I've got you, brother

di Eevaa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Da zero a cento ***
Capitolo 2: *** Uomo di scienza, uomo di fede ***
Capitolo 3: *** Mental-breakdown ***
Capitolo 4: *** Buio ***
Capitolo 5: *** Fratello ***



Capitolo 1
*** Da zero a cento ***


Disclaimer:
Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte dell'universo di Dragon Ball sono di proprietà di Akira Toriyama© e Toei Animation©. 
Non concedo, in nessuna circostanza, l'autorizzazione a ripubblicare questa storia altrove, anche se creditata e anche con link all'originale.
I diritti delle immagini non mi appartengono.
Nessun copyright si intende violato.

 

Attenzione: questa storia presenterà dramma, linguaggio molto scurrile, dramma, tematiche delicate, dramma... ho detto dramma? Ecco, parecchio dramma. Se non siete amanti di questo genere vi sconsiglio caldamente di immergervi in questi capitoli. 
Giusto per darvi un poco di contesto la storia si svolgerà dopo il Torneo del Potere, non ci saranno riferimenti alle saghe successive del manga (quindi niente spoiler), e sarà narrata dal punto di vista di Vegeta. 

Buona lettura!



 

I've got you, brother -


Capitolo 1 
Da zero a cento


 


Quello sì che era stato uno scontro soddisfacente!
Non che non ce ne fossero stati di entusiasmanti negli ultimi mesi, ma combattere contro quel gigantesco ammasso di buoni propositi e poca materia grigia che tutti chiamavano Goku era sempre appagante. Era un po' come tornare a casa dopo tanto tempo.
Ma cosa ne voleva sapere Vegeta, di casa?
Aveva vissuto la maggior parte della sua vita a zonzo tra i pianeti, in compagnia di due facce da cazzo e sotto il dominio di una faccia da cazzo ben più grande.
Casa era esplosa quando lui era solo un moccioso con la coda spelacchiata e la frangetta da imbecille.
Un gran trauma, a ripensarci, nonostante l'iniziale reazione fosse stata di menefreghismo - come sempre.
Vegeta non aveva mai imparato a esternare le emozioni in modo corretto. Ed era un eufemismo. La sua emotività passava dalla completa apatia condita da faccia di bronzo a un esplodere in urla, insulti, manifestazioni distruttive di vario genere. Senza niente in mezzo. Da zero a cento, letteralmente.
Tutto il resto era ben nascosto sotto strati di muscoli e una corazza d'orgoglio dura come una noce di cocco.
Noce di cocco che più e più volte la sua bella moglie gli aveva tirato dietro, durante i loro più prominenti litigi dovuti al fatto che lei fosse l'essere più cocciuto sulla faccia del mondo e dei dodici universi.
Vegeta non avrebbe mai pensato di trovare nel cosmo un essere così insopportabile e delizioso allo stesso tempo. Così come non avrebbe mai pensato che ci sarebbe mai stato un altro posto che avrebbe potuto chiamare casa, famiglia.
E invece soggiornava da oltre dieci anni in quel gigantesco agglomerato di fango e incapaci comunemente denominato Terra. Aveva una moglie, due mocciosi a seguito - tre, se si voleva contare anche il figlio minore dell'interdetto che aveva di fianco, oramai diventato associazione a delinquere con Trunks - e una bizzarra congrega di genuini idioti incompetenti ai quali, suo malgrado, aveva imparato a stare intorno.
Senza dimenticare l'immancabile deficiente al suo fianco, un ragazzone dalla faccia imbecille contornata da capelli ancora più imbecilli, vestito da imbecille che sorrideva come un imbecille.
Era il suo rivale da tempo immemore e la cosa più vicina che si potesse definire "amico" che avesse mai avuto. Il fratello scemo del suddetto, Radish, e Mastro Lindo gigante con i quali viaggiava nello spazio, aveva potuto considerarli amici solo fino a un certo punto. E il certo punto era che lui era sempre stato un grandissimo figlio di puttana.
Anche con Kakaroth, il cretino sopracitato, era stato un figlio di puttana. A lungo, con ridondanza. Forse lo era ancora.
Eppure quel saiyan di terza classe senza alcuna classe aveva saputo vedere del buono in lui, immediatamente, già dal primo incontro. Proprio in quell'esatto deserto roccioso dimenticato dalle divinità terrene in cui si trovavano in quel momento insieme, a gambe a penzoloni giù da un dirupo e con gli occhi rivolti al tramonto con placida noncuranza.
Kakaroth - che tutti sulla Terra chiamavano erroneamente Goku; quale nome più stupido per un guerriero! – gli aveva risparmiato la vita quando il principe assassino era giunto lì per sradicare la sua e quella di tutti gli altri soggetti incapaci che lo circondavano.
E il resto, naturalmente, era storia. Una storia decisamente bizzarra, in cui la bestia indomabile che giaceva nel suo stomaco aveva imparato a stare a cuccia, in cui il suo essere un meraviglioso concentrato di egoismo e perfidia si era evoluto in una versione più pacata e docile.
Una scimmione ammaestrato, come sua moglie amava definirlo.

«Cavoli, Vegeta! Ci hai fatto mai fatto caso a che razza di posto sia questo?»
Perspicace come un portaombrelli. La vera stoffa da ricercatore.
«Buongiorno, Kakaroth, ben svegliato!»
Goku ridacchiò convulsamente, con quella risata da clown insopportabile che tanto lo caratterizzava. Vegeta ci aveva impiegato letteralmente due resurrezioni per riuscire a sopportarla.
«Sembra che sia ieri, eh? Sono passati...» Il tipo sveglio iniziò a contare con le dita per riuscire a calcolare l'esatto tempo trascorso da quell'incontro. Vegeta già lo sapeva. «Uh, più di quindici anni! Urca!»
Diciannove, lo corresse mentalmente Vegeta.
«E la tua faccia da stoccafisso è sempre la stessa, così come la tua capacità di rendermi irrimediabilmente incline all'omicidio. Di nuovo» aggiunse ad alta voce.
Ma Goku – Kakaroth! L'aveva chiamato Goku poche volte e poche sarebbero rimaste - non faceva quasi nemmeno più caso ai coloriti epiteti con i quali il principe si rivolgeva a lui.
«Ci pensi mai a cosa sarebbe accaduto se le cose fossero andate in un altro modo?» domandò Goku, mettendo stranamente insieme una frase di senso compiuto con i verbi al proprio posto.
Sempre. Ci penso ogni fottuto miserabile giorno della mia emotivamente censurata vita, pensò Vegeta. Ma, proprio perché la sua capacità di esprimere gratitudine era pari a quella di manichino da negozio, rispose semplicemente:
«Intendi se tu non fossi stato così imbecille da risparmiare la vita ad un pazzo assassino pericoloso – come fai sempre, del resto – lasciandolo salpare alla volta dell'universo dopo che ha ammazzato la metà dei tuoi alleati? Oh, a volte ci penso».
Se Kakaroth non gli avesse risparmiato la vita, quel giorno di diciannove anni prima, sarebbe marcito sotto le fiamme dell'inferno insieme all'allegra compagnia di ritardati sopracitati.
Salvandogli la vita, tuttavia, aveva anche dato il via a un meccanismo di micro-cambiamenti che l'avevano portato ad essere ciò che era in quel momento: un figlio di puttana tutto sommato soddisfatto. E, per quanto la sua manifestazione di allegria fosse un angolo di labbro sollevato con sforzo, felice.
Kakaroth ridacchiò di nuovo.
Loro due non chiacchieravano molto di cose serie, ma quando lo facevano Vegeta doveva ammettere che era piacevole, ogni tanto. Almeno fino a che l'imbecille se ne saltava fuori con cose melense e schifosamente terrestri.
«Beh, se non avessi risparmiato quel pazzo assassino, a quest'ora non avrei un fratello».
Per l'appunto.
Il cuore arido come una prugna secca di Vegeta scricchiolò un pochino. Come se quel ritardato avesse tentato di prendere martello e scalpello per spezzare la corazza dura che ci aveva costruito intorno. Maledetto bastardo che attentava continuamente al suo orgoglio.
Di nuovo incapace di rispondere qualcosa che fosse lontanamente simile alla gratitudine che provava nel profondo – perché la provava, eccome - montò una consueta espressione di sprezzo.
«Tsk! Questi sentimentalismi sono solo il primo dei motivi per i quali ti detesto. Siamo guerrieri, non personaggi di una fanfiction!» gracchiò Vegeta, alzandosi finalmente dal promontorio. «Forza, adesso andiamo. Stasera c'è la cena con gli altri alla Capsule Corporation, non voglio sentire le urla isteriche delle nostre isteriche mogli».
Una volta a settimana avevano preso quell'abitudine assolutamente ridicola di vedersi tutti insieme a banchettare allegramente. La sua famiglia e quella di Kakaroth al completo. Come se già non si vedessero quasi tutti i giorni delle loro schifosamente abitudinarie vite!
Inutile dire che il principe fosse più interessato al banchetto che ad altro.

«Vege-ta».
La voce di Kakaroth lo colse alle spalle con un irritante balbettio, prima che potesse librarsi in volo. Sua maestà aveva assoluto bisogno di una doccia di trenta minuti per levarsi di dosso quella sabbia rossa pungente.
«Che altro c'è, per l'amore degli De-» il principe si interruppe appena si voltò.
Il volto di solito roseo e paffuto da bambino troppo cresciuto di Kakaroth era inverosimilmente pallido.
«Kakaroth?» domandò, sottecchi.
«Ve-geta, non mi se-nto molto bene» esalò questi.
Ed era un eufemismo, a giudicare dal sudore freddo che gli imperlava la fronte.
Qualcosa non andava in lui. Non che di solito fosse completamente sano di mente, ma in quel momento qualcosa di fisico non andava in lui.
«Non te le ho date così forte, oggi. E abbiamo preso anche un Senzu, poco fa» fece notare Vegeta. Inarcò un sopracciglio, giusto per nascondere un poco di preoccupazione.
«Mi... manca... il res-». Goku barcollò in avanti, con il fiato corto.
«KAKAROTH!»
E al diavolo nascondere la preoccupazione. Non quando quel completo idiota gli stava crollando letteralmente addosso.
Qualcosa non andava, decisamente. Non l'aveva mai visto in quello stato se non quando... quando stava morendo per un'infezione cardiaca che chissà dove diavolo si era preso.
Vegeta sgranò gli occhi nel vederlo portarsi una mano ad altezza del cuore, poi lo prese al volo tra le braccia prima che cadesse e lo accompagnò a terra.
Oh no. No. No no no no.
«Il mio petto... mi fa... male. Non-» faticò a parlare Goku, con le labbra oramai spaventosamente violacee.
Vegeta non era assolutamente tipo da farsi prendere dal panico. Solitamente.
«Merda, merda! Zeno assassino maledetto! Kakaroth, Kakaroth! Stai sveglio!» iniziò a schiaffeggiarlo delicatamente - e per i saiyan la delicatezza corrispondeva a non spalmargli via la pelle della faccia.
«Non resp-iro».
«NO!» urlò Vegeta. Perché lui non si faceva prendere dal panico, no. «Non ti azzardare a chiudere gli occhi, Kakaroth!»
Ma era decisamente troppo tardi.
«Cazzo, cazzo, cazzo» imprecò Vegeta e, ritrovando nella volgarità e nella blasfemia verso gli Dei la capacità di ragionamento, se lo caricò in spalla come un un sacco di patate e saettò in volo.
«Kakaroth, se muori giuro che ti ammazzo».
Giusto per rimarcare l'incapacità emotiva.

 

-兄弟愛-


La nuova ala medica della Capsule Corporation era incredibilmente e insopportabilmente bianca. Un po' come la Stanza dello Spirito e del Tempo, ma molto più tecnologica.
Era stata erta tra la serra botanica sperimentale e il museo della scienza e della tecnica, a pochi passi dalla sede centrale.
Si trattava del più importante laboratorio di analisi medico-scientifico di tutta la regione dell'Ovest, nel quale un discreto team di dottori, biologi ed esperti elaboravano vaccini, nuovi medicinali, sperimentavano test e collaudavano speciali macchinari ospedalieri. Era diventata anche, ovviamente, clinica privata per i membri della famiglia Brief e amici.
A capo di quell'area del colosso c'era la dottoressa Hange Brief, cugina di Bulma e primario di chirurgia dell'ospedale universitario della Città dell'Ovest.
Tre lauree specialistiche e due dottorati. Bazzecole, insomma. Almeno per la famiglia Brief.
L'anno prima aveva vinto il Nobel per aver trovato la cura per quella malattia terrestre che prendeva il nome di cancro ma, in cima al curriculum, vi era senz'altro segnata l'impresa più titanica che qualsiasi dottore avesse mai affrontato: estrarre un dente a Trunks.

Vegeta sbuffò. Se non altro l'imbecille era in buone mani. Magra consolazione, dopo tre ore trascorse in quella sala d'attesa insieme alla sua famiglia e famiglia del suddetto, progenie compresa. Ma, se di consueto il gruppo di disadattati era dedito al baccano e inutili chiacchiere, in quel momento regnava un surreale silenzio.
Superfluo raccontare invece il panico che si era scatenato quando Vegeta era giunto alla Capsule Corporation urlando come un forsennato, pallido, con Kakaroth a peso morto sulla spalla.
Dopo tre maledette ore Bulma, seduta al suo fianco, non aveva ancora smesso di far ballare il piede - vizio insopportabile, per Vegeta. Gohan aveva percorso la distanza dalla Terra alla Luna tre volte camminando avanti indietro - altrettanto insopportabile. La moglie del decerebrato si era mangiata tutte le unghie - insopportabilmente - e Vegeta aveva iniziato a domandarsi se non fosse la sua soglia della sopportazione ad essere troppo bassa. Improbabile, visto che quel buono a nulla di Yamcha non c'era. Fortuna che Pan e Bra fossero con i signori Brief nell'area domestica.
Vegeta non si era ancora ripreso dallo spavento, quella era la verità. E aveva fatto una gran fatica a mostrarsi quasi impassibile, dopo l'arrivo dei soccorsi.

E fece ancor più fatica quando quella stramaledetta porta stramaledettamente bianca si aprì e ne uscì una donna dall'aria stanca e con il cipiglio tutt'altro che allegro. Lunghi capelli mori legati in una coda disordinata, occhiali rettangolari e un camice bianco abbottonato fino al collo.
Tutti si alzarono in piedi e si radunarono più vicini. Tranne Vegeta, che rimase in disparte.
«Sta dormendo» esalò la dottoressa Hange Brief, senza allegria.
Il sollievo sul fatto che l'imbecille fosse ancora vivo durò meno di mezzo secondo.
«Cos'ha? COS'HA?» urlò Chichi, disperata.
Beh, se non altro qualcuno dava voce al moto di aggressività emotiva che si stava scatenando nel petto di Vegeta.
«Credo che sia meglio parlarne solo tra adulti» puntualizzò la dottoressa, lanciando un'occhiata a Trunks e Goten.
Cattivissimo segno.
«Cugina, io e Goten abbiamo sconfitto nemici che neanche te lo immagini. Stiamo bene dove stiamo» si prodigò Trunks. Sicuramente un punto a loro favore. «E io ho affrontato l'estrazione di un dente».
Punto a loro favore confiscato.
«Hange, per favore, dicci come sta» supplicò Bulma, pragmatica.
La dottoressa storse le labbra, poi si convinse. Forse troppo stanca per operare una lotta contro due infanti e quella testona di sua cugina.
«C'è qualcosa che non va nel suo cuore» annunciò, quindi.
Grazie al cazzo, pensò Vegeta. Questo l'aveva capito anche lui. Ma forse aveva sperato che non fosse nulla di così grave, non da far parlare la cugina di Bulma - di solito entusiasta e briosa - in quel modo così cupo.
Chichi si sorresse a Gohan.
«Dalle analisi abbiamo accertato, come già sapevamo, che Son Goku abbia contratto in passato il raro virus cardiaco Shinzobyo. Non molti tutt'ora sopravvivono alla malattia, nonostante la medicina che abbiamo formulato grazie al campione portatoci da Mirai Trunks. Il problema è però sempre lo stesso per una grande fetta dei guariti: a distanza di dieci anni la malattia si è rivelata fatale per l'85% delle persone. Speravo che Goku, essendo un saiyan, non incappasse nello stesso tipo di problemi, e invece non l'ha scampata. Il cuore, indebolito ma silente, sviluppa improvvisamente un antigene che porta a una reazione autoimmune, una degenerazione dei tessuti progressiva e molto veloce. Non c'è una cura, ma coloro che si sottopongono a trapianto riescono solitamente a sopravvivere, soprattutto se giovani e in buone condizioni fisiche».
«Mio marito si dovrà sottoporre a un trapianto di cuore?!» la interruppe Chichi, nel panico.
Ma non era decisamente quello il fottuto problema.
Vegeta, consapevole, impallidì. E si maledisse per essere l'unico stronzo lì dentro ad aver capito cosa comportasse quella diagnosi. Perché nessuno sembrò comprendere, nessuno sembrò realizzare e lui era solo a dover affrontare prima di tutti quella doccia di merda.
A parte la dottoressa Brief, naturalmente.
«Dovrebbe, sì, ma...»
«Ma non esistono donatori. Non per lui» la interruppe Vegeta.
Buongiorno a tutti e benvenuti all'inferno, stronzi.
Il gruppo si voltò verso di lui con sgomento, terrore e anche un certo comprensibile fastidio, ma Hange si affrettò a spiegare.
«Vedete, Goku non... non è un terrestre. Noi terrestri possediamo delle caratteristiche diverse dalla sua razza. Il cuore della specie saiyan sembra essere delle dimensioni compatibili, diversamente da altri organi - ad esempio i saiyan hanno due milze, per rigenerarsi più facilmente. Il problema principale nel nostro caso è il sangue. È compatibile con i terrestri solo per via commutativa, con la riproduzione. Ma il suo tipo di sangue non ha caratteristiche compatibili con i nostri gruppi sanguigni. Rigetterebbe l'organo trapiantato in poche ore».
«I saiyan si sono estinti. Non ci sono possibili donatori» soffiò Gohan, buongiorno anche a lui.
Il fermento esplose nella sala d'aspetto. Una vera fortuna che tra il panico, la disperazione - e l'apatia pericolante di Vegeta - ci fosse qualcuno in grado di formulare domande importanti. Delle quali sarebbe stato meglio non udire la risposta.
«Quante possibilità ci sono che sopravviva senza un trapianto?» chiese Bulma, incerta.
Di nuovo quel glaciale silenzio e gli occhi della dottoressa troppo, troppo cupi per essere portatori di buone notizie.
«Allo stato attuale... nessuna. Mi dispiace».
Chichi si lasciò cadere a terra, scivolando dolcemente tra le braccia del figlio maggiore. E sebbene i segnali corporei di Vegeta gli intimavano che avrebbe voluto fare lo stesso, fu l'orgoglio a tenerlo in piedi.
«NO! NO!» urlò la moglie di Goku. Goten, livido in volto, si accovacciò al suo fianco.
«Non piangere, mamma. Papà è forte, è un saiyan, non è come gli altri!» intervenne il moccioso, Goten, quello scricciolo di ragazzino con la stessa faccia da clown del padre ma che, suo malgrado, Vegeta faceva molto meno fatica a sopportare.
«Può essere un buon punto e vorrei davvero sperare che possa essere a suo favore» si sforzò di sorridere Hange, in un evidente tentativo malriuscito di mostrarsi ottimista. «Ad ogni modo ho collegato il suo cuore a una macchina automatica. Funzionerà per tenerlo in vita, almeno fino al collasso totale dell'organo».
«Quando... quanto tempo...» balbettò Gohan. Mostrarsi forte per Chichi non gli venne bene, non con quegli occhi rossi di un pianto trattenuto.
Vegeta lo conosceva anch'egli da quando era un poppante alto un metro e un tappo di bottiglia, riconosceva quell'espressione sul suo volto. La voglia di piangere e la rabbia repressa. Un vero peccato che, senza un nemico da sconfiggere, non sarebbero servite a niente.
«Gli altri pazienti, senza un trapianto, si sono spenti nel giro di pochi giorni. Il suo fisico robusto e la razza saiyan potrebbe rallentare il decadimento. Forse potrebbero rimanergli una decina di giorni. Poco più».
Ma Vegeta, a quel punto, aveva già smesso di ascoltare. Vegeta non avrebbe ascoltato nulla di più. Pochi giorni. Kakaroth sarebbe morto da lì a pochi giorni e non c'era niente, nient'altro da fare.
Livido in volto, incapace di sopportare il pianto e la disperazione altrui, decise di togliersi dalle palle e andarsene via. Perché lui era bravo a fare quello.
Uscì a passi svelti dal laboratorio e si sbatté dietro la porta.

