Mura senza fine

di Lady Five
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Premessa dell'autrice
 

L'ispirazione per questa storia mi è venuta da una delle schede con le informazioni divulgabili che compaiono nella prima stagione dell'anime (non vi dico quale, per ora, per non spoilerare).

Mi sono poi presa alcune libertà (che fanfiction sarebbe, se no?), che mi sembra giusto, invece, segnalare subito.

La prima è di tipo “urbanistico”: in una sorta di mappa trovata su internet (vi lascerò tutti i riferimenti nell'ultimo capitolo) si evince che la caserma dove sono addestrate le reclute si trovi nei territori interni del Wall Rose, non distante dal distretto di Trost. Il quartier generale della Legione Esplorativa è in un'altra struttura, ma tutto sommato non dovrebbe essere troppo distante, e si presume che lì saranno trasferiti i cadetti che sceglieranno di entrare nel corpo (ringrazio per le delucidazioni un fan della pagina Facebook “Attack On Titan Italia”, Vin Ken Tørtu, che ha gentilmente risposto alla mia domanda).

Nella mia storia, ho immaginato che i due edifici coincidano (oppure che le reclute che hanno superato il corso siano state trasferite lì, prima di scegliere in quale corpo entrare) e quindi tutti i protagonisti, dai cadetti ai veterani della Legione Esplorativa, si trovino già a convivere nello stesso luogo.

La seconda licenza riguarda Levi: è chiaro che lui non si occupi dell'addestramento delle reclute, ci sono altri preposti a questo compito. Però non è così assurdo immaginare che, nel periodo in cui non si organizzavano le spedizioni fuori dalle mura, potesse occasionalmente fare delle “masterclass” per i novellini.

Noterete anche che “Mura” sarà sempre scritto con l'iniziale maiuscola, perché nella mia storia (ma direi anche in quella originale) diventano un vero e proprio personaggio.

 

Buona lettura!

 

 

 

 

I personaggi di questa storia, scritta senza scopo di lucro, appartengono al loro legittimo autore, Hajime Isayama.

 

 

 

 

 

Cap. 1

Pioggia, vento e fango.
Le condizioni ideali per un VERO allenamento. Per trasformare quella banda di mocciosi indisciplinati in veri combattenti. E dar loro qualche possibilità in più di portare a casa la pelle e non finire ammazzati prima di compiere diciotto anni... quelli che erano abbastanza folli da decidere di arruolarsi nella Legione Esplorativa.
Questo pensava il capitano Levi, congedando i ragazzi dopo quel pomeriggio di addestramento durissimo. La stagione autunnale era ormai inoltrata e, come ogni anno, le spedizioni fuori dalle Mura sarebbero state sospese fino a primavera. Ma questo non era un buon motivo per rammollirsi, anzi!
Adesso, però, voleva soltanto rientrare in caserma e togliersi di dosso quello schifo che gli imbrattava l'uniforme e gliela incollava addosso, procurandogli un fastidio insopportabile.
Stava imboccando il corridoio che conduceva al suo alloggio, quando la voce del comandante Smith dietro di lui lo fermò.
“Levi! Vieni nel mio ufficio, per favore. Ho bisogno di parlarti.”
Il capitano sbuffò e ricacciò in gola la sfilza di insulti che gli stava salendo alle labbra.
“Subito?” chiese gelido, senza nemmeno voltarsi.
“Sì, subito. Solo un attimo.”
Levi tornò sui suoi passi e seguì Erwin nella stanza. Certe volte aveva l'impressione che il superiore approfittasse dei suoi punti deboli con il preciso intento di farlo incazzare.
Si vendicò sedendosi, zuppo di pioggia e coperto di fango com'era, sulla poltrona anziché sulla sedia di fronte a Erwin, abbandonandosi per bene sullo schienale e incrociando le gambe. Ma il comandante non fece una piega e lo fissò impassibile.
“Sta arrivando una grana dalla capitale” disse dopo alcuni secondi.
Levi alzò un sopracciglio. Certo, da Mitras solitamente non arrivavano altro che grane. Qual era la novità? E, soprattutto, visto che di solito se le smazzava Erwin, cosa c'entrava lui?
“Una ragazza.”
Levi sollevò anche l'altro sopracciglio. Ma continuò a tacere. Non avrebbe dato a Smith alcuna soddisfazione.
“È una specie di studentessa... si interessa di antichità o roba simile. Nella fattispecie, deve fare uno studio sulle Mura... non chiedermi perché. Non avevo nemmeno idea che qualcuno si occupasse di queste cose... Starà da noi per qualche tempo, spero poco, finché non avrà completato dei non meglio specificati rilevamenti o qualcosa del genere e poi se ne tornerà a casa.”
Un campanello di allarme cominciò a suonare nella testa del capitano: Erwin stava per rifilargli una fregatura. E infatti...
“Vorrei che la seguissi tu.”
Questa volta Levi scattò come punto da uno scorpione.
“Perché io? Di marmocchi a cui fare da balia ne ho già più che a sufficienza! Mollala alla Quattrocchi! È roba per lei, non per me!”
Erwin sospirò. Di sicuro si era aspettato una reazione del genere.
“Non è così semplice. A parte che Hanji è già abbastanza invasata così, non ha bisogno di altri stimoli ! Mi serve qualcuno, lucido e distaccato, che la tenga d'occhio.”
Levi si fece serio.
“Non ti fidi? In effetti, la cosa suona parecchio strana...”
“La ragazza mi è stata raccomandata da Zackley1 in persona. Qui c'è la lettera, è arrivata stamattina. È figlia di un pezzo grosso della capitale, uno che ha agganci molto in alto, e oltretutto è un suo amico. Non posso rifiutarmi, capisci? Fosse capitato tra qualche mese, avrei potuto accampare come scusa le spedizioni fuori le Mura, ma adesso...”
“Già... e probabilmente non è nemmeno un caso. L'avranno scelto apposta.”
“È probabile. Ma non è questo il punto. Quasi certamente non c'è niente sotto, ma... con tutto quello che succede qui, non possiamo permetterci di abbassare la guardia. Si tratta soltanto di accompagnarla sulle Mura o dove diavolo deve andare, e controllare che non ficchi il naso dove invece non deve. Mi auguro sia una questione di pochi giorni. Ti solleverò da altri incarichi. Degli allenamenti extra possono occuparsi Mike e Hanji, per un po'.”
Levi assunse un'aria schifata. Fare da cane da guardia a una ragazzina viziata non era proprio nelle sue corde.
“Mi pare di capire che non ho scelta...”
“No, infatti” disse Erwin. Il suo sguardo era impenetrabile, come quasi sempre.
“Quando arriva costei?”
“Tra una settimana, strade e pioggia permettendo. Le troveremo una stanza vicino agli alloggi degli ufficiali, così sarà più sotto controllo. Non so come farà una ragazza dell'alta società ad adattarsi a vivere in un posto come questo, ma non è un problema nostro. E... sarebbe meglio che non socializzasse troppo con le reclute... potrebbe distrarli dai loro compiti.”
“Ricevuto. Ora, se non ti dispiace, andrei a darmi una ripulita...”
“Oh, sì, certo, naturalmente! Scusami tanto se ti ho trattenuto in queste... condizioni.”
Stronzo! - pensò Levi uscendo dalla stanza - come se non l'avessi fatto apposta!


Le condizioni, quelle atmosferiche stavolta, peggiorarono nei giorni successivi, quindi l'ospite ritardò parecchio ad arrivare. Mitras era lontana e le strade con quel tempo diventavano quasi impraticabili.
Finché, una mattina in cui la pioggia sembrava aver concesso una tregua, una carrozza si fermò davanti alla caserma. Il conducente allungò un biglietto ai due soldati di guardia che, evidentemente preavvertiti, lasciarono entrare la vettura nell'ampio cortile, fino alla porta d'ingresso dell'edificio principale.
La portiera si aprì lentamente e ne scese una figura minuta e completamente coperta da un pesante mantello. Il cocchiere la aiutò a scaricare le due valigie che costituivano il suo bagaglio, poi risalì in cassetta e si allontanò di gran carriera.
La figura si tolse il cappuccio, rivelando una lunga treccia bionda e un viso roseo e delicato. La ragazza si guardò intorno intimidita, non sapendo bene che cosa fare. Una delle guardie dell'ingresso la raggiunse quasi subito.
“Mi segua, signorina. La accompagno dal comandante Smith. Dia pure a me le valigie.”
Il giovane sollevò i due colli senza apparente sforzo, rispondendo ai suoi ringraziamenti con un semplice cenno del capo, e la scortò attraverso i corridoi, fino all'ufficio di Erwin. Bussò e, invitato a entrare, si mise sull'attenti.
“Comandante, è arrivata la persona che stava aspettando.”
“Bene. Falla entrare. Grazie, puoi andare.”
La ragazza avanzò nella stanza. Erwin si era già alzato e le andava incontro con la mano tesa.
“Benvenuta, signorina Axelsson. Sono Erwin Smith. Spero che abbia fatto buon viaggio.”“Sì, malgrado le pessime condizioni delle strade. Innanzitutto desidero ringraziarla per aver accettato la mia richiesta. Intendo darvi il meno disturbo possibile...”
Lui fece un gesto vago. Intanto la ragazza aveva scostato il mantello, per porgergli a sua volta la mano, e l'uomo notò che indossava pantaloni di fustagno e pesanti scarponi. La cosa lo colpì positivamente.
“Mi auguro che si troverà bene. Qui non abbiamo molte comodità, ma cercheremo di rendere il suo soggiorno gradevole.”
“Oh, non si preoccupi di questo, io mi adatto facilmente a qualsiasi situazione!”
Erwin stava per aggiungere qualcosa, quando entrò Levi.
Il capitano aveva visto arrivare la carrozza e aveva subito intuito di chi si trattasse. Aveva quindi lasciato l'area dove stava addestrando i ragazzi e si era diretto alla caserma.
“Oh, capiti a proposito - esclamò Erwin - Signorina, le presento il capitano Levi, a cui può rivolgersi per tutte le sue necessità. La accompagnerà dove desidera e veglierà su di lei.”
La ragazza si volse verso il lui e gli porse la mano.
“Piacere, capitano. Io mi chiamo Kim Axelsson.”
Se Erwin stava chiaramente facendo di tutto per mettere la nuova arrivata a suo agio, Levi non intendeva invece collaborare. Ricambiò rapidamente la stretta di mano, senza quasi guardarla, e assunse la sua solita aria scocciata.
La ragazza rimase un po' perplessa da un'accoglienza così poco incoraggiante, ma non disse nulla.
“Venga, la accompagniamo al suo alloggio” disse invece Erwin, indicando a Levi le due valigie rimaste vicino alla porta. Il capitano assunse un'espressione scandalizzata. Per chi l'aveva preso? Per un facchino? Quando quella storia fosse finita, gliela avrebbe fatta pagare!
Ma, quando vide Erwin prendere una delle due borse, non poté esimersi dall'afferrare l'altra e seguirlo, masticando improperi tra sé e sé.
Un'altra cosa che l'aveva fatto andare in bestia era che la stanza assegnata alla Axelsson fosse di fronte alla sua. Si augurava con tutto il cuore che quella non fosse una rompiballe, o l'avrebbe sistemata lui, con i suoi metodi! Se ne fregava, lui, che fosse una raccomandata!
In più, nei giorni precedenti, Erwin l'aveva fatta ripulire e aveva affidato a Levi la supervisione delle operazioni. Certo, così sarebbe stato sicuro del risultato, il vecchio volpone! E tutto per che cosa? Per leccare il culo a Zackley e a quei tromboni dell'alta società di Mitras!
“Ecco qua, signorina Axelsson. Può riposarsi un po', prima del pranzo, che sarà servito alla mensa tra due ore. Passerò a prenderla io, intanto che si ambienta.”Kim ringraziò i due uomini con un luminoso sorriso e si guardò intorno. La camera era molto spartana, ma profumava di pulito ed era abbastanza calda. Del resto, sapeva che non stava andando in un albergo di lusso. Il comandante Smith era molto gentile... mentre quell'altro non sembrava affatto contento di doversi occupare di lei. Prevedeva una convivenza difficile.

