Equinox

di Lady Femke
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Come sempre ***
Capitolo 2: *** Riuniti ***
Capitolo 3: *** Richieste ***
Capitolo 4: *** Casa ***
Capitolo 5: *** Stranezze ***
Capitolo 6: *** Domande bizzarre ***
Capitolo 7: *** Incontri ***



Capitolo 1
*** Come sempre ***


Equinox

Equinox

- 1 -

 Come sempre

 

L’autunno stava per finire, gli alberi avevano lasciato morire le loro chiome per proteggersi dal gelo e il silenzio gravava sul paese. Il sole stava per sorgere dietro la coltre di nubi, richiamando la popolazione a vivere un’altra giornata.

Le vie erano ancora deserte e nonostante tutto la sonnolenta città lentamente cercava di mettersi in moto, ma non tutti erano cosi pronti ad affrontare i proprio doveri…

 

“Anna per l’amor del cielo vuoi scendere dal letto?”

Urlò per l’ennesima volta sua madre entrando nella camera, che molto cordialmente definiva “il caos in Terra”, a volte aggiungeva addirittura una sua simpatica battuta, dicendo che il termine era riduttivo ed esso sarebbe stato senza dubbio meno confusionario di lei.

La camera di Anna sarebbe stata grande e ariosa se non fosse stato per il suo modo di tenerla e, secondo i suoi genitori, ancora peggio per come l’aveva addobbata.

“Anna non mi va di correre tutte le mattine, quindi giù dal letto!”

 

”Chris ...”

Fuori dalla camera del ragazzo, suo padre era già pronto a chiamarlo, come tutte le mattine, per svegliarlo, ma dal bagno, con lo spazzolino in bocca, spuntò d’improvviso il ragazzo porgendogli un sorriso ed accennandogli un cenno di saluto col capo.

“Potresti darmi la gioia di riuscire un giorno, non dico tanto… un giorno solo, di svegliare mio figlio?”

Gli chiese esasperato tanto, che il figlio non riuscì a fare a meno di scuotere la testa e far spallucce.

Era in gamba non ci poteva fare nulla! Si svegliava ogni mattina un’ora prima per poter leggere i suoi adorati libri e dieci minuti prima dell’entrata trionfale del padre nella sua camera e delle urla della madre nella stanza accanto, quella della sorella, incominciava a prepararsi per il meglio per la giornata.

“E dato che ci sei, ogni tanto fa trovare in disordine la tua camera”, sospirò. “Io e tua madre siamo esasperati di non riuscire mai a sgridarti!”

Chris continuava ad ascoltarlo, mentre rientrava nel suo bagno personale per risciacquarsi la bocca per, poi, raggiungere di nuovo la soglia della stanza e fissarlo. Suo padre restava immobile appoggiato allo stipite della porta.

Henry Hallgham era un uomo relativamente nella media, portava i suoi capelli ramati corti, ma questo non li rendeva certo più domabili. Vestiva sempre in modo sobrio, ma non per questo non elegante, era sempre in ordine, lasciando intravedere la sua forma smagliante. In quel momento scrutava il figlio con quei penetranti occhi verdi che avrebbero messo in soggezione chiunque.

“Papà, non ci posso far nulla se sono il figlio perfetto, a differenza di quella troglodita di mia sorella! Chi ha ordine dentro di sé, ha ordine intorno!”

Esclamò prima di andare ad aprire l’armadio, dove ogni capo d’abbigliamento era suddiviso attentamente per colore e per tipo di tessuto.

“A volte mi chiedo da chi hai preso? Ti aspettiamo giù per colazione!”

“Ah ah …”

Lo corresse subito il giovane, voltandosi verso di lui mentre si accingeva ad uscire.

“Vorrai dire che mamma e Anna mi aspettano per colazione!”

Puntualizzò tranquillo tirando fuori la sua divisa di scuola, osservandolo alzare gli occhi al cielo prima di uscire e chiudere la porta dietro di sé.

A differenza della camera della sorella, la sua era più piccola e molto essenziale. Del resto era ordinato e preciso affinché tutto fosse sempre a portata di mano e si potesse trovare senza troppi problemi. La sorella, per prenderlo in giro, diceva sempre che era fredda e impersonale. Come una camera d’esposizione in un negozio di mobili, ma lui non era d’accordo: era semplicemente organizzata.

 

Finalmente Anna era pronta.

Ogni mattina ci metteva un’eternità per preparasi, nonostante andasse in una scuola privata che richiedeva rigorosamente una divisa e quindi non c’era molto da scegliere nell’armadio. Ma lei no. Doveva metterci in qualche modo sempre qualcosa di suo che la rendesse unica nel suo genere.

I suoi lunghi e mossi capelli color rame erano sciolti e le ricadevano sulle spalle, la frangetta rigorosamente liscia era rigonfia sulla fronte; gli occhi erano truccati con un leggero ombretto a risaltare i suoi occhi azzurri dalle venature verdi. Non era una ragazza molto alta, anzi era minuta e asciutta, ma il suo caratterino accesso e perspicace bastava a compensare tutto quello che in altezza poteva mancarle.

“Finalmente ci hai onorato della tua presenza!”

Esclamò il padre quando finalmente la vide scendere dal piano di sopra, a raggiungere il resto della famiglia in cucina, dove la moglie stava già servendo la colazione.

Suo padre non condivideva gran parte delle sue passioni, come la danza e le feste a cui andava. Era un uomo giovanile e gioviale, ma che avrebbe desiderato una figlia meno popolare e nottambula che quasi con i suoi modi di fare sembrava non c’entrar nulla con il resto della famiglia.

Bisognava ammettere che lui non era un uomo e un padre così normale. Il fatto che si svegliasse la mattina presto per fare colazione da solo, ne era la dimostrazione.

Chris e Anna avevano sempre saputo che loro padre era particolare, ma del resto ogni genitore lo è per i propri figli.

La nascita e la creazione di una famiglia non erano mai stati nei progetti iniziali dei loro genitori, come gli avevano sempre detto, ma non si erano mai azzardati a spiegare il perché neanche se i loro figli insistevano.

Con Anna e Chris tutto era diventato più delicato e difficile. Dicevano sempre così. Avevano responsabilità così grandi e profonde nei loro confronti, seppur si sforzassero di essere una vera famiglia e di tenere i due ragazzi fuori anche dal segreto che aleggiava in casa.

 

Anna andò a sedersi in silenzio accanto al fratello più piccolo. Avevano 3 anni di differenza, ma questo non serviva a farla sentire più di tanto superiore in quanto sembrava che lui colmasse tutto quello che a lei mancava.

Chris non solo aveva gli stessi capelli ramati e mossi del padre che gli donavano fascino, nonostante la tenera età, ma anche gli occhi di un’intensa tonalità blu ed espressività come quelli della madre. Da entrambi aveva preso anche l’intuito e l’intelletto, seppur la sua mente straordinaria superava quella di chiunque altro ed a scuola eccelleva in tutte le materie scientifiche, soprattutto l’informatica, cosa che a differenza della sorella maggiore non gli permetteva di avere molti amici ed era tenuto a distanza da tutti.

“Finalmente ti sei degnata …”

Le bofonchiò Chris quando si sedette al suo fianco, facendo eco al padre.

“Sai, stavo facendo due calcoli e pensavo che se tu ti svegliassi semplicemente 5 minuti prima, usciresti in tempo per quando io mi alzo. Così ogni mattina non dovremmo incappare in questo teatrino …” puntualizzando con un tono lievemente aspro.

“Mi cronometri?” sospirò. “E poi anche se fosse, non ho alcuna voglia di alzarmi prima, quando mi alzo mi alzo! Capito?”

Rispose lei con aria di superiorità e strafottenza che sempre aveva sempre nei confronti del fratello, e con tutti del resto. La verità era che lo detestava, era sempre perfetto. Sapeva fare più cose di lei, questo la faceva andare su tutte le furie ed era una cosa assolutamente inaccettabile. Quando i suoi genitori gli annunciarono la sua nascita, lei si era aspettata immediatamente un piccolino da cullare ed a cui insegnare questo e quello; invece quel marmocchio si era dimostrato un acido saputello che non faceva altro che sminuirla giorno dopo giorno.

 

 

“Pa’! Quando ti deciderai a cambiare macchina?”

Chiese la ragazza, per l’ennesima volta, quando fecero per entrare nella vettura parcheggiata nel vialetto davanti casa. Non capiva, perché il padre si ostentasse a tenere quella Ford Mustang dell’69 nera con quella ridicola riga blu che passava su tutta la fiancata. L’aveva comprata proprio lui nel 1969 e all’epoca era davvero una novità invidiabile, ma adesso la trovava solo imbarazzante, soprattutto se ogni mattina doveva accompagnarli a scuola.

“Questo è un capolavoro d’epoca” s’affrettò a rispondere l’uomo, con espressione soddisfatta disegnata in volto. ”poi quelle nuove fanno quasi tutto, tranne il loro dovere! Ricordatevi sempre che vostro padre …”

“… in epoche e momenti in cui non essendoci nulla.  Si creava” lo interruppe Anna.” a dispetto di adesso che c’è tutto e si distrugge …”

Fece eco anche il fratello, prima che la madre scoppiasse in una risatina. Il padre, ormai salito in macchina, li squadrava dal suo specchietto retrovisore con aria riluttante e occhi che lasciavano trasparire una certa durezza.

“E’ inutile che fate i pappagalli è verissimo! Se voi foste nati solo una cinquantina di anni fa, ve ne sareste resi conto!”

