And if I said: 'I love you'? di Mystery Anakin (/viewuser.php?uid=52158)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ricordi... ***
Capitolo 2: *** La sparizione di Sam ***
Capitolo 3: *** L'ospedale ***
Capitolo 4: *** La fine di ogni cosa ***
Capitolo 5: *** Tutta la verità ***
Capitolo 1 *** Ricordi... ***
And if I said: 'I love you'? correttissimo
And if I said: "I love you" ?
Le onde si infrangevano lentamente sulla riva del mare...
Era una giornata splendida, il sole era alto nel cielo,
e io, Leah Clearwater, non potevo essere meno in sintonia con il paesaggio in quel momento.
I ricordi che quella spiaggia evocava erano bellissimi e allo stesso tempo dolorosi...
Si può perdere l'amore della tua vita in questo modo?
Ma la cosa peggiore era che non potevo neanche nascondere i miei sentimenti,
tra i quali vi era rabbia, anche se sapevo che non era colpa sua.
Impossibile fermare quel flusso di ricordi, impossibile non soffrire rivivendoli.
Dovevo scappare lontano da lui, lontano da tutti...
Il sole era alto, doveva essere mezzogiorno. Era una delle poche volte
che si vedeva così bene. Di solito era nascosto da una coltre di
nuvole grigie, che minacciava pioggia. Correvamo insieme per la
spiaggia, a piedi nudi, schizzando l'acqua delle onde che
s'infrangevano sulla battigia.
"Sam, è inutile che corri, tanto ti prendo"dissi inseguendolo.
Ero stata sempre veloce, anche da umana. Mi avvicinavo sempre di
più a Sam ogni secondo. Alla fine riuscii a raggiungerlo e lo
strinsi per la vita. Ci rotolammo insieme nella sabbia per un lungo
tratto e poi ci fermammo ridendo.
"Non è possibile!"esclamò Sam" Tu mi fai sfigurare Leah. In quanto maschio, dovrei essere io più veloce!"
"Mi dispiace caro, ma le cose stanno così" risposi con il fiato grosso per la corsa.
Stavamo così, distesi sulla sabbia, e contemplavamo il cielo
sopra di noi. Quel che c'era erano le solite nuvole che minacciavano di
coprire il sole, ma era comunque bello star lì vicino a Sam a
pensare e a parlare. Era l'estate dei miei diciassette anni, e tutto
allora era meraviglioso, fantastico. Stavo con Sam da tre anni, ma il
nostro non era un semplice fidanzamento da ragazzi del liceo, era un
legame forte. Eravamo due anime gemelle, l'uno completava l'altro.
Tutti invidiavano il nostro rapporto e io non potevo che essere
d'accordo con loro. Tutto era così perfetto allora.
"Un giorno di questi andiamo a tuffarci dalla scogliera, ti va?"mi chiese Sam.
"Oh sì, lo sai che amo le sfide!"risposi entusiasta.
"E ami ancora di più vincere eh?"
"Bè, chi ama perdere?"
"Ma perdere con te non è la stessa cosa"disse.
Mi girai verso di lui e lo guardai curiosa. "Che vuoi dire?"
"Se il perdere comporta l'essere abbracciati come è successo
prima, bè , penso che continuerò a perdere anche in
seguito"disse con uno sguardo intenso.
Sorrisi furba. "Allora vedrò di non farti vincere mai"
Mi alzai, e mi stiracchiai. Proprio mentre avevo le braccia in su, mi
sentii avvolgere la vita. Mi girai e mi accorsi che Sam mi aveva
abbracciata. Il cuore mi batteva forte, ma il mio sguardo era fermo.
Non staccavo gli occhi da lui e lui da me.
"Non pensare che io sia così facile da prendere..."dissi con un sorriso storto.
"Basta coglierti di sorpresa" rispose lui.
"Già..."
Mi abbassai di colpo e mi girai all'indietro sottraendomi dalla sua
stretta. Appena fui completamente libera, ricominciai a correre.
"Ma non ti stanchi mai?"si lamentò Sam.
"No, caro..."
Tornammo a inseguirci, ma questa volta io avanti e lui dietro. Il vento
mi sferzava i capelli e la sabbia era morbida sotto i piedi. Lui era
troppo lento, in breve lo avevo distanziato di parecchio. Mi fermai, mi
girai e cominciai a correre indietro. Quando lo raggiunsi ci ferammo e
riprendemmo fiato.
Scoppiammo entrambi a ridere.
"Ho perso"ammise Sam.
"Allora devi avere la tua ricompensa..."dissi.
Ci guardammo entrambi. Sam venne più vicino. Mi sporsi verso di
lui, gli poggiai una mano sulla guancia e molto piano gli diedi un
bacio. Ci separammo quasi subito.
"Tutto qui?"fece lui con un mezzo sorriso.
Lo guardai male, poi lui mi prese il polso.
"Presa"disse.
"Sicuro?"domandai.
Avrei potuto liberarmi, ma non lo feci. Lui approfittò
dell'esitazione e mi baciò. Questa volta fu molto più
lungo e bellissimo. Era come una magia, il mare, il sole, e noi due
lì da soli.
Appoggiò la fronte contro la mia e sussurrò: "Ti amo"
"Anch'io"
Mi sembravano millenni da allora, era tutto così bello...
E in quel momento cosa avevo? Cosa mi era rimasto?
Perchè, perchè quei ricordi dovevano tornare a tormentarmi così?
Perchè non potevo semplicemente spazzarli via, liberarmene?
La vita è questo, in realtà: un'eterna sofferenza
costellata di momenti belli che servono solo a farti soffrire quando
non ci sono più e li rivivi.
Quella era la mia vita.
Chi ero? Non ero più Leah Clearwater, non più senza Sam.
Sam, che era la mia metà.
Sam, che era la mia certezza.
Sam, dal quale non mi sarei dovuta più separare.
Sam, che mi aveva promesso che saremmo stati insieme per sempre.
Era maggio e la scuola volgeva ormai al termine. Il ballo di fine anno
era atteso da tutti.Io ci andavo insieme a Sam, naturalmente. Le mie
amiche erano tutte disperatamente alla ricerca di un accompagnatore e
io le aiutavo come potevo. Allora le mie amiche sole mi facevano pena,
ma non le avevo mai capite veramente. Quella sera tutto era
meraviglioso. Faceva un po' freddo, ma per il resto il cielo era
limpido e le stelle brillavano come tanti diamanti.
Ricordo tutto alla perfezione. Avevo passato il pomeriggio al telefono
con Lise, una mia compagna di classe. Poi avevo indossato un abito di
seta nera scollato, ma con un coprispalle per proteggermi dal
freddo. Alle otto era arrivato Sam vestito con una giacca nera elegante
e una camicia bianca. Mi aveva sorriso quando avevo aperto la porta, e
ricordo che non lo avevo mai visto così bello. Salimmo sulla sua
macchina e mi accompagnò alla festa.
L'atrio della scuola era stato adattato a salone da ballo, ma era lo
stesso molto bello. C'erano già tante coppie di ragazzi che
ballavano. Tutto era stato addobbato per l'occasione: c'erano
ghirlande, festoni, luci colorate. Nell'aria si respirava un'atmosfera
magica, tutto mi sembrava pervaso da un alone di felicità. Non
potevo certo immaginare che, di lì a poco, quell'atmosfera di
felicità si sarebbe infranta per sempre...
"Ragazzi!"esclamò Lise appena mi vide. Lise era una delle mie
più care amiche. Era in compagnia di Marcus, di cui era
innamorata da un po', ma lui non ricambiava. Il fatto che avesse
accettato di andare al ballo con lei rimaneva un mistero.
"Ehi!"disse Sam rivolto a Lise e palesemente sorpreso.
"Bella festa, vero?"chiese Lise. Marcus al suo fianco non sembrava interessato alla conversazione.
"Molto, hanno davvero superato loro stessi, gli organizzatori"confermò Sam.
"Bè, il ballo di fine anno è un'occasione importante..."disse Lise.
"Certo"disse Sam.
"Avete visto Jim e gli altri?"chiese Lise. Jim era un nostro compagno di classe di cui Lise era molto amica.
"Siamo appena arrivati, a dir la verità"rispose Sam.
"Mi sa che mi toccherà andarli a cercare in mezzo a tutta questa folla...uffa"disse Lise.
Lise e Marcus si allontanarono, e Sam mi prese per mano. Cominciammo a camminare.
"Come mai Marcus ha accettato l'invito di Lise?"mi chiese Sam.
"Ehm, a dir la verità non lo sa neanche lei. Ma io ho una
teoria: Marcus si è lasciato due giorni fa con la sua fidanzata,
credo che voglia dimostrarle qualcosa. I maschi..."dissi con un sospiro.
"Cosa vorresti dire?" mi chiese Sam in tono scherzoso.
Lo guardai divertita. "I maschi...tranne te, naturalmente"
"Io non vorrei mai farti soffrire"disse Sam.
"Io non potrei mai"aggiunsi io.
Partì una musica lenta e tutte le coppie cominciarono a ballare.
Sam mi appoggiò delicatamente le sue mani sulla vita e io
appoggiai le mie sulle sue spalle. Cominciammo ad ondeggiare
così, piano piano.
Ballammo diverse canzoni, alcune lente, altre più veloci, ma
quel che era importante era che ero con lui, che potevo abbracciarlo,
che sapevo che lui mi amava.
Più tardi ci allontanammo un attimo dalla pista per andare a
prendere qualcosa da bere. Mentre mi versavo un'aranciata, vidi Lise
sola e un po' triste che beveva qualcosa. Preoccupata mi avvicinai a
lei.
"Lise?"chiesi cauta.
Lei mi guardò con occhi lucidi.
"Cos'hai?"le domandai, appoggiandole una mano sulla spalla.
Scoppiò a piangere di botto. Io non sapevo assolutamente cosa fare.
"M-Marcus..."balbettò. "La sua ex ragazza si è avvicinata
mentre parlavamo e...e gli ha dato uno schiaffo. Poi se
n’è andata via e Marcus l'ha seguita dicendomi solo
'ciao'!"
Non ero granchè sorpresa, ma comunque la notizia mi
inquietò. Mi dispiaceva per Lise, ma dentro di me provavo
soddisfazione, perchè io avevo trovato un ragazzo che sapevo non
mi avrebbe mai, mai trattata così. Mi detestai per quella
sensazione che non riuscivo a scacciare.
"Oh Lise...io..."mormorai.
"Non c'è bisogno che tu mi dica nulla, dovevo aspettarmelo, sono
stata una stupida" disse con rabbia, asciugandosi le lacrime con il
dorso della mano.
Non sapevo cosa dire, aveva ragione, ma non volevo certo dirlo in quel
momento. Rimasi lì, con la mano appoggiata alla sua spalla,
incapace di dirle.
All'improvviso lei si alzò di scatto e scappò attraversando la sala.
"Aspetta, Lise, dove vai?"chiesi allibita.
Cominciai ad inseguirla, ma qualcuno mi afferrò il braccio. Mi
voltai e vidi Sam, con un'espressione concentrata sul viso, che mi
faceva segno di no con la testa.
"Lascia perdere"disse con tono risoluto.
"Perchè?"
"Perchè ha bisogno di stare sola in questo momento...si sente
umiliata, non vuole che qualcuno le mostri pietà" spiegò.
Abbassai lo sguardo. Forse aveva ragione, ma avevo intenzione di non lasciarla sola troppo a lungo.
Il resto della sarata trascorse in modo teso. Io non ero per niente
tranquilla. Lise aveva avuto una grossa delusione, era davvero
innamorata di Marcus. Non sapevo cosa lei stesse provando esattamente
in quel momento, perchè io avevo la mia sicurezza proprio
affianco a me. Non avevo mai dubitato del fatto che Sam fosse per me
qualcuno a cui affidarsi, la mia ancora. Ora però Lise mi aveva
dato qualcosa a cui pensare. E se fosse successo lo stesso a me? Se Sam
mi avesse abbandonata? Cosa avrei fatto? Sapevo che era impossibile, ma
non potevo non pensarci. Avevo paura, paura di soffrire, di sentire la
sua mancanza, di non poter vedere più il suo sorriso. Ma cosa mi
stava succedendo? Io ero Leah Clearwater, una ragazza allegra, forte,
non potevo lasciarmi abbattere da simili pensieri. No, Sam non mi
avrebbe mai lasciata. Eppure...
"Leah?"sentii la voce di Sam come da molto lontano.
Mi accorsi all'improvviso che ci trovavamo di fronte al palco che era
stato allestito alle spalle della pista da ballo. Eravamo lì
perchè stavano premiando tutti i ragazzi per i tornei e le
attività svolte a scuola. Poi una band avrebbe suonato.
"Oh, scusa, Sam... mi ero distratta" dissi, abbassando gli occhi per non tradire alcun turbamento.
Per tutta risposta Sam mi alzò il mento e mi guardò dritto negli occhi. "Sei strana... stai pensando a Lise?"
"Io... sì, più o meno" risposi
"Non preoccuparti per lei, con il tuo aiuto riuscirà a
dimenticarlo" disse. "Tu riesci sempre ad aiutare le persone, hai un
carattere forte e riesci a trasmettere la tua forza anche agli altri"
"Oh, Sam... grazie" dissi, abbracciandolo e poi scostandomi dolcemente.
Lui mi guardò, studiandomi più a fondo. "Ma non è tutto, vero?"
Rimasi in silenzio, fissando il palco.
"Leah?"
"No... è tutto"dissi, ma non con decisione.
"Leah, mi hai sempre detto tutto, perchè non vuoi parlare?" chiese preoccupato.
Lo guardai negli occhi, poi dissi: "Andiamo fuori, qui c'è troppa confusione"
"Come vuoi"
Mi guidò per mano verso l'uscita dell'atrio. Ci inoltrammo per
il giardino, cercando un posto abbastanza appartato. Era un sollievo
trovarsi fuori da quella confusione. Ad ogni angolo del giardino
c'erano coppiette che si erano appartate e che evitai accuratamente di
guardare, per non essere accusata di spiare. Cercai di superarle
affrettando il passo tanto che Sam dovette faticare per tenermi dietro.
Alla fine trovai un posto abbastanza tranquillo: una panchina sotto un
grosso albero dalla chioma folta. Mi sedetti e Sam fece altrettanto.
Lo guardai attentamente prima di dire: "Sam, tu... tu non mi abbandoneresti mai, vero?"
Sam si irrigidì di colpo e disse in tono duro: "Perchè me lo chiedi?"
"Perchè io ho visto Lise stasera e... io non voglio soffrire
come lei, non voglio perderti, Sam. Io... io…" sentii
improvvisamente un groppo in gola.
Lui mi prese la mano e disse: "Io non potrei mai ferirti, Leah"
"Lo so... ma ho paura lo stesso che un giorno tu te ne andrai dalla mia vita." dissi con maggiore difficoltà.
Sam sospirò e mi guardò negli occhi. "Stavo cercando un
momento adatto per dirti quello che ti devo dire, ma non ne ho avuto
l'occasione. Ora mi sembra un momento adatto. Vedi, ho riflettuto molto
su noi due in questi giorni e... Leah, io voglio che tu sappia che per
me sei una ragazza speciale e diversa dalle altre. Io ti amo e non
intendo smettere di farlo. Voglio farti una promessa"
Lo guardai stupefatta e colpita, non mi aspettavo nulla di tutto
questo... il groppo in gola si fece più pesante mentre le
lacrime minacciavano di cadere dagli occhi.
Sam si alzò e mi prese la mano; io feci altrettanto. Lui si mise dietro di me e mi mise qualcosa al collo.
Lo guardai: era un ciondolo bellissimo, con un sole dorato su cui erano
incise due semplici ma importantissime parole: "Per sempre".
Mi girai verso di lui con le lacrime agli occhi. Aveva un'espressione
ferma che mi fece sentire quanto lo amavo, quanto anch'io desideravo
dirgli quelle semplici parole.
"Per... sempre" mormorai.
Lui annuì, appoggiò la fronte alla mia, e, dopo avermi dato un dolce bacio, mi sussurrò: "Per sempre".
Un vento gelido si alzò all'improvviso.
Sentii un brivido percorrermi la schiena mentre rivivevo quel momento.
Quante speranze, quanti sogni illusi…
Ora era tutto come un sogno, come se non fosse mai accaduto.
Tutto per colpa di quel giorno maledetto.
Tutto per colpa mia…
Sì, perchè era anche colpa mia...
Ma ora non serviva a nulla incolparsi…
Tanto non sarebbe cambiato niente.
Io sarei rimasta da sola.
Come in quel momento.
E per il resto della mia vita.
Un giorno d'estate, un giorno qualunque. A volte non ce ne accorgiamo,
ma è proprio nei giorni qualsiasi che capitano gli eventi che
alla fine ti sconvolgono la vita. E’ proprio quando meno te lo
aspetti, quando sei sicura della tua vita, quando hai le tue certezze,
che tutto può crollare in un attimo, lasciando intorno a
sé macerie che sono i ricordi più dolorosi.
Ricordo perfettamente quel giorno, era il nostro anniversario.
Tre anni insieme... Quanto tempo era passato, eppure tutto era rimasto
come allora, come la prima volta. Semplice, spontaneo, senza
complicazioni.
Ero seduta alla scrivania del mio letto intenta a finire il pacchetto
del regalo che avrei dovuto dargli. Guardai fuori dalla finestra e
sorrisi. Era una sera perfetta, il cielo stava lentamente diventando
scuro, e le prime stelle si stagliavano già come punti luminosi.
Non c'era neanche una nuvola e la luna era ben visibile. Era una luna
piena... La guardai affascinata, era bellissima. Sembrava brillare di
luce particolare, sembrava...magica. Quella visione mi riempì di
gioia, e mi vennero in mente alcuni dei momenti più belli
passati con Sam: il giorno che ci eravamo conosciuti a scuola; il
nostro primo bacio; il primo anniversario; l'altra sera al ballo, dove
aveva promesso di amarmi per sempre.
Il telefono squillò all'improvviso e sobbalzai, ritornando alla
realtà. Al secondo squillo premetti il tasto verde del cordless,
e risposi. La voce che tanto amavo mi rispose, ma c'era qualcosa di
strano.
"Ciao Leah"aveva detto con una voce strana, affannosa.
"Ciao Sam, ti senti bene?"chiesi preoccupata.
"Io...bè… credo di avere un po' di febbre" rispose.
Non ci voleva, proprio quel giorno. "Oh no..."gemetti.
"Ma non preoccuparti, è tutto a posto, usciremo comunque. Non
voglio certo rovinare la serata per questo"disse sempre con quella voce
affannosa
"No, Sam, l'importante è che tu stia bene. Se la febbre è
alta, è meglio che rimani a casa. Vorrà dire che
verrò io da te e passeremo un anniversario diverso..."
"NO"esclamò all'improvviso "no, è meglio di no...lasciamo le cose come stanno.
Passerò a prenderti io, solo che verrò un po' più tardi, ok?"
" Io...ok, ma Sam, sei sicuro di sentirtela?" chiesi.
"Sì, sì non preoccuparti. A dopo"
"Ciao"
Riattaccai. Non ci voleva proprio. Che sfortuna, il giorno del nostro
anniversario! Ma non era solo quello ad impensierirmi. Sam non prendeva
la febbre da quando frequentava il primo superiore, possibile che si
fosse ammalato improvvisamente e in piena estate? Poteva essere
qualcosa di più grave, forse, e questo non rendeva la situazione
migliore. Non volevo assolutamente che si aggravasse, doveva essere
controllato subito. Avrei convinto Sam a chiamare il dottore il giorno
dopo, non potevamo aspettare. E quella voce affannosa, poi...mi metteva
una tale inquietudine, come se fosse quella il problema principale, e
non la febbre. Una persona che ha la febbre, non ha una voce affannosa,
o almeno non così tanto.
Mentre mi dibattevo tra questi pensieri, qualcuno bussò alla porta e mia madre fece capolino dentro la stanza.
"Leah, gli zii sono arrivati, vieni a salutare Emily, è così tanto che non vi vedete"disse con un sorriso.
"Ok, vengo..."risposi, sempre assorta nei miei pensieri.
La serata con gli zii passò bene. Avevano fatto un lungo viaggio
e li aiutammo a sistemarsi nella camera degli ospiti. Emily era la mia
cugina preferita, quella con cui andavo più d'accordo, ed era
una sorta di sorella per me. Da piccole ci vedevamo molto più
spesso e giocavamo sempre insieme. Era una graziosa ragazza dai capelli
biondo scuro lisci, guance rosate e un sorriso dolce. A vederci insieme
tutti avrebbero detto che avevamo caratteri diversi, ma in
realtà non era così. Anche sei lei sembrava una ragazza
delicata e fragile, in realtà dimostrava una forza interiore
sorprendente. Inoltre era determinata e sapeva cosa voleva. Io non ero
poi così diversa, così noi due ci capivamo al volo, in un
soffio. Quella sera niente mi diceva che tutta la mia vita di lì
a poco sarebbe stata sconvolta. Tutto era tranquillo come sempre. In
breve spiegai a Emily che giorno era quello, e che per quella sera non
avrei potuto stare con lei. Emily mi disse di non preoccuparmi e che
una sera come quella non poteva certo essere rimandata per il suo
arrivo. A quel punto le spiegai le mie preoccupazioni per Sam e la sua
febbre.
"Voce affannosa, hai detto?"mi chiese, pensierosa.
"Sì..."
"Mmm, non saprei. In effetti è strano, spero che non sia nulla di più grave"disse, sinceramente preoccupata.
"Lo spero anch'io"dissi.