“Che te ne pare? - chiese Erwin a Levi, tornando in ufficio.
Levi arricciò il naso.
“Sembra molto educata. Non ha l'aria della spia, comunque. Anche se le vere spie non ce l'hanno certo scritto in faccia!”
“È anche molto graziosa...”
“Già. Troppo. Non passerà inosservata. Quanti anni ha?”
“Diciotto o diciannove, se ho capito bene. Non sarà facile tenerle lontani i cadetti... oltretutto, è una civile, quindi non soggetta ai nostri regolamenti in materia.”
Il capitano alzò le spalle. Non erano cavoli suoi, quelli. Se uno o più di quei mocciosi decideva di farsi spezzare il cuore, che facesse pure.

In mensa regnava la solita confusione. Malgrado il vitto lasciasse molto a desiderare per qualità, tutti divoravano ogni cosa fino all'ultimo boccone. La gioventù e i notevoli sforzi fisici a cui erano sottoposti quotidianamente contribuivano al loro gagliardo appetito. Del resto, sapevano bene che non avrebbero avuto altro fino al pasto successivo.
Kim fu prelevata da Smith dalla sua stanza e presa subito sotto l'ala protettrice di Hanji e Petra. Il comandante non aveva potuto evitare di mettere al corrente gli altri ufficiali del nuovo arrivo, per cui Hanji travolse la poveretta come un fiume in piena, tempestandola di domande sui suoi studi. La ragazza, un po' intimidita, rispondeva in modo educato, ma senza entrare mai troppo nei dettagli. Di questo però la sua vivace interlocutrice sembrava non accorgersi affatto. Levi, invece, che, seduto poco distante e apparentemente immerso nei suoi pensieri, in realtà non si perdeva una parola, lo notò subito. Forse non significava nulla, quella strana reticenza, però...
E poi aveva ragione Erwin: qualcosa non tornava. Lui non era certo uno studioso, ma sapeva benissimo, come tutti del resto, che la memoria storica dell'umanità risaliva a 100 anni prima. Un po' poco per parlare di “antichità”... Su quel passato, poi, gravava una fitta nebbia... A quanto gli risultava, non c'erano testimonianze scritte... si vociferava di libri proibiti... ma nessuno sapeva nulla di preciso... Infine, era noto a tutti anche che la curiosità sulle Mura non era gradita alle autorità, civili, militari e religiose. Chi aveva fatto domande, spesso l'aveva pagata a caro prezzo. Ma questa ragazza arrivava dalla capitale raccomandata addirittura da Zackley... a quale scopo? Era considerata del tutto innocua, magari un po' suonata, o aveva un altro compito da portare a termine?
Forse Erwin ci aveva visto giusto, a farla controllare da lui. Come sempre, del resto.





 

1Il nome del Comandante supremo dell'esercito all'interno delle Mura si trova scritto o pronunciato anche in altri modi (come Zackly e, nell'anime, Zachary).

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Cap. 2

Quella sera stessa riprese a piovere a dirotto e continuò per i tre giorni successivi. Non era pensabile accompagnare Kim a fare la sua ricognizione sulle Mura e lei per prima non lo chiese nemmeno. Disse che ne avrebbe approfittato per studiare e riordinare i suoi appunti e praticamente non uscì mai dalla sua stanza, se non per scendere in mensa.
Levi, invece, da un lato era irritato, perché questo significava prolungare il soggiorno della ragazza nella loro caserma, dall'altro era sollevato di poter procrastinare il loro contatto forzato. Anche lui ne approfittò per sottoporre le reclute a ulteriori massacranti allenamenti nel fango... aveva notato gli sguardi incuriositi, quando non apertamente languidi, che molti avevano rivolto alla nuova arrivata e aveva deciso che ci avrebbe pensato lui, a togliere dalle loro teste qualsiasi pensiero romantico.

Ma non si poté evitare l'inevitabile.

Una sera Erwin aveva convocato da lui tutti gli ufficiali e la riunione si era protratta ben oltre l'ora di cena.
Kim, quindi, dopo aver ritirato il suo vassoio con il rancio, non sapendo bene come comportarsi e non osando sedersi da sola al solito posto, si era messa a un tavolo un po' defilato. La mossa non era sfuggita a un gruppetto di reclute, che non l'aveva persa di vista da quando era entrata. Due di loro, in particolare, si scambiarono uno sguardo d'intesa, dopodiché il più alto si alzò e si diresse deciso verso di lei.
“Ciao! Mi chiamo Eren Jeager e quelli laggiù sono i miei amici. Ti andrebbe di cenare con noi?”
La ragazza, intimidita, fu tentata di rifiutare... ma le avevano insegnato a essere sempre gentile con tutti e in fondo non aveva motivi per farlo. Poi, quelli dovevano essere più o meno suoi coetanei. Se era riuscita a socializzare con persone molto più grandi di lei, come il caposquadra Zoe e perfino con il comandante Smith, perché non avrebbe dovuto farcela con loro?
“Io sono Kim Axelsson, piacere. Grazie, accetto volentieri!”
Seguì il ragazzo dagli occhi verdi fino al suo tavolo, dove lui fece le presentazioni.
“Ecco mia sorella Mikasa Ackerman, Sasha Blouse, Armin Arlert, Jean Kirschtein e Connie Springer. Abbiamo concluso il nostro percorso di addestramento pochi giorni fa...” aggiunse Eren con orgoglio.
“Oh... beh, congratulazioni!” esclamò Kim, non sapendo che cosa si dovesse dire in questi casi. E poi aveva notato una cosa strana, in quello che aveva detto Eren: se quella ragazza era sua sorella, perché aveva un cognome diverso? Ma le avevano insegnato anche a essere discreta e quindi decise di non fare domande, per il momento.
Rimasero in silenzio per alcuni minuti, con gli occhi fissi nei piatti. Quella ragazza era un po' un'anomalia nel loro ambiente. Avevano capito che non faceva parte dell'esercito e che non era lì per arruolarsi. Avevano sentito che veniva da Mitras, ma non avevano idea di chi fosse e del perché si trovasse nella loro caserma, e fosse addirittura ammessa al tavolo degli ufficiali.
Fu Sasha, dopo aver parzialmente placato il suo insaziabile appetito, a rompere il ghiaccio, iniziando a tempestare di domande la malcapitata. Quanti anni aveva, da dove arrivava, e perché era venuta lì, e qual era il piatto più tipico della capitale...
Kim rispose gentilmente, divertita dall'esuberanza della ragazza, ma sempre restando sul generico. Solo che loro, a differenza di Levi, non se ne accorsero.
Kim, a sua volta, studiava i suoi compagni di tavolo. Quello che le avevano presentato come Jean sembrava sempre arrabbiato e più di una volta aveva redarguito severamente la povera Sasha, accusandola di essere una formidabile ficcanaso. Un altro - Connie, se ricordava bene - aveva una buffa testa perfettamente rotonda e ogni tanto faceva delle battute, a cui però non rideva nessuno. Il ragazzo che l'aveva invitata a cenare con loro era senza dubbio attraente, ma un po' troppo sopra le righe, per i suoi gusti. L'altra ragazza, la “sorella” di Eren, la metteva invece un po' a disagio. Era bellissima, di una bellezza algida e selvatica, di cui lei non sembrava consapevole, ma il suo atteggiamento distaccato, quasi ostile, la faceva sembrare antipatica. Quasi non l'aveva guardata in faccia e non aveva praticamente aperto bocca. Kim si chiese se fosse sempre così e se ce l'avesse con lei per qualche motivo. L'ultimo, Armin, l'aveva colpita subito. In contrasto con i lineamenti delicati, ancora infantili, quasi femminei, accentuati dai capelli biondi a caschetto, aveva uno sguardo intelligente e profondo, venato da una sottile malinconia. Si era accorta che ascoltava con estrema attenzione tutto quello che lei diceva e sembrava soppesarlo tra sé e sé. Doveva essere però anche molto timido, perché non le aveva rivolto alcuna domanda, mentre si capiva bene che moriva dalla voglia di farlo. In questo - constatò la nuova arrivata - erano simili.
La frugale cena finì presto e il gruppetto invitò Kim in quella che era chiamata la sala-svago: uno squallido stanzone con dei tavolacci, dove i giovani soldati trascorrevano le poche ore libere, chi giocando a carte o a dadi, chi leggendo, chi scrivendo alla famiglia, chi chiacchierando. Avevano ancora un'ora prima di andare a dormire. Kim rifiutò gentilmente la proposta di unirsi a una partita a carte (del resto, non sapeva giocare) e si sedette a un lato del tavolo a osservare. Anche Armin non vi prese parte e si accomodò vicino a lei. Dopo un buon lasso di tempo, durante il quale i due finsero di interessarsi al gioco, finalmente il ragazzo trovò il coraggio di chiederle ulteriori particolari sui suoi studi. Kim sentì che di lui poteva fidarsi e gli raccontò qualcosa in più rispetto a quanto aveva detto finora agli altri. Finite le scuole superiori, le era rimasta un'insopprimibile curiosità riguardo al passato dell'umanità, tuttora avvolto nel mistero. Aveva ottenuto dal padre il permesso di seguire delle conferenze, più che delle vere lezioni, che venivano organizzate nella biblioteca centrale di Mitras, tenute via via da insegnanti, politici ed esponenti del culto delle Mura. Ma queste non avevano minimamente risposto alle sue domande, anzi, avevano aumentato il suo smarrimento e la sua ansia di sapere. Aveva anche consultato tutti i libri possibili esistenti nella biblioteca sull'argomento, ma non aveva trovato nulla di significativo. Ma si era convinta che tutto partiva dalle Mura: troppi misteri, troppe omissioni e nello stesso tempo troppe dicerie le circondavano... Tutti le davano per scontate, addirittura c'era chi le considerava intoccabili e inviolabili, una condanna ineluttabile che avrebbe schiacciato l'umanità per sempre... Ma qualcuno doveva averle costruite, in qualche modo... e, se c'era un prima, un'epoca in cui le Mura non esistevano, doveva per forza esserci anche un dopo, prima o poi: una possibilità di liberazione, una speranza di salvezza... Ed era proprio il bisogno di questa speranza a smuoverla.
Kim, senza rendersene conto, si stava accalorando sempre di più. I due ora si erano appartati in un angolo, per parlare più tranquilli. Armin era affascinato dalla ragazza e dalle sue teorie, così incredibilmente simili alle sue. Lì, in caserma, non aveva molte possibilità di confrontarsi con qualcuno. Tutti dovevano concentrarsi sul compito principale: sconfiggere i Giganti, possibilmente riportando a casa la pelle.
Il caposquadra Zoe sosteneva che, per avere una minima possibilità di successo, avrebbero dovuto raccogliere più informazioni possibili su di loro. Ma la sua idea, solo in parte condivisa dal comandante Smith, era più o meno apertamente ostacolata dalle alte sfere militari, che facevano di tutto per mettere loro i bastoni tra le ruote. Farsi troppo domande era pericoloso, Armin lo sapeva bene, e quindi quella ragazza dall'aria così fragile gli appariva ancora più coraggiosa e determinata. In più, le invidiava la possibilità di studiare e di avere accesso al sapere, in generale, anche se magari non con i risultati sperati. Lui, come quasi tutti i suoi compagni, sapeva fin da piccolo che, dopo gli anni di scuola obbligatori, in cui si imparava a leggere, scrivere, far di conto e poco altro, avrebbe dovuto rinunciare a proseguire. Solo chi aveva molti soldi poteva continuare a frequentare dei corsi superiori, la maggior parte dei quali avevano un indirizzo tecnico-scientifico: all'umanità servivano prevalentemente medici, ingegneri, progettisti, agronomi... al limite qualche insegnante.
Poi era successo quello che era successo, lui, Eren e Mikasa erano rimasti soli al mondo, si erano arruolati e gli unici studi che avevano potuto fare erano quelli previsti dall'addestramento militare, in cui peraltro lui eccelleva.
Ma tutto questo a Kim non lo disse.
La ragazza stava appunto per chiedergli qualcosa di lui, quando il capitano Levi fece capolino nello stanzone per spedire i cadetti nelle camerate, con i suoi soliti modi poco urbani. Mentre tutti si avviavano all'uscita, al suo occhio acuto non era sfuggita la coppia Kim-Armin, che, sbucando dall'angolo semibuio in cui si era appartata, seguiva gli altri continuando a chiacchierare. Soprattutto, notò subito lo sguardo insolitamente perso del ragazzo.
Scosse la testa con disapprovazione. Ma guarda! Chi l'avrebbe mai detto, che, tra tutti, la prima vittima sarebbe stato proprio l'intellettuale del gruppo? O forse, invece, a pensarci bene, era prevedibile, eccome.

