Come il Sole e la Notte

di Jashin99
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ALBA, MATTINO, MEZZOGIORNO ***
Capitolo 2: *** POMERIGGIO, TRAMONTO, CREPUSCOLO ***
Capitolo 3: *** SERA, NOTTE, AURORA ***



Capitolo 1
*** ALBA, MATTINO, MEZZOGIORNO ***


Il mare quella mattina era calmo, come raramente se ne vedevano da quelle parti. La notte prima era stata di tempesta e l’aria umida pungeva fresca, eppure un Sole immemore brillava cheto sopra le sue scaglie azzurre. Era come se un grave male avesse portato con sé la tempesta e poi si fosse inabissato: non diceva per dire, aveva percepito qualcosa di soprannaturale e malefico quella notte; non le era mai successo prima, era come se un terzo occhio che non sapeva di avere si fosse aperto all’improvviso. Per questo era lì.
Ora sembrava tutto tranquillo, niente fuori posto. Forse era stato un falso allarme, non conosceva ancora bene la magia di quella nazione; ma da quello che aveva visto, ne era satura in ogni suo angolo. Un tale potere profano di cui le Scritture non-
Cos’era quello?
Mise un piede sulla superficie diagonale della parete e si lasciò scivolare, finché i suoi stivali non affondarono sul manto sabbioso della spiaggia. Sguainò la spada (meglio non rischiare). Si avvicinò prudentemente, riconoscendo a mano a mano quello che stava puntando. Uno spettacolo a cui aveva già assistito molte volte: un cadavere.
Poteva essere stato semplicemente portato dalla corrente, ma la sua posizione era troppo particolare: sembrava essere emerso dalle onde, per poi cadere e cercare di strisciare con le braccia. Il suo torso era nudo, probabilmente il vestito era stato stralciato dal mare, però una strana massa nera gli attraversava… no, le attraversava il bacino. Una cosa molto lunga, come una coperta; uno scialle? Un mantello?
L’aveva quasi raggiunta: una giovane donna dai lunghi capelli corvini, che ora erano sparsi nella sabbia bagnata, e con le unghie… ben curate. Guardare le unghie era utile per rivelare chi aveva davanti, in questo caso una donna che curava il proprio aspetto, forse addirittura benestante; il genere di persona completamente fuori posto lì, e che in un naufragio andava a fondo per prima. La faccenda si faceva sempre più strana.
Ora le stava davanti. Le onde le bagnavano ritmicamente le suole degli stivali e riempivano il corpo di alghe e conchiglie. Il suo viso, schiacciato per metà nella sabbia e per l’altra coperto dai capelli, era mortalmente pallido.
Non è una coperta, sono ali!” Ali scure da uccello, probabilmente un tempo maestose ma ormai con poche piume lungo lo scheletro; la furia dell’acqua doveva averle spezzate. Che fosse una di quelle creature impure, una vastaya?
Un piccolo movimento attirò la sua attenzione, impercettibile se non fosse stata in guardia. Le sue dita si erano mosse. Allora era ancora viva. Posato di nuovo lo sguardo sul suo viso, vide sulla palpebra aprirsi una fessura e le sue labbra screpolate schiudersi.
Rantolò qualcosa, non era certa che l’avesse vista, forse stava esalando l’ultimo respiro. Attorno a lei vedeva una strana ombreggiatura sfuocata, e poi capì che si trattava la sua aura. Era debole, ma percepiva una traccia della notte prima: era qualcosa di eretico, oscuro, nemico.
E non era ancora morta.

La donna chiuse occhi e bocca e perse i sensi. Lei rinfoderò la spada, sistemò lo scudo sulla schiena e si abbassò su di lei. Scostò una ciocca di capelli, rivelando un orecchio appuntito e una linea di trucco sbavata attorno all’occhio e sulla guancia. Tutto di lei indicava a una creatura delle tenebre.
Le toccò la pelle con un dito, e quella biascicò ancora. Si stava aggrappando alla vita in ogni modo.
Chiuse gli occhi e sospirò.
Stando così le cose…”.



K…
K…
-Cosa guardi, ragazzina?-.
-Uh?- Morgana rialzò lo sguardo sul vecchio che le stava davanti, che ora la fissava con uno sguardo truce.
-A-Ah, chiedo scusa, e-ecco io…-.
Il vecchio grugnì stizzito e strinse rabbrividendo la coperta lurida che lo avvolgeva. Abbassò lo sguardo, segno che voleva dimenticarsi di lei.
-P-Per caso tu sei un… mago?-.
Il vecchio sgranò gli occhi e la guardò come se avesse appena visto un fantasma. L’afferrò poderosamente per un braccio e: -Che cosa hai detto???-.
-No, ti prego, io voglio solo…-.
Il vecchio si guardò intorno per capire se qualcuno li aveva sentiti, ma in quel vicolo c’erano solo altri fantasmi come lui.
-Chi te l’ha detto?- Sussurrò trattenendo la paura.
Lei si sentiva il cuore in gola, stava per scoppiare a piangere e la presa iniziava a far male.
-Io-io posso sentirlo. Voglio solo capire perché dovete vivere così! Cosa vi è successo per…-.
-Cosa ci è successo? Niente, niente!- Esclamò il mago con la bava alla bocca: -Cosa può saperne una ragazzina???-.
-Ah, eccoti qui.-.
-Kayle!-.
Il vecchio si spaventò per la nuova arrivata e la strinse con più forza; ma come incrociò gli occhi della bambina bionda, si acquattò sulla parete nascondendo le mani.
-Morgana, perché continui a giocare con questa gente?-.
Morgana gonfiò le guance: -Non sto giocando, sorella! E non dovresti rivolgerti a loro così!-.
L’altra le rivolse uno sguardo atono, a cui era abituata da tempo: -Stai perdendo tempo qui; e poi dovresti sapere che non gli è permesso di essere liberi.-.
Il vecchio uggiolò e Morgana prese la sorella per le spalle: -Kayle, non chiamare i soldati! Non ha fatto niente di male!-.
-Uff… non ti capisco, se venissi con me alle lezioni impareresti molto di più che andandotene in giro. Coraggio, torniamo da nostro padre.- Si voltò e Morgana sapeva di doverle dar retta. Kayle camminava velocemente ed era più alta di lei, perciò doveva praticamente correre per starle dietro.
-Io voglio… solo… aiutarli!-.
Kayle si fermò, e così Morgana. La strada intorno a loro si fece sfuocata e una luce abbagliante pervase l’aria. Seguendo un impulso irrefrenabile Morgana allungò la mano verso la sorella, ma questa sembrava irraggiungibile. Non le vedeva il volto, ma sapeva che qualcosa stava cambiando.
-Vedi, è questa la differenza tra noi: tu vuoi aiutarli uno alla volta… mentre io li aiuterò tutti.-.
Poi la luce fu troppa.
-Kayle!!!-.
Kayle.”.
Morgana riprese conoscenza senza quasi rendersene conto, furono le ferite ad avvertirla di essersi svegliata. Sentiva il corpo dolere e bruciare al punto che dubitava di potersi muovere. Moriva di sete. Soffriva troppo per essere morta.
Ricordava… ricordava di averla vista un secondo prima di svenire, la sua armatura scintillante come il Sole, e poi basta. Era sua prigioniera? Perché non l’aveva uccisa? Doveva guardare, non aveva altra scelta.
Scorse un fuoco da campo ardere alla sua altezza. Era per terra dunque. Doveva provare a muovere la testa per vedere qualcos’altro, ma anche solo spostare le pupille sembrava uno sforzo enorme.
Un sospiro roco le sfuggì dalla gola. Sentì un’armatura cigolare, e dopo qualche secondo dei passi avvicinarsi.
-Sei sveglia?-.
Non era Kayle: non aveva mai sentito quella voce prima d’ora. Non sapeva se esserne sollevata o meno. La donna misteriosa si fermò davanti a lei, e dal poco che riusciva a vedere aveva un’armatura dorata addosso.
-C…chi…-.
-Non ti sforzare. Il tuo corpo si sta riprendendo in fretta, ma hai ancora la febbre. Riposati per ora.- La voce di una guerriera, dura e malcelatamente ostile. Ah, certo, non aveva un aspetto rassicurante; ciononostante le stava salvando la vita.
-G… zie…-.
La guerriera rimase muta, poi alzò i tacchi. Morgana scivolò di nuovo nel sonno.



Non era umana, e non lo diceva solo per le ali o le orecchie. Quando l’aveva trovata, non pensava che sarebbe sopravvissuta allo stato in cui versava; invece nel giro di due giorni le sue ferite erano quasi tutte guarite. Aveva avuto però il tempo di esaminarle: tagli, graffi, scorticature, bruciamenti, tutte con una traccia magica oscura. No, meglio dire putrida. Del genere che il corpo di una qualunque persona sarebbe andato subito in cancrena.
D’altra parte, se si trattava di una creatura d’ombra, aveva un aspetto molto atipico anche ad un’ispezione più accurata. Poteva quasi passare per un’umana, quindi se era un mostro doveva essere particolarmente potente. Strano allora che venisse attaccata da altri seguaci delle tenebre, e nientemeno ferita gravemente. Una creatura eretica… nemica di altre? Doveva capirci di più.
Si addormentò seduta e si risvegliò così. Ormai le sue ossa erano abituate a dormire in quel modo, quindi non ebbe problemi a rialzarsi. Notò che la sua ospite stava mangiando alcune delle sue bacche con l’avidità di chi si trova davanti un banchetto. Per un secondo pensò di sguainare la spada, ma ci ripensò: ridotta all’osso, si reggeva con una mano e le sue gambe erano rimaste sdraiate, la fame era l’unica cosa che l’aveva fatta muovere.
-Parli la mia lingua?-.
La dama alata si bloccò, accorgendosi di lei solo in quel momento. Mandò giù e sussurrò: -Sì.-.
Beh, questo era strano. Quanti a Ionia conoscevano la lingua Yazic del Monte Targon? Al punto da usarla spontaneamente, come lei la sera prima?
Che sia un’arpia? O un demone magari? Non ho mai sentito di demoni e arpie erbivori…”.
-Hai un nome?-.
-Morgana.-.
-Morgana.- Ripeté lei: -Ti serve qualcosa? Hai sete?-.
Morgana la guardò con i bulbi scavati nelle orbite, e annuì flebilmente.
-Prima voglio essere sicura che non mi attaccherai una volta che ti avrò dato le spalle.-.
-Lo… prometto…-.
-Mh.- D’altronde non le si era nemmeno avvicinata mentre dormiva. Le diede da bere, poco, o avrebbe vomitato tutto. Morgana chiuse gli occhi assaporando il sorso, incurante di stare scoprendo il collo a quella che poteva essere una nemica.
-Gra… zie…-.
Si rimise seduta, fissandola attentamente per studiare i suoi movimenti. Le ali, che sembravano atrofizzate, non si muovevano proprio, ma ogni tanto vedeva i piedi muoversi.
-Quando avrai finito, devo farti alcune domande.-.
Morgana annuì. Mangiata l’ultima bacca, fu lei a parlare con un filo di voce: -Ti devo la vita, e non conosco nemmeno il tuo nome.-.
-Io sono Leona e vengo dal Monte Targon.-.
-Targon… non sentivo quel nome da molto tempo. Leona, non ti sarò mai grata abbastanza…- Le parole diventarono sospiri, Morgana era già senza fiato. Ma Leona voleva le sue risposte, e le voleva ora.
-Come sei arrivata qui? Avevi una barca?-.
-All’inizio…-.
-Quindi hai volato?-.
-S…sì.- Guardò timidamente le proprie ali: -Devo essere caduta.-.
-E da dove sei arrivata?-.
Morgana la guardò intensamente, dietro la stanchezza un occhio esaminatore. La risposta che stava per darle non le sarebbe piaciuta.
-Mi ero rifugiata nelle… Isole Ombra…-.
No, non le piaceva per niente. Per di più le Isole Ombra erano molto a sud, se aveva percorso tutta quella strada con quelle ferite chissà quanto sarebbe stata pericolosa dopo. Sapeva di doversi occupare subito di lei.
Eppure qualcosa la tratteneva dal farlo, se non altro la possibilità che potesse ricavare qualche informazione torchiandola.
-Questa è Ionia?- Domandò flebilmente la corvina.
-Siamo nell’isola di Sudaro.-.
-Capisco.-.
Silenzio.
-Chi è Kayle?-.
Morgana sgranò gli occhi.
-La chiamavi in continuazione quando dormivi.-.
-Kayle era… è mia sorella. Ti avevo scambiato per lei… perdonami.-.
-Era con te nelle Isole Ombra?-.
Morgana rise di un mesto sorriso: -No, non la vedo più da… molto tempo. E un luogo del genere non le s’addice… la amavo molto, ma siamo sempre state… molto diverse.-.
-Parlamene ancora.-.
Morgana distolse lo sguardo: -Non posso… mi dispiace…-.
-Peccato.- Leona si mise in piedi, e quasi subito Morgana percepì la minaccia: -Le Scritture sono chiare, gli esseri come te devono essere uccisi. Tuttavia non capivo come potessi scambiarmi per qualcuno che conoscevi, addirittura tua sorella, ma visto che ti rifiuti di darmi delle spiegazioni…- le si avvicinò, imbracciando le armi. Agiva con calma, poiché vedeva che Morgana era ancora troppo debole per reagire. La donna era stupita da quel rapido cambio di atteggiamento, anzi, sembrava quasi tradita.
-Aspetta… aspetta, per favore.- “Grazie”, “perdonami”, “per favore”, quale demone usava tali termini? Uno molto astuto probabilmente. Ma quale demone poteva fingere… no, aveva già tergiversato a sufficienza.
-Mi hai salvato… la vita, non voglio essere… la causa della tua morte.-.
Ohh! Questa poi!
-Permettimi di aiutarti…- Morgana esalò un profondo respiro e, senza forze, si trovò con la schiena a terra; Leona le era già davanti, spada e scudo imbracciati.
-Dimmi solo perché sei in viaggio… se posso esserti utile in qualche modo lo sarò… ripagherò il mio… debito…- Concluse affannando, e Leona doveva ammettere che i suoi sforzi le valevano la sua compassione. Ma come poteva Morgana aiutarla a… anche se…
-Sono in viaggio alla ricerca di una persona. La perdizione in cui è caduta la sua anima potrebbe averla spinta fino alle Isole Ombra. Dimmi, la conosci forse?-.
-Una persona… di Targon? No…- Ammise. Curioso che non mentisse per avere salva la vita.
-Ma se è come te posso… aiutarti a trovarla…-.
-Come me?- Doveva badare meglio alle proprie parole.
-Tu hai… raggiunto la vetta… vero?-.
Leona socchiuse gli occhi: -Come lo sai?-.
-Lo posso sentire… non sei come nessun’altra persona che… che abbia mai incontrato…-.
-Quindi mi stai proponendo di aiutarmi a cercarla? E perché dovrei fidarmi?-.
-Prendi tutte le precauzioni che vuoi… ammanettami, legami… quando avrò saldato il mio debito potrai fare ciò che vorrai…-.
La parola di un demone non valeva molto, ma era pur vero che al momento Leona non aveva molte piste da seguire. Squadrò attentamente la donna ai propri piedi, valutando se salvarle la vita una seconda volta.
-Molto bene.-.



