Scontro!

di KronaJ
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Vola, Katsuki ***
Capitolo 2: *** Ringrazia, Katsuki ***
Capitolo 3: *** Stringi, Katsuki ***
Capitolo 4: *** Aspetta, Katsuki ***



Capitolo 1
*** Vola, Katsuki ***


Entrò nella stanza dove era stato legato il ragazzo.
 
«Katsuki, Bakugo», disse la ragazza. Lui alzò lo sguardo furente per incontrare il suo. «Mi ricordi un vecchio cane che gira da queste parti. Avete lo stesso sguardo adirato.» commentò lei scrutandone gli occhi. Katsuki sembrò contrarsi.
 
«Che cazzo stai dicendo, stronza villain? Vuoi che ti morda?» sbottò in risposta. La ragazza prese una sedia e la mise di fronte a lui. Sedendosi, i loro sguardi furono alla stessa altezza.  
 
«Puoi chiamarmi Jisei.» Katsuki digrignò i denti finché lei alzava le maniche della maglia sopra i gomiti.
 
«Zitta, stronza. Non me ne frega un cazzo. Liberami.»
 
«Ehi, cane. Cerchiamo di essere amici. Tomura mi ha solo chiesto di osservarti.»
 
‘Si prende gioco di me.’ pensò Bakugo, prima di dire «Se non lo avessi notato, stronza, di quello che vuole il coglione con le mani in faccia non me ne frega un cazzo. Che cazzo volete da me, bastardi. Voglio andarmene da qui. Mi state facendo incazzare. Vi ucciderò tutti!» Jisei sospirò e piegò la testa di lato.
 
«Quindi è questo quello di cui parlava Tomura. Effettivamente... hai l’aria da Vill-»
 
<> disse serio, con lo sguardo rivolto a terra. Lo alzò di scatto. <>, sbraitò, rivolgendosi a chissà chi. Jisei sembrò stizzirsi.
 
«Eppure non mi sembra ti interessi granché dell’ideologia Hero.» commentò la ragazza.
 
«Non mi interessa nulla. Io faccio ciò che voglio. Io voglio superare All Might, non mi interessano le vostre cazzate da sfigati. Io sono un vincente, non ho bisogno di voi coglioni.» Bakugo sembrava alquanto disperato.
 
«Non puoi negare che ti troveresti bene qui. Potresti combattere tutto le volte che vuoi. Non ci sarebbero limiti. Non ti piacciono i limiti, vero? Niente incontri amichevoli, solo scontri.»
 
 
Bakugo si girò verso di lei. «Mi fate ridere. Voi bastardi con queste definizioni da nero e bianco. Io non vedo il mondo come se fosse un cazzo di gioco a squadre», cominciò a dire. Poi sorrise, capendo di aver fatto breccia nella mente della ragazza. «Buoni e cattivi, uh? Che cazzo me ne frega. Per quanto mi riguarda il mondo è formato da me, il protagonista, e poi da tutti voi pezzenti, comparse, che pensate di potermi dire qual è il mio posto nel mondo.» 
 
Jisei ascoltò interessata. Effettivamente, capiva benissimo ciò che stava dicendo. «Sono d’accordo con te, cane. Ovviamente, dal mio punto di vista la comparsa sei tu. Insomma, Villain, Hero… sono solo definizioni per quanto mi riguarda. Combattono tutti per quello che vogliono.»
 
«E allora che cazzo ci fai qui, stronza? Sei per caso autistica?» chiese Bakugo, disgustato, «Questo teatrino mi fa vomitare. Pensi di convincermi a fare qualcosa? Che cazzo vuoi da me?»
 
«Io?» Jisei si mise a ridere, «Io non voglio niente da te. Io gioco da sola. Sono solo qui per fare un favore a Tomura. Insomma, c’eravamo solo io e Dabi. E Dabi non avrebbe avuto di certo tutta questa pazienza.»
 
«Ah! Hanno mandato l’anello debole? Sei un cane da guardia? Ti si addice, stronza.» Jisei si irrigidì appena. «E comunque avrei fatto fuori lo stronzo con la faccia bruciata. Ne ho già sconfitto uno, che cazzo vuoi che sia. Posso far fuori tutti voi, nessuno escluso.»
 
«Vuoi provare?» chiese Jisei. Katsuki non sembrò nemmeno avvertirla come una minaccia, anzi, non aspettava altro. Mantenne lo sguardo guardandola dal basso.
 
«Non chiedo altro.» Jisei si alzò. Rimise la sedia da dove l’aveva presa. Si avvicinò e liberò il primo braccio di Katsuki. Lui lo mosse d’istinto, cercando di raggiungere l’altro e liberarsi da solo. Jisei lo afferrò e lo trattenne.
 
«No. Credimi. È meglio se lo faccio io.» Katsuki scosse il braccio per liberarsi dalla sua presa, ma la lasciò fare. Lei liberò il secondo braccio, mostrando ciò che si celava al di sotto della tenaglia. «Vedi questi aghi? Sono pieni di sonnifero. Fortunatamente erano abbastanza stretti perché tu non cercassi di levartele da solo. Se lo avessi fatto ti avrebb-»
 
«Grazie un cazzo. Cagna. Mi stavi liberando, o sbaglio? Stai zitta e continua.» Finché liberava le gambe del prigioniero, Jisei perse ancora un po’ della calma che si era trascinata dentro alla stanza con lei.
 
Katsuki era libero. Si alzò in piedi. Jisei fece qualche passo indietro per dargli lo spazio di muoversi. Non c’era una grande differenza di altezza. Katsuki la guardò per un istante. “È magra come un ramoscello. Da quando è entrata non fa che muoversi. Anche ora sposta il peso da un piede all’altro.” Pensò.
 
«Ti pentirai di avermi liberato. Stronza.» Bakugo aprì la mano, facendo scaturire piccole esplosioni. Lei lo guardò finché iniziava uno scatto a testa bassa. “Non ha perso tempo.” Katsuki si rese conto, finché la caricava con tutta la velocità che lo spazio angusto gli permetteva, che la figura di lei, che gli stava proprio di fronte, era appena scomparsa. «Cosa cazz-»
 
Lei lo colpì alle spalle. Gli diede uno schiaffetto leggero sulla nuca. Appena lui si rese conto di quello che aveva visto, si girò di scatto e caricò ancora. «Questo è per avermi chiamato Cagna.» disse Jisei, prima di dargli un pugno in faccia, accentuato dalla carica. Bakugo era furente.
 
Caricò per la terza volta. Questa volta mirò alle sue gambe, e proprio come prima, la figura si mosse così velocemente da risultare quasi scomparsa, ma sollevando lo sguardo, come Bakugo aveva intuitivamente pensato, la vide semplicemente muoversi ad una velocità pazzesca sopra di lui. Lei capì che l’aveva osservata, e si lasciò cadere su di lui, bloccandolo appena, considerato il suo peso. Sollevò un pugnò e lo lasciò a mezz’aria. «L’hai capito quasi subito.» Commentò Jisei. Lentamente, alzò le braccia in segno di resa, e si allontanò da lui. Katsuki si rialzò. Tutta la sua postura urlava una grande rabbia a frustrazione. «Il mio quirk non è così complicato, dopotutto.»
 
«Zitta.» sibilò Katsuki «Ora ti prendo». Alzò un braccio e il sudore sul palmo esplose in una vampata. Katsuki si mosse subito. La luce accecò temporaneamente Jisei, che si mosse istintivamente verso l’altra mano di lui. Incontrò il braccio sollevato del ragazzo a mezz’aria appena la luce accecante si affievolì abbastanza. Inarcò la schiena per schivarlo, ma Katsuki era stato davvero astuto. Girandosi, la colpì con una ginocchiata furente, e lei finì a terra. «Ti ho presa, stronza.»
 
A Jisei rimase impresso lo sguardo vittorioso di lui. Una mano alzata sfavillava incandescente. Spingeva con forza il ginocchio nella sua pancia, mentre una mano si affrettava a bloccarle un braccio. Lei non si mosse finché cercava di bloccarle anche le gambe.
 
«Ho vinto.»
 
Jisei rise. Lo sguardo della ragazza era divertito. Aveva un che di folle. Il suo corpo era rilassato e caldo.
 
«Sei forte Katsuki!» Lui perse un po’ di sicurezza, forse incredulo per la reazione. Lei lo incatenò con lo sguardo. «Avanti, uccidimi.»
 
Il ragazzo ci rimase un po’ male, e qualcosa brillò negli occhi di entrambi. Il tempo si fermò un momento, finché Bakugo si lasciava andare alle emozioni, sperando che una si fermasse abbastanza perché potesse decidere cosa fare.
 
«Lo sospettavo, in realtà.» disse Jisei con serietà, prima di sferrare una testata contro il viso del ragazzo, che non poté reagire in alcun modo. Si allontanò vacillando e insultandola, tenendosi il naso sanguinante. Jisei era già a un centimetro da lui, gli afferrò la testa, e con forza lo scaraventò a terra, usando il suo corpo esile come leva. Balzò su di lui. Non era passato nemmeno un secondo da quando aveva sferrato la testata.
 
«Ho vinto.»
 
Jisei si aspettava insulti e minacce. Un comportamento da cane rabbioso. Si aspettava si divincolasse. Eppure, Katsuki rimase fermo dov’era guardandola, con uno sguardo sgomento.
 
«Che c’è moccioso? Hai perso tutto il fuoco?» lo schernì lei.
 
«Uccidimi. Non diventerò uno di voi. Te lo prometto. Stronza, non mi convincerete mai.» rispose.
 
«Che… cazzo stai dicendo?»
 
«Non ne hai le palle. Per questo ti sei fatta due risate prima, eh? Stronza Villain? Fai la spaccona, ma non riesci a uccidermi nemmeno tu.»
 
«Che cazzo stai dicendo moccios-», aveva sollevato la mano per rispondere, e Katsuki gli restituì il favore, aprendo la mano e dirigendo un’esplosione dritta alla sua faccia. Non fu troppo potente, perché dopotutto Bakugo non voleva ucciderla. Anche se aveva dei dubbi sul fatto che ci sarebbe riuscito in ogni caso. Lei si alzò di scatto, allontanandosi. Si era protetta il viso con una mano, e ora mignolo e anulare erano scuri per le bruciature e la contusione. «Cazzo… fa davvero male sai.» Katsuki si era rialzato e messo in posizione difensiva. Lei alzò lo sguardo su di lui e si mostrò furiosa. I suoi occhi trapelavano una minaccia che persino Bakugo dovette rispettare. Accentuò la difesa con la postura. I due trasalirono insieme quando sentirono un rumore di passi provenire dall’esterno.
 
«Ok. Ho capito. Non mi serve sapere altro.» Disse lei. Jisei attaccò per prima. Colpì allo stomaco Bakugo, che si piegò dolorante. In un frammento, il ragazzo si ritrovo a toccare il freddo acciaio della sedia che lo teneva prigioniero, le tenaglie abbassate. Di nuovo in trappola.
 
«Brutta stronza bastarda, dovevo ucciderti. Cazzo! La prossima volta ti ucciderò davvero!» Urlò ferocemente Katsuki.
 
Lei si mise a sedere e finse di leggere una rivista trovata lì vicino. Nella stanza entrarono i rapitori di Katsuki, lui sentì di essere proprio nello stato d’animo giusto per prenderli tutti a pugni sui denti.
 
 
 
Jisei uscì dalla stanza qualche minuto dopo. Kurogiri l’aveva sgridata per il sangue sul viso del prigioniero. Lei si era lamentata, mostrando le dita rotte e doloranti. Katsuki si era messo a ridere, insultandola. Aveva assistito al tentativo inutile di Tomura. Aveva guardato l’intervista del professore di Katsuki, e aveva ascoltato le sue parole.
 
«La sua rabbia è solo passione, eh?» Pensò ad alta voce. Il ragazzo non sembrava minimamente ciò che Tomura le aveva descritto. Aveva carpito uno sguardo affilato, un corpo pronto, e una mente spaventosamente intuitiva, veloce. Ma non aveva visto malvagità. “Quel tipo non è come te, Tomura. Dovrai piegarlo”, pensò.
 
E Io come sono?” si chiese distrattamente uscendo. Finché sentiva le urla di Bakugo che veniva nuovamente liberato, e le esplosioni del suo quirk, si voltò pronta verso il rumore che proveniva dalla città.
 
All Might stava arrivando.
 
