per controllare le condizioni di Weber, il quale restava incosciente sulle robuste spalle del soldato Müller.
«Credete che gli inglesi siano ancora qui intorno?» domandò Roth con tono ansioso.
Keller sbuffò: «non lo so, ma questo silenzio non mi piace affatto!»
Proprio in quel momento avvertirono l’eco di alcuni spari.
«Provenivano dal lato sud, erano gli uomini di Falk…» commentò Hofmann con aria preoccupata.
Spengler non rispose limitandosi ad affrettare il passo, il suo unico obiettivo era completare la missione e riportare al sicuro i suoi compagni.
 
I soldati sostarono in un piccolo rifugio naturale scavato nella roccia, il silenzio era tornato a regnare sulla collina. Spengler si rannicchiò accanto a Weber, il quale giaceva sdraiato su un fianco, avvolto nel cappotto dell’ufficiale. August scostò dal suo volto i sottili capelli biondi, aveva gli occhi chiusi e la fronte madida di sudore. Il ragazzo era in preda a deliri febbrili, forse stava sognando.
Spengler si prese la testa tra le mani, avvertiva il peso di tutte le sue responsabilità, era sempre più difficile mantenere il controllo e non lasciarsi sopraffare dalla disperazione. L’ufficiale alzò lo sguardo, il chiarore della luna brillava nel cielo stellato, la notte era ancora lunga.
 
✠  
 
I soldati giunsero a un bivio, Spengler si rivolse a Müller e Keller.
«Voi due iniziate a scendere con Weber, gli altri verranno con me in cima»
Keller esitò: «signor tenente, io penso che dovremmo tutti tornare a valle al più presto»
August tentò di rassicurarlo: «vi raggiungeremo sulla strada del ritorno»
Il soldato rivolse lo sguardo verso la sommità rocciosa: «non credo che sia una buona idea inoltrarsi lassù…»
«Keller, questo è un ordine. Avanti, non c’è tempo da perdere, la vita di Weber è nelle vostre mani»
Egli non fu sorpreso dalla determinazione del suo superiore, d’altra parte era anche per questo che Spengler si era guadagnato la stima e l’ammirazione dei suoi uomini.
 
