Black Widow: Supremazia

di MuItifanacc
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Avengers ***
Capitolo 2: *** Il Ritorno pt. 1 ***
Capitolo 3: *** Paradiso mcu ***



Capitolo 1
*** The Avengers ***


-BASTA urlò Thor sbattendo il suo martello su una scrivania del laboratorio distruggendola e facendo saltare in aria tutto quello che vi era poggiato sopra, tutti si fermarono a guardarlo.
-È questo il piano di Loki, di metterci tutti l’uno contro l’altro in modo che il gruppo si separi, continuò.
-In modo da provocare Bruce e quindi non potremmo gestirlo, concluse Natasha.
Ci fu solo un attimo di pausa tra tutti i 5 in quella stanza, Tony e Steve si diedero la mano in segno di pace e proprio mentre stava per dire qualcosa ci fu un’esplosione che sbalzò tutti quanti in aria.
Tony e Steve, si ritrovarono l’uno sull’altro sotto una scrivania, Thor era stato sbalzato al muro dietro di lui e Natascia e Bruce erano stati scaraventati oltre i vetri che davano sull’ampia sala macchina, ritrovandosi a cadere da un’altezza di circa 8 metri.
Steve fu il primo ad alzarsi e a notare che mancavano 2 persone all’appello, si sporse dalla finestra ormai distrutta e chiese preoccupato se stessero bene.
-Tranquillo Steve, stiamo bene, rispose Natascia mentre cercava di sfilarsi la gamba incastrata sotto un tubo.
-Signorina Tasha sta bene? Le chiese Thor, Dio quando amava quel nome, rispose affermativo anche a lei quando sentì debolmente che dicevano di dover andare a controllare Loki e poi sentì in lontananza i loro passi pesanti che si allontanavano.
Spostò lo sguardo su Bruce e vide la sua vena del collo pulsare, la paura le circolò in tutto il corpo e mentre cercava di tirare via la sua gamba, non ottenendo risultati se non un sacco di dolore, cercò di calmarlo.
-Bruce, sono io, Natascia, ti prego devi calmarti, va tutto bene, devi soltanto respirare e calmarti.
Cercò di usare un tono di voce rassicurante ma essendo lei era terrorizzata e dolorante ne uscì soltanto un sussurro spezzato.
Vide la pelle di Bruce farsi sempre più verde mentre cresceva a dismisura e i suoi vestiti strapparsi, con un forte scatto riuscì a tirarsi via la gamba e saltare giù da quella piattaforma, proprio mentre Bruce si era trasformato, ora era Hulk.
Appena le sue gambe toccarono entrambe terra, sentì una forte scossa alla gamba ferita che la fece cadere per terra, cercò velocemente un riparo e lo trovò tra degli enormi tubi, al centro formavano un piccolo spazio dove la sua figura seduta ci entrava.
Strisciò lì dentro facendo forza sulle braccia e una volta accertata che Hulk non potesse vederla si tastò la gamba e constatò che era rotta, magnifico, pensò, proprio mentre Hulk mi dà la caccia.
Cercò di chiamare aiuto ma vide la sua ricetrasmittente per terra, dall’altra parte della stanza, non poteva mai arrivarci viva, se avesse avuto entrambe le gambe intatte un tentativo lo avrebbe anche potuto fare, ma nelle sue condizioni si sarebbe portata soltanto verso la morte.
Doveva scappare. Ma come.
Era sicura che poteva organizzare un ottimo piano se solo avesse avuto la sua divisa, o almeno la sua giacca di pelle, maledì il momento in cui se l’era tolta rimanendo solo con il pantalone e la canotta.
Si tastò le tasche laterali e trovò soltanto 2 granate, una normale e una con l’impatto congelante.
In mente le venne soltanto un disperato tentativo per salvarsi, staccò alcuni cavi che le passavano sulla testa e intrecciandoli velocemente ne fece un piccolo scudo, prese la granata congelante e la fece scoppiare esponendo soltanto la sua gamba al raggio gelante cercando di ripararsi dietro quel piccolo riparo.
Il dolore era peggiorato però almeno aveva una specie di supporto che non le permetteva di far uscire l’osso fuori dalla pelle o di stracciarle i tessuti, si era creata un’gesso di ghiaccio.
Soltanto che l’esplosione non passò inosservata agli occhi del mostro verde che si avvicinò velocemente al punto dell’esplosione, Natasha agilmente uscì dal suo nascondiglio e corse via inseguita da Hulk.
Sarebbe stata più che sicura che avrebbe potuto seminarlo, se non avesse quella gamba rotta.
Dovette davvero concentrarsi per ignorare il dolore ma la paura che Hulk potesse distruggerla era più alta così la spingeva a correre sempre più veloce.
Soltanto che non poteva competere con la velocità di Hulk in quello stato, così lui la raggiunse e le tirò una forte spinta lungo il suo fianco, vide tutta la stanza muoversi velocemente intorno a lei, le sembrava quasi che stesse volando, non sentiva neanche dolore, fin quando la sua schiena non toccò il muro, toccare era un eufemismo perché in quella grande e resistente lastra di metallo ci lasciò un profondo affossamento.
Quando toccò terra sentì tutte le ossa scricchiolarle e tralasciando il pulsare della sua testa i suoi polmoni le sembravano svuotati, non riuscivano a prendere aria.
La sua vista era sfuocata però riuscì chiaramente a distinguere quella grossa e arrabbiata macchia verde venirle in contro, cercò di muoversi ma è stata troppo lenta che un’altra manata la prese in pieno petto.
Quando atterrò sentì i suoi polmoni funzionare di nuovo però quello che la stupì era l’insolito bruciore su tutto il busto, cercò di muovere la testa per vedere cosa le stesse succedendo e quando i suoi occhi si posarono sulla sua canotta nera videro tre grossi strappi da dove usciva un’enorme quantità di sangue inzuppandole la maglia e formando una pozza sotto di lei.
Lì iniziò ad andare in panico, quello era davvero un brutto modo per morire, sperò che la perdita di sangue l’avrebbe portava a svenire prima che Hulk l’avesse presa, così mentre si abbandonava al suo destino, un’immagine le venne in mente, un piccolissimo frame del lontano 1995, quando lei e sua sorella giocavano insieme al parco, lo stesso giorno che furono separate e lei dovette fare di nuovo i conti con la red room,  non poteva lasciarla, glielo aveva promesso, era suo compito proteggerla e se lei fosse morta non avrebbe più potuto farlo, certo non si vedevano da più di 10 anni, o meglio Yelena non poteva vederla ma Natasha la teneva sempre d’occhio.
Così trovò la forza perduta e schivò un potente colpo che Hulk le stava per riservare, gli passò sotto le gambe con un agile scatto e in mezzo a queste vi lasciò una granata che in pochi secondi scoppiò facendo volare in aria Hulk.
Sapeva benissimo che questo non gli avrebbe fatto niente, ma almeno aveva guadagnato qualche secondo per scappare, così si nascose di nuovo in quel condotto che creavano i tubi e cercò di tamponarsi le ferite, iniziava davvero a sentire la perdita di tutto quel sangue.
I colpi che tirava Hulk alle pareti erano davvero forti, tanto da attirare l’attenzione di alcuni agenti dello Shield, così appena videro l’enorme creatura mandarono il segnale a Nick, che si trovava nella stanza dove Loki era prigioniero, insieme agli altri 3 supereroi pronti per interrogarlo.
-Direttore Fury, sala controllo, Hulk è fuori controllo, ripeto Hulk è fuori controllo e c’è un enorme quantità di sangue, si pensa ad un altro agente, attendiamo ordini.
Appena Nick riferì il messaggio, tutti e 3 gli eroi alzarono lo sguardo e dalla loro bocca all’unisono è uscito un solo nome, quello di Natascia.
In pochi minuti arrivarono sul luogo e mandarono via gli altri agenti nascosti facendosi avanti tra le macerie.
-Dio, sembra che un intero squadrone si sia battuto qui. Disse Steve.
-Steve, appena tutto questo sarà finito, ti porterò un po’ in giro a modernizzarti. Appuntò Tony convinto.
-Hey piccioncini, non vorrei disturbare il vostro appuntamento ma vi siete guardati intorno? Chiese Thor indicando con il suo martello una grossa pozza di sangue lì vicino.
Non dissero nient’altro perché sentirono i pesanti passi di Hulk che correva verso un condotto e vi sbatteva contro i pugni, creando un buco abbastanza grande da infilarvici la testa, fecero per intervenire quando videro delle sottili gambe tirare un forte colpo sulla faccia di Hulk che lo fecero volare via tramortendolo leggermente.
Thor si avvicinò ad Hulk che era atterrato sulla pancia e gli poggiò il martello sulla schiena impedendogli di alzarsi, mentre Steve e Tony andavano da chi lo aveva colpito.
Appena riconobbero l’esile e malandata figura di Natasha si diedero da fare per tirarla fuori.
Tony con i suoi laser stava tagliando il materiale ingrandendo il varco in modo che Steve potesse prenderla, quando il varco fu abbastanza grande, Steve si inginocchio e vi entrò per metà busto prendendo Natasha tra le sue mani e tirandola fuori di lì.
La poggiò per terra e non persero tempo a controllare le sue condizioni, andava portata d’urgenza nell’ala medica, anche lei era geneticamente modificata, ma per lo più era umana e i colpi si facevano sentire.
-Tony portala tu, disse Steve mentre si allontanava da lei per aiutare Thor a calmare Bruce, anche Thor le diede uno sguardo veloce e annuì guardando Tony negli occhi.
Tony la prese in braccio e volò via più veloce che potesse, portandola in infermeria.
Natasha venne svegliata da un'insolita luce, le filtrava anche attraverso le palpebre, ma ancora si rifiutava di aprirle.
Credeva di essere morta, ricordando gli eventi che poco prima l'avevano distrutta, con un rapido movimento una mano le si posò sul petto, dove aveva le ferite più grandi e sentì sotto quello che indossava che c'era qualcosa sulla sua pelle, qualcosa come delle fasce o delle garze, allora qualcuno l'aveva salvata, ricordava vagamente l'odore ferroso dell'armatura di Tony, ma non credeva che l'avessero salvata in tempo.
Si costrinse ad aprire gli occhi, ma se ne pentì subito, l'effetto che ebbe la luce sulle sue pupille è stato al quanto distruttivo.
Lentamente li aprì di nuovo e cercò di farli abituare a tutta quella luce, quando riuscì più o meno a mettere a fuoco capì che si trovava ancora nello SHIELD ed era nell'infermeria.
Allora l'avevano salvata davvero.
Si guardò le gambe e vide sulla gamba rotta un tutore, provò a muoverla e ci riuscì senza sentire alcun dolore, questo era un dettaglio molto a suo favore.
Si sedette sulla poltrona dove era stesa e sentì un leggero capogiro, così si tastò la fronte e vi sentì una benda che le faceva tutto il giro intorno alla testa.
Non ci mise molto ad orientarsi di nuovo e cautamente poggiò la gamba rotta per terra, si tenne alla poltrona e provò a fare qualche passo.
Ci riuscì, sentiva soltanto un leggero formicolio in mezzo alla gamba, guardò meglio il suo tutore e ci vide sopra la firma Stark Industries, scuotendo la testa pensò che Tony non sapesse più dove investire i suoi soldi.
Vide sul ripiano di fronte a lei, oltre a materiale antisettico e disinfettanti una lettera, era indirizzata a lei, il mittente non c'era.
Il suo primo pensiero andò a sua sorella, pensava le fosse successo qualcosa di grave, ebbe quasi paura ad aprirla.
- Cara Natasha, mi dispiace davvero tanto per quello che è successo, quello non ero io, ma era il mostro dentro di me, quando ore dopo ti ho visto in quello stato, volevo esserci io al tuo posto.
Davvero non riesco a ricordare cosa sia successo, ripeto quello non era il dottor Bruce, era Hulk, ed io non ho mai saputo come controllarlo, come non farlo impossessare di me, ci ho provato per giorni, mesi e persino anni, abitando da solo e nei posti più sperduti del mondo, per evitare di fare del male alle persone, come è successo a te.
Nel momento in cui Tony è ritornato dall'infermeria, si è subito messo al lavoro per trovarmi una cura, e ci è riuscito, ora riesco a controllare Hulk, o meglio la parte della sua mente è addormentata ed io posso calmarmi in pochi istanti.
Ripeto, mi dispiace, spero che tu stia bene e che possa perdonarmi.
Decise di uscire da quella stanza per andare a parlare direttamente con Bruce per chiarire la situazione, portargli rancore era l’ultimo dei suoi problemi.
Zoppicando leggermente si fece strada tra le ormai conosciute pareti dello SHIELD, fino ad arrivare nella sala di controllo centrale dove poteva vedere un direttore Fury più tosto alterato inveire contro uno schermo mentre il suo braccio destro l’agente Hill lo aggiornava su quello che stava succedendo.
-Allora ragazzi cosa mi sono persa? Chiese facendo il suo ingresso, subito Maria le passò il tablet con cui stava lavorando mentre iniziava a parlare.
-I ragazzi, gli Avengers, stanno combattendo contro Loki e la sua mandria di alieni che stanno venendo dallo spazio tramite un warmhole, ora abbiamo capito come chiuderlo però abbiamo perso tutti i contatti con loro e mandare uno di noi sarebbe troppo pericoloso.
-Vado io, rispose con quel tono di voce che non lasciava intendere che avrebbe ceduto e Fury lo sapeva bene.
Così ignorando Maria e Nick che le ricordavano cosa aveva subito meno di una settimana fa, lei si diresse verso la sua stanza, si cambiò con la sua solita tuta, era davvero stretta e tutti i suoi lividi non aiutavano ma resistette all’impulso di lasciare tutto andare e togliendosi perfino il tutore alla gamba corse verso il ponte esterno.
Maria e Nick la videro correre e poterono notare che non poggiava tutto il peso sulla gamba infortunata, doveva farle ancora male, anche se l’osso era quasi del tutto guarito.
-Signore dobbiamo aggiungere anche il suo nome alla lista degli Avengers? Chiese Maria mentre osservava il jet dove pochi secondi prima era salita Natasha decollare.
-Hill, ti ricordi quella parte top secret del progetto Avengers? Chiese Nick voltandosi e andando ad un computer, Maria lo seguì rispondendo.
-Certo che ricordo signore, era la prima parte del progetto, nessuno a parte lei la conosce.
-Quella parte era ed è composta da tutti i fascicoli dell’agente Romanoff, il progetto Avengers è nato per lei, è lei la fondatrice.
Senza lasciare tempo di replicare Nick si mise in contatto con il jet di Natasha.
-Allora agente Romanoff, l’unico modo per chiudere il portale è prendere lo scettro di Loki e distruggere il congegno che tiene aperto il portale.
-Ricevuto, rispose Natasha senza emozioni e chiuse la chiamata poco dopo che Nick le diede altre informazioni.
-Dietro la tua seduta, c’è una ricetrasmittente, prendila così potrò aggiornarti da qui.
Le ci vollero soltanto pochi minuti per arrivare nel bel mezzo di Manhattan e lì vide sparpagliati per la città mentre cercavano di sconfiggere gli alieni.
Hulk faceva avanti e indietro tra i palazzi annientando gli alieni che vi erano di sopra, Thor era sulla Stark tower che combatteva con suo fratello, Tony volava per la città cercando di allontanare degli alieni più grandi del normale dai cittadini, Steve era intendo ad uccidere quelli di terra mentre dall’alto vide scossare delle frecce in particolare ed erano quelle di Clint.
Atterrò sulla Stark Tower, proprio vicino il generatore, provò a lanciargli un forte colpo ma fu soltanto sbalzata all’indietro, facendola precipitare nel vuoto, stava per lanciare un rampino quando due possenti braccia la presero.
