Sweet Sixteen di Little Firestar84 (/viewuser.php?uid=50933)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'occhio di Ebe ***
Capitolo 2: *** Sugar Boy ***
Capitolo 3: *** Sweet Home ***
Capitolo 4: *** Shopaholic ***
Capitolo 5: *** La Gattina ***
Capitolo 6: *** Luna Nuova ***
Capitolo 1 *** L'occhio di Ebe ***
“No, no, e poi
no! Non sono d’accordo!” Toshio, seduto a
cavalcioni di una sedia del tavolo
della cucina della casa sulla spiaggia di Los Angeles che le tre
sorelle
bellissime condividevano con lui, osservava le tre donne –
Ai, Rui ed Hitomi –
che tranquille
osservavano la mappa del
museo di Arte Occidentale di Tokyo, accanto ad appunti sul sistema di
sicurezza
– vecchi di alcuni anni, in realtà, presi ad un
loro precedente colpo, quando
ancora lo prendevano per fesso e gli tiravano un tiro mancino dopo
l’altro -
e la foto di un gioiello antico, una catena
con le sagome di una falce di luna e di un sole riccamente decorate e
smaltate,
che secondo la tradizione era stato offerto alla Dea Ebe, guardiana
della
giovinezza, uno dei pochi manufatti a lei dedicati giunti
nell’era moderna.
“Toshio, dobbiamo,” Hitomi
disse
pensierosa, stringendo un gioiello quasi del tutto identico a quello
della foto
in mano. “Nostro padre conosceva la storia di questo gioiello
come le sue
tasche, e suo fratello era
ossessionato
da questo ciondolo, lo ha replicato in modo quasi fedele, e quando
è morto ha
tentato il tutto per tutto perché noi non ce ne
impossessassimo, e nessuno mi
leva dalla testa che significhi qualcosa!. Forse se capissimo le
differenze potremmo
finalmente capire cosa sia accaduto esattamente a nostro
padre…”
“Vogliamo solo capire cosa gli sia
accaduto esattamente, e sapere dove poterlo piangere,
Toshio,” Rui continuo,
mentre con la sua perfetta calligrafia, scriveva a penna sul biglietto
da
visita della banda il messaggio per la polizia; l’ex
poliziotto incrociò le braccia, scontento
di non essere preso minimamente in considerazione. Anche se, tuttavia,
Ai
stringeva i pugni, mordendosi le labbra nervosa.
“L’Occhio di Ebe è sparito per
oltre dieci anni, e adesso è riapparso dal nulla.
Farà gola a moli, e se Occhi
fi gatto non agisce ora, potremmo perdere la nostra
occasione.”
“E se Toshio avesse ragione? Se
torniamo a Tokyo e torna pure Occhi di gatto la polizia non ci
metterà troppo a
fare due più due… non sono tutti accomodanti come
lui in polizia!” Ai si inserì
nella conversazione; la più giovane delle gatte, era sempre
stata quella con
una parte minore nei piani, il genio tecnico mente Rui era il cervello
e Hitomi
il “muscolo”, lei era quella che, anche quando si
decideva di compiere un
colpo, raramente veniva interpellata. Questa volta, tuttavia, la
giovanissima
non poteva esimersi dall’intervenire, mostrandosi reticente
ed impaurita dalla
possibilità di passare la vita dietro le sbarre.
L’uomo le fece un mezzo sorrisetto;
preferiva di gran lunga che gli dicessero che aveva un gran cuore e la
sbandata
semplice, piuttosto che additarlo come un cretino idiota che non aveva
mai
capito nulla- per una volta, la sorellina era gentile con lui, lei che
più di
tutte lo aveva sempre sfottuto pesantemente in passato. Miracolo dei
miracoli:
doveva davvero essere preoccupata per dargli ragione in un momento del
genere.
“Sarà quel che
sarà, siamo sempre
scappate e lo faremo ancora, se necessario…”
Hitomi fissò la fotografia, con
fredda determinazione e occhi così stretti da essere due
sole fessure. “Questa
sarà l’ultima volta che Occhi di gatto colpisce, e
stavolta scopriremo tutta la
verità su nostro padre… e sua fratello non si
potrà più mettere in mezzo! Rui e
dio andiamo a prenderci l’occhio… voi potete
rimanere qui se avete paura!”
Sospirando, Toshio si passò una mano
nei
capelli ribelli guardando Ai. La decisione ormai era presa: Hitomi non
gli
avrebbe dato retta, poco importava se ora indossava il suo anello e
ricordava
ogni cosa del suo passato, ed era pronta ad affrontare la vita insieme,
a
divenire sua moglie. .. la ragazzina scosse il capo, sapendo che
nemmeno lei
sarebbe stata presa in considerazione. C’era solo una cosa da
fare. Agire tutti
insieme, nella speranza che le cose andassero per il verso giusto, e
che quello
fosse davvero il loro ultimo colpo: l’ex poliziotto
pregò che la carriera delle
ladre terminasse per il loro volere, e non perché un giudice
le avesse
condannate alla prigione.
“Quindi, questo
sarebbe il celeberrimo Occhio di…. Tebe?” Ryo
squadrò il gioiello da dietro il
vetro blindato, una mano a massaggiarsi la mascella.
Ai suoi occhi sembrava una di quelle cose che
venivano vendute nelle bancarelle e nei negozi etnici a poco prezzo, e
non
riusciva a comprendere l’appeal che quel coso avesse per
Occhi di Gatto.
“Ebe,
Ryo, l’occhio di Ebe…. Tebe era una
città, Ebe invece era una dea, quella
dell’eterna giovinezza.” Saeko sospirò,
pizzicandosi il naso ed evitando di ripetere
per l’ennesima volta la tiritera che aveva già
spiegato al suo
“consulente” -
quello il titolo, a metà
tra l’ufficiale e l’ufficioso, dato a Ryo per quel
caso -almeno una decina di
volte.
“Ah, allora me lo ricorderò
di sicuro,
se è la dea dell’eterna giovinezza
dev’essere per forza la santa patrona di un
giovane stallone dall’eterna età di
vent’anni!” Sghignazzò, avvicinandosi
alla
bella ispettrice del suo cuore, e la mano destra si avvicinò
pericolosamente al
fondoschiena di Saeko, che alzando un sopracciglio, e scostando
leggermente la
gonna per mostrare i coltelli che teneva nascosti nella giarrettiera,
rammentò
silenziosamente all’eterno ventenne che sì, poteva
guardare, ma no, toccare non
gli era permesso. Simile promemoria giunse dall’aura
elettrica, e carica di
rancore e rabbia, di Kaori, che alle spalle del socio, avesse potuto,
avrebbe
già brandito uno dei suoi pesanti martelli: purtroppo,
però, le misure di
sicurezza erano tali che le vibrazioni causate da un suo
“attacco” avrebbero
fatto scattare, inutilmente, tutti i sistemi di sicurezza; inoltre,
perché perdere
tempo e fatica con Ryo? Tanto lui non cambiava mai… le
diceva che ci teneva,
che la amava… e poi fuggiva a gambe levate tutte le volte
che lei provava ad iniziare
il discorso su ciò che era accaduto nella radura pochi mesi
prima. “Che palle.
Mai che mi ripaghi tu, eh!”
“Su, su, dai…” gli
fece civettuola,
facendogli l’occhiolino e dandogli un pizzicotto al mento, su
cui la barba
aveva iniziato già a ricrescere dopo la rasatura del
mattino. “Se riuscirai ad
evitare il furto dell’Occhio di Ebe, ne
riparliamo… mio padre è stato chiaro:
non mi sarà concessa che una sola possibilità,
non certo come a Utsumi che ha
rincorso la gatta per una vita… quindi, se tu aiuti
me…”
Gli lanciò un’occhiata
allusiva, che
fece stringere denti e pugni a Kaori che, alle loro spalle, gli stava
lanciando, borbottandole, tutte le maledizioni possibili ed
immaginabili,
condite da una serie di epiteti tutt’altro che gentili
lanciati agli indirizzi
tanto del maiale pervertito quanto
della gatta morta.
Mentre i due, dopo essersi allontanati
verso il perimetro della sala, continuavano il loro giochetto di
corteggiamento
che, Kaori sapeva, non sarebbe mai andato da nessuna parte,
perché Saeko i suoi
debiti non li avrebbe saldati mai, per nessun motivo al mondo,
né in natura né
in denaro, la rossa
fece un paio di
passi verso la teca dove il monile in argento era custodito, al centro
della
sala, sorvegliato da quattro agenti, e lo guardò estasiata:
semplice, dall’aura
mediorientale, emanava
una curiosa
energia, si sentiva come attirata da esso in una maniera a dir poco
magnetica.
Alzò una mano per sfiorare il vetro, guidata come da una
forza superiore, col
cuore che le batteva a mille ed il respiro mozzato, la sua visione
concentrata
solamente su quell’oggetto.
Le dita
stavano già sfiorando il vetro quando si udì uno
scoppio, e le luci saltarono,
lasciando tutti al buio e scatenando un vero putiferio.
“Dannazione, sono loro!” Ryo
sibilò a
denti stretti, sperando che Saeko non lo avesse udito: la maggioranza
delle
persone erano certe che Occhi di Gatto fosse una persona, ma dopo
l’increscioso
incidente avvenuto a Shinjuku l’anno prima, quando la loro
casa era quasi
divenuta un teatro di guerra a causa di quell’egocentrico
bastardo di Shinji
Mikuni, e le tre sorelle Kisugi erano tornate per aiutarli a sistemare
la
faccenda con quell’armaiolo da quattro soldi, a cui Ryo aveva
dimostrato come
la sua Python fosse meglio di qualsiasi drone, il duo City Hunter aveva
scoperto chi realmente si nascondesse dietro
quell’identità fittizia e cosa
avesse spinto le tre sorelle a rubare per così tanti anni.
Kaori, ripresasi da quel curioso stato
di trance in cui era caduta, avvertì uno spostamento
d’aria e l’aura controllata
e tranquilla di qualcuno che appariva estremamente controllato. Quando
udì il
rumore di vetro che si infrangeva, segno che la teca era stata
sollevata e
gettata a terra. La rossa si gettò sulla figura appena
percepì che questa aveva
afferrato la collana, e ne nacque una colluttazione, perché
la ladra stringeva
il gioiello e sembrava volerlo difendere con le unghie e con i denti
ciò che si
era guadagnata, eppure… eppure, Kaori sentiva di dover
difendere
quell’artefatto. Di
dover fare qualcosa.
Si scaraventò sulla ladra, gettandola a
terra, e strinse il ciondolo a forma di luna nel palmo; mentre vi
chiuse le
dita intorno, sentì il palmo bruciarle, e come se emanasse
una curiosa energia,
il ciondolo si mise a brillare…. Sembrava di guardare
direttamente il sole,
tanto era accecante quella luce, flash che non permisero a nessuno di
capire
cosa stesse accadendo nonostante la stanza stessa straripando di una
luce
incandescente che pareva bruciasse tutti coloro che toccava da dentro,
a
partire dai recessi dei loro animi… l’energia
sprigionata fu tale che Kaori si
sentì sbalzare contro il muro, e cadde a terra, in
ginocchio, come imbambolata.
E poi…. E poi il buio, e di nuovo la
luce, ma stavolta quella fredda ed artificiale delle lampade di
emergenza che
erano finalmente scattate, rivelando la triste realtà di
cosa fosse accaduto a
tutti i presenti.
“Dannazione, ci ha fregati!”
Saeko
sibilò a denti stretti, così furente che i
capelli le si drizzarono in testa,
sbattendo le scarpe dal tacco vertiginoso sul pavimento di marmo come
se fosse
stata una bimbetta petulante. Si voltò verso Ryo, per
inveire contro di lui e
la sua incapacità – come se lei avesse fatto
qualcosa di meglio- quando
tuttavia si immobilizzò lei stessa, quasi fosse in stato di
shock: lo sweeper
teneva tra le braccia Kaori che, nonostante gli occhi semi-aperti,
pareva
essere incosciente e non rispondeva alla voce del partner…
“Ma cosa diavolo sta
succedendo?”
“Bella domanda….”
Lo sweeper sussurrò
mentre prendeva tra le braccia la donna che pareva in uno stato di
incoscienza,
il corpo molle ed arrendevole come quello di una bambola di pezza. Il
capo di
Kaori ricadde all’indietro, mentre un braccio ciondolava
inerme. Ryo fissava la
figura immobile, le labbra socchiuse con la morte nel cuore che aveva
quasi
smesso di battere per la tensione. Strinse i denti mentre sentiva
montare la
rabbia, l’odio e di rancore verso le tre ladre: per
gratitudine e rispetto,
assecondando un silente codice morale, aveva mantenuto il segreto delle
donne,
e seppure avesse accettato quell’incarico dalla bella
poliziotta lo aveva fatto
più perché tanto lo faceva sempre che per
acciuffare realmente le ladre- anzi,
la sua idea fin dal principio era stata quella di permettere alle fanciulle di mettere
le mani su quel pezzo
di latta, di cui, francamente, non capiva né valore
né bellezza. “Saeko, porto
Kaori dal professore. Forse lui ci capirà
qualcosa!”
Con passo svelto ma tuttavia delicato,
Ryo uscì tenendo la donna tra le braccia, affondando il naso
nei capelli
soffici che profumavano di primavera; quel semplice gesto gli dava una
certa
sensazione di tranquillità, di pace, era quasi confortevole,
quasi una parte
recondita del suo cervello, o forse del suo cuore, gli stesse
confidando che
sarebbe andato tutto bene, nonostante quegli occhi apparentemente
spenti che
sembravano fissare il nulla.
Raggiunta la macchina, aprì con molta
poca delicatezza la portiera, dandole un calcio, restio a separarsi
dalla socia
per anche solo un attimo, poi la sistemò sul sedile
passeggiero mettendole la
cintura di sicurezza: ancora nulla, Kaori non reagiva.
Le diede un leggiero bacio sulla
fronte, chiudendo gli occhi, tremando quando la pelle pallida, sotto
alle sue
labbra, risultò gelida, e le accarezzò la
guancia.
“Ehi…” le disse
dolcemente, incerto s
elei potesse sentirlo o meno, ma sperando tuttavia che le sue parole le
arrivassero al cuore e le donassero l’energia necessario a
combattere contro
qualsiasi cosa le stesse accadendo. “Non farmi scherzi, eh?
Che noi dobbiamo
ancora riprendere quel discorso della radura….”
Inalò ancora una volta il suo profumo
delicato, poi si mise al volante della scattante vettura in direzione
dell’uomo
che, come un padre, si era preso cura di lui quando la vita stava per
abbandonare il suo corpo mortale a causa della Polvere degli Angeli.
Nella caotica notte di Tokyo, mentre le
tenebre li avvolgevano e le luci scintillanti delle insegne al neon e
dei
lampioni sfrecciavano al fianco della Mini, Ryo, rivolgendo al corpo
inerte
occhiate furtive, pregò con tutto sé stesso a
tutte le entità in cui mai aveva
creduto che non fosse quello il giorno in cui rompeva la promessa fatta
al
migliore amico di prendersi cura della dolce e bella Kaori, e che come
il
Professore aveva salvato lui, potesse fare altrettanto per
lei… perché se fosse
accaduto qualcosa a Kaori, non solo non se lo sarebbe mai perdonato, ma
soprattutto, con lei sarebbe morta anche una parte di lui: la migliore,
quella
che lei aveva fatto germogliare e aveva amorevolmente curato, fatto
crescere e
germogliare.