La foresta iniziò a diradarsi, nell’ultimo tratto il sentiero era completamente ghiacciato. Il paesaggio notturno era caratterizzato da cumoli di neve ed enormi rocce dalle forme più svariate.
Spengler e i suoi compagni erano ormai giunti in cima quando trovarono un ostacolo lungo il percorso.
Il tenente puntò il binocolo, nonostante l’oscurità riuscì a notare il rifugio e le trincee scavate sotto alla neve.
«Si tratta di un avamposto, sembrerebbe abbandonato»
«Sarebbe meglio tornare indietro» suggerì Roth.
«No, dobbiamo andare a controllare. Se gli inglesi stanno preparando un attacco è nostro dovere informare il centro di comando» affermò Spengler con fermezza.
Il soldato si rassegnò e si preparò all’azione.
I tre tedeschi si avvicinarono cautamente all’obiettivo, strisciando nel fango e nella neve. Spengler tranciò il filo spinato e silenziosamente scivolò oltre ai reticolati.
L’ufficiale fu il primo ad infiltrarsi nella trincea nemica trovandola deserta. August esplorò i camminamenti seguito a pochi passi di distanza dai suoi commilitoni.
Ad un tratto il tenente si immobilizzò, era certo di aver udito qualcosa. Trovandosi davanti ad una biforcazione Spengler decise di separarsi dai suoi compagni, i quali progredirono nella medesima direzione.
August si avventurò da solo, muovendosi cautamente e prestando attenzione ad ogni rumore sospetto.
L’ufficiale sussultò avvertendo il botto di uno sparo, negli istanti successivi echeggiarono altri due colpi.
Spengler si domandò se fosse il caso di tornare indietro, ma proprio in quel momento notò una sentinella che aveva appena svoltato l’angolo oltre al muro di terra.
August non esitò ad agire, avventandosi prontamente sul nemico. L’inglese si voltò di scatto, ma non fu abbastanza rapido. Spengler si gettò su di lui, i due caddero rotolando nella neve. L’avversario si ritrovò con la schiena a terra, August riuscì a disarmarlo, era intenzionato a recuperare la pistola, ma in quella situazione era limitato nei movimenti. L’inglese tentò di liberarsi dalla sua stretta, l’ufficiale lo colpì in volto e rapidamente estrasse il suo pugnale.
Nel tentativo di allontanare da sé il coltello l’altro afferrò il suo braccio conficcandogli le unghie nella pelle.
August strinse ancora più la presa, per un istante incrociò il suo sguardo, quegli occhi chiari, quasi trasparenti, erano fin troppo simili ai suoi.
Alla fine il tedesco si decise a trafiggere il nemico, Spengler affondò più volte il pugnale nel petto dell’inglese, avvertendo la lama penetrare in profondità.
August tornò in sé ritrovandosi sopra al cadavere coperto di sangue. Istintivamente si ritrasse, sconvolto dalla violenza con cui egli stesso si era accanito contro al suo avversario.
In quel momento fu raggiunto dai suoi commilitoni.
«Tenente, è ferito?» domandò Roth impressionato dal sangue sulla sua divisa.
Spengler negò.
Hofmann poggiò sulle spalle del suo comandante un cappotto britannico.
«Si tenga al caldo signore, all’uomo a cui ho sparato di certo questo non serve più»
August alzò lo sguardo: «grazie sergente»
«Purtroppo un inglese è riuscito a fuggire»
«Dovremmo andarcene anche noi» aggiunse Roth, ancora scosso dallo scontro.  
L’ufficiale si avvicinò al bordo della trincea per osservare il versante opposto della collina, la visuale sulla vallata era in parte coperta dalla nebbia, ma riuscì a scorgere distintamente un accampamento vicino al fiume. Un consistente numero di mezzi e uomini era stato mobilitato dal nemico. Il tenente Festner aveva detto la verità, gli inglesi stavano organizzando un attacco.
August tornò rapidamente sui suoi passi: «questa volta hai ragione, dobbiamo andarcene in fretta da qui!»
Roth fu rassicurato da quella notizia, senza perdere tempo si rimise il fucile in spalla e saltò fuori dalla fossa.
Il sergente Hofmann lo seguì poco dopo, Spengler restò per ultimo in quella buca.
L’ufficiale si fermò davanti al cadavere dell’inglese, il quale giaceva inerme nella neve macchiata di sangue.
Spengler chinò il capo, un tempo non avrebbe mai creduto di poter uccidere un uomo. Aveva agito animato dal senso del dovere, consapevole di non avere altra scelta. In quegli anni era stato costretto ad adattarsi alla crudeltà della guerra, aveva conosciuto il lato più oscuro di se stesso, a volte ne era spaventato, ma in situazioni estreme l’istinto di sopravvivenza prevaleva sempre sulla morale.
Non aveva mai provato odio o disprezzo per il nemico, l’atrocità del conflitto non aveva corrotto il suo animo leale e onorevole. Il rispetto per il nemico era un valore imprescindibile per un buon combattente.
August richiuse gli occhi del morto, poi si voltò per tornare dai suoi compagni. Riuscì a compiere solo pochi passi, poi fu costretto a poggiarsi al muro di terra, a stento riuscì a reggersi sulle gambe tremanti. Un’intensa sensazione di nausea iniziò a diffondersi nel suo corpo.
L’ufficiale tentò di calmarsi, soltanto la preoccupazione per i suoi commilitoni poté donargli la forza di abbandonare quella trincea.

✠  
 
I tre tedeschi continuarono a scendere, il sentiero era ripido e scivoloso, la nevicata si era tramutata in una vera tormenta. August si strinse nel cappotto ringraziando l’Esercito britannico per aver fornito un adatto equipaggiamento ai suoi soldati.
Roth iniziò a lamentarsi: «dove sono Müller e Keller? Con Weber in spalla non possono aver fatto molta strada!»
«Ormai dovremmo averli raggiunti» replicò il sergente.
«Forse abbiamo sbagliato strada»
«Idiota, non ci sono altre strade!»
Il tenente riprese entrambi i suoi sottoposti: «silenzio, vi ricordo che non siamo soli su questa collina»
I due si zittirono all’istante e senza più proferire parola ripresero il cammino. August proseguì arrancando nelle neve, gli stivali irrigiditi dal gelo gli provocavano intensi dolori ad ogni passo.
 