Si fecero le otto e l'attesa lentamente mi consumava. Di lì a
poco Sam sarebbe arrivato. Le otto e un quarto. Le otto e mezza. Ora
l'attesa era diventata ansia. Si era forse sentito male e non era
potuto venire a prendermi? Cominciai a camminare per l'ingresso, sempre
più nervosa. Gli altri erano usciti su consiglio di Emily, per
concedermi un po' più di intimità quando sarebbe arrivato
Sam. Ma Sam non arrivava. Alle nove meno un quarto, spazientita, presi
il telefono e composi il suo numero di cellulare. Non era
raggiungibile. Allora chiamai a casa sua. Squillò per parecchio
tempo prima che la voce della mamma di Sam rispondesse.
"Sì?"fece in tono debole.
"Buona sera, signora, sono Leah. Come sta Sam? Posso parlare con lui?" chiesi, esitante.
La madre di Sam fece un sospiro, poi con voce turbata disse: "Io... ora non può parlarti"
"Ma è qualcosa di grave? Ditemelo, vi prego, sono preoccupata!"esclamai angosciata.
"No...sta’ tranquilla, non è niente di grave. Ora devo andare, mi dispiace" disse velocemente.
"No, un attimo! Perchè non può parlare...?"
Troppo tardi, aveva riattaccato. Rimasi con la cornetta in mano, mentre
la mia ansia cresceva. Cosa stava succedendo? Sua madre aveva detto che
non era niente di grave, ma allora perché non poteva parlare? Mi
alzai di scatto con il cuore a mille. La voce affannosa di Sam mi
rimbombava ancora nelle orecchie, potevo persino vederlo: lui, sudato,
scosso dai fremiti, che le parlava al telefono. No, non era una
semplice febbre. Era qualcosa di più grave. Eppure lui le aveva
detto che poteva uscire. Forse la situazione era precipitata nelle
ultime due ore...
Mi misi la testa tra le mani: "No, no, no"
Cominciai a camminare furibonda per il fatto di non poter vedere Sam, e
allo stesso tempo preoccupata per la sua salute. Alla fine arrivai alla
conclusione che non avrei potuto fare nulla se i genitori di lui mi
negavano di vederlo. Ma sapevo com'ero fatta, ero determinata a
raggiungere a tutti i costi ciò che volevo; perciò non
sarebbero stati due genitori protettivi a fermarmi. Io volevo vedere
Sam, io dovevo farlo. Era il mio ragazzo, lo amavo, e qualunque cosa
avesse dovevo stargli accanto. Così, senza neanche pensarci
tanto su, mi tolsi gli abiti eleganti che avevo indossato per quella
sera, e mi misi qualcosa di più comodo. Una maglietta e un jeans
andavano bene. Ora il problema era arrivare a casa di Sam. Sapevo
guidare, ma non avevo un'auto per me, l'unica che avevamo era quella di
suo padre, e lui in quel momento non c'era. Dopo un po' di minuti
passati a scervellarmi, decisi di prendere la mia vecchia bicicletta in
garage. Così uscii fuori di casa e una leggera pioggerella mi
bagnò la testa. "Non ci voleva..."pensai, guardando il cielo.
Entrai nel garage, e mi diressi verso la parete di fronte. La
bicicletta era ancora lì dove l'avevo lasciata l'ultima volta.
Ricordavo perfettamente quel giorno, era il giorno in cui ci eravamo
conosciuti. Io stavo correndo a casa con la mia bici, quando ad un
tratto urtai Sam e caddi anche io. Ricordavo che lui mi diede la mano
per aiutarmi ad alzare e, quando lo guardai negli occhi, capii che lui
sarebbe stato speciale per me, e mi pentii amaramente di averlo
investito. Era stato l'inizio di tutto, e non potevo neanche sapere che
con quella stessa bicicletta sarebbe finito tutto.
Presi delicatamente la bici dal fermo a cui era appesa alla parete, e
corsi fuori dal garage. Mi misi in sella e cominciai a pedalare
più veloce che potevo. La pioggia batteva forte ora, e tutto era
sfocato, ma dovevo andare avanti, dovevo andare da Sam. La corsa
sembrò durare ore, per un momento temetti di aver sbagliato
strada. Alla fine però la casa di Sam mi si materializzò
davanti e tirai un sospiro di sollievo nel vederla. Non mi importava se
mi avesse sbarrato la strada, sarei entrata a forza in casa. Io dovevo
vederlo, dovevo assicurarmi che stesse bene. Se lui stava bene, io
stavo bene, ma se lui stava male, io avrei sofferto con lui, per lui.
Scesi dalla bici e atterrai proprio in una pozzanghera di fango. Il
jeans si sporcò, ma non m'importava, dovevo andare verso quella
casa, verso quella porta. Mi diressi davanti alla porta col cuore a
mille. Bussai al campanello. Niente. Bussai due, tre volte. La pazienza
mi stava abbandonando.
"Aprite, sono Leah!"gridai con le labbra bagnate di pioggia.
Niente.
"Aprite, dannazione!"urlai furiosa, e scagliai un pugno contro la porta.
Dopo pochi secondi, la porta si aprì e si affacciò la madre di Sam.
"Leah!"esclamò, sgranando gli occhi, "Così ti ammali, entra"
Sam era malato e lei si preoccupava per me?
Entrai furibonda nell'ingresso, schizzando acqua dappertutto. "Dov'è Sam?"chiesi a voce alta.
Il padre di Sam fece capolino da una porta. Mi guardò da sotto in su e disse in tono sommesso: "Leah..."
"Non m'importa di quello che ha, io voglio vederlo!"gridai.
I due coniugi si guardarono, poi all'improvviso dalla porta comparve un
altro uomo. Era vestito in divisa da poliziotto, era grosso e con
lunghi baffi.
"Cosa..."cominciai.
Il padre di Sam incontrò il mio sguardo, mentre il poliziotto si
metteva le mani sui fianchi. "Leah, Sam...Sam è scappato"
Rimasi di stucco. La signora scoppiò a piangere. Io non sapevo
cosa fare o dire, ero assolutamente pietrificata, allibita,
sconcertata. Perchè era scappato? Che cosa stava succedendo?
Allora non potevo saperlo, ma quello sarebbe stato l'inizio della fine,
della fine di ogni cosa
della fine del mio amore
del suo amore
e io, Leah Clearwater, non sarei stata più,
mai più quella che ero, quella che avei potuto essere
e quella che ormai si era persa per sempre...
Salve a tutti!
Questa è la mia prima fan-fiction su Twilight. Ho riflettuto
molto prima di pubblicarla, per due motivi. Il primo è che forse
non tutti saranno d'accordo con la conclusione che voglio dare a questa
storia. Il secondo, rigurda il fatto che molto spesso mi blocco mentre
scrivo una storia. Però ho deciso lo stesso di pubblicare questa
ff, perchè credo che con i vostri consigli riuscirei a finirla e
a perfezionarla. Perciò mi farebbe molto piacere ricevere tante
recensioni, anche negative, così posso correggermi. Comunque
spero che vi piaccia!
Mystery Anakin
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Capitolo 2 *** La sparizione di Sam ***
And if I say I love you 2 correttissimo
2. La sparizione di Sam
Tre giorni. Erano passati tre giorni. Tre interminabili giorni. E Sam
non c'era. Non una telefonata, un biglietto...qualunque cosa,
dannazione. Niente. La cosa che odiavo di più era proprio quel
senso di impotenza, il fatto di ignorare quanto era successo. Sam, il
mio ragazzo, il mio amore, la mia vita fino a quel momento, era
scappato. Sparito. Scomparso nel nulla. L'unica cosa che aveva detto
prima di andarsene e non tornare più era che usciva per un po'.
Sua madre aveva cercato di fermarlo, ma non ci era riuscita. Il padre
non era in casa, e così si era dileguato senza alcun motivo o
spiegazione. E ora, dopo tre giorni, non sapevamo ancora nulla. Niente
di niente. Più cercavo di venire a capo di tutto quel mistero,
più mi trovavo allo stesso punto. Era come girare in tondo in un
bosco, e trovarsi sempre davanti lo stesso albero. Avevo considerato
tutte le possibilità , avevo rivisitato tutto quello che era
successo negli ultimi giorni. Ma nulla, nulla mi dava un senso a
ciò che aveva fatto. Non si era comportato in modo strano, non
era stato molto diverso dal solito. L'unica stranezza era successa la
sera stessa. Sam mi aveva telefonato dicendomi che non stava molto
bene. Ma perchè doveva scappare, perchè non poteva
restare qui e farsi curare, perchè non mi aveva detto niente,
perchè? Corrosa dalla preoccupazione e dal non senso di tutto
quello che stava succedendo, mi strinsi le braccia intorno alla vita
mentre guardavo fuori dalla finestra del salone di casa di Sam. Il
cielo era plumbeo, come sempre, e minacciava pioggia imminente.
Nell'ingresso si sentivano i singhiozzi sommessi della signora Uley.
Non sopportavo quel suo comportamento. Non faceva che mettermi in
agitazione e mi confondeva ulteriormente le idee. Tanto più che
non serviva a nulla, Sam non sarebbe tornato con i suoi singhiozzi. Mi
scostai dalla finestra e uscii dal salone. La porta si aprì e ne
entrò il padre di Sam, con il ispettore della polizia.
"...e comunque sto analizzando il caso nei minimi dettagli, non si
preoccupi. Ma vede, questo ragazzo è scappato via senza portarsi
nulla per dormire o mangiare. Forse non andrà troppo lontano. Il
problema è che non sembra la classica fuga degli adolescenti
disturbati o con grossi problemi..."stava dicendo.
Entrando lanciarono un'occhiata verso di me. Era evidente che mi avevano menzionata in qualche modo.
"Leah, devo parlarti"disse il padre.
Alzai le spalle. "Mi dica"
Il signor Uley guardò il poliziotto con evidente imbarazzo.
Quello ricambiò il suo sguardo e annuì. Il padre di Sam
mi guardò con apprensione. Mi chiesi il significato di quella
scenetta. Stavo cominciando ad irritarmi, quando il signor Uley,
schiarendosi la voce, disse: "Leah..."fece una pausa "Volevo...devo
chiederti una cosa"
Un silenzio imbarazzato scese dopo queste parole, interrotte solo dai lievi singhiozzi della signora Uley.
"Sì?"feci impaziente. Non volevo stare un minuto di più in quella casa. Tutto e tutti mi mettevano a disagio.
"Vedi, Leah...è una domanda che a questo punto devo farti. Tra l'altro non penso che...ma non si sa mai..."
Ma cosa mai doveva chiedermi di così imbarazzante? Era
così strano vedere il tanto sicuro di sè signor Uley che
si imbarazzava in quel modo. Era sempre stato un tipo poco emotivo,
sempre silenzioso. Ogni volta che andavo a casa di Sam sembrava una
statua di marmo, tanto che mi chiedevo se Sam gli avesse mai parlato.
Per quanto mi riguardava, quella che stavamo appena tenendo era la
conversazione più lunga che avessimo mai fatto, io e il padre di
Sam. Quell'uomo era così diverso da mio padre, scherzoso e
aperto con tutti, pieno di vita e allegro.
Dopo aver inspirato a fondo, chiese: "Sei incinta, Leah?" così,
come uno sparo, un colpo di pistola quando meno te lo aspetti.
Rimasi a bocca aperta per la sorpresa di quella domanda. Tutto mi
aspettavo, persino che mi chiedesse se l'avessi convinto io a scappare,
tranne che quello. La cosa era così assurda che pensavo di
essermela immaginata per un momento. Il signor Uley, che mi chiedeva
una cosa del genere? E che cosa! Quell'uomo con cui avevo scambiato
solo dei "buongiorno" e dei "buonasera" molto formali, che mi chiedeva
una cosa così personale? Per un attimo mi sentii come invasa
nella mia intimità, e reagii con rabbia.
"Cosa?"esclamai tra l'arrabbiato e lo stupito.
Mi accorsi che anche la signora Uley aveva smesso di piangere, e guardava il marito con sguardo vacuo.
"E' importante saperlo, Leah..."mormorò il padre di Sam con occhi bassi.
"No, dannazione! Ma perchè pensate una cosa del genere?" dissi
ad alta voce spostando lo sguardo da lui, alla signora Uley immobile
con lo sguardo rivolto verso il marito, e al poliziotto
perfettamente calmo, come se si stesse parlando del tempo. Dedussi che
era stato proprio lui a suggerire una simile domanda.
"Leah, dobbiamo sapere se Sam abbia potuto anche solo pensarlo, o
dedurlo da qualcosa che hai detto o fatto"spiegò il signor Uley.
In quel momento capii. Pensavano che Sam fosse scappato perchè
pensava che fossi incinta. Come potevano pensare una cosa così
di Sam? Era evidente che non lo conoscevano come lo conoscevo io. Sam
non mi avrebbe mai, mai, abbandonata se mi fossi trovata in una
situazione del genere. Non era così vile da lasciarmi sola. Era
una cosa ripugnante da pensare, e loro lo pensavano del figlio! Ora la
mia rabbia aveva raggiunto livelli davvero incontrollabili.
"Ma...come potete pensare che Sam sia scappato per questo?!"esclamai infuriata.
"Tutto è possibile, Leah..."disse il signor Uley.
A quel punto non ci vidi più. "Ma come può pensarlo di
SAM? Io mi rifiuto! Lei non lo conosce come lo conosco io!" urlai.
"Io sono suo padre e vedi di moderare i toni"disse il padre ma minaccioso.
"Un padre che scommetto neanche parla con suo figlio!" sbottai, ma non
volevo farlo. La rabbia e la frustrazione di quei giorni erano
scoppiati.
"Come ti permetti? Tu che ne sai? Sei solo una ragazza"disse arrabbiato ma non scomposto.
"Basta ora" intervenne la moglie con voce tremante "Non dobbiamo litigare, non ci serve a nulla"
Abbassai lo sguardo. Era vero, ma non potevo sopportare che pensassero
cose del genere di Sam. Lui non era così. Non lo sarebbe mai
stato. Non mi avrebbe mai lasciata, me lo aveva promesso.
"Devi capire che dobbiamo considerare tutte le possibilità" disse il poliziotto con fare professionale.
"Sì, ma sono sicura di quello che dico"ribattei impaziente.
"In tal caso penso che possiamo concentrarci su altro" concluse il poliziotto.
"Bene" annuì il signor Uley.
Guardai l'orologio. Mezzogiorno. Dovevo tornare a casa, l'avevo promesso alla mamma.
"Io dovrei andare" dissi esitante.
"Va bene"mi rispose la signora Uley.
Il signor Uley e il poliziotto confabulavano ad alta voce.
"Salutami i tuoi" disse la signora in un tentativo di apparire normale.
Secondo me, appena chiusa la porta avrebbe ricominciato a piangere.
"Allora buon giorno" dissi alzando la mano in segno di saluto e dirigendomi alla porta.
Uscii di casa e chiusi la porta. Inspirai a fondo. Finalmente ero fuori
da quella casa. Non ne potevo più, quell'aria così
pesante, quell'atmosfera opprimente. E la situazione si era aggravata
negli ultimi minuti, con quella specie di interrogatorio. Come si erano
permessi di farmi quelle domande? Una cosa così intima! E
pensare certe cose di Sam...
Mi misi a camminare veloce, ansiosa di mettere quanta più
distanza possibile fra me e quella casa. Non potevo credere che i
genitori di Sam fossero così diversi da lui. Non era così
fragile come sua madre, e neanche così chiuso come suo padre.
Sam era aperto e spontaneo, forte e sicuro di sè. Sapeva
esattamente ciò che voleva, proprio come me. Tra i due quella
che comandava però ero io, perchè lui non riusciva mai a
contraddirmi per molto. All'ondata di ricordi che mi suscitò
quel pensiero, mi sentii angosciata, mentre una sensazione strana si
faceva largo dentro di me. Avevo come l'impressione che tutto questo,
tutto ciò che avevo passato con Sam, non sarebbe più
tornato. Era una sensazione stupida, lo sapevo, perchè non si
fondava su nulla, ma mi prendeva sopratutto nei momenti in cui ero sola
o non avevo nulla da fare. Per questo in quei giorni avevo cercato di
rendermi utile il più possibile, mi aiutava a non pensare. E
comunque, razionalmente sapevo che era stupido pensare che non avrei
rivisto più Sam. Perciò la cosa migliore non era
angosciarsi inutilmente, ma cercare di fare il possibile per
ritrovarlo. Arrivai a casa ed entrai.
"Ciao ma'"dissi appoggiando la borsa sul divanetto dell'ingresso.
"Ciao Leah, come vanno le indagini?" disse mamma dalla cucina.
"Niente di nuovo, purtroppo" risposi entrando in cucina e sedendomi su una sedia.
La mamma, che stava rimestando qualcosa nella pentola, si girò.
"Sei stanca Leah, perchè non ti prendi un po' di pausa? Sono le
vacanze estive, e dovresti riposarti"
"Come faccio a riposarmi, con Sam là fuori chissà dove? Potrebbe succedere di tutto" dissi.
Mia madre mi guardò negli occhi. "Lo ami davvero, è così?"
Non risposi subito. Non era il genere di cosa che si dicevano
facilmente a una madre, per quanto comprensiva potesse essere. Ma
sapevo che mia madre aveva già capito tutto. "Sì"
Lei mi sorrise. "Se è così anche per lui, tornerà, sta tranquilla. Non potrebbe stare senza di te"
"E se lo avessero rapito?"
"I rapitori avrebbero già dovuto farsi vivi"
Abbassai gli occhi. La cosa non mi convinceva lo stesso: non era un
semplice ragazzo adolescente che scappava di casa. C'era qualcos'altro
sotto.
"Non so, mamma...la cosa è proprio strana"
"Tornerà, vedrai" mi rassicurò.
"Lo spero".
Quinto giorno dalla scomparsa di Sam. Ero seduta nel salotto di casa
mia e fissavo un punto indistinto del tappeto senza vederlo, mentre mia
cugina Emily parlava.
"Quindi non potrebbe essere questo" stava dicendo.
Le cose non erano affatto migliorate, anzi, brancolavamo nel buio
più totale. Nessuna novità, nessuna notizia, niente di
niente. La polizia non aveva fatto progressi, indizi non ce n'erano.
Sembrava che Sam fosse scomparso nel nulla, vaporizzato, dileguato.
Ormai erano tre notti che non dormivo. Non riuscivo a prendere sonno,
la mia mente divagava ovunque e ormai avevo cominciato a pensare le
cose più disperate. Pensavo che fosse morto, che lo avessero
rapito. Avevo cominciato a pensare addirittura che quello che il
poliziotto sospettava fosse vero. Ormai non sapevo più nulla.
Ogni ipotesi era sempre più disperata, sempre meno plausibile.
"Vero?"disse Emily e io mi riscossi all'improvviso.
"Sì..."dissi "Non può essere stato rapito, avrebbero
chiesto il riscatto. A meno che non ci fosse un'altra ragione, ma
è questo il fatto. Sam ha una vita assolutamente normale, cosa
può aver fatto per essere rapito?"
Mi passai una mano tra i capelli. Mi sembravano mesi che ripetevo
sempre le stesse cose. Sempre le stesse. Tutto non aveva senso. C'era
come un elemento che non avevamo considerato.
"E poi come starà? Era malato quando l'ho sentito l'ultima
volta. Come farà a procurarsi da mangiare, dove dormirà?"
dissi disperata.
Mia cugina mi cinse le spalle con un braccio.
"Vedrai che tutto si sistemerà" mi disse.
Ero stanca di sentirmi dire così da tutti. Non che non ci
sperassi, ma questo ripeterlo in continuazione mi dava fastidio.
D'altra parte non potevo arrabbiarmi con Emily, lei cercava solo di
consolarmi e di rassicurarmi. Forse addirittura ero io che non volevo
essere consolata, non mi piaceva quando qualcuno doveva dire belle
parole solo per farmi stare meglio. Era una cosa che avevo odiato fin
da bambina, quando i genitori ti costruiscono una storia abilmente
inventata, solo per smorzare la durezza o difficoltà di certi
argomenti. Invece pensavo che anche i bambini dovessero essere messi di
fronte alla verità e alla realtà, perchè solo
così si può crescere. Comunque apprezzavo il gesto di
Emily, perchè mi faceva capire che lei mi voleva bene.
Le sorrisi debolmente per ringraziarla di quell'incoraggiamento.
"Perchè non esci un po', fai una passeggiata? Servirà
solo a farti stare meglio. Stare qui a rimuginare non serve a niente"
disse Emily con tono confortante.
"No, Emily. Non mi va, preferisco stare qui e aspettare. Non me la
sento di fuggire dai miei pensieri. Mi sembra di fare un torto a Sam
non pensando a lui e a quanto potrebbe stare male"spiegai.
Emily mi guardò sorpresa:"Lo ami proprio tanto...ti invidio il fatto che tu provi un sentimento così forte"
Sorrisi mesta; era vero. Di solito non parlavo di queste cose con gli
altri, ma Emily era da sempre mia amica e confidente e certe cose le
capiva. Perciò, con il pensiero che ancora una volta vagava
lontano, dissi: "Sì, lo amo. Non ho mai provato un sentimento
del genere per nessun altro. Credo di aver trovato l'anima gemella
Emily. Lui è tutto per me: è il mio amore, il mio amico,
il mio confidente, la mia metà...tutto."
Emily sorrise e non disse nulla.
"E tu Emily? Hai...hai trovato qualcuno?" chiesi esitante.
Lo sguardo di Emily si fece triste e spento, ma solo per un attimo, poi
tornò il suo sorriso dolce e appena accennato: "No. Non ancora.
Sto aspettando, ma spero, spero sempre. So che lui è lì
da qualche parte e aspetta me, e io aspetto lui. Non voglio altro, solo
la certezza che un giorno ci sarà. Non m'importa di avere tanti
ragazzi...solo lui"
"E' giusto, hai ragione: anch'io la penso come te" dissi.
