Il silenzio oltre le dune - 砂丘の後黙

di H0sh1
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 🌵0-Di germoglio e di fiamma🌵 ***
Capitolo 2: *** 🌵1- Dune all'orizzonte (1)🌵 ***
Capitolo 3: *** 🌵1- Dune all'orizzonte (2)🌵 ***
Capitolo 4: *** 🌵2-Piena fiducia🌵 ***
Capitolo 5: *** 🌵3-Gabbia d'oro🌵 ***



Capitolo 1
*** 🌵0-Di germoglio e di fiamma🌵 ***


Prologo

- Di germoglio e di fiamma -

Non vi è dolore più grande di quello nato da una convinzione spezzata.

Questione di una notte, una conoscenza appena accennata e nata da effimere parole imbarazzate. Poi un sorriso, un gesto gentile, una parola rassicurante ed ecco che ciò che era parso come il più difficile dei momenti si trasforma. Il timore di affrontare l'ignoto risulta essere un ostacolo insormontabile quando si affronta la bestia per la prima volta.

È giunto il momento, venuto nel peggiore dei modi.

Preda di una cieca insicurezza, il ragazzo rimane in silenzio pensando a qualcosa da dire, ma pare che nulla sembri appropriato. Il tempo scorre finché entrambi non parlano nello stesso istante e tutto sembra andare male. Tuttavia, basta poco e la conversazione si fa piacevole, un felice scambio di punti di vista su argomenti non proprio importanti ma che mettono a loro agio chi conversa. È allora che inizia a nascere qualcosa, tra polvere e sabbia: un piccolo germoglio. Il giovane non ne conosce ancora bene l'origine, ma anche nell'ignoranza la piantina cresce e fiorisce. Riesce per un frangente a vedersi con la donna seduta lì di fronte, in un futuro non troppo lontano; un frangente brevissimo, veloce come lo sbattere d'ali d'un colibrì.

È una sensazione nuova, gradevole.

Poi il ragazzo torna alla realtà, si ridimensiona e tira le somme. In fondo, non è poi così male, è questa la conclusione a cui arriva.

Ma quando poi l'illusione si spezza, subentra la delusione e il germoglio appassisce: seccano le foglie, si imbruniscono e finiscono col morire. Per quanto voglia allontanarne il pensiero, raccogliendo le foglioline marce disfacendosene, non può di certo negare che ci sia stato.

E in un frangente della sua vita tanto delicato lei gli è stato vicino, forse più di chiunque altro, e con la sua presenza ha reso il tutto un po' più sopportabile. Ciò, di certo, non sfugge ai suoi occhi e non dimentica il bene ricevuto. E allora inizia a conviverci, si convince prima di poter fronteggiare la bestia e poi di superare la delusione, restando infine in attesa di un nuovo scontro con il demone e con un pegno di gratitudine da restituire.

Non vi è atto più nobile del sacrificio.

La vita segue i suoi tempi e nulla è estraneo all'animo. Alcuni, più di altri, riescono a toccare le corde del fragile cuore umano, che rischia di infrangersi al minimo cenno.

Una vita passata a guardare da lontano e la testa piena di domande che la ragazza non ha mai avuto il coraggio di fare; mille le occasioni di cercare le risposte, ma mai sufficiente il coraggio per perseguirle. E quando ciò accade, finalmente, la giovane rimpiange di non averlo mai fatto: chissà se le cose sarebbero andate diversamente. Cordiale, lì di fronte a lei, sembra essere imbarazzato nel vivere una situazione che sembra non essergli familiare; è solo l'ombra di ciò che ha sempre osservato con timorosa curiosità, tramutatasi poi in ammirazione d'oro, ed è la parte migliore di lui. E allora, lentamente, inizia ad avvicinarglisi finché qualcosa, nel fragile cuore di cristallo, non si accende: una fiamma. Inaspettata, calda, inizia a rischiarare le pareti di vetro dell'animo e irradia ogni cosa. È lì, si alimenta con quell'ammirazione che ha attraversato una nuova metamorfosi, covata però da un religioso silenzio. Lui non sembra essere alimentato dallo stesso calore: è molto più fievole, non arde con la stessa intensità della sua.

E quando sopraggiunge la consapevolezza, subentra il sacrificio. Va bene così, posso conviverci, inizia a pensare e, per un instante, odia quella fiamma che scoppietta nel cuore. Ma continua a proteggerla con estrema cura nella gabbia di vetro, timorosa di vederla infrangersi.

All'improvviso, poi, un forte vento la minaccia e tutto vacilla.

Grava della sua pena, questa si appesantisce quando lui viene promesso come sposo. Egli non sembra esserne felice e, per un attimo, la fiamma minaccia di strabordare e rompere il cristallo, ma la ragazza la soffoca, mettendola da parte al cospetto del grande tormento del ragazzo. Indossa un sorriso mentre il cuore piange, e l'animo corre in soccorso della fonte di quel calore custodito con così tanta gelosia. Gli sta vicino, lo aiuta prima ad oltrepassare quella montagna che pare essere invalicabile e ancora, poi, quando la tempesta passa.

È doloroso essere vicino a ciò che più si brama e sapere di non poterlo afferrare, ma lo sarebbe ancor di più se la giovane non potesse beneficiarne affatto. Così, continua a portare determinata il fardello sulle spalle, nel nome di ciò che sfiora dolcemente le corde dell'animo.

* * *

NBl'ispirazione per la scrittura della storia è arrivata non solo dagli eventi susseguitisi nella serie "Naruto" e "Naruto Shippūden" bensì anche (e per la maggior parte) dal romanzo "Gaara Hiden- Miraggio in una tempesta di sabbia", dedicato appunto a Gaara e al matrimonio combinato organizzato per lui dai saggi del villaggio.

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Capitolo 2
*** 🌵1- Dune all'orizzonte (1)🌵 ***


Capitolo 1

- Dune all'orizzonte -
(1)

La sabbia fredda si insinuò tra le falangi della solitaria figura seduta sul colle, in balia del vento mattutino che flagellava la fiancata della duna e dei deboli raggi del sole nascente. La luce corse ad illuminare pian piano un placido scenario, baciando la sommità della cinta muraria del Villaggio della Sabbia e il viso del silenzioso osservatore; egli strizzò leggermente gli occhi chiarissimi in due fessure, schermandosi dal loro lieve tepore e inspirando a fondo la brezza frizzante del primo mattino. Tale panorama innestò in lui un profondo senso di pace, qualcosa che poteva fare suo solo su quel colletto, nei pochi momenti in cui svestiva i panni di guida e indossava quelli di un comune giovane.

Attese, guardando il sole fare capolino mentre le dita si muovevano tra i granelli e il vento fischiava nelle orecchie; quando la luce sovrastò il manto azzurro, la accolse con un leggero sorriso. Si alzò allora da terra, ripulendosi i pantaloni dalla sabbia e gettò un ultimo sguardo ai piedi della Collina del Vento per poi approcciarsi al fianco per la discesa.

Varcò le porte del villaggio e si immise sul corso principale, osservando incuriosito il lieve movimento che aveva iniziato ad animare le strade: i negozianti, svegliatisi di buon ora, procedevano ad aprire bottega, i ninja si incamminavano verso le proprie mansioni così come diversi uomini e donne. Quando questi gli passavano accanto, lo salutavano con un largo sorriso e in pochi profondi inchini, che egli ricambiava con altrettanta cortesia; c'era serenità, nei loro occhi, ciò che per lui era monito di un passato ormai lontano e dimenticato, un tempo fatto di paura, rabbia e sangue. Quando era indifeso, odiato, quando anelava ad una sola cosa: amore.

Gli era sempre stato negato e per un lungo periodo aveva creduto che lui fosse l'unico essere in grado di poter provare amore verso se stesso. Tuttavia, riteneva quel lungo calvario il giusto prezzo per tutto ciò che la vita gli aveva donato: chi un tempo era temuto, ora era la luce più splendida del Paese del Vento.

Il suo cammino subì una deviazione, arrivato a circa metà del corso. Svoltò verso destra, imboccando una scalinata a chiocciola, al chiuso di un edificio circolare, la quale lo portaò a percorrere un ponticello di roccia e stucco. A metà, sorreggendosi al parapetto in legno, diede uno sguardo in basso, attirato dalle urla e dagli schiamazzi dei ragazzini che, con tutta probabilità, erano diretti verso l'accademia. Proseguì fino ad entrare in una stanza circolare, abitata solo da due uomini vestiti della divisa ufficiale degli shinobi del villaggio. Uno di essi, seduto al grosso tavolo che si stagliava al centro dell'ambiente alzò lo sguardo, accortosi della nuova presenza.

«Buongiorno, Kazekage. Di buon ora anche questa mattina, vedo» lo accolse, invitandolo a farsi avanti. Aveva la testa avvolta da una cuffia simil turbante e gli occhi nocciola gli sorrisero.

«Salve, Gaara, cosa vi porta qui?» si aggiunse l'altro, smettendo d'improvviso di osservare fuori dalle grandi aperture inframezzate da spesse colonne, che regalavano una considerevole vista sui tetti del villaggio.

«Sto aspettando una lettera dal daimyō del Fuoco, mi chiedevo se fosse arrivata» si pronunciò Gaara, avanzando di qualche passo; la piccola giara che aveva ancorata al fianco sbatacchiò ad ogni falcata.

«Ah, sì, è arrivata ieri sera sul tardi. Non l'hai ritirata tu, Sōtaro?»

«Sì, prima di smontare il turno. La recupero subito, aspettate un attimo.»

Il ninja che rispondeva al nome di Sōtaro lasciò il suo posto alla balaustra. Aggirando il tavolo e il suo compagno, raggiunse una libreria alla destra di Gaara e si mise a frugare in uno degli scaffali fino a tirarne fuori una busta bianca. Soddisfatto, gli si accostò, porgendogliela.

«Vi ringrazio infinitamente» disse il Kazekage cordiale, prendendo la lettera dalle mani di Sōtaro, il quale si ritrasse di qualche passo, infilandosi una mano in tasca.

«Ci aspettavamo vostra sorella o vostro fratello per il ritiro» constatò, passandosi una mano sui corti capelli castani.

«Vero, di solito sono loro a venire» si aggiunse l'uomo seduto al tavolo, giocherellando con la penna che teneva stretta in pugno.

«Passavo di qui, ho fatto una deviazione» rispose Gaara quieto, infilandosi la lettera nella tasca destra dei pantaloni.

«Ad ogni modo, è stata una visita gradita» esclamò gioviale l'uomo di rimando, scansando uno dei fogli che erano sparpagliati sulla superficie lignea a cui era seduto.

«Salutate Temari e Kankurō, appena li vedete» avanzò Sōtaro, seguendo la figura del ragazzo portarsi verso l'uscita della voliera.

«Senz'altro, ne saranno lieti» annuì il Kazekage, senza trattenere un lieve sorriso.

Salutando i due shinobi, ripercorse il ponte e le scale a ritroso, riprendendo la rotta principale e imboccando infine l'entrata della magione. Arrivato nel proprio studio, tuttavia, si sorprese nel notare un'imponente figura sostare di fronte la scrivania in perfetto ordine. Fermo con la mani giunte dietro la schiena, l'uomo spostava il peso da una gamba all'altra, accompagnato dal fruscio della lunga tonaca marrone che indossava.

«Baki, hai bisogno di qualcosa?» lo chiamò Gaara, entrando all'interno dell'accogliente ambiente, chiudendosi la porta alle spalle.

L'uomo si voltò allora con uno scatto, trasalendo nell'udirlo. Sospirò appena, poggiandosi con la mano sul bordo di una delle due sedute che c'erano di fronte la scrivania. «Volevo sapere se per caso il daimyō ti avesse fatto recapitare una risposta.»

«Sono di ritorno proprio dalla voliera» rispose il giovane tirando fuori la busta, ormai leggermente stropicciata.

Fece cenno al suo vecchio istruttore di prendere posto mentre lui lo aggirò per sedersi sulla poltrona, aprendo finalmente la lettera. Prese a leggerla velocemente mentre Baki, in trepida attesa, attendeva che finisse.

«Allora? Spero tutto bene» soffiò, allungando le braccia lungo i sostegni laterali della poltroncina. Si sentì sollevato quando il suo ex allievo, sollevando il capo, gli fece un cenno d'assenso.

