Come il Sole e la Notte di Jashin99 (/viewuser.php?uid=862981)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ALBA, MATTINO, MEZZOGIORNO ***
Capitolo 2: *** POMERIGGIO, TRAMONTO, CREPUSCOLO ***
Capitolo 3: *** SERA, NOTTE, AURORA ***
Capitolo 1 *** ALBA, MATTINO, MEZZOGIORNO ***
Il
mare quella mattina era calmo, come raramente se ne vedevano da
quelle parti. La notte prima era stata di tempesta e l’aria
umida
pungeva fresca, eppure un Sole immemore brillava cheto sopra le sue
scaglie azzurre. Era come se un grave male avesse portato con
sé la
tempesta e poi si fosse inabissato: non diceva per dire, aveva
percepito qualcosa di soprannaturale e malefico quella notte; non le
era mai successo prima, era come se un terzo occhio che non sapeva di
avere si fosse aperto all’improvviso. Per questo era
lì.
Ora
sembrava tutto tranquillo, niente fuori posto. Forse era stato un
falso allarme, non conosceva ancora bene la magia di quella nazione;
ma da quello che aveva visto, ne era satura in ogni suo angolo. Un
tale potere profano di cui le Scritture non-
Cos’era
quello?
Mise
un piede sulla superficie diagonale della parete e si lasciò
scivolare, finché i suoi stivali non affondarono sul manto
sabbioso
della spiaggia. Sguainò la spada (meglio non rischiare). Si
avvicinò
prudentemente, riconoscendo a mano a mano quello che stava puntando.
Uno spettacolo a cui aveva già assistito molte volte: un
cadavere.
Poteva
essere stato semplicemente portato dalla corrente, ma la sua
posizione era troppo particolare: sembrava essere emerso dalle onde,
per poi cadere e cercare di strisciare con le braccia. Il suo torso
era nudo, probabilmente il vestito era stato stralciato dal mare,
però una strana massa nera gli attraversava… no, le
attraversava il bacino. Una cosa molto lunga, come una coperta; uno
scialle? Un mantello?
L’aveva
quasi raggiunta: una giovane donna dai lunghi capelli corvini, che
ora erano sparsi nella sabbia bagnata, e con le unghie… ben
curate.
Guardare le unghie era utile per rivelare chi aveva davanti, in
questo caso una donna che curava il proprio aspetto, forse
addirittura benestante; il genere di persona completamente fuori
posto lì, e che in un naufragio andava a fondo per prima. La
faccenda si faceva sempre più strana.
Ora
le stava davanti. Le onde le bagnavano ritmicamente le suole degli
stivali e riempivano il corpo di alghe e conchiglie. Il suo viso,
schiacciato per metà nella sabbia e per l’altra
coperto dai
capelli, era mortalmente pallido.
“Non
è una coperta, sono ali!” Ali scure da uccello,
probabilmente un
tempo maestose ma ormai con poche piume lungo lo scheletro; la furia
dell’acqua doveva averle spezzate. Che fosse una di quelle
creature
impure, una vastaya?
Un
piccolo movimento attirò la sua attenzione, impercettibile
se non
fosse stata in guardia. Le sue dita si erano mosse. Allora era ancora
viva. Posato di nuovo lo sguardo sul suo viso, vide sulla palpebra
aprirsi una fessura e le sue labbra screpolate schiudersi.
Rantolò
qualcosa, non era certa che l’avesse vista, forse stava
esalando
l’ultimo respiro. Attorno a lei vedeva una strana
ombreggiatura
sfuocata, e poi capì che si trattava la sua aura. Era
debole, ma
percepiva una traccia della notte prima: era qualcosa di eretico,
oscuro, nemico.
E
non era ancora morta.
…
La
donna chiuse occhi e bocca e perse i sensi. Lei rinfoderò la
spada,
sistemò lo scudo sulla schiena e si abbassò su di
lei. Scostò una
ciocca di capelli, rivelando un orecchio appuntito e una linea di
trucco sbavata attorno all’occhio e sulla guancia. Tutto di
lei
indicava a una creatura delle tenebre.
Le
toccò la pelle con un dito, e quella biascicò
ancora. Si stava
aggrappando alla vita in ogni modo.
Chiuse
gli occhi e sospirò.
“Stando
così le cose…”.
K…
K…
-Cosa
guardi, ragazzina?-.
-Uh?-
Morgana rialzò lo sguardo sul vecchio che le stava davanti,
che ora
la fissava con uno sguardo truce.
-A-Ah,
chiedo scusa, e-ecco io…-.
Il
vecchio grugnì stizzito e strinse rabbrividendo la coperta
lurida
che lo avvolgeva. Abbassò lo sguardo, segno che voleva
dimenticarsi
di lei.
-P-Per
caso tu sei un… mago?-.
Il
vecchio sgranò gli occhi e la guardò come se
avesse appena visto un
fantasma. L’afferrò poderosamente per un braccio
e: -Che cosa hai
detto???-.
-No,
ti prego, io voglio solo…-.
Il
vecchio si guardò intorno per capire se qualcuno li aveva
sentiti,
ma in quel vicolo c’erano solo altri fantasmi come lui.
-Chi
te l’ha detto?- Sussurrò trattenendo la paura.
Lei
si sentiva il cuore in gola, stava per scoppiare a piangere e la
presa iniziava a far male.
-Io-io
posso sentirlo. Voglio solo capire perché dovete vivere
così! Cosa
vi è successo per…-.
-Cosa
ci è successo? Niente, niente!- Esclamò il mago
con la bava alla
bocca: -Cosa può saperne una ragazzina???-.
-Ah,
eccoti qui.-.
-Kayle!-.
Il
vecchio si spaventò per la nuova arrivata e la strinse con
più
forza; ma come incrociò gli occhi della bambina bionda, si
acquattò
sulla parete nascondendo le mani.
-Morgana,
perché continui a giocare con questa gente?-.
Morgana
gonfiò le guance: -Non sto giocando, sorella! E non dovresti
rivolgerti a loro così!-.
L’altra
le rivolse uno sguardo atono, a cui era abituata da tempo: -Stai
perdendo tempo qui; e poi dovresti sapere che non gli è
permesso di
essere liberi.-.
Il
vecchio uggiolò e Morgana prese la sorella per le spalle:
-Kayle,
non chiamare i soldati! Non ha fatto niente di male!-.
-Uff…
non ti capisco, se venissi con me alle lezioni impareresti molto di
più che andandotene in giro. Coraggio, torniamo da nostro
padre.- Si
voltò e Morgana sapeva di doverle dar retta. Kayle camminava
velocemente ed era più alta di lei, perciò doveva
praticamente
correre per starle dietro.
-Io
voglio… solo… aiutarli!-.
Kayle
si fermò, e così Morgana. La strada intorno a
loro si fece sfuocata
e una luce abbagliante pervase l’aria. Seguendo un impulso
irrefrenabile Morgana allungò la mano verso la sorella, ma
questa
sembrava irraggiungibile. Non le vedeva il volto, ma sapeva che
qualcosa stava cambiando.
-Vedi,
è questa la differenza tra noi: tu vuoi aiutarli uno alla
volta…
mentre io li aiuterò tutti.-.
Poi
la luce fu troppa.
-Kayle!!!-.
“Kayle.”.
Morgana riprese conoscenza
senza quasi rendersene conto, furono le ferite ad avvertirla di
essersi svegliata. Sentiva il corpo dolere e bruciare al punto che
dubitava di potersi muovere. Moriva di sete. Soffriva troppo per
essere morta.
Ricordava… ricordava di
averla vista un secondo prima di svenire, la sua armatura
scintillante come il Sole, e poi basta. Era sua prigioniera?
Perché
non l’aveva uccisa? Doveva guardare, non aveva altra scelta.
Scorse un fuoco da campo
ardere alla sua altezza. Era per terra dunque. Doveva provare a
muovere la testa per vedere qualcos’altro, ma anche solo
spostare
le pupille sembrava uno sforzo enorme.
Un sospiro roco le sfuggì
dalla gola. Sentì un’armatura cigolare, e dopo
qualche secondo dei
passi avvicinarsi.
-Sei sveglia?-.
Non era Kayle: non aveva mai
sentito quella voce prima d’ora. Non sapeva se esserne
sollevata o
meno. La donna misteriosa si fermò davanti a lei, e dal poco
che
riusciva a vedere aveva un’armatura dorata addosso.
-C…chi…-.
-Non ti sforzare. Il tuo corpo
si sta riprendendo in fretta, ma hai ancora la febbre. Riposati per
ora.- La voce di una guerriera, dura e malcelatamente ostile. Ah,
certo, non aveva un aspetto rassicurante; ciononostante le stava
salvando la vita.
-G… zie…-.
La guerriera rimase muta, poi
alzò i tacchi. Morgana scivolò di nuovo nel sonno.
Non era umana, e non lo diceva
solo per le ali o le orecchie. Quando l’aveva trovata, non
pensava
che sarebbe sopravvissuta allo stato in cui versava; invece nel giro
di due giorni le sue ferite erano quasi tutte guarite. Aveva avuto
però il tempo di esaminarle: tagli, graffi, scorticature,
bruciamenti, tutte con una traccia magica oscura. No, meglio dire
putrida. Del genere che il corpo di una qualunque
persona
sarebbe andato subito in cancrena.
D’altra parte, se si
trattava di una creatura d’ombra, aveva un aspetto molto
atipico
anche ad un’ispezione più accurata. Poteva quasi
passare per
un’umana, quindi se era un mostro doveva essere
particolarmente
potente. Strano allora che venisse attaccata da altri seguaci delle
tenebre, e nientemeno ferita gravemente. Una creatura
eretica…
nemica di altre? Doveva capirci di più.
Si addormentò seduta e si
risvegliò così. Ormai le sue ossa erano abituate
a dormire in quel
modo, quindi non ebbe problemi a rialzarsi. Notò che la sua
ospite
stava mangiando alcune delle sue bacche con
l’avidità di chi si
trova davanti un banchetto. Per un secondo pensò di
sguainare la
spada, ma ci ripensò: ridotta all’osso, si reggeva
con una mano e
le sue gambe erano rimaste sdraiate, la fame era l’unica cosa
che
l’aveva fatta muovere.
-Parli la mia lingua?-.
La dama alata si bloccò,
accorgendosi di lei solo in quel momento. Mandò
giù e sussurrò:
-Sì.-.
Beh, questo era strano. Quanti
a Ionia conoscevano la lingua Yazic del Monte Targon? Al punto da
usarla spontaneamente, come lei la sera prima?
“Che
sia un’arpia? O un
demone magari? Non ho mai sentito di demoni e arpie
erbivori…”.
-Hai un nome?-.
-Morgana.-.
-Morgana.- Ripeté lei: -Ti
serve qualcosa? Hai sete?-.
Morgana la guardò con i bulbi
scavati nelle orbite, e annuì flebilmente.
-Prima voglio essere sicura
che non mi attaccherai una volta che ti avrò dato le
spalle.-.
-Lo… prometto…-.
-Mh.- D’altronde non le si
era nemmeno avvicinata mentre dormiva. Le diede da bere, poco, o
avrebbe vomitato tutto. Morgana chiuse gli occhi assaporando il
sorso, incurante di stare scoprendo il collo a quella che poteva
essere una nemica.
-Gra… zie…-.
Si rimise seduta, fissandola
attentamente per studiare i suoi movimenti. Le ali, che sembravano
atrofizzate, non si muovevano proprio, ma ogni tanto vedeva i piedi
muoversi.
-Quando avrai finito, devo
farti alcune domande.-.
Morgana annuì. Mangiata
l’ultima bacca, fu lei a parlare con un filo di voce: -Ti
devo la
vita, e non conosco nemmeno il tuo nome.-.
-Io sono Leona e vengo dal
Monte Targon.-.
-Targon… non sentivo quel
nome da molto tempo. Leona, non ti sarò mai grata
abbastanza…- Le
parole diventarono sospiri, Morgana era già senza fiato. Ma
Leona
voleva le sue risposte, e le voleva ora.
-Come sei arrivata qui? Avevi
una barca?-.
-All’inizio…-.
-Quindi hai volato?-.
-S…sì.- Guardò
timidamente
le proprie ali: -Devo essere caduta.-.
-E da dove sei arrivata?-.
Morgana la guardò
intensamente, dietro la stanchezza un occhio esaminatore. La risposta
che stava per darle non le sarebbe piaciuta.
-Mi ero rifugiata nelle…
Isole Ombra…-.
No, non le piaceva per niente.
Per di più le Isole Ombra erano molto a sud, se aveva
percorso tutta
quella strada con quelle ferite chissà quanto sarebbe stata
pericolosa dopo. Sapeva di doversi occupare subito di lei.
Eppure qualcosa la tratteneva
dal farlo, se non altro la possibilità che potesse ricavare
qualche
informazione torchiandola.
-Questa è Ionia?- Domandò
flebilmente la corvina.
-Siamo nell’isola di
Sudaro.-.
-Capisco.-.
Silenzio.
-Chi è Kayle?-.
Morgana sgranò gli occhi.
-La chiamavi in continuazione
quando dormivi.-.
-Kayle era… è
mia
sorella. Ti avevo scambiato per lei… perdonami.-.
-Era con te nelle Isole
Ombra?-.
Morgana rise di un mesto
sorriso: -No, non la vedo più da… molto tempo. E
un luogo del
genere non le s’addice… la amavo molto, ma siamo
sempre state…
molto diverse.-.
-Parlamene ancora.-.
Morgana distolse lo sguardo:
-Non posso… mi dispiace…-.
-Peccato.- Leona si mise in
piedi, e quasi subito Morgana percepì la minaccia: -Le
Scritture
sono chiare, gli esseri come te devono essere uccisi. Tuttavia non
capivo come potessi scambiarmi per qualcuno che conoscevi,
addirittura tua sorella, ma visto che ti rifiuti di darmi delle
spiegazioni…- le si avvicinò, imbracciando le
armi. Agiva con
calma, poiché vedeva che Morgana era ancora troppo debole
per
reagire. La donna era stupita da quel rapido cambio di atteggiamento,
anzi, sembrava quasi tradita.
-Aspetta… aspetta, per
favore.- “Grazie”, “perdonami”,
“per favore”, quale
demone usava tali termini? Uno molto astuto probabilmente. Ma quale
demone poteva fingere… no, aveva già tergiversato
a sufficienza.
-Mi hai salvato… la vita,
non voglio essere… la causa della tua morte.-.
Ohh! Questa poi!
-Permettimi di aiutarti…-
Morgana esalò un profondo respiro e, senza forze, si
trovò con la
schiena a terra; Leona le era già davanti, spada e scudo
imbracciati.
-Dimmi solo perché sei in
viaggio… se posso esserti utile in qualche modo lo
sarò…
ripagherò il mio… debito…- Concluse
affannando, e Leona doveva
ammettere che i suoi sforzi le valevano la sua compassione. Ma come
poteva Morgana aiutarla a… anche se…
-Sono in viaggio alla ricerca
di una persona. La perdizione in cui è caduta la sua anima
potrebbe
averla spinta fino alle Isole Ombra. Dimmi, la conosci forse?-.
-Una persona… di Targon?
No…- Ammise. Curioso che non mentisse per avere salva la
vita.
-Ma se è come te posso…
aiutarti a trovarla…-.
-Come me?- Doveva
badare meglio alle proprie parole.
-Tu hai… raggiunto la vetta…
vero?-.
Leona socchiuse gli occhi:
-Come lo sai?-.
-Lo posso sentire… non sei
come nessun’altra persona che… che abbia mai
incontrato…-.
-Quindi mi stai proponendo di
aiutarmi a cercarla? E perché dovrei fidarmi?-.
-Prendi tutte le precauzioni
che vuoi… ammanettami, legami… quando
avrò saldato il mio debito
potrai fare ciò che vorrai…-.
La parola di un demone non
valeva molto, ma era pur vero che al momento Leona non aveva molte
piste da seguire. Squadrò attentamente la donna ai propri
piedi,
valutando se salvarle la vita una seconda volta.
-Molto bene.-.
Il primo giorno di cammino non
fu facile: Leona non dava cenno di preoccuparsi se poteva o no tenere
il suo passo, la strattonava per la corda obbligandola a seguirla.
Camminarono ai piedi delle montagne, in uno spazio dove cresceva una
macchia verde.
Che umiliazione, e che ironia:
per la prima volta dopo secoli si era ritrovata con le ali libere, e
poco dopo l’intero suo corpo era incatenato. Le energie che
stava
recuperando forse le avrebbero permesso di soggiogarla, ma Leona dava
tutta l’aria di non essere persona da farsi sottomettere
facilmente. Inoltre, nonostante tutto, non voleva combattere con lei,
non dopo che le aveva salvato la vita.
Chissà se Kayle… no, Kayle
al suo posto non ci avrebbe pensato due volte a ucciderla. Invece
quella Leona era capace di compassione, come la Kayle di un tempo.
Le ore passarono lente, per
tutta la giornata non si scambiarono parola; ogni tanto Leona si
girava per controllarla, ma tutto lì. La sera le diede
qualcosa da
mangiare, solo perché il giorno dopo potesse camminare. Si
mostrò
stizzita quando la ringraziò, e Morgana si ripromise di non
farlo
più.
La notte fu tormentata da
incubi; non come il sogno della volta prima, erano molto più
recenti, popolati da spettri, disperazione, stridore di ferri e
denti, nemmeno l’oscurità le diede pace. La
sveglia fu rude e si
rimisero subito in marcia; se voleva abbandonare l’isola,
Leona
doveva avere una barca ormeggiata da qualche parte.
