Una volontà di fuoco

di Madda17
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Will of Fire ***
Capitolo 2: *** Quattro matti ***
Capitolo 3: *** Quando hai toccato il fondo... ***
Capitolo 4: *** ...Puoi trovare i tesori più belli ***



Capitolo 1
*** Will of Fire ***


Ciao a tutti, rieccomi con una nuova storia, questa volta comica/demenziale, la mia prima comica sugli amati Akatsuki! Quattro capitoli abbastanza corti, intanto ecco i primi due.
Ero incerta sul rating, non essendoci descrizioni esplicite di scene erotiche ho messo arancione: vi prego, nel caso, di segnalarmi l’errore.
 
Avvertimenti: AU
 
Spero che vi piaccia, ma soprattutto che vi faccia ridere e che… Commenterete! ;)
 
I. Will of Fire
 
Quel pomeriggio, quando Konan uscì di casa, il sole splendeva alto nel cielo e faceva un gran caldo, per un inizio di giugno. Per l’ennesima volta, si chiese se fosse una buona idea andarsi a chiudere in un locale con un tempo così bello, ma ormai aveva prenotato: adesso o mai più, aveva preso una decisione e non sarebbe tornata indietro.
Una sessione di speed-dating, chi l’avrebbe mai detto che si sarebbe ridotta a quello! Si sentì sbuffare solo formulando quel pensiero.
Konan si era trasferita in quella piccola città già da sei mesi, eppure non aveva avuto il tempo di conoscere nessuno, a parte i suoi colleghi di lavoro: lavorava un sacco, faceva la grafica per una casa editrice che andava forte in quel momento. Amava molto il suo lavoro, Konan, ci si era sempre buttata a capofitto. Ma ora le cose erano cambiate: da dopo che si era trasferita, pur essendo una persona socievole, non aveva veramente trovato degli amici. Forse il poco tempo libero, forse la città troppo piccola, ma iniziava ad averne abbastanza di essere sempre sola, iniziava davvero a sentirsi sola. E, soprattutto, non aveva un uomo. Era ossessionata dal fatto di trovare un compagno: aveva trentadue anni, tutte le sue amiche, nella città da cui veniva, erano felicemente accoppiate, e tante avevano pure dei figli. “E tu Konan?” Io cosa?  “Quando lo fai un figlio?” Chissà! E se fosse mai? “Ma non vorresti trovare qualcuno?” Forse… “Ma il sesso non ti manca?” Ma certo che le mancava il sesso, che razza di domande! Era fin troppo tempo che non lo faceva. E anche un fidanzato, era rimasta l’unica senza. Non potreste chiudere il becco, ogni tanto? Non sapeva in realtà cosa le mancasse di più tra i due, se il sesso o il fidanzato, perché mica vanno per forza insieme, no? Ora basta, quella era la volta buona, e questa cosa dello speed-dating, facile e immediata, era comunque meglio dei disgustosi siti di incontri che le intasavano il telefono con foto che mai avrebbe voluto ricevere. Rabbrividì al solo pensiero. Poteva essere divertente, alla fine, questo speed-dating: se non proprio un compagno, magari avrebbe trovato un amico. O, ancora meglio, un partner per quella sera. Magari!
Era quasi arrivata, si lanciò un’occhiata in una vetrina che capitava a proposito: jeans chiari a vita alta, una semplicissima canotta bianca infilata dentro, scollata al punto giusto. Al dito medio destro il suo solito anello d’argento con incastonata una pietra di luna e dei sandali bassi di cuoio. Si ravviò un ciuffo di capelli blu dietro l’orecchio e gettò uno sguardo al suo viso: truccata alla perfezione, né troppo né troppo poco. Semplice e sexy, in due parole. Dai che stasera si fa del buon sesso, Konan! Si disse, e si diresse verso il locale.
Era un bar che si chiamava Will of Fire, la volontà del fuoco: il nome sembrava appropriato. Era l’unico che organizzasse sedute di speed-dating, due volte al mese. Speed-dating: concetto semplice, ti siedi al tavolo, e ogni cinque minuti la persona di fronte a te cambia, un modo rapido per conoscersi rompendo il ghiaccio all’istante. Basato sull’istinto, feeling immediato. Se va bene, magari si può continuare la serata insieme, anche nello stesso bar, o rincontrarsi per conoscersi meglio. Se va male… Va male. Speriamo di no!
C’era anche da dire che in quella piccola città di locali non ce n’erano poi tantissimi, ecco perché era così difficile incontrare persone al di fuori dei colleghi di lavoro che erano, manco a dirlo, quasi tutte e donne e tutte rigorosamente accompagnate e felicemente piene di prole. E, come quasi tutte le piccole città, i pregiudizi viaggiavano alla velocità della luce: ancora single a trentadue anni, quasi sconveniente! Poi, addirittura i capelli blu, e un piercing! Magari se ne doveva andare da lì, ma il lavoro le piaceva e non era così semplice. Se n’era sempre fregata dei pregiudizi, ma iniziava ad essere stufa. In ogni caso, quel posto, Will of Fire, sembrava come un’oasi della depravazione, con la sua insegna rossa e intorno delle fiamme dipinte di giallo e arancione.
 Era un segno: anche lei aveva la volontà del fuoco, anzi, una volontà di fuoco: la volontà di farsi una maledetta vita sociale e di non essere sempre quella rimasta indietro, la maniaca del lavoro, quella diversa dalle altre. Ai capelli blu, però, non ci avrebbe mai rinunciato. Konan ispirò profondamente, la mano sul pomello della porta. Ci siamo. Fuoco, volontà. Volontà, fuoco. Sesso. Del sesso decente. Uomini. Depravazione? No, dai, questa no. Entrò.
 