«Papà!» lo chiamò Trunks, ma Bulma lo frenò con la mano.
«Lascialo andare, Trunks...»
Guardò la porta con occhi preoccupati.
Lei sapeva bene che quel colpo, forse, suo marito non avrebbe saputo reggerlo a dovere.


 

-兄弟愛-



Da zero a cento.
Se ci fosse stato un termometro misuratore della sua incapacità di gestione delle emozioni, in quel momento Vegeta l'avrebbe ficcato su per lo sfintere anale di qualche essere divino.
In quel deserto dove tutto era iniziato e tutto era finito, Vegeta urlò al cielo di rabbia e di frustrazione. Le bestemmie accompagnarono scariche di energia, attacchi dell'aura rivolti al cielo.
Ma a cosa servivano le trasformazioni che, veloci, prendevano possesso di lui?
Non aveva nessuno da combattere.
Non avrebbe avuto più nessuno.


 

Continua...



ANGOLO DI EEVAA:
Sono tornataaaaaaaa! E giuro solennemente di non avere buone intenzioni! ... ehm, scusate, deformazione. 
Nossignori, non ho sbagliato fandom, sono tornata qui per davvero. E, per vostra immensa gioia (vero? Vero?!) ci resterò ancora per un bel po'.
Insomma, il mio ritorno non avrebbe potuto essere più drammatico di così. Sarà una storia un poco pesantina, ma avevo assolutamente bisogno di scrivere una cosa del genere, abbiate pazienza. Sarà tutto narrato dal punto di vista di Vegeta e questo servirà per dare un poco di respiro alle tematiche che andrò ad affrontare. Insomma, il cinismo e il sarcasmo del nostro principe dall'incompetenza emotiva renderà la situazione un poco più leggera, anche se leggerà non lo è assolutamente. Per questo vi ripeto che se non siete nella giusta condizione emotiva per affrontare questa cosa vi sconsiglio di proseguire oltre con la lettura. 

Lo so, vi avevo promesso un sacco di yaoi, ma non è il caso di questa storia. (Teo5Astor, happy? Per i suonatori di trombe dovrai attendere un pochetto!)
Qui ho voluto mantenere il loro rapporto canonico - come si evince dal titolo - perché mi piace davvero tanto.
Ma giuro che ci sto lavorando e dopo aver terminato questa mini-long (che sarà composta da 5 capitoli) ne ho altre due (una di 7 e una che al momento ne conta 16) che vedranno i nostri Goku e Vegeta alle prese con mirabolanti affari sentimentali tra loro. 
Insomma, il mio ritorno in questo fandom che per me è come casa sarà in pianta stabile. 

Voglio ringraziare due persone in particolare, prima di salutarvi.
La prima è Stardust_Steel, nel fandom inglese su Ao3, che è stata la mia vera ispirazione per riprendere a scrivere in questo fandom. Il merito per tutta la mia botta di ispirazione è solo suo! Le sue storie meravigliose potete trovarle qui, ovviamente solo in inglese: https://archiveofourown.org/users/Stardust_Steel/works. Grazie davvero di cuore per i tuoi lavori splendidi e per la tua amicizia. 
La seconda è la mia dolce, cara Nemesis01, che mi ha aiutata con la traduzione inglese di questa storia (che potete trovare nella mia pagina su Ao3 qui https://archiveofourown.org/users/eevaa_fanwriter/profile ). Senza di lei non sarei mai riuscita a fare una traduzione come si deve, mi ha corretto un sacco di errori e si è anche prodigata in meravigliosi e hashtag a tema per segnalarmeli. #troppoitaliano #troppovegeta #troppogoku e il mio preferito, #tropponapoletano. Grazie, grazie, grazie di cuore per tutto quello che hai fatto per me, anche al di fuori del fandom. 

Detto questo direi che è giunto il momento di salutarci per questa settimana. Aggiornerò ogni domenica con puntualità - salvo inconvenienti. Per qualsiasi scambio, parere o anche solo una chiacchiera venite a trovarmi sui miei profili Instagram, Twitter e Facebook, trovate i link in bio! 
Un abbraccio,
Eevaa



Riferimenti:
-Il gruppo di kanji che suddivide i paragrafi 兄弟愛 significa "fratellanza/affetto fraterno". 
-Il titolo della storia prende nome da una canzone dei Kodaline, "Brother". Se avete voglia di piangere andate ad ascoltarla e vedere il videoclip: https://www.youtube.com/watch?v=m6TXPNybrmk
-Hange Brief, la cugina di Bulma, è ovviamente un personaggio inventato. Ho preso spunto per il nome e le fattezze da Hange Zoë dell'Attacco dei Giganti.
-Il fatto che i saiyan abbiano due milze me lo sono inventato di sana pianta. 
-"Shinzobyo" è letteralmente la traduzione dal giapponese di "virus cardiaco". 


 

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Capitolo 2
*** Uomo di scienza, uomo di fede ***


Disclaimer:
Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte dell'universo di Dragon Ball sono di proprietà di Akira Toriyama© e Toei Animation©.
Non concedo, in nessuna circostanza, l'autorizzazione a ripubblicare questa storia altrove, anche se creditata e anche con link all'originale.
I diritti delle immagini non mi appartengono.
Nessun copyright si intende violato.


ATTENZIONE: ABBONDANTE USO DEL TURPILOQUIO.
I personaggi sono molto più "sboccati" di come siamo abituati a sentirli, ma è una scelta stilistica consapevole. Non ho segnalato l'OOC semplicemente perché mi rifaccio molto al doppiaggio inglese e giapponese originale, nel quale soprattutto Vegeta è un grandissimo scaricatore di porto.
Nulla contro il doppiaggio italiano, ovviamente, la Mediaset ci ha regalato perle come "filibustiere" che tutt'ora mi fanno sorridere. (Applausi a Gianluca Iacono sempre e comunque!)
A tal proposito voglio avvisarvi che in questo capitolo verrà fatto uso di linguaggio MOOOOLTO scurrile anche nei confronti delle divinità fittizie dell'opera. Giusto perché in inglese "goddammit" è nella bocca di Vegeta ogni tre frasi.
Siccome non voglio ferire la sensibilità di nessuno, la lettura di questo capitolo è a vostro rischio e pericolo, idem per quanto riguarda il dramma.



- I've got you, brother -


Capitolo 2
Uomo di scienza, uomo di fede






Che suo marito fosse un gigantesco scimmione emotivamente costipato, quella non era una novità.
Bulma era abituata alle sue fughe rocambolesche, le scenate di ira, i teatrini del sarcasmo da premio Oscar e persino quel cipiglio da lei denominato come “faccia da principe dei rompicoglioni”.
Lo amava più di ogni altra cosa al mondo, insieme a Trunks e la piccola principessa dai codini azzurri che l'aveva svegliata alle sette e mezza del mattino, dopo a malapena mezz'ora di sonno.
Proprio perché era abituata alle reazioni poco convenzionali di Vegeta, Bulma non si era aspettata di vederlo tornare, quella notte. Era certa che la notizia che Goku fosse in fin di vita l'avesse semplicemente distrutto, ma non si sarebbe fatto vedere da nessuno. Come gli animali feriti che si nascondono.
Per quanto suo marito detestasse ammetterlo, Bulma era convinta che Vegeta volesse a Goku un gran bene, almeno quanto gliene voleva lei.
Ma piuttosto che piangere come una persona normale si sarebbe sradicato i dotti lacrimali dagli occhi e, piuttosto che ammettere di avere dei sentimenti, Vegeta si sarebbe scavato una fossa da solo.
E proprio perché Bulma aveva impiegato anni a comprendere la psicologia nascosta di suo marito, non lo avrebbe ammonito per non esserle stato vicino, quella notte. Non ce l'avrebbe avuta con lui solo per essersi dimenticato che Goku, in fin dei conti, fosse anche il suo, di migliore amico.
Sapeva che affrontare il dolore con qualcuno, per Vegeta, fosse un vero attentato al proprio orgoglio. E sapeva anche però che non avrebbe accettato facilmente quella cosa, che non si sarebbe arreso e non avrebbe mai lasciato perdere.
Proprio per quel motivo, quella mattina, non si sorprese affatto di trovarlo immerso tra le provette e i macchinari del laboratorio medico-scientifico.
Nonostante fosse lei il genio in famiglia, sapeva che Vegeta fosse esperto di tecnologia avanzata. Veniva dallo spazio, del resto.
Lo guardò smanettare con i computer compulsivamente, con lo sguardo duro e due graziose occhiaie violacee dipinte sotto gli occhi. Non che lei non ne avesse, dopo un'intera notte passata a piangere e un brusco risveglio dovuto al pianto della principessa dei saiyan.
«Vegeta, che stai facendo?» gli domandò, dopo essere entrata in punta di piedi nel laboratorio.
Questi la guardò di sfuggita, poi riprese a decriptare una pagina di dati complessi.
«Analisi» rispose, loquace come di consueto.
Grazie al cazzo, avrebbe voluto rispondere Bulma. Quello lo aveva capito anche lei.
«Di cosa?» domandò però, trattenendo la saccenteria sulla lingua.
«Del mio sangue».
Bulma si irrigidì. Non aveva dubbi che egli stesse conducendo qualche studio riguardo alla situazione, alla malattia di Goku, ma non comprendeva il senso di analizzare le proprie caratteristiche.
«Del tuo... sangue?»
«Ero troppo piccolo quando è esploso il mio pianeta, non sapevo ancora nulla riguardo a molti aspetti della medicina saiyan. Da queste analisi che sto facendo è emerso che io e Kakaroth possediamo una tipologia analoga di sangue, nonostante proveniamo da famiglie diverse. Mi sono fatto mandare l'analisi di un campione da mio fratello Tarble, stanotte, e mi ha risposto immediatamente. È lo stesso tipo, effettivamente me l'aspettavo. Possiamo chiamarlo RH S+» spiegò velocemente Vegeta, tutto trafelato nell'annotazione dei dati. «Ho contattato anche Cheelai, su Vampa, e mi ha inviato stamattina quello di Broly che, invece, è diverso. RH T+, se vogliamo. Esistono quindi almeno due diversi gruppi».
Bulma sorrise amaramente. Era bello vedere che suo marito fosse intelligente e testardo quanto lei, era qualcosa che amava e a volte odiava allo stesso tempo, quando si trovavano in disaccordo su qualcosa.
Ma, a parte per la soddisfazione della sete di curiosità, proprio non comprendeva cosa spingesse Vegeta a compiere quel tipo di studi.
«Tesoro, a cosa servono queste analisi? Non ci sono-»
«Donatori. Lo so» la interruppe sua maestà, interrompendo finalmente il flusso di scatti ossessivi compulsivi indirizzati al macchinario. «Non ci sono» concluse quindi, a testa bassa.
Bulma sospirò. Le si spezzava il cuore a vederlo così impotente, nonostante l'ostinazione.
«Vegeta, troveremo un modo...» tentò, ma Vegeta la guardò storto. In effetti non ci credeva troppo neanche lei, dopo la diagnosi infausta della sera prima. «E se non dovessimo trovarlo, le divinità saranno dalla nostra parte. Ho contattato Whis e Dende, saranno qui a breve» aggiunse, quindi.
Magari, se la scienza non avrebbe potuto far niente, gli Dei avrebbero trovato qualcosa. Dubitava anche di ciò, ma era un misero tentativo.
Sua maestà il principe degli smorzatori d'entusiasmo fece per aprire la bocca e dire qualcosa, ma lo squillo sul suo portatile lo fece desistere.

Si diede lo slancio con la poltrona per raggiungerlo e accettò la video-chiamata.
Il volto magro e appuntito di un ragazzino apparve sullo schermo, sguardo duro e labbra strette.
Bulma sgranò gli occhi dallo stupore. Ma certo! Vegeta aveva contattato il pianeta Sadala, i saiyan del Sesto Universo.
Come aveva fatto a dimenticare? I saiyan non erano estinti per davvero. Non ovunque, almeno.
Bulma resistette faticosamente dal saltare addosso a quel bel pezzo di muscoli e intelligenza che era suo marito e, invece, si portò più vicino a lui per assistere.
«Maestro! Ho ricevuto il tuo messaggio. Non sai quanto mi addolora sapere che-»
«Poche chiacchiere, Cabba. Cosa hai scoperto?» lo interruppe Vegeta, educato come suo solito.
«Ho fatto ricerche urgenti sulla tipologia di sangue, ti ho mandato i risultati, ci sono due diversi gruppi sul pianeta. Noi li chiamiamo Delta e Gamma, potrebbero corrispondere ai vostri, certo, ma...»
Cabba si interruppe e Bulma percepì chiaramente l'irritazione farsi strada sulle vene pulsanti di Vegeta. Effettivamente le pause a effetto non erano quanto di più gradito, in quel momento.
«Cosa c'è?» sibilò lui, a denti stretti.
«Ma ciò che mi preoccupa è la conformazione fisica. Sembra che dagli appunti che mi hai mandato voi siate... al nostro opposto. Il nostro cuore è a destra. Ed è visibilmente più piccolo del vostro, forse appunto perché anche la nostra costituzione lo è. La vostra struttura organica è completamente ribaltata rispetto alla nostra!»
Bulma, la quale avrebbe adorato saper trattenere la lingua, si lasciò sfuggire un immancabile e sempreverde «merda».
«Già... merda» confermò Cabba, dall'altra parte dello schermo.

E con quella terribile notizia si infranse l'ultima possibilità esistente di un trapianto, o di una cura medica che potesse fare al caso loro.
Bulma aveva anche pensato di potersi recare nel futuro per poter chiedere aiuto a Mirai Trunks ma, come dimenticare, quel futuro era stato mezzo distrutto da Zamasu e Black Goku, sicuramente non avevano avuto un gran che tempo per poter sperimentare dei medicinali. Senza contare che gli era stato fatto divieto dagli Dei di viaggiare nel tempo, dopo la storia di Zamasu.
«Maledetto parallelismo antitetico tra gli universi» sbottò Vegeta, adirato.
La vena pericolosamente pulsante sulla sua tempia diede preoccupazione a Bulma che prima o poi gli sarebbe venuto un ictus, e quindi che presto avrebbero avuto non uno, ma ben due saiyan sul letto di morte.
Pensieri decisamente amari e catastrofisti in linea con la giornata di merda.
«Mi dispiace, Maestro, non sai quanto...» soffiò Cabba, tristemente.
Vegeta, emotivamente negato come di consueto, grugnì. Bulma ben sapeva che non si sarebbe scomodato a esprimere gratitudine, quindi prese lei le redini del discorso per portarlo su una via socialmente accettabile.
«Grazie comunque della tempestiva risposta, Cabba».
«Di niente, signora Bulma! Fatemi sapere se ci sono novità. Io, Kale e Caulifla siamo molto preoccupati».
Bulma annuì dolcemente e chiuse la video-chiamata, e ciò rese particolarmente pesante il glaciale silenzio che ne susseguì.
Ogni fallimento sarebbe pesato un poco di più sulle spalle di tutti ma per Vegeta, che con i fallimenti aveva un rapporto decisamente tragico, un poco di più. Bulma non aveva dubbi: ne sarebbe uscito più pazzo di quanto già non fosse.
E lei non solo avrebbe perso il suo migliore amico, ma avrebbe dovuto fare i conti con un marito depresso.
Le venne da piangere per mille e uno motivi, ma poi si ricordò che la principessa con i codini azzurri aveva bisogno di lei.


