Di
nuovo in mezzo alla neve, in piedi, su quell’unica lastra
nera
larga poco meno di un metro per lato. Intorno a lei la bufera le
copre la vista, tutto è bianco e appannato, nessun rumore e
nessuna
presenza, solo il freddo le fa compagnia. Si guarda le mani e le dita
le fanno male, il freddo le ha raggiunto anche le ossa.
Bianco,
tutto quello che riusciva a vedere era il bianco. Di nuovo, come in
tutti i suoi sogni da qualche mese a questa parte. Era sdraiata, di
questo era sicura, ma adesso poteva muoversi.
In
meno di un secondo provò a fare mente locale. Si ricordava
dei
pirati, della corsa e della spiaggia, ma poi cos’era
successo?
L’ultima cosa che riusciva a ricordare erano il dolore alla
gamba e
poi il buio più totale e ora davanti a sé aveva
una luce bianca
accecante. Seguendo la logica la soluzione possibile era una sola.
Si
stropicciò gli occhi confusa. Riuscì a mettere a
fuoco alcuni
dettagli della stanza: le pareti grigie, le lampade al neon e alcuni
lettini disposti ordinatamente lungo le pareti.
L’aldilà se l’era
immaginato decisamente diverso.
«Buongiorno
Morgan!» si voltò di scatto verso quella voce e la
testa le vorticò
pesantemente, facendole venire la nausea. Due figure stavano sedute a
poca distanza da lei, in penombra. Non riuscì a metterle a
fuco, ma
la voce le suonò familiare.
Aveva
la bocca impastata e la gola le faceva male, probabilmente per lo
sforzo della corsa. «Sono morta?» si
stupì, la voce le uscì molto
più flebile di quanto aveva immaginato.
«Beh…
se non fosse stato per noi lo saresti sicuramente» le due
figure le
si avvicinarono sogghignando. Adesso che si stavano avvicinando
poteva metterli a fuoco decentemente. Le due tutone stupide, quei due
tizi strani… Shachi e Penguin! Ci mise un attimo a
riconoscerli, ma
era certa fossero loro.
Ma
se non era morta ed era insieme a quei due pirati, allora forse la
risposta alla sua domanda era ben peggiore di quanto avesse
immaginato. Ma non aveva senso! Quando
aveva raggiunto la spiaggia non c’era nessuna nave
all’orizzonte
e sicuramente non erano tornati indietro apposta per cercare lei. Si
mise a sedere a fatica, ad ogni movimento la nausea aumentava ma
almeno i suoi occhi si erano abituati alla luce artificiale della
stanza e adesso poteva scrutarne ogni particolare.
«Se
non sono morta… cos’è
successo?» si guardò in torno, sia per
curiosità che per cercare
un’eventuale via di fuga. «Niente
di che, ti abbiamo vista arrivare sulla spiaggia e cadere a terra,
pensavamo fossi morta in realtà, ma ti abbiamo raccolta e il
nostro
capitano ti ha rimesso a posto!» Shachi
le parlava sorridendo, come se quella fosse la cosa più
normale del
mondo «Ti abbiamo detto che eravamo in debito, tu hai salvato
noi e
noi abbiamo salvato te. Un pirata mantiene sempre le
promesse»
Penguin sembrò
anche più allegro di Shachi.
I
lettini erano separati da tendine bianche, ma non percepì
nessuno
nella stanza oltre ai due pirati e ne dedusse che fosse
l’unica
ospite. Sentì l’odore di disinfettante invaderle
le narici e
riuscì a stento a ricacciare indietro un conato di vomito.
Si
trovava sicuramente in un’infermeria, ma c’era
comunque qualcosa
di strano in quella stanza. Ci mise poco a capire cosa fosse,
nonostante sopra ogni letto vi fosse un piccolo oblò
circolare, non filtrava alcuna luce dall’esterno. Anzi, se
non
fosse stato per quelle fredde luci al neon la stanza sarebbe
sprofondata nell’oscurità più totale.
Sentì un nodo allo
stomaco, non le erano mai piaciuti gli spazi chiusi.
Si
voltò di scatto verso i due pirati «Dove
siamo?» l’agitazione
nella sua voce lasciava ben poco all’immaginazione.