Successero molte cose finché Jisei si nascondeva. Vide All Might entrare rompendo il muro, vide un’espressione di paura su Dabi, e vide l’odio negli occhi di Tomura accendersi. Vide lo sguardo di Katsuki che si riempiva di speranza, nel vedere l’eroe numero uno che finalmente era giunto in suo soccorso. Con orrore, vide i Nomu arrivare da ogni dove, subito dopo gli altri Hero, che avevano prontamente bloccato i loro nemici. Quando sentì una sostanza fangosa appropriarsi senza permesso del suo corpo, guardò Katsuki venire inghiottito allo stesso modo, e All Might cercare di recuperarlo. Prima di sparire completamente, poté sentire chiaramente il suo urlo disperato. A quanto pare anche i Villain avevano un eroe pronto a salvarli.
 
Si ritrovarono tutti vicino alla fabbrica dei Nomu. Jisei guardò All For One accogliere i suoi compagni. Non si sentì parte della gratitudine di Tomura. Guardò distrattamente Katsuki, spaventato a morte da quell’uomo.
 
Jisei sentì delle voci provenire da dietro un muro e scomparve. Camminandovi sopra, poté distinguere le figure di alcuni ragazzi. Li riconobbe subito grazie al campionato svoltosi alla Yuei, anche se erano vestiti in un modo al quanto strano. Finché Best Jeanist veniva annichilito insieme agli altri Hero, vide le loro espressioni farsi sempre più terrorizzate.
 
«Dobbiamo fare qualcosa.» Disse Midoriya.
 
All Might arrivò sulla scena. Katsuki non riacquistò l’espressione di speranza che aveva mostrato prima. Jisei rimase su quel muro, nascosta, quel tanto che bastava per sentire il loro piano. “Quei ragazzi si faranno ammazzare. Non esiste che Tomura non sia abbastanza veloce da recuperarlo prima che cerchi di scappare.” Finché pensava, Jisei ricordò quello che Katsuki le aveva chiesto poco prima.
 
“E allora che cazzo ci fai qui, Stronza?”
 
Agì in fretta, mentre All Might si batteva. Vide le braccia di All For One raggiungere Kurogiri e aprire così il Warp Gate. Finché si lanciava verso Katsuki, sentì alle spalle il ghiaccio di Todoroki formarsi. Katsuki guardò quel ghiaccio, stupito, e non si rese conto subito di Jisei che lo raggiungeva. La guardò frastornato, ma si mise subito sulla difensiva, non capendo quello che succedeva. Jisei lo raggiunse, lo superò, e colpì Dabi in faccia con potenza. Tomura stava per afferrare Katsuki, ma la ragazza fu più veloce nel prevederlo, gli corse incontro e lo scagliò via con un calcio. Si girò, incontrando gli occhi spalancati di Katsuki. In quel momento, tre ragazzi avevano preso il volo, usando il ghiaccio come trampolino. Uno di loro chiamò l’amico a gran voce.
 
«Ti conviene prendere il volo.» gli disse guardando Tomura che si rialzava, pronto a recuperare il ragazzo.
 
Katsuki non disse nulla, si voltò, e fece come gli era stato detto. Afferrò la mano di Kirishima, e si voltò giusto in tempo per vedere Jisei venire atterrata da Dabi e Twice. Quando anche Magne le fu addosso, questa smise di divincolarsi.
 
 
 
 
Jisei senti un forte rumore e si svegliò di soprassalto. Era svenuta di nuovo per l’ipotermia. Il ferro che la teneva stretta sembrava una gabbia dalla forma umana. Perfetta per spezzare il suo quirk. Aprì gli occhi lentamente. La testa le faceva malissimo e sentiva il corpo tremare dal freddo. “Morirò. Non mi rimane molto tempo”, pensò. Ricordò il motivo per cui sarebbe morta, e per sbaglio sorrise. Sentì un gran dolore alla mascella. Si sentì scaldare per quello che aveva fatto. Aveva salvato quel ragazzo. Aveva fatto qualcosa di giusto. Era andata contro la volontà dei suoi compagni, ma aveva fatto ciò che sentiva. Lui era salvo e libero di vivere la sua vita con passione, di questo almeno era felice.
 
Questo pensò poco prima di trovarselo davanti.
 
Inarcato e furioso, aveva appena distrutto il muro dietro di lui. E ora la guardava.
 
«Ehi. Stronza. Sono venuto a prenderti.» Lei voleva rispondere qualcosa, ma le uscì un solo un suono pietoso. «Vedo che ti hanno ammorbidita per bene.» disse serio, guardando i segni visibili di pugni e bruciature sul suo corpo. La vide tremare.
 
«Stupido idiota arrogante…», provò a dire lei, ma non continuò. Bakugo la raggiunse velocemente e sciolse toccandoli i lucchetti che chiudevano la tetra gabbia in cui era stata infilata. Le sue gambe non ressero e Katsuki fu costretto a reggerla. Il corpo di lei era congelato. Non sembrava normale. Lei si aggrappò e assorbi il calore del corpo di lui. «Se ti prendono giuro che-»
 
«Zitta, cazzo! Riesci a camminare?» lei per poco non si mise a piangere. Non poteva sapere quanto l’avessero indebolita. «Ho capito. Ti aiuto io.» Si diressero verso il buco che aveva appena creato Bakugo. Proseguirono verso il bosco di fronte a loro. Finché si muoveva, Jisei riacquistò un po’ di forze, ma rimase attaccata al ragazzo. In un momento, si rese conto del pericolo.
 
«Katsuki. Nasconditi». Lui la guardò stralunato.
 
«Eh? Che cazzo stai dicendo? Dobbiamo scappare!» Lei gli diresse l’espressione più esplicativa che era riuscita a fare. Era spaventata, dolorante, stava quasi chiedendo per favore con gli occhi. Lui sbuffò, incazzato, ma si nascose repentinamente dietro il primo albero di fronte a loro. Il Warp Gate di Kurogiri si aprì nella stanza dove era stata incatenata fino a poco prima. Dabi era con lui.
 
I due la individuarono subito.
 
«Jisei. Torna qui prima di creare altri problemi» disse Kurogiri pacatamente.
 
«Come cazzo è scappata…?» chiese Dabi raccogliendo un lucchetto distrutto e guardando poi il muro rotto. «I cocci sono verso l’interno. Qualcuno l’ha aiutata.» Katsuki si irrigidì.
 
«Jisei.» Ripeté Kurogiri. Dabi iniziò ad avvicinarsi.
 
«Lo sapete benissimo che non riuscirete a prendermi.» replicò lei, sfoggiando una sicurezza che si discostava dal proprio stato fisico.
 
«Sei messa male, Ji-San. Non essere stupida. Il fatto che pensi a parlare invece di agire ne è la prova», disse Dabi.
 
“È vero. Il mio corpo è troppo freddo. Non mi sono scaldata abbastanza con il corpo di Katsuki. Il mio quirk è compromesso. Ancora un momento. Mi serve tempo. Qualche minuto per scaldarmi…” Interruppe il pensiero.
 
Una macchina stava arrivando a tutta velocità dal fondo della via. Il ragazzo nascosto uscì allo scoperto, mentre Dabi lo puntò muovendosi spedito. Kurogiri creò un Gate sotto i piedi di lei. Bakugo creò una poderosa esplosione nella direzione di Dabi. La macchina li raggiunse e una porta si aprì. Katsuki afferrò per un braccio Jisei, che stava sprofondando inesorabilmente verso quell’abisso, la strinse e con un’esplosione si diede la spinta per farli entrare entrambi, ma Kurogiri fu svelto nel creare un altro gate al posto della portiera. Jisei, con l’ultimo sforzo di un guerriero in punto di morte, fece perno con le gambe in un punto dove il gate non era attaccato all’entrata. I due si ritrovarono a sbattere contro il tettuccio della macchina. Jisei era senza fiato per il dolore. Dabi stava nel frattempo caricando un muro di fiamme blu, Katsuki, per un soffio, creò un ultimo colpo esplosivo, ma non mirò Dabi, bensì il retro della macchina. Essa si spostò in avanti e ripartì immediatamente, evitando il colpo infuocato.
 
Il gate si dissolse, in quanto Kurogiri non poteva sapere esattamente dove si trovava il veicolo. La macchina si perse nell’oscurità. Finché proseguivano Katsuki teneva saldamente il corpo di Jisei, le cui forze sembravano abbandonarla sempre più. Aprì la portiera dall’alto e vi si lanciò dentro con lei.
 
Jisei si ritrovò sdraiata sui sedili del retro della macchina. Katsuki era sopra di lei, affannato, e la guardava.
 
«Che cazzo pensavi di fare?! Ti sei messa a parlarci?!» Lei desiderò dargli una seconda testata.
 
«E secondo te che cazzo avrei dovuto fare, idiota? Attaccarli a testa bassa nello stato in cui mi ritrovo?»
 
«Zitta! Hai rischiato di farti prendere di nuovo!»
 
«Se si fossero avvicinati, se ti avessero visto subito, ora saremmo tutti e due nella merda.»
 
«Mi prendi per il culo? Io mi faccio mettere sotto di nuovo da quelli?! Li avrei fatti saltare in aria!»
 
«È quello che è successo al tuo cervello? L’hai fatto saltare in aria?»
 
Qualcuno rise dal sedile del guidatore. Un ragazzo dai capelli scarlatti li guardò entrambi dallo specchietto retrovisore. Il sudore e il tremolio delle spalle tradivano grande paura e pressione.
 
«Cavolo, ti somiglia, Katsuki.» Bakugo strinse le sopracciglia in un’espressione estremamente stizzita.
 
«Che cazzo dici, Kirishima? Vuoi morire?»
 
«Katsuki.» Lo chiamò Jisei. Dal tono della voce si capiva che era completamente sfinita. Lui la guardò incazzato. «Fammi sedere.» Il ragazzo constatò che la stava tenendo stretta per le braccia e il proprio corpo era un po’ troppo vicino al suo, ma non mollò la presa.
 
«Come se potessi farlo, Stronza. Chi cazzo mi dice che non cercheresti di tornare da quelli? O cercheresti di sviare la macchina, o che cazzo ne so, psicopatica» Sbottò in risposta.
 
Jisei capì che i suoi dubbi erano legittimi. Dopotutto, si erano scontrati… quanti giorni erano passati? Non ne aveva idea. Cercò una soluzione. Guardò il ragazzo con la stessa prepotenza di lui. «Spezzami una gamba.»
 
Bakugo sembrò stupirsi. La rabbia fece posto alla sorpresa. «Non mi sfidare. Stronza. Mi brucia ancora il naso. Non penso che mi tratterrei» disse in risposta, stringendo la presa. Lei mantenne lo sguardo.
 
«Non mi aspetto di meno, cane rabbioso.»
 
Bakugo sorrise. Rispettava questo coraggio. Lo sguardo di lei si incrinò un po’, mentre Bakugo mirava con la mano a una sua gamba già malridotta. Jisei chiuse gli occhi, preparandosi ad altro dolore. Sentì qualcosa passare da sotto le suo cosce. Aprì gli occhi. Katsuki la stava legando con una cintura. Fece lo stesso con i polsi.
 
Si levò in fretta. Lei si rialzò, ma una fitta violenta alla testa la costrinse a trattenere un conato di vomito.
 
«Ohi, ohi.» La riprese Bakugo. «Non ti ho fatto niente. Che cazzo ti succede?» Lei lo guardò per dirgli di non preoccuparsi, ma la macchina sobbalzò a causa di un sasso, facendole sentire un dolore lancinante in tutto il corpo. Sentì Kirishima riprendere il compagno. Katsuki inveì, dicendo di non aver fatto proprio nulla. La vista di Jisei si fece nera e svenne.

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Capitolo 2
*** Ringrazia, Katsuki ***


«Cazzo. Kirishima, questa stronza continua a svenire» commentò Bakugo osservando il corpo senza sensi di Jisei. Il compagno si girò e la guardò a sua volta.
 
«L’hanno ridotta malissimo. E per qualche motivo continua a tremare… Non c’è affatto freddo» rispose. «Comunque, è meglio fermarci tra poco. Lascerò la macchina dove mio fratello potrà trovarla domani.»
 
Katsuki continuò a guardare la ragazza. Aveva una maglietta bianca e un paio di pantaloni corti dello stesso colore. La maglietta era macchiata di sangue e bruciata in più punti. Un fianco era nudo a causa di questo. Le braccia e le gambe erano piene di tumefazioni, alcune fresche, altre più vecchie. Sembrava avessero lasciato intatto il viso: Katsuki le scostò i capelli dalla fronte. No, c’erano segni di contusioni anche alle tempie e sul collo… un segno rosso diverso dagli altri. L’avevano anche molestata?
 
«Come cazzo possono ridurre così una loro compagna…» pensò ad alta voce Katsuki. «Kirishima! Torniamo indietro! Uccidiamo quei fottuti malati!» Il compagno non rispose subito. «Non ignorarmi, bastardo! Devono pagare.» 
 