Detto ciò, restammo un po' in silenzio, poi Emily si alzò
dal divano e disse: "Ora vado al supermercato: avevo promesso a tua
madre di andare a fare la spesa oggi"
"Ma non ce n'è bisogno, posso andare io" protestai.
"Lascia stare, è meglio se ti riposi, esci per fare una
passeggiata se vuoi, ma ci penso io ai servizi"mi rassicurò.
"Ma non è giusto, sei tu l'ospite!" cercai di controbattere
"Non mi pesa, davvero"
Visto che non c'era nessun modo di protestare, la lasciai andare.
Appena Emily chiuse la porta dietro di sè, la casa fu immersa in
un vuoto silenzio. Andai alla finestra e guardai il vialetto di casa
mia. Un insolito sole inondava la zona. Gli alberi erano più
verdi del solito e tutto era più luminoso. E' proprio arrivata
l'estate. (meglio virgola) Pensai in quel momento. Una malinconia
inaspettata mi inondò il petto al ricordo dell'estate precedente
e di quanto mi ero divertita, i tuffi e i falò sulla spiaggia.
Ma la cosa che mi mancava di più in quel momento era il suo
sorriso, e i suoi occhi così dolci...
Mi scostai dalla finestra, e andai in camera mia. Tutta quella
situazione non aveva senso, era assurda. Entrata in camera presi il mio
diario e lo aprii: tra le pagine trovai una foto di noi due abbracciati
sulla spiaggia l'anno precedente. L'accarezzai e la fissai per un po'.
Poi, dopo un po', richiusi il diario con uno scatto.
Ma che faccio? Sto diventando come sua madre, compiango il fatto che
lui non ci sia e che mi manchi. No, devo...devo cercare
qualcosa...
All'improvviso mi accorsi che c'era qualcosa che avevo dimenticato,
come un particolare non considerato...come...come il pezzo mancante nel
puzzle che era diventata quella situazione. Ma non avevo ancora capito,
qualcosa mi sfuggiva, avevo la sensazione che ciò che avevo
ignorato fosse vicino, ma non riuscivo a capire dove fosse. Mi guardai
intorno. La mia stanza era in un disordine totale. Tra tutte le cose a
cui avevo dovuto pensare, non avevo avuto tempo nemmeno di riordinarla.
C'erano vestiti sparsi un po' ovunque, carte, fotografie che in quei
giorni avevo rispolverato. Ma nulla di tutto ciò che vedevo,
(togli la virgola) era ciò che stavo cercando, c'era
qualcos'altro. Ma cos'era?
"Dannazione!" esclamai e mi sedetti furiosamente sul letto, mantenendomi la testa.
Cosa...cosa ho trascurato? Ho pensato a tutto, ma niente sembra plausibile.
All'improvviso guardando la foto di noi due che ancora reggevo in mano, mi ricordai di una cosa.
Era sera. La giornata in spiaggia era stata stupenda. Avevamo fatto i
tuffi dagli scogli più bassi, esplorato il fondale più a
largo, e addirittura costruito un castello di sabbia.
"Se fossimo un re e una regina, vivremmo dentro un castello...non sarebbe una cosa...favolosa?"dissi scherzando.
Sam, che mi cingeva le spalle, si mise a ridere. "Hai ragione" dopo un
po' di secondi di silenzio continuò. "Mi piace di più se
ricopriamo il ruolo del principe e della principessa, è
più romantico"
Questa volta feci anch'io una risatina. "Ok, vada per il principe".
Dopo un po', disse:"Bè, in realtà, anche se non
c'è proprio un vero castello, qui a First Beach esiste un posto
davvero magico, fiabesco."
Lo guardai in faccia per vedere se scherzava, ma era serio. I suoi occhi non mentivano.
"E dov'è?"
"Vieni"
Mi prese per mano e mi condusse per la spiaggia verso gli scogli.
Arrivati alla roccia, dove la spiaggia finiva, guardai la dura parete
di pietra. Sembrava quella di sempre, una normale roccia ricoperta di
alghe e muschio. Non capivo cosa Sam volesse dire.
"Dobbiamo salire un po' più su del solito" disse.
La cosa non mi entusiasmava molto, comunque cercai di seguirlo. Ci
arrampicammo su per la scogliera per un bel tratto. Ad un certo punto
Sam si bloccò. Mi guardai intorno: il panorama era stupendo,
anche se l'idea di stare così in alto un po' mi metteva paura.
Sam m'indicò un punto a un paio di metri di distanza. Guardai
meglio e mi accorsi che nella roccia c'era un’apertura dalla
quale proveniva una luce soffusa.
Mi avvicinai e guardai all'interno. Uno spettacolo della natura mi si
presentò davanti. Era una piccola grotta di una trentina di
metri in lunghezza, ma più stretta. Le pareti erano tutte
ricoperte di quelli che sembravano cristalli di diverse sfumature, dal
giallo chiaro al bianco. La poca luce del tramonto che vi entrava
veniva riflessa dalla superficie frastagliata dei cristalli
amplificandosi e dando origine a quell'effetto soffuso. Era
stupendo.
"Sono cristalli di sale, ci sono anche altre grotte più su, ma
per me questa è la più bella"disse Sam alle mie spalle.
"Ti piace?"
"Sì" mormorai piano, ancora incantata di fronte a quella meraviglia.
"Allora, mia principessa, ora che ha gradito la sua nuova dimora, vuole accettare la mia mano?" mi disse in tono cortese.
"Negargliela sarebbe stupido e insensato, mio signore, dal momento che
la qui presente..." mi girai e lo guardai negli occhi "la ama alla
follia"
Sam rise e io insieme a lui. Poi mi si avvicinò e posandomi delicatamente le mani sul viso, mi baciò piano.
Mi riscossi dal ricordo. Ma certo, tutto avevo pensato fuor che quello.
Mi sembrava di aver considerato tutte le ipotesi, ma non mi era venuto
in mente che potesse...
Dovevo provare, se c'era ancora anche la minima speranza di trovarlo,
dovevo considerarla. Mi alzai di scatto dal letto e mi cambiai i
vestiti per uscire di casa. Corsi fuori dalla mia stanza, giù
per le scale fino alla porta. Prima di uscire pensai di lasciare almeno
un biglietto per far capire dove ero andata. Presi il block notes che
di solito usavamo per la spesa e buttai giù due righe.
Sono uscita. Non so quando tornerò. Mi è venuta in mente una cosa importante, forse l'ho trovato.
Scritto questo, mi lanciai fuori dalla porta diretta a First Beach, con
un misto di emozioni: speranza, ma anche paura, rabbia e tutto quello
che avevo accumulato in quei giorni.
Il mare era agitato quel giorno. Le onde si rifrangevano sugli scogli
con un sonoro scroscio. Gli spruzzi dell'acqua mi bagnavano il viso, ma
non era una sensazione spiacevole, anzi, mi rendeva lucida, dato che in
quei giorni non avevo dormito per niente. Mi guardai intorno e osservai
quella spiaggia così piena di bei ricordi per me. Era assurdo,
lo sapevo, ma era come se uno scrittore un po' pazzo avesse tracciato
dentro di me una singola parola, così semplice, così
breve, ma piena di implicazioni immense. Fine. "Fine", era la parola
che in quei giorni ricorreva in continuazione. Ma come potevo pensarlo,
se in realtà non era finito nulla? Avevo paura, solo questo.
Paura di non rivedere più Sam. Sì, era così.
Altrimenti cos'altro poteva essere?
Cercando di ignorare il misto di sentimenti che la vista di quel
paesaggio mi infondeva, guardai verso lo scoglio dove ero salita
l'ultima volta. L'entrata della grotta era molto in alto. Incuteva un
certo timore a vederla, ma dovevo provare. Era un tentativo disperato,
lo sapevo, ma in fondo ero disperata. E poi qualcosa mi legava a quel
posto, sapevo che era lì che dovevo andare. Era come se quel
giorno io e Sam ci fossimo scambiati una promessa, come se tacitamente
ci fossimo detti che quello era il nostro posto segreto, un posto che
solo noi conoscevamo e solo per noi aveva un significato speciale. Cosa
poteva fare una roccia ripida di fronte al nostro amore? Non sarebbe
stata certo lei a fermarla. No, nessuno avrebbe potuto farlo, nessuno
avrebbe potuto separarmi da Sam. Altrimenti non avrei più
vissuto, perchè una vita senza la persona che ami è vuota
e incompleta.
Cercando di ignorare la ragione che mi diceva di non salire con il
vento e la roccia scivolosa, mi arrampicai su un masso. Poi appoggiai
un piede su una pietra e l'altro in un incavo abbastanza grande.
Continuai così per diversi metri. Poi ad un certo punto ci fu
un'onda più grossa, e l'acqua schizzò sulla roccia a cui
mi tenevo con una mano, che scivolò senza trovare più
appiglio. All'improvviso persi l'equilibrio e guardai di sotto. Avevo
fatto un lungo tratto ed ero ad un'altezza notevole. Mi venne un
capogiro, e all'improvviso non capii più dov'era la roccia alla
quale mi stavo tenendo. Mentre sentivo anche le gambe scivolare, tentai
di rimettermi in equilibrio. Uno spuntone non poco lontano mi
salvò. Mi aggrappai ad esso con tutte le mie forze, e mi
rimisi in assetto per risalire. Tremante ricominciai a salire,
imponendomi di non guardare in basso. Pian piano la roccia
cominciò a diventare meno ripida e a curvarsi. Alla fine riuscii
ad arrivare ad un punto dove gli scogli erano abbastanza in pendenza,
in modo da non costituire più un pericolo. Dopo un po' di fronte
a me comparve un'apertura nella roccia, e mi accorsi che era quello il
posto. Ce l'avevo fatta, alla fine. Ero arrivata. Di fretta cercai di
mettermi in piedi, tendendomi in equilibrio sui piedi. Raggiunsi
l'apertura e mi precipitai dentro. Dopo qualche secondo, durante il
quale gli occhi si abituarono al buio della grotta, mi guardai intorno.
La grotta era stupenda come sempre, e i cristalli rilucevano di luce
propria. Mi guardai intorno e lo vidi. Era lì, in un angolo,
accasciato per terra, tremante. Indossava solo un paio di pantaloni,
mentre il resto del corpo era scoperto. Non seppi descrivere la seria
di emozioni che provai in quel momento. Gioia, dolore, sollievo, e
amore. L'amore grande che provavo per lui si riversò in me,
tanto che mi sembrava di non poterlo contenere. Mi sentii le guance
bagnate, ma in quel momento non aveva importanza. Erano passati solo
pochi giorni, ma mi erano sembrati un'eternità. Ora che era
davanti a me non mi sembrava reale, forse era solo una mia
allucinazione. Forse era un sogno: dopo aver tanto desiderato quel
momento, avevo finito per immaginarlo. Quell'ambiente strano, con quei
giochi sulle pareti, e io che inspiegabilmente mi ritrovai le guance
bagnate, senza ricordare quando avessi cominciato a piangere. Ma ormai
non sentivo più nulla, il mio pensiero era concentrato
unicamente sul ragazzo disteso per terra. Lentamente, come se un
regista avesse di proposito rallentato la pellicola di un film, sentii
i miei piedi staccarsi da terra e mettersi a correre nella sua
direzione.
Ora da qualche parte provavo anche paura, paura che Sam non si sarebbe
alzato da quella posizione. Con coraggio, una volta accanto a lui, gli
presi la testa fra le braccia e scuotendolo lo chiamai più
volte. Dopo un po' di minuti, vidi le sue palpebre aprirsi e chiudersi,
mentre lui disorientato si guardava intorno.
"Sam...?" dissi ancora una volta.
La sua risposta fu uno sguardo perso nel vuoto, come se stesse vedendo
qualcosa che io non potevo vedere. Durò solo un attimo,
però. Subito i suoi occhi si colmarono di comprensione, e di
un'inaspettata e inspiegabile paura.
"Leah?" sussurrò.
"Sì" risposi con un sorriso.
Non sembrava felice di vedermi, anzi, sembrava impaurito e preoccupato di qualcosa. Ma perchè?
"Come stai?" gli chiesi.
Non rispose alla domanda, al contrario si alzò a fatica e mi
guardò. Ora nel suo sguardo c'era anche una punta di rabbia.
"Cosa c'è?" gli chiesi esitante.
"Perchè sei qui?"
Quella domanda, detta con un tono così accusatorio, mi
lasciò di stucco. Perchè ero lì? Perchè ero
lì??
"Come perchè?" dissi "Sei sparito, il cellulare non squilla,
tutti ti cerchiamo disperati e tu mi chiedi perchè sono qui?"
Lui rimase un attimo in silenzio. Poi, con un tono leggermente più calmo, mormorò:"Io..."
"Cosa è successo?" chiesi.
Lui abbassò gli occhi nervoso. "Non...oh...io, io non lo so!" esclamò.
"Come?" chiesi allibita.
Lui tornò a guardarmi: "Sì, io non lo so, ma sono pericoloso Leah...vai via di qui, ti prego"
"No!" esclamai "Che significa pericoloso? Cosa dici?"
"Io...non posso e non so spiegartelo, Leah" rispose.
"Perchè l'altra sera sei scappato così? Cosa avevi? Stai male? Dimmelo, Sam!"
"Non...posso...io..." balbettò. Inaspettatamente, si prese la
testa fra le mani e si mise in ginocchio "Io sto impazzendo"
Sconcertata e intimorita da quelle parole, mi avvicinai a lui e lo
abbracciai. Subito si scostò da me. Rimasi fissa dov'ero.
"Sam, ascoltami. Io voglio aiutarti, ma tu devi dirmi cos'hai"
"No, no. Non posso, io sono un mostro...mi odieresti..." disse.
"Come potrei mai odiarti?" esclamai, poi mi avvicinai un po' a lui
"Sam, qualunque cosa ti sia successa, io ti aiuterò, ti
starò accanto"
Lui mi guardò e io gli sorrisi. Poi mi avvicinai di più e
lo abbracciai di nuovo. Pur se non ricambiò, questa volta non si
scostò da me. Fu bellissimo anche così. Ora potevo
risentire il suo profumo, accarezzare i suoi capelli...però il
calore della sua pelle non era lo stesso, come la consistenza dei
muscoli.
"Dai, dimmi cosa è successo" gli intimai.
Lui si girò verso di me e mi guardò "Non adesso Leah,
devo capirlo bene prima io, poi ti prometto che te lo spiegherò"
Se possibile quella frase mi preoccupò ancor di più.
Infatti o era realmente come mi stava dicendo, e allora era qualcosa
che probabilmente riguardava una malattia o cose del genere; oppure
stava fingendo e questo avrebbe significato qualcosa di altrettanto
grave, visto che non voleva dirmelo. "Sì, ma cosa diremo ai
tuoi?"
"Che avevo bisogno di riflettere..."
"Sai che tuo padre non accetterà certo questa scusa. Tra l'altro ho paura anche per come potrebbero prenderla" dissi.
"Lo so...vedrò di cavarmela"
Lo osservai bene. Dalla sua espressione sembrava sincero. Chissà
cosa celava dietro quello sguardo lontano che aveva. Non saperlo mi
dava profondamente fastidio. Mi sentivo esclusa, quando invece volevo
essere con lui. Provai un brivido freddo nel sentire quel distacco tra
noi. Non mi piaceva affatto, né la sensazione, né il
fatto che non potessi sapere cosa avesse.
"Tu, piuttosto, come hai fatto a salire fin qui?"
La domanda mi distolse dai miei pensieri.
"Credevi forse che non ce l'avrei fatta da sola?" chiesi con una punta di ilarità nella voce.
"Hai ragione, non conosco ancora le cose che non sai fare da sola"
rispose lui divertito e in quel momento tutto sembrò essere
tornato normale, anche Sam.
"Ascolta" dissi "Dobbiamo innanzi tutto uscire fuori di qui. Devi tornare a casa, riposarti, sei in condizioni pietose"
"No" sbottò, poi a una mia occhiata malevolo continuò più calmo: "Non posso tornare a casa, non ora"
"Così peggiorerai solo la situazione, e poi perchè?"
"Ma non capisci?!" esclamò "Io sono pericoloso! Anche il fatto
che tu sia qui adesso...ti stai mettendo in un pericolo che neanche
immagini! Leah, ascolta, ho bisogno di risolvere la situazione, poi
potrò tornare a casa e stare con te"
"Io non ti lascio solo" affermai decisa "Preferisco sottopormi al pericolo piuttosto che restare senza di te di nuovo"
"No, non voglio che tu sia coinvolta, devo sbrigarmela io"
A quel punto persi le staffe. "Ma insomma, cosa devi fare di
così pericoloso? Almeno dimmelo, Sam, come faccio a restare
indifferente mentre tu magari rischi la vita?"
Ci fu un momento di silenzio, poi Sam mi si avvicinò e per un momento riprese la sua consueta espressione.
"Leah, ti prego, ascoltami" disse lentamente "E' una cosa di cui ora
non ti posso parlare. Non preoccuparti per me, ti prometto che non
rischierò la vita, starò bene. Ma è per il bene di
tutti che adesso devo stare qui per un po'."
"Per quanto?" chiesi ansiosa
"Non lo so...il tempo necessario a sistemare le cose"
Abbassai lo sguardo sconfortata. Ero così felice di aver
ritrovato Sam, ma quella situazione non mi piaceva neanche un po'. Non
sopportavo che dovessero esserci segreti tra noi, e poi, a quanto
pareva, non era neanche una cosa da nulla. In altri casi l'avrei
spuntata io, e alla fine Sam avrebbe confessato. Questa volta
però era così deciso a non dirmi nulla che non potevo non
arrendermi. E poi lo vedevo così debole, e non mi andava di
insistere ancora e magari peggiorare il suo stato. Lentamente e
controvoglia annuii piano, sempre con gli occhi bassi.
"Bene, credimi è la cosa migliore per adesso" disse Sam decisamente sollevato.
"Ma io verrò a trovarti, costi quel che costi" protestai.
"Aspetta, no, è pericoloso"
"Ma Sam, ora che ti ho ritrovato, come credi che possa starmene a casa pensando che tu sei qui da solo?"
Sam sembrò pensarci su un attimo, poi disse: "Senti, è pericoloso, più pericoloso di quanto immagini..."
"Verrò comunque, non riuscirai ad impedirmelo" dissi decisa.
"E va bene" disse "ma ti chiamerò io, e ti dirò quando potrai venire"
Siccome era il meglio che potevo ottenere dissi: "Bene, allora faremo così"
Per tre giorni andai a trovare Sam nelle ore che lui mi indicava.
Quando potevo gli portavo qualcosa da mangiare, vestiti, una coperta.
Mi sentivo sciocca a comportarmi così, quasi Sam fosse un
ricercato. Per quanto riguardava lui, non sembrava molto contento
quando io andavo a trovarlo. Al contrario, era sempre scuro in volto e
imbronciato. Questo m'impensierì parecchio, Sam non era
così. Era stato sempre solare e spensierato, aperto con tutti e
sensibile. Ora sembrava che fosse cresciuto troppo in fretta, che fosse
diventato un uomo adulto e non un ragazzo. Il suo modo di parlare era
molto più lento. Aveva un non sapevo bene cosa di grave nella
voce. E poi c'era il fatto che era cambiato fisicamente. I suoi muscoli
non erano più lunghi e affusolati, ma duri e grossi. Era come se
avesse fatto mesi e mesi di durissimi allenamenti in palestra quando in
realtà era passata solo una settimana. Non avevo ancora avuto il
coraggio di chiedergli come avesse fatto, né perchè. In
quel momento tutto ciò che m'importava era stare con lui,
vederlo, sentirlo parlare.
Guardai la grotta e inspirai a fondo pensando. Era strano trovarsi
lì dopo tanto tempo e in quella situazione. In un certo senso
quella grotta stava diventando una parte importante della mia vita,
anche se non capivo bene che tipo di momento di essa stessi
attraversando. Non avere la situazione sotto controllo era una delle
cose che odiavo di più, ma quella volta era un po' diverso. Per
quanto quella situazione mi irritasse, non la sentivo del tutto brutta,
perchè Sam era con me, e questo mi rassicurava.
"A cosa pensi?" mi chiese Sam.
Mi riscossi al suono della sua voce.
"Oh, a nulla" dissi "Solo a quanto è bello che tu sia di nuovo qui con me"
Lui fece un debole sorriso, poi abbassò lo sguardo.
"Che c'è?" gli chiesi.
Lui guardò da un’altra parte imbronciato: "Leah, è pericoloso che tu stia qui"
"Ancora con questa storia?" esclamai esasperata. "Sam, per favore, ne
abbiamo già parlato e abbiamo trovato questa soluzione"
"No! Non è una soluzione abbastanza sicura, è meglio se ci sentiamo solo per telefono" esclamò.
"Sai benissimo che non accetterò mai...non posso stare senza vederti, senza sentire la tua voce..."
Lui scattò in piedi: "Ma non capisci? Tu potresti morire e sarebbe tutta colpa mia!"
"Ora basta, questo discorso l'avevamo già fatto, non mi va di ripeterlo" ribattei.
"NO!" urlò Sam così forte che trasalii "Tu adesso vai via!"
Rimasi allibita da quella sua reazione improvvisa. "Sam!" esclamai.
Improvvisamente e inaspettatamente, Sam cominciò a tremare
violentemente e a chiudere e aprire nervosamente i pugni. "Sam,
cos'hai?"
Sembrava che fosse in preda a una crisi epilettica e la cosa mi spaventava a morte.
"Và via Leah!" urlò.
"Cos'hai? Cos'hai?" gridai in preda al panico.
