Des ombres qui passent

di Brume
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Un giorno di luglio, ai margini di un bosco ***
Capitolo 2: *** Memorie e dolore ***
Capitolo 3: *** Vie ***
Capitolo 4: *** En désordre - Andrè, parte I ***
Capitolo 5: *** En désordre- Andrè et Oscar, parte II ***
Capitolo 6: *** Una sorpresa ***
Capitolo 7: *** Un attimo di pace ***
Capitolo 8: *** Una svolta inaspettata ***
Capitolo 9: *** Senza te ***
Capitolo 10: *** Il matrimonio, parte prima ***



Capitolo 1
*** Prologo: Un giorno di luglio, ai margini di un bosco ***




 

14 luglio 1789

L’ acqua del ruscello era fresca e se, all'inizio, le aveva dato sollievo ora, dopo due ore con i piedi a mollo, le dava quasi fastidio; anche se era la metà di luglio e le giornate sapevano essere molto calde, la donna     - piegata in avanti  per lavare alcuni panni-  venne scossa da un brivido.                                                                                                                  Preoccupata di prendersi un malanno ma soprattutto  per  quella pancia prominente che era giunta a termine da qualche giorno, si affrettò a finire ciò che aveva iniziato e poi, lentamente, si rimise in posizione eretta, alzando infine le braccia per sistemarsi i lunghi capelli. Poi, piano, si chinò e  prese la cesta di vimini dentro la quale vi erano alcuni panni e la poggiò sul fianco che la  gravidanza aveva reso morbido, iniziando a camminare.                                                                                                                   Stanca, sudata, sentì che il suo tempo era ormai finito: da qualche giorno erano iniziate piccole contrazioni ed altri fastidi quindi,  senza perdere ulteriore tempo, strinse i denti e si affrettò a rientrare.

 

Alla vecchia che divideva la stessa casa e lo stesso destino apparve subito chiaro ciò che stava accadendo.Aveva notato  le smorfie di dolore sul viso della sua pupilla, sapeva che le contrazioni della ragazza proseguivano ormai da qualche tempo e si facevano sempre più vicine ed intense.          Era quasi  ora.                                                                                       Silenziosamente, si mosse per la casa preparando tutto ciò che potesse servirle, oltre alla pazienza: dell’ acqua fresca, dei panni, una bacinella. Le acque non si erano ancora rotte: all’ acqua calda ci avrebbe pensato allora.

La giovane, nel frattempo, aveva posato la cesta e attraversato il piccolo ambiente che fungeva da cucina e sala da pranzo raggiungendo la stanza che divideva con la sua ormai ex nutrice; si era seduta sul letto,  si era spogliata restando solo con una grande camiciola che lasciava scoperte le ginocchia e,  quando la vecchia entrò nella sua stanza, la era intenta nelle sue abluzioni. Le due donne si guardarono ed Oscar fu sul punto di dire qualcosa quando l'ennesima contrazione la prese; Nanny si avvicinò ulteriormente e la costrinse a stendersi.

“Risposatevi, ora...” disse Nanny vedendola impallidire “... tenetevi care le forze. Sarà il vostro corpo a dirvi cosa fare e quando farlo”.                  Oscar annuì ed obbedì. Si fidava delle parole della vecchia, ma aveva comunque timore; lei, al contrario delle sorelle, non aveva mai assistito ad un parto e tantomeno considerato l'argomento....

Nanny la fissò.

“So cosa stai pensando, ragazza mia...ed io non ti nasconderò nulla. Farà male, un male talmente forte che vorrai quasi aprirti il ventre con le tue stesse mani.Per una donna alla prima gravidanza potrebbe servire anche una giornata per partorire, quindi dovrai essere forte. Ti assicuro che sarai ricompensata per tutto...ed io starò qui con te, ti aiuterò “  disse, senza girarci intorno, prendendo un fazzoletto dalla tasca del grembiule ed asciugando il sudore dalla fronte di Oscar, che annuì, ancora.                                                Era preparata da sempre al dolore, non lo temeva affatto...                         Ma qui non si trattava solo della sua vita.                                                                 Aveva paura  potesse succedere qualcosa alla creatura che portava in grembo, frutto dell’ amore tormentato e tardivo che lei e Andrè avevano scoperto qualche tempo prima.

“Vorrei tanto lui fosse qui. Lui e mia madre...” disse,  mentre cercava una posizione comoda per i suoi lombi. Il sudore le imperlava ancora la fronte.

“Anche io, mia cara, anche io” rispose la nonna con voce roca, quasi rotta dalle lacrime.

Una contrazione, forte, la prese ancora.                                                            Nanny le si fece ancora più vicina: prese un piccolo sgabello, si avvicinò al letto e le prese la mano stringendola forte.

“Ce la faremo” disse aggiustandosi con la mano libera la cuffia che copriva i capelli talmente bianchi da sembrare trasparenti; poi iniziò a pregare, sottovoce, consumando voce e fiato e stringendo fino a far male le mani che nel mentre aveva giunte ed appoggiate al petto.                             Nel frattempo,un vento forte cominciò a scuotere quella casupola, mentre il cielo si scuriva all’ improvviso e il gli animi vennero scossi da un tuono che pareva lo scoppio di una polveriera; il temporale o meglio la tempesta si stava avvicinando sempre più.  Meno di due ore dopo, sotto una pioggia battente, Oscar iniziò il suo travaglio e mentre, dolorante, cercava pace talvolta camminando talvolta rimanendo stesa, i ricordi tornarono a farle compagnia, tornando a quella sera. 

 

Qualche tempo  prima. Parigi, 8 ottobre  1788

Non era la prima volta che Oscar e Andrè, approfittando di quanto stava accadendo, prendevano una pausa dagli impegni sempre più intensi a cui era sottoposta la Guardia Francese di quei tempi sempre più angusti. “Oscar, se sei pronta? La carrozza è arrivata….” disse Andrè scostando la tenda e guardando fuori dalla piccola finestra.                                                    

Lei, seduta davanti alla scrivania, sollevò lo sguardo dai dispacci che stava firmando ed annuì; non si era accorta che il tramonto colorava di rosso i tetti della caserma.

“...arrivo subito, Andrè. Se vuoi incamminarti, ti raggiungerò in un istante” rispose aggiungendo al tutto uno dei suoi magnifici sorrisi.

Andrè si avvicinò  alla donna  posando le proprie  mani sulle spalle e scostando i capelli per baciarle il collo. Quando le labbra dell’ uomo raggiunsero la sua pelle, Oscar rabbrividì.

“Va bene, allora vado” rispose lui “... ti aspetto” disse. I suoi occhi guardarono la donna come fosse una divinità scesa sulla terra.

Lei sorrise. 

                                                                                                                                    Lasciò che Andrè uscisse dalla porta poi , firmata l’ ultima scartoffia, si alzò dalla sedia e fece alcuni passi verso la parete alla quale aveva appeso la giacca della divisa; la infilò, si assicurò che tutto fosse a posto ed uscì, raggiungendolo.  

“Eccomi” disse mentre il valletto chiudeva la porticina alle sue spalle. Andrè si era accomodato e osservava la piazza d’ armi dal piccolo finestrino. Le prese la mano e la baciò.

“Tra un pò di tempo queste nostre fughe saranno solo un sogno” disse, quasi sovrappensiero. Da molti giorni era preoccupato; aveva saputo, da Alain ed altri amici, che la situazione a Parigi era tutt’ altro che in crisi ma peggio, molto peggio.                                                                                            Ed aveva paura.   
“Lo credo anche io” rispose, Oscar, appoggiando la testa alla spalliera della seduta, tenendo stretta la mano dell’ amato.                                             

Era stanca e preoccupata, anche se non lo dava a vedere. 

I due trascorsero il viaggio così, tra pensieri che prendevano corpo, sguardi e corpi che nemmeno tanto velatamente si reclamavano; da quando, qualche tempo prima, avevano fatto cadere qualsiasi  indugio lasciando i loro sentimenti liberi, ogni momento era buono per stare insieme e scambiarsi lunghi baci, carezze, o per fare l’ amore, cercando di non farsi scoprire...Non vedevano quindi l’ ora di rientrare e prendere del tempo per loro... Magari sedersi sul terrazzo osservando le luci di Versailles finchè su  Palazzo Jarjayes non fosse calata la notte ed il silenzio.                                                                                                                                                                                                                                                  Persi nei loro pensieri, non si accorsero che la carrozza si era fermata, il tempo pareva essere volato.

 Andrè,  seduto accanto ad Oscar, le teneva la mano. Quando realizzò che erano giunti a destinazione si alzò in piedi e scese per primo, attendendo che lei facesse lo stesso; quindi, dopo essersi rubati un bacio dietro la carrozza, si divisero prendendo ognuno la propria strada senza accorgersi che, accanto ad una pianta, una giovane servetta li stava osservando ed ora correva via, sollevando le vesti per essere più veloce.

Si trovano più tardi, nella grande sala dove veniva servita la cena;  la serata a Palazzo passò tranquilla, con il Generale e la moglie impegnati a discutere degli ultimi avvenimenti piuttosto che del nuovo precettore della nipote  e Nanny che riprendeva Andrè per qualsiasi cosa,                       tra l’ ilarità dei presenti, Oscar compresa. Una serata piacevole che loro speravano avesse una conclusione ancora migliore.

“Andrè, più tardi vieni nella mia stanza” disse Oscar senza problemi, finendo il suo dessert. Non era inusuale per lei una tale richiesta, visto che lui aveva accesso ai suoi appartamenti da sempre; infatti, nessuno ci fece caso.  Andrè rispose con un cenno del capo e spinse via il carrello sul quale aveva appena posato alcune stoviglie, dirigendosi verso le cucine.

“...E non dimenticarti di portarmi una  cioccolata, per favore! ” sentì dire dalla voce profonda di  Oscar, ormai giunto a destinazione.

Sorrise. 

Tutto procedeva secondo piani ed aspettative; finì di sistemare le stoviglie nella tinozza dove Ameliè le avrebbe lavate e si sedette dunque accanto al focolare mangiando con gran gusto ciò che la nonna le aveva tenuto da parte.

 Nemmeno cinque minuti più tardi sentì la nonna rientrare.

“Andrè” disse la donna senza preamboli  “non trattenerti troppo nelle stanze di Oscar. Non voglio che nè i padroni nè gli altri possano pensare male”. 

Lui posò la forchetta ed il piatto sul tavolo, si asciugò le labbra bevendo una sorsata di vino dal bicchiere che aveva precedentemente riempito e si voltò verso la congiunta.

“Perchè mai queste raccomandazioni?” chiese sorridente “ ...io faccio sempre così. Se poi mi trattengo è perchè me lo chiede Oscar ed, in ogni caso, non facciamo niente di male!!”

La nonna lo fissò.

“E ci mancherebbe anche questo” rispose Nanny con uno sguardo truce. Lui scoppiò a ridere e poi si alzò, rassicurandola; infine, dopo un ulteriore scambio di battute, iniziò a preparare la cioccolata mentre la nonna  pensierosa, osservava il nipote sperando non si mettesse nei guai. Era vecchia, ma non stupida: sapeva benissimo come stavano le cose tra i due, conosceva l’ amore che il nipote provava per la sua adorata Oscar. 

Ed aveva un brutto presentimento. 

Nanny si prese il volto tra le mani.

“Nonna, che hai, non ti senti bene?” chiese Andrè spaventato,  mentre versava il liquido scuro in una preziosa porcellana e allestiva il vassoio. La donna lo fissò e subito lo rassicurò.

“Sono solo stanca” rispose ricomponendosi “ora vai, e bada a ciò che ti ho detto”.  Andrè uscì dunque dalla porta.                                                        Facendo attenzione al vassoio, salì le scale e prese il corridoio alla sua destra dove, oltre la seconda porta alla sua sinistra, erano collocati i piccoli appartamenti della donna. Si annunciò con tre piccoli colpi, leggeri; Oscar venne ad aprirgli e lui ebbe appena il tempo di chiudere la porta e posare il vassoio in bilico sul palmo della mano prima che lei gli stampasse un bacio sulle labbra.

“Finalmente, Andrè” disse lei  arrossendo “finalmente sei arrivato...”

“Si, Oscar, sono qui...da ore aspetto questo momento...Ma dobbiamo stare attenti…” rispose lui sorridendo, le labbra ancora a pochi centimetri da quelle di lei “Nanny sospetta qualcosa….”

Lei lo ascoltò e per un momento parve rabbuiarsi.

“...Andrè, stai tranquillo. Non succederà nulla” rispose Oscar cercando di rassicurarlo.Lui le diede un altro bacio.

“Hai ragione, mi sono lasciato prendere...” le disse poi , allontanandosi per tornare  verso il tavolo sul quale vi era appoggiato il vassoio.              Prese la brocca, ne versò due tazze tornò da lei, rimasta ad aspettarlo.

“Grazie” disse, prendendo la sua tazza, annusando il profumo della cioccolata.

“Andiamo sul terrazzo?” domandò Andrè. Oscar annuì ed i due si avviarono, raggiungendo il piccolo tavolinetto esterno.

“Non scapperai via nel cuore della notte anche stavolta, vero?” chiese d’ un tratto Oscar, cambiando radicalmente argomento.                                   Andrè finì di bere la sua cioccolata. Attese che anche Oscar facesse lo stesso ed infine prese le tazze poggiandole sulla balaustra poi, guardandosi intorno, si spostò in un angolo dove nessuno poteva vederli e la baciò.

“Mi piacerebbe, Oscar. Ma sai benissimo cosa mi aspetterebbe se qualcuno dovesse scoprirmi qui” rispose.  I suoi bellissimi occhi verdi vennero per un attimo nascosti dalle palpebre.


“Che c’è?” chiese Oscar, stretta a lui.

“Lo sai: non potremo mai essere completamente liberi” rispose lAndrè. Lei allora si allonanò di qualche metro, dandogli la schiena e chinando il capo.

“Io sono pronta a rinunciare a tutto, per te, se mi vorrai. Anche a lasciare la mia famiglia...ma ci vorrà un pò di tempo” disse.

 Andrè la raggiunse ed incurante di occhi indiscreti la strinse forte a sè, poggiando il mento nell'incavo del collo, profumato di rose, iniziando a baciarla.                                                                                                                Non vi furono più molte parole: ben presto la passione si impossessò di loro.                                                                                                                        Erano ancora giovani, avevano sacrificato parte della loro vita e vissuto sempre dentro i ranghi...perchè non potevano essere felici?  Perchè? Perchè non vivere appieno ciò che di più bello vi era al mondo, l’ amore? 

                                                                                                                                        Oscar si spostò verso il letto. 

Andrè la seguì, iniziando a spogliarsi, anelando gli attimi che lo separavano da lei.                                                                                                              Fermatosi davanti al grande letto, la guardò stendersi ed attenderlo. 

                                                                                                                                                 La raggiunse, liberandosi degli ultimi orpelli.

Raggiunse la sua pelle, che sfiorò delicatamente con la punta delle dita; raggiunse la sua bocca, che saggiò con labbra morbide e carnose.

 Tutto era perfetto in lei: la prese tra le braccia e si perse in lei, in loro, in quel brivido, in quella follia che li avvolgeva nelle proprie spire fatte di spine e sospiri….finchè la gioia, la tenerezza ed infine il sonno li colse.


Furono svegliati nella notte.

Uno, due colpi.

 Forti.

 Come se volessero scardinare la porta. 

Si guardarono, gli occhi sgranati. 

Nessuno dei due osò parlare.

 

Preso dal panico, Andrè si rivestì in fretta e furia  e lo stesso fece Oscar ma...troppo tardi: suo padre era appena entrato.

 Pallido come un cencio, stretto nella vestaglia damscata e senza parrucca, li fissava; la bocca era tirata ed il viso che pareva una maschera di vetro in procinto di andare in frantumi. Dietro l' uomo,   entrambi scorsero lo strano ghigno di  Geneviève, la servetta che li aveva visti baciarsi la sera prima dietro la fontana.

 

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Capitolo 2
*** Memorie e dolore ***


9 ottobre 1788
 

Il generale era furente.

Non erano nemmeno passate quattro ore da quella cosa e lui aveva già smosso mari e monti: voleva una punizione esemplare per quel ragazzo che aveva accolto nel suo palazzo e che lo aveva ripagato così...e voleva punire anche Oscar: soprattutto verso la donna, carne della sua carne, provava rabbia e dolore e  non tanto per il fatto in sè ma perchè con il  comportamento sconsiderato della figlia i suoi sogni erano all'improvviso sfumati, volatilizzati. Non avrebbe più avuto il coraggio di farsi vedere in società ed anche la sua posizione nell'esercito ne avrebbe risentito. 

Più di una volta Madame provò a calmarlo. Anche quel mattino, mentre Nanny piangeva disperata ed Andrè era stato di fatto messo sottochiave nella sua stanza, provò a parlargli.

“Caro, io sono sconvolta quanto te” esordì con voce calma e pacata “ ma...sono adulti...e queste cose capitano più spesso di quanto si pensi” disse.

Il generale, che stava guardando fuori dalla finestra del suo studio, si voltò di scatto.

“Nelle altre famiglie, forse. Non nella mia” rispose, secco, lanciando un'occhiataccia alla moglie “...Ho sacrificato tutto per Oscar. Ho tramato conoscenze, tessuto circostanze, costruito inganni talvolta….tutto questo affinché lei, il mio erede, venisse legittimamente accettata. Doveva portare ulteriore lustro alla nostra famiglia ed invece...si è comportata come una donnicciola qualsiasi” rispose, livido di rabbia.

Madame si fece scura in volto ed anche il suo tono cambiò.