A denti stretti, dando un pungo al
volante, Ryo si fece una promessa: se Kaori fosse sopravvissuta,
avrebbe
ripreso il discorso della radura, avrebbe apertamente ammesso i suoi
sentimenti
e non le avrebbe mentito, mai più.
Erano
passati tre quarti d’ora da quando Kaori aveva varcato la
soglia della clinica
del professore; l’uomo, per rendere il
“soggiorno” il più confortevole
possibile, l’aveva sistemata in una stanza da sola, dove lei
avrebbe avuto la
sua privacy- lei, e soprattutto Ryo, che non accennava a voler lasciare
il suo
fianco per nulla al mondo. Kazue aveva attaccato al petto alla fonte
della
giovane donna diversi elettrodi, le aveva posizionato i cuscini
affinché fosse
comoda, e aveva provveduto a far avere una sedia decente a Ryo, che non
lasciava la mano della giovane per nulla al mondo, ma tuttavia, seppure
il
vecchietto lo avesse rincuorato delle condizioni buone in generale
della
fanciulla, continuava ad essere fredda come il ghiaccio e adesso aveva
perso del
tutto i sensi.
Fu allora che un rumore di tacchi lo
avvertì che qualcuno stava entrando nella stanza, e dal
profumo inconfondibile
– nonché il particolare aroma delle sigarette che
la donna fumava, dalla nota
altamente distintiva – senza bisogno di voltarsi Ryo
riconobbe Rui, la maggiore
delle tre sorelle, che mestamente lo raggiunse e, afferrata una sedia,
gli si
sedette accanto. Tuttavia, Ryo rimase freddo e distaccato, rifiutandosi
di
incontrare lo sguardo di quella donna che considerava parzialmente
colpevole
per quello che stava accadendo e del precario stato di salute di Kaori:
poco
importava cosa dicesse il professore, lei non aveva ancora ripreso i
sensi e la
sua pelle era gelida, quindi qualcosa che non andava doveva
assolutamente
esserci. Lui lo sapeva, se lo sentiva nelle ossa, nel profondo, e
nessuno
glielo avrebbe mai tolto dalla testa.
“Vedo che Falcon ti ha avvertito di
venire qui…” le sibilò contro, senza
tuttavia guardarla. La donna, che aveva
avvertito sia il tono che il fatto che Ryo si fosse riferito al comune
amico
con il suo nome anziché il nomignolo che gli aveva
affibbiato e che con cui era
noto, sistemò la ciocca castana che le ricadeva sugli occhi
con un sospiro, e
con un sorriso lanciò un’occhiata alla donna
distesa nel letto. Quando si erano
incontrate oltre un anno prima Kaori l’aveva assicurata che
lei e Ryo erano
solo soci, ma le reazioni di gelosia esagerate di lei, e gli sguardi
che lui le
lanciava, carichi di affetto, raccontavano ben altra storia.
“Ti conviene fare
attenzione, non vorrei che Saeko ti trovasse qui. Non è
tonta come il vostro
amichetto, lei due più due lo sa fare eccome!”
Rimasero entrambi in silenzio, a
squadrare il corpo inerme di Kaori, prima che Ryo si alzasse,
giocherellando con
le dita della partner un ultimo attimo prima di andare nel corridoio, e
fu lì
che, appoggiato con la schiena al muro e accendendosi una sigaretta,
prendendo
un grosso sospiro, quasi si fosse dovuto preparare al peggio, lo
sweeper pose
la domanda che gli attanagliava il cuore.
“Rui… cosa diavolo
è successo in quel
museo?”
La donna, sempre pacata, seria e
controllata, prese a torcersi le dita, incapace di guardare Ryo negli
occhi. Mordendosi
le labbra, si preparò alla sua ammissione – una
storia raccontata, una storia
pazza ed incredibile, che non aveva alcun senso, ma che avrebbe potuto
spiegare
cosa stesse accadendo alla socia di Ryo; un solo incontro le era
bastato per
scoprirsi amica di Kaori, per lasciarsi conquistare da quella giovane
donna col
sorriso, con la determinazione e la fiducia
nell’umanità e nelle seconde
possibilità, cosa assai rara per una persona che compiva il
lavoro di sweeper…
o di ladra.
“Ricordo che mio padre mi raccontava
una leggenda, legata all’Occhio di Ebe. Diceva che quando un
animo inquieto,
con… con questioni in sospeso e rimorsi lo teneva tra le
mani, il suo potere
venisse rilasciato, e quella persona tornasse, con il corpo e la mente,
al
momento decisivo della sua esistenza per capire se quelle scelte
fossero state
quelle giuste, e questo fino alla successiva luna
nuova…”
Ryo si grattò il capo. Quella storia
era assurda – per quanto, di cose starne lui e Kaori ne
avessero viste, tra
telepati e fantasmi, quindi non si sentiva di escludere del tutto dal
reame
delle possibilità il viaggio nel tempo, ma anche fosse stato
vero, cosa avrebbe
significato per Kaori? Quale era stato il momento decisivo della sua
vita… la
morte di Maki, la sua adozione? O forse quando aveva accettato di
tornare da
lui dopo la questione di Kaibara, o magari sarebbe ritornata indietro
con la mente
a soli pochi mesi prima, alla radura….
Strinse i denti maledicendosi,
guardando con acuta ferocia Rui. Non riusciva a credere che avesse
potuto
prendere in considerazione quell’idiozia. Che quella mocciosa
gli avesse letto
nell’animo era una cosa, Kaori che ringiovaniva?
Tutt’altra. Gettando la sigaretta
a terra e spegnendola col piede, nonostante se la fosse appena accesa,
Ryo
tornò nella stanza con le mani in tasca, e stupito e sotto
shock si fermò sulla
soglia, fissando Kaori che sembrava stesse per svegliarsi, dal modo in
cui si
muoveva nel letto. Ma
non era stato
questo a scatenargli quella curiosa reazione- una reazione simile a
quella di
Rui, che con gli occhi sgranati si coprì la bocca per la
sorpresa… perché sì,
nel letto c’era una ragazza con corti capelli riccioluti
tendenti al rosso,
labbra sottili e decisamente alta per la sua età, ma quella
stessa ragazza
aveva anche il corpo più acerbo rispetto alla Kaori che Ryo
conosceva ed era leggermente
più bassa di lei, e la camicia da notte che le aveva fornito
Kazue era enorme
su quel gracile corpicino androgino.
Sì, quella era Kaori, Ryo lo sapeva, ma
quella non era la metà di City Hunter: quella
era…. Era la sua Sugar Boy,
studentessa del liceo di sedici anni.
Cristo
santo onnipotente!
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Capitolo 2 *** Sugar Boy ***
Prometto di rispondere a tutte le vostre
recensioni nei prossimi giorni, giurin giurello!
Gettando la sigaretta a terra e
spegnendola col piede, nonostante se la fosse appena accesa, Ryo
tornò nella
stanza con le mani in tasca, e stupito e sotto shock si
fermò sulla soglia,
fissando Kaori che sembrava stesse per svegliarsi, dal modo in cui si
muoveva
nel letto. Ma non
era stato questo a
scatenargli quella curiosa reazione- una reazione simile a quella di
Rui, che
con gli occhi sgranati si coprì la bocca per la
sorpresa… perché sì, nel letto
c’era una ragazza con corti capelli riccioluti tendenti al
rosso, labbra
sottili e decisamente alta per la sua età, ma quella stessa
ragazza aveva anche
il corpo più acerbo rispetto alla Kaori che Ryo conosceva ed
era leggermente
più bassa di lei, e la camicia da notte che le aveva fornito
Kazue era enorme
su quel gracile corpicino androgino.
Sì, quella era Kaori, Ryo lo sapeva, ma
quella non era la metà di City Hunter: quella
era…. Era la sua Sugar Boy,
studentessa del liceo di sedici anni.
Cristo
santo onnipotente!
Ryo e Rui fissarono, con il cuore in
gola ed il respiro mozzato, la giovane che si rigirava nel lettino,
lamentandosi della fastidiosa luce. Con la bocca impastata, infantile e
quasi
fosse una bimbetta, Kaori si stiracchio, sbadigliando con le fauci
spalancate
in quel modo poco elegante, che ricordò allo sweeper come
crescendo la ragazza non
avesse mai avuto attorno donne ma solo rozzi uomini.
“Ehm… Kaori?” la
chiamò lui un po’
spaventato. Cercò di ricordare come fosse Kaori a sedici
anni, quella l’età che
sembrava dimostrare, ma, in tutta onesta, il suo carattere –
e la vita di Kaori
in generale - in tutti quegli anni non era cambiato più di
tanto. Adolescente,
si era occupata di casa e fratello, metteva
l’incolumità degli altri innanzi
alla propria e aveva già allora un cuore così
grande che le aveva permesso di
vedere oltre l’apparenza, capire che Ryo non era il freddo e
cinico killer che
fingeva di essere ma un buontempone con un profondo senso di giustizia
e che
amava i bambini. Adulta, badava alla loro casa, a Ryo ed al loro
nutrito gruppo
di amici, conoscenti e clienti, continuando, causa il suo gran cuore, a
mettere
gli altri davanti a sé stessa, poco importava quanto
rischiosa fosse la
situazione.
Il suo corpo negli anni era cambiato:
la sua anima era rimasta immutata.
“Kaori, stai… stai
bene?” Le domandò
avvicinandosi al letto lentamente, con cautela. Secondo Rui chi veniva
colpito
dal potere del ciondolo non cambiava solo il proprio aspetto, ma anche
nella
mente e nella memoria: esisteva quindi la concreta
possibilità che lei non lo
riconoscesse, e spaventarla era l’ultima cosa che voleva.
“Sì, sì, sto bene,
sto bene!” Gli
rispose lei, sbuffando, chiaramente seccata. Sentire quella vocina,
bassa,
infantile, gli fece uno strano effetto, gli parve quasi che il cuore
avesse
perso un battito mentre, anche lui, veniva riportato indietro nel
tempo, e
l’uomo non poté fare altro che guardare con
tenerezza quella ragazzina,
desiderando darle una barretta di cioccolato e spettinarle i capelli
con
affetto e tenerezza.
Bentornata,
mia dolce Sugar Boy…
Kaori aprì gli occhi, ancora
impiastricciati dal sonno, ma dopo un attimo di esitazione quegli
occhioni
color nocciola dalle lunghe ciglia giù allora –
come facessero a
scambiarla per un ragazzo Ryo proprio non
lo concepiva – si spalancarono, e la ragazza si mise ad
urlare in preda al
panico. Reazione più che naturale: si era appena svegliata
in un luogo che non
conosceva con due sconosciuti che la fissavano nemmeno fosse stata una
cavia da
laboratorio.
“Chi diavolo siete?” Lo
accusò con tono
sibilante, brandendo, già allora, uno dei suoi temibili
martelli e lanciandolo
all’indirizzo di Ryo che lo evitò per un soffio.
Tentò di scendere dal letto,
ma si immobilizzò, fissando il camice che aveva indosso e
che le ricadeva,
largo, sul corpo adolescenziale: quel capo sarebbe stato perfetto sulla
Kaori
adulta, più alta della ragazzina che Ryo aveva incontrato che era ancora acerba
nelle sue forme
femminili. “Dove diavolo è la mia divisa? Cosa mi
avete fatte? Maledetti, mio
fratello è un poliziotto, ve la farà pagare
cara!”
Rui si morse le labbra, sorpresa – non
sapeva che anche il fratello di Kaori fosse un poliziotto- ma poi
qualcosa nel
comportamento di Ryo la colpì con la potenza di un pugno
alla bocca dello
stomaco. Lo sweeper, calmo e controllato, imperturbabile, sul cui volto
le
emozioni erano perennemente mascherate, si era improvvisamente
incupito,
rattristato, era durato solo una frazione di secondo, ma lei era certa
di ciò
che aveva visto. Sembrava quasi che, per un attimo, un velo fosse
calato su
quegli occhi solitamente irriverenti. La donna si portò una
mano al cuore, e
capì come mai non avesse sentito parlare del fratello di
Kaori da quando si
conoscevano: doveva essergli accaduto qualcosa.
Kaori, intanto, era scesa dal letto e
si era diretta verso la finestra, e stava tentando di aprirla, ma
doveva essere
bloccata o blindata, perché per quanto ci provasse, le fu
impossibile
riuscirci. Mentre cercava di formulare un piano di fuga, a denti
stretti, lo
sguardo le cadde sull’uomo nella stanza con lei, un tipo sui
quaranta, ben
portati, assolutamente, e decisamente… affascinante,
per quanto avesse un’aria un po’ squinternata e
trasandata, come se avesse
bisogno di qualcuno per badare a sé stesso. Il suo cuore
perse un battito, e
mentre i loro occhi si incatenavano gli uni agli altri,
avvertì come uno sfarfallio alla bocca dello
stomaco. Kaori non riuscì a comprendere cosa il suo corpo ed
il suo cuore
stessero cercando di dirle... Perché le sembrava che
quell’uomo, che non aveva
mai visto prima di allora, le fosse così famigliare?
Perché le causava quella
curiosa reazione?
“Statemi alla larga!”
Sibilò, brandendo
una sedia nella loro direzione mentre si appiattiva contro il muro,
mentre Ryo,
tutto sommato compiaciuto dal carattere battagliero della ragazza, si
domandava
cosa fare e cosa dire. Se fosse stato onesto- le avesse detto che un
ciondolo
magico l’aveva fatta ringiovanire, come avrebbe reagito
Kaori? Spaventata
com’era dal sovrannaturale forse ci sarebbe cascata, ma
stressarla in quel
momento era la cosa giusta da fare?
E poi, davvero avrebbe creduto a quella
storia, oppure lo avrebbe preso per un pedofilo pervertito che aveva
rapito una
ragazzina – già all’epoca piena di
ammiratori, tra l’altro - e adesso voleva
giocare al dottore? Se lo avessero chiesto a lui solo quella mattina, lo sapeva cosa avrebbe
detto, nonostante le
cose strane in cui si erano imbattuti nella loro carriera di
sweeper…
Stringendo i denti ed i pugni, Ryo,
sguardo nuovamente freddo e determinato, fece un altro passo verso di
lei.
Stava giocando sporco, forse lei non lo avrebbe perdonato, forse non si
sarebbe
perdonato neppure lui, ma Ryo voleva mettere
l’incolumità di Kaori al primo
posto, la sua tranquillità, e portarla su un terreno a lei
affine poteva essere
l’unica strada verso una parvenza di normalità e
la pace d’animo.
“Kaori, tranquillizzati. Sei in una
clinica, e… e hai avuto un incidente, hai sbattuto la testa.
Io sono Ryo
Saeba,” le disse tranquillamente, offrendole, con sguardo
carico di affetto, la
mano tesa. “E… e sono il partner di tuo
fratello.”
Mentre Rui sussultò, Kaori
fissò quella
mano tesa davanti a lei, alzando ora gli occhi a guardare quelli di
lui. Non
era una stupida, ammise arrossendo lievemente, il cuore che riprese a
fare
delle strane capriole nel petto, aveva avuto le sue…
simpatie, un paio di
giovani insegnanti che l’avevano fatta sospirare
segretamente, e capiva che era
quello che stava accadendo in quel momento: sì,
“Ryo” era molto più vecchio di
lei, e lei di certo non gli sarebbe morta dietro, però non
aveva problemi ad
ammettere che era un uomo decisamente affascinante.