Gli spasimi del suo corpo non accennavano a fermarsi, anzi sembrarono peggiorare, tanto che si accasciò per terra.
Mi avvicinai di più a lui, ma proprio in quel momento sentii un rumore provenire da fuori.
"Leah, sei tu?"
Era la voce di Emily. Ma cosa ci faceva qui? Guardai verso Sam e la mia
paura continuò a crescere: ora era disteso a terra e si teneva
ferme le braccia.
"Leah?" gridò di nuovo Emily.
Sapendo di non avere scelta urlai:"Aiuto!!"
Sentii i passi di Emily avvicinarsi. Mi voltai di nuovo verso Sam e
lanciai uno strillo. Sam non c'era più. Al suo posto c'era un
enorme lupo grigio, alto almeno due metri, con uno sguardo feroce e
denti aguzzi.
In quel momento Emily entrò. "AAAHH! Leah cosa succede?" urlò.
"Andiamo via!" gridai.
Troppo tardi. Il lupo si girò e guardò me che ero
appoggiata alla parete della grotta, immobile. Il mio cervello non
ragionava, ero incapace anche solo di pensare che quello fosse Sam. Era
impossibile.
Il lupo lanciò un terribile verso e si gettò verso di me. Sono morta, pensai.
"NO!" urlò Emily e si gettò di fronte a me. Tutto avvenne
come in un sogno, come se ciò che impiegava un secondo per
accadere, accedesse in un'ora. Il lupo guardò Emily, e
cambiò espressione. I suoi occhi divennero strani, come
ipnotizzati. Non fermò però il suo gesto che era quasi
terminato. E il suo artiglio feroce e letale colpì Emily in
volto.
Salve
a tutti! Eccomi con il secondo capitolo della storia. Come avete potuto
notare, per Sam e Leah in questo capitolo le cose cominciano a mettersi
male. Inoltre, ho cercato anche di descrivere come ho immaginato il
ferimento di Emily. Spero che l'idea sia da voi apprezzata! Comunque
volevo ringraziare quanti hanno letto la storia e soprattutto chi l'ha
recensita. Mi raccomando non smettete di farlo, perchè è
molto importante per me ricevere il vostro parere! Intanto passo ai
ringraziamenti personali.
Lady Airam: Sono contenta che ti piaccia il mio modo di scrivere
davvero! Spero che anche questo capitolo ti piaccia, e sarei davvero
contenta di riceve altre tue recensioni. Per quanto riguarda il finale,
volevo rassicurarti: non andrà a finire male...vabbè poi
leggendo capirai! A presto! :)
sweetmoon: Ciao! Sai che anche quando ho letto la tua recensione stavo
per commuovermi? Hai proprio ragione la storia si poteva leggere con il
sottofondo di My Immortal, canzone che tra l'altro mi piace tantissimo
:)! Ho notato che anche tu sei della mia stessa idea sul personaggio di
Leah, personaggio che sento anche molto vicino. Che altro dire, spero
che anche il seguito ti possa piacere, io ci metterò tutto
l'impegno per essere all'altezza! Aspetto altre tue recensioni mi
raccomando! Ciao ciao!
Padme Undomiel: Salve! Ma chi si vede! La BR (sai per cosa sta ;))!
Comunque volevo ringraziarti per la recensione molto formale e precisa
(:P). A parte gli scherzi sono contenta che la storia ti piaccia. Devo
chiederti perdono per gli errori, ma sono una svampita! Grazie comunque
per l'aiuto che mi hai dato, ora ho le idee più chiare su cosa
devo correggere. Spero solo che il seguito sia all'altezza delle tue
aspettative! Io farò il possibile, poi si vedrà :) Ciao
tvttttttb
Shine: Ciao!! Non scusarti per il ritardo, so benissimo che non potevi
recensire prima! :) Sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto! Vedo
che siamo in tanti a pensare che Leah sia stata trattata ingiustamente!
Poco male, ci dà lo spunto per le fan-finction!! Comunque spero
che anche questo capitolo ti sia piaciuto, e aspetto con ansia altre
tue recensioni, che come sai mi aiutano molto ad andare avanti con il
mio lavoro! A presto tvttttb
Un
saluto anche a chi sta solo leggendo questa storia. E mi raccomando
RECENSITE please. Potete anche dire che la storia vi fa schifo, ma
recensite vi prego! Grazie a tutti e alla prossima!!!!
Mystery Anakin
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Capitolo 3 *** L'ospedale ***
And if I say: 'I love you' 3 corretto
Capitolo 3: L'ospedale
Bip. Bip. Bip.
Il suono del lettore delle frequenze cardiache batteva un ritmo
incessante e lento. Non sapevo quanto tempo fosse passato, né se
fosse notte, giorno...non sapevo nulla. Ero solo consapevole della
ragazza distesa su quel letto d'ospedale, con una benda a coprirle il
viso, una flebo attaccata al suo braccio.
Non sapevo neanche se stessi piangendo; sentivo solo le mie guance bagnate, ma potevo aver anche smesso.
Non ero consapevole quasi di me stessa a dire la verità, non
sapevo se stessi sognando o se quello che vedevo fosse la
realtà.
Probabilmente mi sarei svegliata e mi sarei accorta di aver sognato
tutto. Probabilmente, mi sarei ritrovata di nuovo a casa mia,
addormentata affianco ad Emily sul divano, come avevamo fatto tante
volte quando eravamo piccole.
Eppure il dolore sordo che provavo, la vista della ragazza distesa lì davanti, tutto sembrava vero. Era vero.
Perchè ricordavo bene cosa fosse successo, cosa avesse causato
il fatto che ora si trovassero lì. Avevo visto Emily cadermi in
braccio. C'era sangue, tanto sangue. Un fiume rosso, le mani, i vestiti
sporchi. Lo spavento o la disperazione. Poi la bestia, quella specie di
grosso lupo che l'aveva aggredita, che scappava. E io lì da
sola, con mia cugina tra le braccia, piena di sangue, incosciente.
In quel momento aveva provato una paura oltre ogni misura. Avevo
sentito il cuore in gola per davvero. Poi si era aggiunto il senso
d'impotenza, l'impressione di non poter fare nulla. Pian piano la mia
mente però con uno sforzo immane aveva fatto breccia nel panico,
e si era ricordata che nella tasca del mio jeans, avevo il cellulare.
Lo avevo preso con mani tremanti, sporche. Ricordavo ancora come il
respiro mi mancasse, come non riuscissi a premere i tasti. Poi qualcuno
che rispondeva e il mio urlo disperato d'aiuto. Infine l'attesa
estenuante, nel disperato tentativo di bloccare l'emorragia con i miei
stessi vestiti. Non sapevo dove avessi trovato il coraggio di fare quel
che avevo fatto. Ma l'avevo fatto. E poi l'ambulanza, la corsa in
ospedale. Tutto perdeva i contorni della realtà da quando ero
entrata nell'ambulanza. Non ricordavo cosa fosse successo. Ricordavo
solo di essermi svegliata ad un certo punto in ospedale e di aver
chiesto dove fosse Emily, se stesse bene.
Avevo barcollato fino al reparto di Terapia Intensiva, dove l'avevano ricoverata.
E poi l'avevo vista.
Era lì distesa su quel letto d'ospedale, con un'enorme fascia
che le nascondeva il viso. Non si riusciva neanche a capire che fosse
Emily, se non dal resto del suo corpo. Aveva i fili dei rilevatori
attaccati sia alle braccia che al petto. Quella visione sembrò
farmi nascere dentro una peso insostenibile. Il peso si era trasferito
alla gola, e allora avevo capito che stavo per piangere.
I dottori avevano provato a riportarmi al mio posto, ma io non avevo
voluto sentire niente. Volevo rimanere lì affianco a mia cugina.
Mi sentivo in colpa, terribilmente in colpa. Lei non c'entrava, lei era
passata di lì per caso. Perchè quel mostro aveva colpito
lei? Non era giusto, dovevo essere io al suo posto, in un letto
d'ospedale, con il viso sfigurato e i tubi attaccati. E invece io stavo
bene, grazie al suo intervento, grazie a lei. Questo faceva sentire
dentro di me come un onda di dolore e frustrazione, una rabbia tale da
spingermi a spaccare tutto ciò che avevo per le mani. Era il
senso di impotenza, la cosa che odiavo di più. La
consapevolezza di non poter far nulla, né per aiutarla,
né per cambiare ciò che è stato. E ora? Cosa
sarebbe successo? Quando Emily si sarebbe risvegliata, come avrebbe
reagito? Avevo paura, paura che lei mi odiasse, perchè in fondo
lei aveva salvato me. E la ricompensa era stata quella di essere ferita
gravemente da quel mostro. E poi c'era lui. Appunto il lupo. Lo tenevo
relegato in un angolo della mia mente, sia perchè non volevo
neanche prendere in considerazione l'idea che quell'essere fosse Sam,
sia perchè ora il problema più urgente era Emily.
Il rumore della porta che si apriva mi fece trasalire.
"Signorina?" disse il dottore entrando "Ci sono i suoi parenti"
Paura. E adesso come avrei fatto a guardare in faccia i miei zii e dire
loro che era tutta colpa mia? Come avrei sopportato il dolore di mia
zia? Come avrei fatto a raccontare quanto era successo, a rivivere quei
momenti di terrore?
Con coraggio cercai di alzarmi, ben sapendo che andare dai suoi era
quello che dovevo fare, nonostante il resto di me stessa non volesse
affrontare quanto stava per avvenire di là.
Uscii fuori dalla stanza, attraversai la piccola anticamera con la
finestra per guardare all'interno della stanza di Emily e mi ritrovai
in mezzo al corridoio.
"Leah!"
La voce veniva da dietro di me. Mi voltai lentamente. Mi ritrovai mia madre tra le braccia in lacrime.
"Oh Leah, abbiamo avuto tanta paura"
Guardai dietro di lei, avanti a me. Mio padre, di un colorito cereo,
avanzava con mio zio, altrettanto sconvolto, che reggeva mia zia,
prossima allo svenimento.
"Leah!" esclamò mio padre "Come stai?"
"I-io bene" balbettai. Sembrava che la lingua si fosse incollata e m'impedisse di parlare.
Ben presto mi ritrovai fra le braccia di tutta la mia famiglia. Poi mia
zia si staccò e chiese al dottore: "Dov'è Emily?"
A quel punto avrei voluto scappare. Da tutto e da tutti. Non sopportavo
il fatto che mi abbracciassero e mi chiedessero come stessi . Non ero
io quella che meritava quella preoccupazione. A fatica mi sciolsi
dall'abbraccio di mia madre e guardai il dottore.
"Signora..."
Sembrava che anche lui avesse difficoltà a parlare. Eppure quello era il suo mestiere.
"Signora, sua figlia è stata ferita in volto...è molto grave"
L'aria si fece di ghiaccio. Ci fu un attimo che sembrò durare un
eternità, poi vidi mia zia aggrapparsi a mio zio, privata delle
forze di fronte a quella notizia terribile.
"Quanto grave?" balbettò lo zio.
"E' in prognosi riservata...inoltre..."
S'interruppe ancora una volta in difficoltà, temendo di dare un duro colpo alla madre di una povera ragazza.
"Vada avanti" lo incitò mio zio a labbra strette.
"...Inoltre c'è il rischio che perda un occhio. Non è
detto, dobbiamo intervenire"concluse il dottore a occhi bassi.
Mia zia scoppiò a piangere sulla spalla di mio zio, che
l'abbracciò forte. Mi allontanai istintivamente da quel dolore
familiare, non potendo sopportare oltre la visione di quella scena.
Anche i miei genitori preferirono distanziarsi. Non riuscivo a stare
lì impalata, così cominciai a correre lungo il corridoio
dell'ospedale. Presi il primo ascensore che trovai e mi ci infilai
dentro. Con me c'erano un signore anziano in camicia da notte e una
donna vestita d'abiti normali, probabilmente in visita di qualche
parente. La porta dell'ascensore si aprì e mi precipitai fuori.
Non sapevo che piano fosse, ma avevo una voglia matta di correre, di
sfogarmi. Fui fortunata: piano terra. Cominciai ad affrettare il passo
sempre di più, tanto che la gente mi guardava incuriosita. Ma a
me non importava. Non potevo sopportare ulteriormente quell'atmosfera
di paura, di dolore.
Una volta di fronte all'ingresso principale, mi fermai, guardai
indietro, poi feci un passo in avanti. Respirai l'aria fresca
dell'estate. E partii.
Non so per quanto tempo corsi. Potevano essere state ore, minuti o
anche giorni. Per la testa avevo solo l'immagine di mia cugina
insanguinata che mi cadeva tra le braccia, l'immagine di quel lupo
che...
Correvo e i dubbi mi si affollavano nella mente. Correvo e mi sentivo
in colpa per quanto era successo. Le mie gambe procedevano da sole,
istintivamente guidate dalla voglia di cancellare quelle ultime ore.
Perchè era colpa mia: se non avessi lasciato quel biglietto in
casa, probabilmente Emily non avrebbe capito nulla, e avrebbe pensato
che le mie assenze fossero dovute ad altro. Così l'avevo spinta
a cercarmi ed era andata come era andata. Nel peggior modo possibile. E
improvvisamente, senza che potessi fare nulla, senza che riuscissi a
capire cosa mai fosse successo.
Ormai non sapevo più dove fossi, percorrevo strade, le case mi
passavano accanto senza che le riconoscessi e le persone mi guardavano
mentre procedevo nella mia corsa.
Ad un tratto sbattei contro qualcosa di duro e caddi in avanti. Mi
sbucciai i palmi delle mani nel tentativo di attutire la caduta.
A quel punto la mia corsa era finita, non riuscivo più a
rialzarmi. Ora sentivo la stanchezza, che mentre correvo non avevo
avvertito. Capii che era inutile restare lì, che sarei dovuta
tornare e stare vicino a mia cugina. Sì, è vero, avevo
paura di confrontarmi con Sam, ma avrei dovuto farlo prima o poi.
Dovevo chiedergli spiegazioni circa quello che avevo visto, era
inevitabile. Lentamente mi guardai intorno. Non sapevo neanche che
strada avessi fatto. Lessi il cartello della via: Beckin street. Avevo
percorso tre isolati di corsa. Non me la sentivo di andare a piedi,
così cercai una circolare. Trovai una fermata a cinquanta metri
da dove mi trovavo. Dopo aver aspettato per un po' riuscii a trovarne
una che mi riportasse all'ospedale.
Quindici minuti dopo mi stavo dirigendo nuovamente verso il reparto di
Emily. La zia piangeva su una sedia, lo zio che l'abbracciava vicino. I
miei erano lì con loro preoccupati.
"Leah, dove eri finita?" chiese la mamma.
"Ehm...ho sentito il bisogno di uscire, mamma" mi giustificai.
Poi mi avvicinai a loro e domandai sottovoce :"Il dottore ha detto qualcos'altro?"
"Sì, tra un'ora portano Emily in sala operatoria" rispose papà.
Mi passai una mano tra i capelli nervosa. Solo allora mi accorsi di essere sudata e di avere bisogno urgente di una doccia.
Aspettammo lì per parecchio tempo. Io non riuscivo a restare
ferma. Camminavo avanti e indietro per il corridoio con l'ansia in
attesa che l'operazione cominciasse. Sentivo di non poter sopportare
anche l'attesa successiva.
"Signora" disse un timida voce di donna. Era un'infermiera che annunciò l'inizio dell'operazione.
Da quel momento aspettare divenne snervante. Mi sentivo pizzicare il
cuoio capelluto e non riuscivo a smettere di aprire e chiudere le mani.
Guardavo la porta della sala operatoria più o meno ogni cinque
minuti.
"Leah, cerca di sederti...sei troppo agitata" mi consigliò la mamma.
"Non ci riesco, è più forte di me" risposi.
Le immagini di ciò che era successo dalla grotta fino al quel
momento, miste a all'immaginazione di quello che stava succedendo
dentro quella stanza, mi mettevano troppa ansia addosso. In quel
momento sentivo il bisogno di Sam. Avevo bisogno di lui, che con un
solo abbraccio avrebbe saputo rassicurarmi. Di lui, il cui solo sguardo
era la mia forza. Di lui, solo di lui. Ma quello che desideravo era il
Sam prima che sparisse. Ora era diverso. E quello che avevo visto lo
confermava. Avevo paura di affrontarlo, di chiedergli cosa fosse
successo in quella caverna. Ma allo stesso tempo volevo che lui fosse
vicino a me.
Passò un'ora, ma ancora non si faceva vivo nessuno a dirci se l'operazione fosse finita. All'improvviso ebbi un'idea.
"Mamma"esordii.
Lei alzò lo sguardo sofferente verso di me.
"Mi devo allontanare un attimo" dissi.
"Perchè?" chiese corrugando la fronte.
"Devo chiarire un dubbio, non riesco a stare qui con le mani in mano ad aspettare" spiegai.
Lei mi guardò un attimo, poi abbassò lo sguardo. "Va
bene...va’...forse è più utile di star qui ad
aspettare inutilmente. Comunque sia dovrai spiegarci cosa è
successo"
"E' proprio quello che sto cercando di capire"
La mamma mi guardò con sguardo interrogativo. Io non dissi altro a mi fiondai fuori dall'ospedale.
Non sapevo esattamente dove trovare Sam, forse non sarebbe neanche
tornato alla grotta. Però volevo fare un tentativo. Certo avevo
paura di tornarci. Ricordare ciò che era successo, rincontrare
il mostro che vi era...Non ero più tanto sicura.
Decisi di optare per una sorta di via di mezzo. Quando arrivai ai piedi
della scogliera sulla quale c'era la grotta, mi portai le mani alla
bocca e urlai: "SAM!"
Aspettai qualche minuto, ma niente.
"SAM! Se ci sei sono io, Leah!" urlai di nuovo.
Riprovai qualche altra volta, senza successo. Sam non era lì. Mi
sentii sconsolata. Dove avrei potuto trovarlo? Nessuno sapeva del suo
ritrovamento, quindi non potevo neanche chiedere a qualcuno se lo
avesse visto. Mi sedetti sulla sabbia.
Il mare quel giorno era agitato. Meglio, si intonava con i miei
pensieri. Sentivo la preoccupazione, per Emily, per Sam. Sentivo la
rabbia, perchè tutta quella situazione non sembrava avere senso.
Mi sentivo in colpa, per Emily, perchè lei non c'entrava nulla.
Non sapevo dove andare. All'ospedale non volevo tornarci, almeno per il momento. E non sapevo dove cercare Sam.
Mi stavo per alzare quando mi sentii toccare la spalla destra e trasalii.
Di fronte a me si stagliò la figura alta e allampanata di Jacob Black.
"Leah? Che ci fai qui a quest'ora del mattino?" chiese Jacob.
Leah sentì un moto di irritazione per quel ragazzino impiccione.
"Avevo voglia di vedere il mare" risposi in tono non troppo gentile "E tu?"
"Io vengo sempre qui. Mi piace sedermi sulla scogliera e ammirare il panorama" spiegò il ragazzo.
"Cosa hai fatto al braccio?" disse indicando la mia fasciatura.
"Niente d'importante, sono caduta..."
"Capisco..."
La conversazione morì lì. Stavo quasi per andarmene,
ormai non avevo da fare più nulla lì, quando mi venne in
mente un'idea.
"Senti...per caso tu hai visto Sam da queste parti ieri?" chiesi.
Mi lanciò uno sguardo sorpreso: "Sam? Avevo saputo che era scappato di casa!"
"Come si diffondono in fretta le notizie in un piccolo paese" pensai.
"Ehm...sì infatti, proprio perchè lo stiamo cercando te l'ho chiesto" dissi.
Lui ci pensò su un attimo. "Bè, se lo avessi visto avrei
informato il sergente, ma...ora che ci penso ho visto qualcuno da
queste parti. Ieri avevo dimenticato la canna da pesca qui in spiaggia
ed ero tornato per riprenderla. Ad un certo punto ho visto un uomo, ma
potrebbe essere stato un ragazzo. Andava verso il bosco oltre il
confine di La Push."
Ci pensai un attimo. In effetti poteva essere Sam, ma poteva darsi
anche di no. Però da quelle parti non girava molta gente: c'era
la foresta, e non era facilmente accessibile. Se qualcuno doveva uscire
da La Push, lo faceva prendendo la statale, non attraverso la foresta.
"Va bene" feci un sorriso forzato al ragazzo "Comunque potrebbe essere
utile per le ricerche. Ora però devo andare...salutami Bill"
"Ok"
Mi allontanai dalla spiaggia, mentre Jacob si sistemava con la sua canna da pesca.
Mi diressi verso la foresta e al limitare cominciai a guardare il
terreno in cerca di segni del passaggio di qualcuno. Tutto ciò
che vedevo erano tracce del passaggio di qualche animale, nulla che
potesse indicarmi il passaggio di un umano. Esplorai una zona larga
circa cento metri, ma nulla. Niente di niente.
Alla fine mi tirai su con un sospiro e mi dissi che, in effetti, era
come cercare un ago in un pagliaio. Sam poteva essere ovunque nella
foresta. C'era anche una possibilità che non ci fosse mai
entrato.
Mi appoggiai ad un albero e chiusi gli occhi. La testa girava, in preda
alle mie mille preoccupazioni, agli affanni di quei giorni. Dentro di
me sentivo che c'era qualcosa di strano in tutto quello che mi era
successo. E tutto era partito dalla fuga di Sam, di cui ancora non
capivo il motivo. E questo motivo era stato così forte da far
cambiare Sam in poco tempo. Sembrava che fossi riuscita a creare una
piccola breccia nel suo ostinato silenzio, ma mi ero sbagliata, avevo
osato troppo e alla fine si erano viste le conseguenze.