-Non sapevo saresti venuta anche tu alla festa, avrei messo almeno il deodorante, le disse Thor mentre la poggiava delicatamente a terra e richiamava il suo martello che gli arrivò nella mano.
-Come potevo perdermela? Scherzò in rimando lei ignorando la sua battuta.
-Thor ho bisogno di prendere lo scettro di Loki, iniziò lei ma lui semplicemente le indicò una determinata parte del palazzo dove vide un particolare oggetto brillare di azzurro.
Lo ringraziò dandole un bacio sulla guancia e corse a prenderlo, appena lo impugnò sentì una strana forza attraversarle il corpo e iniziò la sua corsa per ritornare sul tetto.
Mentre correva su per le scale ormai distrutte della torre, sentì il direttore Fury dalle una notizia in particolare.
-Agente Romanoff, deve fare qualcosa per risolvere l’imminente problema, il governo ha appena sganciato una bomba atomica su New York e si schianterà tra circa 3 minuti.
Natasha non sentì più niente di quello che doveva dirle Fury perché si tolse l’auricolare, le era venuta un’idea in mente e di sicuro l’avrebbero fermata, così cambiò rotta e corse verso il magazzino di Tony.
Aveva passato molto tempo in quella casa e sapeva esattamente cosa doveva fare.
In pochi attimi si ritrovò a volare nel cielo, contornata da un esoscheletro indistruttibile rosso e oro.
Arrivò sulla cima del palazzo e impugnando lo scettro iniziò a manovrare il portale cercando di chiuderlo.
Jarvis attivato da Tony le si presentò sullo schermo e la guidò nell’operazione, ormai la chiusura del portale era stabilita sarebbero serviti soltanto 2 minuti e poi quell’orda di alieni avrebbe smesso di arrivare sulla terra, soltanto che questo non era il problema principale.
-La Bomba, sussurrò disattivando Jarvis dalla sua visuale e partendo verso la costa.
-Scusa mi sono perso un dettaglio, quale bomba? Le chiese Tony in remoto.
Natasha non disse niente, semplicemente lo ignorò e si concentrò sul suo compito.
Subito la individuò e vi volò di sotto, appena le sue mani toccarono la superficie dell’arma sentì una forte scarica di adrenalina nel suo corpo, era abituata a fare cose pericolosamente mortali ma quella era troppo anche per lei, poteva sentire fredde gocce di sudore scorrerle lungo la spina dorsale.
Si stavano avvicinando alla città, ancora nessuno di loro poteva vederla, e sperò che non la videro affatto, se no il suo piano sarebbe andato a rotoli.
Capì che la traiettoria della bomba sopra di lei stava cambiando quando la sentì spingerla verso il basso, così mandò tutta l’energia della tuta ai suoi propulsori dei piedi e spinse più che poteva quella bomba.
Riuscì benissimo a manovrarla e pensò che sarebbe stato un ottimo modo per morire quello, a detta di sua sorella.
-Natasha dimmi che non lo stai per fare vero?
Poté sentire la voce di Steve questa volta nelle orecchie.
Il portale si stava sempre di più ridimensionando.
-Ragazzi vi ho voluto bene, Bruce tranquillo sei perdonato, Thor mi piaceva davvero il modo in cui mi chiamavi, Steve sei stato davvero il mio migliore amico, Clint non preoccuparti e Tony scusami ma questa tuta non potrai riaverla indietro e non vi dimenticherò mai… fu’ tutto quello che ebbero sentito prima di vederla scomparire nel portale.
Susseguirono momenti di silenzio, sembrava che la città fosse impostata sul muto, che tanto piaceva a Tony ma non in quel modo, Natasha non poteva morire così.
Si sentì un forte boato e poi tutti gli alieni che caddero senza vita.
Natasha c’è l’aveva fatta, li aveva salvati tutti quanti, sacrificandosi.
Lente lacrime scesero lungo le guance di Steve, Tony si tolse l’armatura dalla faccia mentre Thor si piegava su un ginocchio lasciando il martello e portandosi la mano destra sul cuore, Hulk ritornò Bruce mentre Clint rivolgeva lo sguardo al portale.
Portale che era quasi chiuso quando qualcosa attirò la sua attenzione, un’esile figura che cadeva dall’alto, subito lanciò un forte urlo indicando agli altri a terra il corpo di Natasha che cadeva.
Tony in un attimo decollò e la prese al volo poco prima che toccasse terra.
Ritornò dove erano tutti e la poggiò delicatamente a terra, togliendo dal suo corpo i pezzi di armatura che non si erano disintegrati.
Nessuno voleva credere alla sua morte, nessuno, erano tutti in cerchio intorno a lei e semplicemente si rifiutavano di farlo, fin quando tutto successe.
Bruce si trasformò e tirò un forte urlo che fece spaventare tutti i presenti compresi Natasha.
-Dio Bruce, mi è quasi venuto un infarto, disse facendo spostare tutta l’attenzione su di sé.
Le facce di tutti non potevano essere descritte, erano un misto di stupore, orrore e felicità.
Steve fu il primo ad avvicinarsi e le porse la mano aiutandola ad alzarsi soltanto che dovette tenerla di peso dato che la sua gamba le mandò una forte fitta che le addormentò un attimo i nervi.
Così ignorando ora le sue lamentele Steve la prese a cavalcioni sulle spalle e la riportò indietro in quel modo.
Lei mise il broncio e poggiò i gomiti sulla testa di Steve, poggiandoci sopra le mani la testa, facendola sembrare una bambina capricciosa.
Tony vi scattò una foto tramite Jarvis e la inoltrò a tutti i presenti.
-Nat, hai fame per caso? Chiese Steve mentre continuavano a camminare tra le macerie.
Lei annuì e lui continuò.
-Allora andiamo a mangiare che il tuo stomaco mi sta brontolando contro il collo.
Tutti scoppiarono a ridere e fortunatamente trovarono una tavola calda che li accolse.
Così mentre quelle 2 persone che vi erano rimaste dentro gli preparavano qualcosa da mangiare loro si sedettero all’unico tavolo rimasto intatto dalla battaglia.
Steve fece scendere Natasha e la mise su una sedia facendola alzare la gamba sull’altra sedia di fianco a lei, proprio dietro la schiena di Clint che si era già seduto, all’altro fianco capo tavola si sedette lui, di fronte a Natasha, Thor, di fianco a lui Tony e all’altro capo tavola Bruce.
Il loro cibo arrivò e tutti si resero conto di quanto potesse mangiare quella tanto minuta e graziosa spia russa, aveva perfino vinto contro Thor e lui era davvero una buona forchetta.
Così stanchi e sporchi ma con gli stomaci pieni fino all’orlo fecero ritorno alla base dello SHIELD dove ognuno si era meritato una calda doccia e almeno qualche giorno di riposo.

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Capitolo 2
*** Il Ritorno pt. 1 ***


C’erano cose che Nat non aveva detto a nessuno prima di morire, è morta con i suoi segreti, anche quel dannatissimo segreto che aveva scoperto prima di partire indietro nel tempo con Clint, lui che lo credeva un vero amico, la prima persona a cui si era aperta veramente e che sapeva letteralmente tutto di lei, persino di sua sorella, le aveva mentito, o meglio glielo aveva tenuto nascosto, non solo a lei ma a tutti quanti, era tutto il suo piano di vendetta quello, ma non pensava sarebbe stato così doloroso pensò mentre cadeva nel vuoto, era certa che avrebbe indossato la sua migliore maschera e che avrebbe fatto credete a tutti che fosse stata lei a buttarsi e che lui avesse provato di tutto per fermarla, inutilmente, era più che certa che sarebbe finita così, con lei morta per un suo capriccio, perché il suo ragionamento non le andava bene di certo, perché solo le sue idee erano le migliori. Perché non potevano semplicemente aspettare Thanos e rubagli la gemma una volta che lui l’avesse presa, era crudele far morire una bambina, ma o con la pietra o senza lei sarebbe morta comunque, e poi c’era un altro punto a loro favore per loro, Thanos era senza poteri in quel momento, ed erano 2 contro 1, avevano anche abbastanza tempo per creare un diversivo, una trappola, qualsiasi cosa, ma per Clint era molto più pericoloso che farsi pestare a sangue ed essere buttata in quel precipizio. Rivolse un ultimo pensiero a tutti gli Avengers, a tutto quello che avevano passato e infine a sua sorella e alla loro ultima avventura, uccidendo Draikoff e finalmente distruggendo la stanza rossa e rendendo libere le sue vedove. Così sentendo l’eco del suo richiamo, quel piccolo fischio nella testa, tutto il suo corpo fu colpito da qualcosa, o meglio lei colpì qualcosa, e dentro di lei si sprigionò il dolore più forte che avesse mai sentito, era come se tutte le ossa le si fossero spezzate stralciando tutto quello che vi si trovava intorno, muscoli, vene e tessuti. L’ultima cosa che riconobbe prima di perdere totalmente i sensi è stato lo sguardo soddisfatto di Clint che con in mano la pietra se ne andava tranquillamente. Yelena seppe della morte di sua sorella Natasha soltanto 2 mesi dopo lo scontro, quando la ebbe cercata per giorni interi e di lei non c’era più alcuna traccia. Così sconfitta e amareggiata si costrinse ad andare a New York, la città degli eroi, si era sempre chiesta perché tutti gli eroi abitavano lì, non dovevano dividersi per il mondo in modo da coprire ogni nazione? Per lei aveva più senso così. Arrivò sotto la torre degli Avengers e rimase incantata dalla sua bellezza, era enorme cercò di paragonarla ai palazzi che aveva già visto ma si schiaffeggiò mentalmente, come poteva paragonare New York a Mosca oppure a Budapest. Riluttante entrò e venne accolta da un giovane uomo, molto giovane, che stava giocando al telefono mentre camminava e per poco non la colpì. -Stai attento ragazzino. Lo sgridò lei marcando fortemente il suo accento. Lui imbarazzato si scusò e chiese se avesse bisogno di informazioni. -Certo, sto cercando Natasha Romanoff, dovrebbe abitare qui vero? Vide lo sguardo del ragazzo che successivamente si presentò a lui come Peter o Spiderman, diventare molto cupo e triste e le disse di seguirla, era già intimorita da lei e non aveva neanche il coraggio di guardarla negli occhi figuriamoci di dirle che Natasha era morta. Il tragitto fu fatto in silenzio e Yelena osservava attentamente tutti i dettagli di quella torre così futuristica e semplicemente fantastica, sapeva che era la torre di un multimiliardario e si vedeva proprio. Si scrisse un appunto mentale che se avesse visto la signora Potts le avrebbe dovuto fare le condoglianze. Peter la accompagnò fino alla stanza di Steve, dove lo chiamò per risolvere la questione. Appena Steve aprì la porta e vide Peter e questa giovane donna si presentò, non avendo perso la galanteria degli anni 40. -Piacere Yelena, sono qui per mia sorella, Natasha. Sentendo il motivo per cui era arrivata fin lì, Peter lasciò subito la stanza e chiuse la porta dietro di lui, lasciandoli soli. Steve si sedette sul letto mentre lo sguardo di Yelena ricadde su un capo di abbigliamento perfettamente adagiato su una sedia, era il suo gilet, il gilet che gli aveva regalato, quello con le tante tasche, il primo capo di abbigliamento che aveva comprato in totale autonomia. -Perché lo hai tu? Chiese avvicinandosi all’oggetto in questione. -È di Natasha, teoricamente è mio ma glielo avevo dato. Continuò prendendolo tra le mani. -Sai Natasha doveva volerti davvero bene, da quando ci ha fatti riunire fino a quel viaggio quantico lo ha sempre indossato, le confessò amaramente lui. -Aspetta, perché fino a quel viaggio? Steve era fermo in quella posizione non poteva dirglielo, come poteva farlo, avrebbe voluto inventare una scusa qualunque ma non ebbe il coraggio di mentire a quegli occhi, le ricordavano molto quelli di Natasha, si erano completamente diversi ma avevano una sola cosa in comune, quello sguardo con cui ti guardavano, capace di attraversarti le ossa e scoprire tutti i tuoi nervi. -Forse è meglio se ti siedi. Le disse lui cercando di confortarla ma non aveva idea di come fare. Steve partì dall’inizio, da come Natasha aveva riunito la squadra, da come avevano organizzato i piani, da come si erano ritrovati soltanto loro 2 a mangiare pane e burro d’arachidi bevendo vodka fin quanto lui non le fece promettere che si sarebbero separati soltanto 1 minuto. -E poi, chiese lei davvero fiera della sorella, con le lacrime agli occhi che cercava di ricacciarle indietro sapendo che stava per sentire qualcosa di veramente brutto. -E poi sono passati 2 mesi, 3 giorni e 46 minuti da quella promessa, disse Steve indicando la sveglia a led rossi sulla sua scrivania, che scattò in avanti di un altro minuto. Yelena non voleva crederci, non poteva essere morta, Steve le raccontò tutto quello che sapeva, ma la sua mente da spia, non brava come sua sorella ma che poteva tenergli testa, trovò un buco nella storia raccontata. -Perché sono dovuti andare loro 2? Chiese in un sussurro, non voleva piangere davanti qualcun altro, sapeva che si fosse rotta, ma non ora, avrebbe avuto tutto il tempo per farlo dopo, da sola, senza nessuno, così da poter sfogare tutto quel dolore, senza che la gente cercasse di fermarlo, non poteva essere fermato quel genere di dolore, ufficialmente il suo cuore si era spezzato e non potrà risanarsi mai più. Prese il suo vecchio gilet e corse fuori dalla torre, Steve provò ad andargli dietro ma sapeva che era tutto inutile, d'altronde capiva il suo dolore, non poteva comprenderlo del tutto perché Natasha era la sua migliore amica, ma poteva capirlo, almeno in parte, anche se la parte distrutta del suo cuore non era grande come quella che aveva perso Yelena. Yelena viaggiò a lungo, senza fiatare, senza una lacrima scesa e soprattutto senza pensare a niente, si rifiutò di pensare a qualsiasi cosa perché sapeva che ogni cosa le avrebbe ricordato sua sorella, e lei doveva resistere, era forte e avrebbe resistito, almeno fin quanto non era completamente da sola. Era finalmente arrivata, aveva fatto scambio con tanti mezzi pubblici ma ci era finalmente arrivata, Steve le aveva detto dove l’avevano seppellita, si c’era la sua tomba ma il suo corpo era ancora disperso, ringraziò il cielo che era notte, così nessuno sarebbe andato lì. Scavalcò la recinzione e andò alla ricerca della tomba di sua sorella, non che il corpo fosse stato ritrovato, ma era bello avere un luogo dove poterla piangere in pace. Aveva ancora il suo gilet tra le mani e così decise di metterlo, appena il tessuto incontrò la sua pelle un’ondata del profumo di Natasha la avvolse e stordita dalle emozioni che le riempirono gli occhi, riconobbe la sua tomba, la riconobbe principalmente per il suo simbolo, quello della vedova nera, il suo nomignolo, aveva tanti alter ego ma quello era semplicemente il soprannome che aveva tenuto dalla stanza rossa, tutte le addestrate erano vedove, ma a lei le era stato affibbiato quel colore perché era la ricercata numero 1 da Draikoff e dal KGB. Le gambe le cedettero, e si ritrovò inginocchiata sul freddo terreno, dovette poggiare anche le mani tanto era scossa dai singhiozzi e dal tremito. Dalla sua gola uscivano strazianti lamenti mentre il suo viso era fradicio di lacrime, i suoi polmoni scossi da singhiozzi non le permettevano un’adeguata ossigenazione, aveva rinunciato alla messa a fuoco della sua vista, tanto a cosa le sarebbe servita in quel momento, voleva soltanto raggiungerla, si erano ritrovare dopo tanto tempo e l’aveva già persa, di nuovo, quanto erano piccole era terrorizzata da quello che le poteva succedere ma ora no, se l’avrebbe cavata sia con Nat sia da sola, ma ora non era sicura di riuscire a gestire i suoi sentimenti, perché quando si è piccoli non provi tutte queste emozioni, e soprattutto non le provi così duramente. Si lasciò completamente prendere dalle emozioni, tanto che urlò, urlò di rabbia, di rancore, di disperazione, urlò tutte le emozioni che stava provando, fin quanto non sentì la sua voce diventare sempre più rauca, ma i suoi singhiozzi non si placarono e neanche le sue lacrime. Sentì il suo corpo sempre più debole ma non le importava, così si lasciò andare e cadde per terra, su un fianco, proprio sulla tomba della sorella, era come sentirla più vicina in quel modo, una parte della sua mente le diceva che così colmava il dolore che era più vicina a Natasha ma sapeva benissimo che il suo corpo era ancora su Vormir, e soprattutto sapeva che non avrebbe mai potuto averla indietro. Venne svegliata dal cinguettio degli uccelli e svogliatamente aprì gli occhi, non si rese conto di dove fosse perché non sapeva di essersi addormentata, lentamente si alzò facendosi forza sulle braccia e incrociò lo sguardo con la tomba di sua sorella, e passò le dite sul bassorilievo dove era incisa la parola