Leona… cercare di scrutarla
era come guardare il Sole. Doveva essere per colpa
dell’armatura e
del qualunque-cosa-fosse che l’abitava. Le aveva mentito:
aveva
conosciuto un’altra persona con il suo stesso fardello, e
parte di
esso era sulle sue spalle. Ma per il resto era imperscrutabile.
Il secondo giorno passò come
il primo, con le ferite che però miglioravano, e il terzo
pareva
essere lo stesso; all’improvviso però Leona si
fermò e le fece
cenno di non fare rumore. Morgana aguzzò le orecchie:
assorta nei
suoi pensieri, non si era accorta dei suoni che provenivano poco
distante, in mezzo agli alberi. Erano voci di persone, ma di una
lingua dura, aspra, che non capiva; un’altra persona parlava
una
lingua diversa, più melliflua, e dal tono sembrava stare
implorando.
Dei banditi?
Leona la strattonò con forza,
obbligandola a mettere la faccia contro un albero; poi
lanciò in
aria la corda e la attorcigliò attorno a un ramo, quindi la
prese
per la nuca e le fece piegare la testa in avanti, insaccandola tra le
braccia alzate. Qualche secondo dopo sentì che le metteva
delle
foglie sulla base del collo.
-Se ti muoverai lo saprò.- Le
prime parole che le rivolgeva da due giorni, e ancora quel tono
orrendamente spietato: lo aveva già sentito parecchie volte
uscire
dalle labbra di sua sorella. Si morse il labbro, soffocando la
rabbia. Leona si incamminò nel bosco, lasciandola sola; poco
dopo,
sentì il rumore di lame che cozzavano in tintinnii
metallici, troppi
perché fossero solo due avversari a combattere.
Prese la sua decisione.
L’uomo la attaccava con la
spada imprecando nella sua lingua impura, che sembrava il latrato di
un cane a cui avevano tagliato coda. L’altro guerriero
cercava di
aggirarla, mentre la donna sferzava colpi di catena e il balestriere
colpiva ripetutamente il suo scudo. Un bel gruppetto ben organizzato.
KLENG KLENG
Rimase per qualche secondo a
scambiare colpi di spada, e proprio quando il secondo pensava di
poterla attaccare al fianco, scartò entrambi con una
piroetta e
puntò la spada contro il balestriere; quello che videro da
fuori fu
una lama di luce che lo colpiva in petto e lei che in un battito di
ciglia si era spostata davanti a lui. L’uomo la
guardò spaventato
e Leona lo stese con una testata.
Un colpo di catena più forte
degli altri si abbatté sulla sua schiena, facendola gemere.
Voltatasi, dovette difendersi dalla carica dei due spadaccini, che
tenne alla larga con lo scudo. La creatura dentro di lei, la
proprietaria della sua armatura, le diceva di ucciderli, ma se avesse
liberato i suoi poteri avrebbe potuto ferire l’ostaggio: lo
stolto
era ancora a terra, troppo attonito per muoversi.
KLENG KLENG KLENG
Una lama la colpì alla gamba,
e Leona si piegò di conseguenza. Alzò lo scudo
sopra la testa
parando il fendente di quello grosso, e lo spadone rimbalzò
tanto
era stato forte. Prima che l’altro potesse rialzare la spada,
gli
aveva già ricambiato il favore, ed ora era
anch’egli
inginocchiato. Incrociò i suoi occhi rabbiosi, a cui rispose
con un
ghigno compiaciuto. Dopodiché rotolò di lato e si
mise alle loro
spalle; mentre si voltavano e lei si rialzava, con un ridoppio dritto
mozzò la testa del bestione, il cui corpo cadde in avanti
inondando
il terreno di sangue.
Sentì un urlo femminile
disumano e vide la donna piombarle addosso, senza più la
catena ma
con una lama corta in mano e le lacrime sulle guance. Chi aveva
ucciso? Suo fratello? Suo marito?
Parata, parata, parata, le
loro lame si incrociarono più volte; Leona provò
a colpirla con uno
scudo, ma l’avversaria era abbastanza agile da schivarlo ogni
volta. Si allontanarono, guardandosi in cagnesco. Quello ferito al
ginocchio disse qualcosa, e la donna rispose strillando come
un’aquila. Il senso era chiaro: “lei è
mia!”.
-Non ci saranno altre albe per
nessuno di voi.- Le disse, senza curarsi se l’avesse capita.
Lo
scontro riprese, ma stavolta Leona lo avrebbe chiuso in fretta.
L’energia antica che dimorava dentro di lei
illuminò la sua
armatura fin quasi ad accecare la nemica, e poi esplose in un onda
luminosa che la mandò gambe all’aria. Con un gesto
sicuro Leona
alzò la spada per darle il colpo di grazia, ma qualcosa di
piccolo e
veloce la colpì tra lo spallaccio e il collo, dove
l’armatura era
meno coperta. Un dardo, che aveva bucato l’armatura e
l’aveva
ferita di striscio, ma quel tanto che bastava da interromperla.
Lo spadaccino le si gettò
addosso urlando, certo che non avrebbe reagito in tempo. Che
assurdità. Parò con lo scudo e un lampo luminoso
uscì dalla sua
sommità, stordendolo quel secondo che bastava per affondare
la lama
sul suo petto. Il tempo si fermò per un istante, mentre lo
guardava
rendersi conto di essere ormai un cadavere ancora in piedi. Emise un
gemito e si piegò verso di lei, senza però che la
vita lo
abbandonasse ancora. Leona vide il balestriere preparasi a colpire di
nuovo e la donna riaversi dalla botta, così spinse in avanti
il
nemico che investì quest’ultima, facendola
ricadere, e ancora con
lo scudo respinse la freccia successiva. Superò i due nemici
a terra
e si diresse verso il terzo, che terrorizzato cercava di ricaricare;
diede una spazzata secca e balestra, dita e sangue caddero a terra.
L’uomo urlò di dolore, inciampò e
scivolò a sua volta. Prima che
potesse infierire, però, la donna urlò di nuovo e
sentì un tonfo
alle proprie spalle come di qualcuno che cadeva.
-Leona, fermati!-.
Leona si voltò furiosa: la
brigante era a terra, avvolta da delle specie di catene tinte di
tenebra, e Morgana con la mano alzata la guardava implorante.
-Ti avevo detto…- Iniziò
lei rabbiosa.
-Non c’è bisogno di
ucciderlo! Risparmiagli la vita!-.
Quelle parole la fecero
infuriare. Ecco la malvagità scoperta: chiedere
pietà per un
assassino! Morgana era tale e quale a loro! Ma prima di lei si
sarebbe occupata di chi era già a terra.
Il bandito cercava di
allontanarsi da lei scalciando e muovendo le spalle, come uno
scarafaggio capovolto, senza riuscire a ricordarsi come si faceva a
camminare. Ripeteva qualcosa con il cuore in gola, suppliche di
certo, suppliche che anche se avesse capito non gli sarebbero valse a
nulla.
La voce di Morgana la
infastidì di nuovo: -Te ne prego, sii magnanima come lo sei
stata
con me! Leona, ti prego!-.
Voleva la sua attenzione?
Bene! Con un calcio in fronte, dove già sanguinava,
stordì il
criminale e si voltò di nuovo verso la sua prigioniera.
-O cosa? Userai anche su di me
la tua magia delle ombre? Finalmente mostri la tua vera faccia!-.
Ma la sua vera faccia non era
quella che si aspettava: non una maschera di male e odio, ma
un’espressione di supplica. Le mani erano aperte verso di
lei,
cercavano anche loro di calmarla. Se voleva attaccarla, certo doveva
essere un attacco bislacco.
-Guarda il loro prigioniero,
guardalo!- Leona spostò lo sguardo sull’uomo
ancora a terra,
facendo caso solo allora del sangue che gli usciva dietro la nuca.
Vestito leggero con della pelliccia, doveva essere un cacciatore del
luogo; e la fissava come se avesse davanti a sé un mostro.
Era un
ragazzo molto giovane, sui vent’anni. Probabilmente si era
pisciato
addosso.
-Non è abituato a tutto
questo, è solo un ragazzo spaventato! Non mostrargli il lato
di te
che non sei!-.
Leona aggrottò le
sopracciglia e serrò i denti, la creatura dentro di lei
scalpitava
per incenerire la dama alata; ma non riusciva ad ignorare le sue
parole e ancor di più lo sguardo terrorizzato del ragazzo.
La donna
incatenata ancora si agitava, ma il suo pianto copioso non era mosso
dalla rabbia; e intanto guardava disperata la testa mozzata al suo
fianco. Non sembrava più la bestia che aveva affrontato poco
prima.
Distruggerli tutti,
distruggerli ora; avrebbe potuto farlo. Ma poi si ricordò di
quando
era scesa dal Targon, di quando aveva visto l’operato di
Diana.
Riluttante, avvelenata, abbassò la spada.
Morgana sospirò di sollievo.
-E ora sentiamo, cosa proponi?
Lasciarli liberi magari? Liberi di commettere altro male?-.
-No.- Morgana mosse un passo,
al che Leona mosse la spada, e quindi rallentò, mostrandole
ogni
movimento che faceva. Dai suoi polsi uscirono due catene nere, una
entrò nel petto della donna e l’altra la
oltrepassò e fece lo
stesso con dita-mozze. I due urlarono come se andassero a fuoco,
mentre Morgana restava immobile con gli occhi chiusi.
-Che stai facendo? Che magia
stai usando?- Si cibava della loro anima? Assorbiva la loro forza?
Stava oltrepassando il limite, ma come si mosse per raggiungerla
sentì il ragazzo dire in Velariano: -La Dama Velata!-.
Chi?
Morgana riaprì le palpebre e
i due smisero di urlare. Il volto diffidente e livido di Leona
incrociò quello triste ma deciso di Morgana.
-Hanno patito tutto il dolore
che hanno inflitto ad altri. Non saranno mai più gli stessi
di
prima.-.
-Chi sei tu?-.
-Il ragazzo vivrà in un
insediamento qui vicino. Portiamoli da loro, e ti prometto che ti
dirò tutto quello che vuoi sapere.-.
Ancora una volta sfidava la
sua tolleranza, nascondendo la propria arroganza dietro a una falsa
umiltà. Ma sembrava davvero intenta a rispondere alle sue
domanda;
inoltre il giovane aveva sicuramente bisogno di cure.
-Tu.- Gli disse: -Puoi
muoverti?- il cacciatore si alzò lentamente e
annuì. Leona mise via
le armi e lo aiutò a sorreggersi; eppure non le sembrava
riconoscente, ma solo ancora molto spaventato, e per di più
da lei.
-Non ti farò del male.-.
-E… e loro?- Chiese
titubante.
-Loro?- Si rivolse a Morgana:
-Dato che la mia catena non ti trattiene più, usala tu. Ti
sei fatta
peso delle loro vite, perciò sarai tu a trascinarli.-.
Morgana non rispose, ma chinò
solamente la testa. Rimorso, sollievo o condiscendenza che fosse,
sapeva che era il suo compito.
Un altro giorno e mezzo di
strada. La contusione del cacciatore fortunatamente era meno grave di
quanto sembrasse, e i due incatenati camminavano mesti dietro di lei;
da prigioniera Morgana era passata a carceriere, ma cercava di non
sforzarli più del necessario. Non le parlarono mai, anzi,
come
sospettava erano intimoriti da lei; ma sapeva anche che in cuor loro
li ringraziava, e non solo per aver convinto Leona a risparmiarli.
No, era per il dolore che aveva inflitto loro. Il dolore non era solo
una punizione: era catartico, l’inizio della redenzione. Il
dolore
era la lingua universale degli esseri umani: tutti lo provavano e
tutti lo temevano, e lo temevano per il cambiamento che portava.
Subire e affrontare il dolore voleva dire morire e rinascere, che era
quello che stava succedendo a loro in quel momento. Ma il lutto per i
compagni caduti era ancora soverchiante, e non poteva escludere
tentativi di vendetta; fortunatamente non ce ne furono.
Infine arrivarono a
destinazione: un villaggio costiero mediamente abitato. Dopo lo
sbigottimento generale, la matriarca del luogo le ringraziò
per aver
salvato il loro cittadino e avere catturato i due Noxiani. Morgana
vedeva rancore animare gli occhi degli abitanti: ignorava la storia
di quel luogo, e di Noxus ricordava solo una città lontana
da
Demacia, non certo lo Stato militare che doveva essere diventato.
Offrirono loro una ricompensa, ma entrambe rifiutarono. Dopo qualche
insistenza, accettarono di riposarsi lì e ripartire il
giorno
seguente; Morgana poté indossare qualcosa di migliore dei
panni che
le aveva dato Leona, anche se era abituata a ben altri abiti.
Pazienza. Una volta lasciate sole, la tensione divenne palpabile.
Morgana non sapeva se doveva offrirle i polsi per venire legata di
nuovo, o aspettarsi un’aggressione.
Leona le fece cenno di
seguirla fuori dal villaggio, e si fermarono in un luogo isolato. Il
Sole era quasi sparito dall’orizzonte e la Luna le osservava
dall’altro.
-Dimmi ciò che voglio
sapere.- La lingua della Targoniana era carica di fiele.
-Leona…-.
-Non pronunciare il mio nome.
Perché ti ha chiamata “Dama Velata”?-.
-Un tempo ero nota così a
Demacia. Non sapevo che anche Ionia conoscesse la mia storia. Io e
mia sorella Kayle abbiamo guidato il popolo Demaciano quando ancora
non si chiamava così: lei era il giudice e il condottiero,
la sua
spada calava implacabile sui nemici di Demacia; io ho sempre cercato
di salvare quante più persone possibili.-.
-E come? Non mi sembra che tu
abbia fatto molto se non farli gridare di dolore.-.
-Io… li libero dal dolore
attraverso il dolore. Negare il proprio dolore vuol dire essere
schiavi di esso, spinge una persona a compiere il male per cercare di
allontanarlo da sé; ma se si realizza davvero il dolore che
si è
inflitto agli altri, se lo si prova con ogni angolo del cuore, anche
l’animo più corrotto può guarire.- Ma
questo aveva il sospetto
che Leona lo avesse già capito. Che lo accettasse
però era
tutt’altro discorso.
-Ed è quello che cercavi di
fare anche nelle Isole Ombra?- Chiese sarcastica Leona; ma Morgana
rispose seriamente: -Con loro è diverso, erano semplicemente
anime
torturate. So che ti sembra incredibile ma credimi, hanno bisogno di
aiuto! Qualcosa le ha intrappolate in un ciclo di morte e sofferenza,
qualcosa di straordinariamente potente, ma loro non sono malvagie!-.
Leona si incupì a
quell’affermazione.
-Non sono malvagie? Ah, forse
rinchiusa nel tuo antro non sapevi che vagano periodicamente per le
terre e le città mietendo centinaia di vittime innocenti! La
chiamano… Mietitura mi pare. L’unica morte e
sofferenza che vedo
è quella che infliggono agli altri! Che si fermino
altrimenti, che
si fermino e si lascino uccidere se davvero vogliono essere liberate!
No: sono creature crudeli e maligne! E tu mi stai dicendo non che
vuoi difendere loro, invece che gli altri da loro?-.
Morgana scosse concitatamente
la testa: -Non è così!-.
-E quei due Noxiani? Pensi di
averli curati? Pensi di averli salvati? Sei cieca forse, non vedi che
li vogliano morti più di me? Oh, forse non sai nemmeno
dell’invasione che hanno portato su queste terre! Credevi che
fossero caduti dagli alberi o spuntati come funghi?-.
-Combattere una guerra non ti
rende malvagio! Dove tu vedi dei soldati invasori, io vedo delle
persone mandate a morire che vogliono solo tornare a casa! E se non
ci riescono cosa diventano, che speranze hanno?-.
-Non so sei vuoi ingannarmi o
sei tanto stupida da crederlo davvero! Hai visto tu stessa che hanno
quasi ucciso quel ragazzo!-.
-Non giustifico le loro
azioni, ma capisco la loro paura! Non sono dei demoni, sono delle
persone come chiunque altro, sole e spaventate! E poi sei davvero
sicura che volessero ucciderlo? Perché non sul colpo allora,
perché
limitarsi a stordirlo? Forse volevano solo scappare da lui, forse se
lo sono trovati davanti e sono andati nel panico!-.
Leona diventava sempre più
furiosa a ogni sua parola, ma Morgana non poteva e non voleva
rimangiarsi niente: -Come, come puoi decidere che meritassero la
morte senza neanche sapere chi fossero, cosa avessero fatto,
perché
lo avessero fatto?-.
Leona strinse i denti, poi
entrambe sentirono il sibilo di un serpente per terra. Con un gesto
netto la rossa lo afferrò con una mano e glielo porse: -Una
serpe
resta una serpe anche se provi a convincerla del contrario: non
importa se la accudisci o le vuoi bene o le metti un fiocchetto
addosso, è capace solo di uccidere. Tu, se vedessi una serpe
mordere
qualcuno, ti metteresti nei suoi panni, proveresti pena per lei;
invece io non cerco di capire il male…- il serpente si
divincolava
e mordeva il braccio della sua armatura; Leona allora strinse la
presa con forza e sangue verde schizzò dappertutto.
Lasciò cadere
l’animale continuando ad fulminare Morgana con lo sguardo,
che
dalla sua non mostrava timore. Non era così impressionabile.
-…Io lo stermino. E quando
vedo il Sole tramontare so di avere reso il mondo un posto migliore
così facendo. Se gli abitanti del villaggio fossero mossi da
buon
cuore e li lasciassero andare, qualcuno di innocente morirebbe per
mano loro: ma tu sei troppo stolta da ammetterlo!-.