E poi… poi, c’era qualcosa di
caldo nel
suo sguardo, come una tenera carezza ricolma d’affetto, che
le diceva che
poteva fidarsi di lui.
“Dov’è mio
fratello?” Si domandò,
guardandosi intorno, rifiutando di stringere la mano di Ryo.
“Se ho avuto un
incidente, perché non è qui?”
Rimpiangendo quella scusa inventata un
po’ tra capo e collo, Ryo strinse i denti, maledicendosi. Non
gli piaceva
mentire, ora avrebbe dovuto tenere conto di tutto quello che avrebbe
detto fino
a che la sua Kaori non fosse tornata da lui, facendo attenzione a non
contraddirsi o, peggio, lasciandosi scappare qualcosa che avrebbe
potuto
ferirla.
“Tuo fratello è sotto
copertura,” Ryo
ammise, mani in tasca; Kaori non aveva ancora sedici anni, altrimenti
si
sarebbe ricordata di lui senz’altro. Però, doveva
essere intorno a quell’epoca,
quando Kaori aveva iniziato a nutrire dubbi su cosa Makimura
effettivamente
facesse, e lui, nonostante avesse già abbandonato il
distintivo, con lei
fingeva di essere ancora in servizio. “Purtroppo il suo
è un incarico molto
delicato, ha impiegato molto tempo a guadagnarsi la fiducia del capo
della
banda in cui si è infiltrato, e ha ricevuto ordine di non
abbandonare
l’incarico, ma l’ho informato
dell’accaduto e mi ha chiesto di prendermi cura
di te.”
Sempre con la mano tesa, Ryo si abbassò
tanto quanto bastava per poterla guardare negli occhi, pregando che non
vi
leggesse quella menzogna che solo a raccontarla gli spezzava il cuore.
“Come posso sapere che non stai
mentendo?” lei gli domandò, e Ryo si morse il
labbro, chiedendosi a quale delle
tante menzogne che gli erano uscite di bocca la ragazza si riferisse.
“Come
posso essere certa che ti manda davvero lui?”
“Chiedimi
qualcosa,” le chiese, con lo sguardo pieno di speranza, quasi
la supplicasse di
fidarsi di lui. “Domandami qualcosa che solo lui avrebbe
potuto dirmi di te.”
Prima che lei
potesse aprire bocca, Rui afferrò Ryo per la manica del
giubbotto, e
strattonandolo, senza dire una sola parola, lo trascinò con
forza fuori dalla
stanza, e l’uomo glielo permise, non volendo fare una scenata
davanti a Kaori e
farla preoccupare inutilmente, immaginandola già abbastanza
stressata di suo
per quella peculiare situazione in cui si era ritrovata.
“Si può sapere
cosa credi di fare, Saeba?” Rui gli domandò,
chiaramente seccata dal suo
comportamento. “Hai davvero intenzione di raccontarle tutte
queste frottole?”
“Beh, cosa
suggerisci?” Le domandò lui, sarcastico.
“Secondo te è più sensato dirle che ha
avuto un’amnesia ed attendere che se ne torni normale, oppure
raccontarle che
un gioiello vecchio di tremila anni l’ha fatta tornare
adolescente?”
Rui sospirò,
portandosi l’indice alla tempia. Immaginava che Ryo avesse
ragione, che
difficilmente qualcuno avrebbe potuto credere a quella storia assurda;
lei, di
certo, fino a che non aveva avuto davanti quella donna che conosceva,
adulta,
tornare ragazzina, aveva pensato ad una favoletta.
Beh, adesso
capiva cosa intendesse la gente quando diceva che dietro ogni leggenda
c’era un
briciolo di verità - solo che non avrebbe mai pensato che la
parte magica fosse
il briciolo di verità nascosto dietro la leggenda
dell’occhio di Ebe.
“Ho bisogno di
un favore, dì a Falcon e Miki di andare a casa mia e
togliere tutte le cose di
Kaori dall’appartamento, la terrò con me fino a
che questa cosa non sarà
passata e non voglio che si turbi perché si trova delle foto
di sé stessa
adulta in giro, o i biglietti di condoglianze che le hanno mandato
quando Maki
è morto.” Si massaggiò la mascella,
come per pensare. “Dovranno togliere anche
tutto ciò che potrebbe indicare in che anno ci
troviamo… niente libri, riviste,
radio o televisione.”
“Oh,” Rui
sussultò, dopo aver sentito lo sweeper parlare di
condoglianze. Ora capiva
perché, in tante discussioni, quel fratello non fosse mai
venuto fuori, perché
avesse incontrato, bene o male, tutti i membri della
“cricca” di Saeba meno
questo fantomatico Hideyuki Makimura.
Era morto.
E se lo sguardo
cupo e lontano di Ryo voleva dire qualcosa, era che, in un modo o
nell’altro,
si sentiva responsabile per quella perdita: che fossero stati soci,
colleghi?
Che, prima di Kaori, fosse stato lui City Hunter al fianco di Saeba?
“Credi davvero
che un’adolescente vorrà stare chiusa in una
stanzetta con te
per settimane?” Gli domandò, alzando
un sopracciglio.
“Qualcosa lo
troveremo, o mi inventerò un’altra balla. Le
dirò che deve stare nascosta per
il bene del fratello, e le farò avere libri usati in modo
che non abbia
sospetti.” sospirando, si grattò il capo.
“Porca miseria, devo chiedere a Mick
di gestire la lavagna al posto nostro fino a che sta benedetta faccenda
non si
risolve. Non voglio che la mia reputazione vada a farsi benedire
perché non ho
ricontattato dei possibili clienti!”
Rui ridacchiò, occhi luminosi pieni di
divertimento.
“Sai, in
un’altra occasione ti avrei chiesto se volevi tenerti la
piccola Kaori con te
per poterci provare con lei, ma devo dirtelo,
Ryo…” Con un gesto non dissimile
da quelli della bella Saeko, Rui sistemò un ciuffo che le
cadeva sul volto,
sorridendogli maliziosa. “Ti stai comportando in modo
stranamente adulto oggi…
non hai nemmeno provato a saltare addosso a me quando sono
arrivata.”
Sbuffando,
senza degnarla di una risposta, non volendo arrischiarsi a passare
troppo da
maleducato, Ryo tornò in camera, dove trovò Kaori
addormentata nel letto, sopra
le coperte; sembrava stranamente rilassata, ed i raggi del sole che le
colpivano
i capelli li accendevano di riflessi come se fossero stati sottili fili
di oro
rosso. Si sedette
al suo fianco, sulla
sedia che per ore non aveva vacato, e spettinandole i ricci,
poggiò la fronte
contro la sua, ispirando quel profumo che, nonostante i dodici, tredici
anni di
differenza era sempre lei, la sua dolce Kaori.
“Torna da me,”
la supplicò. “Ti prego, Kaori, torna da
me.”
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Capitolo 3 *** Sweet Home ***
I miei ringraziamenti a chi ha letto e commentato; vita, lavoro e emicrania mi tengono impregnata, ma prometto che risponderò alle vostre recensioni. Sappiate che leggo e le apprezzo!
Ryo aveva portato Kaori nella loro casa che era buio, mentre lei stava dormendo, convinto che meno la ragazza avesse visto, meglio sarebbe stato. Mentre percorreva le scale portandosela in spalle, con la mente tornò al loro primo incontro, alla notte che se l’era portata in quella stessa casa, allora nemmeno ancora ammobiliata, in quella stessa posizione. Incontrare la sorella di Maki gli aveva procurato uno strano effetto: mentre aveva percepito la morbidezza e il calore di quello spigoloso corpo adolescente, Ryo aveva compreso che, in un modo o nell’altro, il suo mondo sarebbe cambiato per sempre. All’epoca non aveva ancora capito come, ma tutti quei discorsi sul fratello, sul loro lavoro, avevano svegliato una moralità che Ryo temeva sopita per sempre. Ricordava come aveva guardato Kaori dormire, quelle delicate labbra, le gote arrossate, come fosse stato tentato di andarle vicino per sentire il suo respiro sulla pelle: lei lo turbava, e Ryo non era nemmeno certo di cosa stesse effettivamente accadendo. Cos’era quella strana sensazione che aveva nel petto?
Vederla ritornare poi, tre anni dopo, nella sua vita in pianta stabile, era stata la proverbiale goccia che aveva fatto traboccare il vaso; si era perso in quegli occhi, aveva sentito gli spigoli che era divenuti, sotto alle sue dita, burrose curve, e riempiendosi le narici di quello stesso profumo che ora lo attanagliava aveva capito di essere fottuto, e che era giunto il momento per l’Angelo Nero della morte di ritirarsi per lasciare il posto al Ryo di Kaori.
Dopo essere entrato in casa, grato nel vedere che nulla che potesse ricondurre alla data odierna fosse presente, silenziosamente ringraziando i due mercenari, Ryo la portò nella sua camera, dove la posò sotto le coperte, rimboccandogliele; Kaori non si era svegliata, forse per la stanchezza accumulata con le notti insonni passate da dopo il matrimonio di Miki e Falcon, o forse per un curioso effetto collaterale dell’incantesimo. A lungo la vegliò, in silenzio, seduto a terra con la schiena contro il muro, pensieroso, la guardava riposare come aveva fatto quella notte tanti anni prima, sentendo nuovamente la stessa sensazione attanagliargli il petto, ma dieci, cento, mille volte più forte: all’epoca era stato curioso ed intenerito, adesso lei era divenuta non solo il centro del suo mondo, ma l’asse stesso attorno a cui tutta la sua realtà ruotava.
Desiderio. Attrazione. Amore. Ryo provò tutto moltiplicato a mille. Perché sì, lei sembrava una quindicenne, ma Ryo poteva sentire il suo animo, già adulto in quel corpo giovane, e più la guardava, più l’immagine della ventisettenne si sovrapponeva a quella della quindicenne, rendendole pressoché indistinguibili l’una dall’altra, e per un attimo fu tentato di fare l’impensabile, poggiare le sue labbra su quelle di lei, quasi, come novello principe azzurro, quel gesto potesse destarla da quell’assurdo incantesimo.
Gli mancava. Meno di ventiquattro ore senza di lei, e già gli mancava. Le sue risate, i suoi rimproveri, i suoi sorrisi… persino la sua violenta gelosia. Ma soprattutto, gli mancavano le piccole cose, il profumo del caffè che gli preparava, fare finta di leggere il giornale mentre invece la guardava, incantato, che cucinava o lavava i piatti, o sentirla canticchiare mentre trotterellava per casa o stendeva il bucato.
Dandosi una scrollata, Ryo si alzò e si sporse dalla finestra, ad osservare le vie di Shinjuku piene di vita. Poi però si avvicinò, nuovamente, di soppiatto, al letto, guardandola di nascosto. Così giovane, nemmeno sedici anni, eppure era già bellissima, già gli faceva battere il cuore. Lasciando che fosse il suo istinto a guidarlo, si chinò sulla giovane, lasciandole un casto bacio sulla fronte, e la vide sorridere, quasi nel sonno si fosse compiaciuta di quel gesto, lo avesse gradito, e poi si tolse dal collo il ciondolo con cui era arrivato in Giappone, che aveva perso e poi, casualmente, ritrovato cinque anni prima, durante un caso, e lo mise al collo di Kaori, affinché potesse sempre averlo con sé, sul proprio cuore. Non sapeva cosa si sarebbe inventato per giustificare quell’oggetto, qualcosa lo avrebbe fatto, ma sentiva che il posto di quel talismano era sul cuore della donna.
Lasciò la stanza, silenziosamente come vi era entrato, e si mise all’erta nel corridoio fra le loro camere da letto, accendendosi una sigaretta mentre controllava la porta, vigile come un falco, mentre, sotto alle sue coperte, Kaori si stringeva il lenzuolo contro il petto, arrossendo, eppure con una strana sensazione di pace e tranquillità, un calore che le si diramava nel petto, dove il cuore le batteva a ritmo martellante.
Fissando il buio, si chiedeva se fosse possibile sentire di conoscere una persona da sempre, seppur non l’avesse mai vista prima di allora, ma soprattutto, perché, nonostante sentisse, sapesse che qualcosa non quadrava, una parte di lei le gridava di fidarsi di Ryo, che voleva solo il suo bene?
Sospirando, socchiuse gli occhi, fissando il buio davanti a sé.
Chissà, forse, quello era ciò che la gente chiamava colpo di fulmine.
I raggi del sole accarezzarono il volto di Kaori, che, pigramente, si svegliò; si sentiva intorpidita, come se tutte le sue reazioni, le sue sensazioni, giungessero come ovattate al suo cervello, quasi il suo stesso corpo le fosse alieno.
Lentamente, aprì gli occhi, e le tornò alla mente cosa fosse accaduto il giorno precedente - o meglio, cose le era stato detto le fosse accaduto. Aveva forse battuto la testa? L’ultima cosa che ricordava era che finalmente era giunto marzo, il mese del suo compleanno, e che lei stava attendendo con trepidazione quel fatidico giorno, il trentuno, quando avrebbe compiuto sedici anni, convinta che, finalmente, avrebbe iniziato a sentirsi adulta ed essere considerata come tale da coloro che le stavano intorno.
Eppure… eppure qualcosa le era accaduto, perché si era coricata nel suo letto per svegliarsi in quella clinica sgangherata contornata da sconosciuti, da quella bellissima donna che sembrava una modella e da quel tipo che aveva detto di lavorare con il suo amato fratello – e per di più, sembrava essere estate, era già pieno giorno, gli uccellini cantavano, e dalla finestra poteva intravedere alcuni alberelli piantati lungo la strada, poco più che arbusti, che mostravano delle gloriose chiome verdi.
Ryo, pensò, sentendo le guance che le bruciavano, mentre tornava con la mente a quell’uomo dall’apparente aria sgangherata. C’era qualcosa nella sua storia che stonava, eppure sentiva di potersi fidare di lui, che lui sarebbe potuto essere importante per lei. Ridacchiando però scosse il capo, dandosi della stupida: Ryo era un uomo adulto e maturo, doveva essere almeno un quarantenne, mentre lei non aveva nemmeno sedici anni, prendersi una sbandata per lui non aveva il benché minimo senso: quello che stava facendo lo faceva per dovere, per un senso di tenerezza e protezione, non certo perché fosse un cavaliere dalla lucente armatura che si prometteva alla dama del castello.
Kaori si guardò attorno, curiosa, e lasciò il letto. Spalancata la finestra per cambiare aria, prese a curiosare in quella che immaginava essere la stanza degli ospiti di Ryo, una cameretta graziosa, delle giuste dimensioni, ma che era spoglia di quasi tutto. Aprì armadi, cassetti… nulla.
Evidentemente, Ryo viveva da solo.
Ma allora, perché le sembrava che pensarlo solo fosse quasi… sbagliato? Con braccia conserte, cercò di raccapezzarsi di quella curiosa situazione, di quelle capriole che il suo cuore faceva quando i loro occhi si incontravano, della sensazione familiare che aveva provato tra le sue braccia: le une potevano essere spiegate con una sbandata - era vecchio, sì, ma decisamente bello ed aitante - ma la seconda? Ryo non assomigliava per nulla a Hide, quindi non capiva cosa lo rendesse così parte di lei.