sorella, figlia, sorella, Avengers. Pensò che fosse un’ingiustizia che non le avessero scritto Eroina, dopo tutto si era sacrificata per salvare l’universo, un minimo riconoscimento dovevano darglielo. Estrasse dal suo stivaletto il vecchio coltellino che teneva per le emergenze, con molta cura incise a grandi caratteri, proprio sotto il suo simbolo, lei era un’eroina, non era un atto vandalico, non voleva di certo deturpare l’unica cosa che la teneva vicino la sorella, voleva soltanto rendergli giustizia. -Sta venendo bene, qualcuno alle sue spalle parlò ma Yelena neanche si girò per vedere chi fosse, non le importava, aveva quasi finito il suo lavoro e non voleva di certo fare male l’ultima lettera. Sentì l’altra persona sedersi un po’ distante da lei e fortunatamente per lei la lasciò in pace. Quando ebbe finito, rimise il coltellino nel suo posto, poggiò la fronte sulla lastra, proprio sul simbolo, chiuse gli occhi e fischio, aspettò in rigoroso silenzio ma non ebbe nessuna risposta, aprì gli occhi quasi delusa dal suo gesto, come se avesse potuto cambiare la realtà, quando si girò e vide la persona che prima le aveva parlato. Era una donna, dai capelli rossi, molto atletica e gli occhi chiari, dalla descrizione potrebbe anche sembrare sua sorella ma non era minimamente comparabile a lei, era Pepper, Pepper Potts, la fidanzata di Tony Stark, il famigerato Iron Man. Subito si alzò in piedi e si stiracchio molto finemente, aveva sempre passato la notte dormendo per terra. Pepper le si avvicinò e fece la sua conoscenza porgendole la mano. -Piacere Virginia Potts, il suo nome suonò strano era abituata a sentirla chiamare Pepper, anzi all’inizio pensava fosse un uomo e che Tony fosse omosessuale. -Yelena Belova. -Ascolta Yelena, so esattamente come devi sentirti, fidati e vorrei darti un’opportunità per placare la tua rabbia, iniziò Virginia prendendo qualcosa nella sua borsa. -Io non faccio niente per niente, soprattutto ora, disse Yelena asciugando una lacrima fuggita al suo controllo e distogliendo lo sguardo verso la tomba. -Lo so, ma la tua ricompensa sarà nel vederlo morire. Disse porgendole il piccolo tablet con sopra una foto, una determinata foto, con una determinata persona che entrambe le donne odiavano. Clint Burton. -Puoi fare come vuoi, letteralmente come vuoi, basta che non veda più la luce del sole. Yelena era senza parole, non avrebbe mai immaginato che qualcuno potesse capirla così bene, che potesse capire i suoi veri sentimenti e tutto quello che provava. Non capì come, ma le sue braccia era strette intorno alla piccola vita della donna più grande, anch’essa le teneva le braccia intorno alle spalle e la lasciò sfogare per bene, sapeva come ci si sentiva e fortunatamente lei non aveva dovuto affrontare il lutto da sola, certo quella parte di lei non si sarebbe mai ripresa, ma aveva imparato a conviverci, e quando la nostalgia e il dolore erano troppo si rifugiava nei ricordi. Quando vide che i singhiozzi di Yelena si placarono riprese a parlare. -Smanettando nei vecchi file di Tony, ho trovato quello che aveva creato prima della battaglia, e c’erano le caratteristiche fisiche di tutti, su chi potesse usare il Mjolnir, su chi potesse usare il guanto e su chi avesse potuto morire a causa dello schiocco di Thanos, soltanto che c’era qualcosa di sbagliato in quel file dato che era stato manomesso, e ricercando ho trovato chi lo avesse fatto, era stato lui, Clint, ha fatto credere a Tony che la sua armatura avesse potuto assorbire la potenza dello schiocco quando invece soltanto Thor e Carol potevano. -Così lo ha fatto uccidere, la interruppe Yelena, e poi continuò. -E tu credi che sia stato lui a spingere Nat giusto? Virginia annuì lentamente senza mai distogliere lo sguardo da lei. -Posso venire con te? Le chiese spontaneamente Yelena interrompendo l’estenuante silenzio che si era protratto tra loro. -Certo che puoi, non ti lascio mica da sola. Le disse passandole il braccio sulle spalle e accompagnandola alla sua auto. Yelena si fermò soltanto un attimo, lanciò un ultimo sguardo alla tomba di sua sorella e giurò vendetta verso di lei, promettendole che se non avesse adempito al suo compito si sarebbero di certo rincontrate. Passarono i mesi e Yelena si era ufficialmente stabilita nella torre degli Avengers, non si vedeva molto in giro, stava vivendo veramente male il lutto, se la si voleva trovare era nella stanza di Natasha, non toccava niente, entrava si sedeva sul pavimento ed osservava tutti gli oggetti che vi erano all’interno, che un tempo appartenevano alla sorella, e stava lì giornate intere ad immaginare le possibili storie che avevano visto e che non aveva avuto abbastanza tempo insieme per poterle sentire direttamente da lei. Difficilmente usciva da quella stanza e le uniche persone che tollerava erano Steve e Virginia. Nessuno la chiamava più Pepper, era l’unica cosa che non voleva tenere di Tony, quel tanto amato soprannome, aveva tenuto perfino le armature, in caso potessero servire in qualche battaglia ma quello no, quel soprannome era l’unica cosa che teneva per sé. Steve con lei era fantastico, la trattava come la bambina che non era mai potuta essere, cercava di rallegrarla in ogni modo senza strafare troppo, la aiutava a sfogarsi nei giorni troppo stressanti e soprattutto la accompagnava sulla tomba della sorella. Nel frattempo il piano per far fuori Clint andava avanti però rimaneva sempre in stallo, mancava un dettaglio importantissimo, sapere dove fosse, era come scomparso dalla faccia della terra, come l’ultima volta, ma lì era stata Natasha a rintracciarlo. Quel pomeriggio erano soltanto lei Virginia nella torre e Yelena le si avvicinò facendole una particolare richiesta. -Potresti accompagnarmi in Ohio? Naturalmente Virginia capì cosa intendesse dire Yelena e dato che si stava struggendo sul grande divano di pelle facendo zapping alla tv decise di accettare l’offerta. Yelena non aveva l’autorizzazione per prendere il Quinjet però sapeva guidarlo molto bene, così con l’autorizzazione di Virginia e le abilità pratiche di Yelena si ritrovarono in pochi minuti ad atterrare nello spiazzale del cimitero. Yelena, seguita dalla rossa, camminava piano, molto piano quasi godendosi la sensazione, però naturalmente come ogni volta, appena vedeva la tomba della sorella gli occhi le si riempivano di lacrime. Si inginocchiò di fronte ad essa e con mani tremanti mise in ordine gli oggetti che alcuni fan avevano regalato, figurine, vecchi fiori e persino qualche suo pupazzetto. Poggiò la fronte sul simbolo e fischiò, illudendosi ogni volta che sua sorella rispondesse, ma niente. Lo fece di nuovo, e questa volta sentì qualcosa in risposta come un sussurro, si girò verso l’altra donna e chiese. -Hai detto qualcosa? Virginia scosse la testa, e lei si alzò rizzando le orecchie. Fischiò di nuovo e questa volta il suono in risposta era molto più chiaro, ma non poteva essere vero. -C’è qualcuno? Chiese iniziando ad avanzare verso la fonte di quel rumore. Sentì di nuovo il fischio in risposta. -Senti chiunque tu sia, non va bene questo gioco che stai facendo, stai ferendo delle persone che non conosci e non sai cosa potrebbero farti, minacciò furiosa verso chiunque la stesse prendendo in giro. Si rese conto di essergli molto vicina quando sentì il fischio chiaramente e poi un tonfo. Oltrepassò alcune cappelle tombali, e vide una macchia rossa in fondo ad una di queste, così corse verso quella cosa. Man mano che correva e si avvicinava i suoi occhi si riempivano sempre di più di lacrime, non poteva essere vero, e non poteva nemmeno essere un’illusione. Si fermò proprio ai suoi piedi e disse una cosa che non solo la scioccò ma lasciò scioccata anche Virginia che si era tenuta un po’ in distanza. -Nat? Nessuna risposta, aveva quasi paura di toccarla, era ricoperta di sangue, tutto il suo corpo era rosso, sembrava avesse fatto il bagno nel sangue. -NAT? Ripeté più forte, ma ancora non ebbe risultati. Si avvicinò e la girò delicatamente, appena i suoi occhi scrutarono il suo viso, e la riconobbe, le lacrime le inondarono la vista non permettendole un’adeguata visione. Si strinse quel corpo apparentemente senza vita addosso, e pianse, urlò e lasciò andare via tutte quelle emozioni che si erano già manifestate prima, ma mai con quella intensità. Un leggerissimo colpo di tosse la riscosse dai suoi pensieri, sua sorella era ancora viva? Si avvicinò e le poggiò il viso sul petto, proprio sul cuore. Si rialzò di scatto quando sentì il debole pulsare del suo cuore, come se avesse ricevuto una martellata in testa. Alzò lo sguardo e vide Virginia al telefono con qualcuno, non capì cosa stesse dicendo troppo sopraffatta dalle emozioni. Si strinse sua sorella tra le braccia e le parlò. -Ti prego, Nat, so’ che c’è la puoi fare, tutti crediamo in te, e tu sei una forte, sei l’unica che potrebbe sopravvivere a questo, ne sono sicura, anzi tutti ne siamo sicuri. Si sentì un forte boato in lontananza e pochi secondi dopo, una tuta metallica rosso e oro apparve ai loro piedi. Neanche si tolse il casco che si buttò sulla creatura in fin di vita. Provò anche lui a chiamarla e a scuoterla ma lei non dava risposta. -Voi andate al jet, io la porto direttamente alla torre. Ordinò Steve, e per quanto risultò difficile per Yelena lasciar andare il corpo di sua sorella sapeva che quella era la scelta giusta se voleva riaverla di nuovo sana e salva. In circa 10 minuti arrivarono alla torre e corsero verso l’infermeria, fuori dalla porta c’era Steve, distrutto, con ancora la tuta addosso. Yelena fece per entrare ma Steve la bloccò. -È inutile, ha bloccato la porta, non ci farà vedere niente finché non sarà stabile. Il respiro di Yelena stava aumentando così come la sua rabbia, era sua sorella, la credeva morta ed ora era viva, non poteva chiuderla fuori dicendole di aspettare, aveva aspettato troppo a lungo. Iniziò a prendere a calci e pugni la pesante porta di metallo, fin quando Steve rendendosi conto che si stava facendo del male la fermò di forza e lei le pianse tra le braccia fino allo sfinimento. Non sapeva quanto tempo fosse passato quando si svegliò, e sperò vivamente che tutto quello che aveva vissuto non fosse stato solo un sogno, ma tanto, ormai ci era abituata e non dava più false speranze ai sogni. Si alzò dal suo letto e si diresse in bagno per bagnarsi la faccia, doveva darsi una bella svegliata, le sembrava di aver dormito per giorni. Appena mise piede in bagno e vide il suo riflesso allo specchio, non poté fare a meno di notare tutto quel sangue secco sul suo corpo, il suo cervello la congelò sul momento rivivendo tutti gli avvenimenti recentemente passati fin quando come di colpo di sbloccò, e riconobbe che era tutto vero, come una furia corse dall’altra parte della torre, doveva esserne certa, non fece neanche caso a chi fosse andata a sbattere e alle imprecazioni che le mandava. Corse fino alla porta dell’infermeria e con più forza del normale vi andò a sbattere finendo rovinosamente contro quella parete, maledì Jervis e tutta la torre intera, e lasciandosi andare senza forze scivolò fino a terra dove vi rimase cercando di ascoltare cosa stesse succedendo dall’altra parte. Fu sempre lei ore dopo ad interrompere quel silenzio assordante, dopo che le sue lacrime erano state versate tutte e che i suoi singhiozzi si fossero placati, e così come faceva quando erano bambine, le uscì come un sussurro, una flebile voce che cantava una vecchia canzone. Bye bye, miss American pie, drove my chevy to the levee, but the levee was dry. Le parole le uscirono un po’ forzate dalla bocca, ma il risultato pensò che era ottimo, se c’era un modo per far capire a Natasha che le era vicino era quello. Dall’altra parte della porta, un’ancora incosciente Natasha stava in qualche modo percependo quelle parole e una piccola lacrima riuscì a sfuggirle al suo controllo. Perché anche se il suo corpo l’aveva abbandonata, la sua mente forgiata dalla Red Room, dal KGB e dallo SHIELD era ancora attiva al 100 %, e giurava soltanto una cosa Vendetta. Yelena si svegliò nel suo letto, qualcuno doveva averla portata lì, e naturalmente il suo primo pensiero andò a sua sorella, si alzò pronta per andare a sfondare quella porta ma trovò un biglietto sulla scrivania. -Fatti una lunga doccia, vieni a fare colazione e poi andremo da Natasha. Non sapeva chi l’aveva scritto ma dopo un momento di sdegno si disse che aveva ragione, così dopo neanche 10 minuti uscì dalla stanza vestita di tutto punto e con i capelli bagnati. Si diresse in cucina dove trovò Virginia che stava preparando la colazione. -Vanno bene uova e pancetta? Le chiese. Lei annuì volto velocemente sentendo i morsi della fame risvegliati da quel magnifico profumo sella pancetta che friggeva. Mangiò veramente con gusto, e li si rese conto che non mangiava da 2 giorni, si guardò intorno e non vide arrivare nessuno, di solito la colazione era il momento più caotico della giornata, soprattutto con Thor e Bruce che non placavano mai la loro fame. -Dove sono tutti? Chiese quando aveva ripulito il piatto e Virginia la guardava soddisfatta. -Vieni con me. Le disse semplicemente lei, facendosi seguire. Yelena conosceva bene la strada che stavano percorrendo, si stavano recando in infermeria. Arrivati d’avanti la porta la bionda rimase bloccata davanti ad essa, non voleva un’altra delusione e soprattutto non voleva brutte notizie su sua sorella, non altre. Virginia le aprì la porta e la invitò ad entrare, la prima cosa che percepì era il forte odore di sangue della stanza e subito dopo riconobbe tre facce molto conosciute intorno ad un letto. Bruce stava armeggiando insieme a Jervis su alcuni macchinari, Thor era ai piedi del letto e Steve molto probabilmente stremato dall’età, stava dormendo su una sedia con la testa poggiata sul letto. Yelena si avvicinò incerta, non poteva essere morta se no gli altri non erano così tranquilli giusto? Fece qualche altro passo e la vide, eccola lì, distesa su quel letto, con un’infinità di bende che le ricoprivano il corpo, diversi aghi che le perforavano la pelle collegati a delle flebo, dei tubicini che le passavano nel naso e quell’odiosa macchina che le controllava il battito, che era debole ma costante. Yelena andò dall’altro lato del letto, prese una sedia e semplicemente prendendo la mano di sua sorella si lasciò andare in un pianto liberatorio, era la persona più felice della terra, non riusciva a smettere di sorridere nonostante le lacrime che continuavano a scenderle dagli occhi. -Nat, sono qui, c’è l’hai fatta, siamo tutti fieri di te, ci hai salvato tutti. I giorni passarono e con questi le ferite di Natasha miglioravano sempre di più ma ancora non aveva ripreso conoscenza, c’era stato un piccolo movimento della mano ma lo attribuirono ad uno spasmo muscolare, niente di più. Il suo ottavo giorno di incoscienza ci fu il primo segno di risveglio, Yelena che era al suo fianco si sentì stringere la mano e poco dopo un profondo respirò uscì dalla bocca della sorella. -Nat, se puoi sentirmi, so che c’è la puoi fare, prenditi tutto il tempo di cui hai bisogno, io ti aspetterò qui. Cercava di confortarla e motivarla, ma tutto quello che ottenne fu un rapido movimento degli occhi e poi niente, come se fosse risvenuta. Ci vollero altri 3 giorni per vedere un suo movimento, questa volta al suo fianco c’era Steve, Natasha debolmente aprì gli occhi, e i loro sguardi si incrociarono, lei sembrò riconoscerlo quando sussurrò il suo nome, ma subito ricadde nell’incoscienza. Non ebbero altri segnali per ben 10 giorni, e per quanto il corpo di Natasha fosse migliorato, con tutte le ferite guarite, ora bisognava soltanto attendere che il tempo facesse il suo corso sulle cicatrici. Yelena stava impazzendo, vedere la sorella così era estenuante, avrebbe voluto che si fosse svegliata già settimane prima ed ora la sua pazienza era al limite. Fortunatamente quel giorno, decise di passarlo tutto il giorno in infermeria, stava rovistando sulla scrivania di Bruce, si annoiava davvero tanto e il suo cervello aveva bisogno di evadere dalla realtà così iniziò a giocare con tutti i vari oggetti che si trovavano su quella scrivania, finché non sentì un suono che la paralizzò all’istante, non poteva essere vero. Diede tutta