L’espressione
divertita che si dipinse sul volto dei due la preoccupò, se
possibile, ancora di più. «Sul Polar Tang
ovviamente!» quel nome
le diceva ben poco e i due se ne accorsero subito «Il
sottomarino
dei Pirati Heart!»
Sul…
cosa? Ricadde con la schiena sul lettino, il nodo allo stomaco era
diventato una vera e propria fitta. Non solo
quella era
una delle ciurme più temute del Nuovo Mondo, ma si trovava
pure su
un maledetto sottomarino! Le sue speranze di fuga erano totalmente
andate in fumo. Se si fosse trovata su una nave normale avrebbe
almeno potuto tentare di scappare, magari rubando una scialuppa, ma
su un sottomarino era praticamente in trappola.
Sentì
lo stomaco stringersi in una morsa. Si sporse dal lettino, dalla
parte opposta dei due pirati e afferrò un secchio che
qualcuno aveva
saggiamente lasciato lì. Vomitò fino a svuotarsi
completamente lo
stomaco, a
giudicare dal
contenuto del secchio erano almeno i pasti degli ultimi due o tre
giorni. Lo stomaco continuava a contrarsi e le lacrime ormai le
solcavano il viso, sia per lo sforzo che per l’imbarazzo
della
situazione e
il suo corpo
aveva iniziato a tremare.
Sentì
una mano toccarle piano la schiena ma non ebbe il coraggio di
voltarsi. «Non preoccuparti, vuol dire che
l’operazione è andata
bene» ma quei due avevano sempre quel tono allegro?
«Prendi questo»
Penguin le allungò un fazzoletto da sopra la spalla. Morgan
glielo
strappò letteralmente dalle mani, odiava l’idea
che qualcuno
potesse vederla in quelle condizioni. Si pulì la faccia alla
bene e
meglio, sollevandosi su un gomito per riprendere un po’ di
fiato e
gettò anche il fazzoletto nel secchio. In effetti si sentiva
molto
meglio, o perlomeno la testa aveva smesso di girare.
Si
girò nuovamente, appoggiando la testa sul cuscino
«Grazie… e
scusate per il casino» disse con gli occhi chiusi, indicando
in
direzione del secchio. «Oh, non preoccuparti per quello,
è
normale.» Penguin aveva assunto un tono gentile «Se
vuoi darti una
sistemata c’è un bagno, puoi farti una doccia e
infilarti dei
vestiti puliti» disse indicando una porta in metallo, in
fondo alla
stanza.
Ci
pensò un attimo, una doccia
forse non era una cattiva idea. Si accorse di essere coperta di
sudore e iniziava a sentire freddo, i capelli le si erano appiccicati
alla fronte e vista da fuori in quelle condizioni non doveva certo
essere un bel vedere, in più con la vita che faceva non
è che i
bagni caldi fossero proprio all’ordine del giorno. Fece per
scostare il lenzuolo che la copriva e per alzarsi dal letto, ma
notò
un’altra cosa decisamente fuori posto. Non indossava i suoi
vestiti. Al loro posto aveva un camice azzurro, decisamente leggero e
decisamente troppo corto, che le copriva a malapena le cosce.
Quindi,
facendo il punto della situazione, si trovava chissà dove,
chiusa in
un sottomarino, in mezzo ad una ciurma di pirati che quasi
sicuramente l’aveva vista nuda. Peggio di così non
poteva andare,
no? Era già tutto fin troppo assurdo.
Si
voltò verso i due pirati, lanciandogli uno dei suoi sguardi
più
minacciosi. I due si spaventarono, poteva sentirlo bene.
«Uscite
immediatamente da questa stanza.» il
suo tono era
grave
non ammetteva repliche. Gentili o no importava poco, in quel momento
li avrebbe maledetti entrambi nel peggiore dei modi, erano loro i
fautori di quella pessima situazione.
«Ma
non vuoi una mano a fare la doc… » Penguin non
fece in tempo a
finire la frase che un pugno lo colpì dritto sulla testa.
«Ho detto
di uscire!» I due si alzarono e passo svelto uscirono dalla
stanza,
Shachi scusandosi continuamente e Penguin reggendosi la testa nel
punto in cui, presto, sarebbe spuntato un secondo bernoccolo.
Morgan
rimase per un po’ seduta sul
bordo del letto, aveva esagerato a tirargli un pugno? Concluse di no,
d’altra parte mica glielo aveva tirato forte, non
così tanto
almeno.