-兄弟愛-

L'incontro con gli Dei non aveva sortito l'effetto sperato. E quando mai? Nel corso degli anni Vegeta aveva ben imparato che, sebbene fossero considerate entità superiori, non fossero altro che sedicenti buoni a nulla con le manie di protagonismo – quelle le aveva anche lui, certo, ma almeno si dava da fare per dare sfoggio delle sue abilità – e nessuna voglia di alzare le divine chiappe dai loro comodi giacigli.
Non era mai stato un uomo di fede e non aveva mai creduto nel mondo metafisico. Non fino a quando non si era trovato a passeggiare tra le fiamme dell'inferno.
Poi aveva avuto modo di interfacciarsi con una serie di divinità alle quali aveva sempre fatto affronto con le più atroci bestemmie, ma questo non aveva affatto frenato lui di continuare a sputare le suddette bestemmie in egual modo. E forse anche un po' più colorite.
Tanto sarebbe finito all'inferno comunque. Con o senza quel meccanismo di abnegazione.
Quando Whis, Beerus, Dende e i tre Kaiohshin erano giunti alla Capsule Corporation, quel pomeriggio, si erano confrontati vicendevolmente e non ne avevano cavato un ragno dal buco.
La scusante? “La natura è più forte di noi”.
Stronzate. Cavilli burocratici, altroché. Possibile che un drago che riusciva a riportare in vita i morti non potesse far nulla contro le morti naturali? Se lui avesse – ipoteticamente, ma non troppo – messo le mani al collo del nano verde supremo della Terra e l'avesse ucciso, un drago qualunque avrebbe saputo riportarlo in vita. Perché mai con una persona morta di una malattia lo stesso drago non avrebbe potuto fare nulla?
Era decisamente giunta l'ora di cambiare il sistema operativo di quegli inutili draghi, allora.
Vegeta era furibondo. Aveva inveito contro santi e santoni, quando ogni loro proposta intelligente era stata negata dalle divinità.
Ad esempio, come aveva suggerito Bulma, far tornare Goku giovane. Lei in fondo era esperta di ringiovanimenti con le Sfere del Drago. “Non funzionerebbe, la rigenerazione dei tessuti non comprende quelli malati. Alcuni malati di cancro avevano provato a fare lo stesso, ma la situazione non è cambiata” aveva risposto Dende.
Oppure Gohan aveva sapientemente suggerito a Kibithoshin di procedere con i suoi poteri curativi. “Gli Dei possono porre rimedio all'intervento umano, ma non alla natura. Posso curare le ferite, non le malattie”. Mezza sega.
Vegeta aveva proposto di poter uccidere Kakaroth con le sue stesse mani per poi riportarlo in vita con le Sfere del Drago, ma “sarebbe inutile, riprenderebbe la sua vita da dove l'aveva lasciata. Da malato terminale”.
Insomma, tutte buone scusanti per sottolineare il fatto che la scienza e la medicina umana fossero ben più funzionali dell'intervento divino. E poi gli dicevano di smetterla di bestemmiare Zeno! Hah!


Proprio nel bel mezzo di un'animata discussione in cui il principe dei saiyan stava dando sfoggio del suo personalissimo rosario di volgarità, la dottoressa Hange Brief li chiamò all'interno del laboratorio per comunicare loro che Goku fosse sveglio.
«Se volete fargli un saluto...» disse, pacatamente. «Perché ogni giorno potrebbe... essere l'ultimo».
Vegeta ci vide rosso, specialmente perché tutti si rassegnarono e acconsentirono a quella buffonata. Tra i pianti e la disperazione che odiava.
Quei maledetti figli di puttana si erano arresi. Tutti, dal primo all'ultimo, nell'ascoltare il verdetto divino. Vegeta non lo sopportava.
E men che meno sopportò quando sua moglie, giunto il proprio turno di entrare, gli si avvicinò con occhi rossi e un sorriso amarissimo sulle labbra.
«Vuoi entrare prima tu, tesoro?» gli domandò.
Odiava vederla in quello stato. Sia perché, suo malgrado, non gli piaceva vederla triste, e sia perché non sopportava che persino lei si fosse arresa.
«Non voglio entrare» rispose, lapidario.
«Ma potrebbe essere l'u-»
«HO DETTO DI NO!» ruggì, poi se ne andò ad ampie falcate. Di nuovo.
Non voleva sentirsi dire che quella avrebbe potuto essere l'ultima volta che avrebbe parlato con quel sacco di immondizia.
Era semplicemente inaccettabile.
Lui era il principe dei fottuti saiyan, e il principe dei fottuti saiyan non era geneticamente programmato per la resa.

Il vero problema era quella vocetta irritante e fastidiosa – che nella sua mente suonava davvero tanto come quella di sua moglie – nella testa. Sempre, ovunque. Una piccola tortura cinese nelle proprie sinapsi che gli ricordava che c'era una persona, a pochi passi da lui, al quale avrebbe fatto piacere ricevere una visita. A prescindere da quanti minuti di orologio sarebbero trascorsi prima della sua morte.
No, nessuna morte, si impuntava Vegeta, per il quale “negazione” era divenuta la parola d'ordine in quei giorni.
A lui non importava fare un piacere a Kakaroth. Non gli importava di vedere la sua stupida faccia da pagliaccio da circo mentre si trovava su un letto d'ospedale. Non gli importavano le buone maniere e le convenzioni sociali, a lui importava solo trovare un fottuto modo per tirarlo giù da quel fottuto letto. E parlarci da sano. O meglio, prenderlo a calci nel sedere da sano.
Però, nel caso non funzionasse, ti pentiresti di non averlo fatto, gli sussurrava quella stupida voce-Bulma, appena sotto l'ipotalamo.
Si rigirò nel letto e cacciò la testa sotto il cuscino, come se potesse sfuggire alla propria merdosa coscienza che da due notti non lo lasciava stare.
«Ne vuoi parlare, amore?»
La testa sotto il cuscino non gli impedì nemmeno di sfuggire alla voce vera di sua moglie, in evidente stato di preoccupazione.
«No» borbottò, tra il cuscino e il materasso.
«Vegeta, pensi per caso che io non ti capisca?»
«Appunto perché mi capisci, mi domando perché tu insista a farmi parlare quando sono evidentemente negato».
Ammissione di colpa. Almeno era giunto a quelle conclusioni, nel corso degli anni. Non solo era emotivamente ritardato, ma aveva delle grosse difficoltà di comunicazione in quell'ambito.
Oh, era talmente egocentrico che si sarebbe fatto seghe a doppie mani guardando una propria fotografia, ma era evidente che sulla Terra lui poteva benissimo essere catalogato in uno spettro di disturbo sociale. Borderline, sicuramente.
Da quando era arrivato aveva saputo riconoscere quelli che erano i propri difetti in ambito socio-comunicativo e non aveva fatto un bel cazzo di niente per cambiarli. Un po' perché, appunto, era il principe degli egocentrici, un po' perché non era così semplice.
E poi gli piaceva essere se stesso. Riteneva che senza i propri silenzi e il proprio cinismo non sarebbe stato così attraente, ma in fin dei conti non gli sarebbe dispiaciuto migliorare un poco quella piccola parte di lui che lo rendeva davvero incapace nel gestire la propria emotività. Solo per lui. Non per gli altri, naturalmente.
Quando Bulma gli aveva suggerito di andare da uno strizzacervelli, però, aveva spezzettato il biglietto da visita in mille coriandoli e gliel'aveva lanciati in faccia urlando “il circo è in città”.
«Perché ti stai facendo del male, e io non sopporto guardarti mentre ti autodistruggi» gli disse Bulma, giusto per sottolineare la deriva che aveva appena preso il proprio pensiero.
Era esattamente quello il problema: la sua incapacità emotiva lo distruggeva, sempre.
«Passerà» fece spallucce.
«Quando?! Quando il tuo migliore amico morirà e ti pentirai di non essere andato neanche a parlarci?»
«Smettila di chiamarlo in quel modo!» ringhiò, rosso di rabbia. E Kakaroth non morirà, aggiunse mentalmente.
«Mi scusi, sua maestà il principe degli scimmioni, credo che qui stiamo perdendo il focus della conversazione».
«Forse perché questa conversazione non sarebbe mai dovuta iniziare?!»
«Sei impossibile» sibilò lei, furiosa.
«Ora dimmi qualcosa che non so» replicò Vegeta.
«Sto solo cercando di aiutarti, testa di rapa!»
Bulma lo guardò con il consueto cipiglio di quando gli imponeva lo sciopero del sesso. Ma tanto di fare sesso in quel momento non ne aveva alcuna voglia né intenzione, quindi se ne fregò.
Però poi lo sguardo di sua moglie si addolcì e lui si ricordò che quelli erano solo i suoi tentativi di farlo stare meglio, di preoccuparsi per lui. E lui non si stava preoccupando per lei.
Eh già, Kakaroth è il migliore amico di tua moglie, e tu non stai facendo un cazzo di niente.
Vegeta scrollò la testa e fece l'unica cosa che era in grado di fare per ovviare ai suoi problemi comunicativi: linguaggio del corpo. Sì, come le scimmie.
Forse era vero che era il principe degli scimmioni.
Si sdraiò di nuovo sul letto e trascinò la testa di sua moglie contro il proprio petto. La cinse un poco, poi chiuse gli occhi.
«Allora, per favore, non parliamo». Mi basta la mia coscienza con la tua stessa insopportabile voce a farmi sentire un bastardo.

-兄弟愛-

Non riuscì a dormire neanche quella notte, naturalmente. La vocetta continuò a martellarlo, mentre Bulma invece gli riposava addosso e attenuava giusto un poco quel senso di solitudine e malessere generico. In fin dei conti era solo grazie a lei che aveva imparato a essere giusto un pelo più umano.
Lei, Trunks e Bra.
E Kakaroth.
Odiava quella stramaledetta coscienza. Odiava che tutte le strade della sua mente negli ultimi giorni conducessero sempre lì, nella direzione di quell'idiota.
Odiava il pensiero che ogni minuto perso sarebbe potuto essere un minuto fatale e, sebbene i suoi meccanismi di negazione gli stessero suggerendo che sarebbe andato tutto bene, la realtà lo colpiva dritto in faccia con uno stivale borchiato.
E faceva male, per quanto detestasse ammetterlo. Faceva un gran male.
Proprio per quel motivo, alla terza notte senza sonno e il terzo giorno senza alcuna novità se non dei netti peggioramenti dello stato di salute del deficiente, trovò la forza di avvicinarsi a quell'ala medica infernale di soppiatto. Alle due del mattino, quando nessun altro avrebbe potuto vederlo e, in cuor suo, sperò che neanche Kakaroth lo vedesse.
Perché detestava il fatto che quel pagliaccio altrettanto socialmente coglione non si sarebbe svegliato gridando“urcaaaa, Vegeta, che faccia orribile che hai! Cosa sono quelle occhiaie?” con il solito sorriso largo a deformargli le guance.
Odiava quel sorriso. Ma in quel momento odiava ancor di più non poterlo vedere.
Perché quel che vide, in realtà, fu un fantoccio di Kakaroth pallido, smagrito, sofferente, attaccato a dei tubi, dei fili e dei macchinari che producevano dei bip stereotipati.
Vegeta deglutì e capì che avrebbe preferito non essere lì. Faceva davvero, davvero un gran male vederlo in quello stato.
«Maledetto idiota» soffiò, forse più rivolto a se stesso che a quello schifo di Kakaroth.
Nella penombra chiuse gli occhi e si costrinse a dei respiri profondi, lunghi. Un modo stupido per calmarsi, la meditazione. Non funzionava quasi mai.
«Ve-geta».
La voce gracchiante di Kakaroth lo fece sussultare e riaprire gli occhi. L'idiota era sveglio, e addio al suo buon proposito di non farsi vedere da nessuno.
Sembrava un fantasma, i suoi occhi erano decisamente meno gioiosi del solito, però sorrideva un poco. Niente a che vedere con quel sorriso che sua maestà odiava.
«Sei ve-nuto, alla f-fine» soffiò.
Testa di cazzo, pensò Vegeta. Non verso Kakaroth, in quel caso, ma rivolto a se stesso. Per non essere andato lì prima, quando era evidente che lo aspettasse. La sua coscienza, nel frattempo, ballava la Zumba e gli urlava “te l'avevo detto”.
«Sì, per dirti che se ti azzardi a morire vengo a prenderti nell'Aldilà e ti faccio morire due volte, capito?» sibilò quindi Vegeta, avvicinandosi di un passo.
E Kakaroth rise flebilmente. Sempre nulla a che vedere con la sua consueta risata da clown, ma meglio che niente.
«Que-sta volta... mi sa... che ho paura» ammise Goku, dopo una piccola pausa.
Vegeta, che fino a quel momento si era sforzato di non provare alcun moto di pietà, lo avvertì crescere dentro al petto. Era penoso vederlo in quello stato, ed era terribilmente ingiusto.
Non era normale che si sentisse in quel modo riguardo a Kakaroth: l'aveva odiato, l'aveva detestato, l'aveva persino ammirato qualche volta, di sicuro l'aveva invidiato. Ma mai, mai aveva provato pena per lui, e si sentiva davvero in difetto per quel sentimento.
«Hai un ago conficcato nel braccio, capisco il tuo disagio, data la fobia da clown che hai» tentò quindi di buttarla sulla pungente ironia.
Ricordò il giorno, su Namek, in cui aveva solamente osato portargli vicino una siringa e quell'idiota aveva dato di matto. Un combattente grande e grosso con la paura di qualcosa di così piccolo, che scemenza!
Da che pulpito, tu hai la fobia dei vermi. Prima o poi si sarebbe auto-lobotomizzato pur di non avere più a che fare con la propria coscienza.
Goku alzò gli occhi al cielo e storse la bocca in un sorriso amaro.
«Sai cosa intendo...»
Vegeta divenne serio di nuovo, e capì che quel discorso andava affrontato.
«No, Kakaroth. Assolutamente no. Non te ne andrai così facilmente, sei un guerriero, porca troia». Con tutta l'incapacità comunicativa di cui era in possesso.
«Stavolta... non ho un ne-mico v-vero. È q-questo che... mi fa... paura. Non po-sso combatt-ere...». Kakaroth sembrava infinitamente stanco, distrutto. E arrendevole come non l'aveva mai visto.
Forse, di tutta la situazione, era quello che faceva più male al principe dei saiyan. Il suo grande rivale si era arreso come si erano arresi anche gli altri, quando lui stesso aveva sempre millantato che un eroe non si arrende, che lui avrebbe sempre combattuto fino alla fine.
Gli fece una gran rabbia.
«Ascoltami bene, idiota» si avvicinò di più, minaccioso, con un dito puntato verso di lui. «Non te lo ripeto più: non morirai. Non così. Non ti permetterò di disonorare la razza saiyan in questo modo. Morire per una malattia! I saiyan muoiono in battaglia, brutto figlio di puttana. E poi ti ho sempre detto che quando morirai sarà per mano mia».
L'idiota sorrise un poco. Maledetto il giorno in cui aveva capito che quelle non fossero vere minacce, veri insulti e vera rabbia.
Maledetto il giorno in cui Kakaroth aveva imparato a conoscerlo e leggere tra le righe dei suoi atteggiamenti da pazzo. Perché lo si vedeva da quel sorrisetto che Kakaroth avesse ben capito che quelli erano solo meccanismi di negazione, preoccupazione.
Poi, però, gli chiese una cosa che Vegeta non si aspettava minimamente.

«Beh, potresti... potresti rispar-miarmi questa... agonia, allora. Farmi... morire... come un gue-rriero. In realt-à... era anche per questo che... speravo... veni-ssi qui. Oltre che per s-salutarti, ovviam-ente».
Vegeta spalancò gli occhi. Gli stava chiedendo di ucciderlo. Di porre fine alle sue sofferenze nel qui ed ora, risparmiargli la pena.
Quello era quanto di più dignitoso potesse uscire dalle sue labbra e, suo malgrado, la pietà scomparve nel range delle sue patetiche emozioni. Tornò invece l'ammirazione – non che facesse meno male, provare ammirazione per Kakaroth era quanto di più tremendo, per lui.
E da qualche parte, tra le sue sinapsi, la sua coscienza gli suggerì persino che quello che Kakaroth gli stava chiedendo sarebbe stata la cosa più giusta da fare.
Ma questo significava per se stesso una sola cosa: arrendersi. E nessuno poteva chiedergli di arrendersi. Non così facilmente. Non al principe dei saiyan.
Si sporse un poco sul letto così che Kakaroth potesse guardarlo bene in faccia.
«Ti prometto...» si interruppe. Non gli aveva mai promesso niente, non era da lui fare promesse. Ma quelle che faceva le manteneva sempre, e questo rese quella promessa ancor più difficile, per il significato che celava. Si fece forza e la enunciò, prendendosi la responsabilità di tutto quello che stava per dire. «Ti prometto che quando avrò esaurito ogni possibilità e non ci saranno davvero più speranze verrò qui e farò quanto mi hai chiesto. Lo giuro. Ma prima... fammi tentare ancora un po' di tenere in vita la tua faccia da culo». Per favore, aggiunse mentalmente. Non era tipo da quelle gentilezze.
Tuttavia quella era una promessa solenne, una promessa da principe. Un uomo d'onore, per quanto mantenere fede a quella promessa sarebbe stato complesso.
Il volto di Kakaroth, deformato da spasmi di dolore, si rasserenò un attimo.
«Gra-zie. Significa ta-nto, per me».
La verità maledetta era che Vegeta non aveva alcuna voglia di ucciderlo, non in quel frangente. Men che meno aveva voglia di vederlo spegnersi per uno schifo di malattia.
Quindi no, non si sarebbe arreso. La fede, gli Dei non l'avrebbero aiutato? Lui era dalla parte della scienza e avrebbe trovato la soluzione in quell'ambito. E 'fanculo alle divinità.
«Kakaroth... guardami bene: troverò il modo. Tenterò di tutto per farti guarire e prenderti a calci fino a che non ti sarai alzato da qui, fosse l'ultima cosa che faccio».
Anche quella suonava tanto come una promessa. Quella, però, non sapeva se avrebbe potuto mantenerla per davvero e dovette sopprimere ancora un poco la fastidiosa coscienza che gli diceva “non farti illusioni, non dargli illusioni”.
Forse perché la voce della sua coscienza ancora non era consapevole dell'idea geniale che gli sarebbe venuta in mente da lì a poco.




