Soichiro Jin: le origini.

di amirarcieri
(/viewuser.php?uid=1056355)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 9 anni. ***
Capitolo 2: *** 13 anni. ***



Capitolo 1
*** 9 anni. ***


Soichiro Jin: le origini.


 

9 ANNI


 



Soichiro aveva passato il pomeriggio a giocare al parco con i genitori che lo supervisionavano da una panchina lì vicino.
Nonostante le gambe avessero corso a più non posso, la sua riserva di energia, tipica dei bambini della sua età, possedeva ancora una dose abbastanza densa da esaurire.
Comunque, bello accomodato sul mezzo di trasporto delle spalle del padre, stava ora tornando a casa.
Il parco non distava molto dalla loro dimora – cinque minuti di camminata con un andatura normale – ma per raggiungerla dovevano passare obbligatoriamente da una strada dove, guarda caso, era stato edificato un campo da basket.
La sorridente famigliola stava proseguendo il cammino, ormai vicina a quest'ultimo.
Il piccolo Soichiro si trovava ancora a cavalcioni sulle spalle del padre e dall'altro di quella posizione poteva vederlo gremito da quattro giocatori.
D'impulso, chiese al genitore di farlo scendere così da camminare con le sue stesse gambe.
«Non allontanarti troppo» gli raccomodò la madre quando lui aveva cominciato a correre verso quella parte.
«Va bene, mamma» rispose la sua vocina garbata.
Soichiro non sapeva cosa gli prendeva, ma avvertiva una sensazione strana di impazienza dentro al petto.
Sentiva di dover raggiungere quel campo di basket ad ogni costo.
"Lì c’e qualcosa che dei scoprire e fare tuo", perché quello gli suggeriva l'istitnto.   

Soichiro non sapeva che quel giorno il suo cuore sarebbe stato inciso nel profondo da un segno indelebile e che la vibrazione sonora di una palla da basket che rimbalzava avrebbe accompagnato i suoi battiti cardiaci per il resto della vita.
Quindi fece la sua corsettina, spiaccicandosi alla rete che lo attorniava, in modo da avere il suo primo posto d'onore alla partita.
Proprio in quel momento si stava svolgendo un’azione.
Uno dei due cestisti – alto sul metro e ottantacinque, capelli neri pece a spina e sguardo oltremare che conteneva la tempesta indomabile di un’aspirazione – si era smarcato, realizzando immediatamente un tiro da tre punti dall’area delimitata.
Gli occhi enormi del piccolo Soichiro si spalancarono per lo stupore combinato ad una forte estimazione. 
Il suo cuore martellava eccitato nel petto e la voglia di seguire la partita si era mutata in un bisogno imprescindibile.
I genitori lo affiancarono senza dire o portarlo via da li.
Capendo cosa stava accadendo, non osarono rovinare quel suo memorabile momento.
Il momento in cui gli occhi di un individuo partoriscono la concezione di un sogno è uno dei più emozionanti e magnifici dell'esistenza.
Riconosci gli occhi di un sognatore, anche quelli di un bambino di nove anni perché si riempono del lucido pensiero di aver trovato il loro posto nel modo e tendono a gettare lo sguardo al futuro, là dove si immaginano la persona che sicuramente diventeranno grazie alla dose di testarda dedizione operata nel presente.
La partita  proseguiva tanto quanto l'interesse di Soichiro aumentava, ma la sua vocazione allo sport fu risvegliata definitivamente quando l’altro ragazzo – altezza uno e novanta, capelli color castagna, viso squadrato, occhi tempestati da una magnetica scaltrezza - che aveva subito il canestro, usò la sua formidabile elevazione per planare da terra con un salto e mettere a segno una schiacciata roboante.
«Fantastico. Che bello» le iridi di Soichiro si erano ingigantite trasognati.
Gli sembrò quasi che il giocatore fosse una figura mitologica metà uomo e metà volatile che aveva schiacciato con le sue braccia di piume.