Il primo giorno di cammino non fu facile: Leona non dava cenno di preoccuparsi se poteva o no tenere il suo passo, la strattonava per la corda obbligandola a seguirla. Camminarono ai piedi delle montagne, in uno spazio dove cresceva una macchia verde.
Che umiliazione, e che ironia: per la prima volta dopo secoli si era ritrovata con le ali libere, e poco dopo l’intero suo corpo era incatenato. Le energie che stava recuperando forse le avrebbero permesso di soggiogarla, ma Leona dava tutta l’aria di non essere persona da farsi sottomettere facilmente. Inoltre, nonostante tutto, non voleva combattere con lei, non dopo che le aveva salvato la vita.
Chissà se Kayle… no, Kayle al suo posto non ci avrebbe pensato due volte a ucciderla. Invece quella Leona era capace di compassione, come la Kayle di un tempo.
Le ore passarono lente, per tutta la giornata non si scambiarono parola; ogni tanto Leona si girava per controllarla, ma tutto lì. La sera le diede qualcosa da mangiare, solo perché il giorno dopo potesse camminare. Si mostrò stizzita quando la ringraziò, e Morgana si ripromise di non farlo più.
La notte fu tormentata da incubi; non come il sogno della volta prima, erano molto più recenti, popolati da spettri, disperazione, stridore di ferri e denti, nemmeno l’oscurità le diede pace. La sveglia fu rude e si rimisero subito in marcia; se voleva abbandonare l’isola, Leona doveva avere una barca ormeggiata da qualche parte.
Leona… cercare di scrutarla era come guardare il Sole. Doveva essere per colpa dell’armatura e del qualunque-cosa-fosse che l’abitava. Le aveva mentito: aveva conosciuto un’altra persona con il suo stesso fardello, e parte di esso era sulle sue spalle. Ma per il resto era imperscrutabile.
Il secondo giorno passò come il primo, con le ferite che però miglioravano, e il terzo pareva essere lo stesso; all’improvviso però Leona si fermò e le fece cenno di non fare rumore. Morgana aguzzò le orecchie: assorta nei suoi pensieri, non si era accorta dei suoni che provenivano poco distante, in mezzo agli alberi. Erano voci di persone, ma di una lingua dura, aspra, che non capiva; un’altra persona parlava una lingua diversa, più melliflua, e dal tono sembrava stare implorando. Dei banditi?
Leona la strattonò con forza, obbligandola a mettere la faccia contro un albero; poi lanciò in aria la corda e la attorcigliò attorno a un ramo, quindi la prese per la nuca e le fece piegare la testa in avanti, insaccandola tra le braccia alzate. Qualche secondo dopo sentì che le metteva delle foglie sulla base del collo.
-Se ti muoverai lo saprò.- Le prime parole che le rivolgeva da due giorni, e ancora quel tono orrendamente spietato: lo aveva già sentito parecchie volte uscire dalle labbra di sua sorella. Si morse il labbro, soffocando la rabbia. Leona si incamminò nel bosco, lasciandola sola; poco dopo, sentì il rumore di lame che cozzavano in tintinnii metallici, troppi perché fossero solo due avversari a combattere.
Prese la sua decisione.



L’uomo la attaccava con la spada imprecando nella sua lingua impura, che sembrava il latrato di un cane a cui avevano tagliato coda. L’altro guerriero cercava di aggirarla, mentre la donna sferzava colpi di catena e il balestriere colpiva ripetutamente il suo scudo. Un bel gruppetto ben organizzato.
KLENG KLENG
Rimase per qualche secondo a scambiare colpi di spada, e proprio quando il secondo pensava di poterla attaccare al fianco, scartò entrambi con una piroetta e puntò la spada contro il balestriere; quello che videro da fuori fu una lama di luce che lo colpiva in petto e lei che in un battito di ciglia si era spostata davanti a lui. L’uomo la guardò spaventato e Leona lo stese con una testata.
Un colpo di catena più forte degli altri si abbatté sulla sua schiena, facendola gemere. Voltatasi, dovette difendersi dalla carica dei due spadaccini, che tenne alla larga con lo scudo. La creatura dentro di lei, la proprietaria della sua armatura, le diceva di ucciderli, ma se avesse liberato i suoi poteri avrebbe potuto ferire l’ostaggio: lo stolto era ancora a terra, troppo attonito per muoversi.
KLENG KLENG KLENG
Una lama la colpì alla gamba, e Leona si piegò di conseguenza. Alzò lo scudo sopra la testa parando il fendente di quello grosso, e lo spadone rimbalzò tanto era stato forte. Prima che l’altro potesse rialzare la spada, gli aveva già ricambiato il favore, ed ora era anch’egli inginocchiato. Incrociò i suoi occhi rabbiosi, a cui rispose con un ghigno compiaciuto. Dopodiché rotolò di lato e si mise alle loro spalle; mentre si voltavano e lei si rialzava, con un ridoppio dritto mozzò la testa del bestione, il cui corpo cadde in avanti inondando il terreno di sangue.
Sentì un urlo femminile disumano e vide la donna piombarle addosso, senza più la catena ma con una lama corta in mano e le lacrime sulle guance. Chi aveva ucciso? Suo fratello? Suo marito?
Parata, parata, parata, le loro lame si incrociarono più volte; Leona provò a colpirla con uno scudo, ma l’avversaria era abbastanza agile da schivarlo ogni volta. Si allontanarono, guardandosi in cagnesco. Quello ferito al ginocchio disse qualcosa, e la donna rispose strillando come un’aquila. Il senso era chiaro: “lei è mia!”.
-Non ci saranno altre albe per nessuno di voi.- Le disse, senza curarsi se l’avesse capita. Lo scontro riprese, ma stavolta Leona lo avrebbe chiuso in fretta. L’energia antica che dimorava dentro di lei illuminò la sua armatura fin quasi ad accecare la nemica, e poi esplose in un onda luminosa che la mandò gambe all’aria. Con un gesto sicuro Leona alzò la spada per darle il colpo di grazia, ma qualcosa di piccolo e veloce la colpì tra lo spallaccio e il collo, dove l’armatura era meno coperta. Un dardo, che aveva bucato l’armatura e l’aveva ferita di striscio, ma quel tanto che bastava da interromperla.
Lo spadaccino le si gettò addosso urlando, certo che non avrebbe reagito in tempo. Che assurdità. Parò con lo scudo e un lampo luminoso uscì dalla sua sommità, stordendolo quel secondo che bastava per affondare la lama sul suo petto. Il tempo si fermò per un istante, mentre lo guardava rendersi conto di essere ormai un cadavere ancora in piedi. Emise un gemito e si piegò verso di lei, senza però che la vita lo abbandonasse ancora. Leona vide il balestriere preparasi a colpire di nuovo e la donna riaversi dalla botta, così spinse in avanti il nemico che investì quest’ultima, facendola ricadere, e ancora con lo scudo respinse la freccia successiva. Superò i due nemici a terra e si diresse verso il terzo, che terrorizzato cercava di ricaricare; diede una spazzata secca e balestra, dita e sangue caddero a terra. L’uomo urlò di dolore, inciampò e scivolò a sua volta. Prima che potesse infierire, però, la donna urlò di nuovo e sentì un tonfo alle proprie spalle come di qualcuno che cadeva.
-Leona, fermati!-.
Leona si voltò furiosa: la brigante era a terra, avvolta da delle specie di catene tinte di tenebra, e Morgana con la mano alzata la guardava implorante.
-Ti avevo detto…- Iniziò lei rabbiosa.
-Non c’è bisogno di ucciderlo! Risparmiagli la vita!-.
Quelle parole la fecero infuriare. Ecco la malvagità scoperta: chiedere pietà per un assassino! Morgana era tale e quale a loro! Ma prima di lei si sarebbe occupata di chi era già a terra.
Il bandito cercava di allontanarsi da lei scalciando e muovendo le spalle, come uno scarafaggio capovolto, senza riuscire a ricordarsi come si faceva a camminare. Ripeteva qualcosa con il cuore in gola, suppliche di certo, suppliche che anche se avesse capito non gli sarebbero valse a nulla.
La voce di Morgana la infastidì di nuovo: -Te ne prego, sii magnanima come lo sei stata con me! Leona, ti prego!-.
Voleva la sua attenzione? Bene! Con un calcio in fronte, dove già sanguinava, stordì il criminale e si voltò di nuovo verso la sua prigioniera.
-O cosa? Userai anche su di me la tua magia delle ombre? Finalmente mostri la tua vera faccia!-.
Ma la sua vera faccia non era quella che si aspettava: non una maschera di male e odio, ma un’espressione di supplica. Le mani erano aperte verso di lei, cercavano anche loro di calmarla. Se voleva attaccarla, certo doveva essere un attacco bislacco.
-Guarda il loro prigioniero, guardalo!- Leona spostò lo sguardo sull’uomo ancora a terra, facendo caso solo allora del sangue che gli usciva dietro la nuca. Vestito leggero con della pelliccia, doveva essere un cacciatore del luogo; e la fissava come se avesse davanti a sé un mostro. Era un ragazzo molto giovane, sui vent’anni. Probabilmente si era pisciato addosso.
-Non è abituato a tutto questo, è solo un ragazzo spaventato! Non mostrargli il lato di te che non sei!-.
Leona aggrottò le sopracciglia e serrò i denti, la creatura dentro di lei scalpitava per incenerire la dama alata; ma non riusciva ad ignorare le sue parole e ancor di più lo sguardo terrorizzato del ragazzo. La donna incatenata ancora si agitava, ma il suo pianto copioso non era mosso dalla rabbia; e intanto guardava disperata la testa mozzata al suo fianco. Non sembrava più la bestia che aveva affrontato poco prima.
Distruggerli tutti, distruggerli ora; avrebbe potuto farlo. Ma poi si ricordò di quando era scesa dal Targon, di quando aveva visto l’operato di Diana. Riluttante, avvelenata, abbassò la spada.
Morgana sospirò di sollievo.
-E ora sentiamo, cosa proponi? Lasciarli liberi magari? Liberi di commettere altro male?-.
-No.- Morgana mosse un passo, al che Leona mosse la spada, e quindi rallentò, mostrandole ogni movimento che faceva. Dai suoi polsi uscirono due catene nere, una entrò nel petto della donna e l’altra la oltrepassò e fece lo stesso con dita-mozze. I due urlarono come se andassero a fuoco, mentre Morgana restava immobile con gli occhi chiusi.
-Che stai facendo? Che magia stai usando?- Si cibava della loro anima? Assorbiva la loro forza? Stava oltrepassando il limite, ma come si mosse per raggiungerla sentì il ragazzo dire in Velariano: -La Dama Velata!-.
Chi?
Morgana riaprì le palpebre e i due smisero di urlare. Il volto diffidente e livido di Leona incrociò quello triste ma deciso di Morgana.
-Hanno patito tutto il dolore che hanno inflitto ad altri. Non saranno mai più gli stessi di prima.-.
-Chi sei tu?-.
-Il ragazzo vivrà in un insediamento qui vicino. Portiamoli da loro, e ti prometto che ti dirò tutto quello che vuoi sapere.-.
Ancora una volta sfidava la sua tolleranza, nascondendo la propria arroganza dietro a una falsa umiltà. Ma sembrava davvero intenta a rispondere alle sue domanda; inoltre il giovane aveva sicuramente bisogno di cure.
-Tu.- Gli disse: -Puoi muoverti?- il cacciatore si alzò lentamente e annuì. Leona mise via le armi e lo aiutò a sorreggersi; eppure non le sembrava riconoscente, ma solo ancora molto spaventato, e per di più da lei.
-Non ti farò del male.-.
-E… e loro?- Chiese titubante.
-Loro?- Si rivolse a Morgana: -Dato che la mia catena non ti trattiene più, usala tu. Ti sei fatta peso delle loro vite, perciò sarai tu a trascinarli.-.
Morgana non rispose, ma chinò solamente la testa. Rimorso, sollievo o condiscendenza che fosse, sapeva che era il suo compito.



Un altro giorno e mezzo di strada. La contusione del cacciatore fortunatamente era meno grave di quanto sembrasse, e i due incatenati camminavano mesti dietro di lei; da prigioniera Morgana era passata a carceriere, ma cercava di non sforzarli più del necessario. Non le parlarono mai, anzi, come sospettava erano intimoriti da lei; ma sapeva anche che in cuor loro li ringraziava, e non solo per aver convinto Leona a risparmiarli. No, era per il dolore che aveva inflitto loro. Il dolore non era solo una punizione: era catartico, l’inizio della redenzione. Il dolore era la lingua universale degli esseri umani: tutti lo provavano e tutti lo temevano, e lo temevano per il cambiamento che portava. Subire e affrontare il dolore voleva dire morire e rinascere, che era quello che stava succedendo a loro in quel momento. Ma il lutto per i compagni caduti era ancora soverchiante, e non poteva escludere tentativi di vendetta; fortunatamente non ce ne furono.
Infine arrivarono a destinazione: un villaggio costiero mediamente abitato. Dopo lo sbigottimento generale, la matriarca del luogo le ringraziò per aver salvato il loro cittadino e avere catturato i due Noxiani. Morgana vedeva rancore animare gli occhi degli abitanti: ignorava la storia di quel luogo, e di Noxus ricordava solo una città lontana da Demacia, non certo lo Stato militare che doveva essere diventato. Offrirono loro una ricompensa, ma entrambe rifiutarono. Dopo qualche insistenza, accettarono di riposarsi lì e ripartire il giorno seguente; Morgana poté indossare qualcosa di migliore dei panni che le aveva dato Leona, anche se era abituata a ben altri abiti. Pazienza. Una volta lasciate sole, la tensione divenne palpabile. Morgana non sapeva se doveva offrirle i polsi per venire legata di nuovo, o aspettarsi un’aggressione.
Leona le fece cenno di seguirla fuori dal villaggio, e si fermarono in un luogo isolato. Il Sole era quasi sparito dall’orizzonte e la Luna le osservava dall’altro.
-Dimmi ciò che voglio sapere.- La lingua della Targoniana era carica di fiele.
-Leona…-.
-Non pronunciare il mio nome. Perché ti ha chiamata “Dama Velata”?-.
-Un tempo ero nota così a Demacia. Non sapevo che anche Ionia conoscesse la mia storia. Io e mia sorella Kayle abbiamo guidato il popolo Demaciano quando ancora non si chiamava così: lei era il giudice e il condottiero, la sua spada calava implacabile sui nemici di Demacia; io ho sempre cercato di salvare quante più persone possibili.-.
-E come? Non mi sembra che tu abbia fatto molto se non farli gridare di dolore.-.
-Io… li libero dal dolore attraverso il dolore. Negare il proprio dolore vuol dire essere schiavi di esso, spinge una persona a compiere il male per cercare di allontanarlo da sé; ma se si realizza davvero il dolore che si è inflitto agli altri, se lo si prova con ogni angolo del cuore, anche l’animo più corrotto può guarire.- Ma questo aveva il sospetto che Leona lo avesse già capito. Che lo accettasse però era tutt’altro discorso.
-Ed è quello che cercavi di fare anche nelle Isole Ombra?- Chiese sarcastica Leona; ma Morgana rispose seriamente: -Con loro è diverso, erano semplicemente anime torturate. So che ti sembra incredibile ma credimi, hanno bisogno di aiuto! Qualcosa le ha intrappolate in un ciclo di morte e sofferenza, qualcosa di straordinariamente potente, ma loro non sono malvagie!-.
Leona si incupì a quell’affermazione.
-Non sono malvagie? Ah, forse rinchiusa nel tuo antro non sapevi che vagano periodicamente per le terre e le città mietendo centinaia di vittime innocenti! La chiamano… Mietitura mi pare. L’unica morte e sofferenza che vedo è quella che infliggono agli altri! Che si fermino altrimenti, che si fermino e si lascino uccidere se davvero vogliono essere liberate! No: sono creature crudeli e maligne! E tu mi stai dicendo non che vuoi difendere loro, invece che gli altri da loro?-.
Morgana scosse concitatamente la testa: -Non è così!-.
-E quei due Noxiani? Pensi di averli curati? Pensi di averli salvati? Sei cieca forse, non vedi che li vogliano morti più di me? Oh, forse non sai nemmeno dell’invasione che hanno portato su queste terre! Credevi che fossero caduti dagli alberi o spuntati come funghi?-.
-Combattere una guerra non ti rende malvagio! Dove tu vedi dei soldati invasori, io vedo delle persone mandate a morire che vogliono solo tornare a casa! E se non ci riescono cosa diventano, che speranze hanno?-.
-Non so sei vuoi ingannarmi o sei tanto stupida da crederlo davvero! Hai visto tu stessa che hanno quasi ucciso quel ragazzo!-.
-Non giustifico le loro azioni, ma capisco la loro paura! Non sono dei demoni, sono delle persone come chiunque altro, sole e spaventate! E poi sei davvero sicura che volessero ucciderlo? Perché non sul colpo allora, perché limitarsi a stordirlo? Forse volevano solo scappare da lui, forse se lo sono trovati davanti e sono andati nel panico!-.
Leona diventava sempre più furiosa a ogni sua parola, ma Morgana non poteva e non voleva rimangiarsi niente: -Come, come puoi decidere che meritassero la morte senza neanche sapere chi fossero, cosa avessero fatto, perché lo avessero fatto?-.
Leona strinse i denti, poi entrambe sentirono il sibilo di un serpente per terra. Con un gesto netto la rossa lo afferrò con una mano e glielo porse: -Una serpe resta una serpe anche se provi a convincerla del contrario: non importa se la accudisci o le vuoi bene o le metti un fiocchetto addosso, è capace solo di uccidere. Tu, se vedessi una serpe mordere qualcuno, ti metteresti nei suoi panni, proveresti pena per lei; invece io non cerco di capire il male…- il serpente si divincolava e mordeva il braccio della sua armatura; Leona allora strinse la presa con forza e sangue verde schizzò dappertutto. Lasciò cadere l’animale continuando ad fulminare Morgana con lo sguardo, che dalla sua non mostrava timore. Non era così impressionabile.
-…Io lo stermino. E quando vedo il Sole tramontare so di avere reso il mondo un posto migliore così facendo. Se gli abitanti del villaggio fossero mossi da buon cuore e li lasciassero andare, qualcuno di innocente morirebbe per mano loro: ma tu sei troppo stolta da ammetterlo!-.
-Ti sbagli. Tu non hai visto il loro dolore, non hai sentito la rabbia che li affliggeva, io sì! Non ti biasimo per averli uccisi mentre combattevi, ma prima o poi sarà la tua sete di giustizia a uccidere qualcuno che non lo merita! Non vedrai altro che un malvagio da sterminare, e quando ti sarai resa conto del tuo errore sarà troppo tardi!-.
-Per allora cento innocenti saranno morti per aver risparmiato chi non se lo merita!-.
-Una seconda possibilità, si tratta solo di quello!-.
-Non la meritano!-.
-Tutti ne meritano una!-.
-NON DIANA!!!- Leona aveva pronunciato queste parole perdendo ogni traccia di controllo, pestando a terra e spiaccicando il corpo del rettile sotto lo stivale. Quell’urlo le aveva tolto il fiato e aveva lasciato Morgana senza parole.
Era stata una stupida: così affascinata dall’armatura attorno al suo corpo da non vedere quella che celava il suo cuore.
-Io…-.
-Basta! Non…- Leona riprese fiato, ma era ancora agitata, e le sue dita fremevano per prendere la spada: -non un’altra parola, o ti taglierò la lingua. Fammi supporre che vuoi usare di nuovo la tua magia e ti taglierò le mani. Mi aiuterai a trovare Diana e farò ciò che devo, ciò che è giusto fare; ma non mi tedierai più con i tuoi sofismi.- si voltò e si incamminò verso il villaggio.
Ora Morgana capiva.
-Mi dispiace per il tuo dolore.-.
Leona si fermò per un momento senza voltarsi, e poi riprese a camminare.