Continua...


ANGOLO DI EEVAA:
Buongiorno a tutti e innanzitutto grazie a chi ha scelto di iniziare e proseguire la lettura di questa storia che, come avrete ben notato, è allegra e gioviale come una passeggiata tra i fiori di campo. Yep.
La situazione di Goku precipita sempre di più, così come la pazienza di Vegeta e la sua sanità mentale oramai vacillante. Come avete notato ho affrontato molto velatamente anche la tematica dell'eutanasia, che sarà molto ricorrente nel corso dei prossimi capitoli. Proprio per questo motivo ho inserito la voce "tematiche delicate". Sono molto curiosa di sapere i vostri pensieri a riguardo, ovviamente senza giudizio di alcun tipo. Chiedo però di essere molto rispettosi del parere altrui, qualunque sia il vostro :) non mi piace creare "flame", ma solo discussioni intelligenti e fatte con cognizione di causa.
Spero inoltre che non vi abbiano dato fastidio gli insulti di Vegeta rivolti alle sue divinità, ma nel mio immaginario lui è un personaggio abbastanza irriverente da questo punto di vista. Insomma, è un ex sicario che ha sterminato pianeti e popolazioni... mi sembra credibile renderlo un poco più crudo.
In tutto ciò... ehi, sembrerebbe che sua maestà abbia avuto un'idea geniale a fine capitolo. Di che potrebbe trattarsi? Ipotesi? Teorie.
Come sempre vi ringrazio di cuore, di nuovo, per tutto il supporto. Un grazie speciale a Nemesis01 per l'aiuto che mi ha dato con la traduzione inglese di questa storia :)
Un abbraccio e a presto,
Eevaa



Riferimenti:
-Il titolo del capitolo è un omaggio a una puntata omonima di una delle mie serie tv preferite, LOST. Qualcuno l'ha notato?
-Il fatto che i saiyan dell'universo 6 siano "invertiti" è ovviamente fantasia mia.
-Anche i due gruppi sanguigni sono roba inventata di sana pianta. I saiyan sono una popolazione aliena... mi sembrava piuttosto logico che non fossero strutturalmente identici ai terrestri, ma esattamente come i terrestri mi sembrava piuttosto verosimile che non fossero tutti uguali tra loro.

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Capitolo 3
*** Mental-breakdown ***


Disclaimer:
Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte dell'universo di Dragon Ball sono di proprietà di Akira Toriyama© e Toei Animation©.
Non concedo, in nessuna circostanza, l'autorizzazione a ripubblicare questa storia altrove, anche se creditata e anche con link all'originale.
I diritti delle immagini non mi appartengono.
Nessun copyright si intende violato.
Attenzione!
Ricetta per la costruzione di questo capitolo: 200g di dramma, 100g di tristezza setacciata, 50g di cinismo, linguaggio scurrile q.b e 1 cucchiaino di attacco di panico. Assemblare tutto in una bacinella di frustrazione e infornare per 15 minuti. Et voilà!
Da degustare solo se sicuri di poterla digerire.

- I've got you, brother -


Capitolo 3
Mental-Breakdown



Quel bastardo peggiorava.
Peggiorava ogni minuto, ogni ora sempre di più. Dopo una giornata da quella visita notturna, le condizioni di salute di Kakaroth si erano fatte così gravi da doverlo semi-sedare. Sarebbe stato sveglio, ma per molto meno tempo e con una coscienza davvero ridotta.
Era stato uno strazio. Un vero strazio per tutti, ma soprattutto per i figli.
Goten e Gohan, i quali Vegeta aveva imparato a considerare quasi come parte della propria famiglia, erano distrutti. Vedere uscire Goten da quella stanza dopo aver salutato – con probabilità per l'ultima volta – suo padre, era stato il colpo di grazia per Vegeta.
Neanche un cuore arido come il suo avrebbe potuto reggere a tanto senza quantomeno scricchiolare.
Aveva dovuto allontanarsi – di nuovo, medaglia d'oro per l'evanescenza – e stare un poco da solo.
Si era ritrovato in quell'oramai consueto deserto, ma quella volta senza dare sfoggio del suo catalogo di blasfemia e ira funesta.
Era rimasto zitto, impalato lì, ad aspettare il brillare delle stelle. Pericolosamente calmo.
La quiete prima della tempesta, avrebbe detto chiunque. Ma la tempesta c'era già, eccome: dentro, Vegeta, sentiva di stare implodendo per davvero.



«Zio 'Geta! Ma è vero che tu eri amico del mio papà?»
Una pulce di cinque anni e una stupida finestrella tra denti.
«Niente di più falso».
«Ma lo conoscevi, uh, papà?» intervenne Trunks, un'altra scimmietta impertinente.
Goten e Trunks insieme erano l'accoppiata più pericolosa sulla faccia della Terra. Sicuramente le loro capacità distruttive dell'ambiente non erano nulla contro l'ottimo lavoro di distruzione della pazienza del principe dei saiyan.
«Sì» sbuffò Vegeta.
Goten si illuminò. Gli stessi occhi gioiosi di quel deficiente del padre, gli stessi capelli stupidi e lo stesso entusiasmo. Era come avere un micro-Kakaroth in giro per casa ogni santo giorno, forse un poco meno idiota.
Goku era morto oramai una manciata di anni prima, durante il torneo di Cell. Goten non l'aveva mai conosciuto.

«E che tipo era?» domandò il bambino.
Un fottuto clown. Un buffone. Una testa di cazzo. Una pallida imitazione di saiyan di terza classe. Un decerebrato con una faccia da scemo.
«Un tipo fastidiosamente curioso, come te» disse però sua maestà. Gli occhietti furbi di Goten si spensero un poco e Vegeta si maledisse per essere diventato un patetico sentimentale nel provare qualcosa di minimamente diverso all'indifferenza, nei riguardi di quel moccioso. «Ma un bravo guerriero» sbuffò quindi, per concludere, rosso come un peperone.
«Uh! Forte! Diventerò anche io un bravo guerriero come te e il mio papà» trillò Goten.
«E come me!» puntualizzò Trunks.
E insieme iniziarono a lottare, esattamente come i cuccioli di saiyan che Vegeta vedeva dal suo castello, quando aveva poco meno che la loro età.

Chi l'avrebbe mai detto che prima o poi avrebbe avuto dei figli?
Figli?! Aveva detto “figli!”? Plurale?


Vegeta aprì gli occhi dopo un lungo momento meditativo e ne uscì più provato che prima.
Aveva cresciuto quel piccolo scimmiotto come se fosse suo, negli anni in cui Kakaroth era a farsi gli affari suoi nell'Alildà. Il più grande desiderio di Goten era stato conoscere suo padre, ne aveva sempre parlato in continuazione. E quando l'aveva finalmente incontrato era stato così felice che Vegeta aveva quasi avuto il vomito per tutta quella felicità nell'aria.
E ora erano tutti una bellissima famiglia di idioti.
Perché? Perché il destino aveva voluto lanciar loro quel tiro losco?
Goten non lo merita. Non lo merita. Vegeta strinse i pugni a quei pensieri così paterni, così umani. Non li sopportava. Non sopportava quella situazione che lo portava a essere così fragile.
Kakaroth stava morendo e lui non aveva ancora trovato alcun modo di aiutarlo, di poter far sì che vivesse. Per poter far sì che rimanesse accanto alla sua famiglia, a quella donna isterica, a Goten e suo fratello più grande.
Fratello.
Fratello?
Vegeta spalancò gli occhi tanto da farseli uscire dalle orbite. Erano le stelle che illuminavano così tanto, o la lampadina che si era appena accesa nel lobo frontale?
«Merda!»


-兄弟愛-


Sgattaiolò dentro nel piano interrato della Capsule Corporation, l'area scientifico-tencologica, diretto furtivamente nel laboratorio segreto al quale avevano accesso solo i membri della famiglia Brief e pochi scienziati scelti.
Sillogismi e associazioni di idee folli a parte, Vegeta sapeva bene quando si trovava di fronte a un forte dilemma etico. E, pertanto, agì di conseguenza: se ne sbatté allegramente il cazzo.
Avrebbe fatto qualunque cosa in suo potere per mantenere in vita quell'esimia testa di clown, persino venir meno ai giuramenti alle divinità. Tuttalpiù che il rispetto delle divinità l'aveva smarrito in via definitiva pochi giorni prima.
Avrebbe fatto lui la divinità. Oh, avrebbe giovato al suo egocentrismo, oh, sì. Gli Dei avevano voluto far estinguere la razza saiyan? Avevano fatto un pessimo lavoro a lasciarne in vita qualcuno di troppo.
Tra i quali due imbecilli di proporzioni cosmiche, due scarti della società con i quali Vegeta aveva vagato nello spazio e ogni orribile giorno della sua vita aveva maledetto tra i denti. Guarda caso uno dei due era il fratello dell'inetto in punto di morte. Quante probabilità c'erano che anche lui condividesse lo stesso gruppo sanguigno con il suo parente più stretto? Alte, molto alte.
Quale dilemma etico? Non avrebbe dovuto uccidere nessuno! Avevano fatto tutto loro! Piccolo e Kakaroth l'avevano ammazzato vent'anni prima. Radish aveva commesso il terribile errore di mettersi a giocare a fare il cattivo con le puttane sbagliate, lì sulla Terra, e loro l'avevano ucciso. Fine dei giochi.
Lui non avrebbe dovuto fare niente, niente di niente di scorretto. Solo recarsi lì, in quell'esatto momento nel tempo e nello spazio, prendere in prestito l'inutile carcassa di Radish e renderla meno inutile. E probabilmente più utile di quanto fosse stato anche da vivo. Radish era morto agonizzando e spifferandogli tutto attraverso il loro rilevatore di potenza, improbabile che un organo vitale come il cuore fosse danneggiato.
Come aveva fatto a non venirgli in mente prima?
Vegeta si guardò intorno per accertarsi di non essere seguito, poi inserì il codice d'accesso al laboratorio, furtivo e frenetico.
Avrebbe fatto un lavoro pulito e veloce, nessuno si sarebbe accorto di nulla. Non avrebbero detto nulla agli Dei, avrebbero semplicemente inventato e plaudito a un “miracolo”, quelli che tanto piacevano a loro. “Pregate” gli avevano detto.
Bene, avrebbe raccontato agli Dei di aver pregato molto forte e di essere stato particolarmente convincente.
Si addentrò nel laboratorio diretto alla cassetta di sicurezza, ove sapeva ci avrebbe trovato quel trabiccolo infernale che avrebbe permesso loro di viaggiare nel tempo. Bulma aveva costruito una Macchina del Tempo di scorta, ma non l'avevano mai utilizzata. Beh. Quale momento migliore per un'inaugurazione?
Estrasse la capsula e se la girò tra le mani. Hope, c'era scritto.
Forse quella era davvero l'unica speranza. Un'unica, flebile speranza che vacillò al rimbombo di una voce graffiante.
«Sapevo che saresti venuto qui, Vegeta».
In termini deliziosamente tecnici c'era un solo modo per descrivere con minuziosa eleganza la serietà della situazione corrente: era fottuto.
Si voltò di scatto, con le mani ben spalmate dentro il barattolo di marmellata.
Lord Beerus e Whis, in piedi di fianco all'entrata del laboratorio, lo fissavano con sguardi tutt'altro che amichevoli. Specialmente quel gatto gigante e spelacchiato.
Perché, naturalmente, loro erano buoni a far nulla solamente fino a quando era il momento di infrangere le estensioni sferiche dell'apparato genitale maschile.
«Mi sembrava di essere stato sufficientemente chiaro sull'uso di quel marchingegno infernale» ringhiò Beerus, a braccia conserte.
Vegeta strinse le labbra e non rispose, ma comprese perfettamente come si fosse sentito Trunks quella volta in cui l'avevano sgridato quando aveva tentato di rubare la consolle dei videogiochi dopo che gli era stato vietato di usarla.
«Vegeta-san, vi è stato fatto divieto di usare la Macchina del Tempo» la voce di Whis, al contrario di quella furibonda di Beerus, era neutrale e calma. «Abbiamo soprasseduto sul fatto che foste in possesso di una di esse, ma stavamo oramai tenendo monitorata la sua ubicazione ed eventuali utilizzi a sproposito».
«Questo non sarebbe un utilizzo a sproposito» si stizzì Vegeta.
Utilizzo a sproposito sarebbe stato tornare indietro nel tempo e uccidere Freezer quando era ancora in fasce. Forse. O forse sarebbe stato il migliore degli utilizzi?
«L'unica concessione che potremmo permettere sarebbe di fronte a una minaccia all'umanità e gli universi. Questa situazione non rientra in quelle sopracitate» spiegò Whis.
Ma, giusto per tornare all'incapacità di gestione della rabbia, Vegeta non riuscì più a distinguere quale sarebbe stato un comportamento corretto da tenere con degli esseri divini. Perché, come già spiegato con ridondanza, lui non aveva alcun rispetto per le divinità.
Non aveva particolare rispetto per nessuno che gli andasse deliberatamente contro, a dirla tutta.
«È il fottuto unico modo che abbiamo per salvare quell'imbecille!» berciò.
«Passi le tue giornate a lamentarti di quanto sia imbecille e adesso ti lamenti perché non potrai più averlo intorno?! Dov'è finita la tua coerenza? Ne hai mai avuta una?» gracchiò Beerus, provocatorio e quasi annoiato.
Stupido felino troppo cresciuto. Se solo sua maestà non si fosse trattenuto gli avrebbe annodato quelle assurde orecchie lunghe attorno al collo.
«E dov'è la vostra, di coerenza? Siete delle divinità che millantano di doversi occupare dell'umanità e non potete fare un cazzo quando la persona che ha salvato più volte l'universo sta morendo!»
Decisamente inappropriato. Ma, ancora una volta, gliene poteva importare ben poco. Almeno fino a quando il Signore della Distruzione non lo prese per il bavero e creò una bolla di Hakai nella propria mano.
«Non osare parlare un'altra volta in questo modo, principe dei saiyan, o ti distruggo. E se non lo faccio io ci penserà Zeno-sama, quando scoprirà le intenzioni che avevi con questo affare» sibilò Beerus. Gli sottrasse la capsula dalle mani e se la infilò in tasca poi, con uno strattone, gettò Vegeta sul pavimento.
Scoprì che l'umiliazione bruciava solo la metà di quanto bruciasse il fallimento. Di quanto bruciasse il fatto che la sua idea non avrebbe potuto trovare realizzazione. Di quanto bruciasse la sconfitta.
Lord Beerus lo guardò dall'alto in basso con occhi gravi, poi si allontanò dal laboratorio, e con lui anche l'ultima possibilità di salvare Kakaroth.
Tremò dalla rabbia, dalla sconfitta, ma rimase in silenzio mentre Whis lo osservava rialzarsi con le ultime forze che aveva. Era stanco, distrutto, sconfitto.