La figlia alzò gli occhi al cielo rassegnata, mentre il padre iniziava con la sua solita ramanzina che propinava ogni volta che quel argomento usciva. Per salvarsi da quella tortura, prese il suo Ipod nero, impreziosito da quelle graziose maschere adesive con i brillantini e si mise ad ascoltare la sua adorata musica estraniandosi dal resto del mondo, ignorando il resto della conversazione.

 

Chris notò Anna mettersi le cuffie dell’Ipod e guardare fuori dal finestrino, mentre loro padre portava avanti l’ennesima lamentela su come Anna fosse strafottente e dovesse darsi una regolata.

Si voltò anche lui verso il finestrino a guardar fuori. Ogni mattina percorrevano un lungo tratto, abitavano fuori città in una piccola e tranquilla cittadina, nella loro villetta a schiera uguale identica a tutte le altre del quartiere.

Secondo lui era solo l’ennesimo sforzo dei suoi genitori ed illudersi ed illuderli di essere una famiglia normale.

Voleva un bene dell’anima ai suoi genitori, ma silenziosamente si poneva molte domande sul loro futuro. Loro dicevano sempre che un giorno ne avrebbero parlato, magari tra qualche anno, ma intanto il tempo passava.

Finora lui e sua sorella non erano riusciti a capire cosa nascondevano di preciso i loro genitori, ma lui da buono scienziato che era, avrebbe voluto sapere tutto, ponendo domande, ma questo era proprio ciò che

i loro genitori gli avevano vietato!

Solo Anna riusciva a rispettare questo divieto, stranamente, ma lui no! Ecco trovata l’unica cosa per cui venisse sgridato, mentre la sorella no!

 

 

La macchina rallentò improvvisamente andando a fermarsi davanti a un maestoso edificio di mattoni rossi dei primi del‘900 che ospitava la scuola. I due ragazzi la frequentavano perché anche loro padre l’aveva frequentata a suo tempo e, come allora, era una prestigiosissima scuola privata.

“Buona giornata ragazzi! Mi raccomando puntuali stasera!”

Ricordò la madre ai due figli, mentre li guardava scendere dalla macchina. Era consuetudine che dopo aver accompagnati a scuola, poi i due coniugi si avviassero assieme a lavoro.

“Contateci! A stasera! Buona giornata anche a voi mamma e papà! Ciao!”

Tagliò corto Chris prima di fiondarsi fuori dall’auto sbattendo la portiera, seguendo sua sorella, per poi voltarsi insieme per vedere la macchina ripartire.  Con un sospiro  entrambi si avviarono verso gli scalini di marmo, verso l’androne della scuola per poi varcarlo silenziosamente.

 

Una volta entrati nell’edificio cessavano di essere fratelli. Anna vietava sempre ed assolutamente di rivolgerle la parola in qualsiasi modo. Era un tabù e se lei ci teneva tanto per lui non era un problema.

Quindi senza neanche salutarla Chris si diresse verso l’ala in cui aveva la sua prima lezione della mattinata, mentre due ragazze spuntarono da un corridoio traverso e si avvicinarono a Anna, la quale le scrutava immobile.

“Ciao Anna!”

La salutarono in coro le sue amiche.

“Ciao ragazze! Brooke cos’è quella cosa che hai in testa? Mary e quella è una cintura o uno strumento di tortura?”

Chiese criticando aspramente prima il ridicolo cerchietto di una e poi la cintura dell’altra. Insomma se volevano stare con lei dovevano essere quanto meno impeccabili. Immediatamente le vide darsi da fare per far sparire entrambi gli accessori, mentre cercavano di tenere il suo passo.

“Allora stasera ci sarai alla festa di McAllister?” domandò Brooke, la minuta morettina dal viso vispo che quasi correva dietro Anna.

“Stasera? Ma non era venerdì prossimo?” rispose lei sbigottita.

Non poteva crederci, aveva capito male? No! Era la festa più importante dell’anno quella dei McAllister. Era una cosa imperdibile ed essere invitati era un onore.

“Perché non puoi? No, Anna! Non puoi farci questo! Devi esserci!”

“A chi lo dite, ma i miei mi hanno incastrato con una cena con mio zio!”

Sbuffò vistosamente alzando gli occhi al cielo, mentre la campanella cominciava a suonare risuonando fastidiosamente.

“Uh… tuo zio eh? Se è Logan sei giustificata. E’ troppo figo.”

Vide una delle sue ochette di compagnia incominciare a fare le moine e coinvolgere le altre, appena sopraggiunte. Non le poteva sopportare. Ogni volta che si parlava di lui o di suo padre incominciavano a sbavare senza ritegno e per lei era a dir poco disgustoso ed imbarazzante. Le lasciò fare, non le andava proprio di subirle quel giorno e così entrò in classe lasciandosi cadere sul suo banco, persa nei pensieri. Doveva trovare un modo per fuggire all’impegno con i genitori e sgattaiolare a quella festa che aspettava da  tutto l’anno.

Scivolando sulla sedia si accomodò, rimuginando intensamente finendo per ignorare del tutto quelle fastidiose amiche, che ancora le giravano attorno sparlando dello zio.

 

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Capitolo 2
*** Riuniti ***


Equinox

 Equinox

 - 2 -

 Riuniti

 

L’aereo stava rollando sulla pista. Meredith, all’ultimo momento, era riuscita a fare avere ad Abigail un posto poco più avanti dell’ala dell’aereo. Era sempre stata così premurosa con lei, ma nell’ultima settimana molte cose erano cambiate nella vita della ragazza, forse troppe.

Abigail era sempre stata una ragazza forte, caratteristica che indubbiamente aveva acquisito da sua madre Helen, ma da una settimana a quella parte tutto il suo mondo era crollato. Non si era mai sentita cosi sola ed indifesa. Ora era lì, seduta su quell’enorme aereo, diretta in un posto sconosciuto per cercare un uomo di cui non sapeva quasi niente, se non le poche righe che sua madre, molti anni prima, le aveva scritto in una lettera. Una lettera che doveva essere consegnata solo alla sua morte. Così era stato.

Una lacrima sgorgò da quegli intensi occhi grigi, mentre lo sguardo era perso fuori dall’oblò. La terra si allontanava, ma non tratteneva con sé la tristezza ed il dolore.

Nella lettera, sua madre raccontava ad Abigail, come da giovane si fosse invaghita di un uomo e come, in una sera diversa dalle altre, avessero fatto assieme una pazzia. Quando Helen scoprì che, nonostante tutto quello che aveva passato, lui non si sentiva di lasciare la moglie e il giovane figlio, abbandonò tutto per andarsene il più lontano possibile da quell’uomo. Solo in seguito scoprì di essere in dolce attesa di Abigail.

Decise di tenere quel bambino, il frutto di un sentimento così forte. Almeno da parte sua.

Nell’ultima settimana non aveva fatto altro che ripensare a quella lettera e, immancabilmente, ogni volta l’assaliva un singhiozzo strozzato.

Lei e sua madre erano sempre state sole, ma erano sempre state felici così. Traslocavano spesso per il lavoro di Helen, ma non era un problema per Abigail. In sedici anni aveva vissuto a Los Angeles, New York, Firenze, Strasburgo, Londra e per ultimo a Tokyo. La sua vita era stata un’avventura, anche ora lo era! Prese un profondo respiro nel tentativo di calmarsi e ricacciare indietro il fiume di lacrime, che sembrava non esaurirsi mai.

“Signorina, va tutto bene?”

Chiese l’hostess con un mezzo sorriso e uno sguardo ansioso.

Abigail annuì cercando di essere credibile, un sorriso appena abbozzato le solcò qualche istante il viso.

“Sì, nessun problema. Grazie.”

Dopo averle lanciato un’ultima occhiata preoccupata, l’hostess si diresse verso il suo posto. Sicuramente Meredith aveva parlato con qualcuno all’aereoporto, in modo che la tenessero d’occhio per tutto il viaggio.

Sbuffò stizzita, Meredith era stata una buona amica di famiglia negli ultimi anni a Tokyo, ma ora non poteva più fare altro se non metterla su quell’aereo e continuare  trattarla come una ragazzina qualunque.

 

Quando la sua sveglia suonò, Gabriel era già in piedi da circa mezz’ora e aveva appena finito di rifare il letto.  Ora di fronte all’armadio aprì malamente un’anta per scegliere cosa mettersi, quando un’ondata di vestiti scuri lo travolse.

Gabriel era un vero amante della musica di ogni genere, anche se il rock era il suo prediletto. La sua camera, infatti rispecchiava questo stile. Le pareti erano completamente coperte da scaffali pieni di CD, gruppi del passato e del presente. Qualche anno prima era andato in disibilio nel aver trovato dei vecchi dischi in un mercatino dell’usato e ora li teneva con grande cura, come se fossero dei tesori veri e propri; così la sua modesta stanza mansardata sembrava ancora più piccola di quello che era. Aveva il letto proprio dove il muro diventava più basso e spesso aveva finito per sbatterci la testa violentemente, soprattutto la mattina quando si svegliava. Ci volle del tempo per abituarsi e la sua statura non gli era di certo d’aiuto. Non per nulla era un giocatore di basket! Dopo essersi infilato al volo dei jeans scuri, aprì il lucernaio per far prendere aria alla stanza, infine voltandosi a guardare intorno gli occhi si soffermarono sulla foto sorridente di sua madre e lui da piccolo. Erano tifosi sfegatati di basket e quando divenne titolare e successivamente capitano della squadra della scuola si ricordò che fu il suo orgoglio. Il suo coach gli aveva confidato che quest’anno con l’arrivo degli osservatori del college si sarebbe assicurato molto probabilmente la borsa di studio per lo sport. Ma come spesso accade il destino a volte sembra avere altri piani.