Eijirou fermo la macchina in un viale buio e deserto. Sospirò. Aveva viaggiato per almeno venti minuti, senza rispettare un singolo limite di velocità. Pregò che nessuno li avesse visti. Scese dalla macchina e aprì la portiera posteriore dove era accasciata la ragazza.
 
«Cazzo.» Non l’aveva guardata attentamente fino a quel momento. «Cazzo. Dobbiamo portarla in ospedale.» Guardò Katsuki. Aveva uno sguardo particolarmente furente. Respirava pesantemente. Si stringeva le ginocchia con forza. «Bakugo? Non possiamo portarla alla Yuei. Non possiamo farla rimanere così un secondo di più.» Il ragazzo si destò dai suoi sogni di vendetta. La guardò, constatando che tremava ancora.
 
«Aspettiamo che si svegli», rispose Katsuki. «Non posso sapere se ha documenti, o se è registrata come Villain. Se la portiamo in ospedale potrebbe finire dentro.»
 
«Forse è meglio così.» Katsuki fulminò l’amico con lo sguardo.
 
«Coglione! Non l’hai capito? Questa stronza ha rischiato di farsi ammazzare per aiutarmi a scappare. Credi che possa vivere sapendo di dovere qualcosa a qualcuno? Mi mangio le mani piuttosto. Finché non si sveglia, non la portiamo da nessuna parte. Sì, proprio così. Si sveglia e poi le dico che non le devo più un cazzo.»  
 
«Ma sta male, non vedi come trema? Che cazzo…» Katsuki si tolse la felpa nera che aveva messo per confondersi nella notte. La fece indossare alla ragazza. Finché la vestiva, la senti lamentarsi per il dolore. Cercò di essere il più gentile possibile. Poi afferrò come poteva i fianchi della ragazza e se la mise sulle gambe. La strinse.
 
«Per il freddo ci penso io.» Bakugo evitò intenzionalmente lo sguardo dell’amico, guardando nella direzione opposta. Kirishima era stupito e un po’ imbarazzato. 
 
«Ok, amico. Capisco perché vuoi aiutarla. Ma cerchiamo di non peggiorare le cose. Se non si sveglia entro breve, ti trascinerò insieme a lei in ospedale. Chiaro?» Katsuki grugnì in risposta, finché sentiva che la ragazza si stava lentamente scaldando. 
 
 
 
 
Dopo una decina di minuti, Katsuki sbottò. «Kirishima. Guarda», disse indicando un punto sul fianco di Jisei. «Qui c’era un ematoma enorme, sembrava piuttosto vecchio. Si sta già rimpicciolendo? Sto diventando pazzo?» Eijirou, tornato al posto del guidatore per accendere il riscaldamento, si voltò.
 
«Cazzo. È vero! Bakugo, anche le bruciature si stanno facendo più lievi. E non trema nemmeno più,» Il ragazzo sorrise a Katsuki, «a quanto pare sei un bravo medico.» L’amico in risposta digrignò i denti.
 
«Deve essere il suo quirk.» disse serio. Incontrò lo sguardo di Kirishima, leggermente stupito. «Io sono bravo in tutto. Deve ritenersi fortunata a potermi stare così vicino.» disse stizzito.
 
Finché accadeva questo, Jisei lentamente tornò cosciente. Aprì gli occhi e sentì subito un miglioramento eccezionale rispetto a prima. Abbassò gli occhi e vide una gamba che non riconosceva. Si rese conto subito di essere sopra a Katsuki, per via dell’odore di glicerina che proveniva dalla sua pelle. Arrossì violentemente. Si ribellò alla stretta del ragazzo, che la lasciò subito andare, come scottato. Jisei si ritrovo dall’altro lato della macchina, ansimante, con braccia e gambe legate. Guardo Katsuki e poi Kirishima, che d’altra parte la osservavano attenti.
 
Passò qualche secondo prima che qualcuno parlasse. Kirishima stava per chiederle come stava, ma Bakugo fu più veloce.
 
«Ohi, bastarda. Buongiorno.» disse. Kirishima voleva picchiarlo.
 
«Liberami, cane.»
 
«Zitta! Dovresti come minimo ringraziarmi! Ingrata di una deficiente» urlò incrociando le braccia.
 
«Bakugo, datti una calmata. Ehi… come stai? Ti sei ripresa?» chiese Eijirou. Jisei ci mise un momento a controllare mentalmente il suo corpo.
 
«Sì, sto meglio.» rispose seccamente.
 
«Hai bisogno del calore per guarire le tue ferite? È questo il tuo quirk?» chiese sollevato Kirishima.
 
«Non proprio…»
 
«Chissenefrega. Dove sono i miei ringraziamenti? Ti ricordo che ti abbiamo appena salvato la vita, stronza.»
 
«Dove siamo?» lo ignorò Jisei.
 
«Non ignorarmi stronza!»
 
«Vicino al territorio della Yuei.»
 
«Oh…» Jisei stava riflettendo velocemente. «Voi… volete consegnarmi?» chiese. Katsuki e Kirishima si guardarono. Sapeva già cosa pensava Kirishima. Jisei sapeva che qualsiasi cosa volessero fare di lei, non avrebbe mosso un dito contro di loro. Legata, in quelle condizioni, c’era poco che potesse fare.
 
«Mi dispiace, ma non so davvero cos’altro potremmo fare. In queste condizioni non possiamo lasciarti sola in ogni caso» rispose Kirishima. «Non preoccuparti, sono sicura che una volta che Katsuki spiegherà come sono andate le cose i professori…»
 
«No. Non mi sarà concessa nessuna grazia» disse sommessamente, guardandosi i piedi. «Ho fatto del male a parecchia gente.» continuò. Vide lo sguardo di Kirishima farsi più sospetto. «Non ho mai ucciso nessuno.» Katsuki si irrigidì. «Ma ho fatto del male in altri modi ad altre persone.»
 
«Capisco… ma non possiamo comunque farti rimanere in queste condizioni a lungo…»
 
«Non ho bisogno di dottori, né di cure. Mi basta dormire al caldo. Nient’altro. Il mio quirk farà il resto. Tempo due giorni, forse meno, e tornerò ad essere in salute.» Kirishima guardò Katsuki, che stava ascoltando da un po’ senza dire niente.»
 
«Sei messa più male di quanto pensassi e…»
 
«Verrà al dormitorio.» Lo informò Bakugo. Kirishima lo guardò stupito.
 
«Hai sbattuto la testa?!» Allargò le braccia come a voler mostrare la situazione nella sua completezza. «Non possiamo portarla al dormitorio!»
 
«Verrà al dormitorio.» Confermò nuovamente.
 
«Senti. Non serve che mi portiate da nessuna parte, basterà portarmi dove vivevo prima e…»
 
«Tu verrai al dormitorio. Fine della discussione.» sbottò Katsuki rivolgendo lo sguardo a Jisei. «Il bastardo che può usare il teletrasporto sa dove abiti, giusto?» La ragazza non rispose. Era vero. Probabilmente sarebbe stato il primo posto dove l’avrebbero cercata.
 
«E dove cazzo starebbe, esattamente? Con il prof Aizawa che gira e tutti gli altri. Se Lida sente anche solo odore di regole infrante…»
 
«Zitto. Chissenefrega. Starà nella mia stanza finché non si riprende. Poi se ne andrà a fanculo appena riuscirà di nuovo a correre come un cazzo di coniglio impazzito»
 
«E tu ti fideresti?» chiese Kirishima sempre più sgomento.
 
Katsuki voltò il busto e guardo in faccia Jisei. Alzò la mano. La ragazza senti contrarre lo stomaco. Aveva visto molte mani alzarsi su di lei in quei giorni. Non era mai stato piacevole. Katsuki premette un dito contro la fronte di Jisei.
 
«Questa qui non può proprio farmi un cazzo. Se anche volesse, saprei difendermi.» spiegò. Jisei si inasprì.
«Ti piacerebbe, cane. Mi rifiuto di vivere con un pazzo del genere. Ehi, compagno, lo sai che il tuo amico Hero qui mi ha rotto due dita? Perché cazzo dovrei voler stare nella stessa stanza con questo idiota che pensa solo con i suoi muscoli?»
 
«Zitta! Sta zitta! Ti ho rotto le dita perché tu mi hai rotto il naso, ricordi stronza? Non fare la santarellina» Jisei voltò lo sguardo, stizzita. A Kirishima sembrava una scena talmente surreale che pensò di sognare. «Ohi.» la richiamò Katsuki. «Ohi! Guardami! Non ignorarmi»
 
«Che vuoi?» Sibilò tra i denti Jisei voltandosi. Appena stabilito un contatto visivo, Bakugo allungo di nuovo le mani. Si mise a liberare le braccia della ragazza. Essendo legate dietro la schiena, dovette avvicinarsi. Jisei si accorse solo allora della felpa che aveva addosso. Le maniche penzolavano.
 
«Ho deciso di fidarmi di te.» iniziò Katsuki. «Se deluderai questa fiducia -te lo giuro, stronza- ti pentirai di essere nata» finì serio, finché armeggiava con la cintura. Lei lo lasciò fare. Poteva sentire il suo respiro sul collo.
 
«Non ti ho chiesto di fidarti di me, cane.» Cominciò lei una volta libera, si massaggiò le braccia libere.
 
«Immagino tu voglia vendicarti dei bastardi che ti hanno ridotto così.» Si scostò per guardarla. Gli occhi di Bakugo erano accesi di odio. Sentendo quelle parole, anche Jisei si infiammò. Si guardarono con lo stesso sguardo furente, e giunsero a un accordo mentale, stipulato con la rabbia. La ragazza annuì.
 
«Li ucciderò con queste mani.» proclamò. La sua voce non tradiva rabbia. Il che la rendeva più minacciosa. Katsuki sorrise.
 
«Bene. Allora è deciso»
 
«Voi due... La cosa non finirà bene in un nessun cazzo di caso.» Commentò Kirishima sommessamente. Jisei avvertì un senso di colpa verso quel ragazzo. Non provava pena per Katsuki. Quel tipo non rifletteva troppo su quello che stava per fare. Ma il compagno sembrava più riflessivo.
 
«Non paragonarmi a questo coniglio.» si lamentò Katsuki.
 
«Siamo passati ai conigli? È un bel miglioramento rispetto a stronza.» commentò ironicamente Jisei.
 
«Io i conigli li mangio, stronza.»
 
 
 
 
Proseguirono a piedi. Katsuki e Kirishima camminavano vicini, mentre Jisei li seguiva nascondendosi quando poteva. Il suo corpo era stanco, il suo quirk era quasi completamente impegnato a guarirla, perciò dovette stare molto più attenta del solito. “Dubito sarei riuscita a scappare da quel posto senza l’aiuto di quei due. A questa velocità non sarebbe stato difficile catturarmi”, pensò avanzando. Erano appena le nove di sera, perciò nessuno si chiese perché i due compagni di classe si trovavano all’esterno del dormitorio. Prima di avvicinarsi, spiegarono a Jisei dove si trovava la stanza di Bakugo. Sulla via verso l’entrata furono fermati.
 
«Ka-chan, Kirishima-san, siete andati a fare un giro?» chiese Midoriya, che si stava allenando.
 
«Zitto, Merdeku. Non sono affari tuoi.»
 
«Sei scortese, Bakugo-san. Comunque, sì, siamo andati a fare un giro.» rispose Kirishima pacatamente. Midoriya sembrava distratto, perciò non disse nulla.
 
Quando furono sulle scale che portavano ai piani superiori, finalmente soli, Kirishima affrontò Katsuki.
 
«Meno male che dovevi dirle che non le devi più un cazzo» sbottò. «Capisco volerla salvare, ma stai esagerando. Non è un bel momento per questi giochi.» Katsuki si fermò. Aveva lo sguardo rivoltò in basso.
 
«Le hanno rotto le dita che le avevo già rotto io.» iniziò a dire. «L’hanno bruciata più volte negli stessi punti. Credo l’abbiamo stuprata, anche. O almeno qualcosa di simile». Alzò lo sguardo e incontrò quello di Kirishima, che lo ascoltava preoccupato.
 
«Non è colpa tua. Dopotutto, lavorava per loro. Sapeva a cosa stava andando in contro».
 
«Non hai capito, idiota. Queste non sono torture che si fanno per punire. Se avessero voluto punirla, l’avrebbero uccisa, avrebbero fatto qualcosa di più drastico.» Kirishima sembrò non capire. «L’hanno interrogata. Le hanno fatto domande su di me. È sicuro. E lei non ha detto assolutamente niente. Non so cosa le abbiano chiesto. Rimane il fatto che non ha cercato di mentire, o salvarsi. Ha detto quello che aveva fatto. Poco ma sicuro. E perciò hanno continuato.» Katsuki strinse le spalle. «Non posso lasciare una persona del genere morire, né venire rinchiusa. Ha avuto coraggio.» L’amico ci pensò sopra un momento, poi annuì.
 