“Ciao, benvenuta al Will of Fire.” Le disse una cameriera con lo stesso entusiasmo di un impiegato delle pompe funebri. Sembrava annoiata a morte, si guardava distrattamente le unghie appoggiata su uno sgabello davanti al bancone. I suoi capelli rosa attirarono subito l’attenzione di Konan: se li tingeva anche lei! Che divertente, magari avrebbero potuto chiacchierare di tinte per capelli. Magari avrebbero potuto persino diventare amiche… Interruppe i suoi pensieri: “Che ti porto?” “Ah, io veramente sono qui per…” iniziò a rispondere. “Ah, sì, sei tu quella che ha prenotato! Siediti dove ti pare, non hai concorrenza, tranquilla!” Rise. “Come sarebbe?” Un’altra ragazza, con lo stesso grembiule rosso, si avvicinò a loro. Bionda, i capelli crespi raccolti in due codini alti che non si vedevano dagli anni Ottanta. Coraggiosa, pensò Konan, una donna con le palle. “Sarebbe che abbiamo un sacco di clienti affezionati, tutti uomini, ma molte poche ragazze che vengono per lo speed-dating…” Disse la bionda, e continuò “… E non le posso biasimare. Complimenti per il coraggio, e buona fortuna!” Le due si guardarono iniziando a ridacchiare, quasi maliziose, quasi come una presa in giro. Stronze, che accidenti significa?  Konan odiava quel genere di cose, quel “noi lo sappiamo e tu no”.
“Fatela finita!” Le interruppe una voce tonante. “Non mi spaventate le clienti, che già sono poche!” Aveva parlato un’altra donna: stava dietro il bancone, intenta ad asciugare un bicchiere con uno strofinaccio. Era più grande di loro, forse la cinquantina, capelli castano chiaro, raccolti in una coda bassa. “Sono Tsunade, benvenuta nel mio locale. Queste due oche sono Sakura e Temari, ma tranquilla, non sono né cattive né stupide come vogliono farti credere. Siediti dove vuoi e divertiti!” Le sorrise. Konan non poté fare a meno di notare le sue tette enormi. Ed enormi significava veramente enormi, mai visto niente del genere. Aveva sempre desiderato un seno più grande, ma così… Wow. Si chiese se riuscisse a dormire sdraiata sulla pancia.
Konan ringraziò e prese posto a un tavolo, ordinò una birra, e finalmente si guardò intorno. Il locale era arredato con mobili vintage, vagamente anni sessanta: tavoli e sedie in formica di vari colori, con le zampe di metallo, vecchi sgabelli imbottiti al bancone di zinco, piastrelle sbreccate a scacchi bianchi e neri a terra e qualche poster di vecchi film incorniciati alle pareti, dipinte di un rosso scuro laccato, un po’ scrostato. Non era grande, ma le pareti vetrate che davano sulla strada lo rendevano molto luminoso.
Dalla sua sedia verdina, Konan fece vagare lo sguardo sugli altri clienti: tutti uomini, tutti… Strani? Matti? Capelli tinti con tagli improbabili, piercing, vestiti eccentrici… No, ferma, chi era lei per giudicare? Niente pregiudizi! Ma le era ormai chiaro che quel posto era veramente un covo della depravazione e, forse, anche di un pizzico di follia. Non aveva mai visto gente conciata così in giro per le strade della piccola cittadina, lei che veniva da una metropoli ed era abituata a vedere di tutto. Eppure era sorpresa, non si era mai trovata in una situazione del genere: era l’unica cliente donna in un locale gestito da donne e frequentato solo da uomini. Anche loro si erano accomodati a diversi tavoli aspettando di iniziare, eppure avevano tutti l’aria di conoscersi già, fino a poco prima il loro chiacchiericcio riempieva il locale. Dove sono finita? Anche se si sforzava di restare calma, era tesa e aveva l’impressione di essere finita in un mondo parallelo, in un’avventura che avrebbe potuto raccontare per anni. E su questo, diciamolo, non aveva torto.
 
“Ok, sono le sei: uno, due, tre, speed-dating! VIA!” Gridò la cameriera bionda, Temari, facendo suonare allegramente un campanello sul bancone.

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Capitolo 2
*** Quattro matti ***