Non aveva senso. Nulla aveva senso. Anche il fatto che lei fosse lì… le stavano mentendo? Hide era in pericolo? La sua copertura era saltata e volevano ricattarlo attraverso di lei? Il solo pensiero di essere il suo punto debole la fece rabbrividire, e con le lacrime agli occhi Kaori si lasciò scivolare per terra, stringendosi con forza, senza tuttavia riuscire a trovare un calore che la riscaldasse.
Singhiozzò a lungo, fino a che, mentre si stava asciugando con i pugni le lacrime, notò qualcosa fare capolino da sotto al comò; un angolino di qualcosa di bianco. Incuriosita, lo afferrò, scoprendo essere una foto. La voltò per vedere chi potesse raffigurare, irrazionalmente impaurita all’idea che potesse trattarsi della donna di Ryo, ma quasi emozionata al pensiero che sarebbe potuto trattarsi di un’istantanea con lui solo; la cosa la faceva sorridere, mentre le guance le si imporporavano, e la ragazza sospirava all’idea di potersi tenere quelle immagina da guardare e riguardare quando volesse, senza che nessuno ne fosse a conoscenza, nemmeno quel bel sconosciuto tenebroso.
Quando però vide chi era raffigurato in quella foto, il cuore prese a batterle all’impazzata, ed il respiro le si mozzò in gola. Kaori alzò gli occhi verso lo specchio sopra al mobile, e vide i suoi grandi occhi castani, i corti capelli rossi, le labbra sottili; abbassò lo sguardo sulla foto, e vide la stessa identica cosa, lo stesso volto, solo… più maturo.
Com’era possibile? Possibile che…
Ma no, non era… ma se invece… ma allora, se non lei…. chi poteva essere quella donna che le assomigliava così tanto? Forse la sua vera madre? No, Ryo aveva pressoché la stessa età nella foto, mentre la donna sembrava avere sì e no trent’anni, quindi era troppo giovane per essere la sua madre biologica. Che avesse una sorella maggiore? Ma come giustificare lo stesso taglio di capelli, gli stessi identici occhi, lo stesso stile…
Non capiva nulla, se non che forse Ryo non era stato così onesto come lei aveva immaginato, e che aveva bisogno di una spiegazione, subito.
Stringendo i denti, la foto nel pugno chiuso, Kaori spalancò la porta facendola sbattere contro il muro, e corse giù lungo le scale. Seguendo il profumo del caffè trovò Ryo, che stava assaporando una tazza, e che le sorrise tenero e compiaciuto, dolce… tutte cose di cui lei non sapeva cosa farsene. Lei non voleva le sue moine: lei voleva la verità, tutta la verità, nient'altro che la verità.
“Cosa diavolo significa questa foto?” gli domandò, rabbiosa, sbattendo il ritratto sul tavolo, proprio sotto al naso del presunto poliziotto che reagì digrignando i denti, e stringendo il manico della tazza con tale forza che le nocche gli divennero bianche e la ragazza credette che la porcellana si sarebbe spezzata sotto alla sua morsa.
E Kaori comprese di aver avuto ragione: lui le stava tenendo nascosto qualcosa, si presupponeva che lei non lo scoprisse, eppure quella fotografia sembrava essere un tassello importante del puzzle e lui era decisamente seccato che lei se la fosse trovata tra le mani.
Ryo abbandonò la tazza sul tavolo e si lasciò cadere, stancamente, su una sedia, si grattò il capo, sospirando, guardando ora la foto, ora Kaori. Poi, le fece segno di sedersi davanti a lui, ma lei non ne volle sapere: sarebbe stata in piedi, a braccia conserte, lo sguardo duro e truce, fino a che lui non avesse ceduto.
“È complicato,” iniziò lui, continuando a grattarsi il capo. “Kaori, è una storia talmente assurda che anche se te la raccontassi non mi crederesti mai, quindi, perché stressarti? Fidati di me, prendi le cose come vanno e vedrai che in men che non si dica tutto tornerà alla normalità.”
“Beh, se è complicato tu vedi di farla semplice,” gli suggerì lei, sedendosi davanti all’uomo e cercando di guardarlo negli occhi, ma Ryo si era fatto sfuggente e rifiutava di incontrare il suo sguardo. Stanca, la ragazza sospirò, cosa che sembrò destarlo da quello stato di torpore. “Ryo… perché… chi è la ragazza della foto? Perché… mi somiglia così tanto?”
Ryo la squadrò con occhi affranti, torturandosi le dita callose; avrebbe potuto inventarsi una scusa, avrebbe potuto dirle che quella era sua sorella Sayuri, ma aveva il dubbio che Kaori fosse più giovane di quello che pensava, e comunque, lei non gli aveva mai detto quando esattamente avesse scoperto parte della verità sulle sue origini, e farla cadere in un baratro di dubbi era l’ultima cosa che desiderava.
E se avesse dato retta a Rui? Forse davvero la cosa migliore era essere sinceri, e sperare che le cose si sistemassero - che, nonostante la giovane età, anche questa Kaori si fidasse da lui e si lasciasse guidare dall’uomo che le aveva dato il benvenuto nella sua casa quando Maki, il suo adorato fratello, era deceduto.
Prese un profondo respiro, tutti i muscoli del suo corpo erano tesi, fremendo per la tensione e la paura dell’ignoto.
Aprì la bocca, ed iniziò a parlare, seppure non sapesse esattamente cosa dirle e come spiegarsi.
“Vedi, Kaori, la ragazza nella foto…”
“Sono io, vero?” domandò lei, guardando ora la foto, ora Ryo, e poi di nuovo la foto. Ryo sorrideva felice in quella foto, tenendo stretta a sé la donna che Kaori sentiva essere lei, per quanto improbabile ed impossibile… ma a lei erano sempre interessate le storie sul paranormale, quindi chissà, forse poteva, doveva essere tutto vero… “Non so come ma… ma so che si tratta di me. E che noi due siamo legati.”
Ryo prese a boccheggiare come un pesce, gli occhi sgranati, mentre vedeva quelli di Kaori abbassarsi, timidi, e tutto il suo volto arrossarsi; ingoiò a vuoto quando con la coda dell’occhio, nella V della maglietta prestatele da Ai, vide quello stesso colore, e con profondo ribrezzo per sé stesso, avvertì il suo sesso inturgidirsi al pensiero che anche il seno di Kaori fosse arrossito, che magari i suoi capezzoli si fossero inturgiditi, inscurendo, e… e… e…
“Ryo… noi siamo sposati, vero?” gli domandò, guardandolo con occhi luminosi, le guance arrossate, speranzosa, quasi desiderasse che gli dicesse di sì, quasi il suo cuore conoscesse già la portata dei sentimenti che la sua versione adulta avrebbe un giorno nutrito per lui.
Ma i vecchi vizi erano duri a morire, ed il lupo perde il pelo ma non il vizio, perciò, per lo sgomento della fanciulla, l’uomo proruppe nel suo solito monologo fatto di non molto velati insulti, a cui seguì il solito epilogo, costituito da una martellata di Kaori in testa- che, per somma delizia di lui, era decisamente più leggera del solito, indicazione che prima di conoscerlo lei ci andava meno pesante con quelli che pestava, e difatti fu un nonnulla per Ryo scrollarsi quell’affare di dosso.
Kaori abbassò lo sguardo, quasi vergognandosi di quel comportamento istintivo, che il fratello le rinfacciava spesso e volentieri, e anche Ryo, seduto a terra a gambe incrociate, era incapace di guardarla negli occhi, rubandole occhiate furtive quando pensava che Kaori non se ne sarebbe accorta; guardò la foto, la prese tra le dita, sfiorandola come fosse un oggetto prezioso, e sorrise, felice, rammentando quel giorno, la risata di lei, la sensazione di sentire le mani di Kaori scorrergli nei capelli, arruffandoglieli, il calore del corpo della giovane contro il suo, il tepore tranquillo che lei emanava.
Alzò lo sguardo verso l’adolescente, colpito nel profondo, avvertendo prorompente il bisogno di essere sincero, incapace di nasconderle la verità, o almeno, la sua versione. Kaori forse non avrebbe ricordato nulla, oppure lui avrebbe potuto additare la colpa di tutto alla febbre, a un delirio, qualunque cosa: quale occasione migliore per confessare, per capire come quelle parole sarebbero suonate sulle sue labbra?
“Non sappiamo cosa sia successo,” iniziò lui, grattandosi il capo, incerto se lei se la sarebbe bevuta o no. “Ma, ecco, tu… sei stata, ehm, come dire, contagiata da un oggetto magico che ti ha fatto tornare adolescente. Ma, tranquilla, mi hanno assicurato che è solo temporaneo. Alla prossima luna nuova tornerai te stessa.”
Kaori Sbattè quegli occhioni, fissando la fotografia della lei adulta. “E quanti….” Domandò, con tono incerto, quasi avesse paura della risposta.
“Ne hai fatti ventisette a marzo,” le disse. “adesso siamo ad Agosto. Cos’è l’ultima cosa che ricordi? Insomma, intendo…”
“Quanti anni ho?” domandò pensierosa, portandosi un dito al mento e fissando il soffitto. “Beh, era il primo di marzo. Ero molto eccitata perché finalmente sarebbe arrivato il mio compleanno… mi sono convinta che avere sedici anni significhi essere un po’ più adulta e matura, e poi..” abbassò gli occhi, arrossendo lieve. “Mi piacerebbe, insomma, cambiare. Non, non tantissimo. Ma, sai, essere un po’ più femminile, e magari, sì, insomma…”
Kaori, torturandosi le dita, fece una lunga pausa. Stava arrossendo ancora di più, si mordeva le labbra in un modo adorabile che non avrebbe dovuto, ma attizzava Ryo e non poco, e lui la squadrò per bene. “Sai, mi ero ripromessa di… ecco, c’è un ragazzo che mi piace, Yoshiki, è un mio compagno di classe, e io volevo chiedere alla mia amica Eriko di darmi una mano, sai, essere più femminile… e… e insomma… hai capito, no?”
Ryo prese un profondo respiro, mentre sentiva qualcosa di freddo entrargli nel cuore e rigirarsi e affondare ancora e ancora e ancora, come una sottile lama… lui e Kaori non avevano mai affrontato l’argomento, ma lei ne aveva parlato un giorno con Mick, che si era poi sentito in dovere di parlargliene nella speranza di aprire gli occhi all’ex socio.
Kaori si era innamorata di lui il 26 marzo dell’anno del suo sedicesimo compleanno. Un amore adolescenziale, forse, poco più di una cotta, un sentimento che probabilmente sapeva anche lei non sarebbe andato da nessuna parte, ma la presenza di Ryo era stata, apparentemente, abbastanza da destabilizzarla e mandare in frantumi i suoi piani di conquistare il compagno di classe. Irrazionale senso di colpa, quasi fosse stato lui stesso, volontariamente a negarle quelle esperienze, si unì alla deludente consapevolezza di non essere stato proprio il primissimo per cui lei avesse nutrito delle speranze, e alla soddisfazione di aver avuto un tale impatto su di lei tanto da averle stravolto l’esistenza – lei, di certo, aveva stravolto la sua, di vita.
A meno che…. Che fosse quello il rimpianto di Kaori? L’aver scelto di donarsi a lui, di attenderlo, nella speranza che un giorno i loro cammini si sarebbero potuti incrociare di nuovo, e lei avrebbe finalmente vissuto quel sogno d’amore?
“Lo immaginavo,” Ryo ammise con un sorriso, inclinando il capo di lato, nonostante dentro il suo cuore stesse prendendo piede una sanguinosa lotta, e fosse terrorizzato all’idea che lei si sarebbe potuta allontanare da lui una volta per tutte finito l’incantesimo. “Ti ho conosciuta la settimana del tuo sedicesimo compleanno, quindi, dato che non ti ricordavi di me, ho immaginato fossi un pochino più giovane.”
“Oh,” il cuore le fece un sobbalzo nel petto, e si mise a fare i conti… erano passati undici anni da quando si era addormentata, e lei conosceva Ryo da quando ne aveva sedici anni, quindi… “Stiamo davvero insieme da undici anni?”
A sentire quella frase, Ryo, stallone, uomo di mondo, porco maniaco e pervertito, arrossì, ed andò nel pallone.
“Co… no!” Ammise, anche se gli pesava farlo. “Cioè…. Io ero il socio di tuo fratello, e poi a vent’anni sei venuta tu a lavorare con me, e sì, viviamo insieme, ma non stiamo insieme, anche se, insomma…”
Vedere così impacciato e timido quell’uomo grande e grosso intenerì e non poco Kaori, che gli sorrise dolce e decise di avere pietà di lui, cambiando argomento: avrebbe avuto tempo per chiedergli spiegazioni, per investigare su cosa fosse esattamente successo, o magari anche no. Perché non approfittarne e comportarsi come un’adolescente normale? Undici anni prima questa possibilità le era stata negata, troppo presa dall’occuparsi di casa e fratello, ma adesso, anche se solo per qualche giorno… chissà…
“Ryo…” lo chiamò, mordendosi il labbro e guardandolo languida, perché aveva la netta impressione che quell’affascinante sconosciuto non fosse del tutto immune al fascino femminile, e che, se avesse giocato bene le sue carte – poche, come le diceva sempre Hide, non era la femminilità fatta persona lei – avrebbe potuto rigirarselo per benino.
E comunque, non era che gli volesse chiedere chissà che cosa. Mica voleva sedurlo!
“Eh?” Imbambolato, la fissò, la bocca leggermente aperta, cosa che compiacque e non poco la ragazza, e la fece sorridere.
“Non ti dispiace accompagnarmi a fare compere, vero? Insomma, non posso certo mettermi i vestiti della me adulta… e anche questi, non sono esattamente di mio gusto. Per favore….”
Sbattè gli occhioni da cerbiatta mettendogli un leggero broncio, e Ryo avvertì una spiacevolissima sensazione alla bocca dello stomaco.
A quelle occhiate della Kaori adulta alla fine lui aveva sempre ceduto, e a quanto sembrava lo stesso destino lo attendeva quando si trattava della Kaori ragazzina… le ragazzine non erano mai state di suo gusto, però, guardandola ora, sedicenne che si comportava come una ragazza sedicenne, lo sweeper ebbe la netta sensazione che, se undici anni prima lei si fosse presentata a lui così, forse non avrebbe finto di non capire che fosse una ragazza… e forse avrebbe finito per cederle, e concederle già allora quel bacio che ancora oggi Kaori attendeva da lui.
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Capitolo 4 *** Shopaholic ***
Avrebbe dovuto accompagnarla da Eriko,
questo, mentre stava seduto su una panchina fuori dallo spogliatoio di
un
negozio di abbigliamento per adolescenti del centro commerciale, si
ripeteva
Ryo fino alla nausea. Il fatto che ci fossero un mucchio di belle
mammine
intente a comprare capi per le figliole era poco importante, lui era
così
frustrato che nemmeno se ne rendeva conto – e poi, lo
scambiavano tutti per il
padre di Kaori, gli facevano i complimenti per una figlia
così carina, e aveva
sentito i commessi, che pure se l’erano mangiato con gli
occhi, commentare che
non capivano come una tale angelica creatura con così tanto
stile potesse
essere stata generata da un simile omuncolo senza il benché
minimo gusto.