Pensai sconsolata che l'unico modo per trovarlo era che lui venisse da
me, a meno che non fossi così avventata da esplorare la foresta,
cosa non facile da fare se non si è esperti. Ed io di certo non
lo ero.
Rassegnata mi diressi verso l'ospedale, ormai l'operazione doveva
essere finita. Il ritorno fu molto più breve,
perchè i pensieri vorticavano nella mia testa ed io camminavo
quasi meccanicamente, senza accorgermi neanche di dove stessi
andando, ma lasciandomi guidare dall'istinto. Una volta arrivata fui
assalita dalla paura: ero ansiosa di conoscere l'esito dell'operazione.
E se fosse andato tutto storto? Se Emily avesse perso completamente
l'uso dell'occhio? E poi, come sarebbe stato ora il suo volto? La
cicatrice che le sarebbe rimasta l'avrebbe resa irriconoscibile? E
ancora, cosa avrebbe detto ai suoi e ai genitori di Emily, quando le
avrebbero chiesto spiegazioni sull'accaduto?
Domande che presto avrebbero richiesto un risposta. Domande a cui non
era facile, e soprattutto piacevole rispondere. Domande, la cui
risposta avrebbe cambiato qualcosa nella vita di ciascuno di loro.
Quando raggiunsi il corridoio del reparto di Emily, non vi trovai
nessuno. Allora mi diressi verso la porta della stanza di Emily.
Lì trovai il dottore in piedi che stava parlando ai miei e agli
zii. Entrai cauta cercando di non far rumore. Emily era distesa sul
letto, dormiva. Una benda le copriva la testa e passava per la parte
del viso che era stata colpita.
"E quindi, dottore?" stava chiedendo mia zia.
Mi voltai verso il gruppetto, in attesa, col cuore a mille.
"L'operazione è riuscita, ora dobbiamo aspettare. Quando
toglierà la benda, sapremo definitivamente l'esito. E comunque
non tornerà a vedere subito bene, per un periodo dovrà
tenere a riposo l'occhio" spiegò il dottore.
Mia zia sospirò. "Ancora aspettare..."
"Dai, sii paziente, Maria" la rassicurò mio zio.
Io mi accasciai su una sedia di fronte al letto. Bene, non era ancora
tutto perduto. Forse Emily ce l'aveva fatta. Forse avrebbe recuperato
la vista. Forse. Ancora attesa, aveva ragione mia zia. Però il
risultato di quel giorno era già abbastanza positivo, e sapevo
che questa era già una grande cosa.
"Leah?" mi chiamò mia madre. Mi voltai verso di lei. "Forse è il caso di parlare, che ne dici?"
"Lascia perdere, Sue, ora sarà molto stanca, non avrà voglia di parlare" disse la zia.
"No, non fa niente, vengo" dissi riluttante. Sapevo di non avere scelta, che quel momento sarebbe arrivato.
"Non preoccuparti, Maria, parlerò io con Leah" disse la mamma.
Cinque minuti dopo io e la mamma ci trovavamo nel giardino
dell'ospedale. In silenzio passeggiavamo, ognuna immersa nei propri
pensieri. Alla fine decisi di rompere il ghiaccio.
"Mamma, so di cosa vuoi parlarmi. Vuoi sapere cosa è successo
giù in spiaggia." non era una domanda ma una semplice
constatazione.
La mamma si limitò ad annuire.
Sospirai, cercando le parole. Certo non potevo rivelarle tutto, tanto
meno i miei sospetti. Però alcune cose dovevo rivelarle, era
inutile inventare su due piedi una storia assurda. Non sarebbe servito
a molto.
"Ecco mamma, vedi, io...un po' di giorni fa ho ritrovato Sam" cominciai.
La mamma mi guardò stupita. "Dove?"
Ecco, ora arrivava la parte difficile. Raccontare alla mamma la storia
del suo nascondiglio. Neanche io avevo capito bene tutto. Quindi come
coprire quei buchi nella sparizione di Sam, di cui non conoscevo
neanche io la risposta?
"Nella caverna sul mare" risposi alla domanda.
"Ma...cosa faceva lì?" chiese la mamma allibita.
"Ecco...non voleva essere trovato dai suoi genitori. Sta vivendo un
periodo molto difficile della sua vita. Aveva bisogno di restare solo."
inventai di sana pianta.
"E...non ha coinvolto te in questo «periodo difficile»?"
"N-no, è che abbiamo avuto anche noi dei problemi e...voleva stare da solo...completamente"
"Capisco" disse.
Speravo sinceramente che la bevesse come scusa.
"Quando ho intuito dove potesse essere, mi sono recata alla grotta, e
infatti è stato lì che l'ho trovato. Lui mi ha chiesto di
non dire niente a nessuno e io ho accettato. Stava veramente male.
Siamo andati avanti così diversi giorni. Uno di questi
evidentemente Emily mi deve aver seguito, forse aveva capito qualcosa
notando le mie assenze. E' successo tutto all'improvviso: io ero dentro
la grotta con Sam, ad un tratto è sbucato fuori una specie di
lupo e...stava per aggredirmi... quando...quando è entrata
Emily...e si è messa davanti a me per difendermi" raccontai
piangendo.
Restammo un attimo in silenzio, la mamma che mi abbracciava.
"Ma Sam dov'era? Perchè non ti ha difesa lui?"
Finsi di piangere ancora, perchè non avevo risposta a quella domanda.
"Il gesto di Emily è stato molto coraggioso ma anche molto
sconsiderato. Sarebbe potuta andare molto peggio. Non dovevi
assolutamente tenere nascosto il ritrovamento di Sam, avresti dovuto
dire tutto alla polizia"
"Lo so, ma non potevo, lo avrei tradito! Come potevo sapere che sarebbe andata a finire così?"
Mia madre mi accarezzò teneramente. "Non hai tutti i torti" ammise.
Quel giorno i miei non mi fecero più domande e ne fui contenta.
Volevo stare un po' per conto mio e riflettere. Sam doveva dirmi
parecchie cose. Sicuramente, quello che era successo alla grotta non
era casuale, ma aveva a che fare con tutte le stranezze che in quel
periodo stava compiendo.
Passarono alcuni giorni, ma la situazione non era affatto cambiata.
Emily era ancora incosciente. Andavo a trovarla ogni giorno, e le
parlavo. Non sapevo se mi sentisse, ma lo facevo lo stesso. Ormai ero
stata dimessa dall'ospedale, e quando non ero con mia cugina, cercavo
Sam. Andavo alla grotta e in altri posti a lui familiari. Seguivo le
ricerche della polizia, ma niente. La mamma era molto preoccupata,
pensava che Sam avesse compiuto qualche atto criminale e non avesse il
coraggio di uscire allo scoperto. Io non volevo pensare così,
non di Sam, lui non era così. Era buono, dolce, gentile. Nessuno
lo conosceva come me.
Quel giorno andai in ospedale. Come di consueto andai a trovare Emily.
"Ciao Em" dissi sedendomi accanto a lei.
Ora aveva le bende su una sola parte del viso, quella dell'occhio
ferito. Il lettore della frequenza cardiaca aveva un suono regolare,
che mi tranquillizzò.
"Ti trovo meglio sai?" dissi "Ormai a casa aspettiamo tutti il tuo
risveglio. Zio Nick dice che, quando ti risveglierai, darà una
bella festa"
Naturalmente lei non si mosse, ma io facevo finta che mi ascoltasse.
C'era una cosa in particolare che sentivo il bisogno di dire.
"Emily io..." cominciai "Volevo chiederti scusa. Scusa, perchè
non dovevi essere tu qui su un letto d'ospedale. Io ti sono
immensamente riconoscente per quello che hai fatto per me"
Abbassai gli occhi mentre dicevo queste parole.
"Io non so cosa stia succedendo Emily. Perchè Sam si comporta in questo modo? Perchè?" quasi gridai.
In un impeto di rabbia alzai la testa di scatto e lo vidi. Emily si era mossa. Aveva mosso una mano.
"Emily? Emily sei sveglia?" esclamai.
Ma questa volta non si mosse. Eppure avrei giurato di vederla muoversi.
Ma forse lo avevo solo immaginato. Sì, doveva essere così.
Dopo un po' ripresi a parlare. Ma questa volta avevo lo sguardo fisso su di lei.
"L'ho assecondato per tutto questo tempo, ma quando tornerà, Sam dovrà dirmi tutto"
Questa volta lo vidi davvero. Non avevo ancora finito la frase che
Emily si era mossa. Avevo alzato la mano e ora muoveva la bocca, per
quel che poteva a causa della fasciatura.
"Emily!" esclamai.
Mi avvicinai per sentire quello che diceva. Biascicava qualcosa come una "s", ma per il resto non si sentiva nulla.
"Dottore!" gridai "Presto venite! Credo che si stia svegliando!"
Il dottore accorse trafelato nella stanza.
"Cosa succede?" chiese subito.
Si avvicinò al letto, guardo un attimo la situazione sullo
schermo delle frequenze cardiache e chiamò gli infermieri.
Io uscii fuori dalla camera dell'ospedale e chiamai con il cellulare prima i miei zii e poi i miei genitori.
Pian piano Emily cominciò a muoversi e dopo pochi minuti aprì l'occhio non ferito.
Mi avvicinai a lei.
"Emily" mormorai.
Lei mi sorrise.
"Come ti senti?" chiesi.
"Mi fa male l'occhio" disse.
Rimanemmo in silenzio. Poi Emily cominciò a parlare: "Perderò la vista da quest'occhio?"
"No...non è detto" risposi "I dottori dicono che ci sono buone possibilità di guarire perfettamente"
Lei annuì pensierosa.
"Posso farti una domanda?" chiesi esitante.
Lei annuì di nuovo.
"Come hai fatto a sapere che ero alla grotta?"
"Ti ricordi quel giorno che trovai il tuo biglietto? Bè la tua
scusa del falso allarme non mi convinse, così appena ho avuto
una buona occasione ho deciso di seguirti" spiegò
"Ho capito".
Altro momento di silenzio, poi fu lei a parlare per prima.
"Sai, mentre ero incosciente ho fatto un sogno strano" raccontò
"C'era una persona...un ragazzo credo...che mi chiamava e mi supplicava
di non andare"
"Chiunque fosse, ti ha salvato" commentai.
Quel pomeriggio era stato davvero pesante, così lasciai Emily a
riposarsi per un po'. Gli zii erano in fibrillazione alla notizia del
suo risveglio, ma anche loro decisero di lasciarle un po' di pace.
Decisi di andare a casa a riposarmi un po', così uscii
dall'ospedale e mi incamminai per la via di casa. Ero quasi arrivata e
stavo già tirando fuori le chiavi, quando sentii un rumore
dietro di me.
Mi girai di scatto e lo stomaco fece una capriola all'indietro. Vicino al cancelletto di casa c'era Sam.
Salve
a tutti! Finalmente posso pubblicare! Chiedo perdono per il ritardo,
spero di non avervi fatto attendere troppo! Comunque passiamo alla
storia. In questo capitolo, si percepisce un senso di angoscia, dovuto
al ferimento di Emily e alle preoccupazioni di Leah. E' un capitolo
intermedio, perchè Leah non ha più le precedenti
certezze, ma allo stesso tempo non sa ancora quale sia la verità
su Sam. Spero che il capitolo non vi abbia deluso, comunque aspetto le
vostre recensioni per sapere! Intanto volevo ringraziare quanti hanno
recensito il mio precedente capitolo:
sweetmoon: Ciao! Spero
di non averti fatto aspettare troppo! Comunque sono contenta che il
capitolo precedente ti sia piaciuto! Per quanto riguarda il ferimento
di Emily, mi piaceva l'idea di una scena quasi contraddittoria:
l'imprinting e il ferimento in contemporanea xD. Spero che questo
capitolo ti sia piaciuto, sono un po' preoccupata (come sempre -.-').
Perciò fammi sapere, mi raccomando! Alla prossima ^^
Shine: Zalve!
Innanzitutto scusa per le correzoni che ho lasciato, come sempre non mi
smentisco: sono una svampita! Per il resto, mi fa piacere che il
capitolo ti abbia coinvolto a tal punto, non me lo aspettavo! In questo
cap succedono meno cose, però come ho detto è un capitolo
intermedio, quindi non succede granchè! Spero di non aver deluso
le tue aspettative!! Aspetto con ansia la tua recensione! Ciau tvtttb :)
Padme Undomiel: Ciao! Innanzitutto volevo ringraziarti per la tua...ehm...piccola
recensione. Comunque, mi è piaciuta parecchio davvero! Sono
contenta di essere riuscita a fare meno errori xD. E sono contenta di
non aver deluso le tue aspettative! Spero che questo cap non ti abbia
deluso, sono preoccupata!!! Comuque aspetto il tuo parere per il
prossimo capitolo! (Ah, vedi se la soluzione trovata per Emily va bene,
fammi sapere!) Ciau tvtttb :)
Un grazie anche a chi ha solo letto la storia. Come sempre rinnovo il mio invito a RECENSIRE! Vi prego è molto importante per me! Grazie di tutto e alla prossima.
Mystery Anakin
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Capitolo 4 *** La fine di ogni cosa ***
And if I say I love you 4 corretto
Capitolo 4
La fine di ogni cosa
Distesa sul mio letto contemplavo il soffitto assorta. Chi ero io? Non
lo sapevo più. Non sentivo più nessuna sensazione. Ero
come vuota dentro di me. La camera era buia, solo uno spiraglio di luce
entrava dalla mia finestra.
Meglio, il buio era confortante.
Il buio sapeva soccorrerti quando ne avevi bisogno. Sembrava che ti
aiutasse ad annullare i pensieri. Perchè era questo ciò
che volevo. Abbandonarmi a me stessa e non pensare più per il
resto della mia vita. Ma questo era un desiderio irrazionale e lo
sapevo. Il buio poteva anche darmi l'impressione di non esistere, ma
non poteva evitare che la mia mente con insistenza m'imponesse
ciò che volevo dimenticare.
Tutto era accaduto l'altra sera. Quando Sam era riapparso...
"Sam!" esclamai vedendolo.
Non sapevo bene che reazione avere.
Il mio primo impulso era quello di riabbracciarlo. Ma ad un tratto mi
ricordai di mia cugina e con un tono tra l'arrabbiato e il preoccupato
dissi: "Dove sei stato?"
Lo guardai meglio: aveva un paio di bermuda sfilacciate e il resto del corpo era scoperto.
"Leah, devo parlarti" esordì con un tono sofferente.
"V-vieni, andiamo in garage, non voglio che i miei ti trovino ora e in queste condizioni" dissi.
Esitai, poi, non potendo più
resistere, gli presi la mano e lo trascinai verso il garage affianco
alla casa. Mi accorsi subito che qualcosa non andava, Sam non
ricambiava la mia stretta.
Aprii la serranda del garage, e ci
infilammo dentro. Accesi la lampadina. Dentro era davvero un putiferio,
tutto era in disordine. Vecchi giocattoli di quando io e mio fratello
eravamo piccoli erano ammassati su uno scaffale, cianfrusaglie di ogni
genere, vecchi mobili, tutto era sparso qua e là o impilato a
formare una colonna pericolante.
Mi sedetti sulla prima base rigida che trovai: un vecchio comodino, mentre Sam si appoggiò alla parete.
Per un po' regnò il silenzio, poi fu lui a parlare per primo.
"La ragazza che era con te..."
"Emily!" dissi "E' in ospedale, è stata colpita da quel lupo"
Lui guardò in basso, con aria davvero sofferente.
"Mi...dispiace..."mormorò.
Non sapevo come comportarmi. Non
avevo mai visto Sam con quell'espressione. Quando alzò gli
occhi, notai anche qualcos'altro. Sembrava che cercasse qualcosa, ma
cosa? Una moto di rabbia mi assalì all'improvviso. Era la mia
mente che non trovava un senso al suo comportamento. Ed era quando
qualcosa mi sfuggiva, che sentivo la rabbia e l'esigenza di riportare
le cose al loro ordine nella mia testa.
"Ma tu dove sei finito? Sei sparito all'improvviso" chiesi cercando di controllare il mio tono.
Lui fece ancora quell'espressione
sofferente e disse: "Io...sono uscito dalla grotta, solo non sapevo che
voi foste ancora dentro, pensavo che mi steste seguendo. Quando mi sono
voltato per vedere se eravate dietro di me, sono scivolato e ho
sbattuto la testa"
Ciò, lo aveva detto tutto d'un
fiato, quasi fosse un discorso ripetuto più e più volte.
Avevo il forte sospetto che non fosse la verità. Ma Sam non mi
aveva mai mentito, o almeno il Sam che conoscevo.
"E ora? Non hai nessuna fasciatura, un cerotto, qualcosa?"
"No, mi è rimasto solo un bernoccolo, per fortuna" rispose, ma senza guardarmi.
La cosa non mi convinceva affatto. Del resto probabilmente non c'era nessun'altra spiegazione.
"Sam" dissi avvicinandomi a lui "ma cosa è successo? Possibile che io non possa saperlo?"
Il mio tono aveva una nota di disperazione, che però non volevo dare a vedere.
"Mi dispiace, Leah..." rispose.
Aveva ancora quello sguardo
sfuggente: avrei voluto tanto sapere cos'era che lo tormentava. Volevo
avvicinarmi a lui, abbracciarlo, fargli sentire tutto il mio amore,
assicurargli che anche stavolta gli sarei stata vicina, se solo lui mi
avesse detto cosa stava succedendo. Sentivo che però non potevo
farlo, perchè era come se un muro si fosse posto tra noi, come
una barriera segreta. E quella barriera era il segreto che non voleva
rivelarmi, ma allo stesso tempo il suo atteggiamento freddo nei miei
confronti, come se io non fossi più nulla per lui.
No. Come potevo pensarlo? Non poteva essere così.
Nel tentativo disperato di
convincermi di ciò mi avvicinai a lui e lo abbracciai. Non
ricambiò la stretta, e questo mi ferì profondamente.
"Sam..." mormorai " Io vorrei che
tutto tornasse normale tra noi. Tutto quello che è successo ci
ha allontanati, ma io non posso stare senza di te. Dimmi la
verità, ti sei immischiato in qualche giro criminale?"
"No" rispose secco.
"C'è qualcuno che ti ricatta? Ti prego rispondi! Non riesco a sopportare questo silenzio!" continuai.
"Ora basta" sbottò e mi allontanò da sé.
"Cosa fai?" chiesi sbalordita.
"Leah, dimentica quello che c'è stato tra noi. Io non sono il più Sam che ricordavi" spiegò.
Rimasi in silenzio un secondo. Cosa stava dicendo?
"Ma cosa dici?"
"Sì, sì è
così! Io sono diverso! Non posso dirti quanto e come,
perchè è un segreto! Ma devo svolgere una missione, e noi
non possiamo stare insieme!" gridò.
"Perchè?" esclamai sconvolta.
"Perchè deve essere così!"
"No, mi rifiuto! Questo discorso l'ho
già sentito e ti avevo già detto che non ti avrei
abbandonato" gridai disperata.
"Ed hai visto come è andata!"
"E' stato un incidente!" gridai.
"No che non lo era!"
Ma cosa stava dicendo? Era impazzito?
Non capivo! Era assurdo, non poteva lasciarmi così. Non avrebbe
fatto il coraggioso con me, io gli sarei stata accanto. E lui,
conoscendomi, sapeva che non l'avrebbe scampata tanto facilmente.
"Io non ti lascerò solo, perchè...io ti amo Sam" dissi questa volta con calma.
Lui volse lo sguardo da un'altra parte. Perchè non rispondeva?
"Guardami" gli ordinai.
Lui mi guardò.
E già quello sguardo diceva
parecchie cose. Era duro, ma allo stesso tempo sofferente, come di chi
stava per dire qualcosa di molto importante, ma aveva paura delle
conseguenze.
Io stessa temevo, chissà
perchè, quella domanda che stavo per fargli. Era come se il mio
inconscio sapesse già la risposta, ma la allontanasse.
"Tu mi ami, Sam?"
Una domanda, semplice, pronunciata
come se ne pronunciano tante, ma con implicazioni troppo grandi per
poter essere considerata come le altre.
Sam mi guardò negli occhi e
quello sguardo non l'avrei dimenticato per tutta la vita. Portava con
sé tutta l'inesorabilità di ciò che stava per dire.
"No, non più. Mi dispiace, Leah" disse, e uscì dal garage.
Rimasi lì immobile come una
statua. Non so per quanto tempo, forse ore, giorni. L'unica cosa di cui
ero consapevole erano le stesse parole, che mi rimbombavano nella testa.
"No, non più. Mi dispiace, Leah".
Sentii un vuoto allo stomaco a quel ricordo. No, non dovevo ricordare.
Il buio, dovevo trovare il buio, solo così sarei stata bene.
Solo così non avrei ripensato a tutto.
Ma era impossibile non pensare, non ricordare.
L'oscurità stessa della camera mi facilitava nel ripresentarmi quei ricordi.
Eppure come ne potevo fare a meno?
La luce del sole, i colori, tutto avrebbe avuto il sapore di una felicità che non mi apparteneva.
E soprattutto, tutto mi ricordava lui.
Ogni singolo angolo della mia casa, ogni strada di questa città, persino ogni persona.
Era come se ogni cosa portasse una parte di lui con sé.
Ed io non potevo sopportarlo.
Così come non potevo sopportare quelle parole, che ritornavano costantemente.
Ma non era finita lì.
Quella notte non avevo dormito. Avevo
dato la buonanotte a tutti con il sorriso, come sempre, e mi ero chiusa
in camera. Una volta lì, mi ero seduta sul letto e mi tenevo la
testa tra le mani. Non poteva essere vero quello che aveva detto.
