From this day Foward ~ Knowing the sound of your heartbeat di My Pride (/viewuser.php?uid=39068)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Proposal of Marriage ~ Jonathan & Clark ***
Capitolo 2: *** How to make a (perfect) proposal ~ Jonathan & Damian ***
Capitolo 3: *** Rules of Engagement ~ Jonathan & Talia ***
Capitolo 4: *** From this day Foward ~ Damian & Bruce + famiglia ***
Capitolo 1 *** Proposal of Marriage ~ Jonathan & Clark ***
Proposal of Marriage
Titolo:
Proposal of Marriage
Autore: My Pride
Fandom: Batman, Super Sons
Tipologia: One-shot
[ 1513 parole fiumidiparole
]
Personaggi: Jonathan
Samuel Kent, Clark Kent, Damian Bruce Wayne
Rating:
Verde
Genere: Generale,
Slice of life
Avvertimenti: What
if?, Slash
Solo i fiori sanno:
28. Non ti scordar di me: promessa d’amore
BATMAN
© 1939Bob Kane/DC. All Rights Reserved.
Jon
contemplò quell'anello con sguardo corrucciato, chiedendosi
se
nel comprarlo non avesse fatto una stupidaggine. Era da mesi che stava
programmando quella cosa, ma non aveva ancora avuto l'occasione di
fare quella proposta a Damian.
Da
quando aveva finito il college, si era ritrovato a pensare alla loro
relazione e a tutte le avventure che avevano vissuto, e non aveva avuto
il minimo dubbio di voler passare il resto della propria vita insieme a
lui. Però, e lo ammetteva, non aveva ancora trovato il
coraggio di
chiedere al compagno di sposarlo. Sapeva com'era fatto Damian, i
contatti fisici ed emotivi avevano il potere di farlo chiudere a riccio
a causa del suo passato, e per lui era stata già una gran
bella fatica
ammettere i sentimenti che provava. Persino fargli abbassare le difese
e scacciare l'imbarazzo all'idea di fare sesso era stata una vera
catastrofe, per quanto poi alla fine non se ne fosse pentito affatto.
A
quei pensieri Jon trasse un lungo sospiro, scompigliandosi i capelli
con
una mano. Damian Wayne era un vero e proprio mistero, e non voleva che
una proposta di matrimonio potesse in qualche modo sollevare nuovamente
quel muro emotivo che innalzava quando aveva bisogno di riflettere da
solo. Non gli piaceva quando lo escludeva, poiché in quel
modo non poteva aiutarlo o consolarlo.
«Non glielo
hai ancora dato?»
domandò improvvisamente Clark, arrivando alle sue spalle
proprio in
quel momento.
Jon
aveva udito i suoi passi, dunque non ne fu molto sorpreso, per quanto
avesse chiuso la scatoletta con uno scatto e se la fosse rimessa in
tasca. «Volevo
farlo ieri», ammise,
gettando uno sguardo al genitore. «Ero
riuscito a convincerlo ad uscire, abbiamo passato una bella giornata e
avevo persino aspettato il
tramonto per, sai, essere più romantico. Ma
abbiamo ricevuto
una
chiamata dei Titani e...»
«...la cosa
è passata in secondo piano».
«Già»,
affermò mogio, notando con la coda
dell'occhio i
movimenti del padre. Sorreggeva due tazze che prima non aveva visto, e
si accomodò accanto a lui sul divano prima di porgergliene
una. Jon
accettò di buon grado e ringraziò, soffiando su
quel the fumante prima
di assumere un'aria ancora più pensosa. «Papà...
credi... credi che
stia correndo troppo?»
Clark sbatté le palpebre. «Perché
questa domanda?»
domandò, sinceramente curioso. Per quanto fosse
sicuro di sé, c'erano momenti in cui Jon aveva bisogno di
rassicurazioni come quando era un bambino, e quel momento sembrava
essere uno di
quelli, poiché lo vide massaggiarsi dietro il collo con una
mano, nervoso.
«È
che... lo so di aver compiuto ventun anni da poco e che ho appena
finito il college, ma io e Damian stiamo ufficialmente insieme
da tre anni e ho
sempre saputo cosa provavo per lui... solo che ho paura che possa
vederla come una pressione»,
ammise.
Damian non era mai stato un tipo
romantico e, nonostante sapesse quanto lo amasse, non avevano mai
discusso seriamente di matrimonio. Una volta il discorso era uscito
così, un po' per gioco, ma... c'erano un po' di cose di cui
tener conto. Primo fra
tutti, c'era il problema che era pur sempre un Wayne e sarebbe stato
praticamente al centro dell'attenzione se solo si fosse venuto a
sapere. D'altra parte, Damian era piuttosto fissato col fatto che le
loro controparti eroiche non dovessero lasciar intendere che stessero
insieme, motivo per cui sul campo di battaglia cercava sempre di
mantenere una certa disciplina. Difficilmente riusciva ad ottenere
almeno un bacetto dopo una lunga lotta estenuante.
Comprensivo,
Clark passò un braccio intorno alle spalle del
figlio. «Sai,
Jonny...
anch'io ero nervoso quando ho chiesto la mano di tua madre»,
cominciò
nel sorridere al ricordo. «Non facevo
altro che rigirarmi l'anello fra
le mani e mi chiedevo se stessi facendo la cosa giusta... e alla fine
ho lasciato che fosse il mio cuore a guidarmi».
«Ma la
mamma non ha il caratteraccio di Damian».
«Oh,
ti stupiresti nel sapere che molto spesso lo ha eccome»,
replicò Clark
con un ghignetto. «Ed
è anche piuttosto competitiva, avresti dovuto
vederla i primi anni al Daily quando sono arrivato io. Il punto, Jon,
è
che so quanto voi ragazzi teniate l'un l'altro, nel corso degli anni
l'abbiamo notato tutti e non avete fatto altro che confermarlo giorno
dopo giorno. E se sei davvero sicuro
della tua scelta, devi provare a darti un'occasione. Fa' ciò
che ti
senti di fare, figliolo».
Jon avvolse un braccio intorno alla vita del padre. «Grazie,
papà. Mi sento un po' meglio»,
accennò rassicurato. «Non
c'è nessun
altro con cui desidero passare il resto della mia vita, e...» si
interruppe un momento, folgorato da un pensiero che gli fece spalancare
i grandi occhi azzurri, tanto che si voltò per osservare il
padre. «...il
signor Wayne è vecchia scuola? Pensi che... dovrei chiedere
a
lui il permesso di sposare Damian?»
Clark
si lasciò sfuggire una piccola risata divertita. «Bruce
è
legato alle tradizioni, ma non così tanto. E poi, credo che
finiresti
col dover chiedere il permesso prima a Dick», prese in
giro, sbattendo
le palpebre nel vedere l'espressione decisa che si era dipinta sul
volto del figlio. «Stavo
scherzando, Jon», si
sentì in dovere di
precisare, stringendolo un po' a sé.
«Mhn...
conoscendo Dick, non sono sicuro che sia proprio uno scherzo...» Jon parve
bofonchiare tra sé e sé.
«Per quanto Dick sia protettivo, non credo dovrai arrivare a
tanto», rimbeccò Clark, dandogli una pacca su un
braccio.
«Cerca di non farti prendere dall'ansia. È un
passo
importante e capisco come tu possa sentirti, una promessa d'amore come
questa può rendere nervosi... ma il segreto è
essere
tranquilli. Se cerchi un buon momento, fallo in uno che sai potrebbe
essere speciale per entrambi».
Senza riuscire a farne a meno, il giovane ridacchiò. Forse
si
stava facendo prendere inutilmente dal panico, tutt'al più
Damian avrebbe potuto dirgli che era troppo presto e... basta. Giusto?
«Su un tetto dopo aver preso a pugni dei
cattivoni?»
domandò divertito, facendo ridere anche Clark.
«Mi spiace dirti che Bruce ti ha rubato l'idea anni fa,
Jonno».
Jon sgranò gli occhi. «Non ci credo, ha davvero
fatto la proposta a Selina in questo modo?»
«Purtroppo per te, sì. Non sarai originale come
vorresti»,
scherzò prima di
guardarlo seriamente. «Dico
sul serio, figliolo. Non essere
nervoso. Sai cosa piace a Damian, vi conoscete da dieci anni e sapete
praticamente tutto l'uno dell'altro. Non
cercare per forza la perfezione, a volte la spontaneità del
momento vale più di ogni cosa. In qualunque modo tu decida
di
farlo, cerca di essere
semplicemente te stesso».
«Avevo davvero bisogno di un po' di
incoraggiamento»,
sorrise il ragazzo, sentendo vibrare il suo comunicatore sferico prima
ancora che potesse aggiungere altro; lo prese dalla cintola, dando una
rapida occhiata a quella T lampeggiante per aggrottare poi la fronte. A
quanto sembrava, c'era stata un'altra riunione straordinaria dei
Titani, organizzata per di più proprio da Dick, e lui era
stato
categoricamente convocato a partecipare. «Purtroppo
devo andare, papà. Grazie del supporto»,
replicò
sincero, stringendolo in un abbraccio quando si
alzò. «Ti
farò sapere come va».
Clark gli sorrise di rimando. «Ci conto. E ricorda il mio
consiglio».
«Lo farò. Salutami la mamma», lo
lasciò
andare e lo salutò con una mano, prima di sgattaiolare
letteralmente fuori dalla finestra e, accertatosi che nessuno in strada
o alle altre finestre stesse guardando, volò il
più
velocemente possibile verso il cielo per sparire fra le nubi che
sovrastavano Metropolis.
Parlare con suo padre gli aveva fatto
bene. Aveva
sempre avuto la convinzione di voler sposare Damian, sin dal primo
momento in cui aveva capito ciò che provava per lui e che
ormai
facevano parte l'uno della vita dell'altro, quindi aveva pensato che
una proposta perfetta sarebbe stata... beh, la cosa ideale. Invece suo
padre aveva ragione: non doveva per forza cercare la perfezione, in
quel modo si sarebbe fatto scappare solo le occasioni migliori, mentre
farlo spontaneamente sarebbe stato proprio nelle loro corde.