Si
alzò dal letto, ora
che era da sola la tensione
stava lasciando il passo alla curiosità.
Si mise a girare per la stanza prima di infilarsi nella doccia.
Passò
in rassegna i letti, una quindicina in totale, disposti con una
precisione maniacale lungo tre delle pareti della stanza e separati
da
tendina bianca immacolata. La parete restante era occupata al centro
dalla porta che i due pirati avevano usato per uscire, anch’essa
in metallo grigio mentre il resto era tappezzata da armadietti,
alcuni pieni di strumenti di cui non avrebbe neanche saputo
pronunciare il nome, altri occupati da barattoli e provette pieni di
liquidi non meglio identificati. Provò ad aprire un
armadietto,
attirata da tutti quegli strumenti, ma si rese conto che era chiuso a
chiave, probabilmente sia per tenere lontano i curiosi che per
evitare che alla prima corrente tutto il contenuto si rovesciasse
malamente a terra.
Tutta
la stanza aveva un’aria inquietante, era fredda e odorava di
disinfettante, l’atmosfera era asettica e claustrofobica. Un
brivido freddo le percorse la schiena, non le piaceva affatto.
Decise
di entrare in bagno, una doccia calda le avrebbe sicuramente lavato
via la tensione di dosso. Aprì la porta e la vista la
stupì. Il
bagno non aveva niente a che fare col resto della stanza. Non era
grande, ma era arredato in maniera accogliente, con una vasca da
bagno con
tanto di doccino
su un lato e sull’altro una coppia di lavandini, sormontati
da uno
specchio enorme.
Si
guardò allo specchio, dire che faceva schifo sarebbe stato
un
eufemismo. I capelli le ricadevano disordinati sul viso, era pallide
e aveva le occhiaie di una persona che non dormiva da giorni. Si
sfilò il camice e aprì l’acqua della
vasca, avrebbe potuto farsi
una doccia, certo, ma perché non approfittarne?
Un
brivido la scosse quando l’acqua bollente le toccò
la pelle
fredda. Si sdraiò e chiuse gli occhi. Non è che
non le piacessero i
pirati, non erano certo la cosa peggiore in quella situazione. La
cosa che la turbava di più era il fatto di essere rinchiusa,
con
altre persone per di più! Ecco, quello poteva rappresentare
un
problema.
In effetti
nel corso della sua vita in un modo o nell’altro era sempre
riuscita a tenersi lontana dalla gente. I suoi contatti con le
persone si limitavano solo a situazioni di estrema necessità
e si
assicurava bene che fossero il più breve possibile. Ma
adesso come
avrebbe fatto? Non poteva fisicamente allontanarsi e nemmeno
rifugiarsi in qualche angolo sperduto. Oltretutto non aveva la minima
idea di quanto sarebbe durata quella situazione. Sicuramente fino
alla prossima isola, ma quanto ci sarebbe voluto? Una settimana, un
mese forse. E poi, chi poteva assicurarle che una volta raggiunta la
terraferma l’avrebbero lasciata andare? Sempre se non
l’avessero
uccisa prima ancora di vederla la terraferma, ovviamente.
Però
Shachi
e Penguin erano
stati
gentili con lei e non le avevano fatto niente di male, a parte
spogliarla probabilmente. Forse avrebbe potuto farseli amici
dopotutto, almeno fino alla fine del viaggio.
Ma
il pensiero che più di tutti la tormentava era lui,
“Il Chirurgo
della Morte”, Trafalgar Law. Ignorava il suo aspetto, tutto
quello
che sapeva su di lui erano le storie che i marinai ubriachi si
raccontavano nelle bettole. Ma se bastavano delle storie per
spaventare uomini che avevano passato la loro vita in mare, di
cos’era realmente capace quell’uomo? E soprattutto,
una persona
del genere avrebbe mai potuto risparmiarla?
Sbuffò
mettendosi a sere, avrebbe voluto rimanere in quella vasca per il
resto dei suoi giorni. Allungò la mano per prendere una
spugna e del
sapone e notò che il vapore aveva invaso la stanza. Si
passò la
spugna su tutto il corpo, se la passò delicatamente sul
collo, sulle
braccia e sul seno, ma quando giunse alle gambe si rese conto di una
cosa. La ferita era sparita. Non guarita, era letteralmente sparita
senza lasciare traccia! Nessuna cicatrice, nessuna sutura, nessun
segno che fino a poche ore prima la setticemia la stesse per
uccidere. Quella non era certo l’opera di un medico normale.