Era indeciso su cosa lo facesse
arrabbiare di più, decise mentre fulminava i due ventenni
con il suo sguardo
letale, che aveva fatto cadere ai suoi piedi tante delle loro clienti:
se il
fatto che lui, eterno ventenne nonostante i suoi quarant’anni
suonati, fosse
stato scambiato per un uomo ben più vecchio della sua
età, o che, nonostante i
suoi capi gli cadessero addosso davvero bene e lo facessero apparire
come un
Dio greco – parole delle sue conquiste, non sue- quei due
avevano osato
ridicolizzarlo per il suo stile.
Un fugace pensiero gli passò per la
mente e lo fece ridere così tanto che dovette tapparsi il
naso per evitare di
scoppiare in una fragorosa risata: se Kaori avesse saputo che per
tenerlo
lontano da delle belle donne sarebbe bastato tornare adolescente,
probabilmente
lo avrebbe fatto molto tempo prima.
“Dì un po’ hai
quasi finito?” le domandò,
guardando l’orologio che portava al polso, sbuffando. Gli
sembrava di essere lì
dentro da una vita.
“Sì, solo un attimo, voglio
vedere come
mi sta una cosa!” arrivò la squillante voce di lei
dal camerino. Ryo sospirò.
Gli sarebbe mancata la sveglia data dalla voce adulta di Kaori.
“Ma si può sapere cosa
diavolo hai
ancora da provare? Tu e quei due energumeni sono tre ore che state
lì a…” Ma
non poté finire la frase, perché la ragazza
scelse quel momento per uscire dal
camerino mostrandoglisi in tutta la sua graziosa
femminilità. Ryo batté gli
occhi, chiedendosi perché all’epoca Eriko, che da
quello che aveva capito già
aveva il pallino della moda, non l’avesse aiutata a
valorizzarsi, si chiese
perché Kaori non accettasse ora l’aiuto
dell’amica con il corpo da urlo che si
ritrovava da adulta, e soprattutto non comprese come avesse potuto
credere, a
sedici anni, che lui potesse averla scambiata per un maschio.
Ingoiò a vuoto, occhi spalancati,
ricordando a sé stesso e alla sua prorompente
virilità che lei ora era una
ragazzina e lui alle ragazzine non andava dietro.
Ma porca miseria, se era carina! Aveva
indosso un top azzurro chiarissimo di pizzo, ampio ma che pareva una
nuvola,
dalla scollatura a barchetta che sembrava suggerire la curva del seno
ancora
acerbo, ma che
tempo tre anni avrebbe
fatto la sua bella presenza nei sogni erotici di Ryo, e lo indossava
con un
paio di jeans della stessa tonalità su cui spiccava una
delicata stampa
floreale. Non aveva i tacchi ma semplici scarpe da tennis bianche,
eppure era
bellissima nella sua disarmante semplicità.
Proprio come la Kaori adulta, lei lo
emozionava e gli faceva mancare il fiato.
“Oh,” arrossì lei,
abbassando il capo e
volgendolo nella direzione opposta a quella di Ryo; quel silenzio lo
aveva
letto come una critica, quasi un insulto, le sembrava come se, come i
suoi
compagni di scuola, le volesse urlare contro che lei non era femminile,
che non
era null’altro che un maschiaccio. “Hai ragione,
forse dovrei prendere qualcosa
di più, ecco, pratico…”
“NO!” le urlò
praticamente contro,
afferrandola per il polso prima che potesse tornare nello spogliatoio.
La
fissò, con una strana decisione, la pelle ruvida che le
bruciava il delicato
polso. “No,” ripeté, con maggiore
tranquillità. “No, sei molto… graziosa
così. Prendilo.
Anzi, sai che ti dico?” le domandò facendole
l’occhiolino. “Tienili addosso!”
Arrossendo, Kaori si limitò a dargli un
bacio sulla guancia, che lui continuò a toccare per tutta la
mattina, come se
la pelle continuasse a pizzicargli dove lei lo aveva sfiorato con le
sue
appetitose labbra.
Mentre
entrava al Cat’s Eye, Ryo digrignava i denti come un cane
furioso in preda alla
rabbia, e poco mancava che avesse pure la bava e la schiuma alla bocca
tanto
era furibondo. A piangere erano le sue già scarse finanze,
rese ancora più
scarse da quel giro di shopping intrapreso da Kaori che era finito con
parecchie borse e borsine, talmente tanta roba che Ryo si chiedeva cosa
avrebbe
detto la Kaori adulta una volta che avesse visto lo sperpero di denaro
di cui si
era resa colpevole, anche se la poteva già vedere donare ai
poveri quei capi –
e comunque, era così felice per quella cosa così
semplice, che non avrebbe
dovuto emozionare così un’adolescente, che Ryo si
ripromise di fare qualunque
cosa, anche accettare incarichi da uomini, pur di mettere qualche yen
da parte
e accompagnare la lei adulta a fare shopping, giusto per vedere se
anche lei
avrebbe avuto quei sorrisi smaglianti.
Ma
il vero problema era un altro.
I maschi.
Che fosse carina lo sapeva. Che avesse
avuto negli anni degli spasimanti ormai lo avevano capito pure i muri,
ma
normalmente, in sua presenza, le occhiate lascive erano solite essere
pari allo
zero, spaventati com’erano da lui, certi che tra loro ci
fosse del tenero e lei
fosse la donna del temuto City Hunter.
Ma adesso lui era solo un uomo, un
padre, giovane e aitante, ma pur sempre un padre, che accompagnava la
figlioletta a fare shopping, e quindi quegli esseri orripilanti e
lascivi si
permettevano di darle delle occhiatacce allusive, sbavarle dietro, uno
era
perfino andato a sbattere contro un lampione per guardarle bene il
sedere.
Iniziava a capire perché Kaori si
incavolasse tanto quando lui faceva il maniaco porco pervertito
– sul serio,
rabbrividendo, si rese conto che si faceva schifo da solo, una
consapevolezza
resa ancora più bruciante dal fatto che sì, pure
lui non stava disdegnando
delle occhiatine a quel bel sederino fasciato in quei jeans,
giustificandosi
col fatto che presto lei sarebbe tornata adulta, sospirando, si
ripromise di
dirle la verità quando fosse tornata, essere finalmente
aperto, sincero… l’idea
di perderla, o anche solo che altri avrebbero potuto guardarla in quel
modo, lo
attanagliava.
Kaori era sua, e basta.
Piegò il gomito e lo offrì
alla
ragazza, che tenera e con le gote imporporate lo afferrò,
lasciandosi guidare
per le strade di Shinjuku dall’uomo, strade che conosceva
come il palmo della
sua mano ma che ora le erano sconosciute; era sotto casa, eppure le
sembrava di
essere Alice, che metteva piede in un nuovo mondo.
Dolcemente, la accompagnò nel locale,
nonostante la ragazza si fosse sistemata dietro di lui, quasi a
nascondersi,
timida, e tutto sommato, pure lui provò il desiderio di
andare via e scappare,
quando vide gli amici – Mick, Miki, Falcon –
squadrarlo con fare accusatorio,
mentre invece Saeko lo guardava affranta e preoccupata, senza sapere
cosa fosse
accaduto alla giovane donna dopo che aveva perso i sensi.
Si grattò il capo, lasciando cadere a
terra le borse. Adesso veniva il bello.
“Ryo, perché diavolo ci hai
fatto
venire qui?” Chiese Mick.
“Cosa diavolo hai fatto a Kaori che ci
hai fatto togliere tutte le cose sue
dal
tuo appartamento, eh?” domandò Miki, furibonda.
“Cos’è, a forza di fare il
bastardo l’hai fatta scappare?”
“Ryo, sta bene?
Dov’è adesso?” Continuò
Saeko. Tutto il suo nutrito gruppo di amici gli si fece davanti,
minaccioso, e
a Ryo quasi cascarono le borse dalle mani. Sapendo che doveva
affrontare
l’inevitabile, e che non avrebbe potuto fare finta di nulla
per delle settimane,
si fece da parte, ed indicò con un movimento del capo la
timida ragazzina che
se ne stava con le mani conserte dietro la schiena.
Miki e Saeko guardarono la ragazza,
sbattendo i loro occhioni, guardando prima lei e poi Ryo, incapaci di
capire cosa
stesse accadendo; tutt’altra cosa fece Mick, che aveva
guardato molto attentamente le
fotografie di
Kaori da ragazzina, trovandola già all’epoca un
bocconcino molto appetitoso-
francamente, faticava a capire come Ryo avesse fatto a tenere le mani a
posto
all’epoca, figurarsi una volta che lei era divenuta adulta.
“Cristo santo onnipotente.”
borbottò,
passandosi le mani nei capelli, e avvicinandosi alla ragazza,
squadrandola da
capo a piedi con occhi sgranati. “Oh my fucking god,
that’s…” si voltò verso Ryo,
poi verso Kaori, poi di nuovo verso Ryo.
“Già….”
Ryo sospirò, con una scrollata di spalle.
“Cristo santo onnipotente. Porca
miseria.” Mick si passò una mano nei capelli,
così vicino alla ragazzina che
lei quasi poteva sentire il suo respiro sulla pelle mentre
l’uomo parlava.
Istintivamente, si avvicinò a Ryo, stringendosi a lui,
avvertendo un senso di
turbamento a lei incomprensibile.
“Ma si può sapere cosa cavolo
vi
prende?” Saeko domandò. “Cosa cavolo
avete voi due da confabulare così?”
“Ragazze…” Mick
ingoiò a vuoto,
voltandosi verso le fanciulle, indicando la
“pupilla” di Ryo con l’indice della
mano guantata. “Ragazzi, quella è… io
non so come sia possibile, ma…”
“È Kaori,
sì.” Ryo dovette ammettere,
tra l’ilarità generale delle due donne che si
stavano tenendo la pancia tanto
erano scoppiate a ridere.
“Guardate che credo che sia serio,
insomma, io ho visto delle foto di Kaori quando andava a scuola, e
credetemi, è
lei. Oppure un clone.” Mick dovette ammettere, grattandosi il
capo, sentendosi
come il protagonista di una serie televisiva o di un cartone animato di
dubbio
gusto.
“Ryo, loro…” Kaori
gli domandò,
nascondendosi dietro alla sua schiena, a cui si appoggiava con il palmo
delle
mani. Non sapeva il perché, non riusciva a capire come fosse
possibile, ma
sentiva che lui l’avrebbe sempre protetta e tenuta al sicuro.
“Stai tranquilla, Sugar, loro sono i
nostri amici.” le spiegò con un sorriso dolce e
tenero, che le fece tremare il
cuore e le ginocchia. “Il biondino è Mick Angel,
un mio ex socio in affari,
mentre le due signore sono una Saeko, una poliziotta per cui talvolta
lavoriamo, e Miki, la tua migliore amica, che gestisce questo locale
col
marito. A proposito, dove si è ficcato polipone? Voglio
proprio vedere come
reagisce appena gli racconto questa storia!”
Saeko la fissò, stupita, avvicinandosi
per osservarla meglio, quasi fosse una curiosità
scientifica; Kaori avvertì
immediatamente un moto di stizza verso la donna, sia per quel suo
comportamento
che per qualcosa che sentiva dentro, di irrazionale ed istintivo, ed
aggrappandosi al braccio di Ryo si strinse a lui con maggiore foga:
c’era
qualcosa in quella donna che lei trovava… irritante.
“Ma… Kaori… che ti
prende?” le domandò
lo sweeper. Lei non rispose, ma trattenne lo sguardo della donna matura
con
decisione e grinta, quasi a voler sottolineare che, per qualche motivo
a lei
sconosciuto, Ryo fosse suo, e che
lei
non si doveva azzardare ad avvicinarglisi.
“Ehm, ieri sera stavamo tenendo sotto
controllo un gioiello che Occhi di gatto voleva rubare, e….
è successo questo.
Kaori è tornata indietro a quando aveva quasi sedici
anni.” Ryo si spiegò,
guardando bene fisso negli occhi Miki, che si fece piccola e assunse
un’aria
colpevole: erano stati lei ed il marito a far entrare le ladre nelle
loro vite,
quindi se adesso erano messi così la colpa era anche di loro
due. “Se la
leggenda è giusta l’effetto durerà fino
alla prossima luna nuova.”
Mick
era deliziato da quello che stava
accadendo; non era solo l’avere quella deliziosa creatura
davanti a sé- Kaori
era sempre stata un gran bel pezzo di figliola, nonostante lui avesse
deciso
quasi fin da subito di guardare ma non toccare con lei, più
per rispetto dei
sentimenti della giovane verso Ryo che per quello che il socio provava
verso di
lei. Quello che lo intrigava, e non poco, era vedere come la ragazza
fosse
possessiva di Ryo e come, senza gli anni di sminuimenti continui, lei
non si
facesse troppi problemi ad esternare un’attrazione che si
stava già palesando
nonostante conoscesse lo sweeper solo da poche ore. Oppure,
chissà, ciò che la
sua mente non ricordava, il suo cuore stava disperatamente cercando di
mostraglielo.
C’era poco da dire: quel comportamento,
l’americano realizzò, era prova evidente che in
ogni luogo ed in ogni tempo,
Kaori voleva Ryo, tale era la portata e la potenza del primo amore.
“Senti Sugar, perché non
prendi una
cioccolata calda? Io intanto vado a parlare di affari con
Mick!” Le disse
scompigliandole i capelli. Con il broncio e le guance arrossate, sotto
allo
sguardo sgomento di Saeko, la ragazza si sedette al bancone, ed
accettò la
cioccolata che una sorridente barista le porse, mentre con la coda
dell’occhio
controllava Ryo, che si era appartato in un tavolino in un angolo con
il
biondo, che continuava a rubarle occhiate di soppiatto e non.
“Guarda che non cambia o sparisce solo
perché smetti di stare lì a fissarla,”
Ryo lo redarguì, alzando un
sopracciglio, leggermente piccato, mentre beveva l’ennesima
tazza di caffè.
Avrebbe dovuto tenere sotto controllo l’ex socio: il limite
del biondino,
tornato single, era l’età del consenso, che in
Giappone era ben sotto ai sedici
anni. E quella sedicenne era l’amore delle vita di Mick: una
tentazione a cui
uomini più forti difficilmente avrebbero potuto resistere.
“Sì, sì, lo so,
solo che, insomma…”
sospirando, una mano sotto al mento, il gomito sul tavolo, Mick
fissò il
compare di sbornie e divertimenti. “Ma… quindi
qual è la storia? Ha solo sedici
anni nel corpo o anche nella mente? Insomma, cosa le hai
detto?” Non c’era
bisogno che spiegasse a cosa si riferisse: cosa sapeva Kaori della
Union Teope,
di cosa era accaduto al fratello, della loro relazione?
“No, no, è proprio tornata
sedicenne.
E, beh, qualcosa lo ha capito da sola, anche se non mi ha ancora
chiesto nulla
di Maki. Forse ha capito che gli è capitato
qualcosa… credo non voglia saperlo.