«Scusa. Hai ragione. In effetti, mi sembra una dura.» commentò Kirishima. Poi ci pensò sopra. «Mi sembra strano che tu ti sia impegnato così tanto per salvarla, ad essere onesto.»
 
«Zitto. Non mi piace avere debiti.» disse senza cattiveria. I due sembravano aver raggiunto un accordo. «Kirishima.»
 
«Uh?»
 
«Grazie, amico». Il compagno sorrise imbarazzato. «Ora vado.»
 
 
 
 
Katsuki entrò nella sua stanza, aprì la finestra, e accese la torcia del telefono tre volte. La ragazza arrivò prima che il terzo fascio di luce di spegnesse. Il ragazzo mise le mani in tasca e la guardò finché lei osservava la camera. Jisei restituì lo sguardo.
 
«Che vuoi?» ringhiò. Katsuki si inalberò subito.
 
«Che cazzo vuol dire?» Jisei non rispose. «Nessuno è mai entrato qui a parte me. Vedi di fartelo piacere.»
 
«Che c’è, sei un arredatore? Vuoi che valuti il design?»
 
«Zitta! Mi hai già rotto il cazzo.» sbottò in risposta Katsuki. Si diresse verso l’armadio, tirò fuori un cambio di vestiti e un futon. Aprì il futon il più distante possibile dal letto, posizionandolo anche in modo che aprendo la porta fosse l’ultima cosa visibile. «Ora aspettiamo che tutti se ne vadano a nanna. Di solito per le 11 non c’è già più nessuno. Poi ti vai a lavare.»
 
Jisei arrossì. Probabilmente era ridotta uno schifo. Non offrono bagni termali nei pacchetti di tortura comuni. Si portò le mani ai capelli, che erano incrostati di sangue e spettinati. Per un momento, si vergognò del suo aspetto. Katsuki, d’altra parte, era pulito e in ordine. Era un ragazzo attraente, non aveva bisogno di sistemarsi i capelli la mattina. Il ragazzo sembrò cogliere i pensieri di lei.
 
«Tanto eri brutta anche quando ci siamo visti la prima volta.» mentì lui. Lei non rispose. Sembrava che le torture fisiche e mentali subite fossero culminate in questo senso di inadeguatezza verso il suo aspetto momentaneo e l’avessero resa fin troppo mansueta per i suoi standard. Lui non fu contento di quell’atteggiamento. «Ohi.»
 
«Non mi va di farmi insultare per il mio aspetto. Vado a lavarmi subito.» borbottò stringendo i denti.
 
«Che c’è? Hai fretta di farti bella per me?»
 
«Non preoccuparti, non intendo provarci con te. I cani con la rabbia vanno evitati.» rispose lei a tono. Lui sorrise.
 
«Vedo che non hai ancora perso la tua lingua affilata. Bene. Comunque aspetterai.»
 
«Con il mio quirk ci metterei tre minuti. Fammi la guardia. Dopotutto è ciò che fanno i cani.»
Katsuki grugnì stizzito.
 
«Cazzo. Sei insopportabile.» poi ci pensò sopra. Probabilmente era stanca. Non aveva senso farla aspettare ancora due ore. Avrebbe rischiato di addormentarsi prima. E non se la sentiva di farla dormire in quelle condizioni, con ferite da pulire e tutto il resto. Anche l’odore, in realtà, non era piacevole. «D’accordo, andiamo.»
 
 
 
Non incontrarono nessuno nel tragitto fino alle docce e la cosa finì in men che non si dica. Jisei, di nuovo pulita, si infilò velocemente i vestiti di Bakugo. Una semplice maglietta a maniche corte e pantaloni fino a ginocchio, neri entrambi. Tornarono in camera senza intoppi. Lei era troppo sfinita per fare qualsiasi cosa a parte dormire. Bakugo chiuse la porta a chiave.
 
«Vedi non fare mosse strane, coniglio. Ho troppa voglia di picchiarti per fermarmi a riflettere.» disse finché lei si sdraiava nel futon. Aveva le guance rosse e i capelli scompigliati e bagnati. Stava meglio.
 
«Hai paura che ci provi?» chiese lei stanca.
 
«Paura? Che cazzo dici. Sei tu che dovresti averne.» Lei si voltò a guardarlo mentre si cambiava. Si era lavato anche lui, visto che non c’era nessuno. In ogni caso lei sarebbe potuta tornare senza farsi vedere. Aveva il fisico giusto per il suo quirk. Non aveva un filo di grasso, sembrava costantemente in tensione. Doveva allenarsi davvero molto.
 
«Perché, vuoi provarci tu con me?» chiese, divertita. Lui la guardò e vide che lei lo stava già scrutando. Era senza maglietta. Sorrise sicuro di sé.
 
«Ti stai godendo la vista, eh?» la incalzò lui. «Sai, sei nella stanza di un uomo. Stai per dormire qui, con i suoi cazzo di vestiti addosso. Starei attenta fossi in te.»
 
«Tanto ci sono abituata.» rispose tetramente. Katsuki cambiò espressione. Non distolse lo sguardo, ma si fece più serio.
 
«Non sono il tipo che fa queste cose.» lei sorrise.
 
«Se abituato a farti adorare? Sarà per questo che sei così arrogante.»
 
«Di che cazzo parli, coniglio? Vuoi adorarmi? Fai pure. Non me ne frega un cazzo.» Jisei se lo aspettava. Lui finì di cambiarsi e si infilò a letto.
 
Dopo pochi minuti Jisei stava già dormendo. Bakugo se ne accorse perché il suo respiro si era fatto più lento. La osservò. Jisei aveva i capelli bianchi, lunghi fino alle clavicole, con uno strano tipo di frangia sulla fronte, asimmetrica e sfilettata. I suoi occhi, come Bakugo ricordava, cambiavano colore finché usava il suo quirk. Normalmente erano gialli, ma si era accorto che li aveva rossi durante lo scontro che li aveva portati a conoscersi. Quando l’aveva salvata, i suoi occhi erano quasi bianchi. Aveva un bel viso. Il fisico sembrava perfetto per il suo quirk. Era slanciata e magra. Aveva dei tratti quasi spigolosi. Come se fosse aerodinamica. L’aveva trovata attraente anche finché era ricoperta di sangue e ferite. Forse era più per il fatto che la vedeva come una dimostrazione di forza. Finché Bakugo si addormentava, pensò che dovesse essere proprio una dura per essere sopravvissuta in quelle condizioni.
 
 
 
Bakugo si svegliò all’alba come d’abitudine. Aveva scalciato via le lenzuola durante la notte. Il suo corpo era costantemente caldo, per poter facilitare il rilascio della nitroglicerina. Anche la maglietta si era alzata. Appena il sole sorgeva il calore aumentava, e si svegliava accaldato.
 
«Dormito bene?» chiese una voce nella stanza. Le finestre erano aperte. Jisei era seduta alla scrivania, leggeva un libro preso in prestito dalla libreria del ragazzo. Non si era girata a guardarlo. Katsuki si abbassò la maglietta e sbadigliò. La ragazza a quel puntò si voltò nella sua direzione. «La mattina sei più silenzioso.» affermò.
 
«Zitta. Che cazzo fai con quel libro?»
 
«Leggo».
 
«Questo l’avevo capito, cazzo.»
 
«Ho preso la colazione», replicò lei, chiudendo il libro. «Comunque, prendi più appunti di quanto pensassi. Sei una specie di studente modello?»
 
«Non c’è una cosa a questo mondo in cui io non sono il migliore. Dove sarebbe questa colazione? E come cazzo te la sei procurata?»
 
«Uh? Sono scesa. È proprio qui. Nessuno è sveglio, comunque.» Jisei si alzò. Katsuki per un secondo dimenticò di respirare, sbalordito.
 
«Sei guarita.» disse. Lei guardò il proprio corpo.
 
«Le ferite superficiali sono tutte guarite, sì.»
 
Bakugo, che fino a quel momento non se ne era interessato, finalmente disse «Dimmi del tuo quirk.» Jisei alzò una mano e strinse il pugno.
 
«Accelerazione.» Katsuki si alzò, infilando le mani in tasca. La guardò, come a invitarla a continuare. «Posso accelerare qualsiasi parte del mio corpo, compreso tutti i miei organi interni.»
 
«Per questo sei in continuo movimento. E riesci a guarire in fretta», commentò, e lei annuì.
 
«Quando accelero il mio metabolismo per guarire, la mia velocità ne risente. Ma è molto utile.» Katsuki ci pensò su. Si grattò il retro della nuca. Non lo avrebbe mai ammesso, ma lo considerava un potere davvero figo.
 
«Quindi sei guarita.» ripeté Katsuki.
 
«Superficialmente lo sono. Il problema è il veleno. E ovviamente tutte le contusioni interne.» spiegò. «Nelle mie attuali condizioni, posso arrivare da 0 a 500 in qualche secondo. Ma avendo delle costole rotte, rischierei di peggiorare la situazione.»
 
«Il veleno?»
 
«Sonniferi. Per cavalli, immagino. Me ne hanno iniettati una certa quantità, per tenermi ferma.» Lo sguardo di Katsuki si accese.
 
«Ti hanno…?» chiese.
 
«Cosa?» Lui distolse lo sguardo. Lei a fatica capì cosa intendesse.
 
«No. Non che ricordi comunque. Anche se ricordo Dabi…» Lei rabbrividì. «Figlio di…» Katsuki sembrava ugualmente incazzato.
 
«Fanculo. Sono stufo di sentire queste cazzate. Faccio colazione.» Bakugo la superò e si sedette alla scrivania a mangiare.
 
«Prego.»
 
«Zitta! È il minimo che tu possa fare, visto tutto quello che sto facendo per te.»
 
«Ti ricordo che sono stata io la prima a salvare il tuo culo.» ringhiò lei. Forse era la rabbia nel ricordare ciò che le era stato fatto, cominciava a sentire caldo.
 
«Non ti ho chiesto io di salvarmi, coniglio.» replicò, cominciando a montare una certa quantità di rabbia, allo stesso modo della ragazza. Lei strinse i pugni.
 
«Che cazzo stai dicendo? Nemmeno io ti ho chiesto di salvarmi.»
 
«Tu stavi per morire. Io no.»
 
«Cazzo, sei proprio stupido, vero?» sbottò lei. «Proprio per questo il mio salvataggio è stato il più rischioso!»
 
«Zitta! Smetti di dire cazzate!»
 
Lei si infervorì. Si lanciò contro di lui, lo prese per la maglia e lo scaraventò a terra. Alzò un pugno a mezz’aria e lo guardò furente.
 
«Pensi che mi farei problemi a prenderti a calci in culo?»
 
«Cosa cazzo stai facendo str-»
 
«Smettila di chiamarmi stronza! Coglione! Hai idea di quello che ho passato per salvare la tua faccia di merda? E tutto questo per vederti lì! A rischiare di mandare tutto a puttane!» sbraitò. Delle lacrime fuoriuscirono a gocce dai suoi occhi scarlatti, cadendo caotiche a causa dei movimenti tremolanti del capo.
 
«Non ti ho chiesto di salvarmi.» replicò nuovamente Katsuki. Stava digrignando i denti, ma lo disse con calma.
 
«No», sussurrò lei, calmandosi. Abbassò la testa appoggiandosi al petto del ragazzo. Con le mani strinse la presa sulla maglia. «No, non l’hai fatto. Ma allora, perché diavolo ti ho salvato?» A quel punto, Katsuki, che non sapeva come reagire a tutto questo, se ne venne fuori con il commento più opportuno che riuscì a trovare.
 
«Perché sei una stupida testa di cazzo.» lei sobbalzò, ma non si mosse. «E…» prese un profondo respiro di coraggio prima di continuare. «Forse le stupide teste di cazzo si coprono le spalle a vicenda.»
 
Gli occhi di Jisei si spalancarono. Alzò la testa. Katsuki la stava guardando arcigno, ma sembrava un po’ imbarazzato. La ragazza scoppiò in una risata. Era rossa in faccia, senza fiato.
 
«Cazzo. Sei uno spasso.» Katsuki si innervosì. «Le stupide teste di cazzo di coprono le spalle a vicenda! Sei serio? Da dove cazzo l’hai tirata fuori questa?»
 