“Sai bene che non è così. Oscar ti è sempre stata fedele, ha obbedito senza mai mettere in discussione ogni tuo ordine. Non puoi trattarla in questo per una debolezza che, a mio parere, doveva accadere prima o poi”.

Il generale divenne paonazzo. Si avvicinò alla moglie con così tanta foga e rabbia in corpo che la moglie dovette spostarsi per non esserne travolta.

“Una debolezza? Trovarla in tale guisa e atteggiamenti con un servo lo chiami debolezza?” gli urlò in faccia. Fuori dalla porta, nel frattempo, la servitù approfittava dell’ assenza di Nanny e  ascoltava spiando, a turno, dalla serratura.Madame decise che non sarebbe stata zitta. Suo marito probabilmente aveva già deciso il destino di entrambi, ma tanto valeva parlare e tentare una mediazione.

“...Andrè non è mai stato considerato come un servo, e questo perchè lo hai deciso tu, quando arrivò qui dopo la morte di sua madre. A parte ciò… visto che sicuramente avrai deciso il loro avvenire, posso chiederti una cosa? Non denunciare Andrè alle autorità...Oscar ne morrebbe. E per lei.. sii clemente, ti prego!” disse.                                                  Il marito, davanti a lei, scosse il capo; stava per rispondere quando un gran trambusto fuori dalla porta attirò la sua attenzione. Si avviò per aprire, dunque..e si trovò davanti la nutrice.

“Perdonatemi, Generale. Mi permetto di disturbarvi per consegnarvi le mie dimissioni. Se mi darete il permesso, mi ritirerò a vita privata…” disse con le lacrime agli occhi ed il viso segnato dagli eventi di quelle ore.

“...Nanny, te ne prego, non complicare le cose” rispose il Generale con la confidenza che quasi cinquant’ anni di conoscenza potevano creare. Madame non disse nulla; mise un braccio intorno alla vecchia e la accomodò sulla poltrona.

“ Nanny tu...mi stai mettendo in una condizione piuttosto difficile. So che hai educato tuo nipote nel migliore dei modi, ma...sono costretto a punirlo. Cerca di capirmi” disse camminando avanti ed indietro e trattenendo la sua ira solo per rispetto all’ età della donna.

“Signore, voi siete il nostro padrone; potrete disporre di noi come credete” rispose Nanny.

Madame si avvicinò e le strinse la mano, forte. Poi la guardò, le strizzò l’occhio e parlò.

“...Reynard, svincola Andrè da ogni suo obbligo nei nostri confronti. Lascialo libero di andarsene, sigla dei vincoli, ma lascialo in vita” disse. La sfrontatezza della sua richiesta gli provocò per un attimo il timore di una nuova sfuriata , ma con sua enorme sorpresa non accadde nulla.

Nanny sospirò. Guardò Madame,si guardò in giro e  poi , come se una idea le fosse balenata in testa, si alzò, avvicinandosi all’ uomo e mettendosi in ginocchio.

“...Affidate a me Oscar. La porterò lontana da qui, per un pò. So che le avete tolto qualsiasi grado e avete già scritto al comando per una sua sostituzione...vi prego, vi scongiuro...lasciatela a me.” disse.

Il generale e la moglie si fissarono, sorpresi. 

Un lungo silenzio cadde poi nella stanza. Anche i singhiozzi di Nanny cessarono. Il Conte iniziò a camminare avanti e indietro, sbuffò, andò alle finestre e guardò fuori; incrociò le braccia davanti al petto, si voltò, guardò ancora le due donne...

“Sia” disse. 

Dopo un tempo che parve infinito, il Conte rispose. 

“...lascerò in vita Andrè ma dovrà andarsene immediatamente da questa casa. Quanto a Oscar, portala lontano da qui prima che questa faccenda diventi uno scandalo come temo avvenga, grazie alla nostra servitù…” disse. 

Le donne non potevano credere alle loro orecchie ed ai loro occhi.

Si guardarono, piangendo; un lungo sguardo, intenso.

 

“Prenditi cura di lei, Nanny. Lascia che si calmino le acque, nel mentre cercherò di fare ragionare mio marito” disse Madame; poi si alzò e andò in camera della figlia dalla quale uscì solo due ore più tardi, lasciando sola la nutrice ad osservare la partenza di Andrè, senza poterlo neppure salutare.


Parigi, lo stesso giorno, primo pomeriggio.

Andrè entrò nella caserma di Rue Chaussée d’ Antin, la caserma delle Guardie  Francesi, che pareva un fantasma. I pochi uomini presenti oltre a quelli di guardia, tra i quali Alain, lo osservarono filare verso le scuderie e poi uscire senza avere nemmeno un suo saluto.                             
“Ehi, Andrè, cosa è tutta sta fretta?” gli urlò l’ amico, l’ unico ad avere la confidenza necessaria per farlo. Andrè, che si stava dirigendo verso le scale che portavano agli alloggi, voltò il viso.

“Alain, ho molta fretta. Devo recuperare le mie cose ed andare via” rispose, senza mai fermarsi. Alain mollò ciò che stava facendo e dopo aver guardato le espressioni interrogative dei commilitoni si alzò e con grandi falcate raggiunse l’ amico.

“Che succede?” chiese, raggiungendolo e trattenendolo per un lembo della manica.  Andrè si fermò, in bilico sullo scalino, e lo fissò; sposto i capelli - che dalla fretta si era dimenticato di legare-   dietro le orecchie e fissò Alain.

“Il Generale ci ha….scoperti” disse, semplicemente.

Alain, che non era stato ancora aggiornato sulle novità su precisa richiesta di Oscar, riuscì comunque a capire ciò di cui stava parlando...li aveva osservati a lungo e non fu difficile arrivare alle conclusioni. 

“Calmati, Andrè. Calmati e raccontami come sono andate le cose” rispose Alain, sedendosi su uno scalino ed invitando l’ amico a fare lo stesso. Andrè indugiò un attimo, guardandosi in giro. Alla fine decise di imitarlo.

“Credo che per te non sia mai stato un mistero l’ amore che io provo per Oscar” esordì Andrè “ così come il fatto che io mi sia arruolato per lei, cosa che avrei fatto anche se il Generale non mi avesse obbligato”. Alain annuì e si strinse nella giacca, il viso serio forse per la prima volta nella sua vita.

“Ecco, Alain...stamattina il Generale ci ha scoperti… per farla breve, ha rinunciato a denunciarmi e di fatto mi ha salvato la vita, ma sono stato cacciato da palazzo...e non potrò nè tornarvi nè...vedere la mia Oscar” 

ALain proruppe in una risata che attirò su di sè l'attenzione delle persone presenti nei dintorni.

“Perdonami, Andrè, ma è una cosa che mi capita sovente….” disse

“Già, ma al massimo ti prendi le legnate da qualche marito geloso….io sono ...ero un servo, la situazione è diversa” rispose Andrè paonazzo di rabbia. Alain provò ancora a sdrammatizzare ma ben presto si rese conto che stava solo tirando la corda.

“Mi dispiace, Andrè… “ disse dopo un attimo “ ora cosa farai?”

Andrè si alzò e si sistemò la giacca. Infilò la mano in tasca, nel prese un nastro e legò i capelli.

“Prendo le mie robe e vado via… mi sono rimasti ancora alcuni amici in città...pensò andrò da Rosalie e suo marito Bernard “ disse.

“Bernard… il rivoluzionario?” chiese Alain alzandosi a sua volta.

Andrè annuì. 

I due uomini si osservarono senza dire nulla, poi raggiunsero insieme le camerate dove Alain aiutò Andrè a sistemare i suoi effetti.

“Mi mancherai, pivellino” disse quest’ ultimo caricandosi in spalla la sacca con alcuni vestiti ed alcuni libri. Nel frattempo, alcuni passi li raggiunsero: alla spicciolata, arrivarono i compagni  e tutti, senza chiedere nulla, salutarono Andrè osservandolo poi uscire dalla porta, in un silenzio irreale.



 

Palazzo Jarjayes, sera.

Nella grande tenuta, a parte il martellare lontano dei fabbri impegnati nelle scuderie, tutto era avvolto dal silenzio. Servitori, fattori e lavoranti vari vagavano silenziosi sia all’ interno che all’ esterno della casa, nel grande giardino, completando gli utlimi lavori. Oscar, dalla sua finestra, osservava il tutto; i suoi occhi, che avevano incessamente e disperatamente cercato un contatto con la realtà, ora parevano spenti, vuoti. 

 Il suo mondo era crollato.

Crollato inesorabilmente per causa sua, per essersi lasciata andare, per aver ascoltato il suo cuore. Tutto ciò che aveva costruito, la fiducia nei genitori, Andrè...tutto era perso.

 Tutto.

Si tastò la guancia, che ancora doleva dopo il manrovescio ricevuto dal padre come reazione a quanto aveva visto; si sfiorò le labbra, le braccia, le mani.

Cercò disperatamente di non pensare a come sarebbe stata la sua vita d’ ora in poi; era rabbiosa, triste, confusa.

Cosa ne sarebbe stato, ora?

Il padre era stato chiaro: tutto era perduto e lei non sarebbe mai tornata alla sua vecchia vita. Le aveva risparmiato la vita ed il convento, affidandola alle cure di una Nanny che ormai in quel palazzo non aveva più nulla da fare; dove sarebbero andate? Come avrebbero fatto a sopravvivere?Cosa ne sarebbe stato di loro?

La donna andò a sedersi sul letto, prendendosi la testa tra le mani. Osservò i bauli pronti accanto al letto, osservò l'enorme stanza e la divisa che mai più avrebbe indossato ed iniziò a piangere, lasciando andare il dolore che da troppo tempo teneva dentro sè.

“Oscar….” sentì poi, ad un certo punto, alle sue spalle.

Si girò. 

La madre.

“E’ ora di andare” disse la donna, il cui viso affranto mostrava come fosse stato rigato dal pianto per tutto il giorno,

Oscar si ricompose.Prese un mantello leggero, una delle sue vecchie spade e lo stiletto che il padre le  aveva concesso di portare con sè e si avviò incontro alla genitrice. Si fermò davanti a lei per un attimo, in cui i loro occhi si incrociarono,poi aprì la porta ed uscì nel corridoio. 

Nanny era già sulla carrozza. 

Lei l'avrebbe raggiunta presto.

Lungo il suo cammino, non incrociò nessuno; meglio così. Ebbe il tempo di osservare quella che era stata la sua casa e raggiunse la carrozza che la stava attendendo sul viale, mentre qualcosa dentro di lei moriva per sempre.

 
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Capitolo 3
*** Vie ***


 

CAP.3  Attesa

“...tu pensi che mi abbia mai cercata, Nanny? Pensi che Andrè sia vivo?” domandò Oscar in un raro momento di tranquillità.                           Dalla finestrella di quell’ unica camera un’ aria fresca arrivava al viso della donna,  donandole sollievo e muovendo leggermente i capelli.    La vecchietta, che si era appisolata seduta sullo sgabello, aprì gli occhi un pò confusa.

“Hai detto qualcosa, Oscar? Non stai bene?” domandò quindi, premurosa, il viso tirato.

Oscar, distesa su un fianco, la fissò con occhi spenti e tristi.                          
Il capo, sostenuto dal palmo della sua mano, pareva quasi ciondolare.    
“Mi chiedevo se Andrè sia  ancora in  vita… e mi domandavo perchè... non mi ha mai cercata... ” disse sospirando.                                               Poi, cambiò posizione e appoggiò una mano sul ventre, accarezzandolo dolcemente. Nanny non sembrò essere colta di sorpresa dalla domanda; chinò il capo fissando il  grembiule legato in vita.

“Mia cara bambina...Spero proprio che sia vivo, ne morirei se fosse successo qualcosa al mio unico nipote...e riguardo al fatto che non ti abbia cercata credo siano sorte difficoltà. Se ben ricordo, quando siamo partite Parigi assomigliava ad una polveriera pronta ad esplodere. Inoltre dobbiamo pensare a tuo padre, Reynier. Non credo gli abbia fatto del male ma può essere che ….“  

Oscar provò come un brivido.                                                                          
Per quanto suo padre fosse severo,conservatore e talvolta manesco, per quanto la faccenda lo avesse scosso...sperava non fosse arrivato al punto di fare del male ad Andrè. Di averlo ucciso. Riguardo a Parigi, invece….non poteva che dare ragione alla sua nutrice:  già da tempo, da moltissimi mesi, la città era nel caos. Come non ricordare, poi, il lancio di tegole a Grenoble l'estate precedente? E le diverse rivolta, qui e la, per la Francia tutta? La giovane donna si guardò intorno poi, si alzò; mise le mani dietro la schiena, che doleva, e iniziò a camminare. Erano passate alcune ore da quando tutto era iniziato, le contrazioni si facevano sempre più vicine. Ad un tratto, fatti pochi passi, avvertì la sensazione di umido e fluido percorrere le sua gambe.

“Credo che sia giunto il tempo, Nanny…” disse  senza quasi darci peso e scomporsi. Nanny si alzò e si recò nella grande cucina dove aveva già preparato tutto quello che avrebbe potuto servirle mentre Oscar continuava a camminare, cosa che fece finchè alcuni dolori più forti la costrinsero a stendersi.                                                                                     
Nanny arrivo pochi istanti dopo e,  con un certo imbarazzo, chiese alla donna che aveva cresciuta il permesso di esaminarla. Oscar, arrossendo, la lasciò quindi fare;   distese le mani lungo i fianchi e le sue dita strinsero forte fino a farsi male quella stoffa ruvida sotto di sè. 

“Non credo ci vorrà moltissimo” rispose Nanny in un misto tra preoccupazione ed agitazione, alzando lo sguardo. 

“bene…” rispose la donna cercando di restare calma.                                    
Il temporale aveva lasciato dietro di sè nubi scure ed un vento fresco; non era tardissimo, ma pareva che le tenebre avessero già inghiottito il mondo intorno a loro. Oscar chiuse gli occhi, provò a riposare, a rilassarsi...ma alla luce fioca di quelle poche candele intorno a loro, immagini comparvero ben presto davanti ai suoi occhi  come ombre cinesi, prospettando scenari nefasti che la lasciarono senza fiato e lanciarono il suo cuore a mille, tagliandole letteralmente il respiro.

“Oscar….non dovete fare così” le disse Nanny, vedendola impallidire. 

Aveva ragione: non doveva comportarsi così.                                                 
Ne andava della sua salute e di quella del piccolo.                                                                                           
Lei...lei era ancora un soldato, non una donna qualunque.                 
Avrebbe dovuto  affrontare l'ennesima battaglia, una battaglia per la vita - la sua e quella della creatura che stava per nascere - e non vi era tempo per sentimentalismi o piagnistei quindi...si fece forza.                            
Cercò di calmare il cuore ed i pensieri e ben presto tornò ad uno stato di relativa quiete: fu allora che, come le aveva precedentemente detto la nutrice,  il suo corpo iniziò a  guidarla. Senza sapere nemmeno le minime nozioni - che qualsiasi madre avrebbe condiviso con la figlia fin dall’ età della ragione - Oscar, o meglio il suo corpo si adeguò.                                                             
Lasciò fluire il dolore, cercò di controllare il respiro, cercò le posizioni più adatte, sentì il bambino farsi strada, cercare la luce.                        Nanny, accanto a lei l’ aiutava e , silenziosa, pregava che tutto andasse bene.                                                                                                                 Fu così ancora per un’ ora.                                                                                   
Un’ ora in cui Oscar ripensò ancora alla sua vita, al suo Andrè, al fatto che fosse sola. Un’ ora in cui Oscar maledisse suo padre e chiamò a gran voce la madre. Un’ ora in cui urlò tutto il suo dolore, e non solo quello dovuto al parto, ma quello che era fermo nella sua anima.

 

Guillaume Andrè Marie Philippe venne alla luce sano poco prima della mezzanotte del 14 luglio, ed urlò subito come un pazzo.                        Oscar non riuscì a trattenere le lacrime nel momento in cui Nanny, dopo una pulizia attenta, gli porse il bambino avvolto in fasce candide e la donna potè appoggiarlo sul suo seno, già pronto. Osservò i lineamenti ancora provati del piccolo. Osservò ogni centimetro di quella pelle così delicata, i pochi capelli che parevano grano maturo. Con un dito percorse il contorno di quel nasino e di quelle labbra ed, infine, lo riempì di baci.

“Spero che tuo padre possa vederti presto. Ti prego, Iddio: se non vuoi esaudire le mie già rare preghiere, ascolta quelle della povera donna che in questo momento è inginocchiata di fronte al crocifisso” mormorò, osservando Nanny;poi, tenendosi stretto il bambino, poggiò la testa sul cuscino.

Era distrutta. Stanca. 

La felicità di aver donato una vita, frutto di un amore, combatteva con la tristezza di non aver Andrè vicino. 

Guardò ancora quel fagottino rugoso e francamente un pò bruttino, lo osservò e riprese a baciarlo; infine lo lasciò a Nanny che, rialzatasi, veniva verso di lei e lo prese, posandolo nella piccola culla.  Subito dopo diede ancora una occhiata ad Oscar.                                                     “Sei stata bravissima” le disse Nanny una volta finito,  asciugandosi le mani nel secchio di acqua tiepida li accanto.                                           I suoi occhi osservarono ancora quella scena, così semplice tenera eppure così potente... poi tornò in cucina, lasciando a  quella nuova famiglia un pò di quiete. Era stanca anch’essa quindi Nanny si lasciò cadere, di peso, sulla vecchia poltrona e subito si addormentò, senza nemmeno accorgersi delle voci concitate che giungevano dal villaggio distante meno di un paio di migliaia di tese*.

 

Parigi, notte tra il 14 ed il 15 luglio.