Forse Richard avrebbe potuto aiutarlo a
sorprendere
un po' Damian, ma a quel punto avrebbe dovuto parlargliene. Ed era
certo che sarebbe andato al settimo cielo ad una notizia del genere.
Persino sua madre sarebbe stata felice di saperlo, e... mentre era
in volo verso la Titans
Tower,
un pensiero lo fulminò seduta stante. Oh, dannazione. A
proposito di madri... si era dimenticato un piccolo particolare: Talia.
Era stato così concentrato sulla proposta, sul pensiero di
dover
chiedere il permesso a Bruce come da tradizione e persino
sull'organizzare il tutto, che si era dimenticato che il suo ragazzo
fosse imparentato con la donna più pericolosa del mondo. E
che
quella donna conosceva
letteralmente mille modi per farlo fuori se solo si fosse
sentita offesa in qualche modo per l'essere stata tagliata fuori.
Jon si lasciò scappare un lamento soffocato dal sibilo del
vento
che gli sferzava il viso. Sarebbe stata una lunga settimana.
_Note inconcludenti dell'autrice
Allora...
a voler essere proprio super sincera, non avevo intenzione di
cominciare una nuova raccolta. Però, vista la piega che
stavano cominciando a prendere determinate storie, continuare a
postarle nella raccolta Allegretto
~ Deux ou trois choses que je sais de nous mi
sembrava un po' fuori luogo, tenendo conto che quella riguarda
più la bat-family in sé che altro, e anche
postarla in Midsummer
Nights ~ Let me swallow the sunset era fuori discussione
(quella è più
rivolta a storie dallo stampo estivo)
Quindi mi sono detta: ho già tante storie all'attivo,
perché non cominciarne direttamente una a tema matrimoniale?
Ed eccola qui, nuda e cruda nella sua interezza, come ne posai una per
i miei amori di sempre (Roy & Ed) e come lo feci a suo tempo
per il fandom di One Piece. Sì, alla fine sono monotematica
Comunque, tutto questo giro di parole per dire che avevo voglia di
scrivere una raccolta DamiJon incentrata sul matrimonio, con tutte le
fasi che esso provoca (e gli alti e bassi che si creano persino con la
famiglia). Tutto qui. Ovviamente non sono ragazzini, Jon ha ventun anni
e Damian deve compierne ventiquattro, quindi non c'è niente
che
non va. Inoltre, per la richiesta di Jonno a Bruce, vi rimando qui Blessing,
scritta da ShunDiAndromeda :p
Commenti
e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥
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No Profit
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alla causa pro-recensioni.
Farai felici milioni di
scrittori.
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Capitolo 2 *** How to make a (perfect) proposal ~ Jonathan & Damian ***
How to make it perfect
Titolo:
How to make a (perfect) proposal
Autore: My Pride
Fandom: Super Sons
Tipologia: One-shot
[ 3394 parole fiumidiparole
]
Personaggi: Damian
Bruce Wayne, Jonathan Samuel Kent
Rating:
Giallo
Genere: Generale,
Slice of life, Fluff
Avvertimenti: What
if?, Slash
Solo i fiori sanno: 34.
Rosa rossa: amore e passione
Just stop for a minute and smile:
33. "Che tempismo!"
Writeptember: 2.
Opera contenente una scena vista in un film || 3. X cura Y in un luogo
ostico
SUPER SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved.
Aveva
pensato praticamente a
tutto.
Ed era per quel motivo che Jon sorrideva raggiante avanti allo specchio
del bagno, sistemandosi al meglio i ciuffi di capelli ribelli mentre
raddrizzava la montatura degli occhiali.
Quello sarebbe stato un giorno speciale,
il giorno della cosiddetta resa
dei conti.
Era da due giorni che cercava di prenotare un tavolo
all’unico
ristorante di cucina araba presente a Metropolis, conscio che quel tipo
di sapori non fossero più quelli che Damian consumava di
consuetudine da quando si trovava in America. Per quanto il signor
Pennyworth cercasse di accontentarlo di tanto in tanto, da quando
Damian aveva cominciato a vivere da solo - e in seguito con lui - si
accontentava di consumare qualcosa che preparava al volo o il cibo
cinese che condividevano dopo una pesante ronda, quindi Jon aveva
pensato che potesse essere un’idea carina portarlo
lì con
la scusa di voler assaggiare qualcosa di nuovo.
A quei pensieri, Jon rimirò
un’ultima
volta la sua immagine riflessa nello specchio. In realtà
doveva
ammettere a sé stesso che aveva pensato di portare Damian
direttamente a Dubai in volo, ma sarebbe stato molto più
difficile spiegare la sua scelta di fare un viaggio del genere solo per
mangiare un po’ di babaganoush, tanto per dirne una. Quindi,
per
quanto meno romantica, la scelta del Nagar era stata la più
ovvia.
«J?»
La voce di Damian lo distolse dai suoi
pensieri e si
riscosse un po’, aggiustando un’ultima volta la
cravatta
prima di lanciare uno sguardo all’orologio che aveva al
polso.
Aveva perso la cognizione del tempo. «Eccomi!»,
rassicurò, andando ad aprire la porta. Era una fortuna che
avessero due bagni, o non avrebbe potuto godere della visione di Damian
già preparato di tutto punto. Aveva ravvivato i capelli
all’indietro e indossato un completo nero che gli fasciava
perfettamente il corpo e metteva in risalto i punti giusti,
più
una cravatta verde scuro che si intonava benissimo con il colore dei
suoi occhi. Non era la prima volta che lo vedeva così tirato
a
lucido - aveva partecipato a molte serate di famiglia,
nonché ad
eventi delle Wayne Enterprises - , ma era la prima volta che lo faceva
per andare in un ristorante insieme a lui, con un completo nuovo di
zecca che gli calzava a pennello. E Jon sorrise trasognante.
«Sei bellissimo». Le
parole gli uscirono
dalle labbra prima ancora che potesse pensarle, e Damian
sogghignò.
«Lo dici come se fosse una
novità», replicò con il suo solito tono
saccente,
seppur divertito, allungandosi verso di lui in punta di piedi per
sistemargli la cravatta. Jonathan solitamente indossava abiti casual,
come felpe, camicie o jeans, quindi era piacevole vederlo
più
elegante nonostante non disprezzasse il suo solito outfit.
«Stai
bene anche tu. Ora che ne diresti se...» avrebbe anche
aggiunto
altro se non si fosse accorto che Jon stava sì osservando le
sue
labbra, ma non sembrava esattamente essere lì con la testa,
visto il suo sguardo fisso. «Terra chiama Kent».
Jon ci mise un attimo di troppo per
ridestarsi,
sbattendo le palpebre come un idiota nel sentire lo sguardo di Damian
su di sé. «Oh. Oh, scusa, io...
andiamo?»
cambiò discorso nel prendergli la mano per stringerla nella
sua,
sentendo un piccolo sbuffo ilare da parte dell’altro che,
senza
fare tante storie almeno per quella sera - e Jon ringraziò
Rao
per le piccole cose -, si lasciò trascinare fuori
dall’appartamento dopo aver preso le giacche e le chiavi
dell’auto.
Volare avrebbe sicuramente risparmiato
loro un sacco
di tempo, ma erano in abiti civili e non sarebbe stato facile spiegare
perché Jonathan Samuel Kent, stagista al Daily Planet,
stesse
svolazzando in giro con il CEO della sede delle Wayne Industries di
Metropolis. Per quanto la loro relazione fosse sotto i riflettori da
più di un anno - nessun Wayne riusciva a fuggire
dall’occhio vigile di Vicki Vale del Gotham Gazette -, non lo
erano di certo i suoi poteri. Evitare di dare nell’occhio
anche
in quel senso era la priorità.
Optando quindi per l’auto, la
Lamborghini
rossa di Damian sfrecciò ben presto fra le strade di
Metropolis,
macinando asfalto mentre il suo possessore osservava fuori dal
finestrino tra una chiacchiera e l’altra. Difficilmente
lasciava
che qualcun altro mettesse le mani sulla “sua
bambina”, ma
di tanto in tanto, come quella sera, Jon riusciva a guidarla e si
sentiva un po’ come James Bond in “La morte
può
attendere”. Una volta l’aveva anche detto a Damian,
e lui
aveva sghignazzato divertito al pensiero del figlio di Superman nelle
vesti di 007.
Per quanto avessero trovato un
po’ di
traffico, il viaggio fu tutt’altro che noioso o silenzioso:
se
non scherzavano tra loro, Damian cercava qualche canzone alla radio che
poteva rallegrare l’atmosfera nell’abitacolo, ed
era
curioso come riuscisse a beccare ogni volta una stazione che
trasmettesse “Highway to hell”, divenuta
praticamente la
sua canzone preferita. Jon non aveva faticato a capire
perché,
ma non aveva mai fatto domande, esattamente come quella sera in cui,
per l’ennesima volta, si era ritrovato ad ascoltarla. Si era
solo
concentrato sulla voce di Damian che intonava ogni strofa con
sicurezza, senza imitare la tonalità del cantante ma usando
la
propria, mettendoci più enfasi soprattutto quando arrivava
al
ritornello; Jon a volte gli scoccava un’occhiata e lo beccava
a
suonare una chitarra immaginaria, e a volte invece si univa al suo
canto, ridendo come due idioti.
Arrivarono al ristorante quasi senza
rendersene
conto, affidando le chiavi dell’auto al parcheggiatore
–
con tanto di ammonimento da parte di Damian se avesse trovato un solo
graffio, prima che gli consegnasse un biglietto da cento dollari
– per entrare e farsi accompagnare al tavolo a loro riservato.
«Devo ammetterlo,
Jon», cominciò
Damian mentre si accomodava, nascondendo un vago sorriso, «mi
ha
stupito che tu sia riuscito ad avere un tavolo. Questo posto ha
più prenotazioni del Golden Dragon».