Sicuramente l'aveva detto solo per allontanarmi, per far sì che
non fossi coinvolta in quello che gli stava succedendo. Eppure, quando
lo aveva detto sembrava davvero convinto. L'espressione degli occhi era
inequivocabile. Ma come, come poteva pensare che Sam, non...non
riuscivo neanche a dirlo. Era impossibile. Lui stesso mi aveva giurato
di amarmi per sempre. Toccai il ciondolo che avevo al collo. Al ricordo
di quella sera e di come tutto era diverso mi vennero le lacrime agli
occhi che subito ricacciai indietro. No, non dovevo piangere. Non
sarebbe servito a nulla. Dovevo far luce su questa storia,
perchè non si potevano gettare al vento tre anni insieme per
nulla. Se c'era qualcosa, doveva essere davvero importante e io
l’avrei scoperto. A tutti i costi.
Passai tutta la notte insonne a
rimuginare su questi pensieri. Il mattino dopo, in compenso, mi
sentivo a pezzi. La testa mi girava e avevo due grossi borse sotto gli
occhi. Scesi le scale di casa lentamente. Appena fui giù, mi
sentii cadere qualcosa addosso.
"Weeeee Leaaaaah!"
"Seth!" esclamai.
Mio fratello, pestifero ragazzino di
nove anni, era stato in colonia per un mese. E per quel mese avevo
goduto della pace più assoluta in casa. Ora, a quanto pareva,
avrei dovuto scordarmi il silenzio che regnava in casa da un po'.
Però, a parte quello, un po' ero contenta di vederlo. Seth era
un ragazzino allegro, capace di infondere un po' di buonumore persino
in me che in quel momento di buono non sentivo nulla dentro di me.
"Che hai? Sembri un fantasma!" commentò notando la mia espressione.
"Mmm, ho dormito maluccio" risposi. Poi cercai di cambiare discorso. "Come è andata in colonia?"
"Oh, benissimo!" cominciò a dire entusiasta.
Si perse per circa mezzora a
raccontare tutto quello che aveva fatto. Io lo ascoltavo a tratti
facendo ogni tanto qualche commento, ma intanto i miei pensieri
viaggiavano altrove, lontani, perdendosi nei dolorosi ricordi
dell'altra sera e in tutte le preoccupazioni di quei giorni.
Completamente distratta, versai il caffé sulla tavola,
anziché nella tazza.
"Oh no!" esclamai.
Dopo svariati tentativi di non
distrarmi, riuscii a finire la colazione incolume. Mio fratello aveva
terminato il suo racconto ed era andato in camera sua. Io stavo
sparecchiando la tavola, quando mia madre mi fermò e disse:
"Leah, cos'hai? Ti vedo strana..."
"Strana?" domandai con voce poco convincente.
"Sì, sei distratta, non ti ho mai visto così. E' successo qualcosa?" chiese con fare indagatore
"No, è tutto a posto mamma. Sarò solo un po' stanca" risposi.
Mia madre mi guardò poco
convinta, ma, dal fatto che non pose più domande, capii che non
aveva intenzione di indagare oltre. Forse aveva capito che avevo un
problema e che volevo tenerlo per me.
Cercando in tutti i modi di cambiare discorso, le chiesi: "A Seth non avete detto ancora nulla?"
"Abbiamo solo accennato qualcosa. Ma
non sa né del lupo, né che tua cugina rischia di perdere
la vista" spiegò un po' rattristata dall'argomento.
Non ero propriamente d'accordo con
quel modo di fare, ma non avevo la forza di ribattere. Non ero
d'accordo sul fatto di nascondere a Seth la verità. In fondo non
era così piccolo e le cose le capiva benissimo. Anzi, sarebbe
stato meglio per lui sapere tutta la verità.
"A proposito" continuò la mamma "Oggi vado in ospedale, vuoi venire con me?"
"Ok" risposi.
Con tutto quello che era successo la
sera precedente, avevo quasi dimenticato Emily, e questo mi faceva
sentire in colpa. Mi sentivo un'egoista, ma in fondo ciò che mi
era successo mi preoccupava tantissimo. Non ancora riuscivo a credere a
quello che aveva detto Sam, per me era impossibile. Perciò il
proposito che mi occupava ora era di ritrovare Sam e convincerlo non
solo a dirmi la verità, ma aiutarlo anche, qualunque fosse il
suo problema.
Sentendo dentro una maggiore
risolutezza, dissi a mia madre che mi andavo a preparare, così
dopo saremmo passati in ospedale da Emily. Mi lavai, mi vestii.
Guardandomi allo specchio della mia stanza, assunsi un'aria risoluta,
quasi l'immagine volesse convincere la persona reale a non arrendersi.
Cercando di assumere un'espressione normale, seguii mia madre in ospedale.
Emily era seduta sul letto della sua
camera, ed era apparentemente normale. Però mi accorsi che,
nonostante il sorriso che mostrava, c'era una sorta di inquietudine sul
suo viso. Inquietudine che era ben visibile nei momenti in cui nessuno
la guardava.
"Ciao, Leah!" esclamò con un sorriso vedendomi entrare nella stanza.
"Ciao", sorrisi anch'io, "Come ti senti oggi?"
"Abbastanza bene, certo, è
parecchio strano vedere con un solo occhio, ma mi ci abituerò"
rispose con un sorriso amaro.
"Ma che dici? Fra non molto toglierai le bende" ribattei.
"Sì, ma...non so se vedrò..." disse a occhi bassi.
"Certo che vedrai!" esclamai con tono sicuro, anche se una parte di me era poco convinta di ciò.
Questo, insieme al pensiero che la
cicatrice indubbiamente sarebbe rimasta, aumentò il mio senso di
colpa. Evidentemente Emily si accorse che stavo male per questo, e si
affrettò a cambiare discorso.
Si fece ora di pranzo, e andammo a
prendere qualcosa al bar dell'ospedale. Non avevo molta fame. Dentro di
me sentivo l'impazienza crescere. Dov'era Sam in quel momento? E se
stava intraprendendo un pazzia a mia insaputa? Come facevo a sapere
dove fosse?
Al bar presi solo un panino, che
però non mangiai tutto. Non ce la facevo, lo stomaco mi si era
chiuso. Lasciai il panino dov'era e mi alzai dal tavolo del bar dicendo
che andavo a farmi un giro. Camminai per il corridoio pensando. I
pensieri erano sempre gli stessi, che mi tormentavano incessantemente.
Senza neanche accorgermene, feci la
strada fino alla stanza di Emily. Quando mi trovai di fronte alla porta
della sua camera, mi riscossi. Non sapevo perchè fossi tornata
lì. Forse per abitudine, chissà. Mi chiesi se Emily non
stesse dormendo. Poi sentii delle voci provenire dall'interno. Aprii la
porta e li vidi.
C'era Emily seduta sul suo letto e
Sam, vicino a lei che la teneva per mano. La scena mi sembrava
così assurda, che sul momento pensai fosse uno scherzo della mia
immaginazione.
Emily si era messa una mano sulla bocca, spaventata. Sam mi guardò allarmato.
"Leah!" esclamò Emily.
"Cosa significa?" chiesi, con voce tremante.
"Leah, era questo che volevo dirti l'altro giorno. Io ed Emily...è difficile da spiegare...." disse Sam.
Emily non mi guardava, ma era chiaro che aveva le lacrime agli occhi.
Dentro di me sentivo una feroce battaglia tra emozioni contrastanti. Stupore, umiliazione, gelosia, disperazione.
Guardai Sam. Aspettava una mia
reazione, agitato. Vedevo in fondo ai suoi occhi una traccia di senso
di colpa. Ma allo stesso tempo non potevo non notare che la persona
davanti a me non era Sam. Era molto diversa e solo in quel momento me
ne accorsi.
"N-non c'è problema. Ho capito tutto" dissi seccamente e scappai da quella stanza in lacrime.
Mentre quel ricordo mi tornava in mente, sentii lo stomaco rivoltarsi.
Era impossibile ricordarsi tutte le sensazioni che avevo provato in
quel momento. Forse più stupore, che spavento. Ero rimasta
pietrificata sul momento, incapace di dare un significato a ciò
che avevo visto. Allo stesso tempo mi sentivo come se avessero ordito
una congiura alle mie spalle. Le domande mi attanagliavano il cervello.
Come avevano fatto Sam ed Emily ad incontrarsi, e...(non riuscivo
neanche a dire cosa era successo tra loro)? Tutto sfidava le mie leggi
spazio-temporali e qualsiasi regola logica. Come aveva fatto Sam a
trovare la stanza di Emily? Tutto era confuso e distante. Mi sembrava
così incredibile, sembrava uno scherzo. Ma sapevo che non era
così.
Perchè era andata così? Volevo scomparire
nell'oscurità che mi ero creata, perchè sentivo che la
mia esistenza non aveva più senso. Cosa si è senza la
persona che si ama? Come si può sopportare di perderla vedendola
tra le braccia della persona di cui ti fidavi più di tutte, che
per te era come una sorella? Non poteva essere, non potevo accettarlo
in nessun modo...
Corsi fuori dall'ospedale, senza
sapere neanche io bene dove andare. Sentii una voce che mi chiamava,
ero sicura che fosse Sam, ma non volevo parlargli. Di solito ero io
più veloce a correre, ma mi sentivo così male, che non
diedi il meglio di me, e lui mi raggiunse.
"Leah, fermati!" gridò.
"Va’ via!" urlai.
Cercai di asciugarmi in fretta le
lacrime, non volevo che mi vedesse piangere. Ma era più forte di
me, ogni lacrima tirava l'altra incessantemente, ignorando la mia
volontà che imponeva loro di fermarsi.
"Ascolta, Leah...non è facile per me..." fece Sam.
"Ah, per te non è facile? Non
mi sembrava ci fossero molti problemi quando tenevi la mano di mia
cugina!" gli urlai contro.
"Certo che li abbiamo avuti, ci sentiamo entrambi in colpa per ciò che è successo!" ribatté lui.
"Solo questo? Non hai neanche
minimamente pensato a tutto quello che c'è stato tra noi? Non
significa davvero più nulla per te?" urlai infuriata.
Mi accorsi che la gente che passava
di lì ci guardava o incuriosita, o preoccupata. Non m'importava,
però, volevo solo sfogare tutta la mia rabbia e frustrazione in
quel momento.
"So benissimo cosa c'è stato!
Ma lasciami spiegare...Tra me e Emily è nato qualcosa di
diverso. E' come se fossimo destinati a stare insieme! Io non posso
fare a meno di lei e lei di me!" spiegò.
"E con me non era lo stesso? Di me potevi e puoi fare a meno?" chiesi, ma questa volta con un tono di voce più basso.
"Quello che c'è stato tra noi
era diverso. Io ero diverso, ma non posso spiegarti di più,
Leah. E' un segreto. Tu cerca di capirmi, non incolpare Emily per
quello che è successo. In fondo è più colpa mia..."
"Io non capisco assolutamente
ciò che stai dicendo! Come puoi buttare al vento una storia di
tre anni, per questo non so cosa che tu hai ora?"
Ero fuori di me dalla rabbia. Il
dolore per ciò che era successo c'era, ma la rabbia e
l'incredulità sovrastavano tutto. I miei pensieri erano
offuscati, sentivo il cuore battermi a mille e le mani tremare. Volevo
scappare via, correre, scaricare tutta l'adrenalina accumulata. Ma la
discussione continuava, accrescendo tutte queste sensazioni sgradevoli.
"E' qualcosa di più grande. E non servono tre anni per capirlo, basta un attimo." spiegò ancora.
"Bene" dissi a denti stretti "Se
è questo ciò che credi, sei libero di fare ciò che
vuoi. Ora so che evidentemente ero un'illusa: credevo provassi lo
stesso per me. Bene. Ora va’ da Emily, ha bisogno di te. Per
quanto mi riguarda, non cercatemi. Mai più. Addio, Sam" dissi, e
prima che potesse fermarmi corsi via.
Non seppi mai se cercò di
trattenermi. Non sapevo dove stessi andando. Volevo solo correre. Tutto
lo sforzo che impiegavo sembrava prosciugare tutta la rabbia. Non
ricordavo di aver mai corso così veloce. Sicuramente la gente mi
stava osservando incredula, ma non potevo vederlo perchè i miei
occhi erano offuscati dalle lacrime di rabbia e dolore. Nel petto
sentivo un dolore lacerante accentuato dallo sforzo della corsa. Ma
sapevo che quel dolore non era dovuto all'affaticamento, bensì
dal dolore causato dalla perdita di Sam. Non ricordavo di aver mai
provato una sofferenza così grande nella mia vita.
Senza neanche accorgermene arrivai
alla spiaggia di La Push, lì dove erano accaduti molti degli
eventi significativi della mia vita, e dove tutto era iniziato.
Sembrava quasi che il mio cuore e la mia mente volessero di proposito
farmi soffrire di più ricordando quei momenti. Momenti nei quali
ero stata felice con Sam, ma anche momenti terribili, come il ferimento
di Emily. Guardai il mere, le onde che, incuranti del dolore umano,
continuavano il loro incessante movimento, e desiderai di essere come
loro. Non avrei avuto più pensieri, sofferenze, ma avrei
compiuto sempre lo stesso movimento, fino alla fine del mondo.
Ma sapevo benissimo che non era
possibile, che i miei erano vaneggiamenti, che dovevo affrontare la
realtà, per quanto dura fosse. Lo sapevo, ma per la prima volta,
la Leah razionale che era in me, non sembrava averla vinta.
Benché la ragione mi dicesse di non abbandonarmi al dolore e di
affrontarlo, il mio cuore non voleva liberarsi del dolore. Allora
seppi, in quel preciso istante, che se non potevo eliminare il dolore,
avrei dovuto imparare a conviverci, come una persona malata impara a
convivere con il suo dolore fisico. Guardai verso il mare, verso
l'orizzonte, dove cielo e acqua si univano, e, stendendomi sulla sabbia
morbida, piansi per la prima e ultima volta tutte le mie lacrime.
Mi alzai dal letto, ricordandomi di quella promessa di qualche giorno
prima. Mi accorsi che il buio non mi aiutava affatto a dimenticare,
anzi, i pensieri erano più nitidi. Mi avvicinai a tentoni alla
finestra e spalancai la tenda. La luce del sole mi ferì gli
occhi. Il quartiere continuava a muoversi con i suoi abituali ritmi
giornalieri, ma la mia vita era cambiata. Sentivo il dolore che mi
stringeva il petto, ma dovevo ignorarlo, per quanto fosse possibile.
Dovevo cercare di comportarmi normalmente, come se nulla fosse
accaduto. Nessuno doveva pensare che stessi soffrendo. I miei genitori
si erano accorti che qualcosa non andava in me, ma non avevano capito
cosa, e questo era l'importante.
Cercando di ignorare le mani che mi tremavano e le lacrime che
minacciavano di cogliermi di sorpresa, mi lavai e mi vestii. Stavo per
uscire di casa, quando mio padre entrò.
"Leah" disse con un cenno di saluto.
"Papà, ma non dovresti essere a lavoro oggi?" chiesi con voce roca.
"Ho preso un giorno di permesso. Vado a pesca con Bill e Charlie"
spiegò. Poi, guardandomi meglio, aggiunse: "Leah, ma cos'hai?
sono un po' di giorni che ti osservo e hai un'aria smorta, sei
pallidissima, nonostante la pelle scura"
"Devo avere un po' di febbre forse, non so" risposi.
"Forse allora è meglio se non esci" mi consiglio lui.
"No, ehm, devo fare una cosa importante. E poi voglio sgranchirmi un po' le gambe"
Speravo che non mi contraddicesse e così fu.
"Va bene, ma riguardati" disse con un sorriso.
"Ok"
Avevo la mano sulla maniglia, quando lui aggiunse: "Ah, sono stato in
ospedale. Emily sta molto meglio! Fra qualche giorno le toglieranno la
benda all'occhio. Ha chiesto di te, dice che vuole parlarti. Ma da
quand'è che non vai a trovarla?"
"Ho avuto un po' da fare in questi giorni" mentii.
"Ok, allora torna presto mi raccomando"
Come avrei dovuto fare? Evitarla era impossibile, perchè i miei
genitori mi avrebbero detto che ero insensibile a non andarla a trovare
in ospedale. Uscii di casa e mi fermai un attimo sulla soglia. Emily
voleva parlarmi. Ma io non volevo vedere lei. Non volevo sentirmi dare
nessuna giustificazione a proposito di ciò che era successo. E
se ci fosse stato anche Sam? Sarebbe stata la fine per me. Non volevo
assolutamente vederlo, sarei definitivamente crollata.
All'improvviso sentii un peso al collo. Guardai meglio, e mi accorsi di
avere ancora il ciondolo che lui mi aveva regalato. Non sapevo
perchè, ma quel ciondolo mi faceva sentire ancora peggio. Era il
simbolo del nostro legame. Ma bastava forse liberarsene per essere
libera io definitivamente? No di certo. Avrei dovuto prima liberare me
stessa e poi avrei definitivamente detto addio al ciondolo. Da quel
giorno in poi sarebbe diventato il mio fardello e l'avrei portato con
me fino a quando non sarei stata libera. E per quanto riguardava
l'affrontare Emily, dovevo trovare il coraggio di farlo. Perchè
sentivo che dovevo farlo, che quello era uno dei passi necessari per
liberarmi del mio fardello.
Salve
a tutti!
Innanzitutto mi scuso per l'estremo ritardo, ma purtroppo la scuola mi
tiene abbastanza impegnata! Comunque, a parte questo, eccomi arrivata
al capitolo che molti aspettavano, quello in cui Sam lascia Leah. E' un
momento difficile per lei, che la segnarà nel profondo,
lasciandole una ferita nell'animo per quanto forte che sia. Tuttavia i
segreti per Leah non sono finiti, perché ancora non ha scoperto
la natura dell'amore tra Sam ed Emily. Dovrà attendere ancora un
po', prima che quest'altra grande scoperta la colpisca nel profondo.
Detto questo, passo a ringraziare quanti stanno seguendo questa storia
^^:
Agente 007 Cullen: Ciao! Mi fa piacere conoscere un'altra lettrice
della mia storia! ^^ Volevo scusarmi se impiego parecchio tempo nel
pubblicare le storie, ma purtroppo sono molto impegnata! Ti chiedo solo
un po' di pazienza! Continua a seguirmi e a recensirmi, mi farà
molto piacere!
Padme Undomiel: Salve! Innanzi tutto ti ringrazio per le tue recensioni
sempre così dettagliate! Sono contenta che la mia storia ti stia
appassionando!! :) Spero di non averti delusa con questo
capitolo...sappi che le rivelazioni non sono ancora finite, quindi
spero non ti sia fatta un giudizio affrettato!! Per il resto, mi
dispiace per gli errori dei verbi, ma come sai, sono sempre troppo poco
attenta xD. Per il personaggio di Jacob, cercherò di
valorizzarlo, ma in questa parte della storia il suo ruolo non è
fondamentale, quindi uscirà poco. Più avanti
comincerà ad avere un ruolo diverso comunque ;). Infine, aspetto
con ansia un tuo nuovo trattato (e spero sia positivo!!). A presto
tvttttb
sweetmoon: Ciao! Come ti capisco, anche io ho già tanto da fare
con la scuola!! Tu non preoccuparti comunque, recensisci quando puoi.
Anzi, ti devo ringraziare per le tue recensioni sempre così
gentili :). Scusami tu se ti ho fatto aspettare molto con questo
capitolo! Per il prossimo ci vorrà ancora più tempo temo,
sono davvero impegnata -.-'!! Bando alla ciance, spero che questo cap.
ti sia piaciuto, io ho fatto il possibile, fammi sapere quando puoi! Un
bacio e alla prossima ^^
Shine: Zalve truzza! Anche tu, non preoccuparti, recensisci quando
puoi, non è un problema per me :). Sono contenta che il terzo
cap. ti sia piaciuto, ero molto scettica! Speriamo che apprezzerai
anche questo! Aspetto con ansia il tuo commento!! Ziaooo tvtb ^^
Ringrazio anche quanti stanno solo leggendo la storia, spero vi stia
piacendo! Mi raccomando se potete RECENSITE, perchè, come ormai
ribadisco sempre, per me è di estrema importanza conoscere il
vostro parere! Grazie
Mystery Anakin
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Capitolo 5 *** Tutta la verità ***
and if I say I love you 5 corretto
Capitolo 5:
Tutta la verità
Alcuni giorni erano passati, e ancora non riuscivo ad adempiere al
compito che mi ero imposta di portare a termine: controllare il mio
dolore. Pian piano mi accorsi che il problema era che ogni luogo, ogni
situazione più disparata, mi ricordava i momenti belli passati
con lui. Ed ogni volta, le lacrime minacciavano di cogliermi di
sorpresa. Erano reazioni incontrollabili, che non riuscivo a prevedere
né a gestire. Sentivo di star diventando moralmente instabile e
la cosa mi preoccupava. Forse avevo bisogno di uno psicologo. Il
problema era che tutto quanto mi era successo metteva a dura prova la
mia natura più profonda. Io, ragazza forte e determinata, che sa
sempre ciò che vuole e fa di tutto per ottenerlo, avevo perso lo
scopo più grande per il quale avessi lottato nella mia vita. E
questo faceva sì che ogni cosa che prima aveva tanta importanza
per me, e per la quale ero disposta a lottare, aveva perso significato.
Ero diventata depressa e taciturna, quando invece ero stata sempre
molto aperta e vivace. Ogni cosa aveva perso la luce che aveva prima,
quel contorno tenero e dolce che mi conferiva l'amore. Tutto mi
sembrava buio e freddo. La mia stanza era un nido vuoto nel quale mi
rifugiavo sempre più spesso. La spiaggia era diventata fonte dei
più tristi dolori. La corsa aveva perso il suo fascino per me.
