La cospirazione di Vesperum

di Francesco
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap 1 ***
Capitolo 2: *** Cap 2 ***
Capitolo 3: *** Cap 3 ***
Capitolo 4: *** Cap 4 ***
Capitolo 5: *** Cap 5 ***
Capitolo 6: *** Cap 6 ***



Capitolo 1
*** Cap 1 ***


La cospirazione di Vesperum

Autore: Francesco

E' impossibile guardare una puntata di TRIGUN e non sentirsi rapire verso una terra fantastica dove futuro e passato si intrecciano, creando un'ottima cornice agli eventi drammatici e grotteschi della vita di Vash e dei suoi coprotagonisti. Ho ideato un racconto che probabilmente forza troppo la mano ad eventi di matrice prettamente fantasy, specialmente per quello che riguarda i personaggi di mia invenzione, ma ho cercato di armonizzarli con l'irripetibile atmosfera di un mondo desolato dove la legge della forza e della cupidigia trionfa spesso su quella dell'amore e della giustizia. E' una fiction un po’ strana e dedicata ad un pubblico adulto a causa delle scene di violenza e sopraffazione un po’ forti, narrata in prima persona - ma non sempre- da un personaggio di mia concezione, Derek Galt, che si trova ad incrociare il sentiero di Vash e del Reverendo impegnati a sgominare gli intrighi di un inquisitore alchimista rivisitato futuristicamente.

Planet gunsmoke

Cap.1

Sono due mesi che mi trovo nella polverosa ma ospitale Inapril.
Il mio lavoro come cacciatore di taglie non mi ha sorretto tanto bene sin
qui...Qualche misera taglia mi ha permesso di racimolare denaro
sufficiente per prendermi una stanza d'albergo e qualche pasto caldo. Venendo qui mi sono imbattuto in uno strano tizio vestito di una lisa
casacca nera, che si trascinava sulle spalle un gigantesco involto di
stracci dalla forma di croce. Gli ho chiesto una sigaretta, visto che lui se ne stava tranquillamente
fumando una; lui mi ha guadato - gli occhi ironici ridotti a due fessure
cariche di ammonimento - e mi ha sussurrato: "No, sei troppo
giovane...Cresci, prima."
Avrei voluto replicare, ma devo ammettere che lo straniero non si
sbagliava...Sono troppo giovane per tutto, a cominciare dallo sporco
lavoro che ho scelto di fare.
Uccidere, mi riesce difficile. Mi sento motivato a farlo solo in casi
estremi, quando il sangue mi ribolle per l'ira, o il mio cuore è
sotterrato nella tristezza per un'ingiustizia consumatasi sotto i miei
occhi...Come con Karson.
Wilhelm Karson voleva farsi Kathleen, una ragazzina di appena undici anni.
Il padre di lei gliela aveva ceduta per una misera concessione agricola.
Suo fratello Jhonas venne da me al Wollet Hotel.
Sul viso dipinta una determinazione che mai avevo veduto prima.
Stringeva nella mano un sacchetto con tutti i suoi risparmi.
"Salva mia sorella Kathleen, ti prego...Strappala via dalle mani di
quell'orco."
A Kathleen, mi spiegò poi, gli orchi facevano paura. Il padre li inseriva
spesso nelle minacce quotidiane a cui la sottoponeva, picchiandola.
Era la sua sguattera personale, in un'età in cui i bambini dovrebbero
solo sorridere lei non faceva altro che piangere....Ma con dignità e non
davanti a quel demonio che il rispetto dovuto ed innegabile la
costringeva a chiamare papà...Piangeva tra le braccia di Jhonas.
Lo stesso Jhonas che ora stringeva quel misero sacchetto, guardandomi
implorante.
"Uccidi l'orco, salva mia sorella..."
Mi alzai dal tavolo con uno scatto, presi il sacchetto dalle mani ferme
del bambino, che non doveva avere più di dodici anni.
"Uccidilo...Non deve spaventare più Kathleen".
Gli lanciai indietro il sacchetto.
Arrivai alla stalla di Karson, che già il bastardo si stava sfilando i
calzoni a quadretti di cui si vantava tanto.
Sbavava incessantemente, grugniva, sfilandosi il suo arnese di piacere da
un paio di mutande rappezzate e sdrucite- incredibile la somiglianza tra
contenitore e contenuto.
La ragazzina non parlava e non si muoveva. Dalla fronte le sgorgava un
rivolo di sangue lucido e rosso vivo...Evidentemente l'orco l'aveva fatta
tacere per non essere scoperto.
Mi avvicinai a lui con uno scatto.
Karson si alzò, fece sbucare un revolver dai calzoni che pendevano inermi
ai suoi piedi e mi sparò con un grugnito satanico.
Mi prese in pieno petto- fortuna che indossavo un giubbetto rinforzato.
Stavo fallendo.
"Uccidi l'orco...Salva mia sorella".
La frase rimbombava nella mia testa, come un'ossessionante ronzio.
Chiusi gli occhi, avvertendo uno sparo.
Non poteva essere stato Karson a farlo esplodere...Era stato un rumore
come di tuono, vasto, profondo e potente...La terra aveva tremato sotto
di me.
Mi portai faticosamente a sedere e vidi...Vidi un uomo alto,
imponente, che non aveva pistole tra le dita. Se ne aveva estratta una,
quella che aveva distrutto il basso ventre di Karson, che giaceva in una
pozza di sangue stringendosi stupidamente gli intestini, l'aveva già fatta
sparire.
Mi venne incontro con la bambina tra le braccia.
Mi guardò con occhi tristi e profondi, soltanto parzialmente schermati
dagli occhialini arancione che indossava.
"Rem aveva detto che non si deve uccidere...Non si deve...Non
dovevo...Perdonami, Rem...Ma questa volta ci ho provato gusto."
Lasciò la bambina tra le mie braccia, si voltò dopo avermi sorriso con
mestizia e scomparve tra la polvere del deserto.
Fu allora che compresi che...Vash the Stampede è sempre un passo avanti
alla morte.


"C'è qualcuno che desidera ringraziarti..."
Le parole secche ma soffuse di un uomo mi riportarono alla realtà. Mi
ritrovai in una stanza umilmente ammobiliata che riconobbi come una delle
stanze dell'hotel di Inapril.
Ero debole, ed una forte fasciatura mi attraversava la zona addominale,
là dove il proiettile esploso da Karson si era fatto prepotentemente
strada.
L'uomo che aveva parlato stava immobile sulla soglia, con le gambe
incrociate.
Lo riconobbi. Aveva una sigaretta accesa e fumante che gli pendeva
dall'angolo destro della bocca, lo sguardo sottile ed acuto, ma sornione
rivolto verso di me.
"Sei tu...".mormorai, e scoprii che parlare era una vera tortura.
La ferita pulsava dolorante, non riuscivo a muovermi in completa libertà,
come avrei voluto.
Spostai con difficoltà la testa e riuscii ad individuare un'altra figura,
in trepida attesa sulla soglia, una sagoma minuta e meno incisiva di
quella dell'uomo.
Si fece avanti a passi lenti, quasi timorosa e fu allora che riconobbi
Jhonas.
"Hai ucciso l'orco...Mia sorella è salva...Volevo...Dirti grazie."
Sorrisi mio malgrado.
Io non avevo fatto nulla. Era stato lui...L'uomo dallo sguardo
triste, dall'impermeabile rosso acceso e dalla pistola fantasma.
"Avanti, ora...Deve riposare, è stato ferito piuttosto seriamente."
L'uomo dalla sigaretta spinse con delicatezza il bambino verso la porta.
Stava per attraversarla, quando l'ombra di un dubbio si insinuò nei suoi
occhi limpidi e puliti.
"E se...L'orco ritornasse? Continuerai a proteggerci, vero?"
Annuii, sorridendo, sperando di riuscire a rendere la mia risposta
gestuale incisiva e determinata, per quanto me lo consentissero le fitte
di dolore che mi pervadevano.
"Coraggio, va' da tua sorella ora:.. Ha bisogno che qualcuno gli stia
vicino...Fai l'ometto, eh!".
Con queste raccomandazioni, l'uomo dalla sigaretta accesa diede una lieve
pacca sulla spalla al ragazzino, convincendolo a lasciare la stanza.
Lo osservò mentre spariva dal mio campo visivo, per poi raggiungermi,
mettendosi a sedere sul bordo del letto.
Ebbe la cortesia di spegnere la cicca con un elegante e repentino gesto
della mano, come un prestigiatore che fa' svanire una carta.
"Come ti senti, ragazzo? Hai avuto una brutta giornata, non lo si può
negare..."
"T...Tu chi sei?"
"non è evidente? Sono un prete."
Mi sorrise, serafico.


Mi sono destato questa mattina con il corpo tutto indolenzito.
I raggi del sole penetravano ad intermittenza dalla finestra aperta,
mentre l'aria calda ed asciutta del deserto irrompeva con straordinaria
violenza.
Avevo una pezza bagnata sulla fronte...Chi mai poteva essere stato tanto
gentile da raffreddare la testa febbricitante di un cacciatore di taglie?
Quello strano prete? Forse...Quell'uomo ha un aspetto strano, eppure
rassicurante.
Non ricordo di aver mai frequentato preti, prima d'ora, ma se sono tutti
come lui, non riesco a capire perché la religione di cui essi parlano,
non riesca ad attecchire...Ho voltato lo sguardo, ed ho riconosciuto la
figura di una donna giovane, bellissima e semisvestita accanto al mio
letto: si era addormentata abbrancando la sedia sulla quale, con tutta
probabilità, mi ha vegliato stanotte, dopo che mi sono addormentato.
E' da tanto che non avvicino una donna così carina...Caro Derek Galt,
cacciatore di taglie alle prime armi, devi riconoscere che una
vera "prima volta" non l'hai mai vissuta...Al villaggio della Gilda,
Rohan mi disse che un vero cacciatore di taglie, dev'essere abile pure
con le donne. Cacciare dopotutto è cacciare, nessuna differenza tra
mentecatti, assassini o signore da conquistare...Che stronzate, diceva il
vecchio Rohan...Se era così in gamba, perché allora è durato tanto poco
alla guida della Gilda? Me lo ricordo mentre rantolava con le schiena
crivellata dalle pallottole del fucile a ripetizione di Jeremias.
Jeremias Kaynn lo aveva aspettato, mentre attraversava la gola che
conduceva al nascondiglio segreto della Gilda, per assalirlo
vigliaccamente di spalle.
Forse il vecchio Rohan non s'è neppure accorto di nulla: ha incassato e addio mondo...
Kaynn s'accorse che lo stavo spiando. Mi rivolse un sorriso
compiaciuto, indicando il corpo di Rohan ben imbottito di piombo, come
per invitarmi ad esprimere un parere.
Gli sorrisi a mia volta...Rohan, il vecchio porco che una volta s'era
sbattuto Maryn davanti a tutti per far vedere quanto valeva nonostante
l'età avanzata, si meritava una fine come quella.
Jeremias è un buon capo...Mi ha insegnato tutto quello che sa sull'arte
della caccia alla taglia...Peccato che eguagliarne le intuizioni, il
carisma e l'esperienza sia un traguardo ben al di fuori della mia portata.
Pazienza.
La porta si è spalancata ed è apparso il prete.
"Salve.. Dormito bene?". La sua voce intensa e sorniona mi scosse dal
torpore del mattino. Mi strofinai gli occhi, per focalizzare meglio la
slanciata figura nerovestita che avanzava a passi misurati verso il mio
giaciglio.
Una nuvoletta di fumo, proveniente dall'onnipresente sigaretta, si alzava
come lo sbuffo di un comignolo domestico verso il soffitto della stanza.
"Mylly... Ehi, Mylly... Su, svegliati...T'ho portato la colazione..."
Con una dolcezza inaudita, il reverendo dal sorriso perenne, spostò la
sua amata cicca da un angolo della bocca all'altro mentre scuoteva le
spalle nude ed avvenenti della ragazza addormentata.
Lei aprì gli occhi, li sbatté con la grazia di una bambina assonnata, e
si illuminò non appena, voltandosi, incrociò lo sguardo profondo ed
ammaliante del prete.
Pose le mani a coppa e ricevette la tavoletta di cioccolata che lui le
porgeva, scartandola con fanciullesca trepidazione.
"Salve, reverendo...A me cos'hai portato?"
Lui ridivenne severo e compassato, serbandomi comunque uno dei suoi
sorrisi enigmatici, l'ennesimo in quei pochi giorni di conoscenza che ci
accomunavano.
"La tua colazione, giovanotto, dovrai ben guadagnartela...Il Signore mi ha
detto che ti aspetta un duro lavoro...E che il tuo compagno di viaggio,
per Sua volontà, sarò io..."
Sorrisi a mia volta, strizzandogli l'occhio destro...Mi sentivo
rinato: finalmente un po' di sana azione...Conoscevo da poco il prete, ma
ero certo che seguendolo, ne avrei avuta parecchia.
La mattina degradò lentamente nel pomeriggio.
Il prete era scomparso poco dopo la colazione che non mi aveva affatto
spiegato come avrei dovuto guadagnare.
Uno strano senso di inquietudine si impossessò di me, ma decisi di tirare
avanti: la freddezza consueta dei cacciatori di taglie non era ancora
scesa sulle mie spalle giovanili; mi sentivo debole e svuotato e non solo
per la pallottola che Karson mi aveva rifilato.
Quel sacerdote era strano ed inusuale, ma come per tutte le cose
enigmatiche, possedeva l'attrazione di una calamita.
Non riuscendo a rintracciarlo in alcun modo, decisi di chiedere di lui a
Mylly, la deliziosa fanciulla che si era degnata di vegliare la mia
nottata di sofferenza.
La trovai intenta a ripulire il banco dei liquori: canticchiava con aria
trasognata, schiudendo la graziosa bocca rossa che doveva aver conosciuto
pochi baci sinceri nella sua giovane vita.
"Salve...", dissi, facendola riscuotere violentemente.
"Mi ha spaventato...Cosa ci fa' lei qui? Dovrebbe essere ancora in camera a
riposare..."
"Il prete? Dov'è?"
La ragazza mi fissò con distacco e freddezza.
Assunsi un'espressione dispiaciuta...Evidentemente avevo offeso una
persona molto importante per lei.
"Il REVERENDO Wolfwood non è qui, ora...Ma ha lasciato precise istruzioni
di attendere il suo ritorno..."
" non è mia abitudine prendere ordini da un uomo di Dio...Io non credo a
tutte quelle panzane..."
La provocazione ebbe l'effetto di una bomba.
La ragazza gettò lo strofinaccio con cui stava pulendo le ostinate macchie
di gin lasciate sul piano del bar, e senza alzare la voce sibilò la sua
replica:
"Se siete cieco al punto da non riconoscere i segni della Provvidenza
Divina, vi biasimo, signore...Siete uno sprovveduto ed uno
sciocco...Forse la prossima volta dovrò scegliere meglio l'uomo a favore
del quale trascorrere una notte insonne..."
Quelle parole, emesse da una creatura così apparentemente disinvolta, ma
allo stesso tempo tanto fragile ed innocente, mi percossero più di quanto
avrebbe saputo fare un sonoro schiaffo.
Fu allora che da fuori udii provenire un vocio elevato e schiamazzi di
ogni genere.
La ragazza mi gettò un'occhiata seccata, ma poi il suo viso si raddolcì:
"Venga a vedere, signore...L'effetto della Provvidenza...Forse così potrà
rendersi conto della sua stupidità..."
Mi affacciai sulla porta del saloon e vidi una scena sorprendente.
Il Reverendo stava camminando al centro della strada polverosa, con il
suo carico cruciforme sulle spalle apparentemente esili e ben modellate.
Con una mano trascinava un sacco sdrucito pieno di vettovaglie e dolci, e
li stava distribuendo con magnanimità alla gente ed ai ragazzini che gli
si facevano intorno.
"Tenete...Tieni, piccolino, questo è per te...Ehi, non spingete, ce n'è
per tutti!"
Risate di gioia, ringraziamenti, benedizioni...Il Reverendo era un uomo
ben diverso da quello che avevo conosciuto.
Il sole stesso sembrava irradiarsi dai suoi sorrisi, mentre veniva come
un salvatore a sollevare dalla povertà e dall'indigenza un'intera
comunità. Non potei fare a meno di sorridere mio malgrado, mentre
quell'uomo tanto osannato si faceva strada verso di noi.
Quando mi vide, si ricompose per un istante ed i suoi occhi ripresero
l'aria sarcastica di enigmatica complicità che aveva utilizzato ogni qual
volta si era rivolto a me.
Lasciò il sacco in balìa della gente esultante, e si diresse a passo
agevole verso me e Mylly.
Mi posò una mano sottile ma potente sulla spalla, facendomi sussultare.
"Lieto di vederti in salute, Derek...Dovremo parlare di quella faccenda,
più tardi..."
Annuii stupidamente, non sapendo cosa rispondere.
Continuò a fissarmi con il solito sguardo felino, poi si illuminò di
nuovo non appena incontrò gli occhi ardenti ed adoranti di Mylly.
Tirò fuori un pacchettino dalla tasca della giacca con la
solita, sorprendente celerità quasi magica.
"Tieni, Mylly...Questo è per te...Buon S.Valentino..."
La ragazza non sapeva cosa rispondere. Confusa ed arrossita, prese con
reverenza l'involucro che le veniva porto da quella mano così delicata da
sembrare irreale.
"G...Grazie tante, reverendo Wolfwood..."
Lo sciolse con lentezza, mentre i suoi occhi grandi non cessavano di
rimirare l'uomo di fronte a lei. Wolfwood e quella ragazza...No, mi
dissi, è impossibile lui è un prete, un uomo di Dio...
Non ero molto esperto di queste cose, ma sapevo per certo che la castità è
rigorosamente rispettata negli organi ecclesiastici.
Certo il reverendo era uno strano pastore, e tra le tante stranezze
poteva benissimo annidarsi una particolare predilezione per il
gentil sesso, anziché per le regole vetuste e spesso eccessive della Chiesa.
Ma sul volto del reverendo non c'era traccia dell'aria soddisfatta ed
orgogliosa con cui i fidanzati osservano le proprie compagne mentre
scartano i loro regali.
Era piuttosto l'affetto di un fratello maggiore o di un padre premuroso a
trasparire nello sguardo posato sulla fanciulla.
Mylly terminò l'operazione di scarto, ed i suoi occhi rifulsero quando
videro un ciondolo a forma di croce assicurato ad una catenella
scintillante.
"E' pesante da portare, Io ne so qualcosa...Ma quanto più saprai
accettarla, tanta più gioia saprà donarti, dolce Mylly..."
Le parole del prete suonarono come un augurio, anziché come un consiglio
da pastore, e la ragazza gli baciò con deferenza e profonda dolcezza la
mano tesa ad accarezzarle la guancia candida.
"Che scena commovente, reverendo Wolfwood..."
La voce stentorea e prepotente si fece strada sulla scena spezzandone la
purezza.
Proveniva da un nuovo venuto, un uomo alto e giovanile, agghindato con
una mantella rossa e fluttuante, con i capelli raccolti in una fluente
treccia nera.
Portava appesa al fianco una lunga katana custodita da un fodero
elegante, ed il suo apparire aveva imposto un innaturale silenzio sulla
scena.
La ragazza, Mylly si strinse protettivamente al corpo teso del reverendo,
che stava fissando a sua volta con sguardo rapace e calcolatore il nuovo
venuto.
Personalmente non avevo idea di quale posizione prendere.
Non ero armato, avevo lasciato la pistola di sopra...Decisi quindi di
attendere, era l'unica cosa ragionevole da fare...
"Quanto tempo, Moryia..."sibilò Wolfwood.
L'uomo con la katana a fianco restituì lo sguardo glaciale e si fece
avanti tra la gente.
Scorsi odio nei suoi occhi gelidi...Odio allo stato puro; e puntava tutto
al reverendo.


Sono stato sbattuto senza troppi complimenti in una cella fredda e
buia, probabilmente usate per i criminali dallo sceriffo cittadino.
Ad Inapril non c'era più bisogno di uno sceriffo, da quando il reverendo
Wolfwood aveva preso sotto la sua ala protettiva la comunità.
Ironico...Proprio un nemico misterioso del prete aveva scatenato un tale
putiferio da far scontare alla città il periodo di relativa pace di cui
aveva goduto fino ad ora.
Moryia...Non aveva detto che due o tre parole.
Il reverendo l'aveva guardato con pietà mista a compassione, dopo aver
ricambiato il glaciale abbraccio del suo sguardo.
Poi tutto era avvenuto fulmineamente:
Wolfwood aveva protetto Mylly con il suo corpo, mentre la spada del
guerriero si era abbattuta verso la gola della giovane- di certo Moryia
aveva inteso colpire il reverendo nell'affetto più caro che possedesse al
momento.
Wolfwood si era prodigato a far scudo del suo corpo alla ragazza urlante,
e la lama dello spadaccino mi era passata. lucente e fischiando, innanzi
agli occhi prima che potessi agire.
Il viso di Moryia era stravolto dalla furia della vendetta.
Non potevo restare a guardare mentre il sangue vermiglio del prete
fuoriusciva nel punto in cui la katana aveva raggiunto e penetrato le
carni- poco a di sotto della spalla sinistra, più su del cuore.
Gli occhi del reverendo si erano fatti vitrei, ma digrignando i denti era
comunque riuscito ad estrarre l'arma ed a spintonarla via, ferendosi la
mano.
Moryia era rimasto stupefatto dall'ardimento del rivale, ma si era di
nuovo scagliato con l'intento di infierire.
A quel punto, mi ero fatto coraggio ed ero uscito dall'improduttiva
immobilità che mi aveva stregato fino a quel momento.
Mi scagliai sul samurai rossovestito, urlando per infondermi coraggio.
Riuscii ad afferrarlo per un braccio, ma con eleganza ed una forza senza
paragoni riuscì a liberarsi per poi colpirmi di piatto sul ventre.
Da allora, non ricordo altro: vocii confusi e disperati, donne gettate per
terra da uomini vestiti di pelle nera che dovevano essere i crudeli
seguaci di quel vendicativo e folle samurai.
Ed ora, eccomi qui, lo stomaco dolorante, chiuso in una prigione umida e
fetida, senza prospettive, né idee.
Bel cacciatore di taglie, che sono...Jeremias Kaynn riderebbe di
me...Cosa aveva detto, quella volta? Un cacciatore deve vivere come se la
propria pistola fosse un'appendice di lui...Indissolubile, gemellata con
il braccio e la mano di cui doveva incarnare un'estensione naturale.
Povero me, Jeremias...Non ho mai ascoltato i tuoi consigli...Che
peccato...
Il reverendo? Cosa ne è stato? Lo rivedrò mai vivo? E la ragazza?
Curioso...In un momento di crisi che mi riguarda in prima persona, non
riesco che pensare agli altri...
Sento un fruscio sommesso innanzi alla cella.
Riesco a malapena a tenere aperti gli occhi, che con difficoltà si sono
abituati all'oscurità.
Un altro, strano fruscio.
"Chi è? Chi è là??", mormoro, più a me stesso che alle tenebre che mi
avvolgono.
Non ho forza nella voce. Ma quel fruscio, continua a ripetersi, ora con
maggiore forza.
"Chi c'è?", ripeto, con la voce rotta dalla sofferenza e la bocca
impastata che non riesce a dare contorni precisi alle parole pronunciate.
All'improvviso, un odore mi colpisce...Un odore pungente e rassicurante
di...No, è impossibile. Forse, sono già morto e la mia anima vaga sospesa
tra gli odori del paradiso ed i tormenti fisici dell'inferno.
Il fruscio ora è continuo, appartiene senz'altro ad una lunga veste che
tocca terra con smorzati sibili, e riesco ad udire lo scalpiccio di un
paio di stivali di cuoio che si fanno strada risolutamente all'interno
della prigione.
Una guardia? Una guardia che porta da mangiare...Forse.
Ma dubito che il cibo confezionato per un prigioniero di poca importanza
come me possa profumare tanto di...Ciambelle calde...
Saranno giorni, anzi, settimane che non metto in bocca una gradevole e
fragrante ciambella appena sfornata.
Forse sono impazzito, ed odo e vedo cose che non esistono.
Ma ora, i contorni di una figura alta e slanciata si fanno più vivi ai
miei occhi, che iniziano ad abituarsi al buio che mi sovrasta.
Gli stivali fanno sentire i loro rintocchi puntuali e precisi cozzando
contro il terreno ricco di umidità
Odo il fruscio della veste, ed il gemito gradevole del cuoio rinforzato
che si flette, quando sbattendo le palpebre sono sovrastato da un viso
sorridente e solare, che ha quasi il potere di illuminare l'oscura cella.
"Ciao, cacciatore...Ci rincontriamo in una situazione sfavorevole, eh?"
Lo riconosco, adesso...Il biondo pistolero dalla livrea rossa che quel
giorno mi salvò dall'aggressione di Karson!! Non poteva essere altri che
lui...Il suo viso era ben diverso da come lo ricordavo quel giorno...Era
vivace e sorridente, rassicurante.
Quel giorno, invece, era triste e disperato, sebbene avesse fatto
giustizia di un maledetto maiale come Karson.
"Rilassati, non cercare di parlare...Tieni, prova a bere qualcosa...Ti ho
portato anche da mangiare...CIAMBELLE!! Che buone, ammmmh!"
Con una mano mi teneva sollevata la testa, mentre con l'altra mi
imboccava come se fossi stato un poppante.
Aveva stampato sulla faccia un sorriso accattivante che non potevo non
ricambiare.
Quando ebbi mandato giù a forza un dolcissimo boccone di ciambella calda,
volsi lo sguardo all'uomo che mi stava praticamente salvando dalla
prigionia - né ero riuscito a capire come avesse fatto a penetrare nella
cella.
"Perché fai questo per me? Che cosa vuoi da me?"
L'uomo dall'abito rosso smise di sorridere e si fece serio d'un colpo:
"Voglio che tu viva...Nessuno qui dovrà morire...Se qualcuno morirà, a
causa di qualcun altro, mi arrabbierò...TANTO...".

CONTINUA ...