Finì con calma di vestirsi continuando l’opera allo specchio: una sistemata veloce ai capelli biondissimi tagliati molto corti e un tocco di gel per finire.  Il basket gli aveva assicurato popolarità e particolare successo tra le ragazze, a dispetto di qualche sua stranezza. Non era un brutto ragazzo, oltre all’altezza aveva il fisico scolpito dall’attività fisica; gli occhi erano scuri e profondi e la pelle sembrava perennemente abbronzata. Nonostante ciò non aveva mai avuto una ragazza fissa, solo piccole avventure.

 

Quando Gabriel scese al piano di sotto, andando verso la cucina scorse il padre intento a bersi un caffè, rigorosamente ristretto. Gli arrivò alle sue spalle, silenzioso e furtivo, cercando di recuperare la sua tazza preferita senza essere visto. Appena fu troppo vicino, però, il padre accorgendosi della sua presenza, finì per spaventarsi saltando di scattò sulla sedia dopo essersi scottato con il suo caffè.

“Nervoso per oggi?”

Chiese divertito guardandolo dritto in volto dirigendosi poi verso il frigorifero a tirare fuori un cartone del latte per versarlo abbondantemente nella tazza, osservando suo padre che si ricomponeva asciugando il caffè versato.

Lo vide scuotere il viso senza dire una parola, d’altro canto non che lui non lo fosse, la notizia dell’arrivo di quella ragazzina nonché sua sorellastra era stata una vera doccia fredda.

Ci aveva messo davvero tanto a perdonare suo padre per quello, sua madre ormai era morta da cinque anni, ma era ancora una ferita aperta soprattutto perché suo padre non aveva mai detto che aveva avuto una relazione. Lui lo sapeva solo da poche settimane e seppur, a differenza dell’inizio, non spariva più di casa per giorni e non gli urlava contro, faceva ancora fatica a perdonarlo, anche se i loro rapporti si erano decisamente distesi.

Quindi uscì dalla cucina avviandosi verso l’ingresso dove aveva già preparato i suoi libri e le chiavi della macchina. Uscì dalla porta sul retro con un sospiro rassegnato. Non poteva evitare quella situazione, quindi prima o poi avrebbe dovuto arrendersi, ma ora doveva solo sbrigarsi. Era già abbastanza in ritardo per la scuola.

 

Il viaggio era stato lungo e movimentato, avevano incontrato una perturbazione, ma nulla di veramente impressionante come quell’anno che lei e Helen erano andate in India.

Abigail era tremendamente affamata, dopo aver aspettato per quasi un’ora le sue valigie, ora era seduta ad un bar dell’aeroporto in attesa di un cappuccino e brioche, per alleviare i morsi della fame.

Tutti la stavano guardavano. Cercò di non farci caso, alla fine era abituata a quelle attenzioni verso di se. Viaggiando così tanto aveva capito che la gente era molto attratta dal mistero, anche se a volte era più l’immaginazione, che altro a guidarle.

Del resto, ora la gente, vedeva una ragazza di sedici anni, seduta al bar apparentemente da sola con due enormi valigie. Era snella, ma non molto slanciata, occhi grigi come perle, con sguardo incredibilmente intelligente e vivace, capelli biondissimi che cerchiavano un viso serio e già con fattezze adulte. Per il viaggio aveva optato per dei vestiti comodi, era un vero maschiaccio sia nei miei modi di essere sia in quelli di vestire, seppur in quello era stata influenzata dal passato di sua madre e così i colori smorzati e tenui non mancavano mai addosso a lei.

Intelligente più che mai, era una ragazza con un profondo senso della giustizia e un carattere irrequieto e pepato, non permetteva a  nessuno di metterle i piedi in testa.

Si passò una mano tra i capelli scompigliandoli un po’, mentre alzò lo sguardo per vedere l’orario vicino al tabellone dei voli. Erano quasi le dieci e mezzo del mattino. Finì in fretta il suo cappuccino e prendendo le valigie le trascinò verso l’uscita principale, ancora poco e sarebbe arrivato il mezzo di trasporto che Meredith aveva prenotato per portarla alla sua nuova casa.

Rimase ad aspettare sotto la tettoia, il sole era nascosto da nuvole scure, l’aria era molto più fredda di come lo era in Giappone alla sua partenza. Non dovette aspettare molto. Una Mercedes berlina blu scura si fermò proprio davanti a lei, anche se la corsia era adibita solo ai taxi. Un uomo spense il motore e scese, andandole incontro.

“Buon giorno e ben arrivata, signorina Abigail!”

La salutò con un sorriso aperto e offrendosi di prenderle le valigie.

Abigail lo studiò con attenzione, mentre lui metteva i bagagli nel baule. Era abbastanza giovane, avrà avuto trent’anni, era biondo e con il viso curato, vestito bene, con un completo scuro, camicia e cravatta. Decisamente non sembrava un tassista, neanche di quelli privati.

Sobbalzò quando lui chiuse il baule e le rivolse un altro sorriso aprendole la portiera posteriore per

invitarla a salire.

Lei gli rispose con una certa titubanza, ma ubbidì e prese posto.

 

Gabriel arrivò a piedi davanti all’edificio in mattoni rossi. Ogni mattina se la faceva sempre a piedi, suo padre non aveva ancora voluto prendergli una macchina e per orgoglio lui si rifiutava di rendere ancora il pullman come i ragazzi del primo anno. Guardando il lato positivo, cosi era sempre in movimento, non c’era il rischio che perdesse la sua forma atletica.

Pensando a quello però non sapeva se riderne o piangerne. Del resto andava ancora bene quando c’era bel tempo, ma quando, come quella giorno, il tempo non sembrava voler seguire le regole di stagione, la cosa non era molto invitante.

Sfregandosi un po’ le mani per scaldarle si avviò verso l’entrata salutando qua e là dei ragazzi che conosceva, anche se la maggior parte non sapeva neanche come si chiamavano. Accelerò il passo quando entrando sentì subito suonare la campanella. Come sempre era arrivato per un soffio in orario.

 

Il tratto in macchina non era stato molto lungo per fortuna. L’uomo per quanto continuasse a sorriderle non era certo di molte parole! Si fermarono davanti ad una casa come tante, il quartiere sembrava tranquillo, ma forse era solo un impressione. Del resto era quasi mezzogiorno, i ragazzi erano a scuola e la maggior parte degli adulti a lavoro. L’uomo misterioso scese e venne ad aprirle la portiera come aveva fatto prima, scaricò il baule, mentre Abigail rimaneva sul marciapiede a fissare stranita la casa di fronte a lei.

Stando lì, si rese conto che la sua vita stava cambiando radicalmente. Non perché si era trasferita ancora, ma perché lì avrebbe messo finalmente radici. Avrebbe potuto avere finalmente una famiglia, degli amici, cose che fino a quel momento non aveva avuto o almeno non nel senso che intendevano tutti i suoi coetanei. Finora non aveva una casa che non continuasse a cambiare ogni tre o quattro anni, aveva una famiglia composta solo da sua madre e degli amici che condividevano solo un breve tratto della sua vita.

Sospirò nervosa. Le paure cominciavano ad assalirla, anche se con qualche ritardo. La paura di angosciare quell’uomo che avrebbe dovuto essere suo padre. Di lei non sapeva niente, in tutti quegli anni era andato avanti per la sua strada facendosi una famiglia e ora arrivava lei a stravolgere anche il suo di mondo.

Con una mano l’uomo chiuse il baule e andò alla porta a suonare il campanello, poi si girò verso la ragazza e le rivolse un altro dei strani sorrisi.

Abigail lo fissò ancora ferma sul marciapiede. Perché nessuno veniva ad aprire la porta? Lui avrebbe dovuto esserci in casa! Possibile che fosse uscito perché non la voleva?

Scossa la testa con decisione. Doveva smettere di lasciar vagare in quel modo la sua fantasia. Va bene tutto, però se lui non fosse venuto ad aprire, lei che cosa avrebbe fatto? Ora era completamente sola! Scosse di nuovo la testa. No! Non doveva cedere a quel modo, qualcosa avrebbe inventato, così cominciò facendo un passo verso la porta.

 

 

 

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Capitolo 3
*** Richieste ***


Equinox

 Equinox

 - 3 -

 Richieste

 

Finalmente la campanella di mezzogiorno era suonata. Per quanto, ad Chris piacesse l’informatica, quella mattina aveva davvero fame, eppure aveva fatto una doppia colazione, prima a casa e poi con il croissant della sua migliore amica, perciò in fretta mise via il libro e spense il suo computer e uscì dall’aula diretto alla mensa. Era stato così veloce, che non c’era ancora la fila a prendere da mangiare. Andò a sedersi in un tavolo un po’ isolato accese il suo portatile e mentre mangiava cominciò a mettere in pratica gli insegnamenti del giorno. Lentamente la mensa cominciò a riempirsi e a diventare caotica. Gli altri ragazzi gli passavano di fianco senza neanche accorgersi di lui, non che a lui interessasse particolarmente, ma ogni tanto staccava comunque lo sguardo dallo schermo per dare un’occhiata in giro. Sembrava il solito giorno noioso. Era il brutto di una scuola privata, davano l’impressione di essere tutti bravi ragazzi e poi invece sotto sotto, magari avevano tutti un tallone di Achille proprio come lui e sua sorella.

Proprio nel momento in cui stava riportando la sua attenzione ai suoi esercizi di calcolo binario, una ragazza appoggiò la mano sullo schiena della sedia accanto alla sua.