-Ti sbagli. Tu non hai visto
il loro dolore, non hai sentito la rabbia che li affliggeva, io
sì!
Non ti biasimo per averli uccisi mentre combattevi, ma prima o poi
sarà la tua sete di giustizia a uccidere qualcuno che non lo
merita!
Non vedrai altro che un malvagio da sterminare, e quando ti sarai
resa conto del tuo errore sarà troppo tardi!-.
-Per allora cento innocenti
saranno morti per aver risparmiato chi non se lo merita!-.
-Una seconda possibilità, si
tratta solo di quello!-.
-Non la meritano!-.
-Tutti ne meritano una!-.
-NON DIANA!!!- Leona aveva
pronunciato queste parole perdendo ogni traccia di controllo,
pestando a terra e spiaccicando il corpo del rettile sotto lo
stivale. Quell’urlo le aveva tolto il fiato e aveva lasciato
Morgana senza parole.
Era stata una stupida: così
affascinata dall’armatura attorno al suo corpo da non vedere
quella
che celava il suo cuore.
-Io…-.
-Basta! Non…- Leona riprese
fiato, ma era ancora agitata, e le sue dita fremevano per prendere la
spada: -non un’altra parola, o ti taglierò la
lingua. Fammi
supporre che vuoi usare di nuovo la tua magia e ti taglierò
le mani.
Mi aiuterai a trovare Diana e farò ciò che devo,
ciò che è giusto
fare; ma non mi tedierai più con i tuoi sofismi.- si
voltò e si
incamminò verso il villaggio.
Ora Morgana capiva.
-Mi dispiace per il tuo
dolore.-.
Leona si fermò per un momento
senza voltarsi, e poi riprese a camminare.
La barca scivolava tra le onde
spinta dal vento, lasciandosi dietro una scia lucida che contrastava
con le increspature del mare. Il Sole era alto in cielo, sembrava che
le stesse parlando, che la abbracciasse con i suoi raggi. Si sentiva
forte, invincibile quasi. Soprattutto, si sentiva nel giusto.
Un pesce guizzò fuori
dall’acqua e vi si rituffò subito, un pesce che
non aveva mai
visto, l’ennesima strana creatura di quelle isole; e
così gli
uccelli dal piumaggio bianco e il becco gonfio che solcavano
ripetutamente il cielo, per poi tuffarsi all’improvviso e
volare
via con il cibo in bocca.
“No,
non strane. Impure.”
Ionia sembrava coesistere con una magia malefica, qualcosa di cui le
Scritture non l’avevano messa in guardia. Una magia
all’apparenza
innocua, ma che nascondeva il marcio; e le persone di lì
erano tanto
cieche e insensate da ritenerla una benedizione. Per questo sapeva
che Diana era lì, era sempre stata attratta da
ciò che non capiva
essere sbagliato.
“Però
il Sole illumina
questa terra… da esso trae la sua forza… tsch!
Che stupidaggine!
Essa ne è un parassita, è l’unica
verità possibile!”.
Altri pesci saltarono fin
quasi alla sua altezza. Li vide bene, anche se solo per un attimo:
splendide pinne color arcobaleno, occhi dorati, squame lucide, a cui
il Sole dava un aspetto quasi divino grazie ai mille luccichii delle
gocce d’acqua che li circondavano. A Targon i pesci dei fiumi
erano
molto più brutti.
Con la coda dell’occhio vide
Morgana sporgersi in sua direzione, e capì di essersi
imbambolata.
Si voltò con un gesto secco: quel posto era un lento veleno
che
voleva corroderla, e la Dama Velata il serpente che la mordeva.
Mi
dispiace per il tuo dolore.
Che ne sapeva… No, basta!
Scacciò via quei pensieri, le davano noia. Tornò
a concentrarsi
sulla navigazione, ripromettendosi di non badare più ad
altre
creature marine; ed ecco in rapido avvicinamento il porto di Tuula,
da cui era salpata più di una settimana prima.
-Preparati a scendere.- Disse
senza attendere una risposta. Quando arrivarono ormeggiò la
barca e
le venne incontro il noleggiatore che gliel’aveva data, che
le
porse parte della somma che aveva pagato, come da accordi.
-Allora, vi è piaciuta
l’Isola di Sudaro? Chi è la vostra compagna?-.
-Nessuno che ti interessa.
Addio.- Si allontanarono, ma a Leona non sfuggì lo sguardo
torvo che
pensava di averle rivolto di sottecchi. Inoltre, un’altra
cosa non
tornava: aveva dovuto insistere molto per farsela prestare, visto che
era “l’unica barca che aveva”, eppure il
borsello da cui aveva
tirato fuori i soldi sembrava un po’ troppo carico. Le due
cose
separate erano un conto, messe insieme facevano venire un sospetto.
Difatti, come uscirono dal
villaggio, Leona si rese conto di aver avuto ragione. Guardò
Morgana, che scosse leggermente la testa: non c’entrava, le
diceva.
Avendola sempre tenuta d’occhio, probabilmente non mentiva.
Nonostante tutto continuarono a camminare, finché i loro
inseguitori
non si palesarono.
Leona socchiuse gli occhi: non
era tanto il numero a sorprenderla (una decina) ma i loro abiti neri
e rossi con maschere che lasciavano scoperti solo gli occhi, a parte
un ragazzo a petto nudo dai capelli blu e neri e con una macchia
scura attorno all’occhio sinistro; fu lui a pararsi davanti
al loro
cammino e a puntarle con la sua enorme ed intarsiata falce viola, con
un ghigno beffardo sulle labbra.
-Ehilà, straniere, cosa vi
porta in questi luoghi?- Chiese in Velariano con torno superbo.
-Siamo solo di passaggio.-
Quindi lasciaci passare.
-Uno dei nostri era con te
all’isola di Sudaro qualche giorno fa, però non si
fa sentire da
un po’: non è che l’hai visto?-.
Leona si prese qualche secondo
per rispondere: -Se il vostro amico era vestito da contadino e mi
stava seguendo, allora l’ho ucciso.- a quelle parole
sentì Morgana
sobbalzare (non ne sapeva niente visto che era successo tutto il
giorno prima che la trovasse).
Il ragazzo con la falce invece
fece una smorfia di disappunto; continuava a tenere la falce distesa
reggendola con un solo braccio, eppure non sembrava minimamente
stanco.
-E come mai l’avresti
fatto?-.
-È semplice: mi sono accorta
che mi inseguiva e l’ho invitato a farsi avanti. Lui ha
reagito
attaccandomi, non mi ha lasciato molta scelta.- Quest’ultima
parte
dando un’occhiata a Morgana, così che capisse
che… aspetta, che
le importava cosa pensava lei?
-Mmm. Effettivamente era un
po’ troppo precoce. Era a caccia di alcuni Noxiani che si
nascondono lì, di loro sai qualcosa?-.
-Stai facendo un sacco di
domande senza nemmeno presentarti, ragazzino.- Rispose arida lei:
-Ostacoli il mio percorso e cerchi di intimidirmi mostrando la tua
arma. Non conoscete l’onore qui a Ionia?-.
Il ragazzo diventò serio come
una lapide e abbassò la falce: -Hai ragione, noi siamo
l’Ordine
dell’Ombra. Il mio nome è Kayn.-.
-Kayn!- Esclamò incredulo uno
dei guerrieri; Kayn lo fulminò con lo sguardo: -Non ha senso
nascondere le nostre identità, una come lei le scoprirebbe
in pochi
giorni.-.
Gli riconosceva un certo
intuito.
-E poi, dov’è finita la
nostra cortesia? Non siamo loro nemici, no? Allora, i Noxiani?-.
-Sta a me presentarmi ora.-
Rispose invece lei, con una certa scocciatura di Kayn: -Sono Leona e
la mia accompagnatrice è Morgana. Per quanto riguarda i tuoi
Noxiani…- Sentì lo sguardo fisso della corvina
addosso: -…non
penso siano affari che vi riguardano. Se il vostro compagno non
è
stato in grado di trovarli mandate qualcun altro.-.
“Visto?
Puoi respirare di
nuovo, Morgana.”.
-Ora, non c’è motivo di
mostrare tanto disprezzo, cara Leona.-
Replicò irritato Kayn:
-Anche se non sei di questi luoghi, dovresti sapere che i Noxiani non
meritano la tua pietà.-.
Le veniva da sorridere a
pensare a ciò che stava pensando Morgana in quel momento.
Invece
rimase atona: -Forse, ma nemmeno voi mi sembrate dalla parte del
bene. Non mi dispiace vedere il male distruggersi da solo, ma non ho
intenzione di averci a che fare, ragazzino.-.
Kayn arricciò le labbra: -Va
bene.- sospirò dopo qualche secondo.
-Cercate di non uccidere
quell’altra.-.
I guerrieri si mossero
insieme, ma non per venirle incontro: le lanciarono dei pezzi di
metallo appuntito che rimbalzarono sulla sua armatura e sullo scudo.
A giudicare dal rumore che fecero, però,
un’armatura normale
sarebbe stata quantomeno intaccata. Alle sue spalle sentì
Morgana
muoversi e una sfera di magia nera colpì Kayn, che si
ritrovò
legato alle catene d’ombra che Leona aveva visto addosso alla
Noxiana.
I guerrieri allora si decisero
a farsi avanti, giungendo da tutti i lati; Leona non aveva intenzione
di aspettarli, e colpì uno con la proiezione lucente della
sua
spada. Seguendo la scia dei raggi solari, gli si piazzò
davanti, e
il suo slancio fece il resto. La donna si spostò di lato,
lasciando
cadere il corpo, mentre gli altri la raggiungevano: quattro in tutto,
gli altri circondavano Morgana.
Leona convogliò l’energia
del Sole nella sua armatura, che brillò intensamente; con
sua
sorpresa però, il dover chiudere gli occhi non sembrava un
peso per
i suoi avversari, che si mossero senza esitazione.
KLENG KLENG KLENG
I loro colpi erano decisamente
più veloci di quelli dei Noxiani, anche se mancavano della
loro
forza. Leona arretrò, sentendo l’inequivocabile
dolore di un
taglio sulla guancia destra. La cosa peggiore era che non si era
accorta di quale nemico l’avesse colpita. I quattro si fecero
avanti di nuovo e Leona liberò la magia
dell’armatura in un’onda
d’urto, ma invece che cadere piroettarono in aria e
l’accerchiarono.
“Pare
che li abbia un po’
sottovalutati. Dovrò usare il potere del Sole senza
remore.”.
-Argh!- All’improvviso i
nemici furono colti da uno spasmo, che Leona riconobbe subito: delle
catene nere infatti uscivano dalle loro schiene, catene che uscivano
dal corpo di un’ansimante Morgana. La sua prigioniera era
anch’essa
ferita al viso e a un braccio, e quest’ultima sembrava
piuttosto
profonda.
-Li tengo io… tu pensa a…-
Il rumore di catene che andavano in frantumi la interruppe, e Leona
si rivolse a Kayn.
-Visto Rhaast? Te l’avevo
detto che mi sarei liberato!-.
Leona gli si avvicinò
cautamente, puntandolo con la spada; Kayn fece roteare la falce
dietro la schiena e le si scagliò addosso urlando; quando fu
alla
sua portata, invece che colpirla dall’alto in basso, fece una
giravolta su sé stesso mirando al seno destro, dove non
aveva lo
scudo a difenderla. Sentì la punta graffiare
l’armatura e poi
scivolare via, e le bastò una rapida occhiata per vedere il
danno
che aveva lasciato.
Kayn alzò di nuovo la falce,
ma stavolta fu pronta a rispondere: fece brillare lo scudo
stordendolo per un secondo così da potersi avvicinare di
più e
poterlo colpire con la spada.
KLENG
Kayn allargò la presa
sull’arma e usò il manico per parare il suo
fendente, anche lui
incurante dell’accecamento. Se si considerava poi che Leona
non
aveva mai combattuto contro una falce, non era il suo avversario
ideale.
-Kh!- Non si perse d’animo e
fu lei a piroettare per colpirlo al fianco, ma lo trovò di
nuovo
pronto e vanificò i suoi sforzi allo stesso modo di prima;
ora però
che la sua falce era in verticale diede una spinta verso il basso per
colpirla alla testa, ma lei si scansò quello che bastava per
reindirizzare la falciata con lo scudo. Sentì il ferro
stridere sul
ferro e poi graffiare l’aria. Kayn indietreggiò
perdendola di
portata, segno che probabilmente stava per scattare di nuovo.
Si sbagliava.
Con l’ennesima acrobazia
diede un montante all’aria davanti a sé, e una
specie di scia
rossa la investì in pieno petto, mozzandole il fiato.
Sgranò gli
occhi per l’inattesa mancanza di ossigeno, e Kayn
approfittò del
suo momento di debolezza per ripetere l’azione di poco prima,
scatto e giravolta. Leona lasciò cedere le proprie ginocchia
e sentì
i capelli alzarsi per la ventata d’aria poco al di sopra, poi
spaccò il ginocchio del ragazzo con lo scudo.
-Urgh!!!- Kayn letteralmente
saltò via usando l’altra gamba, e Leona si
sbrigò a rimettersi
dritta; con enorme stupore, vide che invece di atterrare il ragazzo
fluttuava a due metri d’altezza, circondato da un alone scuro.
-Bene, sembra proprio che
dovrò fare sul serio.- Un cerchio azzurro si accese sul lato
della
lama e le ombre avvolsero Kayn, dissipandosi dopo un secondo. Il suo
aspetto era lievemente cambiato, ora i capelli gli arrivavano fino al
bacino e la pelle, già pallida, aveva perso di ogni colore.
“È
un demone! Non devo
lasciare che sopravviva!”.
-Non ci saranno altre albe per
te!-.
Kayn le volò incontro e Leona
alzò lo scudo per difendersi; ma il nemico la
ignorò completamente
e la superò. Leona si voltò di scatto e gli
lanciò contro
l’immagine solare della spada.
Morgana urlò. Le catene si
dissolsero come fumo nell’aria e i guerrieri caddero svenuti
a
terra. Leona vide la donna cadere indietro e Kayn sopra di lei
massaggiarsi il mento ustionato, per poi alzare l’arma.
-Maledetto!!!- Si spostò su
di lui e la falce vibrò in sua direzione, impattando sullo
scudo;
Leona la scansò e diede un affondo, ma seppur di poco Kayn
era fuori
dalla sua portata. Quello che successe dopo fu un’accozzaglia
di
attacchi e giravolte, lame davanti agli occhi, tagli che si aprivano
sulla pelle, occasioni mancate e opportunità colte.
Sembrò durare
un’eternità, ma forse fu solo una manciata di
secondi. Alla fine,
Leona riuscì a conficcare la spada tra gli addominali di
Kayn, ma la
falce calò sulla sua spalla e scavò nella scapola
sinistra. I due
contendenti si ritirarono, l’uno volando e l’altra
camminando,
valutando le proprie ferite.
-Piantala di parlare!- Sbraitò
Kayn, anche se Leona non stava parlando: -Non mi serve il tuo aiuto
Rhaast!-.
Con chi stava parlando?
Possibile… un occhio? Quello che prima aveva scambiato per
un
cerchio era un occhio aperto!
“Questa
sensazione! Non ho
mai provato una cosa simile! Che diavolo è
quell’attrezzo
infernale?”.
Qualcuno si mosse alle sue
spalle, qualcuno di leggero e furtivo. Si girò e lo
colpì in faccia
con lo scudo, forse uccidendolo o forse solo facendolo svenire. Gli
altri sette guerrieri, più quello morto, erano ancora a
terra ma si
stavano riprendendo, e Morgana? Non aveva tempo di cercarla,
perché
sapeva di aver dato le spalle al più pericoloso, e si
voltò con
l’idea di trovarselo davanti. Invece Kayn era piegato su
sé stesso
e qualcosa si stava formando attorno al suo corpo,
come dei
corni o spine, mentre la falce vibrava come se stesse per esplodere.
Non doveva vacillare. Si
lanciò all’attacco, scudo in avanti a proteggerla
e spada distesa
sul fianco; ma Kayn, o forse solo la sua falce, si mosse in anticipo
e un lampo rosso come il precedente, ma più intenso, le
saettò
addosso. Non poteva schivarlo, poteva solo incassarlo, ma ignorava se
l’avrebbe fermata o meno; ed ecco apparire davanti a
sé una
barriera viola contro cui il bagliore si infranse lasciandola illesa.
Leona proiettò la spada, lo raggiunse, attaccò.
Kayn cadde con un
gemito.
La guerriera Solare respirò,
deglutì, respirò ancora, soffocò un
lamento di dolore e fece per
muoversi. L’istante dopo sentì una schiena premere
sulla sua e due
metalli che si legavano.
-Patisci il mio dolore!!!-
Morgana spinse via il guerriero di cui non si era minimamente
accorta, che si ricongiunse con il resto del gruppo. Uno era senza
spada, che infatti aveva raccolto la sua salvatrice.
“La
mia… salvatrice…”.
-Ahahah!- Sia le due che gli
otto si sorpresero nel sentire le risate sguaiate di Kayn; il
ragazzo, tornato nel suo aspetto iniziale, si mise seduto, tenendosi
la gamba rotta. Forse aveva preso una botta troppo forte.
-Siete proprio una bella
coppia, voi due! Beh, visto che non ho intenzione di morirci qui,
direi di chiamarla patta.-.
-Come? Ma Kayn!- Protestò uno
dei suoi. Anche Leona aveva da ridire: -Non vi permetterò di
andarvene! Voi emissari del Male!-.
-Ohh, allora sei un’invasata!-
Kayn si risollevò usando la falce come bastone: -Beh, ti
scegli i
compagni in maniera strana! Allora, senti questa, ti darò
una buona
ragione per non sprecare la tua vita qui…-.