Bernard ed i suoi, un manipolo di uomini sopravvissuti a quella giornata della quale - chi più, chi meno- portavano ancora i segni, avevano ormai esaminato il centro di Parigi in quasi ogni sua viuzza, anfratto, bettola...ma di Andrè, nessuna traccia. L’ ultima volta, Bernard lo aveva visto in mezzo alla folla,  vestito con una camicia bianca alla quale aveva arrotolato le maniche; a spalle  portava un drapeau française * e aveva tra le mani un fucile. Era insieme a Pierre ed Hugo, i cui corpi però erano stati trovati, martoriati, a fianco di una fossa comune...mentre di lui nessuna traccia.

“Bernard, dove potrebbe essere?” gli domandò Rosalie, anch’essa stanca e stravolta. Il marito di voltò nella sua direzione e allargò le braccia, sconsolato.

“Non lo so, Rosalie. A questo punto...mi sto rassegnando” rispose con voce stanca. Il chiarore delle fiaccole illuminò i loro volti stanchi. Rosalie si prese il viso tra le mani, iniziando a singhiozzare; il marito quindi si avvicinò a lei, cercando di consolarla.

“Dovunque sia, speriamo che sia vivo” rispose; poi, fece un cenno ai suoi.

“....Riprendiamo domattina!” disse, semplicemente, senza aggiungere altro; gli uomini allora si divisero, tornando chi alla taverna chi a casa. Rosalie e Bernard rimasero quindi a salutare tutti poi, a loro volta, si incamminarono mesti. Manipoli di uomini dormivano ai lati delle strade, sporche di terra e sangue; altri, ubriachi, facevano sentire il loro vociare qualche centinaio di metri più in là. La solita pletora di mendicanti dormiva sotto il ponte praticamenti ignari degli avvenimenti mentre sopra di esso, fermo nel bel mezzo ad un ponte, vi era un carretto malcondio ed  un uomo stava gettando in acqua...qualcosa.  Bernard, curioso, si avvicinò; dal carretto proveniva una puzza tremenda che gli fece contorcere lo stomaco.

“Buonasera, cittadino...che stai facendo? Serve aiuto?” chiese Bernard, curioso.                                                                             Rosalie si mantenne a debita distanza.                                                             
L’ uomo, apparentemente sulla trentina, si stava sporgendo sul ponte, osservando l’ acqua. Quando senti quella voce estranea trasalì e si voltò di scatto.

“Sto dando degna sepoltura ai nostri fratelli” disse levando, con un ampio gesto, il telo che copriva il contenuto del carretto. Bernard impallidi fissando con occhi sgranati la montagna di membra e cadaveri, e  non riuscì a frenare ciò che saliva dal suo stomaco.Dovette correre lontano per liberarsi prima di affrontare ancora la scena davanti a sè.

Cadaveri. adaveri perlopiù mutilati di gente comune, ammassata come stracci vecchi.Arti.Carcasse di animali.

Bernard fissò quella scena ancora una volta e, subito dopo, l’ uomo i cui occhi sporgenti sembravano voler uscire dalle orbite; ne ascoltò la risata salire dalle viscere. Era disumana.

“Ti lascio fare” disse allora, terrorizzato. Voleva allontanarsi.              
Quell’ uomo gli stava mettendo paura.

Il pazzo non disse nulla. Così come stava facendo pochi attimi prima di essere fermato, riprese a raccogliere ciò che il suo mezzo offriva; si caricò a spalle i poveri resti di una donna e li gettò, senza cerimonie, nellì’ acqua.

Bernard osservò Rosalie, le fece cenno di iniziare a camminare; a sua volta, fece la stessa cosa. Prese quasi a correre, raggiunse la donna; nelle narici aveva ancora quell’ odore acre.

“Andiamo via” le disse una volta arrivato, prendendola sottobraccio; infine, si girò un'ultima volta e fu allora che lo vide.

Quella massa scura appena sotto la donna volata per il ponte...era lui. Andrè. Lo avrebbe riconosciuto in mezzo a tutti. Il suo corpo giaceva disteso, un braccio penzoloni, quasi fuori dal carro.

“Andrè!” urlò con tutte le sue forze “Andrè!!!”

Prese a correre.

L’ uomo quasi si spaventò vedendolo tornare e , d'istinto, si mise in mezzo tra Bernard e il suo prezioso carico.

“Non farlo. E’ un amico” disse Bernard, spostandolo di peso.

“Tanto è già morto.” rispose il pazzo, davanti a lui, alzando le spalle. Dalla sua bocca uscì un tanfo nauseabondo.

“Lasciamelo” disse Bernard, superandolo, avvicinandosi ad Andrè.

“Se proprio ci tieni, fai pure” rispose allora l’ altro.

Bernard toccò Andrè. Non era freddo, anzi. 

Lo osservò. 

Coperto di sangue, i capelli appiccicati al volto, gli occhi chiusi… Andrè pareva un fantoccio. Bernard cercò di ascoltarne il respiro ed al contempo posò una mano vicino alla gola.

Il cuore batteva. Debole, ma c’era.

Senza cerimonie  e con una forza che non pensava di avere Bernard prese Andrè e se lo caricò a spalle. Con il senno di poi non riuscì a spiegarsi tale atto, ma in quel contesto e momento non pensò al peso ed alla mole di Andrè: lo fece e basta.

“Rosalie, andiamo a casa” urlò alla moglie. Per fortuna, l'abitazione non era molto distante da li.

 

Qualche ora più tardi

“Credi si salverà?” chiese Rosalie entrando della piccola camera posta sul retro della loro abitazione, dove vi era il cortile. Il marito sollevò gli occhi dal petto di Andrè.

“Non lo so. Le ferite ci sono, e sono profonde...ma per fortuna, non sono da attribuire ad armi da fuoco… credo che l'unica ferita di nota sia al braccio e non penso possa essere mortale. Ma non sono un medico. Finchè non lo vedranno...non so che dire. In ogni caso respira, lentamente, ma lo fa” rispose d’ un fiato mentre lo puliva.

Rosalie osservò il corpo inerme di Andrè, la sua pelle martoriata, sangue ovunque...così lontano dalla figura prestante e dal portamento fiero di quel ragazzo conosciuto molti anni prima.

“Va a dormire, cara” le disse il marito, ponendole un braccio intorno alle spalle e posandole un bacio tra i capelli “ starò io con lui “. Rosalie annuì. Stanca, si trascinò nel salottino che il marito usava come studio, stendendosi sull’unica chaise longue presente poi, in men che non si dica, si lasciò avvolgere dalle braccia di Morfeo.

Bernard rimase a fissare Andrè. Fosse stato religioso, si sarebbe messo in ginocchio implorando qualsiasi Dio di salvare il suo amico, in cambio di qualsiasi cosa. Ora, restava solo da trovare Alain. 

 

Generalità di Strasburgo

Nella piccola casa ai margini del bosco, Nanny si svegliò di soprassalto. Quelle voci che, due ore prima, non aveva colto si erano fatte vicine. Ben presto, avvertì chiaramente dei passi e subito dopo dei colpi vigorosi alla porta preannunciarono un arrivo non calcolato.

“Aprite, signora” disse una voce femminile dall'accento ... rude.

Nanny, timorosa, afferrò la prima cosa che trovò e si avvicinò alla porta.

“Chi siete?” domandò, prima di aprire.

“Amici. Non si preoccupi, non voglio farle alcun male. Mi chiamo Therese” rispose la voce.

Nanny aprì piano la porta. Spiò dalla fessura che aveva creato.  Quella voce sembrava dire il vero; davanti a sè aveva una donna dai capelli scuri, vestita come una contadina. In mano aveva un forcone e dietro di lei si scorgeva una figura maschile.

“Lui è mio figlio Antoine. E’ venuto con me per proteggermi...siamo venuti qui per avvisarvi che alcuni soldati stanno mettendo a ferr'e fuoco i villaggi vicini...dovete fuggire, ripararvi” disse.

Nanny spalancò la porta.

“Soldati? E perchè mai?” chiese.

“A Parigi dicono ci sia stata la rivoluzione, pare. Il figlio del fabbro, in paese, è arrivato poco fa, stremato. Eì stato lui a vedere quella truppa di sbandati... Dicono sia gentaglia, forse fanno parte di qualche gruppo che si è sciolto e sta scappando.” rispose la donna.

Nanny afferrò subito la situazione.

“Entrate” disse alla madre ed al figlio. I due fecero alcuni passi e si portarono in casa.

“Grazie per averci avvisato” disse Nanny, le mani sui fianchi “ ma temo sia inutile. La mia pad-...mia nipote ha appena dato alla luce un figlio” .

Therese si guardò intorno.

“...Dovete assolutamente muovervi, vi daremo una mano” disse.                   
Il volto si era colorato, era agitata. Il figlio, un ragazzotto di una quindicina di anni, era silenzioso e continuava a tenere occhi ed orecchie tese.

“Maman...dobbiamo sbrigarci. Papà ci aspetta” le disse solo, ad un certo punto. La donna annuì e si rivolse con lo sguardo alla nutrice; poi si avviò verso la porticina.

“...Sbrigatevi, signora. Vi manderò mio marito, se volte” disse ancora,spronando Nanny ad una decisione. Dall’ altra stanza, tutto parve tacere.

“Dateci una mano, verremo con voi” rispose allora. In un lampo, poi, sparì nella stanza dove Oscar si era addormentata con il piccolo.

 
POI * La tesa è una unità di misura pari a 1,950 metri Drapeau Française: la prima bandiera con il tricolore

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Capitolo 4
*** En désordre - Andrè, parte I ***


Paris- Pas de Calais, hiver et printemps 88/89

Andrè aveva vagato per molti giorni, prima di arrivare a Parigi.               
Le parole del Generale erano state chiare: doveva lasciare quella casa e possibilmente anche il Paese...ma lui, questa ultima cosa, non aveva la minima intenzione di farla. Non era un pupazzo di cui disporre, aveva accettato quella punizione senza fiatare per salvare Oscar da ben più gravi azioni, ma ciò bastava e avanzava: lui non voleva lasciare la Francia nè tantomeno la sua donna, proprio ora che si erano ritrovati.Avrebbe trovato una soluzione. Si, lo avrebbe fatto. Avrebbe lasciato passare un pò di tempo e poi, magari, si sarebbe fatto aiutare da Alain e qualcosa si sarebbero inventati:
“forse potrei introfularmi di nascosto a palazzo e parlare con mia nonna” aveva detto un giorno, pieno di speranze, ad Alain . 

Forse fu la fretta, forse l’ amore che lo accecava...ma non pensò affatto, nemmeno per un attimo,  che il Generale  potesse aver già disposto altro e quando una ventina di giorni dopo riuscì ad arrivare ai cancelli sul retro del palazzo, ebbe una grandissima brutta sorpresa a non vedere nessuno, nemmeno la nonna.                                                                 Le finestre erano sprangate, il giardino non curato. 
Nessun nitrito arrivava dalle scuderie, non c’era il vociare delle cameriere e delle lavandaie, ed i bambini, i figli di Pierre e Mathilda, non si sentivano.

 Alzò le mani impotente, Andrè, poi le appoggiò a quel ferro pesante, graffiandosi. 

“Stupido!” urlò, rivolto a sè stesso. Alain, di qualche passo indietro, abbassò il capo: non voleva infierire sull’ amico.

“Vieni, Andrè, andiamo” disse solamente alcuni minuti più tardi, a bassa voce.Andrè sollevò lo sguardo, si asciugò le lacrime.                                              
Per la prima volta sembrò davvero rendersi conto di ciò che era accaduto.Alzò il bavero del mantello. Guardò  ancora quella costruzione.

E’ davvero finito tutto così?  disse, dentro di sè. I giorni passati a rincorrerci su quel prato...a cavalcare, ridere, bere… i nostri interminabili duelli, sotto il  sole e perfino sotto la neve….è tutto finito?   E quelle carezze, le nostre prime carezze,  quei baci…! Oscar, perchè, perchè siamo nati in due mondi diversi?  continuava a ripetere.

 

“Andrè...Andiamo, forza. Sta arrivando qualcuno.” disse Alain, poggiandogli una mano sulla spalla. Andrè sembrò non reagire subito , immerso nei suoi pensieri. Quando però l'amico lo scosse,  sembrò riprendersi dal torpore  e lo fissò.

“Guarda, laggiù: sta arrivando qualcuno a cavallo” disse quest'ultimo, indicandogli il gran polverone che si poteva notare a meno di una tesa. 

“E’ troppo tardi per scappare, nascondiamoci laggiù” disse quindi Andrè osservando l’ incedere veloce. Si girò e seguito da Alain saltò il piccolo fosso ad un paio di metri da loro.                                                                 
“Chi pensi possa essere?” domandò Alain a bassa voce dal nascondiglio di sterpaglie e tronchi. I cavalieri si stavano pian piano avvicinando. “Non saprei..non riconosco nessuna cavalcatura in particolare” rispose Andrè, cercando di riconoscere almeno le voci. 

Rimasero in silenzio, dunque, lasciando che i cavalieri si avvicinassero: solo allora riconobbe l’ attendente del generale.                                         
“....C’è nessuno?” chiese un ragazzo a quest'ultimo, un uomo sulla cinquantina, che stava spiando all’ interno della tenuta.

“Così pare ” rispose. Il cavallo faceva un pò le bizze, probabilmente fiutando gli altri altri cavalli poco lontano da li “tutto sommato, il generale ci ha chiesto di controllare bene. Non torneranno presto, qui...anzi, non so nemmeno se ci torneranno mai” 

“Che intendi dire, Etienne?” chiese il più giovane, sistemandosi il tricorno,

L’ uomo sulla cinquantina girò il cavallo nella direzioni in cui Alain e Andrè si erano nascosti, scrutando in quella sorta di boschetto.

“Il Generale non tornerà in Francia per un pò. Sai com’è: fedeli finchè morte o i guai non ci separino. Ha fiutato l’ aria e poi...beh, pare che la figlia se la intendesse con un servo, quindi l’ha spedita non so dove e lui è fuggito, con la moglie. La servitù lo ha seguito” disse ridacchiando.

Andrè dovette mordersi la lingua per non urlargli contro ed alzarsi; paonazzo, colmo di rabbia, rimase zitto finchè i cavalieri non tornarono sui loro passi.

“Maledetto” mormorò non appena si furono allontanati.

“Brutta storia, amico mio” disse di rimando Alain.

 

Così, in preda alla disperazione più totale, era tornato a Parigi e si era fiondato da Bernard raccontando le proprie vicissitudini; Rosalie tanto per cambiare aveva pianto tutte le sue lacrime. Andrè iniziò quindi la sua nuova vita, per così dire:  la mattina lavorava nei mercati facendo lavori di fatica, il pomeriggio aiutava Bernard al giornale e le notti, quelle, le passava a bere. Conobbe anche qualche fanciulla, alla quale regalò qualche bacio mosso più dal vino che dall’ ardore ma mai, mai cedette il suo corpo ad alcuna che non fosse Oscar. Tornava a casa la mattina, giusto due ore prima di iniziare il lavoro. 

Giorno dopo giorno. Settimane dopo settimane. Mese dopo mese.

Di Oscar non aveva più avuto notizie;la cercava ogni giorno, in ogni sguardo, in ogni donna, in ogni luogo; si raccomandò anche ad amici e conoscenti che di quel tempo si mettevano in viaggio, implorando di tenere gli occhi aperti. Arrivò persino ad interpellare alcune delle sue sorelle, le uniche che vivessero a Parigi, ma anche loro non            l’ aiutarono anzi; gli chiusero la porta in faccia.

Poi...una sera - Andrè, ubriaco, vagava da almeno un’ora alla ricerca dell’ abitazione di Alain, che lo stava ospitando-  si trovò ad ascoltare dei passi che lo misero sul chi va la; non ci volle molto a capire che potevano essere guai, infatti...

“Lasciatemi” farfugliò Andrè  staccandosi le mani  -che riconobbe essere quelle del generale -  di dosso “... ho fatto ciò che mi avete chiesto, sono sparito... ma poi...voi non eravate fuggito? “ disse con voce impastata.   Gli occhi dei due uomini quelli freddi del generale e quelli gentili di Andrè, si incrociarono. Non sembrò per nulla sorpreso del fatto che Andrè sapesse cosa avesse fatto in tutto quel tempo.

“Ti avevo detto di lasciare la Francia. Non voglio che tu resti qua. Hai già fatto danni” disse con voce ferma, senza scomporsi minimamente. La sua voce era ferma. Severa. Fredda.

“Non potete pretenderlo. Non sto facendo nulla di male” rispose l’ ex servo di casa Jarjayes avvicinandosi a pochi centimetri dal viso del Conte.

“Puzzi come la carcassa di una capra” disse quest’ ultimo  facendo una smorfia, allontandolo “ In ogni caso...ricordati ciò che ti ho chiesto. Non ti lascerò altro tempo, non sono abituato a trattare.  Tu qui non ci devi stare,  hai già rovinato la vita mia e l'hai rovinata ad Oscar” 

Andrè sgranò gli occhi.

“Io e Oscar ci amiamo, Generale” ebbe l'ardore di dire “ e voi non potete nulla. Tra pochi mesi la nobiltà sarà messa al bando e lei...si ritroverà senza nulla. Le vostre teste rotoleranno per le vie di Parigi... Io..Oscar...non smetterò mai di cercarla” rispose.                                            
Un conato di vomito lo prese, provò ad appoggiarsi al muro ma...all'improvviso iniziò a sentire su di lui alcuni colpi.

 Calci, pugni. 

