Sweet Sixteen

di Little Firestar84
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'occhio di Ebe ***
Capitolo 2: *** Sugar Boy ***
Capitolo 3: *** Sweet Home ***
Capitolo 4: *** Shopaholic ***
Capitolo 5: *** La Gattina ***
Capitolo 6: *** Luna Nuova ***



Capitolo 1
*** L'occhio di Ebe ***


“No, no, e poi no! Non sono d’accordo!” Toshio, seduto a cavalcioni di una sedia del tavolo della cucina della casa sulla spiaggia di Los Angeles che le tre sorelle bellissime condividevano con lui, osservava le tre donne – Ai, Rui ed Hitomi – che  tranquille osservavano la mappa del museo di Arte Occidentale di Tokyo, accanto ad appunti sul sistema di sicurezza – vecchi di alcuni anni, in realtà, presi ad un loro precedente colpo, quando ancora lo prendevano per fesso e gli tiravano un tiro mancino dopo l’altro  - e la foto di un gioiello antico, una catena con le sagome di una falce di luna e di un sole riccamente decorate e smaltate, che secondo la tradizione era stato offerto alla Dea Ebe, guardiana della giovinezza, uno dei pochi manufatti a lei dedicati giunti nell’era moderna.

“Toshio, dobbiamo,” Hitomi disse pensierosa, stringendo un gioiello quasi del tutto identico a quello della foto in mano. “Nostro padre conosceva la storia di questo gioiello come le sue tasche, e suo fratello  era ossessionato da questo ciondolo, lo ha replicato in modo quasi fedele, e quando è morto ha tentato il tutto per tutto perché noi non ce ne impossessassimo, e nessuno mi leva dalla testa che significhi qualcosa!. Forse se capissimo le differenze potremmo finalmente capire cosa sia accaduto esattamente a nostro padre…”

“Vogliamo solo capire cosa gli sia accaduto esattamente, e sapere dove poterlo piangere, Toshio,” Rui continuo, mentre con la sua perfetta calligrafia, scriveva a penna sul biglietto da visita della banda il messaggio per la polizia;  l’ex poliziotto incrociò le braccia, scontento di non essere preso minimamente in considerazione. Anche se, tuttavia, Ai stringeva i pugni, mordendosi le labbra nervosa. “L’Occhio di Ebe è sparito per oltre dieci anni, e adesso è riapparso dal nulla. Farà gola a moli, e se Occhi fi gatto non agisce ora, potremmo perdere la nostra occasione.”

“E se Toshio avesse ragione? Se torniamo a Tokyo e torna pure Occhi di gatto la polizia non ci metterà troppo a fare due più due… non sono tutti accomodanti come lui in polizia!” Ai si inserì nella conversazione; la più giovane delle gatte, era sempre stata quella con una parte minore nei piani, il genio tecnico mente Rui era il cervello e Hitomi il “muscolo”, lei era quella che, anche quando si decideva di compiere un colpo, raramente veniva interpellata. Questa volta, tuttavia, la giovanissima non poteva esimersi dall’intervenire, mostrandosi reticente ed impaurita dalla possibilità di passare la vita dietro le sbarre.

L’uomo le fece un mezzo sorrisetto; preferiva di gran lunga che gli dicessero che aveva un gran cuore e la sbandata semplice, piuttosto che additarlo come un cretino idiota che non aveva mai capito nulla- per una volta, la sorellina era gentile con lui, lei che più di tutte lo aveva sempre sfottuto pesantemente in passato. Miracolo dei miracoli: doveva davvero essere preoccupata per dargli ragione in un momento del genere.

“Sarà quel che sarà, siamo sempre scappate e lo faremo ancora, se necessario…” Hitomi fissò la fotografia, con fredda determinazione e occhi così stretti da essere due sole fessure. “Questa sarà l’ultima volta che Occhi di gatto colpisce, e stavolta scopriremo tutta la verità su nostro padre… e sua fratello non si potrà più mettere in mezzo! Rui e dio andiamo a prenderci l’occhio… voi potete rimanere qui se avete paura!”

Sospirando, Toshio si passò una mano nei capelli ribelli guardando Ai. La decisione ormai era presa: Hitomi non gli avrebbe dato retta, poco importava se ora indossava il suo anello e ricordava ogni cosa del suo passato, ed era pronta ad affrontare la vita insieme, a divenire sua moglie. .. la ragazzina scosse il capo, sapendo che nemmeno lei sarebbe stata presa in considerazione. C’era solo una cosa da fare. Agire tutti insieme, nella speranza che le cose andassero per il verso giusto, e che quello fosse davvero il loro ultimo colpo: l’ex poliziotto pregò che la carriera delle ladre terminasse per il loro volere, e non perché un giudice le avesse condannate alla prigione.

occhi-di-gatto

 

“Quindi, questo sarebbe il celeberrimo Occhio di…. Tebe?” Ryo squadrò il gioiello da dietro il vetro blindato, una mano a massaggiarsi la mascella.  Ai suoi occhi sembrava una di quelle cose che venivano vendute nelle bancarelle e nei negozi etnici a poco prezzo, e non riusciva a comprendere l’appeal che quel coso avesse per Occhi di Gatto.

Ebe, Ryo, l’occhio di Ebe…. Tebe era una città, Ebe invece era una dea, quella dell’eterna giovinezza.” Saeko sospirò, pizzicandosi il naso ed evitando di ripetere per l’ennesima volta la tiritera che aveva già spiegato al suo “consulente”  - quello il titolo, a metà tra l’ufficiale e l’ufficioso, dato a Ryo per quel caso -almeno una decina di volte.

“Ah, allora me lo ricorderò di sicuro, se è la dea dell’eterna giovinezza dev’essere per forza la santa patrona di un giovane stallone dall’eterna età di vent’anni!” Sghignazzò, avvicinandosi alla bella ispettrice del suo cuore, e la mano destra si avvicinò pericolosamente al fondoschiena di Saeko, che alzando un sopracciglio, e scostando leggermente la gonna per mostrare i coltelli che teneva nascosti nella giarrettiera, rammentò silenziosamente all’eterno ventenne che sì, poteva guardare, ma no, toccare non gli era permesso. Simile promemoria giunse dall’aura elettrica, e carica di rancore e rabbia, di Kaori, che alle spalle del socio, avesse potuto, avrebbe già brandito uno dei suoi pesanti martelli: purtroppo, però, le misure di sicurezza erano tali che le vibrazioni causate da un suo “attacco” avrebbero fatto scattare, inutilmente, tutti i sistemi di sicurezza; inoltre, perché perdere tempo e fatica con Ryo? Tanto lui non cambiava mai… le diceva che ci teneva, che la amava… e poi fuggiva a gambe levate tutte le volte che lei provava ad iniziare il discorso su ciò che era accaduto nella radura pochi mesi prima. “Che palle. Mai che mi ripaghi tu, eh!”

“Su, su, dai…” gli fece civettuola, facendogli l’occhiolino e dandogli un pizzicotto al mento, su cui la barba aveva iniziato già a ricrescere dopo la rasatura del mattino. “Se riuscirai ad evitare il furto dell’Occhio di Ebe, ne riparliamo… mio padre è stato chiaro: non mi sarà concessa che una sola possibilità, non certo come a Utsumi che ha rincorso la gatta per una vita… quindi, se tu aiuti me…”

Gli lanciò un’occhiata allusiva, che fece stringere denti e pugni a Kaori che, alle loro spalle, gli stava lanciando, borbottandole, tutte le maledizioni possibili ed immaginabili, condite da una serie di epiteti tutt’altro che gentili lanciati agli indirizzi tanto del maiale pervertito quanto della gatta morta.

Mentre i due, dopo essersi allontanati verso il perimetro della sala, continuavano il loro giochetto di corteggiamento che, Kaori sapeva, non sarebbe mai andato da nessuna parte, perché Saeko i suoi debiti non li avrebbe saldati mai, per nessun motivo al mondo, né in natura né in denaro,  la rossa fece un paio di passi verso la teca dove il monile in argento era custodito, al centro della sala, sorvegliato da quattro agenti, e lo guardò estasiata: semplice, dall’aura mediorientale,  emanava una curiosa energia, si sentiva come attirata da esso in una maniera a dir poco magnetica. Alzò una mano per sfiorare il vetro, guidata come da una forza superiore, col cuore che le batteva a mille ed il respiro mozzato, la sua visione concentrata solamente su quell’oggetto.  Le dita stavano già sfiorando il vetro quando si udì uno scoppio, e le luci saltarono, lasciando tutti al buio e scatenando un vero putiferio.

“Dannazione, sono loro!” Ryo sibilò a denti stretti, sperando che Saeko non lo avesse udito: la maggioranza delle persone erano certe che Occhi di Gatto fosse una persona, ma dopo l’increscioso incidente avvenuto a Shinjuku l’anno prima, quando la loro casa era quasi divenuta un teatro di guerra a causa di quell’egocentrico bastardo di Shinji Mikuni, e le tre sorelle Kisugi erano tornate per aiutarli a sistemare la faccenda con quell’armaiolo da quattro soldi, a cui Ryo aveva dimostrato come la sua Python fosse meglio di qualsiasi drone, il duo City Hunter aveva scoperto chi realmente si nascondesse dietro quell’identità fittizia e cosa avesse spinto le tre sorelle a rubare per così tanti anni.

Kaori, ripresasi da quel curioso stato di trance in cui era caduta, avvertì uno spostamento d’aria e l’aura controllata e tranquilla di qualcuno che appariva estremamente controllato. Quando udì il rumore di vetro che si infrangeva, segno che la teca era stata sollevata e gettata a terra. La rossa si gettò sulla figura appena percepì che questa aveva afferrato la collana, e ne nacque una colluttazione, perché la ladra stringeva il gioiello e sembrava volerlo difendere con le unghie e con i denti ciò che si era guadagnata, eppure… eppure, Kaori sentiva di dover difendere quell’artefatto.  Di dover fare qualcosa.

Si scaraventò sulla ladra, gettandola a terra, e strinse il ciondolo a forma di luna nel palmo; mentre vi chiuse le dita intorno, sentì il palmo bruciarle, e come se emanasse una curiosa energia, il ciondolo si mise a brillare…. Sembrava di guardare direttamente il sole, tanto era accecante quella luce, flash che non permisero a nessuno di capire cosa stesse accadendo nonostante la stanza stessa straripando di una luce incandescente che pareva bruciasse tutti coloro che toccava da dentro, a partire dai recessi dei loro animi… l’energia sprigionata fu tale che Kaori si sentì sbalzare contro il muro, e cadde a terra, in ginocchio, come imbambolata.

E poi…. E poi il buio, e di nuovo la luce, ma stavolta quella fredda ed artificiale delle lampade di emergenza che erano finalmente scattate, rivelando la triste realtà di cosa fosse accaduto a tutti i presenti.

“Dannazione, ci ha fregati!” Saeko sibilò a denti stretti, così furente che i capelli le si drizzarono in testa, sbattendo le scarpe dal tacco vertiginoso sul pavimento di marmo come se fosse stata una bimbetta petulante. Si voltò verso Ryo, per inveire contro di lui e la sua incapacità – come se lei avesse fatto qualcosa di meglio- quando tuttavia si immobilizzò lei stessa, quasi fosse in stato di shock: lo sweeper teneva tra le braccia Kaori che, nonostante gli occhi semi-aperti, pareva essere incosciente e non rispondeva alla voce del partner… “Ma cosa diavolo sta succedendo?”

“Bella domanda….” Lo sweeper sussurrò mentre prendeva tra le braccia la donna che pareva in uno stato di incoscienza, il corpo molle ed arrendevole come quello di una bambola di pezza. Il capo di Kaori ricadde all’indietro, mentre un braccio ciondolava inerme. Ryo fissava la figura immobile, le labbra socchiuse con la morte nel cuore che aveva quasi smesso di battere per la tensione. Strinse i denti mentre sentiva montare la rabbia, l’odio e di rancore verso le tre ladre: per gratitudine e rispetto, assecondando un silente codice morale, aveva mantenuto il segreto delle donne, e seppure avesse accettato quell’incarico dalla bella poliziotta lo aveva fatto più perché tanto lo faceva sempre che per acciuffare realmente le ladre- anzi, la sua idea fin dal principio era stata quella di permettere  alle fanciulle di mettere le mani su quel pezzo di latta, di cui, francamente, non capiva né valore né bellezza. “Saeko, porto Kaori dal professore. Forse lui ci capirà qualcosa!”

Con passo svelto ma tuttavia delicato, Ryo uscì tenendo la donna tra le braccia, affondando il naso nei capelli soffici che profumavano di primavera; quel semplice gesto gli dava una certa sensazione di tranquillità, di pace, era quasi confortevole, quasi una parte recondita del suo cervello, o forse del suo cuore, gli stesse confidando che sarebbe andato tutto bene, nonostante quegli occhi apparentemente spenti che sembravano fissare il nulla.

Raggiunta la macchina, aprì con molta poca delicatezza la portiera, dandole un calcio, restio a separarsi dalla socia per anche solo un attimo, poi la sistemò sul sedile passeggiero mettendole la cintura di sicurezza: ancora nulla, Kaori non reagiva.

Le diede un leggiero bacio sulla fronte, chiudendo gli occhi, tremando quando la pelle pallida, sotto alle sue labbra, risultò gelida, e le accarezzò la guancia.

“Ehi…” le disse dolcemente, incerto s elei potesse sentirlo o meno, ma sperando tuttavia che le sue parole le arrivassero al cuore e le donassero l’energia necessario a combattere contro qualsiasi cosa le stesse accadendo. “Non farmi scherzi, eh? Che noi dobbiamo ancora riprendere quel discorso della radura….”

Inalò ancora una volta il suo profumo delicato, poi si mise al volante della scattante vettura in direzione dell’uomo che, come un padre, si era preso cura di lui quando la vita stava per abbandonare il suo corpo mortale a causa della Polvere degli Angeli.

Nella caotica notte di Tokyo, mentre le tenebre li avvolgevano e le luci scintillanti delle insegne al neon e dei lampioni sfrecciavano al fianco della Mini, Ryo, rivolgendo al corpo inerte occhiate furtive, pregò con tutto sé stesso a tutte le entità in cui mai aveva creduto che non fosse quello il giorno in cui rompeva la promessa fatta al migliore amico di prendersi cura della dolce e bella Kaori, e che come il Professore aveva salvato lui, potesse fare altrettanto per lei… perché se fosse accaduto qualcosa a Kaori, non solo non se lo sarebbe mai perdonato, ma soprattutto, con lei sarebbe morta anche una parte di lui: la migliore, quella che lei aveva fatto germogliare e aveva amorevolmente curato, fatto crescere e germogliare.

A denti stretti, dando un pungo al volante, Ryo si fece una promessa: se Kaori fosse sopravvissuta, avrebbe ripreso il discorso della radura, avrebbe apertamente ammesso i suoi sentimenti e non le avrebbe mentito, mai più.