Non avevo fame, sentivo freddo, nonostante fosse estate. Tutte quelle
sensazioni mi spaventavano; avevo paura di star diventando pazza.
Io non potevo essere debole. Non potevo arrendermi a quel dolore che mi
trascinava verso il baratro o mi sarei persa per sempre. In un
disperato tentativo di riuscire a dimenticare, decisi di impiegare il
mio tempo in modo utile, per non restare a crogiolarmi nel mio dolore.
Trovai impiego nell'unico bar di La Push. Ai miei genitori dissi che
era per racimolare un po' di soldi. In realtà quel lavoro mi
stancava abbastanza da riuscire a dormire la notte e a non pensare
durante il giorno.
Non avevo ancora preso il coraggio per recarmi da Emily e non avevo
intenzione di farlo per il momento. Sapevo che questo mio indugiare non
sarebbe servito a molto. Infatti avevo saputo da mia madre che Emily
avrebbe tolto le bende all'occhio a giorni, e se tutto fosse andato per
il meglio l'avrebbero dimessa subito dopo. Ormai non potevo più
evitarla, il giorno in cui avrebbe tolto le bende sarei dovuta andare
da lei, e a quel punto mi avrebbe parlato. Mi sentivo una codarda ad
evitarla, ma quello che mi serviva in quei giorni era non pensare a
tutto quello che era successo. E poi non volevo rivedere Sam.
Quel giorno di fine agosto il bar era molto affollato. La gente, che
aveva passato quella calda giornata a First Beach, ora si era fermata
lì per uno spuntino. Man mano che frequentavo il posto, mi
accorsi che c'erano clienti abituali, che si sedevano sempre allo
stesso tavolino e dicevano quasi sempre le stesse cose. Mentre ripulivo
il bancone o servivo gli altri clienti, i loro discorsi mi giungevano
all'orecchio. La maggior parte della volte li ignoravo, anche
perché non m'interessavano. Ma quel giorno non fu una di quelle
volte. Quattro vecchi che erano seduti sempre allo stesso tavolo quel
giorno parlavano fitto fitto e con lo sguardo di chi ha notizie fresche
da riferire.
"Sì, proprio qui, appena fuori dal confine di La Push" disse uno
dei vecchi. Aveva un’espressione arcigna e una barba lunga.
"Non vedo cosa ci sia di strano, se una famiglia viene ad abitare in
una villa nel bosco..." commentò un altro dei quattro, magro e
con capelli grigi un po' lunghi.
"Ma questi sono straricchi dicono! Josh l'altro giorno è andato
a dare una sbirciatina. Dice che la villa è enorme! Ma il vero
mistero sono i suoi abitanti. Josh ha detto che sono bianchissimi,
escono solo se non c'è sole e sembrano...freddi" raccontò
il primo vecchio, soffermandosi sull'ultima parola, come se dicesse
tutto.
Un'esclamazione di sorpresa si levò dal gruppo.
"Non penserai che...ma è impossibile! Sono solo leggende,
Michael. Valle a raccontare ai tuoi nipoti" lo rimbeccò un altro
del gruppo. Era un uomo che probabilmente si avvicinava ai sessanta,
con capelli e baffi striati di grigio.
"Non sono leggende, Albert. Io c'ero l'ultima volta che...mi avete
capito. I nostri giovani subiranno cambiamenti notevoli ora. Ci
potrebbe essere una nuova guerra" disse il vecchio con la barba
sgranando gli occhi.
"Oh, suvvia, basta con queste sciocchezze!" esclamò Albert.
"Pensa ciò che vuoi, ma...ti basti sapere che sono stati trovati
parecchi animali di grossa taglia...azzannati...appena oltre il confine
di La Push" riferì con fare furbo il vecchio Michael.
"Questo non prova niente" ribatté Albert.
"Io ci credo alle storie..." intervenne il vecchio magro dai capelli
lunghi "Ma Albert ha ragione, Michael, non puoi dire con certezza che
si tratti... di quello insomma"
"Staremo a vedere" disse Michael assumendo la sua consueta espressione arcigna.
"Una limonata con ghiaccio, per favore"
Mi riscossi all'improvviso. Davanti a me c'era Jacob Black, il
ragazzino dai lunghi capelli figlio di Bill, l'amico di mio padre.
Prima che se ne andasse da La Push, io e sua sorella eravamo amiche.
"Ehi, ciao, Leah!" esclamò "Ora lavori qui?"
"Sì" risposi.
Mi misi subito all'opera e preparai la limonata che mi aveva chiesto.
"Fai bene! Un po' di soldi in più non fanno mai male" disse.
Certo, magari fosse stato solo per i soldi.
"Si hanno notizie di Sam per caso?"
"La tua limonata" esclamai secca, mettendogli il bicchiere in mano bruscamente per interrompere quella conversazione.
Lui se ne andò un po' stupito dalla mia reazione. Ovvio. Non poteva capire.
Jacob non era un ragazzino immaturo. Conoscevo la storia di sua madre,
e sapevo quanto avesse sofferto la sua famiglia. Però non poteva
sapere cosa volesse dire amore vero, incondizionato. Non poteva sapere
quanto anche solo nominare il suo nome mi facesse male.
La voce degli uomini di cui prima avevo ascoltato la conversazione mi
distolse dai miei pensieri. Mi ricordai quello che avevano detto e la
curiosità che in me avevano suscitato. Avevano parlato di una
ricca famiglia stabilitasi tra Forks e La Push, e di una guerra che si
sarebbe scatenata. La cosa era davvero curiosa. Poteva anche darsi che
il vecchio volesse fare uno scherzo di cattivo gusto ai suoi amici, ma
dalla sua serietà pensai che forse non era così. O
ancora: forse non avrei dovuto indugiare ulteriormente su delle stupide
storie raccontate da dei vecchi che non avevano nulla da fare tutto il
giorno. Il problema era che riscuotevano in me un'insolita attrattiva.
Era come se mi sentissi coinvolta in quella storia. Forse stavo davvero
male. Forse quell'interesse insolito per le assurdità faceva
parte delle molte reazioni strane che avevo avuto dopo l'abbandono di
Sam. Al solo pensiero sentii lo stomaco ribellarsi. Così cercai
di scacciare tutti i pensieri che erano indissolubilmente uniti alla
parola "Sam".
Per il resto della giornata mi riempii il tempo di lavori da svolgere.
In compenso servì, visto che, quando tornai a casa, la mia testa
era ancora al bancone del bar. A riportarmi alla realtà
però sarebbe stata mia madre, poco dopo essere tornata.
Mi gettai sul divano del salotto sfinita. Chiusi gli occhi, apprezzando l’inutile tentativo di pensare della mia mente.
"Oh, sei tornata! Stai tutto il giorno in quel bar…ma a cosa ti
serve? Non hai bisogno di soldi" sbottò mia madre entrando nella
stanza.
"Ma', lo sai, voglio essere un po' indipendente" risposi.
Quella risposta l'avevo già data almeno tre volte. Per un motivo
inspiegabile, però, i miei genitori continuavano a ripetere
sempre che non avevo bisogno di quel lavoro.
"Comunque la cena è pronta" aggiunse.
Mi alzai dal divano, trascinando i piedi fino in cucina, dove mi
sedetti al mio solito posto a tavola. Non me ne accorsi nemmeno, ma
avevo una fame da lupo. Quando fummo tutti seduti, mia madre
iniziò quello che sembrava essere un discorso preparato da un
po'.
"Leah," iniziò "non so cosa sia successo tra te ed Emily"
Trasalii a sentire il suo nome.
"Tuttavia" continuò la mamma "Sono parecchi giorni che chiede di
te e tu non sei ancora andata a trovarla. Ti ricordo che tra pochi
giorni toglierà la bende. Ha bisogno anche del tuo sostegno.
Siete molto legate e non puoi mancare ora"
"Lo so" dissi imbronciata.
"E allora cosa aspetti?" mi chiese.
Esasperata, dissi: "Ok, ok, ci andrò"
Detto questo, cominciai a giocherellare col cibo nel piatto, con lo stomaco vuoto.
"Vado a dormire" annunciai, dopo un po'.
"Non hai mangiato quasi nulla!" esclamò mia madre.
"Non ho fame...scusa, mamma" dissi.
Finalmente mi abbandonai al silenzio della mia camera. La luce era spenta e un sottile raggio di luna penetrava dalla finestra.
Così, ormai era inevitabile: sarei dovuta andare da Emily. Cosa
voleva dirmi? Non bastava ciò che avevo visto quel giorno?
Cos'altro doveva dirmi? Nessuna giustificazione sarebbe stata
sufficiente a farmi rassegnare a tutto ciò che era successo. E
neanche a perdonarli. Soprattutto Sam. Non potevo, era più forte
di me. Sapevo che dovevo capire, perché tutto ciò che era
successo era impossibile, impensabile; ma non volevo che la
realtà mi si ripresentasse di nuovo come quella volta
all'ospedale.
“Posso entrare?”
Alzai di scatto la testa e vidi mio padre che aveva semichiuso la porta e spiava nella stanza.
“Ok” risposi.
Avrei preferito stare da sola, ma ero curiosa di sapere cosa avesse da
dirmi. Mio padre entrò, e si soffermò su una foto di
quando ero piccola. In quella foto avevo circa sei anni ed ero stata
immortalata durante una partita di calcio con alcuni miei compagni di
classe.
“Che bella questa foto…potrei stare ore a vederla. Ti
ricordi tutte le partite sulla spiaggia con gli altri ragazzi della
riserva?”
Risi a quel ricordo così bello. Ero l’unica bambina che aveva il coraggio di sfidare i maschi a calcio.
“Sì” dissi, sorridendo “A volte vorrei tornare indietro nel tempo…”
“Anche io” disse mio padre con un sorriso “Quando si
è bambini è tutto più semplice, no?”
“Già…”
“Hai meno problemi, meno pensieri. Però si cresce. E
quando si è grandi, e ci si trova di fronte a situazioni
difficili, a volte il modo migliore per superarle, è ritrovare
la semplicità di quando eravamo piccoli. Agire d’istinto
senza farsi troppi problemi, perdonare, può essere delle volte
una buona soluzione” consigliò lui e mi fece un
occhiolino.
Io gli sorrisi, ringraziandolo per quelle parole e per lo sforzo di
aiutarmi senza chiedermi che cosa fosse successo. Ero davvero contenta
di avere un padre così, sul quale potevo contare sempre.
Lui stava quasi per andarsene, quando mi venne in mente una cosa.
“Papà, posso chiederti una cosa?”
“Anche due” sorrise.
“Oggi al bar ho sentito parlare di una storia
alquanto…bizzarra. Dicono che i ragazzi di La Push diventeranno
non so cosa a causa dell’arrivo di certi esseri che sbranano gli
animali del bosco. Che vuol dire?” chiesi.
Mio padre ci pensò su. “Sono solo leggende, Leah. Si dice
che qui a La Push i nostri antenati abbiano fatto una specie di patto
con i freddi (che sarebbero delle specie di vampiri), per impedire loro
di aggredire gli abitanti della riserva. E a difesa del villaggio si
dice che furono posti dei licantropi…uomini in grado di
trasformarsi in lupi. Ma sono solo storie, mi sembra ovvio. Nessuno ha
mai accertato l’esistenza né di freddi, né di
licantropi”
“Capisco, grazie”
Lui mi fece un cenno di saluto e uscì dalla stanza.
Ma sì, dai, pensai, in fondo erano solo dei vecchi con le rotelle un po’ fuori posto…
Il resto della sera la passai studiando, cercando di portarmi avanti
con i compiti delle vacanze che mi avevano assegnato. L'anno successivo
sarebbe stato il mio ultimo anno di liceo. Chissà cosa avrebbero
detto tutti del fatto che io e Sam ci eravamo lasciati. Chissà
cosa avrebbe detto Lise.
Era parecchio che non la sentivo. Dopo il ballo ci eravamo sentite
qualche volta per telefono, ma nulla di più. Sembrava andasse
meglio per lei. Lo speravo. Ora sapevo quello che aveva passato. Avevo
pensato, con troppa sicurezza, che io non mi sarei mai trovata nella
stessa situazione, ma mi sbagliavo. Non si deve essere mai certi di
qualcosa nella vita, perché basta un attimo a distruggere tutto.
Bisogna vivere il momento presente, perché è l'unica cosa
che abbiamo, l'unica cosa certa. E io, senza rendermene conto, avevo
perso tutto in un attimo. Mi resi conto di essere stata anche parecchio
egoista. Sapevo che Lise voleva stare da sola, ma forse se fossi andata
a trovarla le avrebbe fatto piacere. Mi avrebbe sentita più
vicina e si sarebbe sentita confortata. Ora che anche io era in una
situazione simile alla sua potevo capirla meglio. E magari la sua
vicinanza sarebbe servita anche a me.
Alla fine decisi che il giorno seguente l'avrei chiamata e sarei andata
da lei. Guardai l'orologio sulla scrivania. Era mezzanotte.
Meglio andare a dormire, il giorno dopo avrei dovuto lavorare.
"Ciao Lise" dissi quando la sentii rispondere al telefono.
"Leah!! Da quanto tempo!" esclamò entusiasta Lise.
Era la pausa pranzo al bar, e, come ormai era mia abitudine, stavo
seduta sul muretto del bar a mangiare un panino e a guardare i
passanti. Come mi ero ripromessa, avevo chiamato Lise. Ma l'ultima cosa
che mi sarei aspettata era una voce entusiasta.
"Hai passato una bella estate?" chiesi.
"Sì! Oh, Leah, ho tante cose da raccontarti! E tu che mi dici, tutto bene?"
"Eh, insomma, ho avuto un periodo un po' difficile..." risposi vaga.
"Cosa è successo?" domandò subito, ma poi ci pensò
un po' su e aggiunse: "Forse è meglio non parlarne per telefono.
Perché non ci vediamo?"
"Per me va bene! Solo che in questo periodo sono impegnata, sto lavorando…di sera per te va bene?"
"Sì, sì, va benissimo!"
"Allora ci vediamo alle otto...mmh, dove?"
"Vengo a prenderti io con il mio pick-up, ok?"
"Uhm, sicura che non disturbo?"
"Ma daaai!"
Dopo ciò ci salutammo e chiusi la comunicazione. Chissà
per quale motivo Lise era così felice. Beh, quel giorno lo avrei
scoperto.
Mezz'ora prima dell'appuntamento, arrivai a casa, mi lavai e vestii in
fretta. Mia madre entrò in bagno e, vedendo che mi stavo
preparando per uscire, chiese: "Dove vai?"
"Esco" risposi.
Mia madre mi guardò in modo strano. Evidentemente doveva essere
sorpresa dal fatto che uscissi, visto che erano settimane che stavo
chiusa in casa o al lavoro. Comunque non fece domande, e per questo la
ringraziai.
Alle otto ero finalmente pronta. Lise fu abbastanza puntuale. Quando
arrivò, mi saltò letteralmente al collo e mi
abbracciò.
"Leah! Che bello vederti! Sono così felice!" esclamò con un sorriso.
"Anche io sono felice di vederti" dissi abbozzando un mezzo sorriso tirato.
"Che hai? Sei pallidissima nonostante la pelle scura!" notò osservandomi.
"Dai, usciamo, così parliamo mentre passeggiamo" dissi.
Non era bene che continuassimo a parlare lì. C'era la mia famiglia che avrebbe potuto sentire.
Salimmo sul pick-up e ci dirigemmo verso un locale in riva al mare. Ci sedemmo ad un tavolino e ordinammo due bibite.
"Allora, che mi racconti, Leah?" chiese Lise, dopo qualche minuto di silenzio.
Esitai prima di rispondere. Sarebbe stata la prima persona a cui
parlavo di tutto ciò che mi era accaduto. Lise c'era sempre
stata, mi aveva ascoltata sempre, e anche quella volta sarebbe stato
così. Io invece mi sentivo un'egoista, perché sapevo di
non averla ascoltata altrettanto bene come lei aveva fatto con me. Ma
prima ero capace di vedere solo la mia egoistica felicità, e non
pensavo che si potesse arrivare a soffrire così tanto. Ed era
quello che lei aveva provato con Marcus. Solo che io allora non lo
capii.
"Inizia tu, dai" dissi con un finto sorriso.
"Io? Ma no, tu mi hai chiamato, quindi volevi dirmi qualcosa d'importante" rispose lei.
Mi rabbuiai.
"Scusa" feci "Non mi sono fatta sentire per parecchio tempo e per questo devo chiederti perdono"
"Ma che dici?" esclamò "E' evidente che devi aver avuto problemi"
"Sì...ma parla prima tu, dai, voglio farmi perdonare" insistetti.
Lise fece un sospiro rassegnato.
"E va bene..." disse.
Fece un attimo di pausa, poi disse: "Mi sono fidanzata"
Per poco non caddi dalla sedia alla notizia.
"Sul serio?" esclamai.
Lei mi lanciò uno sguardo arrabbiato ma scherzoso: "Sì, anche una come me si è fidanzata"
"Ma cosa hai capito?!" la interruppi "Volevo dire, pensavo che Marcus fosse tornato con la sua vecchia ragazza"
Lise si irrigidì un attimo. "No, Marcus non c'entra nulla"
"E allora di chi stai parlando?"
Lei mi guardò come per dirmi che ci sarei potuta arrivare facilmente.
"Jim?" azzardai.
Lei annuì diventando tutta rossa.
"Oh, Lise, ma è fantastico!" esclamai entusiasta "Mi devi raccontare come è andata!"
"Beh...dopo che Marcus mi ha lasciata, per me è iniziato un
periodo orribile. Va beh, questo lo sai, ci sentivamo ancora. E ti
ringrazio per essermi stata vicino"
"Forse non abbastanza..."
"Non dire sciocchezze!" Lise mi guardò male, poi riprese: "Nello
stesso periodo anche Jim mi è stato vicino, mi ha ascoltata.
Abbiamo passato tanto tempo insieme. Due mesi dopo che Marcus mi aveva
lasciata, lui ha detto che doveva dirmi una cosa importante. Ci siamo
incontrati e mi ha detto tutto. Mi ha detto che era innamorato di me da
tantissimo tempo, che quella sera al ballo avrebbe spaccato la faccia a
Marcus se avesse potuto, che avrebbe voluto invitarmi lui, ma che non
l'aveva fatto perché era arrivato troppo tardi..."
Mi sentii sciogliere dentro, colta dall'improvvisa dolcezza di
ciò che Jim aveva detto e ricordando il ballo di fine anno,
quando tutto era diverso. Sembrava che fosse passata
un'eternità, eppure erano solo due mesi. Allora ero un'altra
persona, con un'altra vita. Ora di quel tempo meraviglioso era rimasto
solo un doloroso ricordo, e la consapevolezza che non sarebbe mai
tornato indietro.
"All'inizio io non mi sono sbilanciata. Sebbene provassi qualcosa per
Jim, il ricordo di Marcus era ancora vivido dentro di me. Mi sembrava
di tradirlo, sebbene non fossimo mai stati insieme e lui non si fosse
mai fatto scrupoli nello scaricarmi" raccontò Lise.
Per un attimo mi venne in mente ciò che avevano fatto Sam ed
Emily con me. Davvero non avevano avuto scrupoli nel mettersi insieme?
Lise non voleva tradire la memoria di Marcus, e non erano stati neanche
insieme. Sam, invece, aveva agito direttamente senza chiedersi come
l'avrei presa. Sapevo che quei pensieri erano cattivi, ma non potevo
fare a meno di avere questa opinione su di loro. Li avrei perdonati, se
avessero scoperto di essersi innamorati, e Sam mi avesse detto tutto.
Ma così, facendo le cose di nascosto, sarebbe stato molto
difficile per me accettarlo. Ero orgogliosa, lo sapevo, e accettare
quanto mi era successo senza reagire non era da me.
"E' passato parecchio tempo, quasi un mese, durante il quale ero divisa
tra l'amore che ancora sentivo per Marcus e qualcosa di nuovo che
sentivo per Jim" continuò Lise. "Poi, un giorno, ho rivisto
Marcus e ho capito. Non sentivo più nulla per lui. Tutto
ciò che provavo era solo il ricordo di ciò che avevo
provato. Quei mesi con Jim mi avevano cambiato dentro. Avevo capito che
senza di lui non potevo stare. Piano piano, lui si era reso
indispensabile per me. A quel punto ho preso la mia decisione, sono
andata da lui e, beh, avrai capito cosa è successo."
Sorrisi al pensiero del bacio fra Lise e Jim. Era così bello
pensare che anche lei adesso poteva essere felice. Peccato che non
potessimo condividere questa felicità insieme, ma quando
è felice un'amica così importante, finisce sempre per
contagiarti. Infatti parte del mio umore si era risollevato.
"Sono felicissima per te, Lise! Davvero, è ciò che hai
sempre desiderato, l'amore, e ora che l'hai trovato, non posso che non
essere felice per te!" esclamai.
Lei fece un tenero sorriso, probabilmente pensando a Jim. Poi si riscosse e mi guardò.
"E...a te come va?" mi chiese.
Io mi strinsi nelle spalle, ma non risposi. Lise mi guardò attendendo una mia risposta.
"Sam mi ha lasciata". Lo dissi così, a bruciapelo, credendo di mitigarne l'effetto.
"Cosa?" chiese scandalizzata.
"Sì..."dissi.
"Ma...ma perché?"
"Si è innamorato di un'altra" risposi, sempre con tono secco. Mi
accorsi che non mi risultava difficile dirlo, il dolore non aumentava,
era sempre lo stesso.
Lise mi guardava ad occhi spalancati, evidentemente non credendo alle proprie orecchie.
"Ma non è possibile!" esclamò.