Ciò che aveva nello stomaco si riversò accanto alle scarpine di raso del Conte de Jarjayes, cosa che fece montare il lui ancora più rabbia, ed i colpi aumentarono, sempre di più.André crollò:prima di chiudere gli occhi, notò altre due figure accanto al generale. Poi, il buio.                                                                   

Quando si risvegliò, pieno di dolori, si trovò nella stiva di una nave.

Si levò in piedi, spaventato; attorno a lui barili, sacchi, bottiglie di vino. Un oblò si materializzò alla sua vista e lui corse subito in quella direzione, accertandosi che la nave si trovasse ancora in porto : così fu, quindi tirò un sospiro di sollievo. Si trovava a Calais.                                    
Piano piano camminò verso quella che poteva essere una uscita; non vi era nessuno, a controllarla e prese quindi il corridoio , poi le scale...e salì sul ponte, dove vide alcune persone passeggiare. Non vi era traccia nè di soldati nè del conte, forse impegnati nella cena, prima di salpare; si avvicinò alla balaustra quindi e senza pensarci ulteriormente si gettò in acqua.

Era gelida e ci mise un attimo a riprendersi e capire dove fosse poi, con grandi bracciate, guadagnò la riva. Fece appena in tempo a risalire sulla pietra bagnata: una pallottola sibilò accanto a lui.Iniziò a correre forte, sempre più forte: Jarjayes aveva appena iniziato la sua caccia e non si sarebbe conclusa tanto presto.        

Vagò a lungo. Ancora una volta il suo destino lo mise in mezzo ad una strada ; ancora una volta, decise di affrontarlo a muso duro. Ben presto, erano forse passati due giorni di cammino senza sosta, si ritrovò a Saint-Omer: troppo lontano da tutto, persino da Arras,   si lasciò andare e cadde riverso sul bordo della strada. 

“Andrè, sei tu? Andrè! ” si sentì chiedere da una voce, lontana. 

Aprì gli occhi.

“...chi siete?” domandò.

I suoi occhi si aprirono, lentamente.
Davanti al suo viso trovò Fersen.   


 

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Capitolo 5
*** En désordre- Andrè et Oscar, parte II ***


 

Parigi, primavera  1789

“Ora che intendete fare, Andrè?” 

Seduti al tavolo di una locanda sulla strada che conduceva a Parigi, i due uomini sorseggiavano del vino osservando i dintorni e l'andirivieni di persone di ogni genere.
“Tornerò a Parigi e starò tranquillo per un pò. Jarjayes non mi deve trovare” rispose l’ altro.
Fersen annuì.
“Mi auguro che possiate trovare la vostra Oscar quanto prima, anche se non sarà facile. Il Generale Jarjayes è sempre stato un fine stratega ed è conosciuto per questo. Oscar potrebbe essere ovunque” rispose.
Andrè non potè far altro che dargli ragione.
“Lo so, sono cresciuto in quella casa. Sapete, non credevo potesse arrivare a tanto... Mi ha sempre trattato come un figlio...mi ha persino permesso di accedere agli studi , con gli stessi precettori di Oscar….”

Fersen annuì e  tornò a bere il vino rimasto nel bicchiere, poi lo poggiò sul tavolo davanti a sè.
“E’ pur sempre un nobile…” buttò lì il Conte, quasi a difesa “ ed è logica la sua reazione...con ciò non è mia intenzione dire che accetti il suo comportamento ma...dovete capirlo” .
Un bicchiere di nuovo colmo di vino andò a toccare le labbra dello svedese.
“...Avete ragione. Forse, mi ero fatte troppe speranze” rispose semplicemente Andrè “ in ogni caso...trattare così sua figlia…”
Fersen si alzò, invitando Andrè a seguirlo, con un cenno del capo. Iniziarono quindi a passeggiare, lentamente , come due vecchi amici. Ad un tratto, Fersen si fermò accanto ad un piccolo stagno.
“Posso aiutarvi a trovarla, Andrè. Ma non posso garantirvi la riuscita, naturalmente. Devo pur sempre mantenere il mio status” disse d’ un fiato, abbassando gli occhi quasi si vergognasse di aver pronunciato ad alta voce l’ utlimo pezzo di quella frase.

“Voi sapete dove potrebbe trovarsi?” chiese Andrè con il cuore in gola, trattenendosi dall’ urlare.
“No. Ma posso pur sempre avvicinarmi a qualcuno, a Versailles...Naturalmente non potrò avvicinarmi più di tanto a certi ambienti  ma posso comunque provarci.
”Andrè rimase di stucco. Fersen...colui che per anni considerò il suo rivale, l’ usurpatore del cuore di Oscar...ora lo voleva aiutare?
“Perchè lo fate?” chiese, dunque.
Fersen lo fissò negli occhi.
“Sono in debito con lei. Inoltre...mi auguro che almeno voi, in questa vita, possiate essere felici” rispose prima di girare i tacchi.

 

Fersen fu di parola.

Una volta arrivati a Parigi, Andrè si presentò dai suoi vecchi amici. Necessitava di un nascondiglio e ne aveva bisogno quanto prima: Jarjayes, anche se non di persona, avrebbe potuto mandare i suoi a dargli fastidio o toglierlo di mezzo. Ormai...quel vecchio aveva completamente perso la ragione ed Andrè non aveva intenzione di dargli soddisfazione; non tanto per la paura che potesse capitargli qualcosa ma per lei. Per Oscar.

Passate alcune settimane, Fersen incontrò quindi Andrè e lo fece in una locanda.
Lo trovò in un angolo della grande stanza, lontano dal focolare, con il cappello calato quasi a coprire il viso. Andrè ed Alain non faticarono a riconoscerlo seppure fosse sotto travestimento.
“Mi dispiace avervi distolto dalla vostra riunione” disse il conte , senza aggiungere altro. Non era li per discutere di politica, ma solo per Oscar.  Andrè ed Alain lo salutarono con il nome fittizio che avevano concordato tramite una serie di biglietti ed una cameriera amica di Alain.
“Nessun problema. Ditemi, l’ avete trovata?” 
Andrè aveva occhi accesi, iniettati di sangue.
Molto probabilmente non aveva nemmeno dormito granchè da quando si erano lasciati con questa promessa. Fersen posò una mano su quella dell’ uomo.
“Si, Andrè. L’ ho trovata” rispose, sorridendo. 

Andrè si sentì..rinascere. Una selva di emozioni cominciarono a smuovere ogni sinoglo centimetro del suo corpo. Il cuore parve uscire dal petto.
Oscar era viva!
Molto probabilmente era lontana, ma viva! Tutto sarebbe stato possibile, ora: ritrovarsi e finalmente ricominciare a vivere.
“Ditemi, dunque” disse con voce tremante. 
Alain, al suo fianco, cercava di mantenere la sua solita maschera  ma si poteva notare un luccichio nei suoi  occhi.      
Fersen attese che la cameriera portasse il vino ed il cibo che avevano ordinato; poi, si guardò in giro.
“Siete proprio sicuro che qui...è possibile parlare?” chiese Fersen.
Alain rispose al posto di Andrè.
“Si, signore. Qui, quelli come voi di solito non entrano, quindi non vi è pericolo che qualcuno legato al vecchio pazzo ci ascolti. Al massimo, possono farle le scarpe….” rispose.
Fersen passò oltre le parole di Alain.
“Andrè, la vostra Oscar si trova lontana, ma è comunque in Francia. Si trova nella Generalità di Strasburgo...è con vostra nonna” disse.
Andrè, che in quell’ istante stava iniziando a mangiare, lasciò cadere la forchetta. I suoi occhi fissarono il piatto.
Fersen sorrise.
“Posso portarvi da lei, se lo desiderate” disse.
Andrè chiuse gli occhi: l’ avrebbe rivista. Magari a breve.
“Ora mangiate” disse Fersen dando una sonora pacca alla schiena dell’amico “ festeggiamo. Più tardi parleremo del resto”.     

Alain e Andrè si guardarono.
Increduli, non riuscirono nemmeno a parlare: troppa era l’ emozione dell’ uno e dell’ altro, nel sapere di Oscar viva e vegeta e probabilmente al sicuro e per Andrè la gioia fu doppia: vi era anche la nonna, con lei, unica superstite della sua sfortunata famiglia.

 

  Generalità di Strasburgo, 5 agosto 1789

Da quella notte concitata in cui il piccolo Guillame vide la luce, passarono parecchi giorni. 
Therese, la donna che le aveva accolte salvandole da quelli che si erano rivelati disertori di un esercito non ben precisato, le aveva ospitate  nella propria casa dove del resto si trovavano ancora: non era sicuramente una situazione ideale ma almeno, li, vi erano due uomini a dare una mano. Oscar, per quanto si fosse ripresa - grazie anche ad un fisico temprato dalle vicissitudini e dal lavoro di una vita - doveva occuparsi del piccolo Gil , un bambino che da subito si era dimostrato vivace e che poco tempo le lasciava per dormire; non poteva quindi unirsi ai due uomini nella costante guardia alla casupola...e le sue giornate passavano  in lunghe passeggiate e faccende di casa.

Spesso, sul calare della sera, si intratteneva con Therese, la quale si era rivelata una persona completamente diversa dalla semplice contadina che le si era presentata innanzi parecchie sere prima; discorrevano di tutto e di più.
“...Anche io avevo una vita simile alla vostra, sapete?” disse una sera la donna.
Oscar se ne stava seduta su una coperta insieme al figlio, lo sguardo attento ad ogni suo movimento; a sentire quelle parole, i suoi occhi si alzarono da punto in cui si trovarono per fissare quelli della donna, incredula
“Che intendete dire?” domandò, curiosa, accarezzando il viso del neonato.
Therese finì di stendere i panni e posò la cesta, poi la raggiunse. Il marito ed il figlio erano intenti a lavorare l'orto e Nanny sonnecchiava seduta su una panca di legno.
“Mia madre apparteneva alla vecchia nobiltà, la sua famiglia era vecchia di secoli. Sposò mio padre, un suo pari, per amore; la nostra, per un certo tempo, fu una vita felice...ma ben presto le cose cambiarono” disse. Oscar non potè che manifestare la sorpresa sgranando gli occhi.
“In che modo?” domandò.
Therese si sistemò i capelli , tolse la cuffietta che indossava e li lasciò liberi.

“Un giorno, mio nonno decise che era ora di farmi sposare ad una persona di sua conoscenza. Ma io… non volevo finire la mia vita accanto al un vecchio lascivo che a cui ero destinata... Ero giovane, piena di sogni...avrei voluto fare l’ astronoma, penste... così scappai. Scappai senza sapere dove andare ma imparai alla svelta come sopravvivere: cercai lavoro in una delle tante locande e riuscii ad avere i soldi almeno per mangiare e dormire ” disse.
Oscar, silenziosa, attese il resto del racconto.
“....poi, un giorno, conobbi colui che ho sposato. Un bravu’uomo, lo amo sinceramente e lui ama me. Il resto...lo vedete davanti a voi” concluse la donna.

Oscar rimase ancora un attimo in silenzio, indecisa se condividere la verità con quella persona o meno.
Osservò Nanny, osservò il bambino.
Parlare liberamente poteva rappresentare un pericolo; e se fossero emissari del padre? Che fine avrebbe fatto?Indugiò.
Gil si era ormai addormentato; aria fresca arrivava dal bosco.
Si alzò, prendendo delicatamente il bimbo con sè; con la mano libera raccolse la coperta e poi fece alcuni passi, posandola accanto a Nanny che si svegliò.
“Nanny, potresti tenere Gil con te, un attimo?” le chiese allora, a quel punto; la vecchia assentì. Dopo aver dato un bacio al piccolo, iniziò a camminare.
“Venite, Therese” disse voltandosi in direzione della donna “ debbo raccontarvi una storia”.

Aveva deciso.
Voleva fidarsi, era stanca di vivere nei suoi segreti.
Forse sarebbe stata una mossa azzardata; ma l'istinto, la pancia, diceva il contrario.Quando furono lontani dalla casupola, appena dentro il bosco, Oscar iniziò a parlare.
“...Io non sono scappata, mi ci hanno costretta, portata di forza, qui” esordì. “Appartengo ad una delle famiglie nobili più vecchie della Francia,  il mio nome completo è Oscar François de Jarjayes”.

Therese la ascoltò con attenzione.

“...Sono stata cresciuta come un uomo per continuare la tradizione di famiglia, ovvero continuare la stirpe di Comandanti Reali; ho vissuto a Versailles, ho conosciuto da vicino la Regina, ho servito fedelmente la Corona. ”
“Ho sentito parlare di Voi. Vivrò anche al limitare del bosco, ma vi assicuro che le voci arrivano anche qui, tanto più se riportano qualcosa che vada al di fuori dell'ordinario come può essere una vita simile alla vostra” la interruppe Therese. Oscar annuì.
“...Scusatemi ma...perchè vi hanno costretta?” chiese, poi, la contadina.

Oscar rimase in silenzio fissando le punte dei piedi.
“Ho deluso mio padre, esattamente come avete fatto voi. Mi sono innamorata del mio attendente, Andrè...il nipote di Nanny, la mia nutrice. Siamo cresciuti insieme, sin da piccoli;  è sempre stato al mio fianco.  Ci siamo innamorati...lui è’ il padre di Guillaume” concluse.

Therese guardò Oscar. 

“Lui...lui dove sta, ora?” domandò.Oscar sospirò.
“Non ne ho la minima idea, Therese. Mio padre non lo denunciò alle autorità, ma lo cacciò di casa...e temo che non sia nemmeno finita li; forse lo ha punito, non saprei. Non sa nemmeno del figlio, ho scoperto di essere gravida solo dopo essere arrivata qui” rispose.
Si passò una mano nei capelli; alzò gli occhi al cielo.
Stava facendo buio. Si alzò ed iniziò a camminare sulla via del ritorno.
“...Non preoccupatevi, Oscar, saprò mantenere il vostro segreto” disse Therese, dal nulla,  seguendola. Non chiede niente altro, non volle sapere nulla. In quel momento erano semplicemente due donne , ognuna con i propri trascorsi, unite da un destino simile che le aveva allontanate dai rispettivi mondi. Tanto bastava.

Quando rientrarono, la casupola era immersa nel silenzio; gli uomini si erano ritirati in casa, così come Nanny ed il piccolo.
Un altro giorno volgeva al termine, un altro giorno sarebbe iniziato.

Senza Andrè.
Lontano da lui.
Un altro giorno pieno di dolore.

 

Quella notte, dopo aver allattato il piccolo, prese carta e penna ormai dimenticate sul fondo di un vecchio sacco che aveva portato con se e iniziò a scrivere.
Non voleva più aspettare


 

Paris, 9 agosto

Andrè si svegliò in una stanza che subito riconobbe: era la stanza da lui occupata a casa di Bernard, parecchio tempo prima. Quando aprì gli occhi era in realtà sveglio da un pò ma aveva lasciato che i sensi si mettessero in moto, per così dire, senza forzarli; aveva ascoltato rumori, suoni e parole giungere dall’ esterno prima di tornare al mondo.
In un angolo della stanza vi erano i suoi abiti lisi, rattoppati, amorevolmente piegati ed appoggiati su di una sedia. Accanto a questa una struttura in metallo sosteneva un bacile ed una brocca e li vicino, su di una poltrona, sonnecchiava Rosalie.

“...Ro...Rosalie….” disse, sforzando un pò la voce roca.

La donna parve ridestarsi; si mosse, aprì gli occhi.

“Andrè! Andrè!” urlò, chiamando al contempo il marito.
Lui sorrise, abituato fin da sempre alle scene della donna; nel mentre, arrivò Bernard.
“Amico mio! Come stai?” chiese avvicinandosi al capezzale dell’ uomo. Andrè cercò di mettersi a sedere.
“Tutto rotto….” rispose, osservandosi le mani e le gambe seminude, scoprendosi da quel lenzuolo leggero.
“...Immagino! Il dottore ti ha visitato parecchie volte , eri conciato male. Hai avuto la frebbe alta per un pò...ma per fortuna le ferite non hanno leso organi interni o portato infezioni. Se ti dicessi dove ti ho trovato….” disse, trattenendo a stento l'emozione di rivedere gli occhi aperti di Andrè.
“...io ricordo un  gran poco: mi trovavo nel mezzo della battaglia, al mio fianco c’era Alain...poi ricordo una strada, la folla, mi hanno calpestato….” disse. La voce era rotta dall'emozione.
“Ricordi altro del tuo passato?” domandò Rosalie, avvicinandosi e porgendogli un bicchiere d’ acqua.
Andrè vagò con lo sguardo per la stanza, come volesse cercare un appiglio, un indizio.
“...si, ricordo di essermi messo alla ricerca di Oscar, dopo avere incontrato Fersen….ricordo di essere finito delle grinfie di Jarjayes più e più volte...ricordo la mia disperazione nel non riuscire a fare nulla...e ricordo l’ inizio della Rivoluzione…” rispose.
Il suo volto si irrigidì, i suoi occhi si spensero.
Bernard fece un cenno a Rosalie: forse era il caso di lasciarlo stare, per quel giorno, quindi cambiò argomento. Di tutto ciò ne avrebbero parlato con calma, nei tempi a venire, come effettivamente accadde, lasciando a bocca aperta i presenti tanto da una parte quanto dall’ altra.