II. Quattro matti
 
Iniziò così in fretta che Konan non si rese quasi conto che qualcuno si fosse già seduto davanti a lei. “Ciao!” Biondo, un’infinita quantità di capelli, così curati che avrebbe fatto invidia alle modelle della L’Oréal. Idem per le mani, curatissime, smalto nero sulle unghie, e una camicia azzurra che gridava “Sono al 100% seta!” a chilometri di distanza, e che di certo era firmata. Non aveva mai visto un uomo con lo smalto sulle unghie. Forza, niente pregiudizi: sicuramente la cura delle mani e dei capelli avrebbe potuto essere una cosa di cui parlare insieme, si disse. Era… carino? Sì, dai, carino. Sii ottimista, Konan! Le fece l’occhiolino. L’occhiolino. Esisteva ancora come strategia di abbordaggio, sul serio? “Mi chiamo Deidara, uhn, sono un’artista, tu che fai nella vita?” Smise di fissargli le mani e i capelli e gli sorrise: “Piacere, Konan! Faccio la grafica per una casa editrice, si chiama Akatsuki, pubblichiamo un sacco di libri d’arte, magari…” La interruppe sbattendo un pugno sul tavolo, le guance improvvisamente paonazze e gli occhi azzurri fiammeggianti. “Mai sentita nominare! Se non avete pubblicato niente su di me, non si può certo dire che vi occupate di arte, uhn!” Scosse la testa all’indietro per liberarsi di un ciuffo che gli ricadeva sul viso. Manco fossimo a teatro, ma chi ti credi di essere? Lui la guardò e fece ruotare un dito smaltato davanti al suo naso. “E cosa sarebbe l’arte secondo te, sentiamo?” “Beh, direi che è una cosa soggettiva, no?” Konan era già seccata da questo tizio che non le lasciava aprire bocca, sicuramente affetto da un narcisismo ossessivo e patologico. “No, no, NO! Non è soggettivo per niente, uhn!” E questo intercalare? Semplicemente odiosi i suoi “uhn” Continuò a parlare gesticolando: “L’arte è un’esplosione! Non hai mai sentito parlare di me perché altrimenti…” Si sporse verso di lei passandosi la lingua sulle labbra e prese fra le dita un ciuffo dei suoi capelli blu. “… Solo conoscere la mia arte suprema ti avrebbe impedito di tingerti i capelli di questo colore tremendo, uhn!” Konan stava per afferrargli la mano con lo scopo preciso di slogargli il polso: il tipo era così preso da sé stesso che non si era reso conto dell’imminente pericolo che correva. Ma erano già passati cinque minuti e il campanello suonò di nuovo, salvando lui da un polso slogato e lei da una denuncia per aggressione.
 
Ok, il primo era un pazzo furioso, ma non è detto che siano tutti così… Non è possibile, statisticamente. Ottimismo, ottimismo e seconde possibilità. Temari le passò accanto e Konan la intercettò per ordinare un’altra birra, perché si era resa conto che, arrabbiata com’era, aveva già fatto fuori la prima. “Certo cara, una birra. E, oh…” Si avvicinò al suo orecchio e sussurrò: “…Attenta a questo qua, è mio cugino, è fuori come un balcone.”
Konan non si era resa conto che un altro ragazzo era già seduto di fronte a lei. “Ti ho sentita Temari.” Voce atona, braccia conserte, volto girato di tre quarti e non la guardava nemmeno in faccia. Aveva i capelli rossi e un viso talmente giovanile che Konan stava per chiedergli se fosse maggiorenne. Le lanciò uno sguardo annoiato e sospirò: “Non fare caso a mia cugina. Mi chiamo Sasori e ho trentacinque anni. Lo so che te lo stavi chiedendo. Ma vedi, io, a differenza di Temari, so cosa siano le creme antirughe.” I suoi occhi color nocciola tornarono a vagare sulla parete e Konan si chiese che cavolo ci facesse davanti a lei se era così annoiato, per non dire seccato. Dio, dimostra dodici anni, se ci andassi a letto sarebbe quasi illegale, tanto sembra giovane. Ed è così mingherlino che magari lo rompo… No, no, no! Ma fece uno sforzo per sorridere di nuovo. “Ciao Sasori, mi chiamo Konan. Come mai qui?” Voltò la testa e la guardò: “Cerco un partner per l’eternità.” Konan rise, era sicuramente uno scherzo: “Per l’eternità?” “Già.” Incrociò le piccole mani sotto il mento liscissimo. “Imbalsamare qualcuno, per esempio, sarebbe ideale. Bellezza eterna, poche chiacchiere, la relazione perfetta…” Un grido li interruppe “SASORI! Guarda che ti sento! L’arte è un’esplosione, piantala con queste idiozie sull’eternità, fammi il favore, uhn!” Era il biondo di prima, dall’altro lato della stanza. Come aveva fatto a sentirli? Aveva una voce così acuta che un decibel in più avrebbe mandato i vetri in frantumi. Sasori si voltò: “Deidara, non ce la fai proprio a non essere il centro dell’attenzione?” Konan ebbe come l’impressione che, per la prima volta da quando era seduto lì, il ragazzo con i capelli rossi fosse davvero interessato a qualcosa. Qualcosa che non era lei. “Non credo di aver voglia di farmi imbalsamare…” Il campanello suonò. “Infatti…” Disse Sasori alzandosi con un sorrisetto ammiccante e provocatore, come se di colpo si fosse svegliato.
 