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Capitolo 2
*** Cap 2 ***


La cospirazione di Vesperum

Autore: Francesco

Cap.2

Il reverendo Wolfwood era ridotto proprio male.
Lo avevano legato per i polsi con dei legacci di cuoio nero che
rilucevano del sangue spremuto nella loro ferrea morsa.
Le estremità erano assicurate ad una sbarra di ferro sopraelevata, ed il
prete penzolava, seppur con straordinaria dignità, innanzi ai suoi
carnefici.
Le guardie dalle nere armature, i loschi seguaci di Moryia, lo avevano
attorniato e si facevano beffa di lui.
Lo percuotevano con l'elsa delle katane, lo squarciavano con rapidi
fendenti- il suo corpo era ora completamente rorido di sangue stillante-
oppure facevano penetrare con studiata lentezza la punta delle armi nelle
carni, attendendo una reazione alle loro torture.
Sghignazzavano, ridendo sguaiatamente.
All'estremità opposta della sala, stava il cupo Moryia.
Osservava in silenzio le pene che venivano inflitte impietosamente alla
sua antica nemesi, eppure non riusciva ad essere contento.
Stringeva l'impugnatura della sua spada dalla custodia lavorata tra le
dita guantate di cuoio, e ne estraeva la lama per poi richiuderla con uno
scatto secco, solo per tornare ad estrarla subito dopo...
Il volto serafico era tetro e severo.
Nonostante il reverendo, l'uomo da lui tanto odiato e disprezzato fosse
davanti a lui, in catene, grondante sangue...Non era soddisfatto.
I suoi tirapiedi continuavano imperterriti la loro opera di tortura,
avvicendandosi intorno al corpo apparentemente senza vita della loro
vittima.
Ma, riuscivo a vederli bene nonostante la semioscurità che regnava nella
stanza, gli occhi di Wolfwood continuavano a splendere fieri e
nerissimi, senza dare credito al dolore che, di certo, stava squassando il
suo corpo.
Il reverendo stava fissando il suo rivale, Moryia; aveva astratto la sua
mente, scavalcata quella realtà di miseria e di passività che lo vedeva
piegato alle perfidie che stavano sfregiando il suo corpo, e nello spirito
sembrava distante anni luce da quell'angolo di stanza in cui le guardie
nerovestite si stavano divertendo con lui.
"Maledizione...Perché non urla? perché non implora pietà, quel bastardo
figlio di un cane lebbroso?", questi erano i pensieri che la mente di
Moryia stava senza dubbio formulando.
Aveva tra le mani quel maledetto che gli aveva causato tanta sofferenza,
e non riusciva a fargli emettere un solo gemito di dolore.
Anzi, l'uomo sembrava quieto, e lo fissava con un'insolente espressione
di sfida che neppure le ferite che ora attraversavano copiose il suo
corpo erano in grado di cancellare.
Mi mossi per acquisire una posizione più vicina alle grate che ci
dividevano dalla stanza in cui si stava consumando quella terribile
ordalia, e l'uomo che era con me, il tizio dagli ispidi capelli biondi e
dalla veste rossa fece scattare la destra guantata per tirarmi indietro:
"Attento...Vuoi che ci scoprano?"
C'era un sorriso, aperto sincero e rassicurante che illuminava il volto
dell'uomo.
Mi indignai:
"Come puoi prendere tanto alla leggera una situazione come questa? Non vedi come lo stanno massacrando? Si sta' facendo uccidere..."
"No..."la risposta del mio compagno giunse seria e posata, mentre il suo
sguardo si faceva concentrato e quasi ipnotico.
"E' lui che sta' massacrando loro...Guarda e impara, cacciatore di
taglie..."
Fui punto nel vivo dal modo poco elegante con cui lo straniero mi si era
rivolto, quasi volesse farmi pesare la mia professione...Ma vinto il
disappunto nel momento, e scrutata di nuovo la scena sotto di me, capii
che aveva ragione.
Il gruppuscolo di uomini che aveva fino ad allora infierito sul corpo
mingherlino del reverendo si era disperso.
Si capiva che erano stanchi e che le braccia facevano loro male per
l'eccessiva violenza con cui avevano colpito quel corpo inerte senza
fermarsi...Quel gioco iniziava a stancarli, non producendo alcuna
soddisfazione visibile.
Uno di loro gettò l'arma a terra.
"Chi ti ha detto di smettere? Riprendi subito l'arma...Non ti ho dato
l'ordine di fermarti..."
La voce di Moryia fece riscuotere l'uomo, che voltò l'elmo nero ad
indirizzo del superiore.
"Allora? Continua, avanti..."
"Basta...Io mi sono stufato...Guarda anche tu, capo...A cosa ti ha
portato, torturare quest'uomo? E' più determinato di prima...Non siamo
riusciti a piegarlo, nemmeno di un millimetro..."
Ora il volto di Moryia era livido di furore.
Si precipitò come una folgore punitrice dall'altra parte della stanza,
sguainò la lama e la puntò alla gola del prete, fissando i propri occhi
rossastri in quelli aperti e ferrei del suo prigioniero.
"Credi di essere speciale, vero? Pensi che aver fiaccato questi
smidollati ti abbia reso forte ai miei occhi, è così? Beh,
reverendo, preparati, perché tra poco implorerai il tuo Dio come mai hai
fatto in vita tua...Saprò farti soffrire in un modo o nell'altro..."
La mano guantata di Moryia fece un cenno disinvolto ed imperioso, e lo
sguardo fino a quel momento impassibile di Wolfwood ebbe un sussulto:
Fece il suo ingresso nella saletta la fanciulla tanto devota al
reverendo, tremante in mezzo a due nerborute guardie dai corpetti di cuoio
borchiato: la graziosa Mylly.
Sentii il corpo dello straniero che era con me irrigidirsi contro al mio,
e lo udii mormorare, più a se stesso che a me:
"E' arrivato il momento di muoversi...".
Gli occhi di Wolfwood erano mutati radicalmente, passando dalla caparbia
espressione di sfida aperta ad una disperata e più lucida consapevolezza.
Moryia, il subdolo e mortale nemico riemerso dalle nebbie del
passato, aveva ora il potere di piegarlo sul serio, di calpestare il suo
cuore, di farlo impazzire dalla sofferenza.
"Guarda, reverendo...Sono stato magnanimo nell'organizzarti questo
bell'incontro amoroso...C'è la tua sgualdrinella qui, tutta fremente ed
eccitata dalla paura..."
Le prese il volto delicato e tremulo tra le dita affusolate ma callose da
spadaccino, e accostò il volto sorridente e diabolico all'altezza degli
occhi di lei:
"Non devi aver paura...Non ti farei mai del male...Sono un gentiluomo,
dopotutto...Non come il tuo amico, laggiù...Vedi, come è agitato? Non
posso dargli torto...Teme per te, e teme la vendetta che potrei
infliggergli, usandoti..."
Gli occhi di Moryia scintillarono inquieti; lasciò la ragazza nella
ferrea custodia delle robuste guardie che l'avevano condotta fin lì, e
tornò a voltarsi con la ferocia di un predatore ad indirizzo del prete
legato ed ansimante.
Ne sostenne lo sguardo di ghiaccio, mentre dondolandosi impotente ringhiò
ad indirizzo del suo carceriere:
"Non osare toccarla, Moryia...Se devi prendetela con qualcuno, fallo con
me...Ma sappi che, come allora, sono pronto a giurare sul mio Dio che ho
fatto tutto il possibile per salvarla..."
Moryia urlò, e la sua espressione divenne ancora più folle ed inumana.
"Sta' zitto, lurido pezzente d'un ciarlatano!! Kyusha era l'unica cosa che
mi rimaneva dopo che quei predoni assaltarono il villaggio!!! E tu non
l'hai saputa difendere! Eri e resti un vigliacco smidollato...Preferisti
cercare un riparo sicuro per la tua pellaccia, piuttosto che fare da
scudo a mia sorella..."
"Volevo bene a tua sorella, Moryia...", replicò con voce sincera e rotta
dalla commozione Wolfwood:
"Era un'anima buona e generosa, pura... Non sapeva cosa fosse la violenza
e l'avidità, al contrario di te...Non l'ho abbandonata, devi credermi...
Un colpo l'ha raggiunta al cuore mentre fuggivamo verso l'avamposto
concordato per il rendez vous...Se ti può consolare, ho fatto giustizia
massacrando i suoi carnefici..."
Ora il volto di Moryia era più ombroso ed iracondo che mai.
Le mani erano sbiancate intorno all'elsa della katana, fremente
nell'impazienza che prelude all'azione.
La sguainò con destrezza, puntandola alla gola rorida di sudore del
reverendo.
Gli rivolse un sorriso spietato, freddo.
"Ora capirai quanto si soffre nel vedersi portare via una persona che ci è cara...Il sangue di Mylly sarà versato come tributo per la perdita che ho
subìto io..."
Con uno scatto fulmineo ed apparentemente inarrestabile, la spada di
Moryia vibrò come una folgore un colpo all'indietro, cercando di
raggiungere il petto palpitante della ragazza tenuta dalle braccia
vigorose delle guardie.
Fu allora che un colpo sordo e ruggente di pistola irruppe sulla
scena, centrando con precisione la spada di Moryia e mandandola a rutilare
con un sonoro sibilo sul pavimento, ben oltre la portata del suo
possessore.
Dopo essere sceso alle spalle del velocissimo Vash, corsi verso gli
individui che tenevano ferma Mylly, e contando sul fattore sorpresa, li
misi fuori combattimento con un doppio calcio alla mascella.
Mylly perse l'equilibrio disorientata, ma seppi sostenerla tra le mie
braccia:
"Salve, signorina..."
Lei era ancora sbalordita dall'improvviso mutamento della situazione:
"Tu sei...Sei quel cacciatore..."
"Derek Galt, al vostro servizio..."
Nel frattempo, Vash si era spinto con disinvoltura sino al malconcio
reverendo, e con uno scatto deciso della mano guantata in nero, aveva
reciso le corde che lo trattenevano.
"Guarda chi si vede...Il tifone umanoide...Mi scoccia ammetterlo, ma sono
contento di vederti...Una volta tanto..."
Vash sorrise a tutta bocca, mettendo in mostra i canini con fare
malizioso:
"Era ora che mi ringraziassi...Ti ho tratto d'impiccio tante volte, ma
non ricordo d'averti mai sentito pronunciare un ringraziamento...Ti
faccio i complimenti per come hai saputo resistere alla tortura non
abbandonandoti ai tuoi istinti violenti...W la non violenza!"
Continuando a sorridere come un idiota mostrò orgoglioso l'indice ed il
medio della mano destra, mentre il reverendo protestava sibilando:
"Ci credo che non ho reagito...Non potevo, pezzo di imbecille...Ero legato
come un salame!"
Vash si rabbuiò per un secondo, sbattendo le palpebre.
Poi riprese a sorridere a 32 denti, passandosi una mano contro la zazzera
bionda: "Già, è vero!!! Ti ho liberato io!!! Accidenti, che sbadato..."
Mentre questa scena si consumava su un lato della stanza, dall'altro
Moryia si era chinato a raccogliere la spada, e aveva incitato i suoi
uomini a farsi sotto per affrontare i nuovi venuti.
"Avanti, attaccateli! Nessuno può alzare tanto la testa con me!!"
Ma gli uomini di Moryia erano rimasti fermi e sembravano piccoli ed
insicuri come anatroccoli nelle loro livree scure.
"Allora? Che diavolo vi prende? Attaccateli, presto!"
"No..." la risposta giunse con un po' di titubanza, ma presto divenne
unanime e condivisa da tutti.
"NOOO? Osate rivoltarvi al vostro signore?"
"Noi non abbiamo nessuna intenzione di metterci contro quel tipo...L'ho
riconosciuto subito...Lui è...E'..."
Moryia squadrò quel pagliaccio vestito di rosso che continuava a
prendersi gioco del prete, ridendo e sganasciandosi come un ebete...
Ma non gli ci volle molto per confrontare il volto sgraziato e deformato
dalle risate, con quello ben più serio e temibile dei manifesti che
decantavano la esorbitante cifra di 60 milioni di doppi dollari per chi
avesse avuto l'ardire di acciuffarlo...
"VASH...", mormorò incredulo
"Quello è VASH THE STAMPEDE..."
La mano destra corse a sondare il punto in cui l'acciaio della katana
aveva subito la scalfittura del proiettile che l'aveva deviata...
E per la prima volta dopo tanto tempo, Moryia tradì un moto di autentico,
soffocante terrore.

Gli uomini del tenebroso Moryia avevano ormai lasciato in massa la città.
Legati al loro signore dalla paura, avevano ritenuto concluso il
sodalizio con lui nel momento in cui il destino aveva messo loro contro
qualcuno che incutesse maggiore terrore.
Vash...Il tifone umanoide. Aveva spirato gelido innanzi i loro occhi,
convincendoli a togliere le tende.
Ora il samurai vendicativo era rimasto solo, privo di appoggi con cui
assicurarsi la propria sanguinaria vendetta.
Si trovava solo, spaurito, con la katana sguainata, brandendola con paura
nel vano tentativo di coprirsi la fuga da Inapril.
La strada principale era battuta da un vento impetuoso, ed il cielo si
era fatto tempestoso ed oscuro.
Gli uomini di Inapril, cui i seguaci di Moryia avevano violentato la
moglie, o incendiato la casa, si assiepavano feroci intorno a lui
brandendo assi di legno, bastoni rinforzati...Armi di fortuna, con cui
intendevano fare giustizia del mostro che era giunto a turbare la loro
tranquillità.
"Ora ce la pagherai..."
"Strillerai quanto strillava mia figlia mentre i tuoi se la sbattevano..."
"Ti farò saltare in aria come il mio negozio".

Trattenevo per un braccio il reverendo Wolfwood, mentre Vash correva
avanti a noi nel tentativo non facile di sedare l'esecuzione sommaria che
la gente di Inapril intendeva compiere ai danni di Moryia.
"Vash...Vacci piano, non posso spalleggiarti, stavolta...Sarà dura anche
per te...Non sarà facile frenare una massa vogliosa di sangue..."
Le urla del prete da me sorretto raggiunsero il "tifone umanoide",
nonostante ci precedesse di una buona lega.
Sentimmo la sua voce accorata replicare:
"Che diavolo di prete sei?! Dobbiamo fermare questo assassinio!!!"
Vidi Wolfwood sorridere, mentre commentava con occhio spento:
"Prima o poi dovrai imparare a vivere quaggiù, Vash...Ma per il momento,
ti comprendo..."

L'uomo dall'impermeabile rosso si frappose tra il tremante Moryia e la
gente armata fino ai denti assetata di sangue.
"Fermi!!!! Smettetela!!! Versare il sangue di quest'uomo non vi porterà a
niente..."
I più anziani ebbero un moto di ripensamento, mentre i più giovani
continuavano ad avanzare.
"Togliti di lì, biondino, o massacreremo anche te!"
"No! Dovete smetterla...Se ucciderete quest'uomo, le vostre case
distrutte non risorgeranno dalle loro ceneri...Le vostre mogli non
scorderanno la violenza subita...Anzi, saranno testimoni di
un'ingiustizia ancora più grande!!"
"Smettila, Vash...Questa gente grida vendetta, e sarò io a farmi carico
di eseguirla per loro, in un leale duello, uomo contro uomo..."
Tutti si voltarono mentre il reverendo Wolfwood si faceva avanti, dopo
aver eluso la mia stretta.
"Reverendo, sei sicuro di quello che fai?", chiesi sorpreso che quell'uomo
barcollante e pieno di ferite stesse per affrontarne un altro fresco e
determinato a salvarsi la vita.
"Certo, Derek...Perfettamente."
Mi sorrise strizzandomi l'occhio...Rivolgendo poi un cenno di saluto a
Mylly.
Sebbene fosse ancora sconvolta e tremante, la ragazza, sostenuta da
Virginia, una delle tante colleghe dell'hotel, ricambiò ferma e solidale
l'ammiccamento.
Moryia tirò un sospiro di sollievo, dietro le spalle robuste di Vash.
Questi si volse ad indirizzo del giovane:
"Perché...", disse con fare triste e sincero.
"Perché hai dovuto portare distruzione in questo pacifico villaggio??".
La voce dell'uomo dal soprabito rosso sconvolse Moryia...I suoi occhi,
appena risollevatisi, ripresero a tremare...Era come se la sua medesima
coscienza, da tempo sopita, lo stesse interrogando sul suo operato.
"Hai inseguito la vendetta per così tanto tempo, che hai steso l'ombra
della solitudine e della tristezza sul tuo cuore...Mi fai pena, Moryia..."
Con uno scatto deciso, Vash lo privò della katana che l'uomo aveva
debolmente agitato fino a poco prima per schermarsi dall'assalto della
folla.
Ne tenne la lama in mano, con assoluta naturalezza - era affilata al punto
da tagliare l'acciaio più robusto.
Eppure l'espressione triste e severa di Vash non mutò, mentre le sue dita
guantate di nero stringevano lo spessore della katana fino a frantumarla
di netto, con uno scricchiolio secco e penetrante.
Il vento ululava intorno ai due.
"Moryia...Sei un uomo che ha costruito un fantasma a cui dare la caccia,
per non essere riuscito a convivere con il rimorso che la morte di tua
sorella ti ha gettato contro..."
Il reverendo arrivò alle spalle di Vash, con ancora il volto contristato
e scuro.
"Ora quel fantasma è qui davanti a te...Affrontalo, se questo servirà a
farti sentire meglio...Ma questo non restituirà Kyusha...Né a te, né a
me..."
Il volto di Moryia era pallido, quando un fulmine lo rischiarò, facendolo
baluginare come uno spettro angosciato.

"Maledetto! Mia sorella...Mia sorella sarebbe viva se non fosse stato per
te!".
La collera di Moryia, sconfitto ed umiliato innanzi la stessa cittadina
che aveva creduto di poter dominare, esplose con la violenza di un tifone.
Wolfwood, che si era cautamente avvicinato, sperando di riuscire a
calmare il torrente in piena delle emozioni del rivale, si ritrovò suo
malgrado preda di un attacco inatteso.
Moryia si scagliò sul prete con foga e disperata energia.
Ebbi un sussulto: il reverendo, sfinito dalla tortura e dalle intense
emozioni non aveva la forza fisica né psichica per tener testa
all'accanimento del samurai.
La mia preoccupazione fu di breve durata...Con sguardo pacifico e fermo,
Wolfwood resistette all'assalto impetuoso ma scordinato di Moryia.
Ne incassò i pugni, serviti con violenza tra le lacrime, ne assorbì
l'impeto tragico, unendo le proprie lacrime a quelle del terribile nemico,
che ora appariva più come un giovane sulle cui spalle gravava il peso di
un dramma antico.
"Sì, Moryia...Sfogati...Se hai bisogno di fornire una ragione a te stesso
che possa giustificare la morte di Kyusha, usami pure..."
L'energia di Moryia, fiaccata dalle urla e dall'evidente inferiorità
tecnica con cui colpiva a mani nude, rispetto a come avrebbe potuto
tirare di scherma, cessò; il giovane crollò a terra, mentre la pioggia che
cadeva implacabile dal cielo si mescolava alle sue lacrime di
frustrazione.
Wolfwood si accasciò esausto al suo fianco, osservandolo con una
tristezza infinita negli occhi limpidi.
Mylly corse incontro al prete, si inginocchiò al suo fianco, senza
riuscire a spiccicare parola.
Lui continuò ad osservare il pianto senza speranza di Moryia,
accarezzandole la testa...
L'incubo, dalla durata breve ma intenso, poteva dirsi concluso...Gli
stessi abitanti di Inapril rinunciarono ad assaporare le loro personali
vendette, vedendo la prostrazione e lo strazio che imperversavano sulle
spalle curve del loro carnefice; gettarono via bastoni e sassi, si
caricarono sulle spalle nodose i forconi, e si rintanarono nelle loro case
semi distrutte, consapevoli di un'innegabile verità: i muri di pietra si
possono ricostruire...una vita umana, no.
Moryia stava ancora singhiozzando sommessamente, solitaria figura al
centro del paese.
Ora la pioggia era calata d'intensità, e disegnava i contorni tremanti
del giovane sconfitto come se avesse voluto proteggerlo nella
riservatezza del suo dolore.
Wolfwood, troppo debole per restare all'aperto, aveva accettato l'invito
di Mylly a rientrare nell'albergo ed ora era probabilmente oggetto delle
sue amorevoli cure.
Io stesso avevo trovato riparo sotto la loggia principale dell'hotel,
continuando a fissare Moryia e la sua disperazione quasi palpabile...
"Il cielo stava piangendo con lui..."
Qualcuno, nella mia esperienza di cacciatore apprendista, aveva mormorato
una volta una frase simile..."Derek, sei così triste...E fuori piove a
dirotto...Guarda...Il cielo piange con te..."
Non me ne voglia, quella persona a me tanto cara, se mi permetto di
adattare la sua frase alla situazione contingente...Ma calza a pennello...
Anch'io, come Moryia, ho perso qualcuno la cui scomparsa ha fatto la
differenza nella mia vita...
Lana...Lana la testarda, la poetica, la dolce cacciatrice di taglie che
mi ha cresciuto, alla Gilda.
Lana è stata ben più di una madre per me: amica fidata, consigliera,
baluardo a cui appoggiarmi nei momenti di sconforto profondo e, siccome
era di poco più grande di me, varcata la soglia della pubertà, poco ci
è mancato che divenisse...Qualcosa di più.
Mi rimboccava ancora le coperte, la sera, e mi posava un bacio innocente
sulla fronte...
Dio, quante volte avrei desiderato che le sue labbra profumate avessero
osato esplorare il mio volto, scendere a benedire col loro tocco magico
le mie labbra screpolate, avvincermi con il gusto del paradiso...
Ricordo ancora l'ultima notte che trascorremmo insieme. Io sotto le
coperte, minacciato da una febbre terribile, lei vicino a me, che mi
cambiava amorevolmente la pezza bagnata sulla fronte ad intervalli
regolari, e mi teneva la mano tremante.
Sapevo che l'indomani avrebbe dovuto partecipare ad una missione
impegnativa, che avrebbe rischiato la vita pur di acciuffare un criminale
pericoloso sulle cui tracce era da molto tempo...
Mi sono sentito in colpa per quella nottata di veglia che le ha rapito la
concentrazione ed il riposo necessarie ad un cacciatore, quando deve
affrontare simili prede...Ed il mio cuore di ragazzo morì il giorno
successivo, quando Rohan, allora nostro capo, ci diede brutalmente la
notizia...Lana non ce l'aveva fatta: squartata alla gola da un
serramanico, e violata nell'intimità dalla furia di un killer spietato di
cui Rohan non rivelò il nome- non so se volutamente o per ignoranza
sincera.
Mi sentii ancora più in colpa quando, piangendo Lana nello stesso modo in
cui Moryia stava piangendo la sorella, fui attraversato da un bieco
pensiero: Non ero indignato tanto per il modo terribile in cui era stata
assassinata, con la gola fessa da cui se ne era sgorgata tutta la sua
giovane vita...Ero furioso perché quel maledetto aveva osato entrare in
lei, a freddo, senza l'amore ed il sentimento che avrei potuto darle io...
Così, Derek Galt iniziò la sua crociata personale in veste di cacciatore
di taglie, un po' instabile emotivamente e poco veniale, ma senza dubbio
determinato a perseguire il suo obbiettivo...E chissà che aggregandomi a
Vash the Stampede ed al reverendo Wolfwood non riesca a portare a termine
la mia vendetta...

CONTINUA ...

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Capitolo 3
*** Cap 3 ***


La cospirazione di Vesperum

Autore: Francesco

Cap.3

Passare dal sonno profondo allo stato di semiveglia è sempre stato, per
me, come essere violentemente risucchiato dal paradiso all'inferno.
Dopo una giornata faticosa, specialmente...Ripensare a Lana aveva
scatenato in me una valanga di emozioni; non che l'avessi rimossa
dall'elenco delle mie priorità, certo, ma...Nelle ultime stressanti ore,
in cui Wolfwood aveva dovuto suo malgrado confrontarsi con le ombre del
passato, non avevo avuto molto tempo per me stesso.
Dopo quella girandola di avvenimenti emozionanti, la stanchezza aveva
avuto il sopravvento: mi ero trascinato fino in camera, incrociando lo
sguardo di Mylly che stava uscendo dal bagno dopo aver rinfrescato le
pezze bagnate da apporre sulla fronte del suo adorato assistito di quella
notte, il reverendo Wolfwood.
Mi aveva sorriso, e sul suo volto giovanile avevo intravisto per un
momento un'ombra di stanchezza senile...
Si era educatamente richiusa la porta alle spalle, non prima di avermi
rivolto un saluto...
Di Vash the Stampede avevo completamente perduto ogni traccia...Lo strano
vendicatore dalla veste rossa, capace di annichilire un avversario con la
forza della pace e della remissività se n'era andato con la stessa
rapidità con cui aveva fatto la sua comparsa...Che fosse una qualche
specie di angelo? Per ben due volte era piovuto in azione dal nulla,
salvandomi la vita, senza giudicarmi in base allo status da me
rivestito, né rovesciandomi addosso condanne facili...Mi aveva protetto da
Karson e mi aveva sottratto alla prigionia di Moryia...Se fossi stato
orgoglioso quel tanto che il mio capo si aspettava da me, avrei provato
vergogna nell'essere cavato d'impaccio per ben due volte dalla stessa
persona...E che persona, poi...Un criminale incallito sulla cui testa
gravava la promessa di un incasso da sogno, per chi avesse avuto il
fegato d'assicurarlo alla giustizia...Devo essere sincero fino in
fondo: l'idea di immobilizzarlo in qualche modo, magari con un paio di
pallottole alle gambe per consegnarlo alle autorità locali, facendo mia
quella montagna di doppi dollari, mi ha sfiorato per ben due volte...Ma
un uomo come quello non vale una cifra tanto volgarmente quantificabile
in danaro...E' un uomo- o qualunque cosa sia- senza prezzo...
In balìa di riflessioni di questo tipo, mi sono assopito, fissando il
pulito soffitto della mia camera...Per essere ridestato da una nottata
senza sogni da un penetrante odore...
Da dove proveniva? le mie narici ne erano colme, ma i miei occhi
stentavano pigramente ad aprirsi...Il sonno è prezioso per un cacciatore
di taglie che non ha troppe occasioni per farsi lunghe e rilassanti
dormite.
Una voce...Una voce strana e non identificabile giungeva alle mie orecchie.
Quell'odore gradevole stava crescendo d'intensità...Finalmente riuscii a
raccogliere energie sufficienti per schiudere le palpebre...
Una ciambella gigante mi veleggiava dinanzi agli occhi, dandomi
l'illusione di stare ancora dormendo.
Attraverso il buco della ciambella fumante e profumata, vedevo un occhio
far capolino, e la stessa suadente voce che mi chiamava:
"Derek??? Mangiami, Derek...Mangiami...Tu mi vuoi, lo so...Sono qui per
riempirti lo stomaco...Accoglimi"

Inutile dire che dietro alla ciambella gigante fantasma c'era il volto
sardonico di Vash che mi sorrideva a tutta bocca.
"Ma che diav...!!",sbottai io, incapace di contenere la sorpresa...
Non ero abituato a quei risvegli...Non più da quando Lana se n'è andata.
Anche lei mi usava l'attenzione particolare di servirmi una buona
colazione, venendomi a svegliare con la dolcezza di un angelo.
Forse Vash e Lana appartenevano alla stessa stirpe, quella degli angeli...
Le mie riflessioni nel frattempo venivano accompagnate dal volto benevolo
e sorridente di Vash che continuava a far da cornice alla ciambella
gigante appena sfornata, in volo verso la mia bocca.
La afferrai con i denti, minacciando di mordere le dita guantate di Vash,
ed iniziai a masticare rumorosamente.
"Cavolo...Fai piano! Sii gentile con quella tenera ciambella che vuole
solo sfamarti...Non infierire..."
Sorrisi, deglutendo...Vash the Stampede, non finirai mai di stupirmi.
Si dice che i tifoni distruggano tutto ciò che incontrano sul loro
cammino...La città più resistente, maggiormente protetta non avrebbe la
minima possibilità di salvezza innanzi ad un tifone.
Eppure, per la tranquilla ed umile città di Inapril, quel tifone
umanoide di Vash the Stampede era come la brezza leggera che trasporta i
pollini in primavera.
Avevo ancora in bocca il dolce sapore della ciambella gigante che mi
aveva portato quella mattina, al mio ennesimo risveglio consumato nella
linda ed accogliente camera del Wollet Hotel, mentre passeggiavo con un
cuore leggero come una piuma tra le polverose strade della cittadina.
Per ogni dove, la ricostruzione di edifici era iniziata...Si doveva
cancellare al più presto l'ombra della distruzione che Moryia aveva
portato, per avere una possibilità di sopravvivere alle inclemenze della
stagione delle piogge.
Mi trascinavo senza una meta, vedendo le donne non meno agguerrite dei
mariti nel maneggiare martelli e vibrolame, con i bambini ancora piccoli,
ma desiderosi di dare una mano...Si respirava un'atmosfera di libera
cooperazione ed ognuno era disposto a dare una mano al vicino più
disagiato...Vidi una giovane donna che si era caricata sulle spalle una
cassa di legno...La schiena nuda e muscolosa riluceva al sole del
mattino, mentre i seni torniti facevano capolino da un reggiseno sdrucito
di pelle.
I capelli sudati ma splendidamente drappeggiati le scivolavano sulle
spalle irrigidite dallo sforzo...Per un attimo al viso giovanile della
sconosciuta si sovrappose quello determinato di Lana...
Ed eccolo nuovamente, quel peso sul cuore...Quello che nelle ultime ore
non mi aveva abbandonato se non per qualche breve momento...
Ero stanco di tutta quella inattività...Fermarsi ad Inapril era stata una
ottima idea, dopotutto...Mi aveva permesso di incrociare la strada di due
uomini eccezionali; ma sentivo il bisogno di tornare in azione: non come
con Moryia...Desideravo riassaporare l'ansia della caccia alla
taglia, nella segreta speranza che girovagando di luogo in luogo, avrei
fronteggiato il demonio che mi aveva strappato la cosa più bella che
avessi...
Sentii un rumore secco e potente squarciare il cielo di Inapril, già
sonoramente percosso dal coro di martelli e seghe elettriche impegnate in
una febbrile opera per assecondare la rinascita della città.
Era il rumore poderoso, che si ripeteva con cadenza regolare, in una
danza ipnotica...Lo assaporai per tentare di decifrarne i crepitii...Era
il suono dell'acciaio forgiato, plasmato e poi battuto.
Lo seguii, incuriosito...La mia peregrinazione si arrestò al negozio del
fabbro-ferraio...Riconobbi, dalla porta spalancata, la forma armoniosa e
robusta di un corpo teso nella fatica dell'azione. I capelli erano
disordinatamente arruffati davanti al volto, rendendone confusi i
contorni. Ma non c'erano dubbi: quel giovane muscoloso che batteva con
determinazione l'acciaio forgiato a significare una lama, era Moryia.
Scorsi lo scintillio dei suoi occhi malfermi, attraversati da minuscole
gocce di sudore. Il braccio con la mazza piombava tuonando sulla futura
spada che il samurai andava generando, accompagnato da un flebile grugnito
di sforzo.
Rimasi a scrutarlo per qualche istante, poi mi decisi ad entrare nella
fucina.
Fui assalito da un odore acre ed intenso, mentre il calore soffuso per
ogni dove mi appiccicò la camicia alla pelle.
Dovetti compiere uno sforzo di volontà non indifferente per
proseguire, resistendo all'impulso di correre fuori, a trovare sollievo
nella aria lievemente ventilata delle vie cittadine...
La curiosità ebbe il sopravvento...Non dissi nulla, ma ero sicuro che
Moryia si fosse accorto di me, sin dal momento in cui avevo osato
fermarmi sulla porta spalancata...
Parlò e la sua voce rauca faceva intuire che nelle ultime ore non aveva
fatto altro che violentare le corde vocali con singhiozzi sinceri di
pianto:
"Cosa ci fai qui?"
Non stava usando un tono minaccioso o seccato...La sua era solo una
domanda, cui mi degnai di apporre una risposta:
"Stavo facendo un giro...Forgi una nuova arma?"
Silenzio, rotto soltanto dalla mazza che scendeva in picchiata sul
metallo.
Moryia trovò la forza per abbozzare un sorriso e finalmente, scostandosi i
capelli dal viso stravolto dal calore, mi guardò con occhi affossati ma
puliti e sinceri:
"Cosa è mai un samurai privo di spada, me lo sai dire?"
Sorrisi a mia volta e replicai:
"Come un cacciatore di taglie senza una taglia da inseguire".

