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L’autunno
stava per finire, gli alberi avevano lasciato morire le loro chiome per
proteggersi dal gelo e il silenzio gravava sul paese. Il sole stava per sorgere
dietro la coltre di nubi, richiamando la popolazione a vivere un’altra giornata.
Le vie erano ancora
deserte e nonostante tutto la sonnolenta città lentamente cercava di mettersi
in moto, ma non tutti erano cosi pronti ad affrontare i proprio doveri…
“Anna per l’amor del cielo vuoi scendere dal
letto?”
Urlò per l’ennesima volta sua madre entrando nella
camera, che molto cordialmente definiva “il caos in Terra”, a volte aggiungeva
addirittura una sua simpatica battuta, dicendo che il termine era riduttivo ed
esso sarebbe stato senza dubbio meno confusionario di lei.
La camera di Anna sarebbe stata grande e ariosa se
non fosse stato per il suo modo di tenerla e, secondo i suoi genitori, ancora
peggio per come l’aveva addobbata.
“Anna non mi va di correre tutte le mattine,
quindi giù dal letto!”
”Chris ...”
Fuori dalla camera del ragazzo, suo padre era già
pronto a chiamarlo, come tutte le mattine, per svegliarlo, ma dal bagno, con lo
spazzolino in bocca, spuntò d’improvviso il ragazzo porgendogli un sorriso ed
accennandogli un cenno di saluto col capo.
“Potresti darmi la gioia di riuscire un giorno,
non dico tanto… un giorno solo, di svegliare mio figlio?”
Gli chiese esasperato tanto, che il figlio non
riuscì a fare a meno di scuotere la testa e far spallucce.
Era in gamba non ci poteva fare nulla! Si
svegliava ogni mattina un’ora prima per poter leggere i suoi adorati libri e
dieci minuti prima dell’entrata trionfale del padre nella sua camera e delle
urla della madre nella stanza accanto, quella della sorella, incominciava a
prepararsi per il meglio per la giornata.
“E dato che ci sei, ogni tanto fa trovare in
disordine la tua camera”, sospirò. “Io e tua madre siamo esasperati di non
riuscire mai a sgridarti!”
Chris continuava ad ascoltarlo, mentre rientrava nel suo
bagno personale per risciacquarsi la bocca per, poi, raggiungere di nuovo la
soglia della stanza e fissarlo. Suo padre restava immobile appoggiato allo
stipite della porta.
Henry Hallgham era un uomo relativamente nella media,
portava i suoi capelli ramati corti, ma questo non li rendeva certo più
domabili. Vestiva sempre in modo sobrio, ma non per questo non elegante, era
sempre in ordine, lasciando intravedere la sua forma smagliante. In quel
momento scrutava il figlio con quei penetranti occhi verdi che avrebbero messo
in soggezione chiunque.
“Papà, non ci posso far nulla se sono il figlio
perfetto, a differenza di quella troglodita di mia sorella! Chi ha ordine
dentro di sé, ha ordine intorno!”
Esclamò prima di andare ad aprire l’armadio, dove
ogni capo d’abbigliamento era suddiviso attentamente per colore e per tipo di
tessuto.
“A volte mi chiedo da chi hai preso? Ti aspettiamo
giù per colazione!”
“Ah ah …”
Lo corresse subito il giovane, voltandosi verso di
lui mentre si accingeva ad uscire.
“Vorrai dire che mamma e Anna mi aspettano per
colazione!”
Puntualizzò tranquillo tirando fuori la sua divisa
di scuola, osservandolo alzare gli occhi al cielo prima di uscire e chiudere la
porta dietro di sé.
A differenza della camera della sorella, la sua
era più piccola e molto essenziale. Del resto era ordinato e preciso affinché
tutto fosse sempre a portata di mano e si potesse trovare senza troppi
problemi. La sorella, per prenderlo in giro, diceva sempre che era fredda e
impersonale. Come una camera d’esposizione in un negozio di mobili, ma lui non
era d’accordo: era semplicemente organizzata.
Finalmente Anna era
pronta.
Ogni mattina ci metteva
un’eternità per preparasi, nonostante andasse in una scuola privata che
richiedeva rigorosamente una divisa e quindi non c’era molto da scegliere
nell’armadio. Ma lei no. Doveva metterci in qualche modo sempre qualcosa di suo
che la rendesse unica nel suo genere.
I suoi lunghi e mossi
capelli color rame erano sciolti e le ricadevano sulle spalle, la frangetta
rigorosamente liscia era rigonfia sulla fronte; gli occhi erano truccati con un
leggero ombretto a risaltare i suoi occhi azzurri dalle venature verdi. Non era
una ragazza molto alta, anzi era minuta e asciutta, ma il suo caratterino
accesso e perspicace bastava a compensare tutto quello che in altezza poteva
mancarle.
“Finalmente ci hai
onorato della tua presenza!”
Esclamò il padre quando
finalmente la vide scendere dal piano di sopra, a raggiungere il resto della
famiglia in cucina, dove la moglie stava già servendo la colazione.
Suo padre non
condivideva gran parte delle sue passioni, come la danza e le feste a cui
andava. Era un uomo giovanile e gioviale, ma che avrebbe desiderato una figlia
meno popolare e nottambula che quasi con i suoi modi di fare sembrava non
c’entrar nulla con il resto della famiglia.
Bisognava ammettere che
lui non era un uomo e un padre così normale. Il fatto che si svegliasse la
mattina presto per fare colazione da solo, ne era la dimostrazione.
Chris e Anna
avevano sempre saputo che loro padre era particolare, ma del resto ogni
genitore lo è per i propri figli.
La nascita e la
creazione di una famiglia non erano mai stati nei progetti iniziali dei loro
genitori, come gli avevano sempre detto, ma non si erano mai azzardati a
spiegare il perché neanche se i loro figli insistevano.
Con Anna e Chris tutto
era diventato più delicato e difficile. Dicevano sempre così. Avevano
responsabilità così grandi e profonde nei loro confronti, seppur si sforzassero
di essere una vera famiglia e di tenere i due ragazzi fuori anche dal segreto
che aleggiava in casa.
Anna andò a sedersi in
silenzio accanto al fratello più piccolo. Avevano 3 anni di differenza, ma
questo non serviva a farla sentire più di tanto superiore in quanto sembrava
che lui colmasse tutto quello che a lei mancava.
Chris non solo aveva
gli stessi capelli ramati e mossi del padre che gli donavano fascino,
nonostante la tenera età, ma anche gli occhi di un’intensa tonalità blu ed
espressività come quelli della madre. Da entrambi aveva preso anche l’intuito e
l’intelletto, seppur la sua mente straordinaria superava quella di chiunque
altro ed a scuola eccelleva in tutte le materie scientifiche, soprattutto
l’informatica, cosa che a differenza della sorella maggiore non gli permetteva
di avere molti amici ed era tenuto a distanza da tutti.
“Finalmente ti sei degnata
…”
Le bofonchiò Chris
quando si sedette al suo fianco, facendo eco al padre.
“Sai, stavo facendo due
calcoli e pensavo che se tu ti svegliassi semplicemente 5 minuti prima,
usciresti in tempo per quando io mi alzo. Così ogni mattina non dovremmo incappare
in questo teatrino …” puntualizzando con un tono lievemente aspro.
“Mi cronometri?”
sospirò. “E poi anche se fosse, non ho alcuna voglia di alzarmi prima, quando
mi alzo mi alzo! Capito?”
Rispose lei con aria di
superiorità e strafottenza che sempre aveva sempre nei confronti del fratello,
e con tutti del resto. La verità era che lo detestava, era sempre perfetto.
Sapeva fare più cose di lei, questo la faceva andare su tutte le furie ed era
una cosa assolutamente inaccettabile. Quando i suoi genitori gli annunciarono
la sua nascita, lei si era aspettata immediatamente un piccolino da cullare ed
a cui insegnare questo e quello; invece quel marmocchio si era dimostrato un
acido saputello che non faceva altro che sminuirla giorno dopo giorno.
“Pa’! Quando ti
deciderai a cambiare macchina?”
Chiese la ragazza, per
l’ennesima volta, quando fecero per entrare nella vettura parcheggiata nel
vialetto davanti casa. Non capiva, perché il padre si ostentasse a tenere
quella Ford Mustang dell’69 nera con quella ridicola riga blu che passava su
tutta la fiancata. L’aveva comprata proprio lui nel 1969 e all’epoca era
davvero una novità invidiabile, ma adesso la trovava solo imbarazzante,
soprattutto se ogni mattina doveva accompagnarli a scuola.
“Questo è un capolavoro
d’epoca” s’affrettò a rispondere l’uomo, con espressione soddisfatta disegnata
in volto. ”poi quelle nuove fanno quasi tutto, tranne il loro dovere!
Ricordatevi sempre che vostro padre …”
“… in epoche e momenti
in cui non essendoci nulla.Si creava” lo
interruppe Anna.” a dispetto di adesso che c’è tutto e si distrugge …”
Fece eco anche il
fratello, prima che la madre scoppiasse in una risatina. Il padre, ormai salito
in macchina, li squadrava dal suo specchietto retrovisore con aria riluttante e
occhi che lasciavano trasparire una certa durezza.
“E’ inutile che fate i
pappagalli è verissimo! Se voi foste nati solo una cinquantina di anni fa, ve
ne sareste resi conto!”
La figlia alzò gli
occhi al cielo rassegnata, mentre il padre iniziava con la sua solita ramanzina
che propinava ogni volta che quel argomento usciva. Per salvarsi da quella
tortura, prese il suo Ipod nero, impreziosito da quelle graziose maschere
adesive con i brillantini e si mise ad ascoltare la sua adorata musica
estraniandosi dal resto del mondo, ignorando il resto della conversazione.