 

18 agosto

“Scusate, siete voi Alain de Soisson?” chiese un ragazzotto dall'aria campagnola all’ uomo intento a bere un bicchiere di vino, seduto al tavolo con altri uomini. Alain si voltò, squadrando da cima a fondo il nuovo venuto.
“Chi mi vuole? Se sei qui alla ricerca di un padre, ti dico subito che potrei anche essere io, ma che non ho intenzione di prendere le mie responsabilità” disse sghignazzando, tirandosi dietro gli altri uomini.
Il ragazzotto non si scompose minimamente e rimase fermo al suo posto.
“No, signore, una madre ed un padre li ho. Sono qui per conto di...una certa persona che voi conoscete bene” disse.
Alain alzò gli occhi al cielo.
“Sbrigati a dirmi ciò che devi dire e vattene, ragazzo, sono impegnato” rispose quindi, pur di toglierselo di torno. Il giovanotto infilò una mano in tasca e diede il contenuto ad Alain.
“Da parte di Oscar” disse lasciando il biglietto sul tavolo accanto alle carte ed ai bicchieri di vino sparsi qua e la.
Alain impallidì, si alzò.
“Se sei un leccaculo del vecchio, vattene subito prima che possa farti del male!” disse diventando paonazzo,  voltandosi e prendendo il giovane per il colletto della camicia.
Il ragazzo non si fece intimidire.
“Non so a chi vi riferite, monsieur. Vi sto cercando da tre giorni. Tutto qui” rispose semplicemente.
Alain guardò per un attimo quel ragazzo negli occhi e poi lasciò la presa quindi, tornò al suo posto e iniziò a il biglietto chiuso solo da un filo di spago.

 

Mio caro amico, spero di trovarti in vita, con questa mia.
Ho affidato le parole al figlio di una conoscente; sè un bravo ragazzo ...quindi mi auguro che tu non lo abbia spaventato con i tuoi soliti modi…

Ti dico subito che sto bene.

Mio padre, come credo Andrè ti avrà raccontato, dopo averci scoperti mi ha mandato lontana, nella Generalità di Strasburgo; io e Nanny abbiamo vissuto ignare di qualsiasi cosa  per molti mesi  finchè una sera - per traversie che non ti sto a raccontare - ci  è venuta in aiuto una donna, Therese, che insieme a marito e figlio ci ha messo al sicuro. Ho aspettato Andrè per moltissimo tempo. Speravo mi venisse a cercare; io ero impossibilitata a muovermi e, se ci rivedremo, scoprirai anche il perchè. Spero sia vivo, il mio Andrè, spero stia bene; non scrivo a lui direttamente - e come vedi non ho neppure indirizzato la lettera -  perchè sono sicura che mio padre potrebbe intercettarla….mi affido al destino, augurandomi che sia dalla mia parte.

Ti prego di aiutarmi.
Il ragazzo resterà a Parigi per un pò di tempo da alcuni parenti nei pressi di Saint Honorè. 

Rimanfo in attesa di notizie, tue o di Andre, nella speranza di abbracciarvi quanto prima.

 

Oscar.

 

Alain rimase a fissare la lettera per un pò, senza profferire verbo.
Poi, lasciò carte e vino sul tavolo e senza dire nulla corse verso casa di Bernard, ad un isolato da li.

“Bernard, apri!” urlò battendo forte sulla porta, guardandosi in giro. Sudato, si passò una mano sulla fronte ed attese.
“Rosalie!” urlò, ancora.
“Diamine, Alain, smettila di urlare” gli rispose una voce aprendo la porta.
“Andrè, proprio te cercavo. Come stai?” disse, entrando.
Andrè, claudicante e ancora un pò sofferente, andò a sedersi sulla poltrona.
“...Non c’è male...ma dimmi...cosa è tutta  questa fretta?” chiese. Con una mano sposto i capelli sciolti e scuri dietro le orecchie.
Alain fece alcuni passi verso di lui e senza parlare gli lasciò il  biglietto tra le mani.
Andre lo prese, senza darci perso.
Lo aprì ed iniziò a leggere.


Non volò una mosca, in quegli istanti. Solo brividi.
Andrè lesse e rilesse quel foglio, poi lo lasciò cadere, quasi sotto shock; infine, si lasciò andare contro lo schienale della poltrona, alzando gli occhi al cielo.

“..andiamo da lei, Alain. Subito...non voglio perdere nemmeno un istante” rispose, alzandosi in piedi.

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Capitolo 6
*** Una sorpresa ***




 

 

Ciò che era accaduto in quei molti mesi passati lontano, Andrè non lo poteva immaginare. 


Non vedeva Oscar dall’ autunno del 1788; ne aveva passate delle belle e aveva rischiato di morire più volte; aveva provato a cercarla ed ogni volta si era trovato davanti ad ostacoli insormontabili. Da un pò, tuttavia, Jarjayes non dava notizie... forse si era deciso davvero a lasciare la Francia, dopo Calais, o forse viveva ancora nel Paese sotto mentite spoglie...ma tutto questo non lo toccò affatto: ora che sapeva dove andare, ora che sapeva dove stava Oscar, avrebbe potuto organizzare il suo viaggio, magari in compagnia di  Alain,  Rosalie, Bernard nonchè gli altri uomini; doveva trovarla, riabbracciarla.
Al dopo...a quello ci avrebbero pensato.
La compagnia partì, dunque, tre giorni dopo l'arrivo di quella lettera: giusto il tempo di prepararsi ad ogni evenienza ed organizzare il percorso.Ognuno arrivò con la cavalcatura che ancora possedeva:i due coniugi salirono a cassetta di un piccolo calesse, Andrè sul carro che il marito ed il figlio di Therese avevano utilizzato per arrivare in città. Alain, invece, riuscì a recuperare un paio di cavalli. Uno per sè ed uno di scorta, disse.
Avrebbero percorso, alla giornata, non più di quanto gli animali potessero reggere ovvero l’ equivalente di trentamila tese (*1) e si sarebbero fermati a dormire dove capitava; Alain avrebbe svolto il ruolo di guardiano, dandosi il cambio con gli altri.
Così facendo, avrebbero raggiunto la Generalità entro una settimana (*2).


Partirono dunque, di buona lena, il 21 di agosto.
All’ alba la compagnia si trovava già in viaggio e la presenza del cittadino Bernard fu un lasciapassare di tutto rispetto; guardia nazionale e cittadini  presidiavano la città ed i suoi passaggi cruciali.
Andrè , seduto accanto ai due, rimase zitto gran parte del viaggio di quel primo giorno;  i due erano cortesi e non mancarono di farlo sentire a suo agio ma...vi era qualcosa che non tornava e questa sensazione lo portò a rinchiudersi sempre di più. Anche gli altri, Alain in primis, non furono molto loquaci: l’ attenzione doveva rimanere alta, quel vecchio pazzo poteva essere ovunque ed inoltre, la strada, era frequentata ormai da anni da gente di malaffare.

Quando, a sera, si fermarono nei pressi di una delle locande , poterono trarre un respiro di sollievo. Quella prima giornata era andata bene ed ora, con tutta probabilità, li aspettava una buona cena ed il riposo.
Tranquillizzati dalle parole di Alain che aveva pure dato una occhiata nei dintorni, finalmente entrarono.
L’ oste, un uomo sulla quarantina affiancato da una donna di poco più giovane, non fu affatto sorpreso di trovarsi davanti quella compagnia: erano molte le persone che, in seguito ai fatti di luglio, si erano messe in movimento; persone di tutte le età e di tutti i ceti, senza distinzione di sorta.
“Come posso esservi utile?” domandò, come prassi, andando incontro ai nuovi venuti.
“Ci servirebbe un buon pasto ed alcune camere. Va bene tutto ciò che ha, non abbiamo pretese” disse Alain, scaltro.
L’ oste si guardò in giro.
La locanda era discretamente affollata; poi osservò la compagnia.
“Ho a disposizione tre camere, se vi adattate” rispose.
Alain, Andrè e Bernard si fissarono. Era perfetto: padre e figlio avrebbero occupato una camera, i coniugi Chatelet la seconda ed infine, Alain avrebbe condiviso la sua con Andrè, come ai vecchi tempi della caserma.
“Va bene” disse Bernard, prendendo dalle tasche alcune livres.  I presenti si accomodarono, dunque.


Così ebbe inizio il loro viaggio, ultimo ostacolo per riabbracciare Oscar.

 

Il giorno dopo e quelli seguenti, Andrè parve vivere in un limbo. Emozioni contrastanti si scontravano nella sua anima e nel suo cuore; era come se...qualcosa non tornasse.
Gli sguardi dei due uomini con i quali viaggiava erano talvolta pensierosi, talvolta sfuggenti; vi era forse una verità che ancora non conosceva?
Lasciò che questi pensieri vagassero e, nelle brevi soste che facevano per sgranchirsi le ossa, si appartava in totale solitudine. Cercava un albero, di solito, a cui appoggiarsi o stendersi e li, sovente, ammirava il cielo azzurro tra le fronde e le chiome delle piante.
“Mi dici che ti prende?” gli chiese un giorno Alain, cogliendolo di sorpresa. Andrè aprì gli occhi e lasciò cadere il filo d’ erba che teneva fra le labbra, un vezzo che si portava dietro fin da quando era bambino.
“Nulla, Alain…” rispose.
L’ amico fece spallucce.
“Non me la racconti giusta. Che c’è, sei preoccupato che la tua bionda non si trovi più li o si sia trovata un altro uomo?” domandò sarcastico. Andrè si mise a sedere, paonazzo in viso.
“Dai, sto scherzando, non stancarti. Sei ancora sulla via della guarigione” rispose Alain calmando gli animi.
Andrè si appoggiò al fusto della pianta dietro di lui.
“...C’è qualcosa di strano, Alain. I due uomini che sono con noi...parlano raramente e, quando viaggio con loro, gli sguardi sfuggono. Non so, è come se volessero nascondermi qualcosa” rispose lui.
Alain , che aveva avuto la stessa impressione, cercò comunque di smorzare i pensieri.
“E’ gente così, Andrè. Contadini, abituati a fare invece che a parlare” tagliò corto. Poi, notando che gli altri li stavano chiamando, si alzò, seguito dall’ amico.
“...sarà…” mormorò Andrè, alzandosi e pulendosi i pantaloni; poi, prese il bastone e seguì Alain. Il suo sesto senso aveva colto effettivamente qualcosa, ma nemmeno lui poteva immaginarne la portata.




 

Generalità di Strasburgo, 25 agosto.

“Domani è il compleanno di Andrè, Nanny” disse Oscar, cullando tra le braccia il piccolo Gil, come ormai aveva preso a chiamare il piccolo. La nonna stava aiutando Therese a preparare la zuppa; sollevò lo sguardo da ciò che stava facendo e guardò la donna.
“Quanti sono?...trenta...trentacinque, giusto?” disse mettendosi a contare con le dita. Oscar sorrise.
“Si, nonna. Trentacinque. E’ più grande di un anno rispetto a me” rispose.
La nonna guardò il viso della giovane.
Nonostante tutto era sereno; tranquillo, in un certo modo.
Talvolta lo aveva visto pensieroso, soprattutto i primi tempi del loro esilio, quando di tanto in tanto ricevevano visite o lettere dal Generale; ora, invece, pareva tranquillo.
“...Chissà che fine ha fatto vostro padre...” si lasciò sfuggire Nanny. Oscar impallidì.
“...Non posso odiarlo, perchè in fondo mi ha donato la vita: ma spero sia il più lontano possibile da qui. Spero si sia salvato dalla furia di quel giorno e dalla Rivoluzione...ma non credo di volere più aver niente a che fare con lui” rispose.

Nanny sospirò.
“...eppure, un tempo, non era così” disse.
“Non riesco ad immaginarlo, Nanny cara” rispose Oscar. Gil si era addormentato, quindi con la massima cautela lo posò nella cesta di vimini li accanto. Sarebbe stato comodo, tra strati di coperte.
“...Lui è...era come te, Oscar. Sanguigno, pieno di vita, dedito totalmente al lavoro e, soprattutto, sa cosa significa amare. Ha sposato vostra madre per amore, non per costrizione” disse Nanny.
Oscar faticò ad immaginare il proprio genitore in tale vesti. Lei aveva conosciuto un uomo risoluto, con un pazzo desiderio per la testa per quella figlia che avrebbe dovuto essere un uomo.
“...Nonostante questo, Nanny, non riesco a perdonarlo. Spero...spero di non vederlo mai più” rispose, prima di uscire con gli occhi colmi di lacrime.

Passeggiò a lungo, Oscar, quella mattina.
Si incamminò lungo il sentiero, verso la strada sterrata che portava al paese vicino; respirò a pieni polmoni l’ aria, il profumo dei fiori, percepì l'umidità proveniente dalla piccola fonte e sfiorò con esili dita le foglie che sporgevano dai cespugli, vivi, carichi di vita.
Solo li si sentiva bene, si sentiva libera.
Solo li poteva ripensare alla sua vita, a ciò che era stata, nonchè al futuro che poteva attendere lei ed il piccolo.
Già: il futuro.
Cosa avrebbe fatto?
Dove sarebbe andata?
Non avrebbe potuto fermarsi da Therese ancora a lungo: prima o poi  sarebbe stata costretta a prendere una decisione.

Tornare a Parigi? La casa in Normandia?  Arras?
Tutti quei luoghi, legati a lei ed alla sua famiglia e pure ad Andrè, erano decisamente fuori questione. Troppo ovvi, troppo pericolosi.
Inoltre: cosa avrebbe fatto per mantenersi?
A parte fare il soldato, non aveva mai svolto alcuna mansione. Si era arrangiata, aiutata da Nanny, a svolgere le faccende di casa...ma non avrebbe mai potuto divenire governante.

“Istitutrice, forse…” disse, a voce bassa, dando voce ad un pensiero. Poi sorrise, sorrise nel rendersi conto di parlare da sola; alzò gli occhi al cielo, osservò quella distesa azzurra, riprese fiato.

Era ora di tornare indietro, prima che qualcuno si preoccupasse.


“Dove sei stata?” le domandò Therese.
Lei e la nutrice avevano finito di preparare la zuppa; Gil dormiva ancora, guardato a vista, mentre le due donne riposavano sedute accanto al tavolo.
“Ho fatto un giro nei dintorni” rispose lei recandosi subito a controllare il piccolo. Poi prese posto con le altre donne.
“Vostro marito e vostro figlio non sono ancora tornati?” chiese.
Therese allungò la mano appoggiandola a quella di Oscar.
“No. Ma credo non tarderanno di molto. Vedrete che...vi porteranno buone nuove” disse, sorridendo.
Oscar si lasciò scappare un sospiro.
“Mi basterebbe solo sapere che sta bene….” mormorò “questo...questo mi farebbe felice. Non pretendo altro”
Nanny la guardò con occhi colmi di tristezza.

27 agosto

“Dovermo quasi esserci. Siamo appena entrati nella regione, la nostra casa non è molto distante” disse ad un certo punto il vecchio, facendo quasi spaventare Andrè, che stava sonnecchiando.
Appena si riprese, volse lo sguardo nei dintorni:  il territorio pianeggiante si apriva letteralmente su vasti prati che all’ orizzonte  lasciavano intravedere tetti e campanili. Il suo cuore vacillò per un attimo. Alain, che faceva la spola tra gli Chatelet e quel carretto, si avvicinò a lui, sorridente.
“Tra poco ci siamo, Andrè” gli disse, offrendo una borraccia con dell’acqua al proprio amico.
“Già…. “ rispose Andrè, prendendo con mani tremanti “...io..io non so cosa dire...come ringraziare tutti voi…”
“Non devi ringraziare me, ma questi signori” rispose pronto l’ amico; Andrè, per la prima volta, vide un sorriso sul volto di quei due uomini e sembrò che i dubbi, le perplessità...insomma gli sembrò che quelle strane sensazioni provate fino ad allora svanissero.
Sorrise.
Sorrise anch’esso, come mai aveva fatto.

 

La compagnia era in viaggio da sei giorni, ormai: erano tutti stanchi, provati da quel viaggio e dai pericoli che ne potevano derivare; così quella sera, ad un paio di ore circa di cammino dalla casa in cui Oscar ormai viveva, decisero di fermarsi.
In realtà, quella pausa fu una scelta ben meditata: di comune accordo, Alain Bernard e Rosalie si sarebbero tenuti in disparte almeno per un paio di giorni, lasciando così il tempo ad Andrè ed Oscar di rivedersi, parlare. solo quando li avrebbero visti comparire in quella locanda, si sarebbero palesati.
Andrè venne tenuto all’ oscuro, gli fu semplicemente detto che la partenza, l'indomani, non sarebbe stata all’ alba, ma che se la poteva prendere con calma.
Dopo aver cenato, quindi, rimasero insieme un pò tutti a chiacchierare, lasciando ad Alain il compito di sorvegliare; quando un campanile lontano suonò le dieci, tuttavia, si ritirarono.

Andrè si recò quindi nella sua camera. Si spogliò, si lavò e si infilò a letto; era stanco e le ossa dolevano. I postumi della battaglia e di ciò che gli era accaduto poi lo avevano lasciato temporaneamente claudicante e debole...ma per il resto, non poteva lamentarsi.
Guardò il soffitto a lungo, prima di addormentarsi: nella sua mente comparirono uno per uno i ricordi di una vita con Oscar, da quando erano bambini fino all’ età adulta. Rivide i loro primi incontri, i loro primi baci, la loro prima notte insieme; l’ emozione lo prese, ed una lacrima scese dal suo viso.
“Domani, Oscar, se Dio vuole...ti rivedrò” disse; poi, si rigirò sul fianco e provò a dormire. Nel giro di pochi minuti, il sonno profondo lo colse, tanto che non sentì neppure Alain rientrare, sbronzo come pochi.