“Posso?”

Chiese con una vocina esile.

Chris cercò di nascondere la sua impazienza, aveva riconosciuto la sua compagna di corso anche senza guardarla. Tutti nel corso di letteratura la prendevano in giro proprio per quella vocina stridula.

“Fai pure, se vuoi!”

Disse, sperando che cambiasse idea e se ne andasse, anche se non c’erano speranze, infatti la ragazzina si sedette appoggiando il vassoio.

“Gira voce di una nuova arrivata. Hai sentito?”

Mugugnò già annoiato da quella discussione. Sfortunatamente la ragazza doveva averlo preso per un si.

“So che frequenti il corso di informatica.”

Chris si voltò a guardarla confuso. Non capita il senso di quell’improvviso cambio d’argomento.

“Pensavo…che magari potevi cercare, insomma, di scoprire qualcosa su di lei!”

“Perché sei venuta da me?”

“Beh…non sei il migliore del corso?! La Jehry dice a tutti che sei il suo prodigio!

“Perciò vorresti che violassi il sistema della scuola?”

Quella ragazza era come tutti gli altri studenti di quella scuola, annoiati e stupidi. Adesso gli stava sorridendo come per convincerlo, ma non sapeva che facendo così, non stava di certo migliorando la situazione.

La odiava proprio quella ragazza, come tutti gli altri li dentro. Si alzò e con una certa tensione chiuse il portatile e lo mise nello zaino.

“Scordatelo! Trovati qualcun altro che vuole mettersi nei casini per la tua curiosità!”, e senza aggiungere altro, uscì dalla mensa diretto verso l’aula di biologia del pomeriggio.

Si andò a sedere in fondo, uno degli ultimi posti. Una nuova arrivata…forse un minimo di speranza c’era ancora in quella dannatissima scuola. Ora era curioso di sapere qualcosa di quella ragazza, ma avrebbe rischiato tanto, se l’avessero scoperto. Ne valeva davvero la pena? Forse sarebbe arrivata solo il giorno seguente. Del resto era inutile illudersi per niente, magari sarebbe risultata interessante sulla carta, ma di persona no o il contrario, quindi perché rovinarsi il fegato per nulla? Doveva solo aspettare, magari poteva decidere di fare ricerche solo una volta che l’aveva vista e poteva essere sicuro che ci fosse qualche speranza.

Bene!

Dopo aver preso quella decisione si rilassò e buttò indietro la testa facendola appoggiare al muro. Rimase così in attesa che arrivassero gli altri studenti e il professore per la lezione.

 

Anna era ancora profondamente irritata per la festa di quella sera che andava a farsi benedire e nelle orecchie doveva subirsi i complimenti maliziosi e farciti di doppi sensi su suo zio.

“La volete smettere?”

Sbottò immediatamente irritata, mentre camminava a passo sicuro per i corridoi e i suoi capelli ondulati si muovevano sinuosi ipnotizzando chiunque la guardasse. Era senza dubbio la ragazza più popolare della scuola e la sua incredibile bellezza l’aiutava notevolmente, era perfetta e irraggiungibile una dea scesa in terra inavvicinabile e incomprensibile. Era sempre così tutto d’un pezzo fredda e altezzosa che nessuno poteva dichiarare di conoscerla realmente e profondamente.

“A proposito cosa potete dirmi della nuova arrivata?”

Chiese camminando come se stesse sfilando alla settimana della moda di Milano e guardando di fronte a sé ignorando gli sguardi su di lei, sia quelli d’adorazione sia quelli d’invidia.

“Le voci sono ancora poche, ma dovrebbe essere poco più che una ragazzina di prima …

“Oh sì dice che abbia viaggiato moltissimo …

“E che sia qui perché sua madre sia morta …

Parlavano una dietro l’altra tutte eccitate completando l’una la frase dell’altra.

“Tutto qua? Tutto questo fermento per una piccola e insulsa matricola?”

Chiesi scuotendo il viso con sguardo divertito, e io che speravo in qualcosa di meglio.

“Forse potresti chiedere a tuo fratello è del suo anno dopo tutto!”

Appena sentì la brillante idea di Brooke si fermò così improvvisamente che sentì quella stolta sbattere contro la sua schiena. Si irrigidì e tutto nel corridoio sembrò gelarsi immediatamente. Tutti gli occhi su di lei come in attesa di una reazione esplosiva da un momento all’altro.

Aveva nominato Chris. Aveva osato nominarlo. Lui sapeva meglio di Anna che lì dentro cessavamo di essere fratelli e quella mocciosa cosa faceva? Glielo ricordava?

Si voltò polverizzandola all’istante con il suo sguardo vitreo trapassandola da parte a parte.

“Hai detto qualcosa cara? Credo di aver sentito un brusio, ma forse mi sono sbagliata …

Tentò con tono soave, anche se in realtà di dolce non aveva assolutamente nulla. La vide deglutire il nulla prima di sforzarsi in un sorriso anche se le uscì di più una smorfia imprecisa.

“Oh n-no … n-non ho detto n-nulla … Sì … nulla!”

Rinfrancò le sue parole più di una volta cercando di mostrare i denti bianchi e contraendo i muscoli del viso in un sorriso forzato cercando in tutti i modi di essere naturale e farsi perdonare. Nessuno osava sapere o anche solo immaginare le conseguenze. Non era mai successo nulla di concreto, ma quella rossa aveva qualcosa di inspiegabile che la rendeva temibile agli occhi di tutto ragazzi o ragazze che fossero, persino i professori sembravano riverenti nei suoi confronti.

“Oh mi hai tolto un peso dal cuore!”

Contro le previsioni di tutti Anna sorrise toccandosi il cuore e alzando gli occhi al cielo superficialmente prima di ricominciare a camminare con la sua cricca.

“A proposito domani pomeriggio a casa mia per gli allenamenti ho già scelto la nuova musica ed è davvero da sballo!”

Continuò a parlare e fare come se nulla fosse successo e presto anche nel corridoio tutti ripresero la loro vita e i loro affari cercando ancora di scrollarli di dosso la sensazione appena provata. Sembrava che la sua tensione e la sua rabbia si trasmettesse a tutti ogni volta che la provava, ma adesso sembrava solo una nube scura passata dopo una giornata di vento.

“Ma non credi che dovremmo fare qualcosa? Per Gabriel ha lasciato la squadra di basket e d’allora dobbiamo ammettere che i ragazzi non vanno molto bene!

“Mary i ragazzi si riprenderanno al meglio non hanno bisogno di un finto emo aspirante suicida nella loro squadra, anzi si sono liberati da un peso! Cioè voglio dire ma lo vedevate? Sembra uscito da una bara, la sua popolarità era dovuta solo perché sapeva fare due tiri a canestro, ora si trova invece esattamente dove dovrebbe essere e cioè nel dimenticatoio! Noi oggi ci alleneremo e faremo la coreografia più bella che si sia mai vista! Siamo o non siamo delle cheerleader? Il successo della squadra è dovuta anche a noi! Dobbiamo tirare su di morale i ragazzi e riprendere il lustro che si spetta anche senza quel finto tenebroso!

Tutte le ragazze pendevano dalle sue labbra ad ogni parola e appena entrate in classe assentivano ancora, mentre si accingevano a prendere posto ormai ai loro fedeli banchi nei primi posti nell’aula di spagnolo.

 

L’ultima campanella della giornata era suonata. Chris come ogni giorno si stava avviando lentamente verso il punto di ritrovo che aveva architettato con Anna. Per non farsi vedere insieme si erano messi d’accordo di aspettarsi di fronte alla biblioteca ad un isolato di distanza dalla scuola. La cultura non era forte. Non rischiavano di essere visti e nel caso avrebbero sempre potuto usare come scusa il fatto che dovevano fare qualche noiosissima ricerca.

Si sistemò meglio lo zaino sulle spalle e chiuse tutta la cerniera della giacca. La temperatura era scesa drasticamente negli ultimi giorni. Va bene che era metà  novembre, ma non si ricordava che avesse mai fatto cosi freddo in quel periodo. Alzò lo sguardo verso le nuvole. Non promettevano niente di buono. Chris sperò con tutto il cuore che sua sorella non lo facesse aspettare tanto come al solito. Si era dimenticato dell’ombrello e non voleva rischiare che il suo portatile si rovinasse. Non gliel’avrebbe perdonata!

Sospirò preoccupato e guardò l’orologio. Se entro dieci minuti non fosse arrivata, lui sarebbe andato a casa da solo.

Annoiato dalla attesa, si era messo a guardare le persone che passavano per strada, chi era in giro a rilassarsi per negozi e chi tornava a casa dopo una giornata di lavoro. Casualmente lo sguardo cadde su una nuova agenzia di viaggi e subito gli tornarono alla mente delle voci sulla nuova arrivata. Si vociferava che avesse viaggiato in lungo e in largo per tutto il mondo, prima di capitare in quella squallida e noiosa città. In effetti, questo era l’unico tratto che lo incuriosiva verso quella ragazza. Chissà se era già arrivata. Sua sorella arrivò proprio in tempo per interrompere quei suoi pensieri.

“Ehi, sfigato! Ti si è fuso il cervello finalmente?”

“Ma di che diavolo stai parlando?”

Ecco il loro solito saluto affettuoso di ogni giorno. Davvero una coppia di fratelli che si volevano bene!

“Non so, stavi guardando quel negozio con una faccia da ebete!”, quando notò con più precisione che tipo di negozio era, gli rivolse un sorrisetto malizioso. “Non penserai mica di squagliartela?!

