Seen (Io Sì!)

di Scheherazade_Reim
(/viewuser.php?uid=687357)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


SEEN (IO SI)

Written by Scheherazade Reim

 

“… Quando impari a sopravvivere
E accetti l'impossibile
Nessuno ci crede, io sì”


Correva veloce su per le strade della città con i piedi scalzi non curandosi minimante del dolore che poteva provare a contatto con l’asfalto.
In quel momento non era importante e dei semplici graffi che sarebbero guariti all’alba erano l’ultimo dei suoi problemi.
L’aria entrava nei polmoni troppo rapidamente, bruciandoli e ferendo ad ogni piccolo sforzo che faceva e la meta ancora sembrava lontana.
Doveva andare da lei.
Doveva raggiungerla.

Il palco era stato allestito al centro di uno dei parchi più belli della città, sembrava tutto così lontano dal ghetto di Musashi, pensò il giovane trovandosi proiettato in un mondo completamente diverso.
La folla gremita era in religioso silenzio e se si sforzava poteva sentirla, anche senza il suo udito di demone, poteva sentire la voce di lei che cantava.

“Non lo so io
Che destino è il tuo
Ma se vuoi
Se mi vuoi sono qui
Nessuno ti sente, ma io sì”

Il giovane era fermo davanti all’entrata del parco.
Il petto si alzava e si abbassava ad un ritmo frenetico mentre poteva sentire le piante dei piedi che dolevano per quello sforzo, ogni respiro che faceva era una pugnalata ma doveva raggiungere “lei”.
I suoi occhi non riuscivano ancora a scorgerla, ma sapeva che adesso cominciava la parte più difficile: superare gli addetti alla sicurezza.

« Oh bene, finalmente sei arrivato Inuyasha! Cominciavo a perdere la speranza.»

Il giovane dai lunghi capelli neri sobbalzò al sentire la voce maschile che si rivolgeva a lui, gli occhi spalancati nella sorpresa ma felici di rivedere quello che aveva imparato a considerare un amico.

« Andiamo, lei ti aspettando.»

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


“702, hanami street
Musashi”