«Vegeta-San... devi perdonare il mio signore, lui è un Dio e non può comprendere bene i sentimenti. Io, anche se sono un immortale, ho imparato molto guardando agire voi esseri umani» la voce dell'angelo aveva qualcosa di meno neutrale del solito. Era vero dispiacere, quello? O pietà?
Qualunque cosa fosse quel tono, era insopportabile.
«Mi è parso di capire che, nonostante l'ostilità tra te e Goku-san, voi due siate molto legati. È come un fratello, per te. Non è così?»
Vegeta strinse i denti.
“Beh, se non avessi risparmiato quel pazzo assassino, a quest'ora non avrei un fratello”.
Strizzò gli occhi. Ecco, stava impazzendo.
Non che fosse mai stato completamente sano nel cervello, ma sentire le voci non era per niente un buon segno.
Non era realtà.
La voce di Kakaroth nella sua testa non esisteva. Era solo immaginazione. Pura e irritante immaginazione.
«Vegeta-san» lo richiamò Whis.
Vegeta riaprì gli occhi e scoprì che pizzicavano. Probabilmente gli era entrata della polvere, qualcosa di simile. E probabilmente ben presto sarebbe stato mandato all'inferno per aver messo le mani al collo di un angelo, se Whis avesse continuato a guardarlo con quegli occhi impietositi.
«I sentimenti umani sono affascinanti. Anche se non riesco a provarli, posso avvertire quello che sta succedendo a te» disse. Vegeta ne dubitava altamente. Nessuno avrebbe potuto sopportare quella valanga di sentimenti contrastanti e confusi senza diventare completamente scemo. Lui oramai ci era abituato ad essere un caso patologico nella gestione delle emozioni.
«Provi dolore» rimarcò Whis, giusto per rigirare il coltello nella piaga.
Tra le tante cose, sì, provava dolore prima tra tutte. Forse non era così deficiente, quella divinità.
«Non c'è niente che io possa fare» dichiarò allora Vegeta, frustrato.
Whis sospirò. Quello sembrava un sospiro di dispiacere, non di pietà. Quindi un poco più tollerabile.
«Sono davvero spiacente, Vegeta-San. È quanto io possa sentire di più umano, in questo momento. Provo... tristezza, forse?» si interrogò, pacatamente. «Sono un poco affezionato anche io a quel ragazzo. Ma non possiamo lasciare ancora una volta che si commetta un crimine del tempo. Ti ricordi di ciò che è accaduto con Zamasu, giusto? Non vorrai certo mettere in pericolo tutti gli universi... per salvare una persona sola».
Vegeta si morse il labbro. No, certo che non voleva mettere a repentaglio la vita di tutti. Ma c'era davvero quel rischio? O erano solo paturnie idealistiche?
E se invece lui fosse stato disposto a rischiare? Kakaroth... Kakaroth forse l'avrebbe fatto. Oh, certo che l'avrebbe fatto, idiota com'era! Aveva messo a repentaglio la vita di dodici universi per molto meno.
«Pensa alla tua famiglia, Bulma, Trunks, la piccola Bra. Li metteresti in pericolo?»
Fu come una secchiata d'acqua gelida in piena faccia. Perché diavolo tutti sapevano colpirlo esattamente sul suo punto debole? Perché tutti tiravano sempre in mezzo Bulma, Trunks e Bra per farlo ragionare?
Era una maledizione. Quei tre erano una maledizione. Una benedetta maledizione.
Si trovava di fronte a una scelta, dunque: far morire Kakaroth o mettere a rischio la sua famiglia.
“Non avrei un fratello”.
No. Zitto, coglione di un Kakaroth mentale.
Lui non era davvero parte della sua famiglia. Kakaroth non era davvero...
«No...» sibilò, portandosi le mani tra i capelli. Solo per zittire quella voce orrenda nella sua testa.
«Forse il destino di Goku-san era semplicemente questo. Puoi accettarlo?» concluse quindi Whis, delicatamente.
Una delicatezza che suonò come una sberla. Oh, no, prendere quella decisione non avrebbe voluto dire accettarla. Mai.
«Non lo accetterò nemmeno quando avrà esalato l'ultimo respiro» sibilò Vegeta, il volto contratto dalla rabbia.
Camminò svelto fuori dalla stanza, senza alcuno scopo. Tanto non avrebbe potuto scappare da quel destino.
Whis lo guardò andarsene ed esalò un altro sospiro. Sì, era decisamente tristezza, quella.
«Ohi-ohi».


-兄弟愛-


Camminò lento lungo i corridoi della Capsule Corporation. L'unica cosa che avrebbe voluto fare sarebbe stato mettersi a letto, addormentarsi e risvegliarsi una settimana prima, quando ancora andava tutto bene e l'unica sua preoccupazione era con quale dei due pugni avrebbe spiaccicato il muso da cretino del cretino. Niente più, niente meno.
Si sentì al limite della sopportazione. O almeno, così pensava. Non avrebbe mai immaginato che il limite fosse ancora un asticella più in alto, non fino a che passò di fianco alla cameretta dei ragazzi.
La famiglia di Kakaroth stava alloggiando oramai da sei giorni lì alla Capsule Corporation, giusto per potergli stare più vicino. E Trunks era stato più che felice di ospitare in camera sua il suo migliore amico.
Non si stupì affatto di trovarli svegli a mezzanotte. C'erano state volte in cui, durante i loro “pigiama party” - così li chiamavano i terrestri – avevano tenuto lui e Bulma svegli con urla e schiamazzi fino alle cinque del mattino. Oh, come li aveva massacrati nella Gravity Room, il giorno dopo!
Dannati mocciosi.
«-fare niente, Trunks» la voce di Goten suonò particolarmente tremolante ma chiara, fuori dalla porta socchiusa
Vegeta interruppe il suo cammino e si avvicinò. Non era da lui origliare come una vecchia bisbetica, ma gli venne spontaneo.
«Neanche se ti proponessi il tuo videogioco preferito? Faccio iniziare prima te, eh? Che dici?» propose Trunks.
Una lunga pausa.
«Non lo so, non mi va molto».
«Vorrei poter far qualcosa per farti stare meglio» mormorò Trunks.
Vegeta ringraziò la genetica perché suo figlio avesse preso l'empatia di sua madre.
«Nessuno può fare niente. Neanche gli Dei» la voce di Goten si fece più cupa. «Il mio papà sta morendo e io sarò di nuovo solo. Un'altra volta!»
Vegeta trattenne il respiro e, quasi, gli sembrò di udire uno scricchiolio. Era il suo cuore, giusto?
Era proprio il suo cuore ad aver fatto quel rumore orripilante!
«Anche se non è la stessa cosa... ci sarò per te. Sei mio fratello. Non ti lascerò solo, te lo prometto!» disse Trunks.
“Non avrei un fratello”.
Un altro scricchiolio.
Cazzo. Cazzo. Cazzo. Gli mancava il respiro. Che stesse avendo qualche problema cardiaco anche lui?
«Grazie, Trunks. Per fortuna che ci sei tu!»
Vegeta si sentì sull'orlo di un collasso e, lentamente, si lasciò scivolare a terra contro al muro, senza far rumore.
Quei due mocciosi pestiferi maledetti. Maledettissimi.
Maledette copie in miniatura di lui e Kakaroth, di quello che erano, solo molto meno imbranati emotivamente.
Maledetti loro, maledetta la loro trasparenza, maledetto Trunks e la sua empatia che lo faceva sentire un bastardo più di quanto non fosse, maledetto Goten e la sua consapevolezza.
Vegeta sentì un nodo in gola.
Cazzo. Cazzo. Cazzo. Quand'è che avrebbe ripreso a respirare normalmente? Perché gli girava la testa? Ok, quello era decisamente un attacco di panico. Aveva letto sull'argomento e quelli erano tutti i sintomi: pesantezza toracica, secchezza delle fauci, giramenti di testa, respiro corto, orecchie che fischiano. Calma. Calma.
Calma un cazzo. Sarebbe svenuto lì come una mammoletta, se lo sentiva.
Sentì i mocciosi ridere per qualcosa di scemo, forse una battutaccia di Trunks di quelle che non facevano ridere nessuno.
“Sei mio fratello. Non ti lascerò solo, te lo prometto!”
Beh, almeno loro ci sarebbero stati l'uno per l'altro.
Magra consolazione che gli servì però a realizzare, purtroppo, il perché di quel panico. Il perché di quelle sensazioni orrende.
Perché anche lui aveva fatto una promessa. Una promessa che andava mantenuta. Perché non c'erano più speranze ed era giunto il momento di fare ciò che Kakaroth gli aveva chiesto. Dargli una morte dignitosa.
“Non avrei un fratello”.
Vegeta chiuse gli occhi e si concentrò sul respiro – che era sempre più corto. Sul serio, sarebbe morto lì? - ma qualcos'altro catturò la propria attenzione.
Calore. Umido. Sulle proprie guance.
Una reazione emotiva normale, da essere umano. Da quando in qua?
E più sentiva bagnato sulle guance e più il respiro tornava normale, faticoso, ma normale. E le orecchie smettevano di fischiare.
Si raggomitolò su se stesso e si portò una mano sulla bocca, giusto per essere più silenzioso in quella reazione a cui non era abituato neanche lui. Non voleva turbare i ragazzi, avevano già troppe preoccupazioni.
Non riuscì a contare quanti minuti rimase lì, sul pavimento, a versare lacrime come un bambino. Giusto il tempo di realizzare che quella notte avrebbe dovuto mantenere quella promessa.
Quella notte... avrebbe perso suo fratello.



Continua...

ANGOLO DI EEVAA:
... scusate? Ehm, lo so... questo capitolo è stato particolarmente strappalacrime. E anche breve, tralaltro. Si tratta di un capitolo di passaggio, di consapevolezza.
Vegeta ha preso coscienza finalmente di quello che Goku rappresenta per lui, e Goten ha avuto un ruolo abbastanza fondamentale in tutto ciò. Come sapete sono una grande amante del rapporto padre-figlio tra Goten e Vegeta, quindi ho voluto inserirlo anche qui!
Un vero peccato che l'idea di prendere in prestito il cuore di Radish non abbia funzionato, mh? Che ve ne sarebbe parso, di quell'idea?
E infine anche il nostro principe sembrerebbe essersi arreso. Davvero non c'è più nulla da fare? Davvero sono state esaurite tutte le carte?
Questo lo vedremo nel capitolo numero 4.
Spero che siate arrivati tutti sani e salvi fino a qui e che, nonostante tutto questo dramma, siate disposti ad attendere fino alla fine per scoprire cosa accadrà. Grazie come sempre alla mia cara Nemesis01 per l'aiuto con la traduzione!
Un abbraccio,
Eevaa



Riferimenti:
-Ho voluto mantenere i suffissi onorifici giapponesi (-san, -sama) nella parlata di Whis per mettere meglio in luce la distanza tra divino e umano. Inoltre trovo che nel doppiaggio originale siano una caratteristica molto specifica del parlato dell'angelo.
-Per quanto riguarda l'attacco di panico, mi sono basata principalmente a quello che in passato era accaduto a me. Non so se siano sintomi comuni a tutti, ma mi sono basata su un'esperienza personale.
-Nel mio immaginario durante il periodo post-torneo di Cell, Goten e Gohan erano soliti bazzicare la Capsule Corp ed è così che Trunks e Goten sono diventati amici. E, sempre nel mio immaginario, Vegeta ha avuto un ruolo importante nella crescita di Goten e il loro rapporto è particolare. Ovviamente non è canonico ma una mia fantasia personale.
-Lord Beerus è rappresentato un po' come uno stronzo, ma in realtà non è cattivo: semplicemente è indifferente ai sentimenti umani ed è anche stato fatto chiaro nel manga. Anche se, come abbiamo visto durante il Torneo del Potere, sembrava quasi dispiaciuto a veder scomparire Champa.

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Capitolo 4
*** Buio ***


Disclaimer:
Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte dell'universo di Dragon Ball sono di proprietà di Akira Toriyama© e Toei Animation©.
Non concedo, in nessuna circostanza, l'autorizzazione a ripubblicare questa storia altrove, anche se creditata e anche con link all'originale.
I diritti delle immagini non mi appartengono.
Nessun copyright si intende violato.
 


I've got you, brother -


Capitolo 4
Buio


Aveva atteso che tutti dormissero profondamente. Aveva dato un bacio sulla fronte a Bulma e l'aveva avvisata che quella notte, forse, non sarebbe tornato a letto.
Poi si era incamminato.
L'ala medico-scientifica distava a malapena cinque minuti a piedi in giardino, ed erano stati i cinque minuti più lunghi della sua vita. La notte, fitta di stelle, gli aveva ricordato di camminare a testa alta. Anche verso il patibolo. Beh, non il suo.
Era stata sua madre Echalotte a insegnargli che le promesse vanno sempre mantenute e, se non si è certi di qualcosa, meglio stare zitti. Non promettere. Era una delle poche cose che ricordava di sua madre, e una delle poche cose che gli erano rimaste di lei.
Un insegnamento prezioso.
Una promessa è una promessa. Aveva giurato a Kakaroth che, quando non ci sarebbe stato davvero più niente da fare, gli avrebbe alleviato le sofferenze e l'avrebbe accompagnato nell'Aldilà con dignità. E l'avrebbe fatto.
La fine degna per un grande guerriero.
Camminò lentamente lungo il vialetto e, come poche volte aveva fatto in vita sua, pregò qualcuno lassù di dargli delle forze. Poi si diede dell'imbecille, perché lui era già forte. Lui le aveva già le forze per fare qualsiasi cosa. Quindi riformulò la preghiera e pregò qualcuno di fargliele solo trovare. Se mai qualcuno si fosse degnato di dargli una mano. Ne dubitava.
Forse, alla fine, sarebbe stato lo stesso Kakaroth con qualche battuta imbecille, una delle sue, a farlo incazzare deliberatamente e rendergli quindi più facile quel compito. Se mai Kakaroth fosse riuscito a emergere dallo stato di incoscienza.
Cosa gli avrebbe detto, in quel caso? Quali sarebbero state le ultime parole?
Cosa dire a una persona che muore?
Esclusi sentimentalismi, naturalmente. Piuttosto che dirgli che gli sarebbe mancato si sarebbe ingoiato una delle palme tra le quali stava passeggiando. Decise che avrebbe improvvisato al momento. Un momento sempre più vicino. Sperò solo di non mettersi di nuovo a frignare come un moccioso, non davanti a lui.
Camminò lento nascondendo a se stesso di stare deliberatamente procrastinando, poi prese un fitto respiro e guardò la luna.
Sono pronto. Sono pronto. Non sono pronto.
Inutile aspettare il momento in cui lo sarebbe stato, non lo sarebbe mai stato. Meglio agire d'istinto.
Si incamminò velocemente verso l'entrata del padiglione con una catena al collo e un macigno nel petto.
A noi due, Kakaroth.
Tuttavia, quando stava per convincersi a entrare e fare quanto promesso, notò con lo sguardo una figura seduta su una panchina, poco distante.
Chichi.
Cosa cazzo ci faceva lì a quell'ora della notte? E con quel freddo, per giunta?
Ma, soprattutto... merda!

«Chichi?» domandò, sottecchi, avvicinandosi un poco alla panchina.
Lei alzò la testa lentamente e lo guardò. Sembrava stanca.
«Ciao, Vegeta».
Ci volle poco per realizzare che non si fossero mai trovati a parlare da soli. Forse non si erano praticamente mai rivolti la parola se non in una conversazione con altri. L'aveva sempre trovata persino odiosa, a tratti. Ma, considerando che lui trovasse odioso praticamente il 99% della popolazione mondiale – se non universale - non c'era da stupirsi. Tutto nella norma.
«Fa freddo per un terrestre stare qua fuori» convenne Vegeta. Si gelava, e la donna indossava un semplice kimono a maniche lunghe con un maglioncino sulle spalle.
«Sono più forte di quanto tu creda» rispose, lapidaria, senza alcuna espressione in volto.
Poi gli fece cenno di sedersi. Vegeta non riusciva a comprenderla, né capire quell'atteggiamento. Ma, diavolo, chi era lui per sindacare come ci si dovesse comportare? Non era un esperto neanche a fare normale conversazione, figurarsi a dialogare con una donna che di lì a poco si sarebbe ritrovata vedova.
Si sedette con riluttanza, molto distante, con le braccia incrociate. Rigido come un tronco, naturalmente. Rimasero in silenzio per qualche minuto poi, quando Vegeta iniziò a domandarsi perché diavolo fosse finito lì e ci fosse rimasto, Chichi parlò di nuovo.
«Ero una guerriera anche io, lo sai? È così che ho conosciuto Goku».
Oh, già. I tornei di Tenkaichi.
C'era una tristezza velata nello sguardo della donna, e come biasimarla.
«Bulma me lo ha accennato» grugnì sua maestà. Ancora non capiva perché gli stesse raccontando ciò. Forse aveva solo voglia di parlare e, che gran sfortuna, aveva trovato il peggior ascoltatore sulla faccia della Terra. Poveretta.
«Sono abbastanza forte per affrontare anche questa situazione. Lo devo fare per i miei figli, soprattutto Goten».
Buongiorno perspicacia, finalmente Vegeta comprese il nesso. Talvolta si domandava se a stare in compagnia di quel deficiente di Kakaroth non l'avesse fatto diventare un poco scemo. Oh, tanto quella cosa sarebbe andata a risolversi a breve, no?
Vegeta sospirò di amarezza a quei pensieri e alle parole di quella donna.
«Goten è abbastanza forte. Lui... ha Trunks» si sforzò di dire, ma in realtà le parole gli uscirono abbastanza facilmente. Oramai il canale emotivo era stato spolverato, quella sera. «E poi voi... potrete stare qui, immagino».
Ne avevano discusso lui e Bulma, due notti prima. Non avrebbero potuto lasciarli tornare su quelle montagne da soli, non dopo un così grave lutto.
«Ah... quindi ti sei arreso anche tu?» disse Chichi, voltandosi lentamente verso di lui.
Quelle parole lo colpirono dritto in faccia, quasi come uno schiaffo a mano aperta.
«Che-»
«Tra tutti, speravo che tu fossi l'ultimo a perdere le speranze».
Vegeta rabbrividì. Guerriera o non guerriera, Chichi sapeva fare molto male con le parole.
«Sai com'è... tutta questa storia del genoma dei saiyan, razza di fieri combattenti che non si arrendono fino alla fine» parlò di nuovo. Non c'era alcuna rabbia nelle sue parole, forse solo rassegnazione, delusione.
«Cosa stai dicendo?» soffiò Vegeta.
Stava tornando. Il panico stava tornando e lui non era pronto, non era pronto a farsi vedere in quello stato davanti a qualcuno.
«Sto dicendo che se anche tu ti sei arreso, allora vuol dire che per mio marito è finita per davvero» concluse lei, amaramente, poi tornò a guardare le stelle.
Sua maestà fece per aprire la bocca e dire qualcosa, ma la sua gola era chiusa. Completamente otturata.
Come avrebbe potuto dirglielo che era proprio per quello che si trovava lì? Come avrebbe potuto dirle che lui si trovava lì per porre fine alla vita di suo marito?