“Certo che no!”, ribatté subito, non che non ci avesse mai pensato di andarsene da quella gabbia di matti che era la sua famiglia. “Stavo solo pensando alla nuova arrivata. Dicono che abbia viaggiato molto!”

Si, l’ho sentita anche io questa voce!”, gli rispose con una scrollata di spalle e avviandosi verso casa. “Dicono che dovrebbe essere del tuo anno e che è venuta qui perché le è morta la madre”, aggiunse ripetendo quello che le avevano detto stamattina le sue amiche.

In quel momento, la curiosità lo travolse.

“Del mio anno? Ma perché viene qui? Ha qualche parente?”

“Perché lo chiedi a me? Non sei te il genio?!”, esclamò isterica cercando di controllarsi per non farsi sentire dagli altri passanti sul marciapiede.

Chris abbassò lo sguardo e diede un calcio ad una lattina, mandandola a sbattere contro il muro della casa.

“Stamattina in mensa, una mia compagna è venuta a chiedermi di violare il sistema della scuola per trovare qualche informazione su di lei!”, ammise tutto d’un fiato. Come se fosse stato in colpa per aver preso , anche solo, in considerazione di farlo.

“E quindi?”

“Non l’ho fatto! Però devo ammettere che è parecchio interessante!”, tenendo lo sguardo ancora basso, per evitare quello della sorella, che sicuramente lo stava tenendo d’occhio. Sentendola sbuffare stizzita, alzò finalmente lo sguardo.

“Però una sbirciatina avresti potuto darla! Cosa ti costava?!

“Oh... beh! Penso solo il rischio di un’espulsione!”, ribatté ironico.

“Ma figuriamoci se ti espellono! Sarebbe troppo bello per essere vero…e poi sei il pupillo di mezza scuola!

“Non è vero!”, sembrava un ragazzino di sei anni quando faceva così.

Si, forse hai ragione!”, poi vedendo il sospirò di sollievo del fratello, affondò di nuovo il coltello. “Solo la Johnson e la Oliver non ti tengono molto in considerazione.”

A quel affondo, Chris mugugnò qualcosa di impercettibile e non rispose alla sorella. Era stato un colpo basso quello, lei sapeva benissimo che lui non brillava certo in Arte Figurativa e Ginnastica.

Fu così che la loro discussione morì lì e il resto della strada verso casa, venne affrontata nel più profondo dei silenzi.

 

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Capitolo 4
*** Casa ***


Equinox

 Equinox

 - 4 -

 Casa

 

L’uomo scattò sulla sua sedia quando sentì il campanello della porta suonare. Era arrivata in perfetto orario. Da quando, quella certa Meredith, lo aveva informato di avere una figlia, il suo umore aveva avuto continui cambiamenti. Passava dall’incredulità alla rabbia più feroce o dal terrore al nervosismo in pochi secondi e senza un apparente motivo. Povero Gabriel quegli ultimi giorni per lui dovevano essere stati decisamente un inferno in terra.

Cercò di sistemarsi un ultima volta, mentre correva verso l’ingresso, quando passò davanti allo specchio del corridoio, si lanciò un’occhiata critica. Non era il massimo, ma non era neanche da buttare. Quando arrivò alla porta, scosse la testa cercando di riprendersi. Alla fine, quella ragazza era sua figlia, mica una ragazza da stupire! Fece scattare la serratura con un sospiro nervoso.

Si trovò di fronte un uomo apparentemente anonimo vestito elegantemente.

“Buongiorno! Il signor David?”, chiese l’uomo studiandolo nei minimi dettagli.

L’uomo annuì. Dietro l’individuo notò appena una ragazza. Doveva essere lei. Ignorando completamente l’uomo si rivolse a lei.

“Te devi essere Abigail….”

Abigail cercò di sporgersi per poter vedere finalmente suo padre. Rispose comunque alla domanda retorica annuendo.

“Vieni. Entra…”, la invitò in casa, lanciando poi un’occhiata interrogativa all’uomo che l’aveva accompagnata. Lui gli rivolse un sorriso di approvazione e senza dire altro si voltò per tornare verso la sua macchina.

David e Abigail rimasero a fissarlo sulla porta, finchè la sua macchina non fu scomparsa.

“Che strano tipo!”, esclamò Abigail nel tentativo di aprire una discussione con il padre, cercando di spezzare quell’attimo di sospensione.

“Già…”, rispose pensieroso, poi si riscosse e le rivolse un sorriso raggiante. “Bene, Abigail! Benvenuta a casa! Mettiti comoda, vado a prenderti le valigie e ti mostro la tua camera.”

Abigail entrò nell’ingresso piccolo dove si affacciavano i locali della zona giorno. Non osò andare più avanti, ancora estranea e non a proprio agio in quella casa. Così aspettò il padre poco oltre la porta, il quale arrivò quasi subito.

“Vieni…”

Gli fece strada verso il piano superiore. Sul pianerottolo c’erano quattro porte. David la stava guidando verso quella più in fondo, spiegandole quale era quella del bagno, quale la porta che conduceva alla camera mansardata di Gabriel, suo fratellastro, e quale era quella del padre.

Appoggiò le valigie per terra e con fare teatrale aprì la porta dell’ultima camera.

“Ecco qui! Questa è la tua camera. Non è il massimo, non abbiamo avuto molto preavviso per potertela preparare come si deve, ma lo faremo.”

Effettivamente, era abbastanza evidente che la camera, fino a quel momento, era stata usata in altro modo, ma almeno erano riusciti a metterci un letto dall’aria invitante. Le dodici ore di volo cominciavano a pesarle sulle spalle.

“Non fa nulla. Tanto c’è tempo…”, spiegò con una nota di malinconia al pensiero che, ormai, non aveva nessun altro posto se non quello. Non c’era nessun altro per lei. Non aveva altra scelta.

“Mi dispiace!”

“Grazie.”

Fu l’unica cosa che le venisse da dire.

Entrò nella stanza guardandosi intorno, posò la sua borsa sul letto, anche se era abituata a cambiare spesso camera e casa, il fatto di averne una fissa, non le dispiaceva del tutto.

“Ti lascio sola, così ti sistemi bene. Se ti serve qualcosa sono da basso in cucina.”

Era sulla porta quando, dandosi dello stupido, si ricordò… “Hai per caso fame?”

“No, grazie. Al momento sono solo stanca.”

Non sapendo cosa dirle, David se ne andò un po’ in imbarazzo. Abigail, dal canto suo, aspettò che lui fosse sceso, per chiudere adagio la porta e poi buttarsi sfinita sul letto.

 

Un’altra delle lunghe e monotone giornate a scuola era finita, ma Gabriel non aveva voglia di tornare subito a casa. Sapeva che ad accoglierlo ci sarebbe stata un’ospite che nonostante il suo cauto autocontrollo gli provocava un certo fastidio.

Camminava pensieroso con il suo Ipod nelle orecchie ignorando tutti quelli che ogni volta che lo vedevano si voltavano a squadrarlo, gustandosi il piacere dell’aria fredda e pungente sul viso; amava l’inverno e il clima rigido ci trovava un qualcosa di intimo e piacevole nel doversi coprire e proteggere anche se il suo era un pensiero contorto e senza dubbio non condiviso.

Un odore delizioso di pane appena sfornato però lo strappò dai suoi pensieri e subito capì che senza rendersene conto era arrivato davanti al panificio francese che era sempre piaciuto a sua madre e dove erano sempre andati.

Un piccolo sorriso amaro gli si dipinse sul viso. Sembrava quasi che sua madre, tramite quel piccolo ricordo di qualche anno fa, volesse riprenderlo per i suoi pensieri negativi nei confronti della sorellastra e gli ricordasse di essere gentile con lei e di aiutare suo padre in quel periodo difficile.

Kate era una donna dolce e comprensiva che se fosse stata ancora in vita avrebbe fatto i salti mortali per permettere a Abigail di sentirsi come a casa e ambientarsi, ma lei non c’era e a modo suo sembrava voler delegare questo compito al figlio.

“Bonjour Pierre!”

La voce di Gabriel suonò dolce e calma mentre salutava il proprietario, ormai loro amico, nel suo francese perfetto e si preoccupava di togliersi del cuffie e lasciarle cadere sul cappotto nero di lana che portava.

“Bonjour, ecco qui il mio cliente preferito! Croissant?”

Lo salutò entusiasta l’uomo con un forte accento francese.

Gabriel sorrise per l’accoglienza sempre così calorosa che aveva quel uomo nei confronti della sua famiglia nonostante non si facessero ormai vedere da tempo; ricordava molto bene che erano praticamente l’unica famiglia americana  a servirsi da lui e lui era l’unico francese che non gliene diceva dietro di ogni colore visto che considerava ogni singolo americano rozzo e maleducato!

“Pierre mi puoi dare un assortimento da portar via? Sai c’è una persona speciale a casa e così voglio fargliele assaggiare!”

“Certamente Gabriel”

Il ragazzo rise appena guardandolo preparargli il sacchetto con un assortimento di Brioches.

Il tragitto verso casa fu piacevole e silenzioso per il semplice motivo che Gabriel era intento a gustarsi una delle brioche che aveva appena comprato. Non era proprio la classica merenda di metà pomeriggio, ma questo lo divertiva, anzi, si sentiva un piccolo universo parallelo dentro una vita frenetica: tutti intorno a lui correvano, sbraitavano al cellulare, guardavano l’orologio, si ingozzavano un hot dog ipercalorico, mentre invece lui camminava tranquillo gustandosi la sua insolita merenda! Insomma sapeva davvero godersi la vita con la calma e la tranquillità che tutti profetizzavano e desideravano di avere, ma che poi sembravano incapaci a realizzare o gestire e per questo doveva solo ed esclusivamente ringraziare sua madre che aveva desiderato ardentemente quello stile di vita per lui e suo padre, quasi a sapere che un giorno li avrebbe lasciati.