Il mattino seguente, prima che l’ alba comparisse nel cielo, Andrè era già pronto per partire.
Aveva fatto un buon sonno, si sentiva bene; ma in quel letto non ci rimase a lungo. Presto, dunque, si era preparato ed ora si apprestava a svegliare il compagno, che russava pesantemente.
“Alain, Alain, svegliati” disse scuotendolo senza molti complimenti. Il braccio dell’ uomo si alzò come volesse scacciare una mosca e Andrè dovette fare un salto all’ indietro per non essere colpito.
“...Che vuoi, diamine?” aveva domandato con gli occhi chiusi e la bocca impastata.
“Dobbiamo andare. Fare colazione. Preparare i cavalli ed il carro” rispose Andrè.
Alain sorrise.
“Io non vengo. Lasciami dormire” rispose tirandosi sul viso il lenzuolo.
L’ amico lo guardò, sconcertato.
Le mani sui fianchi e la faccia seria, lo fissò.
“Come sarebbe a dire io non vengo, lasciami dormire?” chiese dunque, strappando via, poi, quel lenzuolo.
Le nudità di Alain, a cui era abituato dopo molto tempo di caserma, comparvero ai suoi occhi.
“...Santo Cielo, Alain, copriti” disse Andrè fingendosi scandalizzato “ ...e muoviti. Forza. Senza tante storie”.
Alain si mise a sedere, con moltoa fatica aprì anche gli occhi.
“Sei proprio una testa di legno. Andrè, da Oscar ci andrai da solo. Io e gli altri vi aspetteremo qui…” disse, facendo seguire alle sue parole un sonoro sbadiglio.
Andrè, lo fissò.
“Ma...io…”fece per dire.
“Che c’è, hai paura del tuo ex comandante? Eh si che si hai vissuto una vita, insieme” disse Alain ridendo.
Andrè fece lo stesso.
Rise.
“...allora...io vado” disse , dando una pacca sulla spalla all’ amico.
Alain sorrise, lo osservò uscire  e tornò al suo sonno, felice più di quanto volesse dar a vedere per quell’ amico che reputava come un fratello.
Andrè raggiunse la sala comune dove l’ oste, già in piedi a servire altri foresti di passaggio, gli portò qualcosa da mettere sotto i denti; padre e figlio lo raggiunsero dopo poco.
“...Ci vorranno altre due ore, prima di arrivare” disse il ragazzotto, con aria ancora assonnata, dopo averlo salutato. Andrè sorrise.
“E’ sicuro, qui?” chiese, poi.
“Da questa locanda in poi passeremo per un piccolo villaggio ..infine prenderemo una deviazione, che ci porterà a casa nostra” rispose il padre.
“Grazie, signori, per tutto ciò che avete fatto” disse Andrè addentando un pezzo di pane e del formaggio.
I due sorrisero.
“Avrà una bellissima sorpresa, quando arriverà” si lasciò sfuggire il figlio, prima che tutti uscissero da quella stanza: Andrè si immobilizzò per un attimo, pensiero, poi li seguì. Era troppo felice, non stava più nella pelle. Voleva arrivare a destinazione veloce come il vento.


“Therese, stanno arrivando” disse Nanny, osservando il carro procedere lento, a qualche centinaio di metro da lei. Le donne posarono la cesta di biancheria. Oscar si trovava all’ interno ad allattare il piccolo Gil.
Therese lasciò le varie incombenze ed andò verso il pozzo: sia cavalli che uomini avrebbero gradito dell’ acqua fresca.
Nanny, invece, continuò nel suo lavoro; prese le lenzuola, le piegò e le mise in una cesta. Nonostante l’età, si sentiva ancora bene ed in forma e le piaceva dare una mano.

Il carro si avvicinò, sempre di più, fino a fermarsi e raggiungere la piccola stalla a fianco di casa. Therese andò quindi incontro a marito e figli, tornando con loro e raggiungendo la nutrice di Oscar.
“Vi trovo bene, come è andata a Parigi? Che notizie portate?” chiese quest’ ultima.
“Notizie...molte. Ma da Parigi vi abbiamo portato altro,Madame Grandier” rispose il giovane guardando il proprio genitore.
Nanny posò lo sguardo sull’ uno e l’ altro; i due, allora, decisero di condurla dove avevano appena lasciato i cavalli.

 

Andrè, il suo unico nipote e tutta la sua vita, era li.

In piedi,  un bastone ad aiutarlo, camminava piano verso la casa facendo quei pochi passi come se volasse; era cambiato, portava addosso le ferite degli scontri ma anche quelle dell’ anima. I suoi magnifici occhi verdi erano diversi, intensi.

“Andrè….” mormorò la donna, avvicinandosi al ragazzo.
Lui anzò lo sguardo, sorpreso, emozionato.
“Nonna, cara nonnina mia... Vi ho trovato, finalmente…” disse con un filo di voce, aprendo le braccia per accoglierla e poi stringendola forte.
La vecchina iniziò a singhiozzare.
“Non...non sapevamo più cosa pensare” disse, stretta in quell’ abbraccio “ io e Oscar non sapevamo davvero più che fare”
Andrè la strinse ancora di più.
“Ora sono qui. Avremo modo di parlare, l’ importante è...essersi ritrovati. Dove...dove è, lei?” chiese l’ uomo. I due si sciolsero dall’ abbraccio, la nonna si aggiustò la veste, poi lo prese per mano.
“Vieni con me” disse, iniziando a camminare, passando tra Therese ed i suoi ed arrivando davanti alla piccola porta semiaperta. Andrè la seguì senza fiatare.
“Ora...entra. Tu, da solo. Troverai Oscar in camera...ci sono solo tre stanze in questa casa, non potrai sbagliarti” disse.
Andrè annuì. Posò la mano sulle assi di legno, le spinse piano, entrò. Il grande spazio comune e quel profumo misto di legno ed aromi appesi alle travi lo avvolse.
Fece alcuni passi verso una delle porte davanti a sè.
In preda all’ emozione, si trattenne dall’ urlare il nome di Oscar, dal correre tra le sue braccia; tremava e la sua voce stentava quasi ad uscire.
Andrè rimase fermo per un attimo, quindi, davanti a quella porta. Il suo cuore pareva voler uscire dal petto e serie infinite di pensieri e parole invadevano la sua mente.
Aprì la porta, piano.

 

Mai, mai nella sua vita avrebbe mai avuto una sorpresa simile. Mai lo aveva immaginato, mai lo aveva pensato.
Oscar era davanti a lui: i capelli raccolti, una camicia chiara come i pantaloni che quasi mai aveva dismesso - tranne che nel periodo della gravidanza- la donna era china su una culla in legno, dove un bimbo dai capelli chiari sembrava dormire.
“....Oscar” bisbigliò, quasi per non disturbare.
Lei alzò il viso, un viso incredulo, quasi pallido. Gli occhi parvero uscire dalle orbite e la bocca si aprì, quasi a voler pronunciare parole che però non uscirono; poi, in meno di una frazione di secondo, la donna si alzò e corse incontro ad Andrè, abbracciandolo forte.
I loro corpi si fusero in quell’ abbraccio che anelavano da tempo, stringendosi forte. Mani impazzite sfioravano capelli, guance, braccia, visi; automaticamente, le loro labbra si cercarono, la cosa più naturale al mondo.
“Io e Gil ti abbiamo aspettato tanto” disse Oscar, quasi in un soffio. Andrè fissò la donna e poi la culla. Il suo sguardo a metà tra il sorpreso e l’interrogativo fece la spola tra la piccola culla ed il viso di Oscar, sorridente.
Lo prese per mano.
Accompagnò Andrè davanti a quella culla dove il bimbo sonnecchiava, beato.Andrè guardò il bambino, carezzò la piccola e soffice guancia, sorrise. Non sapeva cosa pensare, non sapeva cosa dire, quasi non si rendeva conto delle cose.
Chi era quel bambino? Poteva essere che….

Oscar lo tolse dall’ impiccio.
Stringendo ancor di più la mano dell’ uomo, lo guardò.
“....Lui è Guillame André Marie Philippe. E’ nostro figlio, Andrè...e ti aspettava da un pò di  tempo” disse, senza aggiungere altro se non lacrime di gioia.


*1: circa 50 km
*2: la distanza tra Parigi e Strasburgo città è di circa 500 km. Ho adattato un pò le cose e, calcolando la percorrenza massima di una cavallo di circa 60 km al giorno ad una andatura variabile (trotto, galoppo, passo) ho tirato un pò le somme facendoli correre un pò e percorrere la distanza in 7 giorni circa ahahahahahaha

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Capitolo 7
*** Un attimo di pace ***


“..io...ancora non ci credo...” disse Andrè davanti a quella culla, una mano tesa a voler sfiorare la pelle candida del bambino. 

Oscar,appoggiata a lui, sorrideva serena, tenendo a bada la tempesta di sentimenti che stava nascendo dentro di lei.
“Sai Andrè... avevo timore che se un giorno ci fossimo rivisti, tu non lo avresti accettato ” disse quasi sottovoce;  “ho passato nottate intere pensando a questo momento, al nostro incontro….”.


Andrè si voltò verso il lei  , sorridendo dolcemente, un pò stupito.
“Perchè mai, amore mio?” domandò.
Oscar abbassò lo sguardo e gli diede le spalle, stringendosi in sè stessa.
“Avresti...avresti potuto pensare non fosse il tuo”rispose, buttando furoi timori e pensieri.
Andrè si spostò davanti a lei, cercando i suoi occhi, appoggiando le mani sui fianchi della donna.
“Guardami, Oscar” le chiese,  con voce dolce e ferma.
Lei alzò lo sguardo, timorosa: era davvero strano vederla così.
Lui prese fiato, un lungo sospiro.
“Ascolta...sarei un bugiardo a dirti che, appena ho visto nostro figlio, non abbia pensato chi è? di chi è questo bambino? ...ma è stato un solo istante, un pensiero dettato dalla sorpresa e dall'istinto: io non dubito di te, Oscar.  Non avrei mai immaginato di ritrovarmi padre, sono ancora incredulo... ma...sono felice Oscar, non riesco nemmeno a descriverti quanto! Ancora di più….ti sono immensamente  grato  per avermi donato questo figlio” rispose.

Oscar sospirò, finalmente, liberandosi di quei pensieri  e del peso che per settimane l'avevano tormentata;sorrise, abbracciando il suo uomo.
“...Andrè… non sai quanto avrei voluto averti vicino in quegli attimi...quando l’ho scoperto...mi è crollato il mondo addosso. E’ stata dura...per tutti” disse.
Lui la strinse ancora di più tra le  braccia.
“Deve essere stata dura….” disse.

Oscar rivolse lo sguardo al bambino nella culla.
“Quando l’ ho scoperto...mi sono sentita malissimo. So come funzionano certe cose, so come gira il mondo. Ma tante piccole cose...mi erano sconosciute. Cosa avrei dovuto fare? Come avrei dovuto affrontare questa gravidanza? Sono corsa da tua nonna e le ho spiegato i miei dubbi...e lei...beh, siamo state mezza giornata a parlare, mi ha consolata, coccolata” disse.
“...tua madre? I tuoi genitori? Lo sanno?”chiese Andrè.
Oscar si scostò da lui per poterlo osservare.
“No. Ho chiesto a Nanny di tenere questo segreto. Mio padre i primi tempi passava di qui… non per me, ma per controllare come andassero le cose. Dopo un pò ha iniziato ad inviare i suoi uomini….ora...sono almeno cinque mesi che non vedo nessuno”rispose lei.
Andrè si fece serio.
“Io l’ ho visto fin troppe volte, invece. Mi è sempre stato addosso, alle calcagna. Molte volte ho ricevuto la visita dei suoi sottoposti, molte volte mi hanno ridotto uno straccio. Ho dovuto nascondermi, fuggire in continuazione...e nel frattempo...non ho mai smesso di cercarti” disse.
Oscar alzò gli occhi al cielo, ricacciando indietro le lacrime. Il suo volto si fece pallido.
“Mi dispiace, Andrè….non pensavo che mio padre potesse...potesse arrivare a questo” rispose.
Il piccolo Gil iniziò a borbottare qualcosa. Andrè sia avvicinò sorridente alla culla insieme ad Oscar, assicurandosi che fosse tutto a posto. Rimasero li, a fissare con sguardo sognante il bambino.
“Io penso che tuo padre abbia semplicemente fatto ciò che il suo rango gli ha rischiesto. Non puoi pretendere che cambi d’ un tratto” rispose Andrè. Oscar lo ascoltò con la bocca spalancata.
“Ma...ti reputava un figlio! “esclamò.
“Già. Ciò che mi stupisce… è invece il trattamento che ti ha risevato. Tu sei il suo fiore all’ occhiello, il suo futuro” disse l’ uomo.
“...Ma ho distrutto i suoi sogni….” rispose lei.
Gil continuava ad agitarsi.
Oscar lo prese in braccio, cullandolo; il bambino aprì gli occhi e silenziosamente, curioso, li spalancò guardandosi intorno. Per un attimo il discorso fu accantonato.Oscar chiese ad Andrè se volesse tenerlo.
“...Ho paura di fargli male! Non ho mai tenuto in braccio un neonato” disse, impacciato. La donna sorrise.
“Ho imparato anche io, Andrè. Su, forza. Metti le braccia così...bravo. Sostieni la testa….ecco! “ disse, ponendogli il piccolo tra le braccia.
Andrè rimase incantato; per un attimo rimase fermo, immobile. Poi provò a fare qualche passo, il bambino sentì nuove braccia, diverse, a sostenerlo. Pianse.
“Ecco….l’ ho fatto piangere” disse con il volto cupo. Oscar gli si avvicinò.
“Non è nulla, si abituerà” rispose, guardando quel tenero quadretto.

 

Per un attimo, il silenzio avvolse quella nuova famiglia: gioia, sorpresa, timori, domande silenziose riempirono quella piccola stanza. Dall’ esterno, le voci di Nanny e Therese arrivavano come sussurri.
Oscar approfittò di quel momento di pace per stendersi sul letto; era stanca, pallida.
“Dovresti farti visitare da un medico, Oscar. Dopo la nascita del bambino sei mai stata da un dottore?” chiese Andrè.
“...No. Non ce n’è mai stato bisogno...ed io sto bene, Andrè. Sono solo stanca...e poi...tutte queste emozioni...mi gira solo un pò la testa” rispose.
Andrè non disse nulla, non rispose; ma era chiaro che questa vita precaria avesse minato un pò la salute già cagionevole della donna. Certo, ora sembrava fosse tutto a posto, ma...questa non era la vita di Oscar, non era il tipo di vita adatto a lei: di certo non sarebbero mai tornati a fare la vita di prima, ma...dovevano cambiare. Crearsi un futuro. Dare un futuro a Gil.
“A cosa stai pensando?” chiese, Oscar, vedendolo sulle sue. Gil si era addormentato tra le braccia di Andrè che lo cullavano dolcemente.
Andrè andò a sedersi accanto alla donna ma prima, con molta cautela, posò il piccolo tra di loro, nel mezzo. Poi si stese, il più delicatamente possibile; cercò la mano della donna e la strinse.
“Vorrei offrirvi un futuro migliore...ecco a cosa stavo pensando” rispose.
“Qui stiamo bene, per ora. Non sarà il massimo ma…” fece per dire Oscar. Lui la interruppe.
“...Non sarà così per sempre. La Francia sta cambiando...la Rivoluzione è appena iniziata… non so perchè, ma non ho un buon presentimento” rispose lui.

Oscar abbassò gli occhi, pensierosa. Una mano distesa sul fianco e l’ altra tra le dita di Andrè,  guardò il suo piccolo disteso tra loro. Guardò i capelli radi, la pelle rosea e soffice. Guardò gli abitini di fortuna entro i quali era avvolto...e d’ un tratto un groppo le serrò la gola.
“Tu...c’eri, Andrè? Hai visto la battaglia?” domandò.
Lui lasciò la mano di Oscar e si alzò, pensieroso. Cominciò a camminare come se ad ogni passo volesse soppesare le parole e questa cosa andò avanti un bel pò; infine, le parole iniziarono ad uscire dalla sua bocca.
Un racconto dunque prese man mano forma; Andrè descrisse alla sua compagna tutto ciò che era accaduto a Parigi negli ultimi mesi. Le parlò anche di Fersen e del fatto che l'avesse messo sulle sue tracce.
“...Ci siamo cercati, a vicenda, senza mai trovarci…” mormorò la donna.
“E’ così. Ma l'importante, Oscar, è che ora siamo insieme” rispose lui. Pochi passi e tornò da lei.
La guardò negli occhi. Ancora.
“Capisci, dunque, perchè vorrei andare via? Non è sicuro per noi, qui. Te la senti di lasciare tutto e ricominciare una nuova vita?” gli chiese l’ uomo.
Oscar lo fissò. Per interminabili minuti lo fissò.
“La mia nuova vita l’ ho già iniziata. Da quando è nato Gil. Per il resto...ci vorrà dal tempo.Come faremo? Dove andremo?” disse.
Andrè, sollevato dalla decisione della donna, sorrise e la prese tra le braccia, facendola volteggiare; lei, per nulla abituata, diventò rossa, come una ragazzina.
“Ancora non lo so. Però...so che adesso è ora di farci vedere. Andiamo di la, gli altri ci aspetteranno” disse porgendole la mano; lei diede una occhiata al bambino e lo seguì nella cucina, assicurandosi che la porta dietro di lei rimanesse aperta in modo da farle tenere sott'occhio la situazione.


I giorni passarono, così, in una pace mai sperata ma tanto agognata; giorni felici, intensi, che non sembravano nemmeno appartenere ad un Paese che di li a qualche anno avrebbe vissuto nel terrore. Andrè ed Oscar incontrarono i loro amici, parlarono a lungo; talvolta davanti a tavole imbandite in qualche modo, talvolta davanti ai manicaretti preparati dalla nonna, quella gente riuscì a vivere stralci di serenità che fecero sicuramente bene ai loro cuori. Rosalie, Alain, Bernard… Oscar e Andrè: ce l’ avevano fatta, erano vivi, erano insieme. Al di là di ogni problema e distinzione, erano felici e speranzosi; ma molte cose dovevano ancora succedere. E questa volta, il prezzo da pagare sarebbe stato alto.