 

            Erano passati tre quarti d’ora da quando Kaori aveva varcato la soglia della clinica del professore; l’uomo, per rendere il “soggiorno” il più confortevole possibile, l’aveva sistemata in una stanza da sola, dove lei avrebbe avuto la sua privacy- lei, e soprattutto Ryo, che non accennava a voler lasciare il suo fianco per nulla al mondo. Kazue aveva attaccato al petto alla fonte della giovane donna diversi elettrodi, le aveva posizionato i cuscini affinché fosse comoda, e aveva provveduto a far avere una sedia decente a Ryo, che non lasciava la mano della giovane per nulla al mondo, ma tuttavia, seppure il vecchietto lo avesse rincuorato delle condizioni buone in generale della fanciulla, continuava ad essere fredda come il ghiaccio e adesso aveva perso del tutto i sensi.

Fu allora che un rumore di tacchi lo avvertì che qualcuno stava entrando nella stanza, e dal profumo inconfondibile – nonché il particolare aroma delle sigarette che la donna fumava, dalla nota altamente distintiva – senza bisogno di voltarsi Ryo riconobbe Rui, la maggiore delle tre sorelle, che mestamente lo raggiunse e, afferrata una sedia, gli si sedette accanto. Tuttavia, Ryo rimase freddo e distaccato, rifiutandosi di incontrare lo sguardo di quella donna che considerava parzialmente colpevole per quello che stava accadendo e del precario stato di salute di Kaori: poco importava cosa dicesse il professore, lei non aveva ancora ripreso i sensi e la sua pelle era gelida, quindi qualcosa che non andava doveva assolutamente esserci. Lui lo sapeva, se lo sentiva nelle ossa, nel profondo, e nessuno glielo avrebbe mai tolto dalla testa.

“Vedo che Falcon ti ha avvertito di venire qui…” le sibilò contro, senza tuttavia guardarla. La donna, che aveva avvertito sia il tono che il fatto che Ryo si fosse riferito al comune amico con il suo nome anziché il nomignolo che gli aveva affibbiato e che con cui era noto, sistemò la ciocca castana che le ricadeva sugli occhi con un sospiro, e con un sorriso lanciò un’occhiata alla donna distesa nel letto. Quando si erano incontrate oltre un anno prima Kaori l’aveva assicurata che lei e Ryo erano solo soci, ma le reazioni di gelosia esagerate di lei, e gli sguardi che lui le lanciava, carichi di affetto, raccontavano ben altra storia. “Ti conviene fare attenzione, non vorrei che Saeko ti trovasse qui. Non è tonta come il vostro amichetto, lei due più due lo sa fare eccome!”

Rimasero entrambi in silenzio, a squadrare il corpo inerme di Kaori, prima che Ryo si alzasse, giocherellando con le dita della partner un ultimo attimo prima di andare nel corridoio, e fu lì che, appoggiato con la schiena al muro e accendendosi una sigaretta, prendendo un grosso sospiro, quasi si fosse dovuto preparare al peggio, lo sweeper pose la domanda che gli attanagliava il cuore.

“Rui… cosa diavolo è successo in quel museo?”

La donna, sempre pacata, seria e controllata, prese a torcersi le dita, incapace di guardare Ryo negli occhi. Mordendosi le labbra, si preparò alla sua ammissione – una storia raccontata, una storia pazza ed incredibile, che non aveva alcun senso, ma che avrebbe potuto spiegare cosa stesse accadendo alla socia di Ryo; un solo incontro le era bastato per scoprirsi amica di Kaori, per lasciarsi conquistare da quella giovane donna col sorriso, con la determinazione e la fiducia nell’umanità e nelle seconde possibilità, cosa assai rara per una persona che compiva il lavoro di sweeper… o di ladra.

“Ricordo che mio padre mi raccontava una leggenda, legata all’Occhio di Ebe. Diceva che quando un animo inquieto, con… con questioni in sospeso e rimorsi lo teneva tra le mani, il suo potere venisse rilasciato, e quella persona tornasse, con il corpo e la mente, al momento decisivo della sua esistenza per capire se quelle scelte fossero state quelle giuste, e questo fino alla successiva luna nuova…”

Ryo si grattò il capo. Quella storia era assurda – per quanto, di cose starne lui e Kaori ne avessero viste, tra telepati e fantasmi, quindi non si sentiva di escludere del tutto dal reame delle possibilità il viaggio nel tempo, ma anche fosse stato vero, cosa avrebbe significato per Kaori? Quale era stato il momento decisivo della sua vita… la morte di Maki, la sua adozione? O forse quando aveva accettato di tornare da lui dopo la questione di Kaibara, o magari sarebbe ritornata indietro con la mente a soli pochi mesi prima, alla radura….

Strinse i denti maledicendosi, guardando con acuta ferocia Rui. Non riusciva a credere che avesse potuto prendere in considerazione quell’idiozia. Che quella mocciosa gli avesse letto nell’animo era una cosa, Kaori che ringiovaniva? Tutt’altra. Gettando la sigaretta a terra e spegnendola col piede, nonostante se la fosse appena accesa, Ryo tornò nella stanza con le mani in tasca, e stupito e sotto shock si fermò sulla soglia, fissando Kaori che sembrava stesse per svegliarsi, dal modo in cui si muoveva nel letto.  Ma non era stato questo a scatenargli quella curiosa reazione- una reazione simile a quella di Rui, che con gli occhi sgranati si coprì la bocca per la sorpresa… perché sì, nel letto c’era una ragazza con corti capelli riccioluti tendenti al rosso, labbra sottili e decisamente alta per la sua età, ma quella stessa ragazza aveva anche il corpo più acerbo rispetto alla Kaori che Ryo conosceva ed era leggermente più bassa di lei, e la camicia da notte che le aveva fornito Kazue era enorme su quel gracile corpicino androgino.

Sì, quella era Kaori, Ryo lo sapeva, ma quella non era la metà di City Hunter: quella era…. Era la sua Sugar Boy, studentessa del liceo di sedici anni.

Cristo santo onnipotente!

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Capitolo 2
*** Sugar Boy ***


 Prometto di rispondere a tutte le vostre recensioni nei prossimi giorni, giurin giurello!

Gettando la sigaretta a terra e spegnendola col piede, nonostante se la fosse appena accesa, Ryo tornò nella stanza con le mani in tasca, e stupito e sotto shock si fermò sulla soglia, fissando Kaori che sembrava stesse per svegliarsi, dal modo in cui si muoveva nel letto.  Ma non era stato questo a scatenargli quella curiosa reazione- una reazione simile a quella di Rui, che con gli occhi sgranati si coprì la bocca per la sorpresa… perché sì, nel letto c’era una ragazza con corti capelli riccioluti tendenti al rosso, labbra sottili e decisamente alta per la sua età, ma quella stessa ragazza aveva anche il corpo più acerbo rispetto alla Kaori che Ryo conosceva ed era leggermente più bassa di lei, e la camicia da notte che le aveva fornito Kazue era enorme su quel gracile corpicino androgino.

Sì, quella era Kaori, Ryo lo sapeva, ma quella non era la metà di City Hunter: quella era…. Era la sua Sugar Boy, studentessa del liceo di sedici anni.

Cristo santo onnipotente!

Ryo e Rui fissarono, con il cuore in gola ed il respiro mozzato, la giovane che si rigirava nel lettino, lamentandosi della fastidiosa luce. Con la bocca impastata, infantile e quasi fosse una bimbetta, Kaori si stiracchio, sbadigliando con le fauci spalancate in quel modo poco elegante, che ricordò allo sweeper come crescendo la ragazza non avesse mai avuto attorno donne ma solo rozzi uomini.

“Ehm… Kaori?” la chiamò lui un po’ spaventato. Cercò di ricordare come fosse Kaori a sedici anni, quella l’età che sembrava dimostrare, ma, in tutta onesta, il suo carattere – e la vita di Kaori in generale - in tutti quegli anni non era cambiato più di tanto. Adolescente, si era occupata di casa e fratello, metteva l’incolumità degli altri innanzi alla propria e aveva già allora un cuore così grande che le aveva permesso di vedere oltre l’apparenza, capire che Ryo non era il freddo e cinico killer che fingeva di essere ma un buontempone con un profondo senso di giustizia e che amava i bambini. Adulta, badava alla loro casa, a Ryo ed al loro nutrito gruppo di amici, conoscenti e clienti, continuando, causa il suo gran cuore, a mettere gli altri davanti a sé stessa, poco importava quanto rischiosa fosse la situazione.

Il suo corpo negli anni era cambiato: la sua anima era rimasta immutata.

“Kaori, stai… stai bene?” Le domandò avvicinandosi al letto lentamente, con cautela. Secondo Rui chi veniva colpito dal potere del ciondolo non cambiava solo il proprio aspetto, ma anche nella mente e nella memoria: esisteva quindi la concreta possibilità che lei non lo riconoscesse, e spaventarla era l’ultima cosa che voleva.

“Sì, sì, sto bene, sto bene!” Gli rispose lei, sbuffando, chiaramente seccata. Sentire quella vocina, bassa, infantile, gli fece uno strano effetto, gli parve quasi che il cuore avesse perso un battito mentre, anche lui, veniva riportato indietro nel tempo, e l’uomo non poté fare altro che guardare con tenerezza quella ragazzina, desiderando darle una barretta di cioccolato e spettinarle i capelli con affetto e tenerezza.

Bentornata, mia dolce Sugar Boy…

Kaori aprì gli occhi, ancora impiastricciati dal sonno, ma dopo un attimo di esitazione quegli occhioni color nocciola dalle lunghe ciglia giù allora – come facessero  a scambiarla per un ragazzo Ryo proprio non lo concepiva – si spalancarono, e la ragazza si mise ad urlare in preda al panico. Reazione più che naturale: si era appena svegliata in un luogo che non conosceva con due sconosciuti che la fissavano nemmeno fosse stata una cavia da laboratorio.

“Chi diavolo siete?” Lo accusò con tono sibilante, brandendo, già allora, uno dei suoi temibili martelli e lanciandolo all’indirizzo di Ryo che lo evitò per un soffio. Tentò di scendere dal letto, ma si immobilizzò, fissando il camice che aveva indosso e che le ricadeva, largo, sul corpo adolescenziale: quel capo sarebbe stato perfetto sulla Kaori adulta, più alta della ragazzina che Ryo aveva incontrato  che era ancora acerba nelle sue forme femminili. “Dove diavolo è la mia divisa? Cosa mi avete fatte? Maledetti, mio fratello è un poliziotto, ve la farà pagare cara!”

Rui si morse le labbra, sorpresa – non sapeva che anche il fratello di Kaori fosse un poliziotto- ma poi qualcosa nel comportamento di Ryo la colpì con la potenza di un pugno alla bocca dello stomaco. Lo sweeper, calmo e controllato, imperturbabile, sul cui volto le emozioni erano perennemente mascherate, si era improvvisamente incupito, rattristato, era durato solo una frazione di secondo, ma lei era certa di ciò che aveva visto. Sembrava quasi che, per un attimo, un velo fosse calato su quegli occhi solitamente irriverenti. La donna si portò una mano al cuore, e capì come mai non avesse sentito parlare del fratello di Kaori da quando si conoscevano: doveva essergli accaduto qualcosa. 

Kaori, intanto, era scesa dal letto e si era diretta verso la finestra, e stava tentando di aprirla, ma doveva essere bloccata o blindata, perché per quanto ci provasse, le fu impossibile riuscirci. Mentre cercava di formulare un piano di fuga, a denti stretti, lo sguardo le cadde sull’uomo nella stanza con lei, un tipo sui quaranta, ben portati, assolutamente, e decisamente… affascinante, per quanto avesse un’aria un po’ squinternata e trasandata, come se avesse bisogno di qualcuno per badare a sé stesso. Il suo cuore perse un battito, e mentre i loro occhi si incatenavano gli uni agli altri,  avvertì come uno sfarfallio alla bocca dello stomaco. Kaori non riuscì a comprendere cosa il suo corpo ed il suo cuore stessero cercando di dirle... Perché le sembrava che quell’uomo, che non aveva mai visto prima di allora, le fosse così famigliare? Perché le causava quella curiosa reazione?

“Statemi alla larga!” Sibilò, brandendo una sedia nella loro direzione mentre si appiattiva contro il muro, mentre Ryo, tutto sommato compiaciuto dal carattere battagliero della ragazza, si domandava cosa fare e cosa dire. Se fosse stato onesto- le avesse detto che un ciondolo magico l’aveva fatta ringiovanire, come avrebbe reagito Kaori? Spaventata com’era dal sovrannaturale forse ci sarebbe cascata, ma stressarla in quel momento era la cosa giusta da fare?

E poi, davvero avrebbe creduto a quella storia, oppure lo avrebbe preso per un pedofilo pervertito che aveva rapito una ragazzina – già all’epoca piena di ammiratori, tra l’altro - e adesso voleva giocare al dottore? Se lo avessero chiesto a lui solo quella mattina,  lo sapeva cosa avrebbe detto, nonostante le cose strane in cui si erano imbattuti nella loro carriera di sweeper…

Stringendo i denti ed i pugni, Ryo, sguardo nuovamente freddo e determinato, fece un altro passo verso di lei. Stava giocando sporco, forse lei non lo avrebbe perdonato, forse non si sarebbe perdonato neppure lui, ma Ryo voleva mettere l’incolumità di Kaori al primo posto, la sua tranquillità, e portarla su un terreno a lei affine poteva essere l’unica strada verso una parvenza di normalità e la pace d’animo.

“Kaori, tranquillizzati. Sei in una clinica, e… e hai avuto un incidente, hai sbattuto la testa. Io sono Ryo Saeba,” le disse tranquillamente, offrendole, con sguardo carico di affetto, la mano tesa. “E… e sono il partner di tuo fratello.”

Mentre Rui sussultò, Kaori fissò quella mano tesa davanti a lei, alzando ora gli occhi a guardare quelli di lui. Non era una stupida, ammise arrossendo lievemente, il cuore che riprese a fare delle strane capriole nel petto, aveva avuto le sue… simpatie, un paio di giovani insegnanti che l’avevano fatta sospirare segretamente, e capiva che era quello che stava accadendo in quel momento: sì, “Ryo” era molto più vecchio di lei, e lei di certo non gli sarebbe morta dietro, però non aveva problemi ad ammettere che era un uomo decisamente affascinante.

E poi… poi, c’era qualcosa di caldo nel suo sguardo, come una tenera carezza ricolma d’affetto, che le diceva che poteva fidarsi di lui.

“Dov’è mio fratello?” Si domandò, guardandosi intorno, rifiutando di stringere la mano di Ryo. “Se ho avuto un incidente, perché non è qui?”