Cazzo. Di nuovo. Non respiro.
Il peso sul petto di nuovo troppo opprimente, la gola stretta, le mani tremanti, sudori freddi.
Non c'era più niente da fare e Kakaroth sarebbe morto. Sarebbe morto perché lui non aveva trovato nulla. Si era arreso. Fiera razza di guerrieri che non si arrendono fino alla fine e lui aveva decretato che quella fosse la fine.
L'aveva deciso lui.
Si era arreso.
«Mi sono... arreso» balbettò. Fu poco più che un mormorio.
«Vegeta, che ti succede?»
Non respiro.
Troppa responsabilità. Troppo peso. Sarebbe morto. Oh sì, stava morendo. Stava morendo anche lui e avrebbe battuto Kakaroth sul tempo, se non altro sarebbe arrivato per primo, per una volta.
Sarebbe giunto nell'Aldilà prima di lui e buonanotte ai sogna-
Un attimo.
Un. Fottuto. Attimo.
La mente di Vegeta iniziò a vorticare veloce, frenetica. Lampadine accese, ding-ding-ding-Jackpot!, nubi che si sciolgono. Respiro che torna.
Realizzazione.
Si voltò verso Chichi e la prese per le spalle, poi la scosse forte. Eureka!
Ghignò con il peggiore dei sorrisi cinici che avesse nel repertorio, poi la scosse di nuovo.
«Questa volta ho vinto io» ringhiò, con una risata pericolosa.
Chichi, sconvolta, gli restituì lo sguardo con tanto d'occhi, mentre Vegeta rideva. Rideva sempre più forte. Mental-breakdown? No. Molto di più.
«Ehm, forse è meglio che chiamiamo un medico» disse lei, nel tentativo di allontanarsi lentamente come ci si allontana dal pazzo del paese. Oh, lui era eccome il pazzo del paese! Era il pazzo peggiore dell'universo.
«Chiamane una squadra intera» le disse sadico poi, finalmente, smise di ridere e divenne serio.
Aveva vinto lui. Avrebbe vinto.
Avrebbe salvato quel figlio di puttana. Con tanto di dito medio rivolto verso gli Dei.


 
-兄弟愛-


Inutile dire che nessuno si mostrò particolarmente entusiasta della sua idea. C'era da aspettarselo, quantomeno da Bulma. Ma in realtà non si sarebbe aspettato tutta quella riluttanza da tutti gli altri.
Dal nano pelato, ad esempio, con il quale aveva un rapporto di assoluta indifferenza.
Non avrebbe mai pensato di provocare tutto quello sgomento, quando aveva chiamato la cricca di inetti in raduno alle due del mattino, medici e paramedici compresi.
Vegeta, che grande idea! Sei il migliore, sei il nostro re! Ci inginocchiamo ai tuoi piedi!” avrebbe voluto sentirsi dire.
Vegeta, ma sei impazzito?!” si era sentito urlare, invece.
Sua moglie aveva persino osato tiragli uno schiaffo, Chichi si era messa a piangergli addosso e lui aveva dovuto far fronte a tutta la sua buona volontà per non mettersi a inveire contro tutti loro.
Oh, e non ci era riuscito. Aveva sbraitato qualcosa su quanto fossero degli incompetenti inutili irritanti imbecilli e una lunga sfilza di altri insulti che iniziano per i.
Poi si era calmato e aveva spiegato il suo piano alla lettera, passo per passo. Lentamente si erano convinti che, non essendoci altre soluzioni, era effettivamente quanto di più saggio e con meno probabilità di fallimento. Avevano chiamato a sé gli Dei e, udite udite, avevano concordato che quella cosa avrebbe potuto essere fattibile.
Tra i gran sospiri di sollievo di tutti - e una gran soddisfazione per Vegeta di aver trovato un modo di aggirare la burocrazia e l'etica divina - si erano organizzati a dovere: Chichi e Videl si sarebbero occupate di tenere i bambini il più possibile al sicuro e avrebbero spiegato loro il da farsi solo a fatto compiuto e risolto; Bulma, Diciotto e Crilin sarebbero partiti immediatamente con Whis alla volta di Neo Namek e avrebbero radunato le Sfere del Drago Polunga; la dottoressa Hange Brief avrebbe allestito tutto il necessario e preparato la sua équipe e, infine, lui, Gohan e Piccolo sarebbero rimasti lì.


Vegeta si era sottoposto nuovamente a una serie di controlli che avevano dato esiti assolutamente positivi e, finalmente, alle prime luci dell'alba, Whis li aveva contattati e avvertiti che le sfere erano state radunate in poche ore ed erano pronte all'uso.
Il cavillo burocratico con le divinità era stato sciolto, niente sarebbe uscito dagli schemi, le probabilità di fallimento erano poche – anche se c'erano.
Kakaroth... guardami bene: troverò il modo. Tenterò di tutto per farti guarire e prenderti a calci fino a che non ti sarai alzato da qui, fosse l'ultima cosa che faccio”.
Vegeta non si era arreso e, all'ultimo minuto, era riuscito a mantenere quella promessa. E sarebbe stata davvero... l'ultima cosa che avrebbe fatto.
Era pronto. Era tutto pronto.
Colui che, invece, sembrava non essere pronto, era il designato a prendere parte attiva a quel piano. Colui che Vegeta aveva scelto per adempiere a quel compito.
«Tu sei assolutamente certo di quello che mi stai chiedendo di fare, vero?» domandò Piccolo, riluttante com'erano stati anche gli altri, al momento della grande dichiarazione del suo piano.
«Di certo c'è solo la morte e, ops, è proprio quello che ti sto chiedendo di fare» ghignò Vegeta, con un sorrisetto impertinente in volto.
Sì, il suo piano non era nient'altri che quello: lasciarci le penne prima che Kakaroth lo facesse. Non perché avesse delle particolari manie di superiorità e volesse davvero arrivare prima nell'Aldilà, e nemmeno perché avesse qualche tendenza suicida o cose simili.
Semplicemente perché, così facendo, avrebbero potuto utilizzare il suo cuore per il trapianto e salvare Kakaroth da quel destino terribile.
No, nessuna mania da eroe o da grande sacrificio. Era tutto calcolato.
Incredibile che daresti davvero la tua vita per lui” gli aveva detto Chichi, tra le lacrime, e lui si era messo a inveire. Col cavolo che avrebbe dato la sua vita per quel demente! Non senza poi porre rimedio alla cosa.
Era semplicemente disposto a... morire. Per salvare lui.
Vegeta dovette trattenere un conato di vomito a quel pensiero. Che cosa terrificante e sdolcinata!
Anche se, effettivamente, di quello si trattava: sarebbe morto e poi, una volta prelevatogli il cuore dal petto, l'avrebbero resuscitato da Neo Namek.
In fin dei conti la vita dell'idiota valeva una passeggiata di dieci minuti all'inferno.
Aveva scelto Piccolo. Di tutti era l'unico di cui si sarebbe fidato per mandarlo all'altro mondo e, onestamente, era convinto fosse persino una soddisfazione per il namecciano. Un modo di fargli togliere un sassolino da quelle orribili scarpe a punta decisamente fuori moda.
«Devo ammettere che provo sentimenti contrastanti nel fare questa cosa» mormorò Piccolo.
Perché, i namecciani ce li hanno i sentimenti? Avrebbe voluto rispondergli Vegeta. Però si rese conto che era proprio l'ultima delle persone a potersi permettere delle riflessioni emotive.
«Mh. Forse devo ricordarti che sono venuto qui per ammazzarvi tutti?» replicò quindi sua maestà.
«È stato tanto tempo fa. Le cose sono cambiate» puntualizzò Piccolo.
Sul serio erano tutti così attaccati alla sua vita? Sul serio lo avevano perdonato completamente per essere stato il principe dei bastardi?
A giudicare dallo sguardo terrorizzato di Gohan, probabilmente sì.
«Tu fa' finta che io sia ancora quel maledetto figlio di puttana» lo incitò quindi Vegeta, col peggiore dei sadici sorrisi tipici dell'epoca. «Un colpo secco, qui» indicò la fronte, «in mezzo agli occhi».
«Vegeta...» soffiò Gohan, con voce traballante.
E dire che il ragazzo si era offerto di rimanere solo per dare sostegno al muso verde! Hah! Che razza di sostegno avrebbe potuto dargli, con quelle gambe che tremavano come quelle di un moccioso?
«Gohan, non interferire. Se non sei in grado di guardare questa cosa, esci dalla stanza».
«Sì, scusa, Vegeta» rispose, dispiaciuto.
Era stato tutto ben disposto. I dottori erano già tutti fuori pronti a intervenire, a operarlo per asportare il cuore non appena morto. Certo, l'ideale sarebbe stato fare un operazione in concomitanza: estrarlo dal suo petto e ficcarlo direttamente in quello del decerebrato. Ma quello era il primo dei quesiti e possibili fallimenti del piano: e se, una volta resuscitato e rigenerato, il cuore originale fosse scomparso? Non sarebbe stata una grande mossa impiantare a Kakaroth un organo per poi farlo scomparire.
Quindi avrebbero prelevato il suo cuore, l'avrebbero resuscitato e, una volta sicuri di aver visto l'organo integro nella scatola criogenica, l'avrebbero impiantato nel demente. Operazione rischiosa, ma meglio che un pugno di mosche.

«Beh, che aspetti? Una letterina di invito?» ringhiò Vegeta. Non era esattamente una meraviglia starsene lì a torso nudo, in quel laboratorio asettico e refrigerato.
Piccolo lo guardò storto, in piedi, pochi passi d'innanzi a lui.
«Non hai paura?»
Vegeta strinse le labbra. Paura? Lui non aveva paura di niente. Beh, forse giusto quel poco.
Morire non era esattamente l'attività più piacevole dell'universo, ma era qualcosa che andava fatto. Era l'unica possibilità ed era sulle sue spalle. Non avrebbe deluso nessuno e doveva mostrarsi quanto più possibile sereno nei riguardi di quella cosa. Già il suo orgoglio bruciava per essersi esposto così tanto! Almeno doveva fare in modo di risultare piuttosto indifferente.
Un po' come se stesse andando a fare una gita, una visita di cortesia ai suoi vecchi amici bastardi che stavano marcendo tra le fiamme dell'inferno.
Quindi no, la paura avrebbe dovuto tenerla ben nascosta, celata sotto strati e strati di dignità.
«Sono morto altre volte. Ci sono abituato. Beh, non quanto il testa pelata» rispose quindi, con un ghigno.
Piccolo alzò gli occhi al cielo, poi puntò un dito verso di lui.
Merda.
Vegeta alzò il mento e chiuse le dita a pugno. Giusto per non tremare. Ok, forse aveva paura.
Quel dito, quel bagliore puntato dritto in faccia non era esattamente semplice da mandar giù. Il suo istinto e i suoi sensi da combattente gli imponevano di schivare, di parare, di lottare. E invece avrebbe dovuto rimanere immobile a farsi saltare in aria il cervello.
Ok, perché diamine non aveva accettato di farsi addormentare prima? Ah, giusto, perché “io sono il principe dei saiyan e voglio guardare in faccia la morte”.
Che idea di merda.
«Mi risulta più difficile del previsto» ringhiò quindi Piccolo, abbassando leggermente il braccio con un sospiro.
Eh no! Quello non era il momento di desistere e tirarla per le lunghe. Già era una tortura in quel modo! Aveva scelto Piccolo proprio perché era quello meno incline alle smancerie, ai sentimentalismi e tutto il resto. Aveva scelto lui perché pensava avrebbe potuto assolvere al suo dovere senza riserve e invece... ci stava ripensando? Per l'amore dei Kaioh!
«Lo hai capito o no che ogni secondo che perdiamo è un secondo in meno dalla morte di quel deficiente? EH?» berciò quindi Vegeta. «Stupido inutile muso verde!»
«Ti stai impegnando per rendermi più facile il compito, eh» convenne Piccolo, con disappunto.
Oh, beh. Quella in effetti sarebbe stata una grande idea. Quale modo migliore per farsi odiare se non esternare esattamente il disastro disordinato di emozioni che aveva dentro senza alcun filtro? Quale modo migliore se non tornare per un secondo a essere lo spietato assassino del passato?
«VAFFANCULO. Sei un buono a nulla! Un CODARDO! Se non riesci ad assolvere questo compito sei solo un grandissimo codardo! Siete tutti dei codardi! Un branco di incapaci, avrei dovuto ammazzarvi tutti diciannove anni fa!» si mise a urlare il principe. Gohan rabbrividì e indietreggiò di un passo.
Piccolo, invece, alzò nuovamente il braccio e gli puntò il dito in fronte. Ancora troppo, troppo riluttante.
«BRANCO DI BUONI A NULLA, PATETICI!» continuò a urlare Vegeta, con tutto il fiato che aveva in gola. «GIURO CHE SE NON LO FAI UCCIDO GOHAN ADESSO, COSÌ USIAMO IL SUO DI CUORE, OK?! OK?!»
La riluttanza negli occhi di Piccolo svanì, e il suo dito si illuminò di scosse elettriche luminose.
Merda.
Vegeta strizzò gli occhi.
«UNA MERDA DI INSETTO VERDE SCHIFOSO CHE NON RIESCE NEANCHE A UCCIDERE UN BASTARDO COME ME. CHE DELUSIONE, CHE DELUSIONE!» continuò a urlare.
Il ronzio dell'aura di Piccolo si fece più intenso e lui strizzò ancor di più gli occhi.
Merda. Merda. Merda.
Forse non era poi così preparato a quella cosa.
“Non avrei un fratello”.
Ma qualcosa gli diede la forza di esserlo.
Avanti. Ora. Sono pronto.
«PATETICO! SEI PATETICO! MALEDETTO CODAR-»

 
Buio.
 
 
-兄弟愛-

 
Quel figlio di puttana bastardo, cosa diavolo gli aveva chiesto di fare!
Quel bastardo, bastardo, bastardo. Non aveva idea di quanto gli avesse chiesto. Oramai tempo addietro aveva giurato a se stesso di aver abbandonato per sempre la vita dell'assassino, del cattivo. Aveva giurato a se stesso che avrebbe lottato per proteggere, per difendere e per difendersi. Che mai avrebbe commesso un omicidio in vita sua, se non giustificato. Se l'era ripromesso e l'aveva promesso a Gohan.
Piccolo cadde sulle ginocchia, il dito ancora caldo dall'attacco scagliato. Il corpo di Vegeta, riverso sul terreno di fronte a sé, era immobile.
Non aveva mai smesso di sorprenderlo, quel saiyan. L'aveva sorpreso accettando di stare dalla loro parte, l'aveva sorpreso sacrificandosi contro Majin-Bu, l'aveva sorpreso quando aveva scelto di farsi una famiglia, l'aveva sorpreso al Torneo del Potere e... quale sorpresa più enorme di tutti vederlo pronto a morire per un amico.
«Santo Kaioh... l'ho fatto davvero» soffiò Piccolo, sconvolto.
L'aveva ucciso. Beh, non che ci fosse scelta. Sapeva di non averlo fatto per cattiveria, non per male. Gliel'aveva chiesto – l'aveva quasi velatamente supplicato, e non aveva mai sentito Vegeta supplicare per qualcosa – ed era assolutamente a fin di bene. Oltre che provvisorio.
Eppure averlo fatto era comunque sconvolgente.
Gohan, in piedi di fianco a lui, tremava e non sembrava riuscire a distogliere gli occhi dalla carcassa priva di vita del principe dei saiyan.
«Kami...»
«Chiama il team... chiama subito il team» lo spronò Piccolo, apparentemente incapace di alzarsi.
Gohan, come risvegliato, annuì e obbedì all'ordine. Uscì di corsa dalla stanza e diede il consenso ai medici di procedere.
Entrarono in cinque - preparati alla morte apparentemente più di lui - raccolsero il corpo di Vegeta e lo trasportarono nella stanza accanto dandosi a vicenda ordini specifico-tecnici.
Gohan, invece, si sedette accanto a lui. Per terra.
Il sangue di Vegeta di fronte a loro, simbolo di morte e speranza.
«Sei stato coraggioso» gli disse Gohan, mettendogli una mano sulla spalla.
Piccolo prese un denso respiro.
«Quello coraggioso è stato lui».
Lo era stato per davvero. Ma, pensandoci bene, se gli fosse stato chiesto di fare lo stesso per Gohan, lui sarebbe morto senza alcuna esitazione.