Si
passò la mano più volte sulla caviglia, non le
faceva neanche male.
Assolutamente niente, come se non ci fosse mai stata. Questo era
ancora più assurdo di tutto il resto.
Aprì
lo scarico della vasca di fretta, non ce la faceva più a
restare lì,
non ne poteva già più di quella situazione. Prese
un accappatoio e
uscì dalla vasca sgocciolando a terra, si guardò
in torno, in cerca
dei fantomatici “vestiti puliti” di cui le avevano
accennato.
Fortunatamente li trovò su una sedia appoggiata accanto ai
lavandini.
Una
tutona, come quella indossata da Shachi
e Penguin, ma nera. Quindi non doveva trattarsi di una pessima scelta
stilistica, ma di un marchio distintivo della ciurma. Poco male,
sempre meglio che girare per i corridori con un camice inguinale. Si
infilò quello strano indumento e si guardò allo
specchio, le andava
grande ma tutto sommato non era così male, almeno era
comoda. Notò
il petto marchiato con il Jolly Roger della ciurma, vederlo su di
sé
la fece sentire strana, era la prima volta che portava un segno
distintivo addosso. Se l’avesse vista un Marine
l’avrebbe scambiata senza dubbio per una dei Pirati Hearts.
Le
uniche cose che mancavano all’appello erano il suo zaino
scarlatto
e la spada, a pensarci bene non gli aveva visti neanche nella stanza.
Si appuntò mentalmente di chiedere ai due pirati notizie a
riguardo…
o eventualmente di lanciarsi alla loro ricerca appena avesse
recuperato un minimo le energie.
Si
asciugò alla buona i capelli e tornò nella stanza
coi letti.
Avvicinandosi al suo si accorse subito che il secchio era sparito,
mentre era in bagno qualcuno doveva essere passato per pulire. La
cosa la inquietò, in uno spazio chiuso la privacy sarebbe
sicuramente stata un optional.
Il
bagno caldo aveva eliminato ogni traccia di stanchezza dal suo corpo,
ma lo stomaco iniziò a brontolarle rumorosamente. Non sapeva
per
quanto tempo era rimasta incosciente, ma tra la fuga e la giornata
intensa la fame iniziava a farsi sentire. Si guardò intorno
in cerca
di un orologio, voleva andare a cercare una cucina ma non sapeva
neanche se forse giorno o notte. “Strano...”
come si fa a vivere in un sottomarino immerso nel buio degli abissi
senza avere nemmeno un’indicazione dell’orario?
“Una
persona normale impazzirebbe in una situazione del genere”
conosceva
abbastanza bene la mente umana per sapere che una condizione del
genere avrebbe potuto far impazzire anche la persona più stabile
del mondo.
Lo
stomaco continuava a brontolarle incessantemente e la fame ebbe il
sopravvento sulla paura di svegliare qualche pirata. Uscì
dalla
stanza in punta di piedi, le avevano dato delle scarpe ma aveva
preferito non indossarle per ridurre al minimo i rumori. Fuori dalla
stanza trovò un corridoio semplice, anch’esso con
le pareti grigie
in metallo intervallate da porte dotate di oblò.
Fortunatamente per
i suoi piedi nudi il pavimento era in legno e come la stanza anche il
corridoio era illuminato solo da luci al neon, ma queste davano
l’impressione di essere leggermente
più calde. Non
sapeva da che parte andare, l’atmosfera era fredda e tetra,
ma non
abbastanza da frenare la sua ricerca di cibo. Da entrambe le parti
non riusciva a scorgere la fine del cunicolo quindi puntò
tutto
sulla fortuna e si incamminò nella via alla sua destra.
Procedeva
a passo lento, il più silenziosamente possibile. Si sentiva
una
ladra ad agire in quel modo, ma per quanto scarso il suo istinto di
autoconservazione funzionava ancora abbastanza bene. Man mano che
procedeva si rese conto che ogni porta era dotata di un piccolo
oblò,
alcuni coperti da una tendina bianca e altri scoperti, ma pur sempre
bui. Ogni
volta che passava di fianco ad una porta cercava di percepire se al
suo interno ci fosse qualcuno, ma l’intero sottomarino
sembrava
deserto. L’ unica cosa che sentiva distintamente era il
cigolio
delle parti metalliche dell’imbarcazione spinte contro le
correnti
sottomarine e
il ronzio delle lampade al neon.