Jon ridacchiò, sedendosi a
sua volta. Era
raro riuscire a stupire uno come Damian, quindi si tenne stretto il
complimento. «Che posso dire, anch’io ho degli
agganci».
«Usali più
spesso»,
rimbeccò nel fargli un occhiolino, e Jon non poté
evitare
che un sorriso gli si stampasse sulle labbra. Forse in quel momento
sembrava un idiota, ma Damian era abituato al fatto che sorridesse in
continuazione – proprio figlio di suo padre, gli aveva detto
– e non diede quindi peso alla cosa, limitandosi a guardare
curiosamente il menù per vedere quali piatti avevano da
offrire.
Fu Damian stesso che finì col
consigliarne
alcuni a Jon e a dirgli quali avrebbe dovuto evitare per non mangiare
troppo speziato, e parecchi piatti, due bottiglie e un dolce dopo,
poterono finalmente dirsi soddisfatti, tanto che persino il volto di
Damian apparve rilassato come non lo era stato nelle ultime due
settimane. Avevano avuto così tanto da fare, tra il lavoro e
le
loro missioni da eroi, che passare del tempo come
“coppia”
era stato davvero l’ultimo dei loro pensieri. Quindi avevano
davvero avuto bisogno di staccare un po’ la spina.
«Grazie, Jon», se ne
uscì
d’un tratto Damian. «È stata una bella
serata», ammise. Non era tipo da appuntamenti o cose del
genere,
ancor meno elargiva complimenti, quindi Jon apprezzò ancora
di
più quelle parole.
«Sono contento che ti sia
piaciuta»,
replicò un po’ imbarazzato, sistemandosi gli
occhiali sul
naso. Era più un gesto nervoso che altro, e Damian se ne
rese
conto, arcuando un sopracciglio.
«Tutto bene,
Jonathan?» chiese a quel punto, vedendolo annuire di getto
prima di sorridere.
«Sì, è
solo che... prima di
andare, c’è una cosa che devo... no, che voglio
dirti», si corresse, ricevendo un’occhiata curiosa.
Si
aspettò che Damian replicasse qualcosa come suo solito,
invece
stranamente lo lasciò continuare. E lui prese maggior
coraggio,
allungando una mano verso la sua sul tavolo. «Ricordi... la
nostra prima sera?»
A quella domanda, Damian lo
fissò.
Capì di quale “prima sera” stesse
parlando senza
nemmeno doverlo chiedere, e l’ombra di un ghignetto si
dipinse
sulle sue labbra mentre allungava a propria volta la mano.
«Strano che lo domandi ma, sì, lo ricordo. Come
potrei
dimenticarlo, Jonny-boy?» prese bonariamente in giro.
«E
ricordo anche che non volevi venire con me».
«Avevo dieci anni, non puoi
biasimarmi se non volevo sgattaiolare via di casa senza
permesso».
«Però alla fine
l’hai fatto e ci hai preso gusto».
«Già». Il
sorriso sul suo viso
divenne ancora più radioso. «E da quella notte
abbiamo
condiviso tutto: i momenti belli e quelli brutti, avventure che non mi
sarei mai sognato di vivere se non ti fossi presentato alla mia
finestra quella sera ad Hamilton, abbiamo attraversato l'intero spazio
e abbiamo affrontato imprese che persino i nostri padri non si
sarebbero mai sognati di vivere, e l'abbiamo sempre fatto fidandoci
l'uno dell'altro». Si umettò le labbra nel vedere
Damian
ricominciare a fissarlo con estrema attenzione, quasi volesse capire
dove volesse andare a parare. «Sei diventato un partner, il
mio
migliore amico, l'amore della mia vita. E quando penso al futuro, penso
che non c'è nessun altro con cui desidero passare il resto
della
mia vita». Deglutì impercettibilmente, sentendo il
suo
cuore battere ad un ritmo sempre più veloce e costante. Poi
riprese. «Vorresti sp...»
Non fece in tempo a finire e a tirar
fuori la
scatola che un boato fendette l'aria, inghiottendo le sue parole e
facendo tremare il pavimento sottostante prima che grida disarticolate
si levassero tutto intorno e fuori dall'edificio; lui e Damian si
gettarono un'occhiata stranita e, con gli occhi ingigantiti dalla
confusione, si precipitarono a guardare fuori dalla grande vetrata,
dove quelli che avevano tutta l'aria di essere due robot giganti
stavano distruggendo la parte est di Metropolis.
Jon si lasciò sfuggire
un’imprecazione
soffocata. Di tutte le sere in cui potevano succedere casini a
Metropolis… doveva essere proprio quella dopo un mese di
tranquillità? Sul serio? Che razza di tempismo! Per Rao,
qualcuno lo odiava davvero.
«Spero che tu abbia
“tu sai cosa”
sotto quel bel vestito», replicò Damian,
afferrandogli un
polso per trascinarlo fuori insieme al resto dei clienti e del
personale, che avevano cominciato a sparpagliarsi per allontanarsi il
più possibile da lì.
Non seppe nemmeno quando si ritrovarono
nel vicolo
dietro al ristorante, ma mentre si toglieva la giacca vide che Damian
si stava già sistemando i guanti e la cintura multiuso alla
vita. «Non capirò mai come fai ad essere
più veloce
di me», affermò nel levarsi anche camicia e
pantaloni per
restare in uniforme, e Damian gli regalò un sorrisetto
sardonico.
«Anni di pratica,
Sups»,
rimbeccò, sistemandosi la maschera. Da quando si era
liberato
del mantello e aveva apportato modifiche al suo costume, optando per
tonalità di grigio scuro e rosso, il nome di Robin non
sembrava
più calzargli così tanto a pennello e aveva
deciso di
riportare in auge il vecchio Redbird solo come alias, dato che della
vecchia uniforme non aveva salvato praticamente niente. «Ora
datti una mossa, quei robot non ci aspetteranno di certo», lo
riscosse,tirando fuori il rampino per spararlo verso l'alto e
arrampicarsi sul tetto, correndo verso quei robot con salti aggraziati.
Non lo aveva nemmeno aspettato, ma Jon
sapeva
già come andavano le dinamiche, così si diede un
piccolo
slancio con i piedi e spiccò il volo, tenendo il passo con
Redbird. I robot continuavano la loro distruzione ed erano praticamente
ad un isolato di distanza quando Superboy allungò una mano
nel
vuoto, prima ancora che alle sue orecchie echeggiasse un «Manovra n°4!»
e vedesse il rampino sparato verso l'alto; lo afferrò alla
svelta e non ebbe bisogno di guardare in basso per vedere il ghigno
sulle labbra dell'altro, lanciandolo letteralmente sulle spalle di uno
dei robot per vederlo atterrare su di esso in perfetto equilibro. Lui
si concentrò sul secondo, afferrandolo per un braccio
d'acciaio
per sollevarlo da terra giusto un secondo prima che schiacciasse
un'auto in cui c'erano ancora delle persone.
«Dobbiamo portarli lontano da
qui, J!»
la voce di Redbird era un’eco lontana sotto il rumore
assordante
di quella ferraglia, ma lo sentì distintamente e
sollevò
l’altro braccio a dimostrazione di aver capito, afferrando il
piede dell’altro robot; lo issò da terra nello
stesso
istante in cui l’altro conficcò un birdrang nella
sua
corteccia metallica, aggrappandosi ad esso mentre cercava di farsi
strada nei suoi circuiti.
Si allontanarono dalla città
con le urla
spaventate della gente che echeggiavano nelle sue orecchie, atterrando
nei pressi di un magazzino abbandonato in periferia. Avrebbe potuto
distruggerli con la vista calorifica o facendoli a pezzi, ma negli anni
avevano imparato a loro spese che quei maledetti robot potevano avere
violente reazioni ai poteri kryptoniani, in particolar modo se si
trovavano in città come Metropolis. Un attacco alle loro
sinapsi
robotiche era il modo più efficace per abbatterli, anche se
Superman poteva almeno menomarli se necessario.
«Il portellone alla tua
destra!»
esclamò Damian, e nel sollevare lo sguardo Jon lo vide
saltare
sulla spalla destra del robot per evitare che la grossa mano lo
schiacciasse seduta stante.
Senza perdere ulteriore tempo, si
lanciò in
volo in quella direzione e usò la sua vista calorifica per
mirare al portellone, prima di affondare le dita nell'acciaio come se
fosse burro; lo tirò via con un sordo rumore metallico e lo
lanciò lontano da sé, soffiando sui circuiti per
congelarli seduta stante. Il robot barcollò per un momento e
provò a colpirlo con un ultimo sforzo, ma Jon
afferrò il
braccio e lo gettò lontano, controllando il compagno con la
coda
dell'occhio. Non lo vide subito, ma ben presto una serie di piccole
esplosioni catturò la sua attenzione e capì che
Redbird
aveva appena fatto saltare il portellone del suo robot, e non ci
avrebbe messo molto a metterlo K.O. Con un ghignetto, si
riconcentrò sul proprio avversario, schivando i suoi colpi
mentre si spostavano sempre più.
Non seppero quanto tempo
passò ma, quando la
battaglia finì, poterono finalmente trarre un sospiro di
sollievo. Intorno a loro c'era solo la distruzione causata dall'attacco
simultaneo di quei robot e una delle braccia che Jon aveva strappato
era piombata sull'edificio, abbattendolo; nell'aria persisteva un
polverone che si era mescolato con la nebbiolina che si era innalzata,
e Jon tossicchiò, cercando il compagno con lo sguardo per
trovarlo non molto distante da lui. Seduto sulla spalla di uno dei
robot, si teneva il braccio destro con una mano, il volto contratto in
una piccola smorfia.
Jon si librò in volo verso di
lui, poggiando
la punta dei piedi su quell'ammasso di ferraglia. «Stai
bene?» chiese, vedendo Damian fare un breve cenno col
capo.
«Gh... niente che una bella
dormita non possa aggiustare».