Rimpiangendo quella scusa inventata un po’ tra capo e collo, Ryo strinse i denti, maledicendosi. Non gli piaceva mentire, ora avrebbe dovuto tenere conto di tutto quello che avrebbe detto fino a che la sua Kaori non fosse tornata da lui, facendo attenzione a non contraddirsi o, peggio, lasciandosi scappare qualcosa che avrebbe potuto ferirla.

“Tuo fratello è sotto copertura,” Ryo ammise, mani in tasca; Kaori non aveva ancora sedici anni, altrimenti si sarebbe ricordata di lui senz’altro. Però, doveva essere intorno a quell’epoca, quando Kaori aveva iniziato a nutrire dubbi su cosa Makimura effettivamente facesse, e lui, nonostante avesse già abbandonato il distintivo, con lei fingeva di essere ancora in servizio. “Purtroppo il suo è un incarico molto delicato, ha impiegato molto tempo a guadagnarsi la fiducia del capo della banda in cui si è infiltrato, e ha ricevuto ordine di non abbandonare l’incarico, ma l’ho informato dell’accaduto e mi ha chiesto di prendermi cura di te.”

Sempre con la mano tesa, Ryo si abbassò tanto quanto bastava per poterla guardare negli occhi, pregando che non vi leggesse quella menzogna che solo a raccontarla gli spezzava il cuore.

“Come posso sapere che non stai mentendo?” lei gli domandò, e Ryo si morse il labbro, chiedendosi a quale delle tante menzogne che gli erano uscite di bocca la ragazza si riferisse. “Come posso essere certa che ti manda davvero lui?”

“Chiedimi qualcosa,” le chiese, con lo sguardo pieno di speranza, quasi la supplicasse di fidarsi di lui. “Domandami qualcosa che solo lui avrebbe potuto dirmi di te.”

Prima che lei potesse aprire bocca, Rui afferrò Ryo per la manica del giubbotto, e strattonandolo, senza dire una sola parola, lo trascinò con forza fuori dalla stanza, e l’uomo glielo permise, non volendo fare una scenata davanti a Kaori e farla preoccupare inutilmente, immaginandola già abbastanza stressata di suo per quella peculiare situazione in cui si era ritrovata.

“Si può sapere cosa credi di fare, Saeba?” Rui gli domandò, chiaramente seccata dal suo comportamento. “Hai davvero intenzione di raccontarle tutte queste frottole?”

“Beh, cosa suggerisci?” Le domandò lui, sarcastico. “Secondo te è più sensato dirle che ha avuto un’amnesia ed attendere che se ne torni normale, oppure raccontarle che un gioiello vecchio di tremila anni l’ha fatta tornare adolescente?”

Rui sospirò, portandosi l’indice alla tempia. Immaginava che Ryo avesse ragione, che difficilmente qualcuno avrebbe potuto credere a quella storia assurda; lei, di certo, fino a che non aveva avuto davanti quella donna che conosceva, adulta, tornare ragazzina, aveva pensato ad una favoletta. 

Beh, adesso capiva cosa intendesse la gente quando diceva che dietro ogni leggenda c’era un briciolo di verità - solo che non avrebbe mai pensato che la parte magica fosse il briciolo di verità nascosto dietro la leggenda dell’occhio di Ebe.

“Ho bisogno di un favore, dì a Falcon e Miki di andare a casa mia e togliere tutte le cose di Kaori dall’appartamento, la terrò con me fino a che questa cosa non sarà passata e non voglio che si turbi perché si trova delle foto di sé stessa adulta in giro, o i biglietti di condoglianze che le hanno mandato quando Maki è morto.” Si massaggiò la mascella, come per pensare. “Dovranno togliere anche tutto ciò che potrebbe indicare in che anno ci troviamo… niente libri, riviste, radio o televisione.”

“Oh,” Rui sussultò, dopo aver sentito lo sweeper parlare di condoglianze. Ora capiva perché, in tante discussioni, quel fratello non fosse mai venuto fuori, perché avesse incontrato, bene o male, tutti i membri della “cricca” di Saeba meno questo fantomatico Hideyuki Makimura.

Era morto.

E se lo sguardo cupo e lontano di Ryo voleva dire qualcosa, era che, in un modo o nell’altro, si sentiva responsabile per quella perdita: che fossero stati soci, colleghi? Che, prima di Kaori, fosse stato lui City Hunter al fianco di Saeba?

“Credi davvero che un’adolescente vorrà stare chiusa in una stanzetta  con te per settimane?” Gli domandò, alzando un sopracciglio.

“Qualcosa lo troveremo, o mi inventerò un’altra balla. Le dirò che deve stare nascosta per il bene del fratello, e le farò avere libri usati in modo che non abbia sospetti.” sospirando, si grattò il capo. “Porca miseria, devo chiedere a Mick di gestire la lavagna al posto nostro fino a che sta benedetta faccenda non si risolve. Non voglio che la mia reputazione vada a farsi benedire perché non ho ricontattato dei possibili clienti!”

Rui ridacchiò, occhi luminosi pieni di divertimento.

“Sai, in un’altra occasione ti avrei chiesto se volevi tenerti la piccola Kaori con te per poterci provare con lei, ma devo dirtelo, Ryo…” Con un gesto non dissimile da quelli della bella Saeko, Rui sistemò un ciuffo che le cadeva sul volto, sorridendogli maliziosa. “Ti stai comportando in modo stranamente adulto oggi… non hai nemmeno provato a saltare addosso a me quando sono arrivata.”

Sbuffando, senza degnarla di una risposta, non volendo arrischiarsi a passare troppo da maleducato, Ryo tornò in camera, dove trovò Kaori addormentata nel letto, sopra le coperte; sembrava stranamente rilassata, ed i raggi del sole che le colpivano i capelli li accendevano di riflessi come se fossero stati sottili fili di oro rosso.  Si sedette al suo fianco, sulla sedia che per ore non aveva vacato, e spettinandole i ricci, poggiò la fronte contro la sua, ispirando quel profumo che, nonostante i dodici, tredici anni di differenza era sempre lei, la sua dolce Kaori.

“Torna da me,” la supplicò. “Ti prego, Kaori, torna da me.”

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Capitolo 3
*** Sweet Home ***


I miei ringraziamenti a chi ha letto e commentato; vita, lavoro e emicrania mi tengono impregnata, ma prometto che risponderò alle vostre recensioni. Sappiate che leggo e le apprezzo!
 

Ryo aveva portato Kaori nella loro casa che era buio, mentre lei stava dormendo, convinto che meno la ragazza avesse visto, meglio sarebbe stato. Mentre percorreva le scale portandosela in spalle, con la mente tornò al loro primo incontro, alla notte che se l’era portata in quella stessa casa, allora nemmeno ancora ammobiliata, in quella stessa posizione. Incontrare la sorella di Maki gli aveva procurato uno strano effetto: mentre aveva percepito la morbidezza e il calore di quello spigoloso corpo adolescente, Ryo aveva compreso che, in un modo o nell’altro, il suo mondo sarebbe cambiato per sempre. All’epoca non aveva ancora capito come, ma tutti quei discorsi sul fratello, sul loro lavoro, avevano svegliato una moralità che Ryo temeva sopita per sempre. Ricordava come aveva guardato Kaori dormire, quelle delicate labbra, le gote arrossate, come  fosse stato tentato di andarle vicino per sentire il suo respiro sulla pelle: lei lo turbava, e Ryo non era nemmeno certo di cosa stesse effettivamente accadendo. Cos’era quella strana sensazione che aveva nel petto?

Vederla ritornare poi, tre anni dopo, nella sua vita in pianta stabile, era stata la proverbiale goccia che aveva fatto traboccare il vaso; si era perso in quegli occhi, aveva sentito gli spigoli che era divenuti, sotto alle sue dita, burrose curve, e riempiendosi le narici di quello stesso profumo che ora lo attanagliava aveva capito di essere fottuto, e che era giunto il momento per l’Angelo Nero della morte di ritirarsi per lasciare il posto al Ryo di Kaori. 

Dopo essere entrato in casa, grato nel vedere che nulla che potesse ricondurre alla data odierna fosse presente, silenziosamente ringraziando i due mercenari, Ryo la portò nella sua camera, dove la posò sotto le coperte, rimboccandogliele; Kaori non si era svegliata, forse per la stanchezza accumulata con le notti insonni passate da dopo il matrimonio di Miki e Falcon, o forse per un curioso effetto collaterale dell’incantesimo. A lungo la vegliò, in silenzio, seduto a terra con la schiena contro il muro, pensieroso, la guardava riposare come aveva fatto quella notte tanti anni prima, sentendo nuovamente la stessa sensazione attanagliargli il petto, ma dieci, cento, mille volte più forte: all’epoca era stato curioso ed intenerito, adesso lei era divenuta non solo il centro del suo mondo, ma l’asse stesso attorno a cui tutta la sua realtà ruotava.

Desiderio. Attrazione. Amore. Ryo provò tutto moltiplicato a mille. Perché sì, lei sembrava una quindicenne, ma Ryo poteva sentire il suo animo, già adulto in quel corpo giovane, e più la guardava, più l’immagine della ventisettenne si sovrapponeva a quella della quindicenne, rendendole pressoché indistinguibili l’una dall’altra, e per un attimo fu tentato di fare l’impensabile, poggiare le sue labbra su quelle di lei, quasi, come novello principe azzurro, quel gesto potesse destarla da quell’assurdo incantesimo.

Gli mancava. Meno di ventiquattro ore senza di lei, e già gli mancava. Le sue risate, i suoi rimproveri, i suoi sorrisi… persino la sua violenta gelosia. Ma soprattutto, gli mancavano le piccole cose, il profumo del caffè che gli preparava, fare finta di leggere il giornale mentre invece la guardava, incantato, che cucinava o lavava i piatti, o sentirla canticchiare mentre trotterellava per casa o stendeva il bucato.

Dandosi una scrollata, Ryo si alzò e si sporse dalla finestra, ad osservare le vie di Shinjuku piene di vita. Poi però si avvicinò, nuovamente, di soppiatto, al letto, guardandola di nascosto. Così giovane, nemmeno sedici anni, eppure era già bellissima, già gli faceva battere il cuore. Lasciando che fosse il suo istinto a guidarlo, si chinò sulla giovane, lasciandole un casto bacio sulla fronte, e la vide sorridere, quasi nel sonno si fosse compiaciuta di quel gesto, lo avesse gradito, e poi si tolse dal collo il ciondolo con cui era arrivato in Giappone, che aveva perso e poi, casualmente, ritrovato cinque anni prima, durante un caso, e lo mise al collo di Kaori, affinché potesse sempre averlo con sé, sul proprio cuore. Non sapeva cosa si sarebbe inventato per giustificare quell’oggetto, qualcosa lo avrebbe fatto, ma sentiva che il posto di quel talismano era sul cuore della donna. 

Lasciò la stanza, silenziosamente come vi era entrato, e si mise all’erta nel corridoio fra le loro camere da letto, accendendosi una sigaretta mentre controllava la porta, vigile come un falco, mentre, sotto alle sue coperte, Kaori si stringeva il lenzuolo contro il petto, arrossendo, eppure con una strana sensazione di pace e tranquillità, un calore che le si diramava nel petto, dove il cuore le batteva a ritmo martellante. 

Fissando il buio, si chiedeva se fosse possibile sentire di conoscere una persona da sempre, seppur non l’avesse mai vista prima di allora, ma soprattutto, perché, nonostante sentisse, sapesse che qualcosa non quadrava, una parte di lei le gridava di fidarsi di Ryo, che voleva solo il suo bene?

Sospirando, socchiuse gli occhi, fissando il buio davanti a sé. 

Chissà, forse, quello era ciò che la gente chiamava colpo di fulmine.

 

I raggi del sole accarezzarono il volto di Kaori, che, pigramente, si svegliò; si sentiva intorpidita, come se tutte le sue reazioni, le sue sensazioni, giungessero come ovattate al suo cervello, quasi il suo stesso corpo le fosse alieno. 

Lentamente, aprì gli occhi, e le tornò alla mente cosa fosse accaduto il giorno precedente - o meglio, cose le era stato detto le fosse accaduto. Aveva forse battuto la testa? L’ultima cosa che ricordava era che finalmente era giunto marzo, il mese del suo compleanno, e che lei stava attendendo con trepidazione quel fatidico giorno, il trentuno, quando avrebbe compiuto sedici anni, convinta che, finalmente, avrebbe iniziato a sentirsi adulta ed essere considerata come tale da coloro che le stavano intorno.

Eppure… eppure qualcosa le era accaduto, perché si era coricata nel suo letto per svegliarsi in quella clinica sgangherata contornata da sconosciuti, da quella bellissima donna che sembrava una modella e da quel tipo che aveva detto di lavorare con il suo amato fratello – e per di più, sembrava essere estate, era già pieno giorno, gli uccellini cantavano, e dalla finestra poteva intravedere alcuni alberelli piantati lungo la strada, poco più che arbusti, che mostravano delle gloriose chiome verdi.

Ryo, pensò, sentendo le guance che le bruciavano, mentre tornava con la mente a quell’uomo dall’apparente aria sgangherata. C’era qualcosa nella sua storia che stonava, eppure sentiva di potersi fidare di lui, che lui sarebbe potuto essere importante per lei. Ridacchiando però scosse il capo, dandosi della stupida: Ryo era un uomo adulto e maturo, doveva essere almeno un quarantenne, mentre lei non aveva nemmeno sedici anni, prendersi una sbandata per lui non aveva il benché minimo senso: quello che stava facendo lo faceva per dovere, per un senso di tenerezza e protezione, non certo perché fosse un cavaliere dalla lucente armatura che si prometteva alla dama del castello. 

Kaori si guardò attorno, curiosa, e lasciò il letto. Spalancata la finestra per cambiare aria, prese a curiosare in quella che immaginava essere la stanza degli ospiti di Ryo, una cameretta graziosa, delle giuste dimensioni, ma che era spoglia di quasi tutto. Aprì armadi, cassetti… nulla. 

Evidentemente, Ryo viveva da solo. 

Ma allora, perché le sembrava che pensarlo solo fosse quasi… sbagliato? Con braccia conserte, cercò di raccapezzarsi di quella curiosa situazione, di quelle capriole che il suo cuore faceva quando i loro occhi si incontravano, della sensazione familiare che aveva provato tra le sue braccia: le une potevano essere spiegate con una sbandata - era vecchio, sì, ma decisamente bello ed aitante - ma la seconda? Ryo non assomigliava per nulla a Hide, quindi non capiva cosa lo rendesse così parte di lei. 

Non aveva senso. Nulla aveva senso. Anche il fatto che lei fosse lì… le stavano mentendo? Hide era in pericolo? La sua copertura era saltata e volevano ricattarlo attraverso di lei? Il solo pensiero di essere il suo punto debole la fece rabbrividire, e con le lacrime agli occhi Kaori si lasciò scivolare per terra, stringendosi con forza, senza tuttavia riuscire a trovare un calore che la riscaldasse. 