«Chiede un incontro formale per ufficializzare l'accordo.» Ripiegò con attenzione il foglio, riponendolo nel suo scrigno di nobile carta.

«È un bene, finalmente una buona notizia da portare in consiglio» spirò l'altro, liberandosi di tutta la tensione accumulata.

Gaara convenne con lui, turbato però da un inquieto pensiero. «Spero di cuore che non si sollevino obiezioni, questa volta.»

Baki lo osservò con cipiglio confuso, artigliando i braccioli scuri con le falangi. «È una proposta più che giusta, per quale motivo dovrebbero?»

«Ultimamente sembrano non essere mai d'accordo su nulla» rispose Gaara con un leggero sospiro; voltò la sedia girevole e osservò le nuvole percorrere l'azzurro del cielo. «capisco vogliano essere prudenti, ma di certo non possiamo più rimandare il problema.»

«Li ho visti abbastanza scossi, la settimana scorsa.» Gaara girò il capo per tornare a guarda il suo ex istruttore che, nel mentre, aveva incrociato le braccia al petto e aveva inarcato un sopracciglio. «Fidati, l'hanno capito.»

«Lo spero bene, non voglio far decadere l'intero villaggio per renderglielo chiaro.»

L'uomo esplose in una risata gutturale, stringendosi nelle spalle. «Fortunatamente non ce n'è sarà bisogno. Tireranno un sospiro di sollievo lontano da sguardi indiscreti, dopo il consiglio.»

* * *

All'orizzonte, l'azzurro del cielo terso si buttava a capofitto nell'avorio della sabbia, sovrastando il gruppo di cinque elementi intenti a procedere ad andatura lenta, sotto il sole cocente. Tre giovani genin camminavano davanti ad un pover'uomo in là con gli anni, annichilito dalla torrida calura, mentre la loro istruttrice chiudeva il gruppo. Quest'ultima levò una mano per schermarsi gli occhi d'ametista dalle fitte dolorose del sole mentre l'udito captava il chiacchiericcio spensierato dei suoi piccoli allievi; sorrise, ascoltando le loro voci concitate, la risata della ragazzetta e lo sbuffo del vecchio. Controllò la posizione dell'astro diurno e prese a guardarsi intorno finché non scorse un piccolo spiazzo in ombra, ai piedi di una collinetta.

«Dirigiamoci verso quella zona coperta, a ore due. Dobbiamo fermarci» ordinò poi, richiamando i ragazzini. Una ciocca di capelli violini, sfuggita dalla coda alta, andò ad incorniciarle il viso paffutello.

I genin, udendola, si voltarono verso di lei con i visetti perplessi, assieme al signore che appariva pesantemente provato dalla fatica, con il sudore che gli imperlava la fronte grinzosa.

«Maestra Kimiko, ne è sicura?» domandò il giovane shinobi sulla sinistra. I lunghi capelli castani ricadevano sugli occhietti scuri, recandogli non poco fastidio.

«È passato parecchio, dall'ultima sosta.»

«Vorrà scherzare, siamo così vicini!» esclamò allora l'uomo di rimando, la voce rachitica. Un moto di tosse gli scrollò il petto e l'anziano si schermò prontamente la bocca con il palmo della mano, deturpata e macchiata dall'età inesorabile.

Con un'alzata di spalle, la jōnin si ritrovò a ricordare loro di quanto quel particolare bioma sapesse essere estremamente spietato, persino mortale; non lo avrebbe mai dimenticato, non dopo aver provato sulla propria pelle i rischi che si potevano correre se si avesse avuto l'ardire di sfidare a muso duro la crudeltà del deserto. Al solo pensiero, scosse il capo; prese allora a frugare nella borsa che portava con sé, scansando di lato la lunga naginata che aveva fissa sulla schiena e ne tirò fuori una borraccia colma d'acqua. Si accostò all'uomo passandogliela, il quale prese a bere avide sorsate, dando sollievo immediato alla gola arida.

«Se volete prendervi una bella insolazione sì, possiamo anche continuare» li ammonì la ragazza, senza tuttavia ostentare alcuna traccia di un secco rimprovero. Accolse il ringraziamento dell'anziano con un dolce sorriso, aggiungendo: «ma non è bello, per niente. Parola mia.»

Il gruppo, allora, si accampò, trovando così un effimero ristoro all'ombra: i giovani shinobi continuavano a sventolarsi con foga le mani di fronte al viso nel tentativo di scacciare l'afa che li assaliva mentre, di fianco a lei, l'uomo si accasciò a terra, posando la valigetta nera con cui viaggiava. Quello prese un fazzoletto bianco nascosto in una delle tasche della casacca marrone e si ripulì dalle perle di sale che facevano a gara lungo le meningi.

Era la stessa con la quale egli si era presentato la mattina precedente, quando Gaara l'aveva convocata nel proprio studio per assegnare una missione alla sua squadra: Enji, un noto farmacista del villaggio, avrebbe dovuto scortare una speciale pianta medica presso uno dei borghi nel Paese del Fiume, ma per la rarità e il valore che contraddistinguevano il carico era sorto nell'uomo il cruccio che briganti o malviventi potessero avere intenzione di depredarlo.

Sarebbe stata una semplice missione di scorta, ma la tranquillità che aveva aleggiato per tutta la durata del viaggio non le aveva permesso d'esser altrettanto serena come avrebbe voluto: era rimasta costantemente sulle spine, vigile, e aveva scrutato con attenzione i dintorni, ma era parso che niente o nessuno avesse deciso di dar loro noia.

Un sospiro stanco soffiò fuori dalle labbra di Kimiko che, china all'indietro, teneva le palme delle mani affondate nella sabbia calda mentre la testa era tornata indietro di diverso tempo, all'epoca in cui risiedeva la disavventura che l'aveva portata a riprendere i suoi allievi poco prima. Fu un attimo che le parve di sentire la fronte scottarle; te la sei cercata, avresti dovuto seguire i consigli che Gaara ti ha dato, l'aveva canzonata suo fratello che, quando poteva, le aveva tenuto compagnia. D'un tratto si fece nuovamente strada lo sguardo ammonitore di Gaara e la grossa risata esplosa nella gola di Kankurō quando erano venuti a vedere come stesse. Ricordò come il marionettista non avesse aspettato un solo istante per rinfacciarle la sua negligenza e lei gli aveva rifilato una gomitata nello sterno per metterlo a tacere.

Le immagini, però, andarono in frantumi poco dopo essere riemerse.

Passi.

Il resto del gruppo sembrò non essersi accorto del leggero fruscio e del rumore attutito di passi che affondavano nel manto sabbioso. Kimiko tornò in un battito di ciglia all'erta, l'orecchio teso per catturare un ulteriore suono finché quello non arrivò lieve, dandole così conferma di non essere soli.

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Capitolo 3
*** 🌵1- Dune all'orizzonte (2)🌵 ***


Capitolo 1

- Dune all'orizzonte -
(2)

Lasciò il proprio studio chiudendosi la porta alle spalle e si incamminò verso la Sala del Consiglio che, al suo arrivo, scoprì essere ancora vuota. Tirò un leggero sospiro di sollievo: nei saggi insorgeva sempre il buon umore quando lo vedevano presentarsi in anticipo.

Si portò di fronte una delle finestre circolari che regalavano una vista dall'alto dei tetti del villaggio, perdendosi per un po' nella confusione portata dalle persone che passeggiavano o correvano, immerse nella loro quotidianità. Ebbe come l'impressione di avere un paio di occhi puntati addosso e, d'istinto, si voltò in direzione delle statue dei Kazekage alle sue spalle, che svettavano dietro l'immenso tavolo rotondo attorno a cui si riunivano in consiglio. Il suo sguardo azzurro si posò sulla penultima della fila, quella che più tra tutte, un tempo, lo faceva sentire a disagio: le severe iridi di pietra di Rasa, affilate come un rasoio, parevano giudicarlo dall'alto.

Non era mai riuscito a vedere in lui una figura paterna: l'odio del padre nei suoi confronti non gli aveva mai dato la possibilità di stringere un qualche rapporto umano. Una parte di sé, però, tendeva a ringraziarlo, in quanto quei sentimenti così negativi che gli avevano trafitto l'animo lo avevano forgiato nell'uomo che era diventato.

Vittima dei ricordi affiorati, ne venne distolto quando il cigolio del pesante portone lo richiamò alla realtà, annunciando l'arrivo degli anziani che entrarono con passo strascicato, uno dopo l'altro. Lanciando un'ultima occhiata al colosso con le fattezze di suo padre, lasciò la sua stasi per raggiungere i commensali, aspettando che tutti prendessero posto.

«Se siete d'accordo, direi di dare inizio alla riunione» proclamò infine con garbo, dopo aver dato loro il suo personale benvenuto. Per un attimo, vagando tra i presenti, incrociò lo sguardo di Baki che gli parve piuttosto provato.

«Allora direi di iniziare con il bilancio mensile» esordì proprio quello, con una certa angustia nella voce. «come penso immaginerete, le entrate hanno registrato un ulteriore calo. Dobbiamo mobilitarci, non possiamo andare avanti così ancora per molto.»

La situazione che il villaggio stava vivendo in quel momento non era delle più rosee: la guerra aveva portato un impoverimento delle risorse e del denaro, che era stato impiegato per fronteggiare la minaccia. Risollevarsi era ancora molto arduo; inoltre, moltissimi shinobi avevano perso la vita nel conflitto e sempre più persone si sentivano scoraggiate dall'intraprendere un cammino tanto glorificante quanto infido. Erano settimane che non si parlava d'altro, e Gaara iniziava a sentirsi anche lui provato dalla tenacia dei vecchi consiglieri.

«È evidente, Baki» fu il commento sterile che si levò dall'uomo gracilino seduto di fronte al Kazekage, vestito di grigio. «non riusciremo più a sostenere le spese.»

«Continuo a credere fermamente che la soluzione ideale sarebbe persuaderlo» proclamò Gaara, rompendo così il suo lugubre silenzio e riportando in auge un vecchio discorso. «sappiamo che l'interesse del daimyō è diminuito dopo il conflitto, ma possiamo fare qualcosa per risollevarlo.»

«Non starete ancora pensando d'invitarlo qui?» inveì sdegnato un altro, battendo con foga il pugno chiuso e raggrinzito sulla superficie liscia del tavolo.

Gaara raccolse allora tutto ciò che aveva per fronteggiare l'astio del quale quell'esternazione era impregnata: il daimyō del Paese del Vento aveva una nomea non proprio linda, conosciuto sopratutto per la grande avidità che lo contraddistingueva, sostanzialmente un uomo che perpetrava la sua vita solo per la gioia che il denaro gli donava.

«Non provoca neanche il mio entusiasmo, ma ora come ora credo sia l'unica soluzione plausibile.»

«Gli shinobi diminuiscono giorno dopo giorno, senza contare che la nostra è una terra sterile. Non è molto invitante per un nuovo meschino come lui ed è sempre stato difficile che tenesse fede ai suoi doveri di Signore.»

«Non per questo dobbiamo desistere dal provare a fargli cambiare idea» lo interruppe Gaara, segretamente irritato. «inoltre, mi è stata finalmente recapitata la decisione del daimyō del Paese del Fuoco riguardo i territori fertili al confine. Ha dato il suo benestare, e nei prossimi giorni mi recherò a Konoha per un incontro privato per discutere gli ultimi risvolti.»

«Lei pensa sul serio che questo sia sufficiente?» rispose un uomo calato in una tunica cerulea, visibilmente scettico. «Territori fertili? Pensate davvero che questo possa salvarci?»

«Da qualche parte si dovrà pur iniziare. Non credo ci sia bisogno di ricordarvi che anche le nostre fonti di sustentamento stanno subendo un grave tracollo. Se non facciamo qualcosa, la mancanza di denaro non sarà l'unico dei nostri problemi, senza contare che gli shinobi che abbiamo possono essere un buon incentivo» ribatté il Kazekage, cercando di sovrastarlo senza tuttavia scomporsi.

«Gli shinobi saranno anche diminuiti, ma i rapporti decantano delle abilità niente male.» Fu Hirofumi a parlare, l'uomo più giovane e forse l'unico oltre Baki che riponeva fiducia nelle capacità del loro capo villaggio.