Chris notò Anna
mettersi le cuffie dell’Ipod e guardare fuori dal finestrino, mentre loro padre
portava avanti l’ennesima lamentela su come Anna fosse strafottente e dovesse
darsi una regolata.
Si voltò anche lui
verso il finestrino a guardar fuori. Ogni mattina percorrevano un lungo tratto,
abitavano fuori città in una piccola e tranquilla cittadina, nella loro
villetta a schiera uguale identica a tutte le altre del quartiere.
Secondo lui era solo
l’ennesimo sforzo dei suoi genitori ed illudersi ed illuderli di essere una
famiglia normale.
Voleva un bene
dell’anima ai suoi genitori, ma silenziosamente si poneva molte domande sul
loro futuro. Loro dicevano sempre che un giorno ne avrebbero parlato, magari
tra qualche anno, ma intanto il tempo passava.
Finora lui e sua
sorella non erano riusciti a capire cosa nascondevano di preciso i loro
genitori, ma lui da buono scienziato che era, avrebbe voluto sapere tutto,
ponendo domande, ma questo era proprio ciò che
i loro genitori gli
avevano vietato!
Solo Anna riusciva a
rispettare questo divieto, stranamente, ma lui no! Ecco trovata l’unica cosa
per cui venisse sgridato, mentre la sorella no!
La macchina rallentò
improvvisamente andando a fermarsi davanti a un maestoso edificio di mattoni
rossi dei primi del‘900 che ospitava la scuola. I due ragazzi la frequentavano
perché anche loro padre l’aveva frequentata a suo tempo e, come allora, era una
prestigiosissima scuola privata.
“Buona giornata
ragazzi! Mi raccomando puntuali stasera!”
Ricordò la madre ai due
figli, mentre li guardava scendere dalla macchina. Era consuetudine che dopo
aver accompagnati a scuola, poi i due coniugi si avviassero assieme a lavoro.
“Contateci! A stasera!
Buona giornata anche a voi mamma e papà! Ciao!”
Tagliò corto Chris
prima di fiondarsi fuori dall’auto sbattendo la portiera, seguendo sua sorella,
per poi voltarsi insieme per vedere la macchina ripartire.Con un sospiroentrambi si avviarono verso gli scalini di
marmo, verso l’androne della scuola per poi varcarlo silenziosamente.
Una volta entrati
nell’edificio cessavano di essere fratelli. Anna vietava sempre ed
assolutamente di rivolgerle la parola in qualsiasi modo. Era un tabù e se lei
ci teneva tanto per lui non era un problema.
Quindi senza neanche
salutarla Chris si diresse verso l’ala in cui aveva la sua prima lezione della
mattinata, mentre due ragazze spuntarono da un corridoio traverso e si
avvicinarono a Anna, la quale le scrutava immobile.
“Ciao Anna!”
La salutarono in coro
le sue amiche.
“Ciao ragazze! Brooke
cos’è quella cosa che hai in testa? Mary e quella è una cintura o uno strumento
di tortura?”
Chiese criticando
aspramente prima il ridicolo cerchietto di una e poi la cintura dell’altra.
Insomma se volevano stare con lei dovevano essere quanto meno impeccabili.
Immediatamente le vide darsi da fare per far sparire entrambi gli accessori,
mentre cercavano di tenere il suo passo.
“Allora stasera ci
sarai alla festa di McAllister?” domandò Brooke, la minuta morettina dal viso
vispo che quasi correva dietro Anna.
“Stasera? Ma non era
venerdì prossimo?” rispose lei sbigottita.
Non poteva crederci,
aveva capito male? No! Era la festa più importante dell’anno quella dei
McAllister. Era una cosa imperdibile ed essere invitati era un onore.
“Perché non puoi? No,
Anna! Non puoi farci questo! Devi esserci!”
“A chi lo dite, ma i
miei mi hanno incastrato con una cena con mio zio!”
Sbuffò vistosamente
alzando gli occhi al cielo, mentre la campanella cominciava a suonare risuonando
fastidiosamente.
“Uh… tuo zio eh? Se è
Logan sei giustificata. E’ troppo figo.”
Vide una delle sue
ochette di compagnia incominciare a fare le moine e coinvolgere le altre,
appena sopraggiunte. Non le poteva sopportare. Ogni volta che si parlava di lui
o di suo padre incominciavano a sbavare senza ritegno e per lei era a dir poco
disgustoso ed imbarazzante. Le lasciò fare, non le andava proprio di subirle
quel giorno e così entrò in classe lasciandosi cadere sul suo banco, persa nei
pensieri. Doveva trovare un modo per fuggire all’impegno con i genitori e
sgattaiolare a quella festa che aspettava datutto l’anno.
Scivolando sulla sedia
si accomodò, rimuginando intensamente finendo per ignorare del tutto quelle
fastidiose amiche, che ancora le giravano attorno sparlando dello zio.
L’aereo stava rollando sulla
pista. Meredith, all’ultimo momento, era riuscita a fare avere ad Abigail un posto poco più avanti dell’ala dell’aereo. Era
sempre stata così premurosa con lei, ma nell’ultima settimana molte cose erano
cambiate nella vita della ragazza, forse troppe.
Abigail era sempre stata una
ragazza forte, caratteristica che indubbiamente aveva acquisito da sua madre
Helen, ma da una settimana a quella parte tutto il suo mondo era crollato. Non
si era mai sentita cosi sola ed indifesa. Ora era lì, seduta su quell’enorme
aereo, diretta in un posto sconosciuto per cercare un uomo di cui non sapeva
quasi niente, se non le poche righe che sua madre, molti anni prima, le aveva
scritto in una lettera. Una lettera che doveva essere consegnata solo alla sua
morte. Così era stato.
Una lacrima sgorgò da quegli intensi occhi grigi,
mentre lo sguardo era perso fuori dall’oblò. La terra si allontanava, ma non
tratteneva con sé la tristezza ed il dolore.
Nella lettera, sua madre raccontava ad Abigail, come da giovane si fosse invaghita di un uomo e
come, in una sera diversa dalle altre, avessero fatto assieme una pazzia.
Quando Helen scoprì che, nonostante tutto quello che aveva passato, lui non si
sentiva di lasciare la moglie e il giovane figlio, abbandonò tutto per
andarsene il più lontano possibile da quell’uomo. Solo in seguito scoprì di
essere in dolce attesa di Abigail.
Decise di tenere quel bambino, il frutto di un
sentimento così forte. Almeno da parte sua.
Nell’ultima settimana non aveva fatto altro che
ripensare a quella lettera e, immancabilmente, ogni volta l’assaliva un
singhiozzo strozzato.
Lei e sua madre erano sempre state sole, ma erano
sempre state felici così. Traslocavano spesso per il lavoro di Helen, ma non
era un problema per Abigail. In sedici anni aveva
vissuto a Los Angeles, New York, Firenze, Strasburgo, Londra e per ultimo a
Tokyo. La sua vita era stata un’avventura, anche ora lo era! Prese un profondo
respiro nel tentativo di calmarsi e ricacciare indietro il fiume di lacrime,
che sembrava non esaurirsi mai.
“Signorina, va tutto bene?”
Chiese l’hostess con un mezzo sorriso e uno
sguardo ansioso.
Abigail annuì cercando di essere
credibile, un sorriso appena abbozzato le solcò qualche istante il viso.
“Sì, nessun problema. Grazie.”
Dopo averle lanciato un’ultima occhiata
preoccupata, l’hostess si diresse verso il suo posto. Sicuramente Meredith
aveva parlato con qualcuno all’aereoporto, in modo
che la tenessero d’occhio per tutto il viaggio.
Sbuffò stizzita, Meredith era stata una buona
amica di famiglia negli ultimi anni a Tokyo, ma ora non poteva più fare altro
se non metterla su quell’aereo e continuaretrattarla come una ragazzina qualunque.
Quando la sua sveglia suonò, Gabriel era già in
piedi da circa mezz’ora e aveva appena finito di rifare il letto.Ora di fronte all’armadio aprì malamente
un’anta per scegliere cosa mettersi, quando un’ondata di vestiti scuri lo
travolse.
Gabriel era un vero amante della musica di ogni
genere, anche se il rock era il suo prediletto. La sua camera, infatti
rispecchiava questo stile. Le pareti erano completamente coperte da scaffali
pieni di CD, gruppi del passato e del presente.
Qualche anno prima era andato in disibilio nel aver
trovato dei vecchi dischi in un mercatino dell’usato e ora li teneva con grande
cura, come se fossero dei tesori veri e propri; così la sua modesta stanza
mansardata sembrava ancora più piccola di quello che era. Aveva il letto
proprio dove il muro diventava più basso e spesso aveva finito per sbatterci la
testa violentemente, soprattutto la mattina quando si svegliava. Ci volle del
tempo per abituarsi e la sua statura non gli era di certo d’aiuto. Non per
nulla era un giocatore di basket! Dopo essersi infilato al volo dei jeans
scuri, aprì il lucernaio per far prendere aria alla stanza, infine voltandosi a
guardare intorno gli occhi si soffermarono sulla foto sorridente di sua madre e
lui da piccolo. Erano tifosi sfegatati di basket e quando divenne titolare e
successivamente capitano della squadra della scuola si ricordò che fu il suo
orgoglio. Il suo coach gli aveva confidato che quest’anno con l’arrivo degli
osservatori del college si sarebbe assicurato molto probabilmente la borsa di
studio per lo sport. Ma come spesso accade il destino a volte sembra avere
altri piani.