La notte è scesa a benedire con la sua brezza leggera le polverose strade
di Inapril. All'attività febbrile e concitata del giorno, si era
sostituita una calma innaturale e quasi oppressiva.
le famiglie si erano rintanate nelle case, alcune semidistrutte, altre
ancora in grado di offrire un decente riparo...Tutti si stavano godendo
quel momento di meritato riposo dopo le fatiche della giornata appena
conclusa...
Accarezzai la Rave che brillava al mio fianco...Quella fidata pistola di
precisione, dalla potenza più che buona, l'avevo modificata io stesso.
Pezzi lucenti di metallo sparsi su quel tarlato tavolino, bagnato dalle mie
stesse lacrime, mentre le mie mani si muovevano al ritmo dell'odio e del
furore più cieco...Fu il giorno in cui Lana era stata uccisa.
Allora nacque la mia fidata Rave...L'ho collaudata con severità, smontata
e rismontata in piccole parti, rigenerandola di volta in volta come una
fenice che muore per poi rinascere dalle sue stesse ceneri.
L'avevo testata su bersagli al plasma, su ordigni esplosivi, studiandone
la maneggevolezza ed equiparandone con attenzione le prestazioni di fuoco.
Poi, le avevo costruito un rifugio di cuoio che nascondesse parzialmente
le sue forme aggressive, fuorviando facilmente persino un esperto d'armi
nel giudicarne la pericolosità.
La notte mi riportava al tempo dei brutti ricordi...Con i suoi silenzi
vasti e minacciosi, le grida acute degli uccelli notturni, l'ululare
solitario dei lupi sulle colline, figli di nessuno, proprio come me.
Estrassi la Rave, facendone roteare il calcio nero cromato, armandone il
grilletto anatomico che solo io avrei potuto maneggiare agilmente.
La puntai all'orizzonte, contro un nemico immaginario. L'aria suadente e
carezzevole della notte mi pungolava il volto, accarezzandomelo dolcemente, e
mio malgrado, fui di nuovo costretto a pensare a lei...
La mano che faceva presa sulla Rave incominciò a tremare, e fui costretto
a serrare la presa intorno all'arma aiutandomi con l'altra.
Chiusi un occhio, e mirai il nulla con l'altro.
La mia fervida fantasia giovanile stava cercando di visualizzare il volto
del killer che mi aveva rapito la speranza e l'amore...Che faccia avrebbe
potuto avere? Con quale voce avrebbe potuto parlare?
"Guarda che sparare all'aria non ti servirà a niente..."
Mi voltai, La Rave rifulse scattando verso la voce che aveva violato i
miei pensieri, rubandomi ad essi.
Il vento sollevava l'inconfondibile impermeabile rosso, e Vash comparve,
com'era suo solito, dal niente, per portare soccorso alla mia anima
disperata.
"Sei impazzito?! Avrei potuto spararti!! non provare più ad avvicinarti di
soppiatto in quel modo..."
Un sorriso ampio e rassicurante precedette la sua risposta:
"Ti ho visto assorto nei tuoi pensieri, ed ho creduto che ti servisse
compagnia...Così..."
Sorrisi a mia volta, giocherellando con la pistola, dopo averne
assicurato il grilletto.
"Bella, la tua Rave modificata...Ma non ci giocherei con tanta leggerezza,
se fossi in te...Potrebbe esplodere un colpo indesiderato, e potresti
uccidere qualcuno..."
Rimasi sorpreso dall'abilità con cui Vash aveva saputo valutare
l'identità della mia arma, poi fui stizzito per l'eccessiva
preoccupazione dimostrata nei miei riguardi...
Quasi mi lesse nel pensiero, quando aggiunse, con una lieve traccia di
ironia nella voce:
"Già, scusa...Sei un cacciatore di taglie, sarai senz'altro anche un buon
pistolero..."
Chinai gli occhi a terra, ma li rialzai quando una domanda a bruciapelo
mi costrinse a farlo.
"Quanti uomini hai ucciso, Derek?...Quante taglie hai riscosso?"
Sospirai, scuotendo la testa.
"Non ho mai ucciso nessuno, cerco di non ammazzare le mie
vittime...Preferisco consegnarle vive, piuttosto che macchiarmi del loro
sangue schifoso..."
"Quella volta...Saresti stato pronto ad uccidere quell'uomo?"
Capii che si riferiva al nostro primo incontro, a quando con la prontezza
di uno spettro aveva giustiziato il lercio Karson prima che lui avesse
l'opportunità di stendere me.
Alzai il volto, e la brezza asciugò il lieve sudore che un senso di
disagio crescente aveva stillato dalla mia fronte.
"Credo...Sì, l'avrei ucciso volentieri...E tu? Cos'hai provato quando
l'hai abbattuto?"
Il volto di Vash divenne una maschera impenetrabile, mentre i suoi occhi
si facevano cupi, più del manto della notte.
"Allora? Non dirmi che ti è dispiaciuto...Hai salvato la vita ad una
bambina innocente, hai ucciso un mostro, non un essere umano...Le
ingiustizie esistono e se per raddrizzarle dobbiamo usare il
piombo...Ebbene sia..."
Mi calò una mano guantata e ferma sulla spalla.
Mi osservò con la tristezza che più volte avevo visto dipingersi sul suo
viso impreziosito dal vistoso neo.
"A chi stavi mirando, poco fa, Derek? Chi avresti voluto uccidere e
perché?"
Sospirai, svuotandomi i polmoni dell'aria viziata, per aspirare un po' di
aria ventosa che offrisse sostegno nuovo al mio cuore provato.
Risposi con voce rauca e stentata:
"L'ombra che tormenta le mie notti, l'incubo che ha divorato un sogno
bellissimo, l'unica consolazione della mia vita di bambino...Lana..."
Sentii Vash fremere ed irrigidirsi accanto a me, e mi parve di udire un
bisbiglio soave ed afflitto provenire dalle sue labbra:
"Rem..."

La notte è scesa sul Wollet Hotel e la quiete ha suggellato il termine di
una nuova giornata.
Disteso sul mio accogliente giaciglio, ho cercato inutilmente di prendere
sonno, assediato da sensazioni tra le più diverse...Rancore, desiderio di
vendetta, tenerezza per Lana, tristezza per le conseguenze che la follia
di alcuni uomini ha necessariamente sulla vita di altri.
Poi il sonno mi ha inghiottito, più per esasperazione, che non per mio
diretto desiderio...E sono stato scagliato in un brutale abisso di
disperazione intriso di sangue...Un incubo della peggior specie, come se
gli avvenimenti cui mio malgrado avevo preso parte nei giorni appena
trascorsi avessero avuto il loro peso nel rinverdire angosce che credevo
sepolte o dimenticate.
Sono testimone di una fuga...C'è una donna giovane che corre su una
strada ghiaiosa, sollevando polvere.
I suoi pantaloni di cuoio mi sembrano familiari, mentre percuotono
ritmicamente l'aria, nel tentativo di portarla lontano...Lontano da
qualcuno o da qualcosa.
Si volta, ed i capelli le finiscono sul volto...
Poi una folata di vento glieli spazza lontano dal viso, ed io la
riconosco...E' la mia Lana!
Non sembra aver colto la mia presenza, torna a voltarsi e riprende la fuga.
Dietro di me odo uno sparo, un rombo di tuono che irrompe selvaggio.
Scorgo un uomo alto, agghindato in un lungo impermeabile rosso fuoco.
Le dita delle mani guantate sono mutate in canne di pistole, e vomitano
fiamme rossastre.
Urlo, mentre il gigante dai biondi capelli a spazzola mi vieni incontro,
e mi passa attraverso...Capisco che il suo obbiettivo non sono io...Ma
Lana.
Vedo Vash the Stampede procedere a passo misurato dietro la fanciulla in
fuga, che tenta di rispondere ai colpi feroci a lei indirizzati.
Una colt dal calcio in madreperla risponde ad un volume di fuoco
impressionante, mentre sul suo corpo giovanile esplodono frammenti di
vestito e schizzi di sangue...Il sangue di Lana..
Urlo, ma non ho voce con cui farlo...
Inseguo il gigante dalle vesti rosse, che implacabile continua a
violentare il corpo di Lana, ora impossibilitato a muoversi e chino su
una pozzanghera rossastra...Il sangue di Lana...
La vedo muovere le labbra con espressione fiera ed orgogliosa...Ma non
riesco a sentire cosa dice...
Colgo solo una risata spietata, partorita dalle labbra ghignanti del mio
amico...Vash the Stampede..."Da cacciatore a preda...Che insolito
destino, il tuo..."
Le mani si protraggono ad indirizzo della giovane, ed ora stringono
un lucente coltello a serramanico, che si avvicina alla gola nuda e rorida
di sangue della mia Lana...
Mi accorgo di non poter far nulla...Non posso scappare, né
avanzare...Non posso salvarla dallo spirare malefico del tifone umanoide
che l'ha fatta a pezzi con il suo ruggito...Si fa' strada una nuova
consapevolezza in me, e mi ritrovo ad impostare una nuova, terribile
possibilità nella mia mente assetata di vendetta...E se l'obiettivo della
caccia di Lana, il giorno in cui è stata uccisa, fosse proprio l'uomo
dalla veste rossa?

Mi stavano aspettando tutti al piano terra.
Mylly era venuta a svegliarmi con una buona tazza di caffè nero e forte,
ed ero riuscito in parte a dimenticare il sogno...
Una strana ansia mi pervase quando incrociai lo sguardo di Vash.
Certo, era ben diverso da come l'avevo partorito nel mio incubo...Aveva
uno sguardo aperto e solare, sereno e radioso, capace di scaldarmi il
cuore...Ma era pur sempre un uomo ricercato, l'uomo da sessanta miliardi
di doppi dollari...Quel sogno aveva aperto nel mio cuore un'angoscia
senza fondo...Vash, il tifone umanoide...avrebbe avuto facilmente il
coraggio di sgozzare una cacciatrice di taglie, come la mia Lana?
"Buongiorno, Derek...Pronto a partire? Il reverendo Wolfwood è andato a
sistemare alcune cose, ha detto che ci avrebbe raggiunto il prima
possibile..."
la voce di Vash giunse alle mie orecchie con la giovialità consueta,
sciogliendo la maggior parte dei timori accumulatisi come spazzatura in
fondo al mio cuore...ma un senso di profonda diffidenza permaneva, né
riuscii a scrollarmelo di dosso, facendomi servire un altro caffè,
forse anche più forte del precedente.
"Cosa c'è, Derek? Qualcosa ti turba?"
Il volto di Mylly era sinceramente pervaso dalla luce della preoccupazione.
Avvertii la rossa veste di Vash fluire contro il pavimento, mentre si
allontanava...Forse voleva lasciare che la conversazione tra me e Mylly
restasse privata.
Apprezzai il gesto, per quel che valeva.
Alzai gli occhi sui dolci lineamenti della ragazza che mi stava
osservando interrogativamente...Per la prima volta dopo molti giorni
avvertii una fitta al basso ventre...Era proprio una ragazza
carina...Negli eventi che si erano tumultuosamente rincorsi nei giorni
passati, non mi ero mai fermato a considerare quanto armoniche fossero le
sue curve sinuose, quanto invitanti e cariche di provocazione potessero
apparire le sue rotondità.
i miei occhi dovettero lasciar trasparire qualcosa dell'eccitazione che
mi stava pervadendo, perché la fanciulla, a disagio, si scostò dal
bancone, per mettersi a pulire energicamente le rastrelliere ove erano
riposti i liquori.
Mi posai una mano sulla fronte...La premetti contro la testa, finché
l'eccitazione non svilì, ed il mio basso ventre riprese le dimensioni
consuete.
Avevo sbagliato tutto...Una ragazza graziosa aveva dimostrato di provare
premura per questo povero e disgraziato cacciatore di taglie, ed io non
avevo saputo far altro che remunerarla con uno sguardo da maniaco
sessuale.
Una mano delicata corse alla mia spalla, con la stessa velocità con cui
la mia destra trovò la fondina di cuoio per snudarne la mia pistola.
"Quanta efficienza, Derek...bevuto un po' troppo caffè?"
Il volto del reverendo Nicholas Wolfwood non si scompose, vedendosi
piovere innanzi la canna della mia fedele arma, anzi, si aprì in uno dei
suoi benedicenti sorrisi, enigmatici e sarcastici nel contempo.
Abbassai la pistola, reinfoderandola.
"Dove eri finito, reverendo? Ti stavo aspettando...E' tutto pronto? Puoi
finalmente dirmi dove diavolo siamo diretti?"
"le risposte arriveranno, Derek...Se sei un cacciatore di taglie, dovrai
imparare ad essere paziente...Ti basti sapere che da ora in poi, i tuoi
servigi mi faranno molto comodo...Ti offro avventura, successo ed un modo
rapido e benefico di fare esperienza..."
Si accese una sigaretta, ed ammiccò a Mylly che si affrettò a servirgli
un buon whisky.
"Non sei l'unico giovanotto cui mi toccherà badare, però..."
Prese il bicchiere e ne ingollò il contenuto con soddisfazione, tirando
poi una buona boccata dalla sua cicca.
Mi stavo ancora chiedendo quale misterioso individuo si sarebbe accodato
alla nostra già nutrita congrega, quando sulla soglia comparve Moryia,
kimono legato in vita, acconciatura selvaggia al vento e Katana
resuscitata al fianco.
"Lui?". chiesi, lievemente titubante...Avevo avuto modo di constatare di
persona che Moryia non era un uomo totalmente malvagio, solo un individuo
sconvolto dagli eventi della vita, tanto quanto me...
ma al di là di evidenti punti di contatto e di simbiosi, temevo per le
zone d'ombra e di inconciliabilità che il viaggiarci insieme avrebbe
potuto portare allo scoperto.
Aveva uno sguardo fermo e pulito, e sostenne il mio senza traccia
di incertezza.
Ecco sbucare, dietro di lui, lo statuario Vash.
Gli occhialini arancione scintillarono al sole, già alto nel cielo.
"reverendo...Noi siamo pronti..."
Nicholas sorrise di rimando all'affermazione di Vash.
"Di nuovo insieme...Che tortura...",sbottò, masticando la sigaretta, con
un falso moto di stizza.
"Che vuoi farci...Due storpi come noi devono pur sostenersi a vicenda,
pur di riuscire a camminare, no?"
La battuta di Vash, strappò una risata irrefrenabile nel reverendo, che fu
costretto a sputare la cicca mezza consumata, per non strozzarcisi.
Notai che anche Moryia increspava le labbra.
Mi distesi, lasciando che il sorgere di quel nuovo giorno soppiantasse i
dubbi della notte appena trascorsa...Una nuova grande avventura stava per
incominciare, e non avrei potuto chiedere compagnia migliore per
inaugurarla...

Fuori dall'Hotel, in alto, sul casseretto di una diligenza parcheggiata
nelle vicinanze, un uomo magro ed avvizzito, racchiuso in un lungo manto
consunto, aveva scrutato tutta la scena.
Una mano nodosa e dalle unghie mal curate scivolò sotto il poncho e fece
spuntare una trasmittente minuta ed impolverata.
Gli occhi del suo volto incappucciato rifulsero mentre se lo accostava
all'invisibile bocca:
"Si stanno muovendo, capo...Siamo pronti..."
Una scarica filtrò attraverso l'oggetto, ed una voce subdola, da serpente
replicò:
"Andate...E ricordatevi...Non ammetto errori..."

CONTINUA ...