La barca scivolava tra le onde spinta dal vento, lasciandosi dietro una scia lucida che contrastava con le increspature del mare. Il Sole era alto in cielo, sembrava che le stesse parlando, che la abbracciasse con i suoi raggi. Si sentiva forte, invincibile quasi. Soprattutto, si sentiva nel giusto.
Un pesce guizzò fuori dall’acqua e vi si rituffò subito, un pesce che non aveva mai visto, l’ennesima strana creatura di quelle isole; e così gli uccelli dal piumaggio bianco e il becco gonfio che solcavano ripetutamente il cielo, per poi tuffarsi all’improvviso e volare via con il cibo in bocca.
No, non strane. Impure.” Ionia sembrava coesistere con una magia malefica, qualcosa di cui le Scritture non l’avevano messa in guardia. Una magia all’apparenza innocua, ma che nascondeva il marcio; e le persone di lì erano tanto cieche e insensate da ritenerla una benedizione. Per questo sapeva che Diana era lì, era sempre stata attratta da ciò che non capiva essere sbagliato.
Però il Sole illumina questa terra… da esso trae la sua forza… tsch! Che stupidaggine! Essa ne è un parassita, è l’unica verità possibile!”.
Altri pesci saltarono fin quasi alla sua altezza. Li vide bene, anche se solo per un attimo: splendide pinne color arcobaleno, occhi dorati, squame lucide, a cui il Sole dava un aspetto quasi divino grazie ai mille luccichii delle gocce d’acqua che li circondavano. A Targon i pesci dei fiumi erano molto più brutti.
Con la coda dell’occhio vide Morgana sporgersi in sua direzione, e capì di essersi imbambolata. Si voltò con un gesto secco: quel posto era un lento veleno che voleva corroderla, e la Dama Velata il serpente che la mordeva.
Mi dispiace per il tuo dolore.
Che ne sapeva… No, basta! Scacciò via quei pensieri, le davano noia. Tornò a concentrarsi sulla navigazione, ripromettendosi di non badare più ad altre creature marine; ed ecco in rapido avvicinamento il porto di Tuula, da cui era salpata più di una settimana prima.
-Preparati a scendere.- Disse senza attendere una risposta. Quando arrivarono ormeggiò la barca e le venne incontro il noleggiatore che gliel’aveva data, che le porse parte della somma che aveva pagato, come da accordi.
-Allora, vi è piaciuta l’Isola di Sudaro? Chi è la vostra compagna?-.
-Nessuno che ti interessa. Addio.- Si allontanarono, ma a Leona non sfuggì lo sguardo torvo che pensava di averle rivolto di sottecchi. Inoltre, un’altra cosa non tornava: aveva dovuto insistere molto per farsela prestare, visto che era “l’unica barca che aveva”, eppure il borsello da cui aveva tirato fuori i soldi sembrava un po’ troppo carico. Le due cose separate erano un conto, messe insieme facevano venire un sospetto.
Difatti, come uscirono dal villaggio, Leona si rese conto di aver avuto ragione. Guardò Morgana, che scosse leggermente la testa: non c’entrava, le diceva. Avendola sempre tenuta d’occhio, probabilmente non mentiva. Nonostante tutto continuarono a camminare, finché i loro inseguitori non si palesarono.
Leona socchiuse gli occhi: non era tanto il numero a sorprenderla (una decina) ma i loro abiti neri e rossi con maschere che lasciavano scoperti solo gli occhi, a parte un ragazzo a petto nudo dai capelli blu e neri e con una macchia scura attorno all’occhio sinistro; fu lui a pararsi davanti al loro cammino e a puntarle con la sua enorme ed intarsiata falce viola, con un ghigno beffardo sulle labbra.
-Ehilà, straniere, cosa vi porta in questi luoghi?- Chiese in Velariano con torno superbo.
-Siamo solo di passaggio.- Quindi lasciaci passare.
-Uno dei nostri era con te all’isola di Sudaro qualche giorno fa, però non si fa sentire da un po’: non è che l’hai visto?-.
Leona si prese qualche secondo per rispondere: -Se il vostro amico era vestito da contadino e mi stava seguendo, allora l’ho ucciso.- a quelle parole sentì Morgana sobbalzare (non ne sapeva niente visto che era successo tutto il giorno prima che la trovasse).
Il ragazzo con la falce invece fece una smorfia di disappunto; continuava a tenere la falce distesa reggendola con un solo braccio, eppure non sembrava minimamente stanco.
-E come mai l’avresti fatto?-.
-È semplice: mi sono accorta che mi inseguiva e l’ho invitato a farsi avanti. Lui ha reagito attaccandomi, non mi ha lasciato molta scelta.- Quest’ultima parte dando un’occhiata a Morgana, così che capisse che… aspetta, che le importava cosa pensava lei?
-Mmm. Effettivamente era un po’ troppo precoce. Era a caccia di alcuni Noxiani che si nascondono lì, di loro sai qualcosa?-.
-Stai facendo un sacco di domande senza nemmeno presentarti, ragazzino.- Rispose arida lei: -Ostacoli il mio percorso e cerchi di intimidirmi mostrando la tua arma. Non conoscete l’onore qui a Ionia?-.
Il ragazzo diventò serio come una lapide e abbassò la falce: -Hai ragione, noi siamo l’Ordine dell’Ombra. Il mio nome è Kayn.-.
-Kayn!- Esclamò incredulo uno dei guerrieri; Kayn lo fulminò con lo sguardo: -Non ha senso nascondere le nostre identità, una come lei le scoprirebbe in pochi giorni.-.
Gli riconosceva un certo intuito.
-E poi, dov’è finita la nostra cortesia? Non siamo loro nemici, no? Allora, i Noxiani?-.
-Sta a me presentarmi ora.- Rispose invece lei, con una certa scocciatura di Kayn: -Sono Leona e la mia accompagnatrice è Morgana. Per quanto riguarda i tuoi Noxiani…- Sentì lo sguardo fisso della corvina addosso: -…non penso siano affari che vi riguardano. Se il vostro compagno non è stato in grado di trovarli mandate qualcun altro.-.
Visto? Puoi respirare di nuovo, Morgana.”.
-Ora, non c’è motivo di mostrare tanto disprezzo, cara Leona.- Replicò irritato Kayn: -Anche se non sei di questi luoghi, dovresti sapere che i Noxiani non meritano la tua pietà.-.
Le veniva da sorridere a pensare a ciò che stava pensando Morgana in quel momento. Invece rimase atona: -Forse, ma nemmeno voi mi sembrate dalla parte del bene. Non mi dispiace vedere il male distruggersi da solo, ma non ho intenzione di averci a che fare, ragazzino.-.
Kayn arricciò le labbra: -Va bene.- sospirò dopo qualche secondo.
-Cercate di non uccidere quell’altra.-.
I guerrieri si mossero insieme, ma non per venirle incontro: le lanciarono dei pezzi di metallo appuntito che rimbalzarono sulla sua armatura e sullo scudo. A giudicare dal rumore che fecero, però, un’armatura normale sarebbe stata quantomeno intaccata. Alle sue spalle sentì Morgana muoversi e una sfera di magia nera colpì Kayn, che si ritrovò legato alle catene d’ombra che Leona aveva visto addosso alla Noxiana.
I guerrieri allora si decisero a farsi avanti, giungendo da tutti i lati; Leona non aveva intenzione di aspettarli, e colpì uno con la proiezione lucente della sua spada. Seguendo la scia dei raggi solari, gli si piazzò davanti, e il suo slancio fece il resto. La donna si spostò di lato, lasciando cadere il corpo, mentre gli altri la raggiungevano: quattro in tutto, gli altri circondavano Morgana.
Leona convogliò l’energia del Sole nella sua armatura, che brillò intensamente; con sua sorpresa però, il dover chiudere gli occhi non sembrava un peso per i suoi avversari, che si mossero senza esitazione.
KLENG KLENG KLENG
I loro colpi erano decisamente più veloci di quelli dei Noxiani, anche se mancavano della loro forza. Leona arretrò, sentendo l’inequivocabile dolore di un taglio sulla guancia destra. La cosa peggiore era che non si era accorta di quale nemico l’avesse colpita. I quattro si fecero avanti di nuovo e Leona liberò la magia dell’armatura in un’onda d’urto, ma invece che cadere piroettarono in aria e l’accerchiarono.
Pare che li abbia un po’ sottovalutati. Dovrò usare il potere del Sole senza remore.”.
-Argh!- All’improvviso i nemici furono colti da uno spasmo, che Leona riconobbe subito: delle catene nere infatti uscivano dalle loro schiene, catene che uscivano dal corpo di un’ansimante Morgana. La sua prigioniera era anch’essa ferita al viso e a un braccio, e quest’ultima sembrava piuttosto profonda.
-Li tengo io… tu pensa a…- Il rumore di catene che andavano in frantumi la interruppe, e Leona si rivolse a Kayn.
-Visto Rhaast? Te l’avevo detto che mi sarei liberato!-.
Leona gli si avvicinò cautamente, puntandolo con la spada; Kayn fece roteare la falce dietro la schiena e le si scagliò addosso urlando; quando fu alla sua portata, invece che colpirla dall’alto in basso, fece una giravolta su sé stesso mirando al seno destro, dove non aveva lo scudo a difenderla. Sentì la punta graffiare l’armatura e poi scivolare via, e le bastò una rapida occhiata per vedere il danno che aveva lasciato.
Kayn alzò di nuovo la falce, ma stavolta fu pronta a rispondere: fece brillare lo scudo stordendolo per un secondo così da potersi avvicinare di più e poterlo colpire con la spada.
KLENG
Kayn allargò la presa sull’arma e usò il manico per parare il suo fendente, anche lui incurante dell’accecamento. Se si considerava poi che Leona non aveva mai combattuto contro una falce, non era il suo avversario ideale.
-Kh!- Non si perse d’animo e fu lei a piroettare per colpirlo al fianco, ma lo trovò di nuovo pronto e vanificò i suoi sforzi allo stesso modo di prima; ora però che la sua falce era in verticale diede una spinta verso il basso per colpirla alla testa, ma lei si scansò quello che bastava per reindirizzare la falciata con lo scudo. Sentì il ferro stridere sul ferro e poi graffiare l’aria. Kayn indietreggiò perdendola di portata, segno che probabilmente stava per scattare di nuovo.
Si sbagliava.
Con l’ennesima acrobazia diede un montante all’aria davanti a sé, e una specie di scia rossa la investì in pieno petto, mozzandole il fiato. Sgranò gli occhi per l’inattesa mancanza di ossigeno, e Kayn approfittò del suo momento di debolezza per ripetere l’azione di poco prima, scatto e giravolta. Leona lasciò cedere le proprie ginocchia e sentì i capelli alzarsi per la ventata d’aria poco al di sopra, poi spaccò il ginocchio del ragazzo con lo scudo.
-Urgh!!!- Kayn letteralmente saltò via usando l’altra gamba, e Leona si sbrigò a rimettersi dritta; con enorme stupore, vide che invece di atterrare il ragazzo fluttuava a due metri d’altezza, circondato da un alone scuro.
-Bene, sembra proprio che dovrò fare sul serio.- Un cerchio azzurro si accese sul lato della lama e le ombre avvolsero Kayn, dissipandosi dopo un secondo. Il suo aspetto era lievemente cambiato, ora i capelli gli arrivavano fino al bacino e la pelle, già pallida, aveva perso di ogni colore.
È un demone! Non devo lasciare che sopravviva!”.
-Non ci saranno altre albe per te!-.
Kayn le volò incontro e Leona alzò lo scudo per difendersi; ma il nemico la ignorò completamente e la superò. Leona si voltò di scatto e gli lanciò contro l’immagine solare della spada.
Morgana urlò. Le catene si dissolsero come fumo nell’aria e i guerrieri caddero svenuti a terra. Leona vide la donna cadere indietro e Kayn sopra di lei massaggiarsi il mento ustionato, per poi alzare l’arma.
-Maledetto!!!- Si spostò su di lui e la falce vibrò in sua direzione, impattando sullo scudo; Leona la scansò e diede un affondo, ma seppur di poco Kayn era fuori dalla sua portata. Quello che successe dopo fu un’accozzaglia di attacchi e giravolte, lame davanti agli occhi, tagli che si aprivano sulla pelle, occasioni mancate e opportunità colte. Sembrò durare un’eternità, ma forse fu solo una manciata di secondi. Alla fine, Leona riuscì a conficcare la spada tra gli addominali di Kayn, ma la falce calò sulla sua spalla e scavò nella scapola sinistra. I due contendenti si ritirarono, l’uno volando e l’altra camminando, valutando le proprie ferite.
-Piantala di parlare!- Sbraitò Kayn, anche se Leona non stava parlando: -Non mi serve il tuo aiuto Rhaast!-.
Con chi stava parlando? Possibile… un occhio? Quello che prima aveva scambiato per un cerchio era un occhio aperto!
Questa sensazione! Non ho mai provato una cosa simile! Che diavolo è quell’attrezzo infernale?”.
Qualcuno si mosse alle sue spalle, qualcuno di leggero e furtivo. Si girò e lo colpì in faccia con lo scudo, forse uccidendolo o forse solo facendolo svenire. Gli altri sette guerrieri, più quello morto, erano ancora a terra ma si stavano riprendendo, e Morgana? Non aveva tempo di cercarla, perché sapeva di aver dato le spalle al più pericoloso, e si voltò con l’idea di trovarselo davanti. Invece Kayn era piegato su sé stesso e qualcosa si stava formando attorno al suo corpo, come dei corni o spine, mentre la falce vibrava come se stesse per esplodere.
Non doveva vacillare. Si lanciò all’attacco, scudo in avanti a proteggerla e spada distesa sul fianco; ma Kayn, o forse solo la sua falce, si mosse in anticipo e un lampo rosso come il precedente, ma più intenso, le saettò addosso. Non poteva schivarlo, poteva solo incassarlo, ma ignorava se l’avrebbe fermata o meno; ed ecco apparire davanti a sé una barriera viola contro cui il bagliore si infranse lasciandola illesa. Leona proiettò la spada, lo raggiunse, attaccò. Kayn cadde con un gemito.
La guerriera Solare respirò, deglutì, respirò ancora, soffocò un lamento di dolore e fece per muoversi. L’istante dopo sentì una schiena premere sulla sua e due metalli che si legavano.
-Patisci il mio dolore!!!- Morgana spinse via il guerriero di cui non si era minimamente accorta, che si ricongiunse con il resto del gruppo. Uno era senza spada, che infatti aveva raccolto la sua salvatrice.
La mia… salvatrice…”.
-Ahahah!- Sia le due che gli otto si sorpresero nel sentire le risate sguaiate di Kayn; il ragazzo, tornato nel suo aspetto iniziale, si mise seduto, tenendosi la gamba rotta. Forse aveva preso una botta troppo forte.
-Siete proprio una bella coppia, voi due! Beh, visto che non ho intenzione di morirci qui, direi di chiamarla patta.-.
-Come? Ma Kayn!- Protestò uno dei suoi. Anche Leona aveva da ridire: -Non vi permetterò di andarvene! Voi emissari del Male!-.
-Ohh, allora sei un’invasata!- Kayn si risollevò usando la falce come bastone: -Beh, ti scegli i compagni in maniera strana! Allora, senti questa, ti darò una buona ragione per non sprecare la tua vita qui…-.
Leona aggrottò la fronte, tenendo alta la guardia, ma gli uomini di Kayn si limitarono a raccogliere i due caduti e a raggiungerlo.
-Sta per abbattersi su di noi qualcosa di grosso, uno sconvolgimento epocale. Mali antichi si stanno risvegliando e poteri nuovi stanno sorgendo, e presto tutto il mondo ne sarà coinvolto. Potrebbe arrivare dovunque, e lascerà dietro solo ceneri.-.