«Cazzo! Sta zitta! Ti spacco la faccia!» lei non accennava a smettere. Katsuki alzò il busto repentino e le diede una testata. La ragazza smise di ridere. I loro sguardi si incontrarono, a pochi centimetri. «Smettila di prenderti gioco di me.» disse.  
 
Jisei si allontanò di un centimetro, solo per dargli una testata a sua volta.
 
«Cosa? E perché dovrei?»
 
«Maledetta…» ringhiò Katsuki. «Spostati. Questa posizione mi sta creando dei problemi.» Ed era vero. Jisei era a cavalcioni su di lui. Insomma, era a cavalcioni su un giovane ragazzo, svegliatosi da poco. La ragazza arrossì violentemente. Si allontanò. Katsuki si alzò. Si massaggiò il petto. «Cazzo, il tuo quirk è davvero una seccatura.»
 
«Scusa.»
 
Bakugo continuò a toccarsi il petto. «Grazie. Mi hai salvato. Non lo dirò mai più. Non chiedermi di ripeterlo. Crepa.»
 
Lei guardò altrove. «Ok.»
 
«Che cazzo vuol dire ok? Dovresti ringraziarmi anche tu. Ingrata bastarda.»
 
«Grazie.»
 
«Tutto qui?»
 
Lei sospirò, spazientita. «Grazie per avermi salvata. Non avresti dovuto farlo, è stato completamente stupido, irresponsabile e da vero deficiente. Ma grazie.» I due si guardarono con intensità.
 
«Bene. Attaccami di nuovo e ti spacco il culo.»
 
«Sì, certo. Ti piacerebbe. Non esiste che tu possa superare la mia velocità e potenza. Vai a farti esplodere.»
 
«Vincerei sicuramente.» disse lui con sicurezza.
 
«Vuoi provare, testa di cazzo?»
 
Katsuki sorrise aggressivo. «Cominci a piacermi. Quando ti sarai ripresa completamente ti farò rimpiangere di avermelo chiesto.»

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Capitolo 3
*** Stringi, Katsuki ***


Katsuki tornò nella propria stanza appena le lezioni finirono. Aveva la mente in subbuglio. Dopo aver perso l’occasione di prendere il certificato di eroe temporaneo, e soprattutto dopo che All Might aveva perso i propri poteri, si sentiva confuso riguardo la sua personalità. Queste due erano state le sconfitte più brutali che aveva mai subito.
 
Perciò quando era arrivato quel messaggio, in cui veniva spiegata la posizione di Jisei, Bakugo non ci aveva nemmeno pensato. Aveva preso Kirishima di parte, gli aveva chiesto la macchina, ed era partito a testa bassa.
 
Jisei alzò lo sguardo vedendolo entrare.
 
«Ohi. Ho cercato ovunque. Non ho trovato nessun tipo di pornografia. Sicuro di essere un maschio?»
 
Dovevo lasciarti lì a morire.
«Esiste internet al giorno d’oggi, testa di cazzo», rispose, lasciò la borsa a terra e sbatté una mano sul tavolo. «Smettila di farti gli affari miei, cominci a farmi incazzare.»
 
«Non pensare che mi interessi minimamente la tua vita, deficiente, mi sto solo annoiando. E questa stanza è l’unico posto in cui posso stare senza darti altri problemi.»
 
«Allenati. Fa qualcos’altro che non implichi spulciare tra le mie cose.»
 
«Mi alleno già, faccio quello che posso. La stanza è piccola, ma è utile», rispose la ragazza. «Sai, mi hai quasi fregato quella volta. Quando ti sei abbassato. Ho dovuto disattivare e riattivare il mio quirk. È stato interessante.»
 
Katsuki sorrise soddisfatto. «Ancora un minuto», cominciò a dire, «e ti avrei fatto il culo.»
 
Lei, che aveva chiuso il libro da un pezzo e ora guardava la mano di Bakugo ancora aperta sul tavolo, chiese «Ti senti in colpa?»
 
«Che cazzo stai dicendo?»
 
Lei lo guardò, un po’ titubante. Pensava a una cosa da un po’ di tempo, ma aveva il timore che l’avrebbe presa male. Strinse le spalle e se ne fregò. «Tu hai un quirk davvero forte, Katsuki.»
 
«Lo so. Devi proprio chiamarmi per nome?»
 
Jisei aggrottò le sopracciglia. «No, ma lo farò se mi va.»
 
«Brutta…»
 
«Comunque, tu hai un quirk forte. Le esplosioni che causi sembrano sciogliere, distruggere, e hanno un’onda d’urto decente. Non hai un limite fisso per quanto riguarda la potenza, immagino che ti stanchi, ma è elastico, con l’allenamento potresti sicuramente fare danni esponenzialmente… devastanti.»
 
«Che cazzo stai cercando di dirmi. Mi ricordi quel nerd sfigato di Merdeku.»
 
Jisei, distratta da quello che voleva dire, commentò senza pensarci. «Ah. Quello che ha cercato di salvarti nei boschi. Coi capelli verdi.»
 
Katsuki la fulminò. La mano sul tavolo si fece tesa.
 
«Tu eri lì.» disse minaccioso. «Hai visto tutto.»
 
Lei lo scrutò. «Certo che c’ero.»
 
Katsuki rimase in silenzio. Non era una sorpresa, saperlo. Lo faceva solo incazzare. Gli aveva ricordato che lei era dalla parte dei cattivi, o almeno lo era stata.
 
«Non ho toccato nessuno dei tuoi compagni, se può interessarti. Ero lì solo per aiutare nel caso le cose si mettessero male. Soprattutto perché quel Midoriya avrebbe potuto scatenare quel fastidioso potere…» Jisei non continuò la frase, perché Katsuki sembrava sul punto di farsi esplodere una vena della tempia.
 
«Che cazzo ne sai tu del potere di Merdeku?» chiese, cercando di apparire calmo, senza nessun successo. Jisei si scaldò.
 
«In che senso, che cazzo ne so?»
 
«Tu sai qualcosa.»
 
«So molte cose. Più di quante potresti pensare. Se me lo chiedessi gentilmente, forse potrei illuminare anche te.»
 
Katsuki strinse i pugni, togliendo la mano dal tavolo. Poi mise le mani in tasca.
 
«Forse non hai capito la situazione», iniziò a dire, minaccioso. «Cercherò di spiegartela lentamente. Tu, villain deficiente che si fa picchiare dai suoi stessi compagni, sai cose su un mio compagno, per quando insopportabile possa essere. Siccome non posso condividere informazioni con te, che sei pazza e potresti andare a rivelare qualcosa a quegli psicopatici, sei tu che devi aprire quel becco che ti ritrovi, e dirmi quello che sai.»
 
«Genio, io non ho ancora capito che cazzo vuoi sapere.» rispose subito Jisei, per poi continuare, «E poi, piantala di chiamarmi Villain. Con quelle teste di cazzo io ho chiuso. Pensavo l’avessi capito anche tu.»
 
Forse Katsuki era arrabbiato a causa della pessima settimana che avevano portato a galla questi eventi, forse il fatto di sapere che lei si trovava là, quando l’hanno catturato, sta di fatto che si stava infervorendo sempre di più. «Certo, certo. Hai chiuso con loro, vero? Perciò io e te adesso siamo migliori amici, vero, testa di cazzo?»
 
«Che cazzo stai dicendo? Chi ha detto che siamo amici?» sbottò in risposta.
 
Katsuki sorrise sarcastico. E rabbioso. «Nessuno, nessuno. Perché non mi salti di nuovo addosso, uh? Anzi, mangiamo insieme come una coppietta del cazzo. Che te ne pare?»
 
«Ma che cazzo stai dicendo? Da dove le tiri fuori queste stronzate?» rispose alzandosi la ragazza. Gli punto un dito contro. «E poi, cazzo, sei tu che hai insistito per farmi venire qui! E ora stai dicendo a me, che mi comporto come se fossi la tua ragazza del cazzo?»
 
«Non lo so! Vuoi che mi tolga la maglietta così puoi rifletterci sopra?!» urlò sempre più incazzato lui.
 
Jisei si mise a ridere. Abbassò lo sguardo, si massaggiò il ponte del naso. Non era sicura di dire quello che stava per dire, ma alla fine si decise. «Sai. Non dovresti prendertela con me se sei troppo debole per difenderti da solo.» disse guardandolo in faccia. Ora era solo lei a sorridere. «Voglio dire. Non deve essere bello essere la causa della caduta di All Might.»
 
Katsuki, con gli occhi iniettati di sangue, tirò fuori una mano dai pantaloni. Questa iniziò a tremare. «Tu… io… Ho una voglia davvero forte di uccidere qualcuno.» strinse la mano. Sembrava serio, e Jisei avvertì la minaccia fluttuare verso di lei.
 
Bakugo uscì dalla camera.
 
 
 
 
Jisei rimase ferma nella stessa posizione per qualche minuto. Cercò di distrarsi, tornando a leggere il libro che aveva preso in prestito, ma il tempo passava e Katsuki non tornava. Non è fosse preoccupata, si diceva da sola, è che se Bakugo avesse fatto un casino, usato la violenza o che altro, ci avrebbe rimesso anche lei. Si convinse di questo, finché rubava una felpa dall’armadio e alzava il cappuccio. Uscì dalla finestra.
 
Vide Katsuki camminare con Midoriya poco dopo. Li seguì. Arrivarono in una specie di città deserta all’interno del territorio della Yuei. Si chiese a quanto ammontassero i fondi disponibili di quella scuola, stupita. Non voleva farsi vedere, perciò si arrampicò sui palazzi, e dal tetto di uno di questi li osservò, pronta a fuggire nel caso Katsuki rivelasse qualcosa di troppo.
 
Vide Katsuki attaccare per primo. Osservò tutto il suo corpo, caricare, da quel punto di vista, il ragazzo si mostrava fin troppo pronto. Jisei non poté non ammirare la sua intera fisicità, finché le esplosioni si accumulavano.
 
Il combattimento proseguì. Midoriya aveva iniziato a rispondere. Fino a quel momento, la vittoria di Bakugo era certa. Quando il ragazzo dai capelli verdi attivò il suo potere, Jisei si sorprese. Era veloce. Non quanto lei, questo no, ma vide Katsuki in difficoltà.
 
«Perché…» disse Bakugo, disperato. «Perché… Io… Sono io la causa della fine di All Might?» chiese. Stava piangendo.
 
«Perché cazzo non penso prima di parlare…», si disse Jisei. Era davvero dispiaciuta. Non pensava di ferirlo a quel modo. Lo vide sotto una luce diversa. Era fragile. Eppure, non mostrava debolezza. Non era una fragilità di cui potersi avvantaggiare. Era una fragilità spaventosa, che sembrava renderlo ancora più instabile, desideroso di sfogare la propria frustrazione. Jisei si sedette, una gamba penzolava dal tetto dell’edificio, l’altra era salda sul cornicione.
 
Midoriya sembrava preoccupato. E accettò nuovamente la sfida.
 
 
«Non vorrai farmi da tira pugni alla fine, vero Deku?» chiese sprezzante Bakugo, continuando l’attacco. Jisei sorrise. Era davvero un arrogante, come lei.
 
La ragazza fremette quando Katsuki prese il volo. Midoriya lo raggiunse. Sembrava stesse per dargli un calcio, ma lo puntò con un pugno. Proprio quando questo arrivò alla guancia stupita di Katsuki, esso la vide. Vide Jisei seduta, rilassata, e lei ricambiò l’occhiata. Sembrava la fine.
 
Bakugo sentì un fuoco prepotente nel proprio petto. Una straordinaria forza di volontà, farsi strada dai brillanti occhi scarlatti di lei, ai suoi. Sentì di essere invincibile.
 
«Col cazzo che perdo!» urlò, guardandola. E così ribaltò la situazione. Katsuki era sopra di lui, e con un’esplosione, si diede la spinta per farlo cadere a terra. Jisei guardò esterrefatta la potenza di quel fuoco. Il contraccolpo dell’aria la costrinse a mettere le mani avanti per proteggersi il viso.
 
A terra, Katsuki aveva bloccato gli arti di Midoriya. Aveva messo anche una mano sulla sua faccia, per tenerla a terra. Oh, ha imparato anche questo, pensò Jisei, che ricordò la testata sonora che gli aveva inflitto grazie a quell’errore che aveva commesso con lei.
 
«Non sei affatto debole, Katsuki Bakugo.» sussurrò la ragazza.
 
Quando arrivò All Might, Jisei se la svignò, tornando al dormitorio.
 
 
 
«Scusa.» disse Jisei appena il ragazzo tornò in camera.
 
Lui la guardò, sembrava rilassato. Strinse le spalle.
 
«Avevi ragione. In un certo senso.» rispose lui. «Sapevi di All Might e Deku.»
 