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Capitolo 4
*** Cap 4 ***


La cospirazione di Vesperum

Autore: Francesco

Cap.4

Il deserto ci avvolse con le sue asperità, non appena osammo lasciarci dietro la tranquillità dell'allegro ed operoso borgo di Inapril.
Il reverendo Wolfwood, sigaretta onnipresente fumante stretta tra i denti bianchissimi nonostante il tabacco, scherzava con Vash.
Osservando bene quella strana coppia che precedeva me e Moryia, silente e concentrato come un cobra pronto allo scatto, mi sembrò di essere uno studentello alle prime armi accompagnato dai suoi maestri.
Provai una fitta di lieve irritazione, che si dissolse immediatamente, non appena la mia mente ebbe passato in rassegna le occasioni che mi si erano offerte, di vedere in azione il sarcastico prete ed il suo amico, il famigerato tifone umanoide…
Diavolo, stavamo seguendo con tacita soddisfazione e complicità, quello che agli occhi della gente incarnava l'individuo più pericoloso e terribile mai ricordato, eppure…nel vederlo scherzare con Nicholas Wolfwood, che dopotutto era un uomo di fede, sentii di potermi totalmente affidare alla sua guida.
Le incertezze che l'incubo della notte prima mi aveva iniettato in corpo, erano ormai acqua passata.
Scrutavo l'uomo nelle fluenti vesti rosse con la stessa adorazione con cui un fedele si sarebbe rivolto al proprio dio.
Notai che Moryia, sebbene camminasse circospetto e senza far trapelare la benché minima emozione dal volto asciutto e tirato- tipico degli assassini professionisti, sottoposti a tensioni indicibili- condivideva la mia ammirazione.
"Sì, e ti ricordi quella volta?! Quel maledetto era quasi riuscito a metterci con le spalle al muro…Solo un'idiota come te poteva sperare di metterlo a tacere, offrendogli ciambelle e tramezzini…Una buona dieta a base di piombo, ecco cosa ci volle per stecchirlo…"
il reverendo gesticolava con la mano libera, mentre l'altra era impegnata a sorreggere l'involucro di stracci a foggia di croce.
Vash si sistemò gli occhiali sul volto, accennò un sorriso:
"Secondo me poteva funzionare, solo che qualche stupido lì a fianco, pensò bene di tirare il grilletto prima ancora che avessi il tempo di mercanteggiare…"
"Tu e il tuo dannatissimo rispetto per la vita umana…"
"Sono fatto così reverendo, o mi accetti o mi spari…"
"Non mi tentare!!!"
I due proseguirono ad ingiuriarsi, ma si capiva che lo facevano scherzosamente…Il rispetto reciproco che li univa e li rendeva tanto simbiotici era facilmente intuibile.
Ad un tratto, Nicholas alzò la mano libera, facendo segno di fermarci.
Vash si era fatto scuro in volto, i suoi occhiali arancioni parevano più cupi del solito.
Il vento del deserto era ora l'unica voce udibile, imperversando intorno a noi.
"Che c'è, perché ci siamo fermati?"
Moryia mi raggelò con una penetrante occhiata in tralice.
"Zitto…C'è qualcuno che ci segue…E' da un po' che avevo avvertito la sua presenza", mi sussurrò il samurai, ponendo la destra da provetto schermitore sull'elsa della sua nuova katana.
Senza voltarsi, il reverendo Wolfwood assestò la presa sul sacco di stracci cruciforme che gli gravava la schiena flessuosa, mentre Vash postava gli stivali chiodati, per assicurarsi una migliore presa sulla sabbia, quasi da usare come leva per un'imminente schivata.
"Vieni fuori…Jack "Sandman" Randal!
A queste esatte parole, pronunciate dal reverendo, un esplosione scosse la sabbia sotto di noi.
Moryia scartò di lato, Vash, sfruttando a proprio vantaggio la postura poco prima impiegata, scattò verso l'alto; Wolfwood si voltò piegandosi intorno all'involto di stracci, che si dissolse magicamente in uno dei repentini e magici gesti del reverendo, per lasciar posto ad un'imponente arma da fuoco a quattro braccia…
Io mi beccai in pieno una poderosa bordata contro il terreno, per non aver saputo reagire tempestivamente.
Nell'enfasi del pericolo, seppi comunque assumere una delle più classiche posizioni di guardia, snudando la mia arma, e fiancheggiando Moryia cercando di coprirlo di schiena.
Quando la sabbia prodotta dalla improvvisa fuoriuscita a sorpresa di un corpo cadaverico, ricoperto di un saio con cappuccio, si fu dissolta, avvertimmo una sarcastica risata di scherno ferirci le orecchie del cuore e quelle dell'anima.
Gli occhi dello sconosciuto sembravano due piaghe rossastre e tumefatte, ed erano l'unica cosa che ci fosse dato di scorgere…tutto il resto era confinato nell'invisibilità, ma si potevano ugualmente indovinare le forme scheletriche e semiumane avvolte in quelle consunte vesti come un cadavere racchiuso in un sudario funebre.
"State indietro e mantenete le posizioni di guardia…E' un tipo pericoloso…", ringhiò a bassa voce il reverendo, tenendo la sua croce d'acciaio ben spianata e pronta all'attacco.
Vash lo affiancò, senza avere la minima intenzione di ascoltare Wolfwood:
"Sei un viandante in vena di scherzi, o uno spirito inquieto del deserto?"
Aveva usato un tono di voce serio e misurato, ma le cose che aveva detto mi sembrarono completamente fuori luogo.
"Che diavolo dici, Vash?! Sta' indietro, ho detto…"
Il tifone umanoide non si curò di aderire all'ordine, continuando a fissare il nuovo venuto.
Questi se ne stava immobile, il vento del deserto tentava di insinuarglisi tra le pieghe della veste, ed era quasi una fortuna per noi che non vi riuscisse…Chissà quale macabro spettacolo avremmo dovuto goderci, date le premesse offerte da quegli occhi mummificati, ma ardenti.
Che sembravano appuntati su Wolfwood, e su nessun altro.
"Ben ritrovato, Nicholas…vedo che viaggi in buona compagnia…"
la voce di quell'essere era simile al raspare di una lima contro il ferro, sgradevole quanto il ronzio di una mandria di calabroni.
Eruttava di certo da una gola ormai consumata dai vermi, e faceva venire i brividi.
Ma il prete non diede mostra di scomporsi.
Anzi, rilassò la presa sulla arma multiorientata , dopo aver constatato che il nostro misterioso e sepolcrale avversario cercava il dialogo, prima ancora dello scontro.
"Ti trovo in carne, Jack…ben più dell'ultima volta che hai cercato di farmi la pelle…Dì, il tuo capo non ha ancora smesso di torturarci? Finché troverò la forza di sfuggirti, sarai costretto a subire una nuova, dolorosissima operazione negromantica per tornare in vita…Sei sicuro di volerti esporre ad un simile rischio, anche questa volta?"
Le parole ironiche di Wolfwood, fecero irritare per un istante la creatura.
Sembrò squassata da violenti brividi di rabbia, poi ritornò ferma, con il vento che gli turbinava intorno al saio carico di sabbia…
"Non credi che dovresti delle spiegazioni ai tuoi amichetti? Così sapranno perché la morte è venuta a spezzare le loro insignificanti vite, oggi…"
Wolfwood si concesse un mezzo sorriso, tenendo la destra ben ferma sull'impugnatura abbassata della mirabolante croce d'acciaio:
"Oh, Jack…Lo sai che non adoro i sermoni…"
"Che razza di sacerdote sei, allora?"
Vash sorrise a tutta bocca, spezzando la tensione del momento con un'inattesa battuta che mi fece bruciare lo stomaco per il pessimo tempismo:
"Sapesse quante volte glielo ripeto io, signor Jack…E' solo che è come parlare al vento…."
Nicholas gradì quell'intrusione, al punto da sentirsi autorizzato a rubare dal repertorio dell'amico una battuta da lui utilizzata solo qualche attimo prima dell'aggressione:
"Che vuoi farci, Jack…Sono fatto così, o mi accetti…O mi spari…"
"Nessuna delle due alternative mi solletica, Wolfwood…",sbuffò di sotto alle pieghe del cappuccio monastico, il nostro spettrale nemico.
Respirò a fondo con la sua gola tumefatta, come a voler incidere le parole seguenti a sangue nei nostri animi:
"Vi trasformerò in ciò che io sono…Diventerete il braccio armato del mio signore, e porterete il suo verbo redentore su questa terra maledetta…In quanto a te, Nicholas, sarai un perfetto ornamento sacrificale sulle mura della fortezza di Vesperum…"
Il reverendo chinò gli occhi e sorrise a mezza bocca, in un gesto di falsa modestia che gettò al vento le ardenti parole di minaccia rivoltegli:
"Grazie, ma preferisco di no…Non sono quel tipo di esibizionista…"
le fessure informi della creatura si assottigliarono, ed un sibilo compiaciuto eruppe dalle sue invisibili labbra scarnificate:
"Chissà quale triste espressione si dipingerà sull'angelico volto della bellissima Claen, quando vedrà che il suo tanto atteso salvatore è appeso, ridotto ad un tronco sanguinolento, sui bastioni della roccaforte…Godo solo all'idea che questa fantasia possa trasformarsi in realtà…"
Come uno straccio intriso di benzina accostato ad una fiamma, così esplose l'incredulità e la rabbia del reverendo Wolfwood.
La presa sulla arma a croce si fece ossessiva, intensissima: le nocche della mano divennero simili ad avorio, per colore e consistenza.
Vash continuava a seguire l'alterco, senza degnarsi di una reazione apparente…Conoscendolo, comunque, non avevo dubbi sulla sua incolumità…La prima volta che c'incontrammo riuscì ad esplodere un colpo mortale con la velocità di un tornado, facendo poi sparire chissà dove l'arma che lo aveva prodotto.
Sentivo Moryia fremere, di fianco a me…Per tutta la durata di quell'assurda conversazione, le dita della mano greggia non avevano osato cessare di stare bene accostate all'impugnatura della sua spada.
"Maledetta carogna…Tu…Tu stai bluffando, non è così? E' tutto un fottutissimo bluff!", replicò con voce carica di odio e tensione Nicholas Wolfwood.
"Voi no siete riusciti a catturarla, vero?".
Una risata da far accapponare la pelle sovrastò l'ululato morente del vento.
"STAI DICENDO UN MUCCHIO DI STRONZATE,SOLO PER INNERVOSIRMI!!!", urlò il reverendo ,spianando la croce e facendo fuoco, come un ossesso.
Una nuvola di sabbia oscurò la creatura, respingendola violentemente indietro…il frastuono prodotto dal ruggito dell'arma del reverendo fendeva l'aria, la riempiva.
Era come se un gigante dormiente si fosse svegliato di malumore, ed avesse preso a percuotere la terra con i pugni titanici.
L'essere si muoveva danzando come uno spirito in pena, le sue vesti fluttuavano nel vento, trapassate dalla feroce scarica di pallottole fulmineamente vomitate dalle lucide canne gemelle di una delle estremità dello strumento di morte maneggiato dal prete con navigata esperienza.
Scrutai il volto di Vash, aspettandomi di vederlo contristato o quantomeno deluso del fatto che il suo amico si fosse nuovamente abbandonato alla collera, uccidendo ancora.
Invece, lo vidi esprimere dubbio ed incertezza.
Poi, senza preavviso, mutò apertamente in sorpresa:
"State attenti!!! E' di nuovo sotto di noi!"
Un'esplosione simile alla precedente scosse il terreno sabbioso, sollevando detriti e graniglia.
Fui di nuovo sbalzato via, ma stavolta, arma in pugno, seppi reagire con maggiore prontezza.
"Nicholas, voltati!!! E' dietro di te!"
L'urlo di Vash fu a malapena captato dal reverendo, accecato dall'ira, che continuava ad esplodere il suo fuoco assassino contro l'abito ormai quasi inesistente del nostro aggressore.
Jack si era liberato del saio, ed aveva giocato d'astuzia…Dopo aver provocato Wolfwood era riuscito quasi a coglierci alla sprovvista…
La sabbia sollevata da quel tramestio ci rendeva difficile muoverci con agilità, ottenebrandoci la vista e mozzandoci il fiato.
Udii la voce convulsa di Wolfwood ,seguita da un suono metallico…Forse stava cambiando braccio alla sua croce armata, giacché era ragionevole pensare che avesse esaurito i proiettili.
"CREPA,BASTARDO!!!"
Una vampata di calore mi sferzò il volto con violenza, mentre riuscivo finalmente a capire cosa stesse succedendo.
Jack "Sandman" Randal aveva tentato di prendere Nicholas alle spalle, ma questi, con disinvoltura, lo aveva avvolto tra le fiamme generate da una delle tante bocche di fuoco presenti sulla sua croce fidata.
La sagoma del bandito si contorceva nel dolore provocatogli dalle ustioni, e quello spettacolo provocò una soddisfazione momentanea che vidi trasparire dal volto del reverendo…
"Niente è meglio del fuoco, quando si tratta di stendere un non-morto che si ostina a non voler morire del tutto…"
Sospese per un istante l'erogazione di fuoco ed abbassò l'arma cruciforme…
Solo per vedersi piovere in faccia lo scheletrico braccio mezzo arso di Jack "Sandman"- rinforzato però da una generosa corazza d'acciaio che non avevamo intuito potesse esibire - e cadere quasi privo di coscienza sul terreno sabbioso.
"Ha una corazza…Il fuoco l'ha appena scalfito!", urlai agli altri, sprecando del fiato per metterli al corrente di una dettaglio fin troppo evidente.
Vash corse, incurante dello scheletro consunto rinchiuso in quella armatura all'apparenza indistruttibile, che pareva aver messo radice entro i suoi miserevoli resti come un rampicante malefico avvinghiato alla preda…Corse da Wolfwood, sollevandogli la testa solcata da una profonda ferita, da cui sgorgava sangue fresco.
"Nicholas…Nicholas, amico mio…rispondimi…"
provai una fitta di angoscia immensa, nel sentire quanto si era fatta supplichevole e preoccupata la voce di Vash…Il tifone umanoide, in quel momento somigliava più ad una corrente di vento lugubre e lamentosa che attraversasse tombe abbandonate.
Wolfwood socchiuse gli occhi, in cui ardeva ancora, come brace superstite di un fiamma corposa, la determinazione di poco prima.
Tossì, ed una smorfia di sofferenza gli deformò il viso stravolto e rorido di sangue.
Trovò comunque la forza di parlare, chiudendo la mano libera- l'altra ancora stringeva tenacemente l'impugnatura della croce - sul polso premuroso di Vash, quasi sul punto di piangere:
"Non tentare neppure lontanamente di rubarmi la scena, né di fermarmi…Vash the Stampede…Questa è la mia guerra, ho scelto io di combatterla…Arriverà per voi il momento di agire…Ma non oggi…E non contro di lui…"
Sputò bile e sangue rossastro, poi si pulì selvaggiamente con la manica nera della sua giacca.
La croce che vi era cucita sopra, da bianca che era, si fece scarlatta.
Postò il piede a terra, e con uno sforzo immane ed il sangue che si ostinava ad uscire a fiotti dallo squarcio alla testa, alzò nuovamente l'arma ad indirizzo del suo mortale avversario.
Questi riprese a ridere, facendosi gioco del reverendo…Che non riusciva evidentemente a focalizzarlo, puntando la croce da tutt'altra parte…Il suo sguardo era vitreo, ma bruciava ancora dalla voglia di adempiere la vendetta.
"Chi vuole raggiungere il caro reverendo all'Inferno? Chi sarà il prossimo? Il buon samaritano dalla lunga giacca rossa, il ragazzino dai vestiti strani con la spada al fianco, o il poppante che mi sta' rivolgendo contro quella ridicola pistola? Fatevi avanti, non ho paura di morire, perché…SONO GIA'MORTO!!!"
Una risata sarcastica piovve sulla scena, partorita da quella gola malformata, anch'essa protetta dalla corazza di acciaio brunito.
Successe tutto simultaneamente…Io esplosi una gragnola di colpi mal assestati, che rimbalzarono inermi contro l'armatura indossata da quel corpo sgraziato come sassolini contro un rinoceronte.
Moryia passò all'attacco con velocità e tecnica, assestando un'impressionante serie di affondi mirati al morto vivente grottescamente robotizzato.
Cadde a terra ansimante, dopo aver constatato la nullità dei suoi pur precisi infierimenti.
"Volete piantarla, voi due? Avete sentito il reverendo, no? Questo è il suo duello…Avete così poca fiducia in lui, da crederlo incapace di portare a compimento la sfida?".
Vash ci urlò contro con sorprendente energia, mentre sorreggeva il corpo barcollante di Wolfwood, il cui volto sembrava sempre più pallido con il trascorrere del tempo
"Ti sembrano discorsi da fare? Non vedi come è ridotto, Vash? Non resisterà un secondo di più se non lo aiutiamo! Dobbiamo far fuori questo mostro e poi ci occuperemo di lui!".
Mi venne spontaneo ribattere alle affermazioni del tifone umanoide, soprattutto quando la sua condotta irresponsabile si faceva quasi giullaresca.
Incrocia il suo sguardo e lo vidi dischiudersi in un sincero pianto…
"State indietro, vi prego…Capisco che vogliate aiutarlo, ma io lo conosco meglio di voi, da più tempo di voi…desidera lottare fino all'ultimo, o morire nel tentativo…Lui è fatto così…"
sentii la commozione avvolgermi quando Vash, sorridendomi e piangendo nello stesso tempo, terminò il suo discorso:
"…O lo accetti…O gli spari…"
"Basta! Cosa diavolo sono queste smancerie? Combattete o morite!!!"
Un arto rinforzato dello scheletro bionico che era diventato Jack "Sandman", si catapultò contro il volto rigato di lacrime di Vash.
Lui lo bloccò…Con una sola mano…
"Cosa…Che diav…Chi sei tu, maledetto, per resistermi???"
"Vash…Vash, the Stampede…Brutto stronzo…", replicò Wolfwood con un filo di voce, ma sorridendo con la bocca sporca di sangue.
Vash aprì i suoi occhi, ora limpidi e fermi come gocce di acqua pura, capaci di estinguere le fiamme della perdizione.
Nicholas aggiunse, con la stessa espressione di sfida e di strafottenza:
"E, bello mio, sembra proprio che tu sia riuscito a farlo incazzare sul serio…"
Guardandolo in volto, trattenendogli la mano artificialmente modificata in una stretta ferrea ed ineludibile, il tifone umanoide soffiò in faccia al suo avversario con la ferocia delle parole:
"Ti è andata proprio male, Jack…Non uccido mai la gente, rispetto la vita umana…Peccato che tu, cosa di cui ti vantati poco fa..…Sia già morto…"
"ANDATE AL DIAVOLO!!!!".
Al grido di Jack "Sandman" Randal, che era riuscito a divincolarsi dalla morsa di Vash, solo perché quest'ultimo glielo aveva concesso, vidi comparire una luccicante, maestosa pistola nella mano guantata del tifone umanoide.
prima che il mostro potesse attaccare, il colpo esploso lo raggiunse alla testa, ove faceva bella mostra di se un bullone luccicante.
L'arma disparve tra i meandri misteriosi della veste scarlatta di Vash, mentre, in preda alla sorpresa Jack il non-morto, vedeva andare in pezzi la sua armatura rinforzata…
Ora era solo ossa scarnificate ed impotenti, sorrette da una volontà malvagia ma pur sempre effimera ed incapace di difendersi dalla furia del reverendo.
"Grazie Vash!!! Te ne devo una!!!"
Imbracciò la croce dalla parte della bocca lanciafiamme, e rivolgendo al malcapitato obiettivo uno sguardo truce carico di odio, fece fuoco:
"Va' all'Inferno…E restaci per l'eternità!!!"
Un urlo sovrumano squarciò la scena, inghiottito dal fuoco purificatore sprigionato dalla croce del reverendo Wolfwood…e di Jack "Sandman" Randal rimase solo un mucchietto inoffensivo di cenere.
Nicholas Wolfwood fece appena in tempo a sputarci sopra con disprezzo, prima che il vento le trascinasse via…Per sempre…

La notte era scesa con la consueta ed implacabile puntualità…Quando si è al sicuro, dentro una dimora accogliente, non la si maledice, anzi…E' bello guardare la luna e fantasticare con lo sguardo rapito dal suo evanescente pallore…
Ma purtroppo per me, il ferito reverendo Wolfwood, il tifone umanoide Vash ed il taciturno samurai Moryia, la notte nel deserto non è piacevole né rassicurante.
Il freddo sopraggiunge con inaspettata velocità, ed ogni traccia di calore svanisce dagli abiti, dalla pelle…Il sole che prima ti appariva nemico, ti sembra ora un miraggio lontano.
Abbiamo camminato esposti ai venti sferzanti, inghiottiti dal buio tenebroso…La nostra unica fonte di luce erano le stelle che ardevano beate sulla volta, come fiammelle giocose che si facessero beffa del nostro destino.
Vash aveva un volto contratto dalla preoccupazione, mentre sorreggeva il peso del reverendo - croce inclusa- senza il minimo sforzo apparente,
Nicholas Wolfwood sembrava rapito da uno stato di incoscienza profondo, mentre la fasciatura che gli attraversava la testa era già intrisa di sangue appena uscito.
"Se non ci fermiamo e troviamo un modo per cauterizzare quella ferita…", dissi, con un tono di voce che risuonò nella notte sconfitto e privo di speranza.
"Nicholas non morirà…Non finché avrò vita per impedirlo…"
Vash rispose con decisione, voltando la testa quel tanto che glielo permetteva lo strano bagaglio umano da lui trasportato, ed il suo sguardo mi restituì energia.
Moryia si fermò, chiuse gli occhi e si mise come in posizione di ascolto.
"Ed ora che succede? Non verrai a dirmi che ci sono anche dei predatori attirati dall'odore del sangue che ci seguono, eh?! Risparmiaci le brutte notizie, Moryia…"
Il giovane samurai mi zittì alzando la destra sinuosa.
Vash si fermò a sua volta, squadrando interrogativamente il ragazzo in meditazione.
Senza aprire gli occhi, Moryia parlò con la consueta voce calma e modulata, quasi un sussurro sovrastato dai venti:
"C'è una caverna, a poca distanza da qui…Dovrebbe fare al caso nostro…"
Mi avvicinai a lui, e lo scossi per farlo riavere da quella trance rivelatoria:
"Sei sicuro? Come diavolo fai a stabilirlo?!"
Il ragazzo aprì gli occhi e mi guardò con aria irritata:
"Se non ti fidi, puoi sempre continuare a marciare…ma i miei sensi mi hanno avvertito di una minaccia incombente…Se non ci decidiamo a trovare presto un riparo, i predatori ci attaccheranno…"
A conferma delle negative previsioni di Moryia, un ululato fece udire la propria eco morente.
Un brivido scosse la mia schiena.
"Allora, questa caverna?", chiesi, ma Moryia sembrò ignorare la domanda, per avvicinarsi a Vash.
"non vi ho seguiti sin qui per tradirvi, o per vendicarmi, Vash…Dovete fidarvi di me…Inoltre…". Aggiunse, squadrando con aria truce la fasciatura sulla testa di Wolfwood, ora di un colore rosso cupo, "Derek non ha tutti i torti…Wolfwood ha bisogno di fermarsi…Non potrà continuare a lungo, se non facciamo qualcosa…Io posso aiutarlo…Ma prima dobbiamo rifugiarci in un luogo sicuro…". Il reverendo tossì, come se si fosse riavuto all'improvviso da un incubo spaventoso, e cercò di parlare.
La sua voce era debole ed incerta, ma riuscì ad imprimergli quel tono di sarcasmo tipico della sua personalità…Fui lieto di avvertirlo. Il reverendo era un osso duro e non passava giorno che non riuscisse a catturare la mia profonda ammirazione.
"Vash, facciamo come dice il nostro ardimentoso spadaccino…Diamogli questa possibilità…Se mente potrò sempre sparargli con comodo, più tardi…"
Una risatina fuoriuscì dalla gola arida, ma nel tentativo di sdrammatizzare le sue penose condizioni, Nicholas non fece altro che provocarsi un altro attacco di tosse violenta. Nello sforzo, la fascia di fortuna che gli stringeva la testa, si fece ancor più scarlatta.
"Guidaci nel luogo che hai detto, Moryia…io mi fido di te."
La voce di Vash era calma e determinata, ed ebbe l'effetto di rendere Moryia ancor più attivo.
Nella sua giovane vita, erano di certo poche le persone che avevano riposto in lui una fiducia così fervida ed incondizionata e per la prima volta il samurai sentiva di poter essere davvero utile a chi lo circondava…Per la prima volta, avrebbe concluso qualcosa di positivo per gli altri, anziché per se stesso.
Si alzò di scatto, ed il morbido panneggio delle sue vesti fu preda del vento impetuoso.
Ci squadrò con occhi puliti e fermi, facendoci segno di seguirlo.
Mi avvicinai a Vash, che aveva ripreso a trascinarsi dietro la croce ed il reverendo
"Posso aiutare?", domandai. Eravamo partiti da poche ore e tutto quello che mi era riuscito fare era stato esplodere colpi maldestri ed inoffensivi ai danni del nostro primo avversario…Volevo davvero darmi una mossa, essere produttivo.
Il tifone umanoide si voltò verso di me, e mi sorrise…Anche se avrebbe potuto senz'altro continuare a sorreggere il non indifferente peso da solo, annuì alla mia richiesta, facendomi passare un braccio intorno alle spalle di Nicholas.
Moryia ci precedeva a passo lento, mentre i venti ci attanagliavano sferzandoci il volto.
La caverna c'era davvero…Moryia aveva dato prova delle sue facoltà eccezionali di percezione, ed ora ci stavamo scaldando accanto ad un fuoco di fortuna messo in piedi grazie all'ausilio di alcuni laceri stracci ed ossa mangiucchiate rinvenute sul posto.
"Sei certo che la grotta sia sicura? Sai, visto le belle cosine che abbiamo trovato, non mi sorprenderei se qualche bestiola un po' cresciuta ci attaccasse…"
Alla mia perplessità, Moryia rispose con un'aria offesa, sentendo mettere in discussioni le proprie facoltà ed il proprio istinto:
"Non c'è odore di sangue fresco, a parte quello che sgorga dalla ferita del reverendo…Segno che i predatori hanno trovato un altro avamposto…e nel caso, tornassero…"
Moryia accarezzò l'elsa della propria katana.
Alzai le braccia come per scusarmi del dubbio sollevato.
"Resisti, Nicholas…Adesso vediamo di aiutarti…", mormorò dolcemente Vash.
Quindi si voltò verso il samurai, che se ne stava vicino al fuoco, preoccupandosi di mantenere viva e guizzante la fiamma.
Il ragazzo alzò lo sguardo su Wolfwood. Il reverendo era cosciente ed il respiro gli usciva dalla bocca in rantoli soffocati che esprimevano meglio di qualunque parola l'indicibile sofferenza a cui era sottoposto.
"Sei disposto a lasciarmi fare, reverendo? Fa' un cenno con il capo se non puoi parlare…"
Alla domanda di Moryia, Nicholas Wolfwood trovò la forza di rispondere con un vigoroso movimento della testa ferita.
Vash gli si fece più vicino, e la sua mano guantata corse a sorreggerlo.
"Andrà tutto bene, amico…Ti rimetteremo in sesto, sarai come nuovo…"
Mi avvicinai a mia volta, desideroso di trasmettere un po' di calore umano e solidarietà a quell'uomo tanto coriaceo, da poter fare a meno di tutti…ma che in quel momento aveva necessità di tutto il sostegno possibile.
Il reverendo digrignò i denti e prese a frugare in una tasca della sua giacca.
"Cos'è che cerchi?", si informò Vash, mentre Moryia sguainava la katana, e la brandiva di piatto al di sopra delle fiamme di fortuna che eravamo riusciti a nutrire.
"Il mio…Anestetico favorito…ma dove diavolo l'ho messo? Ah…Ecco qui", borbottò, lottando contro gli spasmi di sofferenza il reverendo.
Estrasse dalla tasca interna una bottiglia di whisky, e se la portò sorridendo alle labbra.
"Come puoi pensare di bere in un momento del genere?", fu la mia insensata considerazione.
Gli occhi del reverendo, che non avevano perso la loro lucentezza vivida e scostante, mi risposero stringendosi a formare le inconfondibili fessure cariche di ironia che avevo imparato ad amare.
Era il suo modo per dirmi: ragazzino, non venirmi a dire cosa devo fare…cresci prima.
"Bevi in abbondanza, reverendo…perché di dolore ne avvertirai molto…", fu la laconica precisazione di Moryia.
Vash aveva gli occhi fissi sulla fronte bagnata di sangue dell'amico.
Nicholas trangugiò una bella sorsata di liquore, poi strinse la faccia, mentre un fuoco gli esplodeva in gola.
"Ahhhhhh…Ora sì! Un goccio di torcibudella di marca era proprio quello che mi serviva…"
Bevve avidamente altre sorsate abbondanti…Si scolò la bottiglia quasi per intero…per un uomo come lui, capace di reggere a meraviglia alcol e nicotina, quelle "poche" gocce di liquore non avrebbero prodotto quell'effetto anestetizzante sperato per altri…ma almeno avrebbero contribuito ad appannargli i sensi…
Moryia continuava ad arroventare la superficie della sua katana, ed un inquietante bagliore rossastro si diffondeva sul suo volto, facendolo somigliare ad un demonio dai lunghi capelli.
Un ultimo sorso, e la bottiglia fu un inutile involucro di vetro.
"Peccato…", mormorò, lievemente intontito Nicholas.
"Volevo serbarla per festeggiare la nostra vittoria sulle forze del male, ed invece…"
Ridendo selvaggiamente, la scagliò contro la parete di fronte.,
Il vetro andò in frantumi…Mentre Wolfwood iniziava ad acquietarsi.
"Togligli la benda".
Le parole imperative di Moryia erano rivolte proprio a me…
"Io…Non so se…", cercai di giustificarmi…Avevo paura di ciò che avrei potuto trovare al di sotto di essa…Sono un cacciatore di taglie e la vista del sangue non dovrebbe sconvolgermi più di tanto…Eppure, avevo una fifa maledetta, sul momento, di quello che avrei potuto vedere, una volta che avessi rimosso quell'impacco maldestro di fasce.
"Avanti, Derek…Volevi fare qualcosa di utile…Il momento è arrivato…"
la voce posata di Vash seppe scuotermi ed incoraggiarmi nello stesso tempo.
Mi feci più vicino alla fronte del reverendo, e con una decisione inaspettata iniziai a rimuovere la fasciatura…mentre la svolgevo, sangue essiccato si mescolava a sangue appena fuoriuscito e le mie mani presto furono rosse, intrise di plasma…
Ma dovevo continuare, per il bene del mio amico…Svolsi del tutto la benda e fu allora che l'orrida tumefazione venne allo scoperto, e fui investito da un getto di sangue caldo.
Vash corse con occhi allarmati alla ricerca di Moryia…
"Tenetelo fermo…Si agiterà molto…"
Con queste parole, il giovane samurai tenne alta davanti a se la lama rossa ed incandescente della katana, avvicinandosi alla fronte di Nicholas.
Con un rapido gesto, mentre le nostre mani correvano a stringere, inchiodandolo contro il terreno della caverna , il corpo febbricitante di Wolfwood, gliela calò di piatto sulla ferita aperta e pulsante.
Si udì uno sfrigolio sinistro, non appena la spada incandescente incontrò la pelle rorida e tumefatta.
Dapprima il reverendo emise un rauco gorgoglio dalla bocca semiaperta, poi proruppe in un grido di dolore tale da svegliare i morti.
Rabbrividivo senza posa, mentre cercavo di tener fermo quel corpo impazzito che si dimenava sotto di me.
Scrutavo con il volto percorso da rivoli di sudore, il viso di Vash.
Il riflesso della lama rovente lo rendeva surreale, enigmatico.
Le sue mani trattenevano gli spasmi di dolore che scuotevano selvaggiamente il suo amico, mentre i suoi occhi intrisi di pietà, esprimevano viva partecipazione alla sofferenza dell'altro.
Moryia, dal canto suo, non sembrava particolarmente scosso…A giudicare dalla velocità e dalla sicurezza con cui aveva agito, c'era da presumere che avesse ripetuto quell'operazione decine di volte.
Il fumo della carne ustionata si andava diffondendo nell'aria fredda della grotta ,mentre le urla del reverendo si facevano sempre più acute e penetranti.
"Ho quasi finito…", annunciò con tono privo di partecipazione il giovane Moryia.
Scostò quindi la spada dalla fronte del reverendo, rivelando una cicatrizzazione eseguita a regola d'arte.
Il fumo si dissipò lentamente, mentre nell'aria rimaneva percepibile l'odore di carne bruciata.
Il corpo di Nicholas, sebbene fosse ancora scosso da lievi sobbalzi, aveva smesso di divincolarsi…segno che il dolore, per quanto forte ed intenso, stava iniziando a svanire.
Il reverendo giaceva immobile, il volto abbandonato nello sfinimento, mentre il suo petto si alzava e sia abbassava con ritmo piuttosto regolare.
"Lasciamolo riposare…", ordinò Moryia, roteando la spada contro l'aria gelida della grotta per raffreddarla.
Quando la lama ebbe perso ogni barlume rossastro sulla superficie, il samurai la rinfoderò nella guaina di cuoio, per poi lasciarsi cadere accanto al fuoco.
Vash rimase a vegliare l'amico, con uno sguardo ben più sollevato.
"Andrà tutto bene, Nicholas…Ora è passato…"
La mattina seguente, fui destato da uno strano trambusto…
Mi era risultato difficile prendere sonno, a seguito degli eventi della notte prima, ma alla fine la stanchezza aveva avuto la meglio ed ero precipitato, mio malgrado, in un sonno agitato e scarsamente riposante.
"Ma da dove saltano fuori, quelle? NO, smettila!!! Ti ho detto che non ne voglio! Dammi una sigaretta, piuttosto…"
"Andiamo, Nicholas, non fare così…Hai subito un trauma, ora hai bisogna di riprenderti…Come fai a voler fumare in queste condizioni? Guarda cos'ho qui per te…"
"Al diavolo te e le tue stramaledette ciambelle! Ma come avrai fatto ad imboscarle fin qui, dico io?!"
"Su, avanti…Apri la boccuccia…AAAAAHM!"
Mi svegliai richiamato alla realtà da due voci fin troppo note. Assaporando un senso di familiarità quale quello che si respirava, sarebbe risultato difficile credere che il luogo nel quale ci trovavamo
era un inospitale caverna piena di resti umani, sperduta lungo una via desertica e priva di vita.
Eppure quell'alterco così surreale riuscì a strapparmi un sorriso.
Aprii gli occhi, e vidi una figura ammantata di rosso e con i capelli a spazzola, cercare di infilare una grossa ciambella ripiena dentro una bocca che non ne voleva sapere di aprirsi- quella del reverendo.
"Allora, vuoi la guerra, eh? Okay, allora l'avrai!"
"te ne approfitti perché sono ancora debole ed intontito eh, maledetto? Aspetta che mi rimetta in sesto, e poi vedrai che fine gli faccio fare alle tue inutili ciambelle…"
"Se proprio non ne vuoi, me le mangio io…Io me ne privavo per farti un favore, ma tu…Niente!"
"Ma abbuffati pure con i tuoi stramaledetti dolci! A me fanno schifo!"
Vash assunse un'aria improvvisamente triste sventolando la ciambella del reverendo innanzi al suo volto:
"Come puoi essere così crudele con queste deliziose ciambelle? Chiedi scusa, avanti…"
Wolfwood sbatté le palpebre con aria sbigottita:
"Dico, ti sei ammattito del tutto? Dovrei scusarmi con un pezzo rotondo di farina lievitata? Guarda che sono io quello con la ferita in testa e che dovrebbe delirare, non tu!!"
Mi tirai su, con la schiena dolorante e mi avvicinai, ancora un po' intontito per il sonno mal consumato. "Buongiorno Vash…Reverendo, sono contento di trovarla così attivo!"
I due si interruppero all'unisono, squadrandomi come se mi vedessero per la prima volta…
Poi, come se niente fosse, ripresero a discutere.
Che cosa si poteva fare, con due tipi come quelli? Accettarli, oppure…Sparagli.