Kayn fece spallucce: -Almeno così ha detto il Maestro Zed.-.
-Non ti credo.-.
-Sul serio? Non la senti questa elettricità nell’aria, come se da un momento all’altro si dovesse scatenare una tempesta? Non le vedi le nubi all’orizzonte farsi sempre più grosse? Ah, te lo leggo in faccia che è così! Mi chiedo solo dove cadrà il primo fulmine! Non sto più nella pelle… alla prossima, Leona.-.
Una nube di fumo circondò i guerrieri e, quando si diradò, erano spariti tutti.
Leona abbassò le armi, avrebbe dovuto reagire, ma la verità era che le sue parole l’avevano presa alla sprovvista. Una tempesta… una tempesta come mai se ne erano mai viste prima. Persino la creatura dentro di sé sembrava agitata per una tale prospettiva.
-Ah!- L’esclamazione di Morgana la riportò alla realtà: la donna si tamponava una ferita sanguinante allo stomaco.
Leona si impietrì, il mondo attorno a Morgana perse di ogni forma, nella sua mente esisteva solo lei; per un momento pensò perfino di essere sotto qualche incantesimo.
-Ce la siamo vista brutta, eh? Cos’hai? Leona, stai be-
Sentire pronunciare il proprio nome fece scattare qualcosa. E perse ogni controllo.

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Capitolo 2
*** POMERIGGIO, TRAMONTO, CREPUSCOLO ***


Vortice, fiamme, gelo, guerra, urla, lame che affondavano sulla sua carne; e quando pensava di poter dare un argine alla marea veniva sommersa di nuovo.
Il dolore di quegli uomini era caotico, ma di un caos diverso da quello degli spettri delle Isole. Quelli erano stati sottoposti tutti ad agonie immense, travolgenti, ma con delle forme definite, in un certo senso ripetitive; invece quegli otto erano così unicamente… umani, esperienze simili ma separate nel tempo che ora si sovrapponevano senza controllo. Per essere degli uomini avevano sofferto agonie che non avrebbe mai potuto immaginare. Quanto era cambiato il mondo nei secoli in cui si era nascosta?
Poi un dolore più intenso, improvviso, una spada che lacerava l’incubo, la fulminò e la risucchiò via: spalancò gli occhi ma non vide nulla se non la luce del suo dolore; crollò a terra, sentendo liquido bollente scorrere da una fenditura sullo stomaco. Boccheggiò senza più aria nei polmoni e l’oscurità la chiamò a sé.
Rinvenne ritrovandosi in piedi, circondata dalle fiamme, e seppe all’istante dove si trovava. Zeffira. Kayle stava guidando l’assalto, ma dei nemici avevano invaso la città e lei era intervenuta per salvare i suoi abitanti.
Qualcuno chiamò aiuto: una voce bambina, inudibile se non fosse stato per il terrore che le dava fiato.
-Resisti, sto arrivando!- Si mosse cercando di capire da dove fosse venuta, ma non vedeva altro che fuoco. Una figura solitaria si stagliava tra i petali vermigli e la guardava severa, una giovane donna dai capelli bianchi.
-Dove sei, sorella?-.
La sua voce echeggiava terribile nell’aria, come se non fumo, ma solide pareti la circondassero.
Morgana strinse i denti e si tuffò tra le fiamme, individuando finalmente la bimba sotto alcune assi. Lì vicino, corpi adulti carbonizzati.
-Ti tiro fuori da lì!- Non aveva niente da usare per aiutarsi, dovette spostare le assi in fiamme con le mani. Si interruppe per un secondo stordita dal dolore, poi prese la piccola in braccio e si voltò per uscire. La donna di prima ora era in un’armatura splendente, ma incrostata di sangue.
-Mi hai lasciata sola.-.
-Tu hai lasciato sole queste persone!- Le rispose e corse verso l’uscita, anche se non ricordava nemmeno com’era entrata. Le lingue di fuoco la lambirono più volte e non riusciva a schermarsi mentre difendeva la bambina. Nonostante continuasse a correre, la donna appariva sempre al suo fianco.
-Che stai facendo?-.
-Hai permesso tutto questo!-.
-Mi fidavo di te.-.
Morgana scosse la testa e finalmente trovò l’uscita; ma come fu fuori una luce accecante la investì. Kayle era sospesa in aria con le ali spiegate e l’elmo calato sul volto, non una donna, ma una divinità guerriera: il suo corpo emanava fiamme, e tutto attorno erano corpi bruciati. Morgana era paralizzata dalla paura. Kayle le puntò contro la spada e le sue braccia strinsero il vuoto.
L’orrore le strinse la gola.
-No!!! No!!! Perché l’hai fatto???-.
-Hai fallito, Morgana! Di fronte alla scelta della giustizia sai solo fuggire! Ora sono tutti morti, e il loro sangue è sulle tue mani!-.
-Non è vero!!! Tu non sei mia sorella!!! Non sei mia-
-sor-ugh-agh!- Vomitò un fiotto di sangue e divorò l’ossigeno che le mancava. Zeffira era stato molto tempo prima, e quello che aveva visto non era mai successo. Ma questo non lo rendeva meno reale.
Leona!” Alzò la testa per capire cosa stesse succedendo e vide Leona che colpiva uno dei guerrieri in pieno viso con lo scudo, facendo volare denti e sangue. Alle sue spalle una cosa si stava contorcendo… una cosa che emanava una delle peggiori delle auree magiche che avesse mai percepito, forse addirittura più di quelle che aveva affrontato nelle Isole. Leona le si gettò addosso a passi rapidi, e presto l’avrebbe raggiunta; ma seppe in anticipo che la creatura (Kayn?!) l’avrebbe attaccata nel mentre e con una forza tale da spazzarla via, allora alzò la mano e creò una barriera magica attorno a lei. La barriera andò in pezzi ma fece il suo lavoro; poi, come le aveva visto fare all’inizio dello scontro, Leona sparò una lama di luce e si teletrasportò addosso al mostro, colpendolo con una spadata.
L’ha sconfitto!”.
Dei passi rapidi alle sue spalle la misero in allarme: uno dei guerrieri si era ripreso e stava correndo verso Leona che gli dava le spalle. Senza pensarci due volte, Morgana spiegò le ali, raccolse una spada da terra e si mise schiena contro schiena con Leona, appena in tempo per parare lo squalembro. Allontanò l’assalitore, nonostante fossero passati secoli dall’ultima volta che aveva impugnato una spada, e si accorse di avere gli occhi di Leona puntati addosso. La donna dai capelli color rame la guardava incredula, come se avesse appena visto un fantasma.
Poi sentirono Kayn ridere.
...
-Sta per abbattersi su di noi qualcosa di grosso, uno sconvolgimento epocale. Mali antichi si stanno risvegliando e poteri nuovi stanno sorgendo, e presto tutto il mondo ne sarà coinvolto. Potrebbe arrivare dovunque, e lascerà dietro solo ceneri.-.
-Non ti credo.-.
-Sul serio? Non la senti questa elettricità nell’aria, come se da un momento all’altro si dovesse scatenare una tempesta? Non le vedi le nubi all’orizzonte farsi sempre più grosse? Ah, te lo leggo in faccia che è così! Mi chiedo solo dove cadrà il primo fulmine! Non sto più nella pelle… alla prossima, Leona.-.
Kayn e i suoi sparirono in una nube di fumo, lasciandole con un palmo di naso. Morgana non ebbe il tempo per metabolizzare le sue parole, perché la ferita allo stomaco si fece sentire.
-Ah!- Esclamò. Bastò un tocco rapido per coprire la mano di sangue, doveva farsi medicare in fretta. Ciononostante, provava una certa soddisfazione nell’aver vinto quella battaglia.
-Ce la siamo vista brutta, eh?- Chiese sarcasticamente; ma Leona la fissava sbigottita, come se stesse parlando in una lingua sconosciuta.
-Cos’hai? Leona, stai be- Si interruppe quando vide l’espressione della donna cambiare in qualcosa di ferino, furioso, odio e rabbia allo stato puro.
-Che vuoi saperne di me??? Che vuoi saperne del mio dolore??? Sei solo un’altra creatura impura, un demone che cerca di ingannarmi!!! Non sai niente, niente di chi sono io!!!-.
Morgana era senza parole, era la seconda volta che la vedeva in quello stato, ma questa volta cadeva come un fulmine a ciel sereno.
-Leona, calmati, sei ferita…-.
-Non pronunciare il mio nome!!! Che idea ti sei fatta, che siamo amiche??? O che siamo compagne di viaggio??? Noi non siamo niente!!! Tu non sei niente per me, niente!!!-.
A quel punto anche Morgana perse la calma: -Senti, capisco che la vediamo in maniera differente, ma sto facendo di tutto per dimostrarti che siamo dalla stessa parte! Perché non vuoi nemmeno considerare-
-Stai zitta!!! Zitta, zitta, zitta!!!- Leona fece come una bambina capricciosa messa a nudo dei suoi errori, si tappò le orecchie per non sentire: -Non l’ho chiesto io il tuo aiuto, non l’ho chiesto!!! Non avrei mai chiesto l’aiuto di un mostro delle tenebre, l’unica via è quella dei Solari!!!-.
Morgana strinse i pugni, qualunque fosse la via dei Solari la mente di Leona ne era stata irrimediabilmente plagiata; ma non per questo avrebbe tollerato il suo comportamento: -Non puoi proprio accettare che esistano cose al di fuori dei tuoi libri sacri, vero? Per te tutti quelli che non li seguono sono il male, non importa cosa facciano o perché lo facciano! Tu, tu sei così radicata nelle tue convinzioni perché sono l’unica cosa che ti protegge dal tuo dolore, ma stai solo facendo del male a te stessa e agli altri!-.
-No, sei tu quella folle!- Le rispose Leona, puntandole il dito contro: -Tu vaneggi e dici che il dolore sia un modo di espiazione, ma la verità è che non hai il coraggio di uccidere il più bieco dei criminali, la sola idea ti spaventa! E quello che non puoi fare lo sostituisci con la tortura! Non sei una salvatrice, sei solo una sadica e una vigliacca!-.
-Io sarei una sadica? Credi che mi piaccia portare il dolore? Credi che non ne farei a meno se non fosse necessario???-.
-Sì, perché c’è un altro modo: il mio! Se lasci in vita certa gente tornerà a fare del male, a far soffrire degli innocenti! A ucciderli! Ma non hai il coraggio di fermarli per sempre, no, vuoi solo vederli soffrire! Forse così trai sollievo da quello che ti porti dentro, ma degli altri non ti importa niente! Sì, vuoi solo che nessuno muoia davanti ai tuoi occhi, ma se lo fanno lontano da te-
-Ho dedicato la mia vita ad aiutare gli altri, la mia vita!!!- Fu lei a interromperla stavolta: -Ho perso l’amore di mia sorella per questo! Ho perso mio padre per questo! Sai cosa significa vedere il proprio padre morire tra le proprie braccia? Sai che significa sapere di essere la causa della sua morte? Averlo ucciso con le proprie mani, lo sai che significa? No, non lo sai! Io lo so invece, e lo ricordo ogni giorno che passa, anche in questo momento, è una colpa che non mi lascia tregua! Ma voglio impedire che qualcun altro si ritrovi senza più un padre o un fratello perché qualcuno come te li ha uccisi mentre erano a terra agonizzanti! E ho convissuto con questo dolore per secoli! Perciò scusami se credo di saperne più del tuo libro!-.
-Per secoli, ecco! Tu e il tuo dolore siete come quel ragazzo e la sua falce: tante belle parole, ma cerchi solo di compiacerlo! Ti senti meno sola se vedi gli altri soffrire insieme a te, e ti illudi chiamandola “giustizia”.-.
Morgana socchiuse gli occhi.
-Non sai di cosa parli. Non credere di conoscermi perché non è così, ragazzina. Credi che la tua spada e il tuo scudo ti rendano una donna adulta? Sei solo una poppante spaventata dalla complessità del mondo! La tua arroganza, la tua rabbia, quelle che mi stai mostrando adesso, ti rendono niente di diverso da una belva! Pensi di essere speciale? Sei come un libro aperto per me. Vediamo se indovino cosa ha fatto la tua Diana per meritare il tuo odio: ti ha tradita? Oh, magari non era solo tua amica, magari era la tua sorellina! Ma scommetto che non la pensava come te, le tue Scritture non erano abbastanza per lei, quella vita le andava troppo stretta. Avete litigato, avete combattuto e una di voi ha vinto, ma l’hai risparmiata o lei ha risparmiato te, perché non potevate uccidervi a vicenda, sbaglio? E questa cosa ti tormenta! Ti brucia la sconfitta, oppure ti brucia quel momento di pietà, oppure entrambe le cose insieme! E ora le dai la caccia per cancellare i tuoi sentimenti verso di lei! Dimmi, Leona di Targon, ho indovinato?-.
Era senza fiato, e ogni respiro le ricordava delle ferite; Leona non rispondeva, chiusa in un muro di silenzio.
-Sì.- Disse alla fine, e la sua voce tradiva una forte emozione: -Ma manca l’ultima parte. Dopo avermi lasciata sulla cima del monte Targon, Diana è tornata al villaggio e ha massacrato i nostri Anziani. Ah, l’avevano sempre trattata con sufficienza, è vero, le davano dell’eretica persino: ma erano gli stessi che le avevano salvato la vita da piccola. Posso anche capire la sua rabbia, posso immaginare il disprezzo che aveva coltivato negli anni, e so anche cosa voglia dire avere una creatura dentro di sé che smania la distruzione. Se si gettasse ai miei piedi implorando misericordia, sì, penso che la perdonerei. Ma dov’era la sua pietà? L’amore e la pace che diceva di voler ottenere, dov’erano quando ha usato le spade contro dei vecchi disarmati? È stato solo un caso che non abbia incontrato nessun altro, perché nella sua furia avrebbe ucciso anche lui! Ha coltivato per anni il suo dolore, come fai tu, se ne è crogiolata pensando di poterlo sostenere, magari pure che l’avrebbe resa forte, invece che provare a liberarsene! E così è caduta nella perdizione! Ecco perché difendo il mondo da quelli come voi, voi che credete che il dolore sia una medicina e una risorsa: voi siete pericolosi e non ve ne rendete nemmeno conto.-.
I respiri delle due donne scandivano il tempo, restare lì a discutere invece che cercare aiuto equivaleva a un suicidio. Eppure Morgana non poteva andarsene, non voleva.
-Non cercherò scuse per quello che ha fatto Diana. Ma il passato è immutabile; e se lei ne è pentita, ha il diritto di una seconda possibilità, e se ancora non lo è devi darle la possibilità di capire i suoi errori! Il mondo non sarà un posto migliore perché non l’avrai fatto, sarà solo un mondo con una persona in meno! Tu e Kayle questo non lo volete capire! Siete accecate dalla vendetta tanto da chiamarla giustizia!-.
-Io non sono tua sorella.-.
Quelle parole furono come l’acqua gelata. Assurdo, era una cosa apparentemente ovvia. Ma non per Morgana, erano come una coltellata alle spalle. Col cuore in gola provò un ultimo affondo: -Allora perché stai facendo come lei??? Perché sei uguale a lei, perché??? Non capisci che non sono le tue vittorie a renderti giusta, ma i piccoli gesti di pietà di cui sei capace??? Nel profondo lo sai che le scritture che segui sono tutte fandonie, e ogni giorno quella parte di te sta morendo perché rifiuti di accettarlo! Tu mi hai chiamata codarda, ma sono io che lo dico a te: codarda! Ti nascondi nel fanatismo di una risposta idiota solo perché è stata scritta su un foglio antico!-.
-Bada a come parli!- Morgana vide che la spada di Leona fremeva; allora incanalò dentro di sé la magia oscura, facendola trapelare dagli occhi e dalle mani.
-Avanti, alza la spada! Ti dimostrerò che non sono la vigliacca che credi! Alza la spada e affrontami se credi che abbia torto!-.
Leona ansimò, digrignò i denti, strinse l’elsa; ma non fece ciò che diceva.
-No. Ora sono io che leggo dentro di te. Non pareresti il primo dei miei attacchi. Tutto questo… anzi, tutta la storia delle Isole Ombra, stai solo cercando di morire per liberarti del tuo amato dolore. Mi dispiace, non sarò il tuo strumento.- E detto ciò rinfoderò la spada. Morgana non credeva ai propri occhi.
-Il tuo patto con me è stato saldato poco fa. Le nostre strade si dividono qui, Dama Velata. Addio.- Con queste ultime parole, si voltò e alzò i tacchi. Morgana restò impietrita, voleva urlare di tornarle indietro, voleva supplicarla di aspettare. Invece le venne da piangere.
-Hai perso tutto, Morgana. Di nuovo.-.