Il palazzo fatiscente che si trovava davanti ai suoi occhi non era affatto quello che si aspettava.
L’edera aveva avvolto completamente il cemento, soffocandolo e rendendo la struttura molto debole ai suoi occhi e pronta a cadere da un momento all’altro.
C’erano tante piccole finestre e alcune avevano il balcone dove stendevano i panni, facevano crescere qualche piantina e dai quali sentiva provenire diversi profumi, principalmente erano spezie ma si poteva anche sentire il profumo dei fiori se qualcuno si concentrava attentamente.
Il ghetto di Musashi era frequentato da umani, demoni e mezzodemoni che non potevano permettersi di vivere nella parte commerciale della città che si stava espandendo sempre di più; una sorta di quartiere popolare in tutto e per tutto.
Kagome rilesse velocemente l’indirizzo sulla busta che aveva tra le mani prima di avvicinarsi al citofono del palazzo.
Nel complesso vivevano tantissime persone, tante famiglie e anche numerose a giudicare dal via vai che vedeva. Ci volle qualche minuto, ma finalmente trovò il cognome che le interessava e inserì il codice nel tastierino digitale e premette il pulsante con la campanella.
Passarono alcuni istanti prima che sentì una vocina infantile rispondere.
Chi è?”
«Ciao, sono Kagome! Sono una vecchia allieva della signora Kaede, è in casa per caso?»
“La nonnina è in casa, devi salire al sesto piano.”
Ci fu un rumore sordo e metallico e il portone fatiscente si aprì per lei lasciandola entrare.
Doveva andare al sesto piano e per sua sorpresa c’era anche un ascensore.
Certo, pensò Kagome, era uscito dal medioevo e probabilmente non veniva nemmeno curato ma era meglio di nulla.
Una volta entrata in quella specie di gabbietta metallica premette il numero 6, trasse un profondo respiro e cigolando cominciò a salire molto lentamente.
“Avrei fatto prima a piedi”, pensò sconsolata la ragazza prima di sospirare profondamente e tornò a guardare la lettera tra le mani.
La lettera era di Kaede, sua vecchia tutrice, quando lei e sua sorella erano molto piccole e la madre non era in casa c’era lei che si occupava di loro.
Grazie a Kaede avevano imparato moltissimo, sapevano sopravvivere e prendersi cura di loro stesse e grazie ai suoi preziosi insegnamenti avevano trovato la strada per il futuro.
Quando la madre di Kagome era venuta a mancare, lasciandole da sole con un fratellino a cui badare, non avevano perso tempo a rimboccarsi le maniche per occuparsi di tutto e raggiungere il loro sogno e nel mentre fare il possibile perché anche Sota potesse arrivare dove desiderava.
Kagome ogni tanto si teneva in contatto con Kaede.
Era solita telefonare, mandare qualche regalo nelle occasioni speciali eppure non era mai riuscita a passare a trovarla prima di ricevere quella lettera da parte sua.
L’ascensore si fermò al piano con un violento sobbalzo tanto da farla spaventare, un rumore metallico e gracchiante e sentì che poteva aprire la porta in sicurezza, per così dire si ripeté mentalmente, andando finalmente sul piano che le interessava.
Non ebbe problemi a trovare l’appartamento che cercava.
Sul piano c’era veramente molta confusione, musica e gente che parlava a voce alta e anche in una lingua diversa dalla loro, ma dal fondo vide dei bambini che uscivano e si guardavano attorno. Erano un cucciolo di demone volpe, una bambina umana e forse anche un mezzo demone.
Quando la videro, facile da riconoscere visto il suo essere spaesata, le fecero cenno agitando le piccole braccia entusiaste e Kagome li raggiunse con un sorriso.
«Ciao, piacere di conoscervi. Mi chiamo Kagome.»
«Piacere nostro, La nonnina aveva detto che saresti passata, entra pure. Io mi chiamo Shippo. »
A farla passare era il piccolo demone volpe e sembrava quello più esuberante dei tre. Gli altri bambini la salutarono con un cenno del capo, senza presentarsi, dimostrando una grande timidezza dopotutto.
Kagome decise di non insistere con loro per il momento, limitandosi a sorridere alla loro dolcezza e decidendo di entrare finalmente nella casa di Kaede.
L’appartamento era piccolo, profumava di fiori freschi e c’erano mobili antichi e vecchie fotografie sparse un po’ ovunque. Non era molto grande, ma sembrava che vivessero in molti in quel luogo. Shippo richiuse la porta alle sue spalle, sorridendo e facendole cenno di seguirla verso quella che era il soggiorno dal quale sentiva provenire il vociare tipico di una televisione accesa.