Due matti su due, non era un granché per le statistiche. Ma ormai Konan era in ballo e avrebbe ballato, non era una che si tirava indietro. “Ciao, baby!” Bastò solo quel “baby” a farle accapponare la pelle. Questa volta stava seduta di fronte a un tipo con i capelli tinti di grigio argento, impomatati e pettinati all’indietro che nemmeno negli anni trenta. Peggio ancora, portava un chiodo di pelle nera aperto sul petto nudo, al centro del quale luccicava un medaglione con una sorta di stella. Konan ammise a sé stessa che nonostante quel look francamente tremendo, i suoi pettorali erano decisamente fuori dal comune. In senso buono. Manco a dirlo, se n’era accorto anche lui. “Non male, vero?” le sorrise indicandosi il petto, gli occhi come illuminati da un bagliore rosso. “Anche tu non sei male!” Lo sguardo invasato di quello strano tipo si posò sulla sua scollatura e Konan si sentì avvampare. Eppure non era né troppo né troppo poco, era la giusta misura e l’aveva scelta apposta. “Mi sati fissando le tette?” Disse, serrando le labbra e incrociando le braccia sul petto “Chiaro. E tu hai fissato me, attrazione fatale!” Scoppiò a ridere fragorosamente e poi, senza darle il tempo di ribattere: “Hidan, piacere. Credi in Dio? Nella religione, nell’aldilà?” Non male per rompere il ghiaccio. Coraggioso, appezzabile, bell’aspetto anche se terribilmente esibizionista. Magari del buon sesso… “Se vieni a casa con me, stasera, ti porterò in paradiso. O all’inferno, decidi tu baby!” Baby, ancora! Un altro caso patologico di egocentrismo. “Hidan sei molto diretto. Direi che prima dovremmo…” La interruppe “Certo, certo, prima devo assaggiare il tuo sangue. Vedi, il sesso è come un rituale in cui…” Il campanello suonò e Konan tirò un sospiro di sollievo. Non erano più due matti su due, erano tre su tre, uno peggio dell’altro: le statistiche vacillavano pericolosamente, e l’idea di fare sesso quella sera iniziò a scivolare via dalla sua mente. Quella di trovare un compagno… Lasciamo perdere. Si sentì davvero, per un attimo, come se fosse finita all’inferno.
 
Ma peggio di così non poteva andare e in ogni caso c’era già un altro ragazzo seduto di fronte a lei. Questo era incredibilmente bello: se gli altri avevano qualcosa di interessante nel loro aspetto fisico, lui era oggettivamente il più sexy che si fosse seduto lì quella sera. Capelli tinti, arancione fluo, un viso dai lineamenti marcati e delicati allo stesso tempo, e degli occhi castani con degli incredibili riflessi viola, non aveva mai visto degli occhi così. Portava una t-shirt nera aderente che delineava alla perfezione i suoi pettorali (persino meglio di quelli di… Hidan?), e i bicipiti scoperti sembravano esplodere. Il biondo di prima avrebbe detto che erano arte. L’unica cosa che la lasciava perplessa erano i suoi piercing: ne aveva ben sei nel naso, due sotto le labbra, e quelli alle orecchie non aveva fatto in tempo a contarli, tanti quanti erano. Ma i piercing erano uno spunto per una conversazione e, fino a quel momento, Konan non era quasi mai riuscita ad aprire bocca, anche se non certo per sua volontà. Con quello ce la doveva fare, ne valeva la pena. L’idea del sesso si riaffacciò nella sua mente. “Ciao, sono Konan, piacere. Mi piacciono i tuoi piercing!” Anche se forse ne hai troppi. “Ne ho uno anche io!” Indicò sorridente la pallina di metallo che luccicava sotto il suo labbro inferiore. “Li faccio per il dolore.” Disse lui. La fissava, ma la sua voce non aveva alcuna intonazione, peggio di quel… Sasori. “Il mondo deve conoscere il dolore, è un modo per iniziare.” La trapassava con lo sguardo e, quel ch’è peggio, sembrava serio. Sembravano tutti serissimi nei loro assurdi deliri. “Il dolore?” La domanda le uscì quasi in automatico. “Sì. Hai mai provato il vero dolore?” Konan era una donna coraggiosa, il fatto di non aver ancora tagliato la corda ne era una prova, ma quel tipo le dava i brividi. Il modo in cui parlava… Sembrava quasi un automa, con quella voce metallica, robotica. Konan afferrò la sedia con le mani e si spostò appena all’indietro. “Posso fartelo provare stasera, se…” Il campanello suonò e sentì che ricominciava a respirare: dove diavolo era finita?
Si era detta che peggio di così non poteva andare, ma si sbagliava. Dio, come si sbagliava! Quattro. Quattro matti. Addio statistiche, addio sesso.

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Capitolo 3
*** Quando hai toccato il fondo... ***