Finì con calma di vestirsi continuando l’opera
allo specchio: una sistemata veloce ai capelli biondissimi tagliati molto corti
e un tocco di gel per finire.Il basket
gli aveva assicurato popolarità e particolare successo tra le ragazze, a
dispetto di qualche sua stranezza. Non era un brutto ragazzo, oltre all’altezza
aveva il fisico scolpito dall’attività fisica; gli occhi erano scuri e profondi
e la pelle sembrava perennemente abbronzata. Nonostante ciò non aveva mai avuto
una ragazza fissa, solo piccole avventure.
Quando Gabriel scese al
piano di sotto, andando verso la cucina scorse il padre intento a bersi un
caffè, rigorosamente ristretto. Gli arrivò alle sue spalle, silenzioso e
furtivo, cercando di recuperare la sua tazza preferita senza essere visto.
Appena fu troppo vicino, però, il padre accorgendosi della sua presenza, finì
per spaventarsi saltando di scattò sulla sedia dopo essersi scottato con il suo
caffè.
“Nervoso per oggi?”
Chiese divertito
guardandolo dritto in volto dirigendosi poi verso il frigorifero a tirare fuori
un cartone del latte per versarlo abbondantemente nella tazza, osservando suo
padre che si ricomponeva asciugando il caffè versato.
Lo vide scuotere il
viso senza dire una parola, d’altro canto non che lui non lo fosse, la notizia
dell’arrivo di quella ragazzina nonché sua sorellastra era stata una vera
doccia fredda.
Ci aveva messo davvero
tanto a perdonare suo padre per quello, sua madre ormai era morta da cinque
anni, ma era ancora una ferita aperta soprattutto perché suo padre non aveva
mai detto che aveva avuto una relazione. Lui lo sapeva solo da poche settimane
e seppur, a differenza dell’inizio, non spariva più di casa per giorni e non
gli urlava contro, faceva ancora fatica a perdonarlo, anche se i loro rapporti
si erano decisamente distesi.
Quindi uscì dalla
cucina avviandosi verso l’ingresso dove aveva già preparato i suoi libri e le
chiavi della macchina. Uscì dalla porta sul retro con un sospiro rassegnato.
Non poteva evitare quella situazione, quindi prima o poi avrebbe dovuto
arrendersi, ma ora doveva solo sbrigarsi. Era già abbastanza in ritardo per la
scuola.
Il viaggio era stato lungo e movimentato, avevano
incontrato una perturbazione, ma nulla di veramente impressionante come quell’anno
che lei e Helen erano andate in India.
Abigail era tremendamente
affamata, dopo aver aspettato per quasi un’ora le sue valigie, ora era seduta
ad un bar dell’aeroporto in attesa di un cappuccino e brioche, per alleviare i
morsi della fame.
Tutti la stavano guardavano. Cercò di non farci
caso, alla fine era abituata a quelle attenzioni verso di se. Viaggiando così
tanto aveva capito che la gente era molto attratta dal mistero, anche se a
volte era più l’immaginazione, che altro a guidarle.
Del resto, ora la gente, vedeva una ragazza di
sedici anni, seduta al bar apparentemente da sola con due enormi valigie. Era
snella, ma non molto slanciata, occhi grigi come perle, con sguardo
incredibilmente intelligente e vivace, capelli biondissimi che cerchiavano un
viso serio e già con fattezze adulte. Per il viaggio aveva optato per dei
vestiti comodi, era un vero maschiaccio sia nei miei modi di essere
sia in quelli di vestire, seppur in quello era stata influenzata dal passato di
sua madre e così i colori smorzati e tenui non mancavano mai addosso a lei.
Intelligente più che mai, era una ragazza con un
profondo senso della giustizia e un carattere irrequieto e pepato, non permetteva anessuno di metterle i piedi in testa.
Si passò una mano tra i capelli scompigliandoli un
po’, mentre alzò lo sguardo per vedere l’orario vicino al tabellone dei voli.
Erano quasi le dieci e mezzo del mattino. Finì in fretta il suo cappuccino e
prendendo le valigie le trascinò verso l’uscita principale, ancora poco e
sarebbe arrivato il mezzo di trasporto che Meredith aveva prenotato per
portarla alla sua nuova casa.
Rimase ad aspettare sotto la tettoia, il sole era
nascosto da nuvole scure, l’aria era molto più fredda di come lo era in
Giappone alla sua partenza. Non dovette aspettare molto. Una Mercedes berlina
blu scura si fermò proprio davanti a lei, anche se la corsia era adibita solo
ai taxi. Un uomo spense il motore e scese, andandole incontro.
“Buon giorno e ben arrivata, signorina Abigail!”
La salutò con un sorriso aperto e offrendosi di
prenderle le valigie.
Abigail lo studiò con attenzione,
mentre lui metteva i bagagli nel baule. Era abbastanza giovane, avrà avuto
trent’anni, era biondo e con il viso curato, vestito bene, con un completo
scuro, camicia e cravatta. Decisamente non sembrava un tassista, neanche di
quelli privati.
Sobbalzò quando lui chiuse il baule e le rivolse
un altro sorriso aprendole la portiera posteriore per
invitarla a salire.
Lei gli rispose con una certa titubanza, ma ubbidì
e prese posto.
Gabriel arrivò a piedi davanti all’edificio in
mattoni rossi. Ogni mattina se la faceva sempre a piedi, suo padre non aveva
ancora voluto prendergli una macchina e per orgoglio lui si rifiutava di
rendere ancora il pullman come i ragazzi del primo anno. Guardando il lato
positivo, cosi era sempre in movimento, non c’era il rischio che perdesse la
sua forma atletica.
Pensando a quello però non sapeva se riderne o
piangerne. Del resto andava ancora bene quando c’era bel tempo, ma quando, come
quella giorno, il tempo non sembrava voler seguire le regole di stagione, la
cosa non era molto invitante.
Sfregandosi un po’ le mani per scaldarle si avviò
verso l’entrata salutando qua e là dei ragazzi che conosceva, anche se la
maggior parte non sapeva neanche come si chiamavano. Accelerò il passo quando
entrando sentì subito suonare la campanella. Come sempre era arrivato per un
soffio in orario.
Il tratto in macchina non era stato molto lungo
per fortuna. L’uomo per quanto continuasse a sorriderle non era certo di molte
parole! Si fermarono davanti ad una casa come tante, il quartiere sembrava
tranquillo, ma forse era solo un impressione. Del resto era quasi mezzogiorno,
i ragazzi erano a scuola e la maggior parte degli adulti a lavoro. L’uomo
misterioso scese e venne ad aprirle la portiera come aveva fatto prima, scaricò
il baule, mentre Abigail rimaneva sul marciapiede a
fissare stranita la casa di fronte a lei.
Stando lì, si rese conto che la sua vita stava
cambiando radicalmente. Non perché si era trasferita ancora, ma perché lì
avrebbe messo finalmente radici. Avrebbe potuto avere finalmente una famiglia,
degli amici, cose che fino a quel momento non aveva avuto o almeno non nel
senso che intendevano tutti i suoi coetanei. Finora non aveva una casa che non
continuasse a cambiare ogni tre o quattro anni, aveva una famiglia composta
solo da sua madre e degli amici che condividevano solo un breve tratto della
sua vita.
Sospirò nervosa. Le paure cominciavano ad
assalirla, anche se con qualche ritardo. La paura di angosciare quell’uomo che
avrebbe dovuto essere suo padre. Di lei non sapeva niente, in tutti quegli anni
era andato avanti per la sua strada facendosi una famiglia e ora arrivava lei a
stravolgere anche il suo di mondo.
Con una mano l’uomo chiuse il baule e andò alla
porta a suonare il campanello, poi si girò verso la ragazza e le rivolse un
altro dei strani sorrisi.
Abigail lo fissò ancora ferma sul
marciapiede. Perché nessuno veniva ad aprire la porta? Lui avrebbe dovuto
esserci in casa! Possibile che fosse uscito perché non la voleva?
Scossa la testa con decisione. Doveva smettere di
lasciar vagare in quel modo la sua fantasia. Va bene tutto, però se lui non
fosse venuto ad aprire, lei che cosa avrebbe fatto? Ora era completamente sola!
Scosse di nuovo la testa. No! Non doveva cedere a quel modo, qualcosa avrebbe
inventato, così cominciò facendo un passo verso la porta.
Finalmente la campanella di
mezzogiorno era suonata. Per quanto, ad Chris piacesse l’informatica, quella
mattina aveva davvero fame, eppure aveva fatto una doppia colazione, prima a
casa e poi con il croissant della sua migliore amica, perciò in fretta mise via
il libro e spense il suo computer e uscì dall’aula diretto
alla mensa. Era stato così veloce, che non c’era ancora la fila a prendere da
mangiare. Andò a sedersi in un tavolo un po’ isolato accese il suo portatile e
mentre mangiava cominciò a mettere in pratica gli insegnamenti del giorno.
Lentamente la mensa cominciò a riempirsi e a diventare caotica. Gli altri
ragazzi gli passavano di fianco senza neanche accorgersi di lui, non che a lui
interessasse particolarmente, ma ogni tanto staccava comunque lo sguardo dallo
schermo per dare un’occhiata in giro. Sembrava il solito giorno noioso. Era il
brutto di una scuola privata, davano l’impressione di essere tutti bravi
ragazzi e poi invece sotto sotto, magari avevano
tutti un tallone di Achille proprio come lui e sua sorella.
Proprio nel momento in cui
stava riportando la sua attenzione ai suoi esercizi di calcolo binario, una
ragazza appoggiò la mano sullo schiena della sedia
accanto alla sua.
“Posso?”
Chiese con una vocina esile.
Chris cercò di nascondere
la sua impazienza, aveva riconosciuto la sua compagna di corso anche senza
guardarla. Tutti nel corso di letteratura la prendevano in giro proprio per
quella vocina stridula.