Dopo essere tornati nella foresta si ricongiunsero con i loro compagni, i quali si erano fermati al riparo per proteggersi dal vento.
«Eccovi finalmente! Abbiamo sentito gli spari…eravamo preoccupati» disse il soldato Müller con sincera apprensione.
«Abbiamo trovato solo un avamposto, ma dall’altra parte i Tommies hanno occupato l’intera vallata!» rispose Roth.
Il tenente Spengler si avvicinò a Weber, il soldato era ancora privo di sensi.
«Forza, andiamo avanti. Dobbiamo portare il ragazzo al sicuro e trovare la squadra di Falk»
«Lei crede che quegli uomini siano ancora vivi?» chiese Hofmann.
August si caricò nuovamente Weber sulle spalle: «è quello che spero»
 
Il terreno ghiacciato e il versante scosceso rallentarono ulteriormente la marcia. Spengler strinse a sé il corpo del suo compagno, Weber non emetteva nemmeno un gemito, il suo respiro era quasi impercettibile.
La tormenta divenne sempre più intensa, l’intera foresta era coperta da uno spesso manto candido.
Il soldato Roth scivolò su una lastra di ghiaccio, cadendo goffamente nella neve fresca. Keller gli porse la mano e l’aiutò a rialzarsi.
«Dannazione, odio questa maledetta montagna!»
«Coraggio, ormai non manca molto» lo rincuorò il suo commilitone.
 
Il gruppo raggiunse una piccola radura, August si fermò a lato del sentiero, la neve era macchiata di sangue. Dei corpi riaffiorarono dal fango, le salme erano coperte da un sottile strato ghiacciato.
Il sergente Hofmann trasalì: «sono gli uomini del tenente Falk»
Spengler poggiò a terra il ferito e uscì allo scoperto. Osservò il terreno circostante, alcune impronte erano ancora riconoscibili, sembrava che quel luogo fosse stato abbandonato da non troppo tempo.
«I nostri commilitoni devono essersi imbattuti in una pattuglia nemica, questo spiega gli spari che abbiamo sentito prima» disse il sergente.
August si avvicinò ai cadaveri: «sono quattro soldati, non c’è traccia del tenente Falk»
«Forse i sopravvissuti si sono arresi» ipotizzò Hofmann osservando le impronte ghiacciate che si perdevano della foresta.
Spengler avvertì gli occhi umidi, sconvolto e affranto si liberò il capo dall’elmetto e si inginocchiò nella neve.
I suoi sottoposti restarono immobili e in silenzio, condividendo il medesimo dolore. L’ufficiale trattenne a stento le lacrime, il tenente Falk era sempre stato un buon amico oltre che un fidato commilitone.
Lentamente August riprese il controllo di sé, l’unico modo per rendere giustizia ai suoi commilitoni era portare a termine quella missione.
 
Dopo aver superato il ruscello ghiacciato i soldati si trovarono di fronte all’ennesima biforcazione. Spengler ordinò ai suoi uomini di attendere al riparo.
«Restate qui, vado a controllare l’altro sentiero»
«Signore, vengo con lei» si offrì Keller.
«No, non è necessario. Pensate a recuperare le forze e occupatevi di Weber»
I soldati non poterono obiettare, avevano piena fiducia nel loro comandante ed erano certi che ogni sua decisione fosse giustamente motivata.
Spengler aveva scelto di non esporre i suoi uomini al pericolo, in certe situazioni preferiva essere responsabile solo di se stesso.
Si era alzato il vento, il tenente rabbrividì avvertendo l’aria gelida sulla pelle.
L’ufficiale seguì il sentiero restando rasente agli alberi, dopo un po’ si fermò per riprendere fiato. Poggiò il fucile nella neve e bevve un lungo sorso dalla sua borraccia, l’alcol l’aiutò a scaldarsi.
Il percorso iniziava a salire e proseguiva verso ovest, era ormai certo che non fosse quella la giusta direzione.
August stava per tornare indietro quando ad un tratto avvertì il rumore di alcuni passi, immediatamente l’ufficiale si nascose a lato del sentiero, si rannicchiò nella neve e strinse saldamente il fucile.
Spengler si appiattì contro al terreno ghiacciato, respirava piano, anche i battiti del suo cuore rallentarono. Restò così in allerta, con i muscoli in tensione e gli occhi ben aperti.
Ad un tratto intravide un’ombra muoversi tra gli alberi. Il tenente posizionò l’arma, tolse la sicura e prese la mira. La figura divenne sempre più nitida, si trattava di un soldato inglese, era solo e arrancava lentamente nella neve.
L’ufficiale osservò l’elmetto grigioverde nella croce di collimazione del cannocchiale di puntamento. August mantenne il fucile fisso sul suo obiettivo. Nella sua mente ricomparve l’immagine dei suoi commilitoni uccisi, rivide i loro corpi inermi nella neve rossa. Pensò al destino di Falk come prigioniero e alla ferita di Weber che continuava a sanguinare.
Il tenente sfiorò il grilletto, era suo dovere sparare al nemico, eppure continuò ad esitare.
La guerra aveva le sue regole e Spengler non si era mai rifiutato di compiere il suo dovere, ma in quella situazione avvertì qualcosa di diverso. Non avrebbe mai potuto sparare alle spalle di un uomo, sarebbe stato soltanto un atto vile e meschino.
August abbassò il fucile, in quel preciso momento non riuscì a trovare la motivazione per uccidere quel giovane. In lui rivide suo fratello Oskar, un ragazzo ancora innocente e ignaro del pericolo.
Alla fine il tedesco rimase immobile nel suo nascondiglio finché l’inglese non fu scomparso nella foresta.
 