Seguì un chiacchiericcio generale dove ognuno si sbracciò per poter far valere la propria opinione e Gaara lasciò correre per un po', prima di richiamare tutti all'ordine.

«Date le circostanze, se il Consiglio è d'accordo, mi appresterò a far recapitare al nostro daimyō un invito ufficiale. Mi rimetto al vostro giudizio.»

Baki e Hirofumi, che erano seduto di fronte a lui, furono i primi a ritenersi favorevoli e, una dopo l'altra, tutte le mani che accerchiavano quel tavolo si alzarono all'unanimità.

«Così sia. Allora? Qual è il prossimo punto?» riprese poi Gaara, sollevato.

«Abbiamo un'altra questione spinosa» enunciò Baki, rivolgendosi direttamente al Kazekage. «sono stato avvisato dai nostri uomini di frontiera dell'avvistamento di gruppi sospetti, all'esterno del villaggio.»

La notizia provocò un nuovo brusio convulso che scosse la commissione.

«Sono corsi al loro inseguimento?» La voce del più anziano si levò alta su tutte le altre, provocando così lo scemare della discussione andata nuovamente fuori controllo.

«Sì, signore, ma sono riusciti a fuggire» oppugnò Baki, piccato dalla sciocca domanda dettata forse dal puro sconcerto.

«Potrebbero essere viandanti?»

«Quali viaggiatori si aggirerebbero nei pressi di un villaggio senza entravi per trovare ristoro?» pronunciò Gaara, pensieroso. «Sono stati riscontrati segni particolari?»

«Secondo ciò che mi è stato riferito, sembravano essere abbigliati come abitanti del deserto, ma oltre questo nulla, il buio non ha consentito di vedere molto» rispose l'ex istruttore, fortemente desolato.

«Va bene, ciò non toglie che vadano presi provvedimenti a riguardo» proclamò il Kazekage, serioso e scuro in viso. «raddoppieremo la sicurezza sui confini, voglio che le vedette siano di pattuglia ventiquattro ore su ventiquattro.»

Un cenno d'assenso si levò dagli uomini e Gaara tirò infine un lungo sospiro.

Quando la seduta fu sciolta, gli anziani lasciarono la Sala del Consiglio così come erano arrivati, claudicanti e silenziosi, lasciando Baki e Gaara come unici presenti al cospetto dei precedenti Kazekage. L'ex istruttore si alzò dal proprio posto e si avvicinò al suo allievo, complimentandosi per il lavoro svolto.

«Sai come sono fatti, non prendertela troppo. Fai del tuo meglio» lo rassicurò, posandogli una mano sulla spalla.

«Grazie per il supporto, come sempre» lo ringraziò quello, con un sorriso stanco. «torna pure a casa.»

Così dicendo, Gaara si alzò dalla propria postazione e lasciò la stanza, ormai rischiarata dal sole calante che la tinse di arancio. L'esito della riunione vorticò nella sua mente senza sosta, fu il compagno che lo seguì fino a casa. L'idea che potessero essere shinobi traditori, o peggio, si fece strada nel suo animo, ma decise di accantonare quel pensiero e rincasare.

Impossibile, sarebbe il colmo, pensò poi tra sé e sé, varcando la soglia di casa e chiudendo via quel pensiero sgradevole dietro l'uscio.

* * *

Riuscì ad individuare per tempo l'ombra di un uomo che cercava di calare sul vecchio dalla sommità della duna. I tre genin, allarmati, scattarono in piedi seguendo l'esempio dell'istruttrice che, veloce, aveva recuperato la naginata piantata al suolo. Impugnandola in una stretta presa, caricò una stangata in direzione dell'assalitore, costringendolo così ad indietreggiare prima che potesse mettere mani sul prezioso carico verso cui si era fiondato. A quello se ne aggiunsero altri due, rimasti celati nelle tenebre che avevano iniziato ad allungarsi sull'arido paesaggio.

«Prendetela!» sentenziò colui che aveva provato la prima offesa, indicando la valigetta avvolta dai granelli di sabbia.

L'anziano farmacista allora corse incontro alla ventiquattrore, riacciuffandola con un balzo e sottraendola così agli aggressori.

Però, veloce per la sua età.

«Ragazzi, proteggete il signor Enji» ordinò perentoria, gli occhi ridotti a due fessure.

«Conti su di noi, maestra!» ribatté in risposta uno dei ragazzi, il più mingherlino della compagnia. Il trio andò ad accerchiare l'anziano, cercando di tenere a bada le due figure ben più grandi che incombevano su di loro.

L'avversario di Kimiko, invece, strinse con forza quello che aveva tutta l'aria di essere un kunai, pronto ad attaccare. Si gettò verso di lei, che riuscì ad evitare l'impatto e lo face incespicare; Kimiko sentì lo sferragliare del metallo alle sue spalle, segno che i suoi ragazzi avevano iniziato a combattere.

«A quanto pare sei tu, il capo banda» sentenziò l'uomo a denti stretti, ritrovando finalmente il proprio equilibrio; dai suoi movimenti, era chiaro non avesse ricevuto alcun tipo di addestramento.

Kimiko buttò una fugace occhiata sui genin che sembrava se la stessero cavando piuttosto bene, ad eccezione di Tsubaki: piccola nelle spalle, si era ritratta verso l'anziano, il quale stringeva ancora la valigetta; gli occhi del vecchio, contornati dalle rughe, schizzavano da una parte all'altra impauriti. La jōnin dovette reprimere però l'impulso di correre dalla bimbetta e aiutarla a risvegliarsi dal suo torpore.

«Già, e non ti farò andare oltre» oppugnò la giovane, inarcando un sopracciglio.

Urtato, egli si buttò nel tentativo di un altro attacco; Kimiko alzò prontamente l'asta della naginata, intercettando il colpo e fermandolo a pochi centimetri dal viso. Con una spinta, lo fece indietreggiare e piantò l'arma al suolo, pronta ad intrecciare vari sigilli con le mani: uccello, serpente, pecora, scimmia, cane.

Arte del Vento: corrente ascendente.

D'un tratto, i flussi ventosi che soffiavano sulle lande mutarono sotto la sua volontà e precipitarono verso il basso, aumentando la velocità fino a diventare una raffica incontenibile che si rialzò da terra e travolse il suo nemico. Sbaragliato dalla potenza d'urto, l'alta figura volò diversi metri più indietro, incidendo nella sabbia il segno del suo passaggio e battendo infine con forza il capo sul terreno. Quando Kimiko si rese conto che non si sarebbe più rialzato, impugnò nuovamente l'arma con uno sbuffo e corse incontro ai propri allievi.

Si parò di fronte Hisato – il ragazzo dalla zazzera scura – che pareva essere in estrema difficoltà; lo allontanò dall'avversario quanto bastava per potergli permettere di intrecciare i sigilli e dar vita ad una forte scarica elettrica, che superò la maestra e paralizzò il nemico. Poco distante, l'ultimo membro della piccola congrega sembrò esser stato finalmente sbaragliato da Nori: il ragazzino aveva lanciato contro l'uomo diversi shuriken che vennero per lo più schivati. Kimiko spalancò gli occhi nell'osservare che due di quelli cambiarono la traiettoria all'ultimo e colpirono l'obiettivo alla schiena, in due punti non vitali che lo portarono però a soccombere.

«Io lo sapevo che sarebbe successo!» esclamò ad un certo punto il signor Enji, quando il silenzio fu calato nuovamente sul deserto.

Kimiko rilasciò un secondo e più sonoro sbuffo di frustrazione. Pensò alla svelta cosa fare dei tre assalitori: tornare indietro, dopo il lungo viaggio, non era possibile, erano troppo vicini alla meta. C'era solo una cosa che poteva essere fatta.

Kimiko chiese allora a Hisato e Nori di aiutarla a raggruppare gli assalitori, privi di sensi, e incaricò Tsubaki di prendersi cura del vecchio, profondamente sconvolto dall'impeto della vicenda.

«Cosa facciamo, maestra?» chiese Tsubaki con un filo di voce, come se avesse paura di parlare: la vergogna era andata a tingerle le guanciotte e, nel vederlo, un moto di apprensione crebbe nell'animo della kunoichi.

«Chiamiamo i rinforzi, non possiamo tornare indietro» rispose Kimiko in preda allo sforzo.

Lei sapeva più di tutti che Gaara sperava la cosa si risolvesse senza problemi: avvisarlo e addossargli l'ennesima grana da risolvere le fece venire un tuffo al cuore, ma non vedeva altra soluzione. Prima di fare una qualsiasi altra mossa, intimò ai propri allievi di allontanarsi dai corpi esanimi, prima di intrecciare velocemente altri sigilli: cinghiale, drago, bue, drago, cavallo.

Arte della Terra: prigione inespugnabile.

Al suo comando, richiamate dalle profonde asperità nel terreno, spesse pareti rocciose si innalzarono a formare un piccolo forte, che rinchiuse i tre uomini nella sua oscurità. Tirò poi fuori da una delle tasche della pettorina un piccolo rotolo, assieme ad un pennello e un calamaio. Si sedette al suolo, posizionando la pergamena sulle ginocchia e alzò il capo, fissando le stelle che avevano iniziato a fare capolino nel cielo. Segnò la loro posizione con titubanza sulla carta ruvida – alzando più e più volte il capo per assicurarsi di non star sbagliando – e rimise tutto al proprio posto. Infilò il piccolo rotolo tra i denti per avere le mani libere e si ferì il pollice.

Dalla sottile nube che si era alzata dalla sabbia, quando aveva impattato il suolo con il palmo della mano, ne uscì fuori un grosso volatile che si adagiò con malagrazia sul terreno. Affondò gli artigli affilati tra i granelli d'avorio, guardandola con aria stralunata.

«Ohilà, Miko. Che hai combinato? Cos'è che devo sistemare?» gracchiò il rapace infastidito, scrutando la sua padrona con i piccoli occhietti nascosti dietro il lungo becco graffiato.

«Perché deve sempre essere la prima cosa che tutti pensano?» sospirò scoraggiata l'altra, massaggiandosi la fronte. «no, questa volta no, non devi sistemare niente.»

Il grosso uccello si lisciò le belle piume nere e bianche con disinvoltura, mentre ascoltava il motivo per il quale era stato richiamato: «Dovresti consegnare con assoluta urgenza un messaggio a Gaara.»

Il condor smise all'istante di sistemarsi il manto delle ali, incrociando gli occhietti neri e smaliziati nelle iridi d'ametista dell'altra, non senza prima aver gettato un'occhiata alla fortezza di roccia poco distante.

«Adesso? Ti pare il caso di scambiarsi messaggini in un momento come questo?» crocidò l'uccello, ammiccando proprio al fortino alle sue spalle. Kimiko contrasse la mascella, reprimendo l'impulso di assestargli un colpo di naginata sulla cresta carnosa.

«Guarda, non ti spenno vivo solo perché mi servi» sibilò. «non sei affatto divertente, spero tu lo sappia.»

Gli fece poi cenno di avvicinarsi di più. Zappettando con il petto piumato all'infuori, il rapace si portò a poca distanza dalla ragazza, alzando uno zampetto per permetterle di legare il rotolo.

«Sai cosa è divertente? Vedere il fumo che ti esce dalle orecchie! Quando la prendi a male, sei esilarante!» Spiegò le ali in tutta la loro grandezza, sbattendole energicamente per mettersi in volo e partì alla volta di Suna, seguito da una colorita imprecazione da parte della padrona.

Quando il condor scomparve alla vista, Kimiko si voltò verso il quartetto e notò Tsubaki starsene in disparte dal resto dei compagni che, entusiasti, confrontavano le loro gesta in quella breve battaglia. Si tormentò le mani mentre camminava verso di lei e quando la piccola percepì che ella le si stava sedendo accanto, sussultò. Tsubaki voltò piano il capo nella sua direzione: lacrime amare offuscavano le iridi chiare, ricolme di tristezza. Kimiko le regalò un dolce sorriso consolatorio, che parve calmare per un attimo il suo animo in subbuglio.

«Cos'è successo, questa volta?» le domandò con tono estremamente gentile, dolce quanto una carezza.