«Raccontala ad un altro,
D»,
rimbeccò nello scrutarlo meglio e vedere il sangue scorrere
attraverso la fessura delle dita; si inginocchiò quindi al
suo
fianco qualche momento dopo per controllare il braccio con la sua vita
a raggi X e valutare i danni, ignorando i borbottii a cui l'altro diede
vita. «Okay, niente di terribile. Ci penso io»,
affermò, guadagnandoci un'occhiata piuttosto scettica.
«Credo di voler tornare a casa
con il braccio ancora attaccato al corpo».
«Non sei affatto spiritoso. Lo
sai,
vero?» replicò Jon, e Damian sollevò un
angolo
della bocca, gli occhi sorridenti al di sotto della maschera che
indossava. Poi, in silenzio, allontanò la mano dalla ferita
e
premette un pulsante sulla sua cintura, passando a Jon il kit di primo
soccorso che si portava sempre dietro.
Prendendolo, Jon si scusò e
ruppe quel che
restava dell'uniforme per poter avere il braccio completamente esposto,
sentendo la ferita pulsare come se avesse poggiato un orecchio sopra di
essa: era profonda, ma non molto, per quanto il sangue continuasse a
scorrere pigramente su quella pelle scura, rendendola quasi traslucida;
cominciò a tamponarla e vide Damian mordersi giusto un po'
il
labbro inferiore prima di liberarsi della maschera, passandosi il dorso
dell'altra mano sulla fronte per detergerla dal sudore.
Cercò di
fargli male il meno possibile, pur sapendo che l'altro avrebbe comunque
sopportato il dolore, disifettando la ferita con estrema attenzione
prima di cominciare a suturarla; era una fortuna che Redbird si
portasse sempre dietro quel kit - qualcuno l'avrebbe chiamato
paranoico, ma lui dopotutto era il figlio del più grande
paranoico del mondo -, poiché permetteva loro di
ammortizzare i
danni prima di lasciare al signor Pennyworth il resto del lavoro.
Jon fasciò il braccio solo
quando fu
soddisfatto dei suoi punti, sentendo ancora su di sé lo
sguardo
di Damian. L'aveva osservato in silenzio per tutto il tempo, e
ciò faceva capire come avessero ormai consolidato il loro
rapporto al punto di fidarsi completamente l'uno dell'altro.
«Ecco fatto» esordì infine, stringendo
un po' il
nodo.
Damian valutò la fasciatura
con occhio
critico - Jon sapeva che lo faceva solo per irritarlo, certe volte -,
alzandosi in piedi qualche momento dopo. «Lavoro abbastanza
adeguato».
«Grazie, J, come farei senza di
te? Oh, ma dai, D, avresti fatto lo stesso», lo
scimmiottò Jon con ironia, al che Damian roteò
gli occhi.
«D'accordo... grazie»,
lo accontentò, ignorando lo sbuffo ilare del compagno.
«Adesso vediamo di andarcene prima che arrivi la
po--»
Senza permettergli di terminare la
frase, Jon lo
baciò di slancio e Damian sgranò gli occhi,
poiché
non si erano mai spinti fino a quel punto quando erano in
“servizio”. E, soprattutto, non mentre se ne
stavano
praticamente in cima ad un robot abbattuto nella periferia sud di
Metropolis.
«D... vuoi
sposarmi?» sussurrò
contro le sue labbra, e il giovane eroe dovette allontanare un po' il
viso per osservare il compagno dritto in viso, abbassando lo sguardo
quando sentì il piccolo click della sua cintura e gli vide
in
mano una scatoletta di velluto che non lasciava spazio a
fraintendimenti.
Damian la guardò per attimi
che parvero
interminabili, poi sollevò nuovamente lo sguardo, fissando
l'altro. «Me lo stai davvero chiedendo su un campo di
battaglia?» domandò, e Jon si freddò.
Oh, mer...
«Ehm... ecco, io...
vedi...»
balbettò, perso nelle iridi verdi e ingigantite di Damian.
Aveva
sbagliato. Dopo il fiasco totale al ristorante, si era bruciato
un’altra occasione. Adesso l'avrebbe guardato stranito e...
contro ogni sua aspettativa, Damian rise. Una risata sincera e
liberatoria, di quelle che raramente si lasciava scappare, prima di
fare qualcosa che Jon non si sarebbe mai aspettato: gli
gettò le
braccia al collo, stritolandolo letteralmente in una morsa.
«Sì
che ti sposo, stupido idiota», rimbeccò ad un
soffio dalle
sue labbra, e Jon poté assaporare il sangue e il terriccio
che
le macchiava. Fece scivolare una mano lungo il suo fianco destro e lo
attirò a sé, godendosi quell’istante
come se lo
stesse vivendo per la prima volta. Fu un bacio lento e voglioso, un
brivido di adrenalina che serpeggiò lungo la spina dorsale
fino
a mandare una scarica al cervello, e quando si separarono Damian rise
ancora, lasciando Jon un po’ incredulo.
«P-Perché
ridi...?» gli venne spontaneo chiedere, le labbra rosse e
gonfie per il bacio.
Damian scosse la testa e si
asciugò gli
occhi, inumiditisi per l’aver riso troppo.
«Perché
per una volta sei stato più veloce di me, ragazzo di
campagna», sghignazzò con quel suo solito
cipiglio,
aprendo una delle tasche della sua cintura multiuso per tirar fuori a
sua volta una... piccola scatola di velluto nero. Una maledettissima
scatola di velluto nero.
Jon la osservò stordito,
spostando lo sguardo
sul compagno. «Tu...» boccheggiò, e una
mano
guantata si poggiò sulla sua bocca.
«Ottima deduzione,
Sherlock»,
rimbeccò Damian con quel sorriso sardonico dipinto sulle
labbra.
«Anche se ero piuttosto indeciso, visto che mi hai sempre
detto
di voler sposare i tuoi noodles scadenti», buttò
lì
sarcastico, provocando a Jon una sonora risata.
«Avevo dieci anni!»
«E quella roba ti piace
ancora».
Jon rise di nuovo, la sua risata
cristallina
riecheggiò nella notte in quello spiazzo abbandonato, prima
che
curvasse la schiena per poggiare la fronte contro quella di Damian.
«...sappi che anche il mio è un sì.
E non sto parlando dei noodles», sussurrò,
stringendo
nella sua la mano con cui il compagno sorreggeva la scatola di velluto.
Si sorrisero complici e si strinsero
l'uno
all'altro, con lo sguardo rivolto all'orizzonte che cominciava a
tingersi dei primi colori dell'alba.
_Note inconcludenti dell'autrice
Decimo
giorno del #writeptember
sul
gruppo facebook Hurt/comfort
Italia.
I prompt si adattavano bene a questa storia, così l'ho
terminata
visto che era rimasta ferma in cantiere da un bel pezzo.
Però
l'ho allungata un po' troppo, ne sono consapevole, e la cosa... beh, mi
è sfuggita piuttosto di mano, lo ammetto. Ci sono ben due
scene
ispirate a dei film come richiesto da uno dei prompt: quella con i
robot (Pacific Rim) e quella del bacio (Top Gun)
Jonno ovviamente prova in tutti i modi di fare una proposta decente a
Damian, ma alla fine quella che conta di più è
quella
fatta col cuore nel momento più strano ahah
Commenti
e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥
Messaggio
No Profit
Dona l'8% del tuo tempo
alla causa pro-recensioni.
Farai felici milioni di
scrittori.
|
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Capitolo 3 *** Rules of Engagement ~ Jonathan & Talia ***
Rules of Engagement
Titolo: Rules
of Engagement
Autore: My Pride
Fandom: Batman, Super Sons
Tipologia: One-shot
[ 4161 parole fiumidiparole
]
Personaggi: Damian
Bruce Wayne, Jonathan Samuel Kent, Talia Al Ghul
Rating:
Giallo
Genere: Generale,
Slice of life
Avvertimenti: What
if?, Slash
Writeptember: 2.
Salvataggio || 3. X ha un parente di cui non parla volentieri
SUPER SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved.
Jon
osservava da una certa distanza la fortificazione che si innalzava tra
neve e cielo, col mantello che svolazzava nella brezza ad alta quota.
Era una pazzia, ma conosceva abbastanza
bene la
persona con cui avrebbe dovuto parlare da sapere che, se avessero
svolto le cose a sua insaputa, sarebbe stato anche peggio. E, se
proprio doveva essere sincero con sé stesso, preferiva
togliersi
quel dente prima che il suddetto dente gli venisse strappato via a
sangue da chissà quale tipo di vendetta.
«Non sei costretto a farlo per
forza, J».
La voce di Damian appariva preoccupata
anche
attraverso il comunicatore che aveva all'orecchio. Quando gli aveva
detto che sarebbe andato a Nanda Parbat, l'aveva guardato con
un'espressione talmente indecifrabile che, per un momento, Jon
pensò si fosse spento come un automa. Salvo poi cominciare a
sbraitargli contro che era un idiota e che se ci teneva tanto a morire
l'avrebbe accoppato lui senza complimenti. Gli ci era voluta
più
di un'ora e mezza per riuscire a calmarlo - o almeno per far
sì
che il rossore della rabbia defluisse dal suo viso -, ma alla fine gli
aveva spiegato le sue ragioni e perché sentiva che fosse la
cosa
giusta da fare. Una pericolosa ripicca era l’ultima cosa che
avrebbe voluto nella nuova vita che stavano costruendo, motivo per cui
adesso, dopo le svariate imprecazioni e i pugni che Damian gli aveva
rifilato a vuoto sulle braccia, si trovava a troneggiare fra le nubi
che sovrastavano il cielo della dimora della Lega degli Assassini.
«Tranquillo, D...»
esordì
finalmente Jon, perdendo un po' di quota mentre il primo strato di
nuvole cominciava a diradarsi dinanzi a lui. «Cosa potrebbe
mai
succedermi...» parve ironizzare, sentendo distintamente il
dignignare dei denti dell'altro anche attraverso il comunicatore.
Damian diede vita a quel suo solito
schiocco di
lingua sotto il palato. «Oltre a farti ammazzare da mia
madre?
Oh, niente di che, in effetti...» rimbeccò e, dal
tono che
usò, Jon fu più che sicuro che avesse arcuato un
sopracciglio con scettico cinismo. «Alla minima minaccia,
sappi
che io...»