Lei alzò un sopracciglio. «Anche tu.»
 
Rimasero in silenzio. Katsuki si guardò le mani segnate dal combattimento. Poi guardò la ragazza, in piedi, appoggiata al muro e con le braccia conserte. «Perché mi hai seguito?» chiese.
 
«Ero… preoccupata.» ammise lei distogliendo lo sguardo. «Ho esagerato. Sembravi instabile.»
 
«Tsk. Quindi mi hai trattato come un ragazzino bisognoso di aiuto.»
 
Lei ci pensò sopra. Non era distante dalla realtà. «Non hai bisogno di aiuto. L’ho constatato da sola. Hai vinto.»
 
«Cazzo. Ovvio che ho vinto.» disse lui, ricordandosi di averla vista sul tetto di quell’edificio. Ricordò la sensazione nel suo petto. Il suo stato mentale era calmo, ma confuso. Come se a muoverlo fosse un’indistinta sensazione di sicura insicurezza. Si avvicinò a lei. Lei si irrigidì, ma non si mosse in un millimetro.
 
Rimasero in silenzio per qualche momento.
 
«Sei davvero forte.» disse lei senza guardarlo in faccia.
 
Katsuki si avvicinò ancora, erano abbastanza vicini perché le loro maglie di toccassero. Il ragazzo si mise le mani in tasca. Lei non sapeva come reagire a quella vicinanza, ma cercò di rimanere salda. La fronte di Katsuki si appoggiò al muro. Così facendo, lei sentì il proprio respiro sulla spalla, e rabbrividì appena, nervosa. «Non lo sono.» disse lui, aumentando la pressione del proprio respiro sulla sua pelle. «Sono ancora debole. Il mio potere è forte. Io non lo sono.»
 
«Il punto è… che tu puoi essere più forte di così. Non è che sei debole in confronto agli altri. Sei debole in confronto a quello che potresti diventare.» analizzò lei, sempre più nervosa. Non potendo muoversi, sentiva il suo corpo raffreddarsi.
 
«Sei la prima persona che lo capisce.» disse lui. Le sembrò strano, era la prima volta che parlavano senza mettersi a urlare entrambi. «Se non ti muovi ti raffreddi, non è vero?» chiese poi.
 
«Credo sia un sistema di raffreddamento piuttosto insistente. Non ha un pulsante di spegnimento come l’accelerazione. È utile perché così ho un tasso di resistenza molto più alto, e non mi brucio per il veloce movimento delle mie cellule. Ma se rimango ferma per poco tempo, mi raffreddo.» rispose. Aveva le braccia ancora incrociate, e le sciolse. Katsuki ne approfittò per avvicinare il suo petto ancora di più.
 
«Per questo il calore del mio corpo ti ha aiutata a riprenderti, quella notte.» disse lui.
 
Lei, che stava arrossendo velocemente, disse «Sì.»
 
«Capisco. E ora ti sta aiutando?» chiese.
 
«Io…» iniziò a dire lei, in imbarazzo. «Sì, credo…»
 
Rimasero in silenzio ancora un momento, mentre Bakugo si godeva quella sensazione di leggerezza dovuta allo sfogo della battaglia. Aveva la testa tra le nuvole, non rifletteva, non si arrabbiava. Il Katsuki calmo spaventò istintivamente Jisei, abituato a vederlo chiaramente e senza filtri. «Non mi hai ancora chiesto cosa sto facendo in questa posizione.» asserì lui, facendo finalmente la domanda che Jisei stava evitando di porsi.
 
«Non so se voglio sentirlo.» disse lei, perdendo sempre più sicurezza.
 
Lui inarcò appena la testa, le sue labbra erano vicine all’orecchio di lei. Lei guardò con insistenza da un’altra parte, ma sentì chiaramente questo movimento. Le bruciava tutto il corpo. Cercò di concentrarsi sul braccio del ragazzo, che era muscoloso, teso e… niente, non pensare a nient’altro. Cazzo. È un fottuto braccio come un altro, si disse.
 
«Sto per baciarti.» disse Katsuki nel suo orecchio. Sentì Jisei sobbalzare appena, e non avendo spazio di movimento, finì per scontrarsi più forte contro il suo corpo. «Niente cazzo di quirk, chiaro?» continuò a dire. Il mio orecchio prenderà fuoco. Jisei non riusciva a pensare a nient’altro. «Se vuoi prendermi a pugni per fermarmi, fallo subito.»
 
Katsuki abbassò la testa e Jisei, come una marionetta comandata da qualcuno che non era lei, si voltò lentamente per raggiungerlo. Quando le loro labbra furono vicine, Jisei lo fermò con una mano sul suo petto.
 
«Aspetta…» disse, con i pensieri che vorticavano. Katsuki aspettò, senza però allontanarsi. Lei poteva sentire il respiro di lui sulle labbra. Cosa fare? Fermarlo? Tu non vuoi che si fermi. Si lo vuoi. No, non va bene. Però… Jisei stava perdendo il senno. Sentiva il calore del suo corpo sulla sua mano. Non sapeva cosa dire. Cosa doveva dire? Non ricordava. Disse la prima cosa che le venne in mente. «Posso comunque colpirti?»
 
Bakugo sorrise sprezzante. Ci pensò sopra. «D’accordo. Se non ti piace mi lascerò colpire.» disse.
 
Lei sentì che lui si stava riavvicinando, istintivamente la mano sul suo petto si fece più rigida per fermarlo. Katsuki tirò fuori una mano dalla tasca, prese quella di lei sul suo petto, e la trasferì al muro, vicino alle loro teste.
 
Poi la baciò.
 
E lei non poté in nessun modo, assolutamente, fingere che non le stesse piacendo con tutto il corpo. Rispose al bacio. Ogni diatriba nata nella sua mente qualche secondo fa era completamente sparita. Per Katsuki fu lo stesso. Non gli interessava nemmeno di essere picchiato. Cazzo, l’avrebbe lasciata fare. Non importava nient’altro se non i loro corpi che si avvicinavano ancora, e le loro lingue che entravano una nella bocca dell’altro. La mano libera di Bakugo si infilò sotto la felpa che lei aveva rubato, toccò la sua pelle che sembrò scaldarsi ancora di più. Strinse con forza il fianco di lei, la attirò a sé ancora di più. Ancora di più, penso Bakugo, più vicina. Non basta.
 
«Toglietela.» disse lui allontanandosi. Lei lo guardò stupita. L’imbarazzo c’era ancora, ma no, non era imbarazzo. Era desiderio, misto a un senso di inadeguatezza. Leggermente impacciata, portò le mani all’orlo della felpa e la portò verso l’alto, ma mentre i suoi polsi stavano per liberarsi dal tessuto, lui la fermò. Prese con forza la felpa ancora legata ai polsi e la ruotò, bloccandola in quella posizione.
 
«Cosa cazzo…» iniziò a dire lei, ma lui tornò a baciarla, avvicinandola con l’altra mano e tornando a stringere il suo fianco. Continuarono quel ballo ancora un po’, finché Jisei, senza fiato, non allontanò la testa. «Non mi piace essere bloccata.» si lamentò.
 
«Zitta. Mi sembra ti stia piacendo fin troppo. Le tue gambe stanno tremando.» sbottò scaldandosi lui. Poi si fermò, vedendo lo sguardo acceso di lei. Libero i suoi polsi dal resto della felpa.
 
«Bravo ragazzo.» disse lei, riacquistando fiducia. Lui fece per tornare a baciarla, anche se aveva un che di più aggressivo, come a volerla zittire, ma lei lo fermò. «Comincerò a sentirmi a disagio continuando così.» disse sfiorando il suo reggiseno. «Toglitela.» disse imitandolo e stringendo la sua maglia. Lui sembrò adirarsi.
 
«Non darmi ordini.» ringhiò. Anche se l’idea non era male, dovette ammettere.
 
«Fattelo andare bene.» rispose lei.
 
Lui rimase fermo, cocciuto com’era. Poi disse. «Toglimela tu.»
 
Lei non se lo fece ripetere. Prese i lembi della maglia e la alzò. Quando questa fu sparita, lei dovette distogliere lo sguardo dal suo petto, perché la testa continuava a girare. Pensò di migliorare la propria situazione guardandolo negli occhi, ma non fu così. Perché lo sguardo acceso e scarlatto di Katsuki era anche più intenso del suo stesso fisico. Non fece in tempo, comunque, a distrarsi troppo, perché lui la riavvicinò a sé. I loro corpi che si toccavano fece sobbalzare persino lui. La pancia piatta di lei era fredda, lui era bollente. Non capiva perché ma questo lo eccitava ancora di più.
 
Katsuki afferrò i suoi fianchi, la alzò, e facendo qualche passo indietro, si ritrovò seduto sul letto, con lei a cavalcioni su di lui. Le baciò il collo finché sentiva lei che cercava di trattenere versi di piacere. Premette i suoi fianchi in basso, e senti i loro corpi ancora più vicini, mentre il corpo di lui sembrava esplodere. Lei si rese conto del contatto con la sua intimità e non riuscì a trattenere un gemito. Il ragazzo si sentì soddisfatto per la reazione.
 
Lei prese coraggio, sentendosi umiliata per quella ammissione di piacere. Ora che era sopra di lui, aveva spazio di manovra. Attivò il proprio quirk. Lo spinse al muro, tenendo una mano sul suo collo. Lui sembrò innervosirsi. Si sentì controllato da lei. Ma quando guardò i suoi occhi, ugualmente rossi e intensi, si ammutolì.
 
«Mi piace questo sguardo.» disse lei. Lui era corrucciato, mostrava i denti, le sopracciglia erano basse, gli occhi un po’ stretti. Si avvicinò al suo orecchio. «Ti si addice» Jisei iniziò a baciargli il collo, e lui non disse nulla, rapito da quel movimento. Con le mani strinse le sue cosce con forza, e più lei lo baciava con forza, più lui stringeva, in estati.

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Capitolo 4
*** Aspetta, Katsuki ***


Bakugo si svegliò. Era domenica, ed erano le 10 passate. Era strano per lui svegliarsi così tardi. Si girò nel letto infastidito per la spossatezza, allungò un braccio e strinse il materasso. Si destò bruscamente rendendosi conto della cosa. Era senza maglietta. Le lenzuola erano infondo al letto, scombinate. Il cuscino era a terra. La stanza era deserta.
 
Portò alla mente alcuni ricordi raffazzonati della sera precedente. Ricordò di come erano finiti a letto -ne andava fiero, ottima mossa-, e poi di come si erano fermati sul più bello.
 
«Stiamo facendo troppo rumore. Non possiamo continuare. Ci sentiranno.», aveva detto lei.
 
Ricordò di averle urlato qualcosa, tipo che non gliene poteva importare di meno, ma che alla fine aveva ceduto. E ora non era qui, nel suo letto, dove era sicuro di averla vista addormentarsi la sera prima.
 
La giornata passò senza che lei si facesse vedere.
 
 
 
 
Lunedì, tra un cambio dell’ora e l’altro, Katsuki si stava facendo gli affari suoi, rileggendo gli appunti che aveva scritto nell’ora precedente.
 
«Bakugo», lo chiamò una voce. Katsuki alzò lo sguardo, irritato per l’interruzione.
 
«Mezza faccia. Che vuoi?» chiese stizzito.
 
«Devo parlarti di una cosa.» disse Todoroki, senza nessuna inflessione nella voce. A Katsuki infastidiva il suo essere sempre pacato e neutrale.
 
«Quindi non è necessario che io ascolti.» rispose lui.
 
«Sono troppo vicino perché tu non senta quello che ho da dire.» disse. Katsuki si chiese se scherzasse o fosse così stupido da non capire il sarcasmo. «Sei entrato nella mia stanza?»
 
Bakugo aggrottò la fronte. «Uh? Di che cazzo parli?»
 
 
Todoroki lo guardò fermamente. «Prima di andare a dormire, ogni giorno, dispongo una lastra sottile di ghiaccio sull’entrata della mia stanza. Lo faccio anche per allenarmi a mantenere il quirk semi attivo quando dormo e assicurarmi che nessuno entri. Ieri mattina c’erano delle impronte non mie sopra. Quando sono uscito, le impronte bagnate portavano alla tua stanza.»
 
Katsuki rimase sinceramente senza parole. Pensò a molte cose nello stesso momento, ma non si fece prendere da nessun tipo di sensazione che lo portasse a mostrare colpevolezza. «Non so di cosa cazzo parli.» disse, serio. «E comunque è l’abitudine più fottutamente stupida che abbia mai sentito.»
 
Il compagno lo scrutò per qualche secondo. «Ok. Comunque, non manca nulla. Sarà stato un malinteso.» disse.
 