Il piccolo Soichiro si chiese a come ci si sentisse ad essere al posto suo. Gli venne la voglia naturale di essere come quei talentuosi cestisti. In lui, si formò il desiderio inarrestabile e perpetuo di ricalcarne le sovrumane gesta.
«Voglio giocare a basket» disse perciò in trance. Le iridi che bruciavano di un’ardente ambizione.
«Mamma. Papà» li chiamò perciò sollevando il capo prima a sinistra e poi a destra.
«Voglio giocare a basket e diventare il più grande dei giocatori» I due genitori si guardarono e un sorriso smagliante si stirò sulle loro labbra.
Poi si piegarono sulle gambe all'altezza del figlio per accarezzargli la folta testolina mora.
«Ma certo Soichiro» gli disse la madre emozionata quanto la prima volta che l’aveva tenuto in braccio o mosso i primi passi.
«Tu puoi diventare tutto ciò che vuoi» lo sollecitò il padre con quei tratti gentili e lo sguardo risoluto che avrebbero particolareggiato il viso del figlio in maggiore età.
Allora dalla bocca del piccolo Soichiro traboccò la lucentezza di una sfrenata gioia.
Soichiro Jin capì per cosa era nato all'età di nove anni e da quel momento la sua vita prese a scorrere con più passione e senso.



NOTE AUTRICE: ciaooo. Si lo so, ho seimila storie in corso, ma questa, come avrete capito, non durerà molto e spero di poterla aggiornare con periodicità.
Vedete il fatto è che questa idea ribolliva nella mia testa da un bel po' e alla fine ho detto "Sai che? Che mi frega. Comincio a scriverla e quel che sarà sarà". 
Naturalmente,
scriverò anche tante altre origini di altri personaggi tipo Shinichi Maki (potevo non farlo?) e così via.
Come avrete capito io amo andare ad
approfondire sulla psicologia dei personaggi e Jin è uno di quelli che più mi aggradano a farlo.
Pensandoci, in realtà non sappiamo che origini ha avuto la passione di Jin o come ha
scoperto il basket, però io ho pensato ad un ipotetico e probabile scenario. Mi è venuto quasi istintivo pensare a questa famigliola felice e questo piccolo bambino di 9 anni dai grandi occhi che incontra per la prima volta la sua passione e sogno.
Voi che ne pensate? Come immaginate un probabile scenario di Soichiro Jin?
Ci sentiamo alla prossima e ringrazio in anticipo a chiunque la leggera, mi lascerà una recensione o mi aggiungerà ai preferiti, seguite o ricordate.
Se volete
seguirmi sui social sono: Twitter | Facebook
Alla prossima. 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 13 anni. ***


 

Soichiro Jin: le origini.

 

13 anni.

 

 

 

 