Singhiozzò a lungo, fino a che, mentre si stava asciugando con i pugni le lacrime, notò qualcosa fare capolino da sotto al comò; un angolino di qualcosa di bianco. Incuriosita, lo afferrò, scoprendo essere una foto. La voltò per vedere chi potesse raffigurare, irrazionalmente impaurita all’idea che potesse trattarsi della donna di Ryo, ma quasi emozionata al pensiero che sarebbe potuto trattarsi di un’istantanea con lui solo; la cosa la faceva sorridere, mentre le guance le si imporporavano, e la ragazza sospirava all’idea di potersi tenere quelle immagina da guardare e riguardare quando volesse, senza che nessuno ne fosse a conoscenza, nemmeno quel bel sconosciuto tenebroso. 

Quando però vide chi era raffigurato in quella foto, il cuore prese a batterle all’impazzata, ed il respiro le si mozzò in gola. Kaori alzò gli occhi verso lo specchio sopra al mobile, e vide i suoi grandi occhi castani, i corti capelli rossi, le labbra sottili; abbassò lo sguardo sulla foto, e vide la stessa identica cosa, lo stesso volto, solo… più maturo. 

Com’era possibile? Possibile che…

Ma no, non era… ma se invece… ma allora, se non lei…. chi poteva essere quella donna che le assomigliava così tanto? Forse la sua vera madre? No, Ryo aveva pressoché la stessa età nella foto, mentre la donna sembrava avere sì e no trent’anni, quindi era troppo giovane per essere la sua madre biologica. Che avesse una sorella maggiore? Ma come giustificare lo stesso taglio di capelli, gli stessi identici occhi, lo stesso stile…

Non capiva nulla, se non che forse Ryo non era stato così onesto come lei aveva immaginato, e che aveva bisogno di una spiegazione, subito.

Stringendo i denti, la foto nel pugno chiuso, Kaori spalancò la porta facendola sbattere contro il muro, e corse giù lungo le scale. Seguendo il profumo del caffè trovò Ryo, che stava assaporando una tazza, e che le sorrise tenero e compiaciuto, dolce… tutte cose di cui lei non sapeva cosa farsene. Lei non voleva le sue moine: lei voleva la verità, tutta la verità, nient'altro che la verità.

“Cosa diavolo significa questa foto?” gli domandò, rabbiosa, sbattendo il ritratto sul tavolo, proprio sotto al naso del presunto poliziotto che reagì digrignando i denti, e stringendo il manico della tazza con tale forza che le nocche gli divennero bianche e la ragazza credette che la porcellana si sarebbe spezzata sotto alla sua morsa.

E Kaori comprese di aver avuto ragione: lui le stava tenendo nascosto qualcosa, si presupponeva che lei non lo scoprisse, eppure quella fotografia sembrava essere un tassello importante del puzzle e lui era decisamente seccato che lei se la fosse trovata tra le mani.

Ryo abbandonò la tazza sul tavolo e si lasciò cadere, stancamente, su una sedia, si grattò il capo, sospirando, guardando ora la foto, ora Kaori. Poi, le fece segno di sedersi davanti a lui, ma lei non ne volle sapere: sarebbe stata in piedi, a braccia conserte, lo sguardo duro e truce, fino a che lui non avesse ceduto.

“È complicato,” iniziò lui, continuando a grattarsi il capo. “Kaori, è una storia talmente assurda che anche se te la raccontassi non mi crederesti mai, quindi, perché stressarti? Fidati di me, prendi le cose come vanno e vedrai che in men che non si dica tutto tornerà alla normalità.”

“Beh, se è complicato tu vedi di farla semplice,” gli suggerì lei, sedendosi davanti all’uomo e cercando di guardarlo negli occhi, ma Ryo si era fatto sfuggente e rifiutava di incontrare il suo sguardo. Stanca, la ragazza sospirò, cosa che sembrò destarlo da quello stato di torpore. “Ryo… perché… chi è la ragazza della foto? Perché… mi somiglia così tanto?”

Ryo la squadrò con occhi affranti, torturandosi le dita callose; avrebbe potuto inventarsi una scusa, avrebbe potuto dirle che quella era sua sorella Sayuri, ma aveva il dubbio che Kaori fosse più giovane di quello che pensava, e comunque, lei non gli aveva mai detto quando esattamente avesse scoperto parte della verità sulle sue origini, e farla cadere in un baratro di dubbi era l’ultima cosa che desiderava. 

E se avesse dato retta a Rui? Forse davvero la cosa migliore era essere sinceri, e sperare che le cose si sistemassero - che, nonostante la giovane età, anche questa Kaori si fidasse da lui e si lasciasse guidare dall’uomo che le aveva dato il benvenuto nella sua casa quando Maki, il suo adorato fratello, era deceduto.

Prese un profondo respiro, tutti i muscoli del suo corpo erano tesi, fremendo per la tensione e la paura dell’ignoto. 

Aprì la bocca, ed iniziò a parlare, seppure non sapesse esattamente cosa dirle e come spiegarsi. 

“Vedi, Kaori, la ragazza nella foto…”

“Sono io, vero?” domandò lei, guardando ora la foto, ora Ryo, e poi di nuovo la foto. Ryo sorrideva felice in quella foto, tenendo stretta a sé la donna che Kaori sentiva essere lei, per quanto improbabile ed impossibile… ma a lei erano sempre interessate le storie sul paranormale, quindi chissà, forse poteva, doveva essere tutto vero… “Non so come ma… ma so che si tratta di me. E che noi due siamo legati.”

Ryo prese a boccheggiare come un pesce, gli occhi sgranati, mentre vedeva quelli di Kaori abbassarsi, timidi, e tutto il suo volto arrossarsi; ingoiò a vuoto quando con la coda dell’occhio, nella V della maglietta prestatele da Ai, vide quello stesso colore, e con profondo ribrezzo per sé stesso, avvertì il suo sesso inturgidirsi al pensiero che anche il seno di Kaori fosse arrossito, che magari i suoi capezzoli si fossero inturgiditi, inscurendo, e… e… e…

“Ryo… noi siamo sposati, vero?” gli domandò, guardandolo con occhi luminosi, le guance arrossate, speranzosa, quasi desiderasse  che gli dicesse di sì, quasi il suo cuore conoscesse già la portata dei sentimenti che la sua versione adulta avrebbe un giorno nutrito per lui.

Ma i vecchi vizi erano duri a morire, ed il lupo perde il pelo ma non il vizio, perciò, per lo sgomento della fanciulla, l’uomo proruppe nel suo  solito monologo fatto di non molto velati insulti, a cui seguì il solito epilogo, costituito da una martellata di Kaori in testa- che, per somma delizia di lui, era decisamente più leggera del solito, indicazione che prima di conoscerlo lei ci andava meno pesante con quelli che pestava, e difatti fu un nonnulla per Ryo scrollarsi quell’affare di dosso. 

Kaori abbassò lo sguardo, quasi vergognandosi di quel comportamento istintivo, che il fratello le rinfacciava spesso e volentieri, e anche Ryo, seduto a terra a gambe incrociate, era incapace di guardarla negli occhi, rubandole occhiate furtive quando pensava che Kaori non se ne sarebbe accorta;  guardò la foto, la prese tra le dita, sfiorandola come fosse un oggetto prezioso, e sorrise, felice, rammentando quel giorno, la risata di lei, la sensazione di sentire le mani di Kaori scorrergli nei capelli, arruffandoglieli, il calore del corpo della giovane contro il suo, il tepore tranquillo che lei emanava. 

Alzò lo sguardo verso l’adolescente, colpito nel profondo, avvertendo prorompente il bisogno di essere sincero, incapace di nasconderle la verità, o almeno, la sua versione. Kaori forse non avrebbe ricordato nulla, oppure lui avrebbe potuto additare la colpa di tutto alla febbre, a un delirio, qualunque cosa: quale occasione migliore per confessare, per capire come quelle parole sarebbero suonate sulle sue labbra?

“Non sappiamo cosa sia successo,” iniziò lui, grattandosi il capo, incerto se lei se la sarebbe bevuta o no. “Ma, ecco, tu… sei stata, ehm, come dire, contagiata da un oggetto magico che ti ha fatto tornare adolescente. Ma, tranquilla, mi hanno assicurato che è solo temporaneo. Alla prossima luna nuova tornerai te stessa.” 

Kaori Sbattè quegli occhioni, fissando la fotografia della lei adulta. “E quanti….” Domandò, con tono incerto, quasi avesse paura della risposta. 

“Ne hai fatti ventisette a marzo,” le disse. “adesso siamo ad Agosto. Cos’è l’ultima cosa che ricordi? Insomma, intendo…”

“Quanti anni ho?” domandò pensierosa, portandosi un dito al mento e fissando il soffitto. “Beh, era il primo di marzo. Ero molto eccitata perché finalmente sarebbe arrivato il mio compleanno… mi sono convinta che avere sedici anni significhi essere un po’ più adulta e matura, e poi..” abbassò gli occhi, arrossendo lieve. “Mi piacerebbe, insomma, cambiare. Non, non tantissimo. Ma, sai, essere un po’ più femminile, e magari, sì, insomma…”

Kaori, torturandosi le dita, fece una lunga pausa. Stava arrossendo ancora di più, si mordeva le labbra in un modo adorabile che non avrebbe dovuto, ma attizzava Ryo e non poco, e lui la squadrò per bene. “Sai, mi ero ripromessa di… ecco, c’è un ragazzo che mi piace, Yoshiki, è un mio compagno di classe, e io volevo chiedere alla mia amica Eriko di darmi una mano, sai, essere più femminile… e… e insomma… hai capito, no?”

Ryo prese un profondo respiro, mentre sentiva qualcosa di freddo entrargli nel cuore e rigirarsi e affondare ancora e ancora e ancora, come una sottile lama… lui e Kaori non avevano mai affrontato l’argomento, ma lei ne aveva parlato un giorno con Mick, che si era poi sentito in dovere di parlargliene nella speranza di aprire gli occhi all’ex socio. 

Kaori si era innamorata di lui il 26 marzo dell’anno del suo sedicesimo compleanno. Un amore adolescenziale, forse, poco più di una cotta, un sentimento che probabilmente sapeva anche lei non sarebbe andato da nessuna parte, ma la presenza di Ryo era stata, apparentemente, abbastanza da destabilizzarla e mandare in frantumi i suoi piani di conquistare il compagno di classe. Irrazionale senso di colpa, quasi fosse stato lui stesso, volontariamente a negarle quelle esperienze, si unì alla deludente consapevolezza  di non essere stato proprio il primissimo per cui lei avesse nutrito delle speranze, e alla soddisfazione di aver avuto un tale impatto su di lei tanto da averle stravolto l’esistenza – lei, di certo, aveva stravolto la sua, di vita. 

A meno che…. Che fosse quello il rimpianto di Kaori? L’aver scelto di donarsi a lui, di attenderlo, nella speranza che un giorno i loro cammini si sarebbero potuti incrociare di nuovo, e lei avrebbe finalmente vissuto quel sogno d’amore?

“Lo immaginavo,” Ryo ammise con un sorriso, inclinando il capo di lato, nonostante dentro il suo cuore stesse prendendo piede una sanguinosa lotta, e fosse terrorizzato all’idea che lei si sarebbe potuta allontanare da lui una volta per tutte finito l’incantesimo. “Ti ho conosciuta la settimana del tuo sedicesimo compleanno, quindi, dato che non ti ricordavi di me, ho immaginato fossi un pochino più giovane.”

“Oh,” il cuore le fece un sobbalzo nel petto, e si mise a fare i conti… erano passati undici anni da quando si era addormentata, e lei conosceva Ryo da quando ne aveva sedici anni, quindi… “Stiamo davvero insieme da undici anni?”

A sentire quella frase, Ryo, stallone, uomo di mondo, porco maniaco e pervertito, arrossì, ed andò nel pallone. 

“Co… no!” Ammise, anche se gli pesava farlo. “Cioè…. Io ero il socio di tuo fratello, e poi a vent’anni sei venuta tu a lavorare con me, e sì, viviamo insieme, ma non stiamo insieme, anche se, insomma…”

Vedere così impacciato e timido quell’uomo grande e grosso intenerì e non poco Kaori, che gli sorrise dolce e decise di avere pietà di lui, cambiando argomento: avrebbe avuto tempo per chiedergli spiegazioni, per investigare su cosa fosse esattamente successo, o magari anche no. Perché non approfittarne e comportarsi come un’adolescente normale? Undici anni prima questa possibilità le era stata negata, troppo presa dall’occuparsi di casa e fratello, ma adesso, anche se solo per qualche giorno… chissà…

“Ryo…” lo chiamò, mordendosi il labbro e guardandolo languida, perché aveva la netta impressione che quell’affascinante sconosciuto non fosse del tutto immune al fascino femminile, e che, se avesse giocato bene le sue carte – poche, come le diceva sempre Hide, non era la femminilità fatta persona lei – avrebbe potuto rigirarselo per benino. 

E comunque, non era che gli volesse chiedere chissà che cosa. Mica voleva sedurlo!

“Eh?” Imbambolato, la fissò, la bocca leggermente aperta, cosa che compiacque e non poco la ragazza, e la fece sorridere. 

“Non ti dispiace accompagnarmi a fare compere, vero? Insomma, non posso certo mettermi i vestiti della me adulta… e anche questi, non sono esattamente di mio gusto. Per favore….”

Sbattè gli occhioni da cerbiatta mettendogli un leggero broncio, e Ryo avvertì una spiacevolissima sensazione alla bocca dello stomaco. 

A quelle occhiate della Kaori adulta alla fine lui aveva sempre ceduto, e a quanto sembrava lo stesso destino lo attendeva quando si trattava della Kaori ragazzina… le ragazzine non erano mai state di suo gusto, però, guardandola ora, sedicenne che si comportava come una ragazza sedicenne, lo sweeper ebbe la netta sensazione che, se undici anni prima lei si fosse presentata a lui così, forse non avrebbe finto di non capire che fosse una ragazza… e forse avrebbe finito per cederle, e concederle già allora quel bacio che ancora oggi Kaori attendeva da lui.

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Capitolo 4
*** Shopaholic ***


Avrebbe dovuto accompagnarla da Eriko, questo, mentre stava seduto su una panchina fuori dallo spogliatoio di un negozio di abbigliamento per adolescenti del centro commerciale, si ripeteva Ryo fino alla nausea. Il fatto che ci fossero un mucchio di belle mammine intente a comprare capi per le figliole era poco importante, lui era così frustrato che nemmeno se ne rendeva conto – e poi, lo scambiavano tutti per il padre di Kaori, gli facevano i complimenti per una figlia così carina, e aveva sentito i commessi, che pure se l’erano mangiato con gli occhi, commentare che non capivano come una tale angelica creatura con così tanto stile potesse essere stata generata da un simile omuncolo senza il benché minimo gusto.