Leona aggrottò la fronte,
tenendo alta la guardia, ma gli uomini di Kayn si limitarono a
raccogliere i due caduti e a raggiungerlo.
-Sta per abbattersi su di noi
qualcosa di grosso, uno sconvolgimento epocale. Mali antichi si
stanno risvegliando e poteri nuovi stanno sorgendo, e presto tutto il
mondo ne sarà coinvolto. Potrebbe arrivare dovunque, e
lascerà
dietro solo ceneri.-.
…
Kayn fece spallucce: -Almeno
così ha detto il Maestro Zed.-.
-Non ti credo.-.
-Sul serio? Non la senti
questa elettricità nell’aria, come se da un
momento all’altro si
dovesse scatenare una tempesta? Non le vedi le nubi
all’orizzonte
farsi sempre più grosse? Ah, te lo leggo in faccia che
è così! Mi
chiedo solo dove cadrà il primo fulmine! Non sto
più nella pelle…
alla prossima, Leona.-.
Una nube di fumo circondò i
guerrieri e, quando si diradò, erano spariti tutti.
Leona abbassò le armi,
avrebbe dovuto reagire, ma la verità era che le sue parole
l’avevano
presa alla sprovvista. Una tempesta… una tempesta come mai
se ne
erano mai viste prima. Persino la creatura dentro di sé
sembrava
agitata per una tale prospettiva.
-Ah!- L’esclamazione di
Morgana la riportò alla realtà: la donna si
tamponava una ferita
sanguinante allo stomaco.
Leona si impietrì, il mondo
attorno a Morgana perse di ogni forma, nella sua mente esisteva solo
lei; per un momento pensò perfino di essere sotto qualche
incantesimo.
-Ce la siamo vista brutta, eh?
Cos’hai? Leona, stai be-
Sentire pronunciare il proprio
nome fece scattare qualcosa. E perse ogni controllo.
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Capitolo 2 *** POMERIGGIO, TRAMONTO, CREPUSCOLO ***
Vortice,
fiamme, gelo, guerra, urla, lame che affondavano sulla sua carne; e
quando pensava di poter dare un argine alla marea veniva sommersa di
nuovo.
Il
dolore di quegli uomini era caotico, ma di un caos diverso da quello
degli spettri delle Isole. Quelli erano stati sottoposti tutti ad
agonie immense, travolgenti, ma con delle forme definite, in un certo
senso ripetitive; invece quegli otto erano così
unicamente… umani,
esperienze simili ma separate nel tempo che ora si sovrapponevano
senza controllo. Per essere degli uomini avevano sofferto agonie che
non avrebbe mai potuto immaginare. Quanto era cambiato il mondo nei
secoli in cui si era nascosta?
Poi
un dolore più intenso, improvviso, una spada che lacerava
l’incubo,
la fulminò e la risucchiò via:
spalancò gli occhi ma non vide
nulla se non la luce del suo dolore; crollò a terra,
sentendo
liquido bollente scorrere da una fenditura sullo stomaco.
Boccheggiò
senza più aria nei polmoni e l’oscurità
la chiamò a sé.
Rinvenne
ritrovandosi in piedi, circondata dalle fiamme, e seppe
all’istante dove si trovava. Zeffira.
Kayle stava
guidando l’assalto, ma dei nemici avevano invaso la
città e lei
era intervenuta per salvare i suoi abitanti.
Qualcuno
chiamò aiuto: una voce bambina, inudibile se non fosse stato
per il
terrore che le dava fiato.
-Resisti,
sto arrivando!- Si mosse cercando di capire da dove fosse venuta, ma
non vedeva altro che fuoco. Una figura solitaria si stagliava tra i
petali vermigli e la guardava severa, una giovane donna dai capelli
bianchi.
-Dove
sei, sorella?-.
La
sua voce echeggiava terribile nell’aria, come se non fumo, ma
solide pareti la circondassero.
Morgana
strinse i denti e si tuffò tra le fiamme, individuando
finalmente la
bimba sotto alcune assi. Lì vicino, corpi adulti
carbonizzati.
-Ti
tiro fuori da lì!- Non aveva niente da usare per aiutarsi,
dovette
spostare le assi in fiamme con le mani. Si interruppe per un secondo
stordita dal dolore, poi prese la piccola in braccio e si
voltò per
uscire. La donna di prima ora era in un’armatura splendente,
ma
incrostata di sangue.
-Mi
hai lasciata sola.-.
-Tu
hai lasciato sole queste persone!- Le rispose e corse verso
l’uscita,
anche se non ricordava nemmeno com’era entrata. Le lingue di
fuoco
la lambirono più volte e non riusciva a schermarsi mentre
difendeva
la bambina. Nonostante continuasse a correre, la donna appariva
sempre al suo fianco.
-Che
stai facendo?-.
-Hai
permesso tutto questo!-.
-Mi
fidavo di te.-.
Morgana
scosse la testa e finalmente trovò l’uscita; ma
come fu fuori una
luce accecante la investì. Kayle era sospesa in aria con le
ali
spiegate e l’elmo calato sul volto, non una donna, ma una
divinità
guerriera: il suo corpo emanava fiamme, e tutto attorno erano corpi
bruciati. Morgana era paralizzata dalla paura. Kayle le
puntò contro
la spada e le sue braccia strinsero il vuoto.
L’orrore
le strinse la gola.
-No!!!
No!!! Perché l’hai fatto???-.
-Hai
fallito, Morgana! Di fronte alla scelta della
giustizia sai
solo fuggire! Ora sono tutti morti, e il loro sangue
è sulle
tue mani!-.
-Non
è vero!!! Tu non sei mia sorella!!! Non sei mia-
-sor-ugh-agh!-
Vomitò un fiotto di sangue e divorò
l’ossigeno che le mancava.
Zeffira era stato molto tempo prima, e quello che aveva visto non era
mai successo. Ma questo non lo rendeva meno reale.
“Leona!”
Alzò la testa per capire cosa stesse succedendo e vide Leona
che
colpiva uno dei guerrieri in pieno viso con lo scudo, facendo volare
denti e sangue. Alle sue spalle una cosa si stava
contorcendo… una
cosa che emanava una delle peggiori delle auree magiche che avesse
mai percepito, forse addirittura più di quelle che aveva
affrontato
nelle Isole. Leona le si gettò addosso a passi rapidi, e
presto
l’avrebbe raggiunta; ma seppe in anticipo che la creatura
(Kayn?!)
l’avrebbe attaccata nel mentre e con una forza tale da
spazzarla
via, allora alzò la mano e creò una barriera
magica attorno a lei.
La barriera andò in pezzi ma fece il suo lavoro; poi, come
le aveva
visto fare all’inizio dello scontro, Leona sparò
una lama di luce
e si teletrasportò addosso al mostro, colpendolo con una
spadata.
“L’ha
sconfitto!”.
Dei
passi rapidi alle sue spalle la misero in allarme: uno dei guerrieri
si era ripreso e stava correndo verso Leona che gli dava le spalle.
Senza pensarci due volte, Morgana spiegò le ali, raccolse
una spada
da terra e si mise schiena contro schiena con Leona, appena in tempo
per parare lo squalembro. Allontanò l’assalitore,
nonostante
fossero passati secoli dall’ultima volta che aveva impugnato
una
spada, e si accorse di avere gli occhi di Leona puntati addosso. La
donna dai capelli color rame la guardava incredula, come se avesse
appena visto un fantasma.
Poi
sentirono Kayn ridere.
...
-Sta
per abbattersi su di noi qualcosa di grosso, uno sconvolgimento
epocale. Mali antichi si stanno risvegliando e poteri nuovi stanno
sorgendo, e presto tutto il mondo ne sarà coinvolto.
Potrebbe
arrivare dovunque, e lascerà dietro solo ceneri.-.
-Non
ti credo.-.
-Sul
serio? Non la senti questa elettricità nell’aria,
come se da un
momento all’altro si dovesse scatenare una tempesta? Non le
vedi le
nubi all’orizzonte farsi sempre più grosse? Ah, te
lo leggo in
faccia che è così! Mi chiedo solo dove
cadrà il primo fulmine! Non
sto più nella pelle… alla prossima, Leona.-.
Kayn
e i suoi sparirono in una nube di fumo, lasciandole con un palmo di
naso. Morgana non ebbe il tempo per metabolizzare le sue parole,
perché la ferita allo stomaco si fece sentire.
-Ah!-
Esclamò. Bastò un tocco rapido per coprire la
mano di sangue,
doveva farsi medicare in fretta. Ciononostante, provava una certa
soddisfazione nell’aver vinto quella battaglia.
-Ce
la siamo vista brutta, eh?- Chiese sarcasticamente; ma Leona la
fissava sbigottita, come se stesse parlando in una lingua
sconosciuta.
-Cos’hai?
Leona, stai be- Si interruppe quando vide l’espressione della
donna
cambiare in qualcosa di ferino, furioso, odio e rabbia allo stato
puro.
-Che
vuoi saperne di me??? Che vuoi saperne del mio dolore??? Sei solo
un’altra creatura impura, un demone che cerca di
ingannarmi!!! Non
sai niente, niente di chi sono io!!!-.
Morgana
era senza parole, era la seconda volta che la vedeva in quello stato,
ma questa volta cadeva come un fulmine a ciel sereno.
-Leona,
calmati, sei ferita…-.
-Non
pronunciare il mio nome!!! Che idea ti sei fatta, che siamo amiche???
O che siamo compagne di viaggio??? Noi non siamo niente!!!
Tu
non sei niente per me, niente!!!-.
A
quel punto anche Morgana perse la calma: -Senti, capisco che la
vediamo in maniera differente, ma sto facendo di tutto per
dimostrarti che siamo dalla stessa parte! Perché non vuoi
nemmeno
considerare-
-Stai
zitta!!! Zitta, zitta, zitta!!!- Leona fece come una bambina
capricciosa messa a nudo dei suoi errori, si tappò le
orecchie per
non sentire: -Non l’ho chiesto io il tuo aiuto, non
l’ho
chiesto!!! Non avrei mai chiesto l’aiuto di un mostro delle
tenebre, l’unica via è quella dei Solari!!!-.
Morgana
strinse i pugni, qualunque fosse la via dei Solari la mente di Leona
ne era stata irrimediabilmente plagiata; ma non per questo avrebbe
tollerato il suo comportamento: -Non puoi proprio accettare che
esistano cose al di fuori dei tuoi libri sacri, vero? Per te tutti
quelli che non li seguono sono il male, non importa cosa facciano o
perché lo facciano! Tu, tu sei così radicata
nelle tue convinzioni
perché sono l’unica cosa che ti protegge dal tuo
dolore, ma stai
solo facendo del male a te stessa e agli altri!-.
-No,
sei tu quella folle!- Le rispose Leona, puntandole il dito contro:
-Tu vaneggi e dici che il dolore sia un modo di espiazione, ma la
verità è che non hai il coraggio di uccidere il
più bieco dei
criminali, la sola idea ti spaventa! E quello che non puoi fare lo
sostituisci con la tortura! Non sei una salvatrice, sei solo una
sadica e una vigliacca!-.
-Io
sarei una sadica? Credi che mi piaccia portare il dolore? Credi che
non ne farei a meno se non fosse necessario???-.
-Sì,
perché c’è un altro modo: il mio! Se
lasci in vita certa gente
tornerà a fare del male, a far soffrire degli innocenti! A
ucciderli! Ma non hai il coraggio di fermarli per sempre, no, vuoi
solo vederli soffrire! Forse così trai sollievo da quello
che ti
porti dentro, ma degli altri non ti importa niente! Sì, vuoi
solo
che nessuno muoia davanti ai tuoi occhi, ma se lo fanno lontano da
te-
-Ho
dedicato la mia vita ad aiutare gli altri, la mia vita!!!- Fu lei a
interromperla stavolta: -Ho perso l’amore di mia sorella per
questo! Ho perso mio padre per questo! Sai cosa significa vedere il
proprio padre morire tra le proprie braccia? Sai che significa sapere
di essere la causa della sua morte? Averlo ucciso con le proprie
mani, lo sai che significa? No, non lo sai! Io lo so invece, e lo
ricordo ogni giorno che passa, anche in questo momento, è
una colpa
che non mi lascia tregua! Ma voglio impedire che qualcun altro si
ritrovi senza più un padre o un fratello perché
qualcuno come te li
ha uccisi mentre erano a terra agonizzanti! E ho convissuto con
questo dolore per secoli! Perciò scusami se credo di saperne
più
del tuo libro!-.
-Per
secoli, ecco! Tu e il tuo dolore siete come quel ragazzo e la sua
falce: tante belle parole, ma cerchi solo di compiacerlo! Ti senti
meno sola se vedi gli altri soffrire insieme a te, e ti illudi
chiamandola “giustizia”.-.
Morgana
socchiuse gli occhi.
-Non
sai di cosa parli. Non credere di conoscermi perché non
è così,
ragazzina. Credi che la tua spada e il tuo scudo ti
rendano
una donna adulta? Sei solo una poppante spaventata dalla
complessità
del mondo! La tua arroganza, la tua rabbia, quelle che mi stai
mostrando adesso, ti rendono niente di diverso da una belva! Pensi di
essere speciale? Sei come un libro aperto per me. Vediamo se indovino
cosa ha fatto la tua Diana per meritare il tuo odio: ti ha tradita?
Oh, magari non era solo tua amica, magari era la tua sorellina! Ma
scommetto che non la pensava come te, le tue Scritture non erano
abbastanza per lei, quella vita le andava troppo stretta. Avete
litigato, avete combattuto e una di voi ha vinto, ma l’hai
risparmiata o lei ha risparmiato te, perché non potevate
uccidervi a
vicenda, sbaglio? E questa cosa ti tormenta! Ti brucia la sconfitta,
oppure ti brucia quel momento di pietà, oppure entrambe le
cose
insieme! E ora le dai la caccia per cancellare i tuoi sentimenti
verso di lei! Dimmi, Leona di Targon, ho indovinato?-.
Era
senza fiato, e ogni respiro le ricordava delle ferite; Leona non
rispondeva, chiusa in un muro di silenzio.
-Sì.-
Disse alla fine, e la sua voce tradiva una forte emozione: -Ma manca
l’ultima parte. Dopo avermi lasciata sulla cima del monte
Targon,
Diana è tornata al villaggio e ha massacrato i nostri
Anziani. Ah,
l’avevano sempre trattata con sufficienza, è vero,
le davano
dell’eretica persino: ma erano gli stessi che le avevano
salvato la
vita da piccola. Posso anche capire la sua rabbia, posso immaginare
il disprezzo che aveva coltivato negli anni, e so anche cosa voglia
dire avere una creatura dentro di sé che smania la
distruzione. Se
si gettasse ai miei piedi implorando misericordia, sì, penso
che la
perdonerei. Ma dov’era la sua pietà?
L’amore e la pace che
diceva di voler ottenere, dov’erano quando ha usato le spade
contro
dei vecchi disarmati? È stato solo un caso che non abbia
incontrato
nessun altro, perché nella sua furia avrebbe ucciso anche
lui! Ha
coltivato per anni il suo dolore, come fai tu, se ne è
crogiolata
pensando di poterlo sostenere, magari pure che l’avrebbe resa
forte, invece che provare a liberarsene! E così è
caduta nella
perdizione! Ecco perché difendo il mondo da quelli come voi,
voi che
credete che il dolore sia una medicina e una risorsa: voi siete
pericolosi e non ve ne rendete nemmeno conto.-.
I
respiri delle due donne scandivano il tempo, restare lì a
discutere
invece che cercare aiuto equivaleva a un suicidio. Eppure Morgana non
poteva andarsene, non voleva.
-Non
cercherò scuse per quello che ha fatto Diana. Ma il passato
è
immutabile; e se lei ne è pentita, ha il diritto di una
seconda
possibilità, e se ancora non lo è devi darle la
possibilità di
capire i suoi errori! Il mondo non sarà un posto migliore
perché
non l’avrai fatto, sarà solo un mondo con una
persona in meno! Tu
e Kayle questo non lo volete capire! Siete accecate dalla vendetta
tanto da chiamarla giustizia!-.
-Io
non sono tua sorella.-.
Quelle
parole furono come l’acqua gelata. Assurdo, era una cosa
apparentemente ovvia. Ma non per Morgana, erano come una coltellata
alle spalle. Col cuore in gola provò un ultimo affondo:
-Allora
perché stai facendo come lei??? Perché sei uguale
a lei, perché???
Non capisci che non sono le tue vittorie a renderti giusta, ma i
piccoli gesti di pietà di cui sei capace??? Nel profondo lo
sai che
le scritture che segui sono tutte fandonie, e ogni giorno quella
parte di te sta morendo perché rifiuti di accettarlo! Tu mi
hai
chiamata codarda, ma sono io che lo dico a te: codarda! Ti nascondi
nel fanatismo di una risposta idiota solo perché
è stata scritta su
un foglio antico!-.
-Bada
a come parli!- Morgana vide che la spada di Leona fremeva; allora
incanalò dentro di sé la magia oscura, facendola
trapelare dagli
occhi e dalle mani.
-Avanti,
alza la spada! Ti dimostrerò che non sono la vigliacca che
credi!
Alza la spada e affrontami se credi che abbia torto!-.
Leona
ansimò, digrignò i denti, strinse
l’elsa; ma non fece ciò che
diceva.
-No.
Ora sono io che leggo dentro di te. Non pareresti il primo dei miei
attacchi. Tutto questo… anzi, tutta la storia delle Isole
Ombra,
stai solo cercando di morire per liberarti del tuo amato dolore. Mi
dispiace, non sarò il tuo strumento.- E detto ciò
rinfoderò la
spada. Morgana non credeva ai propri occhi.