“Fai pure, se vuoi!”
Disse, sperando che
cambiasse idea e se ne andasse, anche se non c’erano speranze, infatti la ragazzina si sedette appoggiando il vassoio.
“Gira voce di una nuova
arrivata. Hai sentito?”
Mugugnò già annoiato da
quella discussione. Sfortunatamente la ragazza doveva averlo preso per un si.
“So che frequenti il corso
di informatica.”
Chris si voltò a guardarla
confuso. Non capita il senso di quell’improvviso cambio d’argomento.
“Pensavo…che magari potevi cercare, insomma, di scoprire qualcosa su di
lei!”
“Perché sei venuta da me?”
“Beh…non sei il migliore
del corso?!La Jehry dice a tutti che
sei il suo prodigio!”
“Perciò vorresti che
violassi il sistema della scuola?”
Quella ragazza era come
tutti gli altri studenti di quella scuola, annoiati e stupidi. Adesso gli stava
sorridendo come per convincerlo, ma non sapeva che facendo così, non stava di
certo migliorando la situazione.
La odiava proprio quella
ragazza, come tutti gli altri li dentro. Si alzò e con
una certa tensione chiuse il portatile e lo mise nello zaino.
“Scordatelo! Trovati qualcun altro
che vuole mettersi nei casini per la tua curiosità!”, e senza aggiungere altro,
uscì dalla mensa diretto verso l’aula di biologia del
pomeriggio.
Si andò a sedere in fondo,
uno degli ultimi posti. Una nuova arrivata…forse un minimo di speranza c’era
ancora in quella dannatissima scuola. Ora era curioso di sapere qualcosa di
quella ragazza, ma avrebbe rischiato tanto, se l’avessero scoperto. Ne valeva
davvero la pena? Forse sarebbe arrivata solo il giorno seguente. Del resto era
inutile illudersi per niente, magari sarebbe risultata interessante sulla
carta, ma di persona no o il contrario, quindi perché rovinarsi il fegato per
nulla? Doveva solo aspettare, magari poteva decidere di fare ricerche solo una
volta che l’aveva vista e poteva essere sicuro che ci fosse qualche speranza.
Bene!
Dopo aver preso quella
decisione si rilassò e buttò indietro la testa facendola appoggiare al muro.
Rimase così in attesa che arrivassero gli altri studenti e il professore per la
lezione.
Anna era ancora profondamente
irritata per la festa di quella sera che andava a farsi benedire e nelle
orecchie doveva subirsi i complimenti maliziosi e farciti di doppi sensi su suo
zio.
“La volete smettere?”
Sbottò immediatamente
irritata, mentre camminava a passo sicuro per i corridoi e i suoi capelli
ondulati si muovevano sinuosi ipnotizzando chiunque la guardasse. Era senza
dubbio la ragazza più popolare della scuola e la sua incredibile bellezza
l’aiutava notevolmente, era perfetta e irraggiungibile una dea scesa in terra inavvicinabile
e incomprensibile. Era sempre così tutto d’un pezzo fredda e altezzosa che
nessuno poteva dichiarare di conoscerla realmente e profondamente.
“A proposito cosa potete
dirmi della nuova arrivata?”
Chiese camminando come se
stesse sfilando alla settimana della moda di Milano e guardando di fronte a sé
ignorando gli sguardi su di lei, sia quelli d’adorazione sia quelli d’invidia.
“Le voci sono ancora
poche, ma dovrebbe essere poco più che una ragazzina di prima …”
“Oh sì dice che abbia
viaggiato moltissimo …”
“E che sia qui perché sua
madre sia morta …”
Parlavano una dietro l’altra tutte eccitate completando l’una la frase
dell’altra.
“Tutto qua? Tutto questo fermento per una piccola e insulsa matricola?”
Chiesi scuotendo il viso
con sguardo divertito, e io che speravo in qualcosa di meglio.
“Forse potresti chiedere a
tuo fratello è del suo anno dopo tutto!”
Appena sentì la brillante
idea di Brooke si fermò così improvvisamente che
sentì quella stolta sbattere contro la sua schiena. Si irrigidì e tutto nel
corridoio sembrò gelarsi immediatamente. Tutti gli occhi su di lei come in
attesa di una reazione esplosiva da un momento all’altro.
Aveva nominato Chris.
Aveva osato nominarlo. Lui sapeva meglio di Anna che lì dentro cessavamo di
essere fratelli e quella mocciosa cosa faceva? Glielo ricordava?
Si voltò polverizzandola
all’istante con il suo sguardo vitreo trapassandola da parte a parte.
“Hai detto qualcosa cara?
Credo di aver sentito un brusio, ma forse mi sono sbagliata …”
Tentò con tono soave, anche
se in realtà di dolce non aveva assolutamente nulla. La vide deglutire il nulla
prima di sforzarsi in un sorriso anche se le uscì di
più una smorfia imprecisa.
“Oh n-no … n-non ho detto
n-nulla … Sì … nulla!”
Rinfrancò le sue parole
più di una volta cercando di mostrare i denti bianchi e contraendo i muscoli
del viso in un sorriso forzato cercando in tutti i modi di essere naturale e
farsi perdonare. Nessuno osava sapere o anche solo immaginare le conseguenze.
Non era mai successo nulla di concreto, ma quella rossa aveva qualcosa di
inspiegabile che la rendeva temibile agli occhi di tutto
ragazzi o ragazze che fossero, persino i professori sembravano riverenti
nei suoi confronti.
“Oh mi hai tolto un peso
dal cuore!”
Contro le previsioni di tutti Anna sorrise toccandosi il cuore e alzando gli occhi
al cielo superficialmente prima di ricominciare a camminare con la sua cricca.
“A proposito domani
pomeriggio a casa mia per gli allenamenti ho già scelto la nuova musica ed è
davvero da sballo!”
Continuò a parlare e fare
come se nulla fosse successo e presto anche nel corridoio tutti ripresero la
loro vita e i loro affari cercando ancora di scrollarli di dosso la sensazione
appena provata. Sembrava che la sua tensione e la sua rabbia si trasmettesse a
tutti ogni volta che la provava, ma adesso sembrava solo una nube scura passata
dopo una giornata di vento.
“Ma non credi che dovremmo
fare qualcosa? Per Gabriel ha lasciato la squadra di basket e d’allora dobbiamo
ammettere che i ragazzi non vanno molto bene!”
“Mary i ragazzi si
riprenderanno al meglio non hanno bisogno di un finto emo
aspirante suicida nella loro squadra, anzi si sono liberati da un peso! Cioè
voglio dire ma lo vedevate? Sembra uscito da una bara, la sua popolarità era
dovuta solo perché sapeva fare due tiri a canestro, ora si trova invece
esattamente dove dovrebbe essere e cioè nel dimenticatoio! Noi oggi ci
alleneremo e faremo la coreografia più bella che si sia mai vista! Siamo o non
siamo delle cheerleader? Il successo della squadra è dovuta anche a noi!
Dobbiamo tirare su di morale i ragazzi e riprendere il lustro che si spetta
anche senza quel finto tenebroso!”
Tutte le ragazze pendevano
dalle sue labbra ad ogni parola e appena entrate in classe assentivano ancora,
mentre si accingevano a prendere posto ormai ai loro fedeli banchi nei primi
posti nell’aula di spagnolo.
L’ultima campanella della giornata era suonata.
Chris come ogni giorno si stava avviando lentamente verso il punto di ritrovo
che aveva architettato con Anna. Per non farsi vedere insieme si erano messi
d’accordo di aspettarsi di fronte alla biblioteca ad un isolato di distanza
dalla scuola. La cultura non era forte. Non rischiavano di essere visti e nel
caso avrebbero sempre potuto usare come scusa il fatto che dovevano fare qualche
noiosissima ricerca.
Si sistemò meglio lo zaino sulle spalle e chiuse
tutta la cerniera della giacca. La temperatura era scesa drasticamente negli
ultimi giorni. Va bene che era metànovembre, ma non si ricordava che
avesse mai fatto cosi freddo in quel periodo. Alzò lo sguardo verso le nuvole.
Non promettevano niente di buono. Chris sperò con tutto il cuore che sua
sorella non lo facesse aspettare tanto come al solito.
Si era dimenticato dell’ombrello e non voleva rischiare che il suo portatile si
rovinasse. Non gliel’avrebbe perdonata!
Sospirò preoccupato e guardò l’orologio. Se entro
dieci minuti non fosse arrivata, lui sarebbe andato a casa da solo.
Annoiato dalla attesa, si
era messo a guardare le persone che passavano per strada, chi era in giro a
rilassarsi per negozi e chi tornava a casa dopo una giornata di lavoro.
Casualmente lo sguardo cadde su una nuova agenzia di viaggi e subito gli
tornarono alla mente delle voci sulla nuova arrivata. Si vociferava che avesse
viaggiato in lungo e in largo per tutto il mondo, prima di capitare in quella
squallida e noiosa città. In effetti, questo era l’unico tratto che lo
incuriosiva verso quella ragazza. Chissà se era già arrivata. Sua sorella
arrivò proprio in tempo per interrompere quei suoi pensieri.
“Ehi, sfigato! Ti si è fuso il cervello
finalmente?”
“Ma di che diavolo stai parlando?”
Ecco il loro solito saluto affettuoso di ogni
giorno. Davvero una coppia di fratelli che si volevano bene!
“Non so, stavi guardando quel negozio con una
faccia da ebete!”, quando notò con più precisione che tipo di negozio era, gli
rivolse un sorrisetto malizioso. “Non penserai mica di squagliartela?!”
“Certo che no!”, ribatté subito, non che non ci
avesse mai pensato di andarsene da quella gabbia di matti che era la sua famiglia.