 



 



 

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Capitolo 8
*** Una svolta inaspettata ***


Cap.8   Una svolta inaspettata 


Parigi, marzo 1790

 

Il Generale stava davanti a loro, la bocca tirata in un ghigno;dietro di lui due dei suoi attendenti e, oltre loro, un altro gruppetto di uomini affollavano la piccola scala di quel palazzo parigino nel quale si erano trasferiti ormai da sei mesi.

“Padre...come...come avete fatto a trovarci?” domandò Oscar non appena lo vide, stringendo a sè Guillaume. Davanti a lei, Andrè sembrava un fantasma, il volto pallido.
“Poco importa. Forza, Andrè, spostati. Lascia che possa avvicinarmi a mia figlia”
Andrè a queste parole parve come risvegliarsi. Riprese colore e fece alcuni passi indietro; era fuori discussione battersi. Gli uomini erano decisamente troppi.
Il Generale sorrise, tronfio; aveva ottenuto ciò che voleva. Con passi svelti raggiunse la figlia e guardò il nipote. Per un attimo sembrò che nei suoi occhi passasse quasi un briciolo di umanità.
“Oscar, ti prego. Torna a casa con noi: ti aspettiamo, non importa se porti con te quel...basardo” disse indicando il bambino...devi tornare a casa. Ho organizzato per te un matrimonio con Girodelle, ci salverà dallo scandalo…”
Per un attimo tutto sembrò fermarsi. Andrè ed Oscar si guardarono. C’era da decidersi, decidersi in fretta.
“Dateci un attimo, Generale” chiese Andrè, per prendere tempo; l’ uomo si guardò in giro, prese una sedia e si sedette.
“Allo scoccare delle nove voglio andare via di qui. Ditevi ciò che dovete e finiamo questa storia senza altri inutili discorsi” disse.
 

Oscar osservò il padre.
Lo osservò con tenerezza e rabbia allo stesso tempo, domandandosi cosa lo avesse fatto cambiare in quel modo...non era mai stato cattivo, severo si...ma addirittura pensare di portarla via con la forza e chiamare bastardo il nipote….
Poi guardò Andrè.


Il suo Andrè.

Pensò a quei giorni. A quei mesi si attesa,  alla gravidanza,all’ incertezza di un destino.
Le tornarono alla mente  pensieri, i pianti, l’ agonia di quelle notti in una casa accanto al bosco, sola
...Non poteva finire così, non doveva.
Si erano persi, ritrovati, avevano fatto progetti e sognato ad occhi aperti osservando Gil dormire in mezzo a loro, stringendosi la mano...Avevano poi deciso di tornare a Parigi qualche tempo, per sistemare alcuni incartamenti e recuperare una nuova identità...Ma a quanto pare, qualcuno con le orecchie e la lingua lunga si era lasciato scappare qualcosa ed ora?
Non potevano combattere.
Non potevano scappare.

Oscar prese la mano di Andrè, incurante di tutti.
Con un filo di voce gli chiese di guardarla, di mostrarle quegli occhi cangianti del colore dei laghi alpini di cui alcune volte aveva visto i dipinti.


“Andrè, non ho scelta” disse, mentre il cuore si frantumava il mille pezzi.


L’ uomo,il compagno, l’ amante...il suo Andrè socchiuse le palpebre, sentendosi morire.
“Ti prego, rispondi. Dì qualcosa!” lo implorò Oscar mentre le lacrime cominciavano a rigarle il volto.
Silenzio.
Ancora silenzio.
Un sospiro, infine, ed  Andè aprì gli occhi, fissò il generale; guardò il bimbo che, incurante, affondava le dita paffute nei capelli della madre e diede un bacio ad Oscar.
“Verrò a riprendervi” disse infine sottovoce alla sua amata, mentre si allontanava , girando la schiena alla sua vita che di li a poco sarebbe uscita dalla porta.

Andrè rimase dunque solo. 


Non ascoltò i passi scendere le scale, non ascoltò il pianto di suo figlio, non ascoltò i rumori provenienti dalle scale, il borbottio delle persone a cui stava sfilando dinnanzi quella combriccola.
Non sentì più nulla.
“Maledetto Jarjayes” urlò, picchiando i pugni sul tavolo; poi, con uno slancio corse verso la finestra e guardò sotto.
“Ti troverò, Oscar” urlò quando vide uscire la donna nella strada “ ti troverò, a costo della mia stessa vita!”
Oscar alzò lo sguardò, mentre la vita di quella via poco distante da Pont Neuf procedeva al solito, incurante di tutto e tutti; poi, osservò la carrozza scura partire e solo dopo averla persa di vista si lasciò cadere, a peso morto, sul pavimento di legno. Li lo trovò Alain, passato per portargli un messaggio di Bernard in cui lo informava di alcune voci inerenti la ricomparsa del Generale.
“Andrè...mi dispiace” fu l’ unica parola che l’ ex compagno d’ armi riuscì a dirgli “ora cosa farai?”
L’ amico lo guardò con occhi di fuoco.
“Cosa vuoi che faccia, Alain, contro una decina di persone e più? “ rispose con rabbia, una volta rialzatosi e messo a sedere.
Alain prese posto accanto a lui, allungando le gambe sotto il tavolo e incrociando le braccia sul petto.
“Appena te la senti potremo tornare da Bernard. Oscar deve tornare da te” disse.
Andrè alzò lo sguardo dalla mela che stava osservando,posta in un piatto con altra frutta. Aveva gli occhi iniettati di sangue.
“Lo sapevo di non tornare qui. Ma pensavamo che ormai avesse lasciato il paese così…” disse. Alain sciolse le braccia e le mise sul tavolo, iniziando a picchiettare le tavole con la punta delle dita.
“...Non pensarci. Nessuno poteva saperlo. Forza, lavati la faccia e datti una sistemata. Usciamo. Ti porto da Bernard. Ora” disse 

I due uomini si fissarono a lungo, senza dire nulla; poi Andrè seguì il consiglio di Alain e , mezz’ ora dopo, uscirono di casa.

Era notte, quando arrivarono a casa Chatelet. Alticci, bussarono alla porta più e più volte, rimediando anche qualche insulto dai vicini; quando Rosalie, aprendo, li vide conciati in tale guisa a momenti non urlò per lo spavento.
“Hanno portato via Oscar fu l’ unica cosa che Andrè disse, mentre entrava in casa “dovviamo parlare con Bernard. Ci serve aiuto”
Rosalie, incredula, rimase a guardarli senza profferire verbo. Solo quando comparve Bernard, assonnato, sembrò reagire.
“Bernard, il generale ha trovato Oscar” disse guardando il marito negli occhi. Lui non sembrò stupito.
“...E’ arrivato prima di noi…”mormorò; raggiunse infine Andrè e lo fece accomodare, infine prese posto a sedere vicino a lui. Al buio di quella casa, illuminata dalla luce sfocata di un candelabro, quella compagnia rimase in silenzio, incredula.


A Palazzo Jarjayes, nel frattempo, la carrozza che trasportava il Generale , la figlia ed il nipote frenò, sollevando i piccoli sassi chiari; Oscar spiò fuori, dunque ma ciò che vide fu...desolazione.

Della casa che conosceva e che l’ aveva cullata, quella casa che l’ aveva vista crescere, soffrire, amare, combattere...non era rimasto che il guscio; simulacro di una nobiltà che in questo momento si trovavano in carcere o all’ estero, rifletteva i tempi.
I muri grigi, le finestre brillanti ed il magnifico giardino ora sembravano abbandonati a sè stessi. Non vi erano luci a rischiarare l'ambiente, non vi erano voci. Nemmeno il nitrire dei cavalli e dei muli nelle scuderie si sentiva.

“Siamo arrivati. E’ un pò cambiata, quei maledetti straccioni l’ hanno messa a soqquadro ma vedrai...il tuo matrimonio con Girodelle sistemerà tutto. Il nome dei Jarjayes sarà salvo.” disse il Generale non appena furono scesi dalla carrozza.
“Padre...mia madre...dove è? Come mai non ci attende?” domandò, presa da un bruttissimo presentimento.
Jarjayes, che già stava salendo le scale, si girò.
“E’ andata via. Con le tue sorelle. Solo io sono rimasto...Non posso abbandonare i nostri sovrani” disse.
Oscar fissò negli occhi suo padre provando una pena infinita.
“Padre, mi duole ricordarlo, ma le cose sono cambiate. I nostri reali non avranno vita lunga; mi dispiace dirlo, perchè io ho voluto molto bene alla nostra regina” disse.
Il generale la fulminò con lo sguardo.
“Oscar, farò finta di non averti sentito” rispose “ ora...entra. Dovrebbe esservi un ospite”.

Padre e figlia, dunque, entrarono. Gil, addormentatosi , poggiava la testolina bionda sulla spalla di Oscar, immerso nei suoi sogni; sobbalzò giusto un pochino sentendo i movimenti di sua madre che, appena vide gli interni di palazzo, si impietrì.

Mobili divelti, rovinati.
Le grandi tele ridotte a brandelli; i tappeti in un angolo, insieme ad alcune sedie rotte e tende ormai sdrucite…
Solo il grande tavolo era rimasto; quello, alcune sedie, una decina di candelabri…Il grande sfarzo che un tempo aveva fatto parte di quelle mura era ormai solo un ricorso ed Oscar provò un tuffo al cuore.
Che ne era stato di tutte quelle cose?
Come aveva vissuto, il padre, fino ad ora?

Sperò che Andrè facesse presto a raggiungerla, a tirarla fuori dai guai. Non avrebbe resistito a lungo, li dentro, con il padre che aveva definitivamente perso il senno; si sentiva in pericolo ancor più di quanto pensasse.

“Salve, Oscar. Piacere di rivedervi” disse una voce alle sue spalle.

Oscar distolse lo sguardo da tutto quello sfacelo; riconobbe la voce ma pregò non fosse vero. Non voleva affrontarlo subito, non voleva affrontarlo adesso.
“Buonasera, Girodelle” disse atona, senza nemmeno girarsi, invocando gli dei che qualla situazioni finisse quanto prima. Gil si svegliò, fece qualche verso; Oscar lo calmò cullandolo.
“E’ davvero un bel bambino, Oscar” disse ancora quella voce. La donna si girò.

Girodelle era li davanti a lei e, accanto, aveva il conte di Fersen.

Oscar guardò i due uomini, guardò lo svedese. Ma non incontrò mai i suoi occhi, perchè spinto dal rimorso, il suo vecchio amico non aveva nemmeno il coraggio di guardarla.

 

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Capitolo 9
*** Senza te ***


 

Cap.9 Senza te

 

Palazzo Jarjayes

Oscar rimase impietrita nel vedere Fersen.
“Fersen!” esclamò, senza aggiungere altro; gli occhi azzurri della donna , se solo il conte svedese li avessi osservati, parlavano già abbastanza.
“Sono contento di vederti, Oscar” rispose lui allungando la mano “ tuo padre mi ha gentilmente invitato a questa riunione ed io ho accettato volentieri”.
La donna, basita, osservò prima Fersen  poi Girodelle ed infine il padre.
I movimenti impacciati, le parole quasi contate….cosa c’era che non andava, in quel luogo, in quel momento?

Decise che si sarebbe adattata alla situazione, pur di veder salva la vita di Andrè e del figlio; poco le importava, del resto.
Avrebbe cercato di resistere quanto più possibile, sperando in una soluzione da parte di Andrè e non tentennò nemmeno un attimo: sarebbe sopravvissuta a tutto, avrebbe avuto la vita che sognava e se ciò che stava facendo ne rappresentava il prezzo, avrebbe cercato di superare quel senso di avversione e nausea, avrebbe affrontato la pazzia dell’ uomo che le aveva dato la vita, proteggendo il figlio in qualsiasi modo ed in qualsiasi mezzo.

“Anche io sono lieta di vederti” rispose dopo un tempo che parve infinito; poi fu la volta di Girodelle, che si prodigò in un lezioso baciamano.
“Vedo che ti ha fatto piacere la mia sorpresa” disse il padre “ ora vai. Vai a riposarti. Domattina parleremo con più calma...”

Oscar si girò in direzione del padre che nel frattempo si era avvicinato a lei ed al figlio; osservò l’ uomo, annuì.

“Se volete indicarmi dove….”
“La tua stanza è sempre la stessa. Anche per voi, signori, ho fatto preparare delle camere. Luis!” chiamò l’ uomo.

Uno dei suoi, un ragazzotto sui trent’ anni dalla faccia tonda e lo sguardo bovino  comparve, affiancato da una donna. Da i suoi abiti pareva quasi fosse un contadinotto vestito a festa e la stessa cosa poteva dirsi per la donna, una giovane di qualche anno in meno.
“Seguitemi” disse in direzione dei presenti, quasi balbettando, passando loro davanti; il gruppetto quindi salì le scale.
Oscar teneva stretta a sè Gil, mormorando al bimbo parole di conforto e baciando le guance bianche e rosse; la sua innocenza, il suo sguardo...per un attimo le regalò un pò di pace.
“Ecco, questa è la vostra stanza, Madame” disse aprendo la porta della sua vecchia stanza. Voi altri, signori, siete stati alloggiati più avanti” .
Il corridoio buio non lasciava intravedere molto, se non ciò che rimaneva di un tappeto ed un doppiere, appeso alla parete, in equilibrio precario. Più avanti, pezzi di assi ostruivno il passaggio. Oscar non aspettò oltre; entrò nella stanza, chiuse la porta dietro di lei e si lasciò andare, la schiena contro il muro, scivolando a terra e piangendo lacrime amare.
“Ce la faremo, Gil” disse al figlio con un filo di voce “ presto torneremo a casa”.
Il piccolino socchiuse gli occhi, gongolandosi tra le braccia della madre poi, entrambi, furono rapiti da Morfeo, seduti sui marmi freddi di una casa in rovina: senza pensare più a nulla, senza dire più nulla e per qualche ora, visti gli eventi e la stanchezza, la donna riuscì a dormire, trascinandosi in seguito sul grande letto coperto da sete impolverate e ragnatele per essere più comoda; questo diede un pò di pace almeno finchè le naturali richieste di Gil non la svegliarono, verso l’ alba.


“Apri, Oscar! Sono Fersen!” disse una voce oltre la porta. 
La donna, che in quell’ istante stava passeggiando davanti la finestra dopo aver dato da mangiare a Gil, si avviò verso l’ entrata dei suoi appartamenti.
“Come osi!” pronunciò appena, con rabbia, appena vide il conte. Quest'ultimo aveva una faccia stravolta e occhi cerchiati da velature scure, nerastre.
“Perdonami. Ti prego, lasciami entrare. Ti spiegherò tutto” disse il conte guardandosi in giro, prima a destra poi a sinistra, come se attendesse qualcuno. Oscar annuì e l'uomo entrò, cadendo immediatamente in ginocchio davanti a lei.
“Perdonami Oscar. Ti imploro, ti scongiuro. Ho dovuto farlo, ho dovuto aiutarlo a scovarti. Tuo padre è un pazzo, ma è ancora molto potente ed io ho troppi nemici per potermi difendere….” disse d’ un fiato mentre le mani stringevano le vesti di Oscar, in piedi davanti a lui. Era disperato.

“Cosa vuoi dire?” chiese lei senza tanti giri di parole, confusa ed incuriosita.
Il suo interlocutore alzò il viso, incrociando i suoi occhi; rimase in silenzio anche quando si alzò in piedi. Le sue mani  si allungarono verso il piccolo ed Oscar, istintivamente, lo allontanò.
“Volevo solo accarezzarlo. E’ bellissimo, come te…” disse sconsolato Hans, spostandosi “...riguardo alla domanda che mi ha posto prima...forse è meglio sedersi. Ti spiegherò tutto” aggiunse.
La donna gli voltò le spalle.
Si allontanò, posò il piccolo su di una coperta che aveva sistemato sul letto; si assicurò che fosse in sicurezza poi tornò dal conte, come una furia. No, non voleva sedersi, non voleva ascoltare nulla. Le sue mani si allungarono verso il petto e afferrarono il bavero della giacca avvicnando il proprio viso, paonazzo,  a quello dell’ u0mo.
“TU! Come hai osato, Fersen? Proprio TU!” gli urlò addosso. L’ uomo protese le mani tra sè e la donna.
“Shhhh! Possono sentirci! Tuo padre ha uomini ovunque, io stesso sono sotto sorveglianza!” disse; i toni parvero calare e Oscar voltò le spalle all’amico.
“Ma cosa stai dicendo? Cosa vai blaterando? Tu....un amico...Non me lo aspettavo, sai” disse allora, quasi sottovoce “ ...dopo che hai aiutato Andrè...cosa ti ha spinto a fare questo?” domandò.
Il conte guardò il piccolo Gil.
“Tuo padre mi ha in pugno. Se non avessi collaborato, avrebbe ufficializzato ciò che da tempo circola nella corte di Versailles: potrbbe diffondere i nomi dei figli che ho avuto da Maria Antonietta e che lei ha giurato e spergiurato essere del legittimo consorte” disse d’ un fiato.
Oscar rise, quasi d’ un riso isterico.
Gettò indietro perfino la testa e i capelli, ridendo in faccia, sguaiatamente, a Fersen che la osservava impietrita.

“Come se non lo sapesse nessuno” affermò senza alcun filtro.
Fersen la guardò con occhi sgranati.
“Oscar...da te...non me lo aspettavo...” rispose.
“Beh, siamo pari. Sai, la vita ti cambia, purtroppo; nemmeno a me ha fatto sconti. Che altro puoi dirmi?” domandò, diretta.
Ora il riso aveva lasciato posto a due occhi scaltri, pungenti.