-Il
tuo patto con me è stato saldato poco fa. Le nostre strade
si
dividono qui, Dama Velata. Addio.- Con queste ultime parole, si
voltò
e alzò i tacchi. Morgana restò impietrita, voleva
urlare di
tornarle indietro, voleva supplicarla di aspettare. Invece le venne
da piangere.
-Hai
perso tutto, Morgana. Di nuovo.-.
*
*
*
Il
popolo di Ionia era molto simile alla Demacia di un tempo. Fiero,
semplice, a tratti troppo ancorato alle tradizioni; ma gentile e
accogliente con gli stranieri. La flora e la fauna poi avevano
dell’incredibile, l’esatto opposto delle Isole
Ombra; il terreno
stesso trapelava magia, una antica e potente, che a malapena riusciva
a capire.
Per
qualche miracolo regnava l’armonia tra naturale e
soprannaturale;
ma Morgana sentiva anche che le cicatrici della guerra avevano
sconvolto irrimediabilmente quell’equilibrio, per questo
sapeva di
doversi rimettere in viaggio. Inoltre, ripensava spesso alla profezia
di Kayn, e doveva essere pronta; così, dopo un breve periodo
vicino
al villaggio, ripartì accomiatandosi dalle poche conoscenze
che
aveva stretto ma da cui aveva ricavato un po’ di denaro. Una
maga
poteva sempre fare comodo in giro, e poi, insomma, Morgana aveva
guidato i Demaciani quando ancora non conoscevano la matematica,
quindi poteva concedersi il lusso di definirsi
“saggia”.
Cavalcò
per giorni, decisa ad attraversare tutta l’isola. Costeggiava
un
deserto che la popolazione chiamava “Mar Ghetu”,
percorrendo la
via principale: non era una cacciatrice, doveva affidarsi ai mercanti
e ai villaggi che avrebbe trovato. Arrivata ad un nuovo insediamento,
però, iniziarono i primi problemi.
“Avrei
proprio voglia di un nuovo vestito, ma neanche qui mi sembrano messi
molto bene… uh?” Tre guardie armate le si
avvicinarono con fare
minaccioso, mentre la popolazione si faceva indietro e la guardava
timorosa. Tra loro vide donne, bambini, anziani, pochi uomini. Le
guardie, anche loro non più giovani, parlarono in Ioniano,
di cui
fortunatamente aveva imparato le basi; le stavano chiedendo chi era e
che cosa voleva.
-Sono
una viaggiatrice, cerco riposo, e offro il mio aiuto.- Disse con un
po’ di fatica. Delle parole che seguirono capì
“ali” e
“vastaya”.
-Non
sono…- Come funzionavano gli articoli? -ehm, la vastaya.
Sono
vostri nemici?- Morgana non aveva mai incontrato una di quelle
creature, ma pensava che gli umani vivessero in pace con loro.
Evidentemente si era sbagliata.
Un
uomo anziano a cui l’età aveva tolto quasi tutti i
capelli si
avvicinò con la mano alzata, e le guardie indietreggiarono
in segno
di rispetto.
-Perdona
nostri modi,- Le disse in Velariano: -ma poco tempo fa una
tribù di
vastaya ha scatenato una grande magia selvaggia e ha messo in
pericolo la nostra sopravvivenza. Ti preghiamo di andartene per non
causare problemi.-.
-Vi
ho già detto che non sono una vastaya.-.
L’anziano
la squadrò da capo a piedi, soffermandosi ovviamente sulle
ali:
-Eppure gli somigli molto. Per favore, fa’ come dico.-.
-Molto
bene, me ne andrò quanto prima. Tuttavia ho bisogno di cibo
e il mio
cavallo è stanco.-.
-Ti
riforniremo fino al prossimo villaggio, e ti daremo un cavallo in
cambio del tuo.- La voce del vecchio era dura, non ammetteva
negoziazioni. Morgana era paziente, ma aveva il proprio orgoglio e
non nascose la propria stizza per il trattamento che le veniva
riservato; vedendo la reazione delle guardie, però, decise
di
lasciar perdere.
-Dove
si trova la tribù di cui parlate?-.
Il
capovillaggio indicò alle proprie spalle: -Proseguendo in
quella
direzione troverai una foresta che interrompe la strada. Si
nascondono là in mezzo.-.
Morgana
alzò un sopracciglio: -Una foresta qui? E come mai la strada
non la
attraversa?-.
-Perché
fino a due mesi fa la foresta non c’era.-.
Rimessasi
al galoppo sul suo nuovo destriero, una giumenta bruna dal carattere
molto più ribelle del precedente, Morgana sentì
la magia nel
terreno e nell’aria farsi sempre più forte e
densa, fin quasi da
essere solida. Spronò il cavallo finché non
arrivò al bosco, che
effettivamente sembrava essere stata messo lì da un giorno
all’altro; smontò e dovette condurre
l’animale per le redini,
cosa non molto facile vista l’assenza di un percorso. Gli
alberi
poi erano vivi, nel senso che erano più vivi del normale:
anche se
non si muovevano, aveva la sensazione che se non fosse stata attenta
qualche radice si sarebbe aggrappata al suo piede.
“Cosa
può essere successo? Aspetta, c’è
qualcuno!” Tre presenze
piccole, proprio sul suo percorso. Non aveva scelta: non le sembrava
una buona idea brancolare lì in mezzo, quindi
proseguì finché solo
un gruppo di cespugli non la separò da delle voci infantili
immerse
in un gioco. Aguzzando gli occhi vide… tre scimmiette, o
meglio tre
incroci tra infanti e cuccioli di scimmia, che giocavano con dei
bastoncini. Sorridendo e cercando di assumere l’aria
più cordiale
possibile, si fece avanti.
-Buongiorno.-
Li salutò; i tre si accorsero di lei e la guardarono
spaventati, per
poi fuggire correndo sulle quattro zampe.
-Ah,
Morgana, una volta eri più brava con i bambini.-.
Quello
che la preoccupava davvero però era che i genitori non
potevano
essere molto lontani, e probabilmente presto avrebbero saputo del suo
arrivo; difatti, dopo aver proseguito per un po’,
sentì di essere
circondata non più solo dagli alberi. Si trovò
con un paio di lance
puntate contro, all’altro capo delle quali i membri della
tribù di
vastaya. Il cavallo si imbizzarrì, ma riuscì a
farlo stare buono.
“E
io che pensavo che gli Ioniani fossero persone
accoglienti…”.
-Non
sono vostra nemica e vi offro il mio aiuto, se lo desiderate.-.
-Sei
un’umana?- Chiese con voce gutturale una scimmia
particolarmente
muscolosa, una delle due che le stava davanti.
-Non…
proprio.- Rispose, preparandosi ad un’altra conversazione a
metà.
-Sembri
umana.-.
-Sarebbe
un problema?-.
-Umani
nemici.- Disse l’altro che le sbarrava la strada, assieme ad
altre
parole che non capiva, in una lingua diversa dallo Ioniano: -Loro
hanno imprigionato la magia per molto tempo! Noi l’abbiamo
liberata! Ora loro odiano noi!-.
-Lo
posso capire. Questa foresta interrompe la strada, rischiano di
morire di fame. Dovete…- Sperò di dire
“aiutarli”, anche se
dalle loro facce di aver fallito.
-Tu
vuoi che noi li aiutiamo?- Provò a tradurre quello grosso.
Morgana
annuì e l’altro rise: -Ahah! Corvo Viola ci ha
detto che il cuore
degli umani è malvagio! Ora noi combattiamo per la
rivoluzione e la
liberazione di magia!-.
Alcuni
vastaya gridarono con lui, altri li guardarono poco convinti: non
tutti erano invasati da questa seducente rivoluzione, di cui si stava
facendo un’idea a grandi linee.
-Il
vostro corvo si sbaglia, quegli umani non sono malvagi, ma sono
spaventati e affamati.-.
-Ci
hanno oppressi!-.
-Quelli
lì?- Replicò scettica Morgana: -Sono solo un
gruppo di anziani e
bambini.-.
-Ora
è così.- Disse il più grosso, che era
rimasto calmo: -Ci hanno
sempre odiati.-.
-Qualunque
cosa vi abbiano fatto prima, la guerra li ha puniti; e se aveste
voluto attaccarli lo avreste già fatto. Abbiate
pietà di loro,
abbiate compassione e lo… apprezzeranno!- O disse quello o
“appenderanno”: -Aiutateli a fare una strada nella
foresta, vi
saranno riconoscenti!-.
-Aiutarli?
Ahahah! Gli umani sono malvagi, noi combattiamo per la rivoluzione!-.
-Anche
se vuol dire far morire di fame dei bambini?- Domandò
inviperita. Lo
scimmione smise di ridere e fece una smorfia, l’altro invece
la
ascoltava serio; percepiva chiaramente, in lui e in altri, il peso
della coscienza sui loro cuori.
-Potete
essere il…- “ponte”- uhm, la chiave per
la pace ora che ne
avete il potere. Non sarà facile, ma ne vale la pena.-.
-Tu
parli in maniera saggia.- Disse il grosso, smettendo di puntarle
addosso la lancia con una certa sorpresa del compagno.
-Ma
Corvo Viola ha detto…-.
-Corvo
Viola non è qui.- Poi diede degli ordini che non
capì e i guerrieri
abbassarono le armi, il rivoluzionario per ultimo vedendo di essere
in minoranza. Con un certo disappunto si dileguò tra gli
alberi,
seguito dagli altri; rimasero solo Morgana e quello che era
ovviamente il capo della tribù.
-Ti
porto fuori.-.
-Oh!-
Non se lo aspettava: -Beh, grazie!-.
Si
misero in cammino, addentrandosi nella foresta senza che Morgana
potesse capire quanto mancasse all’uscita; le venne anche il
sospetto che la stesse conducendo a una trappola, ma il cuore del
vastaya era puro, non celava inganni. Le fronde degli alberi
frusciavano sopra di loro, e i tronchi sembravano osservarli con
attenzione. Di selvaggina neanche l’ombra. Abituata ad essere
sola
o a una compagnia silenziosa, non fece domande per la prima parte del
tragitto, ma aveva bisogno di parlare con qualcuno che non la odiasse
o nitrisse: -Ehi, senti…-.
-Mh?-.
-Volevo
ringraziarti per avermi ascoltata prima.-.
La
sua guida scosse la testa: -Gli animali si nascondono da te, gli
alberi non ti attaccano. Loro hanno paura di te. Tu potevi uccidere
tutti noi subito, ma hai scelto le parole. Io ti
sono grato.-.
Morgana
ammutolì, sentendosi come smascherata.
-Questo
Corvo Viola, chi è?-.
-Lei
è una grande guerriera. Vuole aiutare i vastaya, ma pensa
che gli
umani siano tutti cattivi.-.
-E
va in giro a creare foreste?-.
L’uomo
annuì: -Dice che la magia dovrebbe essere libera. Non lo so.
È
passato molto tempo, molte cose sono cambiate…-.
-Odia
gli umani perché l’hanno intrappolata?-.
-Sì,
e da quando c’è stata la guerra gli umani hanno
catturato molta
più magia di prima. E poi hanno cacciato molte
tribù dalle loro
case.-.
-Mi
dispiace.-.
-Siamo
arrivati.- Poteva vedere che gli alberi lasciavano di nuovo posto
alla strada poco più avanti, e anche da quella parte il
confine era
brusco come se fosse stato disegnato con la matita. Una volta uscita,
si rimise a cavallo.
-Per
caso…- Cominciò, e il vastaya la
guardò interessato: -…il più
piccolo di quei tre era tuo figlio?-.
-Come
lo sai?- Le domandò aggrottando la fronte.
-Beh,
ti somiglia molto.-.
L’uomo
la guardò sorpreso, come se la vedesse per la prima volta.
Ah,
certo, probabilmente per gli umani i vastaya erano tutti uguali.
-Digli
che mi dispiace se l’ho spaventato. Addio!-.
-...Addio.-.
Si
rimise al galoppo.
Giorni
dopo, era imbarcata per spostarsi da Galrin a Zhyun;
approfittò del
tempo a disposizione per migliorare il suo Ioniano ascoltando le
conversazioni dei passeggeri, mentre fingeva di guardare il mare.
-Anche
quest’anno il raccolto va male…-.
-Hai
sentito di Fae’lor?-.
-L’Alleanza
Navori mi ha cacciato di casa!-.
Morgana
aggrottò le sopracciglia, nessuno sembrava passarsela bene.
Chissà
se il cataclisma sarebbe partito da lì; o, ancora peggio, se
non
c’entrasse proprio niente…
SLAP
Sgranò
gli occhi: “Qualcuno mi ha appena toccato il-” poi
una voce
fetida sulle orecchie le cui parole non stette ad ascoltare.
SPLASH
-C’è
un uomo in mare!- Esclamò poco convinta allontanandosi dal
parapetto.
Sbarcò
ripassando le parole che aveva imparato, ma si fermò notando
la
grandezza del villaggio: anzi, più che un villaggio era una
vera
cittadina.
Ottimo.
Qualche
ora dopo, Morgana uscì dalla bottega del sarto con un
elegante abito
viola che più le s’addiceva ed un nuovo-vecchio
taglio di capelli.
“Perfetto.
Oh, aspetta, ora che ci penso…” Guardò
le proprie ali, le cui
piume si dovevano ancora rinfoltire del tutto. Erano secoli che le
odiava e che teneva incatenate; però le avevano salvato la
vita
fuggendo dalle Isole Ombra, sostenendola ben più di quanto
non si
aspettasse, e le avevano permesso di aiutare Leona.
“Va
bene, per ora le terrò così.” Era nella
piazza principale e c’era
quello che immagina essere il solito viavai del posto; una cosa
però
catturò la sua attenzione, una donna che seguiva implorante
un
soldato; parlava velocemente ed era distante, perciò non
capiva le
sue parole, se non una: Erzai, figlio.
Si
fece più vicina, la scena non era delle migliori: la donna
era in
ginocchio, la guardia scuoteva la testa e faceva sempre per
andarsene.
-Che
sta succedendo?- Chiese a entrambi. Il soldato sembrava non aspettare
altro, tanto da risponderle immediatamente: -Suo figlio è
partito
per l’isola qui vicino e non è ancora…
tu chi sei?-.
-Una
a cui importa.- Si abbassò e mise una mano sulla spalla
della donna:
-Andrò io a cercare tuo figlio, dimmi
cos’è successo.-.
La
madre la guardò come a una dea e si affrettò a
dirle tutto, anche
troppo vista la velocità. Ma riuscì a capire il
necessario.
Partì
subito e dopo un giorno di galoppo arrivò in vista
dell’isola dove
si era diretto il figlio. La costa era simile a quella su cui era
naufragata, la magia in quel luogo non era particolarmente forte;
poteva passare per un luogo disabitato come molti, solo che non
avrebbe dovuto esserlo.
“Non
si hanno più notizie degli abitanti dell’isola da
settimane e le
barche sono rimaste tutte là, ma forse ne è
rimasta una…”
Trasalì nel vedere qualcosa sdraiato sulla sabbia, dove
avrebbero
dovuto esserci le barche. Come temeva era un corpo in avanzato stato
di decomposizione, ma che corrispondeva alla descrizione della madre.
“Maledizione!”
Si massaggiò il viso e scosse la testa: il minimo che poteva
fare
era capire cosa fosse successo ed evitare che capitasse ad altri. Le
vennero in aiuto gli anni passati per i vicoli di Demacia. Da come
era posizionato, sdraiato supino con le braccia lungo i fianchi e gli
occhi chiusi, e dalle impronte sulla sabbia intorno capiva che
qualcuno lo aveva sistemato così in segno di rispetto, e poi
quel
qualcuno… si era diretto verso la riva. C’era un
campanellino nei
meandri della sua mente che scelse di ignorare.
“Deve
essere arrivato con una barca, ma non ce l’ha fatta. Poi la
persona
che l’ha girato l’ha presa ed è partita.
Dovrò andare anch’io.
Prima però devo capire con cosa ho a che fare.”.
Tornò
a esaminare il corpo. Che puzza! …Povero ragazzo, non si
meritava
una fine simile. Lunghi segni in tutto al corpo, come frustate, ma
irregolari, fruste spinate; e segni di punture, come di insetti molto
grossi.
Poteva
essere una qualsiasi bestia di cui non aveva mai sentito parlare, e
Ionia sembrava esserne piena; ma per invadere l’intera isola
dovevano essere un branco… o uno sciame, o qualsiasi cosa
fossero.
-Ti
riporterò a casa, te lo prometto.- Spiegò le ali
e volò verso
l’isola. Il vento sferzava tra le sue ciocche e le
accarezzava
fresco la pelle, l’aria marina le riempiva le narici. Sotto
di lei,
pinne mai viste solcavano le acque. Chiuse gli occhi. Erano secoli
che non provava quella sensazione, era così
piacevole…
-Perché
abbiamo le ali se non per volare?-.
Riaprì
gli occhi con un gemito. Odiava volare.
Quello
che trovò una volta arrivata la lasciò senza
parole. Il porto era
invaso da liane e rampicanti, come se la natura avesse deciso di
riprendersi i suoi spazi. I cadaveri ricoprivano i moli e le strade,
tutti ricoperti da strati di vegetazione, e da quello che vedeva
erano morti molto prima del ragazzo sulla sabbia.
“È
successo tutto all’improvviso, in pieno giorno. Che sia opera
del
Corvo Viola?” Ma la magia che percepiva era diversa da quella
della
foresta: non era semplicemente caotica, era qualcosa di corrotto e
malvagio. Quelle piante non avrebbero avuto paura di lei. Si fece
strada tra la vegetazione, attenta che il suo lungo vestito non si
impigliasse tra le radici.