“Stavo solo pensando alla nuova arrivata. Dicono che abbia
viaggiato molto!”
“Si, l’ho sentita anche
io questa voce!”, gli rispose con una scrollata di spalle e avviandosi verso
casa. “Dicono che dovrebbe essere del tuo anno e che è venuta qui perché le è morta la madre”, aggiunse ripetendo quello
che le avevano detto stamattina le sue amiche.
In quel momento, la curiosità lo travolse.
“Del mio anno? Ma perché viene qui?
Ha qualche parente?”
“Perché lo chiedi a me? Non sei te il genio?!”, esclamò isterica cercando di controllarsi per non farsi
sentire dagli altri passanti sul marciapiede.
Chris abbassò lo sguardo e diede un calcio ad una
lattina, mandandola a sbattere contro il muro della casa.
“Stamattina in mensa, una mia compagna è venuta a
chiedermi di violare il sistema della scuola per trovare qualche informazione
su di lei!”, ammise tutto d’un fiato. Come se fosse stato in colpa per aver
preso , anche solo, in considerazione di farlo.
“E quindi?”
“Non l’ho fatto! Però
devo ammettere che è parecchio interessante!”, tenendo lo sguardo ancora basso,
per evitare quello della sorella, che sicuramente lo stava tenendo d’occhio.
Sentendola sbuffare stizzita, alzò finalmente lo sguardo.
“Però una sbirciatina avresti potuto darla! Cosa
ti costava?!”
“Oh... beh! Penso
solo il rischio di un’espulsione!”, ribatté ironico.
“Ma figuriamoci se ti espellono! Sarebbe troppo
bello per essere vero…e poi sei il pupillo di mezza scuola!”
“Non è vero!”, sembrava un ragazzino di sei anni
quando faceva così.
“Si, forse hai ragione!”,
poi vedendo il sospirò di sollievo del fratello, affondò di nuovo il coltello.
“Solo la Johnson e la Oliver non ti tengono molto
in considerazione.”
A quel affondo, Chris mugugnò qualcosa di
impercettibile e non rispose alla sorella. Era stato un colpo basso quello, lei
sapeva benissimo che lui non brillava certo in Arte Figurativa e Ginnastica.
Fu così che la loro discussione morì lì e il resto
della strada verso casa, venne affrontata nel più profondo dei silenzi.
L’uomo scattò sulla sua
sedia quando sentì il campanello della porta suonare. Era arrivata in perfetto
orario. Da quando, quella certa Meredith, lo aveva informato di avere una
figlia, il suo umore aveva avuto continui cambiamenti. Passava dall’incredulità
alla rabbia più feroce o dal terrore al nervosismo in pochi secondi e senza un
apparente motivo. Povero Gabriel quegli ultimi giorni per lui dovevano essere
stati decisamente un inferno in terra.
Cercò di sistemarsi un ultima volta, mentre
correva verso l’ingresso, quando passò davanti allo specchio del corridoio, si
lanciò un’occhiata critica. Non era il massimo, ma non era neanche da buttare.
Quando arrivò alla porta, scosse la testa cercando di riprendersi. Alla fine,
quella ragazza era sua figlia, mica una ragazza da stupire! Fece scattare la
serratura con un sospiro nervoso.
Si trovò di fronte un uomo apparentemente anonimo
vestito elegantemente.
“Buongiorno! Il signor David?”, chiese l’uomo
studiandolo nei minimi dettagli.
L’uomo annuì. Dietro l’individuo notò appena una
ragazza. Doveva essere lei. Ignorando completamente l’uomo si rivolse a lei.
“Te devi essere Abigail….”
Abigail cercò di sporgersi per poter vedere
finalmente suo padre. Rispose comunque alla domanda retorica annuendo.
“Vieni. Entra…”, la invitò in casa, lanciando poi
un’occhiata interrogativa all’uomo che l’aveva accompagnata. Lui gli rivolse un
sorriso di approvazione e senza dire altro si voltò per tornare verso la sua
macchina.
David e Abigail rimasero a fissarlo sulla porta,
finchè la sua macchina non fu scomparsa.
“Che strano tipo!”, esclamò Abigail nel tentativo
di aprire una discussione con il padre, cercando di spezzare quell’attimo di
sospensione.
“Già…”, rispose pensieroso, poi si riscosse e le
rivolse un sorriso raggiante. “Bene, Abigail! Benvenuta a casa! Mettiti comoda,
vado a prenderti le valigie e ti mostro la tua camera.”
Abigail entrò nell’ingresso piccolo dove si
affacciavano i locali della zona giorno. Non osò andare più avanti, ancora
estranea e non a proprio agio in quella casa. Così aspettò il padre poco oltre
la porta, il quale arrivò quasi subito.
“Vieni…”
Gli fece strada verso il piano superiore. Sul
pianerottolo c’erano quattro porte. David la stava guidando verso quella più in
fondo, spiegandole quale era quella del bagno, quale la porta che conduceva
alla camera mansardata di Gabriel, suo fratellastro, e quale era quella del
padre.
Appoggiò le valigie per terra e con fare teatrale
aprì la porta dell’ultima camera.
“Ecco qui! Questa è la tua camera. Non è il
massimo, non abbiamo avuto molto preavviso per potertela preparare come si
deve, ma lo faremo.”
Effettivamente, era abbastanza evidente che la
camera, fino a quel momento, era stata usata in altro modo, ma almeno erano
riusciti a metterci un letto dall’aria invitante. Le dodici ore di volo
cominciavano a pesarle sulle spalle.
“Non fa nulla. Tanto c’è tempo…”, spiegò con una
nota di malinconia al pensiero che, ormai, non aveva nessun altro posto se non
quello. Non c’era nessun altro per lei. Non aveva altra scelta.
“Mi dispiace!”
“Grazie.”
Fu l’unica cosa che le venisse da dire.
Entrò nella stanza guardandosi intorno, posò la
sua borsa sul letto, anche se era abituata a cambiare spesso camera e casa, il
fatto di averne una fissa, non le dispiaceva del tutto.
“Ti lascio sola, così ti sistemi bene. Se ti serve
qualcosa sono da basso in cucina.”
Era sulla porta quando, dandosi dello stupido, si
ricordò… “Hai per caso fame?”
“No, grazie. Al momento sono solo stanca.”
Non sapendo cosa dirle, David se ne andò un po’ in
imbarazzo. Abigail, dal canto suo, aspettò che lui fosse sceso, per chiudere
adagio la porta e poi buttarsi sfinita sul letto.
Un’altra delle lunghe e
monotone giornate a scuola era finita, ma Gabriel non aveva voglia di tornare
subito a casa. Sapeva che ad accoglierlo ci sarebbe stata un’ospite che
nonostante il suo cauto autocontrollo gli provocava un certo fastidio.
Camminava pensieroso
con il suo Ipod nelle orecchie ignorando tutti quelli che ogni volta che lo
vedevano si voltavano a squadrarlo, gustandosi il piacere dell’aria fredda e
pungente sul viso; amava l’inverno e il clima rigido ci trovava un qualcosa di
intimo e piacevole nel doversi coprire e proteggere anche se il suo era un
pensiero contorto e senza dubbio non condiviso.
Un odore delizioso di
pane appena sfornato però lo strappò dai suoi pensieri e subito capì che senza
rendersene conto era arrivato davanti al panificio francese che era sempre
piaciuto a sua madre e dove erano sempre andati.
Un piccolo sorriso
amaro gli si dipinse sul viso. Sembrava quasi che sua madre, tramite quel
piccolo ricordo di qualche anno fa, volesse riprenderlo per i suoi pensieri
negativi nei confronti della sorellastra e gli ricordasse di essere gentile con
lei e di aiutare suo padre in quel periodo difficile.
Kate era una donna
dolce e comprensiva che se fosse stata ancora in vita avrebbe fatto i salti
mortali per permettere a Abigail di sentirsi come a casa e ambientarsi, ma lei
non c’era e a modo suo sembrava voler delegare questo compito al figlio.
“Bonjour Pierre!”
La voce di Gabriel
suonò dolce e calma mentre salutava il proprietario, ormai loro amico, nel suo
francese perfetto e si preoccupava di togliersi del cuffie e lasciarle cadere
sul cappotto nero di lana che portava.
“Bonjour, ecco qui il
mio cliente preferito! Croissant?”
Lo salutò entusiasta
l’uomo con un forte accento francese.
Gabriel sorrise per
l’accoglienza sempre così calorosa che aveva quel uomo nei confronti della sua
famiglia nonostante non si facessero ormai vedere da tempo; ricordava molto
bene che erano praticamente l’unica famiglia americanaa servirsi da lui e lui era l’unico francese
che non gliene diceva dietro di ogni colore visto che considerava ogni singolo
americano rozzo e maleducato!
“Pierre mi puoi dare un
assortimento da portar via? Sai c’è una persona speciale a casa e così voglio
fargliele assaggiare!”
“Certamente Gabriel”
Il ragazzo rise appena
guardandolo preparargli il sacchetto con un assortimento di Brioches.
Il tragitto verso casa
fu piacevole e silenzioso per il semplice motivo che Gabriel era intento a
gustarsi una delle brioche che aveva appena comprato. Non era proprio la
classica merenda di metà pomeriggio, ma questo lo divertiva, anzi, si sentiva
un piccolo universo parallelo dentro una vita frenetica: tutti intorno a lui
correvano, sbraitavano al cellulare, guardavano l’orologio, si ingozzavano un
hot dog ipercalorico, mentre invece lui camminava tranquillo gustandosi la sua
insolita merenda! Insomma sapeva davvero godersi la vita con la calma e la
tranquillità che tutti profetizzavano e desideravano di avere, ma che poi
sembravano incapaci a realizzare o gestire e per questo doveva solo ed
esclusivamente ringraziare sua madre che aveva desiderato ardentemente quello
stile di vita per lui e suo padre, quasi a sapere che un giorno li avrebbe
lasciati.