Era indeciso su cosa lo facesse arrabbiare di più, decise mentre fulminava i due ventenni con il suo sguardo letale, che aveva fatto cadere ai suoi piedi tante delle loro clienti: se il fatto che lui, eterno ventenne nonostante i suoi quarant’anni suonati, fosse stato scambiato per un uomo ben più vecchio della sua età, o che, nonostante i suoi capi gli cadessero addosso davvero bene e lo facessero apparire come un Dio greco – parole delle sue conquiste, non sue- quei due avevano osato ridicolizzarlo per il suo stile.

Un fugace pensiero gli passò per la mente e lo fece ridere così tanto che dovette tapparsi il naso per evitare di scoppiare in una fragorosa risata: se Kaori avesse saputo che per tenerlo lontano da delle belle donne sarebbe bastato tornare adolescente, probabilmente lo avrebbe fatto molto tempo prima.

“Dì un po’ hai quasi finito?” le domandò, guardando l’orologio che portava al polso, sbuffando. Gli sembrava di essere lì dentro da una vita.

“Sì, solo un attimo, voglio vedere come mi sta una cosa!” arrivò la squillante voce di lei dal camerino. Ryo sospirò. Gli sarebbe mancata la sveglia data dalla voce adulta di Kaori.

“Ma si può sapere cosa diavolo hai ancora da provare? Tu e quei due energumeni sono tre ore che state lì a…” Ma non poté finire la frase, perché la ragazza scelse quel momento per uscire dal camerino mostrandoglisi in tutta la sua graziosa femminilità. Ryo batté gli occhi, chiedendosi perché all’epoca Eriko, che da quello che aveva capito già aveva il pallino della moda, non l’avesse aiutata a valorizzarsi, si chiese perché Kaori non accettasse ora l’aiuto dell’amica con il corpo da urlo che si ritrovava da adulta, e soprattutto non comprese come avesse potuto credere, a sedici anni, che lui potesse averla scambiata per un maschio.

Ingoiò a vuoto, occhi spalancati, ricordando a sé stesso e alla sua prorompente virilità che lei ora era una ragazzina e lui alle ragazzine non andava dietro.

Ma porca miseria, se era carina! Aveva indosso un top azzurro chiarissimo di pizzo, ampio ma che pareva una nuvola, dalla scollatura a barchetta che sembrava suggerire la curva del seno ancora acerbo,  ma che tempo tre anni avrebbe fatto la sua bella presenza nei sogni erotici di Ryo, e lo indossava con un paio di jeans della stessa tonalità su cui spiccava una delicata stampa floreale. Non aveva i tacchi ma semplici scarpe da tennis bianche, eppure era bellissima nella sua disarmante semplicità.

Proprio come la Kaori adulta, lei lo emozionava e gli faceva mancare il fiato.

“Oh,” arrossì lei, abbassando il capo e volgendolo nella direzione opposta a quella di Ryo; quel silenzio lo aveva letto come una critica, quasi un insulto, le sembrava come se, come i suoi compagni di scuola, le volesse urlare contro che lei non era femminile, che non era null’altro che un maschiaccio. “Hai ragione, forse dovrei prendere qualcosa di più, ecco, pratico…”

“NO!” le urlò praticamente contro, afferrandola per il polso prima che potesse tornare nello spogliatoio. La fissò, con una strana decisione, la pelle ruvida che le bruciava il delicato polso. “No,” ripeté, con maggiore tranquillità. “No, sei molto… graziosa così. Prendilo. Anzi, sai che ti dico?” le domandò facendole l’occhiolino. “Tienili addosso!”

Arrossendo, Kaori si limitò a dargli un bacio sulla guancia, che lui continuò a toccare per tutta la mattina, come se la pelle continuasse a pizzicargli dove lei lo aveva sfiorato con le sue appetitose labbra.

 

            Mentre entrava al Cat’s Eye, Ryo digrignava i denti come un cane furioso in preda alla rabbia, e poco mancava che avesse pure la bava e la schiuma alla bocca tanto era furibondo. A piangere erano le sue già scarse finanze, rese ancora più scarse da quel giro di shopping intrapreso da Kaori che era finito con parecchie borse e borsine, talmente tanta roba che Ryo si chiedeva cosa avrebbe detto la Kaori adulta una volta che avesse visto lo sperpero di denaro di cui si era resa colpevole, anche se la poteva già vedere donare ai poveri quei capi – e comunque, era così felice per quella cosa così semplice, che non avrebbe dovuto emozionare così un’adolescente, che Ryo si ripromise di fare qualunque cosa, anche accettare incarichi da uomini, pur di mettere qualche yen da parte e accompagnare la lei adulta a fare shopping, giusto per vedere se anche lei avrebbe avuto quei sorrisi smaglianti.

 Ma il vero problema era un altro.

I maschi.

Che fosse carina lo sapeva. Che avesse avuto negli anni degli spasimanti ormai lo avevano capito pure i muri, ma normalmente, in sua presenza, le occhiate lascive erano solite essere pari allo zero, spaventati com’erano da lui, certi che tra loro ci fosse del tenero e lei fosse la donna del temuto City Hunter.

Ma adesso lui era solo un uomo, un padre, giovane e aitante, ma pur sempre un padre, che accompagnava la figlioletta a fare shopping, e quindi quegli esseri orripilanti e lascivi si permettevano di darle delle occhiatacce allusive, sbavarle dietro, uno era perfino andato a sbattere contro un lampione per guardarle bene il sedere.

Iniziava a capire perché Kaori si incavolasse tanto quando lui faceva il maniaco porco pervertito – sul serio, rabbrividendo, si rese conto che si faceva schifo da solo, una consapevolezza resa ancora più bruciante dal fatto che sì, pure lui non stava disdegnando delle occhiatine a quel bel sederino fasciato in quei jeans, giustificandosi col fatto che presto lei sarebbe tornata adulta, sospirando, si ripromise di dirle la verità quando fosse tornata, essere finalmente aperto, sincero… l’idea di perderla, o anche solo che altri avrebbero potuto guardarla in quel modo, lo attanagliava.

Kaori era sua, e basta.

Piegò il gomito e lo offrì alla ragazza, che tenera e con le gote imporporate lo afferrò, lasciandosi guidare per le strade di Shinjuku dall’uomo, strade che conosceva come il palmo della sua mano ma che ora le erano sconosciute; era sotto casa, eppure le sembrava di essere Alice, che metteva piede in un nuovo mondo.

Dolcemente, la accompagnò nel locale, nonostante la ragazza si fosse sistemata dietro di lui, quasi a nascondersi, timida, e tutto sommato, pure lui provò il desiderio di andare via e scappare, quando vide gli amici – Mick, Miki, Falcon – squadrarlo con fare accusatorio, mentre invece Saeko lo guardava affranta e preoccupata, senza sapere cosa fosse accaduto alla giovane donna dopo che aveva perso i sensi. 

Si grattò il capo, lasciando cadere a terra le borse. Adesso veniva il bello.

“Ryo, perché diavolo ci hai fatto venire qui?” Chiese Mick.

“Cosa diavolo hai fatto a Kaori che ci hai fatto togliere tutte le cose  sue dal tuo appartamento, eh?” domandò Miki, furibonda. “Cos’è, a forza di fare il bastardo l’hai fatta scappare?”

“Ryo, sta bene? Dov’è adesso?” Continuò Saeko. Tutto il suo nutrito gruppo di amici gli si fece davanti, minaccioso, e a Ryo quasi cascarono le borse dalle mani. Sapendo che doveva affrontare l’inevitabile, e che non avrebbe potuto fare finta di nulla per delle settimane, si fece da parte, ed indicò con un movimento del capo la timida ragazzina che se ne stava con le mani conserte dietro la schiena.

Miki e Saeko guardarono la ragazza, sbattendo i loro occhioni, guardando prima lei e poi Ryo, incapaci di capire cosa stesse accadendo; tutt’altra cosa fece Mick, che aveva guardato molto attentamente le fotografie di Kaori da ragazzina, trovandola già all’epoca un bocconcino molto appetitoso- francamente, faticava a capire come Ryo avesse fatto a tenere le mani a posto all’epoca, figurarsi una volta che lei era divenuta adulta.

“Cristo santo onnipotente.” borbottò, passandosi le mani nei capelli, e avvicinandosi alla ragazza, squadrandola da capo a piedi con occhi sgranati. “Oh my fucking god, that’s…” si voltò verso Ryo, poi verso Kaori, poi di nuovo verso Ryo.

“Già….”  Ryo sospirò, con una scrollata di spalle.

“Cristo santo onnipotente. Porca miseria.” Mick si passò una mano nei capelli, così vicino alla ragazzina che lei quasi poteva sentire il suo respiro sulla pelle mentre l’uomo parlava. Istintivamente, si avvicinò a Ryo, stringendosi a lui, avvertendo un senso di turbamento a lei incomprensibile.

“Ma si può sapere cosa cavolo vi prende?” Saeko domandò. “Cosa cavolo avete voi due da confabulare così?”

“Ragazze…” Mick ingoiò a vuoto, voltandosi verso le fanciulle, indicando la “pupilla” di Ryo con l’indice della mano guantata. “Ragazzi, quella è… io non so come sia possibile, ma…”

“È Kaori, sì.” Ryo dovette ammettere, tra l’ilarità generale delle due donne che si stavano tenendo la pancia tanto erano scoppiate a ridere.

“Guardate che credo che sia serio, insomma, io ho visto delle foto di Kaori quando andava a scuola, e credetemi, è lei. Oppure un clone.” Mick dovette ammettere, grattandosi il capo, sentendosi come il protagonista di una serie televisiva o di un cartone animato di dubbio gusto.

“Ryo, loro…” Kaori gli domandò, nascondendosi dietro alla sua schiena, a cui si appoggiava con il palmo delle mani. Non sapeva il perché, non riusciva a capire come fosse possibile, ma sentiva che lui l’avrebbe sempre protetta e tenuta al sicuro.

“Stai tranquilla, Sugar, loro sono i nostri amici.” le spiegò con un sorriso dolce e tenero, che le fece tremare il cuore e le ginocchia. “Il biondino è Mick Angel, un mio ex socio in affari, mentre le due signore sono una Saeko, una poliziotta per cui talvolta lavoriamo, e Miki, la tua migliore amica, che gestisce questo locale col marito. A proposito, dove si è ficcato polipone? Voglio proprio vedere come reagisce appena gli racconto questa storia!”

Saeko la fissò, stupita, avvicinandosi per osservarla meglio, quasi fosse una curiosità scientifica; Kaori avvertì immediatamente un moto di stizza verso la donna, sia per quel suo comportamento che per qualcosa che sentiva dentro, di irrazionale ed istintivo, ed aggrappandosi al braccio di Ryo si strinse a lui con maggiore foga: c’era qualcosa in quella donna che lei trovava… irritante.

“Ma… Kaori… che ti prende?” le domandò lo sweeper. Lei non rispose, ma trattenne lo sguardo della donna matura con decisione e grinta, quasi a voler sottolineare che, per qualche motivo a lei sconosciuto, Ryo fosse suo, e che lei non si doveva azzardare ad avvicinarglisi.

“Ehm, ieri sera stavamo tenendo sotto controllo un gioiello che Occhi di gatto voleva rubare, e…. è successo questo. Kaori è tornata indietro a quando aveva quasi sedici anni.” Ryo si spiegò, guardando bene fisso negli occhi Miki, che si fece piccola e assunse un’aria colpevole: erano stati lei ed il marito a far entrare le ladre nelle loro vite, quindi se adesso erano messi così la colpa era anche di loro due. “Se la leggenda è giusta l’effetto durerà fino alla prossima luna nuova.”

 Mick era deliziato da quello che stava accadendo; non era solo l’avere quella deliziosa creatura davanti a sé- Kaori era sempre stata un gran bel pezzo di figliola, nonostante lui avesse deciso quasi fin da subito di guardare ma non toccare con lei, più per rispetto dei sentimenti della giovane verso Ryo che per quello che il socio provava verso di lei. Quello che lo intrigava, e non poco, era vedere come la ragazza fosse possessiva di Ryo e come, senza gli anni di sminuimenti continui, lei non si facesse troppi problemi ad esternare un’attrazione che si stava già palesando nonostante conoscesse lo sweeper solo da poche ore. Oppure, chissà, ciò che la sua mente non ricordava, il suo cuore stava disperatamente cercando di mostraglielo.

C’era poco da dire: quel comportamento, l’americano realizzò, era prova evidente che in ogni luogo ed in ogni tempo, Kaori voleva Ryo, tale era la portata e la potenza del primo amore.

“Senti Sugar, perché non prendi una cioccolata calda? Io intanto vado a parlare di affari con Mick!” Le disse scompigliandole i capelli. Con il broncio e le guance arrossate, sotto allo sguardo sgomento di Saeko, la ragazza si sedette al bancone, ed accettò la cioccolata che una sorridente barista le porse, mentre con la coda dell’occhio controllava Ryo, che si era appartato in un tavolino in un angolo con il biondo, che continuava a rubarle occhiate di soppiatto e non.

“Guarda che non cambia o sparisce solo perché smetti di stare lì a fissarla,” Ryo lo redarguì, alzando un sopracciglio, leggermente piccato, mentre beveva l’ennesima tazza di caffè. Avrebbe dovuto tenere sotto controllo l’ex socio: il limite del biondino, tornato single, era l’età del consenso, che in Giappone era ben sotto ai sedici anni. E quella sedicenne era l’amore delle vita di Mick: una tentazione a cui uomini più forti difficilmente avrebbero potuto resistere.

“Sì, sì, lo so, solo che, insomma…” sospirando, una mano sotto al mento, il gomito sul tavolo, Mick fissò il compare di sbornie e divertimenti. “Ma… quindi qual è la storia? Ha solo sedici anni nel corpo o anche nella mente? Insomma, cosa le hai detto?” Non c’era bisogno che spiegasse a cosa si riferisse: cosa sapeva Kaori della Union Teope, di cosa era accaduto al fratello, della loro relazione?

“No, no, è proprio tornata sedicenne. E, beh, qualcosa lo ha capito da sola, anche se non mi ha ancora chiesto nulla di Maki. Forse ha capito che gli è capitato qualcosa… credo non voglia saperlo. Forse vuole solo essere una ragazzina normale per qualche giorno. A sedici anni lei si occupava del fratello, della casa, studiava. Le incombenze erano tutte per lei…” sospirò, voltandosi verso il bancone e notando che Kaori lo guardava senza farsi troppi problemi. “Mick, Kaori ha bisogno di qualcuno che, non so, la controlli, la guidi. Ti spiacerebbe controllare la lavagna al posto nostro per qualche giorno? Non voglio mollare Kaori a casa da sola, lei non sa difendersi e non vorrei che le capitasse qualcosa.”