Soichiro Jin era alle medie e aveva dato anima e corpo per la causa del basket.
Sembrava strano, ma pareva proprio che la vita lo stesse rendendo idoneo allo sport per cui aveva deciso di dare tutto se stesso.
Soichiro infatti, adesso possedeva una statura più elevata dei suoi coetanei.
Questo l’aveva reso logicamente più spiccante agli occhi dell’allenatore perché a quest’ultimo piaceva l’idea di vederlo come una gemma grezza, che mano a mano che veniva lavorata avrebbe assunto la forma levigata di un pezzo unico e di valore.
E mentre i compagni di squadra si lagnavano per la troppa severità degli allenamenti, lui si impegnava al massimo delle sue capacità come se l’indomani dovesse fare un’importante provino per L’NBA.
In squadra con lui c’era anche Kicchou Fukuda.
Non era un asso del basket, ma la tenacia e passione che sprigionava durante le sessioni di allenamento, lo rendevano qualificato a compiere spettacolari dimostrazioni atletiche.
Se lui e Soichiro si sfidavano in un One to One, il secondo riusciva sempre ad aprirsi un varco nella sua difesa e realizzare un’azione che si completava con un canestro da due punti.
Ma viceversa anche Soichiro presentava delle imperfezioni atletiche nell’incisività d’azione e difesa, ai quali l’allenatore non badava più di tanto perché le medie servivano solo come un tirocinio di prova per la vera e propria formazione dell’atleta e farsi notare dalle scuole superiori durante il torneo scolastico.
Giustappunto per questo, tra i talenti nascenti senza eguali, due si erano aggiudicati l’attenzione e desiderio di essere nei titolari.
I loro nomi erano Isashi Mitsui e Kaede Rukawa e – per quel momento - non esisteva asso del basket che riuscisse a freddare il loro suo gioco astuto, immediato e infallibile, sopratutto se si parlava dell’arte dei canestri da tre punti da parte di Mitsui.
Soichiro avrebbe voluto confrontarsi con loro o perlomeno vederli giocare per studiarne le abilità, e semmai, affinare le sue per contrastarli in un ipotetico match.
Il destino volle che non passasse molto che le sue vaneggiate fantasie divenissero realtà.
Accompagnato dal padre, Soichiro poté assistere ad una partita capitanata da Mitsui e qualche mese dopo si scontrò con la squadra che vantava la presenza di Kaede Rukawa.
Nel primo caso, assistendo alla partita come spettatore, Soichiro poté constare che le chiacchiere non erano ingigantite.
La naturalezza con cui Mitsui riusciva a brillare, la tecnica elaboratamente impeccabile che adottava contro gli avversari e il carisma incisivo adottato per motivare i suoi compagni, erano tutte qualità che gli mancavano e fecero divampare il suo spirito con più forza.
La sua non era certo invidia, né tanto meno osava stabilire un paragone.
Soichiro scoprì invece di ammirarlo profondamente come di volerlo prendere da modello.
Nel secondo caso, fu tutta un’altra storia perché visse la partita in prima persona.
C’era una sola frase in grado di descrivere il suo avversario: Rukawa era puro talento.
Se la palla viaggiava fino alle sue mani, tutti sapevano in anticipo che sarebbe finita dentro al canestro in una maniera fantasiosamente spiazzante.
O se uno di loro si ritrovava a marcarlo - lui stesso - veniva intimorito dal suo sguardo di ghiaccio perdendo la risolutezza agguerrita.
Quella partita persa, gli servì per capire che avrebbe sudato il doppio e stremato i muscoli al limite per aspirare ad intralciare la sua potenza in campo.
Soichiro era fatto così.
Con quel suo sorriso si sarebbe potuto definire un’inguaribile ottimista che vedeva sempre la luce al fine del tunnel, anche quando la strada disseminata di massi l’avrebbe costretto a sputare sangue per poterli quantomeno aggirare.
Quando gli allenamenti finivano e faceva la strada di ritorno a casa in bici, Soichiro passava appositamente da quel familiare campo da basket che aveva dato origine al suo sogno.
Tante volte si era appostato dietro la ringhiera a guardarle quegli assi e tante altre avrebbe voluto partecipare a quelle mitiche partite pomeridiane.
i campioni, uno o due volte gli avevano sorriso promettendogli uno spettacolo dell’elitè del basket, ma si erano sempre limitati a trattarlo come un piccolo spettatore.
Ormai comunque, chi perché stava finendo gli studi di università, chi perché aveva già firmato un contratto con una squadra professionistica – Soichiro era riuscito a raccoglierne le informazioni tramite i suoi compagni di classe che avevano per fratelli gli amici degli amici – al posto loro erano subentrati altri ragazzi della sua età che rappresentavano le nuove promesse dello sport.
Mentre Soichiro continuava a pedalare per la strada di casa, il vento gli scompigliò i folti capelli mori regalandogli una panacea rilassante al cuore. Cullato da quella carezza stratificata di speranza, i suoi sogni divennero più fulgidi di una medaglia d'oro olimpica portata al collo.
Perché Soichiro credeva nella dei sogni e la forza che essi ti davano.
Tornato a casa salutò i suoi genitori vivacemente e si prodigò di raccontargli della sua giornata al club mentre cenavano.