«Non lo so, maestra, mi sono bloccata. Non riuscivo più a muovere le gambe, tremavano e basta» singhiozzò la genin, cercando con tutte le forze di reprimere il fiume impetuoso che era andato a bagnarle le gote arrossate.

L'istruttrice, in un gesto affettuoso, le posò una mano sui capelli a caschetto, neri come le più profonde delle ombre, lasciandole un piccolo buffetto e assecondando lo sfogo.

Kimiko rimaneva sempre intenerita da Tsubaki: era una ragazzina con grandi capacità, con un controllo del chakra pressoché perfetto, ma la paura che la ghermiva in ogni battaglia le impediva di dar sfogo a tutte le proprie capacità. Si diceva che avesse bisogno di supporto, per crescere, e lei non aveva mai avuto cuore e intenzione di negarglielo: voleva essere la sua guida, la sua luce in un mare di nebbia.

«Sono una buona a nulla» la sentì singhiozzare e quelle parole le caddero sulle spalle come un grosso macigno. Kimiko aggrottò la fronte, alquanto dispiaciuta per quell'autocritica così aspra.

«Quante volte ti ho detto di non dire così?» domandò allora, facendo in modo che Tsubaki alzasse il viso e incrociasse il suo sguardo contrariato. «criticarti pesantemente serve a poco, non ti aiuta a crescere o migliorare. Per adesso non pensarci più, va bene? Una volta tornati al villaggio, riprenderemo a lavorarci.»

Osservando l'incoraggiante sorriso che Kimiko le riservò, Tsubaki annuì decisa con il capo, asciugandosi con i pugni chiusi i rimasugli delle lacrime. La vide allora allontanarsi e ricongiungersi con i compagni, i quali presero a scherzare con lei. Erano un trio affiatato, essi stessi spronavano la ragazzina a dare il meglio ed era una cosa che le riscaldava sempre il cuore.

Ormai sola, guardò poi la gabbia che custodiva i tre assalitori e la fiamma scaturita nel petto venne oppressa da un leggero disagio.

Speriamo vada tutto per il meglio.

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Capitolo 4
*** 🌵2-Piena fiducia🌵 ***


Capitolo 2

- Piena fiducia -

Dopo aver lasciato il riparo donatoli dalla duna, il gruppo riprese il proprio viaggio, impiegando circa un'ulteriore ora per arrivare a destinazione. Prima di ripartire e abbandonare la gabbia rocciosa, Kimiko la ispezionò un'ultima volta per esser certa di non aver lasciato alcuna via di fuga alle anime che conteneva e, in via del tutto precauzionale, infuse ulteriore chakra all'interno delle pareti, rafforzando così l'intera struttura.

Dopo l'incontro avuto con gli stolti briganti, la spedizione non aveva subito nessun altro tipo di ritardo, con sommo sollievo del richiedente che non aveva smesso di guardarsi intorno con aria ancor più circospetta. Si concessero un'ultima pausa di circa venti minuti per rigenerare corpo e spirito e, dopo aver lasciato il farmacista nelle mani delle autorità del paese, il vuoto da lui lasciato permise loro di percorrere la strada del ritorno ad andatura ninja: sfrecciarono lungo le lande desertiche, sollevando polvere e sabbia, le impronte si impressero a terra come segni inequivocabili del loro passaggio. Impensierita, Kimiko guardò i propri allievi correrle di fronte nel più totale dei silenzi, forse troppo stanchi per proferire parola. Le passò per la mente la figura del fedele quanto irriverente condor, che non aveva fatto più ritorno da quando gli aveva affidato l'incarico: uno scomodo senso di disagio continuava a tormentarla, portandola a chiedersi se avesse agito per il meglio.

Poco tempo dopo che il cruccio le ebbe solleticato la mente, passarono accanto alla duna incriminata – fu in grado di riconoscerla per via dei detriti rocciosi sparsi ovunque. Li osservò spiccare dal manto sabbioso e sorrise, fiduciosa e sollevata.

Sono già passati, bene.

All'incirca un'ora dopo, riuscirono con sollievo a scorgere le porte del Villaggio della Sabbia in lontananza e, rincuorati alla sua vista e alle luci soffuse che lo circondavano, accelerarono il passo, venendo infine accolti dalle due sentinelle di guardia all'entrata del borgo.

«Avete fatto davvero un ottimo lavoro, vi siete meritati del sano riposo» pronunciò l'istruttrice con occhi pieni d'orgoglio: malgrado la giovane età, erano stati in grado di affrontare due uomini ben più grandi di loro e nel cuore di Kimiko albergava la ferma certezza che, un giorno, sarebbero diventati ottimi shinobi.

«Spero sia andato tutto per il meglio.»

Una profonda voce maschile li accolse all'imbocco della strada principale, con tono pacato che cozzava brutalmente con lo sguardo affilato che la ragazza ebbe la sfortuna di intercettare. Kimiko inarcò un sopracciglio nello scrutare la figura che stava barrando loro la strada: rigido, il ragazzo non aveva attenzione che per lei, fissandola con le ampie braccia incrociate sul petto. Pareva avere diversi anni in più; la semplice tuta nera della divisa ninja nascondeva un corpo asciutto e slanciato, la zazzera violina ricadeva scomposta sulla nuca e un codino incorniciava il lato sinistro del volto affilato. Gli occhi, nocciola e sottili, parevano volerla folgorare e le maniche tirate all'insù mostravano un sottile tatuaggio nero che correva lungo tutto il diametro del braccio sinistro, poco sotto il gomito.

«Per favore, Daichi ha già fatto la stessa insinuazione. Non ti ci mettere anche tu.» Diversamente da come fu con il rapace, un angolo della bocca le si piegò impercettibilmente all'insù in un mezzo sorriso nervoso.

I tre genin mormorarono uno stanco "salve, maestro Akinori" ed egli rispose loro facendo un cenno con la mano e sfoggiando un sorriso cordiale.

«Allora? Come è andata?» le domandò ancora, mantenendo una marmorea parvenza di calma, una mera pantomima che la ragazza reputò saggio assecondare, almeno per un po'.

«Tutto bene» confidò Kimiko di rimando, sorridendo ampiamente. La vicinanza le permise di notare la vena che pulsava ritmicamente sulla tempia. «non abbiamo avuto altri problemi.»

«Oh, ne sono felice» rispose l'altro, perfetto padrone di sé.

Egli fece poi cenno ai ragazzi di superarlo e procedere mentre Kimiko iniziò ad interrogarsi sulla ben celata natura della sua rabbia, tentando di fare mente locale. Accompagnarono allora gli allievi verso le rispettive abitazioni, osservando il brio calare a poco a poco; qui e là, le strade di calce e sabbia venivano rischiarate dalle luci delle case e dalle insegne dei negozi ancora accese, che le coloravano di varie sfumature calde.

Salutata Tsubaki e rimasti soli, la ragazza guardò Akinori di sottecchi, il quale le camminava di fianco con lo sguardo fisso di fronte a sé, l'aria adirata ancora gli aleggiava intorno.

Quel silenzio protratto la rese nervosa.

«Da uno a dieci, quanto è grave?» domandò infine, con il suo sorriso nervoso e la vana speranza che quella piega della bocca potesse in qualche modo assottigliare la coltre pungente che li abbracciava.

«Direi abbastanza» oppugnò Akinori, trafiggendola con il suo disappunto. «fortuna che Daichi era con noi.»

«Andiamo, non può essere così grave» sbottò a denti stretti l'altra, sfidando apertamente la pesantezza che quell'insinuazione trasudava.

«Ah, tu credi? La lettura delle stelle per l'orientamento è basilare. Hai idea di quanto fossero raffazzonate le tue indicazioni?» Akinori si piantò al centro della strada, arcigno, con le braccia protese in avanti in un gesto esasperato. Non riuscendo più a percepirlo accanto a sé, Kimiko si bloccò a sua volta, voltandosi: notò che reprimere la rabbia iniziava a risultargli difficoltoso – la vena sulla tempia pulsava all'impazzata. «Sei una jōnin, ora, come fai ancora a prendere tutto con così tanta leggerezza?!»

«Non prendo mai il mio lavoro sottogamba, e lo sai benissimo» ribatté, puntandogli minacciosa il dito contro.

«Eppure non mi pare, dagli stessi e deprimenti errori che continui a fare.»

Senza volerlo, trasalì: le parole del fratello le perforarono il cuore come la più letale delle stilettate. Pur sapendo che era l'ira a farlo parlare e che egli non avesse alcun controllo su di essa, si sentiva ugualmente ferita. Tentò di reprimere il tremore delle mani, ma il sospiro dell'altro le fece comprendere di aver fallito nel mascherarlo e lo vide avvicinarsi con la coda dell'occhio. Quando rialzò il capo, constatò che il dispiacere ancora albergava nel suo sguardo nocciola, ma le era comprensibile come quella stessa luce fosse alimentata da una diversa natura. Le posò una mano sul capo, scompigliandole leggermente la chioma. «Come fai a perderti sempre in un bicchiere d'acqua?» lo sentì domandare, desolato.

«Ognuno ha le proprie difficoltà» si giustificò la ragazza, stringendosi nelle spalle. «sto facendo del mio meglio.»

«Lo so bene, ma il succo è comunque lo stesso: non puoi più fare questo genere di errori.»

Akinori riprese allora a camminare, sentendo la minore andargli dietro. Lo affiancò e non gli rivolse neppure uno sguardo fugace: mortificata e colpita nell'ego, non ebbe la forza di portare avanti il discorso, impegnandosi invece per tenere a bada la frustrazione che le annodava le viscere e il familiare pizzicore che bruciava dietro le palpebre. Immersa nella sua lotta interiore, non si accorse che egli aveva abbassato il capo nel tentativo di scrutarla, ed era tuttavia rimasto in silenzio, procedendo così fino a casa. Attraversarono il vialetto ed entrarono senza far troppo rumore, il lieve cigolio della porta d'ingresso accompagnò lo spiraglio di luce esterna che illuminò parzialmente il corridoio, immerso nel buio come il resto dell'abitazione.

«Sei in gamba, è per questo che non me lo spiego.» Akinori posò una mano sulla parete per restare in equilibrio mentre si sfilava i sandali neri e li riponeva nell'angolo sotto lo scalino d'entrata mentre Kimiko si stava sedendo per poterlo imitare.

«Stai cercando di scusarti per avermi dato dell'incapace?» insinuò, tradendo un leggero fastidio. Ripose il suo paio marrone nella scarpiera di legno scuro e oltrepassò l'ingresso dell'ampia zona cucina; il tatami intrecciato panna e verde attutì i passi e lo scalino scricchiolò appena quando iniziò a risalire la rampa.

«Puoi vederla anche così, se ti va.» mormorò impacciato l'altro, talmente piano che Kimiko lo sentì a malapena.

Salirono allora le scale in punta di piedi, continuando a parlottare sottovoce mentre entrambi si preparavano per la notte. Sorvolato l'argomento, Akinori continuò con il raccontarle della sorte toccata ai tre recuperati nel deserto. Continuando a sentirlo parlare, Kimiko si disfò della divisa e indossò degli abiti più comodi, ma la sua attenzione venne presto colta da qualcos'altro: guardando fuori, scorse le finestrelle del piano più alto della magione del Kazekage, ancora accese.

«Hai visto che ora è, possibile che stia ancora lavorando?»

Akinori bloccò allora il suo racconto, ma dandogli le spalle non le era dato a vedere l'espressione che il maggiore aveva assunto.

«A quanto ho capito, Gaara ha avuto una giornata lunga» lo sentì rispondere e percepì uno strano divertimento, al quale non diede tuttavia alcun peso.

«Consiglio settimanale, vero» mormorò, fissando assente le luci sulla sommità del mastodontico edificio che dominava il villaggio. Una forte apprensione le arricciò la fronte quando la mente sfiorò il pensiero della figura solitaria che occupava quella stanza. «chissà come è andata.»

Voltandosi, riuscì a cogliere del tutto il divertimento di Akinori: un leggero sorriso gli dipingeva il volto, il primo e vero dal suo rientro al villaggio. Gli occhi, però, non sembravano accompagnarlo e parevano piuttosto mesti.