Armin, contrariamente al suo solito, quella sera non riusciva a prendere sonno. Si sentiva... strano. Ma non avrebbe saputo descrivere meglio il suo stato d'animo. Il che non era da lui, abituato da sempre a ragionare, a classificare, a dare un nome e una collocazione a qualsiasi cosa.
Andando verso i dormitori insieme agli altri, era talmente immerso nei suoi pensieri che non aveva nemmeno sentito i commenti entusiasti di Sasha su Kim, e quelli, molto più grevi, di Eren, Jean e Connie. Ripensava invece a quello di cui lui e la ragazza nuova avevano discusso, il loro modo di vedere la realtà, così simile. Aveva percepito una sintonia che non aveva mai provato prima... no, nemmeno con Eren e Mikasa, che pure erano i suoi migliori amici, anzi, quasi fratelli. Si chiese, confusamente, se sarebbe stato lo stesso, se Kim non avesse avuto quei grandi ed espressivi occhi celesti, quei lunghi riccioli biondi e quella bocca così ben disegnata...
Armin continuava a rigirarsi nel giaciglio. Che cosa gli stava succedendo? Cos'era quella specie di ansia che gli attanagliava lo stomaco? Forse aveva ragione Mikasa: lei l'aveva sentita bene, invece, quando aveva detto, lapidaria, che era inutile sprecare tempo ed energie per fare amicizia con una persona che presto se ne sarebbe tornata a casa sua e che sicuramente non avrebbero rivisto mai più... a quell'idea Armin provò una strana fitta al cuore... E poi era grande, più grande di tutti loro: aveva 18 anni, mentre lui e gli altri ne avevano soltanto 15.... ma cosa c'entrava questo adesso?
Per distrarsi, cominciò a valutare l'ipotesi di parlare a Kim del libro di suo nonno... il libro proibito, che lui e i suoi amici sfogliavano da bambini, di nascosto, e che parlava di un mondo senza confini e di un'immensa distesa di acqua salata chiamata “mare”, che nessuno però aveva mai visto... Ma lui quel libro non ce l'aveva più... l'aveva dovuto abbandonare, quando era stato costretto a fuggire in fretta e furia, il giorno terribile in cui Shiganshina era caduta sotto i colpi del Gigante Corazzato e del Gigante Colossale.1 Forse Kim non gli avrebbe creduto... o forse sì, il ragazzo sentiva che poteva fidarsi di lei, che lei lo avrebbe capito... così, pensando al volto sorridente della sua nuova amica, finalmente Armin si addormentò.

Povero Armin... bisogna capirlo. Né lui né i suoi compagni avevano mai avuto tempo e modo di innamorarsi. E non soltanto per la giovane età e nemmeno perché il regolamento dell'esercito vietava le relazioni sentimentali tra commilitoni. Avevano dovuto pensare troppo presto a sopravvivere e a nient'altro. La vita era difficile per tutti, all'interno delle Mura. Ma per lui, Eren e Mikasa, soli al mondo, lo era ancora di più. Per i soldati, l'unico scopo era restare vivi, a tutti i costi. Non avevano tempo né testa per l'Amore. Certo, a qualcuno sarà capitato... ma i rischi, troppo elevati, erano un efficace deterrente.
Per questo il piccolo Armin non sapeva dare un nome a ciò che stava provando... non lo conosceva, non l'aveva mai sperimentato e nessuno gliene aveva mai parlato... Dormi, piccolo Armin, e non pensarci più... fino a un nuovo giorno di prigionia dentro le Mura.





 

1. Non ricordo se nella storia originale si sappia la sorte di questo libro... ma è molto plausibile che in quelle circostanze, nessuno, né Armin né nessun altro, fuggendo abbia avuto la possibilità di portarlo con sé.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


 

 

Finalmente smise di piovere e Levi non poté più sottrarsi al suo incarico.
Una mattina, a colazione, comunicò a Kim che l'avrebbe accompagnata a fare una ricognizione lungo le Mura. La ragazza lo ringraziò con entusiasmo e si fece trovare mezz'ora dopo nel cortile, in abiti da lavoro e con una grossa borsa a tracolla. Il capitano conduceva per le briglie due cavalli.

“Sai cavalcare?” le chiese brusco.
“Un pochino...” rispose Kim, intimidita da quel modo di fare sempre così scostante.
“Beh, tanto non dobbiamo fare molta strada. Quella borsa è proprio necessaria?”
“Veramente sì... ci sono dentro delle cose che mi servono per lavorare...”
Levi sbuffando la prese e la assicurò sulla groppa del suo cavallo, poi aiutò la ragazza a salire sull'altro.
“Seguimi!” le intimò.
Si allontanarono al trotto, dirigendosi verso un'area contigua al Wall Rose poco abitata e abbastanza lontana dalla caserma. La gente spettegola su tutto ed Erwin aveva ritenuto più prudente non dare troppo nell'occhio. E bisognava guardarsi anche dai seguaci del culto delle Mura, che avevano occhi e orecchie dappertutto... Il capitano era sollevato perché erano riusciti a sfuggire ad Hanji ... opportunamente intrattenuta proprio dal comandante Smith. Ma con quella matta non si poteva mai stare tranquilli.
Arrivati al punto stabilito, Kim tirò fuori dalla sua borsa taccuini, matite e quello che sembrava un grosso album da disegno e iniziò a osservare le Mura, a toccarle, a prendere appunti o a fare schizzi. Sembrava essere interessata soprattutto alla base, nel punto in cui si incontrava con il manto erboso. Levi se ne stava in disparte, apparentemente dedito alla cura dei cavalli e annoiato, ma in realtà non la perdeva d'occhio. Che cosa stava cercando davvero? Era solo curiosità intellettuale la sua?
Nelle mani della ragazza a un certo punto spuntò un piccolo scalpello, o martello, Levi non riusciva a vedere bene, e con quello si mise a colpire le Mura in più punti. All'improvviso si volse verso di lui.
“Di che cosa sono fatte le Mura? Cioè... pensavo fossero di un tipo di pietra particolare, ma non è così... Sono perfettamente lisce, uniformi, senza giunture, ma non sono intonacate 1o rivestite in qualche modo... Non si riescono nemmeno a scalfire con questo... A Mitras ho campionato ogni tipo di materiale usato nei vari edifici, dal più umile al più sfarzoso, ma non ho trovato nulla di simile. Non capisco proprio!”
Levi non rispose subito. Anche perché non sapeva cosa dire. Non aveva la più pallida idea di come fossero fatte le Mura. Non se l'era mai nemmeno chiesto. A dirla tutta, non gliene fregava proprio nulla. Avevano ben altri problemi, lui e i suoi compagni. E non capiva perché una mocciosa ricca e viziata si dovesse interessare tanto a una questione simile. Se prima si sentiva vagamente a disagio, ora gli stava montando il nervoso.
“Non lo sappiamo di che cosa siano fatte le Mura. Noi ci occupiamo di altro, signorina” disse con voce dura.
Ma Kim non si lasciò intimidire.
“Pensa che io possa parlarne con la signora Hanji?” insistette.
“Il caposquadra Hanji in questo momento ha altre priorità.”
La ragazza parve riflettere. Poi guardò verso l'altro.
Ecco, ci siamo! pensò il capitano rabbuiandosi.
“È possibile salire fino in cima? Immagino di sì...”
“Ne parlerò con il comandante Smith. Salire lassù può essere pericoloso, solitamente i civili non sono ammessi.”
“Allora penso che per il momento possa bastare, possiamo tornare in caserma, capitano. E grazie per la sua pazienza e il suo tempo.”
“Dovere.”
Non ci bastava una pazza, pensava Levi mentre cavalcavano, sempre in rigoroso silenzio, sulla via del ritorno, ci mancava quest'altra fuori di testa! Se parla con Hanji, siamo fottuti!
Rientrati alla base, Kim si ritirò nella sua stanza e il capitano andò difilato da Erwin, dopo aver controllato dove si trovasse il caposquadra Zoe. Era fortunatamente impegnata in una sessione di addestramento e ne avrebbe avuto ancora per un po'.
Il comandante era da solo.
Levi fece il suo rapporto sulla mattinata trascorsa sotto le Mura con Kim.
Gli seccava terribilmente ammetterlo, ma la questione del materiale di cui erano fatte quelle stramaledette Mura gli si era conficcata nel cervello come una lama d'acciaio.
“Quella vuole salire in cima” riferì a Erwin.
L'uomo sospirò.
“Lo immaginavo.”
Come cavolo faceva a prevedere sempre tutto? Beh, dopotutto non era un caso che il capo fosse lui.
“Le ho detto che avrei chiesto a te, perché lassù può essere pericoloso e i civili normalmente non sono ammessi.”
“Hai fatto bene. La accontenteremo, ma con calma, senza fretta. Le faremo indossare un'imbracatura. Magari verrò anch'io oppure ti assegnerò un paio di uomini, per sicurezza.”
Levi sgranò gli occhi. La mocciosa doveva avere degli appoggi davvero molto in alto. Non c'era altra spiegazione.
“E c'è quell'altra cosa... la storia del materiale con cui sono state costruite le Mura. Le ho detto che noi ci occupiamo d'altro, ma lei vuole parlarne con Hanji e tu ti puoi ben immaginare le conseguenze catastrofiche se lo facesse...”
Erwin si passò una mano sul viso tirato. Pareva riflettere e a Levi sembrò di cogliere, come in rarissime altre occasioni, un'ombra di incertezza.
“È vero, noi ci occupiamo d'altro... e sarebbe meglio se lo facesse anche quella ragazza. Finirà per mettersi nei guai... ma finché la cosa rimane tra noi, non accadrà. Che parli pure con Hanji, se vuole... non ci caverà nulla, e lei in questo momento ha il chiodo fisso di catturare un gigante per studiarlo dal vivo, non credo abbia tempo per altro...”
Il capitano alzò gli occhi al cielo, congedandosi. Lì erano impazziti tutti! Quanto a Zoe, lui non era così ottimista!