Fersen si aggiustò la giacca e tese l’ orecchio.
Gli pareva di aver ascoltato dei passi.

“...Ciò che sapete voi. Vuole darvi in sposa a Girodelle, come era nei suoi piani da tempo, sperando che riconosca il bambino come suo erede. Girodelle ha subito il mio stesso trattamento: dopo che a luglio ha cercato di fuggire, lo ha in pugno. O questo, o lo consegna ad alcune persone fedele al re che ancora ci sono…. e, fidati, sono in molti. Ora...devo andare. Ascolta, cerca di tenere duro. Non so Victor, ma io ti aiuterò” disse frettolosamente.Non aggiunse altro: si girò e prese la porta.

Oscar, basita, rimase a fissare i suoi piedi, tremando di rabbia; pensò a quella persona che ormai non riconosceva più e tremendi pensieri, anche riguardo alla madre, comparvero nella sua testa. Il padre le aveva detto la veirità? Sua madre era davvero sana e salva, o vi era dell’ altro? Come aveva fatto, da solo, a tessere questa trama? 
La donna tornò a  pensare a sè, a come reggere quella commedia che avrebbe potuto durare  giorni come  mesi. Fuggire era fuori questione per una serie di motivi e questo lo aveva capito subito: gli uomini del padre, infatti, erano molti e disseminati per tutta la proprietà; fosse anche riuscita ad uscire dalla tenuta, come avrebbe raggiunto Parigi? Non aveva armi con sè , ma un bambino di pochi mesi da difendere….
Camminò a lungo, Oscar, su e giù per quella stanza; mentre Gil dormiva, provò anche a stendersi.
Ma quel viso, il viso del suo amato Andrè, continuava ad apparirle davanti agli occhi, pronunciando parole che non era in grado di capire. 

Cosa avrebbe fatto, dunque? Come sarebbero sopravvissuti a questo ennesimo scherzo del destino?


Parigi, qualche giorno dopo

 

Andrè, distrutto, si levò con fatica dal letto di fortuna che aveva rimediato da Alain, il quale viveva in uno scantinato umido in compagnia di topi e scarafaggi a cui, per spezzare la noia, aveva perfino dato un nome;  gettò via la giacca con la quale si era coperto e si mise a sedere. Dalla finestrella posta in alto, a livello della strada, entravano polvere, sporcizia ed ogni genere di odori; senza nemmeno farci caso, trovate le forze si alzò e camminò in direzione del piccolo catino e della brocca, appoggiati sul tavolo.
Alain non c’era; forse è già uscito per andare a lavorare pensò l’ uomo mentre l’ acqua fredda sul viso parve svegliarlo ulteriormente dal torpore,poi...si rivestì in qualche modo.
Un’ altra lunga giornata stava per iniziare ed erano già passati cinque giorni dacchè Oscar ed il figlio erano stati di fatto obbligati a seguire il Generale.
Un' altra lunga giornata senza di lei.

In preda ad un moto di rabbia che man mano lo avvolse sempre più, Andrè diede un pugno al tavolo, facendosi male; imprecò, diede un calcio all’ unica sedia, allungò la mano e tracannò d’ un colpo ciò che restava del vino della sera precedente.
Il suo stomaco si ribellò ma non accadde nulla; lui, dunque, prese la porta ed uscì, l' umore nero come la notte appena passata.


Non aveva idea di ciò che avrebbe fatto in quelle ore.
Non voleva nemmeno pensare.
Bernard gli aveva detto di aspettare mentre ci si organizzava per risolvere la situazione e di stare attento perchè probabilmente il Generale avrebbe ancora una volta attentato alla sua vita ma a lui, ad Andrè, non sembrò importare molto.
Camminando per la strada, cercava Oscar in ogni viso; ad ogni locanda, sperperava i pochi denari che gli erano rimasti in tasca, uscendosene sempre più ubriaco.
Ancora una volta la vita mi ha sopraffatto, pensò ad ogni bicchiere che portava alle labbra; completamente alla deriva, nel sole di una primavera che pareva anticipare i tempi, la sua mente sfiorò infine  quel labile confine tra l’ umana ragione e la pazzia.

Più di una volta Alain lo raccolse, metaforicamente  o meno, da terra.
Un giorno dopo l’ altro, il suo migliore amico, il suo angelo custode cercò di sostenerlo ma ormai Andrè stava sprofondando nell’ oblio, invece che reagire e strappare la sua donna ed il proprio figlio alla grinfie dell’ uomo. 
Devi reagire continuavano  a ripetergli gli amici, costantemente impegnati a trovare una soluzione; ma lui...nulla.
Era come parlare ad un fantoccio.

Una mattina Alain, di ritorno dall'ennesimo lavoro, non lo trovò; la sua più grande paura si era realizzata.
Lo cercò in lungo ed in largo, per ore e giorni, ma di Andrè si erano perse le tracce. Era come svanito. 


“Dove sei, dannato figlio di un falegname?” urlò nel mezzo di una notte, ritto in piedi davanti alla Senna, sperando che non fosse l'ultima cosa vista dall’amico prima di scomparire nel nulla.
Ma le onde leggere  di quel fiume non risposero, nessuno intorno a lui fiatò: non gli restò che arrendersi, girare i tacchi e tornare da dove era venuto, guardando il cielo e borbottando parole senza senso.

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Capitolo 10
*** Il matrimonio, parte prima ***



Prima di tutto, le mie scuse.
Ho atteso parecchio prima di pubblicare e questo non è dipeso dalla mia volontà; purtroppo alcuni disguidi piuttosto importanti legati a questioni di salute di un mio caro non mi hanno lasciato nè tempo nè voglia per mettermi ad un pc.
Nei prossimi giorni, impegni permettendo, ricomincerò ad aggiornare le varie storie.
Barbara 




 

CAP. 10  Il matrimonio - parte prima 

 

Lo sguardo lontano andava verso alcune figure che passeggiavano attraversando il grande giardino da parte a parte: era uno sguardo stanco e gli occhi cerchiati da rabbia e pianto  segnavano il viso di Oscar che, da due settimane,  si trovava di fatto reclusa in quella che fino ad un anno  prima rappresentava la sua casa.
Girodelle era  a pochi passi da lei e  la osservava silenzioso,  spostando lo sguardo dalla donna e quel frugoletto che riposava ignaro e tranquillo; non una parola era ancora stata detta, nonostante i due condividessero quella stanza ormai da un paio d’ ore.  

 

“...Oggi potrebbe piovere”.

Fu questa la prima frase che il suo ex sottoposto  pronunciò dopo aver preso coraggio, pronunciata quasi con timore.
Oscar, di spalle, non fece un cenno; l’ uomo lasciò vagare gli occhi per la sala, si sistemò la giacca, cercò nuovi spunti di conversazione.

“...vorrei tanto aiutarvi, Oscar, ma se non mi dite nulla...vorrei parlare con voi, rendevi più semplici questi giorni….” provò ancora a  dire.

“...Voi, Girodelle? Voi vorreste darmi una mano? Avreste dovuto pensarci prima di accettare le pazzie di mio padre” sibilò lei  a denti stretti. Avrebbe voluto urlare,  ma il piccolo Gil si era addormentato da pochissimo tempo. Non era il caso. 


Girodelle non osò più dire nulla.
Si alzò e fece qualche passo avvicinandosi alla donna.
La sua mano si posò su quella di Oscar.

“Mi dispiace, davvero. Ma sappiate che io ho accettato di sposarvi non solo per le minacce che vostro padre mi ha mosso, ma perché, come sapete...vi ho sempre amata” disse; la voce bassa dell’ uomo scandì bene ogni singola parola.
Oscar tolse la mano da quella del conte cercando di trattenere la sua rabbia:  non tanto rivolta a lui, ma alla situazione. Girodelle era un uomo di sani principi, sapeva che l’ avrebbe trattata bene e amata ma...pensarlo come marito, no; non era fattibile.
Non era possibile. 

“Victor” disse trovando un filo di calma “ voi sapete meglio di me che questo matrimonio non sarà fattibile...preferisco morire, piuttosto che dare adito ai piani folli di un vecchio. Non è per voi, so che potreste essere un bravo marito, ma io amo un altro uomo, il padre di mio figlio. Se vi è qualcuno che voglio sposare, questi è Andrè” disse.
Lentamente, quindi, si voltò; fissò Girodelle.

“...Non ci si sposa per amore, Oscar. Lo sai meglio di me...nei nostri ambienti ha sempre funzionato così. In ogni caso, io non ti costringerò a fare qualcosa che non vuoi, ma non voglio nemmeno passare guai” rispose lui, trovando all’ improvviso il coraggio e la confidenza che gli erano da sempre mancati. 

“Mi dispiace: se a te manca il coraggio, cosa che pensavo tu avessi, a me non importa: io non resterò a lungo qui, appena Andrè si farà vedere scapperemo insieme...ma lontano, stavolta” rispose.
Nel mentre, Gil richiamò la sua attenzione. Le manine agitate in aria , segno che era sveglio, precedettero di qualche secondo il pianto del piccolo e Oscar si recò subito da lui.

“Fai come vuoi. Io ti rispetto e sarò sempre gentile con te, ma non rischierò la mia vita e quella del mio casato per incappare nella rabbia del tuo folle genitore. Purtroppo non posso fare altro” disse Victor.  Detto ciò si alzò, osservò ancora una volta la donna ed il bambino e poi, dopo un inchino, uscì.

 

Oscar strinse a sè Gil cacciando indietro le lacrime che iniziavano a scendere e si avvicinò al letto una volta accomodata, ricominciò a cullare il piccolo.
Dove sei, Fersen? Non dovevi aiutarmi? pensò fra sè , notando che il conte svedese ancora non era rientrato dagli affari che ormai da giorni lo tenevano lontano da Parigi “...ti prego, se ancora mi vuoi bene, fai qualcosa per me…” disse con un filo di voce, sperando che questi arrivasse presto.



 

...Qualche tempo dopo: febbraio 1790

“E’ inutile. Non mi piegherete mai, nemmeno continuando a picchiarmi tutti i giorni, come state facendo ora. Non me ne andrò da Parigi e non rinuncerò mai a lei”.
André, steso per terra rannicchiato in posizione fetale, pronunciò queste parole con quella poca voce che gli era rimasta. Sangue fresco e vivido si mischiava a quello rappreso, dal colore più scuro ed opaco, che riempiva gran parte del suo corpo. Il piede destro, fasciato con dei lembi di camicia, presentava una posizione innaturale.

Michel e Louis alzarono il bastone ancora una volta su di lui.
“Vedremo...vedremo! Siamo proprio curiosi di sapere quanto resisterai, eroe!” disse quest’ ultimo. Andrè, colpito ancora una volta, non disse altro e non fece sentire nemmeno un lamento. Si limitò a chiudere gli occhi e cercare di non pensare al dolore fisico e non solo che quella situazione stava procurando al suo cuore, sperando che quei due non andassero oltre.
“...una ultima volta, Grandier: accetterai il compromesso che il tuo padrone ha proposto? Rinuncerai a lei, andrai lontano?” chiese, ancora, Marcel. Lui non rispose; si strinse in sé stesso, attendendo i colpi che sarebbero arrivati.
Marcel e Louis , tuttavia, non fecero alcuna mossa; dopo avergli sputato addosso, senza dire nulla, uscirono da quella porta lasciandolo solo.

Andrè rimase fermo ancora per un po; solo quando fu certo che attorno a lui non vi fosse nessuno si trascinò verso il giaciglio di paglia e stracci, aiutandosi con i gomiti e le ginocchia, rabbioso, dolorante.
Verrò da te, Oscar. Verrò da te, amore mio pensò non appena riuscì a poggiare la testa su qualcosa di morbido, sicuramente più morbido della nuda pietra. 

Solo quello contava.

 

Passarono così i giorni dei quali perse ogni conto: giorni scanditi da botte, giorni scanditi da insulti, dal dolore.
Era sempre più debole  e sempre più solo; non aveva idea di dove si trovasse , essendo arrivato li bendato...e la febbre, da qualche tempo, non gli lasciava nemmeno il tempo di pensare. Però, almeno, i pestaggi si erano fermati: forse era troppo prezioso per essere ucciso senza pietà...forse poteva servire ancora a qualcosa.
Una svolta arrivò all’ inizio di marzo: da poco sveglio senza nemmeno sapere se fosse notte o giorno, sentì risuonare al di la della pesante porta metallica dei passi. Sembrava quasi… una persona che stesse cercando qualcuno...o qualcosa.
Istintivamente, gettò lontano il pane secco che stava mangiando e strisciò verso l’ angolo più remoto; li rimase in attesa.
Chi poteva fargli visita? I passi erano quelli di una sola persona, non sentiva altre voci.
“...Sono felice di averti trovato, Andrè! ” disse quella voce.
“Chi siete? Cosa volete?” chiese lui , dunque, con voce forzatamente baldanzosa.
La figura, avvolta in un pesante mantello, fece alcuni passi in avanti. Il doppiere illuminò un viso.
“Fersen…” disse Andrè, coprendosi il viso con le mani quasi non volesse farsi vedere in quelle condizioni  “Voi...qui…”
Il conte si avvicinò ancora.
Il suo viso sbiancò osservando le condizioni non solo della stanza ma anche dell’ uomo.
“Andrè...mio dio” disse appena, con voce quasi trasparente “ io...io...come vi hanno ridotto?”
L’ uomo nascosto nell’ angolo scoprì il volto.
“Cosa volete dire….come mai siete qui? Che...che parte avete in questa faccenda?” chiese.
Il conte tolse il mantello avvolgendolo intorno al corpo di Andrè. Inginocchiato accanto a lui, Fersen si accertò delle sue condizioni.
“ Io...sapevo che Jarjayes voleva trattenervi, ma non credevo fosse arrivato a tanto. Vi cerco da tempo, ma solo oggi ho scoperto questo passaggio e ...queste segrete. Mi dispiace ….” disse
.
Andrè iniziò a non capirci più nulla.
Dove si trovava ma, soprattutto, perchè Fersen si trovava li e lo stava cercando? Dove era Oscar? Stava bene?
“Vi prego...ditemi cosa sta accadendo… potrei...potrei impazzire” disse allora. Stretto nel mantello, il corpo debole ed emaciato sembro sentirsi meglio. Perfino la voce e la forza di parlare era tornata.
Fersen lo fissò con compassione.
“Siete nelle segrete di Palazzo Jarjayes...io ..ne ho scoperto l’ esistenza solo qualche giorno fa...perdonatemi se mi presento solo ora… perdonatemi, vi prego” disse, quasi implorandolo…
“Nelle segrete? Non ho mai saputo ve ne fossero…” disse Andrè, sorpreso quanto lui. I due si fissarono per un istante.
Quanti segreti aveva quella casa ed il suo padrone? Da quanto tempo andava avanti questa situazione? pensarono più o meno all’ unisono.
“Venite, ora. Vi sorreggerrò e probabilmente vi farò male. Resistete...vi porterò al sicuro” disse Fersen d’ un tratto , riprendendosi dalle sue elucubrazioni.
“Io...voi...dove volete portarmi? Dove..dove andremo? Dove è Oscar? E mio figlio?” domandò Andrè sentitosi sollevare da possenti braccia, cominciando ad agitarsi; Fersen parve non ascoltarlo nemmeno ma uscì, di gran carriera, da quel posto.
“...Ora vi porterò a casa mia. Qui a palazzo non c’è nessuno, sono tutti in chiesa” disse con voce triste.
“...per quale motivo?”chiese
“...per il matrimonio di Oscar e di Victor, Andrè. Vi prego, non agitatevi: risolveremo anche questo ma prima...prima devo portarvi al sicuro” disse.
Andrè perse qualsiasi colore dal viso. I suoi occhi stanchi si spensero, piano piano: ogni fibra del suo essere iniziò a tremare di rabbia e dolore.
La sua Oscar….la sua Oscar in sposa a Girodelle….strinse i pugni, Andrè, il corpo di tese; la testa ed il cuore sembravano scoppiare.
“Non è il momento Andrè, non ora: non possiamo fare nulla. Abbiate fede, abbiate forza” disse Fersen.Erano ormai arrivati davanti ad una piccola scalinata.
“...qui c’è una uscita, ci porterò sul retro di palazzo. Forza.Ve la sentite di camminare? Non credo di riuscire a portarvi fin lassù” disse il conte.
Andrè annuì.

Era distrutto, nel corpo e nello spirito, ma quella notizia...gli regalò una forza inaspettata. Non gli importò più nulla, non sentì la caviglia che ad ogni passo provocava fitte lancinanti.

Sentiva solo il suo cuore.
Rabbia.
Tristezza.

 

Fece quegli scalini contro ogni previsione, arrivando in cima senza fiato; lasciò allora passare Fersen, che aprì la porta. Un uomo passeggiava poco lontano, guardandosi intorno.
“State giù” disse ad Andrè, rannicchiaco contro il muro, ancora sulla scala; quindi si allontanò e, senza che nemmeno l’ altro se ne accorgesse, lo trapassò da parte a parte con la spada lasciandolo esanime sui piccoli sansi bianchi per poi tornare dal compagno.
I suoi occhi spiritati fissarono quelli di André.
“...Il mio cavallo non è lontano. Ora, ascoltatemi bene: rimanete fermo qui, io richiuderò la porticina, ho le chiavi. Sellerò il mio cavallo e verrò a prendervi; in qualche modo usciremo di qui” disse appoggiando le proprie mani sulle spalle di Andrè, che annuì.

“Che Dio ce la mandi buona” lo sentì dire nel richiudere la porta. 

Poi, il buio e l’ umidità lo avvolsero ancora una volta.

 

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