Kaede era seduta comodamente su una poltrona, gli occhi stanchi, segnati dalla vecchiaia anche loro, intenti a seguire il telegiornale del pomeriggio attraverso un vecchio tubo catodico.
Kagome si prese un momento per osservarla e sorrise nel vedere che nonostante le rughe, i lunghi capelli ora grigi, gli occhi stanchi, non era cambiata ed emanava la stessa energia gentile e sicura. Shippo si accomodò a terra, seduto davanti a un tavolino dove aveva lasciato un foglio di carta con dei bellissimi disegni che stava colorando tutto contento.
« Signora Kaede …?»
La donna spostò lo sguardo dalla televisione, riavendosi improvvisamente e guardandola con occhi colmi di gioia. Si alzò dalla poltrona e con passi lenti la raggiunse per abbracciarla.
« Kagome, bambina mia, sono felice che tu sia venuta. Lasciati guardare … Sei diventata davvero una bellissima ragazza.»
La ragazza sorrise a quel complimento dell’anziana donna.
« Vieni, accomodati pure. Non restare in piedi, anzi ne approfitto e vado a preparare del caffè così avremo modo di parlare con calma. Mi devi raccontare tutto.»
« Oh no, signora Kaede, la prego non si disturbi! Non mi deve offrire nulla, davvero.»
« Insisto, per cui accomodati e fai la brava.»
Kagome si lasciò scappare una risata davanti a quel tono autoritario che le ricordava molto quando era bambina, irrequieta e nervosa, Kaede soleva spesso rimproverarla e “minacciarla” con la privazione della merenda per fare i compiti che le erano stati assegnati a scuola.
C’era un divano accanto alla poltrona dove sedeva Kaede.
Era un vecchio modello in pelle con sopra una coperta ricamata a mano dai motivi floreali, vi si accomodò e seguì Kaede con lo sguardo mentre andava verso la cucina per preparare il caffè da servirle.
Il telegiornale in televisione sembrava prossimo alla conclusione, pensò Kagome, dal momento che avevano lasciato perdere le notizie più importanti per concentrarsi su argomenti sportivi e mondani.
“… parlando di successo, naturalmente, non possiamo non nominare la bellissima Lily. Pseudonimo della giovane cantante e pianista Kikyo Higurashi, per i suoi cinque anni di successi ha deciso di devolvere parte dei suoi guadagni alla ricerca sulle malattie congenite ed ereditarie. Ecco a voi il servizio sul suo ultimo successo … “
Kagome sorrise davanti a quelle parole e guardò rapita le immagini riprese e montate ad hoc per quel servizio.
“Devo ammettere che ho fatto un bel lavoro con questa canzone.”
La soddisfazione nel sentire i suoi testi apprezzati da tutti, seppure nessuno sapesse la sua vera identità, la rendeva orgogliosa e vedere la sua bellissima sorella ripresa sullo schermo come una Dea per quel suo splendido talento la faceva sentire
Shippo stava continuando a disegnare senza davvero guardare la televisione, ma sentendo la canzone aveva iniziato a muovere la coda, soffice e voluminosa, a ritmo.
« Shippo … » lo chiamò Kagome, attirando l’attenzione del giovane demone volpe. «Ti piace questa canzone?»
Il piccolo demone annuì con il capo, gli occhi smeraldini non nascondevano il suo entusiasmo che ricordava tanto quello di un bambino.
«Si, mi fa sentire allegro e felice. Tutti qui ascoltiamo le canzoni di Lily, sono le più belle perché parlano di persone comuni che riescono a realizzare i loro sogni.»
Shippo non sapeva che era lei a scrivere quelle canzoni, ma a Kagome andava bene restare nell’anonimato per dare tutto il merito e il successo a sua sorella maggiore. Lo meritava davvero.
« Sai, Shippo, io conosco qualcuno che conosce personalmente Lily. Potrei farti avere un cd autografato, se ti piace così tanto.»
Gli occhi del piccolo demone sembravano illuminarsi ancora di più e lasciò perdere il disegno che stava facendo.
« Davvero?»
«Certo!»
«Sarebbe bellissimo! Ah, però non lo trovo giusto perché non saprei cosa darti in cambio e poi gli altri ne vorrebbero uno anche loro.»
Il piccolo demone volpe sembrava seriamente combattuto su quella proposta e Kagome decise di andargli incontro con una controproposta.
« Facciamo così, allora: ne riceverai uno, senza nessuna dedica particolare, ma rivolto a tutti quelli che abitano qui e non mi devi dare niente in cambio. Anzi, forse un disegno andrebbe benone.»
Un occhiolino in direzione di Shippo e vide tutti i suoi dubbi, le sue preoccupazioni, svanire completamente lasciando il posto solo alla gioia. Lo vide annuire in modo energico con il capo e Kagome comprese che avevano un accordo.