Ridendo, sbeffeggiandolo, Mick lasciò il suo posto, dandogli una pacca sulla spalla. “Tranquillo, socio, ci penso io a City Hunter, tu guarda di non fare qualche minchiata come portartela a letto…” gli fece l’occhiolino. “Aspetta che sia tornata grande per sedurla, stallone!”

L’americano corse via, mentre lo sweeper di Shinjuku teneva tra le mani tremanti di rabbia la sua Python.

 

A Kaori piacevano i film. Seduta sul divano, passò i successivi giorni a consumare ogni videocassetta e DVD che lui avesse reputati consoni alla sua visione, mentre la sua collezione privata se ne stava in camera da letto, ben nascosta, in modo che lei non la potesse trovare: Ryo non sapeva il perché, ma non voleva che Kaori pensasse che lui era un maiale, un porco, un pervertito… desiderava che eli avesse una buona opinione di lui, quasi nella speranza che si potesse ricordare, tornata adulta, che lui poteva essere un uomo  migliore di quello che appariva con tutte.

Mentre si beveva il caffè, la guardò di sottecchi seduta sul divano, sospirando; da una parte, se avere a che fare con un’adolescente era solo quello, era sollevato, quasi quasi non gli sarebbe dispiaciuto avere una figlia così, preferibilmente da Kaori, dall’altro, c’erano dei momenti in cui desiderava davvero tanto uscire da quella stanza, da quella casa, e rifugiarsi al poligono lontano da lei, che non si rendeva conto di che genere di tentazione rappresentasse per gli elementi di sesso maschile.

Posò la tazza nel lavandino e la raggiunse, picchiettandole sulla spalla lasciata scoperta dall’ampia maglietta, che lasciava ben intendere come nemmeno quel giorno non indossasse il reggiseno – sì, aveva decisamente bisogno del poligono se non voleva saltarle addosso.

“Senti, ti spiace rimanere sola un’oretta?  Ho un lavoro da fare…” le disse, rimanendo sul vago, decidendo che essere onesto, ammettere cioè che lui la frustrazione sessuale verso la rossa erano anni che la teneva sotto controllo svuotando caricatore dopo caricatore nel suo poligono personale, non fosse un’idea così brillante.

Lei si limitò a scrollare le spalle – oggi era uno di quei giorni in cui lei era di cattivo umore, scontrosa, poco collaborativa: in una parola, un’adolescente, ma tutto sommato i suoi sbalzi non erano così male, aveva visto di peggio – e Ryo prese la giacca e se ne andò di sotto, a provare e riprovare il suo colpo da maestro che però di riuscirgli non ne voleva sapere proprio. Lei era troppo nella sua mentre, era preoccupato, era eccitato, una parte di lui si chiedeva se Rui fosse stata onesta e se davvero alla prossima luna nuova sarebbe tornata sé stessa, la sua Kaori… ormai mancavano meno di due settimane al fatidico giorno.

Sua… sorrise appena pensò a quell’aggettivo. Sì, Lei era sua ed era ora che fosse onesto. Si ripromise di chiudere quel discorso iniziato nella radura, di non fare più passi indietro, di darle quel bacio che ormai erano anni che lei attendeva. Ripensò agli amici che negli anni si erano sposati: sì, adesso capiva come avessero avuto ragione, come le loro compagne li avessero cambiati in meglio, quanto la sua vita con Kaori fosse già cambiata e come potesse ancora farlo. All’improvviso, la prospettiva di svegliarsi ogni mattina con la stessa donna nel letto fu molto, molto allettante, e Ryo riprese a sparare, i colpi che fluivano dalla pistola quasi fossero stati un’estensione del suo stesso essere, colpendo con precisione certosina il bersaglio sempre nello stesso punto.

Rilassato, quasi in pace con sé stesso, Ryo tornò di sopra, controllando l’orologio: era passata poco più di un’ora. Spalancò la porta con un sorriso sornione sulle labbra, immaginandosi quella stessa scena da lì a qualche settimana, quando, se qualcuno lassù lo avesse amato, lui e Kaori sarebbero stati una coppia… poteva vedersi rincasare mentre lei era ai fornelli, lui l’avrebbe raggiunta, le avrebbe baciato quel collo meraviglioso che lo attizzava ancora di più di certe forme esagerate di alcune donne, e lei si sarebbe voltata nel suo abbraccio. Si sarebbero baciati mentre lui spegnava i fornelli e avrebbero finito per fare l’amore sul divano o magari sul tavolo…

Scrollò il capo per darsi una regolata, ricordandosi che Kaori era ancora adolescente quindi sarebbe stato meglio non farsi vedere nella sua versione da maniaco pervertito, quando tuttavia si rese conto del totale silenzio che aleggiava in casa.

Niente tv. Niente acqua che scrosciava. Niente pentolame che tintinnava.

Andò nelle camera da letto: nulla.

Salì in terrazza: c’era ancora meno lì.

Col cuore in gola, Ryo corse a perdifiato fuori, iniziò a guardarsi intorno, andò da Mick, passò al Cat’s Eye, raccomandò a tutti di chiamarlo se l’avessero vista. Sudava freddo ed era in preda al terrore, non sapeva cosa fosse successo, dove potesse essere andata… forse qualcuno l’aveva rapita? Aveva aperto la porta a degli sconosciuti?

Tornò a casa, come Miki, gli aveva suggerito, immaginando che lei fosse solo andata a fare un giro da qualche parte, e si sedette sul divano, al buio, con la testa tra le mani: cosa avrebbe fatto senza di lei, se le fosse accaduto qualcosa?  Fuori stava diventando buio e lui non sapeva cosa fosse accaduto, dove fosse, con chi… era così che Kaori si sentiva, notte dopo notte, quando lui usciva senza dirle nulla, senza farle sapere con chi andasse, quali locali frequentasse?  Come aveva potuto farle una cosa simile? Come aveva potuto lei tollerare un simile comportamento, e anzi, attenderlo notte dopo notte col cuore sempre pieno di amore?

Erano quasi le undici quando lei aprì la porta di casa, cercando di fare il meno rumore possibile, senza accendere le luci, forse sperando di potersi poi inventare qualche balla il giorno dopo.

“Si può sapere dove diavolo eri andata?” le chiese lui accendendo la luce e standole davanti. Kaori alzò gli occhi al cielo mentre quelli di Ryo gli uscivano dalle orbite e la mandibola toccava terra.

Kaori si era tinta i capelli di biondo, dando una regolata al taglio, rendendolo ancora più ribelle e sbarazzino; si era anche fatta il trucco, pesante intorno agli occhi, e aveva scelto un rossetto appariscente che le rendeva le labbra molto succulente e sembrava quasi le rimpolpasse.

Non riusciva a staccarsi da lei. Con quegli occhi truccati, le labbra rosse ed i capelli biondi non poteva fare a meno di ricordare la volta in cui l’aveva baciata, approfittando dell’ennesima amnesia della ragazza, quando era stata Sara… il suo corpo reagì, accendendosi di desiderio proprio come quel giorno in cui l’aveva stretta tra le braccia ed era stato tentato di possederla su quel pavimento di cemento, con la fine del mondo alle loro porte.

Strinse i denti. Strinse i pugni.

La guardò freddo, violentandosi per non fare una sciocchezza, cercando di rammentare che lei era solo una ragazzina, e non la donna adulta che desiderava fare sua, ma certi giorni la differenza era così sottile che doveva sforzarsi di ricordarlo.

Alzò una mano, e lei fece un passo indietro, senza tuttavia abbassare gli occhi, con sguardo deciso, ad indicargli che non aveva paura di lui; Ryo le sorrise, mentre fece scorrere una ciocca tra le dita.

“Carino,” dovette ammettere. “Ma a meno che non sia una di quelle tinte che vanno via dopo qualche shampoo, temo che durerà comunque poco.”

Lei si appoggiò al muro, braccia dietro alla schiena a contatto con la parete. Con un lieve sorriso, tranquillizzata, mantenne lo sguardo di Ryo. “Perché, la Kaori adulta non si tinge i capelli?”

“No, lei, lei è molto semplice. Acqua e sapone. E forse per questo è così bella.” Ryo sospirò dopo quell’ammissione. Si accese una sigaretta, offrendone una a lei, che stranamente accettò, e si sistemò al fianco di Kaori. Guardava in lontananza, fuori dalle finestre, cosa non lo sapeva bene neppure lui. “Inoltre, Kaori mi rompe sempre perché fumo come una ciminiera, quindi questa cosa è davvero strana.” Le disse, accennando un sorriso.

“Ne fumo solo una ogni tanto,” ammise lei scrollando le spalle. “Hide quando lo ha scoperto me ne ha dette di tutti i colori. Non voleva nemmeno più darmi i soldi per la spesa perché aveva paura che li usassi di nascosto per comprarmi le sigarette.”

Con la mano libera, cercò incisivamente quella di Ryo, ed intrecciò le loro dita; lui abbassò lo sguardo, sorpreso, e notò gli occhi gonfi, le labbra che tremavano.

“Lui non c’è più, vero?” Gli domandò, con la voce tremante. Le sigarette semi-consumate caddero loro dalle dita, e senza che Ryo le rispondesse Kaori comprese che quel dubbio che l’aveva attanagliata per tutti quei giorni era ormai divenuto una certezza: Hide era morto, e lei non aveva più nessuno.

“Kaori…” le strinse la mano, mentre l’altra andò al viso di lei; le alzò il mento, cosicché lo potesse guardare negli occhi. “Non è tenersi tutto dentro che ti rende forte. Piangi, se vuoi…”

Anni prima le aveva detto di essere forte. Che non aveva il tempo di piangere. Per tanto, troppo tempo si era tenuta tutto dentro. Stavolta, si lasciò andare, dandogli nuovamente retta. Si lasciò scivolare a terra, pianse, urlò, gridò, versò tutte le lacrime che aveva in corpo, lo colpì al petto quasi pensasse che anche lui fosse un po’ responsabile della perdita del fratello.

E poi, si calmò. Il suo respiro si fece quieto, le lacrime si asciugarono sul bel viso e Kaori cadde in uno stato di dormiveglia. Ryo la prese in braccio e la portò nel letto, ma quando la posò tra le lenzuola, olei gli artigliò il collo, trattenendolo a sé.

“Non lasciarmi, ti prego.” Lo supplicò, troppo timida per guardarlo negli occhi, temendo forse che il suo intento potesse venire travisato, e che lui potesse leggere qualcosa di sessuale in quella richiesta. “Vorresti stringermi, per favore? Non voglio essere sola…”

Ryo la coprì, e poi si coricò sulle lenzuola, a fianco a lei, accoccolandosi contro la schiena della fanciulla. Ryo non poté che pensare che già allora sembravano essere fatti per stare insieme, che i loro corpi combaciassero, e lasciandole un casto bacio sulla chioma, così leggiero che lei pensò di esserselo immaginato, entrambi gli sweeper si addormentarono, e mentre Morfeo lo catturava, Ryo si ricordò con un sorriso che quella era la prima volta, da anni, che si addormentava nel letto di una donna..

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Capitolo 5
*** La Gattina ***


Kaori si svegliò quando il sole iniziò a baciarle la pelle chiara. Aveva caldo, e avvertiva un peso contro il proprio corpo, ed un braccio, protettivo, la tratteneva per la vita.

All’improvviso, gli avvenimenti della notte precedente le tornarono alla mente con una forza prorompente, e col volto arrossato, la ragazza sollevò il viso, timida, e incontrò il viso maturo. 

Ryo. 

Lo sweeper stava dormendo, in pace, e Kaori fu tentata di sollevarsi leggermente e sfiorarlo; i capelli ribelli lasciavano trasparire sul cuoio capelluto una profonda cicatrice: come se l’era fatta? Aveva sofferto? Lei gli era stata accanto? Lo aveva medicato?

Gli occhi scivolarono lungo i lineamenti del viso virile: leggere occhiaie – da quello che aveva capito dalle chiacchierate con gli altri membri del loro “gruppo di amici” (faceva fatica ad accettare di avere degli amici, ma ancora poi così tanti, e così particolari!) aveva capito che era uno abituato a fare le ore piccole, sia per lavoro che per divertimento. 

Sottili Rughe d’espressione, che non facevano altro che far aumentare il suo fascino di “uomo maturo”, per quanto fosse ancora abbastanza giovane. 

Pelle naturalmente olivastra, chissà, forse non era un Giapponese puro sangue, ma soprattutto, la bocca.

Kaori si morse le labbra e sospirò, fissando quella bocca succulenta, carnosa. Quelle mezzelune la tentavano, e lei era come stregata, calamitata verso quel frutto proibito. 

Non aveva mai baciato un ragazzo. 

Non sapeva come si facesse- anche se immaginava che l’istinto avrebbe sopperito a quella mancanza – ma soprattutto non sapeva cosa avrebbe provato. 

O, se non avesse resistito alla tentazione, cosa Ryo avrebbe detto se si fosse svegliato. Come avrebbe fatto a guardarlo ancora negli occhi se non lo avesse fatto. 

Sospirò di nuovo, coprendosi meglio, e fissando il soffitto. Non per la prima volta si chiese cosa ci facesse lei con Ryo: perché vivere insieme? Certo, lui diceva che erano soci, ma da quello che aveva capito lo era stato anche con Hide, e non avevano certo vissuto insieme. La cosa la turbava…no,  turbata non era la parola giusta. Era… curiosa? Nemmeno. Semplicemente, non la comprendeva. Come si giustificava quando portava a casa uno spasimante? E Ryo, cosa diceva alle donne che frequentava? Accettavano così facilmente la presenza di una ragazza con cui lui non aveva legami di sangue?

Aveva il vago sospetto che lui le stesse nascondendo qualcosa, un qualche dato fondamentale, ma temeva il modo in cui avrebbe potuto incanalare il discorso, e come lui avrebbe potuto svicolare. 

Nel sonno, Ryo borbottò qualcosa, e la strinse ancora più forte. Kaori, invece, rifuggiva il riposo, incapace di capire cosa volesse e se lo potesse avere o meno. 

E soprattutto, se volesse tentare di averlo….

 

Nella settimana successiva presero una routine a cui, tuttavia, erano già parzialmente abituati, nonostante Kaori non lo ricordasse; dopo la storia della tinta ai capelli (nonostante non fosse esattamente quello il motivo per cui si era arrabbiato con lei), la ragazza aveva dato segno di essere abbastanza matura da sapersi gestire da sola. Ryo aveva perciò accettato un paio di casi, nonostante il senso di preoccupazione che lo attanagliava comunque, continuando ad andare col pensiero a quella ragazzina che a casa cucinava e puliva esattamente come la vecchia Kaori: aveva lavorato anche con un uomo, aveva lasciato che i clienti dormissero da Mick, e non aveva fatto il donnaiolo con nessuna. Non ci riusciva, era troppo perso nel suo mondo interiore.