Forse vuole solo essere una ragazzina normale per qualche giorno. A
sedici anni
lei si occupava del fratello, della casa, studiava. Le incombenze erano
tutte
per lei…” sospirò, voltandosi verso il
bancone e notando che Kaori lo guardava
senza farsi troppi problemi. “Mick, Kaori ha bisogno di
qualcuno che, non so,
la controlli, la guidi. Ti spiacerebbe controllare la lavagna al posto
nostro
per qualche giorno? Non voglio mollare Kaori a casa da sola, lei non sa
difendersi e non vorrei che le capitasse qualcosa.”
Ridendo, sbeffeggiandolo, Mick lasciò
il suo posto, dandogli una pacca sulla spalla. “Tranquillo,
socio, ci penso io
a City Hunter, tu guarda di non fare qualche minchiata come portartela
a
letto…” gli fece l’occhiolino.
“Aspetta che sia tornata grande per sedurla,
stallone!”
L’americano corse via, mentre lo
sweeper di Shinjuku teneva tra le mani tremanti di rabbia la sua Python.
A Kaori piacevano i film. Seduta sul
divano, passò i successivi giorni a consumare ogni
videocassetta e DVD che lui
avesse reputati consoni alla sua visione, mentre la sua collezione
privata se
ne stava in camera da letto, ben nascosta, in modo che lei non la
potesse
trovare: Ryo non sapeva il perché, ma non voleva che Kaori
pensasse che lui era
un maiale, un porco, un pervertito… desiderava che eli
avesse una buona
opinione di lui, quasi nella speranza che si potesse ricordare, tornata
adulta,
che lui poteva essere un uomo migliore
di quello che appariva con tutte.
Mentre si beveva il caffè, la
guardò di
sottecchi seduta sul divano, sospirando; da una parte, se avere a che
fare con
un’adolescente era solo quello, era sollevato, quasi quasi
non gli sarebbe
dispiaciuto avere una figlia così, preferibilmente da Kaori,
dall’altro,
c’erano dei momenti in cui desiderava davvero tanto uscire da
quella stanza, da
quella casa, e rifugiarsi al poligono lontano da lei, che non si
rendeva conto
di che genere di tentazione rappresentasse per gli elementi di sesso
maschile.
Posò la tazza nel lavandino e la
raggiunse, picchiettandole sulla spalla lasciata scoperta
dall’ampia maglietta,
che lasciava ben intendere come nemmeno quel giorno non indossasse il
reggiseno
– sì, aveva decisamente bisogno del poligono se
non voleva saltarle addosso.
“Senti, ti spiace rimanere sola
un’oretta? Ho
un lavoro da fare…” le
disse, rimanendo sul vago, decidendo che essere onesto, ammettere
cioè che lui
la frustrazione sessuale verso la rossa erano anni che la teneva sotto
controllo svuotando caricatore dopo caricatore nel suo poligono
personale, non
fosse un’idea così brillante.
Lei si limitò a scrollare le spalle
–
oggi era uno di quei giorni in cui lei era di cattivo umore, scontrosa,
poco
collaborativa: in una parola, un’adolescente, ma tutto
sommato i suoi sbalzi
non erano così male, aveva visto di peggio – e Ryo
prese la giacca e se ne andò
di sotto, a provare e riprovare il suo colpo da maestro che
però di riuscirgli
non ne voleva sapere proprio. Lei era troppo nella sua mentre, era
preoccupato,
era eccitato, una parte di lui si chiedeva se Rui fosse stata onesta e
se
davvero alla prossima luna nuova sarebbe tornata sé stessa,
la sua Kaori… ormai
mancavano meno di due settimane al fatidico giorno.
Sua… sorrise appena pensò a
quell’aggettivo. Sì, Lei era sua ed era ora che
fosse onesto. Si ripromise di
chiudere quel discorso iniziato nella radura, di non fare
più passi indietro,
di darle quel bacio che ormai erano anni che lei attendeva.
Ripensò agli amici
che negli anni si erano sposati: sì, adesso capiva come
avessero avuto ragione,
come le loro compagne li avessero cambiati in meglio, quanto la sua
vita con
Kaori fosse già cambiata e come potesse ancora farlo.
All’improvviso, la
prospettiva di svegliarsi ogni mattina con la stessa donna nel letto fu
molto,
molto allettante, e Ryo riprese a sparare, i colpi che fluivano dalla
pistola
quasi fossero stati un’estensione del suo stesso essere,
colpendo con
precisione certosina il bersaglio sempre nello stesso punto.
Rilassato, quasi in pace con sé stesso,
Ryo tornò di sopra, controllando l’orologio: era
passata poco più di un’ora.
Spalancò la porta con un sorriso sornione sulle labbra,
immaginandosi quella
stessa scena da lì a qualche settimana, quando, se qualcuno
lassù lo avesse
amato, lui e Kaori sarebbero stati una coppia… poteva
vedersi rincasare mentre
lei era ai fornelli, lui l’avrebbe raggiunta, le avrebbe
baciato quel collo
meraviglioso che lo attizzava ancora di più di certe forme
esagerate di alcune
donne, e lei si sarebbe voltata nel suo abbraccio. Si sarebbero baciati
mentre
lui spegnava i fornelli e avrebbero finito per fare l’amore
sul divano o magari
sul tavolo…
Scrollò il capo per darsi una regolata,
ricordandosi che Kaori era ancora adolescente quindi sarebbe stato
meglio non
farsi vedere nella sua versione da maniaco pervertito, quando tuttavia
si rese
conto del totale silenzio che aleggiava in casa.
Niente tv. Niente acqua che scrosciava.
Niente pentolame che tintinnava.
Andò nelle camera da letto: nulla.
Salì in terrazza: c’era
ancora meno lì.
Col cuore in gola, Ryo corse a
perdifiato fuori, iniziò a guardarsi intorno,
andò da Mick, passò al Cat’s Eye,
raccomandò a tutti di chiamarlo se l’avessero
vista. Sudava freddo ed era in
preda al terrore, non sapeva cosa fosse successo, dove potesse essere
andata…
forse qualcuno l’aveva rapita? Aveva aperto la porta a degli
sconosciuti?
Tornò a casa, come Miki, gli aveva
suggerito, immaginando che lei fosse solo andata a fare un giro da
qualche
parte, e si sedette sul divano, al buio, con la testa tra le mani: cosa
avrebbe
fatto senza di lei, se le fosse accaduto qualcosa?
Fuori stava diventando buio e lui non sapeva
cosa fosse accaduto, dove fosse, con chi… era
così che Kaori si sentiva, notte
dopo notte, quando lui usciva senza dirle nulla, senza farle sapere con
chi
andasse, quali locali frequentasse?
Come
aveva potuto farle una cosa simile? Come aveva potuto lei tollerare un
simile
comportamento, e anzi, attenderlo notte dopo notte col cuore sempre
pieno di
amore?
Erano quasi le undici quando lei aprì
la porta di casa, cercando di fare il meno rumore possibile, senza
accendere le
luci, forse sperando di potersi poi inventare qualche balla il giorno
dopo.
“Si può sapere dove diavolo
eri
andata?” le chiese lui accendendo la luce e standole davanti.
Kaori alzò gli
occhi al cielo mentre quelli di Ryo gli uscivano dalle orbite e la
mandibola
toccava terra.
Kaori si era tinta i capelli di biondo,
dando una regolata al taglio, rendendolo ancora più ribelle
e sbarazzino; si
era anche fatta il trucco, pesante intorno agli occhi, e aveva scelto
un
rossetto appariscente che le rendeva le labbra molto succulente e
sembrava
quasi le rimpolpasse.
Non riusciva a staccarsi da lei. Con
quegli occhi truccati, le labbra rosse ed i capelli biondi non poteva
fare a
meno di ricordare la volta in cui l’aveva baciata,
approfittando dell’ennesima
amnesia della ragazza, quando era stata Sara… il suo corpo
reagì, accendendosi
di desiderio proprio come quel giorno in cui l’aveva stretta
tra le braccia ed
era stato tentato di possederla su quel pavimento di cemento, con la
fine del
mondo alle loro porte.
Strinse i denti. Strinse i pugni.
La guardò freddo, violentandosi per non
fare una sciocchezza, cercando di rammentare che lei era solo una
ragazzina, e
non la donna adulta che desiderava fare sua, ma certi giorni la
differenza era
così sottile che doveva sforzarsi di ricordarlo.
Alzò una mano, e lei fece un passo
indietro, senza tuttavia abbassare gli occhi, con sguardo deciso, ad
indicargli
che non aveva paura di lui; Ryo le sorrise, mentre fece scorrere una
ciocca tra
le dita.
“Carino,” dovette ammettere.
“Ma a meno
che non sia una di quelle tinte che vanno via dopo qualche shampoo,
temo che
durerà comunque poco.”
Lei si appoggiò al muro, braccia dietro
alla schiena a contatto con la parete. Con un lieve sorriso,
tranquillizzata,
mantenne lo sguardo di Ryo. “Perché, la Kaori
adulta non si tinge i capelli?”
“No, lei, lei è molto
semplice. Acqua e
sapone. E forse per questo è così
bella.” Ryo sospirò dopo
quell’ammissione. Si
accese una sigaretta, offrendone una a lei, che stranamente
accettò, e si
sistemò al fianco di Kaori. Guardava in lontananza, fuori
dalle finestre, cosa
non lo sapeva bene neppure lui. “Inoltre, Kaori mi rompe
sempre perché fumo
come una ciminiera, quindi questa cosa è davvero
strana.” Le disse, accennando
un sorriso.
“Ne fumo solo una ogni tanto,”
ammise
lei scrollando le spalle. “Hide quando lo ha scoperto me ne
ha dette di tutti i
colori. Non voleva nemmeno più darmi i soldi per la spesa
perché aveva paura
che li usassi di nascosto per comprarmi le sigarette.”
Con la mano libera, cercò incisivamente
quella di Ryo, ed intrecciò le loro dita; lui
abbassò lo sguardo, sorpreso, e
notò gli occhi gonfi, le labbra che tremavano.
“Lui non c’è
più, vero?” Gli domandò,
con la voce tremante. Le sigarette semi-consumate caddero loro dalle
dita, e
senza che Ryo le rispondesse Kaori comprese che quel dubbio che
l’aveva
attanagliata per tutti quei giorni era ormai divenuto una certezza:
Hide era
morto, e lei non aveva più nessuno.
“Kaori…” le strinse
la mano, mentre
l’altra andò al viso di lei; le alzò il
mento, cosicché lo potesse guardare
negli occhi. “Non è tenersi tutto dentro che ti
rende forte. Piangi, se vuoi…”
Anni prima le aveva detto di essere
forte. Che non aveva il tempo di piangere. Per tanto, troppo tempo si
era
tenuta tutto dentro. Stavolta, si lasciò andare, dandogli
nuovamente retta. Si
lasciò scivolare a terra, pianse, urlò,
gridò, versò tutte le lacrime che aveva
in corpo, lo colpì al petto quasi pensasse che anche lui
fosse un po’
responsabile della perdita del fratello.
E poi, si calmò. Il suo respiro si fece
quieto, le lacrime si asciugarono sul bel viso e Kaori cadde in uno
stato di
dormiveglia. Ryo la prese in braccio e la portò nel letto,
ma quando la posò
tra le lenzuola, olei gli artigliò il collo, trattenendolo a
sé.
“Non lasciarmi, ti prego.” Lo
supplicò,
troppo timida per guardarlo negli occhi, temendo forse che il suo
intento
potesse venire travisato, e che lui potesse leggere qualcosa di
sessuale in
quella richiesta. “Vorresti stringermi, per favore? Non
voglio essere sola…”
Ryo la coprì, e
poi si coricò sulle lenzuola, a fianco a lei, accoccolandosi
contro la schiena
della fanciulla. Ryo non poté che pensare che già
allora sembravano essere
fatti per stare insieme, che i loro corpi combaciassero, e lasciandole
un casto
bacio sulla chioma, così leggiero che lei pensò
di esserselo immaginato,
entrambi gli sweeper si addormentarono, e mentre Morfeo lo catturava,
Ryo si
ricordò con un sorriso che quella era la prima volta, da
anni, che si
addormentava nel letto di una donna..
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Capitolo 5 *** La Gattina ***
Kaori si svegliò quando il sole iniziò a baciarle la pelle chiara. Aveva caldo, e avvertiva un peso contro il proprio corpo, ed un braccio, protettivo, la tratteneva per la vita.
All’improvviso, gli avvenimenti della notte precedente le tornarono alla mente con una forza prorompente, e col volto arrossato, la ragazza sollevò il viso, timida, e incontrò il viso maturo.
Ryo.
Lo sweeper stava dormendo, in pace, e Kaori fu tentata di sollevarsi leggermente e sfiorarlo; i capelli ribelli lasciavano trasparire sul cuoio capelluto una profonda cicatrice: come se l’era fatta? Aveva sofferto? Lei gli era stata accanto? Lo aveva medicato?
Gli occhi scivolarono lungo i lineamenti del viso virile: leggere occhiaie – da quello che aveva capito dalle chiacchierate con gli altri membri del loro “gruppo di amici” (faceva fatica ad accettare di avere degli amici, ma ancora poi così tanti, e così particolari!) aveva capito che era uno abituato a fare le ore piccole, sia per lavoro che per divertimento.
Sottili Rughe d’espressione, che non facevano altro che far aumentare il suo fascino di “uomo maturo”, per quanto fosse ancora abbastanza giovane.
Pelle naturalmente olivastra, chissà, forse non era un Giapponese puro sangue, ma soprattutto, la bocca.
Kaori si morse le labbra e sospirò, fissando quella bocca succulenta, carnosa. Quelle mezzelune la tentavano, e lei era come stregata, calamitata verso quel frutto proibito.
Non aveva mai baciato un ragazzo.
Non sapeva come si facesse- anche se immaginava che l’istinto avrebbe sopperito a quella mancanza – ma soprattutto non sapeva cosa avrebbe provato.
O, se non avesse resistito alla tentazione, cosa Ryo avrebbe detto se si fosse svegliato. Come avrebbe fatto a guardarlo ancora negli occhi se non lo avesse fatto.
Sospirò di nuovo, coprendosi meglio, e fissando il soffitto. Non per la prima volta si chiese cosa ci facesse lei con Ryo: perché vivere insieme? Certo, lui diceva che erano soci, ma da quello che aveva capito lo era stato anche con Hide, e non avevano certo vissuto insieme. La cosa la turbava…no, turbata non era la parola giusta. Era… curiosa? Nemmeno. Semplicemente, non la comprendeva. Come si giustificava quando portava a casa uno spasimante? E Ryo, cosa diceva alle donne che frequentava? Accettavano così facilmente la presenza di una ragazza con cui lui non aveva legami di sangue?
Aveva il vago sospetto che lui le stesse nascondendo qualcosa, un qualche dato fondamentale, ma temeva il modo in cui avrebbe potuto incanalare il discorso, e come lui avrebbe potuto svicolare.
Nel sonno, Ryo borbottò qualcosa, e la strinse ancora più forte. Kaori, invece, rifuggiva il riposo, incapace di capire cosa volesse e se lo potesse avere o meno.
E soprattutto, se volesse tentare di averlo….