In quel momento, Kaede rientrò in soggiorno con un vassoio su cui erano posate due tazzine che emanavano un profumo davvero molto invitante. Kagome si affrettò ad alzarsi per aiutarla, vedendola in difficoltà, ma fu subito fermata da un’occhiataccia della donna.
Posò il vassoio sul tavolino dove Shippo stava disegnando mentre quest’ultimo si affrettava a raccogliere i suoi schizzi per poi uscire dal soggiorno con un bel sorriso sulle labbra. Sembrava davvero contento per la proposta che Kagome gli aveva fatto e ne era a sua volta felice la ragazza.
«Zucchero?»
«No, grazie.»
Si affrettò a rispondere la ragazza prima di prendere la tazzina che le veniva gentilmente offerta. L’aroma era così intenso e gradevole che non voleva guastarlo aggiungendo del banale zucchero, vide Kaede, invece, prendere due cucchiai di zucchero e andò a sedersi nuovamente sulla poltrona sistemando il suo scialle sulle spalle.
«Sono contenta che sei venuta, Kagome, ti ho scritto di passare quando volevi ma temevo che con i tuoi impegni non saresti mai riuscita ad arrivare in tempo.»
«Signora Kaede, la prego, non dica così! Sarebbe venuta anche Kikyo, ma sa lei …»
«Lo so, tranquilla bambina mia, dopotutto in questa casa tra i bambini non si fa che parlare di lei e di te anche di conseguenza.»
«Quindi sapete che…»
«Che scrivi tu le sue canzoni?» conclude Kaede mentre prendeva un sorso di caffè dalla sua tazza. «Santo cielo, bambina mia, sono in età avanzata ma ancora mi ricordo le bellissime poesie che scrivevi e la passione che hai sempre avuto per la grammatica.»
Kagome prese un altro sorso di caffè prima di lasciarsi scappare una risata davanti a quel commento energico, ma era ovvio che lo sapesse. Era ovvio che la donna sapesse tutto.
«Non le si può proprio nascondere niente vero, signora Kaede?»
«Assolutamente no!»
Kagome sorrise nel vedere che la sua vecchia tutrice, la sua vecchia tata per così dire, nonostante l’età avanzata non fosse cambiata minimamente.
Era sempre piacevole ritrovare una vecchia conoscenza e scoprire che non vi erano stati cambiamenti nel tempo, spesso ingiusto e crudele con le conoscenze e gli affetti.
«Mi ha sorpreso vederla a vivere… qui…»
Si trattenne dal dire la parola “ghetto”, dopotutto non era molto lusinghiera ed era molto sorpresa di quella situazione.
«Nel ghetto, vuoi dire?»
Kagome si morse le labbra davanti a quell’audacia da parte dell’anziana donna. Per un lungo istante si chiese se non avesse osato troppo, ma Kaede si lasciò sfuggire una debole risata prima di finire di godersi il suo caffè.
«Davvero, bambina, non devi farti tutti questi problemi. Il ghetto è il ghetto, dopotutto. Ho scelto io di vivere qui, avevo bisogno di fare qualcosa che mi facesse sentire utile una volta andata in pensione. E così mi occupo dei bambini che non hanno una famiglia o un posto dove andare.»
Kagome si godette gli ultimi sorsi di quel caffè davvero ottimo mentre rifletteva sulle ultime parole pronunciate dall’anziana donna, aveva persino risposto ad una domanda che non aveva fatto e che comunque aveva intenzione di fare anche per capire il senso di quel suo improvviso invito contenuto nella lettera ricevuta.
«Signora Kaede, per quale motivo sono qui? Nella lettera accennavate alle vostre condizioni di salute.»
Lo sguardo della donna cadde sul fondo della sua tazzina che teneva tra le mani appoggiate sulle gambe, Kagome la guardava con crescente apprensione mentre aspettava con pazienza una risposta.
«E’ un cancro ai polmoni, bambina mia, oramai mi restano pochi mesi.»
Le parole si abbatterono su Kagome con la forza di un macigno scagliato da una catapulta medievale. I suoi occhi si sbarrarono per lo stupore davanti a quell’affermazione, lasciandola sgomenta e incapace di replicare. Kaede doveva averlo capito per questo le rivolse un sorriso, era pieno di amarezza e rimpianto, poteva ben vederlo, ma ugualmente le sorrideva gentile per rassicurarla.
«Non essere triste, ho vissuto la mia vita appieno, ma non è solo per la mia salute che ti ho chiesto di venire qui oggi. C’è qualcosa che vorrei chiederti ed è molto più importante.»
Il rumore sordo del citofono colse Kagome di sorpresa facendola sobbalzare sul posto, sentì un rumore di passi e vedi di nuovo il piccolo demone volpe che correva a rispondere al citofono.
«Chi potrebbe essere a quest’ora?» si domandò Kaede, perché oltre a Kagome non si aspettava di ricevere altre visite per quella giornata.
Il piccolo demone entrò di corsa in soggiorno fino a raggiungere Kaede, sorridendo contento e pieno di rinnovata energia.
«E’ tornato Inuyasha, nonnina! È tornato Inuyasha!»