Vidi Moryia all'esterno della grotta.
Il riverbero del sole già alto nel cielo, faceva tremare l'orizzonte
L'aria era umida ed appiccicosa e dava un senso di profondo fastidio doverla respirare…la gola si inaridiva per il calore ed i vestiti aderivano addosso come una seconda pelle.
"Ciao. Moryia…"
Lui chinò il capo, senza parlare.
"Volevo dirti che…Insomma, mi hai davvero stupito ieri sera…Sei molto più di quanto dai l'impressione di essere."
Gli occhi di Moryia sondavano l'orizzonte. La fedele spada cinta al fianco riposava eroica nel fodero liso.
"Stavo pensando…Quel killer dell'altro giorno, quel Jack "Sandman"…Sembrava conoscere molti dettagli della storia personale del reverendo…Mi piacerebbe conoscerli…Così se muoio, saprò per cosa sono morto…"
"Sei strano, per un cacciatore di taglie, Derek…E' un lavoro che non ti si addice, secondo me…"
Il volto di Moryia si girò verso il mio.
"Perché?", chiesi…Non sapevo dove volesse arrivare il guerriero cui nelle ultime ore avevamo affidato la vita del reverendo.
"Ti fai troppi scrupoli…", mi sorrise.
Quindi tornò ad osservare l'orizzonte con occhi attenti.
"Se lo dici tu…Comunque, scusa per aver dubitato di te, ieri sera…E' che mi riesce difficile fidarmi degli altri…Forse dovrei imparare da quei due…"
Mi voltai ad indirizzo di Vash e di Nicholas…vedendoli accapigliarsi, come bambini, mi faceva comprendere quanto fosse unica la loro amicizia.

La tenebrosa fortezza di Vesperum sorgeva su uno sperone di roccia isolato, ed aveva l'aspetto di un falco feroce che sta' per gettarsi in picchiata a ghermire un tenero passerotto.
Nuvole striate di un azzurro cupo, gravido e pesante, facevano da cornice al tetro maniero, sulla cui superficie splendevano le luci lugubri di torce disseminate secondo arcani disegni.
Il ponte levatoio, costituito da una lastra di acciaio brunito scolpita con orride figure di diavoli impegnati nella loro opera di punizione eterna ,si abbassò con un suono d'oltretomba, stridendo e guaendo come una gigantesca bestia in agonia, mentre i doppi ordini di catene preposte a trattenerlo, venivano sciolti da due nerborute guardie dalla corporatura rozza e muscolosa.
Una diligenza a motore riprese la marcia arrestata in precedenza, nell'attesa che il ponte collimasse col terreno, spingendosi fin nella ampia corte.
"Gran maestro Lockent, il vostro ospite è giunto…"
Il giovane messo dalla faccia stravolta si era fatto una lunga e faticosa camminata, attraversando saloni ampi e tenebrosi, salito scale ripide e traditrici con navigata esperienza, pur di recare l'annuncio.
Il Gran Maestro spiava il mondo esterno da un ampio balcone, apparentemente privo di vetri, ma separato da ciò che stava fuori da un invisibile vetrata alchemicamente trattata che la faceva sembrare inesistente.
Rimase impassibile all'annuncio del messo, che si era deferentemente inginocchiato e non osava abbandonare quella supplice posizione per timore di incorrere nell'ira del suo signore.
Dopo un attesa che parve eterna, il Gran maestro Lockent si voltò rivelando il suo funereo aspetto.
Il cappuccio alzato nascondeva un volto giovane ma angosciato, solcato da rughe che la severità di una giovinezza mal spesa gli aveva scolpito addosso.
I capelli imbiancati ricadevano argentei sulle spalle ammantate di nero, ed intorno al collo splendeva un simbolo alchemico in oro ed argento.
Simboleggiava un sodalizio impossibile tra sole e luna ed era ,a quanto si diceva in giro, l'amuleto attraverso cui il Gran Maestro realizzava le sue alchimie.
Il messo alzò gli occhi sulla figura imperiosa che aveva di fronte e subito li riabbassò, tanto insostenibile era lo sguardo di quegli occhi ardenti ed inquieti, alloggiati in due cavità nere e profonde, scavate dalle tante notti insonni trascorse a sperimentare, inquisire, giudicare.
"Va' e riferisci al mio gradito ospite che presto lo riceverò nella sala del consiglio…"
la voce suadente carica di suggestione ipnotica fece scattare in piedi il giovane araldo, che si precipitò di buon grado a percorrere la strada fatta sin lì a ritroso, per consegnare la risposta del sovrano.
Lockent si avvicinò ad uno specchio incastonato sul muro, vegliato dalle sculture di due draghi gemellati per la coda squamosa che ne incorniciava il bordo esterno.
Alzò la destra pallida ed ingioiellata: le pietre degli anelli splendevano ancor di più se paragonate alla sua carnagione chiara e malaticcia.
Unghie di notevole lunghezza terminavano in artigli ben curati.
Il Gran Maestro mosse impercettibilmente le dita inanellate e la superficie vitrea dello specchio tremò, dissolvendosi…Al suo posto, come se lo specchio fosse divenuto una finestra su un altro mondo, comparve l'immagine soave e delicata di una giovane sirena.
Nuotava dentro quella che a tutti gli effetti appariva come una prigione acquatica, ma lo faceva con la stanchezza di un pesciolino che agogna il mare e si ritrova schiavo di un acquario.
I suoi capelli multicolore si arricciavano e si distendevano a ritmo alterno, mentre il suo volto bellissimo, su cui splendevano occhi di un azzurro più intenso di quello delle acque nelle quali era immersa, era teatro di una immensa tristezza.
Sembrava guardare dritto innanzi a se, ad indirizzo del carceriere tirannico che l'aveva privata della gioia di vivere e della libertà.
Così come le aveva distrutto il cuore…
Il Gran Maestro Lockent fremette di piacere, come del resto gli accadeva di fare ogni volta che osservava, non visto, la sua dolce prigioniera nuotare nel suo acquario privato…Avrebbe provato un piacere molto più intenso e duraturo se avesse potuto guardarla in diretta, ma la sirena detestava la presenza dell'inquisitore e si chiudeva a riccio, usando la coda pinnata come scudo per il volto bellissimo…
Mentre il volto della sirena si trovava in primo piano, ed i suoi seni invitanti come frutti maturi, pronti per essere assaggiati erano attraversati dai riflessi dell'acqua, la destra di Lockent corse all'immagine per accarezzarla; ma le sue dita penetrarono nell'immagine stessa distorcendola, come un sassolino che producesse onde concentriche sulla superficie di un lago.
Il Gran Maestro ritirò la mano artigliata, che si era fatta largo attraverso lo specchio proprio nel punto in cui il seno nudo e candido della bella sirena aveva fatto mostra di se.
"Oh, Claen…Claen…Non sai quanto ti desidero…perché mi sfuggi? Forse quando il tuo amato giungerà qui…ed io lo avrò piegato, umiliato e distrutto…Allora forse…"
L'uomo avvertì una fitta di rabbia attraversarlo per l'intera lunghezza del corpo fremente.
Serrò rabbiosamente il pugno, facendo penetrare le unghie uncinate nel palmo, riaprendo ferite preesistenti. Rivoli di liquido vermiglio iniziarono a scendere come fiumi rossi su un letto di avorio bianco ed a questo rapido comando, l'immagine della meravigliosa ma angosciata sirena scomparve, per cedere il passo al riflesso del volto pallido di Lockent…Il suo volto era una maschera terribile, ora che le rughe si erano increspate sotto la spinta dell'amaro sapore della frustrazione.
Il reverendo Nicholas Wolfwood avrebbe pagato a caro prezzo tutto quel dolore…E con pesanti interessi…

 

CONTINUA ...

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Capitolo 5
*** Cap 5 ***


La cospirazione di Vesperum

Autore: Francesco

Cap.5

La sala del Consiglio, nella tetra fortezza di Vesperum, era ampia e ben illuminata.
L’ambiente era reso surreale dalle tremolanti fiaccole disposte in doppi ordini , ad ornare le superfici severe…il crepitare del fuoco era uno dei suoni più comuni al suo interno…Oltre alle grida ed ai lamenti provenienti dalle camere di tortura, situate molte leghe più in basso…
- Diavolo, quanto strillano!! Accidenti a loro, mi stanno deconcentrando!!!-
Tale pensiero formulò la mente dell'individuo, giunto solo pochi istanti prima alla sinistra reggia del Gran maestro. Sedeva sgraziatamente su uno dei lussuosi scranni che attorniavano un massiccio tavolo rettangolare ed aveva, poco educatamente, posato i suoi stivalacci di cuoio consumato sul tavolo stesso.
Teneva in mano un mazzetto ordinato di Holocard, ed attendeva, masticando rumorosamente un sigaro maleodorante, che il suo avversario facesse la mossa successiva.
“Vedo il tuo ziclo, e rilancio di quattro”
Con voce pacata e leggermente stridula, l’uomo agghindato in una livrea nera che, aderendo alla pelle, sottolineava la sua corporatura esile e scheletrica, gettò sul ripiano quattro monete color rame.
L’uomo col sigaro imprecò sottovoce, e facendosi coraggio piazzò sul tavolo la propria mano.
Le Holocard scintillarono cangiando colore, rivelando una fila di Diaconi.
Era un punteggio decente, di tutto rispetto…L’uomo si concesse un sogghigno, mentre una nuvoletta di fumo malsano, lasciava la punta accesa del sigaro per volare verso il soffitto lontano.
Senza lasciar trasparire la minima emozione, il suo avversario in nero, posò con delicatezza la sua risposta.
Lo straniero non poté fare a meno di notare, con un brivido, che pallido colorito caratterizzava la mano scheletrica del rivale, e quanto spietatamente lunghi fossero quegli artigli che spiccavano in luogo di unghie ben più rassicuranti.
“Scala di Androni…Hai perso…”
Fu allora che il volto privo di espressione assunse una posa alquanto simile ad un sorriso, ma più tetro e sconvolgente.
Gli occhi rossi lampeggiarono lievemente.
L’uomo col sigaro, colto alla sprovvista, fu sul punto di perdere l’equilibrio, ma lo ritrovò facendo leva con il didietro e postando gli stivali di cuoio puzzolente un centimetro più avanti, sul lavorato tavolo.
Ottenne uno sguardo glaciale da parte del rivale in nero:
“Sento che il padrone sta' per giungere…faresti meglio a togliere da lì i tuoi piedacci…Il padrone non gradisce di essere insultato da tanta maleducazione…”
Quel volto pallido, incorniciato da capelli dalle sfumature violacee, su cui spiccavano occhi rossi capaci di accendersi come tizzoni, fu un motivo sufficiente, a detta dell’uomo col sigaro, per spingerlo ad obbedire.
Si rassettò ,decidendosi ad utilizzare la sedia come tutti gli uomini per bene, ottenendo uno di quei macabri sorrisi in cambio, dal suo interlocutore.
Fu allora che la destra artigliata e magrissima dello strano essere, afferrò fulminea i soldi presenti sul tavolo…Il suo sguardo di fuoco tornò a posarsi sullo straniero.
“Mi devi altri tre zicli, se non sbaglio…”
L’uomo tirò una boccata , e la punta del sigaro si illuminò, di una lucentezza non proprio dissimile da quella che si poteva scorgere negli occhi della creatura in nero.
Le mani corsero alla tasca interna del soprabito lacero, e ne fecero uscire la somma richiesta.
Prima ancora che avesse il tempo di posarla sul tavolo, le monete erano divenute incandescenti nel suo palmo.
Con un grido di sorpresa, l’uomo si alzò in piedi ed aprì la mano dolorante…Le monete erano sparite, al loro posto faceva mostra di sé una bella ustione fumante.
L’essere ghignò, ed i suoi occhi rossi rifulsero, mentre mostrava allo sbigottito straniero le tre monete luccicanti, ora nelle sue mani.
“Ma come diavolo hai fatto, eh? Si può sapere chi sei?!”
la voce inquieta e titubante dell’uomo, fece sorridere con un gusto ancora maggiore la creatura.
“Mi chiamo Mylton Spade e questo ti deve bastare…Ho voluto lasciare un piccolo ricordino del nostro incontro...Marchio sempre le persone che affronto…”
L’uomo aprì le labbra screpolate, ma le richiuse di scatto, per non lasciar cadere il sigaro fumante.
Sentì un’ondata di freddo attraversargli la nuca…Cercò di ricomporsi, per quanto gli era concesso.
Sorrise nervosamente…Sul volto dell’altro, invece, era scesa di nuovo un’ombra di enigmatica indecifrabilità.
“Mylton Spade…non potrei fare proprio a meno di lui…”
Spade si inginocchiò, repentino, tradendo un moto di sorpresa.
Il suo padrone era l’unico essere che fosse in grado di coglierlo di sorpresa…Si, riusciva a percepirne l’imminente arrivo, ma sul momento, il Gran Maestro riusciva sempre a stupirlo, piombando nei momenti più inattesi…Era uno dei motivi per cui Mylton lo serviva.
Gli piaceva stare a fianco di una persona imprevedibile come lui…Altrimenti, se avesse dovuto convivere con le consuetudini umane, sarebbe stato sopraffatto da un senso di noia mortale.
Come nella piccola mano ad Holocard, di poco prima.
Il Gran Maestro avvicinò una mano uncinata al capo dell’essere dalle nere vesti aderenti.
Non lo accarezzò, gli fece percepire la propria energia, il proprio calore.
Poi la mano si ritrasse e Spade alzò il volto inespressivo sul suo padrone.
“Puoi ritirarti, ora…Grazie per aver intrattenuto il nostro gradito ospite…”
A quelle parole, e sotto gli occhi esterrefatti dell’uomo col sigaro, Mylton Spade svanì nel nulla, con una lieve distorsione dello spazio intorno a lui.
I suoi contorni si fusero con l’ambiente circostante, per poi essere inghiottiti come da una falla nello spazio.
L’uomo stavolta, si lasciò uscire un rantolo strozzato dalla gola, ed il sigaro cadde a terra, senza smettere di produrre fumo.
Il Gran Maestro si voltò ad indirizzo del suo interlocutore.
“La prego di raccoglierlo…E di spegnerlo, se possibile…detesto il fumo, detesto sigari e…”
i suoi occhi gelidi divennero spietati e lucenti, “soprattutto le sigarette.”
L’uomo obbedì con efficienza…Fu tale la furia con cui si affrettò a raccogliere il sigaro mezzo arso, che non si diede preoccupazione d’afferrarlo in modo indolore.
Lo serrò nella mano non ancora ustionata, e si procurò una seconda bruciatura.
Il dolore lo riportò momentaneamente alla lucidità, e per un attimo si chiese perché mai si fosse dato pena di rispondere all’ordine con tanta sollecitudine…
- Che mi sta' succedendo? Sono un cacciatore di taglie, io…Rispondo solo a me stesso ed a Kaynn…perché mi sono sottomesso con tanta docilità…-
il Gran Maestro gli rivolse un sorriso, ed un ennesimo brivido gli scese lungo la schiena.
“Bene…Voglia scusarmi se non mi sono ancora presentato…Sono Lockent, il signore di questa regione e di questa fortezza…Ho contattato il vostro gruppo…la…Gilda dei Cacciatori, se non sbaglio…perché mi occorrono i vostri servigi.”
L’uomo ritrovò la freddezza calcolatoria che gli era propria quando si doveva parlare di affari.
“Spero che il mio più fedele servitore, non l’abbia messa a disagio, signor…”
Ricominciare a discutere dell’essere appena svanito, fece calare di nuovo una cortina di ansia sulle spalle del cacciatore…Cercò di stare al gioco…il suo cliente voleva metterlo alle strette, desiderava forse metterlo in difficoltà in modo da annebbiargli la mente con la paura, per spingerlo ad una contrattazione più vantaggiosa.
“Hergo…mi chiamo Zante Hergo e…No, nessun disagio… Mi ha soltanto alleggerito il portafogli, tutto qui.”
Il Gran Maestro sorrise di nuovo, riducendo le pupille da falco a due fessure rapaci.
“Cosa? Ha giocato ad Holocard con lui? Peggio per lei, signor Hergo…”
Il cacciatore non riusciva a capire il senso di quelle parole, ma decise di dar loro scarsa importanza.
“Dunque, signor Lockent, chi è che dobbiamo…”
“L’ha forse marchiata, in qualche modo?”
Hergo spalancò gli occhi, in un’espressione di viva sorpresa…Non trovò di meglio che dire la verità.
“Sì, beh…Ecco, qui sulla mano…”
Alzò il palmo su cui era ben visibile il marchio a fuoco che ritraeva, quasi a rilievo, la superficie del ziclo incandescente che l’aveva prodotta.
Questa volta, il sorriso del Gran Maestro, si tramutò in un tetro sogghigno, che gli scosse le spalle ammantate di nero raso.
Hergo si irritò…Va bene che era ospite, e doveva comportarsi di conseguenza…che le trattative con uomini potenti e strambi finivano per assumere pieghe inaspettate…ma, rispetto o no, quell’uomo stava ridendo di lui, e la cosa non gli andava a genio.
“Senta…io non la conosco…Non so chi diavolo sia lei, o il suo folletto addomesticato, ma …”
“Silenzio!”, tuonò la voce sottile ma potente di Lockent.
Il riso era degradato nello sdegno.
Quegli occhi così intensi nella loro purezza arcana, avevano il potere di fermare una tempesta, o…di scatenarne una.
Zante Hergo rimase attonito a fissare quegli occhi, perdendosi in essi.
“Vede, signor Hergo…Stavo approfondendo l’argomento, soltanto a suo beneficio…Lasci che le spieghi una cosetta o due sul mio sottoposto…”
il cacciatore annuì stupidamente, come rapito dal suono flessuoso della parole a lui rivolte.
Il Gran Maestro iniziò a camminare teatralmente lungo il perimetro del salone, sfregandosi le mani uncinate, come se stesse pregustando un succulento banchetto.
“Spade non è ciò che può sembrare…Sebbene abbia un corpo simile a quello dei mortali, lui è il mio esperimento più importante…E’ un Homunculus, una creatura da laboratorio…”
Hergo rabbrividì, desiderando trovarsi a cento e più leghe di distanza da quel manicomio.
Quando il suo capo, il signore della Gilda, lo aveva inviato a Vesperum per rispondere alla chiamata di Lockent, non avrebbe mai immaginato di andarsi a ficcare in una fottuta dimora abitata da spiritelli e demoni.
Augurandosi che il Gran Maestro non lo vedesse, fece uno scongiuro e sputò in terra.
Con lo stivale, poi, oscurò la sua stessa espettorazione.
“Ah, lei è un tipo superstizioso, signor Hergo…Ma la magia ha poco a che vedere con il rigore scientifico dell’alchimia…”
“Senta, lei…Io non ho molto tempo da perdere in inutili chiacchiere…Vogliamo deciderci a concludere? Chi è il tizio che dobbiamo far fuori?”
“Lei è un uomo poco paziente, signor Hergo…”
Gli occhi di Lockent emisero un tenue e sinistro bagliore.
“E lei è un pazzo scatenato, per cui…”
Zante Hergo fece per alzarsi, ma si accorse che il suo corpo non rispondeva ai suoi comandi.
Lockent si concesse un mezzo sorriso.
“Che diavolo mi ha fatto, mostro?! Che mi succede?!”
Hergo sentì il proprio corpo diventare rigido come un blocco di marmo…Lottò per liberarsi da quella angosciosa sensazione di imprigionamento, ma ogni sforzo risultò vano.
“Se soltanto mi avesse lasciato finire, signor Hergo…Avrebbe compreso. Il mio Homunculus ha dei poteri che trascendono l’umana natura…E’ talmente potente che potrebbe sovvertire anche me…Forse. Ma l’ho creato io, signor Hergo…Mi deve la vita immortale a cui l’ho plasmato, dopo disastrosi tentativi…Fortunatamente, ho avuto modo di studiarne bene la creazione…Sa, le cavie da laboratorio qui a Vesperum…Non sono mai mancate…”
Lockent aprì le braccia in modo teatrale, e gli anelli che incorniciavano le dita pallide e affusolate scintillarono alla luce delle fiaccole.
“Lei è un demonio, un maledett…”
Hergo scoprì con terrore che neppure le labbra gli obbedivano più.
L’unica cosa che poteva ancora controllare erano gli occhi…occhi che ruotavano inquieti all’intorno, preda di un selvaggio terrore.
“Vedo che continua ad interrompermi…Come stavo per dirle, Mylton Spade adora prendere possesso dei corpi altrui, per servirsene come più gli aggrada…e per servire me ed i miei scopi…
lei non ha scommesso soltanto dei soldi, in quell’innocente mano ad Holocard…”
Gli occhi di Hergo presero a lacrimare, mentre mugolava come un cucciolo con la museruola al volto.
Il Gran Maestro gli si fece più vicino, prendendogli il volto dalla barba ispida tra le dita artigliate.
“Lei, signor Hergo, ha messo in gioco la sua anima…E l’ha persa…Il marchio è la prova che ora lei appartiene all’Homunculus…Quando sarà il momento, lei cesserà di esistere…E Spade prenderà pieno possesso del suo misero corpo…”
L’uomo continuava ad agitarsi, gli occhi freneticamente fissi sul volto del Gran Maestro.
Lockent sorrise:
“Spade, fallo parlare, sono curioso di sentire cosa ha da dirci, dopo questa sconvolgente rivelazione…”
Con sua immensa sorpresa, Zante Hergo riprese a muovere le labbra normalmente, come se la forza invisibile che fino a poco prima le aveva sigillate, avesse cessato di esercitare del tutto la sua stretta.
Riprese fiato, quindi ansimò, rivolto verso il Gran Maestro, che non cessava di mostrarsi ironicamente divertito:
“Se siete così potenti, allora…perché servirsi della Gilda?”
Il sorriso di Lockent svanì, ed il suo volto si fece cupo oltre ogni aspettativa:
“Perché…C’è una forza che non sono sicuro di riuscire ad annientare da solo…Ho bisogno degli sforzi congiunti di uomini motivati…Molto motivati…E quale motivazione migliore potrei offrire loro di…Diciamo, sessanta milioni di doppi dollari?”
“Il tifone umanoide?! Lei vuole la pelle di Vash the Stampede?!”
Lockent si fece ancora più tetro, gli occhi da predatore splendevano da sotto il cappuccio alzato.
“Esattamente…Sta' viaggiando in compagnia di un amico…e stanno venendo qui…Voglio che Vash the Stampede esca di scena prima di metter piede nel mio territorio…All’altro, penserò io…”
Un satanico ghigno tornò ad animare il volto color avorio del Gran maestro.
“Se lei, che è tanto potente…teme il tifone umanoide…Quali possibilità potremmo avere, noi?!”
“Non è un caso che l’Homunculus ti abbia scelto come suo corpo ospite, Hergo…Potrai beneficiare dei suoi poteri, ed unire le tue capacità di cacciatore, alla sua energia immortale…”
Hergo sorrise e per la prima volta sentì nascere dentro di se una fiducia mai sperimentata prima.
“Se il tuo capo, il signor Jeremias Kaynn, si fosse degnato di venirmi ad incontrare in prima persona, sarebbe toccato a lui, quest’onore…Invece…Ora sarai tu a condurre le fila dell’operazione…”
Il sorriso di Zante finì per affievolirsi, ed egli replicò, balbettando:
“D…Dovrei scavalcare l’autorità del mio capo?!”
Il ghigno da lupo di Lockent si fece carico di un ammaliante suggestione:
“Quello che sto' cercando di dirti, amico mio…E’ che , se lascerai fare all’Homunculus…Sarai tu il nuovo capo…”
Il volto di Hergo tornò a splendere di ottimismo, aprendosi a quella strana novità…
Posseduto o meno, gli si presentava ora l’occasione di dare la scalata al successo…e se questo avesse significato vendere l’anima al diavolo…Ebbene, che fosse.
“Credo che…Abbiamo raggiunto il nostro accordo, signor Lockent…”
Le pupille del Gran Maestro si dilatarono, mentre lo scintillio delle torce si rifletteva in esse:
“Ne sono felice…”