III. Quando hai toccato il fondo…
 
Konan lanciò uno sguardo alla sala, rapidissimo: intravide le sagome di quelli con cui aveva già parlato, non era affollato e non rimanevano molti sconosciuti, poteva resistere. Aveva già incontrato vari matti in vita sua e quattro di seguito li poteva ancora sopportare. Anche se stava perdendo le speranze, ormai era una questione d’orgoglio, lei non mollava: era una donna fiera e indipendente e non aveva paura di niente e di nessuno. Volontà di fuoco, volontà di fuoco!
Mentre sentiva il rumore della sedia spostarsi davanti a lei, le arrivò all’orecchio un brandello di conversazione del tavolo accanto, tra il biondo e il fanatico religioso. I nomi li aveva già dimenticati. Sembrava chiaro che si conoscessero, ma non fece in tempo a capire di cosa stessero parlando che il nuovo arrivato l’apostrofò: “Ciao, mi chiamo Kisame, piacere di conoscerti. Che fai nella vita?” Era immenso: altissimo, non aveva mai visto una simile montagna di muscoli, gli occhi rotondi un po’distanziati tra loro, i capelli a spazzola, la pelle di una strana tonalità, quasi bluastra. Il boccale di birra sembrava grande come una tazzina da caffè tra le sue enormi mani. Konan non poté fare a meno di pensare che quello che aveva tra i pantaloni era proporzionato al resto: fosse stato vero, valeva sicuramente la pena provare. Ma i denti… Le sorrideva, e lei vide dei denti talmente grandi e affilati che… Mio Dio, se lo bacio rischio grosso. Nonostante la facesse pensare a uno squalo, i suoi occhi erano gentili e sorridenti. Respira Konan, puoi continuare. Ce la puoi fare. Fiera e indipendente. “Sono Konan, ciao! Faccio la grafica in una casa editrice. E tu?” “Lavoro in campagna, coltivo una vigna e un oliveto, sono in società con quello là.” Con un gesto del mento indicò un moro che se ne stava un po’distante e che non era ancora passato dal suo tavolo. Nonostante l’aspetto, questo finalmente sembrava normale: si sorprese a trovarlo attraente, e faceva un lavoro davvero interessante, avrebbe potuto insegnarle un sacco di cose. Ma lui subito aggiunse: “Però con il mio socio, non è che devi parlarci per forza… Voglio dire, magari digli che non ti interessa, che so…” Konan sgranò gli occhi e lo fissò, non capiva. “Sì, dai, insomma… È un tipaccio, lascialo perdere. Te lo dico, lo conosco bene…” “Scusa, come sarebbe un tipaccio?” L’uomo-squalo buttò giù la pinta di birra con un sorso solo. “No, voglio dire… Potrebbe finire male perché è troppo: troppo sexy, raffinato ed elegante, buono e gentile, sensibile…” Ma che andava raccontando? In teoria era lì per conoscere lei, lei che aveva appena immaginato di andarci a letto insieme, e non per tessere le lodi del suo collega. “Scusa tanto, hai intenzione di parlare di quanto è figo il tuo socio per tutti e cinque i minuti? Non mi sembrava questo lo scopo.” Konan stava perdendo la pazienza. Kisame si fermò interdetto e le guance bluastre arrossirono, ma non fece in tempo a rispondere che furono interrotti.
 
“CIAO! Bentornato a me!” Era appena entrato dalla porta un tipo che Konan non avrebbe saputo come definire. Persino strano era troppo poco. Portava un lungo cappotto di pelle nera stile Matrix e il viso era coperto da una sorta di maschera arancione, come una spirale con un buco in corrispondenza dell’occhio destro. Un coro di “oh, no!” si alzò dalla sala. In men che non si dica Tsunade era schizzata fuori da dietro il bancone e l’aveva agguantato per un braccio. “Tobi! Che diamine ci fai qui, si può sapere?! Ti avevo detto che rischiavi grosso a tornare, sei bandito dal locale, lo sai!” Lo strattonò “Noooo, Tsunade-sama, Tobi è un bravo ragazzo!” “Bravo ragazzo un tubo! L’ultima volta eri così sbronzo che ti sei distrutto la faccia e mi hai sfasciato il locale!” “Per favore Tsunade-sama, solo per un salutino ai cari Sempai!” “Ti avevo avvertito! FUORI DI QUI!” Con una forza insospettabile, e un grido che a confronto quelli di Tarzan erano sospiri, Tsunade afferrò il nuovo arrivato per il cappotto e lo lanciò letteralmente fuori. Poi si voltò verso la sala scostandosi i capelli dal viso: “Continuate pure la vostra serata, ragazzi.”
 
Konan si reggeva allo schienale della sedia, allibita, girata verso la porta. Per l’ennesima volta, si chiese dove fosse finita, se quello che stava accadendo fosse reale. Magari soffriva di allucinazioni e non lo sapeva. Ok, indipendente, emancipata, una donna forte e tutto quello che vuoi, ma una gabbia di matti come quella davvero non l’aveva mai vista. E la cosa peggiore era che non riusciva ad andarsene, sempre quella mania di tenere il punto, maledetto orgoglio che la fregava sempre! “Ehm…” Una voce la invitò a voltarsi di nuovo. Il tipo che le stava davanti era ben strano anche lui. Capelli color rame, una lunga frangia che gli copriva quasi completamente gli occhi, pallidissimo e magrissimo, ondeggiava avanti e indietro sulla sedia come se fosse affetto da una sorta di autismo, facendo ballare la camicia grigia che portava come un sacchetto di plastica al vento. “Nagato, piacere.” Parlava pianissimo e Konan non sentì. “Come, scusa? Puoi parlare più forte?” Si sporse verso di lui. “Nagato.” Disse, appena, ma solo appena, più forte. “Ciao Nagato, sono Konan.” Questo le faceva quasi tenerezza. Cerca di essere gentile, Konan. “Hai degli hobby, Nagato?” Gli sorrise, accomodante. “La pace nel mondo.” Non credeva alle sue orecchie, pure questo era serissimo. “Eh?!” “La pace. La pace attraverso l’espiazione. Per questo non mangio glutine.” Konan sbatté le palpebre, allibita, e le venne improvvisamente voglia di mangiare una pizza. Il nuovo Buddah? “Vedi, io e Pain, il ragazzo con i piercing, abbiamo fondato un’associazione. Siamo gli unici due membri per ora. Per entrare si deve desiderare la pace nel mondo, non mangiare glutine, o avere un piercing. Tu ne hai uno, potresti.” Ma neanche morta! Non fece in tempo a dirlo ad alta voce che dei gridolini acuti li interruppero ancora. Provenivano dalle toilettes alle sue spalle e si voltò.
 