“Non
avrei dovuto mettere i tacchi.”.
Aguzzò
le orecchie, ma non sentiva niente muoversi. E quello
cos’era? Si
avvicinò con cautela, era una pianta recisa a
metà con un colpo di
spada. Un fiore grande quasi come una persona, dal gambo viola e tre
petali rosa che circondavano un foro simile a una bocca;
infilò la
mano e toccò subito qualcosa di duro e appuntito: con un
po’ di
forza riuscì ad estrarlo, una via di mezzo tra una spina e
un
pungiglione. E c’erano molti altri fiori come quello
lì in giro, e
altri che erano semplici steli spinati con una punta in cima.
“Deve
essere stato l’altro guerriero, che poi…
è andato di là.”.
Verso
l’interno dell’isola. Dove i fiori erano di
più.
Si
addentrò nel bosco, seguendo la scia di piante falciate. Ad
un certo
punto un ringhio la fece fermare. Lupi?
-Mostratevi!-.
Così
fecero; ma non erano normali lupi. Erano stati lupi, certo, ma ora
erano corpi avvizziti tenuti insieme dai rampicanti. Morgana
allargò
le braccia e il terreno ai suoi piedi avvizzì (in
realtà rifletteva
il dolore di cui era pregno, ma non l’avrebbe di certo
spiegato al
branco di non-morti). I lupi ulularono mentre le loro zampe si
corrodevano; uno le saltò addosso, ma lo distrusse al volo
con una
sfera magica. Carne e foglie si sparsero in aria in un tripudio di
decadenza.
“Sarà
più facile del prev…” Delle fauci si
chiusero di fianco al suo
orecchio e dell’alito pestifero le invase il naso.
Conficcò il
pugno nel fascio di liane che era stato un collo e lo fece esplodere;
qualche metro più in là il corpo si
accasciò al suolo.
I
lupi restanti latrarono e attaccarono all’unisono; Morgana si
circondò di una barriera che li tenne alla larga, intanto ne
distrusse un altro paio. I lupi si ritirarono e dalle loro carcasse
uscirono dei rami che si intrecciarono: davanti agli occhi increduli
di Morgana le belve si ammassarono in un’unica poltiglia
verde e
marcia, da cui emersero quattro zampe e qualche testa di troppo.
Sorrise.
-Fatti
avanti!-.
Quando
ebbe finito si sedette su un masso per riprendere fiato.
“È
una specie invasiva, e non ha la marcatura di Ionia. Mi chiedo come
sia arrivata qui. Non so se sarò in grado di estirparla, ma
spero
almeno di contenerla.”.
“No,
mi sto illudendo. Le spore potrebbero essere trasportate dal vento,
devo sistemare questa faccenda una volta per tutte.”.
Rialzò
la testa e poi si alzò del tutto. Sentiva la presenza
di…
“Ma
certo, chi altri poteva essere?”.
Per
qualche motivo si stava dirigendo a gran velocità verso di
lei. Che
l’avesse percepita? Non pensava che ne fosse in grado, non
bene
quanto lei almeno. Accidenti, non sapeva se era pronta a incontrarla
di nuovo.
“Va
bene, va bene, è tutto sotto controllo.” Si
sistemò i capelli,
fece un respiro profondo e si preparò al suo arrivo.
Eccola
emergere dai cespugli!
-Leon-
La donna in armatura le passò di fianco e
continuò a correre,
lasciandola di stucco. Sentì molti ringhi e quelli che
immaginava
fossero i suoni di piante che crescevano in fretta provenire da
dov’era arrivata, e vide effettivamente dei fiori come quelli
che
aveva visto mozzati spuntare davanti a lei.
-Per
tutti gli Yordle!- Scappò a sua volta, inseguendo Leona.
Alle sue
spalle, sentiva i nemici farsi sempre più vicini.
-Non
mi aspettavo… di vederti… scappare!-
Urlò tra un ansimo e
l’altro.
-È
una ritirata… temporanea!- Puntualizzò lei:
-Perché sei… qui?-.
-Per
il tuo… stesso motivo!-.
-Non
mi serve il tuo- La frase fu interrotta a metà da una serie
di spine
che fischiarono tra di loro.
-Va
bene, accetto la tregua!-.
-Allora
che ne dici… se al tre… ci giriamo e li
affrontiamo?-.
-Cerca
di non… starmi tra i piedi!-.
Non
poteva vedere il suo volto visto che le stava davanti, ma dubitava
che stesse scherzando.
-Uno…-.
-Due…-.
-Tre!-.
Piantarono
un piede a terra e si voltarono insieme.
…
-Anf…
anf…-.
-Anf…
anf…-.
Morgana
si appoggiò sulle ginocchia per riprendere fiato. Era illesa
ma
stremata. Di fianco a lei Leona si inginocchiò e si mise una
mano in
fronte, nonostante nemmeno lei mostrasse alcuna ferita; anzi, la sua
armatura era stata riparata dai danni di Kayn.
-Ti
hanno colpita?-.
-Sto
bene. Solo un attimo di spossatezza.-.
-Dovremmo
trovare un posto per riposarci…-.
-Non
è possibile, l’isola è completamente
infestata.-.
-Allora
forse dovremmo ritirarci.-.
Leona
scosse la testa: -Ho già affrontato questi esseri a Shurima,
se non
elimino la pianta al centro continuerà ad espandersi.
Mmm… data la
situazione ti concedo di aiutarmi.-.
“Quale
onore…”.
-Sai
dove si trova il bulbo?-.
Leona
indicò dov’era arrivata.
-Va
bene, se vossignoria è pronta possiamo andare.-.
L’altra
si rialzò e, senza dire niente, prese a camminare.
Gli
alberi schermavano quasi del tutto il sole, ma si capiva che era
quasi mezzogiorno.
-Hai
fame?-.
-Sto
bene.-.
Sguardo
fisso in avanti, pesanti occhiaie, capelli più spettinati
del
solito. Non proprio il ritratto della salute.
-Gnam.-
Comunque sia Morgana non avrebbe patito la fame per
solidarietà e
aveva qualche provvista da consumare: -Da quanto sei qui?- le
domandò
guardandola di sottecchi.
-Tre
giorni.-.
-Quindi
non dormi né mangi da tre giorni?-.
-…-.
-Almeno
sei riuscita a fare… sai…-.
-…-.
-Gnam.
Come hai saputo di questo posto?-.
-Me
ne ha parlato una… ragazza.-.
-E
hai più trovato… Diana?-.
Leona
non sembrò voler rispondere all’inizio: -Non
ancora.-.
…
-Tu
hai trovato tua sorella?-.
Morgana
alzò un sopracciglio: -Non ho intenzione di incontrarla.-.
Leona
non rispose nulla, né diede cenno di volerlo fare. Invece
distese un
poco il braccio verso di lei. Morgana non reagì. Leona
raddrizzò il
braccio. Morgana alzò un angolo della bocca e le diede una
pagnotta.
-Sei
differente da prima.- Disse inaspettatamente; poi capì che
si
riferiva al suo aspetto.
-Eh,
non mi avevi vista nella mia forma migliore! Tu piuttosto sembri
sem…-.
Si
fermarono all’unisono e Leona ingoiò quello che
restava in un sol
boccone. Davanti a loro la foresta era silenziosa, ma qualcosa si
stava svegliando.
Percepiva
quello che doveva essere il bulbo, ma a quanto pare avevano un ultimo
ostacolo prima di arrivarci. Leona mosse un passo, ma lei le si
piazzò davanti.
-Tu
pensa a riposarti per quando saremo arrivate. Di questi mi occupo
io.-.
-Morgana…-.
Morgana
la guardò di profilo, mostrandole l’occhio
illuminato di viola.
Leona rinfoderò la spada, tenendo però la mano
sull’elsa.
Morgana
allargò il suo sorriso e spalancò le braccia. Non
aveva mai lottato
contro delle piante fino a quel giorno, ma da quello che aveva
capito… anche loro potevano soffrire.
Poco
lontano da loro, invisibile a tutti, qualcosa che non poteva esistere
si leccava i baffi.
-Bene
bene… la mia coppietta preferita si è riunita!-.
Udì
uno stelo sollevarsi, non certo perché l’avesse
percepita, era
impossibile; comunque sia, senza nemmeno girarsi, lo tagliò
con una
sferzata. Le sue prede le mettevano l’acquolina in
bocca… Sperava
solo che se ne sarebbero andate presto dall’isola.
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Capitolo 3 *** SERA, NOTTE, AURORA ***
ZAM
Con
un’unica vibrazione la spada tranciò di netto il
braccio della
creatura, che abbaiò agonizzante.
-Muori
bestia!- Ma quella invece la bloccò a terra col proprio
corpo,
cercando di strapparle la faccia a morsi; aveva la serie di denti
più
aguzzi che avesse mai visto, e il suo alito era qualcosa di
indescrivibilmente nauseabondo. Piuttosto che provare a difendersi,
le offrì la spalla dove si chiusero le sue fauci, senza
però
penetrare l’armatura; in questo modo riuscì a
rotolare e a
mettersi sopra di lei e quindi, alzando il ferro, a darle il colpo di
grazia. L’obbrobrio si dibatté qualche secondo, e
poi giacque
immobile.
Leona
si rimise dritta e fece per raccogliere lo scudo, quando
sentì un
rantolio provenire poco più in profondità della
caverna, dove
pensava di aver già finito. Lo scudo roteò in
aria come un disco e
spaccò la calotta cranica del mostro sopravvissuto, sancendo
la fine
della battaglia.
L’Incarnazione
del Sole si asciugò la fronte con il polso; odiava
combattere di
notte, quando era più debole, ma non aveva avuto altra
scelta.
Almeno ora il villaggio sarebbe stato al sicuro.
“Ho
già visto questi abomini, nei Sacri Testi. Non immaginavo di
trovarli qui.”.
Sentì
un movimento alle proprie spalle, e per un secondo pensò di
dover
combattere ancora; ma era solo uno dei cittadini che sporgeva la
testa incauta dall’entrata della grotta, balbettando parole
nella
sua lingua.
-Non
ti capisco.- Gli disse in Velariano: -Non dovresti venire qui,
è
pericoloso.- ah, ora che lo guardava meglio era il fratello di una
delle vittime. Fratello o parente, non conosceva bene quella lingua
eretica. Forse in cuor suo aveva covato qualche speranza, e ora le
toccava dargli la triste notizia. Scosse il capo, e quello si
avvilì
e se ne andò correndo.
“Gli
Ioniani sono codardi, abituati a una stolida pace con le forze
maligne a cui soggiaciono.” Pensò tra
sé e sé. Uscita dalla
grotta cavalcò fino al villaggio, dove il capo del luogo e
il
traduttore la aspettavano apprensivi. Spiegò che i mostri
erano
stati uccisi, ma non escludeva che ne sarebbero potuti arrivare
altri. L’anziana annuì gravemente e la
ringraziò di cuore,
offrendole la ricompensa che sin dall’inizio aveva rifiutato.
-Non
sta bene combattere per proprio tornaconto.- Ripeté con
fermezza.
Poi, guardandosi intorno, notò l’assenza del tipo
di prima, e
domandò loro come mai non li avesse già informati
della sua
vittoria; il traduttore le rispose con sgomento che non lo avevano
visto per tutta la sera.
Senza
aggiungere altro Leona tornò nel bosco, trovando a fatica le
tracce
dell’uomo. Le seguì in mezzo alle frasche, fino a
scoprire ciò
che aveva sospettato. Almeno non aveva ancora trovato il coraggio, ed
era fermo in piedi con il cappio intorno al collo. Piangeva, le sue
gambe tremavano, strabuzzava le palpebre. Leona alzò la
spada e con
un raggio solare tagliò la corda, poi colpì
l’uomo con un pugno,
facendolo cadere. Quello la guardò senza capire.
-Disonori
la sua morte con la tua codardia! Guarda cosa ti ha spinto a fare il
dolore!- Stava per aggiungere altro, ma dopo quest’ultima
parte
incespicò. Vide la disperazione e il lutto nel volto
dell’uomo e
lasciò perdere.
-Tornatene
a casa.- Disse in quel poco di Ioniano che aveva deciso di imparare.
Lasciò
quel posto la notte stessa.
Tutto
quel tempo a Ionia e ancora nessun risultato, Diana sembrava lontana
come lo era sempre stata. Ma dappertutto c’era bisogno di
lei, ed
era costretta ad intervenire.
“Questi
popoli vivono nell’eresia, però i mostri che li
minacciano sono
ancora più pericolosi.” Si diceva. Eppure,
nonostante il tempo
passato nelle isole, non si capacitava ancora di come fosse possibile
che esistessero così tante persone in contrasto con le Sacre
Scritture. Un conto era Shurima, ma gli Ioniani? Avrebbe dovuto
eliminarli, come ogni forma di devianza; d’altra parte erano
bisognosi di aiuto, del suo aiuto. Non era forse suo dovere
proteggere i bisognosi? Non era suo dovere guidare il popolo verso la
luce del Sole?
-Ah!-
Spronò il cavallo per allontanare quei pensieri.
Pregò il Sole di
guidarla, e l’essere antico dentro di lei rispose. Il suo
umore
peggiorò.
“Io
sono il Sole che illumina gli innocenti…”.
Un
giorno però, mentre percorreva la strada dentro
l’ennesimo bosco,
senza alcun preavviso, il cavallo rallentò fino a fermarsi;
e non ne
voleva sapere di ripartire, anche se non sembrava stanco o ferito.
Leona scese riflettendo sul da farsi, quando una voce non familiare
la chiamò: -Yo! Leona, giusto?-.
Si
voltò di scatto e vide, appollaiata sul ramo, una ragazza
dal corpo
largamente tatuato e con una bandana verde davanti alla bocca. Le
ricordava vagamente Kayn, probabilmente era una guerriera della sua
stessa risma. Leona sguainò la spada, ma quella
alzò le mani:
-Calma, calma, non serve agitarsi. Se ti avessi voluta morta, avresti
un pugnale in mezzo alle scapole.-.
-Parli
con arroganza per essere una che cela la bocca. Chi sei?-.
-Sono
una tua ammiratrice. Sul serio, ho sentito parlare di te, dicono che
hai preso a calci Kayn; eh, mi sarebbe piaciuto vederlo!-.
-Cosa
hai fatto al mio cavallo?- Le chiese senza abbassare la guardia.
-Mh?
Oh che strana coincidenza, una volta era mio, deve essersi fermato
per quello.-.
Già,
strana coincidenza. Quei ninja erano famosi per
essere scaltri
e silenziosi, probabilmente chi gliel’aveva fornito era un
suo
alleato.
-Non
ti preoccupare, sono sicura che con qualche carota tornerà
in
marcia.-.
-Sostieni
di essere nemica di Kayn, ma non mi sembri diversa da lui.-.
-Prego?-.
-Hai
il suo stesso modo di fare. La stessa superbia, la stessa
spudoratezza. Immagino che anche tu sia legata alla magia impura di
questa terra…-.
Quella
girò gli occhi: -Oh, allora sei davvero una fanatica! Mi
ricordi il
mio vecchio maestro! Sono Akali comunque, e sì, sono
un’assassina
nata, e sì, spesso devo fare i conti con la magia di Ionia.
Ma, da
professionista a professionista, lascia che ti dica una cosa: non
è
cattiva, è solo molto selvaggia. Dovresti darle qualche
possibilità.-.
-Da
quello che ho visto tende a fare molti danni.-.
-Dicono
lo stesso di te, per esempio che dove passi il cielo si dimentichi di
piovere per un bel po’.-.
Leona
socchiuse le palpebre: se non fosse stata sola, cosa di cui era
assolutamente sicura, avrebbe pensato che stava cercando di farla
cadere in un’imboscata stuzzicandola.
-Ehi,
non ti giudico mica, dico solo che magari dovresti avere una mente
più aperta. Voglio dire, lottiamo entrambe per il bene di
tutti, è
questo quello che conta no?-.
-Io
sto cercando una persona.-.
-Così
ho sentito, e infatti volevo giusto darti una dritta a riguardo.-.
Gli
occhi di Leona luccicarono: -Parla!-.
Da
sotto la maschera immaginò che Akali stesse sorridendo: -A
sudest
dell’isola su cui ci troviamo ora dicono di aver visto una
guerriera dai capelli d’argento che si muove solo di notte.
Potrebbe essere quella che cerchi…-.
-Grazie
dell’informazione. Ora, se vuoi scusarmi…-.
-Aspetta
un momento. Già che sei lì,
nell’isoletta lì vicino sembra che
ci siano dei problemi. Il mio vecchio maestro ha mandato alcuni dei
suoi uomini a controllare, ma non si sono fatti vedere, e sia io che
lui abbiamo altro per le mani. Forse ti interessa dargli
un’occhiata…-.
-Ti
ho già detto che non sono qui per questo.-.
-Così
hai detto, però mi sembri il genere di persona che non
ignorerà la
mia richiesta. Tanto perché tu lo sappia,
quell’isola è abitata,
e se dovrò andarci io altre persone su Ionia rimarranno
senza
difese. Capisci quello che intendo?-.
-Puoi
farmi il favore di sparire dalla mia vista, Akali?-.
-Certo.-
La donna si mise in piedi sul ramo e mise una mano in tasca: -Ah, ho
qui un piccolo regalino per te.- con un gesto secco piantò
un kunai,
così si chiamavano quegli strani coltelli che aveva visto in
giro,
ai suoi piedi.
-So
che non li usi, ma potrebbe tornarti utile come stuzzicadenti. Dalla
tua fan numero uno!- Detto questo si dileguò tra gli alberi.