«Perché quella faccia, che ti prende?» chiese confusa, reazione che allargò il ghigno di Akinori, il quale si limitò ad alzare le braccia in segno di scuse.

Kimiko lo liquidò con un gesto della mano, lisciando le pieghe del futon. Fece per coricarsi sotto le coperte quando, ancora una volta, la voce del maggiore le arrivò all'orecchio, dall'altro capo del corridoio.

«Non dovresti stendere il rapporto?»

«Sono stanca, lo faccio domattina.»

«Non è meglio adesso?» insistette l'altro, con un angolo della bocca stranamente piegato all'insù, sbarazzino.

Kimiko si rimise allora in piedi con un sonoro sbuffo, lanciandogli un'occhiata torva e quello la osservò sornione, per nulla toccato dalla frecciata. Prese allora posto alla scrivania, accedendo la lampada che aveva accanto, rassegnata. «Spero che questo ti renda felice.»

Buttò un occhio sulla base del rapporto che aveva di fronte, rispondendo distrattamente al saluto del fratello che si chiuse il fusuma dietro. La stanchezza iniziò a farsi sentire mano a mano che le iridi scorrevano tra le righe: la testa cominciava a dolere e gli occhi a lacrimare.

Si stropicciò distrattamente gli occhi e schermò uno sbadiglio con la mano, guardando poi per un attimo lo scaffale vicino al tavolo, lì dove aveva riposto le carte astronomiche e pensò di tirarle fuori; sapeva di meritare il rimprovero del fratello e per un attimo si sentì sciocca prima che il pensiero del volto stranamente sornione di Akinori la portò a voltarsi per l'ultima volta, incontrando solo la sottile carta color crema del pannello e l'oscurità dietro di essa: avvertiva come una brutta sensazione, ma si ritenne troppo stanca per fermarsi a pensarci.

* * *

Intinse il pennello nel calamaio, sporcando così le lunghe setole chiare di inchiostro nero e portandosi sul foglio tracciò a caratteri sinuosi l'invito al villaggio destinato al loro daimyō. Le parole fluirono libere e prive dell'esitazione che muoveva lo strumento: era importante, per lui, saper operare una netta distinzione tra ciò che desiderava e ciò che era importante per il villaggio. Per quanto non fosse entusiasta di ospitare il signorotto, era conscio del fatto che fosse un'opera necessaria, al fine di garantire le basi per la rinascita di Sunagakure.

Le ultime righe vennero impresse sulla carta accompagnate dall'assordante silenzio che riempiva l'ambiente, e l'improvviso bussare andò a spezzare la concentrazione del Kazekage. Gaara fissò per un attimo la propria firma prima di invitare chiunque fosse lì fuori a farsi avanti e la sorella maggiore fu la prima a varcare la soglia. Il grande ventaglio da guerra, tenuto fermo alla pettorina grigia che montava sulla camicia lilla, oscillava pigro ad ogni passo e la ragazza scostò con uno scatto della mano i ciuffi biondi dagli occhi verdi. Procedette verso la scrivania con passo felpato e un'aria piuttosto serena. Con il viso dai lineamenti delicati e decorato da un cipiglio curioso, si slacciò il ventaglio e si issò sul bordo della scrivania, incrociando le gambe mentre Kankurō si fece avanti subito dietro di lei. Avanzò tenendo le braccia conserte sul petto, nascosto dalla tuta nera e dal cappuccio su cui sfoggiava la placchetta metallica con inciso la clessidra simbolo del villaggio. Osservandolo, gli parve di notare che l'irritazione mostrata dal maggiore la sera precedente si era affievolita di molto, anche se le spalle contratte e le sopracciglia aggrottate suggerivano il contrario.

Era rientrato nello studio poco dopo la fine del consiglio quando gli era stata recapitata la richiesta di rinforzi da parte della squadra di Kimiko e aveva convocato quella del mezzano per spedirli nel deserto. Al suo rientro, notando fosse profondamente infastidito, lo aveva spinto a rivelargli la causa del suo stato d'animo e aveva ascoltato lo sproloquio senza batter ciglio. Appena la rivedo vedi come mi sente!, aveva esclamato stizzito il marionettista e Gaara aveva provato come poteva a calmarlo, dicendogli che avrebbe parlato con Kimiko non appena ne avrebbe avuto occasione.

«Allora?» domandò Temari, adagiando le mani all'indietro e rivolgendogli uno sguardo interrogativo, probabilmente chiedendosi il perché della tanta urgenza con la quale erano stati convocati.

«Ho bisogno di parlare con voi di alcune cose» le rispose Gaara risoluto, posando finalmente il pennello sull'apposito sostegno in legno. Chiuse poi con cura la lettera in una busta candida, imprimendovi con la ceralacca il simbolo di Suna.

«Ha a che fare con il consiglio di ieri?» chiese Kankurō, guardando con interesse la busta che Gaara si stava rigirando tra le mani.

«Sì. Mi è stato riferito che, di recente, diversi gruppi di uomini si sono aggirati nei pressi delle mura esterne.»

Temari si volto con il busto verso di lui. Fece oscillare la gamba avanti e indietro a ritmo regolare e assorta confidò: «L'ho saputo oggi, prima di venire qui. Non va affatto bene, è un guaio.»

Kankurō, d'altra parte, non pareva per nulla sorpreso o scosso: essendo a capo della squadra antiterrorismo, la notizia doveva essere arrivata al suo orecchio ancor prima che la questione venisse portata in sede di consiglio. Se ne stava ritto di fronte a lui, a sorreggersi il mento tra pollice e indice con fare pensoso.

«Dovremo aumentare le difese per evitare problemi» si intromise infine. «forse converrebbe anche raddoppiare la frequenza dei cambi.»

«Era proprio di questo che volevo parlarti. Posso contare su di te?»

«Sicuro, lascia fare a me. Appena esco convocherò subito le squadre e coordineremo i turni.»

Gaara gli sorrise grato e Kankurō non poté fare a meno di ricambiare il gesto. «Un'altra cosa, vorrei affidarti un incarico delicato.»

«So già cosa vuoi chiedermi» lo anticipò l'altro, con uno strano barlume che baluginò nelle pozze nere che erano i suoi occhi. «Vuoi che indaghi su questi uomini, vero?»

Gaara incrociò le mani sopra la busta bianca e riportò tutti i dettagli che gli erano stati riferiti, in modo da potergli dare del materiale su cui iniziare le indagini. Il marionettista ascoltò con attenzione e annuiva ogni tanto con il capo, rassicurandolo infine sul fatto che se ne sarebbe occupato personalmente: chiunque fossero stati, rappresentavano una minaccia, e sia Gaara sia Temari sapevano che Kankurō si sarebbe messo in prima linea per affrontarla. L'orgoglio che egli nutriva nei confronti della sua terra lo spingeva sempre a battersi con determinazione, senza mai tirarsi indietro.

«E invece cos'è che stavi scrivendo con così tanta urgenza?» domandò Temari, lasciando che i due finissero di discutere. Anche lei, come Kankurō, non aveva smesso di guardare la lettera che Gaara stava ora stringendo tra le falangi.

«Vorrei chiedere un favore anche a te, se non ti spiace» ribatté il Kazekage, porgendola finalmente a Temari, che la studiò attentamente. «dovresti recarti dal daimyō e consegnargliela.»

«Cosa? Ma perché?» esclamò ella, gli occhi spalancati dalla sorpresa e le spalle tese.

«Sei al corrente dei problemi economici che abbiamo, non possiamo fare altrimenti.»

«E tu hai deciso davvero di invitarlo ad assistere ai nostri esami?» oppugnò a sua volta Kankurō, avvinghiandosi con forza sul bordo del tavolo. «Questi non sono di certo affari che lo riguardano!»

«Non sono estasiato neanche io, ma cercate di comprendere.»

«E tu pensi che quel bastardo c–»

«Temari» la riprese Gaara all'istante, piccato: trovava quel linguaggio colorito di pessimo gusto e che mal le si s'addicesse.

«Scusami. Dicevo, credi davvero che alla fine si convinca?»

«Deve, non si può andare avanti così. Le milizie non reggono più la mancanza di fondi» mormorò Kankurō, cupo. Nel frattempo, si era staccato dalla scrivania e aveva iniziato a percorrere la stanza per tutta la sua larghezza, in un incessabile via vai.

«Anche tu hai ragione» sospirò Temari sonoramente, alzandosi e intascando la lettera nelle pieghe della gonna viola. «parto immediatamente, allora.»

Si congedò e lasciò in tempo zero la stanza con lo stesso passo spedito con il quale era entrata, non senza prima raccomandare i due fratelli più piccoli di riguardarsi mentre lei sarebbe stata lontana dal villaggio. Come ambasciatrice, le capitava spesso di stare via per lunghi periodi di tempo e non mancava mai di preoccuparsi almeno un po' per loro, ma Gaara sapeva sempre come tranquillizzarla.

Il più giovane posò tutto il peso sullo schienale, tenendo un braccio ben disteso sul sostegno laterale della sedia e l'altro abbandonato in grembo. Kankurō interruppe invece la sua camminata senza fine, stringendosi nelle braccia, spostando tutto il peso sulla gamba tesa in avanti.

«Pensi davvero ci riusciremo?» chiese allora impensierito, incrociando il suo sguardo nero con quello chiaro del minore. «Non che non mi fidi di te, fratellino, solo... la vedo dura.»

«Ne sono certo.» Con il capo reclinato all'indietro, Gaara si perse a fissare le piccole crepe che percorrevano il soffitto. «Ho piena fiducia.»

«Bene, allora. Se non hai altro per me, io andrei.»

«Credo sia tutto, nel caso ti faccio richiamare» rispose, congedandolo senza abbassare lo sguardo a terra.

Lo sentì muoversi verso la porta per poi esclamare qualcosa e il soffitto perse ad un tratto tutto il suo fascino. Abbassando la testa, vide che qualcuno stava sbarrando il cammino di Kankurō e si piegò verso destra per capire chi fosse. Riconobbe i capelli violini e la corporatura esile della ragazza che reggeva al petto un plico di fogli e osservò il fratello irrigidirsi.

«Spero di non aver interrotto nulla, sono qui per fare rapporto» pronunciò disinvolta Kimiko, piegandosi su un fianco e sventolando la mano libera.

«Ah, te ne sei ricordata» sentenziò stizzito il marionettista, facendosi da parte per permetterle di entrare nella stanza. «non solo mi hai fatto uscire pazzo, ho anche perso un bel gruzzolo.»

«Siete tutti parecchio pesanti, di recente» sbuffò quella, muovendo i passi uno dopo l'altro fino ad arrivare di fronte la scrivania, lì dove Gaara se ne rimase in silenzio. Spalancò leggermente gli occhi in un moto di sorpresa quando la vide fermarsi di colpo, impettita e con gli occhi ridotti a due strette fessure. «Aspetta, tu cosa?» aggiunse poi, sbattendo con foga il fascicolo sulla scrivania. «Dimmi che almeno tu ti sei astenuto. Dammi speranza, amico mio.»

«Come sempre, del resto» le rispose Gaara, impossessandosi dei fogli e iniziando a sfogliarli. «È andato tutto bene?»

«Sì, abbastanza, anche se Tsubaki si è fatta prendere dal panico» rispose lei, facendo spallucce. Intrecciò le mani dietro la schiena e spostò il peso da una gamba all'altra, lasciandogli il tempo necessario per una rapida lettura.

«Ancora? Sarebbe ora che quella ragazza imparasse a controllarsi» oppugnò Kankurō; era ancora fermo sulla porta, poggiato con la spalla sullo stipite e una mano sul fianco.

«Ci riuscirà, abbi fede.»

«È una ragazza dalle grandi capacità, deve solo capire come sfruttarle nel migliore dei modi» si pronunciò di nuovo Gaara quando ebbe finito di sbirciare la documentazione.

«Dai, davvero non hai fatto niente? Nessun colpo di testa?» tornò poi ad insistere Kankurō, un piccolo barlume di speranza andò ad illuminargli lo sguardo, che venne tuttavia estinto subito dopo.

«No, paga e taci» sibilò lei e Gaara non riuscì a reprimere il sorriso che gli si stampò in viso.