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** capitolo 2 ***


Kagome sbatté le palpebre chiaramente confusa.
Il piccolo demone volpe saltellava quasi sul posto prima di allontanarsi per andare a chiamare gli altri bambini che vivevano nell’appartamento.
“Deve essere una persona molto importante se tutti lo aspettano.”
Non appena ebbe formulato quel pensiero la sua attenzione tornò a Kaede. Quest’ultima non sembrava essere dello stesso umore dei bambini, una nota di preoccupazione attraversò il suo sguardo prima di sospirare e alzarsi dalla poltrona per posare la sua tazzina sul tavolo assieme a quella di Kagome.
«Va tutto bene, signora Kaede?»
«Speravo avessimo più tempo di parlare,» rispose Kaede con un sospiro prima di tornare a sedersi, adesso Kagome era ancora più confusa.
Chi stava per entrare da quella porta?
«E’ davvero così grave?» si trovò a chiedere Kagome, incapace di trattenere oltre quella domanda che la stava assillando. L’anziana donna scrollò semplicemente le spalle.
«Vedremo.»
Kagome deglutì pesantemente davanti a quelle parole e già immaginava i peggiori scenari possibili. Si era preparata a tutto, ma non a quello che entrò dalla porta cigolante.
«Sono tornato…!»
La voce maschile fu accompagnata da una serie di passi che altri non erano quelle dei bambini di poco prima, intenti a correre veloci e rapidi per raggiungere l’oggetto della loro attenzione; sicuramente erano quelli più entusiasti.
«Sei tornato presto, Inuyasha!» esclamò una voce infantile, femminile, probabilmente apparteneva alla bambina che aveva visto prima.
«Avete fatto i bravi mentre non c’ero?»
«Certo, cosa credi?» rispose quello che doveva essere Shippo con un tono molto orgoglioso rivelando essere una sorta di “capo”, per così dire, rispetto agli altri bambini.
Kaede non parlava e questo lasciava la ragazza sempre più confusa riguarda a quel suo ospite che non tardò a presentarsi in sala.
«Sono tornato…» aggiunse di nuovo rivolto solamente a Kaede, quasi non si era accorto della loro ospite e questo diede modo a Kagome di osservarlo attentamente.
I suoi occhi stavano guardando quello che era fuor di ogni dubbio un mezzo demone – le piccole orecchie da cane che spuntavano dalla chioma argentea dei suoi capelli erano sicuramente una prova evidente –
Era molto affascinante, aveva un fisico non eccessivamente muscoloso e snello, almeno ad una prima occhiata pensò Kagome, gli abiti sportivi che indossava ne valorizzavano l’aspetto forse più di qualsiasi altra cosa potesse mettere e per un momento fu attirata da quegli occhi dorati con la pupilla a fessura che gli donavano un aria molto più animalesca di quanto il suo aspetto potesse tradire.
«Bentornato, Inuyasha.»
«Non sembri contenta di rivedermi, vecchia Kaede.»
«Lo sarei se mostrassi un po’ più di rispetto verso questa casa e verso la tua persona, Inuyasha.»
La tensione attraversava l’aria con scariche elettriche che quasi potevano essere viste ad occhio nudo. Kagome si sentì improvvisamente fuori luogo; voleva sapere perché era stata chiamata lì, ma allo stesso tempo non poteva restare e rischiare di finire coinvolta in problemi familiari che non la riguardavano.
Si affrettò ad alzarsi dalla poltrona, smartphone alla mano per controllare l’orario.
«Signora Kaede, la ringrazio per l’ospitalità ma ora devo tornare a casa.»
«Vai già via?»
L’anziana donna sperava che Kagome si fermasse qualche minuto in più, doveva necessariamente parlarle ma l’arrivo intempestivo di Inuyasha aveva cambiato quelli che erano i suoi piani iniziali. Tuttavia capiva la necessità e la situazione e decise di non fare ulteriormente pressione; Kagome era sempre stata molto attenta e coscienziosa dopotutto.
Inuyasha si voltò a guardare la ragazza, tanto era la sua concentrazione su quel saluto, su quel momento familiare, da non aver quasi fatto caso al delicato profumo di fiori che non apparteneva a quell’appartamento.
Il mezzo demone si concesse qualche istante per osservarla.
Aveva un bel corpo snello e sinuoso con le forme al posto giusto, l’aspetto era curato ma il trucco non era particolarmente pesante e per lo più voleva far esaltare gli occhi nocciola di lei. Non era certo una ragazza del ghetto e proprio per questo era meglio se tornava al suo mondo.
«Si, ho un impegno con mia sorella però tornerò presto a trovarla signora Kaede, promesso.»
Il mezzo demone era ancora intento a fissarla, quando lei si volse verso di lui lasciando che i loro sguardi s’incrociassero per un brevissimo lasso di tempo. Kagome fece un semplice inchino, un banale cenno del capo e decise di recarsi verso la porta senza guardare oltre quegli occhi dorati; aveva paura di perdersi se li avesse guardati troppo a lungo.
Prese così congedo da quell’appartamento tornando a respirare con molta più calma e serenità.
C’era così tanta tensione nell’aria che non aveva nemmeno voluto prendere un istante per presentarsi al mezzo demone, Kagome aveva scelto di rimandare la cosa a quando sarebbe potuta tornare in quel luogo ma adesso doveva tornare a casa e parlare con sua sorella e suo fratello – il lavoro non si sarebbe potuto fermare.