Leona
rimase immobile per qualche secondo, poi si piegò e raccolse
l’arma.
I suoi occhi vi si specchiarono, e vide l’ardore del Sole
bruciare
in essi.
-Tsch!-.
Viaggiò
giorno e notte, senza fermarsi se non per il minimo indispensabile.
Alla fine i suoi piedi toccarono la sabbia della spiaggia davanti
l’isola. Vide una barca incrinata poco lontano
dall’acqua e, dato
che gliene serviva una, vi si diresse. Dentro c’era un corpo
martoriato, un giovane uomo.
“Questi
segni… impossibile!”.
Adagiò
il cadavere sulla spiaggia e spinse la barca nel mare; fortunatamente
era ancora integra. Prima di salire, ebbe un attimo di esitazione.
“L’altra
volta avevo i soldati con me, se è quello che penso.
Sarò in grado
di…”.
“No,
non esiterò. Sono il Sole che brucia i malvagi.”
Montò sulla
barca e viaggiò fino all’isola, ritrovandosi
davanti a ciò che
temeva.
-Credevo
di averla uccisa.- Commentò tra sé e
sé: -Invece ha messo radice
qui. Stavolta non fuggirà.-.
Si
mise in marcia, notando subito delle piante sbocciare e rivolgersi
verso di lei. Leona roteò la spada con la mano e si
lanciò
all’attacco, tranciandole con un gesto ciascuno.
“Bene,
uh?” Si mise una mano sulla spalla, estraendo una spina che
aveva
intaccato la maglia.
-Mi
sono fatta colpire.- Constatò; poi si rivolse verso
l’interno
dell’isola.
-Il
suo nucleo deve essere lì in mezzo. Meglio non perdere
tempo.-.
Si
addentrò nella foresta. Vi regnava il più
assoluto silenzio, tutto
in quell’isola era stato divorato. Niente uccelli che
cinguettavano, niente scoiattoli sui rami, niente…
-Chi
è là?- Si voltò allarmata: con la coda
dell’occhio aveva visto
una chioma rossa alle sue spalle. Nulla. Ma sapeva di essere stata
individuata; e infatti, dopo qualche secondo, il silenzio si ruppe in
una moltitudine di rumori tutto intorno a lei: fibre vegetali che si
allungavano, zampe felpate tra le foglie, passi molto più
pesanti e
lenti.
-Sentirete
la gloria del Sole!-.
La
battaglia cominciò. Linfa, sangue, carni, Leona
avanzò dipingendo
l’aria con la spada, senza un attimo di tregua. Vide il Sole
tramontare e la Luna sorgere, ma anche se le forze le vennero meno
continuò a combattere, perché l’alba
sarebbe sorta ancora: e così
fu. Un altro zenit, un altro tramonto, un’altra alba e la sua
marcia progrediva con lentezza. Sentiva il fastidio della sete e i
primi morsi della fame, e quelle bestie vegetali non sembravano
commestibili. Le provò comunque.
“…”.
Alla
terza alba in quel luogo, però, fu costretta a fermarsi. I
fiori
erano enormi e le bestie che controllavano si erano ammassati in
amorfi mostruosi.
SBENG
SBENG SBENG Percuotendo lo scudo con l’impugnatura della
spada li
invitò a farsi sotto.
-Non
ci saranno altre albe per voi!- Si batté valorosamente, ma i
nemici
non finivano più. Ad un certo punto, un ramo verde appuntito
come
una lancia le passò vicino al viso, e si rese conto di
averlo visto
arrivare solo all’ultimo secondo.
“La
prossima volta… maledizione!”
Indietreggiò di qualche passo, poi
si voltò e iniziò a correre. Il cuore le
martellava in petto e i
suoi piedi si muovevano da soli, calpestando il terreno senza
criterio di prudenza.
“Cosa?
Questa… questa che sento è paura?”.
“Io
sono spaventata? Io, un guerriero dei Solari?”.
-Ora
hai dei dubbi sul tuo credo?-.
-Mai!-.
Ed
ecco, la vide tra i cespugli. Una giovane donna pallida dalle labbra
nere. Diana?!
Continuò
a correre.
-Per
tutti gli Yordle!-.
Un
attimo, ma quella voce… sbirciò alle proprie
spalle, e al posto di
Diana vide un’altra donna che aveva già
incontrato. E che non
avrebbe voluto rivedere.
-Non
mi aspettavo… di vederti… scappare!- Ora la
inseguiva pure.
“Io
non scappo. Il Sole è con me. Non sto scappando.”.
-È
una ritirata… temporanea! Perché sei…
qui?-.
-Per
il tuo… stesso motivo!-.
-Non
mi serve il tuo- Si interruppe vedendo delle spine sfrecciarle vicino
agli occhi.
-Allora
che ne dici… se al tre… ci giriamo e li
affrontiamo?-.
Se
c’era una cosa che aveva capito di lei, era che una volta che
si
metteva in testa un’idea era impossibile farla desistere.
-Cerca
di non… starmi tra i piedi! Uno…-.
-Due…-
Disse Morgana.
-Tre!-.
Per
quello che poté vedere nei pochi attimi di tregua, e per
quanto le
seccasse ammetterlo, Morgana combatteva più che bene. Le
arti oscure
che padroneggiava erano senza dubbio indegne, ma altamente
efficienti. Se fosse stata anche lei una guerriera
dell’oscurità,
ne sarebbe stata ammirata.
“Ma
che vado dicendo?”.
Sentì
un ginocchio venir meno e dovette appoggiarsi con una mano a terra.
Ecco perché aveva evitato di fermarsi.
-Ti
hanno colpita?- Le domandò Morgana. Perfetto,
l’ultima cosa che
voleva era mostrarsi debole di fronte a lei.
-Sto
bene. Solo un attimo di spossatezza.-.
La
mise al corrente di tutto, e poi proseguirono. La stanchezza doveva
averle sciolto la lingua.
“Non
dovrei abbassare così la guardia con lei.”.
-Hai
fame?-.
-Sto
bene.- Rispose secca. L’altra si mise a mangiare del pane.
Tanto
non aveva fame.
-Gnam.
E hai più trovato… Diana?-.
Il
suo stomaco si stava ritorcendo: -…non ancora.-.
Un
fastidio dentro l’orecchio le diceva di dover rispondere,
come
voleva la cortesia.
-Tu
hai trovato tua sorella?-.
-Non
ho intenzione di incontrarla.- Udì la risposta stizzita.
“Allora
sei più cieca di quanto pensassi.”.
Comunque,
data l’insistenza, mangiò una pagnotta.
Da
qualche parte davanti a loro, qualcosa riprese a muoversi. Leona si
mise in posa d’attacco, ma Morgana le si piazzò
davanti.
-Tu
pensa a riposarti per quando saremo arrivate. Di questi mi occupo
io.-.
-Morgana…-.
L’occhio
con cui la guardò trasudava potere oscuro. Che situazione
paradossale. Ma purtroppo le gambe la imploravano per una tregua.
Si
sedette decisa a tenere lo sguardo fisso su Morgana, ma come chiuse
gli occhi si trovò in un altro luogo.
-Non
tornerò indietro, Leona! Vieni con me! Cerchiamo insieme la
verità!-.
“Diana…”
Era di nuovo sulla cima del Monte Targon. Ricordava quel giorno, e
ricordava quello che sarebbe successo dopo; e per quanto provasse a
muoversi, non controllava il proprio corpo o la propria voce.
-Tornerai
con me e ti sottoporrai al sacro giudizio dei sacerdoti. Abbandonerai
le tue idee eretiche una volta per tutte!-.
“Non
ti ascolterà mai.”.
Diana
digrignò i denti: -Ti supplico!- disse, e la mano
già premeva sulla
sciabola: -Non costringermi a farlo!-.
-Se
hai intenzione di combattere, sappi che non potrai più
tornare
indietro.-.
Poi
vide degli scatti, come lampi: il volto infuriato di Diana, le due
lame che si scontravano, e infine la sciabola lunare sul suo collo.
Diana
la guardava con occhi imperscrutabili e poi aprì la bocca:
-Ehi.-.
Leona
sbarrò
le palpebre e
Morgana fece un
salto indietro. Tutto intorno a lei c’erano i resti della
battaglia.
Leona
si strinse una mano in fronte: aveva completamente perso conoscenza!
Che… patetica!
-Ah,
allora anche i prodi guerrieri della luce crollano dal sonno!-.
-Non
dire assurdità.
Mh?- Morgana
aveva allungato
con
disinvoltura
una mano sui suoi capelli, estraendone una foglia.
Calò
un silenzio
imbarazzato.
-Stiamo
perdendo tempo.-.
-Già.-.
Il
nucleo era vicino e la strada praticamente spianata; nonostante non
si sentisse particolarmente riposata, arrivarono senza troppi
problemi.
-Ma
questo è…- Morgana era visibilmente senza parole,
non doveva aver
mai visto uno spettacolo simile. Beh, non poteva biasimarla.
Un
intricato reticolo di rovi e fiori dentro a un cratere di una decina
di metri di raggio, da cui traboccavano liane e radici che si
diramavano in tutte le direzioni, come vene. Quasi coperti dalla
vegetazione c’erano dei cadaveri: evidentemente qualcuno
(forse i
compagni di Akali) era riuscito ad arrivare fin lì, ma era
rimasto
sopraffatto a un passo dalla vittoria. O forse era stato manipolato
fin dall’inizio.
-…Mi
ci vorrà del tempo.- Commentò Morgana.
-No,
ci penso io. Avrò bisogno di qualche minuto per richiamare
il potere
del Sole e dovrò colpire lì in mezzo.- Disse
indicando il centro.
Morgana
sembrò voler obbiettare, ma non aveva valide ragioni per
farlo.
-Ah!-.
Qualcosa
si avvinghiò attorno al suo collo, qualcosa di stretto e
pieno di
spine; istintivamente cercò di liberarsi con una mano, ma la
prese
si fece più stretta. Al suo fianco, Morgana stava subendo lo
stretto
trattamento.
-Chi
vaga nel mio giardino?- Chiese una roca voce femminile alle loro
spalle.
“Finalmente
si è fatta vedere!” Mentre si voltava
tagliò la frusta con un
colpo di spada, e poi gliela puntò contro. La donna dalla
chioma
rossa alzò un sopracciglio. Un attimo dopo la sua testa
cadeva al
suolo, ai piedi di Leona.
-Non
si ricordava di me?-.
-Leona!-
Morgana era ancora in trappola.
“Mal-”
Si tuffò all’indietro, evitando per un pelo una
spina diretta al
suo viso. Dal collo mozzato uscì un ramo verde che rimise il
cranio
al suo posto.
-Io
mi ricordo di ogni mia preda.-.
Leona
tagliò anche la frusta di Morgana, la cui
estremità monca guizzò
in aria come un serpente per poi ritirarsi nel polso di Zyra, la Dama
dei Rovi.
-Allora
ti ricordi di come stai per morire.-.
-Oh!
La mia preda si crede-
-Soffri!-
Il terreno sotto i piedi di Zyra avvizzì fino a diventare
viola, ma
lei fu pronta ad allontanarsi; poi mise le mani a terra e: -Fruste
rampicanti!- dei rampicanti strisciarono verso di loro, legando le
gambe di Leona. Di fianco a lei, sentì delle piante
sbocciare, e
sapeva che sarebbero state grandi come quelle di prima.
Una
dopo l’altra, però, sentì le piante
gemere e afflosciarsi.
Morgana, circondata da un’aura oscura, le si avvicinava
tenendo le
braccia spalancate e il mento basso, con un’espressione di
furia in
volto che non le aveva mai visto prima.
-La
terra è pregna del dolore di quelli che hai ucciso! La
pagherai
cara!-.
-Tu
sarai un buon concime.-.
Leona
si liberò dei rampicanti e vide che l’attenzione
di Zyra era
interamente su Morgana. Avrebbe potuto approfittarne ma la
priorità
era distruggere il bulbo. E poi non era più il suo scontro.
Si
posizionò ai margini del cratere e guardò il
cielo. Il Sole era
quasi allo zenit, ma solo in quel preciso momento avrebbe colpito.
Intanto poteva osservare la battaglia.
Morgana
aveva un controllo del territorio impressionante: sembrava sapere in
anticipo dove sarebbero cresciute le piante, e dove mettere i piedi
per non inciampare; non solo, ma la magia con cui rinsecchiva la
terra era particolarmente efficace contro gli
“amici” di Zyra. La
donna-pianta restava impassibile, ma aveva capito di essere davanti
ad un suo nemico naturale.
No,
non era solo quello. Ora che poteva concentrarsi su di lei, Leona non
aveva dubbi: Morgana aveva affrontato molti più scontri di
lei.
Ripensò a quando, ancora convalescente, le aveva detto di
non voler
essere la causa della sua morte; allora l’aveva derisa,
adesso
invece iniziava a dubitare che fosse un bluff.
Il
Sole l’avvertì di essere pronto. Leona
alzò il pungo e poi lo
abbatté a terra; dal cielo un unico, grande raggio solare
investì
il cratere, polverizzando il suo contenuto. Per un secondo le
sembrò
di essere dentro al Sole stesso. Fu magnifico.
-No!!!-
Strillò Zyra, un attimo prima che la catena oscura si
staccasse dal
suo petto e che lei cadesse riversa. Mentre Leona si rialzava,
Morgana si voltò verso di lei, ma non riuscì a
vederla in viso.
Invece, vide il terreno avvicinarsi a gran velocità; chiuse
gli
occhi e non sentì nemmeno l’impatto.
…
Quando
li riaprì, era seduta con le gambe divaricate su qualcosa
che si
alzava e abbassava ritmicamente. Un cavallo. Il suo cavallo. Al suo
fianco ce n’era un altro con sopra un corpo avvolto in un
telo.
Davanti a loro camminava Morgana, tenendo le briglie; per un secondo
non l’aveva riconosciuta, tanto era diversa dalla naufraga
che
aveva incontrato: capelli alla lunghezza delle spalle, abito elegante
con tanto di guanti, perfino la camminata era più elegante.
Aveva
ancora l’armatura addosso, e le armi…
c’erano. Non era legata e
nemmeno ferita.
-Avrei
potuto attaccarti alle spalle.-.
-Sempre
di buon umore vedo.-.
Leona
si guardò intorno senza riconoscere la strada su cui si
trovava,
quindi chissà dove stavano andando con il cadavere. Oh,
ecco,
stavano per entrare in un villaggio.
Una
donna avanti con gli anni andò loro incontro, fermandosi
davanti a
Morgana e parlando in uno Ioniano rapido. Il suo sguardo si spostava
sul corpo, su cui però non osava soffermarsi. Morgana
parlò piano,
con tono afflitto. La donna cadde in ginocchio e scoppiò in
lacrime.
-Aspettami
qui.- Le disse in Velariano con la voce distorta dalla commozione.
Leona guardò intensamente prima lei e poi la donna.
-Va
bene.-.
Il
sole stava tramontando quando entrò nel villaggio, ed era
quasi
sparito dall’orizzonte quando uscì.
-Lei
chi era?-.
-Era
sua madre. La sua…- Morgana rimontò in sella: -Emai.
Lui
era il suo Erzai, suo figlio.-.
-Capisco.-
Non proprio, non le aveva chiesto una lezione di lingua; ma non
volé
sfigurare: -E invece fratello è…-
Ripensò alla parola che aveva
sentito al villaggio dei mostri, cercando di ripeterla. Con scarsi
risultati.
-No,
fratello è Anar. Quello che hai detto
è “marito”.-.
“…”.
-Che
c’è?-.
-Nulla
di importante.-.
Morgana
la guardò come in attesa di qualcosa, poi prese la parola:
-Bene,
allora… alla prossima immagino.-.
-Aspetta.-.
-Perché?-.
“Perché?”.
-Voglio…
dire…- Quello che aveva detto ovviamente. Allora,
arricciando le
labbra: -Devo ancora decidere cosa farne di te, pertanto desidero che
tu mi tenga compagnia stanotte.-.
-Ah…
va bene, non mi lasci molta scelta.- Sogghignò lei, poi
alzò il
braccio verso il villaggio: -Vuoi seguirmi?-.
Poco
dopo, Leona era seduta su un letto, meditando se togliere o meno
l’armatura; davanti a lei, Morgana si sporcava le labbra di
nero
con uno strano bastoncino, e non le sfuggì lo sguardo
stranito con
cui la osservava.
-Non
sei una che si trucca spesso, immagino.-.
-Lascio
che sia il fango a sporcarmi il viso.-.
-E
ti rilassi ancora meno spesso. Mmm… mi chiedo
se…- Si chinò
verso di lei, invadendo il suo spazio.
-Che
stai facendo?- Chiese ritraendosi. Perché la stava puntando
con il
suo bastoncino? Batté la nuca sulla parete, e Morgana
sorrise
malignamente. Sentì una punta fredda schiacciarle le labbra
e
muoversi a cerchio. La Dama Velata si ritrasse, ammirando il suo
capolavoro, e appoggiò il bastoncino sul suo comodino. Leona
si
specchiò sullo scudo.
-Non
è il mio colore.-.
-Quindi
hai un colore!-.
Per
tutta risposta si strofinò il polso sulla bocca, fino a
ripulirla.
Sbuffando, Morgana si sedette sul proprio letto.
-Sei
sempre così occupata a salvare il mondo che non riesci mai a
godertelo.-.
-Se
mi fermo a godermelo non posso proteggerlo.-.
-Uff!
Non proverò nemmeno a dissuaderti dal tuo ego spropositato,
ma
vorrei farti notare che anche se ti sdrai…- Si
sdraiò: -…per un
po’, il mondo non finirà.-.