la colpa alla sua immaginazione e ritornò a fare quello che stava facendo, quando lo sentì di nuovo, più chiaramente questa volta, di scatto si girò e incontrò quegli occhi verdi, era impossibile pensò dentro di sé. Involontariamente rispose al fischio mentre si avvicinava a sua sorella, ogni passò che faceva i sorrisi sui loro volti si ampliavano e le lacrime erano impossibili da trattenere. Fin quando non ci fu il loro contatto, Natasha era ancora troppo debole per alzarsi così era stata Yelena ad abbracciarla, appena i loro corpi si scontrarono si lasciarono andare in un forte pianto, Yelena sembrò calmarsi prima di Natasha e mentre continuava a tenerla tra le braccia poté effettivamente capire quanto avesse sofferto, le sue lacrime si trasformarono in singhiozzi, e questi in urla, non riusciva a pensare a cosa le fosse successo di così brutto da scalfirla in questo modo, diamine era la vedova nera, la più temuta spia russa del mondo, la sua mente era capace di farti credere qualsiasi cosa e riusciva a manipolare tutto quello che voleva, ed ora eccola lì, emotivamente distrutta a sfogarsi per tutti quei mesi di tortura che aveva subito, neanche quanto era scappata dalla stanza rossa si era sfogata in quel modo. Le sue urla allertarono tutti i presenti del palazzo, e nessuno poté fare niente per colmarle quel dolore, non era un dolore fisico, era tutta una sofferenza mentale, e nessuno poteva fermarla se non lei. Passarono diversi minuti in quella posizione, fin quando ad un tratto Natasha si placò e Yelena che l’aveva tra le braccia poté dire che sentisse veramente freddo dato che stava tremando fortemente. L’idea migliore che venne a tutti fu quella di farle fare una bella doccia calda, così aiutata da Yelena si alzò e di recarono nella stanza di Natasha. Gli altri volevano aiutarle ma avevano paura che Natasha non prendesse bene la loro presenza, anche perché non li aveva degnati nemmeno di uno sguardo, così tristemente lasciarono andare le 2 sorelle russe verso la loro strada. Arrivate nella stanza, Yelena la fece sedere sul letto ma lei non resistette in quella posizione e lentamente scivolò su un fianco, era troppo esausta per fare qualsiasi cosa, voleva soltanto sprofondare nel suo morbido letto e dormire per i prossimi mesi. Yelena capì le intenzioni di Natasha e le prese semplicemente un’altra coperta dall’armadio e la aiutò a infilarsi dentro il letto, la coprì meglio che poteva e fece per spegnerle la luce, ma Natasha sussultò di terrore, e scosse la testa. -Vuoi che la lasci aperta? Chiese dolcemente Natasha annuì anche se i suoi occhi si stavano già chiudendo e prima di addormentarsi sussurrò una frase che Yelena non potrà mai dimenticare. -Non lasciarmi sola. Erano semplicemente 3 parole, ma dette da sua sorella avevano un significato davvero troppo grande, lei era sempre quella che si curava le ferite da sola, che non voleva socializzare, che era sempre per fatti suoi, ma ora vederla così debole e stremata, le ha spiazzato il cuore. Così molto delicatamente, senza disturbarla troppo, si stese di fianco lei e piano piano si mosse fino ad averla tra le sue braccia, Natasha ancora in dormi veglia si accoccolò ancora di più tra quelle braccia e si lasciò andare, sentendosi finalmente al sicuro e in pace. Le ultime cose che percepì furono le parole di sua sorella e un leggero bacio sulla fronte. -Non ti lascerò mai più sola. C’era qualcosa di strano, molto strano, tutto intorno a lei era calmo, non sentiva né quelle urla né tutti quei rumori inquietanti che la tormentavano, anche il freddo sembrava essersi placato, quasi sentiva una strana sensazione di calore, forse doveva essere morta, era sicuramente per quello, l’ultima cosa che ricordava ero lo sguardo soddisfatto di Clint, ricordò benissimo la battaglia che ebbero, sembrava quasi strano vederlo combattere in quel modo, ma non si sarebbe mai aspettata quella pugnalata alle spalle, avrebbe sospettato di tutti tranne di lui, l’unico a conoscere tutta la verità su di lei, a conoscere sin da subito la vera lei, certo dopo aver reso pubblici tutti i dati dello SHIELD tutti sapevano chi era e la conoscevano da cima a fondo, ma nessuno sapeva quello che passava dietro quegli sguardi assassini, pochissime persone, si potevano contare sulle dita di una sola mano e lui era stato il primo in assoluto, e lui l’aveva tradita in quel modo, li aveva traditi, tutti quanti, sperò che Tony si fosse reso conto del suo imbroglio e che avesse affidato a Thor o Carol quell’arduo compito che prima o poi sarebbe toccato a qualcuno, era stato davvero un arduo compito quello di infiltrarsi nel computer di Tony ma fortunatamente le notti insonni le portavano consiglio e noia così si era ritrovata più di una volta in quel laboratorio, a cercare di bypassare tutte quelle chiavi di sicurezza che Tony vi aveva messo. È così qualche ora prima di partire, scoprì la verità e decise lo stesso di andare insieme a lui pronta a smascherarlo, ma non andò tutto secondo i suoi piani, infatti non si sarebbe mai aspettata che la colpisse con quel pugnale, e soprattutto che continuasse a percuoterla duramente per poi buttarla nel nulla. Poteva ancora sentire sulla sua pelle la sensazione di cadere nel vuoto, e il dolore che provò con lo schianto. -Nat, NAT ti prego svegliati, NAT! Sentì qualcuno chiamarla e scuoterla leggermente, aprì di scatto gli occhi e si ritrovò in una stanza, nella sua stanza, la sua stanza nella torre degli Avengers a New York, si guardò un attimo in torno stranita dalla situazione come era possibile, poi le venne tutto in mente, Red Skull, il combattimento, la scalata, il portale, e Yelena. Appena vide il suo viso sopra il suo, con quel bellissimo sorriso a 32 denti, quei capelli biondo cenere sempre disordinatamente legati e quegli occhi ormai sempre più lucidi. -Nat, tranquilla, ci sono io qui con te, sei al sicuro, è tutto finito. Cercò di tranquillizzarla parlandole dolcemente e tenendola stretta tra le braccia. Natasha non fece niente, non si mosse e nemmeno parlò, a mala pena respirava mentre il suo cervello correva all’impazzata. -Dove? Chiese staccandosi dall’abbraccio e con il tono di voce più serio che avesse mai avuto. Yelena sapeva bene di cosa stava parlando, o meglio di chi. -Non lo so. Rispose sinceramente. -Dovrà pagare, per quello che mi ha fatto. Yelena era molto preoccupata per Natasha, conosceva bene quello sguardo e non prometteva nulla di buono, sapeva che se avesse provato a fare qualsiasi cosa si sarebbe fatta più male di quello che pensava, così le parlò. -Nat, so come ci si sente, e voglio quanto te vendicarmi di lui, però adesso tu sei troppo debole, so benissimo che hai già elaborato un piano e che sarà sicuramente fantastico ma devi aspettare, almeno qualche settimana il tempo necessario per riprenderti. Quelle parole non andarono molto bene con la visione che aveva in testa Natasha che infuriata le rispose. -Tu non hai idea di come mi senta, lui mi ha tradito, mi ha pugnalato alle spalle e mi ha gettato in quel posto, tu non hai la minima idea di come fosse lì, del silenzio assordante, delle urla, del freddo e della solitudine, tu non hai idea di quello che ho passato, lui deve provare almeno quello che ho provato io se non di più, era il suo piano dall’inizio, doveva eliminarmi perché ero l’unica che poteva tenere la squadra unita così sarebbe diventato lui il capo, lui deve pagare. La sfuriata di Natasha durò parecchio e ogni parola che diceva il suo tono di voce si alzava sempre di più tanto che le ultime frasi furono urlate, lasciando ampio spazio alle sue lacrime di viaggiare sul suo viso e a qualche singhiozzo di scuoterla. Yelena la prese tra le braccia e parlò. -Io non posso perderti di nuovo. Quelle parole colpirono duramente Natasha, che alzò lo sguardo e incontrò gli occhi lucidi della sorella, lì Natasha capì quanto avesse sofferto Yelena per la sua mancanza e vedendo che iniziava a piangere, la fece stendere di nuovo nel letto e coprì entrambe con la pesante coperta. Erano entrambe coperte ed entrambe stavano l’una tra le braccia dell’altra, semplicemente godendosi il silenzio. Poco dopo sentirono dei colpi alla porta e qualcuno che parlava, era Bruce. -Ragazze buongiorno, se volete venire il pranzo tra poco sarà pronto, e non preoccupatevi ha cucinato Virginia. Yelena ringraziò Bruce e si rivolse a Natasha. -Vuoi andare? Lei annuì felice di aver ripreso in mano la sua vita ma prima decise che era meglio se avesse fatto una doccia, era troppo tempo che non ne faceva una e aveva proprio bisogno della sensazione dell’acqua calda che ti scorre addosso. Si scostò di dosso le coperte e con un agile scatto scavalcò sua sorella, finendo rovinosamente per terra. Yelena preoccupata si alzò e la aiutò ad alzarsi. -Forse hai ragione tu, sono troppo debole, puoi aiutarmi a fare la doccia? Non ebbe bisogno di ripeterlo 2 volte che subito le prese tutto il necessario e la aiuto ad andare in bagno. Natasha rimase sotto il getto d’acqua per interi minuti, si sentiva di nuovo felice in quel momento, al sicuro e amata. -Ti prego dimmi che non è successo niente a nessun’altro, chiese Natasha con la voce ovattata dall’acqua. Il silenzio di Yelena le fece capire che i suoi sospetti fossero veri. -Chi? Chiese terrorizzata. La più piccola non sapeva se fosse una buona idea dirglielo in quel momento, ma quando risentì la domanda di sua sorella e il suo tono di voce, capì che doveva per forza parlare. -Nat, Tu, Tony e Steve avete preso i colpi peggiori della battaglia, iniziò e non sentendo risposta continuò. -Tu sai, Steve come dire, è ritornato nonno Steve e Tony non c’è l’ha fatta. Yelena sentì da sotto la doccia un singhiozzo di Natasha. -Cosa è successo a Steve? Chiese confusa mentre le lacrime si mischiavano con l’acqua che le scorreva addosso. -Perché non te lo fai raccontare tu stessa dopo, cercò di infonderle un po’ di speranza, almeno il suo migliore amico era vivo, in tarda età ma vivo. -E Tony? È stato Clint vero? Non aveva capito che i file erano manomessi giusto? Yelena annuì tristemente mentre cercava di cambiare argomento, sapeva che tutto quel dispiacere non avrebbe portato nulla di buono a sua sorella in quelle condizioni, così aspettò qualche minuto e riprese a parlare. -Sai che ho preso un cane? L’ho chiamata Fanny, è una gigantesca palla di pelo, davvero enorme. -Fanny? Davvero? Le rispose Natasha sbattendosi la mano sulla fronte. Le dolci chiacchiere di sua sorella la distolsero dai suoi cupi pensieri, chiuse il getto d’acqua e subito da dietro la tenda un braccio le passò il suo accappatoio. Lo indossò rabbrividendo al freddo che era arrivato con la chiusura dell’acqua e si stupì della sensazione di calore che emanò a contatto con il suo corpo. -Perché è così caldo? Le chiese mentre usciva e afferrava il braccio di Yelena per non scivolare. -Perché l’ho indossato per tutto il tempo, così non era freddo, rispose come se fosse la cosa più ovvia del mondo, risposta che le fece meritare un bacio sulla guancia. Natasha era di fronte lo specchio, la stoffa intorno al suo corpo era aperta sul davanti e mostrava tutte le sue nuove cicatrici, o meglio l’unica cicatrice, che ricopriva gran parte del suo corpo. Yelena le andò davanti, le sollevò delicatamente il viso e guardandola fissa negli occhi le parlò. -Nat, sono segni temporanei, prima o poi svaniranno, tranquilla. Era terrorizzata che avrebbe potuto impazzire alla loro vista, facendole ricordare tutto quello che aveva dovuto passare, che prima o poi avrebbe dovuto raccontarle per filo e per segno senza tralasciare nessun dettaglio. Natasha le si strinse tra le braccia e dando un’ultima occhiata allo specchio, che ora non rifletteva più il suo corpo ma quello di sua sorella parlò. -Mi ricordano che sono viva. Quella risposta lasciò Yelena un po’ spiazzata, non riusciva a capacitarsi di quanto fosse forte sua sorella, era passata oltre l’inferno e ancora aveva la forza di affrontare il mondo a testa alta. Si staccarono dal loro abbraccio, e la più piccola dovette asciugarsi qualche lacrima sfuggita al suo controllo, Natasha le poggiò le mani sul viso e asciugandole i residui delle lacrime fece una cosa che non si sarebbe minimamente aspettata, le passò le braccia introno al collo e cercando di sostenere il suo corpo ancora debole iniziò a fare dei piccoli movimenti con le gambe, faceva dei piccoli passi 2 verso destra e 2 verso sinistra. Yelena le mise le braccia sulla vita e la sostenne da lì, assecondando i suoi movimenti, Natasha le poggiò la fronte sulla spalla ed emise un forte sospiro di sollievo, come se lo avesse trattenuto da sempre. -Non credi che manchi qualcosa? Aggiunse Yelena. Natasha la guardò perplessa fece per dire qualcosa ma venne prontamente interrotta da Yelena. -Manca che tu mangi qualcosa dato che si vede notevolmente la tua perdita di peso. Appena fece il suo ingresso nella grande sala da pranzo, tutti la accolsero con un applauso, dopo tutto aveva salvato l’universo ed era in qualche modo resuscitata. Dovette far appigliò a tutta la sua forza per restare in piedi, ma era più che sicura che sua sorella non l’avrebbe mai fatta cadere. Velocemente si ritrovò a stringere molte braccia e a condividere con loro un sacco di emozioni. Il primo che le corse incontro era stato Thor, ritornato dal suo viaggio con i Guardiani della Galassia per l’occasione, la strinse con tutta la sua forza tra le braccia e solo quando Natasha lo supplicò di farla respirare lasciò leggermente la presa. -Mi sei mancata signorina Tasha, le sussurrò Thor all’orecchio con la voce incrinata dal pianto. Natasha non lasciò la presa, sapeva quanto tutti ne avevano bisogno, così rimase tra quelle enormi braccia di quell’enorme Dio che le stava singhiozzando sulla spalla. Si staccò soltanto alla richiesta di Bruce di lasciarne un po’ anche per loro, Natasha lo guardò da cima a fondo e facendo quel suo solito ghigno con le labbra mentre alzava velocemente il sopracciglio le disse. -Da domani ti metto a dieta, non posso permettermi un Dio fuori forma nella mia squadra. Bruce stancò di aspettare spostò Thor e si fiondò tra quelle piccole braccia che tanto aveva amato. Il loro abbraccio durò molto meno, anche perché Bruce era quello che ci aveva già passato più tempo di tutti, anche se era incosciente, ma era stato lui a curarla. Quindi lasciò spazio a una donna, Virginia, che la accolse tra le braccia e si parlarono a lungo sottovoce all’orecchio. -So’ tutto quello che è successo, e lo stiamo già cercando, non preoccuparti. Affermò decisa la più grande. -Mi dispiace veramente tanto per Tony, iniziò Natasha ma fu interrotta dalle sue stesse lacrime. Entrambe le donne piansero il loro amato marito e fratellone, perché per quanto si punzecchiavano si volevano un gran bene, proprio come 2 fratelli. Quando si staccarono dall’abbraccio, entrambe con gli occhi lucidi, si diedero forza a vicenda e finalmente era arrivato il turno di Steve, o meglio nonno Steve. Gli occhi di Natasha lasciarono andare troppe lacrime solo nel vederlo, rimasero qualche attimo a guardarsi negli occhi, fermi l’uno di fronte l’altra, quasi come se stessero realizzando che la persona di fronte loro fosse reale. Fin quando Steve, con una grande falcata la raggiunse e la seppellì tra le sue vecchie braccia. Il suo viso era nascosto dai capelli bicolore di lei mentre teneva il suo viso premuto contro il suo petto, ascoltando il suo vecchio cuore. -Cosa ti è successo Steve? Chiese rivolta più a sé stessa che a lui. -Non potevo vivere senza te, dopo aver perso anche Peggy, così sono ritornato indietro nel tempo e ho vissuto la mia vita come l’avevo lasciata, soltanto che non ho mai spesso di pensare alla mia migliore amica. Entrambi sentivano il bisogno di rimanere in quell’abbraccio, non era come con gli altri che dopo un po’ si sono staccati, sarebbero potuti rimanere in quel modo per sempre. Fin quando Steve, ricordando la loro prima battaglia come squadra citò le sue stesse parole. -Nat hai fame per caso? Perché c’è il tuo stomaco che mi sta brontolando addosso. Dalla gola di Natasha uscì una piccola risata, quasi un grugnito, che fece ridere tutti quanti, erano questi i bei momenti che le erano mancati più di tutti, essere felice con introno le persone che amava.