«Va bene, ho capito» sbuffò Kankurō, indispettito. Si stiracchiò e le ossa di braccia e schiena sfregarono le une sulle altre, provocando un sonoro schiocco. «io vado, ho da fare.»

«Immagino che stasera, allora, offra mio fratello, vero?» gli gridò dietro, portando una mano al lato della bocca, come se quel gesto potesse amplificare il tono della sua voce.

«Con i miei soldi, sì.»

Gaara fece solo un cenno con il capo che accompagnò il fratello fuori dallo studio mentre Kimiko si limitò soltanto a lanciargli un'ulteriore occhiataccia.

«Ecco perché ha insistito tanto affinché stendessi il rapporto, ieri sera. Oh, questa gliela faccio scontare» sibilò ancora inviperita, fissando la porta rimasta aperta.

«A quanto pare ognuno di voi ha un motivo di rivalsa su qualcun altro. Ma Akinori ha ragione, e lo sai. Dovresti sempre portare a termine il lavoro prima d'ogni altra cosa.»

Le spalle della ragazza si incurvarono appena come uno stelo di giunco mosso dal vento forte quando il giovane finì di pronunciare la frase. Sembrò ci fosse un filo di malinconia, nelle sue iridi d'ametista, che non aveva notato prima: era ben nascosta, ma ad un occhio ben allenato poteva facilmente risultare visibile. La profonda piega che le stava marcando la fronte gli diede conferma che qualcosa le stesse dando tormento, era una caratteristica che Gaara aveva imparato a riconoscere. Cercava come sempre di celarglielo, ma sapeva che quella facciata era tanto sottile da potersi infrangere al minimo cenno.

«Cosa ti tormenta?»

Accortasi di essere stata scoperta, Kimiko riprese pieno controllo di sé e la piega sparì quasi del tutto. Si tormentò le mani in grembo, restituendogli uno sguardo indeciso. «Avrai da fare, figurati se puoi sorbirti i miei problemi. E poi, non è niente di che.»

Tenendo a mente il modo spigliato e rassicurante di Naruto, lasciò che gli angoli della bocca si curvassero all'insù e, come sperava, la vide distendersi un po'. «Sei una cara amica, ti ascolto con piacere. Sai che potrai sempre confidarti, non c'è bisogno che te lo ripeta all'infinito.»

Fu lieto nel vederla avvicinarsi e un sospiro fu il prologo del racconto che prese piede: la ascoltò mentre si faceva sempre più piccola nelle spalle, senza smettere di intrecciare e strecciare le dita in una perpetua tortura. Aggrottò leggermente la fronte quando gli riferì parole che suonarono molto crude, seppur Gaara comprese che l'intento primario di Akinori fosse tutt'altro che arrecarle dolore.

«So che non voleva ferirmi. A volte credo di non essere portata.»

Kimiko mollò la presa sulle dita, stringendosi nelle braccia come se temesse di infrangersi e così facendo potesse impedirlo. Gli parve adirata, quel tipo di collera che sempre si riservava con tanto accanimento quando si sentiva di aver fallito. Ogni volta si sorprendeva della facilità con la quale ella cedeva il passo a dubbi e ritrattazioni, costantemente in bilico su quella voragine che minacciava di inghiottirla.

«Si tratta solo di un errore, ne facciamo tutti» parlò infine dopo aver soppesato con cura le parole. «l'importante è capire dove sbagliamo e impegnarsi a rimediare.»

«Ma se avessi ragione? Se non fossi all'altezza?»

«Questo non è possibile, altrimenti non saresti arrivata sin qui.» Riuscì finalmente ad attirare la sua attenzione, costringendola a distogliere lo sguardo perso in un punto indefinito sul pavimento. «Che tu abbia delle debolezze è indubbio, ma hai anche la capacità necessaria per colmarle.»

«Vallo a dire a lui» mormorò piano l'altra, piena d'afflizione. «qualsiasi cosa faccia non sembra mai sufficiente.»

Gaara la guardò confuso, prima di comprendere a cosa si riferisse e dire: «Non devi farlo per tuo padre, devi farlo per te.»

«È così sbagliato pretendere appoggio da parte sua?»

«Perché, cosa ti ha detto?»

L'amica scosse cupa il capo. «Non ci ho ancora parlato, quando sono uscita questa mattina era già andato via.»

Rimasero entrambi muti per un attimo. Era difficile pensare come fosse semplice, per quel diavolo fatto di insicurezze, abbattere ogni sua difesa. Tempo addietro si sarebbe irritato alla sola vista di tanta commiserazione, ma poi il bagliore di un'altra scheggia di vetro lo ammiccava: anche lui, a modo suo, aveva dovuto affrontare un mostro intangibile, per cui era conscio di quanto quella battaglia invisibile fosse tutt'altro che facile.

«Credo che, prima d'ogni cosa, dovresti appoggiarti da sola. Ammiro il tuo metterti sempre in discussione, ti rende una persona umile, ma comprendi anche che non sempre è un bene, specialmente quando diventa un'ossessione.»

«Non ti do torto.» Smise finalmente di tormentarsi le mani e artigliò la stoffa della vestito color ocra; il sorriso si distese ulteriormente, diventando quello che Gaara smise di percepire come una bugia. «Grazie per avermi ascoltato, sei davvero un grande amico.»

Gaara ricambiò allora il sorriso, sentendo un lieve calore scaldargli il petto: era pienamente felice di sentirglielo dire.

Ripreso un minimo la solarità che le illuminava solitamente il viso, Kimiko scrutò incuriosita la superficie della scrivania e le pile di carte che aveva sulla sinistra. «A proposito, ce la fai per stasera?»

«Non credo sia il caso» la interruppe egli, smorzando quel poco d'entusiasmo che le aveva raddrizzato le spalle. «ho molto a cui badare.»

La compagna sbuffò con fare drammatico; percepì i suoi occhi su di sé, a seguire il movimento delle mani che avevano ripreso a volare tra rotoli e plichi. «Vorresti lasciarmi sola in balia di quei due?» soffiò con disappunto. «Ed è proprio perché sei pieno d'impegni che ti farebbe bene rilassarti, ogni tanto.»

Gaara distolse per un attimo lo sguardo dal rapporto che teneva in mano, posandolo nuovamente sulla torre di carte lì di fianco, studiandone l'altezza.

«Anche solo un'ora» riprese Kimiko, alzando l'indice della mano sinistra, ammiccando. «dai retta a me, non sta bene sforzarsi troppo, impazzisci. E poi, lo dici sempre anche tu che bisogna prendersi cura di se stessi, no?»

«Non sta bene sforzarsi quando ti conviene» oppugnò Gaara con un sorriso ironico, incrociando le lunghe falangi sotto il mento. Per tutta risposta, le sopracciglia si incurvarono sul volto della compagna, su cui comparve un sorriso imbarazzato che diede vita ad una piccola risata nervosa.

Era passato abbastanza dall'ultima volta che aveva deciso di ritagliarsi un attimo per sé, da passare in compagnia e in tranquillità, e aveva declinato i due inviti precedenti a malincuore, recandole già dispiacere. «Vedrò di fare del mio meglio.»

«Sarò meglio, sai.» L'aria imbarazzata lasciò allora Kimiko in un battito di ciglia. Ringraziandolo nuovamente, fece per congedarsi con un largo sorriso. «I ragazzi mi stanno aspettando, mi racconti tutto stasera.»

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Capitolo 5
*** 🌵3-Gabbia d'oro🌵 ***


Capitolo 3

- Gabbia d'oro -
 

Data l'ora tarda, Temari aveva deciso di andare a coricarsi già da diverso tempo mentre Gaara aveva scelto di restare sveglio, ad attendere il rientro di Kankurō. Si era portato dallo studio il lavoro accumulatosi negli ultimi tempi, con la speranza di riuscire a smaltirlo; alla luce del lampadario che penzolava sul tavolo, continuava a leggere imperterrito i resoconti e i risultati del Consiglio riunitosi pochi giorni prima, sorseggiando ogni tanto del tè dalla tazza lì vicino.

Kankurō non si era premurato di avvertirli che non avrebbe fatto rientro per cena, ma nessuno dei due si era allarmato per questo: capitava che si intrattenesse dopo il lavoro con i propri allievi o pari, dunque non era poi così inusuale. Al cigolio attutito della porta d'ingresso, Gaara aveva alzato la testa dai fogli e aveva puntato lo sguardo verso il corridoio buio, appena fuori dalla cucina. Il maggiore, attratto dalla luce ancora accesa, svicolò nell'ambiente, con le sopracciglia arcuate in un'espressione sorpresa.

«Credevo stesse dormendo, è un po' tardi» aveva esclamato nel vederlo; si era calato giù il cappuccio nero e lo stringeva in una mano mentre quella libera stava schermando un lungo sbadiglio.

«Perché non hai avvisato che non saresti tornato?» aveva domandato Gaara, stringendo la tazza ancora fumante e portandosela alla bocca.

«La mia intenzione era quella di rientrare, dato che doveva essere una bevuta veloce. Ci siamo dilungati un po'» si era giustificato l'altro con un sorriso aperto. Aveva mosso qualche passo fino a raggiungere la sedia più vicina, accomodandosi di fronte a lui.

«Un po', dici? È da quando avete finito che non ti sei fatto vedere.»

«Cos'è, sei geloso?»

«Non è questo, sto solo dicendo che potevi avvertire» aveva sostenuto Gaara.

«Avresti dovuto vedere Hotaka. Non avrei piazzato un ryō bucato a sapere che sarebbe stato in grado di buttar giù tre di saké tutto d'un fiato» aveva proseguito Kankurō, a metà tra il sorpreso e l'irritato, sorvolando a piè pari sull'osservazione ben meno divertente del minore.

Gaara lo aveva guardato accigliato: non aveva ancora capito appieno cosa trovassero di tanto entusiasmante nei loro giri di scommesse, faticava a comprenderne l'utilità e il divertimento.

«A quanto pare, hai perso di nuovo.» Si era poi alzato e si era incamminato verso il lavello. Stava lavando la tazza sotto l'acqua corrente mentre ascoltava l'altro che continuava a parlare concitato.

«Sì, ma sono convinto che se ne sia approfittato» aveva prorotto allora Kankurō con una sonora risata, in netto contrasto con la piega imbronciata che aveva avuto solo pochi attimi prima. Il riso improvviso era stato subito stroncato da Gaara, che aveva fatto cenno al piano superiore, alludendo a Temari che stava riposando.

«E tu perché hai accettato, se lo sapevi?»

«Pura curiosità» gli aveva risposto, con un'alzata di spalle.

Gaara si era avvicinato nuovamente al tavolo e aveva recuperato i vari fogli e rotoli che erano lì sparsi, lanciandogli uno sguardo interrogativo e iniziando a muoversi verso la scalinata che conduceva al piano superiore.

«Dovreste venire, una volta tanto.»

«Ammesso lo volessi, non potrei comunque» aveva obiettato, accigliato.

«Vedi, fratellino, è così che si creano nuovi legami.» Un largo ghigno gli aveva piegato gli angoli della bocca. «Esci, incontri gente nuova, è così che si fa.»

«Sono occupato, non ho molto tempo libero. E neanche tu, ad essere onesti» l'aveva rimbeccato atono il minore, iniziando a risalire la rampa.

«Non eri tu che dicevi di voler ampliare i tuoi orizzonti?» L'aveva sentito sghignazzare ai piedi delle scale e gli era parso di cogliere una certa ironia. Non poteva dargli torto perché ricordava di avergli confessato il desiderio di voler riuscire ad aprirsi di più con le persone, ma il peso della sua carica era troppo grande: lo teneva distante da tutto e scoraggiava chiunque ad avvicinarglisi, perciò non era ancora riuscito a creare dei veri legami che andassero oltre l'ufficialità, o la convenienza.

Prima di potersi rifugiare dentro la propria stanza, il fratello l'aveva lasciato con un monito: «La prossima volta ti porto con me e non voglio se o ma.»

Prima che Gaara avesse avuto la possibilità di controbattere in qualche modo, Kankurō aveva già frapposto tra di loro un ostacolo, chiudendosi la porta alle spalle e lasciandolo così interdetto. Non riusciva a pensare di potersi ritagliare un attimo di libertà in quel mare di caos, trovava strano che il maggiore fosse così insistente.