 

-兄弟愛-


La stessa maledetta, angosciante sensazione di qualche anno prima. Un dolore fitto, nel petto, un presagio, un avvertimento.
Se l'era sentito allora e lo aveva sentito chiaramente anche in quel momento.
Bulma tremò e deglutì un boccone amaro. Si accovacciò a terra e si prese la testa tra le mani.
«È morto. È morto, è morto, è morto. Kami, è morto» iniziò a mormorare, scossa dal terrore.
«Non disperare, Bulma-san, è solo per pochi minuti» intervenne Whis.
Bulma lo guardò con una strana voglia di omicidio tra le mani.
«È DI MIO MARITO CHE STIAMO PARLANDO!» sbottò.
Poco le importava che sarebbe stato per pochi minuti. Suo marito era morto e solo concepirne l'idea era traumatizzante. Sarà stato che forse in quei giorni il concetto di morte era diventato piuttosto assolutistico – a differenza di come l'avevano sempre concepito, grazie alle Sfere del Drago – ma proprio non se la sentiva di rimanere impassibile a ciò.
Pensare che Piccolo avesse appena fatto saltare il cervello a suo marito era da brividi.
E, esattamente come aveva previsto, la chiamata dalla Terra arrivò nel giro di pochi minuti. Probabilmente il tempo dei dottori di procedere con l'asportazione del cuore. Il cuore che aveva imparato ad amarla sarebbe finito nel petto di qualcun altro. Beh, se non altro era quello del suo migliore amico.
Whis rispose alla chiamata e Bulma si alzò in piedi, di nuovo.
Il volto pallido di Gohan comparve sullo schermo. Piccolo, poco dietro di lui, sembrava avere assunto un colorito decisamente più giallognolo rispetto al verde vivace del solito.
Anche i namecciani cambiavano colore a seconda degli stati d'animo?
«È... ehm» balbettò Gohan, rivolgendosi direttamente a Bulma. Se avesse detto “condoglianze” lo avrebbe strozzato, per prima cosa, appena tornata sulla Terra. «I dottori hanno asportato il cuore. È pronto per il trapianto».
Bulma rabbrividì. Chiuse gli occhi per un secondo, giusto il tempo di gestire l'implosione che percepiva a livello emotivo, poi si fece forza. Quello non era il momento di disperarsi e cedere ai pensieri catastrofisti e poco razionali. Vegeta sarebbe stato bene da li a poco. Sarebbe tornato da lei.
«Procediamo immediatamente. Anziano Saggio, è il momento di chiamare Polunga» disse Bulma, seria.
Il capo namecciano annuì e aprì le braccia verso il cielo. Una vera fortuna che, nel corso degli anni, il loro rapporto con i namecciani si fosse sempre più consolidato. La loro alleanza era decisamente proficua.
«Non resta se vedere se funziona» trillò Whis.
Crilin le si avvicinò e le sorrise, mentre il grande Drago Polunga appariva lentamente sopra le loro teste.
«Vegeta è stato molto coraggioso, Bulma».
Forse quelle erano le parole di cui aveva bisogno. Crilin diceva sempre ciò di cui aveva bisogno.
«Lo so. È mio marito» rispose fiera, orgogliosa. Lo era per davvero.
Nonostante la riluttanza e il terrore, era felice che suo marito avesse preso quella decisione e, prima ancora, che fosse stato così arguto da avere quell'idea.
L'unica possibilità di riavere indietro il loro Goku dipendeva tutto da lui.
«Quasi fatico a credere quanto sia cambiato, in questi anni» mormorò Crilin.
«Questo perché voi non avete mai voluto davvero vedere cosa ci fosse dietro quella faccia da cazzo che si ritrova».
Lei era stata l'unica, insieme a Goku, a dare una possibilità a quel bastardo alieno con i capelli a punta. Ed era stata la decisione migliore che avesse mai preso.
Tutto ciò che sperava in quel momento, però, era che Polunga lo riportasse in vita. Da lei, da Trunks, da Bra, da tutti loro. Ci fossero voluti ottanta desideri, lei avrebbe solo voluto il suo Vegeta vivo e in salute entro cinque fottuti secondi.
Perché Polunga lo avrebbe riportato in vita, vero?
Una terribile sensazione la invase. Ma forse era solo paranoia. Forse.


Continua...


ANGOLO DI EEVAA:
Buongiornisssssimo!
Dai, dai, capitolo triste sì, ma con una soluzione a portata di mano! Cosa ne pensate del "sacrificio" di Vegeta? Qualcuno aveva già ipotizzato tale possibilità. 
Una vera fortuna che Chichi si trovasse proprio lì, o altrimenti il principe non avrebbe raggiunto quell'epifania. 
Ho voluto dare a Piccolo il gravoso compito, proprio perché penso che lui e Vegeta abbiano avuto un percorso per certi versi simile e quindi, nella mia testa, sua maestà lo ritiene molto più sopportabile di altre persone sulla Terra. Che ne pensate di questa scelta? Molto furbo da parte di Vegeta pungere Piccolo sul fattore "Gohan" per rendere lui più facile l'uccisione xD
Che dire... manca un solo capitolo! Andrà tutto come sperato, o ci saranno dei problemi? Tenete incrociate le dita :) Uh, e inizio già ad avvertirvi: ho già pronta in canna una nuova storia da pubblicare. 
Grazie a tutti come sempre, ma alla mia dolce Nemesis01 che mi ha aiutata con la traduzione in inglese ancora di più <3
Un abbraccio e a domenica prossima,
Eevaa


Riferimenti:
-Echalotte è il nome che Vegeta avrebbe voluto dare a Bra prima che nascesse (mi sembra che solo nella versione giapponese fosse stato specificato) e mi piace pensare che fosse il nome della madre di Vegeta. Ma è solo un mio headcanon! Secondo alcune indiscrezioni la madre di Vegeta in realtà potrebbe chiamarsi Rosicheena, ma non è dato per certo.

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Capitolo 5
*** Fratello ***


Disclaimer:
Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte dell'universo di Dragon Ball sono di proprietà di Akira Toriyama© e Toei Animation©.
Non concedo, in nessuna circostanza, l'autorizzazione a ripubblicare questa storia altrove, anche se creditata e anche con link all'originale.
I diritti delle immagini non mi appartengono.
Nessun copyright si intende violato.
 


I've got you, brother -


Capitolo 5
Fratello

 


Era stato veloce, tutto sommato moderatamente doloroso. Poi il buio. Un grande e gigantesco buio che lo inghiottiva e lo raccoglieva.
Quella era l'ultima cosa che ricordava prima di ritrovarsi lì, in fila ad altre anime perse, agli ingressi di quel posto strano erto su nuvole dorate.
Era difficile non credere all'Aldilà quando ce lo si ritrova spiattellato in faccia ma, giusto per gradire, Vegeta inghiottì un paio di bestemmie su quanto gli stesse da cani quello stupido cerchio scintillante sopra la testa.
La fila si esaurì in fretta e ben presto si ritrovò lì, in quella stanza troppo piccola per un omone così gigantesco.
Re Yammer, nel vederlo entrare, sobbalzò. Controllò un paio di volte il nome sul suo foglio, giusto per sicurezza, poi lo guardo di nuovo.
«Beh. Non mi aspettavo di vederti passare un'altra volta di qua» disse.
«Che c'è, le sono mancato?» controbatté Vegeta, con il solito ghigno stampato in volto e le braccia conserte.
Re Yammer grugnì.
«Sempre il solito cinico. Ma, un momento... ma...» borbottò, percorrendo con gli occhi le fitte parole su quello che doveva essere il suo documento di vita morte e miracoli. «Ci dev'essere un errore, qui».
Vegeta sbuffò.
«Non si scomodi. Non starò qui per molto» disse, alzando gli occhi al cielo. Possibile che dovessero farla tanto lunga? Aveva dei vecchi amici da salutare all'inferno prima di tornare dall'altra parte.
«Tu... tu ti sei sacrificato per... Son Goku?»
«Tsk. Detto così mi fa sembrare un patetico sentimentale». Però sì, era esattamente ciò che aveva fatto. Anche se avrebbe tanto gradito che nessuno più sottolineasse quella cosa eroica che non gli si confaceva un granché.
Re Yammer ne sembrò particolarmente stupito. Il suo grosso faccione tinto di un rosso ancor più carminio, gli occhi fuori dalle orbite.
«Sei finito all'inferno, due volte... io... possibile che non sia un errore?» domandò, consegnando quindi la scheda al suo sottoposto il quale, con minuzia, l'analizzò e fece cenno di diniego. Re Yammer corrucciò le folte ciglia dallo stupore. «Beh, beh... non mi rimane da chiederti se ti sei pentito di ciò che sei stato in passato, allora».
Vegeta alzò un sopracciglio, dubbioso.
«Non c'è forse già scritto, lì, su quel suo prezioso pezzo di carta?»
Vita morte e miracoli significava vita, morte e miracoli, dannazione! E il miracolo più grande era stato quello di pentirsi. C'era proprio bisogno di doverlo dire ad alta voce?
«Mh, sì, ma... mi risulta difficile crederlo» borbottò Re Yammer, poi si rivolse di nuovo al sottoposto. «Tu! Sei sicuro che sia tutto corretto, qui?»
«Sì, signore, nessuno sbaglio, signore» trillò il cornuto sottoposto che, dall'aspetto trafelato, aveva tutta l'aria di avere un aureola bruciante appiccicata alle chiappe.
Re Yammer si sistemò meglio il colletto del completo color melanzana taglia mammut e, dopo aver letto un'ultima volta il suo fascicolo, alzò gli occhi e prese il martello da giudizio.
«Allora... Vegeta, quarto della tua dinastia... io ti concedo dunque l'ingresso al Regno dei Cieli».
Vegeta si irrigidì.
Che cazzo dici?!
Il Regno dei Cieli? Era stato destinato... al paradiso?
«Cosa!? Lei... ne è proprio sicuro?»
«Beh, non posso certo collocarti all'inferno, dopo quello che hai fatto per redimerti».
Doveva esserci un errore. Lui era il cattivo, l'assassino che aveva ucciso miliardi di persone. Era un sicario, un bastardo, un miscredente di prima categoria. Non si potevano contare sulle dita dei piedi di un millepiedi le bestemmie rivolte agli Dei in quei giorni.
In che senso il Regno dei Cieli?
«Credevo non ci fosse redenzione per uno come me...»
«A dirla tutta i tuoi peggiori peccati risalgono alle tue vite passate. Ora, per quanto tu non sia stato sempre impeccabile, il bilancio mi sembra chiaro. Non ti resta che è andare, ora. Il verdetto è chiuso» decretò, poi diede un gran colpo di martello e lo invitò a proseguire verso destra.
Un nuovo assistente cornuto, però, raggiunse il piccolo tempio di corsa.
«A dire il vero, signore... mi risulta che il signor Vegeta IV è appena stato richiamato sulla Terra» ansimò.
«Oh, ma...»
«Gliel'avevo detto di non scomodarsi» disse Vegeta, con un ghigno. Si sentì sollevato, a dirla tutta. Per un momento aveva pensato di aver fatto una mastodontica cazzata. E invece Polunga, a quanto pareva, aveva svolto il suo lavoro senza problemi.
«Se è così... allora puoi andare. Per il momento» mormorò Re Yammer.
Venne scortato dal suddetto assistente fino a un arco bianco strabordante di nuvole dorate.
Ce l'avevano fatta, era il momento di tornare! Un vero peccato non essersi potuto affacciare in quel nuovo fantomatico Regno dei Cieli e dare una sbirciatina. Beh, sperò di non poterlo vedere ancora per molto tempo.
Si immerse nelle nuvole e trattenne il respiro.


 
Luce.

 
-兄弟愛-
 


«Porca puttana maledetta!»
Vegeta si alzò di scatto a sedere, un sibilo acuto proveniente dai suoi polmoni.
«Buongiorno principessa, le è caduta la corona» lo ammonì Piccolo, al suo fianco.
Poi la voce fastidiosamente acuta – che cavolo, si era appena svegliato dalla morte! - di Bulma risuonò tramite il telefono.
«VEGETA! Oh, grazie al cielo!»
«Kami, che sollievo!» aggiunse poi Gohan, lì vicino da qualche parte.
Vegeta era troppo impegnato a guardarsi le mani tremanti per ascoltare le ciance gioiose degli incompetenti. Si sentiva strano.
Automaticamente si portò una mano sul petto, aveva una nuova cicatrice. Chissà come, le resurrezioni non nascondevano le cicatrici. Sotto il palmo aperto sentì il cuore battere forte, incessante.
Un cuore nuovo, un cuore forse più puro del precedente.
A quel pensiero ricordò immediatamente il perché di tutto quello, il loro scopo, le loro speranze. Si voltò di scatto in direzione dei medici, tutti radunati intorno a una scatola iperbarica.
Una vera fortuna che il suo cuore fosse nuovo di zecca, o sarebbe morto d'infarto in quella breve attesa.
Poi, finalmente, Hange sollevò il capo nella loro direzione, con gli occhi sgranati e un colorito piacevolmente rosaceo in volto.
«HA FUNZIONATO!» gridò. «Il cuore è ancora qui! Intatto!»
Oh, Zeno fottutissimo, grazie.
Vegeta chiuse gli occhi e si lasciò cadere all'indietro, sul lettino. Grazie, grazie, grazie.
Esplosero le urla di gioia dei dottori, di Gohan, di tutti coloro che erano in videoconferenza da Neo Namek. Esplosero e Vegeta quasi non ne fu infastidito. Avrebbe voluto urlare anche lui, ma non ne ebbe la forza.
Aveva funzionato. Il suo piano aveva funzionato. Il suo vecchio cuore funzionava ancora e ben presto l'avrebbero cucito dentro il petto dell'idiota.
Che detto così sembrava persino una cosa romantica, che grave affronto! Trattenne un conato di vomito a quel pensiero e riaprì gli occhi.
Gohan era lì, vicino a lui. Stessa faccia di suo padre, solo meno idiota. Lo stava fissando con gli occhi lucidi e le labbra strette.
«Tu... gli hai salvato la vita» convenne.
Ma la finivano tutti di rigirare il coltello nella piaga?!
Fece per replicare qualcosa di misantropico come suo solito quando, nell'angolo della stanza medica, scorse la figura immobile a braccia conserte di Piccolo. Beh, alla fine aveva adempiuto al suo compito.
Si guardarono per qualche secondo e annuirono, un tacito ringraziamento tra due vecchi cattivi. Quello che apprezzava del muso verde era proprio la sua pacatezza. Niente acclamazioni, niente plausi. Una reazione emotivamente incapace almeno quanto la sua.
Si sentì meno solo.
«Ok, la sala operatoria è già pronta, stiamo procedendo con il trasferimento del paziente» avvisò un dottore, affacciandosi dalla porta.
Vegeta scattò immediatamente giù dal letto al rumore della barella in corridoio. Si strappò gli ormai inutili tubi e aghi attaccati alle braccia e uscì di corsa – in mutande, ma quelli erano dettagli – e li rincorse senza riflettere. Non aveva idea di quello che stava combinando ma poco importava.
Tutto ciò che gli importava era guardare quel maledetto imbecille negli occhi e dirgli che sarebbe stato bene.
Si fece largo tra gli infermieri e i medici e si affacciò alla barella sulla quale Kakaroth verteva in uno stato di semi-coscienza.
«Ehi, idiota» lo chiamò. Lui sembrò destarsi, confuso. Fece fatica a mettere a fuoco.
«Ve-»
«Taci. Risparmia il fiato per quando dovrai scappare dalla mia ira».
Kakaroth corrugò le sopracciglia. Probabilmente non ci stava capendo niente. Non che fosse una novità.
«Ma...»
«Vedi di non fare lo stronzo e di sopravvivere, intesi?» gli disse, infine, prima che i medici iniziassero a muovere nuovamente la barella. «Io ho mantenuto la mia promessa, vedi di non sprecare i miei sforzi!» gli urlò dietro, continuando a rincorrerli.
«Non... capi-sco» balbettò l'idiota.
«Goku, adesso ti addormenteremo, ok?» spiegò Hange, dolcemente. «Quando ti risveglierai, sarà tutto a posto».
Vegeta li vide svoltare verso la sala operatoria e rimase lì, in corridoio, mezzo nudo e immobile.
Ora c'era solo da attendere e sperare.
«Se muori ti uccido» sussurrò.


 
-兄弟愛-

 

In quella sala d'aspetto c'erano tutti, proprio tutti. Parenti, amici, un'accozzaglia fortunatamente silenziosa di ebeti. Soprattutto Yamcha.
Tutti erano lì per un unico motivo: condividere quella folle attesa. Kakaroth era sotto i ferri da cinque ore.
Inutile dire che, una volta giunti lì, non si erano limitati nei ringraziamenti nei suoi confronti. Bulma lo aveva stretto tra le sue spire e non lo aveva lasciato per cinque minuti buoni, e se ne era bellamente infischiata del fatto che non fosse un grande amante delle effusioni in pubblico.
Oh, non osare divincolarti, scimmione che non sei altro!” l'aveva ammonito.
Anche Trunks gli si era attaccato alla gamba e l'aveva stritolato, mentre Bra gli aveva tirato i capelli come di consueto.
Beh, aveva concesso loro tutto quell'affetto solo per la straordinarietà della situazione.
I festeggiamenti, però, si erano esauriti in fretta e l'attesa aveva preso il loro posto. Una lunga, pesante attesa. Il ticchettio dell'orologio era asfissiante, fuori era un pomeriggio uggioso di metà marzo.
Trascorse ancora un'ora, poi un'altra ancora. Sembrava che quella tortura non finisse mai.
Quando la dottoressa Brief uscì finalmente da quella porta, il fiato sospeso fu la reazione di tutti.
Ti prego, ti prego.
Fu il suo sorriso a rispondere per lei. Un sorriso entusiasta, un sorriso sereno.
Poi un boato di gioia.
«È andato tutto bene!» trillò, in conferma.
Kakaroth, porca puttana, questa me la pagherai cara, fu il suo primo pensiero. Il secondo fu un groviglio di emozioni ingarbugliate tra le quali, sicuramente, spiccava la gioia. Una gioia che si rifletté all'esterno solo come un mezzo sorrisetto compiaciuto, ovviamente, dato il danno permanente al collegamento emozioni-mimica facciale.
«Ci vorrà qualche ora prima che si svegli, e qualche mese per recuperare. Ma mi sento di dire che sono ottimista. È un ragazzo forte, ed è un saiyan».
Le parole della dottoressa Hange Brief erano confortarti, di speranza, e tutti se ne bearono con grandi acclamazioni di vittoria, abbracci, cinque a mani alte. I bambini iniziarono a rincorrersi in giro per la sala d'attesa, a urlare, a fare tutte quelle cose che a sua maestà facevano affiorare i nervi a fior di pelle.
Beerus, con tono d'indifferenza, esclamò un “finalmente si mangia” pronunciato come uno sbadiglio. Whis, compiaciuto, gli scoccò un'occhiata deliziata che sembrava un po' come un “tutto è bene ciò che finisce bene”. Beh, se fosse stato per loro non sarebbe andato a finire bene un bel niente.
Nonostante il forte impulso di mettere le mani al collo a entrambi, Vegeta si rese conto di sentirsi fin troppo sollevato per poter rovinare un momento tanto gioioso.
Tutto ciò che avrebbe gradito sarebbe stato andare a farsi una bella dormita, finalmente, dopo sette notti insonni.
Nella confusione e nell'ilarità, Chichi si avvicinò a lui lentamente, in punta di piedi. Lo guardò solennemente, con la testa alta e lo sguardo fiero.
«Grazie per non esserti arreso».
Vegeta si irrigidì per un secondo. Se non fosse stato per il loro incontro, la notte precedente, in quel momento Kakaroth sarebbe morto. Ucciso dalle sue stesse mani.
Se non fosse stato per il loro incontro e per le parole aspre che Chichi aveva pronunciato, Vegeta non avrebbe trovato dentro di sé quell'illuminazione.
Forse era lui a doverla ringraziare, in fin dei conti. Ma lui non era stato programmato per le formalità, per le convenzioni sociali, per dire grazie.
Si limitò ad annuire altrettanto solennemente e degnarla dello sguardo più calmo che possedesse in repertorio. Niente cipiglio imbronciato, niente occhi taglienti. Solo fierezza.
«Dovere di saiyan».
Il momento solenne venne infranto completamente da un uragano dai capelli lilla che gli piombò direttamente addosso. Lo tirò per la manica della maglietta e iniziò a saltellare.
«Papà, sei un eroe! Sei un eroe, hai salvato lo zio Kakaroth!» trillò.
Non l'aveva mai chiamato Kakaroth in vita sua, si era sempre appellato a lui come Goku. Era effettivamente buffa l'associazione delle due parole “zio” e “Kakaroth” insieme.
Vegeta strinse le labbra per non sorridere. Maledetto ragazzino!
«Sono tanto fiera di te, amore. Tanto orgogliosa di quello che hai fatto!» asserì Bulma, schioccandogli un sonoro bacio sulla guancia che gli mandò il volto in fiamme.
Dannazione. Maledetta donna!
«Tsk...» soffiò, ma due manine paffute si tesero verso di lui.
E, quando Bra gli mostrò quel ridicolo e accattivante sorrisetto a due denti, Vegeta non riuscì proprio più a trattenere il proprio. Sempre contenuto, sempre impertinente, ma sempre un sorriso.
Maledetta poppante!
«Ho appena ordinato una pentola da quindici chili di Ramen! Tutti a tavolaaa!» cinguettò la madre di Bulma, richiamando tutti all'ordine.
Oh, in effetti, aveva anche fame.
Tutti sgattaiolarono fuori dal laboratorio concitatamente, nel pieno rispetto del loro ruolo di branco di casinisti senza ritegno.