Quando arrivò a casa
l’odore riempì le narici di David che con un sorriso malinconico accolse il
figlio ancora nervoso per l’incontro, ma a Gabriel non servì una sfera di
cristallo per capire con chi.
“Allora come è andata?”
Chiese mentre poggiava
la busta con le brioches sul bancone della cucina e togliendosi la tracolla che
usava per scuola poggiandola su uno degli sgabelli della cucina.
“E’ arrivata in orario
e le ho mostrato la sua camera, ma mi ha detto che voleva dormire quindi
presumo che lo stia facendo ancora…”
“E …”
“E niente!
Gabriel scosse la testa
guardandolo, suo padre non era mai stato molto bravo in quelle cose, infatti
lui assomigliava molto di più a sua madre. David non era un cattivo uomo, ma
lui e la comunicazione erano due poli opposti; mentre Kate era una donna dolce
e premurosa che faceva di tutto per far sì che il saper ascoltare e il
conversare in casa non mancasse mai, visto che a suo dire ciò era la base per
una perfetta armonia!
“Cosa fai?”
David balzò su dalla
sedia dove stava leggendo, quando vide il figlio prendere il sacchetto e
dirigersi verso la scala che portava al piano di sopra.
“Vado a conoscere mia
sorella e vedo se ha fame!”
Rispose con una
semplicità che fu a dir poco disarmante, ma tornò sui suoi passi dopo un
secondo, sapendo che suo padre non gliela avrebbe mai perdonato se non gli
avesse dato nemmeno una brioche fresca e così gliene mollò uno in mano, per poi
vederlo sorridere soddisfatto prima di addentarlo.
Gabriel si chiedeva chi
fosse a volte più un bambino tra lui e suo padre, mentre camminava verso quella
che sapeva sarebbe stata la stanza di Abigail. Bussò tranquillo, o almeno
apparentemente, e non ricevendo risposta decise di schiudere la porta.
Stava già facendo per
aprire la bocca, ma la richiuse due secondi dopo quando la vide raggomitolata
sul suo nuovo letto totalmente distrutta evidentemente per il jet lag.
Subito si guardò
intorno cercando qualcosa per coprirla e riconobbe una coperta su una poltrona,
che sembrava improvvisata per leggere, nell’angolo della camera e prendendola
gliela buttò dolcemente sopra sistemandogliela al meglio.
Ancora non se ne era
reso conto, ma era strano come fosse identica a lui. Il biondo e il candore
della pelle risplendeva nella stessa maniera, al punto che se non avessero
avuto due madri diverse e addirittura due età diverse, chiunque avrebbe giurato
che fossero stati gemelli.
Decise di poggiare il
sacchetto con il croissant sul comodino accanto al letto così, al suo risveglio
l’avrebbe visto subito. Dopo averle lanciato un’altra occhiata ancora confusa,
ma allo stesso tempo emozionata, riscaldato da quel nuovo legame a lui
sconosciuto solo fino a poco tempo fa, uscì dalla camera diretto nella propria.
Quando Abigail si
svegliò si ritrovò in una stanza ormai buia e illuminata solo dalla luce verde
della sveglia. Aveva dormito parecchie ore, quasi sette! Ormai doveva quasi
essere ora di cena e infatti la fame cominciava a farsi sentire, forse era
stato proprio quella a svegliarla.
Chris ci stava pensando da
tutto il pomeriggio, anche i suoi genitori avevano notato che era più
silenzioso del solito. Non aveva ancora proferito parole sulla sua giornata
scolastica, ne su nuovi componenti per il suo portatile.
Suo padre aveva provato a chiedere qualche delucidazione,
ma lui si era limitato solo a scuotere la testa e alanciare una strana occhiata a sua sorella,
attirando su di lui anche la sua attenzione. Dopo aver finito di mangiare, con
fare nervoso uscì in giardino nella speranza di calmarsi e stare un po’ da
solo, ma non ottenne il risultato voluto. Più nervoso di prima tornò verso la
sua stanza, passando davanti alla porta aperta di quella di sua sorella e la
vide intenta a mettere sotto sopra il suo beauty case sul letto. Arrivato in
camera si buttò sul suo letto, ma la presenza inquietante del suo portatile
acceso sulla scrivania, non gli permetteva di svuotare la mente.
“Perché…perché?”, sbottò frustrato alzandosi di getto e
chiudendo con un colpo secco il portatile senza preoccuparsi di spegnerlo per
bene.
Perché non riusciva a dimenticarsi, o meglio a farsi,
letteralmente uscire dalla testa quella nuova ragazza che non aveva mai visto e
di cui non sapeva niente?
Sfortunatamente, anche in quel modo, il suo portatile
sembrava continuare ad invogliarlo a scoprire di più su di lei. Proprio come le
aveva chiesto la sua compagna quel giorno nella mensa e come sua sorella
durante il ritorno a casa.
Scosse con violenza la testa. Che stesse impazzendo?
Okay…ma per cosa poi?
“Ora basta!”
Urlò frustato, mentre tornava alla scrivania e riapriva il
portatile e con fare determinato cominciava a battere sulla tastiere ad una
velocità davvero impressionante.
Anna richiamata dagli strani rumori e dagli strani sfoghi
di suo fratello nella camera a fianco andò a vedere che diavolo stesse
combinando in quel momento. Socchiuse la porta in tempo per vedere l’ultima
sfuriata del fratello che si arrendeva e si sedeva alla sua scrivania con lo
sguardo già fisso sullo schermo e le mani che si muovevano frenetiche sulla
tastiera. Furono proprio quei movimenti che le fecero spalancare la porta e
fissarlo con gli occhi sgranati.
“Come diavolo ci riesci?”
Avanzando lentamente verso di lui con lo sguardo fisso
ancora sulla tastiera.
Chris si fermò e distolse lo sguardo verso la sorella.
“Ma che razza di domanda è? Sai benissimo che me la cavo
con i computer!”
Non capendo il senso della domanda della sorella.
“Tu stessa mi hai chiesto di farlo oggi pomeriggio!”
Anna scosse la testa richiamata alla realtà da
quell’affermazione.
“Cosa?!”, bofonchiò confusa a sua volta. “Mi riferivo alle
tue mani!”
Chris abbassò lo sguardo sulle sue mani ferme sulla
tastiera.
“Che cosa hanno le mie mani? Mi stai prendendo in giro?”,
chiese, passando dalla confusione allo scetticismo.
“Erano velocissime!”, riuscì solo a dire ancora con lo
sguardo fisso e sgranato.
“Ma ti sei rimbambita?! È logico che dopo un po’ che sei
abituato a scrivere, diventi veloce!”
concluse scuotendo la testa, pensando che forse sua sorella
fosse più stupida di quanto avesse sempre pensato; così tornò ai codici per
violare il sistema della scuola.
Anna scosse la testa non sapendo come ribattere al
fratello. Era certa di quello che aveva appena visto. Non era una velocità
normale quella con cui scriveva il fratello, ma si fece avanti per vedere a
cosa stava lavorando, per poter coglierlo ancora sul fatto mentre le sue mani
tamburellavano sui tasti. Stranamente, però, ora i movimenti sembravano del
tutto normali.
Possibile che se lo fosse solo immaginato? Eppure ne era
certa!
Scosse di nuovo la testa, per chiarirsi le idee e
concentrarsi su quello che stava facendo il fratello.
“Allora hai deciso di indagare?”
“Forse sarebbe più corretto di ficcare il naso!”
“Va beh, quel che è!”, ribatté lei secca. “Trovato
qualcosa?”
Era troppo curiosa in quel momento, per soffermarsi su
piccole sottigliezze come quelle.
“Allora?”, lo assillò di nuovo impaziente, dopo il lungo
silenzio del fratello.
Chris sbuffò e girò meglio lo schermo affinché anche sua
sorella potesse leggere quello che aveva trovato.
“Come tutto qui?”
Lo schermo mostrava si e no mezza pagina scritta con i
dati principali, quali la data e il luogo di nascita, i suoi ultimi domicili;
in effetti aveva viaggiato molto o almeno aveva cambiato spesso casa.
Chissà perché? Pensò subito Anna, cercando di immaginare
chissà quali strani e bizzarri motivi. Per il resto, non c’era nient’altro,
neanche una sua foto.
“oh…oh…”
Fremendo dalla bizzarra scoperta che, a quanto pareva, suo
fratello non aveva ancora notato.
“Guarda un po’ il cognome della ragazza!”
Chris si affrettò a leggerlo per capire l’eccitazione da
pettegola di Anna.
“Everard? Aspetta… ho già sentito questo cognome nella
nostra scuola…”
“Certo!”, confermò lei, con il tono di chi aveva finalmente
la prova che confermava delle sue teorie. “È lo stesso di quello stupido di
Gabriel!”
“Chi? Quello di cui tutti parlano perché probabilmente gli
danno una borsa di studio sportiva per la squadra di basket?”
Anna poté solo annuire, perché poi vennero interrotti da
loro padre.
“Ragazzi fra mezz’ora arriva vostro Zio Logan!”
I due ragazzi sbuffarono spazientiti, non appena Henry
andò dalla moglie nervoso, come sempre, quando quel loro strano zio veniva da
loro.
Anna era davvero disperata, non voleva per nulla al mondo
perdersi la festa di quella sera, neanche se le sue amiche sbavavano per lo
Zio. Si voltò a guardare il fratello ancora concentrato sul suo portatile.
Sapeva sarebbe arrivato un giorno in cui si sarebbe pentita, ma doveva
rischiare.