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Capitolo 3
*** Paradiso mcu ***


Dove sono? Non riesco a percepire niente in torno a me, niente, non ci sono rumori o altre presenze, sento soltanto il mio pensiero e basta, niente di più. Neanche il mio respiro è udibile dato che non sto respirando, sento la sensazione del fresco ossigeno nei miei polmoni ma non li sento muovere, non li riesco a muovere. Cerco di fare qualche movimento ma qualcosa mi blocca, non so bene cosa, niente tocca il mio corpo, come se stessi fluttuando nel vuoto, e forse, è proprio questo quello che mi blocca, il vuoto. Provo ad aprire gli occhi ma non percepisco differenza tra aperti e chiusi, intorno a me è tutto buio pesto. Cerco di ricordare cosa sia successo e perché mi ritrovo qui, quando la realizzazione di quello che è successo mi colpisce e spero vivamente che il mio sacrificio sia davvero servito a prendere la gemma, un pensiero si rivolge a tutti i miei amici, a Steve e Clint in particolare, spero che capiscano la mia scelta, almeno ora quella nota rossa sul mio registro potrà essere cancellata definitivamente e non sarò più in debito con loro. Almeno ora posso riposare in pace, anche perché non potrei fare nient'altro, se questo era morire allora era davvero calmo e rilassante, forse un po' noioso. Non so esattamente quanto tempo sia passato, se giorni, mesi o pochi minuti, quando ad un tratto mi sentì trasportare da una forza invisibile lungo un sentiero ben preciso. Man mano che mi muovevo la velocità aumentava sempre di più e con questa anche le virate che facevo, il mio corpo prese delle posizioni innaturali ma non riuscivo a sentire nient'altro che la velocità. Fin quando non mi bloccai di colpo, sentì uno strano calore avvolgermi il corpo e una flebile luce che filtrava attraverso le mie palpebre chiuse. Riuscivo di nuovo a sentire la forza nel mio corpo e il duro pavimento sotto di me, provai a muovere le dita della mano, riuscendoci facilmente così decisi di aprire gli occhi. La mia vista fu momentaneamente accecata dal contrasto di luce che si era creato, ma in poco tempo riuscì a farla abituare, mi guardai intorno e vidi che ero a New York, stesa sul tetto di un palazzo. Mi guardai intorno e vidi le punte degli altri grattacieli che facevano da contrasto con quel cielo così arancione intenso. Non si sentiva un minimo rumore, niente di niente. Si alzò e si incamminò verso il bordo del tetto, guardando verso il basso si stupì di vedere quelle strade così affollate di gente, traffico e rumore, vuote, senza nessuno, l'unica cosa che si distingueva erano delle ombre, che volavano molto velocemente, pensò che fossero altre anime come la sua, bloccate in questo limbo. Si rese conto che non era un fantasma quando fece per attraversare la porta delle scale che l'avrebbero condotta in strada, e ci sbatté violentemente contro. Lì al momento dalla gola le uscì una debole risata che le fece accapponare la pelle tanto era il silenzio intorno a lei, provò a dire qualche parola, ma semplicemente non riuscì, così subito rinunciò all’idea di pensare ad alta voce e si diresse in strada. Lì continuava a vedere quelle ombre, e non riusciva davvero a capire a chi o cosa appartenessero, sembravano figure umane, c’è n’erano di tutte le dimensioni che continuavano a passarle intorno ad alta velocità. Fece per toccarne una ma subito questa si scansò, provò di nuovo e ottenne lo stesso risultato, era come se la evitassero, quindi dedusse che erano dotate di una specie di coscienza e che quindi erano vive. Ma questo non la aiutò con la sua sempre più frequenta inquietudine, decise di schiarirsi le idee facendo qualche passo per la città, non si era mai permessa un attimo per esplorare la città che l’aveva accolta come eroina e non come assassina. Non sapeva quanto tempo fosse passato dato che non sembrava esserci un sistema solare con cui misurare il tempo, il cielo era sempre del medesimo colore, arancio, ed emanava una forte luce che illuminava tutto il suo intorno ma la fonte di questa luce non era visibile, era come se il cielo fosse la stessa fonte. Camminando sulla sua strada vide che si stava avvicinando ad una bancarella di ciambelle, il proprietario non sembrava esserci così incuriosita si avvicinò. Alla vista di tutto quel cibo poté sentire il suo stomaco brontolare e le papille gustative frizzare dentro la sua lingua, non ricordava da quando tempo non metteva qualcosa nello stomaco, così lentamente afferrò una ciambella, la prima che aveva davanti, aveva la glassa bianca e i confetti era rossi, bianchi e blu, le preferite di Steve pensò mentre ammirava l’oggetto nella sua mano. Non era sicura che potesse mangiarla, le sembrava troppo bello per essere vero, ma appena i suoi denti addentarono il gustoso snack, al posto di quello che aveva preso se ne rimpiazzò un altro. Gli occhi di Natasha schizzarono fuori dalle orbite, non riusciva a credere a quello che vedeva, come era possibile pensò mentre voleva provare se funzionasse di nuovo, qualunque cosa sia doveva rimanere esattamente in quel modo. Decise di provare con altro, allora prese un bicchiere e lo riempì di caffè, misteriosamente il bicchiere si rimpiazzò e la caraffa di caffè si riempì di nuovo fino all’orlo. Cercò di trovare una soluzione ma decise a zittirsi il cervello e per una volta a non pensare. Continuò il suo giro turistico, mangiando e bevendo tutto quello che le pareva, pensò che se avesse continuato di questo passò in poco tempo avrebbe perso la sua perfetta forma fisica, ma a chi sarebbe interessato se era sola. Si ritrovò a passeggiare per i lunghi sentieri di Central Park, osservando la magnifica natura di quel posto, come aveva fatto a non esserci mai andata, certo, era troppo presa dal lavoro anche per poter pensare di farsi una passeggiata in giro. Si sedette su una panchina che dava sul lago e stette lì a rilassarsi e a godersi lo spettacolo, il cielo rifletteva il suo colore su tutto tranne che sull’acqua, ne sembrava immune e questo la rendeva del tutto cristallina, permettendo di vedere perfettamente il fondale, una volta ricco di pesci pensò. Stava quasi per appisolarsi quando ad un tratto dal cielo si udì un forte tuono e l’intero gioco di luci che creava nell’atmosfera sparì lasciando il posto ad una flebile luce. I sensi di Natasha si rizzarono, era abituata ad avvertire il pericolo e sapeva quando qualcosa non andava, si alzò velocemente e iniziò a scappare, non sapeva dove ma sapeva che se fosse rimasta in quell’ambiente così piccolo avrebbe avuto meno possibilità di quante ne poteva avere nell’aperta città. Mentre correva fece il resoconto delle armi che aveva addosso e si maledì quanto sentì soltanto la sua attrezzatura di base della tuta, il rampino, i 3 coltelli sapientemente nascosti, materiale di salvataggio e i suoi morsi della vedova. Doveva trovare assolutamente un rifugio, o delle armi almeno, qualsiasi cosa stava per succedere non le piaceva affatto. Mentre correva per la città sentì un forte ringhio alla sua destra e non ebbe nemmeno il tempo di controllare che si ritrovò sbalzata di lato da una forte presenza. Si guardò intorno mentre cercava di rialzarsi quando lo sentì di nuovo, e questa volta riuscì persino a vedere cosa l’aveva aggredita. Era una di quelle ombre che aveva visto per tutto il giorno, si rese conto solo adesso che appena aveva udito quel boato tutte le ombre erano sparite. Cercò di difendersi quando l’essere la caricò con un altro attacco ma ci fu la stessa reazione, lei non poteva toccarli, soltanto che tutta l’energia spostata da quella cosa la fece volare diversi metri più indietro. Si rialzò il più velocemente possibile e iniziò a correre disperata, come poteva salvarsi, non riusciva a pensare lucidamente, sapeva che doveva scappare ma dove, e per quanto, sentiva le lacrime salirle agli occhi ma rapidamente le bloccò, non poteva permettersi di crollare proprio adesso, o non c’è l’avrebbe fatta, non sapeva esattamente cosa le sarebbe successo se quelle ombre l’avessero presa ma era certa che non fosse una bella cosa, giudicando da quanto forte l’avessero colpita prima. Mentre correva vide da lontano un determinato palazzo, che non credeva sarebbe stata così felice di vedere, l’Avengers Tower. Non entrava in quel posto dal loro scontro con Ultron, da un giorno all’altro si era ritrovata tutte le sue cose spostate nel nuovo quartier generale degli Avengers dove avrebbe vissuto fino alla sua fuga da Ross per aver violato gli accordi di Sokovia. Arrivata di fronte quelle grandi porte si sorprese quando automaticamente si aprirono e una voce robotica che non riconobbe la identificò. Provò e riprovò un contatto con quella voce ma non c’è stata nessuna risposta, provò anche ad uscire e rientrare ma non successe nulla di più che l’apertura della porta. In lontananza sentì quegli ormai familiari versi e si affrettò a nascondersi il più in alto possibile. Arrivò fino all’attico, dove una volta c’era la sala dove tutti passavano il tempo insieme e dove Tony organizzava le sue feste, una volta piena di arredamento elegante e molto costoso, ora soltanto ricoperta di polvere e con qualche oggetto forse dimenticato. C’era una vecchia sedia d’ufficio, qualche telo bianco e una vecchia scarpa. Non capì come potesse esserci arrivata lì ma non si domandò altro. Si affacciò sulla grande terrazza e si meravigliò della vista della città con quella luce, era davvero strano, non sembrava notte ma l’atmosfera lo gridava proprio. Vide ai piedi del palazzo quelle ombre che si accalcavano e cercavano di entrarvi dentro, e così volendo testarle decise di prendere una decisione alquanto pericolosa. Prese la vecchia scarpa e la lasciò cadere verso il basso, proprio su quell’orda di ombre, ci fu un secco rumore quando cadde e insieme a questo tutta l’attenzione di quelle bestie era attirata su di lei, li vide infuriarsi e cercare di saltare per prenderla, ma i loro salti era minuscoli in confronto all’altezza della torre. Continuò ad osservarli e le sembravano innocui dal suo punto di vista, quando fu sicura che non sarebbero mai riusciti ad entrare si lasciò andare alla stanchezza che la stava prendendo e decise di riposarsi, solo per qualche minuto. Quando si svegliò la prima cosa che notò fu lo strano colore del cielo, non era più arancio ma rosso, ogni cosa prendeva quella sfumatura rendendola terrificante, le ricordava molto quelle fastidiosissime luci a intermittenza della stanza rossa, così ignorando un brivido che le attraversava la schiena decise che se avesse dovuto rimanere lì avrebbe avuto bisogno di alcune cose, almeno un materasso, pensò alzandosi e scrollandosi di dosso la sensazione delle ossa accartocciate per aver dormito per terra. Durante il tragitto dall’ultimo piano al piano terra, avendo preferito le scale, non voleva di certo essere bloccata in un ascensore in un mondo dove era praticamente sola, fece una lista mentale delle cose che potevano servirle. Al primo posto mise l’acqua e il cibo, sentendo la gola arsa e lo stomaco vuoto, secondo un letto, e terzo le armi, queste erano le sue priorità, il resto non era così importante. Velocemente raggiunse un piccolo supermarket dove era frequente andare la squadra a fare spese di prima necessità. Passò lentamente tra i banconi e osservò tutto con molto scrupolo, alla fine ne uscì con il cestino pieno, prese molte bottiglie di acqua, qualche di vodka e prese soltanto cibo in scatola o secco, non sapendo se le cose fresche potevano stare così a lungo senza apparecchi adatti. Non sapeva neanche il grado di elettricità che c’era in circolazione, aveva notato che alcune luci della torre rimasero accese e questo le bastò e avanzò, al momento non doveva servirle a molto la corrente. Portò molto velocemente la spesa a casa non sapendo quanto tempo le fosse rimasto, doveva trovare al più presto un modo per monitorare il tempo in modo da sapere in quale periodo poteva uscire senza rischiare troppo. Senza pensarci 2 volte, una volta che la spesa era stata lasciata al primo piano della torre, decise di fare irruzione nel palazzo di fianco al loro, non aveva altra scelta, dove poteva trovare un materasso lì vicino. Così durante quel breve ma faticoso tragitto gli unici rumori che potevano essere sentiti erano i suoi lamenti, per quanto fosse forte era davvero pesante portare un materasso per circa 100 metri. Arrivata dentro la hall del loro palazzo, o meglio del suo palazzo, le venne un’idea per evitare di morire portando quel peso sulle scale, lo caricò nel grande ascensore e decise di prendere le scale. Così passò a prendere la spesa che aveva lasciato lì vicino e la salì fino all’ultimo piano. Certo era pesante portare tutte quelle bottiglie ma sempre più leggero del peso che aveva scaricato in quell’ascensore. Arrivata in cima, chiamò l’ascensore e pregò con tutta sé stessa che funzionasse, fortunatamente sembrava che tutto andasse alla perfezione, infatti pochi attimi dopo un piccolo campanello risuonò attraverso la stanza e le porte dell’ascensore si aprirono. Con un ultimo sforzo, lo trascinò al centro della stanza e felice e soddisfatta ci si buttò contro, godendosi la sensazione, chiuse gli occhi per un attimo quanto le venne in mente un’idea. L’unico posto dove sapeva ci fossero armi e soprattutto le sue armi era alla loro attuale base Avengers, così con uno scatto di follia in testa, corse di sotto e si mise alla ricerca di un veicolo abbastanza veloce ma anche sicuro da proteggerla nel caso avesse fatto troppo tardi, anche perché sapeva che nel garage della base c’era la sua Corvette, piccola, veloce e a prova di mina letteralmente, o almeno quello ero l’ultimo luogo dove l’aveva lasciata. Il tragitto durava intorno ai 40 minuti con il traffico e rispettando le leggi, lei avrebbe potuto arrivarci in 20, così corse all’esterno e si mise alla ricerca di un veicolo. La prima cosa che le passò sotto tiro fu una moto, non era delle migliori ma poteva andare bene, smanettò pochi minuti con l’impianto elettrico e la fece partire. Così esattamente nel tempo che aveva previsto, arrivò alla base. Entrò dalla grande porta a vetri e si emozionò pensando a tutto quello che aveva passato tra quelle mura, non aveva la più pallida idea di cosa stettero facendo gli altri e provò ad immaginarli tutti felici dopo aver ristabilito la realtà, sperava che nessun