“Oh sì… Sì…. Sì…! ESPLOSIONE!” Pochi sitanti dopo, il rosso e il biondo uscirono a braccetto dai bagni, entrambi con i capelli in disordine e la faccia soddisfatta di chi aveva appena fatto del gran bel sesso. Buon per loro! Pensò Konan, sentendosi sempre più sconsolata e senza speranze. La sala ammutolita li fissava. “Che avete da guardare, uhn? Tutti gelosi, lo sapevo! Vieni Sasori, andiamo a pomiciare in un angolo!” Annunciò il biondo con il suo fare teatrale, e così fecero.
 
“Era l’ora che finissero insieme quei due, è da mesi che si punzecchiano. Ma cavolo, che spettacolo disgustoso le loro pomiciate!” Aveva parlato il nuovo arrivato al tavolo: anche lui parecchio alto e ben piazzato, anche se meno dell’uomo-squalo (ormai Konan l’aveva soprannominato così). Aveva gli occhi di un verde brillante, quasi fluorescente, e i capelli lunghi e neri, spessi come cavi della luce, raccolti in una coda di cavallo. Aveva anche due cicatrici simmetriche sulle guance. Konan avrebbe voluto chiedergli come se le era fatte, ma non sarebbe stato educato. Anche se, si disse, in quel posto l’educazione come l’aveva imparata lei serviva a ben poco. Ma ebbe subito la sua risposta. “Queste…” Indicò le sue guance sogghignando “… Le ho fatte partecipando a un rito religioso con Hidan.” Ah, già, quell’Hidan. “Mi chiamo Kakuzu. E ti dico subito che se pensi che ti offra da bere sei sulla strada sbagliata. Già mi secca pagare per queste serate, ordino solo acqua di rubinetto, è gratis.” Wow, che approccio romantico. Konan stava per dirgli che era vergognoso, ma lui continuò: “Pago da bere solo a Hidan. È troppo divertente quando è ubriaco fradicio.” Il ghigno sarcastico fu sostituito da un largo sorriso. “E quindi vieni qui per vedere il tuo amico che si sbronza?” Rispose, secca, ignorando il sorriso. “Forse. Ma vengo per rimorchiare. Se vuoi andiamo da me, ma luci spente. Consumano troppo. E i preservativi li compri tu.” Konan aprì la bocca, sentendo che le guance le andavano a fuoco dalla rabbia. Non farei sesso con te nemmeno con un corpo preso in prestito, e non ti toccherei manco con un bastone! Anzi, forse sì, per sbattertelo in testa. Stava per dire proprio questo, quando il campanello suonò di nuovo. Quel campanello era davvero una salvezza, ma la situazione continuava a peggiorare, e Konan capì improvvisamente il significato dell’espressione: “quando hai toccato il fondo, puoi sempre scavare”.
 
Una terza birra si era materializzata davanti a lei e sentì una mano sulla sua spalla. Sakura, la cameriera con i capelli rosa. “Questa la offre la casa. Complimenti per aver resistito fin ora! Di solito, scappano tutte molto prima.” Konan sospirò. “Grazie…” Ecco, almeno la sua testardaggine le era valsa una birra: tenere il punto in cambio di una birra. Non era un compagno, non era sesso, ma era meglio di niente. Ormai, aveva rinunciato a tutto. “E, se posso…” Continuò Sakura “… Occhio a quello che sta arrivando adesso. Viene da una famiglia di matti, non so lui come sia, ma conosco suo fratello: è un montato insopportabile, ma a letto non vale niente.” Le fece l’occhiolino e si dileguò, lasciando che l’ultimo arrivato prendesse posto.
 

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Capitolo 4
*** ...Puoi trovare i tesori più belli ***