*             *             *



Il popolo di Ionia era molto simile alla Demacia di un tempo. Fiero, semplice, a tratti troppo ancorato alle tradizioni; ma gentile e accogliente con gli stranieri. La flora e la fauna poi avevano dell’incredibile, l’esatto opposto delle Isole Ombra; il terreno stesso trapelava magia, una antica e potente, che a malapena riusciva a capire.
Per qualche miracolo regnava l’armonia tra naturale e soprannaturale; ma Morgana sentiva anche che le cicatrici della guerra avevano sconvolto irrimediabilmente quell’equilibrio, per questo sapeva di doversi rimettere in viaggio. Inoltre, ripensava spesso alla profezia di Kayn, e doveva essere pronta; così, dopo un breve periodo vicino al villaggio, ripartì accomiatandosi dalle poche conoscenze che aveva stretto ma da cui aveva ricavato un po’ di denaro. Una maga poteva sempre fare comodo in giro, e poi, insomma, Morgana aveva guidato i Demaciani quando ancora non conoscevano la matematica, quindi poteva concedersi il lusso di definirsi “saggia”.
Cavalcò per giorni, decisa ad attraversare tutta l’isola. Costeggiava un deserto che la popolazione chiamava “Mar Ghetu”, percorrendo la via principale: non era una cacciatrice, doveva affidarsi ai mercanti e ai villaggi che avrebbe trovato. Arrivata ad un nuovo insediamento, però, iniziarono i primi problemi.
Avrei proprio voglia di un nuovo vestito, ma neanche qui mi sembrano messi molto bene… uh?” Tre guardie armate le si avvicinarono con fare minaccioso, mentre la popolazione si faceva indietro e la guardava timorosa. Tra loro vide donne, bambini, anziani, pochi uomini. Le guardie, anche loro non più giovani, parlarono in Ioniano, di cui fortunatamente aveva imparato le basi; le stavano chiedendo chi era e che cosa voleva.
-Sono una viaggiatrice, cerco riposo, e offro il mio aiuto.- Disse con un po’ di fatica. Delle parole che seguirono capì “ali” e “vastaya”.
-Non sono…- Come funzionavano gli articoli? -ehm, la vastaya. Sono vostri nemici?- Morgana non aveva mai incontrato una di quelle creature, ma pensava che gli umani vivessero in pace con loro. Evidentemente si era sbagliata.
Un uomo anziano a cui l’età aveva tolto quasi tutti i capelli si avvicinò con la mano alzata, e le guardie indietreggiarono in segno di rispetto.
-Perdona nostri modi,- Le disse in Velariano: -ma poco tempo fa una tribù di vastaya ha scatenato una grande magia selvaggia e ha messo in pericolo la nostra sopravvivenza. Ti preghiamo di andartene per non causare problemi.-.
-Vi ho già detto che non sono una vastaya.-.
L’anziano la squadrò da capo a piedi, soffermandosi ovviamente sulle ali: -Eppure gli somigli molto. Per favore, fa’ come dico.-.
-Molto bene, me ne andrò quanto prima. Tuttavia ho bisogno di cibo e il mio cavallo è stanco.-.
-Ti riforniremo fino al prossimo villaggio, e ti daremo un cavallo in cambio del tuo.- La voce del vecchio era dura, non ammetteva negoziazioni. Morgana era paziente, ma aveva il proprio orgoglio e non nascose la propria stizza per il trattamento che le veniva riservato; vedendo la reazione delle guardie, però, decise di lasciar perdere.
-Dove si trova la tribù di cui parlate?-.
Il capovillaggio indicò alle proprie spalle: -Proseguendo in quella direzione troverai una foresta che interrompe la strada. Si nascondono là in mezzo.-.
Morgana alzò un sopracciglio: -Una foresta qui? E come mai la strada non la attraversa?-.
-Perché fino a due mesi fa la foresta non c’era.-.
Rimessasi al galoppo sul suo nuovo destriero, una giumenta bruna dal carattere molto più ribelle del precedente, Morgana sentì la magia nel terreno e nell’aria farsi sempre più forte e densa, fin quasi da essere solida. Spronò il cavallo finché non arrivò al bosco, che effettivamente sembrava essere stata messo lì da un giorno all’altro; smontò e dovette condurre l’animale per le redini, cosa non molto facile vista l’assenza di un percorso. Gli alberi poi erano vivi, nel senso che erano più vivi del normale: anche se non si muovevano, aveva la sensazione che se non fosse stata attenta qualche radice si sarebbe aggrappata al suo piede.
Cosa può essere successo? Aspetta, c’è qualcuno!” Tre presenze piccole, proprio sul suo percorso. Non aveva scelta: non le sembrava una buona idea brancolare lì in mezzo, quindi proseguì finché solo un gruppo di cespugli non la separò da delle voci infantili immerse in un gioco. Aguzzando gli occhi vide… tre scimmiette, o meglio tre incroci tra infanti e cuccioli di scimmia, che giocavano con dei bastoncini. Sorridendo e cercando di assumere l’aria più cordiale possibile, si fece avanti.
-Buongiorno.- Li salutò; i tre si accorsero di lei e la guardarono spaventati, per poi fuggire correndo sulle quattro zampe.
-Ah, Morgana, una volta eri più brava con i bambini.-.
Quello che la preoccupava davvero però era che i genitori non potevano essere molto lontani, e probabilmente presto avrebbero saputo del suo arrivo; difatti, dopo aver proseguito per un po’, sentì di essere circondata non più solo dagli alberi. Si trovò con un paio di lance puntate contro, all’altro capo delle quali i membri della tribù di vastaya. Il cavallo si imbizzarrì, ma riuscì a farlo stare buono.
E io che pensavo che gli Ioniani fossero persone accoglienti…”.
-Non sono vostra nemica e vi offro il mio aiuto, se lo desiderate.-.
-Sei un’umana?- Chiese con voce gutturale una scimmia particolarmente muscolosa, una delle due che le stava davanti.
-Non… proprio.- Rispose, preparandosi ad un’altra conversazione a metà.
-Sembri umana.-.
-Sarebbe un problema?-.
-Umani nemici.- Disse l’altro che le sbarrava la strada, assieme ad altre parole che non capiva, in una lingua diversa dallo Ioniano: -Loro hanno imprigionato la magia per molto tempo! Noi l’abbiamo liberata! Ora loro odiano noi!-.
-Lo posso capire. Questa foresta interrompe la strada, rischiano di morire di fame. Dovete…- Sperò di dire “aiutarli”, anche se dalle loro facce di aver fallito.
-Tu vuoi che noi li aiutiamo?- Provò a tradurre quello grosso. Morgana annuì e l’altro rise: -Ahah! Corvo Viola ci ha detto che il cuore degli umani è malvagio! Ora noi combattiamo per la rivoluzione e la liberazione di magia!-.
Alcuni vastaya gridarono con lui, altri li guardarono poco convinti: non tutti erano invasati da questa seducente rivoluzione, di cui si stava facendo un’idea a grandi linee.
-Il vostro corvo si sbaglia, quegli umani non sono malvagi, ma sono spaventati e affamati.-.
-Ci hanno oppressi!-.
-Quelli lì?- Replicò scettica Morgana: -Sono solo un gruppo di anziani e bambini.-.
-Ora è così.- Disse il più grosso, che era rimasto calmo: -Ci hanno sempre odiati.-.
-Qualunque cosa vi abbiano fatto prima, la guerra li ha puniti; e se aveste voluto attaccarli lo avreste già fatto. Abbiate pietà di loro, abbiate compassione e lo… apprezzeranno!- O disse quello o “appenderanno”: -Aiutateli a fare una strada nella foresta, vi saranno riconoscenti!-.
-Aiutarli? Ahahah! Gli umani sono malvagi, noi combattiamo per la rivoluzione!-.
-Anche se vuol dire far morire di fame dei bambini?- Domandò inviperita. Lo scimmione smise di ridere e fece una smorfia, l’altro invece la ascoltava serio; percepiva chiaramente, in lui e in altri, il peso della coscienza sui loro cuori.
-Potete essere il…- “ponte”- uhm, la chiave per la pace ora che ne avete il potere. Non sarà facile, ma ne vale la pena.-.
-Tu parli in maniera saggia.- Disse il grosso, smettendo di puntarle addosso la lancia con una certa sorpresa del compagno.
-Ma Corvo Viola ha detto…-.
-Corvo Viola non è qui.- Poi diede degli ordini che non capì e i guerrieri abbassarono le armi, il rivoluzionario per ultimo vedendo di essere in minoranza. Con un certo disappunto si dileguò tra gli alberi, seguito dagli altri; rimasero solo Morgana e quello che era ovviamente il capo della tribù.
-Ti porto fuori.-.
-Oh!- Non se lo aspettava: -Beh, grazie!-.
Si misero in cammino, addentrandosi nella foresta senza che Morgana potesse capire quanto mancasse all’uscita; le venne anche il sospetto che la stesse conducendo a una trappola, ma il cuore del vastaya era puro, non celava inganni. Le fronde degli alberi frusciavano sopra di loro, e i tronchi sembravano osservarli con attenzione. Di selvaggina neanche l’ombra. Abituata ad essere sola o a una compagnia silenziosa, non fece domande per la prima parte del tragitto, ma aveva bisogno di parlare con qualcuno che non la odiasse o nitrisse: -Ehi, senti…-.
-Mh?-.
-Volevo ringraziarti per avermi ascoltata prima.-.
La sua guida scosse la testa: -Gli animali si nascondono da te, gli alberi non ti attaccano. Loro hanno paura di te. Tu potevi uccidere tutti noi subito, ma hai scelto le parole. Io ti sono grato.-.
Morgana ammutolì, sentendosi come smascherata.
-Questo Corvo Viola, chi è?-.
-Lei è una grande guerriera. Vuole aiutare i vastaya, ma pensa che gli umani siano tutti cattivi.-.
-E va in giro a creare foreste?-.
L’uomo annuì: -Dice che la magia dovrebbe essere libera. Non lo so. È passato molto tempo, molte cose sono cambiate…-.
-Odia gli umani perché l’hanno intrappolata?-.
-Sì, e da quando c’è stata la guerra gli umani hanno catturato molta più magia di prima. E poi hanno cacciato molte tribù dalle loro case.-.
-Mi dispiace.-.
-Siamo arrivati.- Poteva vedere che gli alberi lasciavano di nuovo posto alla strada poco più avanti, e anche da quella parte il confine era brusco come se fosse stato disegnato con la matita. Una volta uscita, si rimise a cavallo.
-Per caso…- Cominciò, e il vastaya la guardò interessato: -…il più piccolo di quei tre era tuo figlio?-.
-Come lo sai?- Le domandò aggrottando la fronte.
-Beh, ti somiglia molto.-.
L’uomo la guardò sorpreso, come se la vedesse per la prima volta. Ah, certo, probabilmente per gli umani i vastaya erano tutti uguali.
-Digli che mi dispiace se l’ho spaventato. Addio!-.
-...Addio.-.
Si rimise al galoppo.
Giorni dopo, era imbarcata per spostarsi da Galrin a Zhyun; approfittò del tempo a disposizione per migliorare il suo Ioniano ascoltando le conversazioni dei passeggeri, mentre fingeva di guardare il mare.
-Anche quest’anno il raccolto va male…-.
-Hai sentito di Fae’lor?-.
-L’Alleanza Navori mi ha cacciato di casa!-.
Morgana aggrottò le sopracciglia, nessuno sembrava passarsela bene. Chissà se il cataclisma sarebbe partito da lì; o, ancora peggio, se non c’entrasse proprio niente…
SLAP
Sgranò gli occhi: “Qualcuno mi ha appena toccato il-” poi una voce fetida sulle orecchie le cui parole non stette ad ascoltare.
SPLASH
-C’è un uomo in mare!- Esclamò poco convinta allontanandosi dal parapetto.
Sbarcò ripassando le parole che aveva imparato, ma si fermò notando la grandezza del villaggio: anzi, più che un villaggio era una vera cittadina.
Ottimo.
Qualche ora dopo, Morgana uscì dalla bottega del sarto con un elegante abito viola che più le s’addiceva ed un nuovo-vecchio taglio di capelli.
Perfetto. Oh, aspetta, ora che ci penso…” Guardò le proprie ali, le cui piume si dovevano ancora rinfoltire del tutto. Erano secoli che le odiava e che teneva incatenate; però le avevano salvato la vita fuggendo dalle Isole Ombra, sostenendola ben più di quanto non si aspettasse, e le avevano permesso di aiutare Leona.
Va bene, per ora le terrò così.” Era nella piazza principale e c’era quello che immagina essere il solito viavai del posto; una cosa però catturò la sua attenzione, una donna che seguiva implorante un soldato; parlava velocemente ed era distante, perciò non capiva le sue parole, se non una: Erzai, figlio.
Si fece più vicina, la scena non era delle migliori: la donna era in ginocchio, la guardia scuoteva la testa e faceva sempre per andarsene.
-Che sta succedendo?- Chiese a entrambi. Il soldato sembrava non aspettare altro, tanto da risponderle immediatamente: -Suo figlio è partito per l’isola qui vicino e non è ancora… tu chi sei?-.
-Una a cui importa.- Si abbassò e mise una mano sulla spalla della donna: -Andrò io a cercare tuo figlio, dimmi cos’è successo.-.
La madre la guardò come a una dea e si affrettò a dirle tutto, anche troppo vista la velocità. Ma riuscì a capire il necessario.
Partì subito e dopo un giorno di galoppo arrivò in vista dell’isola dove si era diretto il figlio. La costa era simile a quella su cui era naufragata, la magia in quel luogo non era particolarmente forte; poteva passare per un luogo disabitato come molti, solo che non avrebbe dovuto esserlo.
Non si hanno più notizie degli abitanti dell’isola da settimane e le barche sono rimaste tutte là, ma forse ne è rimasta una…” Trasalì nel vedere qualcosa sdraiato sulla sabbia, dove avrebbero dovuto esserci le barche. Come temeva era un corpo in avanzato stato di decomposizione, ma che corrispondeva alla descrizione della madre.
Maledizione!” Si massaggiò il viso e scosse la testa: il minimo che poteva fare era capire cosa fosse successo ed evitare che capitasse ad altri. Le vennero in aiuto gli anni passati per i vicoli di Demacia. Da come era posizionato, sdraiato supino con le braccia lungo i fianchi e gli occhi chiusi, e dalle impronte sulla sabbia intorno capiva che qualcuno lo aveva sistemato così in segno di rispetto, e poi quel qualcuno… si era diretto verso la riva. C’era un campanellino nei meandri della sua mente che scelse di ignorare.
Deve essere arrivato con una barca, ma non ce l’ha fatta. Poi la persona che l’ha girato l’ha presa ed è partita. Dovrò andare anch’io. Prima però devo capire con cosa ho a che fare.”.
Tornò a esaminare il corpo. Che puzza! …Povero ragazzo, non si meritava una fine simile. Lunghi segni in tutto al corpo, come frustate, ma irregolari, fruste spinate; e segni di punture, come di insetti molto grossi.
Poteva essere una qualsiasi bestia di cui non aveva mai sentito parlare, e Ionia sembrava esserne piena; ma per invadere l’intera isola dovevano essere un branco… o uno sciame, o qualsiasi cosa fossero.
-Ti riporterò a casa, te lo prometto.- Spiegò le ali e volò verso l’isola. Il vento sferzava tra le sue ciocche e le accarezzava fresco la pelle, l’aria marina le riempiva le narici. Sotto di lei, pinne mai viste solcavano le acque. Chiuse gli occhi. Erano secoli che non provava quella sensazione, era così piacevole…
-Perché abbiamo le ali se non per volare?-.
Riaprì gli occhi con un gemito. Odiava volare.
Quello che trovò una volta arrivata la lasciò senza parole. Il porto era invaso da liane e rampicanti, come se la natura avesse deciso di riprendersi i suoi spazi. I cadaveri ricoprivano i moli e le strade, tutti ricoperti da strati di vegetazione, e da quello che vedeva erano morti molto prima del ragazzo sulla sabbia.
È successo tutto all’improvviso, in pieno giorno. Che sia opera del Corvo Viola?” Ma la magia che percepiva era diversa da quella della foresta: non era semplicemente caotica, era qualcosa di corrotto e malvagio. Quelle piante non avrebbero avuto paura di lei. Si fece strada tra la vegetazione, attenta che il suo lungo vestito non si impigliasse tra le radici.
Non avrei dovuto mettere i tacchi.”.
Aguzzò le orecchie, ma non sentiva niente muoversi. E quello cos’era? Si avvicinò con cautela, era una pianta recisa a metà con un colpo di spada. Un fiore grande quasi come una persona, dal gambo viola e tre petali rosa che circondavano un foro simile a una bocca; infilò la mano e toccò subito qualcosa di duro e appuntito: con un po’ di forza riuscì ad estrarlo, una via di mezzo tra una spina e un pungiglione. E c’erano molti altri fiori come quello lì in giro, e altri che erano semplici steli spinati con una punta in cima.
Deve essere stato l’altro guerriero, che poi… è andato di là.”.
Verso l’interno dell’isola. Dove i fiori erano di più.
Si addentrò nel bosco, seguendo la scia di piante falciate. Ad un certo punto un ringhio la fece fermare. Lupi?
-Mostratevi!-.
Così fecero; ma non erano normali lupi. Erano stati lupi, certo, ma ora erano corpi avvizziti tenuti insieme dai rampicanti. Morgana allargò le braccia e il terreno ai suoi piedi avvizzì (in realtà rifletteva il dolore di cui era pregno, ma non l’avrebbe di certo spiegato al branco di non-morti). I lupi ulularono mentre le loro zampe si corrodevano; uno le saltò addosso, ma lo distrusse al volo con una sfera magica. Carne e foglie si sparsero in aria in un tripudio di decadenza.
Sarà più facile del prev…” Delle fauci si chiusero di fianco al suo orecchio e dell’alito pestifero le invase il naso. Conficcò il pugno nel fascio di liane che era stato un collo e lo fece esplodere; qualche metro più in là il corpo si accasciò al suolo.
I lupi restanti latrarono e attaccarono all’unisono; Morgana si circondò di una barriera che li tenne alla larga, intanto ne distrusse un altro paio. I lupi si ritirarono e dalle loro carcasse uscirono dei rami che si intrecciarono: davanti agli occhi increduli di Morgana le belve si ammassarono in un’unica poltiglia verde e marcia, da cui emersero quattro zampe e qualche testa di troppo.
Sorrise.
-Fatti avanti!-.
Quando ebbe finito si sedette su un masso per riprendere fiato.
È una specie invasiva, e non ha la marcatura di Ionia. Mi chiedo come sia arrivata qui. Non so se sarò in grado di estirparla, ma spero almeno di contenerla.”.
No, mi sto illudendo. Le spore potrebbero essere trasportate dal vento, devo sistemare questa faccenda una volta per tutte.”.
Rialzò la testa e poi si alzò del tutto. Sentiva la presenza di…
Ma certo, chi altri poteva essere?”.
Per qualche motivo si stava dirigendo a gran velocità verso di lei. Che l’avesse percepita? Non pensava che ne fosse in grado, non bene quanto lei almeno. Accidenti, non sapeva se era pronta a incontrarla di nuovo.
Va bene, va bene, è tutto sotto controllo.” Si sistemò i capelli, fece un respiro profondo e si preparò al suo arrivo.
Eccola emergere dai cespugli!
-Leon- La donna in armatura le passò di fianco e continuò a correre, lasciandola di stucco. Sentì molti ringhi e quelli che immaginava fossero i suoni di piante che crescevano in fretta provenire da dov’era arrivata, e vide effettivamente dei fiori come quelli che aveva visto mozzati spuntare davanti a lei.
-Per tutti gli Yordle!- Scappò a sua volta, inseguendo Leona. Alle sue spalle, sentiva i nemici farsi sempre più vicini.
-Non mi aspettavo… di vederti… scappare!- Urlò tra un ansimo e l’altro.
-È una ritirata… temporanea!- Puntualizzò lei: -Perché sei… qui?-.
-Per il tuo… stesso motivo!-.
-Non mi serve il tuo- La frase fu interrotta a metà da una serie di spine che fischiarono tra di loro.
-Va bene, accetto la tregua!-.
-Allora che ne dici… se al tre… ci giriamo e li affrontiamo?-.
-Cerca di non… starmi tra i piedi!-.
Non poteva vedere il suo volto visto che le stava davanti, ma dubitava che stesse scherzando.
-Uno…-.
-Due…-.
-Tre!-.
Piantarono un piede a terra e si voltarono insieme.