altro si fosse fatto male e soprattutto che nessun altro fosse morto. Passò per la sua stanza e prese uno zaino che riempì di vestiti e attrezzatura, poi andò all’armeria dove si equipaggiò molto bene, e mentre usciva con lo zaino su una spalla e un mitra sull’altra, sentì un rumore, come se qualcosa fosse appena caduto nel lago vicino alla struttura, iniziò a correre verso la direzione e quando arrivò non vide altro che nulla, il piatto lago sembrava fatto di sangue, riflettendo tutto quel rosso, le sembrò strano perché il giorno prima l’arancio non lo aveva riflettuto. Il paesaggio intorno a lei sembrava una foto, nulla si muoveva, era immobile, fin quando non si soffermò sulla piccola banchina che dava sul lago, dove aveva passato molto tempo ad osservare il panorama e a disperarsi negli anni precedenti, sapeva che non doveva perdere tempo ma quella sensazione era più forte. Mentre si avvicinava vide la panchina esterna essere scagliata a diverse centinaia di metri nel lago da una sagoma molto grande e verdigna, pensò ad una strana ombra ma quando si avvicinò notò che era Bruce. Soltanto che ora la sua immagine era ferma, e al posto della panchina c’erano delle piccole onde di energia che vibravano, pochi secondi dopo la panchina era ritornata lì e Bruce stava facendo lo stesso gesto, come se fosse bloccato in un loop. Si girò di scatto quando sentì la voce di Thor affermare che non era vero, si avvicinò a lui e lo vide nella sua forma più malridotta mentre si passava la mano tra i capelli e togliendosi gli occhiali asciugava i suoi occhi. Avrei dovuto essere io, ecco la sua voce, Clint, il suo salvatore, il suo eroe, era più che certa che si fosse incolpato, ma lei era più che sicura della sua scelta, lui aveva troppe cose per cui vivere e non avrebbe mai lasciato quei bambini senza un padre. Sentì di nuovo il rumore che aveva attirato la sua attenzione e vide Tony tirare un calcio ad un sasso che finì rovinosamente in acqua, lo vide lontano dagli altri mentre guardava il nulla, il suo ormai malnutrito corpo era esausto, ma continuava ad essere lì, per la squadra, per quel che poteva. E infine c’era lui, il suo migliore amico, Steve, stava lì fermo a piangere come un bambino, il viso nascosto tra le mani e le lacrime che scendevano copiose dai suoi occhi. Emozionata provò a toccargli il viso e lui improvvisamente alzò la testa dicendo, si noi, non aveva sentito la domanda a cui stava rispondendo forse troppo lontana per poter sentire tutti, si sentì davvero male per loro, aveva lasciato la sua famiglia, di nuovo, e questa volta per sempre, non ci sarebbe stato modo di ritornare. Si avvicinò a Clint, quando sentì la debole suoneria di un telefono, si avvicinò a lui e l’immagine sembrò bloccarsi, come per farle leggere chi stesse chiamando Clint, e quando lesse il nome di Laura, il suo cuore si animò di 1000 volte, c’è l’avevano fatta, avevano riportato tutti indietro. Mentre le lacrime bagnavano il suo viso un pensiero andò all’altra sua famiglia, anche essa blippata, chissà dove sarebbero ritornati Melina, Alexei e soprattutto Yelena, dio quanto le mancavano, sperò vivamente che fossero fieri di lei per il suo gesto e che non la prendessero troppo male. Questo pensiero fu interrotto dal forte rombo che anche il giorno prima aveva squarciato il cielo, immediatamente la realizzazione la colpì e con questa arrivò anche l’oscurità e un pizzico di paura, prese le sue cose, lanciò un ultimo sguardo a quelle 5 persone che amava più di sé stessa e corse verso la struttura che aveva davanti, sapeva abbastanza nascondigli dove potersi nascondere e monitorare la situazione senza essere notati ma appena mise vi mise piede all’interno, tutto sembrava essere distrutto, non sapeva se fosse stata colpa di quelle ombre o della stessa cosa che le aveva fatto vedere i suoi amici prima, ma sapeva benissimo che lì, non poteva rimanere. Corse verso la sua auto e riuscì ad entrare dentro chiudendo la porta giusto un attimo prima che un’ombra le lanciasse dell’energia contro la portiera, fortunatamente l’auto si accese e in pochi secondi sfrecciò via come un bolide. Non ci mise molto a ritornare, meno tempo dell’andata, in fondo la sua auto era stata scelta apposta. Durante il tragitto pensò a tutto quello che era successo durante la giornata, a come aveva potuto vedere e sentire i suoi amici e a cosa aveva potuto distruggere una struttura così grande in pochi secondi. Arrivò letteralmente nel vialetto del palazzo, Stark di tutto quello che aveva installato su quella torre si era dimenticato il parcheggio, un genio così geniale che dimentica le cose basilari. Spense la macchina e valutò le varie possibilità che aveva per rientrare dentro, pensò anche di rimanere lì, ma semplicemente non diede molta attenzione a questa opzione. Non vide ombre in giro, niente di niente, così si caricò tutto in spalla e con un agile scattò si fiondò verso la porta, soltanto che qualcosa andò storto. Mentre vedeva la grande porta a vetri aprirsi sentì una forte spinta dietro di lei che la fece volare nella direzione in cui stava correndo, facendole sbattere la schiena sulla porta che nell’impatto si frantumò in mille pezzi. L’ultima cosa che videro i suoi occhi furono la porta ricomparire magicamente lasciando fuori quelle ombre e qualcuno che la prendeva in braccio sollevandola, dopo di che un forte dolore sulla schiena e il buio. Quando si svegliò vide una strana luce celeste che avvolgeva tutto quanto, era di nuovo giorno se così si poteva chiamare e il cielo era colorato di un bellissimo celeste, soltanto che ne rifletteva anche la luce dando ad ogni cosa un aspetto celestiale. I ricordi del giorno precedente le vennero in mente e la fecero scattare sull’attenti all’istante ma si pentì subito di quel gesto data la grande quantità di dolore che la schiena le mandò. -Hey, vacci piano hai preso una bella botta. Sentì dire da qualcuno alle sue spalle, da una voce molto conosciuta, Loki. Subito si girò e prese la pistola che aveva nella fondina puntandogliela contro, sapeva che lui era capace di fare magie di quel genere e di certo non voleva essere presa in giro in quel momento. -È così che saluti chi ti ha salvato? Domando lui in rimando alzando le mani e sedendosi per terra poco distante da lei. -Dove sono? Chiese Natasha, non le importava cosa le potesse fare o del perché fosse lì anche lui, o meglio le importava ma preferiva sapere dove diavolo fosse. -Ti parlo con sincerità, non ne ho la più pallida idea, io ero in giro su Asgard quando per puro caso ho fatto funzionare il Bifrost e mi sono ritrovato qui a New York, poi ti ho seguita e meno male dovrei dire, aspetto ancora un ringraziamento. Natasha voleva ignorarlo con tutta sé stessa, ma era bello avere un’altra persona con cui parlare, anche se era Loki, ma era sempre un essere umano. Lentamente si alzò in piedi e si diresse dove aveva conservato le sue scorte, prese un pacco di pop tarts e 2 bottiglie d’acqua, una la offrì a l’uomo di fronte a lei insieme ad una tartina. -Sai queste erano le preferite di Thor, disse mentre gli voltava le spalle e si dirigeva sulla terrazza. Poté sentire i suoi passi andarle dietro e fermarsi poco distante da lei. Nessuno dei 2 osava dire una parola, consumarono il loro cibo in silenzio, fu Natasha a spezzare quel duro silenzio. -Sai cosa sono quelle ombre? Loki lentamente annuì mandando giù l’ultimo boccone. -Una vecchia leggenda dei guerrieri Asgardiana narrava che: le anime delle persone a cui avevi tolto la vita si riversavano nei tuoi sogni più brutti, fin all’alba dei cieli dove il tuo corpo sarebbe salito nella dimensione ultraterrena e lì ti avrebbero tormentato per l’eternità, sai devo dire che tu hai dovuto uccidere un gran numero di persone per finire con così tanta ombra nella tua dimensione. Loki spiegò con molta clama godendosi lo spettacolo delle ombre in questione sotto di loro, era così avvolto in quel quadro che non si accorse che la persona di fianco a lui stava singhiozzando pesantemente. -Quelle sono tutte le persone che ho ucciso io? Le chiese quasi urlando indicando di sotto. Lui annuì guardandola fissa negli occhi e vedendo tutto il dolore che stava provando fece qualche passo e si avvicinò a lei, mettendole le mani sulle spalle e richiamando la sua attenzione. -Quando sono entrato nella testa di Barton, ho visto tutto quello che lui sapeva di te, e so per certo che la maggior parte delle tue vittime sei stata costretta a farle. Per Natasha quelle parole non erano molto d’aiuto ma ringraziò Loki con un leggero ghigno sul viso mentre si passava le mani sul viso. -Devo sembrarti una completa idiota, piangerti davanti in quel modo. -Non sei idiota Natasha, sei vera. Quella frase lasciò entrambi di stucco, fin quando questa volta Loki spezzò il silenzio. -Allora posso deliziarti con qualche altra leggenda? Lei ricacciò indietro una risatina e gli spiegò per filo e per segno tutto quello che aveva visto alla base il giorno prima. -Sono stato in questa dimensione molte volte, quindi posso placare alcuni tuoi dubbi. Iniziò lui mentre si sedeva sulla vecchia sedia che emise uno strano cigolio. -Molto probabilmente hai visto i tuoi amici piangere per te, forse si erano ritirati per darti un’ultima commemorazione privata, cose del genere, può capitare che in alcuni casi quando tutti pensano intensamente alla persona defunta, in questo caso tu, si crei una sorta di connessione intra-terrena che crei un passaggio di comunicazione a senso unico. -E si potrebbe ricreare? Le chiese interrompendolo. -È molto difficile, davvero, ci vuole una straordinaria tecnica che solo millenni di esperienza possono garantire, mio padre Odino per esempio sapeva crearle, lui era così forte che riusciva persino a contattare con me e Thor allo stesso tempo, però non siamo mai stati degni di quel segreto. La piccola speranza che si era aperta in Natasha svanì con quest’ultima frase, e sperò vivamente di poter riuscire in qualche modo ad avere un contatto con i suoi amici e con la sua famiglia. -Posso farti un’altra domanda? Lui annuì e lei parlò. -Com’è diviso il tempo qui, ogni giorno il cielo cambia colore, poi c’è quel rombo e tutto diventa scuro e le ombre mi perseguitano, perché? -È molto semplice, non esistono né mesi e né anni, se così vogliamo dire c’è una settimana che è composta da sei giorni e li possiamo distinguere dai colori del cielo, io personalmente le chiamo così, celeste – Tess, arancio – Heid, rosso – Aeth, Verde – Necc, Viola – Orrb e giallo – Scep, e non vengono mai in ordine, hanno sempre un ordine casuale. -Aspetta come le gemme dell’infinito? Chiese al che Loki le annuì in risposta. -Per quanto riguarda il giorno e la notte, le ho cronometrate, il giorno dura 8 ore mentre la notte 6, però non so quanto sia l’equivalente sulla terra. La loro amabile conversazione fu interrotta da una strana aura che circondava Loki. -Mia cara Natasha, è stato un piacere incontrarti in questa nuova veste, grazie per il cibo e spero che la mia conoscenza di questo ambiente ti abbia portato ristoro nelle tue lacune. Loki stava pian piano svanendo lasciando in Natasha un senso di terrore mai provato prima , era angosciata nel sapere che sarebbe rimasta da sola per sempre e questa cosa la terrorizzava, nella vita terrena aveva sempre preferito la corsia della solitudine ma lì vi era sempre la possibilità di fare marcia indietro, qui no, eri sola e dovevi rimanerci. Senza pensare mentre Loki stava diventando sempre più invisibile si tuffò tra le sue braccia e sperò che quel gesto bastasse per farlo rimanere, lui cercò di stringerla per quel che poteva ma il suo corpo che scompariva non aiutava. -Non lasciarmi, ti prego. Natasha lo ripeteva tipo nenia, non voleva davvero rimanere sola, era stato bello parlare con qualcuno per quel poco che fosse stato. Prima che l’aura di Loki si dissolvesse lo sentì pronunciare alcune parole. -Non preoccuparti, qualcuno arriverà. Natasha rimase li immobile, con gli occhi pieni di lacrime a ragionare sulle parole appena udite, cosa volevano dire, si sarebbe creata un’altra connessione? O qualcun altro l’avrebbe raggiunta lì, ma questo voleva significare che qualcuno era dovuto morire, quindi preferì pensare che l’avessero sentita e che stessero cercando un modo per contattarla, sapeva che non avrebbe più potuto ritornare indietro ma almeno un minimo contatto poteva averlo, sperò. Non aveva idea di quanto tempo avesse dormito e che quindi tempo potesse avere a disposizione prima che calasse la notte, una cosa che sapeva sicuramente era che il giorno dopo avrebbe dovuto prendere almeno un orologio. Tutti i suoi dubbi sul che ora fossero furono placati in pochi istanti, quando calò la sera e le ombre si davano da fare correndo per la città e accalcandosi ai piedi della torre. Si sentì male per loro, dato che la loro sorte era dovuta alle sue mani sporche di rosso, sperava che con quel gesto le note sul suo registro di fossero cancellate, ma sapeva che non era neanche umanamente possibile, era troppo macchiato e questa era la sua rivalsa. Così mentre si stendeva su quel materasso pensò fino ad addormentarsi, un modo per poter risanare la sua coscienza cercando di salvare tutte quelle anime in pena. Il giorno dopo il cielo è giallo, un bel giallo intenso, che donava a tutto il paesaggio il colorito di una calda giornata estiva, anche se la temperatura era sempre costante, non faceva né caldo né freddo. Quel giorno Natasha era intenzionata a scoprire qualcosa di più sulle ombre, o meglio su quelle anime in pena. Uscì di corsa dal palazzo e sentì nell’aria una strana sensazione, come se qualcuno la stesse osservando, ma la mando via in pochi secondi, concentrata per il suo prossimo obiettivo. Arrivò in un negozio di elettronica e dovette quasi tapparsi le orecchie tanto erano forti i rumori in quella stanza, il ticchettio degli orologi era insopportabile, era rimasta nel quasi totale silenzio per giorni e ora questo era troppo, decise che ne avrebbe preso soltanto uno digitale, per evitare di impazzire. Orologio al polso, lo fece partire ma non aveva la minima idea di che ora fossero, e poi Loki le aveva detto che erano 14 le ore non 24, doveva ricordarsi di togliere 10 ore, così ebbe la strana idea di prenderne un altro e sistemarlo alla stessa ore soltanto di 10 ore prima, non sapeva se fosse esatto quello che