IV…. Puoi trovare i tesori più belli
 
Eccolo il moro, il collega dell’uomo-squalo, seduto davanti a lei. Andava ammesso, lo squalo aveva ragione: era terribilmente sexy. Capelli lunghi, neri, raccolti in una coda bassa, occhi neri, sguardo penetrante ma gentile, e le fece un magnifico sorriso. Lo squalo poteva dire quello che voleva, stavolta si sarebbe messa di impegno per conquistare almeno lui. Era l’ultimo, l’ultima sexissima e bellissima speranza. “Ciao, mi chiamo Itachi, e tu?” “Konan, piacere.” “Che cosa ti piace fare nel tempo libero, Konan?” “SESSO!” Esclamò, e immediatamente sentì che arrossiva in modo indecente, si portò una mano sulle labbra, imbarazzata come mai in vita sua. Che figura! Che le prendeva? La follia che aleggiava lì dentro la stava contagiando? Forse stava diventando matta pure lei. “Oddio, scusami, io… Non volevo, non…” Itachi le sorrise, un sorriso gentile e comprensivo. “Tranquilla Konan, capisco bene. Sei finita in un posto… diciamo, particolare, e…” Furono interrotti. “Itachi, hai dimenticato gli occhiali!” L’uomo-squalo stava in piedi alle sue spalle come una sorta di guardia del corpo bluastra. “Grazie, Kisame.” Prese l’astuccio e lo posò sul tavolo, senza indossarli. Lo squalo si allontanò continuando a fissarli, come se fosse… Geloso? “Vedi, Konan, i ragazzi qui sono, come dire…” “Itachi, scusa, hanno chiamato per la potatura degli olivi!” Di nuovo lo squalo, ancora lì. Maledizione, lasciami flirtare! Pensò Konan. “Grazie Kisame, dopo ne parliamo.” Il moro non si scomponeva. “Dicevo… Guardati intorno.” Fuori faceva ormai buio, la luce soffusa e aranciata delle lampade rischiarava appena la sala. Deidara e Sasori pomiciavano come liceali seduti a un tavolo in un angolo, e al bancone Kakuzu aveva appena infilato la lingua in bocca a un traballante Hidan, afferrandolo per i capelli senza troppe cerimonie. Seduti l’uno di fronte all’altro, i due della setta… ops, associazione! Pain e Nagato, parlavano fissandosi negli occhi con le dita intrecciate in una fusione romantica degna dei migliori film Disney. “Itachi, ti ho portato da bere!” Lo squalo, di nuovo! Gli mise davanti un calice di vino rosso. “È fatto con l’uva che coltiviamo noi.” Spiegò. “Grazie, Kisame, molto gentile. Arrivo tra poco.” Konan non poteva credere ai suoi occhi. “Scusa, Itachi, ma non capisco… Dove sono finita?” Finalmente lo disse ad alta voce, in un sussurro stupito, tenendosi forte con le mani al bordo del tavolo e trattenendo il fiato mentre aspettava la risposta. Itachi sorrise agitando una mano nell’aria. “Non lo sai, ma tutti, qui dentro, frequentiamo da sempre il locale, ci conosciamo già. Tu ci hai incontrati così… Capisco che possa essere scioccante, ma alla fine non siamo poi male.” Le sorrise: un sorriso così bello che Konan ebbe voglia di credergli.  “I ragazzi vengono a queste serate perché si piacciono, e sperano che, prima o poi, succederà qualcosa. Ma nessuno è minimamente interessato alle ragazze. È tutta una messa in scena. Solo che non era mai successo niente finora: finalmente ci sono riusciti tutti, a trovarsi e ad amarsi, stai assistendo a una specie di miracolo.” Una messa in scena? Un miracolo? E il mio di miracolo, dove sarebbe? Ma, almeno, Konan adesso aveva capito. Non che questa spiegazione li rendesse tutti quanti meno fuori di testa, né lei meno delusa. Lo squalo, dal bancone, non gli scollava gli occhi di dosso. “Grazie, Itachi. Tutto molto chiaro. Posso chiederti però perché il tuo collega continua a fissarci?” Itachi strizzò gli occhi neri e sorrise: forse il più bello dei sorrisi che aveva fatto fino a quel momento. “Perché è innamorato di me. E io di lui, perciò… Scusami Konan, ma vado a raggiungerlo, e a prendermi anche io il mio miracolo. Buona serata, e non perdere le speranze!”
 