Prima che con Hanji, che era sempre molto impegnata e difficile da avvicinare, Kim parlò con Armin. Ormai la ragazza cenava sempre con il solito gruppetto e dopo si intratteneva a chiacchierare con lui fino all'ora di ritirarsi per la notte. Entrambi erano così presi dai loro discorsi che nemmeno si accorgevano degli sguardi a volte incuriositi, a volte maliziosi, delle altre reclute.
Kim gli sottopose i suoi dubbi.
“Capisci, le Mura sembrano fatte di un materiale che non è stato usato da nessun'altra parte. Dove se lo sono procurato, i costruttori?”
Armin all'inizio si limitava ad ascoltare, ancora un po' in soggezione davanti a quella ragazza più grande, che sembrava sapere tante cose più di lui. Ma in breve prese maggiore confidenza, incoraggiato dalla sua gentilezza e dalla sua semplicità.
Così, quella sera decise che poteva fidarsi di lei e iniziò a raccontarle del libro di suo nonno, dove si parlava di deserti di sabbia, continenti di ghiaccio e immense distese di acqua salata. Le rivelò anche che era proprio grazie a quel libro se lui e i suoi amici non avevano perso la speranza, non si erano rassegnati a un'esistenza precaria e avevano deciso di entrare nell'esercito.
Kim lo ascoltò a bocca aperta, senza mai interromperlo, sempre più sconvolta.
“Forse c'è un mondo là fuori, che nessuno di noi conosce e che può nascondere molti segreti. Tra cui, probabilmente, quelli che riguardano le Mura...” concluse il ragazzo.
Per Kim era difficile sostenere quella nuova visione delle cose: ne subiva il fascino irresistibile, eppure era consapevole che per lei e per tutti loro rischiava di essere soltanto un'utopia, un'illusione, un sogno irrealizzabile. Vivere da reclusi le sembrò allora ancora più intollerabile, con la coscienza di quello che si stavano perdendo.
“Ma... sei sicuro che non si tratti di fantasie, di leggende?” obiettò.
“No, non posso esserne sicuro. Ma non posso essere sicuro nemmeno del contrario... cioè, potrebbe essere tutto vero. Mio nonno ne era fermamente convinto.”
“E lui, come ha avuto quel libro?”
“Lo ha avuto da suo padre, ma non sapeva come lui a sua volta ne fosse venuto in possesso...”
“Mi... mi mostreresti quel libro? - gli chiese Kim esitante - ti giuro che non ne farò parola con nessuno!”
“Lo farei volentieri, Kim, credimi, ma purtroppo non ce l'ho più. Siamo dovuti scappare così in fretta da Shiganshina... non l'ho potuto portare con me...”
A quel punto Armin le raccontò anche delle terribili esperienze attraverso cui erano passati lui e i suoi due amici fraterni, Eren e Mikasa, di come a un certo punto si fossero trovati tutti e tre senza famiglia, e della decisione di arruolarsi per poi entrare nella Legione Esplorativa. In realtà, era stato Eren a scegliere e per lui e Mikasa era stato naturale seguirlo.
Kim era sinceramente addolorata. Si rendeva conto che, nel suo mondo ovattato, non arrivava che una pallida eco di ciò che succedeva nei territori più esterni, delle condizioni di vita della maggior parte della popolazione, dei drammi che si erano consumati negli ultimi anni, degli orrori che ragazzi come lei avevano vissuto in prima persona.
Posò delicatamente la sua mano affusolata su quella di Armin, facendolo trasalire. Stava per dirgli qualcosa, ma la campana richiamò tutti nelle camerate.

Piovve di nuovo a dirotto per i successivi tre giorni e la salita in cima alle Mura dovette per forza di cose essere rimandata.







 

1 Nel manga (capitolo34) è Armin a fare un'osservazione sulla struttura delle Mura, dicendo che appaiono senza mattoni né intonaco.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

 

Quella notte il capitano Levi era in preda a uno dei suoi frequenti attacchi di insonnia.
No, non era soltanto colpa della pioggia continua e del vento che ululava in modo impressionante, insinuandosi nelle crepe della vecchia caserma, tra gli infissi ormai consunti, e arrivando a gelare le ossa. No, era una di quelle volte in cui i ricordi del passato lo assediavano trasformandosi in incubi terribili. Levi passava per essere un uomo freddo e distaccato, cinico e concentrato unicamente sui propri obiettivi. E lui lo lasciava credere... significava avere meno complicazioni. Ma in realtà non aveva dimenticato un solo volto, un solo nome dei suoi soldati caduti, e nemmeno le circostanze in cui erano morti. Per non parlare degli occhi increduli e terrorizzati di Isabel e Farlan, dei loro corpi straziati... malgrado fossero ormai trascorsi parecchi anni... C'erano delle notti in cui tutto questo diventava insopportabile, come un'onda di piena che travolge una diga.
Così, dopo aver inutilmente tentato di prendere sonno, il capitano si era risolto a scendere nelle cucine a prepararsi un tè, nella speranza di riuscire almeno a togliersi di dosso quel freddo fottuto.
Si era rivestito alla bell'e meglio (non sarebbe stato dignitoso farsi vedere in abbigliamento da notte, se avesse incontrato un sottoposto...) e si era inoltrato nel buio corridoio, verso le scale, con una bugia accesa in mano. La Legione Esplorativa era sempre in ristrettezze economiche e per risparmiare i corridoi non erano illuminati.
La piccola fiamma tremolante della candela rompeva il buio appena davanti a sé, giusto quanto gli serviva per non inciampare da qualche parte. Per questo, passando davanti all'ufficio di Erwin, notò subito la sottile lama di luce che filtrava da sotto la porta. Lì per lì pensò che anche il comandante non riuscisse a dormire e fosse tornato lì a lavorare, e fu tentato di tirare dritto. Ma l'istinto gli suggeriva che non era così... e poi Erwin non gli risultava facesse quelle cose. Era così metodico e cercava sempre, quando poteva, di riposare il numero giusto di ore, per poter essere lucido e presente.
Soffiò sulla candela per spegnerla e la posò a terra. Si disse che sarebbe dovuto tornare in camera a prendere un'arma, ma non c'era tempo. Se si fosse trattato di un malintenzionato, avrebbe potuto sfuggirgli. Quindi aprì lentamente la porta, quel tanto che gli permise di sbirciare all'interno.
Il suo istinto non si era sbagliato. Qualcuno stava frugando nella scrivania di Erwin! Non lo riconobbe, perché gli dava le spalle ed era completamente avvolto da un mantello scuro, con un cappuccio che gli copriva la testa.
A quel punto non c'era un minuto da perdere. Agile e silenzioso come un gatto, Levi sgusciò all'interno della stanza, si avvicinò furtivamente all'intruso e, con un balzo improvviso, gli bloccò le braccia lungo i fianchi, serrandogli contemporaneamente il collo con il braccio destro.
Il malcapitato cercò di dibattersi, ma la presa del capitano era una morsa d'acciaio e dovette presto desistere.
“Un gesto e sei morto!” gli sibilò Levi in un orecchio.
L'intruso si immobilizzò, ma il capitano poteva percepirne chiaramente il respiro affannoso.
“E ora vediamo chi diavolo sei!” disse rabbioso, strappandogli il cappuccio.
Una treccia bionda si srotolò sul mantello, lasciando Levi di stucco.
“Per pietà, capitano Levi, non mi faccia del male! Sono io, Kim! Le posso spiegare tutto...”
Sempre più stupefatto, l'uomo lasciò la presa sul collo e girò la ragazza verso di lui.
Era spaventatissima, ma questo non smorzò minimamente l'ira che gli stava montando dentro.
Senza tanti complimenti, la perquisì sommariamente alla ricerca di qualche arma nascosta. Non era certo sua abitudine mettere le mani addosso a una donna, ma in quella circostanza non poteva fare in altro modo.
Appurato che non portava addosso alcun oggetto con cui avrebbe potuto nuocergli, la spinse bruscamente su una sedia.
“Non muoverti! - le intimò - È così che ci ripaghi della fiducia che ti abbiamo accordato? Avremmo dovuto immaginarlo che c'era sotto qualcosa di losco! Sei una spia, nient'altro che una spia! Adesso mi dirai chi ti manda e che cosa stavi cercando, e ti consiglio di essere sincera! Qua non sei nell'alta società di Mitras!”
Kim scosse energicamente la testa.
“Non sono una spia, lo giuro! Non mi manda nessuno... sto agendo per conto mio... per... motivi personali!”
“Ah, davvero? Mi prendi per stupido? Se credi che me la beva, hai sbagliato persona...!”
“Non la sto prendendo in giro, capitano! Le... dirò tutto!”
Levi si sedette di fronte a lei, brandendo un tagliacarte che aveva preso sulla scrivania.
“Bene, ti ascolto. E cerca di essere convincente!”
La ragazza deglutì e iniziò a parlare con voce sommessa.
“Il mio vero nome è Kim Lind. I coniugi Axelsson non sono i miei veri genitori. Mi hanno adottato quando avevo cinque anni. Mia madre era morta nel darmi alla luce e, quando anche mio padre morì, nessuno poteva occuparsi di me, così per un po' stetti in un orfanotrofio a Mitras, finché fui appunto adottata. Circa un anno fa, un ragazzino sconosciuto venne a cercarmi. Mi disse che suo padre era in punto di morte e voleva parlarmi. All'inizio pensai a un errore, perché io non conoscevo quelle persone, ma il ragazzo insistette e così andai a incontrare quell'uomo. Il quale mi disse di essere un collega di mio padre, lavoravano insieme alla miniera. Un giorno mio padre gli confidò di aver scoperto una cosa sconvolgente... cioè che le Mura hanno fondamenta profondissime. Gli raccomandò anche di non farne parola con nessuno, ma lui, imprudentemente, si lasciò sfuggire la cosa con il responsabile della miniera. Due giorni dopo, mio padre scomparve.1 A me avevano sempre detto che era rimasto vittima di un incidente sul lavoro, ma quella, mi rivelò, era stata la versione ufficiale, in realtà di lui non si seppe più nulla. Non si presentò più al lavoro e non tornò più a casa. Io ero troppo piccola per fare domande... Quell'uomo visse gli anni successivi divorato dal rimorso, perché era sicuro che la colpa della sorte di mio padre fosse sua, e quindi aveva deciso di rintracciarmi e di raccontarmi la verità. Io rimasi sconvolta, ma, dopo tutto questo tempo, che cosa potevo fare? Tuttavia dovevo agire, soprattutto dovevo sapere se quanto aveva scoperto lui fosse vero e se quindi la sua fine fosse in qualche modo collegata ai misteri che circondano da sempre le Mura. Ma lo sapete anche voi quanto possa essere pericoloso indagare su questo argomento... forse chi ha fatto sparire il mio vero padre è ancora là fuori ed è pericoloso... dovevo inventarmi qualcosa, un interesse puramente culturale... Il mio padre adottivo, dopo le mie insistenze, ha acconsentito che io seguissi delle conferenze alla biblioteca di Mitras, da cui però non ho ricavato alcuna informazione utile. Allora ho strappato il permesso di venire qui... ma è la mia ultima possibilità, dopo lui ha detto che dovrò fare il mio debutto in società e trovarmi un buon partito da sposare. E a quel punto tutto sarà finito, non saprò mai come sono andate veramente le cose...”
Le ultime parole di Kim si spensero in un singhiozzo.
Levi aveva ascoltato attentamente tutta la storia. Le Mura hanno fondamenta profondissime... quindi, in pratica, non hanno fine... che cosa aveva di così scottante questa scoperta, da costare la vita a un uomo? Sempre che Kim avesse detto la verità...
“Perché ti sei rivolta proprio a noi? Noi ci occupiamo dei Giganti, non delle Mura. Cosa pensavi di trovare qui?” le chiese diffidente.
“Voi siete la mia ultima speranza... di voi si dice che siete... liberi! Che vi potete muovere a vostro piacimento, che fate delle ricerche... A Mitras molti parlano di voi, anche in modo negativo: vi giudicano dei visionari, della gente imprevedibile, che non segue le regole... Ma per me questi sono pregi, non difetti... insomma, io speravo di trovare qualche indizio...”
“E non potevi semplicemente chiederlo al comandante Smith, invece di intrufolarti nel suo studio di nascosto, come una volgare ladra?”
La ragazza abbassò gli occhi.
“Non volevo coinvolgerlo direttamente, rischiando di comprometterlo... così lui sarebbe risultato estraneo, non sarebbe sembrato mio complice, nel caso fossi stata scoperta...”
“Molto generoso da parte tua!”
“Lei mi deve credere, capitano!” aggiunse Kim con voce supplichevole.