stava facendo ma si propose che il giorno durava dalle 9 alle 17 e la notte dalle 18 alle 24, le ore dalla mezzanotte terrestre alle 9 semplicemente le saltava e portava avanti l’orologio. Con quell’altro fardello risolto, si diresse in una strada molto popolata di ombre, e iniziò ad osservarle, sapeva che non potevano toccarsi ma le osservò molto scupolosamente e da vicino, notò che in molti di loro c’erano tratti diversi, proprio come le persone sono tutte diverse. Voleva davvero provare a riconoscerne qualcuna per potersi almeno scusare ma era del tutto impossibile, come puoi riconoscere qualcuno dalla sua ombra distorta. Frustrata si sedette sul marciapiede e sbatté molto forte il pugno sul cemento, questo le provocò una piccola ferita al lato della mano da dove iniziarono ad uscire delle gocce di sangue, non ci fece molto caso ma quando sentì uno strano verso dietro di lei vide un’ombra ferma in un punto, come se fosse attirata da qualcosa, guardò meglio e vi vide una piccola goccia di sangue, del suo sangue, allora premette ancora di più la ferita e ne fece uscire altre, l’ombra sembrava reagire molto bene a questa cosa, così continuò, dopo aver fatto uscire dal suo corpo circa 5 gocce, l’ombra sembrò dissolversi nel nulla, come aspirata dal cielo. Natasha era incredula, aveva forse scoperto il metodo per salvare tutte quelle anime? Provò di nuovo, giocò con la sua ferita facendola sanguinare e fece cadere le gocce su un’altra ombra, ebbe la stessa reazione della prima. Forse quelle ombre la voleva morta in modo da poter prendere il suo sangue, ecco perché la aggredivano di notte. Sapeva che se quello fosse stato il metodo, per non rischiare la vita avrebbe dovuto farne poco alla volta, conosceva benissimo cosa voleva dire avere poco sangue nel corpo e gli effetti non le piacquero in ospedale circondata da medici, figurarsi lì da sola. Fece sparire un’altra ombra, quando qualcosa attirò la sua attenzione, era come uno strano luccichio che proveniva dalla torre, il suo primo pensiero andò verso Loki, forse era ritornato, così presa dalla gioia iniziò a correre, neanche rendendosi conto che la sua ferita aveva fatto scomparire altre 2 anime. Quando arrivò alla torre, e salì le scale a 3 a 3 pur di fare presto, non voleva che Loki scomparisse di nuovo. -Loki ho trovato un metodo per far scomparire le ombre. Quasi urlò mentre saliva all’ultimo piano, ma qualcosa la lasciò interdetta, non c’era Loki ad attenderla ma bensì un genio-miliardario-playboy-filantropo, seduto per terra che smanettava con l’impianto elettrico. -Andiamo Romanoff, davvero mi hai scambiato per quel verme di Loki? Chiese lui con le sue solite risposte sarcastiche mentre si alzava e si avvicinava a lei del tutto pietrificata. Notò che i suoi occhi erano lucidi e la sua solita postura ferrea vacillava sul posto, decise di colmare la loro distanza e non appena le sue braccia la circondarono le sue gambe cedettero e dovette tenersi a lui. Pian piano i loro corpi scendevano sul pavimento proprio mentre dai loro occhi scendevano fiumi di lacrime, soprattutto da quelli di Natasha. -Sai Nat, questa è la prima volta che ti vedo piangere. Disse lui allontanandosi dall’abbraccio per guardarla negli occhi, erano bellissimi, quel verde così illuminato dalle lacrime, contornato dal rosso dei capillari rotti erano uno spettacolo. Il loro sguardo durò pochi secondi perché Natasha non aveva intenzione di lasciarlo andare. Già era stato difficile lasciare andare Loki, figuriamoci lui. Quando i suoi singhiozzi si erano placati, parlò. -È normale che puzzi di olio per motori anche da morto? Chiese alzandosi da quella posizione e mettendosi più comoda, senza mai allontanarsi da lui. -È per te è normale che tu mi abbia scambiato per Loki? Davvero avevate qualche tipo di tresca? E poi, dove diavolo siamo? Chiese lui beffardo. Natasha le raccontò tutto quello che era successo e tutto quello che aveva dedotto, e lui si offrì volontario di aiutarla in ogni modo possibile a partire dal sistemarle gli orologi, a patto che lei lo aiutasse a trovare tutto quello che gli serviva, ma non c’era neanche bisogno di chiedere perché entrambi avrebbero fatto di tutto per l’altro, soprattutto se bisognava conviverci per l’eternità. Le loro chiacchiere vennero interrotte dal forte tuono che annunciava la notte, subito Natasha sistemò gli orologi, almeno aveva un punto di partenza e decise che per oggi bastava tutto quello che aveva fatto, soprattutto perché le forti emozioni che aveva provato erano state davvero stancanti. Prepararono la cena, o meglio aprirono delle lattine di ravioli al sugo, si sedettero sul bordo della terrazza e insieme osservarono quelle ombre che si schiantavano alla base della torre. -Sai per caso cosa sono? Chiese Tony con la bocca piena. Natasha lo guardò divertita e gli spiegò cosa fossero. -E perché sono di 2 colori diversi? Continuò lui. Natasha fece per rispondere quando di scatto si alzò e vide che Tony effettivamente aveva ragione, la maggior parte avevano una sfumatura arancio mentre le altre più sul giallo. -Credo che quelle colorate di giallo siano le tue. Disse indicando quelle poche ombre di colore diverso, erano sempre molte ma erano poche in confronto a quelle di Natasha. -Hey, ma sei ferita. Si preoccupò lui mentre le prendeva la mano, non era un taglio preoccupante ma sulla sua pelle chiara risaltava molto. Così mentre lui le fasciava la mano, forse troppo, lei gli raccontava come pensava che potesse mandarle via. -Allora mia cara Natasha, domani abbiamo un bel compito da fare, dobbiamo procurarci: aghi, siringhe e tutto quello che ci serve e inizieremo questa nuova missione insieme, nei limiti del sanitario e del non mortale, va bene? Natasha annuì soddisfatta mentre gli regalava un dolce sorriso seguito da un forte sbadiglio che contagiò anche Tony. -Dai andiamo a letto che domani sarà una giornata lunga. La esortò lui passandole una mano dietro la schiena e accompagnandola a quel materasso. Entrambi erano stesi, l’uno accanto all’altro, e forse per abitudine di dormire con qualcuno, entrambi si accoccolarono al loro amico, non era una cosa morbosa, sembravano naturalmente in pace l’uno tra le braccia dell’altro. Tony la stringeva come un tempo stringeva Pepper, circondandola con le sue braccia e poggiando il suo viso tra i suoi capelli mentre Natasha dormiva esattamente come le prime volte che tornava con Clint da qualche missione potenzialmente mortale e passavano la notte insieme tormentati da incubi, era appollaiata tra le braccia di Tony, le sue mani che si poggiavano sul suo petto e il braccio di Tony come cuscino. Il loro risveglio non fu particolarmente imbarazzante, Tony fu il primo a svegliarsi infastidito da quella strana luce viola, ma non ebbe il coraggio di muoversi non volendo svegliare Natasha. In quella posizione le sembrava l’essere più carino dell’universo, il suo viso era calmo e non aveva quella solita espressione potenzialmente fatale. Rimase lì fermo ad osservarla mentre il suo viso si contorceva in una strana smorfia mentre dalla sua bocca usciva un debole sussurro che Tony non riuscì a capire. Vedendo che iniziava ad agitarsi la strinse ancora di più tra le sue braccia e prese a cullarla mentre le sussurrava dolci parole all’orecchio. Natasha sembrava essersi calmata, anche l’ansia di Tony era scesa a livelli normali, aveva sinceramente paura, non sapeva mai come comportarsi con lei, ogni volta che stava male sia fisicamente che mentalmente lui guardava da rigorosa distanza Steve e Clint che si prendevano cura di lei. Senza pensarci 2 volte le labbra di Tony si posarono sulla sua fronte, in un disperato tentativo di infonderle amore, subito dopo quel gesto, le braccia di Natasha circondarono Tony e dalla sua bocca uscirono delle parole. -Mi hai appena dato un bacio? Chiese ancora non spostandosi da quella posizione, sotterrando ancora di più la faccia nel suo petto. -Cosa c’è adesso, non posso dimostrarti il mio affetto? Sai che non posso trattenermi. Rispose lui spostandosi provocando in lei dei gemiti di disapprovazione. -Stark, dobbiamo mettere delle tapparelle, la luce è insopportabile. Disse mentre si stropicciava gli occhi assonnati e si alzava dal letto. -Vedo che qui l’arredamento è molto minimalista. Le obiettò lui mentre andava a prendere qualcosa da mangiare in fondo alla stanza. -È già tanto che sono riuscita a portare quel letto, ma ora che è arrivata la carrozzeria non avrai problemi ad aiutarmi vero? Chiese lei ammiccando sensualmente e abbassando il tono di voce. -Ma certo mia cara damigella in pericolo. La giornata passò tra battutine e scherzi però riuscirono in gran parte del loro lavoro. Tony si assicurò che l’energia non calasse creando un piccolo generatore di emergenza, in modo da poter usufruire dell’ascensore e degli elettrodomestici necessari, che furono pesantemente portati al loro piano. Così mentre Natasha ritornava con buste piene di frutta e verdura, Tony finiva di montare le tende. Mentre pranzavano, con della semplice insalata, Natasha stava ricalibrando le sue pistole e Tony armeggiava con un orologio rendendolo accessibile alle loro giornate da 14 ore, tra di loro e in tutta la dimensione non volava una mosca, entrambi erano concentrati sul loro compito e gli unici rumori udibili erano i crepitii che faceva la pistola e il ticchettio dell’orologio. Non ci misero molto a finire, entrambi soddisfatti. -Tony io vorrei davvero aiutare tutte quelle anime. Iniziò Natasha, ma Tony la interruppe. -Lo so Nat, è per questo che dobbiamo ritornare alla vecchia base, devo vedere se è ancora intatto. Natasha lo guardò confusa, aveva abitato lì 5 anni, era sicura di conoscere quel posto alla perfezione. -Sotto il magazzino, possiamo dire che vi avevo creato una specie di laboratorio insieme a Banner anni prima, quando lui voleva liberarsi di Hulk, però quando ha cambiato totalmente idea, lo usavo come laboratorio segreto, sai com’è no? Così ogni volta che vi facevo le analisi, mettevo un po’ di sangue da parte in caso ne avreste avuto bisogno, certo io, tu e Barton eravamo mortali quindi non era necessario, ma per Thor, Steve e Bruce non avevo come aiutarli se si fossero gravemente feriti. Ammise Tony facendo illuminare gli occhi di Natasha che gli andò vicino e lo strinse in un abbraccio. -Sei il migliore. Ammise lei. -Non provare a paragonarmi a te. Scherzò lui allontanandosi dall’abbraccio e dirigendosi verso l’esterno. -Secondo il mio nuovo orologio abbiamo esattamente 3 ore prima che diventi notte. Rispose lui scendendo dall’auto ritrovatosi davanti il loro intero quartier generale distrutto. Iniziarono a scavare tra le macerie e fortunatamente, dopo circa un’ora si aprirono un piccolo varco che li portava alla porta del laboratorio segreto di Tony. Decisero che era meglio se fosse stato lui ad entrare nel caso qualche maceria fosse caduta lei avrebbe potuto tirarlo fuori, e poi sapeva dove mettere le mani. Il laboratorio era una grande stanza di cemento, era molto minimalista, una grande scrivania con sopra, i più strani elementi, e tutto intorno scaffali pieni di sacche di sangue. Andò verso quella di Natasha e ne prese il più possibile, lo stesso fece con la sua, e in pochi minuti si ritrovò ad uscire portando litri di sangue con sé. -Ne ho preso un bel po’, non credo che ritorneremo presto qui vero? Chiese uscendo ma si ritrovò da solo, impanicato lasciò le sacche nell’auto e andò alla ricerca di Natasha. Fortunatamente i suoi macabri pensieri furono sollevati quando la vide, proprio sulla riva del lago, guardava dritta davanti a sé, come se stesse osservando qualcosa, Tony le si avvicinò e vide ciò che attirava la sua attenzione. Un quasi invisibile Clint Barton con al suo fianco un altrettanto quasi visibile Wanda Maximoff che parlavano. -Secondo te, sa che abbiamo vinto? Chiese Wanda mentre si asciugava le lacrime dal viso. -Tutti e 2 lo sanno. Le rispose Clint mentre la stringeva in un abbraccio. Natasha si girò con il viso bagnato dalle lacrime e si buttò tra le braccia di Tony, anche lui era emozionato ma mai quanto lei, soltanto che qualcosa attirò la loro attenzione. Allo stesso modo in cui videro Clint e Wanda, l’ombra di Pepper attraversò tutto lo spazio intorno a loro e si fermò poco distante, poggiando qualcosa sul lago e facendolo andare sull’acqua. Era un mazzo di fiori, con al centro il primo reattore di Tony, quello che lei le aveva regalato, come prova che Tony Stark ha un cuore. -Ti amo Tony. Pepper aveva detto soltanto 3 parole, ma colmarono il cuore di Tony per il resto della sua esistenza. Con ancora Natasha ancorata al fianco, si voltarono e videro tutti quelli che li amavano in lutto per loro. Natasha si avvicinò a Steve e fece per toccarlo ma la sua mano attraversò il suo viso come se lui fosse un fantasma, questa fu la goccia che fece traboccare il vaso, in quel momento così emozionante, Natasha non riuscì a contenerle tutte come faceva di solito e crollò per terra, l’idea di aver perso tutti la destabilizzò per un momento. Tony fu subito al suo fianco e cercò di calmarla, ma i suoi strazianti singhiozzi non volevano cessare tanto che le risultava difficile anche respirare. Tony sapeva esattamente quello che stava provando e guardando l’orologio vide che mancava poco meno di mezz’ora alla notte, dovevano sbrigarsi, ma non poteva, prima doveva calmare Natasha, in un lampo le venne in mente quando erano a casa di Barton dopo che Wanda gli aveva fatto rivivere le loro più grandi paure. Natasha era stata la più destabilizzata di tutti e Steve era riuscito a calmarla facendola stendere e passandole un dito ripetutamente sul viso, non sapeva il perché e le sembrava tanto assurdo, ma ci provò comunque, il risultato era che in pochi secondi Natasha gli dormiva tra le braccia. Si appuntò mentalmente che doveva chiedergli di quella tecnica quando dal cielo si levò un forte rombo, avevano ritardato ed erano in forte pericolo. Corse verso l’auto e sistemò Natasha sul sedile, fece il giro ed entrò non appena un’ombra gli saltò sul parabrezza, accese subito l’auto e partì in picchiata. Non aveva la più pallida idea di cosa fare, aveva paura di svegliare Natasha e aveva paura di cosa gli avrebbero potuto fare quelle ombre. Arrivò sotto la torre ma l’idea di scendere non gli passò neanche per la testa vedendo un grande ammasso di ombre che la