Non appena si alzò, Konan si prese la testa tra le mani fissando il bicchiere vuoto, con un infinito sospiro. Come faceva a non perdere le speranze? Si sentiva veramente una sfigata, l’unica che fosse rimasta sola. Non solo tra le sue amiche, ma anche in mezzo a quel mucchio di sconosciuti completamente fuori di testa. E, quel che è peggio, da quei matti si era fatta prendere in giro per tutta la sera. Sentì che le stava montando la rabbia.
“Hey, ciao! Come ti chiami?” “Ora basta! Sparisci che ne ho abbastanza di questo ridicolo giochetto!” Sbottò alzando la testa e trovandosi di fronte una ragazza dai lunghi capelli biondi. “Wooo! Calma, calma!” Scoppiò a ridere  quella “Ti hanno fatto una bella impressione, eh? Tranquilla, capisco!” I suoi occhi grigio-azzurri luccicavano. “Mi chiamo Ino. Lavoro qui anche io, ma oggi avevo un giorno libero. Li conosco bene questi qua.” “Scusami. Hai ragione, mi hanno davvero messa a dura prova. Piacere, Konan.” Sospirò. “Ciao, Konan. Vedi, quando queste serate assurde finiscono, chiudiamo prima il bar e con le altre…” Accennò alle colleghe “… Facciamo la nostra serata, solo tra ragazze, e ci divertiamo un sacco. È come una mini-festa per esserci liberate temporaneamente di loro. Ti va di restare?” “Certo che lei resta!” Le mani ferme di Temari atterrarono sulle sue spalle. “È l’unica che ha resistito fino alle fine, quindi direi doppia festa, e naturalmente offre tutto Tsunade!” Konan si voltò a guardarla, i capelli biondi quasi elettrici, gli occhi color verde bottiglia sorridenti. Sakura si avvicinò: anche lei aveva gli occhi verdi, ma più chiari. “Tripla festa! Finalmente sono riusciti a concludere qualcosa, tutti quanti. Stasera prevedo fuochi d’artificio per loro! E, naturalmente, per noi!” Rise di gusto. Konan le guardò: erano allegre e sorridenti, altro che stronze come aveva pensato all’inizio. Nonostante la stanchezza e la delusione, finì per sorridere anche lei. “Grazie! Resto con piacere!”
“Ora basta, tutti fuori, questo non è un bordello! Va bene che era l’ora, ma certe cose andate a farle a casa vostra!” Tuonò Tsunade uscendo da dietro il bancone e accompagnando i clienti alla porta, in modo non proprio gentile. Erano tutti appiccicati l’uno all’altro, formando delle coppiette così graziose che facevano venire il diabete solo a guardarle: non fosse stato per mani e lingue che vagavano ovunque. Quando furono usciti tutti, chiuse la porta a chiave, abbassò le serrande e si diresse verso il bancone riempiendo cinque boccali di birra e preparando cinque shots di tequila. “Venite, ora si fa sul serio!” Si avvicinarono tutte, Konan le seguì, affascinata da quella barista con una forza sovrumana, e con delle tette sovrumane. Tsunade afferrò lo shot: “Brindiamo a Konan, benvenuta e complimenti per non essere scappata in lacrime dopo dieci minuti, servono più donne come te!” Konan sorrise, lusingata: sembrava che le cose andassero finalmente per il verso giusto. “Sì, Konan sì che ha la volontà del fuoco! E brindiamo a tutte le donne che ce l’hanno! Siamo troppo forti, alla faccia degli uomini!” Aggiunse Temari. Brindarono, fuori il primo shot di tequila. “Adesso avrai capito perché il locale si chiama così!” Ino le strizzò l’occhio, ma questa volta non le sembrò strano.
Musica, bevute, chiacchiere. “Konan, adoro il tuo colore di capelli, lo fai da sola?” Le chiese Sakura, e giù a parlare di colori per capelli. “Sta benissimo con i tuoi occhi, sembrano quasi arancioni, mai visto niente del genere!” Aggiunse Ino. Tutti quei complimenti: accidenti, finalmente quella sera qualcuno si accorgeva della sua esistenza! Parlavano senza stancarsi, come se si conoscessero da sempre, e finalmente Konan, che in fondo era una chiacchierona, poteva partecipare a una vera conversazione.
Non si sentiva così a suo agio da tempo, ed erano secoli che non faceva una serata spensierata e divertente come quella. Era cento volte meglio del sesso, era infinite volte meglio di un uomo. “Ma scusate…” Si decise allora a chiedere “… Come ci riuscite? Voglio dire, a sopportarli: sono una banda di mitomani, egocentrici e invasati, non sono riuscita quasi ad aprire bocca per tutta la sera!” Le altre scoppiarono a ridere. “È vero, sono così. Ma sono quel tocco di colore che manca in questo posto noioso e pieno di pregiudizi. Questo li rende fantastici. Volevo questo per il mio locale: un rifugio per tutti quelli che sono abbastanza coraggiosi da essere sopra le righe. Vedi, loro se ne fregano dei pregiudizi!” Rispose Tsunade. “Sarà, ma non è sempre così facile… Ero venuta per trovare un compagno, perché sembra che alla mia età lo devi avere per forza, ed io… Non volevo essere diversa dalle altre.” Ammise Konan: le seccava ammetterlo, ma sentiva di poterlo fare. “Fanculo gli uomini, sono solo seccature! E fanculo “le altre”! Tu sei tu, ed è molto più divertente essere diversa!” Rispose Temari “E sai come si dice, perseverare è diabolico. Se sei rimasta fino alla fine…Potrebbero anche piacerti, i matti che vengono qui!” Aggiunse Sakura. Come avevano ragione, pensò Konan. Non era sopra le righe: era semplicemente sé stessa. Nessuno meglio di lei, che faceva la grafica, sapeva che ci sono infiniti modi di tracciare le righe. Adesso se lo ricordava bene, finalmente. 
Le raccontarono un sacco di storie divertenti sui ragazzi e, più ascoltava, più Konan aveva voglia di conoscerli davvero meglio. Scoprì, per esempio, che Sasori giocava ancora con le marionette e che ne aveva una notevole collezione, di cui una somigliante a Deidara. Kakuzu fregava la carta igienica e le zollette di zucchero per risparmiare a casa, convinto che nessuno se ne accorgesse. Deidara aveva nascosto in bagno una piastra per capelli e una spazzola per rifarsi l’acconciatura durante le serate. Hidan una volta aveva adibito il ripostiglio a santuario riempiendolo di candele e facendo andare a fuoco una scopa. Kisame si infiltrava di nascosto (credeva lui) in cucina perché era perennemente affamato e divorava tutto quello che trovava, e Nagato lo accompagnava puntualmente: era semplicemente intollerante al glutine ma troppo ghiotto e se ne infischiava, finendo per avere sempre la diarrea, l’unica forma di espiazione che conoscesse. Pain aveva una sopportazione del dolore pari a zero: nonostante quello che raccontasse, bastava un pizzicotto per farlo strillare. Itachi aveva una passione segreta per i dango, e per essere sicuro di averne sempre sotto mano se ne portava in giro una notevole quantità, infilandoli nelle tasche interne della giacca.
Quando si salutarono era ormai tarda notte, chiusero il locale e Konan fu invitata a tornare quando voleva, nonché a un pic-nic l’indomani in pausa pranzo e al compleanno di Ino la settimana seguente.
Camminando per tornare a casa, Konan sorrideva: che magnifica serata! Per una volta la sua testardaggine aveva dato i suoi frutti. O, detto ancora meglio, la sua volontà di fuoco aveva funzionato, facendole scoprire che quando hai toccato il fondo, sì, puoi sempre scavare, ma che se scavi abbastanza in profondità e non ti arrendi puoi trovare i tesori più belli e inaspettati, delle vere pietre preziose. Lei aveva trovato delle amiche.
 

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