"E invece sì!" sbottai, ribollente di rabbia. Poi mi accorsi che
me la stavo prendendo con la mia amica, che in fondo non aveva fatto
nulla. "Scusa..."
"Oh, Leah!" esclamò la mia amica.
Si avvicino a me e mi abbracciò. Il suo abbraccio fu
confortante, e per questo la ringraziai. Era bello sapere che c'era
qualcuno disposto a consolarti se ne avevi bisogno, ad ascoltarti se
tutto andava male.
Quando ci sciogliemmo dall'abbraccio, lei mi guardò. "Mi sembra
impossibile crederci, ti amava così tanto...non poteva esistere
altra ragazza per lui..."
"Evidentemente sì" risposi.
Lei mi osservò. Di sicuro dovevo sembrare uno straccio. Erano
parecchi giorni che mangiavo poco, che mi uccidevo di lavoro, e tutto
per dimenticarlo. Ma non volevo che Lise lo sapesse, di sicuro mi
avrebbe impedito di continuare così.
"Ma forse è solo una sbandata che ha preso...forse si
ricrederà, capirà chi è il suo vero amore" disse
la mia amica.
"No, Lise. L'ho letto nei suoi occhi quando me l'ha detto. Non mi ama
più. E comunque non è mai stato tipo da "sbandate". E'
finita, devo mettermi l'animo in pace, anche se non sarà facile.
Ma nulla è facile a questo mondo" spiegai.
"Io ti sono vicino, sappilo. Quando hai bisogno, basta una telefonata,
e sono da te. Se ti sembrerò troppo apprensiva, poi, dimmelo"
fece con un sorriso.
Di questo le fui immensamente grata, anche se sapevo benissimo che non
l'avrei cercata per farmi consolare. Ora lei stava vivendo un momento
felice della sua vita, non potevo rovinarglielo con i miei problemi.
Tuttavia per essere gentile risposi: "Grazie".
La serata finì un po' malinconicamente. Era evidente che Lise
non sapeva come comportarsi con me. Ci eravamo trovate sempre nella
situazione opposta. Ero io a consolarla, e non lei. In ogni caso il
problema non si poneva, perché non avevo intenzione né di
essere consolata, né di essere compatita. Volevo solo stare sola
per un po'. Certo, con Lise mi sarei sentita comunque, ma senza parlare
di Sam. Era l'unica cosa di cui avevo bisogno ora. Non pensare, non
ricordare. E forse tutto sarebbe andato meglio.
Se avevo pensato di riuscire ad evitare Emily, evidentemente mi ero
sbagliata. Il giorno dopo mia madre mi fece alzare di soprassalto dal
letto.
"Oggi vai a trovare Emily" ordinò categoricamente.
Mi lamentai nel sonno e feci un cenno di diniego.
"E invece sì"
"Devo andare a lavorare" biascicai con voce impastata dal sonno.
"Oh, non c'è problema, ho già telefonato per farti avere la giornata libera!"
Imprecai mentalmente. Non era giusto, non poteva costringermi. Lei non
sapeva il motivo per cui non volevo vedere Emily, perché allora
s'impicciava?
"Avanti" ordinò.
"Mamma, lasciami in pace. Non voglio andare da Emily. Non oggi" protestai.
"Il dottore ha annunciato che la bende saranno tolte domani" disse lei.
Mi sentii male. Domani. Oh, no, era già arrivato. Cosa avrei fatto? Non ero pronta.
"Ok" feci rassegnata "Stamattina no...ma oggi pomeriggio prometto di andare"
"E va bene, ma non voglio sentire più scuse" disse categorica.
"Ok" conclusi rassegnata.
Visto che avevo la giornata libera, e sarei dovuta andare da Emily solo quel pomeriggio, decisi di fare una passeggiata.
Dopo un'ora ero pronta. Uscii di casa portandomi l'iPod come compagnia.
La musica mi avrebbe aiutato a distrarmi. Ultimamente il mio genere si
era spostato verso il rock. Almeno era abbastanza rumoroso da tenermi
la mente occupata.
La giornata era piacevole: c'era un bel venticello fresco, anche se
faceva sempre caldo. Camminavo in modo lento, incurante del dolore che
sentivo dentro. Era come ignorare una voce che costantemente ti
martellava la testa. Sembrava una cosa da pazzi, ma era così,
dovevo accettarlo. Non era facile, non quando tutto, dagli alberi, alle
case, alla gente di quella città, mi ricordava i nostri momenti
più belli, piccoli flash di una vita ormai andata. E tutto in un
attimo. Incredibile quanto fosse crudele il destino: era capace di
portarti via tutto in un momento. E Sam per me era tutto. Era come la
luce del giorno, senza la quale tutto era una notte senza fine. E
adesso mi sembrava di vagare nel buio più profondo di una vita
che al quel punto richiedeva solo di essere riscritta. Ma non avevo
l'inchiostro giusto per ricominciare a riscriverla quella vita. Non
potevo averlo, se il dolore mi continuava a ricordare ciò che
era stato.
Senza neanche accorgermene, era passata un'ora ormai da quando avevo
cominciato a camminare ed ero arrivata al confine di La Push. Il bosco
che segnava il confine si stagliava netto e scuro di fronte a me.
Ricordavo ancora le tante volte che io e Sam avevamo fatto qualche
piacevole pic-nic d'estate. C'era in particolare un albero che mi
piaceva moltissimo, vicino al quale io e lui avevano un giorno nascosto
un segreto. Senza volerlo le mie gambe cominciarono a camminare da sole
e m'inoltrai nel folto degli alberi.
Dopo aver camminato per un po', lo vidi. L'albero era sempre lo stesso,
lì fermo nella sua consueta posizione seminclinata. Mi
accovacciai vicino alle radici e scavai per un po' nella terra.
Lì trovai una piccola pietra che recava su di sé una
scritta: "Leah e Sam".
Ricordavo ancora il significato di quella scritta risalente a tanto
tempo fa. Voleva dire che il nostro amore doveva essere duro come una
pietra, solido come una roccia.
Che ingenua ero stata. Ci avevo creduto, eppure non era andata
così. Ma allora l'amore vero, quello eterno, quello in cui avevo
sempre creduto, esisteva? Non volevo pronunciare la risposta che ora
dentro al mio cuore sorgeva spontanea. Faceva troppo male, e non volevo
accettarla. Strinsi la pietra e mi rialzai.
Non feci in tempo a compiere questa azione, che ricaddi all'improvviso
al suolo. Sentii una specie di ululato che proveniva alle mie spalle, e
un immenso lupo grigio comparve.
All'improvviso ricordai: era lui, lo stesso animale che aveva ferito
Emily. Ne ero sicura, perché era troppo grande per essere un
lupo.
All'inizio ebbi paura che mi attaccasse, ma poi mi accorsi che si
dirigeva verso un punto del bosco a circa cinquanta metri da me.
Aguzzai la vista, e mi accorsi che lì in mezzo al folto del
bosco c'era un uomo.
"Scappi!" urlai all'uomo, in preda al panico.
Mi pentii subito di averlo fatto. Il lupo voltò la testa verso
di me, e mi guardò per un po'. Pietrificata dal terrore, non mi
mossi, e l'animale tornò a concentrarsi sull'uomo.
Non seppi se stessi sognando oppure no, ma quello che vidi mi
lasciò completamente a bocca aperta. Il lupo si trasformò
lentamente: cominciò a diventare più alto, il suo pelo a
diradarsi. Dove prima c'era un grosso lupo grigio, in quel momento
c'era un essere umano in carne ed ossa.
Rimasi paralizzata per lo stupore per non so quanto tempo.
"Oltre questo confine non potete andare" disse una voce familiare proveniente dal ragazzo che aveva sostituito il lupo.
"Perché?" chiese l'uomo tranquillamente, per niente sconvolto dalla trasformazione del lupo.
"Perché questa è la nostra legge. Di qui in poi i freddi
non possono passare" rispose ancora il ragazzo. Non capivo il senso
delle cose che diceva, ma capii di chi era la voce.
L'avrei riconosciuta tra mille persone.
La voce di Sam.
"Ne riparleremo" rispose l'uomo e corse via ad una velocità elevata.
Sam si girò verso di me. Il dolore nel rivederlo era più
forte di quanto pensassi, ma era accompagnato da uno stupore ugualmente
grande. Mi resi conto di avere ancora una faccia stupita e mi affrettai
a ricompormi.
"Cosa significa?" chiesi.
“Dimentica ciò che hai visto, Leah” ordinò lui.
“No! Voglio sapere cosa è appena successo!” urlai sconvolta.
Lui mi lanciò uno sguardo feroce, uno sguardo che non gli avevo mai visto prima.
“Non saresti dovuta venire qui! Torna a casa!”
“Sam, ora basta! Sono stanca di tutti questi segreti,
stanca!” gridai “Spiegami le cose come stanno una volta per
tutte!”
“Vuoi saperlo? Ebbene sono ciò che hai visto! Un
licantropo!” urlò lui, assumendo un’espressione
sofferente.
Io rimasi in silenzio per un attimo, incapace di realizzare.
"Ma...sono solo leggende..."balbettai, non potendo accettare tutto ciò.
"Lo pensavo anch'io, ma ho scoperto a mie spese che non è
così! Cosa credi, che io sia felice di essere quello che sono?
Io mi odio dal giorno in cui l’ho scoperto!”
Rimasi in silenzio, incapace di comprendere tutto quello che mi stava
dicendo. Non era possibile, non era normale. Eppure l’avevo visto
con i miei occhi! Avevo forse le allucinazioni, ero arrivata a questo,
ora? Però, in effetti, molte cose avrebbero acquistato un senso
in quel modo. Per esempio il comportamento strano di Sam, prima che lui
e Emily...beh, non volevo neanche pensarlo. Ma forse anche...
“So a cosa pensi! Sì, ho ferito io Emily! E poteva finire
molto peggio! Per questo non volevo dirti nulla all’inizio, per
proteggerti! E ora vorrei proteggere anche Emily, ma non posso stare
senza di lei! Puoi odiarmi quanto vuoi per tutto ciò, ma non
l’ho scelto io!”
Allora...allora era stato lui a ferire Emily? No, non era possibile...Sam, cosa eri diventato?
"Non avevo il controllo delle mie azioni, è difficile quando sei
trasformato. Ero guidato solo dall'istinto e con l'istinto ho agito. Ma
ho commesso un terribile sbaglio, e l'ho capito nel momento stesso in
cui ferivo Emily" spiegò Sam.
Io abbassai gli occhi al ricordo doloroso di quel giorno. Quante cose
erano cambiate da allora? Tantissime. La mia vita era stata totalmente
stravolta.
"So di averti fatto del male, Leah" cominciò. Io cercai di
bloccarlo, ma lui andò avanti: "No, ascolta. Non volevo finisse
così. Volevo dirti che quello che ho provato con te era un
sentimento vero e sincero, ma ciò che mi è successo ora
è connesso con la mia natura di lupo. E' una specie di magia,
non so spiegartelo bene. So che non è facile, ma ti prego di
perdonarmi, perché non è qualcosa che io ho voluto, anche
se ora mi rende felice. E non incolpare neanche Emily, lei davvero non
c’entra nulla”
"Non c'è bisogno che ti giustifichi, Sam" sussurrai, perché sentivo la voce tremare.
"Non si tratta di giustificarmi, voglio solo spiegarti le cose come stanno..."
"Questo non servirà a cambiarle"
"E invece sì, perché non voglio che tu serbi rancore nei
confronti miei e di Emily. Sappi che sono stato io ad andare da lei"
"Sì, ma lei non ti ha rifiutato" dissi con voce sempre più tremante.
"Non è come pensi..."
Ora volevo davvero finirla, non avevo bisogno di sentire le sue scuse.
"Basta. E' finita Sam. E' stato bello finché è durato,
ora lasciami in pace e non mi cercare. E' meglio per entrambi, credimi"
"Ma..."cercò di continuare lui.
"Addio, Sam" dissi, e corsi via da lui, prima che potesse vedermi piangere.
Dunque era così che stavano le cose. Sam era un licantropo. Non
potevo crederci, sembrava la concretizzazione di un incubo. Sam, un
mostro sanguinario, una…bestia! Non potevo crederci, lui, che
era stato sempre così buono e quieto, ora era una sorta di lupo
dagli istinti omicidi! E poi, cos’era questa storia dei freddi?
Esistevano davvero? L’uomo che avevo visto nel bosco era uno di
loro? La paura per qualcosa di così inspiegabile e pericoloso mi
assalì all’improvviso. La cosa più
spaventosa, poi, era ciò che erano capaci di fare: come
dimenticare ciò che era successo ad Emily! E il bello era che,
nonostante ciò, lei si era comunque innamorata di Sam. Forse
allora era vero che l'amore era più potente di tutto?
La confusione pervadeva i miei pensieri.
"Leah, è ora"
Mi riscossi dai miei pensieri al suono della voce di mia madre.
"Ora vado" la rassicurai.
Visto che ero già pronta, presi solo la borsa nella mia stanza e mi diressi all'ospedale.
Cosa stavo facendo? Avevo troppa paura di incontrarla...Ma ormai ero costretta a farlo.
Entrai nel consueto corridoio che portava alla stanza di Emily e mi
fermai un attimo davanti alla porta. Dovevo farmi coraggio. Per un
momento mi ricordai l'ultima volta che ero stata lì, e l'incubo
di rivedere ciò che era successo tornò. Ma non era
possibile, quindi, prima che le mie gambe scappassero e non avessi
più il coraggio di fare ciò che stavo per fare, aprii la
porta.
Emily, molto dimagrita, stava guardando fuori dalla finestra, e quando entrai si girò verso di me.
"Leah!" esclamò stupita.
La guardai: il suo volto nascondeva la sofferenza che portava dentro,
ma che dagli occhi spenti traspariva. Perché soffriva? Non aveva
forse trovato ciò che aveva sempre desiderato?
"C-come stai?" chiesi.
"Bene, ho un po' paura per domani..." rispose.
Calò un silenzio imbarazzato. Non sapevo cosa dire, in fondo era
lei che voleva parlarmi. Forse stava cercando le parole giuste, chi
poteva saperlo?
"Sono contenta che tu sia venuta, ormai non ci speravo più" cominciò "Io..."
"Non c'è bisogno che tu mi dica nulla" intervenni, per non risentire ancora le stesse cose dette da Sam "Ho capito tutto"
"E invece no!" esclamò. Mi accorsi che aveva le lacrime agli
occhi quando continuò: "Io voglio dirti di tornare da Sam!
Va’ da lui, sei tu la sua ragazza..."
"Ma cosa dici? Ora vuoi fare anche la parte di quella che rinuncia al
suo ragazzo per non ferire i sentimenti della sua ex? Non mi convinci!"
dissi acida. Tutto il dolore e la frustrazione che mi avevano colpito
in quei giorni mi stavano ribollendo dentro e aspettavano solo di poter
essere scagliati fuori.
"No, ti sbagli" protestò lei.
"Se mi sbagliassi, non ti avrei trovata a stringere la mano al mio ragazzo!" urlai senza più controllo di me stessa.
Lei chiuse l'occhio non bendato, con un sospiro. "Lo so, ho sbagliato,
ma non pensavo che saresti arrivata in quel momento. No...non pensare
che volessi fare le cose di nascosto. Quella era solo la seconda volta
che Sam veniva da me. Ed entrambe le volte ho cercato di rifiutarlo. In
quel momento mi aveva preso le mani cercando di convincermi. Ma io non
volevo, gli dicevo di tornare da te, perché tu sei il suo vero
amore!"
"Tutte storie! Te lo stai inventando!"
"No, Leah...non ti ho mai mentito, e mai lo farò" disse lei calma.
Cercai di schiarirmi la mente, ma non era facile. Era vero, Emily non
mi aveva mai mentito, né era tipo da fare cose così
meschine. Ma...il rancore e la rabbia erano troppe.
"E allora perché Sam è venuto da me dicendomi di
perdonarti, se tra voi non è successo nulla?" chiesi cercando di
contenere il mio tono di voce.
Lei fece uno sguardo colpevole.
"Perché...perché...oh, no, Leah, basta..."
"Dimmelo! Sii sincera come dici!"
Lei scosse la testa.
"Perché lo ami anche tu, vero?" domandai, anche se sapevo già quale fosse la risposta.
Lei smise di scuotere la testa.
"Io non volevo, non volevo che finisse così" disse Emily
piangendo "Ma forse si può ancora tornare indietro, va’ da
lui e convincilo"
Riflettei per un momento su questa possibilità. Ma non potevo,
non con Emily in quelle condizioni. E poi, da quello che mi aveva detto
Sam, il loro legame era speciale, connesso con la sua natura di lupo.
"No, è troppo tardi ormai" decretai "Sam mi ha parlato del vostro legame"
Lei alzò l’occhio verso di me per un momento.
"Beh, se è come ha detto lui, io mi farò da parte" dissi, anche se il cuore mi urlava tutto il contrario.
"No, ti prego, finire per sentirmi per sempre in colpa!"
"No...non devi farlo" cercai le parole giuste da dire. Ormai avevo
preso la mia decisione, e anche se non era ciò che volevo, era
ciò che doveva essere fatto. Solo mentre lo pensavo lo capii.
“Sei tu quella che Sam deve amare”
Lei scosse la testa, preda della disperazione. Ma ormai le cose non si potevano cambiare.
"Credimi Emily. Ora l'ho capito" non era affatto vero, ma se volevo che la farsa continuasse, dovevo continuare a fingere.
Lei pianse ancora. Mi dispiaceva vederla così, ma ormai era
fatta: Sam amava lei, non si poteva più tornare indietro.
Era incredibile, riusciva ad amarlo nonostante ciò che le aveva
fatto. Non aveva paura di lui e che ciò che era successo potesse
in qualche modo ripetersi? Questo confermava il mio pensiero, e
soprattutto la mia decisione.
La salutai un'ultima volta prima di andarmene.
E così alla fine ero riuscita anche a parlare con Emily. Dentro
di me c'era un misto di sensazioni, quasi tutte sgradevoli. Sapevo che,
dicendo tutte quelle cose, avevo decretato la mia sorte. D'ora in
avanti sarei stata solo Leah Clearwater, senza Sam, senza nessuno.
Avrei rinunciato per sempre all'amore, perché avevo perso
l’unico amore che potessi avere. Ormai sapevo che era così.
Il giorno dopo tolsero la bende ad Emily. Andò tutto bene.
L'occhio avrebbe ripreso le sue normali funzioni dopo un po'. Per lei
tutto era andato per il meglio. Tra noi, invece, le cose non sarebbero
più state quelle di una volta. Speravo solo che smettesse di
sentirsi in colpa. Io, dalla mia parte, non sapevo se sarei riuscita a
perdonare. Forse un giorno ci sarei riuscita. E allora finalmente sarei
stata libera. Per sempre.
Salve
a tutti! Prima di tutto vorrei scusarmi per il ritardo osceno nel
pubblicare questo capitolo! Purtroppo ho avuto diversi impegni (fra i
quali la scuola!), che mi hanno impedito di pubblicare in tempo! Quindi
se potete, non mi ammazzate (XD)!!
Detto questo, torno alla storia. Allora come avete potuto notare, in
questo capitolo succedono parecchie cose: Leah intrapende un lavoro
estivo per non pensare a Sam; Lise raggiunge finalmente la sua
felicità, purtroppo proprio quando invece la sua amica la perde;
Sam si rivela nella sua natura di licantropo e in fine si ha il momento
fondamentale nel quale Leah ed Emily si affrontano ed arrivano alla
conclusione più triste per la protagonista. In questo capitolo
ho voluto inserire anche una prima comparsa dei vampiri, segno del
fatto che ormai temporalmente ci stiamo avvicinando all'inizio della
storia della Meyer! Fatte queste considerazioni, passo a rispondere
alle recensioni:
Shine: Sono contenta
che il capitolo ti sia piaciuto! E soprattutto sono contenta di essere
riuscita a comunicarti le sensazioni di Leah. Ho sempre un po' paura
con l'analisi psicologica dei personaggi, è uno dei miei
difetti. XD A parte questo, spero che questa parte così
depressiva per Leah non ti stia stancando, e spero che apprezzerai
anche questo capitolo! Ciao tvtttb
Sweetmoon:Ciao! Che
bello vedere che continui a recensirmi! E grazie anche per i tuoi
complimenti, anche se non credo di meritarmeli tutti! (*.*) Spero che
anche questo capitolo continui a comunicarti tutte le sensazioni di
Leah, io ho fatto il possibile per renderle! Mi raccomando, mi aspetto
altre tue recensioni, fammi sapere!!! =)
Padme Undomiel: Salve!
Prima di tutto grazie per la recensione, così professionale,
come sempre (U.U). Sono contenta che il cap. ti sia piaciuto, avevo
paura che fosse uscito peggio degli altri. Spero che l'analisi
psicologica di Leah proceda bene! Per questo cap.: spero che questa
versione finale ti sia piaciuta. Ho aggiunto la comparsa di Jacob, e ho
inserito anche il padre di Leah che nel prossimo cap. sarà
importante! Infine ti volevo ringraziare per il lavoro che fai per me
(XD TVTTTTTTB) e spero che la storia continui a piacerti!! Ziau :)
SaryKrum Ianevski:
Ciao! Che bello ricevere la recensione di qualche nuovo lettore! Sono
contenta che il personaggio di Leah ti sia piaciuto! *.* Spero che
questo anche questo cap. ti piaccia! Fammi sapere, magari in modo
più dettagliato, così posso vedere anche come rendere
meglio la mia storia! Grazie!!
Ringrazio anche chi ha solo letto il capitolo. Mi raccomando se avete
l'account RECENSITE, mi serve davvero! Grazie e alla prossima!
Mystery Anakin
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