Un nuovo giorno stava morendo, ed il sole che aveva incendiato la superficie monotona del deserto, stava svanendo, inghiottito dall’orizzonte tremolante.
Per tutta la giornata, avevo vegliato il reverendo Nicholas Wolfwood, alternandomi a Vash ed a Moryia.
Il sonno era piombato benefico a sanare le terribili sofferenze che il mio amico aveva dovuto fronteggiare, ed ora, dopo aver riposato incessantemente per tutto il giorno, lo sentii muoversi sul proprio giaciglio di fortuna.
Vash, che stava solitario in un angolo, il volto serio perso in chissà quali pensieri, si rianimò di scatto.
La pelle rossa della lunga veste si distese con uno schiocco, quando, rimessosi in piedi, si accostò a Nicholas per vedere come stava.
“Amico…Che bella dormita ti sei fatto! Come va la testa?”
Nicholas sorrise, socchiudendo le palpebre:
“Sono sopravvissuto a cose peggiori, mammina…Me la sono cavata anche stavolta…”
Vash trasse un sincero e sonoro sospiro di sollievo.
“Ehi, Galt…Passami la giacca, per favore…”
La richiesta del reverendo, formulata a mio carico, mi fece riscuotere dai pensieri che stavano abitando la mia mente.
La preoccupazione di Vash riguardo le condizioni di salute del reverendo non pareva dettata unicamente dal fortissimo legame che li univa...Sono certo che il tifone umanoide si comporterebbe con la medesima sollecitudine, persino di fronte ad uno sconosciuto; e’ il suo grandissimo rispetto per la vita umana a sconvolgermi…Non riuscirò mai del tutto ad abituarmici.
Forse la leggenda delle sue dispotiche gesta è nata proprio perché gli uomini comuni temono ciò che non conoscono ed hanno un terrore infinito del diverso.
“Allora…Questa giacca?!”, ripeté, stavolta con voce un po’ più fredda il reverendo.
“lascialo stare, poverino…Non ha fatto altro che vegliarti, mentre tu dormivi come un sasso…Sarà stanco…”
Vash, il famigerato tifone, che prende le mie difese…Sentii nascere un sorriso spontaneo, che decisi di spendere a tutta bocca.
“Ecco la sua giacca, signore…Scusi, ero soprappensiero…”
Gliela lanciai e risi di gusto quando, molto probabilmente a causa dei riflessi appannati dal sonno, il reverendo ne fu investito.
“Che splendido appendiabiti saresti stato!! Hai sbagliato carriera, reverendo, lo sai?”
Al commento sarcastico di Vash, Nicholas Wolfwood si tirò via la giacca dal volto, e, assumendo un’aria contrariata, mi squadrò con severità:
“Sta un po’ più attento, cacciatore di taglie…Spero che la tua mira in combattimento non sia tanto sfalsata…Sai, non vorrei ritrovarmi con una pallottola amica piantata in fronte…Con tutti i nemici che abbiamo, non sarebbe certo una cosa salutare…”
Sorrisi a mia volta, tentando di imitare una delle smorfie ironiche così spesso esibite dal reverendo:
“Vorrà dire che mi allenerò con le giacche…”
Wolfwood e Vash si guardarono per un attimo con aria perplessa…poi scoppiarono a ridere di gusto:
“Il ragazzo è pieno di spirito, eh reverendo?!” gridò il tifone umanoide, tra le risa che gli deformavano grottescamente il viso.
“Già…e speriamo per lui che se lo sappia tenere stretto, il suo spirito…”
Mi avvicinai ai due compagni d’avventura, mentre ,ridendo ancora come un ossesso, Wolfwood cercava a tentoni qualcosa nella tasca interna della giacca.
“Cercavi queste, per caso?”
Gli sventolai davanti al naso, con aria insuperbita, il pacchetto delle Lightning, lievemente spiegazzato…la sommità di una invitante sigaretta faceva capolino, occhieggiando, dall’involucro plastificato.
Il reverendo deglutì rumorosamente, tendendo la mano.
Vash mi sorrise con aria complice:
“Bella pensata, Derek…Io non avrei saputo fare di meglio…”
Magari fosse vero, pensai con una fitta d’ammirazione rivolta all’uomo dai capelli a spazzola.
Wolfwood ricevette la cicca che gli lanciai, fermandone la corsa con dita veloci ed esperte.
“Solo una, reverendo…Almeno finché non ti sarai rimesso in sesto…”
“Ordini del dottore?”
mentre lo guardavo accendersi la amata bomba di nicotina e sorridere al fumo esalato come un bambino di fronte ai fuochi d’artificio, risposi:
“Più o meno…”
Vash si rabbuiò e, scrutando l’estremità della caverna mormorò, rivolto più a se stesso che a noi:
“A proposito di dottore…Dov’è Moryia?”.
La luce della luna si insinuava tra le dune del deserto, rendendone la superficie luminosa e calda.
Il vento ululava accarezzando la distesa monotona e pianeggiante e recava con sé l’eco vibrante dei suoni smorzati prodotti dai predatori in cerca di cibo.
Moryia stava in silente concentrazione, la katana riposta nel fodero che gli pendeva al fianco, come un cane fedele che attende il comando del padrone per trasformarsi in feroce guardiano.
La brezza della notte gli scompigliava la capigliatura ribelle , schiacciandogli il kimono contro il corpo robusto ed elastico da spadaccino.
Assaporò i suoni che gli giungevano sottili ma distinti, respirò a pieni polmoni l’aria fresca, carica di odori misteriosi.
E sorrise…un ampio sarcastico sorriso gli dipinse il volto, carezzato dalla lieve luce delle stelle.
Era una notte serena ma…Stava per farsi assai movimentata.
Allargò le gambe, impiegando la classica posizione difensiva adottata dai guerrieri bushido, e quando si sentì ben postato, trasformò il sorriso in una risata aspra ma compiaciuta.
“Che bella nottata…e che buon profumo il vento porta con sé…peccato che mi debba sorbire anche il vostro insopportabile fetore…”
Aspettò una reazione, ma non ebbe soddisfazione immediata.
Calcò il terreno sabbioso con maggiore pressione…Non sapeva dire con certezza da quale direzione sarebbe partito l’attacco.
Non osò guardarsi intorno…Avrebbe concesso agli avversari il vantaggio di far loro sapere che non era certo di dove si trovassero…e sebbene fosse vero, desiderava far loro credere il contrario.
Alzò la voce, e continuò la provocazione:
“Neppure le carogne di animali morti da giorni puzzano tanto…Evidentemente i killer di professione non hanno tempo per l’igiene personale…”
Un lieve tremolio sotto i suoi sandali, rivelò a Moryia che i suoi aggressori cominciavano a perdere la pazienza, e si agitavano inquieti, pronti per fare la loro mossa…
“Avanti, la commedia è finita…smettetela di giocare a nascondino e mostratevi…”
la sabbia esplose con un ruggito, sia davanti che dietro di lui…ed il giovane samurai si trovò nella morsa di due guerrieri dalle armature lucenti, ingobbiti come animali che stessero per scattare.
Quello di fronte aveva un’armatura di un azzurro intenso, simile a quello di un cielo che minacciava tempesta.
L’altro, nella retroguardia, ne sfoggiava una simile, ma di un rosso cupo che assomigliava al colore del tramonto.
“Sei stato davvero abile, giovane guerriero…”
la voce del guerriero dall’armatura azzurra pareva un sibilo sgraziato, prodotto da un serpente velenoso.
“Già…Non pensavamo che ci avresti individuato…”,replicò l’altro con voce altrettanto sgradevole.
Moryia sorrise con un gusto ancora maggiore…era da un po’ di tempo che non imbracciava la katana per sostenere la giustizia ed all’idea di tornare ad onorare il codice dei veri samurai, si sentiva particolarmente elettrizzato.
“Vi ho già detto che puzzate più dei cadaveri putrefatti…Anche un bambino avvertirebbe la vostra presenza…”
“Quanta falsa modestia…Non ci piacciono gli spacconi…e non piacciono nemmeno al nostro Maestro…”
il guerriero azzurro fece scattare fuori una coppia di artigli lunghi e ricurvi , sinistri e scintillanti.
Moryia notò che erano ancora incrostati di sangue.
Un brivido di sdegno l’attraversò, e la mano destra, flessuosa ma determinata, iniziò a farsi più vicina alla guaina che custodiva la katana.
Uno scatto secco, simile al primo, fece capire a Moryia che anche il guerriero rosso alle sue spalle aveva estratto le proprie armi e si preparava al combattimento.
“il vostro maestro, avete detto…E’ per suo ordine esplicito che vi trovate qui, suppongo…”
“Che acutezza…hai anche un cervello, oltre a quel visino pulito da donnicciola, dunque…”
i due guerrieri in armatura postarono a loro volta i piedi sulla distesa sabbiosa, pronti per darsi lo slancio che avrebbe inaugurato la lotta.
“E’ un peccato che tu sia capitato qui da solo, ragazzo…Non potrai contare sull’aiuto dei tuoi amici…ma non preoccuparti…”
Alla voce sibilante del guerriero azzurro, fece seguito quella stridula e non meno spiacevole del guerriero rosso:
“Dopo aver sistemato te, prenderemo anche loro…”
era il momento decisivo…Moryia snudò con uno schiocco impetuoso l’elsa della katana, avvolgendola con una presa salda, proprio mentre i due iniziavano a girargli vorticosamente intorno.
La girandola dei due, con le loro armature dai colori accesi ed opposti, si trasformò presto in un indecifrabile intrico di immagini confuse.
Il suono delle risate acute che i due producevano, stizziva Moryia disorientandolo più di quanto non facesse la sarabanda visiva inscenata intorno a lui.
Decise di chiudere gli occhi e di astrarre l’anima…solo così avrebbe potuto tendere i suoi sensi da guerriero esperto e risparmiarsi per l’atto decisivo.
Assestò la presa sulla katana accompagnandola anche con la mano libera.
Lasciò che le grida sguaiate prodotte dagli assalitori scivolassero inerti sulle sue orecchie, occupate ora soltanto a registrare il battito un po’ accelerato del suo cuore.
Fu inghiottito da un marasma di sensazioni ed immagini partorite dalla sua mente, trasportato in u altro tempo della sua pur giovane esistenza…
La scena intorno a lui cambiò, vorticando…si ritrovò bambino, una spada di bambù stretta tra le dita inesperte e la voce di suo padre che lo guidava.
“No, Moryia…fai leva con i piedi, slancia il busto in avanti…se ti affidi solo alla forza delle mani, non riuscirai ad imprimere vigore ai tuoi colpi…”
“ma padre…Come posso sperare di spaccare una roccia con una misera spada di bambù? E’ impossibile! Anche se ci mettessi tutto me stesso, non ci riuscirei…”
Suo padre, il cui volto gentile sapeva assumere contorni spaventosi quando era deformato dalla severità, incrociò le braccia con un espressione che non ammetteva repliche, indicando la roccia davanti a lui.
Moryia smise di piagnucolare, ed assestò la presa sull’elsa di quello che, a suo giudizio, era solo un inoffensivo fuscello.
Chiuse gli occhi, e cercò di concentrarsi.
Udì la voce speranzosa di suo padre che lo incoraggiava:
“Bene, Moryia…Così…lascia che sia il tuo animo forte e determinato, carico di energie, a trasmettere potenza alla spada…Lascia che essa si nutra di te, del tuo Ki…”
Moryia sentiva la voce del padre farsi sempre più flebile, mano a mano che la concentrazione interiore lo rapiva agli stimoli consueti del mondo esterno…
Immaginò di avere tra le braccia una spada vera, come quella che suo padre aveva levato tante volte per combattere contro i nemici…Quella spada leggendaria che si diceva potesse dividere persino i fulmini celesti, la stessa che aveva servito per generazioni la sua famiglia, senza fermarsi davanti a niente e a nessuno…
Ed improvvisamente, Moryia ne avvertì il caldo tocco dell’elsa lavorata in madreperla, ne saggiò il peso consistente, assaporando l’ottimo bilanciamento della lama.
Era pronto per colpire…le sue mani, le sue braccia pulsavano in corrispondenza del ritmo del suo cuore…Era il momento.
Vibrò il colpo con violenza, incontrando una resistenza più misera di quanto si fosse aspettato.
Aprì gli occhi e…Vide la roccia distrutta e la spada di bambù che l’aveva colpita, miracolosamente illesa.
“Bene, figliolo…ottimo colpo…sei riuscito a non farti ingannare dalle apparenze, e la tua energia spirituale ha reso il bambù più robusto dell’acciaio…Vieni qui…”
Moryia, ancora incredulo per la prodezza compiuta, guardò perplesso la spada, poi il volto sorridente di suo padre…ce l’aveva fatta!
Gettò a terra quello che era ritornato ad essere un semplice pezzo di bambù, e corse tra le braccia del padre…Braccia forti e vigorose, che seppero accoglierlo e trasmettergli sicurezza e calore…
“davanti a te, si apre un lungo cammino irto di ostacoli e di difficoltà, Moryia…ma se saprai affrontarlo con lo stesso spirito guerriero che mi hai dimostrato oggi, riuscirai a percorrerlo con agilità ed onore, figlio mio…”
Il volto di suo padre gli apparve chiaro e distinto nella mente
“Non dimenticare ciò che hai appreso oggi, Moryia…Custodiscilo nel tuo cuore…”
L’eco di quella voce calda e rassicurante si stava spegnendo, quando Moryia, brutalmente riportato al presente, aprì gli occhi giusto in tempo per vedere i due esagitati guerrieri in armatura che gli si gettavano addosso, convinti di averlo confuso a sufficienza…
Poveri illusi…
“BAKURETSUSHINKEN!!! Sacro colpo della Danza delle mille Lame!!”
L’immagine di Moryia sembrò sdoppiarsi, mentre il samurai faceva roteare una lama ora incandescente ed invisibile, simile ad una folgore punitiva contro i colpi degli assalitori.
I due guerrieri rimasero perplessi…era come se stessero simultaneamente affrontando lo stesso uomo, eppure due uomini distinti.
Gli artigli guaivano a contatto con le lama scintillante della katana, e se prima avevano inaugurato l’attacco, ora erano costretti ad assumere schemi di difesa.
Moryia era veloce, sorprendentemente metodico e preciso…
La lama non era più intercettabile, sprizzava scintille ogniqualvolta venisse fermata più per fortuna che per attento calcolo, o fendeva le armature dei rivali provocando pesanti incrinature sulla loro superficie.
I due assalitori compresero che la situazione stava volgendo in loro sfavore e con una strabiliante capacità di simbiosi, saltarono verso l’alto per sfuggire alle mortali giravolte della katana di Moryia.
Atterrarono in una posizione identica a quella con cui avevano aperto il duello…il guerriero azzurro davanti all’avversario, quello rosso dietro.
Avevano le armature pesantemente danneggiate; incredibile come i tagli riportati dall’una, fossero quasi l’immagine speculare di quelli riportati dall’altra.
Ansimavano e non solo per la fatica dell’assalto… Avvertivano l’ombra della paura scendere a cancellare le loro misere certezze…dopo averle subdolamente costruite annientando decine di deboli innocenti, incapaci di difendersi.
Ora tremavano come trema il predatore che, dopo aver divorato centinaia di esseri più piccoli, viene colto dal terrore alla vista di un’animale più forte e più grande.
Moryia abbassò la lama, ancora infuocata per l’attrito con l’aria che aveva subito durante l’esecuzione della tecnica.
Rivolse ai due uno sguardo freddo e perentorio:
“Andatevene finché potete ancora farlo…Altrimenti non vi garantisco la vita…”
i due si squadrarono incerti, come a sforzarsi di esprimere una decisione comune che li cavasse dall’impiccio in cui si erano andati a cacciare con leggerezza.
Quindi, il guerriero azzurro proruppe in una risata scombinata e quasi isterica:
“Bene, giovane samurai…hai dato prova del tuo valore…devo dire che ci hai…”
“Impressionato…”, suggerì il guerriero dall’armatura rossa, con tono piuttosto sincero.
“ma ti sei salvato solo temporaneamente dalla nostra furia…Ora assaggerai la nostra tecnica finale…E non credo che riuscirai a fermarla con tanta facilità…Guerriero Azzurro ZENITH…”
“…e Guerriero Rosso NADIR…”
“DISCIPLINA DEGLI OPPOSTI: Pioggia Celeste del Nord!!!”
“Fuoco Rovente del Sud!!”
Urlando come invasati, i due presero direzioni opposte.
L’azzurro scattò verso il cielo stellato e la sua corazza parve fondersi con esso.
Il rosso si insinuò con l’agilità di una talpa sotto la sabbia color ocra del deserto.
Moryia tornò ad impugnare la spada con ambo le mani, predisponendosi ad affrontare quello strano attacco combinato.
Con un grido da far rabbrividire, il guerriero azzurro stava piombando dall’alto, ad artigli sguainati.
L’altro, ebbe modo di riflettere con celerità Moryia, era di certo sotto di lui, pronto per gemellare il suo colpo a quello del compagno.
Fino all’ultimo secondo, il giovane samurai attese, per dare al nemico l’illusione di essere caduto nella trappola dell’attacco congiunto…poi rivolse la punta della katana al cielo intercettando la traiettoria del guerriero azzurro che stava cadendo su di lui.
Quando l’ebbe infilzato con violento impatto, fece leva sul suo corpo ferito, utilizzando l’elsa della katana come un asta.
Balzò oltre la portata del guerriero rosso, che proprio in quel momento stava facendo la sua elegante entrata in scena, con gli artigli protesi a colpire il bersaglio…venendo travolto dal peso morto del corpo trafitto del gemello.
Moryia ricadde a terra, ed i sandali produssero nell’impatto una nuvola di polvere.
Si voltò ad indirizzo dei due guerrieri, le cui armature sembravano aggrovigliate in un intrico complesso ed insolubile di parti.
Nadir, il guerriero rosso, riuscì a liberarsi dalla carcassa senza vita del fratello e, ancora scosso, ritrovato faticosamente l’equilibrio, estrasse la katana insanguinata che aveva ucciso il suo compagno.
Il dolore e la rabbia lo accecarono…strinse nelle dita artigliate la lama incriminata, ululando come un ossesso.
Scagliò la spada lontano, non riuscendo a spezzarla con la sua stretta.
“Tu…maledetto!!! Me la pagherai cara per la morte di mio fratello Zenit!!!”
Si scagliò con ferocia e virulenza contro Moryia, ora disarmato.
Il samurai non si spostò di un millimetro.
La carica disperata e scordinata del rivale continuò.
“Crepa, bastardo!!! “
protese gli artigli lucenti contro la gola candida del ragazzo, sperando di annegare nel sangue la sofferenza per la terribile perdita subita.
Non ne ebbe mai modo…il suono di un’esplosione secco e sferzante rivoltò l’aria, e la corsa di Nadir trovò un punto di arresto…eterno.
Sull’elmo rosso cupo, all’altezza della fronte, un rivolo di sangue rosso vivo si faceva prepotentemente strada da un foro di proiettile buio e sinistro.
Il corpo racchiuso dall’armatura rovinò a faccia in giù nella polvere, in esatta corrispondenza dei piedi di Moryia…Che rivolse un sorriso di complicità e gratitudine al nuovo venuto.
Avevo visto la scena dipanarsi davanti ai miei occhi con una tale rapidità da sconvolgere persino un uomo dal temperamento di ghiaccio…
Moryia disarmato che stava affrontando un uomo ferinamente proteso verso il terreno, dotato di una robusta armatura rossa…che gli si stava lanciando contro con un ruggito spaventoso.
Tante volte nella mia breve carriera di cacciatore di taglie, ho esitato un istante di troppo…Non che le mie esitazioni abbiano prodotto disastri o tragedie insanabili, però…Mi hanno lasciato nel cuore un senso di vuoto per ciò che avrei potuto fare e non ho fatto…per una responsabilità che mi sarei dovuto addossare e che avevo rifuggito per egoismo personale o, peggio…Per codardia.
Questa volta, invece, fui guidato da un’ispirazione che mai prima di allora era giunta a soccorrermi…mi chiesi come avrebbe reagito il reverendo Wolfwood se si fosse trovato in una situazione simile…la mano è corsa a snudare la Rave dal suo fodero polveroso, ha teso l’arma nera e lucente, baciata dal freddo calore delle miriadi di stelle lontane, ed ha premuto il grilletto.
La massiccia armatura rossa è precipitata nel mare di sabbia del deserto.
Una strana esaltazione si impadronì di me…Derek Galt aveva finalmente abbandonato l’apatia, ed aveva scelto l’azione…
Il sorriso di Moryia mi gratificò…Mi sentivo realizzato, vivo e pulsante…Una volta, alla Gilda dei Cacciatori, Jeremias Kaynn mi aveva parlato dell’euforia che l’adrenalina trasmette a tutto il corpo dopo che si è compiuta un’uccisione…E’ una sensazione tanto bella quanto sconvolgente…Ma poi, diceva sempre Jeremias, con la consueta voce sorniona, ti senti vuoto quanto un pupazzo di segatura, le gambe non ti reggono…E ti accorgi di aver compiuto qualche passo in più verso l’inferno; col tempo ci si abitua, ma…la prima volta resta a segnare tutte le altre.
Ed era vero…Un mare di lacrime calde e travolgenti, minacciava di tracimare dal greto dei miei occhi…Moryia mi si fece vicino, dopo aver recuperato la katana.
Ne distinguevo a fatica la sagoma, mentre le palpebre inumidite cessavano di opporre resistenza e lasciavano scorrere i fiumi brucianti della frustrazione e del pentimento.
Avevo ucciso per difendere, non per attaccare e la vita che il proiettile vomitato al pari di una scheggia impazzita aveva spento, era la vita di un mentecatto…eppure, mi sentivo vuoto…Come un pupazzo di segatura…ed avvertivo, nelle acute fitte che il rimorso mi costringeva a sperimentare, che non soltanto mi ero avvicinato di una buona lunghezza all’inferno originale, ma ne avevo inaugurato uno personale, sulla terra.
Le mie labbra si muovevano, senza emettere suono, i miei occhi rugiadosi scorgevano a mala pena Moryia che mi scuoteva le spalle e…neppure le sue labbra pronunciavano suono, o forse ero io che non l’udivo.
Mi sentii afferrare da tergo…Braccia forti e vigorose mi tennero stretto, costringendomi poi a voltarmi…Mi comparve davanti lui…l’uomo da sessanta miliardi di doppi dollari.
Parte della mia tristezza svanì, ne fui alleggerito…e penso che questo accadde perché Vash the Stampede aveva unito le sue lacrime alle mie…
 
La mano dagli artigli lucenti passò con un gesto di stizza innanzi allo Specchio della Rivelazione.
La scena cui il Gran Maestro aveva appena assistito lo aveva lasciato con l’amaro in bocca…Non tanto per la sconfitta di Zenit e Nadir…Quei due avevano agito più per generare un azione di disturbo che per nuocere a tutti gli effetti.
No…Lockent era rimasto sopraffatto dallo sguardo triste e compassionevole di Vash the Stampede, l’uomo che si vedeva costretto a temere più di ogni altro…E che lo faceva sentire un misero codardo offrendogli quell’immagine tanto lontana da come le leggende lo dipingevano…Il tifone umanoide.
“Maestro…”
la voce ruppe la meditazione interiore di Lockent ed egli si voltò con un fruscio della veste nera, per fronteggiare il suo interlocutore.
I capelli argentei luccicarono alla luce delle candele.
“Sì, Watsuki…i tuoi allievi sono morti…Mi dispiace di questo, davvero…”
L’uomo che rispondeva al nome di Watsuki fece un passo avanti, avvicinandosi al suo signore.
Era alto, agghindato da una livrea marziale riccamente decorata.
Una treccia nerissima era stata drappeggiata intorno al collo robusto e nerboruto, e faceva da contorno ad un volto spietato, che aveva bandito per sempre ogni tipo di emozione.
Gli occhi dell’uomo erano fissi sulla superficie dello Specchio, ora nuovamente mutata in un’innocua lastra riflettente.
Parlò con voce ferma e neutrale:
“ Zenit e Nadir sapevano a cosa sarebbero andati incontro…Hanno sottovalutato il nemico e sopravvalutato loro stessi…La morte ha cancellato la loro insolenza, come il loro errore di valutazione.”
Lockent fissò l’uomo e non riuscì a frenare un lieve sorriso.
Sogetzu Watsuki era uno dei pochi umani al suo servizio…ma di umano possedeva solo l’aspetto esteriore…nel cuore di ghiaccio albergava l’anima di un demone freddo e calcolatore.
Il Gran Maestro ignorava il passato del suo sottoposto…ma era ben cosciente delle sorprendenti capacità dell’uomo e lo aveva reclutato proprio per la sua impassibilità…
Aveva reagito con un commento del tutto lucido e razionale, ad un evento che non mancherebbe di scuotere il maestro d’arti marziali più severo e compassato…
“Bene, Watsuki…Allora, cosa intendi fare?”
L’uomo si inginocchiò con deferenza alla domanda del superiore.
“Mio signore, se lei lo consente , desidererei affrontare in combattimento i nostri nemici…”
Lockent sorrise…Si era aspettato una richiesta del genere; con un lieve senso di ironia nella voce, replicò:
“Capisco…desideri prenderti una meritata vendetta per lo morte di Zenit e Nadir…”
Gli occhi di Watsuki scintillarono intensi…Come la lama di un coltello che rinviasse la luce di un fuoco ardente.
“NO, Gran maestro…Mi sento solo…combattivamente stimolato…”
“Ah, ora è tutto chiaro…Quel samurai…Quel Moryia…”
L’uomo inginocchiato alzò lo sguardo inespressivo sul volto di Lockent…A pochi altri collaboratori sarebbe stato concesso un gesto simile…Spade era uno di questi…
Il Gran maestro sostenne lo sguardo, quindi snudò i canini in un tetro sogghigno.
“Sai bene che la tua presenza a Vesperum è indispensabile Watsuki, ma…”
L’uomo continuava a fissare il viso del suo maestro, senza ombra di supplica che ne velasse l’indefinibile espressione.
Aveva inoltrato una richiesta…Che gli fosse negata o accordata, il suo cuore di pietra non ne avrebbe affatto risentito.
“Sono curioso di vederti all’opera…E’ da molto tempo che non ti batti con avversari imprevedibili come questi…hai il mio permesso e la mia benedizione.”
Solo allora Watsuki si degnò di chinare il capo, più per abitudine che per autentico senso di gratitudine.
Il Gran maestro sollevò la destra dai lunghi artigli e dalle dita inanellate e lo benedì.
Con uno scatto felino, Watsuki si rimise in piedi e fissò di nuovo Lockent…nel suo sguardo, al Gran Maestro parve di scorgere, per un istante brevissimo, una luce nuova, mai registrata prima…determinazione, soddisfazione…Chi poteva dirlo? Del resto, se quella luce si era effettivamente accesa per animare quegli occhi ineffabili, nello spazio di un secondo svanì, con la rapidità con cui muore un carboncino ardente sepolto dalla fuliggine.

CONTINUA ...

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Capitolo 6
*** Cap 6 ***


La cospirazione di Vesperum

Autore: Francesco

Cap.6

Una nuova alba era nata a suggellare l'inizio di un altro giorno.
Il cielo screziato di rosso preannunziava bel tempo…Del resto, la pioggia era un miraggio lontano per tutti, in quelle terre desertiche bruciate dal sole, in cui la sopravvivenza era legata alla
capacità individuale di sfruttare ogni situazione a proprio vantaggio…Zante Hergo non era sicuro se quella volta sarebbe riuscito ad adattarsi alle contingenze per ricavarne un utile, ma…non è che gli fossero state offerte molte alternative…
Una sensazione strana lo avvolgeva…si sentiva più audace, più in gamba, questo era vero…ma aveva dovuto imparare nel giro di poco tempo a convivere con qualcosa che gli abitava dentro, una creatura strana e perfida, che avrebbe potuto farlo secco all'istante, se solo il suo corpo avesse osato muoversi in un modo a lei sgradito.
Era tardi per lasciarsi andare alle recriminazioni…la rumorosa diligenza a motore stava già percorrendo lo sconnesso tratto di strada imprigionato nella gola, che lo avrebbe presto ricondotto a casa…Alla Gilda.
Nel lungo e scomodo tragitto che lo aveva rapito alla fortezza di Vesperum, per riconsegnarlo- cambiato e trasformato oltre ogni aspettativa- al proprio covo d'origine, Zante Hergo aveva ponderato il da farsi…Come avrebbe convinto il suo capo Jeremias Kaynn a mettersi sulle tracce di un pericoloso e leggendario ricercato? In che modo l'Homunculus avrebbe potuto aiutarlo???
Lockent aveva fatto un gustoso accenno a questo proposito…Doveva lasciar fare all'Homunculus e…sarebbe divenuto capo lui stesso.
Un pesante brivido lo attraversò con violenza e Zante Hergo atteggiò il volto irsuto in una smorfia…Non amava provare la paura…Era sempre stato capace di affrontare le taglie più ardue, portando a compimento le missioni più complesse…ma ora, si pentiva con amarezza di essersi lasciato coinvolgere in quel pasticcio…respirò a fondo, affacciandosi dal finestrino per sondare l'afosa ma rassicurante aria di casa…E la fortezza malconcia eppure solida della Gilda, apparve in fondo al canalone…