Quando arrivò a casa l’odore riempì le narici di David che con un sorriso malinconico accolse il figlio ancora nervoso per l’incontro, ma a Gabriel non servì una sfera di cristallo per capire con chi.

“Allora come è andata?”

Chiese mentre poggiava la busta con le brioches sul bancone della cucina e togliendosi la tracolla che usava per scuola poggiandola su uno degli sgabelli della cucina.

“E’ arrivata in orario e le ho mostrato la sua camera, ma mi ha detto che voleva dormire quindi presumo che lo stia facendo ancora…”

“E …”

“E niente!

Gabriel scosse la testa guardandolo, suo padre non era mai stato molto bravo in quelle cose, infatti lui assomigliava molto di più a sua madre. David non era un cattivo uomo, ma lui e la comunicazione erano due poli opposti; mentre Kate era una donna dolce e premurosa che faceva di tutto per far sì che il saper ascoltare e il conversare in casa non mancasse mai, visto che a suo dire ciò era la base per una perfetta armonia!

“Cosa fai?”

David balzò su dalla sedia dove stava leggendo, quando vide il figlio prendere il sacchetto e dirigersi verso la scala che portava al piano di sopra.

“Vado a conoscere mia sorella e vedo se ha fame!”

Rispose con una semplicità che fu a dir poco disarmante, ma tornò sui suoi passi dopo un secondo, sapendo che suo padre non gliela avrebbe mai perdonato se non gli avesse dato nemmeno una brioche fresca e così gliene mollò uno in mano, per poi vederlo sorridere soddisfatto prima di addentarlo.

Gabriel si chiedeva chi fosse a volte più un bambino tra lui e suo padre, mentre camminava verso quella che sapeva sarebbe stata la stanza di Abigail. Bussò tranquillo, o almeno apparentemente, e non ricevendo risposta decise di schiudere la porta.

Stava già facendo per aprire la bocca, ma la richiuse due secondi dopo quando la vide raggomitolata sul suo nuovo letto totalmente distrutta evidentemente per il jet lag.

Subito si guardò intorno cercando qualcosa per coprirla e riconobbe una coperta su una poltrona, che sembrava improvvisata per leggere, nell’angolo della camera e prendendola gliela buttò dolcemente sopra sistemandogliela al meglio.

Ancora non se ne era reso conto, ma era strano come fosse identica a lui. Il biondo e il candore della pelle risplendeva nella stessa maniera, al punto che se non avessero avuto due madri diverse e addirittura due età diverse, chiunque avrebbe giurato che fossero stati gemelli.

Decise di poggiare il sacchetto con il croissant sul comodino accanto al letto così, al suo risveglio l’avrebbe visto subito. Dopo averle lanciato un’altra occhiata ancora confusa, ma allo stesso tempo emozionata, riscaldato da quel nuovo legame a lui sconosciuto solo fino a poco tempo fa, uscì dalla camera diretto nella propria.

 

Quando Abigail si svegliò si ritrovò in una stanza ormai buia e illuminata solo dalla luce verde della sveglia. Aveva dormito parecchie ore, quasi sette! Ormai doveva quasi essere ora di cena e infatti la fame cominciava a farsi sentire, forse era stato proprio quella a svegliarla.

 

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Capitolo 5
*** Stranezze ***


Equinox

 Equinox

 - 5 -

 Stranezze

 

Chris ci stava pensando da tutto il pomeriggio, anche i suoi genitori avevano notato che era più silenzioso del solito. Non aveva ancora proferito parole sulla sua giornata scolastica, ne su nuovi componenti per il suo portatile.

Suo padre aveva provato a chiedere qualche delucidazione, ma lui si era limitato solo a scuotere la testa e a  lanciare una strana occhiata a sua sorella, attirando su di lui anche la sua attenzione. Dopo aver finito di mangiare, con fare nervoso uscì in giardino nella speranza di calmarsi e stare un po’ da solo, ma non ottenne il risultato voluto. Più nervoso di prima tornò verso la sua stanza, passando davanti alla porta aperta di quella di sua sorella e la vide intenta a mettere sotto sopra il suo beauty case sul letto. Arrivato in camera si buttò sul suo letto, ma la presenza inquietante del suo portatile acceso sulla scrivania, non gli permetteva di svuotare la mente.

“Perché…perché?”, sbottò frustrato alzandosi di getto e chiudendo con un colpo secco il portatile senza preoccuparsi di spegnerlo per bene.

Perché non riusciva a dimenticarsi, o meglio a farsi, letteralmente uscire dalla testa quella nuova ragazza che non aveva mai visto e di cui non sapeva niente?

Sfortunatamente, anche in quel modo, il suo portatile sembrava continuare ad invogliarlo a scoprire di più su di lei. Proprio come le aveva chiesto la sua compagna quel giorno nella mensa e come sua sorella durante il ritorno a casa.

Scosse con violenza la testa. Che stesse impazzendo? Okay…ma per cosa poi?

“Ora basta!”

Urlò frustato, mentre tornava alla scrivania e riapriva il portatile e con fare determinato cominciava a battere sulla tastiere ad una velocità davvero impressionante.

 

Anna richiamata dagli strani rumori e dagli strani sfoghi di suo fratello nella camera a fianco andò a vedere che diavolo stesse combinando in quel momento. Socchiuse la porta in tempo per vedere l’ultima sfuriata del fratello che si arrendeva e si sedeva alla sua scrivania con lo sguardo già fisso sullo schermo e le mani che si muovevano frenetiche sulla tastiera. Furono proprio quei movimenti che le fecero spalancare la porta e fissarlo con gli occhi sgranati.

“Come diavolo ci riesci?”

Avanzando lentamente verso di lui con lo sguardo fisso ancora sulla tastiera.

Chris si fermò e distolse lo sguardo verso la sorella.

“Ma che razza di domanda è? Sai benissimo che me la cavo con i computer!”

Non capendo il senso della domanda della sorella.

“Tu stessa mi hai chiesto di farlo oggi pomeriggio!”

Anna scosse la testa richiamata alla realtà da quell’affermazione.

“Cosa?!”, bofonchiò confusa a sua volta. “Mi riferivo alle tue mani!”

Chris abbassò lo sguardo sulle sue mani ferme sulla tastiera.

“Che cosa hanno le mie mani? Mi stai prendendo in giro?”, chiese, passando dalla confusione allo scetticismo.

“Erano velocissime!”, riuscì solo a dire ancora con lo sguardo fisso e sgranato.

“Ma ti sei rimbambita?! È logico che dopo un po’ che sei abituato a scrivere, diventi veloce!”

concluse scuotendo la testa, pensando che forse sua sorella fosse più stupida di quanto avesse sempre pensato; così tornò ai codici per violare il sistema della scuola.

Anna scosse la testa non sapendo come ribattere al fratello. Era certa di quello che aveva appena visto. Non era una velocità normale quella con cui scriveva il fratello, ma si fece avanti per vedere a cosa stava lavorando, per poter coglierlo ancora sul fatto mentre le sue mani tamburellavano sui tasti. Stranamente, però, ora i movimenti sembravano del tutto normali.

Possibile che se lo fosse solo immaginato? Eppure ne era certa!

Scosse di nuovo la testa, per chiarirsi le idee e concentrarsi su quello che stava facendo il fratello.

“Allora hai deciso di indagare?”

“Forse sarebbe più corretto di ficcare il naso!”

“Va beh, quel che è!”, ribatté lei secca. “Trovato qualcosa?”

Era troppo curiosa in quel momento, per soffermarsi su piccole sottigliezze come quelle.

“Allora?”, lo assillò di nuovo impaziente, dopo il lungo silenzio del fratello.

Chris sbuffò e girò meglio lo schermo affinché anche sua sorella potesse leggere quello che aveva trovato.

“Come tutto qui?”

Lo schermo mostrava si e no mezza pagina scritta con i dati principali, quali la data e il luogo di nascita, i suoi ultimi domicili; in effetti aveva viaggiato molto o almeno aveva cambiato spesso casa.

Chissà perché? Pensò subito Anna, cercando di immaginare chissà quali strani e bizzarri motivi. Per il resto, non c’era nient’altro, neanche una sua foto.

“oh…oh…”

Fremendo dalla bizzarra scoperta che, a quanto pareva, suo fratello non aveva ancora notato.

“Guarda un po’ il cognome della ragazza!”

Chris si affrettò a leggerlo per capire l’eccitazione da pettegola di Anna.

“Everard? Aspetta… ho già sentito questo cognome nella nostra scuola…”

“Certo!”, confermò lei, con il tono di chi aveva finalmente la prova che confermava delle sue teorie. “È lo stesso di quello stupido di Gabriel!”

“Chi? Quello di cui tutti parlano perché probabilmente gli danno una borsa di studio sportiva per la squadra di basket?”

Anna poté solo annuire, perché poi vennero interrotti da loro padre.

“Ragazzi fra mezz’ora arriva vostro Zio Logan!”

I due ragazzi sbuffarono spazientiti, non appena Henry andò dalla moglie nervoso, come sempre, quando quel loro strano zio veniva da loro.

Anna era davvero disperata, non voleva per nulla al mondo perdersi la festa di quella sera, neanche se le sue amiche sbavavano per lo Zio. Si voltò a guardare il fratello ancora concentrato sul suo portatile. Sapeva sarebbe arrivato un giorno in cui si sarebbe pentita, ma doveva rischiare.