Nella settimana successiva presero una routine a cui, tuttavia, erano già parzialmente abituati, nonostante Kaori non lo ricordasse; dopo la storia della tinta ai capelli (nonostante non fosse esattamente quello il motivo per cui si era arrabbiato con lei), la ragazza aveva dato segno di essere abbastanza matura da sapersi gestire da sola. Ryo aveva perciò accettato un paio di casi, nonostante il senso di preoccupazione che lo attanagliava comunque, continuando ad andare col pensiero a quella ragazzina che a casa cucinava e puliva esattamente come la vecchia Kaori: aveva lavorato anche con un uomo, aveva lasciato che i clienti dormissero da Mick, e non aveva fatto il donnaiolo con nessuna. Non ci riusciva, era troppo perso nel suo mondo interiore.
Parte di lui era sollevata: ormai mancavano solo pochi giorni a quando, se Rui non si fosse sbagliata, sarebbe tornato tutto come prima, e già lui avvertiva un senso, una parvenza della loro vecchia vita insieme.
Eppure, c’era qualcosa che lo opprimeva, una sensazione al cuore, come una stretta che avvertiva ogni volta che lei lo guardava di sfuggita, sperando… in che cosa? Non lo sapeva nemmeno lui. E Ryo non era nemmeno certo di volerlo sapere se doveva essere sincero.
Aveva continuato a guardarla dormire di notte, un paio di volte si era anche coricato sopra le coperte abbracciandola, mentre lei, nel sonno, piangeva, o era preda degli incubi, E Ryo viveva quei momenti con sentimenti contrastanti: se da un lato Kaori- la sua Kaori, la donna adulta- gli mancava, dall’altro si chiedeva se lei gli avrebbe mai permesso tanta familiarità; negli anni era sempre stata lei a consolare lui, a raggiungerlo quando il suo cuore era tormentato da qualcosa. A parole lui non era mai stato troppo bravo, nessuno gli aveva nemmeno mai insegnato come si dimostrasse di tenere a qualcuno, e col carattere che aveva non era mai stato chissà che a consolare.
Quello era sempre stato il ruolo di Kaori.
E adesso si stavano invertendo le parti.
E per di più, lui non sapeva davvero come comportarsi con lei. Gli era diventato dolorosamente chiaro che, al pari della Sugar di tanti anni prima, anche questa si fosse presa una sbandata – anzi, forse stavolta era anche peggio. Tanti anni prima Kaori aveva solo visto attimi, spruzzi del brav’uomo che Ryo si era sempre rifiutato di essere, ma diversamente, si era comportando facendo battutacce, il cascamorto con tutte, sfottendola… adesso, forse per l’amore che aveva coltivato per lei negli anni, o forse perché sentiva quanto lei avesse bisogno, nonostante lo negasse apertamente, Ryo era stato un cavaliere dalla lucente armatura, uomo disponibile, a tratti forse anche romantico.
Kaori si stava nuovamente innamorando di lui. E lui non sapeva come gestire la cosa- non lo aveva mai capito con la versione adulta, lo sapeva ancora meno con quella adolescenziale.
Grattandosi il capo, Ryo, a tarda notte, finalmente aprì la porta di casa. Difendere, su incarico di Saeko, quell’inventore da strapazzo lo aveva aiutato a distarsi per un po’, ma adesso che tornava a casa la battaglia interiore iniziava nuovamente da capo. E cosa peggiore di tutte: la luce che filtrava da sotto la porta ed il mormorio del televisore indicavano che lei fosse ancora sveglia.
Pregò con tutto sé stesso che non volesse parlare, che non volesse intavolare una discussione.
Pregò che fosse magicamente tornata sé stessa, nonostante sapesse che fosse troppo presto, perché Kaori gli mancava, gli mancava tutto di lei, anche e perfino le martellate che si beccava in testa, quel sintomo di quella gelosia un po’ malata, che mai avrebbe ammesso di provare.
Alzò gli occhi al cielo, borbottando tra sé e sé, lamentando la sua vita ingrata, e percorse la distanza che lo divideva dal divano dove lei era seduta, avvolta in un plaid morbido, a guardare un film; sullo schermo, due protagonisti, giovani, pistole in pugno, sul tavolino, candele, bibite e popcorn.
“Che guardi?” le chiese, spaparanzandosi accanto a lei sul divano, ma a debita distanza onde evitare tentazioni – quel profumo di vaniglia lo stava soffocando, gli ottenebrava la ragione, era come se esistesse lei e lei sola - e afferrando una manciata di pop-corn. Senza farsi problemi, Ryo parlò con la bocca piena. La vecchia Kaori ci era abituata, quella giovane, doveva capire che lui non era quell’emblema di perfezione romantica che si stava immaginando.
“La spia che mi amava,” ammise lei, mettendosi in bocca una manciata di pop-corn. Ryo alzò un sopracciglio, guardandola bene: aveva una casacca bianca addosso. Lieto che fosse un thriller, o comunque un film di azione, e poi James Bond era accettabile, Ryo, braccia incrociate, si mise a seguire il film con lei.
A circa metà del film, però, iniziò ad intuire che qualcosa non stava andando esattamente come pensava: le loro mani si erano più volte casualmente sfiorate nella ciotola dei pop-corn, e lei era la prima volta arrossita, timida vergine inesperta, ma le volte successive, sempre arrossita, gli aveva però lanciato un timido sorriso; Kaori continuava ad avvicinarsi a lui, lentamente ma inesorabilmente, ora il fragile e delicato corpo era praticamente attaccato al suo; la coperta era lentamente scivolata, lasciando intravedere ciò che fino ad un attimo prima aveva celato, ovvero non la casacca di un pigiama ma una camicia da uomo, una sua camicia, che la ragazza chiaramente indossava senza reggiseno, un dato di fatto certificato da quei bottoni lasciati aperti che gli permettevano di intravedere la valle tra i due seni.
E poi era successo il patatrac.
Sullo schermo, Roger Moore amoreggiava con la sua bella, un focoso bacio in cui si lasciava intendere che lui stesse rimuovendo gli abiti della donna, una scena che suggeriva l’amplesso che sarebbe seguito. Ryo, ormai digiuno di sesso da tanto, troppo tempo, che nemmeno aveva potuto indulgere nel piacere solitario da quando lei era tornata adolescente, terrorizzato a dismisura di essere scoperto, avvertì il suo membro guizzare nei boxer, solleticato dalla visione di quella maglietta aderente che veniva alzata mentre gli amanti a malapena riuscivano a staccarsi l’uno dall’altra. Avvertì su di sé lo sguardo di Kaori, e si fece piccolo, piccolo, chiuse gli occhi, aspettando che lei lo punisse per il suo comportamento lascivo, ma non accadde nulla.
Riaprì le iridi scure, stupefatto da cosa vide davanti a sé, ed il suo cuore perse un battito, o forse tutti quanti.
Lei lo stava fissando, il labbro tremulo, le gote arrossate, il respiro che flebile le lasciva la bocca. Sembrava febbricitante, e forse lo era. La coperta era scivolata del tutto a terra, e ora lei gli stava davanti con indosso solo una camicia che le arrivava fino a metà coscia, e forse nient’altro.
Stava lì, fissandogli la bocca.
Stava lì, una mano alla gola, quasi temesse che il respiro le sarebbe venuto a mancare.
Stava lì, con il cuore che le batteva a mille, il fiatone quasi avesse corso una maratona, il seno, acerbo ma già degno di nota, che si abbassava e si alzava con un ritmo convulso.
Ryo non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. Lui era l’adulto, lui era l’uomo maturo: sarebbe toccato a lui mettere a posto quella situazione, ma non era certo di riuscirci.
Kaori si morse il labbro, mentre, con lo sguardo, lo accarezzava, studiando ogni suo muscolo, il tessuto teso dei capi, la pelle che immaginava calda sotto ai suoi polpastrelli.
Gli occhi color nocciola arrivarono al basso ventre, dove la sua erezione stava minacciando di sfuggire al controllo dello sweeper, e lei ebbe un sussulto. Ryo voltò lo sguardo altrove, arrossendo un po’, sperando che quella visione, il comprendere che tipo d’uomo fosse, uno guidato dai più bassi e infimi istinti carnali, l’avrebbe fermata, ma invece che una secchiata d’acqua fredda, quella visione fu come una scarica elettrica per la libido della giovane fanciulla.
Kaori si mise a carponi sul divano, protendendosi verso di lui, e Ryo tentò la fuga, ma lei era già sopra di lui, che gli allacciava le braccia al collo, e gli stava a cavalcioni; l’intimità della fanciulla, a malapena celata da un leggiero slip di pizzo blu notte, sfregava contro il cavallo dei jeans di lui.
Mentre Ryo apriva e chiudeva i pugni ai fianchi, cercando di controllare il proprio bioritmo, lei si abbassò su di lui, e l’uomo avvertì il fiato caldo all’orecchio, mentre lei faceva scorrere le dita affusolate nella sua criniera scura. Abbassò una mano, che andò sulla maglietta attillata rossa, posandosi sul cuore dello sweeper.
“Lo so cosa dicono, Ryo… che ci vogliamo ma che siamo tutti e due troppo timidi o spaventati per fare la prima mossa, ma…” prese una pausa, e gli morse il lobo. A Ryo mancò il fiato, mentre tutto il suo sangue si riversava nel suo membro d’acciaio. “Io voglio te, e tu vuoi me… lasciamoci andare, solo per stanotte…”
La camicia si abbassò, e Ryo ebbe la conferma al 100% che no, Kaori non indossava il reggiseno. Prese un profondo respiro, singhiozzando, possedendo ora la certezza matematica assoluta che sarebbe andato all’inferno, e che, ben fosse stato in Paradiso, Maki lo avrebbe raggiunto per torturarlo per bene.
Non avrebbe dovuto. Non era in sé. Era solo una ragazzina.
Ma ogni volta che se lo ripeteva, la mente gli ribadiva che quella era Kaori. Lo era sempre stata.
La voleva. Ma una volta ottenuto ciò che da anni anelava, avrebbe ancora potuto guardarla negli occhi?
No.
Kaori lo amava. Lo aveva amato da ragazzina, di un amore adolescenziale. E quell’amore con gli anni era cresciuto e maturato: quando le loro labbra si erano cercate attraverso quel freddo vetro, Kaori era ormai divenuta la sua donna da tempo- nel nome se non nel corpo. Lo aveva atteso. Si era dedicata a lui. Si era…. Promessa a lui. Conservata per lui. Ryo non l’avrebbe derubata della sua – loro- prima notte in quel modo, con una scopata sul divano mentre lei era prigioniera di un corpo adolescenziale e prona ad agire in base ai picchi ormonali.
Con rinnovata decisione, le pose le mani sulle spalle, e la spinse giù da sé. Kaori si sedette sul lato opposto del divano, mentre lui si alzò, e nella penombra andò a versarsi un bicchiere di whisky, poi tornò da lei. Le si sedette davanti, sul tavolino, cercando di afferrarle le dita, ma lei mise le mani in grembo, volgendo lo sguardo altrove, umiliata, ferita, vergognosa.
“Kaori…” lui iniziò, passandosi una mano tra i capelli. Cercava le parole adatte. Non voleva ferirla. Non voleva mentirle. “Kaori, ascolta. Io… io ti amo ma…”
“Ma cosa?” gli domandò, quasi stizzita, la voce stridula ed acuta, che rimbombava nell’appartamento in cui vivevano soli. “Se mi ami perché non mi vuoi dare quello che entrambi vogliamo? Ho sentito cosa dicono, Ryo! L’altro giorno al Cat’s Eye Kasumi spettegolava con Reika, credevano che non le sentissi… hanno detto che io… che io sono ancora vergine perché ti aspetto, ma che tu preferisci andare dietro a tutte le altre!”
“No, non è così!” col cuore a mille, le mise le mani sulle spalle, obbligandola a guardargli di nuovo negli occhi: Kaori doveva sapere. Doveva capire che non stava mentendo.
“Okay, forse lo era prima, ma, credimi, io so cosa voglio, ed è te… cioè, lei… insomma, io ti voglio Kaori,” Ammise lui, abbassando lo sguardo, come se fosse timido, e passandosi una mano nei capelli. “E anche tanto, da impazzire, ma non così. Non ora. Non quando non sei la mia Kaori.”
Le mise una mano sulla nuca, e lei sospirò, e finalmente cercò gli occhi di lui: grandi, caldi, pieni di emozione, sembravano scuro miele.
Lei gli si gettò addosso, nascondendo il viso nell’incavo del collo di lui, che prese ad accarezzarle i capelli, soffici e morbidi proprio come ricordava, come aveva a lungo fantasticato. La strinse forte a sé, cullandola fino a che non credette che si fosse addormentata. Fece per prenderla in braccio per portarla a letto, ma Kaori lo strinse con maggiore forza, lasciandogli nella pelle il segno delle unghie.
“Ryo… lo supplicò, con le lacrime nella sua dolce ed innocente voce. “Ryo, promettimi che non te ne dimenticherai. Che mi ami e che mi vuoi. Promettimi che non scapperai più..”
Fece cenno di sì, senza dire una parola, e la strinse forte. La cullò ancora, e ancora e ancora e ancora, fino a che lei non cadde addormentata. La portò nel suo letto, e rimase a vegliarla, consumando una sigaretta dopo l’altra, fino alle prime luci dell’alba.
Nel cielo, c’era l’ultimo quarto di luna.
Se Rui avesse avuto ragione, la notte successiva lei sarebbe tornata da lui.
E forse, sarebbe tornato tutto com’era prima – o forse, finalmente, avrebbe avuto ciò che da anni entrambi desideravano: non più Ryo, non più Kaori… ma Ryo e Kaori.
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Capitolo 6 *** Luna Nuova ***
L’ultimo giorno di Kaori come sedicenne
“ad honorem”, come aveva scherzosamente detto Mick
un giorno al Cat’s Eye, la
ragazza lo passò da sola; dopo quel tentativo di seduzione
Ryo non si era più
fatto vedere, forse ancora turbato da cosa lei aveva tentato di fare la
notte
prima, terrorizzato all’idea che Kaori potesse
voler tentare un nuovo approccio. Non
fu mai sola, perché tutti i loro amici si dettero il cambio per stare con lei, ma
Kaori non riusciva ad
essere in sé, né a controllarsi del tutto, il
pensiero sempre rivolto a Ryo, a
come era stato bello stare tra le sue braccia la notte, quanto si
sentisse
amata e protetta quando era con lui.
Passò la giornata al buio, in un
angolo, con lo sguardo perso nel vuoto e le mani in grembo, le lacrime
e un nodo in gola
che non volevano saperne di
uscire.
Alle cinque del pomeriggio, Miki la
raggiunse sul divano, porgendole un toast su un piattino ed un
bicchiere di
latte; subito la rossa lo rifiutò, ma la donna non disse
nulla, si limitò a
rimanerle accanto e a guardarla con un sorriso.
Alla fine, timida, con lo stomaco che
brontolava ed i morsi della fame, con le guance arrossate, Kaori prese
il
panino, ed iniziò a mordicchiarlo, dando piccoli morsi quasi
fosse stata un
criceto.
“Tutto bene? Sei stata molto silenziosa
oggi…” Kaori afferrò il bicchiere di
latte e lo trangugiò tutto di un fiato,
facendo sorridere la donna che aveva scoperto essere la sua migliore
amica.
Dalla cucina proveniva rumore di piatti: Falcon, il marito di lei,
stava
preparando cena. “Sei preoccupata per domani?”