Davvero insolito, si era detto tra sé e sé, piuttosto confuso, e per questo aveva pensato a qualcosa che avrebbe convinto Kankurō a desistere, ma aveva anche sottovalutato la sua tenacia.

Una sera, ad ora di cena, il marionettista si era di fatto recato nel suo studio e gli aveva intimato con sguardo serioso di lasciare tutto e di seguirlo. Gaara aveva provato a opporre resistenza, ribadendogli ancora una volta la triste condizione in cui Suna verteva, ma il maggiore, per una volta, sembrò irremovibile.

Ultimamente sei più stanco del solito, non puoi sempre strafare.

Alche, Gaara l'aveva seguito in silenzio, incerto. Si era fatto scortare presso una locanda che si affacciava sullo snodo principale del borgo: a primo acchito, sembrava essere frequentato da ragazzi e ragazze all'incirca della loro stessa età. Si sentiva un po' fuori posto mentre Kankurō si guardava intorno; aveva approfittato della sua distrazione per convogliare il chakra all'altezza dello stomaco, in modo da poter dissipare quel nodo che lo bloccava. Non sapeva con certezza quanto tempo avessero aspettato e infine, nella confusione generale, aveva riconosciuto i due figli di Mamoru Igarashi, capo famiglia e jōnin di lunga data che aveva sempre servito con onore il villaggio. Il duo si stava avvicinando a loro e, in un primo momento, non sembravano essersi accorti di quella presenza in più.

«Siete in ritardo» aveva esclamato Kankurō divertito, quando erano abbastanza vicini da poterlo udire senza problemi.

«Nostro padre ci ha trattenuti. Saremmo arrivati in tempo se qualcuno avesse fatto il suo dovere» aveva oppugnato il ragazzo, indirizzando uno sguardo torvo alla gracile figura accanto a lui, la quale aveva inarcato un sopracciglio, visibilmente urtata.

«Mi sono già scusata, è necessario portare avanti il dramma?» aveva sbuffato quella in risposta, puntellando le mani sui fianchi.

Gaara – visibilmente a disagio – aveva sentito Kankurō ghermirlo per le spalle e spingerlo in avanti di qualche passo, portandolo allo scoperto. «Mi sono preso la briga di portare mio fratello, questa sera. Spero non sia un problema.»

La sorpresa si era insinuata nei loro occhi anche se, una volta svanita, lo avevano accolto con un sorriso riverente.

«Non ti preoccupare, più siamo e meglio è» aveva esclamato gioviale la ragazza, prima di voltare il capo nella sua direzione. «È un piacere avervi con noi, Onorevole.»

Kimiko – così ricordava si chiamasse – gli aveva allungato la mano in segno di saluto. Gaara l'aveva stretta un po' tentennante, scoprendo che avesse una presa piuttosto forte, per la ragazza minuta qual era.

Erano poi entrati all'interno, Kankurō e Kimiko erano alla testa del gruppo e lo guidarono verso uno dei tavoli disponibili, salutando l'anziana signora che si trovava all'ingresso, dietro il registratore di cassa.

«Siamo sicuri che lo farà parlare? Quello mi sembra un po' incapace» stava dicendo Akinori mentre prendevano posto, riferendosi di certo allo shinobi terrorista catturato alcuni giorni prima. Era stato scoperto a mettere a ferro e fuoco uno dei piccoli villaggi poco distanti dalla Sabbia, ma non era l'unico della comitiva, e la loro squadra li stava ancora cercando.

«Lo spero per lui» aveva sentenziato Kankurō, torvo, mentre cercava di attirare l'attenzione di un cameriere che, una volta visti e riconosciuti, era subito corso verso di loro.

«Aspetta, vuoi dire che ancora apre bocca? Tenace» aveva asserito Kimiko, seduta di fronte a lui.

«No, e ne ha prese anche parecchie» aveva risposto Akinori, scuotendo demoralizzato il capo.

«Basta parlare di lavoro, però. Siamo qua per svagare» li aveva ripresi subito dopo Kankurō, sornione. Gaara aveva ricevuto una pacca sulla spalla da parte del fratello, che gli stava seduto affianco, e l'imbarazzo era cresciuto ulteriormente quando lo aveva spinto al centro della conversazione: «Non dimenticate che abbiamo un ospite d'onore.»

Non sapeva come approcciarsi nel modo corretto, con i compagni di Konoha era tutto molto più semplice: aveva combattuto con loro molte battaglie; persone come Naruto, o Rock Lee, lo avevano riconosciuto dapprima come avversario, poi nemico e, infine, amico, ma al villaggio la situazione sembrava essere alquanto differente.

«È strano vedervi fuori dal lavoro» aveva detto la ragazza, compiaciuta.

«Come è strano vedere te che ti impegni» l'aveva sbeffeggiata Akinori con un ghigno di scherno, subito respinto da una smorfia.

«E non stressarla, dalle tempo» lo aveva apostrofato Kankurō e Kimiko lo aveva ringraziato soddisfatta e con un ampio gesto della mano. «è chūnin da poco, lascia che si godi ancora un po' quel po' di libertà che le resta.»

«La guerra è stata dura, i danni riportati sono tanti» aveva risposto infine Gaara, risoluto. «voglio rendere possibile la rinascita del nostro villaggio, è ciò che più ho a cuore.»

Il trio, allora, gli aveva sorriso con il petto gonfio e, ancora una volta, aveva sentito una stretta calorosa al cuore: oltre alla stima, si percepiva chiara anche una profonda gratitudine. Era stata la ragazza a levare alto il bicchiere, seguita dal resto del gruppo: «E vi saremo eternamente grati, per questo.»

La cena aveva avuto sin da subito un'atmosfera gioviale e distesa, i dibattiti e le discussioni – alcuni accesi e altri più tranquilli – erano andati avanti per ore. Gaara aveva preferito rimanere in silenzio, senza sapere cosa fosse giusto dire, lasciando che fossero i suoi interlocutori a manipolare le conversazioni. Per una sera, aveva finalmente sentito la pesantezza del lavoro affievolirsi: anche solo ascoltando e entrando ogni tanto con qualche riflessione propria, sentiva comunque di star traendo giovamento dal quel piccolo momento di serenità che il fratello lo aveva aiutato a ritagliarsi.

«Ridi pure, quasi ci rimettevo un braccio» aveva esclamato Akinori tra un sorso e l'altro, quando la conversazione era virata sui ricordi di guerra.

«Ho preso un colpo, ma anche tu non è che sei stato così reattivo» aveva sospirato Kimiko.

Gaara sapeva si stessero riferendo allo scontro avuto con il secondo Mizukage, sul fronte desertico. Poco prima si era scontrato con Rasa, una battaglia di estrema importanza, per lui: non aveva solo affrontato suo padre, ma era anche venuto a conoscenza del grande amore che sua madre, Karura, aveva sempre serbato per lui, anche nei momenti precedenti alla sua morte; il momento nel quale tutto l'odio e il rancore nei suoi confronti avevano iniziato a svanire.

«Vero, eravate nella sua divisione» aveva sottolineato Kankurō, lo sguardo adombrato per via della piega che la conversazione aveva preso.

Kimiko aveva annuito in risposta, prendendo un sorso dal bicchiere ormai mezzo vuoto. «Senza contare che ti ho spillato un sacco di ryō, tra le altre cose. È stato fruttuoso, almeno per me» aveva gongolato poi verso Akinori, svuotandolo definitivamente .

«Ma dai, anche in guerra?» aveva esclamato esterrefatto Kankurō, riempiendoglielo nuovamente.

«Credo di ricordare qualcosa del genere» si era intromesso Gaara, colto da un ricordo improvviso. «Io e lo Tsuchikage stavamo scendendo da una duna dopo un'osservazione del campo di battaglia, era un momento di calma piatta. Un paio di ragazze del villaggio ci sono venute incontro con un panno...»

La grassa risata esplosa dalle gole di Kimiko e Kankurō avevano interrotto il suo racconto mentre Akinori si era limitato a sorridere imbarazzato, nascondendo il ghigno dietro la mano. «Ricordo di averti visto passare qualcosa a tuo fratello, che era lì vicino. Pensai fosse strano, anche curioso.»

«Sì, fu la meno proficua, ma anche la più soddisfacente» aveva sorriso tronfia lei. «Avrei scommesso anche di più, ma avevo solo pochi pezzi. Anche se ammetto che me ne sono un po' approfittata, visto che il fun club è così prevedibile.»

«Fun club?» aveva chiesto, confuso.

«È come chiama tutte le ragazze che ti ronzano intorno e di cui Temari si sbarazza» gli stava spiegando Kankurō sornione, prima di rivolgersi si nuovo a Kimiko. «Se continuiamo così, la prossima potresti essere tu.»

«Inquietante, ma se sparisco misteriosamente almeno sapete il perché.»

Gaara era a conoscenza di quella voce che correva al villaggio, ma non ci si era mai soffermato per mancanza di interesse. Aveva annuito lentamente, con malcelato imbarazzo.

Per quanto fosse stata una serata abbastanza strana e interessante, non era consapevole di aver iniziato il suo cammino verso quel qualcosa che sentiva mancare: un nuovo contatto, vero e profondo.

* * *

Le bacchette portarono pigre un sottile filetto di manzo nel piatto mentre sprazzi di un tranquillo discorso, proveniente dall'altro capo del tavolo, vennero percepiti come fosse il ronzio d'uno sciame d'api. Senza seguire la conversazione che stava animando i tre con i quali era in compagnia, Kimiko si limitò a tormentare incessante il pezzo di carne ancora fumante, punzecchiandolo con le punte dei lunghi bastoncini che stringeva tra le dita. In quel momento, Kankurō pareva star raccontando un aneddoto divertente, a giudicare dalla risata di Akinori e dal sorriso appena accennato di Gaara. Ormai distolta dal garbuglio di pensieri che si stavano annodando nella mente, fece un cenno con il capo nella sua direzione, abbozzando un sorriso e portandosi finalmente il filetto di manzo alla bocca, prima di chiudersi nuovamente dietro il muro difensivo e tornare a tentare di strecciare la matassa che stava custodendo.

Una frase, in particolare, pareva essere il centro di quell'intricato groviglio, parole che non avevano smesso di vorticare dal momento in cui erano state udite: “Comprendi anche che non sempre è un bene, specialmente quando diventa un'ossessione.”

Il tono più calmo e pacato con il quale Gaara le aveva parlato quella mattina, nello studio, le aveva infuso un briciolo di quella calma di cui aveva bisogno per tornare lucida. Per il paio d'ore d'allenamento privato trascorse assieme a Tsubaki non vi aveva dato orecchio, concentrata com'era sulla sua piccola allieva, ma quando era rimasta di nuovo sola, senza niente che potesse distrarla, l'udito carpì ancora una volta il sibilo che mormorava quelle parole.

Un'ossessione.

Sulla strada del ritorno verso casa, con gli ultimi raggi di sole che coloravano d'arancio le abitazioni del villaggio, si era interrogata a fondo: non aveva dato torto a Gaara, lo conosceva abbastanza da sapere che non utilizzava parole a caso ma, anzi, le soppesava sempre con cura. Era dunque così che lui vedeva il suo desiderio, come un'ossessione che la intrappolava in una gabbia d'oro e non le dava possibilità di fuggire? Certo era che, in trappola, ci si sentiva: ogni suo sforzo, ogni suo successo, veniva sempre oscurato dagli errori commessi, come se avessero maggiore importanza a discapito di tutto.

«Ho sentito della tua disattenzione nell'ultima missione. Mi auguro che farai presto qualcosa per rimediare.» Era stata l'unica cosa che il padre le avesse detto, quando era rincasata quel pomeriggio. La delusione che impregnava quello sterile commento l'aveva portata ad abbassare lo sguardo a terra, inchinarsi e sussurrare un appena accennato “Sì, padre” prima che quello si voltasse per scomparire nell'intimo salotto, lì da dove era arrivato. Al rientro in camera, si era poi sentita in dovere di riprendere in mano le stesse mappe astronomiche che la sera prima aveva adocchiato e si era persa a contemplare le stelle riportate su di esse, trovando così un ulteriore pretesto per non pensare a quelle parole.

«Ehi, tutto bene?»