Jon lo interruppe bruscamente. Il suo
caro futuro
consorte non aveva voluto saperne di restare a Gotham e l'aveva seguito
in sella a Goliath e, per quanto fosse almeno riuscito a farlo restare
a distanza, quella era una cosa che doveva fare da solo. O non avrebbe
avuto senso. «Se intervieni, sembrerò debole; e se
sembrerò debole, lei non mi darà mai il suo
consenso».
«Se muori, il suo consenso non
lo avrai comunque, razza di idiota!»
«Puoi smetterla di fare il
tragico, tesoro?»
«Non chiamarmi tesoro, testa
aliena! Sono io
quello che ha accettato la tua proposta, non avevi bisogno di chiedere
il consenso di mia madre per chissà quali stupide regole del
fidanzamento!» gli urlò direttamente all'orecchio,
al
punto che Jon dovette togliersi per un momento il comunicatore nello
storcere il naso. Gli aveva letteralmente trapanato un timpano.
«D... ne abbiamo
già parlato...»
riprese nel sistemare quell'aggeggio di nuovo all’orecchio.
«...sai che quando voglio posso essere testardo quanto
te».
«Questa tua testardaggine ti
condurrà alla tomba».
«Ti amo anch’io, mio
bel
pettirosso», rimbeccò Jon con fare sarcastico,
sapendo che
Damian cercava sempre di nascondere la sua preoccupazione con frasi
caustiche. «Ti sembra davvero il momento giusto per
litigare?»
Dal comunicatore si sentì
solo un crepitio,
come se la linea fosse stata disturbata; poi il lungo sospiro di
Damian. «Se ti farà cambiare idea
sull’entrare a
Nanda Parbat... allora sì», ammise con quello che
parve
essere un pigolio. «Stai correndo un rischio
inutile».
«Ricordi
cos’è successo quando
tua madre ha scoperto che tuo padre frequentava quella
Vicki?»
domandò di punto in bianco il giovane Superboy, e
dall’altro lato della trasmissione arrivò un suono
stranito.
«J, non vedo cosa...»
«Rispondi».
Damian tergiversò un
po’, e Jon
poté benissimo sentirlo picchiettare con le dita sulla sella
di
Goliath. «Le ha mandato dei fiori secchi e un pipistrello
morto
come avvertimento... prima che dei ninja l’attaccassero a
Gotham
Plaza».
«E quando tuo padre voleva
sposare
Selina?» incalzò, aspettando una risposta che non
arrivò. Era come se Damian fosse scomparso, evaporato nelle
nuvole fra cui lui se ne stava a braccia conserte.
«Il tuo
silenzio mi fa capire che ho ragione», sentenziò
infine, e
fu a quel punto che Damian sospirò. Jon era piuttosto certo
che
si stesse raschiando con i denti il labbro inferiore in un gesto di
stizza.
«Non mi piace parlare molto di
mia madre e dei suoi modi, J. Lo sai».
Jon sorrise, anche se Damian non avrebbe
potuto
vederlo. «Proprio per questo credo che sia una cosa che
dovrei
fare. Se ha reagito male su cose che riguardavano Bruce, pensa allora
cosa farebbe se sapesse che suo figlio si è sposato senza
dirle
nulla», rimbeccò, e a quel punto Damian
sbuffò
pesantemente.
«Dannazione». Pur
non potendolo vedere,
il giovane Superboy fu certo che si fosse passato una mano fra i
capelli. «Io e Goliath aspetteremo qui. Tu cerca di stare
attento, habibi».
«Non preoccuparti... lo
farò»,
provò a rassicurarlo, prima di chiudere la comunicazione per
volare in fretta verso la fortezza, lasciando dietro di sé
solo
un boom sonico. Il vento gli sferzò il viso e per un secondo
fu
inghiottito dalle nuvole, atterrando proprio nel bel mezzo del cortile
con un tonfo che fece tremare i vetri circostanti e crepare il terreno
sotto ai suoi piedi.
Non dovette nemmeno aspettare che il
polverone che
aveva creato si disperdesse, sentendo distintamente il sibilo
dell’acciaio tutto intorno a sé. Un manipolo di
guerrieri
l’aveva accerchiato e puntava le armi contro di lui, pronti a
fronteggiare la minaccia nonostante fossero tutti consapevoli del
simbolo che svettava sul suo petto.
«Non ho intenzione di farvi
del male»,
esordì, osservando quegli uomini uno ad uno. «Sono
qui
solo per Talia Al Ghul».
«Taci, infedele!»
esclamò uno
degli assassini, facendo un passo avanti con la spada ben sguainata.
«Non osare pronunciare il nome della Testa del
Demone».
Jon lo guardò con estrema
attenzione, senza
muoversi dal punto in cui era atterrato. Tutto, dalla postura
dell’uomo al modo in cui ognuno di loro sorreggeva le armi,
gli
faceva capire che non si sarebbero tirati indietro nemmeno se lui
avesse rotto loro tutte le ossa. Non che l’avrebbe fatto,
però... avevano una tale e cieca devozione per Talia, da non
temere niente e nessuno.
«Abbassate le armi».
Una voce, pacata e calda come il sole
del deserto,
interruppe i movimenti di Jon sul nascere, e non appena si
voltò
in quella direzione il suo sguardo incrociò quello di Talia.
Indossava un lungo abito di colore verde, talmente scuro da sembrare
nero - e che metteva in risalto le sue forme prominenti e longilinee -
con rifiniture dorate agli orli delle maniche; lo scollo a V lasciava
ben intravedere le forme prosperose del suo seno nonostante le ciocche
castane che ricadevano in morbidi boccoli ai lati di esso, ma era
così a proprio agio da non curarsi dell’effetto
che poteva
provocare a chi la guardava, bella e letale come una pantera.
«Quindi saresti tu il
pretendente»,
affermò, e Jon per poco non sbiancò.
Già lo
sapeva? Come aveva fatto a saperlo? Sgranò
impercettibilmente
gli occhi, incredulo, ma la donna parve notarlo. «Non fare
quella
faccia», continuò nel fare un passo verso di lui.
«Non si addice a chi ha l’ardire di pensare di
poter venire
qui a richiedere la mano di mio figlio».
Jon inspirò pesantemente dal
naso, facendo
giusto un passo in avanti a propria volta. Per quanto superasse di
parecchi centimetri la donna e con la sua velocità avrebbe
potuto colpirla prima ancora che pensasse anche solo di muoversi, lei
appariva comunque più minacciosa di lui. E non aveva idea di
come facesse. «Ciao... mhn... Talia»,
cominciò.
Essere formale e chiamarla Signora Al Ghul non gli era sembrata una
buona idea, in quel momento. «Non so come tu l'abbia saputo,
ma... saltiamo i convenevoli. Sai perché sono qui».
«Hai una spada?»
La domanda spiazzò Jon, che
si guardò
intorno come se stesse cercando una risposta ai quei modi di fare nei
volti degli assassini che lo circondavano. Avrebbe potuto spazzarli via
in un attimo, eppure nessuno di loro aveva mostrato segni di cedimento
o paura. Se quella non era dedizione alla causa…
«Mhn… no?» provò, al che
Talia estrasse
quella che portava alla cintola, puntandone la lama verso di lui.
«Prendine una». In
un attimo, almeno un
centinaio di spade caddero letteralmente ai suoi piedi, lasciate una ad
una dai devoti uomini della donna. «Combatti. O
muori»,
disse ancora lei, senza segno di emozione nella voce. Era sempre
così teatralmente melodrammatica? Damian l’aveva
avvertito
riguardo i modi di fare della madre, ma sembrava davvero determinata
nonostante avesse dinanzi a lei un ragazzo che non poteva essere
ferito. E la sua spada, apparentemente, non sembrava fatta di
kryptonite. A che gioco stava giocando?
Decise comunque di assecondarla - non si
era
comunque di certo aspettato che si sarebbero seduti ad un tavolo con
una bella tazza di the -, senza perderla d'occhio mentre si abbassava a
recuperare una delle spade tra la catasta di armi che troneggiava
davanti a lui. Non fece nemmeno in tempo a stringere le mani intorno
all'elsa che Talia sparì letteralmente dalla sua visuale,
salvo
ricomparire alla sua destra con la lama pronta a trafiggergli il cuore;
Jon sgranò gli occhi, colpito da quella velocità
che non
si era aspettato, scartando di lato come gli aveva insegnato Damian.
Per ogni eventualità, dopo tante suppliche, anni addietro
l'aveva addestrato anche all'uso della spada, e mai avrebbe creduto che
tutto quell'addestramento gli sarebbe servito contro la madre stessa
del compagno.
«Ti consideri suo
pari?»
«Come?»
«Ti ho chiesto se ti consideri
al pari di mio figlio».
Jon sbatté le palpebre
più volte, non
capendo se la donna lo stesse dicendo seriamente o per scherzo. Non era
certo di cosa intendesse, se a livello di forza fisica o
intellettualmente, quindi non aveva la minima idea di che risposta
volesse da lui. «Siamo compagni. Lo amo»,
replicò
ovvio, prima che la lama di Talia gli sfiorasse il viso.
«Non era questa la domanda a
cui avresti
dovuto rispondere», affermò lei in tono schietto,
tornando
a colpirlo con fendenti rapidi e sicuri che Jon faceva fatica a parare.
Se avesse avuto una spada di kryptonite, non avrebbe avuto il minimo
scampo. «Damian è l'erede degli Al
Ghul»,
continuò. «Dovrà cercare una donna
forte e
continuare la dinastia, generare un figlio. Cosa ti fa pensare che
averti al suo fianco potrebbe essere anche solo lontanamente
accettabile?»
«Non ho bisogno del tuo
permesso»,
replicò Jon spudoratamente. Indietreggiò, tenendo
alta la
propria lama mentre Talia compiva passi sempre più veloci
verso
di lui, col terreno sotto i suoi piedi che si sollevava in piccole
nuvolette di polvere ogni qualvolta sembrava danzare con quella spada
fra le mani. «Ma so di cosa sei capace. Sono venuto ad
informarti
per evitare che ti sentissi offesa e trasformassi le nozze in un bagno
di sangue».