“Quello che credo io non ha alcuna importanza... ora vado a chiamare il comandante e gli ripeterai questa storia. Le decisioni qua spettano a lui.”
Kim non sapeva se essere più sollevata o più preoccupata. Erwin le era sempre sembrato una brava persona, ma in effetti lei aveva tradito la sua fiducia...
Levi si guardò intorno, come se cercasse qualcosa. Poi, non trovando null'altro di adatto, si sfilò la cintura e la legò ai polsi della ragazza, fissandoli allo schienale della sedia.
“Ehi, ma...!” protestò lei.
“Scusa, ma non posso rischiare che tu te la svigni mentre vado a chiamare Erwin... sarà solo per pochi minuti. Ah, ti sconsiglio di chiamare aiuto: sarebbe del tutto inutile.”
Così detto, uscì come un fulmine e andò a bussare alla porta dell'alloggio del comandante.
Quando la voce assonnata di Erwin lo invitò a entrare, Levi mise appena dentro la testa. Lui si stava già vestendo.
“Che cosa sta succedendo?” chiese con voce preoccupata. Se qualcuno si era permesso di svegliarlo nel cuore della notte, doveva essere accaduto qualcosa di davvero grave.
“Vieni nel tuo studio... c'è una storia che dovresti ascoltare...”

Erwin fissò a lungo Kim, che nel frattempo era stata slegata, dopo che ebbe ascoltato ciò che lei aveva già riferito a Levi. Malgrado l'ora e le circostanze, era impeccabile e perfettamente lucido. E imperturbabile, come sempre. Era sempre difficile indovinare che cosa gli passasse per la mente.
“Mi dispiace tanto, comandante, aver agito così... ma l'ho fatto a fin di bene!”
“Lo immagino, ma quello che hai fatto è comunque molto grave. Qui siamo nell'esercito e c'è il segreto militare, che tu potresti aver violato, anche senza volerlo... potrei denunciarti ai miei superiori...”
La ragazza si spaventò ancora di più. Probabilmente non si era resa conto delle conseguenze del suo gesto.
“... ma per ora non lo farò. Voglio credere alla tua buona fede...”
“Oh, grazie, comandante Smith! Io le sono davvero grata e le prometto che non farò mai più una cosa simile!”
Erwin omise di dire che i documenti veramente importanti non stavano certo nei cassetti della sua scrivania, ma in un luogo ben custodito.
“Temo però che qua non ci siano le informazioni di cui hai bisogno... è vero, facciamo delle ricerche e godiamo di una certa libertà di azione... ma solo per quanto riguarda i Giganti, non le Mura.”
Il comandante si alzò e posò una mano sulla spalla della ragazza.
“Ti rivelerò una cosa che in pochissimi sanno. Anche mio padre sparì misteriosamente, quando ero bambino... faceva il maestro di scuola e aveva molte domande e curiosità, e probabilmente anche delle intuizioni, che però gli sono costate molto care... Non l'ho rivisto mai più e me ne sono dovuto fare una ragione. Quello che è capitato anche a tuo padre è terribile, ma... è meglio lasciare le cose come stanno. Anche se scoprirai quello che è successo, lui non tornerà da te.”
Kim aveva gli occhi pieni di lacrime.
“Ma magari non è morto! Magari ha dovuto scappare e nascondersi per salvarsi!”
Erwin scosse la testa.
“Non ti avrebbe abbandonata. Ti avrebbe portata con sé... o in questi anni ti avrebbe cercato, avrebbe fatto in modo che tu avessi sue notizie. Non ti avrebbe lasciato nell'angoscia... Ma tu sei viva, sei giovane e hai la possibilità di farti una famiglia e di avere una buona vita. Non sprecarla...”
Adesso fu lei a scuotere la testa bionda.
“Che vita è questa, comandante? Rinchiusi come topi in gabbia, con l'orizzonte chiuso da un pericolo mortale! Se potessi, mi arruolerei qua, adesso! Almeno vivere e morire avrebbe un senso, servirebbe a qualcosa! Ma il mio padre adottivo non me lo permetterà mai!”
Erwin e Levi si scambiarono un'occhiata.
“C'è bisogno anche di persone come te, Kim, che diano speranza all'umanità. Un giorno saremo di nuovo liberi, ne sono certo, e ci dovranno essere delle nuove generazioni per vedere quel giorno, non credi?”
Kim lo guardò dolorosamente stupita. Insomma, anche lui le stava suggerendo di tornarsene a Mitras, sposarsi e fare figli? La riteneva anche lui buona solo per questo?
Stava per replicare, ma Erwin la precedette.
“Siamo tutti molto stanchi. È meglio che torniamo a dormire e domani, a mente fresca, decideremo che cosa è meglio fare. Buonanotte, Kim.”
La ragazza si scusò ancora per il suo comportamento e uscì a testa bassa. Era molto scoraggiata. Era chiaro che il comandante stava solo prendendo tempo... ma in realtà aveva già deciso: la aspettavano un bel viaggio di ritorno a Mitras e una vita dorata da signora dell'alta società, come quella della sua madre adottiva. Ma era quello che voleva? Soprattutto dopo aver vissuto lì quei pochi giorni, aver visto come tutti si allenavano duramente e come si impegnavano nella loro lotta contro i terribili Giganti, e aver parlato con alcuni di loro, animati da una specie di fuoco interiore, per cui erano disposti a dare la vita. E molti - lei lo sapeva, anche se nessuno glielo aveva detto chiaramente - molti la vita l'avevano data davvero. Giunta in camera sua, si buttò sul letto piangendo lacrime di rabbia e delusione. Aveva rovinato tutto. Le sue ultime speranze di scoprire la verità sulla sorte di suo padre erano svanite. Non avrebbe avuto un'altra possibilità, ne era certa.

“Che cosa ne pensi?” chiese Levi a Erwin, quando Kim se ne fu andata.
Il comandante si era seduto di nuovo alla scrivania. Si passò una mano sul volto, con un gesto stanco.
“Credo che la ragazza abbia detto la verità. La scomparsa di suo padre non è che uno dei tanti misteri della nostra storia... come quella del mio. Chi in qualche modo tocca quelle Mura... muore. Purtroppo noi abbiamo altre priorità, al momento... E tu cosa ne pensi?”
“Anch'io credo che sia sincera... cosa farai adesso?”
“Credo che la cosa migliore sia darle ancora qualche giorno di tempo e poi rimandarla da suo padre. Con il tempo, dimenticherà.”
Levi lo sfidò con lo sguardo. Non si dimentica nulla, Erwin, non si dimentica mai, e tu lo sai benissimo!
Ma non disse nulla.
“Mi sembra una buona idea. Anche volendo, non possiamo esserle d'aiuto... e quell'altra questione? La storia delle Mura senza fine... che cosa può significare? Deve essere qualcosa di grosso, se addirittura hanno fatto fuori uno...”
Erwin si alzò. Tutto ciò che desiderava, in quel momento, era tornarsene a dormire.
“Non sappiamo se i fatti si siano davvero svolti così... come ti ho detto prima, adesso abbiamo altro a cui pensare. Ah, mi raccomando, non una parola con nessuno. Soprattutto con Hanji!”
Levi sogghignò, mentre entrambi uscivano dallo studio. Ci mancava solo di dare a quella pazzoide qualche altro soggetto di studio!
Erwin chiuse la porta a chiave.
“Come ha fatto Kim a entrare? - chiese Levi, come se se ne fosse reso conto solo in quel momento – Non ci sono segni di scasso...”
“Non chiudo sempre a chiave. Contrariamente a quanto pensava lei, qua dentro non c'è nulla di interessante... Ma d'ora in poi lo farò. Buonanotte, Levi.”
“Saggia decisione. Buonanotte, Erwin.”
I due si diressero alle rispettive stanze.

A Levi il sonno era passato del tutto. L'idea che le Mura proseguissero anche sotto terra, apparentemente all'infinito, gli procurava un'angoscia inspiegabile, un senso di soffocamento insopportabile.
Come aveva fatto quella scoperta il padre di Kim? Era stata del tutto casuale? A sua volta l'aveva saputo da qualcun altro e non aveva voluto tradirlo? Domande destinate a restare senza risposta.