Inuyasha era rimasto alcuni istanti immobile mentre imprimeva nella sua mentre l’odore di quella giovane donna che mai aveva visto.
«Chi era quella ragazza?» domandò il mezzo demone tornando a guardare l’anziana donna, il suo sguardo serio e accusatore, per certi versi plausibile, non gli piaceva per niente. Kaede aveva quella brutta capacità di farlo sentire sempre un bambino. Un bambino che commetteva errori, sbagliava e non sembrava capire come andava il mondo.
Lui non era un bambino e conosceva il modo in cui il mondo girava.
«Inuyasha, quando la smetterai di venderti a Naraku?» domandò a sua volta la vecchia Kaede, non era incline a rispondergli, non ad una domanda tanto banale, ma voleva mettere in chiaro alcune cose dopo che finalmente aveva deciso di tornare a casa. Inuyasha rimase in silenzio, senza rispondere a quella domanda proprio come aveva fatto l’anziana donna, lasciava a lei il compito di parlare e di esporre quello che era il suo pensiero.
«Non mentirmi, Inuyasha, so bene che i soldi per le mie cure e quelli per tutti noi arrivano dai lavori che svolgi per quella creatura riprovevole. Non puoi continuare in questo modo!»
«E sentiamo, vecchia, quale sarebbe la tua soluzione? Mn? Dimmelo, avanti, sto ascoltando!»
Inuyasha non era mai stato bravo con le parole, non era mai stato in grado di esprimere la gratitudine verso Kaede e verso il suo “rifugio”, ma quei lavori erano l’unica cosa che un mezzo demone come lui potesse svolgere nel ghetto.
Non era umano.
Non era un demone.
Nessuno aveva davvero bisogno di lui, nessuno si curava di quello che faceva e nessuno sembrava davvero guardarlo quando faceva qualcosa. Tutti erano uguali, ad eccezione di Kaede.
Lei gli aveva offerto una casa, un posto dove vivere e una famiglia che non si era mai sognato di avere. Per questo quando la salute dell’anziana donna era andata a peggiore, deciso a sostenere quella sua “famiglia”, aveva fatto l’unica scelta sensata per salvare tutti quanti.
L’anziana donna lo sapeva.
Sapeva il motivo per cui il mezzo demone si dedicava ad incontri clandestini, faceva piccoli furti o peggio ancora per colpa di un demone come Naraku e proprio per questo non riusciva a sopportarlo.
«Inuyasha, non ho bisogno che tu faccia questo per me.»
«Infatti non lo faccio solo per te, ma anche per Shippo e gli altri bambini che vivono in questo luogo dimenticato da tutti. Per cui non farmi la predica, d’accordo. Vado a farmi una doccia, sono stanco.»
Kaede sospirò in modo pesante mentre rilassava la schiena contro la poltrona e si portava due dita a picchiettare la fronte. Oramai non sapeva più cosa fare, aveva esaurito le parole e le forze e tutto quello che rimaneva di quella conversazione era solo il sottofondo di un telegiornale che parlava di un’aggressione di alcuni demoni per il controllo di una parte del territorio del ghetto.
Si trattenne dal chiudere di scatto la porta del bagno solo per evitare che gli altri ospiti della casa potessero arrivare, preoccupati a sufficienza, facendo domande alle quali Inuyasha non poteva dare nessuna risposta.
“Quella vecchia coriacea dalla testa dura!” brontolò nella sua testa mentre si toglieva la felpa che aveva indosso.
In un momento colse la sua immagine allo specchio.
Il suo corpo era segnato da alcuni lividi che sarebbero spariti nel giro di qualche giorno. Non era muscoloso, non nella maniera che gli umani pensavano, dopotutto per i demoni a fare la differenza non era la prestanza fisica ma piuttosto il potere demoniaco che ereditavano.
In quel momento Inuyasha si soffermò a guardare le orecchie da cane che spuntavano tra i capelli argentei; una prova evidente.
La natura si era presa gioco di quelle creature ibride che erano mezzo demoni concedendo loro un modo per distinguersi, per così dire, dai demoni e dagli esseri umani. In alcuni casi la differenza era così minima che gli esseri umani non se ne rendevano conto; ma erano casi rari.
Dalla tasca dei pantaloni sentì provenire il fastidioso ronzio della vibrazione dello smartphone. Lo prese dalla tasca e guardò la notifica che gli era arrivata; era un messaggio di Byakuya, uno dei sottoposti di Naraku.