-Anf… anf…-.
-Anf… anf…-.
Morgana si appoggiò sulle ginocchia per riprendere fiato. Era illesa ma stremata. Di fianco a lei Leona si inginocchiò e si mise una mano in fronte, nonostante nemmeno lei mostrasse alcuna ferita; anzi, la sua armatura era stata riparata dai danni di Kayn.
-Ti hanno colpita?-.
-Sto bene. Solo un attimo di spossatezza.-.
-Dovremmo trovare un posto per riposarci…-.
-Non è possibile, l’isola è completamente infestata.-.
-Allora forse dovremmo ritirarci.-.
Leona scosse la testa: -Ho già affrontato questi esseri a Shurima, se non elimino la pianta al centro continuerà ad espandersi. Mmm… data la situazione ti concedo di aiutarmi.-.
Quale onore…”.
-Sai dove si trova il bulbo?-.
Leona indicò dov’era arrivata.
-Va bene, se vossignoria è pronta possiamo andare.-.
L’altra si rialzò e, senza dire niente, prese a camminare.
Gli alberi schermavano quasi del tutto il sole, ma si capiva che era quasi mezzogiorno.
-Hai fame?-.
-Sto bene.-.
Sguardo fisso in avanti, pesanti occhiaie, capelli più spettinati del solito. Non proprio il ritratto della salute.
-Gnam.- Comunque sia Morgana non avrebbe patito la fame per solidarietà e aveva qualche provvista da consumare: -Da quanto sei qui?- le domandò guardandola di sottecchi.
-Tre giorni.-.
-Quindi non dormi né mangi da tre giorni?-.
-…-.
-Almeno sei riuscita a fare… sai…-.
-…-.
-Gnam. Come hai saputo di questo posto?-.
-Me ne ha parlato una… ragazza.-.
-E hai più trovato… Diana?-.
Leona non sembrò voler rispondere all’inizio: -Non ancora.-.

-Tu hai trovato tua sorella?-.
Morgana alzò un sopracciglio: -Non ho intenzione di incontrarla.-.
Leona non rispose nulla, né diede cenno di volerlo fare. Invece distese un poco il braccio verso di lei. Morgana non reagì. Leona raddrizzò il braccio. Morgana alzò un angolo della bocca e le diede una pagnotta.
-Sei differente da prima.- Disse inaspettatamente; poi capì che si riferiva al suo aspetto.
-Eh, non mi avevi vista nella mia forma migliore! Tu piuttosto sembri sem…-.
Si fermarono all’unisono e Leona ingoiò quello che restava in un sol boccone. Davanti a loro la foresta era silenziosa, ma qualcosa si stava svegliando.
Percepiva quello che doveva essere il bulbo, ma a quanto pare avevano un ultimo ostacolo prima di arrivarci. Leona mosse un passo, ma lei le si piazzò davanti.
-Tu pensa a riposarti per quando saremo arrivate. Di questi mi occupo io.-.
-Morgana…-.
Morgana la guardò di profilo, mostrandole l’occhio illuminato di viola. Leona rinfoderò la spada, tenendo però la mano sull’elsa.
Morgana allargò il suo sorriso e spalancò le braccia. Non aveva mai lottato contro delle piante fino a quel giorno, ma da quello che aveva capito… anche loro potevano soffrire.



Poco lontano da loro, invisibile a tutti, qualcosa che non poteva esistere si leccava i baffi.
-Bene bene… la mia coppietta preferita si è riunita!-.
Udì uno stelo sollevarsi, non certo perché l’avesse percepita, era impossibile; comunque sia, senza nemmeno girarsi, lo tagliò con una sferzata. Le sue prede le mettevano l’acquolina in bocca… Sperava solo che se ne sarebbero andate presto dall’isola.

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Capitolo 3
*** SERA, NOTTE, AURORA ***