La mattina seguente, Kim aveva preso la sua decisione. Non c'era più tempo da perdere. Aveva capito che il comandante Smith avrebbe probabilmente assecondato la sua richiesta di salire sulle Mura e subito dopo l'avrebbe rimandata a Mitras. Doveva agire quella notte stessa. Ma aveva bisogno di un alleato e l'unico che avrebbe accettato di seguirla nel suo piano era Armin.
Attese fremente tutto il giorno che i soldati rientrassero dall'addestramento e finissero tutti di cenare per parlare con il ragazzo. Ormai era un'abitudine che loro due si appartassero a chiacchierare e quindi nessuno ci avrebbe fatto caso. Tenne solo un tono di voce molto basso e continuò a guardarsi intorno, preoccupata che qualcuno casualmente potesse sentirli.
Gli rivelò quello che era successo la notte precedente e il vero motivo per cui si trovava lì. Ma aggiunse qualcosa.
“Non sono stata del tutto sincera con il comandante Smith e il capitano Levi...”
Armin sgranò gli occhi, preoccupato. Non sapeva se ammirare il coraggio di Kim o disapprovare la sua incoscienza.
“C'è un altro motivo per cui ho chiesto di venire qui... La miniera... la miniera in cui lavorava mio padre si trova qua vicino. So che ora è in disuso, ma... forse c'è un modo per entrare. L'uomo che mi raccontò tutta la storia disse anche che mio padre aveva scoperto che le Mura sono profondissime mentre cercava di scavare un tunnel, anche se non sapeva a che scopo... . E nessuno lo ha mai visto né trovato, quindi forse non è nemmeno andata così. Devo andare in quella miniera... ma devo farlo subito, stanotte stessa. Temo che vogliano rimandarmi a casa molto presto, e non ho più tempo. Verrai con me, Armin? So che ti sto chiedendo molto... ma faremo in modo di tornare prima dell'alba e nessuno se ne accorgerà... Con i cavalli non dovremmo metterci troppo tempo...”
Armin era combattuto. Era ben consapevole che, se l'avessero beccato fuori dalla caserma senza autorizzazione, sarebbe stato passabile di una punizione molto severa... forse avrebbero potuto metterlo in prigione o addirittura espellerlo dall'esercito. Dall'altra parte, però, era terribilmente curioso di toccare con mano il mistero delle Mura senza fine... e così la sua insaziabile sete di conoscenza ebbe la meglio.
“D'accordo, Kim, verrò con te. Credo anche di aver capito dove si trova la miniera, in effetti non è molto lontana. Ma dobbiamo stare molto attenti. Vediamoci alle scuderie a mezzanotte. A quell'ora di solito dormono tutti. Ci sono sempre due soldati di guardia, ma io conosco gli orari delle ronde e, se ci sbrighiamo, non li incroceremo. Prenderemo due cavalli e li porteremo a mano fino a una piccola porta di servizio che non viene quasi mai usata. Porterò anche due piccole torce, là fuori è buio pesto e immagino che anche la miniera non sarà illuminata...”
Kim era al colmo della felicità.
“Grazie, Armin - disse piena di gratitudine, posando fugacemente la mano su quella di lui, che quasi sussultò - Te ne sarò grata per sempre! So che tu rischi tantissimo a disobbedire...”
Il ragazzo sorrise rassicurante.
“Andrà tutto bene. A più tardi!”
Si separarono per andare ognuno nella propria stanza e si prepararono per quella folle impresa.

Armin attese che tutti i compagni di camerata si fossero addormentati, e di solito non ci voleva molto tempo, visto che si arrivava sempre alla fine della giornata completamente stremati. Poi sgattaiolò all'esterno, avvolto nella mantella verde scuro, diretto verso il deposito, dove prese la sua attrezzatura per il movimento tridimensionale: sarebbe stata necessaria per superare le Mura, visto che non potevano certo passare dalla porta principale di Trost.
Poi si diresse verso le scuderie. Lì avrebbero trovato, oltre ai cavalli, le torce e qualcosa per scardinare la porticina. Kim arrivò poco dopo di lui, anche lei avvolta in un mantello scuro. Il ragazzo scelse due cavalli mansueti e veloci e, conducendoli per le briglie, seguito da Kim, raggiunse rapidamente la piccola porta di servizio, quasi nascosta da una fitta edera. Armin la forzò senza fatica con una sbarra di ferro. Si trovarono nel buio gelido della notte. Accostarono la porticina alle loro spalle, accesero le torce, montarono a cavallo e si allontanarono prima al trotto e poi al galoppo.

Una figura smilza e scura sgusciò dalla piccola porta subito dopo che i due giovani erano usciti. Fece in tempo a vedere la direzione che avevano preso e cominciò a seguirli silenziosamente da lontano, usando il dispositivo di movimento tridimensionale.



 

1 Questa è la scheda, presente nel capitolo 60 del manga e nell'ultima puntata della prima stagione dell'anime (ep. 25), che mi ha ispirato questa storia, anche se poi io ho dato un altro seguito alla vicenda. Nel manga si aggiunge che anche un giornalista che indagava sulla vicenda scomparve nel nulla.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5

 

Kim e Armin non avevano fatto i conti con il sonno leggero del capitano Levi.
Quando la ragazza uscì dalla sua stanza, la vecchia porta cigolò appena, ma abbastanza forte perché l'ufficiale, che aveva l'alloggio proprio di fronte ed era abituato da una vita a stare sempre con i sensi all'erta, si svegliasse.
Balzò dal letto e socchiuse appena l'uscio per controllare il corridoio senza essere visto. Scorse una figura minuta scendere le scale, muovendosi guardinga. Capì immediatamente di chi si trattasse.
Che cosa aveva in mente ancora, quell'incosciente? Non le era bastato il casino che aveva combinato la notte prima?
A questo pensava Levi mentre si vestiva il più rapidamente possibile e mentre sentiva l'ira montargli dentro ogni istante di più. Infilando la giacca guardò distrattamente fuori dalla finestra e restò di stucco. C'era qualcun altro in cortile! Qualcuno che camminava lungo i muri, procedendo a scatti e guardandosi intorno. Non riuscì a riconoscerlo, ma, da come si muoveva, capì che si trattava chiaramente di un soldato.
Ma bene! Alla mocciosa penserà Erwin, ma quell'altro, chiunque sia, dovrà vedersela con me! Lo terrò in cella di rigore a pane e acqua per un mese! Dopo avergli spaccato prima tutte le ossa a calci, naturalmente.
Scese a sua volta in cortile, agile e silenzioso come una lince. Si acquattò nel buio sotto un portico e da lì osservò la seconda figura uscire dal deposito con l'attrezzatura del movimento tridimensionale e dirigersi verso le scuderie. La luce tremolante delle poche torce appese al muro di cinta illuminava malamente il cortile, ma, da alcuni dettagli, gli parve di intuire chi fosse. Del resto, tutto tornava: Armin e la rompiscatole erano diventati amici per la pelle, in quei pochi giorni! Poco dopo arrivò anche Kim.
Levi fu tentato di fermarli, ma poi ci ripensò: voleva scoprire che cosa stavano macchinando e calcolò che, usando il sistema di movimento tridimensionale come solo lui sapeva fare, sfruttando gli alberi e i resti di vecchi edifici rurali sparsi lì intorno, sarebbe riuscito a seguirli senza essere scoperto.