E la cosa non la tranquillizzava affatto.
Camminò
per circa dieci minuti stando all’erta, quando in intravide
la fine
del corridoio. Una porta come le altre, l’unica differenza
era che
l’oblò era illuminato e proiettava un cono di luce
nella sua
direzione. Si fermò ad ascoltare. Dall’interno
provenivano una
serie di voci, attutite dalle pareti stagne, che si accavallavano
l’una sull’altra impedendole di distinguere
chiaramente cosa si
stessero dicendo. Si avvicinò alla porta fermandosi a poco
più di
un metro di distanza, concentrandosi sulle presenze
all’interno
della stanza. A prima impressione dovevano essere circa
cinque o sei persone; eccitazione
e gioia erano le uniche emozioni che riuscì a percepire.
Decise
di entrare, a prima impressione non le sembrò una situazione
così
preoccupante. Se fosse entrata con la dovuta cautela probabilmente
avrebbe portato a casa la pelle e magari anche qualcosa da mettere
sotto i denti.
Portò
la mano sulla maniglia cercando di scacciare dalla testa le ultime
remore. Sentì il metallo freddo sul palmo e si
stupì di come tutto,
in quel sotto marino fosse così freddo e atono. “Ecco
perché si chiama POLAR Tang”
pensò, sorridendo alla sua stessa, pessima, battuta. Quello
di fare
della pessima ironia per sdrammatizzare nei momenti di tensione era
sempre stato un suo vizio.
Aprì
la pesante porta facendola cigolare e la situazione che si
trovò
davanti le fece gelare il sangue.
Tutti
i
commensali la guardarono confusi. Cinque pirati vestiti di bianco
e…
era un orso quello? Li guardò, più confusa di
loro. Perché mai un
orso stava seduto ad un tavolo con dei pirati? E per di più
facendo
baldoria, a giudicare dalla pinta di rum che reggeva nella zampa.
«Morg!»
Morg?
Penguin si alzò facendo cadere lo
sgabello
per correrle incontro barcollando. «Pensavamo non ci avresti
mai
raggiunti!» aveva gli occhi lucidi e un sorriso sornione
stampato in
volto, come se la persona che stava di fronte a lui non fosse la
stessa che gli aveva procurato un paio di bernoccoli.
L’alcool alle
volte può fare miracoli.
Penguin
la prese per la manica della tuta e la trascinò verso il
tavolo. Non
sapeva cosa fare, i pirati ricominciarono a far festa alzando i
boccali
e gridando frasi semi incomprensibili. Se quella non era una ciurma
di pazzi sicuramente era una delle cose più rumorose che
avesse mai
incontrato. Penguin la fece sedere a capotavola, allungandole un
boccale pieno di rum. «Stasera sei l’ospite
d’onore!» tutti
brindarono ridendo e gridando. Guardò il liquido nel
bicchiere, se
avesse bevuto adesso sarebbe sicuramente finita ubriaca e svenuta da
qualche pare. Lo stomaco le brontolò di nuovo.
«Ecco
in realtà… io avrei una certa fame»
disse con un filo di voce,
quasi vergognandosi. «Nessun problema!» Shachi
tirò un pugno sulla spalla dell’uomo seduto
accanto a lui
«Jean-Bart, prepara qualcosa per la signora»
l’uomo, o meglio
l’armadio, lo guardò di sottecchi grugnendo prima
di alzarsi di
malavoglia. Passò dietro a Shachi
e afferrò una gamba del suo sgabello, in
meno di un secondo il pirata si ritrovò sdraiato sul
pavimento, non
troppo sicuro di quello che fosse appena successo. «Va bene,
ma non
darmi ordini» Jean-Bart scoppiò a ridere seguito
da tutta la
ciurma.
Scoppiò
a ridere, trasportata dalle risate di quei bizzarri personaggi.
L’
unico che seppur a fatica si stava trattenendo era l’enorme
orso
bianco vestito di arancione.
Poco
dopo si trovò seduta davanti ad un piatto di carne cucinata
di tutto
punto. Ci si tuffò sopra con avidità, come se non
vedesse cibo da
giorni. Gli altri la guardarono come se fosse un animale selvatico.