ZAM
Con un’unica vibrazione la spada tranciò di netto il braccio della creatura, che abbaiò agonizzante.
-Muori bestia!- Ma quella invece la bloccò a terra col proprio corpo, cercando di strapparle la faccia a morsi; aveva la serie di denti più aguzzi che avesse mai visto, e il suo alito era qualcosa di indescrivibilmente nauseabondo. Piuttosto che provare a difendersi, le offrì la spalla dove si chiusero le sue fauci, senza però penetrare l’armatura; in questo modo riuscì a rotolare e a mettersi sopra di lei e quindi, alzando il ferro, a darle il colpo di grazia. L’obbrobrio si dibatté qualche secondo, e poi giacque immobile.
Leona si rimise dritta e fece per raccogliere lo scudo, quando sentì un rantolio provenire poco più in profondità della caverna, dove pensava di aver già finito. Lo scudo roteò in aria come un disco e spaccò la calotta cranica del mostro sopravvissuto, sancendo la fine della battaglia.
L’Incarnazione del Sole si asciugò la fronte con il polso; odiava combattere di notte, quando era più debole, ma non aveva avuto altra scelta. Almeno ora il villaggio sarebbe stato al sicuro.
Ho già visto questi abomini, nei Sacri Testi. Non immaginavo di trovarli qui.”.
Sentì un movimento alle proprie spalle, e per un secondo pensò di dover combattere ancora; ma era solo uno dei cittadini che sporgeva la testa incauta dall’entrata della grotta, balbettando parole nella sua lingua.
-Non ti capisco.- Gli disse in Velariano: -Non dovresti venire qui, è pericoloso.- ah, ora che lo guardava meglio era il fratello di una delle vittime. Fratello o parente, non conosceva bene quella lingua eretica. Forse in cuor suo aveva covato qualche speranza, e ora le toccava dargli la triste notizia. Scosse il capo, e quello si avvilì e se ne andò correndo.
Gli Ioniani sono codardi, abituati a una stolida pace con le forze maligne a cui soggiaciono.” Pensò tra sé e sé. Uscita dalla grotta cavalcò fino al villaggio, dove il capo del luogo e il traduttore la aspettavano apprensivi. Spiegò che i mostri erano stati uccisi, ma non escludeva che ne sarebbero potuti arrivare altri. L’anziana annuì gravemente e la ringraziò di cuore, offrendole la ricompensa che sin dall’inizio aveva rifiutato.
-Non sta bene combattere per proprio tornaconto.- Ripeté con fermezza. Poi, guardandosi intorno, notò l’assenza del tipo di prima, e domandò loro come mai non li avesse già informati della sua vittoria; il traduttore le rispose con sgomento che non lo avevano visto per tutta la sera.
Senza aggiungere altro Leona tornò nel bosco, trovando a fatica le tracce dell’uomo. Le seguì in mezzo alle frasche, fino a scoprire ciò che aveva sospettato. Almeno non aveva ancora trovato il coraggio, ed era fermo in piedi con il cappio intorno al collo. Piangeva, le sue gambe tremavano, strabuzzava le palpebre. Leona alzò la spada e con un raggio solare tagliò la corda, poi colpì l’uomo con un pugno, facendolo cadere. Quello la guardò senza capire.
-Disonori la sua morte con la tua codardia! Guarda cosa ti ha spinto a fare il dolore!- Stava per aggiungere altro, ma dopo quest’ultima parte incespicò. Vide la disperazione e il lutto nel volto dell’uomo e lasciò perdere.
-Tornatene a casa.- Disse in quel poco di Ioniano che aveva deciso di imparare.
Lasciò quel posto la notte stessa.
Tutto quel tempo a Ionia e ancora nessun risultato, Diana sembrava lontana come lo era sempre stata. Ma dappertutto c’era bisogno di lei, ed era costretta ad intervenire.
Questi popoli vivono nell’eresia, però i mostri che li minacciano sono ancora più pericolosi.” Si diceva. Eppure, nonostante il tempo passato nelle isole, non si capacitava ancora di come fosse possibile che esistessero così tante persone in contrasto con le Sacre Scritture. Un conto era Shurima, ma gli Ioniani? Avrebbe dovuto eliminarli, come ogni forma di devianza; d’altra parte erano bisognosi di aiuto, del suo aiuto. Non era forse suo dovere proteggere i bisognosi? Non era suo dovere guidare il popolo verso la luce del Sole?
-Ah!- Spronò il cavallo per allontanare quei pensieri. Pregò il Sole di guidarla, e l’essere antico dentro di lei rispose. Il suo umore peggiorò.
Io sono il Sole che illumina gli innocenti…”.
Un giorno però, mentre percorreva la strada dentro l’ennesimo bosco, senza alcun preavviso, il cavallo rallentò fino a fermarsi; e non ne voleva sapere di ripartire, anche se non sembrava stanco o ferito. Leona scese riflettendo sul da farsi, quando una voce non familiare la chiamò: -Yo! Leona, giusto?-.
Si voltò di scatto e vide, appollaiata sul ramo, una ragazza dal corpo largamente tatuato e con una bandana verde davanti alla bocca. Le ricordava vagamente Kayn, probabilmente era una guerriera della sua stessa risma. Leona sguainò la spada, ma quella alzò le mani: -Calma, calma, non serve agitarsi. Se ti avessi voluta morta, avresti un pugnale in mezzo alle scapole.-.
-Parli con arroganza per essere una che cela la bocca. Chi sei?-.
-Sono una tua ammiratrice. Sul serio, ho sentito parlare di te, dicono che hai preso a calci Kayn; eh, mi sarebbe piaciuto vederlo!-.
-Cosa hai fatto al mio cavallo?- Le chiese senza abbassare la guardia.
-Mh? Oh che strana coincidenza, una volta era mio, deve essersi fermato per quello.-.
Già, strana coincidenza. Quei ninja erano famosi per essere scaltri e silenziosi, probabilmente chi gliel’aveva fornito era un suo alleato.
-Non ti preoccupare, sono sicura che con qualche carota tornerà in marcia.-.
-Sostieni di essere nemica di Kayn, ma non mi sembri diversa da lui.-.
-Prego?-.
-Hai il suo stesso modo di fare. La stessa superbia, la stessa spudoratezza. Immagino che anche tu sia legata alla magia impura di questa terra…-.
Quella girò gli occhi: -Oh, allora sei davvero una fanatica! Mi ricordi il mio vecchio maestro! Sono Akali comunque, e sì, sono un’assassina nata, e sì, spesso devo fare i conti con la magia di Ionia. Ma, da professionista a professionista, lascia che ti dica una cosa: non è cattiva, è solo molto selvaggia. Dovresti darle qualche possibilità.-.
-Da quello che ho visto tende a fare molti danni.-.
-Dicono lo stesso di te, per esempio che dove passi il cielo si dimentichi di piovere per un bel po’.-.
Leona socchiuse le palpebre: se non fosse stata sola, cosa di cui era assolutamente sicura, avrebbe pensato che stava cercando di farla cadere in un’imboscata stuzzicandola.
-Ehi, non ti giudico mica, dico solo che magari dovresti avere una mente più aperta. Voglio dire, lottiamo entrambe per il bene di tutti, è questo quello che conta no?-.
-Io sto cercando una persona.-.
-Così ho sentito, e infatti volevo giusto darti una dritta a riguardo.-.
Gli occhi di Leona luccicarono: -Parla!-.
Da sotto la maschera immaginò che Akali stesse sorridendo: -A sudest dell’isola su cui ci troviamo ora dicono di aver visto una guerriera dai capelli d’argento che si muove solo di notte. Potrebbe essere quella che cerchi…-.
-Grazie dell’informazione. Ora, se vuoi scusarmi…-.
-Aspetta un momento. Già che sei lì, nell’isoletta lì vicino sembra che ci siano dei problemi. Il mio vecchio maestro ha mandato alcuni dei suoi uomini a controllare, ma non si sono fatti vedere, e sia io che lui abbiamo altro per le mani. Forse ti interessa dargli un’occhiata…-.
-Ti ho già detto che non sono qui per questo.-.
-Così hai detto, però mi sembri il genere di persona che non ignorerà la mia richiesta. Tanto perché tu lo sappia, quell’isola è abitata, e se dovrò andarci io altre persone su Ionia rimarranno senza difese. Capisci quello che intendo?-.
-Puoi farmi il favore di sparire dalla mia vista, Akali?-.
-Certo.- La donna si mise in piedi sul ramo e mise una mano in tasca: -Ah, ho qui un piccolo regalino per te.- con un gesto secco piantò un kunai, così si chiamavano quegli strani coltelli che aveva visto in giro, ai suoi piedi.
-So che non li usi, ma potrebbe tornarti utile come stuzzicadenti. Dalla tua fan numero uno!- Detto questo si dileguò tra gli alberi.
Leona rimase immobile per qualche secondo, poi si piegò e raccolse l’arma. I suoi occhi vi si specchiarono, e vide l’ardore del Sole bruciare in essi.
-Tsch!-.
Viaggiò giorno e notte, senza fermarsi se non per il minimo indispensabile. Alla fine i suoi piedi toccarono la sabbia della spiaggia davanti l’isola. Vide una barca incrinata poco lontano dall’acqua e, dato che gliene serviva una, vi si diresse. Dentro c’era un corpo martoriato, un giovane uomo.
Questi segni… impossibile!”.
Adagiò il cadavere sulla spiaggia e spinse la barca nel mare; fortunatamente era ancora integra. Prima di salire, ebbe un attimo di esitazione.
L’altra volta avevo i soldati con me, se è quello che penso. Sarò in grado di…”.
No, non esiterò. Sono il Sole che brucia i malvagi.” Montò sulla barca e viaggiò fino all’isola, ritrovandosi davanti a ciò che temeva.
-Credevo di averla uccisa.- Commentò tra sé e sé: -Invece ha messo radice qui. Stavolta non fuggirà.-.
Si mise in marcia, notando subito delle piante sbocciare e rivolgersi verso di lei. Leona roteò la spada con la mano e si lanciò all’attacco, tranciandole con un gesto ciascuno.
Bene, uh?” Si mise una mano sulla spalla, estraendo una spina che aveva intaccato la maglia.
-Mi sono fatta colpire.- Constatò; poi si rivolse verso l’interno dell’isola.
-Il suo nucleo deve essere lì in mezzo. Meglio non perdere tempo.-.
Si addentrò nella foresta. Vi regnava il più assoluto silenzio, tutto in quell’isola era stato divorato. Niente uccelli che cinguettavano, niente scoiattoli sui rami, niente…
-Chi è là?- Si voltò allarmata: con la coda dell’occhio aveva visto una chioma rossa alle sue spalle. Nulla. Ma sapeva di essere stata individuata; e infatti, dopo qualche secondo, il silenzio si ruppe in una moltitudine di rumori tutto intorno a lei: fibre vegetali che si allungavano, zampe felpate tra le foglie, passi molto più pesanti e lenti.
-Sentirete la gloria del Sole!-.
La battaglia cominciò. Linfa, sangue, carni, Leona avanzò dipingendo l’aria con la spada, senza un attimo di tregua. Vide il Sole tramontare e la Luna sorgere, ma anche se le forze le vennero meno continuò a combattere, perché l’alba sarebbe sorta ancora: e così fu. Un altro zenit, un altro tramonto, un’altra alba e la sua marcia progrediva con lentezza. Sentiva il fastidio della sete e i primi morsi della fame, e quelle bestie vegetali non sembravano commestibili. Le provò comunque.
“…”.
Alla terza alba in quel luogo, però, fu costretta a fermarsi. I fiori erano enormi e le bestie che controllavano si erano ammassati in amorfi mostruosi.
SBENG SBENG SBENG Percuotendo lo scudo con l’impugnatura della spada li invitò a farsi sotto.
-Non ci saranno altre albe per voi!- Si batté valorosamente, ma i nemici non finivano più. Ad un certo punto, un ramo verde appuntito come una lancia le passò vicino al viso, e si rese conto di averlo visto arrivare solo all’ultimo secondo.
La prossima volta… maledizione!” Indietreggiò di qualche passo, poi si voltò e iniziò a correre. Il cuore le martellava in petto e i suoi piedi si muovevano da soli, calpestando il terreno senza criterio di prudenza.
Cosa? Questa… questa che sento è paura?”.
Io sono spaventata? Io, un guerriero dei Solari?”.
-Ora hai dei dubbi sul tuo credo?-.
-Mai!-.
Ed ecco, la vide tra i cespugli. Una giovane donna pallida dalle labbra nere. Diana?!
Continuò a correre.
-Per tutti gli Yordle!-.
Un attimo, ma quella voce… sbirciò alle proprie spalle, e al posto di Diana vide un’altra donna che aveva già incontrato. E che non avrebbe voluto rivedere.
-Non mi aspettavo… di vederti… scappare!- Ora la inseguiva pure.
Io non scappo. Il Sole è con me. Non sto scappando.”.
-È una ritirata… temporanea! Perché sei… qui?-.
-Per il tuo… stesso motivo!-.
-Non mi serve il tuo- Si interruppe vedendo delle spine sfrecciarle vicino agli occhi.
-Allora che ne dici… se al tre… ci giriamo e li affrontiamo?-.
Se c’era una cosa che aveva capito di lei, era che una volta che si metteva in testa un’idea era impossibile farla desistere.
-Cerca di non… starmi tra i piedi! Uno…-.
-Due…- Disse Morgana.
-Tre!-.
Per quello che poté vedere nei pochi attimi di tregua, e per quanto le seccasse ammetterlo, Morgana combatteva più che bene. Le arti oscure che padroneggiava erano senza dubbio indegne, ma altamente efficienti. Se fosse stata anche lei una guerriera dell’oscurità, ne sarebbe stata ammirata.
Ma che vado dicendo?”.
Sentì un ginocchio venir meno e dovette appoggiarsi con una mano a terra. Ecco perché aveva evitato di fermarsi.
-Ti hanno colpita?- Le domandò Morgana. Perfetto, l’ultima cosa che voleva era mostrarsi debole di fronte a lei.
-Sto bene. Solo un attimo di spossatezza.-.
La mise al corrente di tutto, e poi proseguirono. La stanchezza doveva averle sciolto la lingua.
Non dovrei abbassare così la guardia con lei.”.
-Hai fame?-.
-Sto bene.- Rispose secca. L’altra si mise a mangiare del pane. Tanto non aveva fame.
-Gnam. E hai più trovato… Diana?-.
Il suo stomaco si stava ritorcendo: -…non ancora.-.
Un fastidio dentro l’orecchio le diceva di dover rispondere, come voleva la cortesia.
-Tu hai trovato tua sorella?-.
-Non ho intenzione di incontrarla.- Udì la risposta stizzita.
Allora sei più cieca di quanto pensassi.”.
Comunque, data l’insistenza, mangiò una pagnotta.
Da qualche parte davanti a loro, qualcosa riprese a muoversi. Leona si mise in posa d’attacco, ma Morgana le si piazzò davanti.
-Tu pensa a riposarti per quando saremo arrivate. Di questi mi occupo io.-.
-Morgana…-.
L’occhio con cui la guardò trasudava potere oscuro. Che situazione paradossale. Ma purtroppo le gambe la imploravano per una tregua.
Si sedette decisa a tenere lo sguardo fisso su Morgana, ma come chiuse gli occhi si trovò in un altro luogo.
-Non tornerò indietro, Leona! Vieni con me! Cerchiamo insieme la verità!-.
Diana…” Era di nuovo sulla cima del Monte Targon. Ricordava quel giorno, e ricordava quello che sarebbe successo dopo; e per quanto provasse a muoversi, non controllava il proprio corpo o la propria voce.
-Tornerai con me e ti sottoporrai al sacro giudizio dei sacerdoti. Abbandonerai le tue idee eretiche una volta per tutte!-.
Non ti ascolterà mai.”.
Diana digrignò i denti: -Ti supplico!- disse, e la mano già premeva sulla sciabola: -Non costringermi a farlo!-.
-Se hai intenzione di combattere, sappi che non potrai più tornare indietro.-.
Poi vide degli scatti, come lampi: il volto infuriato di Diana, le due lame che si scontravano, e infine la sciabola lunare sul suo collo.
Diana la guardava con occhi imperscrutabili e poi aprì la bocca:
-Ehi.-.
Leona sbarrò le palpebre e Morgana fece un salto indietro. Tutto intorno a lei c’erano i resti della battaglia.
Leona si strinse una mano in fronte: aveva completamente perso conoscenza! Che… patetica!
-Ah, allora anche i prodi guerrieri della luce crollano dal sonno!-.
-Non dire assurdità. Mh?- Morgana aveva allungato con disinvoltura una mano sui suoi capelli, estraendone una foglia. Calò un silenzio imbarazzato.
-Stiamo perdendo tempo.-.
-Già.-.
Il nucleo era vicino e la strada praticamente spianata; nonostante non si sentisse particolarmente riposata, arrivarono senza troppi problemi.
-Ma questo è…- Morgana era visibilmente senza parole, non doveva aver mai visto uno spettacolo simile. Beh, non poteva biasimarla.
Un intricato reticolo di rovi e fiori dentro a un cratere di una decina di metri di raggio, da cui traboccavano liane e radici che si diramavano in tutte le direzioni, come vene. Quasi coperti dalla vegetazione c’erano dei cadaveri: evidentemente qualcuno (forse i compagni di Akali) era riuscito ad arrivare fin lì, ma era rimasto sopraffatto a un passo dalla vittoria. O forse era stato manipolato fin dall’inizio.
-…Mi ci vorrà del tempo.- Commentò Morgana.
-No, ci penso io. Avrò bisogno di qualche minuto per richiamare il potere del Sole e dovrò colpire lì in mezzo.- Disse indicando il centro.
Morgana sembrò voler obbiettare, ma non aveva valide ragioni per farlo.
-Ah!-.
Qualcosa si avvinghiò attorno al suo collo, qualcosa di stretto e pieno di spine; istintivamente cercò di liberarsi con una mano, ma la prese si fece più stretta. Al suo fianco, Morgana stava subendo lo stretto trattamento.
-Chi vaga nel mio giardino?- Chiese una roca voce femminile alle loro spalle.
Finalmente si è fatta vedere!” Mentre si voltava tagliò la frusta con un colpo di spada, e poi gliela puntò contro. La donna dalla chioma rossa alzò un sopracciglio. Un attimo dopo la sua testa cadeva al suolo, ai piedi di Leona.
-Non si ricordava di me?-.
-Leona!- Morgana era ancora in trappola.
Mal-” Si tuffò all’indietro, evitando per un pelo una spina diretta al suo viso. Dal collo mozzato uscì un ramo verde che rimise il cranio al suo posto.
-Io mi ricordo di ogni mia preda.-.
Leona tagliò anche la frusta di Morgana, la cui estremità monca guizzò in aria come un serpente per poi ritirarsi nel polso di Zyra, la Dama dei Rovi.
-Allora ti ricordi di come stai per morire.-.
-Oh! La mia preda si crede-
-Soffri!- Il terreno sotto i piedi di Zyra avvizzì fino a diventare viola, ma lei fu pronta ad allontanarsi; poi mise le mani a terra e: -Fruste rampicanti!- dei rampicanti strisciarono verso di loro, legando le gambe di Leona. Di fianco a lei, sentì delle piante sbocciare, e sapeva che sarebbero state grandi come quelle di prima.
Una dopo l’altra, però, sentì le piante gemere e afflosciarsi. Morgana, circondata da un’aura oscura, le si avvicinava tenendo le braccia spalancate e il mento basso, con un’espressione di furia in volto che non le aveva mai visto prima.
-La terra è pregna del dolore di quelli che hai ucciso! La pagherai cara!-.
-Tu sarai un buon concime.-.
Leona si liberò dei rampicanti e vide che l’attenzione di Zyra era interamente su Morgana. Avrebbe potuto approfittarne ma la priorità era distruggere il bulbo. E poi non era più il suo scontro.
Si posizionò ai margini del cratere e guardò il cielo. Il Sole era quasi allo zenit, ma solo in quel preciso momento avrebbe colpito. Intanto poteva osservare la battaglia.
Morgana aveva un controllo del territorio impressionante: sembrava sapere in anticipo dove sarebbero cresciute le piante, e dove mettere i piedi per non inciampare; non solo, ma la magia con cui rinsecchiva la terra era particolarmente efficace contro gli “amici” di Zyra. La donna-pianta restava impassibile, ma aveva capito di essere davanti ad un suo nemico naturale.
No, non era solo quello. Ora che poteva concentrarsi su di lei, Leona non aveva dubbi: Morgana aveva affrontato molti più scontri di lei. Ripensò a quando, ancora convalescente, le aveva detto di non voler essere la causa della sua morte; allora l’aveva derisa, adesso invece iniziava a dubitare che fosse un bluff.
Il Sole l’avvertì di essere pronto. Leona alzò il pungo e poi lo abbatté a terra; dal cielo un unico, grande raggio solare investì il cratere, polverizzando il suo contenuto. Per un secondo le sembrò di essere dentro al Sole stesso. Fu magnifico.
-No!!!- Strillò Zyra, un attimo prima che la catena oscura si staccasse dal suo petto e che lei cadesse riversa. Mentre Leona si rialzava, Morgana si voltò verso di lei, ma non riuscì a vederla in viso. Invece, vide il terreno avvicinarsi a gran velocità; chiuse gli occhi e non sentì nemmeno l’impatto.

Quando li riaprì, era seduta con le gambe divaricate su qualcosa che si alzava e abbassava ritmicamente. Un cavallo. Il suo cavallo. Al suo fianco ce n’era un altro con sopra un corpo avvolto in un telo. Davanti a loro camminava Morgana, tenendo le briglie; per un secondo non l’aveva riconosciuta, tanto era diversa dalla naufraga che aveva incontrato: capelli alla lunghezza delle spalle, abito elegante con tanto di guanti, perfino la camminata era più elegante.
Aveva ancora l’armatura addosso, e le armi… c’erano. Non era legata e nemmeno ferita.
-Avrei potuto attaccarti alle spalle.-.
-Sempre di buon umore vedo.-.
Leona si guardò intorno senza riconoscere la strada su cui si trovava, quindi chissà dove stavano andando con il cadavere. Oh, ecco, stavano per entrare in un villaggio.
Una donna avanti con gli anni andò loro incontro, fermandosi davanti a Morgana e parlando in uno Ioniano rapido. Il suo sguardo si spostava sul corpo, su cui però non osava soffermarsi. Morgana parlò piano, con tono afflitto. La donna cadde in ginocchio e scoppiò in lacrime.
-Aspettami qui.- Le disse in Velariano con la voce distorta dalla commozione. Leona guardò intensamente prima lei e poi la donna.
-Va bene.-.
Il sole stava tramontando quando entrò nel villaggio, ed era quasi sparito dall’orizzonte quando uscì.
-Lei chi era?-.
-Era sua madre. La sua…- Morgana rimontò in sella: -Emai. Lui era il suo Erzai, suo figlio.-.
-Capisco.- Non proprio, non le aveva chiesto una lezione di lingua; ma non volé sfigurare: -E invece fratello è…- Ripensò alla parola che aveva sentito al villaggio dei mostri, cercando di ripeterla. Con scarsi risultati.
-No, fratello è Anar. Quello che hai detto è “marito”.-.
“…”.
-Che c’è?-.
-Nulla di importante.-.
Morgana la guardò come in attesa di qualcosa, poi prese la parola: -Bene, allora… alla prossima immagino.-.
-Aspetta.-.
-Perché?-.
Perché?”.
-Voglio… dire…- Quello che aveva detto ovviamente. Allora, arricciando le labbra: -Devo ancora decidere cosa farne di te, pertanto desidero che tu mi tenga compagnia stanotte.-.
-Ah… va bene, non mi lasci molta scelta.- Sogghignò lei, poi alzò il braccio verso il villaggio: -Vuoi seguirmi?-.
Poco dopo, Leona era seduta su un letto, meditando se togliere o meno l’armatura; davanti a lei, Morgana si sporcava le labbra di nero con uno strano bastoncino, e non le sfuggì lo sguardo stranito con cui la osservava.
-Non sei una che si trucca spesso, immagino.-.
-Lascio che sia il fango a sporcarmi il viso.-.
-E ti rilassi ancora meno spesso. Mmm… mi chiedo se…- Si chinò verso di lei, invadendo il suo spazio.
-Che stai facendo?- Chiese ritraendosi. Perché la stava puntando con il suo bastoncino? Batté la nuca sulla parete, e Morgana sorrise malignamente. Sentì una punta fredda schiacciarle le labbra e muoversi a cerchio. La Dama Velata si ritrasse, ammirando il suo capolavoro, e appoggiò il bastoncino sul suo comodino. Leona si specchiò sullo scudo.
-Non è il mio colore.-.
-Quindi hai un colore!-.
Per tutta risposta si strofinò il polso sulla bocca, fino a ripulirla. Sbuffando, Morgana si sedette sul proprio letto.
-Sei sempre così occupata a salvare il mondo che non riesci mai a godertelo.-.
-Se mi fermo a godermelo non posso proteggerlo.-.
-Uff! Non proverò nemmeno a dissuaderti dal tuo ego spropositato, ma vorrei farti notare che anche se ti sdrai…- Si sdraiò: -…per un po’, il mondo non finirà.-.
Leona non disse nulla, ma la imitò. Ammetteva che avere un cuscino sotto la testa avesse i suoi vantaggi.
-Perché lo fai?-.
-Non sono una che si dà per vinta.-.
-Intendevo dire che ho capito che credi di essere nel giusto. Ma cosa ti spinge a farlo?-.
-Ah…- Ecco, si era compiaciuta: -Il mondo è pieno di persone come me: pensano di fare del bene e invece finiscono solo per combinare casini. Ma qualche volta qualcosa di buono la facciamo. Non è un motivo sufficiente?-.
-Come pensavo. Sei priva di una guida, brancoli nel buio come una bambina. Vedi i riflessi delle stelle nello stagno e pensi che siano quelle vere.-.
-Per un attimo ho pensato che volessi farmi un complimento, meno male, iniziavo a preoccuparmi! Non seguo una guida dettata dagli altri, preferisco essere io a giudicare.-.
-Mmm. Cerchi risposte complesse perché pensi che il mondo ne abbia bisogno; però, se perdiamo tempo a giudicare, perdiamo la capacità di discernere il bene dal male. Questo mondo ha bisogno di risposte semplici.-.
Morgana si appoggiò con il gomito al materasso per alzare la testa: -Ne sei davvero convinta?-.
La domanda era priva di malizia, ciononostante la lasciò confusa. Lo dicevano le Scritture, quindi era vero. Si girò sul lato, dando la schiena alla compagna: -Certo che sì. In ogni caso, ammetto che i tuoi metodi siano tollerabili in talune circostanze.-.
-Ohh!- Esclamò teatralmente Morgana: -Mi si scioglie il cuore! Ascolta…- era diventata improvvisamente seria: -…ho esagerato l’altra volta, mi dispiace.-.
Le sue scuse non erano sincere, non del tutto almeno; come non lo sarebbero state se le avesse dette lei. Tuttavia Leona ammirava gli sforzi di umiltà.
-Anch’io ho lasciato che la rabbia mi dominasse. Dormiamo adesso.- Chiuse il discorso e gli occhi. Per qualche motivo aveva la sensazione che Morgana stesse sorridendo.
-Dormi con l’armatura?-.
-Buonanotte.-.