Kimiko scosse finalmente il capo, sbattendo le palpebre più volte. Ridestatasi, notò come prima cosa Gaara, che l'aveva richiamata, osservarla abbastanza preoccupato, per poi scoprire che anche Kankurō e Akinori parevano piuttosto accigliati. Fece vagare frettolosa lo sguardo sui volti dei tre, prima di fare spallucce. «Sì, ero solo... soprappensiero.»

«Parecchio, direi. Non hai aperto bocca da quando siamo qui» asserì Kankurō, riempiendole il bicchiere ricolmo solo a metà di birra. Kimiko ne prese allora un lungo sorso, mandando giù il groppo che le aveva annodato d'improvviso la gola.

«Vacci piano, non ho intenzione di riportati a casa di nuovo in spalla» esclamò Akinori, con un sorrisetto che Kimiko trovò irritante.

«È successo solo una volta» lo rimbrottò di rimando, posando giù il bicchiere ormai vuoto. Si apprestò a mettere un nuovo filetto di manzo sulla brace incassata al centro del tavolo, nell'istante in cui Gaara si servì della propria porzione cotta.

«E credo anche che se lo ricordino un po' tutti» ammiccò Kankurō prima di bere. «Gaara di certo.»

A quel punto, terrorizzata, Kimiko si voltò lentamente verso sinistra: «Ho paura di chiedertelo, ma lo farò lo stesso. Cosa ho fatto?»

Il ragazzo posò le bacchette sul piatto vuoto, aggrottato nello sforzo di ricordare mentre Kankurō e Akinori presero a sghignazzare a mezza voce. «Credo blaterassi qualcosa sull'andare alle terme.»

La ragazza scosse stupita il capo, sollevata. «Tutto qui? Non è così imbarazzante.»

«Non se la proposta te la fa una che ha alzato troppo il gomito» le rispose Akinori tra una risata e l'altra. Entrambi si stavano tenendo la pancia per il troppo ridere al pensiero di qualcosa che Kimiko non riusciva a ricordare mentre Gaara, pacato, buttò giù l'ultimo sorso d'acqua che gli era rimasto. Ebbe come l'impulso di assestare loro un ceffone in pieno viso, ma riuscì a contenersi, lasciando che si tranquillizzassero da sé.

«Ah, piuttosto, credo tu mi debba qualcosa, no?» riprese poi Akinori quando si fu calmato, asciugandosi un lacrima nata dal troppo ridere, ammiccando vero l'amico sedutogli di fianco. Kankurō, ravanando innervosito all'interno delle tasche, tirò allora fuori un piccolo gruzzolo di monete lucide. Qualcosa, nella mente della ragazza, scattò, e la voglia di randellarli entrambi si ripresentò.

«E vi sentite anche nella posizione di stuzzicarmi?» sibilò avvelenata la ragazza mentre il fratello più grande sottraeva soddisfatto i ryō dalle mani del marionettista e iniziava a contarli. «Sappiate che non dimentico.»

«Mi fai una paura, guarda. E spero che tu sia contento» gli rispose allora Kankurō, tornando ad ingollare ciò che ancora stava nel suo piatto. «almeno fai che Saya sappia chi le ha davvero pagato la cena.»

Tutte e tre i paia di sguardi scrutarono Akinori, che aveva iniziato a far trasparire un lieve disagio: prese a grattarsi il retro della nuca, sorridendo imbarazzato. «Allora, quando sarà, ti penserò» aggiunse poi, prendendo un boccone di carne dalla brace.

«Già, ma aspetterei a farlo.» Kimiko intrecciò le dita sotto il mento e affabile si prese gioco del fratello più grande: «Vedi prima come finirà la serata, magari non ti converrà pensare a Kankurō.»

Akinori quasi soffocò e prese a battersi un pugno sullo sterno mentre il marionettista riprese a ridere sguaiatamente e Kimiko si crogiolò nel vedere le punte delle sue orecchie diventare rosse. Alla sua destra, invece, Gaara – rimasto nel più totale silenzio – fece vagare lo sguardo altrove, lontano dal gruppo.

«Questi sono fatti personali, sorellina» tossicchiò Akinori, riprendendo fiato e incrociando lo sguardo beffardo della più piccola. «non è che tutti devono saperlo.»

Sia Kimiko che Kankurō continuarono per un po' a stuzzicare il ragazzo, che non era riuscito a contenere l'imbarazzo. L'intero viso prese una sfumatura rossastra e continuava a pregarli di smetterla, ma sembrava non essere l'unico a disagio: Kimiko notò che Gaara rimase in disparte dal loro sadico divertimento, osservando ogni tanto Akinori solo per poi tornare a concentrarsi su qualcos'altro che non fossero le frecciatine che volavano da una parte all'altra del tavolo. Mentre Kankurō stava dando adito ad una nuova insinuazione, la ragazza si morse la lingua, sentendo qualcosa serpeggiarle sottopelle: un improvviso senso di colpa la travolse allo stesso modo in cui un maremoto inghiotte una barca.

«Cambiando discorso» disse infine, rivolgendosi direttamente a lui che continuava a picchiettare l'indice sul legno del tavolo. Gaara, finalmente, si voltò di nuovo verso di loro, con la fronte aggrottata. «hai poi parlato con il daimyō del Fuoco?»

«Sì, abbiamo fissato un incontro ufficiale.» La linea che gli marcava la fronte si distese e le spalle si rilassarono. Iniziò a raccontare di aver ricevuto una missiva qualche giorno addietro, in cui il signorotto del Paese del Fuoco gli richiedeva un incontro in cui discutere degli ultimi dettagli prima l'accordo tra i due Paesi diventasse finalmente ufficiale.

«Parti presto, quindi.»

«Sì, pensavamo al massimo tra un paio di giorni.»

«A proposito, chi ti scorta?» domandò Kankurō, curioso. Svuotò il proprio bicchiere che Akinori – ancora un po' imbarazzato – provvide a riempire nuovamente. «Temari può venire, non è che abbia molto da fare, a differenza mia. Ma credo che, data la situazione, ti serva almeno un secondo uomo, magari un terzo.»

«Sarà difficile trovarne anche solo uno» ribatté Gaara, reggendosi il mento tra pollice e indice con fare pensoso. «Quasi tutti i jōnin sono occupati con le difese o la ricerca e una buona parte è fuori dal villaggio.»

«Ma noi siamo qui.»

Parlò senza riflettere. Non si rese conto di aver dato voce ai propri pensieri finché Gaara non gli rivolse la sua attenzione e, per la seconda volta, tornò a punirsi mordendosi la lingua. Si affrettò ad aggiungere: «Se le cose non cambiano nei prossimi giorni, insomma.»

Il sorriso che le rivolse, tuttavia, sciolse del tutto il nodo che le aveva serrato lo stomaco.

«Ehi, lui mi serve qui» esclamò Kankurō in risposta, accennando ad Akinori, che lo fermò quasi all'istante.

«Potrei essere i tuoi occhi, amico mio. Se succede qualcosa lo vedrò personalmente e posso riportare tutto alla squadra.»

«Avere qualcuno dell'antiterrorismo potrebbe essere una buona cosa» convenne Gaara, tornando poi a rivolgersi direttamente a Kimiko. «Se non avrò nessuna missione per la tua squadra, potrò contare su di te?»

Non seppe di preciso il motivo, ma d'improvviso trovò anche solo il semplice atto di respirare difficoltoso: il cuore, ansioso, aveva iniziato a battere più forte e il respiro si era fatto pesante. Anche così, tuttavia, sorrise: «Certo, ovvio.»

Poco tempo dopo, saldarono il conto della cena e lasciarono finalmente il locale, immettendosi nella strada gremita di ragazzi intenti, con ogni probabilità, a godersi il fine settimana. Si fecero strada fino a superare la calca, lasciandosi alle spalle l'aria opprimente data dall'affollamento. Kankurō e Akinori procedettero di fronte parlando di qualcosa che Kimiko e Gaara, poco più indietro, non riuscivano a sentire per via della confusione che martellava incessante i timpani. Entrambi sembrarono farsi scivolare tutto il brio addosso, come se fossero rinchiusi in una bolla trasparente, sottile ma al tempo stesso impenetrabile.

L'agitazione ancora pompava dal cuore e lungo tutto il corpo: era stata lei stessa a farsi avanti, ma compreso che tutto si fosse concretizzato si era sentita soffocare: non sarebbe stata una semplice missione con i suoi allievi, ma una di grado S. Le era capitato di svolgere missioni diplomatiche assieme ai suoi ormai vecchi compagni di squadra, ma per quanto fossero impegnative sapeva che non potevano reggere il confronto: spazio per gli errori non ce n'era, e a sentir parlare Akinori e Kankurō della gravità della minaccia che aleggiava sul villaggio si era sentita schiacciare dal peso di quell'incarico così delicato.

«Non agitarti, non serve.»

Ancora una volta, il flusso dei suoi tormenti fu bloccato inevitabilmente. Alzò lo sguardo e si accorse che Gaara la stesse osservando, probabilmente lo stava facendo da quando si erano lasciati la locanda alle spalle.

«È così evidente?» gli rispose infine, imbarazzata. Intrecciò le mani dietro la schiena e prese a tormentarsi le dita con fare nervoso.

«Sei tornata ad essere molto silenziosa» constatò l'altro con ostentata calma, incrociando le braccia al petto.

«Sì, anche se l'ho proposto io ho poi sentito il peso della cosa.»

«Se non te la senti posso...»

«No, non è questo, posso farlo» si affrettò a rispondergli, adombrandosi. «devo riuscirci.»

D'improvviso, senti una mano posarsi sulla spalla e si voltò di scatto, colma di sorpresa. Gaara strinse leggermente la presa e, per un attimo, percepì il cuore perdere un battito. Non smise di torturarsi le mani, ma riuscì a mantenere il contatto visivo

«Non farti influenzare dalla paura di sbagliare, so che ci stai pensando» disse poi, la voce ferma. «non darle potere.»

Kimiko annuì piano con il capo, la bocca leggermente dischiusa, e il ragazzo fece ricadere la mano. La tortura a danno delle dita cessò di colpo e le strinse con forza in una stretta morsa, ma il cuore ancora correva e pulsava sonoro sotto la gabbia toracica, animato da un'agitazione diversa dalla precedente. Gli impose allora di calmarsi e, ricordando lo stratagemma che Gaara adoperava quando era sotto pressione, convogliò il chakra all'altezza del petto, sentendo il battito diminuire.

«Mi dispiace, per prima» disse infine, sciogliendo finalmente il vincolo delle falangi. Arricciò il naso e si strofinò la guancia con la punta dell'indice e Gaara la osservò perplesso. «ti ho messo a disagio, non volevo.»

«No, non preoccuparti» tentò di tranquillizzarla, assumendo un sorriso che avrebbe voluto essere rassicurante, ma che faceva ancora trasparire un certo imbarazzo.

«Eh, sì, invece. Volevo colpire Aki lì dove fa più male, mi sono fatta prendere la mano.» Un dubbio, però, le balenò nella mente: si sentì gelare di colpo, come se nelle vene fluissero innumerevoli aghi appuntiti. «Ci stavi forse ripensando?»

Gaara fece cadere quel lieve sorriso che gli era andato ad arricciare le labbra e si adombrò appena. Ad un simile cambio d'umore, sentì come se i polmoni stessero collassando, l'aria faticò ad entrare nel petto. Strinse con forza il pugno lungo il fianco, maledicendosi per non essersi saputa controllare.

«No, non ci stavo ripensando» rispose infine, scuotendo il capo. Guardò con insistenza il suolo, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni bordeaux e facendo tintinnare appena le sottili catene che tenevano la piccola giara appesa alla cintura. «non lo faccio mai, e perché dovrei? È successo e non posso cambiare il passato, né tanto meno posso biasimarla.»

Si sentì sollevata al pensiero di non aver riportato in auge tristi ricordi e sospirò appena. Per quanto Gaara avesse sempre sostenuto di non essere stato toccato dalla cosa, quel fortissimo senso di rammarico continuava ad albergare nella parte più remota del suo animo e a corroderla dolorosamente, anche a distanza di anni: era un ragazzo di buon cuore, non lo aveva meritato.

 

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