circondava, poteva creare un diversivo con il loro sangue ma sarebbe stato al dir poco inutile. Rimase lì fermo, dentro quella piccola struttura di metallo e notò che era particolarmente resistente e che quelle ombre non riuscivano né a penetrarla né a romperla, l’unica cosa era che ogni tanto sentivano un piccolo sbalzò. Per evitare inconvenienti legò la cintura di Natasha in modo che le fasciasse il corpo e la tenesse più al sicuro e iniziò a fare un lungo giro panoramico della città. Non sapeva esattamente dove andare si fece soltanto guidare dall’auto che secondo lui gridava un, guidami più veloce che puoi Tony, così si ritrovò sull’autostrada. Guidò per ore secondo lui, sentendo soltanto il rombo dell’auto e la voce nei suoi pensieri che ogni 2 minuti lo obbligava a controllare i segni vitali di Natasha, tanto che continuò a guidare con una mano ben tenuta sul suo polso. Provò anche a far partire la radio ma tutto quello che poteva sentire era una secco rumore statico. Il tempo passava e i suoi occhi erano sempre più pesanti, così prese la prima uscita disponibile ritrovandosi a Washington. Gironzolò un po’ per quelle strade fin quando non arrivò sotto il grande obelisco di marmo, il simbolo di quella città, parcheggiò proprio sotto il monumento, osservò la situazione e vide anche qui le strane ombre soltanto che queste erano leggermente colorate di verde, non ci fece molto caso ormai stremato e dando un ultimo sguardo a Natasha che dormiva profondamente, si lasciò trasportare anche lui nel mondo di Morfeo. Venne svegliato da un fastidioso ticchettio, cercò di ignorarlo ma il suo cervello ormai sveglio non gli impedì di notare, anche attraverso le palpebre chiuse, che il cielo era di nuovo illuminato, si costrinse controvoglia ad aprirli e lo trovò di un bellissimo verde speranza, che veniva riflettuto su ogni cosa vi fosse visibile. Perso da quella visione non si accorse del volto che lo stava osservando dal finestrino, tanto che quando lo notò fece un salto che fece sobbalzare tutta l’auto, quasi saltò in braccio a Natasha, che solo ora notò dormiva ancora. Preoccupato uscì dall’auto pronto ad affrontare qualsiasi minaccia, ma si trovò di fronte un vecchietto. -Ciao Tony. Lo salutò lui. Tony non rispose, lo guardò molto attentamente, come cercando di riconoscerlo, era molto familiare ma non riusciva ad associarci un nome. -Che fai, non saluti i vecchi amici? Continuò lui aprendo le braccia. Gli occhi di Tony schizzarono fuori dalle orbite, quello era Steve? -Sei davvero tu? Chiese incredulo ai suoi stessi occhi. Steve annuì e Tony ricambiò l’abbraccio che lui gli stava offrendo. -Cosa ti è successo? Perché sei così vecchio? Chiese Tony mentre si staccava dall’abbraccio. Steve fece per dire qualche parola ma fu subito interrotto da Tony. -Aspetta, tu che eri grande amico di Natasha, sai come svegliarla? Disse mentre faceva il giro e apriva la sua portiera, rivelandone una Natasha addormentata. Gli occhi di Steve alla sua vista si inumidirono, aveva letteralmente visto Natasha crescere, essendo divenuto lui il capo dello Shield, ed era strano per tutti il modo in cui il grande e famoso capitano Rogers si muovesse intorno alla super spia, era stato perfino lui a creare il piano per rapirla e farla lavorare per lo Shield, ma in quel modo era troppo, quella era la sua vera Natasha, la sua vera migliore amica, non la pupilla dello Shield che rischiava tutto perché tanto cosa aveva da perdere e a cui lui era tanto affezionato. No quella era la sua migliore amica, che gli aveva promesso che si sarebbero rivisti in un minuto e poi lei non era mai arrivata. Tony gli poggiò una mano sulla spalla come per dargli forza, ma si pentì quando lui si girò di scatto e lo guardò intensamente negli occhi. -Cosa le hai fatto? Chiese non distogliendo lo sguardo. -Andiamo Cap, anche qui pensi che sia stata tutta colpa mia? Okay lo ammetto, è colpa mia, ma non le ho fatto del male, ho fatto solo quella cosa che le facevate tu e Barton quando aveva davvero bisogno di dormire, solo che è da ieri pomeriggio che non si sveglia. Tony spiegò tutti gli avvenimenti degli ultimi giorni e soprattutto cosa era successo il giorno precedente solo quanto fu ben soddisfatto Steve, che aveva detto di essere arrivato poco tempo prima di averli trovati, disse cosa stava succedendo a Natasha. -Non so cosa le succeda in testa, è una cosa che le aveva imposto la Stanza Rossa, è come se la mandasse in una specie di coma, quando il suo corpo decide di averne subito abbastanza o la sua testa, ma uno dei due si oppone all’altro, per via di tutte le torture subite, ricorre a questo metodo che le mette a tacere tutti gli istinti e i sensi fin quanto il suo corpo o la sua testa non sono sufficientemente ricaricati. Decisero di comune accordo che sarebbe stato meglio se fossero ritornati a New York, così spostarono Natasha nei sedili posteriori, dove di certo Steve non sarebbe potuto rimanere a lungo vista la sua età e la sua povera schiena, certo il super siero lo aiutava e molto però aveva sempre 105 anni. Così con Natasha saldamente sistemata, partirono alla volta di New York. Durante il viaggio Steve raccontò tutto quello che era successo subito dopo il funerale di Tony. -Dopo la battaglia, abbiamo celebrato il tuo funerale e in seguito ci siamo sposati in Ohio, dove abbiamo dato una piccola cerimonia anche a Natasha, Barton sapeva che lei avrebbe sempre voluto rimanere lì così abbiamo deciso di commemorarla li. -Sai la sua tomba era stata messa proprio sotto un grande albero, i suoi frutti avevano dei bellissimi petali rosa che volavano per tutta l’area rendendo tutto più magico. -Subito dopo alcuni di noi siamo ritornati a New York, avevamo un ultimo compito da finire, restituire le gemme così nella linea temporale non ci sarebbero stati problemi, allora ho deciso di andare io. -Avrei restituito tutte le gemme in pochi secondi, ma Bruce non sapeva che avevo più particelle Pym di quante me ne avesse date lui, sai quanto siamo andati a prendere il tesseract alla base, dove tu hai incontrato tuo padre, ecco lì ne avevo rubato qualcuna. -Così dato che non avrei potuto vivere la vita insieme a Natasha, l’avrei vissuta con Peggy, e sono ritornato ad una settimana dopo la mia caduta nel mar glaciale artico, così ho vissuto la mia vita da agente dello Shield, sai che ero persino il capo di Nick, lo Shield era il mio regno che governavo con Peggy al mio fianco e una squadra di eroi che aiutava l’intero paese, gli Avengers, composti da me naturalmente, il famosissimo Tony Stark, Bruce, Barton, Thor e suo fratello Loki, i gemelli Maximoff, Carol, Parker, il dottor Strange, Rocket e la sua banda di amici, tanti altri che andavano e venivano e infine ma non per importanza Natasha, sai dal dicembre del ’84 mi sono messa alla sua ricerca ma l’ho trovato soltanto un anno prima che lei entrasse allo Shield, aveva soltanto 19 anni e un passato così buio che nemmeno tutti noi insieme potremmo eguagliarla. -Sono riuscito a far andare avanti e bene la squadra conoscendovi esattamente nella mia altra vita con voi, sapevo cosa vi infastidiva e cosa invece andava bene e cercavo di bilanciare ogni cosa, sapevo le date dei maggiori attentanti, così ho salvato i tuoi genitori, ho impedito a Bucky di diventare una minaccia e quasi uccidere Nat, ho evitato la distruzione di Sokovia e il suo trattato, T’chaka era ancora Re del Wakanda e non c’era nessuna conoscenza del vibranio tranne qualche uso fortemente professione della squadra. -È andato tutto bene fin quanto Peggy non si è ammalata e subito dopo mi ha lasciato, ma non me ne sono risentito, avevo avuto la possibilità di passare la mia vita insieme a lei, così mi rimaneva un solo compito, rimettere le gemme al loro posto. -Sono ritornato nel 42 quando Red Skull aveva preso il tesseract, poi nel 2014 restituendo la gemma su Vormir, sempre quell’anno ho rimesso l’orb dove Peter Quill lo aveva trovato, nel 2011 ho rimesso la gemma nello scettro, nel 2017 ho ridato la gemma del tempo a Strange e infine su Asgard nel 2012 per rimettere la gemma nel corpo di Jane, quando sono ritornato al presente per loro erano passati soltanto pochi secondi mentre per me una vita intera. L’intero racconto prese il tempo che richiedeva tutto il viaggio di ritorno e quando arrivarono a casa Natasha diede i primi segni del risveglio, Tony la prese tra le sue braccia e insieme salirono al loro piano. -Steve? Chiese Natasha in un sussurro mentre si svegliava e vedeva lui e Tony portare un tavolo da poker nella stanza. Steve le si avvicinò e non le diede nemmeno il tempo di dire una parola che la stringeva tra le sue vecchie braccia, le era mancata così tanto. Natasha era sconvolta, era passato davvero così tanto tempo da far morire di vecchiaia Steve, sembravano passati solo pochi giorni non interi decenni. Dopo aver raccontato tutto a Natasha e soprattutto dopo che lei aveva minacciato Tony che se lo avesse fatto un’altra volta non avrebbe più avuto le dita delle mani, decisero che un approccio pacifico tra di loro sarebbe stato il migliore in quell’eterna esistenza in cui si trovavano. I mesi passarono e anche velocemente, avevano passato il tempo arredando e modificando la torre, ascoltando le folli avventure che avevano avuto nella realtà di Steve, seguendo gli strazianti allenamenti di Natasha, imparando a costruire le loro personali tute di Iron man grazie a Tony e facendo dissolvere quelle anime che li perseguitavano. Quel giorno, il cielo arancio, con le sue sfumature, faceva percepire la giornata come una calda mattinata di agosto, i 3 eroi si stavano godendo un ottimo pranzetto fatto da Steve mentre giocavano a poker. Su quel tavolo avevano passato molte ore diventando quasi imbattibili così le partite duravano ore, fin quando non si percepì qualcosa di strano, era la stessa sensazione che avevano avuto Natasha e Tony ogni volta che arrivava qualcuno. Tutti e 3 si ritrovarono sia a sperare e sia a non farlo che fosse qualcuno da loro conosciuto, sarebbe stato bello avere qualcun altro nella squadra ma questo significherebbe che sarebbero morti. Sebbene più scettici continuarono a giocare finché una rauca voce li interruppe. -Allora è questo che fanno i migliori eroi della terra in paradiso, giocano a poker. Natasha dalla sua posizione dava le spalle a quella voce, ma non le servì girarsi per capire chi fosse. Tony e Steve si alzarono per presentarsi lasciando Natasha ferma come una statua seduta al tavolo. Non poteva crederci, non voleva crederci, la sua sorellina era morta ed ora era lì con lei, non sapeva se essere felice oppure triste, aveva desiderato ardentemente che fosse lì con lei ma non le avrebbe mai voluto togliere la vita. Natasha si alzò di scatto e proprio mentre Yelena stava per presentarsi lei le saltò addosso stringendola tra le braccia, iniziando a singhiozzare. -Non sapevo che stare qui ti avesse reso più debole. Scherzò Yelena mentre passava le mani sulla schiena di Natasha per calmarla. I 2 uomini guardarono la scena da lontano, non avevano mai saputo molto sul passato di Natasha, certo avevano letto tutti i suoi dati dello SHIELD ma erano più che sicuri che la verità solo lei poteva saperla. -Cosa ti è successo? Chiese Natasha staccandosi dall’abbraccio e asciugandosi le lacrime che però continuarono a scendere dai suoi occhi, mentre si avvicinava al divano e si sedeva. Yelena la seguì e le passò un braccio dietro la schiena sentendo quanto fosse distrutta la più grande. Tony si sedette sul tavolo di fronte le 2 donne mentre Steve prese posto su una sedia di fianco a Tony. -È iniziato tutto quanto ero sulla tua tomba, in Ohio, tutto il mondo sapeva cosa fosse successo tranne me, quando mamma Melina me lo ha detto volevo morire, ma dopo alcune casse di vodka mi sono ripresa, sai ho anche preso un cane, l’ho chiamata Fanny. Iniziò provocando una risatina da parte di Natasha al ricordo del nome. -Un giorno ero venuta a trovarti, la tua tomba, io già lavoravo per valentina come sicario, quando è venuta e mi ha dato il mio nuovo obiettivo, Clint. Continuò, ma appena udito quel nome Natasha si irrigidì visibilmente. -Mi dispiace Natasha, io non sapevo cosa fosse successo su Vormir l’ho scoperto quanto era troppo tardi, Valentina mi aveva raccontato che era stato lui a spingerti ed io ero accecata dalla rabbia, così ho iniziato a dagli la caccia, volevo soltanto vendicarti, non importa quanto tempo ci fosse voluto o quanta energia, io avevo solo quell’obiettivo, la vendetta. -Ci ho messo 4 mesi per trovarlo, avevo trovato casa sua, così l’ho fatta esplodere, ma non sapevo che dentro c’era sua moglie, e mi sono anche fatta molto male a causa dell’esplosione, così sono riuscita a finire in ospedale dove ho passato alcune settimane, fin quanto non è arrivato lui. -Abbiamo combattuto per non so quanto tempo, io era così accecata dalla rabbia che non ho voluto neanche sapere cosa effettivamente fosse successo, fin quanto non mi ha messo alle strette, mi aveva impalato al muro con delle frecce, non riuscivo a muovermi potevo soltanto stare lì e aspettare che la morte mi prendesse. -È stato li che mi ha detto la verità, ho provato a scusarmi con lui, davvero, se solo avessi saputo veramente cosa fosse successo, se solo mi fossi informata invece di reagire di scatto. -Mi dispiace Nat. Io non volevo fare del male a Laura, in realtà neanche a Clint ma non sapevo la verità. Concluse Yelena nascondendo il viso ormai bagnato dalle lacrime nelle mani, si aspettava da parte di sua sorella delusione e rabbia, era convinta che di li a pochi secondi si sarebbe beccata una bella batosta, quando invece, tutto quello che sentì è stato il contatto con il suo corpo e delle braccia che la stringevano. -So come ci si sente, mi è capitato qualche volta, la cosa migliore che puoi fare è lasciare tutto andare. La consolò Natasha, dando uno sguardo anche agli altri 2, che le fissavano intimorite. -Ti va se stracciamo quei 2 a poker? Sai sono delle vere schiappe. Le chiese dopo alcuni attimi di silenzio mentre mostrava la lingua ai 2 uomini ormai offesi che si stavano già dirigendo al tavolo da gioco. -Mi sei mancata Nat. Disse Yelena quando si alzarono. Natasha la abbracciò e rispose. -Dai almeno adesso possiamo recuperare tutti quegli anni in cui siamo state separate.

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