Jeremias Kaynn porse un bicchiere stracolmo di ottimo whisky all'uomo di fronte a lui.
"Bevi qualcosa, Zante…Rinfrescati la gola…Sono certo che a Vesperum, quel collegio di predicatori folli non ha avuto niente di meglio da offrirti che un po' d'acqua di pozzo…"
Il sorriso del suo capo era solare, sardonico e carico di carisma…Perché allora Hergo non si sentiva lieto di vederselo indirizzare?! Scrollò le spalle ampie e muscolose per sgranchirle, dopo il lungo tragitto compiuto in quella dannata diligenza, ed afferrò con un'indecisione eccessiva il drink che gli veniva offerto.
Indecisione che Kaynn riuscì a notare perfettamente.
Squadrandolo con aria indagatoria, il suo capo bevve avidamente dal proprio bicchiere, rilassò la schiena flessuosa ma robusta appoggiandosi contro lo schienale della poltrona.
Quindi portò gli stivali lavorati al di sopra del tavolo, con un gesto elegante, per poi lasciarli cadere su di esso con un evidente sospiro di sollievo.
Qualcosa all'interno di Zante scattò fulminea ad intercettare quei piedi, costringendolo a ghermirli con disgusto, per scagliarli all'indietro.
Fu solo con navigata prontezza di riflessi che Kaynn si risparmiò un violento capitombolo.
Stavolta il suo sguardo da perplesso si fece rabbioso:
"Hei, Hergo…Dico…Sei tornato con la luna storta per caso?"
Hergo prese a sudare freddo… L'Homunculus aveva spiacevolmente agito senza preavvertirlo…Il suo corpo si era mosso da solo, prima che il cervello avesse avuto l'opportunità di ponderare la situazione.
Zante deglutì a fatica, fissando con occhi imploranti la figura seccata innanzi a lui.
"Jeremias…Capo, io…"
"Allora? Che ti succede, Zante?"
la voce di Kaynn si era fatta meno tesa e più comprensiva, ma questo non aiutava Hergo.
Prendere il posto di Jeremias Kaynn era una prospettiva esaltante finché veniva contemplata sulla carta, ed a migliaia di km di distanza da un effettivo faccia a faccia con lui…a Vesperum, un'arcana ondata di ottimismo diabolico aveva invaso il cuore di Zante Hergo, come la risacca invade il litorale…ma ora, si sentiva terrorizzato all'idea di cedere il controllo alla oscura potenza che gli si muoveva in corpo, come un pasto mal digerito.
Kaynn abbracciò la sedia sulla quale stava, dandosi un contegno più imperioso del solito.
"Zante?", chiamò, evidentemente stanco di aspettare che il suo interlocutore lo tenesse così sulla corda.
"Sì?", replicò Hergo, come svegliandosi di soprassalto da un incubo spiacevole.
Kaynn sbuffò…evidentemente il caldo della traversata doveva aver dato alla testa al suo collaboratore…Rifletté sul da farsi…In qualità di capo della Gilda, Jeremias evitava d'abbandonarsi ad eccessi d'ira ingiustificata…Era poco produttivo, a lungo andare.
Gli premeva assicurarsi la lealtà dei seguaci, nella stessa misura in cui un padre si aspetta la riconoscenza di figli devoti.
A quasi cinquant'anni, Kaynn poteva vantare un volto ancora piuttosto giovanile ed amabile, un sorriso accattivante che gli garantiva la compagnia di tutte le donne che avesse desiderato, una corporatura efficace e snella, dita veloci tanto a dispensare carezze, quanto a propinare morte e devastazione nel nome degli interessi pretesi dal suo ruolo di comandante.
Sebbene la pazienza iniziasse ad esaurirsi, ed una bramosia giustificata dalla curiosità lo rendesse sempre meno disposto ad assecondare l'instabilità emozionale di Hergo, si concesse un rassicurante sorriso.
"Va' a riposarti, Zante…E' ovvio che il viaggio ti ha stancato un po'…E' perfettamente comprensibile, se consideri che…"
"NO! Lei DEVE ascoltarmi…ADESSO!"
Kaynn per poco non trasalì dalla sorpresa…la voce di Hergo, nonostante fosse uscita dalle sue labbra, era assolutamente irriconoscibile …Assomigliava ad un ruggito gorgogliante, intriso però di una carica irresistibile di persuasivo magnetismo.
"D'accordo, Hergo, come vuoi…Allora, che cosa volevano…"
Hergo fece un passo avanti, le mani si rilassarono languide contro i fianchi…il bicchiere colmo di ottimo liquore andò a sfracellarsi contro il pavimento, con uno schianto sonoro e quasi musicale.
Al vedere gli occhi di Hergo mutarsi in fornaci di un rosso vivo ed acceso, Kaynn si alzò in piedi, portando istintivamente la mano destra a cercare la fondina ove la sua Toiger dormiva in attesa di azione.
"Ti sto ascoltando, Hergo, parla…Sono maledettamente curioso di sapere…"
Hergo sembrò ritornare quello di sempre, almeno per un brevissimo istante…poi quella luce spettrale negli occhi, ritornò a brillare più lucidamente di prima.
Kaynn iniziò ad indietreggiare con circospezione…la mano destra corse a cercare il tiepido contatto dell'arma ancora inguainata.
"DARAI LA CACCIA A VASH THE STAMPEDE…TU LO UCCIDERAI, PER LA GLORIA DI VESPERUM…"
Kaynn osservò le labbra di Hergo dare vita a queste parole…Incredibile come quella voce risuonasse tanto fuori posto in un corpo di tale mole, sebbene fosse anch'essa corposa e tonante.
Il capo della Gilda assunse un'espressione comprensiva.
"Questo è quanto desiderano gli alti vertici di Vesperum?"
Aveva formulato la domanda, come se fosse stato semplicemente cosciente di trattare un affare…In realtà era conscio che Zante non stava parlando a nome del cliente…Sembrava piuttosto che il cliente avesse deciso di raggiungere direttamente Kaynn possedendo il corpo di Hergo…
Ho fatto bene a non recarmi là di persona…Chissà in quale inferno hanno fatto precipitare il povero Zante?! Si disse Jeremias, fissando quegli occhi che di umano conservavano ben poco.
"NON E' UN DESIDERIO…E' UN ORDINE!! E TU LO ESEGUIRAI…"
Kaynn rimase ad osservare l'uomo davanti a lui che, come in trance, proseguiva la sua lenta camminata.
Quindi, con un'improvvisa imbardata del corpo in avanti, ciò che restava di Zante Hergo si protese verso Jeremias, le mani che sembravano più lunghe, sostenute nella loro folle corsa verso la gola di Kaynn da braccia d'acciaio.
Jeremias non fu abbastanza veloce ad estrarre la sua arma…le dita di Hergo fecero presa sulla sua trachea, iniziando ad esercitare un'insostenibile pressione.
"ALLORA? DARAI LA CACCIA AL TIFONE UMANOIDE?"
la voce impetuosa tornò a rombare con tono di comando nelle orecchie di Kaynn, che rantolando, stava cercando di allentare quella morsa letale sul collo.
All'improvviso la presa si fece più incerta, e Kaynn riuscì a sgusciare via, impugnando finalmente la pistola dall'ampia canna.
"Mi spiace, Hergo, o chiunque tu sia… Ho altri progetti al momento, ben più remunerativi e concreti di quanto potrei ottenere dando la caccia ad una leggenda…Una leggenda pericolosa per di più…"
Ma l'uomo non rispose…il suo corpo immenso cominciò a tremare come un vulcano che minaccia l'eruzione.
"C…Ca…Capo…Se mi sente…Mi uccida…la prego…Sto soffrendo…Sto male…La prego…"
"Hergo? Zante, sei di nuovo tu?"
Kaynn abbassò l'arma. Aveva visto giusto, dunque…Certe voci leggendarie riguardanti l'uso di pratiche alchemiche nelle regioni intorno a Vesperum, lo avevano raggiunto senza suscitare in lui eccessivo scalpore…In un'epoca in cui il piombo e l'oro dominavano, gli era riuscito difficile prestare fede alle farneticazioni superstiziose da molti accettate…ma ora, doveva ricredersi.
"Scusami, Hergo…Sono stato io ad inviarti là…ed io cancellerò il mio sbaglio…Ti libererò dalla sofferenza…"
Mirò la bocca da fuoco della pistola contro il corpo dell'amico che lo stava implorando, e che aveva preso a muoversi spasmodicamente, quasi inscenando una inverosimile lotta con se stesso…
Miriadi di ricordi presero a danzare innanzi gli occhi di Jeremias Kaynn…Ricordi di un Zante Hergo più giovane che giurava fedeltà alla Gilda…il primo vittorioso incarico da lui portato a termine, le molte taglie guadagnate…Le missioni che avevano condiviso, i pasti che avevano allegramente spartito, anche in tempi difficili…
"Addio, Zante…ti ricorderò per sempre".
La Toiger ruggì forte, e l'eco del suo ruggito veleggiò per la sala, come il gemito di una belva in agonia.
Il proiettile ghermì il petto di Hergo, lo fece sussultare con violenza, mentre getti di sangue caldo e pulsante se ne dipartivano, diffondendo una nebbia vermiglia tutto all'intorno.
Ma qualcos'altro fuoriuscì dallo squarcio…un'ombra nera e felina, come una nuvola gravida di pioggia che oscurasse il sole…Kaynn abbandonò la presa sull'arma, e si strofinò forte gli occhi…
Aveva forse avuto un'allucinazione.
Il corpo di Zante, nel frattempo, aveva trovato terra che lo reggesse, e giaceva in una pozza lucida e scarlatta.
Sul volto vi era dipinta, nella severa compostezza della morte, un'espressione di pace e di serenità
Jeremias Kaynn ebbe il tempo di interpretarla come un ringraziamento a lui diretto, prima di scorgere l'ombra nera prendere consistenza e formare nei contorni e nella sostanza, una figura semi-umana snella e più bassa della norma.
La toiger mirò il nuovo venuto, mentre questi sorrideva enigmaticamente ad indirizzo di Kaynn.
Gli occhi rosso rubino lampeggiavano nella semioscurità della stanza.
Jeremias sentì di avere all'improvviso la gola arida, e di non riuscire a spiccicare parola.
"So cosa sta per chiedermi, signor Kaynn…Sei forse tu la creatura che possedeva il corpo di Zante Hergo? Ebbene, mi sembra piuttosto evidente quale possa essere la risposta…"
Jeremias tese la mano armata contro l'essere agghindato di nero, come un sacerdote che tentasse di domare il demonio facendosi scudo di un amuleto sacro.
"Finalmente ho l'opportunità di conoscerla, signor Kaynn…Il mio signore e padrone, il Gran maestro di Vesperum, ha accolto con dispiacere il suo rifiuto di venire personalmente ad incontrarlo…"
la creatura scavalcò con eleganza il corpo ancora pulsante di Hergo, e vi sedette sopra con noncuranza, come se si fosse accomodato su una sedia qualsiasi.
"Via di lì, verme schifoso…"
la voce di Kaynn riuscì in qualche modo a risuonare con imperiosità, sebbene fosse rauca ed aspra ed evidentemente stentata.
La creatura gettò uno sguardo al cadavere sotto di lei, poi sorrise con ironia all'indirizzo di Jeremias, che teneva ben puntata la sua arma.
"Lei è un tipo spiritoso e divertente, signor Kaynn…Si preoccupa del suo amico da morto, avrebbe dovuto occuparsene maggiormente quand'era vivo…"
"Come ti permetti di giudicarmi?"
L'Homunculus alzò una mano flessuosa ad indirizzo della pistola che lo stava tenendo sotto tiro, ed i suoi occhi illuminarono per un istante il suo pallido volto.
Kaynn avvertì una fitta di dolore lancinante aggredirgli la mano che impugnava la Toiger.
Ma non si lasciò vincere dalla sofferenza…la dominò e la vinse, con la professionalità consueta con cui abitualmente trionfava sulle avversità della sorte.
L'Homunculus sorrise a piene labbra, divertito e soddisfatto della tenacia riscontrata nell'avversario.
"Lei possiede una volontà sorprendentemente forte, signor Kaynn…E' ovvio che tutti la rispettino come un capo saggio e capace…"
Gli occhi dell'essere si incendiarono di una luce più intensa, ed il dolore alla mano che Jeremias stava provando ebbe una violenta impennata con essa.
"Ma non speri di resistermi, signor Kaynn…Non ha nessuna possibilità contro di me…Getti la pistola, e parliamo come persone civili…"
Con un urlo mal trattenuto, Kaynn si vide costretto a scaraventare via l'arma.
La pressione ed il bruciore alla mano, disparvero immediatamente.
L'uomo avrebbe voluto accasciarsi per riprendere fiato dopo quell'estenuante prova di forza…ma si sforzò di restare in piedi…Non si sarebbe piegato alla volontà di quell'individuo, qualunque cosa fosse…era e restava il signore della Gilda dei Cacciatori, ed avrebbe dovuto comportarsi come tale.
Con uno scatto agile ed improvviso, l'essere lasciò in pace la sua "sedia" umana, per lasciarsi cadere sulla poltrona di Kaynn.
"Devo ammetterlo…ti sei costruito proprio una bella posizione qui, Jeremias…"
"Chi sei e cosa diavolo vuoi da me?"
L'Homunculus prese a fissarlo con aria falsamente risentita.
"Credevo di essere stato fin troppo chiaro, poco fa…"
Kaynn lo squadrò con aria truce, ma carica della abituale dignità di capo:
"Vuoi dire…Mentre parlavi usando il corpo di Hergo come se fosse un burattino?"
"Molto perspicace…"
Kaynn sospirò, gettando uno sguardo intriso di pietà al cadavere privo di vita di Zante Hergo.
"Perché coinvolgere lui, se è me che volevate?"
la voce dell'essere si fece profondamente minacciosa:
"Attento a te, Signor Kaynn…Non tentare di rovesciare le carte a tuo favore…Sei stato tu a mandare Hergo da noi, ricordalo…"
"Non è un motivo sufficiente per utilizzarlo come mezzo di trasporto per arrivare qui a proporre le vostre richieste assurde…"
"Vogliamo solo la testa di Vash the Stampede…", puntualizzò con tono quasi accorato l'Homunculus.
"E allora, prendetevela da soli…Non metterò mai a repentaglio la vita dei miei collaboratori per correre dietro a quell'assassino…"
La creatura dalle orecchie a punta e dagli occhi di fuoco, si finse contrariata.
"E' un vero peccato che la cosa debba finire in questo modo, signor Kaynn…Perché se lei rifiuterà di prendere in considerazione la nostra proposta d'affari, inizierò a possedere i suoi collaboratori, uno ad uno…"
Un sorriso tenebroso e satanico prese a deformare il volto dell'essere, mentre un senso di vivo terrore cominciava a serpeggiare nel cuore di Jeremias.
"E starà a te decidere se rimanere vivo, uccidendo i tuoi compagni, come hai dimostrato di saper fare con estrema leggerezza poco fa…Oppure morire tra sofferenze atroci per loro mano, ponendo comunque fine alla vita della Gilda…"
"M…Maledetto bastardo…"
L'Homunculus rise compiaciuto:
"E' più o meno ciò che mi disse il compianto signor Hergo, Jeremias…ma allora è proprio vero che li costruiscono in serie, i cacciatori di taglie…"
in quel momento, qualcuno bussò alla porta.
"Capo? Signor Kaynn? Posso entrare?"
la creatura voltò di scatto la faccia pallida su cui ardevano gli occhi infuocati ad indirizzo della soglia ancora chiusa.
"Ho sentito uno sparo, poco fa e mi sono chiesto se era tutto a posto…"
Kaynn fece per replicare…Aveva riconosciuto la voce del giovane Jordy Henson e desiderava impedirgli di ficcarsi nei guai…Ma la voce non gli uscì dalla gola, ora stretta da mani invisibile che ne stavano manipolando le corde vocali.
Tentò di parlare con tutta la determinazione possibile, ma tutto fu inutile…
Dal canto suo, l'Homunculus replicò alla perfezione la voce carismatica e ben impostata di Jeremias, rispondendo in sua vece.
"Va tutto a meraviglia, ragazzo…Entra pure, ti offro un drink…"
Gli occhi accesi della creatura emisero un demoniaco bagliore, mentre sorrideva ad indirizzo del disperato Jeremias.
Questi continuava a tentare spasmodicamente di riacquistare la voce, lottando con la forza della disperazione.
La porta iniziò a cigolare sui cardini, ed un filo di luce si fece strada all'interno della stanza, a preannunciare l'arrivo di Jordy.
Il ghigno dell'essere in nero si fece ancor più motivato, mentre squadrava l'impotente Kaynn con le fiamme che aveva al posto delle pupille.
Il volto di Jeremias era stravolto dalla sofferenza, rorido di tenui goccioline di sudore.
Jordy, no…Non entrare!! La sua mente cercò di raggiungere quella del compagno, ma tutto fu inutile.
Henson entrò con sul volto dipinta la consueta espressione allegra e giovanile a cui Kaynn aveva imparato ad abituarsi…Poi, senza nessun preavviso, il ragazzo sfodero la pistola ad indirizzo dell'Homunculus, che rimase lievemente sorpreso dal gesto inaspettato.
"B…Bravo Jordy…Sei un vero cacciatore…", riuscì a sibilare Kaynn tra gli spasimi.
Evidentemente l'essere era stato preso in contropiede, e l'energia con la quale aveva impedito alla voce di Jeremias di fuoriuscire, doveva essersi allentata quasi del tutto.
"Avevo avvertito uno strano odore…Allora eri tu…"
Alla constatazione di Jordy, l'essere spiccò un balzo verso l'alto.
Il ragazzo fece esplodere una serie di colpi rabbiosi e ravvicinati.
La canna della sua arma vomitava fiamme, mentre seguiva la creatura che eseguiva elastici salti contro le pareti per schivare la letale girandola di colpi.
Kaynn compì una capriola elegante e si portò vicino alla sua Toiger.
Se ne riappropriò e da disteso, unì il suo fuoco a quello del coraggioso e giovane collaboratore.
Nonostante la precisione con cui i proiettili andavano a segno, l'Homunculus stava giocando con loro, esibendosi in una folle danza fatta di salti e rinterzi, capriole e sinuosi movimenti.
I loro caricatori andarono a secco, nella speranza di tenere testa all'essere diabolico che avevano osato sfidare…ma quando il cane delle loro pistole girò a vuoto, ed un innaturale silenzio avvolse la sala, capirono…capirono che ogni eroismo tentato, era destinato ad infrangersi.
La risata tenue e soddisfatta dell'essere in nere vesti li raggiunse, schernendoli.
"Ma che bravi, i nostri cacciatori…ottima mira, davvero…siete riusciti a farmi divertire…"
Il sorriso mellifluo si tramutò in una smorfia contratta, e gli occhi color rubino della creatura tornarono a splendere con una luce di ammonizione e di condanna:
"Adesso, basta giocare…Si fa sul serio…"
Come una folgore, il corpo dell'Homunculus si lanciò su quello di Jordy…Fu come se il ragazzo fosse trascinato da una nube nera e malefica fuori dalla stanza.
Kaynn udì le sue grida strozzate e fece per rimettersi in piedi…Ma il combattimento frustrante appena concluso lo aveva fiaccato nello spirito, se non proprio sul piano fisico.
Jordy Henson rientrò dalla porta, ma aveva nel volto giovanile un'espressione folle di odio mal controllato.
E Jeremias Kaynn capì che aveva fatto la fine di Zante…Era preda della creatura, qualunque cosa fosse.
"Bene, bene…Signor Kaynn…Ora ho io il coltello dalla parte del manico…"
"Maledetto ricattatore…", blaterò Jeremias, fissandolo con uno sguardo intriso di rabbia impotente.
Jordy, ovvero l'essere che era in lui, sorrise malevolo all'ingiuria rivolta contro di se.
"Ora, signor Kaynn, lei chiamerà a raccolta il suo esercito fedele di infallibili soldatini e ordinerà loro di impiegare ogni mezzo disponibile per scovare ed abbattere Vash the Stampede…E stavolta dovrà ubbidirmi…Altrimenti, le conseguenze potrebbero risultare più sgradevoli del suo peggiore incubo, fatto realtà…"
Jeremias Kaynn deglutì faticosamente, il suo cuore preda di una drammatica certezza…Comunque andassero le cose, La Gilda dei Cacciatori era sull'orlo dell'Inferno…E lui, che ne era il pilastro, vi sarebbe caduto con lei…

Il dramma maggiore per una sirena sta nel fatto che, per quante amare lacrime possa spendere, nessuno potrà mai vederla piangere.
Tale pensiero attraversò la mente fredda e lucida, da vero killer professionista, di Sogetzu Watsuki.
Neppure lui avrebbe saputo spiegare i motivi che lo avevano condotto alla immensa prigione acquario ove era detenuta la sinuosa e bellissima Claen…
Forse la necessità di rimirare le forme perfette di un corpo femminile, per quanto gemellato dalla vita in giù ad una coda di pesce.
Quali che fossero le ragioni, Sogetzu stava fissando le forme armoniose di Claen, accarezzate dai tenui riflessi dell'acqua in movimento.
Degli specchi artisticamente decorati erano stati sistemati per ordine del Gran Maestro nei quattro punti focali dell'acquario, affinché la luce presente al suo interno, venisse rinviata in un gradevole gioco illusorio che accresceva l'incanto generale della scena…
Ma la triste prigioniera era curva quanto una falce di luna, l'addome armonioso e ben modellato piegato su se stesso, le braccia lunghe ed invitanti raccolte intorno alla pinna bipartita le cui membrane volteggiavano con aria malinconica …
Watsuki aveva conosciuto l'amaro sapore della guerra, aveva ben visto situazioni tragiche e drammatiche dipanarsi sotto i suoi occhi…Ma la tristezza che riusciva a percepire in presenza di quella delicata creatura, schiava suo malgrado dell'egoismo di un uomo, riusciva in qualche modo a riassumere ed a superare qualsiasi immagine di sofferenza che i suoi ricordi potessero suggerirgli.
Le spalle delicate della fanciulla emisero un sussulto, e dalle sue labbra se ne uscirono gorgoglianti bolle argentee, dirette alla superficie.
Sta piangendo…Watsuki assaporò quel dolore, come se stesse assaggiando un cibo nuovo in grado di suscitare in lui curiosità.
La ragazza si voltò ad indirizzo dell'uomo che la stava osservando al di fuori della ampia ma pur sempre claustrofobica vetrata.
Sogetzu si irrigidì, ed il suo volto squadrato si contrasse, come se avesse voluto ricomporre la fredda e cinica espressione che gli era consueta…
Ma la sirena, doveva essersi accorta di quel cambiamento, perché, abbandonando l'inerzia laconica di poco prima, aveva nuotato elegantemente sino davanti al guerriero in livrea marziale.
Sogetzu Watsuki rimase impressionato dalla bellezza di quell'essere…le sue forme erano in grado di incantare, dal volto stupendo incorniciato dai capelli lunghi e cangianti, ai seni perfetti e rotondi, ed al ventre liscio e vellutato su cui spiccava un rotondo e seducente ombelico…
Rimase preda di un incantesimo, mentre la sua mano letale più avvezza a distruggere che a risanare, scivolava ad accarezzare il vetro nell'esatto punto in cui faceva mostra di se il candido volto di quella creatura da sogno…
Gli occhi della fanciulla lo fissavano con aria implorante, e le sue labbra dolcissime formarono nell'acqua una parola che giunse a trafiggere il cuore di pietra del guerriero, accompagnata da altre bollicine trasparenti.
"Aiutami…"
Sogetzu sbatté ripetutamente le palpebre, senza capire il senso di quella richiesta…o fingendo di non comprenderla…
Aiutarla…Gli sarebbe piaciuto…davvero molto…
Al tempo in cui il cuore di Sogetzu batteva al ritmo dell'amore, il nobile guerriero riteneva ingiusto impossessarsi di una donna contro la sua volontà…Aveva condiviso una storia meravigliosa a fianco della sua compagna, ricevendo in eredità due bambini, prima che il cinereo vento della morte la rapisse al suo smisurato affetto…
Keyko era stata al suo fianco per libera scelta, e proprio questo aveva reso ogni giorno, ogni ora trascorsa insieme a lei, un regalo meraviglioso da accettare e da scartare con la foga e l'innocenza di un bimbo…
Sogetzu aveva perduto tutto, nel momento stesso in cui aveva creduto di difenderlo…
Nel villaggio in cui viveva, era considerato la massima autorità esistente…un Daymio, un signore nelle cui mani capaci i fedeli compagni erano pronti ad affidare vita e destini…
In quell'inverno freddo e tetro, che aveva piegato sotto il suo giogo la gente della sua comunità, Sogetzu Watsuki aveva intrapreso una personale crociata contro i banditi che asserragliavano in una morsa ancora più fredda le terre limitrofe, minacciando di tracimare nella sua…
Molti coraggiosi l'avevano seguito in quella battaglia, ma il tutto si era rivelato essere una gigantesca trappola confezionata dai fuorilegge stessi…
Non aveva più rivisto la sua famiglia…non sapeva cosa fosse successo ai suoi due figli…era stato imprigionato e torturato a morte dalla banda che aveva preteso di sconfiggere…poi, un triste giorno, udì delle guardie sghignazzare come demoni privi di coscienza, mentre ricordavano con orrida soddisfazione la fine ingloriosa del suo villaggio, dipingendo a tinte forti le violenze destinate alle donne ed alle bambine, e l'eccidio che aveva portato alla distruzione gli uomini rimasti a difenderlo.
Il suo cuore si spezzò come se un colpo di spada fosse giunto a dividerlo nel mezzo…E la furia vendicativa covò salutare nel petto ferito, come una belva sanguinaria alimentata dal fluire del rancore e dell'odio che provava per quegli assassini…
Alla prima occasione, fece scattare mani e piedi come saette punitive…ed i suoi carcerieri finirono nell'oblio eterno…si impossessò delle loro picche e volteggiandole come un ossesso invasato, fece giustizia di tutti quelli che si trovavano nel presidio…contando sulla sorpresa, sulla lunga pianificazione redatta durante la tediosa prigionia, Watsuki ebbe ragione di un intero reggimento…
E fuggì, senza darsi il tempo di riflettere su cosa avrebbe fatto una volta fuori dalla prigione che lo aveva trattenuto così a lungo, da fargli perdere ogni concezione del tempo…
Vagò per giorni tra le distese innevate, senza niente che lo sostenesse, con l'anima vuota e fredda quanto il corpo… Finché non fu raccolto da una guardia in armatura nera, che la furia della tormenta aveva ironicamente imbiancato.
Ricordava a stento ciò che era accaduto dopo…si ritrovò in un letto caldo, assistito da un giovane dagli occhi puliti e speranzosi, con indosso la stessa armatura del suo salvatore…
Capì di essersi imbattuto in un esercito di mercenari al soldo di qualche potente e facinoroso signore…
Fu così che Khael, tale era il nome del giovane soldato, che di fatto ricopriva il ruolo di comandante di quel distaccamento nonostante l'età , lo introdusse al suo signore nella corte di Vesperum…Il Gran Maestro Lockent…
"Mi era giunta voce di un prigioniero solitario che si era dimostrato capace di annientare un intero presidio di banditi…Ho inviato Khael a controllare ed egli ha trovato te…"
"Sì, signore…", aveva replicato semplicemente Sogetzu, per nulla intimorito dalla figura tetra ed ammantata di nero, con la falda dell'ampio cappuccio tesa a schermare con la forza dell'ombra un volto a sua volta tenebroso.
"Ebbene, è lecito chiedersi quanto ci sia di vero in quella voce…"
ad un cenno della mano artigliata, la sala nella quale Sogetzu si trovava, fu invasa da guardie in armature nere.
Watsuki si trovò circondato da un gruppo di uomini bene addestrati e alquanto motivati…
Ma seppe combattere al meglio, contando sulle nude mani, e stordendo i suoi avversari senza ucciderli, in una girandola impressionante di parate, attacchi, finte.
La sala crepitava di suoni secchi e smorzati, mano a mano che i soldati si facevano sotto, incrociando le armi o le braccia con il sorprendentemente agile Watsuki, e finivano poi a terra con tonfi sordi…sembrava la coreografia di un balletto da tempo concordato, anziché l'improvvisazione magistrale di un vero esperto.
Lockent batté teatralmente le palme delle mani ed i guerrieri cessarono il loro attacco…
Quelli che potevano alzarsi, ricomposero le fila intorno al trono del loro signore…gli altri restarono a terra, ansimando, chi con le costole incrinate, altri con braccia o gambe lussate.
"Molto bene…dategli una spada…"
Al comando del tetro signore, una guardia lanciò all'uomo l'arma…le dita di Sogetzu trovarono e strinsero l'elsa, mentre il polso saggiava l'equilibratura della lama.
La fece roteare due o tre volte, quindi assunse la postura di guardia, attendendosi altri avversari nerovestiti.
Ma solo un uomo, anch'esso racchiuso in un'armatura nera e scintillante, si staccò dalla parete per guadagnare il centro del salone, con leggiadro cigolio degli stivali rinforzati.
Aveva l'elmo chino sul volto fremente, e Watsuki riusciva soltanto a cogliere il baluginare delle pupille dietro la maschera ferrata.
"Si dia inizio allo scontro…", mormorò con un sogghigno il signore del luogo.
Le mani tornarono a schioccare l'una contro l'altra, ed i due guerrieri presero a squadrarsi con aria concentrata.
Sogetzu era sulla difensiva, continuava a parare le finte assestategli con giovane ma esperta irruenza.
Gli stivali fremevano contro il pavimento rifinito della sala, e stridevano come aquilotti affamati, ogni volta che l'uomo in armatura nera si prodigava in qualche efficace affondo.
La lama di Sogetzu roteava ad intercettare i colpi che gli piovevano addosso.
Poi , senza preavviso, il soldato iniziò a tempestarlo di infierimenti severi e precisi.
Watsuki comprese che non poteva affidarsi più soltanto alla difesa, per quanto serrata potesse dimostrarsi…per uscire dallo svantaggio inflittogli da quella tempesta di colpi, avrebbe dovuto reagire, che gli piacesse oppure no…
Compì a sua volta una finta elegante, quindi si abbassò, mandando l'affondo del contendente ad infilzare l'aria.
Con un elegante giravolta, Sogetzu pose la punta della spada sulla scapola del rivale.
Il combattimento si arrestò, mentre nella sala era palpabile lo sfiancamento dei due guerrieri.
Li si poteva sentire ansimare, l'uno in modo più regolare e controllato, l'altro in modo più stridulo ed amplificato dall'elmo dell'armatura.
"Molto bene…Davvero eccellente…"
La voce del Gran Maestro era evidentemente carica di soddisfazione, mentre questi scendeva ad incontrare il leggendario guerriero del presidio, come in molti già avevano preso a chiamare Sogetzu Watsuki.
Questi restituì l'arma al soldato che gliela aveva lanciata, ed egli la ripose nella guaina con lieve esitazione, tanto ammirato era rimasto dalla lotta appena conclusa.
Sogetzu scrutò con attenzione l'uomo che si era battuto con lui, e finalmente riuscì a percepire l'aura di leale generosità che aveva avuto modo di avvertire già in un recente passato.
"Khael…Allora eri tu…"
Il ragazzo si tolse l'elmo, rivelando un volto sudato e stravolto, ma sorridente e radioso.
"Già…proprio io…"
i convenevoli furono rimandati a più tardi…Il Gran Maestro ora era vicinissimo ai due, e Khael gli si inginocchiò di fronte.
Sogetzu rimase in piedi…Non era sua abitudine piegare la testa davanti a niente ed a nessuno.
"Sei un uomo di valore, e gli uomini di valori scarseggiano nei tempi in cui viviamo…", esordì con voce grave ma gentile Lockent, fissando i suoi occhi splendenti in quelli del guerriero.
Khael continuava a starsene in ginocchio , i capelli lunghi e fluenti che, non più prigionieri della maschera, erano caduti a lambirgli le spalle robuste.
"Devo ringraziare il suo giovane ed abile comandante per le cure che mi ha prestato e per avermi sottratto a morte certa…", puntualizzò Watsuki.
"Certo, suppongo tu abbia ragione…", assentì benevolo il Gran Maestro.
"Khael , alzati…Sei stato davvero in gamba…non soltanto hai trovato il famigerato guerriero del presidio, ma lo hai anche rimesso in sesto…Per i servigi che hai reso a Vesperum, ti nomino Generale del reggimento…"
Alle parole del suo signore, Khael sollevò lo sguardo su Lockent per poi riabbassarlo, commosso dell'onore accordatogli.
"Evviva il nuovo generale!!! Sia gloria al Generale Khael !!"
i soldati presenti tanto quelli feriti quanto i sani, fecero vibrare la sala con le loro esaltazioni.
"Congratulazioni…generale…", sorrise Sogetzu porgendogli la mano robusta.
Il ragazzo gliela strinse con vigore, restituendogli un radioso sorriso:
"Ho fatto quello che dovevo…Nient'altro…"
Le acclamazioni proseguirono finché il Gran Maestro non le troncò con un imperioso gesto della mano alzata.
Il silenzio più profondo, restituì il salone ad un'atmosfera irreale ed onirica.
Si potevano cogliere i crepitii delle fiammelle accese che rischiaravano il perimetro della sala.
"Sogetzu Watsuki…Questo è il tuo nome…Non conosco il tuo passato, né mi riguarda…posso però indicarti quale sarà il tuo futuro, se accetterai di servirmi…"
Era un onore piuttosto considerevole, quello che stava per essere accordato allo straniero…tutti i soldati del reggimento se ne rendevano conto…
Aver l'opportunità di esibirsi, sia pure con navigata abilità, e ricevere sull'istante tale considerazione da parte del Gran Maestro, significava molto, per tutti quelli che aspettavano con ansia e trepidazione la possibilità di far carriera nell'esercito di Vesperum, magari uscendo dall'anonimato con qualche azione distintiva.
Era ovvio che Lockent attendeva una risposta repentina…le sue dita leggere rifulgevano di anelli, le unghie lunghe ed arcuate tormentavano i braccioli del trono ligneo…
"No, grazie…preferisco scegliere da solo la strada che dovrò percorrere…non ho mai permesso a nessuno di controllare il mio destino e non intendo venire meno al mio credo…"
un mormorio diffuso si levò dai presenti…Commenti più o meno polemici si alzarono dalle bocche dei soldati, nel veder rivolgere al loro sovrano un impudenza tanto diretta.
Watsuki cercò Khael con lo sguardo e sul suo volto non lesse disapprovazione, soltanto un'ombra di dispiacere.
Il Gran Maestro serrò il proprio scranno con un'energia un po' troppo vivace…stava ingoiando uno dei rari rifiuti che venivano apposti alle sue pretese e gli risultava difficile non ottenere le cose in cui spendeva tempo e risorse.
Si alzò in piedi ed il saio nero produsse un leggero fruscio.
Alzò la destra ingioiellata per zittire gli astanti.
"Apprezzo la tua sincerità, è una dote rara e preziosa che non molti condividono…", disse con voce modulata e forzatamente gentile.
Sta tentando di mascherare la frustrazione, pensò Watsuki, senza trattenere un sussulto di soddisfazione nel petto.
"Tuttavia, nobile guerriero,", continuò con una melliflua compiacenza ," ti offro la possibilità di rifletterci sopra…sarai mio ospite questa sera, riceverai tutti gli onori che questo comporta…e domattina, mi comunicherai la tua decisione definitiva…"
Astuto, ebbe modo di riflettere Watsuki…Vuole farmi assaggiare la bella vita, credendo di comprarmi con cibo, vino e donne…se è così si sbaglia di grosso…
Non gli dispiaceva sfruttare quella ghiotta occasione, comunque…si sarebbe riempito la pancia, avrebbe dormito su un comodo letto e l'indomani…tanti saluti, Vesperum.
Khael gli si fece vicino, il volto giovanile leggermente imbronciato.
"Perché non vuoi restare?"
Watsuki fece finta di aver equivocato la domanda.
"Non me ne andrei per nulla al mondo…Voglio proprio godermi la festa in mio onore…"
"Io parlavo dell'incarico…perché non vuoi servire Vesperum…Sei un ottimo guerriero; se resti potrei imparare molto da te…"
Watsuki sorrise, ponendo la destra robusta e potente sul coprispalle nero dell'amico.
"Io…far da maestro a te…Un generale? "
"Neo generale…E non so da che parte cominciare, Sogetzu…Comandare un reggimento in veste di semplice capitano è una cosa…Assumersi responsabilità elevate in situazioni critiche e dare istruzioni agli ufficiali sotto di te, è tutto un altro paio di maniche…"
Watsuki abbassò la testa dalla bruna chioma.
"Senti, io non voglio vendermi a nessuno, capito? Neppure se fosse il miglior offerente del mondo…Voglio stabilire io i miei tempi…quando mangiare, quando bere, quando lottare e …quando piangere per la mia defunta moglie ed i miei figli…e non credo che otterrei tutto questo, rimanendo qui…"
Khael annuì controvoglia, sentendo che usciva sconfitto per la seconda volta, nel giro di poche ore…
Chinò la testa per onorare il suo signore, che si stava congedando temporaneamente dalla sala, per prepararsi alla cena imminente.
Questi ricambiò, ma i suoi occhi brucianti per lo scontento erano appuntati sul volto determinato e volitivo di Watsuki.
Il guerriero ricambiò lo sguardo penetrante, senza battere ciglio. Il Gran Maestro uscì con gran turbinio della veste nera.
Quell'uomo era piuttosto testardo e non aveva la minima idea di chi avesse osato stuzzicare.
Lockent si ripromise nel cuore nero ed ardente di male, che avrebbe ottenuto la lealtà di Watsuki, ad ogni coso; anche perché, se non l'avesse ricevuta nel tempo prefissato, lo avrebbe distrutto in un modo o nell'altro.