Talia rise sprezzante, ma un sorriso
parve formarsi
nella curva morbida delle sue labbra. «Onorata per la tua
premura, kryptoniano». La sua voce era densa come miele, ma
tagliente come l'acciaio che reggeva. «Sei folle abbastanza
da
venire fin qui di tua spontanea volontà, potrei persino
pensare
di considerare le tue parole. Ma dovrai dimostrare di valere ben
più del simbolo che hai sul petto»,
sentenziò,
tornando all'attacco prima ancora che Jon potesse anche solo rendersene
conto.
Era veloce, quasi inumana, proprio
ciò che ci
si sarebbe aspettato dalla Testa del Demone. Ma lui aveva avuto un
grande insegnante e, passato il momento di smarrimento iniziale,
cominciò a tener testa alla donna, i cui occhi parvero
ingigantirsi per la confusione. Fu un solo attimo, ma a Jon
bastò per cogliere l'opportunità di ricambiare
quei
fendenti, mirando a gambe o braccia e cercando in tutti i modi di
evitare i punti vitali; più combattevano, più il
clangore
delle spade che si scontravano le une contro le altre sembrava
rimbombare tutto intorno a loro, seguito da una moltitudine di cuori
pulsanti che Jon insonorizzò. Voleva concentrarsi solo su
Talia,
unicamente sui suoi movimenti e sul suono dei muscoli del suo corpo,
sulle articolazioni che scricchiolavano silenziosamente e sul suo
respiro che appariva calmo e controllato nonostante stessero
combattendo con furia.
Per quanto lui fosse invulnerabile,
Talia
riuscì comunque a colpirlo un paio di volte con il lato
piatto
della lama: lo spintonò lontano, lo colse impreparato nello
sbattere quella spada contro il suo fianco destro, lo fece cadere
colpendolo dietro al ginocchio e sentì il sapore della
polvere
in bocca quando sbatté il viso sul terreno, avendo giusto il
tempo di voltarsi prima che un calcio ben assestato si abbattesse sulla
sua faccia e i gambali di Talia si rompessero in mille pezzi,
schizzando ornamenti d'oro e d'acciaio ovunque; ciò non la
fermò, quasi non avesse avvertito niente, spingendolo con un
piede sulla schiena per schiacciarlo contro la terra sottostante. Non
ne fu certo, ma gli parve di sputare sangue - era mai possibile? -,
boccheggiando per un attimo prima di richiamare a sé tutte
le
energie e rotolare di lato nello stesso istante in cui la lama si
abbatteva su di lui.
Jon sgranò gli occhi,
stringendo l'elsa che
reggeva prima di gettarsi nuovamente all'attacco. La donna era una
combattente eccezionale, non si meravigliava se riuscisse a tenere
testa persino ad un super - per di più senza essere munita
di
kryptonite -, ma lui aveva una motivazione più che valida e
importante per essere lì e per vincere. Si spinse verso di
lei,
scartando di lato per evitare il nuovo colpo e ricordando
ciò
che gli aveva insegnato Damian: lasciò che la spada
diventasse
un'estensione del suo braccio, divenne un tutt'uno con essa, la
ascoltò, e il primo fendente andò a segno e
ferì
Talia al viso; la vide portarsi il pollice sul taglio e
passò il
polpastrello su di esso ma, anziché infuriarsi maggiormente
come
Jon aveva pensato, sulle sue labbra si dipinse un sorriso sardonico che
non riuscì a definire prima di lanciarsi contro di lui con
rinnovata prontezza.
Non seppe quanto durò quel
combattimento, gli
sembrava che fossero passate intere ore - forse giorni? Okay, era
consapevole che stesse esagerando -, ma Talia non appariva desiderosa
di fermarsi. Aveva un leggero fiatone, ma dai movimenti che continuava
a fare e dai fendenti che gli rivolgeva, sembrava pronta ad andare
avanti fino a perdere le sue ultime forze. Fu a quel punto,
però, che scorse una breccia nelle sue movenze; la donna era
sicura e decisa, si muoveva con la grazia ferina di una tigre decisa ad
uccidere la propria preda, ma compiva ogni volta un preciso movimento
col piede sinistro su cui poggiava l'intero peso, e Jon
sfruttò
quel movimento a proprio vantaggio: si sporse verso di lei, quasi al
punto che avrebbe potuto trapassarlo con la spada senza problemi, e
affondò la lama della propria spada nel suo braccio destro
senza
nemmeno pensarci due volte. E Talia urlò. Allentò
la
presa sull'elsa della propria arma, che cadde a terra con un tonfo
sordo mentre gli assassini intorno a loro si muovevano all'unisono come
un'onda pronta a sommergerli.
«Non osate fare un
passo!» tuonò
lei con voce ferma, con gli occhi fissi sulla figura dell'uomo che
l'aveva ferita; mosse le labbra senza emettere alcun suono, l'aria
intorno a lei parve farsi carica di elettricità, e Jon
rimase
immobile al suo posto, senza capire che cosa stesse succedendo
finché un ruggito non si levò fra le nubi della
fortezza
proprio in quell'istante. Gli sguardi di tutti furono rivolti verso
l'alto e gli occhi ne cercarono la provenienza con espressioni
smarrite, finché quel suono non divenne più forte
e un
grosso drago-pipistrello, l'ultimo della sua specie, atterrò
con
forza proprio in mezzo a loro, facendo tremare la terra e spaccandola
sotto le grosse zampe; allargò le gigantesche ali color
cremisi,
annusando l'aria e facendo guizzare la grande lingua viola fra le
fauci, come se stesse pregustando il sapore degli uomini lì
presenti. Fu a quel punto che scese qualcuno dal suo dorso, e gli
sguardi concitati corsero dalla bestia al figlio del demone, che li
osservava nella sua fulgida compostezza. In vesti molto simili a quelle
di Talia, sembrava un principe nella sua scintillante armatura: portava
una corazza nera con intricati rifinimenti in oro ai lati, e i fianchi
fasciati da una cintura verde scuro che fermava il pantalone
sottostante; aveva con sé due katan appese alla cintola, e i
parabraccia corazzati, su cui svettava l'effige di un animale molto
simile ad un pipistrello, brillavano ai deboli raggi del sole e
sembravano esser stati ideati per diventare un'arma in caso di
necessità. Se sua madre avesse mosso un singolo muscolo, in
quel
momento, probabilmente non avrebbe esitato a far scattare il meccanismo
e a colpirla mortalmente con la lama nascosta.
Talia lo squadrò difatti per
un lungo
istante, facendo scorrere lo sguardo su quella pelle scura baciata dal
sole e su quegli zigomi pronunciati, con le lunghe ciglia spesse che
gli conferivano una bellezza che solo l'ambiente desertico poteva
donare. Dopo anni in cui l'aveva visto solo da lontano, se non con
fugaci contatti, suo figlio era finalmente lì davanti ai
suoi
occhi. «Damian», esordì nel far cenno,
con il
braccio sano, di abbassare le armi, e i suoi uomini si mossero come una
marea per far scivolare le spade lungo i fianchi.
«Madre»,
replicò lui, fermo
dinanzi a Goliath e con lo sguardo puntato sulla donna e sul compagno
non molto distante da lei. Jon sorreggeva ancora la spada e, a
differenza di sua madre che sanguinava copiosamente, sembrava star
bene. O, in ogni caso, era bravo a nasconderlo. Soprattutto tenendo
conto di quanto fosse sporco e ricoperto di polvere.
Non un fiato si levò tra loro
mentre si
squadravano, persino il grosso respiro di Goliath sembrava scandire il
tempo con battiti lenti e costanti, quasi un'agonia che tutti cercavano
di sopportare, almeno finché lo sguardo di Talia non si
fermò sul viso di suo figlio per perdersi in quelle iridi
smeraldine così simili alle sue.
«…quindi lui
è il tuo
fidanzato?» domandò senza tanti giri di parole nel
tenersi
una mano premuta sulla spalla, mentre il sangue che grondava dalla
ferita rendeva le sue dita estremamente appiccicose.
«Sì,
madre», affermò
Damian senza esitazione, trattenendo il fiato per un momento quando gli
occhi verdi e taglienti della donna si fermarono su di lui.
Quell’occhiata avrebbe potuto significare qualunque cosa, in
particolar modo se teneva conto del tempo e della distanza che li aveva
tenuti lontani fino a quel momento, ma Damian non distolse lo sguardo,
seppur sentendosi come fissato da un grosso felino che attendeva il
momento giusto per saltare alla gola della propria preda; poi, contro
ogni sua aspettativa… Talia sorrise.
«Mhn. Combatte
bene», replicò
semplicemente nel dar loro le spalle, venendo raggiunta da Ubu che le
scostò delicatamente una mano per premere una garza sterile
sulla ferita. «Avete la mia benedizione».
I due giovani restarono interdetti ad
osservare la
sua schiena mentre si allontanava, sbattendo le palpebre in simultanea
senza proferir parola. Persino gli assassini intorno a loro non avevano
fiatato nemmeno per un secondo, limitandosi a portare un pugno chiuso
al petto in segno di saluto - verso... verso di loro? Jon era
interdetto - prima di congedarsi a loro volta e lasciarli lì
come due perfetti idioti. Che... diavolo era successo?
Fu Jon il primo a riprendersi, con lo
sguardo ancora
puntato verso l'edificio in cui Talia e i suoi uomini erano spariti.
«Ho... ho appena... avuto il consenso di Talia Al
Ghul?»
domandò incerto, come se non credesse ancora alle sue
orecchie,
e persino Damian ci mise un secondo di troppo a ridestarsi da quella
consapevolezza che li aveva letteralmente investiti come una secchiata
d'acqua gelida.
«...s-sì. A quanto
pare sì».