Leona
non disse nulla, ma la imitò. Ammetteva che avere un cuscino
sotto
la testa avesse i suoi vantaggi.
-Perché
lo fai?-.
-Non
sono una che si dà per vinta.-.
-Intendevo
dire che ho capito che credi di essere nel giusto. Ma cosa ti spinge
a farlo?-.
-Ah…-
Ecco, si era compiaciuta: -Il mondo è pieno di persone come
me:
pensano di fare del bene e invece finiscono solo per combinare
casini. Ma qualche volta qualcosa di buono la facciamo. Non
è un
motivo sufficiente?-.
-Come
pensavo. Sei priva di una guida, brancoli nel buio come una bambina.
Vedi i riflessi delle stelle nello stagno e pensi che siano quelle
vere.-.
-Per
un attimo ho pensato che volessi farmi un complimento, meno male,
iniziavo a preoccuparmi! Non seguo una guida dettata dagli altri,
preferisco essere io a giudicare.-.
-Mmm.
Cerchi risposte complesse perché pensi che il mondo ne abbia
bisogno; però, se perdiamo tempo a giudicare, perdiamo la
capacità
di discernere il bene dal male. Questo mondo ha bisogno di risposte
semplici.-.
Morgana
si appoggiò con il gomito al materasso per alzare la testa:
-Ne sei
davvero convinta?-.
La
domanda era priva di malizia, ciononostante la lasciò
confusa. Lo
dicevano le Scritture, quindi era vero. Si girò sul lato,
dando la
schiena alla compagna: -Certo che sì. In ogni caso, ammetto
che i
tuoi metodi siano tollerabili in talune circostanze.-.
-Ohh!-
Esclamò teatralmente Morgana: -Mi si scioglie il cuore!
Ascolta…-
era diventata improvvisamente seria: -…ho esagerato
l’altra
volta, mi dispiace.-.
Le
sue scuse non erano sincere, non del tutto almeno; come non lo
sarebbero state se le avesse dette lei. Tuttavia Leona ammirava gli
sforzi di umiltà.
-Anch’io
ho lasciato che la rabbia mi dominasse. Dormiamo adesso.- Chiuse il
discorso e gli occhi. Per qualche motivo aveva la sensazione che
Morgana stesse sorridendo.
-Dormi
con l’armatura?-.
-Buonanotte.-.
…
…
…
“Qualcosa
non va.”.
Leona
riaprì le palpebre. Era buio, la candela sul comodino si era
spenta;
e l’altro letto era vuoto. La porta era socchiusa. Si
alzò
silenziosamente, cercando indizi nella stanza. Niente che lasciasse
pensare a un combattimento, quindi o era stato un rapitore esperto o
Morgana se n’era andata da sola. Uscita dalla locanda,
continuò a
cercare delle tracce; dovette usare i poteri del Sole per vedere bene
al buio, ed ecco: segni di tacco che si dirigevano fuori dal
villaggio. Non aveva preso il cavallo.
Era
il caso di sguainare le armi. Seguì con attenzione la pista
fino a
perdersi negli alberi.
“Trovata…
cosa sta facendo?” La sua camminata era strana, non aveva
niente
della classe di qualche ora prima, le ricordava invece Diana in
quelle notti in cui vagava sonnambula nella sua smania di…
insomma,
Morgana non aveva mai camminato nel sonno da quando l’aveva
incontrata. Si acquattò dietro a un albero.
Morgana
si fermò e davanti a lei l’aria tremolò
come se un telo
trasparente fosse calato. Una strana creatura si alzò dalle
quattro
zampe, e la sua pelle nera mutò rapidamente in viola.
Sembrava una
donna, una bella donna, ma chiaramente non lo era. E quelle due code
non le piacevano per niente.
-Ciao
dolcezza, vieni da me.- Disse con voce vellutata accarezzandole la
guancia con degli… artigli; poi li fece scivolare dietro la
nuca,
spingendo il viso verso il suo.
-Ehi!-
Leona si fece avanti con la spada alzata e la
“donna” la puntò
con due occhi giallo fulmine.
-Mmm…-
Miagolò con fare voluttuoso: -Tra poco sarò da
te, zuccherino. Io
sono Evelynn.-.
-Urgh…
cosa…- Biascicò la corvina, forse uscendo dalla
trance.
-Uff!-
Evelynn oltrepassò Morgana girando gli occhi, con Leona che
la
seguiva con la spada.
-Un
animo infranto è così facile da manipolare, ma il
tuo deliro ti
rende così… desiderabile. Voglio così
tanto spezzarti!- Urlò
come ebbra dal vino.
-Fermati
demone!- Non aveva più dubbi, era uno dei diavoli delle
Scritture.
Finalmente qualcosa che avesse un senso, seppur malvagio, in quella
terra di contraddizioni.
-Che
sta succedendo? Kayle… era qui?- Morgana si guardava intorno
confusa, poi realizzata la situazione si mise in guardia.
-Rilassatevi
ragazze.- Disse Evelynn mentre le sue code volteggiavano in aria con
la leggerezza della stoffa: -Ora che sono stata scoperta
sarò docile
come un agnellino.-.
Leona
proiettò l’immagine della sua spada, ma Evelynn
scomparve com’era
apparsa. Da dove avrebbe attaccato?
-La…
mia… testa…- Morgana si copriva il viso con una
mano, era come se
stesse per crollare dal sonno. Leona ricordava a memoria le pagine
delle Scritture, quindi sapeva cosa le stava succedendo.
-Non
ascoltare quello che ti dice!-.
L’istinto
le disse che il suo fianco destro sarebbe stato attaccato,
così
mosse la lama per proteggersi; ma il colpo fu così forte da
strappargliela via. Di fronte a lei c’era Evelynn, piegata in
avanti e con le code ritte. Ebbe la prontezza di alzare lo scudo e la
sferzata la spinse indietro.
-Quanto
chiacchieri! Ti seguo da un bel po’, sai? Ho tenuto duro per
mesi…
ah, quanto mi piace spezzare quelli come te!-.
-Tu
non sai niente di me, mostro!-.
-Davvero?-
Il demone si leccò le labbra con euforia: -Una donna tutta
d’un
pezzo, il faro che mostra agli altri la via. Ma dentro vuoi solo
essere libera… e io posso darti la libertà. Lo
faccio sempre.-.
-Non
osare!- Provò ad attaccarla con lo scudo, ma
diventò di nuovo
invisibile.
-Lei
aveva ragione su di te!- Sentiva le sue parole dentro la
testa:
-E anche tu avevi ragione su di lei! Siete così
adorabili
insieme…-.
-Perché
ti stai facendo avanti adesso?- Doveva prendere tempo per capire dove
si trovasse; ma la risposta le arrivò sussurrata
sull’orecchio, e
fu così spiazzante che ci mise un secondo di troppo a
reagire. Si
ritrovò a terra, con il dolore di un graffio sulla faccia.
Evelynn
troneggiava spavalda su di lei con stampato quel ghigno lussurioso
che, ormai era chiaro, la contraddistingueva.
-Andrà
tutto bene, tesoro.-.
Il
sorriso si tramutò in urlo quando la punta di una lama
dorata spuntò
dal suo petto. Evelynn si buttò di lato, coprendosi la
ferita la una
mano; qualunque imitazione di libidine avesse mostrato, era stata
spazzata via dalla furia.
-Tu!!!-.
-Non
dovresti darmi le spalle.- Morgana le porse la mano, aiutandola a
rialzarsi, e le ridiede la sua spada.
-Come
fai a muoverti???-.
-Oh,
tesoro.- In un battito di ciglia gli occhi di
Morgana si erano
accesi di viola: -Mi sa che non hai capito proprio niente di me.-.
-Né
di me.- Aggiunse Leona. Evelynn le guardò rabbiosa, poi fece
quello
che sapeva fare meglio.
-Non
scapperai!-.
-Sì
invece.- La corresse Morgana: -Non riesco più a percepirla.
L’ho
ferita ma…- si interruppe, e Leona si voltò a
guardarla. Con una
falange stava fermando il corso di una lacrima.
-C-Che
strano, ero sicura che…-.
“Pensava
che ci fosse Kayle…” Intuì Leona.
-In
ogni caso non, non avrebbe avuto la meglio su di me se fossi stata
sveglia.- Si affrettò a dire asciugandosi la guancia:
-Continuiamo a
salvarci la vita a vicenda. Bella spada comunque.-.
-I
bisbigli dei demoni scavano nelle nostre debolezze. Persino un
guerriero tenace può essere tratto in inganno da essi.-.
Morgana
la guardò sbigottita, poi abbozzò un timido
sorriso.
-Grazie.
Se non ti avessi sentita parlare non so se mi sarei liberata
così in
fretta. Dai, torniamo indietro.-.
Ma
Leona non si mosse. Guardava il bosco davanti a sé,
ripensando a
quell’ultimo sussurro; forse era l’ennesimo
inganno, tuttavia se
aveva deciso di uscire allo scoperto proprio quella sera…
-Che
c’è, non vieni?-.
-Sì…-.
Ritornarono
sui propri passi. Pochi minuti di cammino, ma furono tra i
più
intensi della sua vita. Sentiva il peso di ogni passo, l’aria
fredda sulla pelle, il sudore sulla fronte; li sentiva come un
memento.
-Lo
sai, mi aspettavo che le dessi la caccia.-.
-Già…-.
Tornate
in camera, Morgana iniziò a percepire che c’era
qualcosa che la
tormentava.
-Tutto
bene?-.
-Sono
solo un po’ stanca.-.
-Ho
capito. Stavo pensando, potrei aver giudicato troppo in fretta i tuoi
testi, magari- Non finì mai la frase. Colpita in viso dallo
scudo,
batté la nuca sul muro e cadde distesa sul letto.
Leona
non si fermò a ragionare sul paradosso della situazione. Si
accomiatò da lei e uscì senza curarsi di non fare
rumore; montò a
cavallo e partì al galoppo, attraversando colonne lignee che
l’addentravano verso il suo scontro finale.
Al
contrario di poco prima, era sorprendentemente calma, avulsa dalla
realtà. Non che non si sentisse pronta, anzi, era
l’apice del suo
viaggio che a lungo aveva agognato; ma aveva previsto agitazione, o
rabbia, o almeno commozione.
Niente
di tutto questo. Il suo animo si levava all’altezza del Sole
e
guardava verso il basso la terra lontana, senza posarvi piede.
Sapeva
di essere diversa da quella che era partita; anzi, era diversa da
quella che aveva incontrato Morgana su quella spiaggia. Lo aveva
sospettato al villaggio dei mostri, e poi ne aveva avuto conferma con
la donna del giorno prima.
L’aveva
persa, la sua umanità: la capacità di guardare
agli umani come suoi
simili, il dolore nel vederli soffrire, la pietà per coloro
che
aveva giurato di proteggere, addirittura l’odio per gli empi.
Ora
erano un eco della sua memoria, un riflesso spontaneo ma vuoto. Era
all’apoteosi della propria abnegazione: non esisteva altro se
non
il suo compito, non pensava ad altro se non al suo mantra; e le
andava bene così.
“Io
sono il Sole che illumina gli innocenti. Sono il Sole che brucia i
malvagi. Sono l’aurora di un giorno senza tramonto. Sono la
prima
lama dei Solari. Non ci saranno altre albe per te.”.
Gli
alberi si interrompevano davanti a lei, rivelando una radura
propizia. Leona tirò le redini e smontò dal
cavallo, legandolo a un
ramo e calmandolo con una mano sul muso. Forse in qualche modo
avvertiva… chissà. Dentro di sé la
creatura ancestrale ribolliva,
e pensò che anche per lei dovesse essere lo stesso. Ormai
erano così
vicine che poteva quasi palpare quell’aura magica che aveva
inseguito tanto a lungo. La freschezza della Luna, il sapore della
Notte. Evelynn non aveva mentito.
Si
rivelò con un passo in avanti. Di fronte a lei, la Luna era
ormai
bassa nel cielo; alle sue spalle, il Sole stava per sorgere. La donna
all’altro lato dello spiazzo si fermò di colpo, e
forse per un
momento fu colta dalla sorpresa.
-Leona.-.
-Diana.-.
La
prima cosa che Morgana sentì da sveglia fu il dolore al
naso.
Istintivamente si portò la mano sul setto, ritraendola per
una fitta
improvvisa e trovandola bagnata di rosso. Spalancò gli occhi
e si
mise seduta, scostando le coperte sotto cui qualcuno l’aveva
messa.
“Cosa
diavolo…”.
Il
suo sguardo si posò sul comodino del letto, dove due oggetti
affiancavano la lanterna: il suo rossetto e un coltello ioniano.
-Leona?-
Domandò nervosa senza aspettarsi una risposta. Il demone era
tornato? No, l’ultima cosa che ricordava era…
era…
Chiuse
gli occhi e si concentrò, scrutando per l’aura
magica della
compagna ovunque potesse essere; non nella locanda, più in
là
allora, non nel villaggio, ancora più in là, non
nel bosco…
aspetta, ecco! Però…
-No.-.
Scattò
in piedi, spalancò la finestra e si gettò fuori,
spiccando le ali e
superando ogni limite che si fosse mai data.
-No
no no!-.
Non
sentiva il vento o gli uccelli sfrecciarle accanto, non sentiva il
freddo della notte appena passata o il tepore del sole che sorgeva.
Anzi, nemmeno sapeva se il cielo fosse limpido o nuvoloso. Malediceva
sé stessa per essere troppo lenta, poco più
veloce di un cavallo in
corsa.
Alla
fine le sue ali si stancarono e la costrinsero ad atterrare, stanche
da mesi di sforzi a cui non erano abituate. Le sue stupide scarpe non
si muovevano bene nel sottobosco, quindi se ne liberò e i
suoi piedi
calpestarono correndo la terra umida e sporca, il suo vestito si
impigliava ma andava avanti, era quasi arrivata, ancora un piccolo
sforzo, oltre quegli alberi, ancora uno sforzo, solo un
altro…
…Passo.
“N…no…”.
Restò
impietrita, come legata dalle sue stesse catene. Il viso di Leona,
appena reclinato all’indietro, era rivolto verso il cielo, ma
non
poteva guardarlo perché teneva gli occhi chiusi. Di lei
vedeva solo
la testa e i piedi, e per qualche strana ragione si accorse solo ora
che anche lei portava i tacchi (li aveva sempre avuti? Che senso
aveva per un guerriero portarli?); il resto del suo corpo era coperto
dall’armatura argentea della donna che, china su di lei, la
teneva
tra le braccia.
“La
uccido.”.
Un
pensiero semplice. Piuttosto facile da eseguire. Non sarebbe neanche
stata la prima volta. Cos’era? Dolore? Giustizia? Giustizia,
sì,
ma non quella della Dama Velata: non voleva quella, no, voleva la
giustizia assoluta di Kayle, voleva vedere la sua spada abbattersi su
di lei e cancellarla dalla realtà. Nessuna redenzione,
niente ultime
parole, sarebbe morta e Leona…
Diana
si accorse di non essere più sola. Appoggiò con
delicatezza il
corpo a terra, si rialzò e si voltò. Era
affranta, inorridita, la
maschera della disperazione: una donna bellissima dall’animo
a
pezzi. Non osava guardarla in faccia. Era oppressa dalla propria
lucidità.
Rimasero
in silenzio a guardarsi, in attesa. Il tempo passava attorno a loro:
la natura si risvegliava, il vento piegava i fili d’erba, il
Sole
si stava mostrando nel suo cieco splendore, presto tutto sarebbe
stato come il giorno prima; ma per loro no, loro restavano immobili.
*
*
*
Tacevano
entrambe.
Diana
le dava le spalle, più vicina di lei alla tomba.
“Tomba”, un
rettangolo di terra scavata con una roccia come lapide, su cui la
Targoniana aveva inciso un Sole. Trovava ingiusto che Leona fosse
seppellita lì, in quella terra che odiava; ma quel terreno
era
intriso di magia positiva, e nessuna delle due poteva riportarla al
Targon. Era il meglio che potevano offrirle, ed era ancora un insulto
per lei.
-Eri
sua amica?- Chiese Diana ad un certo punto. Morgana non le rispose.
Avrebbe
dovuto provare a redimerla, carpire il suo dolore e indurla a
liberarsene; ma non poteva. Non riusciva ancora a liberarsi del suo.
E non voleva farlo: era ancora forte in lei il desiderio di
abbandonarla alla dannazione. Ma il lato di sé che ora
deprecava
avrebbe vinto, alla fine.
-Non
doveva andare così.- Disse invece, caricando la voce di
veleno.
Neanche davvero rivolto a Diana o a qualcuno di preciso, non avrebbe
avuto senso. Era una banale constatazione.
-Non…-
Iniziò l’argentea, ma si interruppe per soffocare
i sentimenti
che le sarebbero sfuggiti dalla gola. E faceva male sentire
l’umanità
nella sua voce.
-Non
ti chiedo di perdonarmi. Non c’è più
speranza per me. Ma se c’è
qualcuno che è per te ciò che lei era per
me…- La guardò con gli
stessi occhi di prima, lucidi da un pianto che si sforzava di
trattenere.
-…trovalo,
ti prego. Prima che non restino che morte e rimpianto.-.
Le
due donne, prima l’una e poi l’altra, se
n’erano andate. Quel
mondo tanto ingiusto e crudele aveva ancora bisogno di entrambe. Il
Sole navigò la propria rotta celeste, all’alba si
susseguì il
mattino, e poi il mezzogiorno.
Quando
raggiunse lo Zenit, i raggi illuminarono a pieno la tomba. Fu allora
che la terra si smosse.
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