“Chris?” cercò di richiamare la sua attenzione, il quale
rispose mugugnando. “Potresti coprirmi per stasera?” chiese tutto in un botto.
Come diceva quel detto? Via il dente via il dolore?
Chris si voltò facendo girare con un colpo secco la sedia
e fissò la sorella.
“Perché dovrei farti un favore? Cos’hai da fare?”
“Semplicemente mantenere la mia popolarità! Cosa che tu
non hai e quindi posso accettare che tu non capisca” tentò di supplicarlo
facendo gli occhioni dolci. “per favore!”
Chris alzò gli occhi al cielo.
“Lo faccio solo perché se no ti vendicheresti!!”
“Grazie fratellino!”
Entusiasta Anna si fiondò nella camera a fianco per
chiamare le sue amiche e confermare la sua presenza alla festa e cominciare a
prepararsi, mentre il fratello spegneva il suo computer e scendeva in salotto
insieme ai suoi genitori nell’attesa dello Zio Logan.
Mezz’ora dopo Anna era pronta.
Senza pensarci si diresse verso la finestra della sua
camera e l’aprì con un mano mentre nell’altra aveva in mano la borsetta e le
sue scarpe. Era fuori di discussione uscire dalla porta. I suoi genitori
l’avrebbero di sicuro beccata. Si sedette con delicatezza sul davanzale della
finestra e saltò atterrò con molta delicatezza sull’erba, senza alcuna
difficoltà, come se fosse scesa da un muretto qualsiasi e non dal piano
superiore di una casa.
Senza fermarsi a pensare a quella che aveva sempre creduto
fosse la normalità, si avviò verso la staccionata del retro in punta di piedi
quando una calda e morbida voce, proveniente dalle ombre dietro di lei, la
bloccò.
“Piccola Anna dove stai andando così di nascosto?”
Anna sospirò sconsolata.
Era sempre stato in grado di eludere ogni scherzo o
possibile fuga sua e di suo fratello, da quando a memoria. Figuriamoci se lui
non se ne sarebbe accorto anche questa volta. Anna aveva sperato di riuscire ad
andarsene prima che lui arrivasse. A quanto pareva l’aveva fregata ancora una
volta. Riluttante si voltò ad affrontare l’uomo, ma, come sempre, una volta che
lo vedeva ne rimaneva abbagliata.
“Ciao Zio Logan!” fu l’unica cosa che riuscì a dire.
Abigail
si mise seduta sul suo nuovo letto. Strofinandosi gli occhi si guardò intorno.
Osservando meglio la sua spoglia camera. Sorrise al pensiero che, ora, poteva
finalmente permettersi di arredare come voleva la sua stanza senza doversi
preoccupare di doverla presto abbandonare.
Con una nuova forza nel cuore, si alzò di slancio dal
letto e con dei saltelli andò verso la finestra e guardò fuori. Il giardino
confinava con un bosco, che non aveva notato arrivando in macchina. La casa di
suo padre doveva trovarsi proprio al limitare della città. Abigail sorrise di
nuovo, non aveva mai amato particolarmente vivere lontano dalla natura. Era una
delle tante cose che condivideva con sua madre, anche lei soffriva alla
necessità di vivere in città.
Cercò di scacciare il peso angosciante della morte della
madre nello stesso attimo in cui il suo stomaco brontolò. Girò su se stessa e
prendendo un forte respiro si avviò verso la porta che dava sul corridoio e
scese al piano inferiore.
David stava apparecchiando il tavolo in attesa che Gabriel
tornasse con le pizze che era andato a prendere. Quando sentii la ragazza
scendere le scale si voltò verso la porta e la salutò con un sorriso.
“Ciao…Hai fame?”
Abigail annuì imbarazzata al sorriso caloroso del padre,
che nel frattempo le faceva segno di venire avanti e sedersi.
“Tra poco mangiamo…”
La figlia non fece neanche in tempo a sedersi che una
folata di aria gelida le scompigliò i capelli, annunciando l’arrivo di
qualcuno. Pochi istanti dopo si ritrovò davanti un ragazzo poco più grande di
lei, con la faccia arrossata dal freddo e con delle pizze in mano chiaramente
fumanti. Abigail fece un sorriso timido rendendosi conto di avere davanti il
fratellastro. La somiglianza con il padre non lasciava altri dubbi.
“Ciao Aby!” La salutò lui, facendola ben sperare visto il
nuovo soprannome affettuoso che aveva usato.
“Ciao…”, non riuscì a dire altro, interrotta da uno
spiacevole brontolio del suo stomaco che la fece diventare rossa. “Scusate…”
“Non preoccuparti”, la rassicurò Gabriel solidale. “se non
avessi assaggiato qualcosa in pizzeria, mentre aspettavo, anche il mio avrebbe
brontolato così!!”
Il silenzio cadde definitivamente sulla piccola e bizzarra
famiglia, mentre le pizze davanti a loro cominciavano a sparire. Come sempre il
primo a finire fu Gabriel che appoggiò i gomiti sul tavolo per reggersi il viso
mentre osservava sua sorella finire di mangiare. Dopo qualche attimo per parve
un secolo, si decise a fare la domanda che bramava una conferma.
“E’ vero che vivevi a Tokyo?”
Abigail si bloccò all’istante con il boccone sospeso sulla
forchetta, mentre David fulminava il figlio con lo sguardo.
“Che c’è?! Mica dovevamo legare?” chiese in un sussurro a
suo padre, il quale stava per rimproverarlo in modo più severo che solo uno
sguardo, ma la ragazza lo interruppe.
“Non fa niente…scusate la mia reazione…non è successo
niente!” cercò di tranquillizzare entrambi, poi voltandosi verso Gabriel annuì.
“Si, abitavamo a Tokyo, ma per quanto fossero belle le città dove abbiamo
vissuto, nullaè paragonabile alla
bellissima foresta che avete qui.” Disse con una luce accecante nello sguardo.
“Ho sempre amato la natura aperta, ma non sono mai riuscita a godermela più di
una breve vacanza!”
A quelle parole David si voltò di scatto verso la figlia
con una strana espressione sul volto.
“Cosa ti attira di più della natura aperta?”, le chiese
riutilizzando le sue stesse parole.
Gabriel non capì bene il senso di quella domanda e neanche
la reazione della sorella, che a quella domanda sembrò paralizzarsi giusto per
un battito di ciglia.
“Beh…” Abigail si fermò un attimo a pensarci. Sembrava
incerta su che parole usare. “Penso, il cielo con la sua infinità e il senso di
libertà che mi da.”
Gabriel sghignazzò a quelle parole. Lui aveva sempre
adorato la nobiltà e la forza che i lupi di quelle zone emanavano. Erano loro i
signori di quella foresta e lui ogni volta che di notte ne sentiva gli ululati
ne rimaneva affascinato.
David rinunciò a richiamare il figlio e cominciò a sparecchiare
la tavola.
“Domani andrai a scuola con Gabriel e ti farà vedere dove
andare. Comunque per l’iscrizione e il resto è già tutto a posto.” Disse dando
le spalle ai due ragazzi, mentre cominciava a lavare i pochi piatti.
Abigail si voltò a guardare il fratello che ormai era in
corridoio e con un sorriso la invitava a seguirlo di sopra nella sua stanza.
Appena entrò in quella piccola mansarda lui le passò un foglio.
“Sono le tue lezioni della settimana. Oggi sono andato a
informarmi in modo da non perdere troppo tempo domani mattina.” Le spiegò
velocemente mentre si buttava sul letto, attento a non pestare la testa.
“Grazie…” rispose automaticamente, poi si voltò a chiudere
la porta e si sedette sulla sedia della scrivania. “Ma tuo…ehm…nostro padre fa
sempre cosi?”
Gabriel si sistemò meglio sul letto, mettendosi le due
braccia dietro la testa e appoggiandosi alla testiera.
“In tendi domande cosi bizzarre?” Un lampo incuriosito gli
attraversò lo sguardo. “No, è la prima volta!” Rimase un secondo in silenzio.
“…e cosi ti piace il cielo?!” le chiese quasi con fare derisorio.
“Certo! Perché a te no?”
“No! A me no!” Le sorrise. “Preferisco avere la terra
sotto i piedi, con il suo odore di legno e umido talmente forte da sembra una
parete solida davanti a me…”
Abigail fece una smorfia disgustata da quella descrizione.
“Non puoi sapere quanto sia bella la libertà e il potere
che il cielo ti può donare…” cercò di spiegargli lei con uno sguardo quasi
sognate.
“Perché tu lo sai?”
“Beh…” la ragazza arrossì imbarazzata. “…no…ovvio che no!”
si affrettò a dire. “cerco solo di immaginarlo!”
Gabriel sorrise alla sorellina e sbadigliò.
“Certo! Certo!”
Abigail si sentiva le guance in fiamme. Si alzò dalla
sedia e sussurrando gli augurò una buona notte, prima di dirigersi verso la sua
camera.
Quando vi entrò chiuse la portaa chiave e andò con passo deciso verso la
finestra che spalancò senza esitare davanti all’aria gelida che le schiaffeggiò
il viso. Alzò lo sguardo versoil cielo
scuro e a tratti coperto di nuvole. Sorrise alle poche stelle. "Voi sapete cosa intendo..." sussurrò salendo e mettendosi accovacciata sulla davanzale. Un istante dopo si lanciò con entusiasmo nella notte...
Chiedo perdono per la
lunga assenza, ma con l’università e altri problemi ho avuto poco tempo e poca
ispirazione. Cercherò di postare il prima possibile i
prossimi capitoli.
Comunque fatemi sapere
cosa ne pensate finora. So che ancora non ho dato molti indizi, ma poco alla
volta dirò tutto.