«...cristo. Ho appena avuto il
consenso di
Talia Al Ghul», ripeté Jon incredulo, sbattendo le
palpebre così velocemente che per un attimo abbe dinanzi
agli
occhi solo lampi sfocati dell'ambiente che li circondava.
«Pensavo che mi avrebbe infilzato e lasciato in fin di
vita».
Damian gli diede una gomitata in un fianco. «A quel punto
sarei
stato a finirti», gli rese noto, facendolo
ridacchiare.
«Mpf, e poi come avresti fatto
senza di
me?» scherzò con un sorriso che andava da un
orecchio
all'altro, decisamente molto più rilassato di quanto non lo
fosse stato fino a quel momento. «Comunque non c'era bisogno
che
arrivassi sul tuo cavallo bianco - pardon, pipistrello rosso - e mi
salvassi, sai? Avevo tutto sotto controllo», disse, ma fu a
quel
punto che lo sguardo di Damian sondò completamente la sua
figura.
Con estrema attenzione, girandogli
persino intorno,
Damian lo controllò da capo a piedi come se stesse studiando
un
raro esemplare di chissà quale animale, e Jon rimase
immobile
sotto il suo sguardo ferino. Quando faceva così, e lo
ammetteva,
gli incuteva un po' di timore.
«Non avevi sotto controllo un
bel
niente», sentenziò infine nello sciogliere la
fascia che
aveva ai fianchi per rivelare la sua cintura multiuso, dalle cui tasche
tirò fuori un kit di pronto soccorso sotto lo sguardo
confuso di
Jon.
«Che stai facendo?»
chiese lui, al che Damian gli lanciò l'ennesima occhiata
scettica.
«Curo le tue ferite, idiota.
Levati il mantello e abbassa l'uniforme».
Jon si accigliò.
«Non sono
ferito», gli disse in tono sicuro, ma Damian non fu dello
stesso
avviso; gli strappò lui stesso il mantello, facendolo
imprecare
quando l'aria fredda si scontrò con dei tagli che aveva
dietro
la schiena e lui sgranò gli occhi, incredulo.
«Eh!? Ma
quando...?»
«Mia madre sa usare la magia.
Non c'è di che per averti salvato, super-idiota».
«Oh».
«Già. Oh».
Dire che Jon era rimasto scombussolato
sarebbe stato
un eufemismo. Boccheggiando, sbatté le palpebre
più volte
e fece quanto gli era stato detto di fare, lasciandosi cadere seduto
sul terreno polveroso mentre abbassava la parte superiore della propria
uniforme; la schiena era percorsa da un reticolo di tagli che lui non
si era minimamente accorto di avere, poiché non aveva
sentito e
non sentiva tuttora il minimo dolore. Era forse per l'uso della magia
che, durante il combattimento, si era sentito così
sopraffatto
dalla donna? Non l'avrebbe mai detto.
Così, immobile e a occhi
chiusi,
lasciò che Damian si inginocchiasse dietro di lui e si
occupasse
delle sue ferite, arricciando un po' il naso mentre lo sentiva
disinfettare quella che sarbebe dovuta essere una pelle d'acciaio ma
che, in quel momento, gli sembrava avere la stessa consistenza di
quella umana. Che fosse quello l'influsso della magia sui kryptoniani
come lui? Trasse un sospiro mentre quel batuffolo di cotone impregnato
di disinfettante correva sulla sua schiena, muovendo giusto un po' le
spalle quando gli sembrava di sentire un pizzico di dolore; ben presto
la sua pelle venne ricoperta di cerotti e si beccò persino
una
fasciatura al braccio, finché Damian non gli
batté
pesantemente una mano su una spalla mentre si rimetteva in piedi.
«Ecco fatto. Ora
muoviti»,
affermò nell'incamminarsi verso l'edificio, e Jon,
nell'alzarsi
a sua volta e rivestirsi, arcuò un sopracciglio.
«Cosa? Dove stiamo
andando?»
«Dentro. O pensavi che mia
madre ci avrebbe lasciati andare senza ufficializzare la
cosa?»
Jon si freddò senza muovere un altro passo. «Vuoi
dire che
dobbiamo...» si umettò le labbra e
deglutì,
guadagnandoci uno sguardo divertito quando Damian, sorridendo
sardonico, si voltò verso di lui.
«Credevi davvero che sarebbe
bastato batterla a duello? Illuso.
Sei fortunato che non ti chiederà il Mahr, hai
già pagato col sangue», lo schernì, ma
Jon
aggrottò la fronte; qualunque cosa avesse voluto intendere,
non
era per nulla rincuorato dalla cosa.
«...è qualcosa che
non mi sarebbe piaciuto, vero?»
Damian agitò semplicemente
una mano.
«Solo una dote che sarebbe stata espressione di affetto,
eternità del vincolo matrimoniale e del tuo farti carico dei
miei bisogni materiali, quindi non farti prendere inutilmente dal
panico», rimbeccò sarcastico e, per quanto Jon si
fosse in
parte rilassato, il pensiero che non fosse ancora finita un po' lo
faceva agitare come un bambino alle prime armi.
Avrebbe dovuto passare un'intera
giornata al
cospetto di Talia Al Ghul, circondato da migliaia di assassini della
Lega? Forse adesso si pentiva un po' di essere volato fin
laggiù
per affrontare una donna di cui il suo compagno non amava parlare mai.
Però, mentre osservava la schiena di Damian e ascoltava il
suo
battito cardiaco, calmo come non lo era mai stato dal momento in cui
l'ombra di Talia sembrava essere gravata su di loro e sulla loro futura
vita, Jon non poté fare a meno di sorridere.
Sarebbe andato tutto bene.
_Note inconcludenti dell'autrice
Venticinquesimo
giorno del #writeptember
sul
gruppo facebook Hurt/comfort
Italia.
Quello
che succede qui si ri fa in parte a quanto visto in Batman 34, ovvero
quando Selin a e Talia si ritrovano a lottare l'una contro l'altra e
Talia le chiede se si considera una pari di Bruce.
Talia è una drama queen e fa le stesse domande (o quasi)
anche a Jonno, sì. Ma dopotutto vuole essere sicura che
l'uomo che vivrà al fianco di suo figlio (perché
Talia in fondo quando vuole - e quando viene scritta bene -
può essere una specie di buona madre) sarà in
grado di proteggerlo anche se suo figlio può tranquillamente
proteggersi da solo. Ah, l'amore di una madre
Commenti
e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥
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Dona l'8% del tuo tempo
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Farai felici milioni di
scrittori.
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Capitolo 4 *** From this day Foward ~ Damian & Bruce + famiglia ***
From this day Foward
Titolo:
From this day Foward
Autore: My Pride
Fandom: Batman, Super Sons
Tipologia: One-shot
[ 3510 parole fiumidiparole
]
Personaggi: Damian
Bruce Wayne, Bruce Wayne, Jonathan Samuel Kent + Tutta la famiglia e
Justice League
Rating:
Giallo
Genere: Generale,
Slice of life, Commedia
Avvertimenti: What
if?, Slash
Solo i fiori sanno:
29. Orchidea: armonia, celebrazione d’amore
Just stop for a minute and smile: 10. "Poteva
andare peggio..."
SUPER SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved.
Tra
un'imprecazione e l'altra, Damian cercò di annodare il
cravattino con mani tremanti, non riuscendoci. Non aveva alcun motivo
per essere nervoso, quel giorno sarebbe dovuto essere completamente
dedicato ai sorrisi e alla gioia, eppure non poteva non provare una
bizzarra sensazione alla bocca dello stomaco - Grayson le avrebbe
scherzosamente chiamate
farfalle - mentre si fissava davanti allo
specchio.
A voler essere sincero, non avrebbe mai
creduto che
quel giorno sarebbe giunto anche per lui. Aveva sempre pensato che,
soprattutto a causa del suo passato, avrebbe finito col ferire chiunque
avrebbe provato ad avvicinarsi e non avrebbe mai potuto avere una vita
felice, e si era portato dietro quel pensiero fin quando non aveva
conosciuto Jon. All'inizio non avrebbe mai potuto crederlo possibile,
eppure gli alti e bassi che avevano vissuto non avevano fatto altro che
avvicinarli più di quanto loro stessi avessero pensato. E
forse,
adesso, era proprio per quel motivo che non faceva altro che fissare il
suo riflesso in quel completo bianco.
Era così... strano. Non
sapeva da quanto
tempo stesse fissando le rifiniture eleganti della giacca monopetto che
indossava, ma il suo sguardo correva da essa alla camicia bianca, fin
verso i pantaloni classici con le bande di raso laterali; non aveva
voluto dire di no al gilet, quindi non solo alla fine l'aveva indossato
per una questione d'eleganza, ma anche per nascondere le bretelle e la
cintura. Si era persino ravvivato i capelli all'indietro, mettendo in
risalto i lineamenti decisi del suo volto e il taglio orientale dei
suoi occhi verdi. Si sentiva perfetto, però... era normale
sentirsi così nervosi?
«Damian?» La voce
incerta di suo padre
si fece sentire timidamente da dietro la porta, distogliendolo dai suoi
pensieri. «Posso entrare, figliolo?»
Damian si prese un momento prima di
rispondere,
traendo un lungo sospiro mentre continuava a lottare con quello stupido
cravattino. Perché aveva insistito tanto col volersi
preparare
da solo? Una mano, ora come ora, non gli sembrava affatto una pessima
idea. «Entra pure, padre», disse infine nel vedere,
attraverso lo specchio, la porta aprirsi poco a poco e rivelare la
figura del genitore. Indossava un completo nero ed elegante che metteva
in mostra la sua prestanza fisica, e la cravatta, anch'essa nera,
svettava fin troppo bene sulla camicia bianca.
«Stai benissimo»,
esordì Bruce,
senza nascondere la nota di orgoglio che trasudava dalle sue parole.
Solitamente non si lasciava andare in quel modo, ma quello era un
giorno speciale in tutto e per tutto. Suo figlio era cresciuto e stava
per sposarsi... e gli sembrava fosse passato poco meno di un giorno da
quando era arrivato nella sua vita.