Bakugo rimase in silenzio a fissare il proprio quaderno mentre Todoroki si allontanava.
 
 
 
Passarono alcuni giorni e lei non si fece vedere al dormitorio. Katsuki era andato avanti ignorando la cosa. Ci pensava distrattamente qualche volta, senza soffermarsi troppo. Frequentava una scuola prestigiosa, che succhiava ogni momento libero delle sue giornate. Non aveva tempo per preoccuparsi. E poi, come si era convinto, l’ultima volta che l’aveva vista era in forma. Cazzo, era decisamente in forma, pensò ricordando il suo corpo su di lui. Non aveva senso preoccuparsi per lei. Se la sarebbe cavata.
 
Eppure, Katsuki sembrava di pessimo umore. Si arrabbiava più del solito, e quando tornava in dormitorio lasciava la finestra aperta. Aveva risistemato il futon solo dopo due giorni, e farlo lo aveva infastidito parecchio.
 
Aveva parlato con Kirishima della cosa. Non gli aveva detto proprio tutto. Gli aveva detto che se n’era andata e che ora era tutto a posto.
 
«Bakugo, sei proprio sicuro che sia tutto ok?» aveva detto l’amico guardandolo preoccupato. «Sembri teso.»
 
«Zitto. Non sono teso. Sto cominciando finalmente a dormire tranquillo di nuovo.» aveva risposto lui. Kirishima aveva sorriso imbarazzato.
 
«Ehm? Perché non dormivi bene?»
 
Katsuki aveva sbuffato, stizzito. «Perché chissà a che cazzo pensava quella. Alla fine, era solo una psicopatica che aveva bisogno di una cuccia.»
 
Eijirou si chiese da dove arrivasse questo cambio di opinione. All’inizio gliene parlava bene, tolti gli insulti. E i riferimenti a quanto fosse ovviamente più forte lui.
 
Katsuki, dopo una settimana, cominciò a pensarci più spesso. Aveva iniziato a chiedersi seriamente perché fosse andata nella stanza di Todoroki. Più ci pensava, più si convinceva che la cosa fosse troppo sospetta. Era libera di muoversi a suo piacimento, senza farsi vedere, un quirk perfetto per la fuga e il movimento. Eppure, la cosa che lo faceva incazzare di più, era che se ne era andata senza dire una parola. E si chiedeva perché la cosa lo facesse arrabbiare. Le aveva promesso che si sarebbe pentita di averlo sfidato una seconda volta. Sentì quella sfida sgusciare via. Voleva provare a sconfiggerla ancora. E non poteva. Si aggrappò a questo sentimento fastidioso.
 
Quel fine settimana cominciarono le lezioni supplementari per ottenere il certificato temporaneo da eroe. Smise di pensare alla cosa e si impegnò. La rabbia che sentiva lo aiutava nello scopo.
 
 
 
 
Incontrò Kirishima ad un bar nei dintorni della Yuei finito il corso. Gli aveva chiesto di incontrarsi per studiare. Eijirou non era bravo quanto lui a scuola, perciò si affidava a lui se non capiva qualcosa. Passò un’ora o giù di lì, quando il cellulare di Katsuki vibrò. Distrattamente, finché spiegava a Kirishima cosa fossero le equazioni differenziali, sollevò il telefono per leggere e si interruppe a metà frase.
 
«Ohi, Bakugo, se ti distrai a metà frase capirò meno di prima» si lamentò il compagno.
 
Bakugo rimase interdetto. «E questo… Che cazzo significa?»
 
Kirishima lo fissava corrucciato. «Che succede?»
 
Katsuki mostrò il telefono a Kirishima. Sullo schermo vide una chat con tre messaggi.
 
 
Venerdì, 11.34. Bakugo. Se vuoi aiutare Jisei, la troverai a questo indirizzo. Distrarrò chiunque si trovi nelle vicinanze alle 9 in punto. Fatti trovare. La stanza dove sta si trova sul retro. Non dovrebbe essere difficile per te entrare. E pensa a una via di fuga efficace. Al resto penserò io.
 
Venerdì, 11.35. Non fare mosse strane. Non attaccare nessuno. Portala in salvo e vattene. Non è una trappola. Ma anche se fosse verrai comunque, no?
 
Oggi, 18.30. Katsuki. Vediamoci a questo indirizzo oggi alle 7.
 
 
Kirishima sbarrò gli occhi. «Lo stesso numero.» vide lo sguardo di Katsuki adirarsi. «Non avrai intenzione di…»
 
«Lo sai benissimo che ci andrò.»
 
«Potrebbe essere una trappola!» sbottò Kirishima, incredulo.
 
«Che cazzo stai dicendo? Se avesse voluto prendermi lo avrebbe fatto la prima volta.»
 
Kirishima non sapeva come controbattere. «Cazzo!» strillò, guardando il quaderno su cui stava studiando pochi minuti fa. Ora le equazioni sembravano più facili. «Perché dovresti andare?»
 
«Come perché?» disse seraficamente Bakugo, sorridendo. Gli occhi gli si erano accesi. «Perché qualcuno mi ha appena lanciato una sfida.»
 
Kirishima sbuffò esasperato.
 
 
 
Katsuki e Kirishima si trovarono all’indirizzo prestabilito alle 6.55. Era un prefabbricato in metallo e cemento, non c’erano negozi nelle vicinanze. Perciò il luogo sembrava praticamente deserto. Si guardarono attorno, e decisero di entrare nel cancello costituito da un poderoso muro di mattoni.
 
Appoggiata al muro, nel piazzale, Jisei aspettava.
 
 
Quando lo vide, alzò lo sguardo per salutare, ma Katsuki aveva già buttato la cartella e preso il volo. «Cosa…» provò a dire, ma dovette attivare il suo quirk e allontanarsi in un metro per schivare un pugno. Katsuki la guardò, aprì la mano e la nitroglicerina implose, facendo saltare via Jisei.
 
«Ohi! Bakugo! Che cazzo fai?!» urlò Kirishima.
 
«Che cazzo ti sembra che faccia?» sbottò in risposta Katsuki. Jisei era ancora a terra, sgomenta. Il ragazzo riprese ad attaccare a raffica. Puntava alle gambe, alle braccia e alla testa.
 
Jisei si ritrovo più volte sull’orlo di farsi colpire, confusa dalla situazione. Indietreggiava invece di attaccare.
 
«Katsuki! Aspetta un mom-»
 
«Zitta! Stronza! Ti ammazzo.» ringhiò lui, tornando ad attaccarla. Bakugo fece scorrere una mano dal basso, mirando al mento di Jisei, che si allontanò ancora coprendosi il viso per il calore. Quando le fiamme si esaurirono, sgomenta, vide la mano destra di Katsuki attaccarla frontalmente. Lei stava ancora atterrando, perciò poteva solo disattivare il quirk. Non poteva cambiare traiettoria, né arretrare senza prima aver toccato terra. Katsuki aveva uno sguardo folle. Aprì la mano, una forte implosione si liberò.
 
Jisei la prese in pieno sul petto. Venne scaraventata dall’altra parte del cortile, addosso a un muro, dove senza fiato toccò terra. La maglia che aveva addosso era mezza bruciata, la sua pelle rossa. Ansimava con forza.
 
«Cazzo.» disse Jisei. Stringendosi lo stomaco dolorante e ustionato. Aveva gli occhi ludici.
 
«Bakugo, piantala! La ammazzerai sul serio così!» urlò ancora Kirishima. Katsuki prese ad avvicinarsi, seguito dal compagno preoccupato.
 
«Katsuki.», disse la ragazza finché il ragazzo si avvicinava. «Non sembri contento di vedermi.» asserì sarcastica.
 
«Ah, tu dici?» replicò lui a bassa voce. «Sono più che contento di farti il culo.»
 
Jisei si pulì il sangue che le era fuoriuscita dalla bocca sul mento. «Kirishima? Avete un buon medico alla Yuei, vero?» chiese lei. Eijirou spalancò gli occhi.
 
Jisei si alzò in piedi, senza che l’altro rispondesse. Katsuki si avvicinava. La ragazza attivò nuovamente il quirk. In un secondo, Bakugo vide i capelli di lei sollevarsi, i suoi occhi erano di un rosso scuro, diverso da quello che aveva visto le altre volte. Finché se ne rendeva conto, un pugno sorprendentemente forte lo colpì in faccia. Si ritrovò a terra con il naso sanguinante.
 
«Che c’è, moccioso? Questo era a solo 30 chilometri orari.»
 
Katsuki alzò lo sguardo furioso, sorrideva in un modo folle. I suoi occhi brillavano. «Ora ti ammazzo.» disse. Si alzò, ma Jisei gli fu addosso di nuovo, lo prese per la maglia e lo scaraventò sul muro dove prima era finita lei. Lui attutì lo scontro detonando un’esplosione alle sue spalle, rallentando e trovandosi in piedi. Jisei sparì ancora, e lui alzò entrambe le mani. Un’altra esplosione. Jisei subì il contraccolpo, ma si rimise in piedi subito. Raggiunse velocemente Katsuki che aveva sollevato un pugno. Lei fece lo stesso, afferrando la sua maglia per attirarlo a sé.
 
Kirishima si mise in mezzo.
 
Si fermarono entrambi per un soffio, guardandosi in cagnesco, con i pugni ancora alzati.
 
«Datevi una cazzo di calmata o giuro su All Might che chiamo la polizia.»
 
Jisei vide una scintilla negli occhi di Katsuki. Si colpirono nello stesso momento, evitando Kirishima.
 
Finirono entrambi a terra. Ansimanti.
 
Kirishima, sgomento, li guardò uno alla volta. «Bakugo, coglione! Non hai ancora il permesso di usare i tuoi poteri fuori dalla scuola! Se ti beccano…» sbottò.
 
«Non me ne frega un cazzo! Voglio pestare questa faccia di merda! Deve pentirsi!»
 
Jisei lo guardò, alzandosi. Le faceva male la pancia, la massaggiò con una mano. «Si può sapere di che cazzo dovrei pentirmi?» Sembrava sinceramente confusa.
 
Katsuki sembrò sul punto di esplodere da dentro, i suoi occhi erano venati di rosso. «Non fare finta di nulla! Bastarda! Ti voglio picchiare così forte da farti scordare quando cazzo sei stupida!»
 
Jisei fece un verso di stizza. «Mi hai rotto.» disse. Fece per andarsene.
 
Bakugo si rialzò velocemente e andò verso di lei. «Ohi! Non abbiamo finito!» sbottò raggiungendola. «Ohi! Non mi ignorare! Ti ho detto che non abbiamo finito.» Jisei non si girò. Katsuki si infervorì ancora di più. «Fermati! Ti ho detto di fermarti! Mi devi delle cazzo di…»


 
Jisei afferrò il polso della mano che stava per afferrarle la spalla. Gli lanciò un’occhiata omicida. «Ficcatelo bene in testa.» iniziò a dire, lentamente. «Io. Non. Ti. Devo. Un. Cazzo.»
 
Katsuki stava per farla saltare in aria, ma Kirishima parlò prima. «Aspetta. Forse non devi qualcosa a lui, ma a me sì.»
 
Jisei lo guardò. Poi guardo Katsuki, di cui teneva ancora il polso. Lo lasciò, cercando di calmarsi. Riportò lo sguardo su Kirishima. «Ok. Venite con me». Kirishima pensò che la ragazza ci mettesse davvero poco a cambiare idea. Poi lei si rivolse a Katsuki, che si era infilato le mani in tasca. «Vedi di tenere le mani apposto.» disse perentoria.
 
«Non hai detto così l’ultima volta» sussurrò, in modo che solo lei potesse sentirla. Jisei arrossì, si voltò, e fece strada.
 
 
 
 
Li portò all’interno del prefabbricato. Era deserto, ma pulito. Salirono due piani. Finché Arrivavano al terzo, Katsuki sbottò, «Dove cazzo ci stai portando, stronza?»
 
Una vena sulla fronte di Jisei prese a pulsare, ma lo ignorò. Aprì una porta, all’interno si trovava una stanza con un letto, una scrivania, un armadio, un piccolo frigo e… un cane. A terra c’erano pezzi di quello che sembrava cibo per animali, accanto a una ciotola vuota.
 
«Ma che cazzo…» iniziò Katsuki,
 
«E’ anche questo il motivo per cui…», iniziò a spiegare Jisei, interrompendosi quando vide Katsuki che la guardava. «Si chiama Kubo.»
 
Kubo era un cane dal pelo molto chiaro e gli occhi scarlatti. Vedendo i ragazzi, fece un buffo abbaio. Sembrava avanti con gli anni. Era pieno di cicatrici sul muso, e aveva uno sguardo aggressivo.
 