“Chris?” cercò di richiamare la sua attenzione, il quale rispose mugugnando. “Potresti coprirmi per stasera?” chiese tutto in un botto.

Come diceva quel detto? Via il dente via il dolore?

Chris si voltò facendo girare con un colpo secco la sedia e fissò la sorella.

“Perché dovrei farti un favore? Cos’hai da fare?”

“Semplicemente mantenere la mia popolarità! Cosa che tu non hai e quindi posso accettare che tu non capisca” tentò di supplicarlo facendo gli occhioni dolci. “per favore!”

Chris alzò gli occhi al cielo.

“Lo faccio solo perché se no ti vendicheresti!!”

“Grazie fratellino!”

Entusiasta Anna si fiondò nella camera a fianco per chiamare le sue amiche e confermare la sua presenza alla festa e cominciare a prepararsi, mentre il fratello spegneva il suo computer e scendeva in salotto insieme ai suoi genitori nell’attesa dello Zio Logan.

 

Mezz’ora dopo Anna era pronta.

Senza pensarci si diresse verso la finestra della sua camera e l’aprì con un mano mentre nell’altra aveva in mano la borsetta e le sue scarpe. Era fuori di discussione uscire dalla porta. I suoi genitori l’avrebbero di sicuro beccata. Si sedette con delicatezza sul davanzale della finestra e saltò atterrò con molta delicatezza sull’erba, senza alcuna difficoltà, come se fosse scesa da un muretto qualsiasi e non dal piano superiore di una casa.

Senza fermarsi a pensare a quella che aveva sempre creduto fosse la normalità, si avviò verso la staccionata del retro in punta di piedi quando una calda e morbida voce, proveniente dalle ombre dietro di lei, la bloccò.

“Piccola Anna dove stai andando così di nascosto?”

Anna sospirò sconsolata.

Era sempre stato in grado di eludere ogni scherzo o possibile fuga sua e di suo fratello, da quando a memoria. Figuriamoci se lui non se ne sarebbe accorto anche questa volta. Anna aveva sperato di riuscire ad andarsene prima che lui arrivasse. A quanto pareva l’aveva fregata ancora una volta. Riluttante si voltò ad affrontare l’uomo, ma, come sempre, una volta che lo vedeva ne rimaneva abbagliata.

“Ciao Zio Logan!” fu l’unica cosa che riuscì a dire.

 

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Capitolo 6
*** Domande bizzarre ***


Equinox

Equinox

-          6 –

Domande bizzarre

 

Abigail si mise seduta sul suo nuovo letto. Strofinandosi gli occhi si guardò intorno. Osservando meglio la sua spoglia camera. Sorrise al pensiero che, ora, poteva finalmente permettersi di arredare come voleva la sua stanza senza doversi preoccupare di doverla presto abbandonare.

Con una nuova forza nel cuore, si alzò di slancio dal letto e con dei saltelli andò verso la finestra e guardò fuori. Il giardino confinava con un bosco, che non aveva notato arrivando in macchina. La casa di suo padre doveva trovarsi proprio al limitare della città. Abigail sorrise di nuovo, non aveva mai amato particolarmente vivere lontano dalla natura. Era una delle tante cose che condivideva con sua madre, anche lei soffriva alla necessità di vivere in città.

Cercò di scacciare il peso angosciante della morte della madre nello stesso attimo in cui il suo stomaco brontolò. Girò su se stessa e prendendo un forte respiro si avviò verso la porta che dava sul corridoio e scese al piano inferiore.

 

David stava apparecchiando il tavolo in attesa che Gabriel tornasse con le pizze che era andato a prendere. Quando sentii la ragazza scendere le scale si voltò verso la porta e la salutò con un sorriso.

“Ciao…Hai fame?”

Abigail annuì imbarazzata al sorriso caloroso del padre, che nel frattempo le faceva segno di venire avanti e sedersi.

“Tra poco mangiamo…”

La figlia non fece neanche in tempo a sedersi che una folata di aria gelida le scompigliò i capelli, annunciando l’arrivo di qualcuno. Pochi istanti dopo si ritrovò davanti un ragazzo poco più grande di lei, con la faccia arrossata dal freddo e con delle pizze in mano chiaramente fumanti. Abigail fece un sorriso timido rendendosi conto di avere davanti il fratellastro. La somiglianza con il padre non lasciava altri dubbi.

“Ciao Aby!” La salutò lui, facendola ben sperare visto il nuovo soprannome affettuoso che aveva usato.

“Ciao…”, non riuscì a dire altro, interrotta da uno spiacevole brontolio del suo stomaco che la fece diventare rossa. “Scusate…”

“Non preoccuparti”, la rassicurò Gabriel solidale. “se non avessi assaggiato qualcosa in pizzeria, mentre aspettavo, anche il mio avrebbe brontolato così!!”

Il silenzio cadde definitivamente sulla piccola e bizzarra famiglia, mentre le pizze davanti a loro cominciavano a sparire. Come sempre il primo a finire fu Gabriel che appoggiò i gomiti sul tavolo per reggersi il viso mentre osservava sua sorella finire di mangiare. Dopo qualche attimo per parve un secolo, si decise a fare la domanda che bramava una conferma.

“E’ vero che vivevi a Tokyo?”

Abigail si bloccò all’istante con il boccone sospeso sulla forchetta, mentre David fulminava il figlio con lo sguardo.

“Che c’è?! Mica dovevamo legare?” chiese in un sussurro a suo padre, il quale stava per rimproverarlo in modo più severo che solo uno sguardo, ma la ragazza lo interruppe.

“Non fa niente…scusate la mia reazione…non è successo niente!” cercò di tranquillizzare entrambi, poi voltandosi verso Gabriel annuì. “Si, abitavamo a Tokyo, ma per quanto fossero belle le città dove abbiamo vissuto, nulla  è paragonabile alla bellissima foresta che avete qui.” Disse con una luce accecante nello sguardo. “Ho sempre amato la natura aperta, ma non sono mai riuscita a godermela più di una breve vacanza!”

A quelle parole David si voltò di scatto verso la figlia con una strana espressione sul volto.

“Cosa ti attira di più della natura aperta?”, le chiese riutilizzando le sue stesse parole.

Gabriel non capì bene il senso di quella domanda e neanche la reazione della sorella, che a quella domanda sembrò paralizzarsi giusto per un battito di ciglia.

“Beh…” Abigail si fermò un attimo a pensarci. Sembrava incerta su che parole usare. “Penso, il cielo con la sua infinità e il senso di libertà che mi da.”

Gabriel sghignazzò a quelle parole. Lui aveva sempre adorato la nobiltà e la forza che i lupi di quelle zone emanavano. Erano loro i signori di quella foresta e lui ogni volta che di notte ne sentiva gli ululati ne rimaneva affascinato.

David rinunciò a richiamare il figlio e cominciò a sparecchiare la tavola.

“Domani andrai a scuola con Gabriel e ti farà vedere dove andare. Comunque per l’iscrizione e il resto è già tutto a posto.” Disse dando le spalle ai due ragazzi, mentre cominciava a lavare i pochi piatti.

Abigail si voltò a guardare il fratello che ormai era in corridoio e con un sorriso la invitava a seguirlo di sopra nella sua stanza. Appena entrò in quella piccola mansarda lui le passò un foglio.

“Sono le tue lezioni della settimana. Oggi sono andato a informarmi in modo da non perdere troppo tempo domani mattina.” Le spiegò velocemente mentre si buttava sul letto, attento a non pestare la testa.

“Grazie…” rispose automaticamente, poi si voltò a chiudere la porta e si sedette sulla sedia della scrivania. “Ma tuo…ehm…nostro padre fa sempre cosi?”

Gabriel si sistemò meglio sul letto, mettendosi le due braccia dietro la testa e appoggiandosi alla testiera.

“In tendi domande cosi bizzarre?” Un lampo incuriosito gli attraversò lo sguardo. “No, è la prima volta!” Rimase un secondo in silenzio. “…e cosi ti piace il cielo?!” le chiese quasi con fare derisorio.

“Certo! Perché a te no?”

“No! A me no!” Le sorrise. “Preferisco avere la terra sotto i piedi, con il suo odore di legno e umido talmente forte da sembra una parete solida davanti a me…”

Abigail fece una smorfia disgustata da quella descrizione.

“Non puoi sapere quanto sia bella la libertà e il potere che il cielo ti può donare…” cercò di spiegargli lei con uno sguardo quasi sognate.

“Perché tu lo sai?”

“Beh…” la ragazza arrossì imbarazzata. “…no…ovvio che no!” si affrettò a dire. “cerco solo di immaginarlo!”

Gabriel sorrise alla sorellina e sbadigliò.

“Certo! Certo!”

Abigail si sentiva le guance in fiamme. Si alzò dalla sedia e sussurrando gli augurò una buona notte, prima di dirigersi verso la sua camera.

Quando vi entrò chiuse la porta  a chiave e andò con passo deciso verso la finestra che spalancò senza esitare davanti all’aria gelida che le schiaffeggiò il viso. Alzò lo sguardo verso  il cielo scuro e a tratti coperto di nuvole. Sorrise alle poche stelle. "Voi sapete cosa intendo..." sussurrò salendo e mettendosi accovacciata sulla davanzale. Un istante dopo si lanciò con entusiasmo nella notte...

 

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Capitolo 7
*** Incontri ***


Equinox

Chiedo perdono per la lunga assenza, ma con l’università e altri problemi ho avuto poco tempo e poca ispirazione. Cercherò di postare il prima possibile i prossimi capitoli.