Kaori, con le mani in grembo, fece
cenno di sì con la testa. Guardò Miki per dirle
qualcosa, ma poi decise che era
meglio di no, poi fece per parlare di nuovo e di nuovo fu colta da un
improvviso attacco di codardia o forse di timidezza.
“Si tratta di Ryo, allora? Sei
preoccupata per lui?” le domandò la donna con
estrema gentilezza. “Ti manca,
vero?”
Kaori fece un lungo respiro, che fu
tuttavia un’ottima risposta per l’ex mercenaria;
Miki non pressò ulteriormente
la giovane Kaori, si limitò a guardarla, attendendo che lei
si aprisse, cosa
che, eventualmente, accadde, dal momento che la giovane sentiva quasi
il
bisogno fisiologico di riempire quel silenzio che le pareva colmo di
imbarazzo.
“Lui... Lui dice che lotterà
per me…
che se non ricorderò nulla lui affronterà
comunque la questione, ma…” ammise,
la voce poco più di un sussurro. Si voltò verso
la cucina, una mano sul cuore,
quasi a volersi premurare che ciò che lei e Miki si
sarebbero dette sarebbe
rimasto soltanto fra loro due. “Sono
stata così felice con lui in questi giorni,
Miki…. Come potrei non volere la
stessa cosa per la me adulta?”
La mercenaria non disse nulla, non
rispose; ma quando Kaori scoppiò a piangere, la
abbracciò, e le accarezzo il
capo. Cinque minuti ed era nel mondo dei sogni, stremata da quel pianto
liberatorio.
Ed intanto, la giornata era passata, e giunta
la sera, mentre la luna nuova sorgeva, Miki e Falcon lasciavano
l’appartamento,
incontrando Ryo sul pianerottolo; la mercenaria lo guardava con
un’espressione
di sfida, mentre Falcon faceva fatica a nascondere un lieve sorriso.
Passò
accanto al nemico-amico, posandogli una mano sulla spalla e
sussurrandogli che
adesso era ora di essere coraggiosi e vivere quell’amore.
Ryo sospirò. Sapeva che Falcon aveva
ragione ma non era certo di essere in grado- o degno – di
vivere una relazione
a tutti gli effetti con una donna come Kaori. Gettando la giacca su una
sedia,
raggiunse il divano dove la vide raggomitolata, e quando si rese conto
di cosa
era accaduto, non poté fare a meno di sorridere, lanciandole
un’occhiata compiaciuta:
la maglietta era corta e lasciava intravedere una striscia di pelle
all’altezza
dell’ombelico, ed il tessuto tirava sul seno, mettendo in
mostra le grazie che
Madre Natura aveva donato a Kaori, non più adolescente ma
nuovamente adulta.
Lei era tornata, proprio come aveva
detto la leggenda.
Ryo si appuntò di chiedere
scusa a Rui quando fosse tornata dal
viaggio in Grecia che le sorelle speravano le avrebbe condotte alla
tomba del padre,
in modo da potergli dare finalmente degna sepoltura, accanto
all’amata madre,
ed un luogo dove piangere la famiglia che avevano perso così
presto che Ai non
aveva il benché minimo ricordo dei genitori.
Ryo si abbassò su Kaori, lasciandole un
bacio sulla fronte; la donna, addormentata, stringeva inconsciamente il
ciondolo che Ryo le aveva donato contenente la sua foto, e la cosa gli
risollevò l’animo, ma gli donò una
nuova risolutezza che prima temeva di aver
perso. Ryo era felice, fiero che lei tenesse così tanto a
quell’oggetto, così
tanto che decise che il cerchietto d’oro avrebbe riposato per
sempre nella
vallata in mezzo ai seni della donna.
La prese in braccio, per portarla di
nuovo nella sua camera da letto, e lei si strinse a lui, mugugnando
come una
gattina. La posò sulle lenzuola, e fece per darle un altro
bacio sulla pelle ma
lei lo spiazzò; Kaori dischiuse leggermente gli occhi, e
fece soccorre una mano
tra i capelli scuri dell’uomo mentre gli sorrideva.
“Sono tornata,
Ryo….” Mormorò mezza
addormentata. “Sono tornata e ricordo
tutto…”
La mano della donna le ricadde sul
fianco, e gli occhi si chiusero, mentre il respiro di Kaori si faceva
sempre
più regolare.
Ryo, col cuore che batteva pazzo,
martellante, uscì dalla stanza, appoggiandosi con la schiena
contro il muro, la
mente invasa da mille e più pensieri.
Come ogni notte, il cielo di Tokyo era
così pieno di luci artificiali da impedire la visione delle
stelle, eppure lo
sweeper cercava risposte nel firmamento. Appoggiato alla ringhiera,
Ryo, la
sigaretta in mano che lentamente si spegneva, le dita ingiallite dal
filtro,
guardava col cuore in gola la sua amata città, chiedendosi
cosa ne sarebbe
stato del futuro, e se sarebbe mai più stato in grado di
guardare Kaori in
volto dopo ciò che era accaduto. Avrebbe perdonato
quell’attimo di debolezza
quando aveva quasi ceduto al desiderio? O sarebbe stato il suo rifiuto
a
convincerla a lasciarlo per sempre? Oppure la donna avrebbe compreso la
buona fede
del socio, decidendolo di dare ad entrambi una seconda
possibilità?
Ciò che più preoccupava Ryo
era il modo
in cui, la sera prima, le si era negato. L’aveva rifiutata, e
lei lo sapeva, era
bastata quella semplice parola, ricordo,
e lui non avrebbe osato raccontarle delle fredde menzogne, conscio che
Kaori
avrebbe capito. Lo sweeper si chiese se la giovane donna comprendesse
quella
sua scelta, tanto dolorosa perché sì, una parte
di lui era stata quasi tentata
di rispondere a quel bacio, di scoprire cosa nascondesse la fanciulla
sotto a
quella camicia troppo grande per lei. Perché sì,
quello era il corpo di Kaori
sedicenne, ma il suo cuore era rimasto, negli anni, immutato: dolce e
puro,
vedeva anche nell’anima più nera un barlume di
speranza, una flebile fiammella
che lei stessa alimentava, toccando i cuori con il suo animo puro e
luminoso.
Ryo mugugnò mentre si grattava la
testa: odiava il senso di confusione ed incertezza che gli salva dentro
quando
si trattava di Kaori; non era mai stato così con nessuna,
solo lei aveva quest’effetto
su di lui.
Un leggero rumore attirò la sua
attenzione, la porta che, cigolando, si apriva. Ryo sorrise quando
sentì i
passi quieti di Kaori, ed il suo cuore si rianimò a tal
punto che fu per un
attimo tentato di versare lacrime di gioia: perdonava qualsiasi cosa
lui
potesse averle fatto, comprendeva le sue ragioni, e forse, forse,
intendeva
dargli un’altra possibilità.
Amarla era ancora possibile.
Fermo nella sua posizione, voltò
leggermente il capo, e gettò la sigaretta a terra,
spegnendola col piede,
mentre lei lo raggiungeva. Vestita leggera, forse già col
pigiama, era scalza,
e teneva una coperta sulle spalle come a ripararsi della leggera
frescura
serale, che a settembre iniziava a farsi sentire.
Stettero l’una accanto
all’altro in
silenzio, godendosi la vista, il vocio che arrivava dalla strada; era
tarda
notte, eppure Shinjuku pullulava di vita, come e più che
durante il giorno, le
sue mille insegne al neon, le musiche dei locali che attiravano la
gente come
farfalle che cercano la luce della candela nella notte più
buia.
In quella bolla di pace, la mente di
Kaori vagò alle settimane passate con Ryo, a come la lei
adolescente avesse
cercato di irretirlo, guidata da un’irrazionale ed istintiva
attrazione, e da
un calore che non partiva dal ventre, ma dal cuore, per prendere
possesso del
suo intero essere. La lei ragazzina aveva avuto il coraggio di fare
ciò che la
sua versione adulta, sminuita da anni di non troppo velati insulti, non
aveva
mai osato fare, aveva desiderato corteggiarlo, sedurlo…
E quel desiderio, Kaori, ora di nuovo
padrona del proprio corpo, lo sentiva ancora prepotente: che fosse
questo ciò
che era stata destinata a capire, con quello strambo viaggio a ritroso
nel
tempo? Che Ryo sarebbe stato sempre una parte importante della sua
vita, che il
suo amore per lui, sbocciato quando era ragazzina, e rimasto
addormentato per
tanti anni per fiorire una volta che era divenuta adulta, era così radicato
che niente e nessuno avrebbe
mai potuto sradicarlo, nemmeno lo stesso sweeper, o le
avversità della vita?
Con le guance arrossate dall’emozione
ed il cuore che le martellava nel petto, Kaori finalmente
osò alzare lo sguardo
verso di lui, che la osservava un po’ confuso; la donna fece
un paio di passi
indietro, tornando dalla porta, e si voltò verso il suo
socio.
“Potresti venire sotto, per favore?
Dobbiamo parlare…” gli disse con calma e
tranquillità, ed un sorriso sul volto
che lo rinfrancò e lo colmò di speranza che gli
fece capire che, qualunque
fosse stata la scelta di Kaori, per lui sarebbe andata bene, che loro
sarebbero
stati bene, qualunque cosa fosse potuta accadere: sapeva che,
nonostante lei lo
amasse, non poteva pretendere che le cose tra loro cambiassero subito,
non si
aspettava certo che Kaori, dopo quell’incidente, lo
accettaste immediatamente
come compagno di vita. Con tutte le sofferenze che nel tempo le aveva
inflitto,
gli insulti, le cattiverie piccole e grandi, avrebbe dovuto lavorare
sodo per
guadagnarsi la fiducia di Kaori e farla capire che con lei stavolta
faceva sul
serio e che non voleva più essere un codardo.
Ci avrebbe messo parecchio, Ryo ne era
pienamente consapevole, ma non gli importava: non avrebbe
più ceduto nel suo
proposito, ora che sapeva esattamente cosa voleva e quanto valesse,
l’avrebbe
conquistata e nel frattempo si sarebbe accontentato di essere il suo
socio ed
esserle amico. Ma col tempo, Kaori sarebbe divenuta la sua famiglia,
non
sorella o madre surrogata, ma bensì sposa, solo di nome, ma
quello sarebbe
stato il loro punto di partenza.
Entrò nel loro appartamento,
chiudendosi la porta alle spalle, e lo sweeper avvertì il
cuore in gola quando
vide lo spettacolo che lo stava attendendo: la casa era avvolta dalla
luce
soffusa delle candele profumate, sul tavolino da caffè
spiccava una profumata
ciotola di pop-corn, il fotogramma statico di un film – la
spia che mi amava -
svettava sullo schermo, indicazione che il registratore era acceso, e
Kaori,
che aveva fatto scivolare a terra la coperta, indossava una sua camicia
– la
stessa che l’irruenta Sugar aveva scelto per il suo tentativo
di seduzione.
Un leggero sorriso apparve sul suo volto:
Kaori stava sfruttando un po’ della sfrontatezza che era
stata della lei
ragazzina per portare a termine il suo lavoro di seduzione.
Ma stavolta c’era qualcosa in
più a
rendere quell’atmosfera magica e solo loro, un qualcosa che fece capire a Ryo che
stavolta Kaori
sarebbe andata fino in fondo. La giovane donna teneva in mano un
balloon
riempito di liquore, che faceva ondeggiare facendo danzare il liquido
rossastro, il cui profumo lo colpì con forza, come un pugno
allo stomaco,
sovrastando ogni altro aroma nella stanza.
Non era liquore, era un cocktail…
pericoloso,
ma che faceva faville coi palati giusti.
L’atmosfera era la stessa della sera
precedente, ma stavolta, Ryo era con la donna giusta, una donna che,
con quel
piccolo tocco in più, si dimostrava determinata e dolce, e
lo attendeva sul divano
con quel sorriso, a braccia aperte ed il cuore colmo
d’amore… no, decise
fermamente mentre chiudeva la distanza tra di loro, raggiungendola con
un’agonizzante calma, averla nella sua vita come socia ed
amica non gli sarebbe
più bastato: la certezza che lei lo volesse ancora, con la
stessa intensità di
sempre, di prima, lo spronò a combattere perché
potessero, finalmente, vivere
quell’amore il più presto possibile.
Kaori lo amava – e l’unico
modo per
essere degno di quel sentimento era ricambiarlo, donarsi a lei come lei
si
donava a lui, tanto nei piccoli quanto nei grandi gesti. Era giunto il
momento
si mettere di fare l’idiota.
Fissandolo negli occhi, Kaori assaporò
il drink, e mentre lei si leccava le labbra per non lasciare sfuggire
nemmeno
una goccia, Ryo le tolse il bicchiere di mano, e sfiorando con le
labbra lo
stesso punto da cui lei aveva bevuto, quasi si stessero finalmente
baciando sul
serio, incatenato al suo sguardo, lentamente bevve il loro drink,
L’XYZ, il rum
e la vodka al lampone che gli bruciavano la gola, facendolo sentire
vivo,
intraprendente…*
Accettava il caso, quella sfida: vivere
per la donna che amava.
Ryo si sedette sul divano, il braccio
disteso lungo lo schienale, le dita che le solleticavano i capelli
corti, ed i
loro occhi si incontrarono, caldi, frementi di desiderio ma soprattutto
di
amore; Ryo rimase incantato dal modo in cui lei, ancora intimidita,
forse
irrazionalmente spaventata da una sua possibile reazione, si mordeva le
labbra
e tirava l’orlo della camicia per coprire quanta
più pelle possibile.
“Stai
forse cercando di sedurmi, Kaori?”
Spavaldo, le pose la fatidica domanda, mentre portò la mano
che non stava
giocherellando con i capelli della giovane al mento di Kaori,
sollevandolo
prima di avventarsi su di lei. Non la baciò, tuttavia: si
limitò a sussurrare,
caldo e roco, al suo orecchio quanto non ce ne fosse alcun bisogno,
prima di
stuzzicarle il lobo con i denti e la lingua, facendola impazzire. Kaori
gli
saltò letteralmente addosso,
artigliò i
suoi capelli, avventandosi sulla bocca dell’uomo come una
creatura famelica,
prendendosi cosa aveva sempre ritenuto suo di diritto ma di cui troppe
altre
donne negli anni avevano goduto: adesso era il suo momento.
Le mani di lui frugavano sotto al
tessuto della camicia, tirarono i lembi di stoffa fino a far strappare
i
bottoni, lacerando il tessuto e lasciando Kaori esposta al suo sguardo
dolce ma
famelico; e mentre lei, guidata dall’istinto
dell’amore, accarezzava la pelle
calda del petto di lui, martoriato dalle cicatrici di tante battaglie,
lui
lasciviava una scia di umidi e caldi baci ovunque le sue labbra
potessero
toccare, sussurrando roco quelle parole che lei, da quel giorno in cui
lo aveva
visto ragazzina, aveva sempre desiderato ascoltare – parole
che lei ripeté a
lui, mentre sfiorava con le labbra il suo cuore, avvertendo il suo
battito
impazzito per lei sola.
Mia,
per sempre mia.
Mio,
per sempre mio.
*
ndr: L’XYZ reale è 273 di rum, 173 di triple sec,
un liquore trasparente
all’arancia, e una spruzzata di succo di lime. Dato che
L’XYZ mostratoci
nell’anime è rosato ho sostituito il triple sec
con vodka al lampone ;)
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