Rimasero tutti e tre in silenzio. Jisei si portò una mano alla nuca, massaggiandosela per il disagio. «Non mangiava da quando sono stata presa in ostaggio. Aveva cibo per qualche giorno, ma credo abbia comunque patito la fame.»
 
Katsuki ricordò distrattamente la prima volta che si erano visti, e di come lei l’avesse paragonato a un vecchio cane che conosceva.
 
«Bakugo.» lo richiamò Kirishima. «Quel cane ti somiglia.» disse, mettendosi a ridere. Kubo si mise a ringhiare. «Oh cazzo, avete anche lo stesso modo di fare!» sbottò, esilarato.
 
Katsuki guardò un momento Jisei, che stava sorridendo guardando l’animale. Si avvicinò. Sia Kirishima che la ragazza si sorpresero, dal momento che Kubo si tranquillizzò non appena Bakugo gli fu davanti. Cambiò proprio espressione. Katsuki si abbassò. «Ohi. Cane.» disse. L’animale annusò le mani del ragazzo, le leccò. Poi, sembrò decidersi: Gli stava simpatico. Gli saltò sulle ginocchia piegate, e così l’altro gli diede una carezza.
 
«Oh, strano. Non gli piacciono molto gli estranei.» commentò la ragazza.
 
«Io piaccio a tutti.» rispose secco Katsuki.
 
Le altre due persone nella stanza si scambiarono un’occhiata esplicativa. Fu Kirishima a interrompere il silenzio. «Allora… dicevamo?»
 
Katsuki si ridestò. Tirò fuori in telefono, e senza guardarla in faccia, lo mostro a Jisei. Kubo si lamentò per essere stato lasciato a sé stesso.
 
La ragazza vide i messaggi, e sospirò. «Sono tornata solo oggi al vecchio covo. Ci ho trovato il telefono.» spiegò, aprendo il frigorifero e tirando fuori tre lattine. Ne lanciò una a Kirishima. «Non li ho mandati io gli altri due messaggi. È sembrato assurdo anche a me, per questo ti ho scritto.» disse cautamente.
 
Katsuki si voltò, trovando Jisei che gli stava tendendo una lattina. Si guardarono un momento, poi il ragazzo afferrò la bevanda. «Chi è stato?» chiese aprendola.
 
Jisei fece spallucce. «Che ne so. Qualcuno di loro che non mi voleva morta, suppongo. Non ho idea di chi possa essere stato.» ci pensò sopra. «A dire il vero, posso escludere Kurogiri e Dabi. Kurogiri non è malvagio, ma non gli importa della vita di qualcuno che non sia Tomura. Dabi, invece, è solo un sociopatico. O almeno… pensavo fosse così.» bevve un sorso dalla lattina.
 
«Deficiente. L’hai attaccata per nulla.» disse irritato Kirishima.
 
Katsuki rispose stizzito. «Non mi pento di un cazzo.»
 
Jisei aprì l’armadio e tirò fuori una maglia gialla qualunque. «Potreste voltarvi?» chiese, indicando il buco che aveva l’attuale maglietta. Tutto lo stomaco era visibile. Le ferite si stavano già rimarginando. Kirishima si voltò subito, mentre Katsuki ci mise qualche secondo, in cui fece sapere con lo sguardo alla ragazza che non era tenuto a farlo.
 
«Ohi, deficiente, girati.» lo riprese il compagno.
 
«Zitto! Non darmi ordini!» disse prima di girarsi. Finché la ragazza di cambiava, Katsuki chiese «Perché hanno usato il tuo telefono?»
 
«Sarebbe stato più facile nascondere quei messaggi. E poi, una volta scoperti, nessuno può dire con certezza chi possa averli scritti. Ah, e se tu avessi avuto il numero di uno di loro sarebbe stato un problema…» spiegò. «Beh, almeno lo suppongo. Ho finito.» I ragazzi si voltarono. «Vorrei che mi parlaste di quello che è successo quando siete venuti a salvarmi.»
 
I due ragazzi si guardarono. Fu Katsuki a parlare. «Abbiamo preso la macchina di suo fratello -a proposito, guidi come un coglione,» Kirishima si lamentò. «siamo arrivati all’indirizzo che ci avevano scritto. Poi qualcuno ha fatto un gran casino.»
 
«Gran casino?» chiese Jisei.
 
«Ci senti male?» ringhiò Katsuki.
 
«Qualcuno ha fatto saltare in aria l’entrata principale.» spiegò Kirishima. «Appena siamo arrivati, Bakugo non era nemmeno sceso dalla macchina. Appena è successo, sono arrivati dall’interno alcuni di quelli che c’erano nel bosco…» il ragazzo rabbrividì pensando alla paura che aveva provato in quel momento. Jisei se ne rese conto. «Comunque, appena li abbiamo visti lì, Bakugo è sceso, e mi ha detto di venire sul retro e partire appena vi avessi trovato. Nient’altro.»
 
«Sei stato coraggioso, Kirishima.» disse lei con sincerità.
 
Lui le sorrise imbarazzato. «Nah, niente di che. Mi sarei sentito una merda a non fare nulla visto come ti avevano ridotta. E poi, hai salvato il mio amico.»
 
«Mi sdebiterò, prima o poi.» disse tendendo una mano verso di lui. Il ragazzo la strinse. «Io sono Hikari, Jisei.» Katsuki, che non sapeva il suo nome, si incazzò un po’, visto che si era presentata per prima al suo amico.
 
«Piacere di conoscerti, Hikari-san, io sono Kirishima, Eijirou» rispose.
 
«Bel teatrino del cazzo.» borbottò Katsuki. «Ma rimane un dettaglio che devi spiegarmi.» disse poi. Hikari lo guardò, alzando un sopracciglio. «Che cazzo ci facevi nella stanza di mezza faccia?»
 
Kirishima la guardò stupito. Hikari si fece rossa in volto. «Non è come pensi», disse, evitando il suo sguardo.
 
«E che cazzo ne sai di quello che penso? Rispondi e basta. Quello è venuto da me, pensando che fossi io a essere entrato nella sua stanza. Come se me ne fregasse qualcosa di quel coglione.»
 
Hikari lo guardò, sentendosi un po’ in colpa. «Sono stata in tutte le stanze del dormitorio.»
 
I ragazzi la guardarono confusi. «Sei una stalker?» chiese Katsuki.
 
Lei sospirò, poggiò la lattina ormai finita sulla scrivania, poi aprì un cassetto. Ne tirò fuori una piccola pallina metallica. «Credo sia una telecamera. O un microfono.» si toccò il punto sul collo dove Katsuki aveva notato un segno rosso diverso dagli altri la sera in cui l’avevano salvata. «Penso me l’abbiano impiantato nel collo quando mi hanno imprigionata, ma questo l’ho capito solo dopo... Quando sono arrivata al dormitorio, finché le mie ferite guarivano, il mio corpo l’ha rigettato. L’ho trovato svegliandomi la mattina di domenica. Essendo… nascosta, diciamo, sotto l’armadio, ho pensato che fossero riusciti a entrare. Ho fatto il giro di tutte le stanze, senza farmi vedere. Ho ispezionato per quanto ho potuto, ma questa è l’unica che ho trovato. Così ho capito che era stata impiantata su di me, per questo ce n’era solo una.»
 
Katsuki arrossì violentemente, cosa che non venne ignorata da Kirishima. «Che hai?» chiese. Katsuki non rispose. Pensò a quello che era successo quella sera… al fatto che la telecamera doveva essere finita sotto l’armadio quando si erano spogliati, e ora si chiedeva cosa avessero visto. Jisei lo capì, abbassò lo sguardo ugualmente imbarazzata. I due evitarono di guardarsi.
 
Jisei prese coraggio e continuò. «Per questo me ne sono andata. Quando ho visto la telecamera ho dovuto agire. C’era la possibilità che Kurogiri, vedendo l’interno della tua stanza… o di quella di tutti gli altri…» lasciò la frase sospesa. «E poi c’era Kubo… e dovevo recuperare il telefono.»
 
«Zitta.» sbottò Katsuki. «Ho capito, non serve farla tanto lunga.» La guardò. Lei era in imbarazzo e guardava in basso. Le ricordò Deku, il che lo fece un po’ incazzare.
 
Hikari li riaccompagnò di sotto poco dopo. «Kirishima, vai avanti un secondo, devo parlare da solo con… Hikari» disse a fatica Katsuki.
 
«Okkey! Non fare tardi, è ora di cena. È stato bello rivederti, Hikari. Spero di rivederti.» La ragazza lo salutò con mano.
 
Katsuki si voltò finché lei sorrideva come una scema e sventolava la mano come una scema più grande, pensò. «Che vuoi Katsuki? Da quando mi chiami per nome?» chiese lei voltandosi e cambiando repentinamente espressione.
 
«Uh? Dov’è finita la gentilezza che hai riservato a Kirishima?» chiese lui.
 
«Tu conosci la parola gentilezza? Pensavo non ti avessero mai spiegato cosa significa.» rispose lei.
 
«Già! Perché è una stronzata fottutamente inutile per idioti.» sbottò. Poi sembrò diventare teso improvvisamente. «Tu…» iniziò lui puntandole il dito contro. «Io…» Katsuki si passò la mano tra i capelli, grugnendo. «Forse potremmo asserire che…» Hikari continuò a fissarlo, confusa. «Cazzo! Perché la faccio così difficile? Scusa!»
 
«Oddio.» disse semplicemente lei.
 
«Che cazzo vuol dire! Ti sto chiedendo scusa!» sbottò incazzandosi.
 
«Per cosa?» chiese lei.
 
«Ma che cazzo hanno le persone nel cervello? Ti sto chiedendo scusa per averti attaccata senza averti chiesto prima una spiegazione.»
 
«Ah, sì.» rispose semplicemente. Fece spallucce. «In realtà mi sono divertita.» disse. Gli occhi di Katsuki brillarono un momento. «Infondo non è male combattere contro di te. L’ho pensato anche la prima volta che ci siamo incontrati.» Si voltò, e gli sorrise. «Siamo piuttosto compatibili, sul piano fisico, non credi?»
 
«La prossima volta non mi tratterrò. Ti conviene prepararti.» disse lui semplicemente. «E comunque ho vinto io.»
 
«Che? Ti ho quasi rotto il naso. E sono stata io a trattenermi.» sbottò lei aggressiva.
 
«Si, si. Come no. Non cambiarti più quando c’è qualcuno che non sono io nella stanza.» asserì casualmente lui.
 
«Tsk. Non rovinarmi i vestiti se non vuoi che mi spogli.»
 
«Ah, è vero. Spogliarti è davvero facile. Dovevo capirlo.»
 
«Bastardo.»
 
«Crepa.»
 
Erano uno a fianco dell’altro e guardavano entrambi un punto indistinto di fronte a loro. Il sole era calato, ma il cielo era ancora un po’ arancione. «Comunque, avrei dovuto dirti che me ne andavo. Immagino ti abbia fatto incazzare.» disse lei.
 
«Non me ne è fregato nulla.» mentì lui. «Ora me ne vado. La situazione si sta facendo imbarazzante. Ho di meglio da fare.» mentì ancora.  
 
Fece due passi, ma lei afferrò una manica della sua divisa. Lui si voltò scocciato. «Cosa?» chiese seccamente. Lei non disse nulla, sperava di avere il coraggio di ammetterlo.
 
«Niente.» disse lei lasciandolo andare. Lui le afferrò la mano sospesa.
 
«Se vuoi qualcosa ti conviene parlare.»
 
«Ho detto niente.» disse lei distogliendo lo sguardo, imbarazzata.
 
Katsuki fece un verso stizzito. Con la mano libera la afferrò per la maglietta e la portò vicino a lui. La baciò. «Che vuol dire, niente?» chiese poi sulle sue labbra, fissandola negli occhi. Lei non rispose. Katsuki si allontanò imbarazzato. «Ora devo proprio andare.» disse, improvvisamente mansueto e rosso in viso.
 
Finché se ne andava, Hikari si chiese tristemente quanto ci avrebbe messo a capire che gli aveva mentito.






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Ciao extra. Ho finito di leggere da poco gli ultimi capitoli. Cosa cazzo sta succedendo? Fuck
Comunque mi sono resa conto che ho sessualizzato un personaggio che ha 17 anni. Mi sento in colpa. Farò finta che ne abbia di più, perché dai cazzo ha l'aspetto di un ventenne e la voce di un fumatore accanito mamma mia che bella voce che gli han messo come fate a dire che ha 17 anni?

E commentate. Stronzi! Zitti! No, commentate! Questa diventerà la storia numero 1! Fatemi sapere cosa ne sapete, anche se so già che è perfetta!

 

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