Al castello di Vesperum stava calando la notte…era piuttosto arduo stabilire una differenza netta tra giorno e sera, in verità: che fosse mattino presto o notte fonda, il cielo sopra la tetra magione non mutava colore, né dava adito a cambiamenti visibili…perennemente ammantato di un alone nero ed impenetrabile, poteva al massimo ardire di fregiarsi della luminosità offerta dal guizzare dei fulmini salvo poi scontare il sollievo dato dalla luce, con lo schianto fragoroso del tuono a seguire.
Nella sala delle udienze, la festa in onore di Watsuki era cominciata quando il guerriero ebbe modo di farvi il suo ingresso. Ripulito a dovere, era stato vestito con decoro ed eleganza, ed ora il suo volto ferino sembrava ancor più affascinante nel contrasto impostogli dalla leggiadria degli abiti.
Scorse il Generale Khael e lo salutò con un cenno del capo.
Questi rispose con un sorriso tenue, indicandogli poi il centro della sala, in cui stava Lockent, come a volergli suggerire di riverirlo.
Sogetzu si degnò di onorare il Gran Maestro, solo per compiacere l'amico.
Lockent sorrise a denti stretti…Ora che il cappuccio del saio nero era calato ed il suo volto completamente in vista, i capelli argentei gli lambivano il volto pallido, animato da occhi lucenti che davano vita ad orbite affossate e spettrali.
Watsuki prese posto accanto a Khael, ignorando quasi completamente il padrone di casa.
"Attento, amico…non sfidare troppo il Gran Maestro…E' un tipo deciso, sa avere quello che vuole e quando vuole…"
Alla raccomandazione di Khael, il guerriero appose una smorfia ironica:
"Sono suo ospite, stasera…L'etichetta gli impedisce di nuocermi, venendo meno ai sui doveri di anfitrione…Domattina, si vedrà…"
Il giovane generale rise di gusto, addentando una prestigiosa e succulenta porzione di pernice.
"Sai un sacco di cose, per essere un semplice guerriero…"
"Le tragedie che ho dovuto affrontare mi hanno cambiato molto , insegnandomi parecchie cose del mondo intorno a me…ed io cerco di sfruttare al meglio ogni situazione, anche la più svantaggiosa…"
Khael annuì, ammirato e gli occhi gli scintillarono per l'emozione:
"Come al presidio, immagino…"
"Già…Come al presidio…", confermò con aria assente il guerriero, bevendo dal suo boccale decorato.
Si leccò le labbra, dopo aver preso un sorso abbondante:
"Diavolo, questa roba è proprio buona!!"
Khael gliene porse un intero orcio e Sogetzu accettò che gli riempisse di nuovo il bicchiere.
"grazie, Generale…", lo canzonò con tono divertito.
Il ragazzo sorrise illuminandosi.
L'adorazione che quel soldato nutriva per lui era evidente e Watsuki provò una dolorosa fitta al cuore arido e piegato dalle tante sventure che aveva dovuto scandire con i suoi fieri battiti.
Quest'uomo ha l'età di mio figlio, se fosse ancora vivo…
Khael lo riportò indietro dal marasma dei suoi pensieri, con una vigorosa gomitata.
Sogetzu rivolse la propria attenzione al Gran Maestro, che di fatto si era alzato dal trono sontuoso proprio per onorare il suo gradito ospite.
Gli occhi di Lockent ardevano come quelli di un lupo affamato, mentre cercavano di trafiggere il guerriero da lui elogiato:
"Abbiamo il piacere di condividere la nostra umile mensa, con un maestro nell'arte del combattimento…desidero ricambiarlo per l'eroica ed efficace dimostrazione di questa sera, offrendogli in dono uno spettacolo di grazia e di bellezza, degno della sua abilità…"
Ad un cenno della destra, un untuoso servitore scostò il tendaggio che teneva separata la sala da un alcova di modeste dimensioni.
Apparve una fanciulla, più nuda che vestita…i seni ambrati erano raccolti in un corpetto di seta rosso, ricoperto da pietre preziose capaci di rinviare seducenti luccichii.
I capelli lunghi e nerissimi, erano assicurati ad un velo trasparente che faceva scorgere, senza rivelarla del tutto, la straordinaria bellezza del suo viso.
Le gambe affusolate dimostravano che era una ginnasta ed una danzatrice esperta, ed il suo ventre generoso cominciò a muoversi sensualmente seguendo il ritmo di una musica dolce e soffusa.
Watsuki, che stava per inghiottire un sorso di vino, lo cacciò giù a forza…Quell'apparizione l'aveva sinceramente colpito…era da molto che non gli si offriva l'abbraccio caldo e rassicurante di una donna…L'ultima volta era stato proprio con Keyko…ma al solo vagheggiare la moglie morta, sentì scemare il gonfiore al basso ventre…Non può esistere calore fisico, se prima non si accende il fuoco dell'anima, nutrito dal cuore e dall'amore vero.
Khael era piuttosto esagitato, forse anche per il liquore speziato che incominciava a salirgli alla testa.
"Non è affatto giusto", disse fingendosi imbronciato.
"Cosa?", domandò Watsuki, fissando la ragazza che danzava con sguardo distaccato.
"Tu sei solo un semplice ospite e ti offrono in omaggio una simile bellezza…Io sono stato nominato Generale e a parte i gradi cos'ho ottenuto?"
Sogetzu rise divertito, bevendo un altro sorso generoso dal boccale.
"Se vuoi, te la cedo…"
Gli occhi di Khael si illuminarono, lucidi per l'ebbrezza che stava sopraggiungendo.
"Dico, mi stai prendendo in giro…"
"Ti assicuro che sono serissimo…mai stato più…"
la voce gli morì in gola. Khael, da semi sbronzo che era, aveva accantonato ogni parvenza di ubriachezza ed era scattato in piedi, sguainando la spada.
Imitato da molti altri soldati…questo perché la ragazza, danzando con grazia ed avvenenza, si era fatta strada sino al trono del Gran Maestro…Ed ora teneva la sua gola ben serrata con una mano elegante, mentre l'altra l'aveva resa obiettivo di uno stiletto splendente e mortalmente affilato.
"Signorina…mi voglio augurare che il suo gesto improvviso e poco saggio, sia una trovata geniale per far divertire un po' il nostro pubblico…"
Lockent continuava a restarsene tranquillo, gli occhi spietati fissi verso il nulla, la bocca ironicamente divertita, piegata a formare un ghigno malefico.
"Silenzio, bastardo d'un maiale…", sibilò la danzatrice in succinte vesti.
Ora che il respiro convulso ed eccitato le scuoteva i seni abbronzati, era ancor più seducente di prima.
I soldati, frattanto, non ardivano fare una mossa.
Sogetzu spiava la destra di Khael, contratta a sostenere il peso dell'arma.
Tremava…non troppo visibilmente, ma tremava…
Lockent continuava a sorridere tetro, e la ragazza rispondeva al suo gioco diventando sempre più furiosa ed incontrollata.
"Come puoi vedere, la stanza è piena di guardie…puoi uccidermi, ma moriresti nel giro di qualche secondo…o forse no…"
Il sorriso ironico del Gran Maestro, raggiunse l'ampiezza più esasperante, ed un canino scintillò selvaggio.
"Forse prima, ti violenteranno a morte e, date le circostanze…"
gli occhi di Lockent spiarono i seni frementi della fanciulla
"…non li biasimerei troppo…"
"Zitto! Non una parola, e voi…state indietro, non avvicinatevi…"
Sogetzu incrociò i suoi occhi feroci di guerriero con quelli della fanciulla, e la vide assumere un espressione triste ma dignitosa, iniziando a spiegare le ragioni che l'avevano condotta a quel disperato gesto:
"ero la figlia di un mercante, ed avevo una sorellina…Mia madre era morta da tempo, ma mio padre ci adorava a tal punto, da averci fatto pesare il meno possibile la sua mancanza, sebbene fosse enorme…Conducevamo una vita felice, finché non sei arrivato tu, maledetto demonio, a privarmi di tutto…"
Lockent la interruppe, il volto contratto a significare sdegno e condanna:
"Tuo padre era un eretico e tua sorella una strega…tu stessa avresti dovuto finire sulla ruota e poi arsa viva, ragazza mia…mi ricordo di te, ora…quel giorno mi sfuggisti per pura fortuna…"
"Fai silenzio! Mio padre era un uomo buono e gentile, e mia sorella una bambina innocente…se c'è un demonio da stanare ed abbattere, quello sei tu!!"
premette lo stiletto contro la gola di Lockent ed un rivolo di sangue rossastro si fece strada sul collo dal candido pallore.
I soldati ebbero un sussulto quasi univoco, ma si frenarono…avevano visto accendersi due occhi rapaci e rossastri dietro il trono del loro signore…
Quasi contemporaneamente, la ragazza si portò le mani alla trachea, lasciando cadere a terra la sua arma improvvisata.
Emetteva dei suoni strozzati, e si capiva che stava soffocando.
Sogetzu Watsuki si alzò in piedi…da buon guerriero aveva avvertito l'aura di un uomo, se di un uomo poteva trattarsi, irrompere nella sala come lo spirare improvviso di un vento malsano.
"Ottimo tempismo, Spade…", disse massaggiandosi il collo ferito ed ancora lievemente rorido di sangue, il Gran Maestro.
La ragazza, nel frattempo, stava rantolando, e si dimenava come tentando di liberarsi da una stretta invisibile.
"Balla, balla…danza se ti riesce…"
"E' l'ultimo ballo che potrai concederti, bambolina…"
"hai fatto male i tuoi conti, strega…Muori e va' all'inferno…"
Questi i commenti volgari e irrispettosi che venivano indirizzati alla danzatrice morente.
"Finitela…fatela morire in santa pace! ", sbottò Khael, il volto iracondo attraversato dalle fiamme dell'ira.
Gli occhi della fanciulla cercarono sostegno, misericordia, aiuto…Non riuscire a respirare era una tortura lenta ed inesorabile…Avrebbe preferito che qualche anima buona le desse la morte con un rapido colpo di spada.
Watsuki scavalcò il pianale del banchetto, con eleganza ed irruenza.
Si precipitò al centro della stanza, abbracciando la giovane, che aveva ormai gli occhi gonfi e vitrei, il corpo scosso da singhiozzi alla convulsa ricerca d'aria.
"Fatelo smettere…"
Il Gran Maestro si alzò in piedi, sferzato nell'anima nera da quell'assurdo ordine..
"Cosa avete detto? Vi spiace ripetere, devo aver sentito male…."
"Questa donna è mia, no? L'avete offerta in dono a me, quindi sarò io a decidere il suo fato…"
Lockent sorrise con diabolica soddisfazione.
"E' un'assassina, un'eretica ed una traditrice…Non le sapevamo, tutte queste cose, prima di offrirvela…Ora è stata condannata secondo le leggi di Vesperum, e non consento ad uno straniero di venirmi a dire come mi devo comportare…"
ora la voce del Gran maestro, poderosa e satura di collera, aveva ridotto al silenzio il salone intero.
Si udivano solo i sibili strozzati della ballerina, che cercava inutilmente di inalare un respiro.
I suoi occhi si erano fatti ancor più sbiaditi…Era sull'orlo della morte, dopo una lunga ed estenuante agonia.
Watsuki si fece coraggio, fissò Lockent negli occhi con lo sguardo più determinato che gli riuscì, e con voce solenne propose:
"Gran maestro, vi offro la mia vita, la mia lealtà, i miei servigi in cambio della salvezza di questa donna…"
Gli astanti mormorarono inquieti…Lo stesso Khael rimase interdetto dalle condizioni suggerite dal suo amico.
Come si poteva giurare fedeltà a Vesperum quando lo si faceva contravvenendo sin dal principio alle sue ferree leggi?
La ragazza non si muoveva quasi più…la pelle da ambrata ed invitante, si era fatta cinerea e terrea.
Lockent sembrò accostarsi all'ombra dagli occhi rossi, cui si era rivolto col nome di Spade.
Sogetzu Watsuki attendeva speranzoso, il corpo ormai immobile della ragazza tra le braccia robuste di guerriero.
"Avanti, fatela respirare…gran maestro…Offrite ai vostri uomini un esempio di pietà e di grazia…Non esiste sovrano che possa farne a meno…se questi soldati avranno modo di cogliere in voi la luce della misericordia, vi seguiranno con fede e lealtà…In caso contrario, resteranno legati a voi unicamente in virtù del timore…"
Lockent si alzò in piedi, il volto serrato in un'espressione truce ma risoluta.
"Spade, lasciala…"
Gli occhi dell'ombra rifulsero con perplessità, ma ogni comando del Gran maestro andava eseguito.
La morsa terribile sulla trachea della giovane si allentò di colpo, ed essa, iniziò a riprendere i sensi, dapprima con lentezza, poi con un respirare convulso e sincopato, tipico di chi si attacca alla vita con una forza ancor maggiore, dopo aver sperimentato da vicino un potenziale trapasso.
"Coraggio ragazza…respira…"
la dolce voce di Watsuki fu di supporto per la fanciulla…i seni si abbassavano e si alzavano con la foga di un compressore instancabile.
Quando i suoi polmoni si furono riforniti dell'aria necessaria, incominciò a respirare con maggiore regolarità, sebbene fosse udibile ancora un gorgoglio di fondo, retaggio della stretta ferrea di cui era stata vittima la sua gola.
I soldati batterono le spade contro lo spalliere dell'armatura, in segno di approvazione.
Lockent si rimise a sedere sul trono, con un gesto di stanco abbandono.
Non era sicuro che quel gesto gli avrebbe ingraziato i presenti…Anzi, aveva esposto più di quanto avesse voluto, una debolezza del momento…una debolezza dal volto di uomo e dalla corporatura di guerriero, dal nome Sogetzu Watsuki.
"Nobile guerriero, elogio la tua pietà…E' grazie ad essa, e non alla mia personale misericordia, che la ragazza avrà salva la vita…Mi impegnerò formalmente a farla ricondurre al suo villaggio d'origine…ma se in futuro oserà ancora farsi carico di azioni di vendetta contro la legge di Vesperum…sarà riconsegnata al destino che questa notte ha scampato grazie al tuo intervento…"
"Lode al Gran Maestro!"
le guardie ripresero a far cozzare le loro lame contro le armature nere in segno di approvazione.
Watsuki squadrò Khael, e lo vide annuire a suo indirizzo.
Levò il pugno guantato in segno di rispetto e di saluto.
La ragazza si era ripresa quasi totalmente, ora; fissava con occhi languidi ed innocenti, intrisi di gratitudine il guerriero che la teneva stretta tra le braccia, e che l'aveva restituita alla vita.
"G…grazie…"
Watsuki non trovò di meglio da fare che sorridere, mentre lei si stringeva contro di lui, per nutrirsi del calore del suo cuore, nobile e coraggioso.
Gli occhi del Gran Maestro erano rivolti a Sogetzu e rifulgevano di una luce arcana.
Gli era costato davvero molto caro, ma ora…Sogetzu Watsuki era suo…Per sempre…

I passi di Lockent si fecero udire con chiara risonanza.
Non era solo, lo accompagnavano un messo e due guardie nerborute.
Come la sirena ebbe modo di accorgersi che l'odiato carceriere, fonte maledetta di ogni sua sventurata tristezza stava per giungere, abbrancò saldamente la pinna e le svolazzanti membrane multicolore, andandosi a rintanare nell'angolo più remoto della sua gabbia acquatica, lasciando una scia di bollicine dietro di se.
Watsuki si riscosse d'improvviso, come a rammentare a se stesso che ricordarsi di un eroismo intrapreso per salvare una fanciulla non gli sarebbe servito a trarne d'impiccio un'altra.
Ora la sua vita ed i suoi servizi erano al soldo del Gran Maestro di Vesperum; e la sua fierezza di guerriero gli avrebbe impedito di rimangiarsi la parola data, fosse anche per restituire la libertà a quella malinconica creatura.
"Sogetzu, da tempo ti stavo cercando…", incominciò affabile il Gran maestro, senza risparmiarsi una fuggevole occhiata alla sirena mimetizzatasi dietro la coda.
Watsuki sapeva che Lockent avrebbe potuto rintracciare senza problemi qualsiasi collaboratore tramite lo Specchio della Rivelazione, ma non glielo puntualizzò.
"Mio signore…", esordì attendendo il comando del sovrano.
"Mi è giunta voce", proseguì Lockent accarezzando la superficie di vetro che lo divideva dall'origine della sua folle passione, " che il nostro gruppuscolo di eroi è appena giunto a Trade City…"
Sogetzu non diede modo di far registrare la propria impazienza.
La figura incappucciata dal nero saio gli si fece vicina con aria di complicità.
"Speravo che tu potessi inscenare per me quel duello tanto interessante di cui stavamo discutendo l'altra volta."
"Come desidera, mio signore…partirò all'istante…"
Senza rivolgere lo sguardo alla laconica sirena imprigionata, Watsuki si avviò verso l'uscita della prigione a passo marziale.
Lockent lo fissò con falso interesse, quindi con gesto sprezzante liquidò il suo seguito come se si fosse trattato di insetti fastidiosi.
Udì il gruppetto allontanarsi, e richiudere la porta della cella alle sue spalle.
Ora la sala era misticamente silenziosa…Lockent gustò quel silenzio, chiudendo le palpebre avvizzite nonostante avessero conosciuto pochi anni e molti altri ne avessero di fronte a se.
Colse un suono…Dolce e delicato…Il soffuso e tenue gorgoglio di Claen che respirava sott'acqua.
Fu quel suono rivelatore a far scattare in lui la furia che gli languiva dentro, come un mastino da guerra che aspetta solo di essere lasciato libero, per poi scatenarsi nel dare la morte.
Si scrollò il cappuccio dalla testa, ed i suoi capelli mulinarono argentei nel vento, il viso stravolto dalla frustrazione di non riuscire a smuovere quella sdegnosa prigioniera neppure in quell'occasione…Eppure a Watsuki aveva dato corda…Lo aveva visto, il suo volto avvenente , farsi tristo e compassionevole per cercare di far breccia nel cuore del suo più fidato guerriero.
Cominciò a percuotere il vetro con gli artigli affilati, facendoveli guaire sopra come belve affamate.
Gli occhi gli bruciavano come i fuochi della perdizione, le labbra gli pulsavano contro i denti serrati fino quasi a sanguinare.
Dalla gola gli uscì un grido potente, carico di ira selvaggia, la voce di un demonio caduto che agogna l'estasi del paradiso e si ritrova prigioniero dei patimenti eterni dell'Ade.
"CLAEEEEEEN!!!! CLAENNNNN!!!!!CLAENNNNNN!!!!!!"
la giovane sirena sussultava sconvolta, tenendosi la coda pinnata ben serrata contro il corpo nudo e tremante.
Le unghie di Lockent cercavano di penetrare il vetro, di violarlo, annientandolo, come se l'oltrepassare un ostacolo fisico e materialmente visibile, fosse l'unica cosa che dovesse fare per raggiungere l'oggetto del suo mancato desiderio.
"Claen…perché…perché…"
Si lasciò cadere a peso morto ai piedi della vetrata, e si rannicchiò come un bambino che attende l'abbraccio rassicurante di una madre.
Il saio nero che lo copriva era scosso da violenti singhiozzi e, nero più della notte, avvolgeva in un abbraccio compassionevole la sua anima peccaminosa come un sudario.

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