Spengler tornò mestamente dai suoi compagni, senza dire nulla si portò in testa alla fila e proseguì nella discesa.
I soldati attraversarono il bosco, il sentiero divenne sempre più ampio, la pendenza era ormai terminata. Quando uscirono dalla vegetazione trovarono davanti a loro l’ampio e desolato deserto della terra di nessuno.
Il tenente guidò i suoi uomini superando i profondi crateri, il cielo era illuminato da razzi biancastri mentre all’orizzonte si intravedevano i primi bagliori dorati dell’alba.
Sporadici spari provenivano dal fronte opposto, il sergente Hofmann fu ferito ad una mano, ma non mancò di rispedire indietro il colpo al nemico. Un’altra pallottola strappò via un pezzo di stoffa dalla spalla di Keller, il soldato si procurò solo un profondo graffio.
Seguendo il percorso scavato nel fango i tedeschi riuscirono a raggiungere le loro linee. Il tenente Spengler strisciò fino alla barricata e fu aiutato dalle sentinelle per rientrare in trincea. Fortunatamente i suoi compagni riconobbero la sua voce prima di notare il colore del suo cappotto.
August si poggiò al muro di terra, osservò i suoi sottoposti tornare al sicuro e si preoccupò di informare i soccorritori sulle condizioni di Weber. Avrebbe desiderato seguire il giovane in infermeria, invece fu costretto a presentarsi dal colonnello von Kühn per fare rapporto.
 
Spengler tornò dal centro di comando con la consapevolezza di non essere riuscito a convincere il suo superiore dell’imminente pericolo, l’incontro si era concluso semplicemente con poche frasi di circostanza e una vigorosa stretta di mano.
Appena rientrò nel rifugio trovò il tenente Festner. L’aviatore gli rivolse uno sguardo sorpreso e confuso. Dopo i primi istanti di sbigottimento si avvicinò per abbracciarlo.
«Temevo che non saresti più tornato»
«Questa volta ci è mancato davvero poco» commentò Spengler.
Quando si distaccarono, tra l’emozione e lo stupore, Heinrich gli porse l’inevitabile domanda.
«Perché stai indossando un cappotto britannico?»
August, stremato ed esausto, rispose semplicemente: «perché ho freddo»
 
 
Spengler raggiunse il posto di soccorso per far visita al soldato Weber, il ragazzo sembrava essersi ripreso, lo trovò sveglio e cosciente.
Il giovane lo accolse con un debole ma rassicurante sorriso. Il suo sguardo si illuminò.
«Tenente, lei mi ha salvato la vita»
«Io e gli altri abbiamo solo svolto il nostro dovere. Non avremmo mai potuto abbandonare un compagno in difficoltà»
«Mi dispiace…»
August non capì: «per che cosa?»
«Per averla delusa»
Il tenente lo rassicurò: «hai affrontato dignitosamente la tua prima missione, non hai nulla di cui rimproverarti»
Weber fu lieto di sentire quelle parole.
L’ufficiale si avvicinò al suo giaciglio, in quel momento il ferito impallidì e sul suo volto comparve un’espressione ansiosa e preoccupata.
«Signore…la sua medaglia»
August portò la mano sotto al taschino sinistro, durante l’azione la Croce di Ferro si era staccata dal petto, lasciando uno spazio vuoto sulla divisa strappata e macchiata di sangue.
Il tenente non si preoccupò a riguardo: «non è nulla di grave, in fondo era solo un pezzo di metallo»
«Per il suo coraggio dovrebbe essere decorato con la Pour le Mérite
Spengler scosse la testa: «nessuna medaglia potrebbe valere quanto la vita dei miei uomini»
Il giovane rivolse al suo superiore uno sguardo colmo di ammirazione. Il tenente gli aveva dimostrato che il reale valore di un uomo era qualcosa che andava oltre alle apparenze. Non era importante quel che ornava il petto di un soldato, ma ciò che riempiva il suo cuore.
La guerra mostrava la vera essenza delle persone e il suo comandante aveva provato di essere davvero un eroe.   

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3953467