Equinox
-
7 -
Incontri
Anna
e Chris quella mattina erano stati costretti ad andare a scuola con il classico
metodo di tutti, a piedi. Più passava il tempo e più Anna era preoccupata delle
conseguenze della cena della sera prima. Durante la serata era quasi certa che
lo zio non avesse detto nulla ai suoi genitori della sua fallita fuga, ma il
fatto che fosse rimasto a dormire da loro e che ora era a casa da solo con i
suoi genitori, non era certo una buona notizia. Del resto anche il fatto che li
avessero fatti andare a piedi a scuola proprio perché dovevano parlare tra
“adulti”, non prometteva niente di buono.
Un’altra nota dolente con cui iniziava quella giornata era
proprio il fatto che non essendo riuscita a scappare la sera prima aveva
saltato completamente la festa di McAllister.
Sospirò per la
millesima volta durante la strada e stranamente Chris si limitò a guardarla ma
non disse niente. Anche lui aveva la mente occupata quella mattina. Più che
occupata si poteva benissimo affermare che era rosa dalla curiosità verso la
nuova compagna che presto avrebbe conosciuto di persona. Era curioso di
scoprire se era come la descrivevano i suoi documenti che era riuscito a
trafugare dal server della scuola.
Brooke e Mary come ogni mattina ormai da anni stavano aspettando
Anna all’ingresso della scuola. Anna andò subito verso di loro e si limitò a
salutarle con un sorriso forzato, ancora demoralizzata per la sera prima.
Le ragazze dal canto loro non degnarono di una seconda occhiata Chris, il quale si diresse verso la sua
prima lezione con fin troppa velocità. Si voltarono verso la loro amica e
insieme entrarono a scuola.
Il silenzio nel trio era decisamente pesante, finchè
Brooke non ce la fece più.
“Come mai non sei venuta ieri sera?”
Chiese quasi in un sussurro, anche Mary approfittò della
cosa rincarando.
“Non ti sei neanche fatta sentire!”
Constatò quasi offesa.
Anna sospirò ancora, per prendere coraggio.
“Mio zio Logan mi ha beccato mentre stavo cercando di
raggiungervi.” Cercando di mostrare contegno verso i ragazzi che le passavano
vicine nel corridoio, proseguì. “Spero solo che non dica
niente ai miei. Come è andata?” si affrettò a chiedere
per distogliere l’argomento da se stessa.
Le due ragazze alzarono all’unisono le spalle.
“Al solito.” Tagliò corto Mary, ma
Brooke le lanciò un’occhiataccia. “Beh, diciamo che si è notata la tua
assenza.” Concluse velocemente sussurrando, come nella speranza di non farsi
sentire da Anna, la quale sospirò per l’ennesima volta.
“Era quel che temevo,
dannazione!!”
La campanella della prima ora suonò proprio in quel
momento e Anna ne approfittò per salutarle con la scusa che doveva andare
ancora al suo armadietto per prendere i libri corse via. Non sapeva che cosa le
era preso quella mattina, ma stranamente si era sentita un po’ a disagio con le
sue vecchie amiche. Immersa nei suoi pensieri svoltò l’ultimo angolo per
raggiungere il suo armadietto, quando andò a scontrarsi con qualcosa o qualcuno
che la fece cadere a terra.
Chris era arrivato al suo armadietto senza rendersi conto
che al suo fianco non c’era più sua sorella. Quando realizzò la cosa, scosse la
testa e sorrise da solo. Quella ragazza lo aveva assorbito cosi tanto già
adesso che non l’aveva conosciuta, che quasi gli vennero i brividi al pensiero
di come sarebbe stato dopo, una volta conosciuta. Con passo più lento e i libri
sotto il braccio avanzò verso la sua classe come se fosse stato un condannato a
morte.
Fortunatamente non c’era molta gente quando entrò e come
sempre andò in fondo all’aula al suo posto si sedette aspettando. Non passò
molto perché l’aula si riempisse e arrivasse il professore accompagnato da una
ragazza.
L’uomo si schiarì la voce per attirare l’attenzione degli
studenti.
“Ragazzi!!” li richiamò ancora,
quando tutti si furono seduti indicò la ragazza al suo fianco. “Lei è Abigail. Sarà una vostra nuova compagna. Arriva da…” si bloccò spostando lo sguardo sulla ragazza, forse non
si ricordava o non lo sapeva neanche lui da dove arrivava, quindi lei completò
la frase per lui senza nessuna timidezza.
“Arrivo da Tokio.”
Chris sorrise.
Niente di nuovo a parte il fatto che la ragazza sembrava
circondata da un alone di sicurezza, nonostante fosse in un posto nuovo per
lei. Di solito tutti i nuovi arrivati erano sempre un po’ timidi all’inizio, ma
lei no!
Il professore le indicò il banco al fianco di Chris. Non
era l’unico vuoto, ma forse perché lui nella sua materia, come in molte altre
era il migliore. Fatto sta che il suo passaggio tra i banchi fu accompagnato da
un vociare dei suoi compagni finchè il professore non mise a tacere tutti
iniziando la sua lezione quotidiana.
Chris le liberò il banco spostando le sue cose che aveva
messo sopra. Le sorrise.
“Benvenuta. Io sono Christian, ma per l’amor del cielo
chiamami Chris. Oddio il mio nome intero.”
Abigail gli sorrise.
“Non credo che ci sia bisogno che mi
ripresenti. Comunque piacere!” disse sedendosi al suo
posto e tirando fuori i suoi libri.
“Vedo che hai già tutti i libri…”
“Si, mio…ehm…fratello ha pensato
a tutto. Siaal
mio orario che hai libri.”
Chris cercò di mostrarsi confuso.
“tuo fratello?”
Abigail si voltò a guardarlo e rimase a fissarlo in
silenzio finchè lui non distolse lo sguardo.
“Beh in un certo senso è mio fratello.
Si chiama Gabriel, magari lo conosci. Lui ha sempre vissuto qui con nostropadre.” Rispose lei
alla fine.
“Cosa vuol dire che in un certo senso è tuo fratello?”
Sembrava un po’ titubante a spiegargli la cosa, quindi
Chris cercò di tranquillizzarla.
“Non fa niente se non vuoi dirmelo.” Cercando di
mascherare la sua delusione e la sua curiosità.
“No. Non fa niente, tanto da oggi
questa sarà la mia casa, quindi sarà inevitabile che la cosa, prima o poi,
venga a conoscenza di tutti.” Prese un profondo
respiro. “Io e Gabriel abbiamo in comune solo nostro padre, fino a qualche
settimana scorsa vivevo con mia madre finchè…finchè…” non riuscì più a
continuare e cercò di trattenere le lacrime voltandosi verso il suo banco e
aprendo il libro davanti a se.
“Scusa non volevo…” Bofonchiò Chris, dispiaciuto della
reazione della ragazza. Non era poi cosi difficile
immaginare qual’era la conclusione della frase della ragazza. “Mi dispiace.”
Abigail non disse nulla ma scosse la testa e continuò a
sfogliare il libro con molta più concentrazione di quanta ne
richiedesse la cosa. A quanto pare Chris era riuscito a toccare il tasto
dolente della ragazza, non che ne andasse fiero di questo.
Il resto della lezione la passarono cosi in silenzio.
Quando Anna alzò lo sguardo per vedere chi era il colosso
che l’aveva fatta finire per terra e che, oltretutto, le stava facendo
rischiare di arrivare tardi allaprima ora, sbarrò lo sguardo.
“Everard!” esclamò irata.
“Sai Hallgham!! Mi sono sempre
chiesto perché mi odiassi tanto!!” disse Gabriel
porgendole una mano per aiutarla ad alzarsi. Anna guardò per un attimo la mano
e poi Gabriel. Lo ignorò e si alzò da sola cercando di sistemarsi in fretta i
vestiti e raccogliendo la borsa.
“Io non ti odio!” esclamò lei con voce troppo contrastante
con le sue parole.
Gabriel sghignazzò. “Non si direbbe!”
La ragazza sbuffò e oltrepassandolo si diresse al suo
armadietto per prendere i libri. Quando lo chiuse, si ritrovò davanti ancora il
ragazzo che la fissava appoggiato alla fila di armadietti con la spalla.
“Everard che diavolo vuoi?” Le chiese un po’ troppo
acidamente.
Il ragazzo continuò a fissarla sorridendo.
“Gira voce che ieri sera non fossi alla famosa e
imperdibile festa di McAllister.”
Parlando dell’evento con fare derisorio. “Mi chiedevo il motivo per cui ti
fossi persa un evento di vitale importanza sociale!!”
la sbeffeggiò ancora.
“Non sono affari tuoi Everard!” sbottò lei.
“Ti sembrerà strano, ma invece ti sbagli.” Fece una pausa
guardandola, perché lei si era fermata a quelle parole. Sorrise maliziosamente
e proseguì. “Vedi, a quanto pare, mancavamo solo noi due e tuo fratello!”
Anna sapeva benissimo dove voleva andare a parare, ma non
disse niente e riprese a camminare verso l’aula. Non gliel’avrebbe data vinta.
Gabriel la raggiunse in un attimo, affiancandola.
“Come tu saprai bene. In questa scuola le voci corrono
veloci, come anche la fantasia.”
Anna si voltò veloce verso di lui, fulmina dolo con lo
sguardo.
“Stai per caso insinuando che penserebbero che io mi sarei
persa la festa per…” e con un gesto di disgusto indicò lui e poi molto
teatralmente rabbrividì.
“Io non sto insinuando niente! Ma
c’è già qualcosa nell’aria.” Buttò la ‘bomba’ un secondo prima di aprire la
porta dell’aula ed entrare lasciandola imbambolata lì di fuori.