Ma quel cibo era maledettamente buono, non poteva certo rischiare che
andasse sprecato.
Quando
finì di ripulire il piatto si appoggiò
sgraziatamente coi gomiti
sul tavolo. A pancia piena era decisamente più tranquilla e
poi quei
tizi non sembravano affatto minacciosi, anzi, sembravano anche
simpatici. Sicuramente era gente che aveva voglia di fare festa.
Prese
coraggio, probabilmente il rum che aveva trangugiato durante il pasto
iniziava a farsi sentire. «Comunque piacere,
Morgan» alzò la mano
in un gesto di saluto. Shachi le presentò
l’equipaggio uno per uno
elencando nomi e ruoli sulla nave. Apprese ben presto che
l’unico
membro della ciurma ad avere un ruolo stabile era proprio il
taciturno orso bianco Bepo, o meglio, il vicecapitano Bepo.
«Ma…
se siete tutti qui dov’è il vostro
capitano?» la domanda le sorse
spontanea, da quello che aveva visto fino ad allora difficilmente un
capitano lasciava i suoi sottoposti a far festa senza di lui.
«Beh
ecco...» Shachi si voltò verso Bepo, impassibile,
in cerca di
approvazione «diciamo che non è proprio un tipo
socievole». In
effetti poteva immaginarselo, non aveva neanche percepito la sua
presenza. Ma forse era meglio così, se lui non era un tipo
troppo
socievole magari avrebbe potuto evitare di incontrarlo almeno fino
a…
esatto! Fino a quando? «Beh ragazzi, non voglio sembrarvi
scortese,
ma quando raggiungeremo la prossima isola? Nel senso… non ho
motivo
di rimanere con voi per troppo tempo» aveva parlato senza
pesare le
parole, ma infondo era vero no? I pirati avevano saldato il loro
debito, in teoria non erano più legati in alcun modo.
Penguin
fece un sorriso fin troppo allegro «Dovremmo raggiungere la
prossima
isola tra due o tre settimane, se tutto va bene»
Morgan
si alzò in piedi battendo le mani sul tavolo «Come
se tutto va
bene?!» due settimane erano già troppo per i suoi
gusti. «Sì sai,
siamo pur sempre dei pirati, potrebbe davvero succedere di tutto
mentre stiamo in mare aperto… anche se siamo un sottomarino
non è
impossibile trovarci» la tranquillità nel tono in
cui lo disse era
disarmante. Almeno due settimane di prigionia in una gabbia di ferro
sul fondo dell’oceano. Non era per niente una buona idea.
Si
lasciò cadere sullo sgabello, appoggiando la testa sul
tavolo. Sentì
qualcuno appoggiarle una mano sulla spalla e il calore le invase la
schiena, era calda e soffice. Bebo stette in silenzio per un
po’,
in piedi alle sue spalle. Non era la prima volta che vedeva una scena
del genere, lui stesso spesso soffriva dell’atmosfera
claustrofobica del sottomarino e vi era a bordo da anni. Non gli
risultò difficile immaginare il motivo dello sconforto della
giovane. «B-Beh… visto che sei a bordo, tanto vale
dirci che sai
fare, no?» la sua voce entrò nella testa di Morgan
come se fosse la
cosa più soffice che avesse mai sentito. Non seppe spiegare
quella
sensazione ma l’orso le apparve improvvisamente come la cosa
più
confortante al mondo.
Esitò
per qualche istante, non
sapeva se dire
o meno alla ciurma quali fossero le sue reali
capacità ma se l’avessero gettata in mare per un
qualsiasi motivo
se ne sarebbero resi comunque conto. Tanto
valeva vuotare il sacco, se avessero voluto farla sparire almeno lo
avrebbero fatto subito. L’alcool, la stanchezza e
l’aura morbida
di Bepo le impedivano di pensare a mente totalmente lucida
Alzò
la testa e guardò gli altri con la zampa di Bepo ancora
appoggiata
sulla sua spalla. «Io ho...» non era del tutto
sicura di quello
che stava per dire, ma prese coraggio «mangiato un Frutto del
Diavolo.» Gli altri non si scomposero e anzi, con suo grande
stupore
sembravano totalmente indifferenti alla cosa. Non le era mai capitato
di incontrare qualcuno di simile. Sulle isole che aveva visitato e
soprattutto nella sua isola natale era sempre stata considerata come
un mostro da temere e da eliminare.