Se sulla terra esistevano dei fan che ammiravano ciecamente il loro “idolo” quelli erano i suoi genitori.
Era fuori discussione che si perdessero una partita del figlio scegliendo dei posti degni di due genitori come loro e quando davano le partite dell'NBA in tv, facevano sedere Soichiro al centro del divano e loro si posizionavano ai rispettivi lati, facendo un tifo da paura per la squadra favorita della famiglia, anche se l'abbonamento mensile per vederle aveva un costo opinabile, ma la gioia e viso beatamente sorridente del figlio pensavano che ne valessero la spesa.
Agli sgoccioli della fine del torneo, la sua squadra, si sarebbe dovuta scontrare in una partita che in caso di sconfitta l'avrebbe esclusa dal giro.
La partita aveva avuto un inizio bilanciato poiché entrambe le squadre avevano un'ottima dinamica di gioco, ma ad un certo punto lo schema dell'avversario era cambiato, spiazzandoli con una marcatura e aggressività d'attacco che li piegò al loro predominio.
Al 78 a 68 il coach chiamo il time out per spronare adeguatamente la squadra.
«Ragazzi mancano solo dieci minuti e voi quelli lì potete battere. Non sono forti, hanno solo una tattica aggressiva sul campo» li motivò senza troppe pretese lessicali.
«Può scommetterci che li batteremo» disse il capitano della squadra tra una fiatata e l’altra.
«Si, ce la faremo» aggiunse Soichiro, instillando un ulteriore dose di carisma nelle parole.
Soichiro aveva consapevolezza che una delle tante “chiavi per la vittoria” era quella di creare un legame di fiducia tra compagni capace di trascendere la superiorità atletica dell’avversario.
Assicurarsi una squadra unita avrebbe garantito un possesso di palla equilibrato ed esemplare.
Perciò, rientrati in campo non persero tempo a fare una dimostrazione di questa regola d’oro.
Dopo che un suo compagno intercettò la palla, la fece arrivare a lui, che fece a sua volta un passaggio filato e preciso al tiratore migliore della squadra.
L’asso si preparò a lanciare un cronometrico tiro da tre punti, ma fu intercettato dall'avversario e si vide costretto a rimandarla al mittente.
Quindi toccò a Soichiro tentare la sorte con l'analogo tiro.
Sfruttando il nano secondo in cui nessuno lo marcava, assunse la posizione eretta idonea a realizzarlo e lo caricò infondendo la giusta dose di forza e traiettoria alla palla.
Con i secondi che scorrevano lenti e la palla in mano, Soichiro si sentiva il cecchino più abile della prefettura capace di ribaltare le sorti della partita, e quando la palla entrò dentro il canestro producendo un clangore fragoroso, in mezzo allo stupore generale dei suoi compagni – e suo - un coro adrenalinico di tifoseria eruppe per tutto il luogo.
Manovrati da una frenesia istintiva, i suoi compagni corsero a congratularsi con lui tra strizzatine di testa e spintoni amichevoli.
I genitori si gustavano il momento di gloria del figlio, posticipando gli abbracci accoppiati ai complimenti alle ore seguenti.
Soichiro invece si sentiva sul tetto del mondo.
Il sorriso gigantesco da fanciullo che gli si allargò sulle labbra, fu talmente netto, da rischiare quasi di slogargli la mascella.
A quei tempi era stato per forze maggiori che aveva realizzato quell'elegante e impeccabile tiro da tre punti. Non era ancora cosciente di essere nato per quella specialità cestinistica, ma sapeva già che avrebbe ripensato a quel momento anche tra cinquantanni o in quelli in cui la fiducia in se stesso avrebbe vacillato.
Quando la partita riprese, gli avversari recuperarono due punti, ma alla fine fu la squadra di Soichiro a vincere per uno di vantaggio.
Altre due vittorie susseguirono quella partita, peccato che le altre due le persero, venendo tirati fuori dai giochi.
Ma Soichiro era comunque soddisfatto perché aveva dimostrato di possedere fermezza e risoluzione caratteriale in campo.
L'anno delle medie rappresentò la scalata di un traguardo che lo maturò nello spirito.
Ma fu solo alle superiori che raggiunse una maturazione esponeziale perché li avvenne la realizzazione del suo vero talento e l'accettazione del suo ruolo in una squadra di basket.




NOTE AUTRICE: e rieccomi qui, con il secondo e penultimo capitolo di questa raccolta di One Shots sulle origini di Soichiro Jin. 
Che ne pensate? Mi sono impegnata a farlo sembrare più probabile e canonico possibile. 
Se notate ho messo anche di mezzo Mitsui e Rukawa perché ho fatto tutto un ragionamento (schema incluso) in cui quando Jin era in seconda media Mitsui doveva essere in terza e Rukawa in prima. Il creatore non lo ha mai puntualizzato o ha mai fatto dire niente di specifico a Jin (eccetto Fukuda), ma se vi fate i conti è per forza così. 
Mi è piaciuto molto scrivere anche questo capitolo e non vedo tantissimo l'ora di poter scrivere l'ultimo e più importante perché aggiungerò dei "missing moments" che cercherò di fare più canonici possibili. 
E niente....ringrazio chi leggerà la raccolta, chi recensirà e mi aggiungerà tra le varie opzioni di preferenza. 
Se volete aggiungermi nei social sono: Twitter | Facebook



Ci si risente alla prossima. 
 

 

 

 

 

 

 

 

 


 


 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3983619