I due ragazzi arrivarono senza problemi nei pressi del Wall Rose, non lontano da dove Kim aveva fatto le sue rilevazioni qualche giorno prima. Nuvole provvidenziali coprivano in gran parte il cielo, nascondendo la luna.
L'ingresso della vecchia miniera, a quanto ricordava Armin, era a pochi chilometri da lì, fuori dalle Mura. Non era più possibile proseguire con i cavalli, così li legarono a un grosso albero. Armin si augurò di ritrovarli al loro ritorno, o avrebbero passato dei brutti guai. In realtà, constatò, nei guai c'erano già fino al collo!
Il ragazzo spense una delle torce, lasciandola sul suo cavallo, e si assicurò addosso l'attrezzatura per il movimento tridimensionale.
“Con questa possiamo oltrepassare le Mura senza essere visti.”
Kim lo osservava con una certa ansia.
“Ma... io come faccio?”
“Ti aggrapperai a me. Sei leggera e non dobbiamo fare molta strada, non avremo alcun problema.”
Un terribile pensiero colpì all'improvviso la ragazza, facendola rabbrividire. Certo, come aveva fatto a non venirle in mente prima?
“E... i Giganti?”
“Di notte non si muovono. Non abbiamo ancora scoperto perché, ma è così” rispose Armin, ostentando una sicurezza che in realtà non provava. È vero, era sempre andata così, fino a quel momento. Ma con quei mostri non si poteva mai sapere...
Passò la sua torcia a Kim, la invitò a cingergli il collo con le braccia e lui a sua volta la afferrò saldamente per la vita, cercando di ignorare la sensazione strana, sconosciuta ma gradevole, che gli provocava il contatto con il corpo delicato e tremante di lei. Kim, da parte sua, notò che Armin era molto meno gracile di come appariva a prima vista. Il suo braccio che la sorreggeva gli trasmetteva un senso di forza e protezione che la rassicurò immediatamente.
Il ragazzo azionò il meccanismo e in pochi istanti raggiunsero la sommità delle Mura. Altrettanto velocemente scesero dall'altra parte, senza che nessuno li vedesse.
Almeno, così loro credevano.
Levi li aveva visti benissimo ed era sempre più allibito, oltre che furioso.
Ma che ca... Dove diavolo stavano andando quei due pazzi scatenati? Addirittura uscire dalle Mura! Io li ammazzo!
Oltretutto, aveva avuto la conferma di chi fosse il complice di Kim, perché, mentre si sistemava l'attrezzatura, il cappuccio gli era scivolato dalla testa, rivelando l'inconfondibile caschetto di capelli biondi.
Il capitano attese qualche minuto e poi salì a sua volta sulle Mura, buttandosi subito a terra per non essere scoperto. Sbirciò di sotto e vide i due ragazzi che si dirigevano verso il Distretto di Klorva, seguendo il perimetro esterno delle Mura e arpionandosi con l'ausilio del sistema di movimento tridimensionale.
Furbo, il marmocchio! Procede a balzi, mantenendosi nella parte bassa delle Mura... così è più difficile farsi scoprire e si procede più speditamente.
Levi ora era anche preoccupato. Là fuori erano totalmente scoperti, indifesi. A quanto si sapeva, i Giganti al buio erano inattivi... ma questa non era una buona ragione per andarsene in giro di notte, da soli, al di fuori della cerchia protettiva delle Mura.
Dando fondo mentalmente al suo repertorio di parolacce e insulti più coloriti, scese anche lui e si rimise a seguirli, mantenendosi a una certa distanza sopra di loro. Non doveva farsi scoprire ma nemmeno perderli di vista, perché lui non poteva contare su alcuna fonte di illuminazione, se non la pallida luce della loro torcia in lontananza. Fortunatamente, poteva affidarsi al suo istinto e ai suoi sensi, acutizzati dalla sua vita giovanile nei bassifondi e dal duro allenamento nella Legione Esplorativa, dove spesso facevano la differenza tra la vita e la morte.
Intanto cercava di indovinare dove fossero diretti e non riusciva a darsi una risposta.
A un certo punto, Armin e Kim atterrarono e si diressero a piedi verso un gruppo di rocce a poche decine di metri di distanza.
“Ecco - disse il ragazzo - a quanto so io, la vecchia miniera dovrebbe essere qui. Ora si tratta di trovare l'ingresso.”
Come se fosse facile, si disse. Soprattutto, il tempo scorreva velocemente: cominciava a temere che non ce l'avrebbero mai fatta a tornare in caserma prima dell'alba. Ma decise di non pensarci, per il momento, e di concentrarsi esclusivamente sulla ricerca della via di accesso alla miniera. E poi, una volta entrati? Come pensavano di trovare, in quel dedalo di gallerie, l'ipotetico tunnel scavato dal padre di Kim? E se si fossero persi là dentro?
Mentre cercava di tenere a bada questi pensieri angosciosi, Armin, seguito da Kim, scrutava ogni anfratto, illuminandolo con la torcia. Stavano per perdere le speranze, quando scoprirono, seminascosta dalla vegetazione, una specie di porta di metallo brunito.
“Ecco, deve essere questa!” esultò la ragazza avvicinandosi rapidamente.
Armin si servì della spada per liberare la porta dai rovi e dai rampicanti che vi si erano avvinghiati in anni di abbandono. Era in gran parte corrosa dalla ruggine ed era chiusa da un grosso chiavistello serrato da un lucchetto, che Armin scardinò con facilità colpendolo con la lama d'acciaio. Con una certa difficoltà, fecero scorrere il chiavistello e infine, con qualche spallata ben assestata, riuscirono a farla cedere. Un forte odore di aria stagnante, di muffa e di putrefazione li investì. Oltre, si apriva un'oscurità fitta e minacciosa, pronta a inghiottirli.
Ma Kim non sembrava avere nessuna paura. Pareva perfino dimentica di Armin. Brandendo la torcia, quasi in trance, mosse un passo verso quella sorta di voragine, e il ragazzo si stava apprestando a seguirla, quando una voce perentoria lacerò il silenzio della notte.
“Fermi dove siete!”
I due si bloccarono, paralizzati dal terrore. Qualcuno li aveva scoperti! E avevano anche capito benissimo di chi si trattasse: quella voce era inconfondibile. Si voltarono lentamente.
Levi sbucò dal buio come un fantasma. Armin non ricordava di averlo mai visto così furioso. I suoi occhi, perfino nell'oscurità, mandavano lampi di pura ira.
I due ragazzi erano impietriti. Armin cominciò a valutare mentalmente le conseguenze della sua bravata. Sapeva che, qualunque cosa avesse detto in quel momento, avrebbe soltanto attizzato la rabbia del capitano, e quindi tacque prudentemente.
Kim invece tentò di dire qualcosa. Si sentiva in colpa per aver coinvolto il ragazzo e voleva assumersi tutta la responsabilità.
“Capitano, lui non c'entra, sono stata io che...”
“Taci! - sibilò Levi - Ora ce ne torniamo subito in caserma e lì faremo i conti. Dopo di voi”.
Ai due non restò che obbedire. Rifecero il tragitto a ritroso, tallonati dal capitano, fortunatamente senza imprevisti. I cavalli erano ancora dove li avevano lasciati. Levi ne prese uno per sé, lasciando l'altro ad Armin e Kim.
Rientrati in caserma attraverso la porticina, Levi ordinò loro di restare nascosti finché non fossero passati i soldati di ronda, dopodiché li condusse nelle cucine. L'unico posto dove a quell'ora nessuno li avrebbe sentiti.
Armin e Kim tacevano mortificati, senza osare nemmeno sedersi, mentre Levi, ignorandoli deliberatamente, si preparava un tè. Il ragazzo sapeva che in quelle circostanze il capitano non faceva mai scenate. La sua rabbia era fredda e lucida. E dunque molto più temibile.
Finalmente Levi si accomodò su una sedia con la sua tazza fumante in mano e apostrofò con durezza il giovane soldato.
“Armin Arlert, hai infranto ogni regola con la tua brillante impresa! Hai lasciato la caserma senza autorizzazione, ti sei impossessato di cavalli e attrezzature militari per scopi personali, sei addirittura uscito all'esterno delle Mura, mettendo in pericolo te stesso e una civile! Devo continuare? Dovrei metterti agli arresti e deferirti alla corte marziale!”
Armin si era messo sull'attenti, lo sguardo fisso davanti a sé.
“Sono pronto ad assumermi le mie responsabilità e a subire la giusta punizione, capitano!”
Ancora una volta Kim tentò di prendere le sue difese, ma fu un grave errore.
“Capitano, come le stavo dicendo prima, sono stata io a coinvolgere Armin nel mio piano... sono davvero mortificata...”
Levi distolse gli occhi dal ragazzo e li puntò su di lei, come se soltanto ora si fosse ricordato della sua presenza. E stavolta la sua rabbia esplose. Non gliene importava nulla di lei. Ma non sopportava l'idea che un militare fosse stato distolto dal suo dovere e che uno dei cadetti più brillanti e promettenti di quel corso rischiasse l'espulsione, per colpa di una sciroccata. Ma come ci era riuscita? Come l'aveva convinto?
“Tu! - sibilò con disprezzo, sforzandosi di non urlare - Da quando sei arrivata qua hai combinato soltanto casini! Hai tradito di nuovo la nostra fiducia, coinvolgendo nei tuoi assurdi deliri un soldato e spingendolo a violare il regolamento! Se Armin sarà cacciato dall'esercito sarà solo colpa tua! Sarai soddisfatta adesso! Avanti, adesso ditemi: che cosa cazzo credevate di fare là fuori? E non provate a raccontarmi altre balle!”
Kim era atterrita, non essendo abituata alle sfuriate del capitano, ma cercò comunque di perorare la sua causa.
“Cercavamo... IO volevo cercare il tunnel...”
“Quale tunnel?”
“Quello che stava scavando mio padre prima di scomparire... ma non ce l'avrei mai fatta da sola, e ho chiesto aiuto ad Armin.... Mi dispiace, ma non sapevo come altro fare... so che presto dovrò tornare a Mitras e questa era la mia unica possibilità!”
A quel punto la ragazza non riuscì più a trattenere le lacrime.
Levi la fissava, furente e incredulo.
“Non ci avevi detto che la miniera era qua vicino... E comunque, davvero ti illudevi di riuscire a trovare in poche ore, in un luogo enorme e buio, e senza nemmeno un indizio, un tunnel scavato oltre dieci anni fa? Ammesso che sia mai esistito... Tu non sei suonata... sei completamente pazza!”
“Ma capitano...”
“Basta! Sparisci dalla mia vista! Ah, vedi di andartene in camera tua e non in giro a combinare altri guai!”
Kim lanciò uno sguardo accorato ad Armin, che però stava ancora impettito, con le braccia lungo i fianchi e il mento sollevato, infilò la porta e si dileguò.
Levi controllò che salisse effettivamente le scale, e tornò a fissare Armin.
Si sedette con un sospiro.
“Quella è matta per davvero! Ma mi meraviglio di te! Tu non sei un tipo impulsivo, anzi, sei abituato a ragionare su qualsiasi cosa... non capisco,non capisco proprio come ti sia lasciato coinvolgere in un'azione così assurda e avventata! Non hai pensato alle conseguenze? Hai rischiato di compromettere tutto! Sono tre anni che ti alleni e studi duramente, e sei uno dei migliori... e poi mandi tutto a puttane per una... una sciacquetta qualsiasi? Non è da te!”
Armin sapeva perfettamente che il capitano aveva ragione. Era stato a dir poco imprudente. Era anche stupito e lusingato per quelle attestazioni di stima, che non si aspettava per nulla. Lui non si sentiva affatto il migliore, anzi, per molti aspetti si riteneva inferiore agli altri per prestanza fisica e coraggio... Ma non concordava sul giudizio del capitano su Kim.
“Posso parlare, signore?”
“Sì, certo, ma sii breve e conciso.”
“Ho voluto aiutare la signorina Kim... a scoprire la verità sulla sorte di suo padre, fatto che la angustia molto... ma anche per curiosità personale... volevo capire se è vera la questione delle Mura senza fine... La mia condotta è inaccettabile, mi rendo conto, e sono pronto a subirne le conseguenze, qualunque siano... ”
La sua voce,  nel pronunciare l'ultima frase, si incrinò quasi impercettibilmentee, ma Levi se ne accorse.
Che cosa ne sarebbe stato di lui, se fosse stato cacciato dall'esercito? Un orfano senza casa, senza famiglia, senza lavoro. Senza futuro. Esattamente come lui, quando viveva nella città sotterranea come un volgare ladruncolo. Abilissimo, certo, il boss... ma senza prospettive, se non quella, molto probabile, di finire prima o poi accoltellato in un vicolo fetido.
E poi, quella cosa delle Mura senza fine... non riusciva a togliersela dalla mente nemmeno lui.
“Capisco... immagino che il fatto che la signorina sia molto graziosa non conti nulla, vero?”
Armin arrossì fino alla radice dei capelli.
Levi posò la tazza e prese la sua decisione.
“Non voglio indagare su cosa ti abbia promesso per convincerti” lo canzonò, mentre Armin era sempre più imbarazzato.
Poi ridivenne serio
“Ascoltami bene: per questa volta la chiudiamo qui. Non farò rapporto al comandante Smith. Questo increscioso episodio resterà tra noi tre, quindi non farne parola con nessuno, nemmeno con i tuoi amici. E facciamo in modo che neppure la signorina si sogni di raccontarlo in giro... Dimenticatevi di quella dannata miniera: è impossibile, oltre che pericoloso, esplorarla e le probabilità di trovare delle risposte è minima, te ne rendi conto, vero?”
“Signorsì! Grazie, capitano! Non tradirò la sua fiducia!”
“Lo spero bene! Ora vattene a dormire un po', se ci riesci... tra poco albeggerà. Prendi quel lume e dileguati, prima che cambi idea!”
“Signorsì!”
Armin fece il saluto militare e uscì dalla stanza.
Era ancora incredulo di averla scampata... era pronto a subire anche la più dura delle punizioni, ma non a essere cacciato dall'esercito, sarebbe stata una vera tragedia per lui.
Era anche dispiaciuto, però, di non potere aiutare Kim: il mistero del tunnel sarebbe rimasto per sempre sepolto in quella miniera.

Appena anche Armin fu uscito, Levi si abbandonò sullo scomodo schienale della sedia.
Era soddisfatto di se stesso. Probabilmente Erwin non avrebbe preso in ogni caso dei provvedimenti drastici né verso il ragazzo né verso la pazzoide... Ma non avrebbe avuto senso gravarlo di ulteriori preoccupazioni. In fondo, si era trattato, appunto, di una ragazzata, per fortuna senza conseguenze. La cotta di Armin per la fanciulla doveva essere più grave del previsto, constatò il capitano. Ma forse, in effetti, non si era trattato soltanto di quello. Armin era curioso di natura. Anche se non era invasato come Hanji, il suo cervello era sempre in attività, pronto a captare qualsiasi stimolo esterno. In circostanze diverse, sarebbe stato un professore o qualcosa del genere... non una possibile vittima sacrificale in quella guerra senza fine contro Giganti antropofagi.