Shachi
la guardò interessato prima di chiederle quale frutto fosse
e cosa
fosse in grado di fare esattamente. «Ho mangiato il frutto
mind-mind. Mi permette di entrare in contatto con la mente delle
persone o meglio, posso leggerne i pensieri e le emozioni, se mi
impegno riesco anche a modificarle ma richiede parecchio sforzo. In
ogni caso sono cose che non faccio quasi mai, sono abilità
utili
quando fuggi e quando vuoi essere sicuro che
non ci siano pericoli nei paraggi, ma in combattimento non…
» la
frase le morì in gola.
Avvertì
qualcosa nel corridoio e sentì freddo, tanto freddo. Per una
frazione di secondo provò la stessa sensazione che ogni
notte
provava nel suo sogno, non riusciva a muoversi. Un misto di rabbia e
dolore le attraversò la schiena.
La
porta di metallo si aprì alle sue spalle e i festeggiamenti
della
ciurma cessarono immediatamente. Bepo si staccò da lei
immediatamente «C-capitano!» si mise in posizione
eretta portandosi
una mano alla fronte in un gesto di saluto quasi reverenziale, mentre
gli altri rimasero composti ai loro posti.
Morgan
avvertì chiaramente la presenza alle sue spalle. Era lui,
Trafalgar
Law. Si voltò con cautela e le sembrò che la
temperatura della
stanza fosse scesa di parecchi gradi.
L’uomo
stava sulla soglia della porta appoggiato allo stipite con aria non
curante. Era
alto e il suo fisico asciutto era messo in risalto da un paio di
pantaloni aderenti e da una maglia gialla e nera. Poteva distinguere
il colore ambrato della sua pelle ma il volto era in parte coperto
dal cappello, lasciando intravedere solo un pizzetto nero e la bocca
serrata in una linea inespressiva. Se avesse immaginato il diavolo,
ora ne era sicura, lo avrebbe immaginato così. Non era tanto
l’aspetto in sé, se l’avesse incontrato
in un’altra
circostanza avrebbe potuto perfino definirlo un bell’uomo, ma
l’aura che emanava avrebbe fatto fuggire anche il
più temerario
dei marinai.
Rimasero
tutti in silenzio per un tempo che le parve infinito. Law si
scostò
leggermente il cappello dal viso e fece un passo verso di lei. Gli
occhi di ghiaccio del capitano trafissero i suoi con una forza
inaudita. Ora ne era certa, le storie che si raccontavano nelle
bettole non potevano essere false. Si irrigidì sotto il peso
dello
sguardo del moro mentre un sorriso ferino anche se appena accennato
gli incurvava le labbra.
«Quindi
tu sei la nostra ospite?» la sua voce era calda e profonda,
ma
strafottente «da domani lavorerai con noi. Cerca
di non darmi un buon motivo per ucciderti»
«Aspetta!
Cosa?!» le parole le uscirono di bocca senza che potesse
fermarle.
Se ne pentì immediatamente. Law fece un altro passo verso di
lei, il
ghigno aveva lasciato il posto ad un’espressione
indecifrabile.
Morgan sentì la rabbia dell’uomo ma anche la
preoccupazione di
Bepo che fece un passo di lato. Il moro le portò una mano
sotto il
mento alzandoglielo per poterla guardare dritta negli occhi. Era
chino su di lei con il viso a pochi centimetri dal suo e lo sguardo
ghiacciato piantato nel suo. Il cuore le martellava nel petto. Da
quella distanza poteva sentirne l’odore, disinfettante. Il
panico
le attraversò lo stomaco ma non era quello il problema
principale.
Non riusciva a pensare lucidamente.
«Hai
salvato i miei uomini e loro ti hanno portata da me, saldando il
debito. Io ti ho salvato la vita, ora sei in debito con me.»
per un
istante le si annebbiò la vista.
Law
spostò la mano e si voltò di nuovo verso
l’ingresso «E voi
andate a dormire, domani abbiamo del lavoro da fare.»
Quel
giorno Morgan aveva rischiato la vita due volte. Si toccò la gamba
“Dannati
pirati, avrei preferito la setticemia”
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