“Carissimo Inuyasha,
questo messaggio solo per ricordarti che tra tre giorni ci sarà il prossimo incontro a cui dovrai partecipare. Ci sono in ballo molte scommesse e Naraku, naturalmente, si aspetta che tu esegua gli ordini come da copione abituale. Non ci deludere, Inuyasha, altrimenti saremo costretti a chiedere il risarcimento a quella dolce nonnina di cui ti prendi cura.”

Nel silenzio più totale appoggiò il telefono sul bordo del lavandino, le mani appoggiate ai bordi e il capo chino mentre la rabbia montava dentro il petto di Inuyasha rendendolo simile ad un vulcano pronto ad esplodere.
Il mezzo demone sapeva che non aveva scelta e il solo modo per fare fronte alle spese mediche di Kaede, oltre che all’affitto e al cibo per gli altri bambini, doveva necessariamente accettare il lavoro che Naraku gli dava da compiere.
Non poteva evitarlo.
Tutti nel ghetto, prima o poi, lavoravano per Naraku poiché era il solo che dava impiego a chiunque senza fare delle vere distinzioni – dovevi solo essere pronto a sporcarti le mani, come tutti.
Lasciò la presa sul lavello, ispirando profondamente e cercando di placare la propria furia per non distruggere niente che poi avrebbe dovuto ricomprare.
“Devo resistere …”
Lo ripeteva come un mantra nella sua mente mentre finiva di spogliarsi e apriva l’acqua per fare una doccia rigenerativa.
Per qualche minuto, sotto il getto tiepido dell’acqua, voleva dimenticare tutti i suoi pensieri e concentrarsi unicamente su quello che poteva fare mentre aspettava l’arrivo dell’incontro. Inuyasha si trovò a domandarsi nuovamente chi fosse quella ragazza che stava parlando con Kaede.
Il suo profumo era buono, gradevole e sembrava familiare come il ricordo di un sogno lontano.
Lo detestava e amava allo stesso tempo.
Lo scroscio dell’acqua coprì parzialmente il ronzio della vibrazione dello smartphone. Inuyasha, infastidito, chiuse momentaneamente il getto di acqua per uscire dal box e prendere in mano in telefono.
Sullo schermo apparve un nome, “Sesshomaru”, in meno di un istante premette il pulsante per chiudere la telefonata e spense il telefono tornando così a godersi in pace la doccia.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3966099