Comunque fatemi sapere cosa ne pensate finora. So che ancora non ho dato molti indizi, ma poco alla volta dirò tutto.

 

Equinox

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Incontri

 

Anna e Chris quella mattina erano stati costretti ad andare a scuola con il classico metodo di tutti, a piedi. Più passava il tempo e più Anna era preoccupata delle conseguenze della cena della sera prima. Durante la serata era quasi certa che lo zio non avesse detto nulla ai suoi genitori della sua fallita fuga, ma il fatto che fosse rimasto a dormire da loro e che ora era a casa da solo con i suoi genitori, non era certo una buona notizia. Del resto anche il fatto che li avessero fatti andare a piedi a scuola proprio perché dovevano parlare tra “adulti”, non prometteva niente di buono.

Un’altra nota dolente con cui iniziava quella giornata era proprio il fatto che non essendo riuscita a scappare la sera prima aveva saltato completamente la festa di McAllister.

Sospirò per la millesima volta durante la strada e stranamente Chris si limitò a guardarla ma non disse niente. Anche lui aveva la mente occupata quella mattina. Più che occupata si poteva benissimo affermare che era rosa dalla curiosità verso la nuova compagna che presto avrebbe conosciuto di persona. Era curioso di scoprire se era come la descrivevano i suoi documenti che era riuscito a trafugare dal server della scuola.

 

Brooke e Mary come ogni mattina ormai da anni stavano aspettando Anna all’ingresso della scuola. Anna andò subito verso di loro e si limitò a salutarle con un sorriso forzato, ancora demoralizzata per la sera prima.

Le ragazze dal canto loro non degnarono di una seconda occhiata Chris, il quale si diresse verso la sua prima lezione con fin troppa velocità. Si voltarono verso la loro amica e insieme entrarono a scuola.

Il silenzio nel trio era decisamente pesante, finchè Brooke non ce la fece più.

“Come mai non sei venuta ieri sera?”

Chiese quasi in un sussurro, anche Mary approfittò della cosa rincarando.

“Non ti sei neanche fatta sentire!”

Constatò quasi offesa.

Anna sospirò ancora, per prendere coraggio.

“Mio zio Logan mi ha beccato mentre stavo cercando di raggiungervi.” Cercando di mostrare contegno verso i ragazzi che le passavano vicine nel corridoio, proseguì. “Spero solo che non dica niente ai miei. Come è andata?” si affrettò a chiedere per distogliere l’argomento da se stessa.

Le due ragazze alzarono all’unisono le spalle.

“Al solito.” Tagliò corto Mary, ma Brooke le lanciò un’occhiataccia. “Beh, diciamo che si è notata la tua assenza.” Concluse velocemente sussurrando, come nella speranza di non farsi sentire da Anna, la quale sospirò per l’ennesima volta.

“Era quel che temevo, dannazione!!”

La campanella della prima ora suonò proprio in quel momento e Anna ne approfittò per salutarle con la scusa che doveva andare ancora al suo armadietto per prendere i libri corse via. Non sapeva che cosa le era preso quella mattina, ma stranamente si era sentita un po’ a disagio con le sue vecchie amiche. Immersa nei suoi pensieri svoltò l’ultimo angolo per raggiungere il suo armadietto, quando andò a scontrarsi con qualcosa o qualcuno che la fece cadere a terra.

 

Chris era arrivato al suo armadietto senza rendersi conto che al suo fianco non c’era più sua sorella. Quando realizzò la cosa, scosse la testa e sorrise da solo. Quella ragazza lo aveva assorbito cosi tanto già adesso che non l’aveva conosciuta, che quasi gli vennero i brividi al pensiero di come sarebbe stato dopo, una volta conosciuta. Con passo più lento e i libri sotto il braccio avanzò verso la sua classe come se fosse stato un condannato a morte.

Fortunatamente non c’era molta gente quando entrò e come sempre andò in fondo all’aula al suo posto si sedette aspettando. Non passò molto perché l’aula si riempisse e arrivasse il professore accompagnato da una ragazza.

L’uomo si schiarì la voce per attirare l’attenzione degli studenti.

“Ragazzi!!” li richiamò ancora, quando tutti si furono seduti indicò la ragazza al suo fianco. “Lei è Abigail. Sarà una vostra nuova compagna. Arriva da…” si bloccò spostando lo sguardo sulla ragazza, forse non si ricordava o non lo sapeva neanche lui da dove arrivava, quindi lei completò la frase per lui senza nessuna timidezza.

“Arrivo da Tokio.”

Chris sorrise.

Niente di nuovo a parte il fatto che la ragazza sembrava circondata da un alone di sicurezza, nonostante fosse in un posto nuovo per lei. Di solito tutti i nuovi arrivati erano sempre un po’ timidi all’inizio, ma lei no!

Il professore le indicò il banco al fianco di Chris. Non era l’unico vuoto, ma forse perché lui nella sua materia, come in molte altre era il migliore. Fatto sta che il suo passaggio tra i banchi fu accompagnato da un vociare dei suoi compagni finchè il professore non mise a tacere tutti iniziando la sua lezione quotidiana.

Chris le liberò il banco spostando le sue cose che aveva messo sopra. Le sorrise.

“Benvenuta. Io sono Christian, ma per l’amor del cielo chiamami Chris. Oddio il mio nome intero.”

Abigail gli sorrise.

“Non credo che ci sia bisogno che mi ripresenti. Comunque piacere!” disse sedendosi al suo posto e tirando fuori i suoi libri.

“Vedo che hai già tutti i libri…”

Si, mio…ehm…fratello ha pensato a tutto. Sia  al mio orario che hai libri.”

Chris cercò di mostrarsi confuso.

“tuo fratello?”

Abigail si voltò a guardarlo e rimase a fissarlo in silenzio finchè lui non distolse lo sguardo.

“Beh in un certo senso è mio fratello. Si chiama Gabriel, magari lo conosci. Lui ha sempre vissuto qui con nostro  padre.” Rispose lei alla fine.

“Cosa vuol dire che in un certo senso è tuo fratello?”

Sembrava un po’ titubante a spiegargli la cosa, quindi Chris cercò di tranquillizzarla.

“Non fa niente se non vuoi dirmelo.” Cercando di mascherare la sua delusione e la sua curiosità.

“No. Non fa niente, tanto da oggi questa sarà la mia casa, quindi sarà inevitabile che la cosa, prima o poi, venga a conoscenza di tutti. Prese un profondo respiro. “Io e Gabriel abbiamo in comune solo nostro padre, fino a qualche settimana scorsa vivevo con mia madre finchè…finchè…” non riuscì più a continuare e cercò di trattenere le lacrime voltandosi verso il suo banco e aprendo il libro davanti a se.

“Scusa non volevo…” Bofonchiò Chris, dispiaciuto della reazione della ragazza. Non era poi cosi difficile immaginare qual’era la conclusione della frase della ragazza. “Mi dispiace.”

Abigail non disse nulla ma scosse la testa e continuò a sfogliare il libro con molta più concentrazione di quanta ne richiedesse la cosa. A quanto pare Chris era riuscito a toccare il tasto dolente della ragazza, non che ne andasse fiero di questo.

Il resto della lezione la passarono cosi in silenzio.

 

Quando Anna alzò lo sguardo per vedere chi era il colosso che l’aveva fatta finire per terra e che, oltretutto, le stava facendo rischiare di arrivare tardi alla  prima ora, sbarrò lo sguardo.

“Everard!” esclamò irata.

“Sai Hallgham!! Mi sono sempre chiesto perché mi odiassi tanto!!” disse Gabriel porgendole una mano per aiutarla ad alzarsi. Anna guardò per un attimo la mano e poi Gabriel. Lo ignorò e si alzò da sola cercando di sistemarsi in fretta i vestiti e raccogliendo la borsa.

“Io non ti odio!” esclamò lei con voce troppo contrastante con le sue parole.

Gabriel sghignazzò. “Non si direbbe!”

La ragazza sbuffò e oltrepassandolo si diresse al suo armadietto per prendere i libri. Quando lo chiuse, si ritrovò davanti ancora il ragazzo che la fissava appoggiato alla fila di armadietti con la spalla.

“Everard che diavolo vuoi?” Le chiese un po’ troppo acidamente.

Il ragazzo continuò a fissarla sorridendo.

“Gira voce che ieri sera non fossi alla famosa e imperdibile festa di McAllister.” Parlando dell’evento con fare derisorio. “Mi chiedevo il motivo per cui ti fossi persa un evento di vitale importanza sociale!!” la sbeffeggiò ancora.

“Non sono affari tuoi Everard!” sbottò lei.

“Ti sembrerà strano, ma invece ti sbagli.” Fece una pausa guardandola, perché lei si era fermata a quelle parole. Sorrise maliziosamente e proseguì. “Vedi, a quanto pare, mancavamo solo noi due e tuo fratello!”

Anna sapeva benissimo dove voleva andare a parare, ma non disse niente e riprese a camminare verso l’aula. Non gliel’avrebbe data vinta.

Gabriel la raggiunse in un attimo, affiancandola.

“Come tu saprai bene. In questa scuola le voci corrono veloci, come anche la fantasia.

Anna si voltò veloce verso di lui, fulmina dolo con lo sguardo.

“Stai per caso insinuando che penserebbero che io mi sarei persa la festa per…” e con un gesto di disgusto indicò lui e poi molto teatralmente rabbrividì.

“Io non sto insinuando niente! Ma c’è già qualcosa nell’aria.” Buttò la ‘bomba’ un secondo prima di aprire la porta dell’aula ed entrare lasciandola imbambolata lì di fuori.

 

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