Qualcosa non va.”.
Leona riaprì le palpebre. Era buio, la candela sul comodino si era spenta; e l’altro letto era vuoto. La porta era socchiusa. Si alzò silenziosamente, cercando indizi nella stanza. Niente che lasciasse pensare a un combattimento, quindi o era stato un rapitore esperto o Morgana se n’era andata da sola. Uscita dalla locanda, continuò a cercare delle tracce; dovette usare i poteri del Sole per vedere bene al buio, ed ecco: segni di tacco che si dirigevano fuori dal villaggio. Non aveva preso il cavallo.
Era il caso di sguainare le armi. Seguì con attenzione la pista fino a perdersi negli alberi.
Trovata… cosa sta facendo?” La sua camminata era strana, non aveva niente della classe di qualche ora prima, le ricordava invece Diana in quelle notti in cui vagava sonnambula nella sua smania di… insomma, Morgana non aveva mai camminato nel sonno da quando l’aveva incontrata. Si acquattò dietro a un albero.
Morgana si fermò e davanti a lei l’aria tremolò come se un telo trasparente fosse calato. Una strana creatura si alzò dalle quattro zampe, e la sua pelle nera mutò rapidamente in viola. Sembrava una donna, una bella donna, ma chiaramente non lo era. E quelle due code non le piacevano per niente.
-Ciao dolcezza, vieni da me.- Disse con voce vellutata accarezzandole la guancia con degli… artigli; poi li fece scivolare dietro la nuca, spingendo il viso verso il suo.
-Ehi!- Leona si fece avanti con la spada alzata e la “donna” la puntò con due occhi giallo fulmine.
-Mmm…- Miagolò con fare voluttuoso: -Tra poco sarò da te, zuccherino. Io sono Evelynn.-.
-Urgh… cosa…- Biascicò la corvina, forse uscendo dalla trance.
-Uff!- Evelynn oltrepassò Morgana girando gli occhi, con Leona che la seguiva con la spada.
-Un animo infranto è così facile da manipolare, ma il tuo deliro ti rende così… desiderabile. Voglio così tanto spezzarti!- Urlò come ebbra dal vino.
-Fermati demone!- Non aveva più dubbi, era uno dei diavoli delle Scritture. Finalmente qualcosa che avesse un senso, seppur malvagio, in quella terra di contraddizioni.
-Che sta succedendo? Kayle… era qui?- Morgana si guardava intorno confusa, poi realizzata la situazione si mise in guardia.
-Rilassatevi ragazze.- Disse Evelynn mentre le sue code volteggiavano in aria con la leggerezza della stoffa: -Ora che sono stata scoperta sarò docile come un agnellino.-.
Leona proiettò l’immagine della sua spada, ma Evelynn scomparve com’era apparsa. Da dove avrebbe attaccato?
-La… mia… testa…- Morgana si copriva il viso con una mano, era come se stesse per crollare dal sonno. Leona ricordava a memoria le pagine delle Scritture, quindi sapeva cosa le stava succedendo.
-Non ascoltare quello che ti dice!-.
L’istinto le disse che il suo fianco destro sarebbe stato attaccato, così mosse la lama per proteggersi; ma il colpo fu così forte da strappargliela via. Di fronte a lei c’era Evelynn, piegata in avanti e con le code ritte. Ebbe la prontezza di alzare lo scudo e la sferzata la spinse indietro.
-Quanto chiacchieri! Ti seguo da un bel po’, sai? Ho tenuto duro per mesi… ah, quanto mi piace spezzare quelli come te!-.
-Tu non sai niente di me, mostro!-.
-Davvero?- Il demone si leccò le labbra con euforia: -Una donna tutta d’un pezzo, il faro che mostra agli altri la via. Ma dentro vuoi solo essere libera… e io posso darti la libertà. Lo faccio sempre.-.
-Non osare!- Provò ad attaccarla con lo scudo, ma diventò di nuovo invisibile.
-Lei aveva ragione su di te!- Sentiva le sue parole dentro la testa: -E anche tu avevi ragione su di lei! Siete così adorabili insieme…-.
-Perché ti stai facendo avanti adesso?- Doveva prendere tempo per capire dove si trovasse; ma la risposta le arrivò sussurrata sull’orecchio, e fu così spiazzante che ci mise un secondo di troppo a reagire. Si ritrovò a terra, con il dolore di un graffio sulla faccia. Evelynn troneggiava spavalda su di lei con stampato quel ghigno lussurioso che, ormai era chiaro, la contraddistingueva.
-Andrà tutto bene, tesoro.-.
Il sorriso si tramutò in urlo quando la punta di una lama dorata spuntò dal suo petto. Evelynn si buttò di lato, coprendosi la ferita la una mano; qualunque imitazione di libidine avesse mostrato, era stata spazzata via dalla furia.
-Tu!!!-.
-Non dovresti darmi le spalle.- Morgana le porse la mano, aiutandola a rialzarsi, e le ridiede la sua spada.
-Come fai a muoverti???-.
-Oh, tesoro.- In un battito di ciglia gli occhi di Morgana si erano accesi di viola: -Mi sa che non hai capito proprio niente di me.-.
-Né di me.- Aggiunse Leona. Evelynn le guardò rabbiosa, poi fece quello che sapeva fare meglio.
-Non scapperai!-.
-Sì invece.- La corresse Morgana: -Non riesco più a percepirla. L’ho ferita ma…- si interruppe, e Leona si voltò a guardarla. Con una falange stava fermando il corso di una lacrima.
-C-Che strano, ero sicura che…-.
Pensava che ci fosse Kayle…” Intuì Leona.
-In ogni caso non, non avrebbe avuto la meglio su di me se fossi stata sveglia.- Si affrettò a dire asciugandosi la guancia: -Continuiamo a salvarci la vita a vicenda. Bella spada comunque.-.
-I bisbigli dei demoni scavano nelle nostre debolezze. Persino un guerriero tenace può essere tratto in inganno da essi.-.
Morgana la guardò sbigottita, poi abbozzò un timido sorriso.
-Grazie. Se non ti avessi sentita parlare non so se mi sarei liberata così in fretta. Dai, torniamo indietro.-.
Ma Leona non si mosse. Guardava il bosco davanti a sé, ripensando a quell’ultimo sussurro; forse era l’ennesimo inganno, tuttavia se aveva deciso di uscire allo scoperto proprio quella sera…
-Che c’è, non vieni?-.
-Sì…-.
Ritornarono sui propri passi. Pochi minuti di cammino, ma furono tra i più intensi della sua vita. Sentiva il peso di ogni passo, l’aria fredda sulla pelle, il sudore sulla fronte; li sentiva come un memento.
-Lo sai, mi aspettavo che le dessi la caccia.-.
-Già…-.
Tornate in camera, Morgana iniziò a percepire che c’era qualcosa che la tormentava.
-Tutto bene?-.
-Sono solo un po’ stanca.-.
-Ho capito. Stavo pensando, potrei aver giudicato troppo in fretta i tuoi testi, magari- Non finì mai la frase. Colpita in viso dallo scudo, batté la nuca sul muro e cadde distesa sul letto.
Leona non si fermò a ragionare sul paradosso della situazione. Si accomiatò da lei e uscì senza curarsi di non fare rumore; montò a cavallo e partì al galoppo, attraversando colonne lignee che l’addentravano verso il suo scontro finale.
Al contrario di poco prima, era sorprendentemente calma, avulsa dalla realtà. Non che non si sentisse pronta, anzi, era l’apice del suo viaggio che a lungo aveva agognato; ma aveva previsto agitazione, o rabbia, o almeno commozione.
Niente di tutto questo. Il suo animo si levava all’altezza del Sole e guardava verso il basso la terra lontana, senza posarvi piede.
Sapeva di essere diversa da quella che era partita; anzi, era diversa da quella che aveva incontrato Morgana su quella spiaggia. Lo aveva sospettato al villaggio dei mostri, e poi ne aveva avuto conferma con la donna del giorno prima.
L’aveva persa, la sua umanità: la capacità di guardare agli umani come suoi simili, il dolore nel vederli soffrire, la pietà per coloro che aveva giurato di proteggere, addirittura l’odio per gli empi. Ora erano un eco della sua memoria, un riflesso spontaneo ma vuoto. Era all’apoteosi della propria abnegazione: non esisteva altro se non il suo compito, non pensava ad altro se non al suo mantra; e le andava bene così.
Io sono il Sole che illumina gli innocenti. Sono il Sole che brucia i malvagi. Sono l’aurora di un giorno senza tramonto. Sono la prima lama dei Solari. Non ci saranno altre albe per te.”.
Gli alberi si interrompevano davanti a lei, rivelando una radura propizia. Leona tirò le redini e smontò dal cavallo, legandolo a un ramo e calmandolo con una mano sul muso. Forse in qualche modo avvertiva… chissà. Dentro di sé la creatura ancestrale ribolliva, e pensò che anche per lei dovesse essere lo stesso. Ormai erano così vicine che poteva quasi palpare quell’aura magica che aveva inseguito tanto a lungo. La freschezza della Luna, il sapore della Notte. Evelynn non aveva mentito.
Si rivelò con un passo in avanti. Di fronte a lei, la Luna era ormai bassa nel cielo; alle sue spalle, il Sole stava per sorgere. La donna all’altro lato dello spiazzo si fermò di colpo, e forse per un momento fu colta dalla sorpresa.
-Leona.-.
-Diana.-.



La prima cosa che Morgana sentì da sveglia fu il dolore al naso. Istintivamente si portò la mano sul setto, ritraendola per una fitta improvvisa e trovandola bagnata di rosso. Spalancò gli occhi e si mise seduta, scostando le coperte sotto cui qualcuno l’aveva messa.
Cosa diavolo…”.
Il suo sguardo si posò sul comodino del letto, dove due oggetti affiancavano la lanterna: il suo rossetto e un coltello ioniano.
-Leona?- Domandò nervosa senza aspettarsi una risposta. Il demone era tornato? No, l’ultima cosa che ricordava era… era…
Chiuse gli occhi e si concentrò, scrutando per l’aura magica della compagna ovunque potesse essere; non nella locanda, più in là allora, non nel villaggio, ancora più in là, non nel bosco… aspetta, ecco! Però…
-No.-.
Scattò in piedi, spalancò la finestra e si gettò fuori, spiccando le ali e superando ogni limite che si fosse mai data.
-No no no!-.
Non sentiva il vento o gli uccelli sfrecciarle accanto, non sentiva il freddo della notte appena passata o il tepore del sole che sorgeva. Anzi, nemmeno sapeva se il cielo fosse limpido o nuvoloso. Malediceva sé stessa per essere troppo lenta, poco più veloce di un cavallo in corsa.
Alla fine le sue ali si stancarono e la costrinsero ad atterrare, stanche da mesi di sforzi a cui non erano abituate. Le sue stupide scarpe non si muovevano bene nel sottobosco, quindi se ne liberò e i suoi piedi calpestarono correndo la terra umida e sporca, il suo vestito si impigliava ma andava avanti, era quasi arrivata, ancora un piccolo sforzo, oltre quegli alberi, ancora uno sforzo, solo un altro…
Passo.
N…no…”.
Restò impietrita, come legata dalle sue stesse catene. Il viso di Leona, appena reclinato all’indietro, era rivolto verso il cielo, ma non poteva guardarlo perché teneva gli occhi chiusi. Di lei vedeva solo la testa e i piedi, e per qualche strana ragione si accorse solo ora che anche lei portava i tacchi (li aveva sempre avuti? Che senso aveva per un guerriero portarli?); il resto del suo corpo era coperto dall’armatura argentea della donna che, china su di lei, la teneva tra le braccia.
La uccido.”.
Un pensiero semplice. Piuttosto facile da eseguire. Non sarebbe neanche stata la prima volta. Cos’era? Dolore? Giustizia? Giustizia, sì, ma non quella della Dama Velata: non voleva quella, no, voleva la giustizia assoluta di Kayle, voleva vedere la sua spada abbattersi su di lei e cancellarla dalla realtà. Nessuna redenzione, niente ultime parole, sarebbe morta e Leona…
Diana si accorse di non essere più sola. Appoggiò con delicatezza il corpo a terra, si rialzò e si voltò. Era affranta, inorridita, la maschera della disperazione: una donna bellissima dall’animo a pezzi. Non osava guardarla in faccia. Era oppressa dalla propria lucidità.
Rimasero in silenzio a guardarsi, in attesa. Il tempo passava attorno a loro: la natura si risvegliava, il vento piegava i fili d’erba, il Sole si stava mostrando nel suo cieco splendore, presto tutto sarebbe stato come il giorno prima; ma per loro no, loro restavano immobili.



*                           *                           *



Tacevano entrambe.
Diana le dava le spalle, più vicina di lei alla tomba. “Tomba”, un rettangolo di terra scavata con una roccia come lapide, su cui la Targoniana aveva inciso un Sole. Trovava ingiusto che Leona fosse seppellita lì, in quella terra che odiava; ma quel terreno era intriso di magia positiva, e nessuna delle due poteva riportarla al Targon. Era il meglio che potevano offrirle, ed era ancora un insulto per lei.
-Eri sua amica?- Chiese Diana ad un certo punto. Morgana non le rispose.
Avrebbe dovuto provare a redimerla, carpire il suo dolore e indurla a liberarsene; ma non poteva. Non riusciva ancora a liberarsi del suo. E non voleva farlo: era ancora forte in lei il desiderio di abbandonarla alla dannazione. Ma il lato di sé che ora deprecava avrebbe vinto, alla fine.
-Non doveva andare così.- Disse invece, caricando la voce di veleno. Neanche davvero rivolto a Diana o a qualcuno di preciso, non avrebbe avuto senso. Era una banale constatazione.
-Non…- Iniziò l’argentea, ma si interruppe per soffocare i sentimenti che le sarebbero sfuggiti dalla gola. E faceva male sentire l’umanità nella sua voce.
-Non ti chiedo di perdonarmi. Non c’è più speranza per me. Ma se c’è qualcuno che è per te ciò che lei era per me…- La guardò con gli stessi occhi di prima, lucidi da un pianto che si sforzava di trattenere.
-…trovalo, ti prego. Prima che non restino che morte e rimpianto.-.



Le due donne, prima l’una e poi l’altra, se n’erano andate. Quel mondo tanto ingiusto e crudele aveva ancora bisogno di entrambe. Il Sole navigò la propria rotta celeste, all’alba si susseguì il mattino, e poi il mezzogiorno.
Quando raggiunse lo Zenit, i raggi illuminarono a pieno la tomba. Fu allora che la terra si smosse.

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