 

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6

 

Armin si avviò lentamente verso la camerata. Era ancora sconvolto. Il capitano Levi era stato molto magnanimo. E aveva ragione: erano stati imprudenti e avventati. Se non fosse intervenuto in tempo, forse in quel momento lui e Kim starebbero vagando inutilmente per i cunicoli bui di una vecchia miniera... magari non sarebbero nemmeno più stati in grado di ritrovare l'uscita... per non parlare del rischio di crolli, o di incontrare sacche di gas... Ma come era potuto succedere che proprio lui, Armin, non avesse minimamente preso in considerazione tutti i rischi connessi con quell'avventura, cosa che avrebbe fatto perfino un bambino? Non se lo sapeva spiegare nemmeno lui...
“Armin...” lo chiamò una voce dall'oscurità.
Il ragazzo si fermò. Ormai mancavano pochi metri all'ingresso del dormitorio e lui cominciava ad accusare la stanchezza: tutto ciò che desiderava era buttarsi sul suo giaciglio e sprofondare nel sonno.
Una figura sottile sgusciò dall'oscurità e si fermò davanti a lui.
Kim.
“Armin, non potevo andare in camera mia senza sapere: che cosa ti ha detto il capitano Levi?”
“Mi ha dato una bella strigliata, ma non farà rapporto al comandante Smith, non preoccuparti. Solo, non dobbiamo ovviamente parlarne con nessuno.”
La ragazza respirò sollevata.
“Oh, grazie al Cielo! Ero così angosciata, e mi sentivo così in colpa... se tu fossi finito nei guai per colpa mia non me lo sarei mai perdonato! Ed è vero quello che ha detto il capitano: era un piano assurdo e senza alcuna possibilità di successo! Ti chiedo scusa, non avrei dovuto coinvolgerti, sono stata incosciente ed egoista! Perdonami!”
Gli prese le mani e gliele strinse con calore. Armin, malgrado il sonno che cominciava a togliergli lucidità, provò ancora quella strana sensazione che sempre gli provocava qualsiasi contatto fisico con Kim. Come quando l'aveva tenuta in braccio mentre volavano con il dispositivo di movimento tridimensionale... Come avvicinare le dita a una fiamma... come bere una sorsata di acqua fresca quando si è molto assetati... come respirare il profumo della primavera... Per alcuni secondi non avvertì nient'altro che la morbidezza e il tepore della pelle di Kim, e i battiti del suo cuore che gli rimbombavano dentro.
Si rese conto che lei aveva continuato a parlare.
“... e volevo ringraziarti, perché hai rischiato molto per aiutarmi, e senza chiedere nulla in cambio, anche se quasi non ci conosciamo... e volevo anche dirti che sei davvero una persona speciale... sei così intelligente... e gentile... e generoso...”
Armin era sempre più confuso... perché Kim gli stava dicendo queste cose? Non ce n'era alcun bisogno... e perché intanto si avvicinava sempre di più?
Poi lei fece qualcosa di totalmente inaspettato. Si alzò appena sulle punte dei piedi e gli sfiorò le labbra con le sue. Poi corse via, mormorando un quasi impercettibile “buonanotte” e lasciandolo pietrificato.
Era stato solo un attimo, ma sufficiente a sconvolgerlo fino ai recessi più profondi del suo essere. Si avviò meccanicamente verso la camerata e si lasciò cadere sul letto, senza nemmeno spogliarsi. Era un bacio, quello? La stessa cosa di cui molti suoi compagni favoleggiavano? Di cui si parlava, talvolta sottovoce, con pudore, altre volte con scherno e sufficienza? Quello che a lui non era, in fondo, mai interessato? Perché Kim l'aveva fatto? Per riconoscenza? Per trasgressione? Lei, una ragazza della buona società, che si “abbassa” a baciare un semplice cadetto, uno del popolino? Che significato poteva avere?
Ma che importava sapere il perché e il percome? Era stato un momento bellissimo. E questa era l'unica cosa che contava.

 

Epilogo

Armin

Il giorno dopo la nostra bravata, Kim chiese un colloquio con il comandante Smith.
Confesso che, per un brevissimo istante, egoisticamente sperai che lei decidesse di restare, che chiedesse di arruolarsi... ma fu solo per un attimo. Riflettendoci meglio, capii che invece preferivo saperla al sicuro, a Mitras. Forse non sarebbe mai stata davvero felice, ma avrebbe vissuto più a lungo. Circostanze che a noi soldati, realisticamente, erano entrambe negate. Ma a tutta l'umanità non era concessa altra aspirazione: nascere, crescere, trovarsi un lavoro, farsi una famiglia, per i più fortunati, e morire il più tardi possibile. Tutto all'interno delle Mura. Mura senza fine.

Così, pochi giorni prima del terribile avvenimento che, per la seconda volta, cambiò per sempre la vita di tutti noi, Kim si mise in viaggio per tornare a casa sua.
La sera prima avevamo organizzato una piccola festa in suo onore, ma in realtà c'era ben poco da festeggiare. Almeno per me. Per quanto ci fossimo promessi di scriverci spesso, sapevamo che c'era la concreta possibilità di non rivederci mai più. E questo mi faceva male, in un modo che io stesso non sapevo spiegarmi. A quanto aveva detto, poi, avrebbe dovuto cercarsi un marito... e anche questo pensiero mi provocava delle strane sensazioni, niente affatto piacevoli...
Così, la serata, nonostante i lodevoli sforzi di Sasha, Connie e perfino del caposquadra Hanji, di creare un'atmosfera allegra e spensierata con battute di spirito, rimase pervasa da una immensa malinconia. A tutti dispiaceva che Kim se ne andasse, anche a chi non aveva avuto modo di parlare con lei. Era stata comunque una ventata di novità, una piccola distrazione dalla nostra dura routine di cadetti. Gli unici che - ne sono sicuro - erano sollevati per la sua partenza erano il comandante Smith e il capitano Levi. E potevo capire le loro ragioni.

Non avevo compreso fino in fondo, invece, per quale motivo Kim si fosse arresa così facilmente. Non chiese nemmeno più di salire sulla sommità delle Mura... e, con il senno di poi, fu una vera fortuna!
Forse l'impossibilità di esplorare la miniera l'aveva messa di fronte alla cruda verità: non avrebbe mai scoperto nulla sulla sorte di suo padre, e nessuno avrebbe potuto aiutarla, anche volendo. Eravamo tutti alle prese con problemi molto più gravi. Avevamo ambizioni più alte. Non c'era spazio per le tragedie personali. E, in ogni caso, suo padre non sarebbe tornato mai più.
Kim partì all'alba. Il comandante Smith, per guadagnare tempo, le aveva procurato una carrozza abbastanza confortevole che l'avrebbe condotta rapidamente alla capitale. Avvertire suo padre di mandarne una avrebbe richiesto troppo tempo.
Nel cortile, a salutarla, c'ero soltanto io. Lei era triste, ma determinata. Io ero altrettanto triste, e anche imbarazzato, confuso. Avrei voluto dirle tante cose, ma non sapevo se era il caso, e nemmeno da dove cominciare. Ero ancora preda di quel groviglio di sensazioni e sentimenti senza nome che non mi aveva più abbandonato da quando l'avevo incontrata.
Ancora una volta, fu lei a prendere in mano la situazione. Mi guardò dritto negli occhi.
Armin - disse - non dimenticherò mai quello che hai fatto per me e, soprattutto, ti sono grata per avermi onorato della tua amicizia. Non ho mai conosciuto una persona come te... Con te ho potuto parlare liberamente, senza paura di essere giudicata o presa per pazza... Ti scriverò spesso... Ma tu promettimi che avrai cura di te...”
Sul finale la voce le si spezzò.
All'improvviso mi prese una mano e vi depose qualcosa. Guardai: era un piccolo braccialetto, un semplice filo color argento.
Ecco, tienilo per mio ricordo. Purtroppo non ho con me molte cose, ma spero che ti faccia pensare alla nostra amicizia... e, se ti capiterà di venire a Mitras, ti prego di farmelo sapere...”
Io, profondamente commosso, la ringraziai, ma le risposi che non avevo bisogno di alcun oggetto per ricordarmi di lei... che l'avrei pensata spesso e le avrei dedicato ogni mia azione futura... che avrei combattuto contro i Giganti perché lei potesse un giorno essere libera... e, se avessi scoperto qualcosa riguardo alla miniera, glielo avrei fatto sapere... perché non doveva disperare e forse prima o poi la verità sarebbe venuta a galla... le dissi anche di cercare di essere felice, almeno lei. Di esserlo anche per me...
L'ultimo ricordo che ho di lei è il suo dolcissimo viso affacciato al finestrino della carrozza che si allontanava e la sua mano che mi salutava, sempre più distante.
E poi... e poi accadde ciò che accadde: l'attacco del Gigante Colossale a Wall Rose, la scoperta della doppia natura di Eren, gli esperimenti di Hanje, il “tradimento” di alcuni nostri compagni..., che noi consideravamo amici...
Di tutti questi avvenimenti, però, non potei scrivere nulla a Kim.
Lei invece mi scriveva regolarmente. Ricevevo almeno una lettera al mese, in cui raccontava la sua vita a Mitras. Non si era sposata... non ancora, perlomeno. Aveva chiesto a suo padre di poterlo aiutare nei suoi affari e sembrava cavarsela molto bene, tanto che l'uomo, inizialmente contrario, alla fine aveva finito per coinvolgerla sempre di più. Anche perché Kim era la sua unica figlia. Ero contento per lei. Tanto sapevo che non mi avrebbe aspettato... perché avrebbe dovuto? Non c'era alcun futuro per noi.

Quando poi scoprimmo il Gigante racchiuso all'interno del Wall Sina, mi ricordai delle osservazioni di Kim sulla strana natura del materiale di cui erano fatte le Mura1: qualcosa che non aveva alcuna somiglianza con altre costruzioni conosciute. E, molto tempo dopo, capimmo anche il perché... e fu una scoperta sconvolgente, destinata a cambiare per sempre le sorti dell'intera umanità.

 

 

                                                      FINE

 

 

 

 

Note conclusive dell'autrice

Questa storia, come dicevo all'inizio, è stata ispirata da un episodio citato in AOT, ma anche da una mia antica passione: anche se nella vita faccio tutt'altro, ho una laurea in archeologia medievale, con una tesi proprio sulle tecniche murarie (nel mio caso di una basilica), quindi, parafrasando indegnamente la frase attribuita a Flaubert, potrei dire “Kim c'est moi”...

Scherzi a parte, nel progetto iniziale questa fanfiction avrebbe dovuto essere molto più lunga e articolata...., ma l'ispirazione per sviluppare lo spunto di partenza tardava a venire e, dopo circa 5 anni, ho deciso che era ora di lasciarla andare, con la possibilità di una seconda parte, se dovesse venirmi qualche illuminazione. Visto anche il capitolo finale del manga, mi era venuta la tentazione di modificare la conclusione della mia storia... ma probabilmente avrebbe richiesto troppo tempo, perciò non l'ho fatto. Mi riservo, appunto, di riprenderla eventualmente in futuro.

 

Detto questo, ringrazio di cuore chi ha letto la storia, chi l'ha inserita tra le seguite e le preferite!

Un caro saluto a tutti!

 

 

 

 

1 Nel capitolo 37 del manga Hanji scopre che la struttura cristallina della pelle indurita del Titano Femmina è molto simile a quella delle Mura.

Per la mappa di Paradis:

 https://agitated-montalcinin.netlify.app/paradis-attack-on-titan-world-map.html

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