Parte di lui era sollevata: ormai mancavano solo pochi giorni a quando, se Rui non si fosse sbagliata, sarebbe tornato tutto come prima, e già lui avvertiva un senso, una parvenza della loro vecchia vita insieme. 

Eppure, c’era qualcosa che lo opprimeva, una sensazione al cuore, come una stretta che avvertiva ogni volta che lei lo guardava di sfuggita, sperando… in che cosa? Non lo sapeva nemmeno lui. E Ryo non era nemmeno certo di volerlo sapere  se doveva essere sincero. 

Aveva continuato a guardarla dormire di notte, un paio di volte si era anche coricato sopra le coperte abbracciandola, mentre lei, nel sonno, piangeva, o era preda degli incubi, E Ryo viveva quei momenti con sentimenti contrastanti: se da un lato  Kaori- la sua Kaori, la donna adulta- gli mancava, dall’altro si chiedeva se lei gli avrebbe mai permesso tanta familiarità; negli anni era sempre stata lei a consolare lui, a raggiungerlo quando il suo cuore era tormentato da qualcosa. A parole lui non era mai stato troppo bravo, nessuno gli aveva nemmeno mai insegnato come si dimostrasse di tenere a qualcuno, e col carattere che aveva non era mai stato chissà che a consolare. 

Quello era sempre stato il ruolo di Kaori. 

E adesso si stavano invertendo le parti. 

E per di più, lui non sapeva davvero come comportarsi con lei. Gli era diventato dolorosamente chiaro che, al pari della Sugar di tanti anni prima, anche questa si fosse presa una sbandata – anzi, forse stavolta era anche peggio. Tanti anni prima Kaori aveva solo visto attimi, spruzzi del brav’uomo che Ryo si era sempre rifiutato di essere, ma diversamente, si era comportando facendo battutacce, il cascamorto con tutte, sfottendola… adesso, forse per l’amore che aveva coltivato per lei negli anni, o forse perché sentiva quanto lei avesse bisogno, nonostante lo negasse apertamente, Ryo era stato un cavaliere dalla lucente armatura, uomo disponibile, a tratti forse anche romantico.

Kaori si stava nuovamente innamorando di lui. E lui non sapeva come gestire la cosa- non lo aveva mai capito con la versione adulta, lo sapeva ancora meno con quella adolescenziale. 

Grattandosi il capo, Ryo, a tarda notte, finalmente aprì la porta di casa.  Difendere, su incarico di Saeko, quell’inventore da strapazzo lo aveva aiutato a distarsi per un po’, ma adesso che tornava a casa la battaglia interiore iniziava nuovamente da capo. E cosa peggiore di tutte: la luce che filtrava da sotto la porta ed il mormorio del televisore indicavano che lei fosse ancora sveglia. 

Pregò con tutto sé stesso che non volesse parlare, che non volesse intavolare una discussione. 

Pregò che fosse magicamente tornata sé stessa, nonostante sapesse che fosse troppo presto, perché Kaori gli mancava, gli mancava tutto di lei, anche e perfino le martellate che si beccava in testa, quel sintomo di quella gelosia un po’ malata, che mai avrebbe ammesso di provare. 

Alzò gli occhi al cielo, borbottando tra sé e sé, lamentando la sua vita ingrata, e percorse la distanza che lo divideva dal divano dove lei era seduta, avvolta in un plaid morbido, a guardare un film; sullo schermo, due protagonisti, giovani, pistole in pugno, sul tavolino, candele, bibite e popcorn.

“Che guardi?” le chiese, spaparanzandosi accanto a lei sul divano, ma a debita distanza onde evitare tentazioni – quel profumo di vaniglia lo stava soffocando, gli ottenebrava la ragione, era come se esistesse lei e lei sola - e afferrando una manciata di pop-corn. Senza farsi problemi, Ryo parlò con la bocca piena. La vecchia Kaori ci era abituata, quella giovane, doveva capire che lui non era quell’emblema di perfezione romantica che si stava immaginando. 

“La spia che mi amava,” ammise lei, mettendosi in bocca una manciata di pop-corn. Ryo alzò un sopracciglio, guardandola bene: aveva una casacca bianca addosso. Lieto che fosse un thriller, o comunque un film di azione, e poi James Bond era accettabile, Ryo, braccia incrociate, si mise a seguire il film con lei. 

A circa metà del film, però, iniziò ad intuire che qualcosa non stava andando esattamente come pensava: le loro mani si erano più volte casualmente sfiorate nella ciotola dei pop-corn, e lei era la prima volta arrossita, timida vergine inesperta, ma le volte successive, sempre arrossita, gli aveva però lanciato un timido sorriso; Kaori continuava ad avvicinarsi a lui, lentamente ma inesorabilmente, ora il fragile e delicato corpo era praticamente attaccato al suo; la coperta era lentamente scivolata, lasciando intravedere ciò che fino ad un attimo prima aveva celato, ovvero non la casacca di un pigiama ma una camicia da uomo, una sua camicia, che la ragazza chiaramente indossava senza reggiseno, un dato di fatto certificato da quei bottoni lasciati aperti che gli permettevano di intravedere la valle tra i due seni. 

E poi era successo il patatrac. 

Sullo schermo, Roger Moore amoreggiava con la sua bella, un focoso bacio in cui si lasciava intendere che lui stesse rimuovendo gli abiti della donna, una scena che suggeriva l’amplesso che sarebbe seguito. Ryo, ormai digiuno di sesso da tanto, troppo tempo, che nemmeno aveva potuto indulgere nel piacere solitario da quando lei era tornata adolescente, terrorizzato a dismisura di essere scoperto, avvertì il suo membro guizzare nei boxer, solleticato dalla visione di quella maglietta aderente che veniva alzata mentre gli amanti a malapena riuscivano a staccarsi l’uno dall’altra. Avvertì su di sé lo sguardo di Kaori, e si fece piccolo, piccolo, chiuse gli occhi, aspettando che lei lo punisse per il suo comportamento lascivo, ma non accadde nulla. 

Riaprì le iridi scure, stupefatto da cosa vide davanti a sé, ed il suo cuore perse un battito, o forse tutti quanti. 

Lei lo stava fissando, il labbro tremulo, le gote arrossate, il respiro che flebile le lasciva la bocca. Sembrava febbricitante, e forse lo era. La coperta era scivolata del tutto a terra, e ora lei gli stava davanti con indosso solo una camicia che le arrivava fino a metà coscia, e forse nient’altro.

Stava lì, fissandogli la bocca. 

Stava lì, una mano alla gola, quasi temesse che il respiro le sarebbe venuto a mancare. 

Stava lì, con il cuore che le batteva a mille, il fiatone quasi avesse corso una maratona, il seno, acerbo ma già degno di nota, che si abbassava e si alzava con un ritmo convulso. 

Ryo non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. Lui era l’adulto, lui era l’uomo maturo: sarebbe toccato a lui mettere a posto quella situazione, ma non era certo di riuscirci. 

Kaori si morse il labbro, mentre, con lo sguardo, lo accarezzava, studiando ogni suo muscolo, il tessuto teso dei capi, la pelle che immaginava calda sotto ai suoi polpastrelli. 

Gli occhi color nocciola arrivarono al basso ventre, dove la sua erezione stava minacciando di sfuggire al controllo dello sweeper, e lei ebbe un sussulto. Ryo voltò lo sguardo altrove, arrossendo un po’, sperando che quella visione, il comprendere che tipo d’uomo fosse, uno guidato dai più bassi e infimi istinti carnali, l’avrebbe fermata, ma invece che una secchiata d’acqua fredda, quella visione fu come una scarica elettrica per la libido della giovane fanciulla. 

Kaori si mise a carponi sul divano, protendendosi verso di lui, e Ryo tentò la fuga, ma lei era già sopra di lui, che gli allacciava le braccia al collo,  e gli stava a cavalcioni; l’intimità della fanciulla, a malapena celata da un leggiero slip di pizzo blu notte, sfregava contro il cavallo dei jeans di lui. 

Mentre Ryo apriva e chiudeva i pugni ai fianchi, cercando di controllare il proprio bioritmo, lei si abbassò su di lui, e l’uomo avvertì il fiato caldo all’orecchio, mentre lei faceva scorrere le dita affusolate nella sua criniera scura. Abbassò una mano, che andò sulla maglietta attillata rossa, posandosi sul cuore dello sweeper. 

“Lo so cosa dicono, Ryo… che ci vogliamo ma che siamo tutti e due troppo timidi o spaventati per fare la prima mossa, ma…” prese una pausa, e gli morse il lobo. A Ryo mancò il fiato, mentre tutto il suo sangue si riversava nel suo membro d’acciaio. “Io voglio te, e tu vuoi me… lasciamoci andare, solo per stanotte…”

La camicia si abbassò, e Ryo ebbe la conferma al 100% che no,  Kaori non indossava il reggiseno. Prese un profondo respiro, singhiozzando, possedendo ora la certezza matematica assoluta che sarebbe andato all’inferno, e che, ben fosse stato in Paradiso, Maki lo avrebbe raggiunto per torturarlo per bene. 

Non avrebbe dovuto. Non era in sé. Era solo una ragazzina. 

Ma ogni volta che se lo ripeteva, la mente gli ribadiva che quella era Kaori. Lo era sempre stata. 

La voleva. Ma una volta ottenuto ciò che da anni anelava, avrebbe ancora potuto guardarla negli occhi?

No. 

Kaori lo amava. Lo aveva amato da ragazzina, di un amore adolescenziale. E quell’amore con gli anni era cresciuto e maturato: quando le loro labbra si erano cercate attraverso quel freddo vetro, Kaori era ormai divenuta la sua donna da tempo- nel nome se non nel corpo. Lo aveva atteso. Si era dedicata a lui. Si era…. Promessa a lui. Conservata per lui. Ryo non l’avrebbe derubata della sua – loro- prima notte in quel modo, con una scopata sul divano mentre lei era prigioniera di un corpo adolescenziale e prona ad agire in base ai picchi ormonali. 

Con rinnovata decisione, le pose le mani sulle spalle, e la spinse giù da sé. Kaori si sedette sul lato opposto del divano, mentre lui si alzò, e nella penombra andò a versarsi un bicchiere di whisky, poi tornò da lei. Le si sedette davanti, sul tavolino, cercando di afferrarle le dita, ma lei mise le mani in grembo, volgendo lo sguardo altrove, umiliata, ferita, vergognosa. 

“Kaori…” lui iniziò, passandosi una mano tra i capelli. Cercava le parole adatte. Non voleva ferirla. Non voleva mentirle. “Kaori, ascolta. Io… io ti amo ma…”

“Ma cosa?” gli domandò, quasi stizzita, la voce stridula ed acuta, che rimbombava nell’appartamento in cui vivevano soli. “Se mi ami perché non mi vuoi dare quello che entrambi vogliamo? Ho sentito cosa dicono, Ryo! L’altro giorno al Cat’s Eye Kasumi spettegolava con Reika, credevano che non le sentissi… hanno detto che io… che io sono ancora vergine perché ti aspetto, ma che tu preferisci andare dietro a tutte le altre!”

“No, non è così!” col cuore a mille, le mise le mani sulle spalle, obbligandola a guardargli di nuovo negli occhi: Kaori doveva sapere. Doveva capire che non stava mentendo. 

“Okay, forse lo era prima, ma, credimi, io so cosa voglio, ed è te… cioè, lei… insomma, io ti voglio Kaori,” Ammise lui, abbassando lo sguardo, come se fosse timido, e passandosi una mano nei capelli. “E anche tanto, da impazzire, ma non così. Non ora. Non quando non sei la mia Kaori.” 

Le mise una mano sulla nuca, e lei sospirò, e finalmente cercò gli occhi di lui: grandi, caldi, pieni di emozione, sembravano scuro miele. 

Lei gli si gettò addosso, nascondendo il viso nell’incavo del collo di lui, che prese ad accarezzarle i capelli, soffici e morbidi proprio come ricordava, come aveva a lungo fantasticato. La strinse forte a sé, cullandola fino a che non credette che si fosse addormentata. Fece per prenderla in braccio per portarla a letto, ma Kaori lo strinse con maggiore forza, lasciandogli nella pelle il segno delle unghie. 

“Ryo… lo supplicò, con le lacrime nella sua dolce ed innocente voce. “Ryo, promettimi che non te ne dimenticherai. Che mi ami e che mi vuoi. Promettimi che non scapperai più..” 

Fece cenno di sì, senza dire una parola, e la strinse forte. La cullò ancora, e ancora e ancora e ancora, fino a che lei non cadde addormentata. La portò nel suo letto, e rimase a vegliarla, consumando una sigaretta dopo l’altra, fino alle prime luci dell’alba.

Nel cielo, c’era l’ultimo quarto di luna. 

Se Rui avesse avuto ragione, la notte successiva lei sarebbe tornata da lui. 

E forse, sarebbe tornato tutto com’era prima – o forse, finalmente, avrebbe avuto ciò che da anni entrambi desideravano: non più Ryo, non più Kaori… ma Ryo e Kaori.

 

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Capitolo 6
*** Luna Nuova ***


L’ultimo giorno di Kaori come sedicenne “ad honorem”, come aveva scherzosamente detto Mick un giorno al Cat’s Eye, la ragazza lo passò da sola; dopo quel tentativo di seduzione Ryo non si era più fatto vedere, forse ancora turbato da cosa lei aveva tentato di fare la notte prima, terrorizzato all’idea che Kaori  potesse voler tentare un nuovo approccio. Non fu mai sola, perché tutti i loro amici si dettero il cambio  per stare con lei, ma Kaori non riusciva ad essere in sé, né a controllarsi del tutto, il pensiero sempre rivolto a Ryo, a come era stato bello stare tra le sue braccia la notte, quanto si sentisse amata e protetta quando era con lui.

Passò la giornata al buio, in un angolo, con lo sguardo perso nel vuoto e le mani in grembo, le lacrime e  un nodo in gola che non volevano saperne di uscire.

Alle cinque del pomeriggio, Miki la raggiunse sul divano, porgendole un toast su un piattino ed un bicchiere di latte; subito la rossa lo rifiutò, ma la donna non disse nulla, si limitò a rimanerle accanto e a guardarla con un sorriso.

Alla fine, timida, con lo stomaco che brontolava ed i morsi della fame, con le guance arrossate, Kaori prese il panino, ed iniziò a mordicchiarlo, dando piccoli morsi quasi fosse stata un criceto.

“Tutto bene? Sei stata molto silenziosa oggi…” Kaori afferrò il bicchiere di latte e lo trangugiò tutto di un fiato, facendo sorridere la donna che aveva scoperto essere la sua migliore amica. Dalla cucina proveniva rumore di piatti: Falcon, il marito di lei, stava preparando cena. “Sei preoccupata per domani?”