Eppure, quando il silenzio calò nel salottino e Vegeta fu finalmente pronto ad avviarsi, non gli sfuggì affatto di non essere rimasto solo.
Goten, appoggiato con la schiena contro la porta della sala operatoria, si fissava i piedi con la testa bassa.
«Moccioso... che ti succede?» gli domandò, sottecchi.
Che cosa c'era che non andava? Kakaroth stava bene, stava dormendo, si sarebbe ripreso. Cos'era quella faccia da funerale?
«Niente, zio» mormorò, con una scrollata di spalle.
«E allora perché non sei a mangiare?»
«Volevo stare qui, per controllare» sussurrò ancora, quasi colpevole.
Vegeta indurì un poco lo sguardo. In effetti anche lui aveva pensato di rimanere lì almeno fino al risveglio di Kakaroth, ma non avrebbe resistito molto senza mettere qualcosa nello stomaco. Sarebbe andato via giusto per mangiare, poi si sarebbe messo a dormire in una delle stanze lì vicino. Non era necessario che lo facesse anche Goten.
«Tuo padre starà bene. Rimarrò qui io a controllare».
Non riuscì quasi a terminare la frase che, senza preavviso, Goten si permise di fare qualcosa che mai aveva fatto prima: gli si gettò addosso e lo abbracciò.
Vegeta rimase completamente e inevitabilmente spiazzato, tra uno scricchiolio del suo nuovo cuore e l'impulso fisico di scrollarselo di dosso.
«Grazie, zio Vegeta. Grazie per aver salvato il mio papà» mormorò, con la voce ovattata contro il suo petto.
Un altro scricchiolio. Sul serio, perché tutti stavano attentando alla funzionalità del suo nuovo cuore? Ok, era praticamente nuovo, ma di quel passo si sarebbe sbriciolato in mille coriandoli.
No, no, no, non era portato per gestire quell'ingarbuglio emotivo.
Però, chissà come, la risposta fisica a quella cosa gli giunse quasi spontanea, assolutamente non collegata ad alcun impulso cerebrale.
Lo abbracciò a sua volta. Giusto un paio di secondi, per gradire, poi lo allontanò con un gesto meno secco di quanto avrebbe voluto.
Goten tirò un po' su col naso, con due grossi lacrimoni appesi agli angoli degli occhi.
«Asciugati le lacrime e spalle dritte, ok? E corri subito da Trunks, altrimenti si mangia anche la tua porzione».
Il moccioso si passò la manica del Gi sugli occhi e annuì. Poi, con il sorriso a fior di labbra, scappò a gambe levate fuori dal laboratorio.
Vegeta lo guardò allontanarsi e prese un grosso respiro.
Maledetto moccioso!


Aveva bisogno di un poco di silenzio, prima di andare a prendersi il pasto. Si sedette su una delle poltroncine della sala d'attesa e chiuse gli occhi. Il battito del suo nuovo cuore era incessante, forte.
Se una settimana prima qualcuno gli avesse raccontato cosa diavolo sarebbe accaduto, non ci avrebbe creduto e avrebbe assassinato il portavoce in questione.
E invece era tutto vero: era stato disposto a tutto, persino mentire agli Dei, persino prendersi la briga uccidere, si era sacrificato per salvare Kakaroth, si era guadagnato un posto nel Regno dei Cieli ed era tornato indietro.
Il decerebrato era vivo, sarebbe stato bene. E quella era l'unica cosa che importava, l'unica cosa che riusciva a renderlo sereno. Goten non sarebbe rimasto solo, Bulma avrebbe avuto accanto il suo migliore amico, la Terra avrebbe avuto il suo eroe preferito.
Nonostante tutto non riusciva più a mentire a se stesso e, tra la sua incapacità emotiva e quei sentimenti confusionari, quello che sapeva con certezza era che senza quel deficiente di terza classe la sua vita non sarebbe stata la stessa.
Per quanto lo facesse incazzare, per quanto lo invidiasse, per quanto anche l'avesse detestato in passato... non riusciva più ad odiarlo per davvero. Non sempre, almeno.
Oh, era certo che si sarebbe ricreduto, non appena Kakaroth si fosse svegliato e fosse stato capace di intendere e di volere.
Avrebbe saputo mandarlo ai matti come al solito.
Eppure... non vedeva l'ora.



 
-Epilogo-
 
Quando aveva aperto gli occhi, non aveva capito proprio un accidenti di niente di quello che era successo.
Aveva visto tutto bianco e azzurro e aveva sentito delle voci che lo rassicuravano. Non si ricordava nemmeno più cosa avessero detto, tra tutti quei bip di macchinari e quei termini medici troppo difficili per il suo evidentemente limitato comprendonio.
Si sentiva strano, si sentiva intorpidito dalle dita dei piedi fino alla punta dei capelli. Però, per la prima volta dopo tanti giorni – quanti, non lo sapeva – riusciva a respirare decentemente. Non si sentiva più come se qualcuno gli stesse allegramente saltellando sul torace.
Quando ti risveglierai, sarai tutto a posto” gli aveva detto la dottoressa Hange. Non sapeva quante ore prima. O erano trascorsi giorni?
Però effettivamente si sentiva meglio. Avvertiva solo una leggera pressione, un bruciore all'altezza dello sterno e mille aghi dentro le braccia. Oh, se non altro aveva imparato a gestire la sua fobia delle punture! Non gli sarebbero mai, mai piaciute, ma almeno riusciva a tollerarle.
Anche perché o così o ciao a tutti.
Però... però se si sentiva meglio, questo poteva significare solo una cosa: o avevano trovato il modo di salvarlo, o avevano trovato il modo di tenerlo in vita ancora un poco senza particolari sofferenze. Ma, chissà perché, qualcosa gli suggeriva che si trattasse della prima opzione.
Poi gli venne in mente Vegeta. Quel pazzo lo aveva seguito urlandogli addosso qualcosa che non ricordava, mentre era su quella barella.
Che... che c'entrasse qualcosa lui? Ma certo! Doveva essere per forza stato lui.
Gliel'aveva promesso. Gli aveva promesso che avrebbe trovato il modo di salvarlo. Ma come?
Senza avere il tempo di farsi troppe domande in merito, la porta della sua stanza si aprì. Faticò a mettere a fuoco immediatamente, si ritrovò costretto a sbattere un paio di volte le palpebre per riuscire a identificare chi fosse.
E chi, se non lui? Del resto, a pensar del diavolo...
«Ciao, Kakaroth».
Quella voce graffiante, quel nome che nessun altro usava con lui. Nonostante tutto, però, suonava come casa.
«Non ti pare di aver dormito un po' troppo? Ti piace prendertela comoda, eh?» parlò di nuovo il principe del cinismo. Eppure lo faceva sorridere.
Evidentemente era davvero tanto che non apriva gli occhi. Ed era anche tanto che non formulava qualche frase, data la difficoltà a pronunciare le parole. Aveva la gola troppo secca.
Oh, Vegeta ne sarebbe stato senz'altro contento, data la sua consueta abitudine di rimproverarlo per aprire la bocca a sproposito.
«Hai trova-to un modo...» Ne uscì un flebile suono.
Vegeta si sedette composto nella sedia accanto al suo letto, con le braccia conserte e un ghigno beffardo.
«Te l'avevo promesso. E il principe dei saiyan mantiene sempre le sue promesse».
Allora era vero. Era stato Vegeta, aveva trovato il modo di salvarlo!
Non aveva mai dubitato delle capacità e delle buone intenzioni del suo amico, ma dopo sette giorni passati tra la vita e la morte con una condanna praticamente già incisa sulla lapide, gli era risultato alquanto difficile sperare di avere uno straccio di possibilità.
E aveva avuto una gran paura. Era stato male, molto male. Ancor più male di quando la malattia l'aveva colpito la prima volta. Non pensava davvero di cavarsela, di poter stare ancora accanto ai propri cari.
«Ma come... come hai fatto?» domandò quindi, curioso.
Già, come? Sua maestà il principe delle espressioni granitiche vacillò per un secondo. Evidentemente c'era qualcosa di grosso dietro a quella guarigione miracolosa. Ora che ci faceva bene caso, aveva una stranissima sensazione a riguardo, non sapeva a cosa fosse dovuta, ma si sentiva... un poco diverso? No, forse era una cavolata. Però, siccome di cavolate ne diceva tante e Vegeta era ben abituato ad ascoltarle, la disse lo stesso.
«Mi sento... strano. Più del solito, prima che tu possa dire che già lo ero» sussurrò. Le parole gli uscivano mano a mano sempre più fluide.
Il principe si morse un labbro. Gesto strano, non era da lui, sembrava quasi colpevole. Ma colpevole di che cosa?
«Io...» Vegeta iniziò a parlare, sporgendosi un poco in avanti, con i gomiti sulle ginocchia. «Quello che ti serviva era un cuore. L'ho trovato».
Cosa?! Oh, Kaioh santissimo.
Chi diavolo aveva fatto fuori per recuperare un cuore? Per quel motivo sembrava colpevole?
«Spero non ti dispiaccia» continuò, con un sorrisetto storto, «ma ora hai il cuore di un cattivo».
C'è qualcosa che non quadra. Un cattivo. Un saiyan – per forza – cattivo. Mica ce n'erano! Non era rimasto più nessuno a parte loro due, Broly e Tarble. E i loro figli. Nessuno di loro era cattivo.
«Ma c-come?!» balbettò.
Vegeta arrossì un poco. Quello era decisamente un atteggiamento strano.
«Hai... il mio».
Goku sbatté un paio di volte le palpebre. No, decisamente non aveva capito bene. Come al solito, del resto. Lui non capiva mai niente, Vegeta glielo diceva sempre. Evidentemente c'era un errore.
Poi però sua maestà, forse un poco divertito dalle moltitudini di espressioni che gli stavano percorrendo i tratti facciali, si avvicinò ancora un poco e tirò verso il basso il colletto della sua maglietta nera, per esibire una bella cicatrice rossa all'altezza dello sterno.
No, impossibile. Non poteva crederci.
«V-Vegeta... c-cosa hai fatto?!» balbettò.
«Beh, mi sono fatto un piccolo giro nell'Aldilà con un buco in fronte, giusto per dire ciao ai miei vecchi amici all'inferno. Un vero peccato non averli potuti salutare, Re Yammer non mi ha mandato lì. Poi sono tornato indietro e ora ho un cuore nuovo, appena uscito dalla fabbrica divina, super offerta sconto di Polunga. Forse un cuore un po' più puro di quello di prima. Ma ehi, quello che hai era ancora in buono stato, sebbene di seconda mano».
Le parole di Vegeta erano un flusso di coscienza decisamente confusionario, ma tutto sommato chiaro per comprendere cosa diavolo stesse dicendo.
Si era sacrificato. Per lui. Vegeta aveva donato il suo cuore a lui. Quella cosa... era incredibile.
Goku fece per balbettare qualcos'altro, ma non gli venne assolutamente niente. Sollevò faticosamente la mano dal letto e se la portò sul petto, lì, dove c'era una grande fasciatura di bende bianche. Eppure sentiva qualcosa battere, lì sotto.
Il cuore di Vegeta. Il cuore di... un cattivo? Decisamente inappropriato dire una cosa del genere. Non sopportava quando il suo migliore amico si definisse ancora tale.
Certo, alle volte si comportava come un vero bastardo, ma cattivo... cattivo non più. Da molto tempo.
E ne aveva l'assoluta riprova, perché con quel cuore di seconda mano che si ritrovava era certo di avvertire ancora più affetto di prima. E gratitudine, tanta gratitudine.
«Oh, Kakaroth, non fare quella faccia! Sappiamo bene che resterai sempre il solito scemo pagliaccio buono di sempre, anche con il cuore di uno come me. Ah, e non ti fare illusioni, non pensare che questo ti renda meno terza classe, avere il cuore di un principe non ti rende tale. Il principe dei saiyan sono sempre io» puntualizzò Vegeta, con un ghigno impertinente ben spalmato sul volto.
Goku ridacchiò. Su quello avrebbe avuto da ridire: ora aveva qualcosa di prima classe e gliel'avrebbe fatta pesare eccome, durante le loro battaglie. Non si sarebbe risparmiato mille battutine, a riguardo. E Vegeta si sarebbe incazzato come una bestia. Non vedeva l'ora.
«Ma...» sussurrò Goku, infine. Era incredibile che Vegeta si fosse davvero sacrificato per lui, proprio non riusciva a capire cosa l'avesse spinto a tanto. Era qualcosa di grande donare il cuore a qualcuno, qualcosa di profondo. «Perché l'hai fatto?»
Sul volto di Vegeta il ghigno impertinente si spense per un attimo.
Un sospiro, un grosso, lungo sospiro. Poi, d'improvviso, un angolo della bocca che si solleva. Qualcosa di raro.
Goku oramai lo conosceva abbastanza bene per decifrare tutte le sfumature del suo incredibile, strano carattere da deficit emozionali. Quello era un sorriso, un sorriso vero.
Poi sua maestà parlò.
«Perché se non l'avessi fatto... non avrei un fratello».

 

 
Fine.
 

ANGOLO DI EEVAA:
Non sto piangendo! TU stai piangendo xD
... ooooh, ragazzi, ragazze, siamo giunti finalmente alla conclusione di questa mini-long spezzacuori, in tutti i sensi. Scherzi a parte, spero che la lettura non sia stata troppo pesante. E, beh, oramai mi conoscete: sono un'amante del lieto fine! Non avrei mai potuto lasciare Vegeta morto anche se, diamine, sarebbe finito nel Regno dei Cieli! Vi è piaciuta come scelta?
Che dire... il miracolo di Pasqua è accaduto ancora! Il nostro Signore non è l'unico ad essere risorto, questa volta xD Da ora in poi dobbiamo chiamarlo Vegesus *badum.cha!* ok, la smetto.
Scherzi e blasfemia gratuita (scusate), che ve ne è parso di questo epilogo? Vi è piaciuto? E in generale vi aspettavate qualcosa di diverso da questa storia?
A parte la sofferenza, mi è piaciuto tanto scriverla. Spero che sia stata di vostro gradimento e voglio cogliere l'occasione tutti voi che avete letto, e soprattutto coloro che mi hanno supportata in queste settimane! Siete stati gentilissimi! 
Un grazie particolare come sempre a Nemesis01 per avermi aiutata con la traduzione.

Ma... pensate davvero che sia finita qui la mia permanenza nel fandom?
Nossignori!
Settimana prossima, sempre domenica, sempre su questi canali, tornerò con una nuova long di - attenzione attenzione - 21 capitoli! Una long mooolto complessa, molto avventurosa, con la straordinaria presenza di un personaggio a sorpresa che già conoscete. Siete curiosi di scoprire di chi si tratta?
E - rullo di tamburi - vi avevo promesso yaoi Kakavege... yaoi avrete! Per i non amanti del genere, posso promettervi che lo yaoi non sarà il tema principale della storia e, anzi, ne correrà di acqua sotto i ponti. Il mio secondo nome è slowburn


Vi aspetto numerosi domenica prossima per l'inizio di una nuova avventura, Across the Universe!
Un abbraccio a tutti, grazie di nuovo e buona Pasqua!
Eevaa




Riferimenti:
-Per quanto riguarda le tempistiche di un trapianto di cuore e le modalità mi sono rifatta a quelle che hanno pronosticato a una persona a me vicina che presto dovrà subire lo stesso intervento, non so effettivamente se valga così per ogni casistica.
-Le cicatrici rimangono anche dopo la resurrezione? Questa è una cosa che mi sono sempre domandata ma, a giudicare dalle immagini a petto nudo di Vegeta, non mi pare improbabile.
-L'abbraccio con Goten potrebbe essere un po' OOC, ma desideravo tantissimo scriverlo. Sentitevi liberi di criticarlo xD

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