Kaori, con le mani in grembo, fece cenno di sì con la testa. Guardò Miki per dirle qualcosa, ma poi decise che era meglio di no, poi fece per parlare di nuovo e di nuovo fu colta da un improvviso attacco di codardia o forse di timidezza.

“Si tratta di Ryo, allora? Sei preoccupata per lui?” le domandò la donna con estrema gentilezza. “Ti manca, vero?”

Kaori fece un lungo respiro, che fu tuttavia un’ottima risposta per l’ex mercenaria; Miki non pressò ulteriormente la giovane Kaori, si limitò a guardarla, attendendo che lei si aprisse, cosa che, eventualmente, accadde, dal momento che la giovane sentiva quasi il bisogno fisiologico di riempire quel silenzio che le pareva colmo di imbarazzo.

“Lui... Lui dice che lotterà per me… che se non ricorderò nulla lui affronterà comunque la questione, ma…” ammise, la voce poco più di un sussurro. Si voltò verso la cucina, una mano sul cuore, quasi a volersi premurare che ciò che lei e Miki si sarebbero dette sarebbe rimasto soltanto fra loro due.  “Sono stata così felice con lui in questi giorni, Miki…. Come potrei non volere la stessa cosa per la me adulta?”

La mercenaria non disse nulla, non rispose; ma quando Kaori scoppiò a piangere, la abbracciò, e le accarezzo il capo. Cinque minuti ed era nel mondo dei sogni, stremata da quel pianto liberatorio.

Ed intanto, la giornata era passata, e giunta la sera, mentre la luna nuova sorgeva, Miki e Falcon lasciavano l’appartamento, incontrando Ryo sul pianerottolo; la mercenaria lo guardava con un’espressione di sfida, mentre Falcon faceva fatica a nascondere un lieve sorriso. Passò accanto al nemico-amico, posandogli una mano sulla spalla e sussurrandogli che adesso era ora di essere coraggiosi e vivere quell’amore.

Ryo sospirò. Sapeva che Falcon aveva ragione ma non era certo di essere in grado- o degno – di vivere una relazione a tutti gli effetti con una donna come Kaori. Gettando la giacca su una sedia, raggiunse il divano dove la vide raggomitolata, e quando si rese conto di cosa era accaduto, non poté fare a meno di sorridere, lanciandole un’occhiata compiaciuta: la maglietta era corta e lasciava intravedere una striscia di pelle all’altezza dell’ombelico, ed il tessuto tirava sul seno, mettendo in mostra le grazie che Madre Natura aveva donato a Kaori, non più adolescente ma nuovamente adulta.

Lei era tornata, proprio come aveva detto la leggenda.

Ryo si appuntò di  chiedere scusa a Rui quando fosse tornata dal viaggio in Grecia che le sorelle speravano le avrebbe condotte alla tomba del padre, in modo da potergli dare finalmente degna sepoltura, accanto all’amata madre, ed un luogo dove piangere la famiglia che avevano perso così presto che Ai non aveva il benché minimo ricordo dei genitori.

Ryo si abbassò su Kaori, lasciandole un bacio sulla fronte; la donna, addormentata, stringeva inconsciamente il ciondolo che Ryo le aveva donato contenente la sua foto, e la cosa gli risollevò l’animo, ma gli donò una nuova risolutezza che prima temeva di aver perso. Ryo era felice, fiero che lei tenesse così tanto a quell’oggetto, così tanto che decise che il cerchietto d’oro avrebbe riposato per sempre nella vallata in mezzo ai seni della donna.

La prese in braccio, per portarla di nuovo nella sua camera da letto, e lei si strinse a lui, mugugnando come una gattina. La posò sulle lenzuola, e fece per darle un altro bacio sulla pelle ma lei lo spiazzò; Kaori dischiuse leggermente gli occhi, e fece soccorre una mano tra i capelli scuri dell’uomo mentre gli sorrideva.

“Sono tornata, Ryo….” Mormorò mezza addormentata. “Sono tornata e ricordo tutto…”  

La mano della donna le ricadde sul fianco, e gli occhi si chiusero, mentre il respiro di Kaori si faceva sempre più regolare.

Ryo, col cuore che batteva pazzo, martellante, uscì dalla stanza, appoggiandosi con la schiena contro il muro, la mente invasa da mille e più pensieri.

 

Come ogni notte, il cielo di Tokyo era così pieno di luci artificiali da impedire la visione delle stelle, eppure lo sweeper cercava risposte nel firmamento. Appoggiato alla ringhiera, Ryo, la sigaretta in mano che lentamente si spegneva, le dita ingiallite dal filtro, guardava col cuore in gola la sua amata città, chiedendosi cosa ne sarebbe stato del futuro, e se sarebbe mai più stato in grado di guardare Kaori in volto dopo ciò che era accaduto. Avrebbe perdonato quell’attimo di debolezza quando aveva quasi ceduto al desiderio? O sarebbe stato il suo rifiuto a convincerla a lasciarlo per sempre? Oppure la donna avrebbe compreso la buona fede del socio, decidendolo di dare ad entrambi una seconda possibilità?

Ciò che più preoccupava Ryo era il modo in cui, la sera prima, le si era negato. L’aveva rifiutata, e lei lo sapeva, era bastata quella semplice parola, ricordo, e lui non avrebbe osato raccontarle delle fredde menzogne, conscio che Kaori avrebbe capito. Lo sweeper si chiese se la giovane donna comprendesse quella sua scelta, tanto dolorosa perché sì, una parte di lui era stata quasi tentata di rispondere a quel bacio, di scoprire cosa nascondesse la fanciulla sotto a quella camicia troppo grande per lei. Perché sì, quello era il corpo di Kaori sedicenne, ma il suo cuore era rimasto, negli anni, immutato: dolce e puro, vedeva anche nell’anima più nera un barlume di speranza, una flebile fiammella che lei stessa alimentava, toccando i cuori con il suo animo puro e luminoso. 

Ryo mugugnò mentre si grattava la testa: odiava il senso di confusione ed incertezza che gli salva dentro quando si trattava di Kaori; non era mai stato così con nessuna, solo lei aveva quest’effetto su di lui.

Un leggero rumore attirò la sua attenzione, la porta che, cigolando, si apriva. Ryo sorrise quando sentì i passi quieti di Kaori, ed il suo cuore si rianimò a tal punto che fu per un attimo tentato di versare lacrime di gioia: perdonava qualsiasi cosa lui potesse averle fatto, comprendeva le sue ragioni, e forse, forse, intendeva dargli un’altra possibilità.

Amarla era ancora possibile.

Fermo nella sua posizione, voltò leggermente il capo, e gettò la sigaretta a terra, spegnendola col piede, mentre lei lo raggiungeva. Vestita leggera, forse già col pigiama, era scalza, e teneva una coperta sulle spalle come a ripararsi della leggera frescura serale, che a settembre iniziava a farsi sentire.

Stettero l’una accanto all’altro in silenzio, godendosi la vista, il vocio che arrivava dalla strada; era tarda notte, eppure Shinjuku pullulava di vita, come e più che durante il giorno, le sue mille insegne al neon, le musiche dei locali che attiravano la gente come farfalle che cercano la luce della candela nella notte più buia.

In quella bolla di pace, la mente di Kaori vagò alle settimane passate con Ryo, a come la lei adolescente avesse cercato di irretirlo, guidata da un’irrazionale ed istintiva attrazione, e da un calore che non partiva dal ventre, ma dal cuore, per prendere possesso del suo intero essere. La lei ragazzina aveva avuto il coraggio di fare ciò che la sua versione adulta, sminuita da anni di non troppo velati insulti, non aveva mai osato fare, aveva desiderato corteggiarlo, sedurlo…

E quel desiderio, Kaori, ora di nuovo padrona del proprio corpo, lo sentiva ancora prepotente: che fosse questo ciò che era stata destinata a capire, con quello strambo viaggio a ritroso nel tempo? Che Ryo sarebbe stato sempre una parte importante della sua vita, che il suo amore per lui, sbocciato quando era ragazzina, e rimasto addormentato per tanti anni per fiorire una volta che era divenuta adulta,  era così radicato che niente e nessuno avrebbe mai potuto sradicarlo, nemmeno lo stesso sweeper, o le avversità della vita?

Con le guance arrossate dall’emozione ed il cuore che le martellava nel petto, Kaori finalmente osò alzare lo sguardo verso di lui, che la osservava un po’ confuso; la donna fece un paio di passi indietro, tornando dalla porta, e si voltò verso il suo socio.

“Potresti venire sotto, per favore? Dobbiamo parlare…” gli disse con calma e tranquillità, ed un sorriso sul volto che lo rinfrancò e lo colmò di speranza che gli fece capire che, qualunque fosse stata la scelta di Kaori, per lui sarebbe andata bene, che loro sarebbero stati bene, qualunque cosa fosse potuta accadere: sapeva che, nonostante lei lo amasse, non poteva pretendere che le cose tra loro cambiassero subito, non si aspettava certo che Kaori, dopo quell’incidente, lo accettaste immediatamente come compagno di vita. Con tutte le sofferenze che nel tempo le aveva inflitto, gli insulti, le cattiverie piccole e grandi, avrebbe dovuto lavorare sodo per guadagnarsi la fiducia di Kaori e farla capire che con lei stavolta faceva sul serio e che non voleva più essere un codardo.

Ci avrebbe messo parecchio, Ryo ne era pienamente consapevole, ma non gli importava: non avrebbe più ceduto nel suo proposito, ora che sapeva esattamente cosa voleva e quanto valesse, l’avrebbe conquistata e nel frattempo si sarebbe accontentato di essere il suo socio ed esserle amico. Ma col tempo, Kaori sarebbe divenuta la sua famiglia, non sorella o madre surrogata, ma bensì sposa, solo di nome, ma quello sarebbe stato il loro punto di partenza.

Entrò nel loro appartamento, chiudendosi la porta alle spalle, e lo sweeper avvertì il cuore in gola quando vide lo spettacolo che lo stava attendendo: la casa era avvolta dalla luce soffusa delle candele profumate, sul tavolino da caffè spiccava una profumata ciotola di pop-corn, il fotogramma statico di un film – la spia che mi amava - svettava sullo schermo, indicazione che il registratore era acceso, e Kaori, che aveva fatto scivolare a terra la coperta, indossava una sua camicia – la stessa che l’irruenta Sugar aveva scelto per il suo tentativo di seduzione.

Un leggero sorriso apparve sul suo volto: Kaori stava sfruttando un po’ della sfrontatezza che era stata della lei ragazzina per portare a termine il suo lavoro di seduzione.

Ma stavolta c’era qualcosa in più a rendere quell’atmosfera magica e solo loro, un qualcosa  che fece capire a Ryo che stavolta Kaori sarebbe andata fino in fondo. La giovane donna teneva in mano un balloon riempito di liquore, che faceva ondeggiare facendo danzare il liquido rossastro, il cui profumo lo colpì con forza, come un pugno allo stomaco, sovrastando ogni altro aroma nella stanza.

Non era liquore, era un cocktail… pericoloso, ma che faceva faville coi palati giusti.

L’atmosfera era la stessa della sera precedente, ma stavolta, Ryo era con la donna giusta, una donna che, con quel piccolo tocco in più, si dimostrava determinata e dolce, e lo attendeva sul divano con quel sorriso, a braccia aperte ed il cuore colmo d’amore… no, decise fermamente mentre chiudeva la distanza tra di loro, raggiungendola con un’agonizzante calma, averla nella sua vita come socia ed amica non gli sarebbe più bastato: la certezza che lei lo volesse ancora, con la stessa intensità di sempre, di prima, lo spronò a combattere perché potessero, finalmente, vivere quell’amore il più presto possibile.

Kaori lo amava – e l’unico modo per essere degno di quel sentimento era ricambiarlo, donarsi a lei come lei si donava a lui, tanto nei piccoli quanto nei grandi gesti. Era giunto il momento si mettere di fare l’idiota.

Fissandolo negli occhi, Kaori assaporò il drink, e mentre lei si leccava le labbra per non lasciare sfuggire nemmeno una goccia, Ryo le tolse il bicchiere di mano, e sfiorando con le labbra lo stesso punto da cui lei aveva bevuto, quasi si stessero finalmente baciando sul serio, incatenato al suo sguardo, lentamente bevve il loro drink, L’XYZ, il rum e la vodka al lampone che gli bruciavano la gola, facendolo sentire vivo, intraprendente…*

Accettava il caso, quella sfida: vivere per la donna che amava.

Ryo si sedette sul divano, il braccio disteso lungo lo schienale, le dita che le solleticavano i capelli corti, ed i loro occhi si incontrarono, caldi, frementi di desiderio ma soprattutto di amore; Ryo rimase incantato dal modo in cui lei, ancora intimidita, forse irrazionalmente spaventata da una sua possibile reazione, si mordeva le labbra e tirava l’orlo della camicia per coprire quanta più pelle possibile.

 “Stai forse cercando di sedurmi, Kaori?” Spavaldo, le pose la fatidica domanda, mentre portò la mano che non stava giocherellando con i capelli della giovane al mento di Kaori, sollevandolo prima di avventarsi su di lei. Non la baciò, tuttavia: si limitò a sussurrare, caldo e roco, al suo orecchio quanto non ce ne fosse alcun bisogno, prima di stuzzicarle il lobo con i denti e la lingua, facendola impazzire. Kaori gli saltò letteralmente addosso,  artigliò i suoi capelli, avventandosi sulla bocca dell’uomo come una creatura famelica, prendendosi cosa aveva sempre ritenuto suo di diritto ma di cui troppe altre donne negli anni avevano goduto: adesso era il suo momento.

Le mani di lui frugavano sotto al tessuto della camicia, tirarono i lembi di stoffa fino a far strappare i bottoni, lacerando il tessuto e lasciando Kaori esposta al suo sguardo dolce ma famelico; e mentre lei, guidata dall’istinto dell’amore, accarezzava la pelle calda del petto di lui, martoriato dalle cicatrici di tante battaglie, lui lasciviava una scia di umidi e caldi baci ovunque le sue labbra potessero toccare, sussurrando roco quelle parole che lei, da quel giorno in cui lo aveva visto ragazzina, aveva sempre desiderato ascoltare – parole che lei ripeté a lui, mentre sfiorava con le labbra il suo cuore, avvertendo il suo battito impazzito per lei sola.

Mia, per sempre mia.

Mio, per sempre mio.

 

* ndr: L’XYZ reale è 273 di rum, 173 di triple sec, un liquore trasparente all’arancia, e una spruzzata di succo di lime. Dato che L’XYZ mostratoci nell’anime è rosato ho sostituito il triple sec con vodka al lampone ;)

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