«...grazie», disse
Damian con un pizzico
di imbarazzo, volgendo il capo verso di lui. «Ma proprio non
riesco a fare questo maledetto nodo», ammise, accennando al
cravattino che cadeva mollemente intorno al colletto della sua camicia.
«E Grayson è più impedito di
me».
«Avresti potuto chiamare
Alfred».
«No, io... voglio che
Pennyworth si goda la giornata».
Bruce sbatté le palpebre, ma
poi scosse il
capo, divertito. «Ad Alfred non dispiacerebbe, credimi. Sogna
un
momento simile da quando io stesso avevo la tua
età»,
replicò prima di fargli un cenno con la mano destra.
«Girati, ti do una mano io».
«Sicuro di
riuscirci?» ironizzò
il giovane, rimediandoci una breve occhiataccia dal genitore.
«Alla veneranda età
di cinquantacinque
anni, credo di aver imparato anch'io come annodare un
cravattino».
Damian mugugnò qualcosa in
tono sarcastico,
ma doveva arrendersi all'evidenza: quel cravattino non si sarebbe
sistemato da solo e il padre, in quella stanza, ci sarebbe riuscito
sicuramente meglio di lui; così si girò,
sistemandosi
giusto un po' la giacca per lasciare che fosse l'altro ad occuparsi del
resto. Le sue mani, grandi e forti, si allungarono verso il suo collo e
sollevarono il colletto della camicia, posizionando nel modo corretto
il cravattino intorno al suo collo per far sporgere maggiormente
un'estremità, prima di incrociarla su quella corta.
«Ricordi la prima volta che
tua madre ci ha
fatti incontrare?» esordì d'un tratto l'uomo
mentre
manteneva con l'altra mano le due estremità che si
incrociavano
davanti al colletto, e Damian, seppur sorpreso da quella domanda, si
lasciò sfuggire un piccolo sbuffo ilare, sollevando lo
sguardo
al soffitto.
«Sembra ieri. Ti puntai una
spada alla gola e ti dissi: “Padre...»
«...ti credevo più
alto”»,
rise Bruce, e sulle sue labbra comparve l'ombra di un sorriso. Damian
non l'aveva mai visto così... felice. «E avevi
soltanto
dieci anni. Da allora, ne abbiamo passate tante... ci sono stati
momenti in cui abbiamo discusso, litigato, combattuto».
Tirò entrambe le estremità del cravattino,
stringendole
in base alla larghezza del suo collo e continuando a sistemare quel
pezzo di stoffa con estrema attenzione, quasi avesse paura di farlo
scivolare via dalle proprie dita. «Sei partito per trovare la
tua
strada e hai guadagnato nuove esperienze, hai imparato ad accettare
l'aiuto degli altri e a capire che i sentimenti non sono una debolezza.
E adesso eccoti qui... pronto a sposarti», replicò
nel
tirare infine le anse del cravattino per sistemare il fiocco,
raddrizzandolo prima di squadrare il figlio, in modo di assicurarsi di
aver fatto un buon lavoro, per poggiargli poi una mano su una spalla.
«Non potrei essere più fiero dell'uomo che sei
diventato,
Damian».
Damian dovette mordersi il labbro
inferiore, ma
quelle parole l'avevano commosso. E, con gli occhi un po' lucidi,
dovette abbassare lo sguardo per poter incrociare quello del genitore,
essendo diventato più alto di lui. «Vuoi farmi
piangere il
giorno del mio matrimonio, padre?»
«Se possiamo, cerchiamo di
evitarlo. Non
vorrei che Jonathan si preoccupasse nel vederti con gli occhi
arrossati», replicò l'uomo, facendo ridacchiare
l'altro.
«Non sarebbe il solo.
È dalle sei di
questa mattina che Todd e Drake cercano di far star buono Richard.
È praticamente diventato il mio wedding planner».
Roteò gli occhi al pensiero, ma appariva divertito.
«Se
sapesse che mi hai fatto piangere, stavolta sarebbe lui a prenderti a
pugni», ghignò.
«Mphf»,
rimbeccò Bruce, dandogli
un'ultima pacca sulla spalla prima di afferrare lui stesso i gemelli
sul tavolino accanto allo specchio, porgendoli al figlio.
«Sarà meglio che tu finisca di
prepararti».
Ringraziando, Damian allungò
la mano per
prenderli e ripiegò il polsino destro all'indietro, tenendo
unite le due estremità per poter allineare i buchi e
appuntare
uno dei gemelli. Erano dei classici gemelli a catena, che raccordavano
i due lati rifiniti in oro e che, nella loro semplicità,
apparivano decisamente belli ed eleganti sul completo bianco che
indossava. Erano un regalo di Clark. Gli aveva detto, senza nascondere
la commozione nella sua voce, che erano appartenuti a suo padre e che
sarebbe stato fiero di vederli indossare da lui, e Damian ne era stato
contento.
Aveva conosciuto Jonathan Senior, era
stato un
brav'uomo, vecchia scuola, genuino proprio come sembrava esserlo.
Persino lui, di solito così composto, aveva pianto al suo
funerale. Quindi, quando quello stesso mattino gli erano stati
consegnati da Clark in persona, Damian aveva sorriso, veramente grato.
Sapeva che, come da tradizione, suo padre aveva fatto lo stesso con
Jon, ed era certo che Jon si fosse commosso all'inverosimile alla vista
dei gemelli che erano appartenuti addirittura a Thomas Wayne. E
ciò voleva significare molto. Così
finì di
sistemarsi quei gemelli e si rimirò allo specchio, e Bruce
osservò ogni suo movimento, dal modo in cui si stava
raddrizzando ancora un po' il cravattino al lieve tremolio delle sue
dita. Damian non tremava. Mai.
«Nervoso?» gli
chiese comprensivo, e Damian gli gettò un'occhiata tramite
lo specchio.
«Non vedo perché
dovrei»,
affermò il giovane nell'ostentare la sua solita sicurezza,
ma
vacillò un po'. Raschiò difatti i denti sul
labbro
inferiore, traendo un lungo sospiro. «Dannazione, sì»,
ammise, abbandonando le braccia lungo i fianchi. Se avesse continuato a
tormentarsi quel cravattino, suo padre avrebbe dovuto aggiustarglielo
da capo. «Ma è stupido, giusto? Insomma... io e
Jon ci
conosciamo da quasi tredici anni, abbiamo vissuto mille avventure,
abbiamo lottato fianco a fianco, abbiamo affrontato minacce
intergalattiche... non dovrei essere nervoso per una semplice
cerimonia».
«È del tutto
normale, Damian»,
provò a tranquillizzarlo Bruce. «È un
passo
importante nella tua vita, un cambiamento, ed essere nervosi ed emotivi
fa parte dell'essere umano. Ma oltre le responsabilità e gli
impegni che un matrimonio comporta, ricorda che affronterai tutto
insieme alla persona che ami. E le vostre famiglie vi supporteranno
sempre», soggiunse nel poggiargli nuovamente una mano sulla
spalla destra. «Jonathan è un bravo ragazzo.
Vedere il
modo in cui ha sempre creduto in te, standoti accanto nei momenti belli
e in quelli brutti, mi ha fatto capire che le mie paure erano
infondate. So che vi prenderete sempre cura l'uno dell'altro».
Damian scosse la testa, ma stava
sorridendo come non
mai. «Attento a quello che dici quando ci sono kryptoniani a
portata d'orecchio. Se Jon fosse qui, ti guadagneresti un abbraccio
alla Kent, padre».
«Dio voglia di no»,
replicò
immediatamente Bruce, ed entrambi si guardarono per un lungo momento,
silenziosi, prima di ridacchiare nello stesso istante. Era confortante
vedere il padre sotto una luce diversa, una luce che lo aveva fatto
uscire poco a poco da quell'oscurità che aveva sempre
avvolto
entrambi, in un modo o nell'altro. «Sono tutti in posizione,
ci
stanno aspettando», soggiunse poi nel portarsi due dita
all'orecchio destro, simbolo che gli era appena stato detto qualcosa
tramite il comunicatore da cui non si separava mai, prima di lanciare
una nuova occhiata a Damian. «Sei pronto?»
«No»,
esordì lui di rimando, per
quanto non avesse smesso per un momento di sorridere. «Ma non
vedo l'ora».
Bruce rise divertito e gli diede una
pacca su una
spalla, notando Damian sistemarsi la katana alla cintola prima di
attraversare con lui la soglia per richiudersi la porta alle spalle;
furono piuttosto silenziosi per tutto il tragitto lungo il corridoio e
fino alle grandi scalinate dell'atrio, finché non fu Bruce
stesso, una volta scesi gli ultimi gradini, a lanciare un rapido
sguardo al figlio mentre si incamminavano verso la cucina.
«Sei ancora sicuro di voler
tagliare la torta
con la spada di tuo nonno?» chiese incerto,
giacché non
gli era sfuggito il modo in cui Damian aveva poggiato una mano
sull'elsa di quell'arma, stringendola in parte. Per quanto Ra's facesse
parte del suo passato, un passato che preferiva dimenticare, quello che
aveva con sé era pur sempre un cimelio di famiglia. Difatti
Damian sospirò pesantemente, ricambiando il suo sguardo
prima di
attraversare l'enorme vetrata che dava in giardino.
«Padre... è
tradizione. E a mia madre
piacerebbe vedere che rispetterò almeno quella»,
gli disse
di rimando, gettandogli un'occhiata piuttosto eloquente. Era
già
stato fin troppo faticoso riuscire a farle promettere di comportarsi
bene, giacché non aveva voluto sentir ragioni e si era
praticamente invitata da sola. «Poteva andare
peggio».
«Tipo?»
«Avrebbe potuto portare
l'intera Lega»,
affermò Damian in tono lugubre, e per un lungo istate
entrambi
tacquero, limitandosi a fissarli. Fu Bruce a spezzare la tensione,
ridendo fragorosamente come non aveva mai fatto. Una risata contagiosa
che fece scoppiare a ridere Damian stesso.
«Sarebbe stato proprio da
lei».
Dopo essersi scambiati un'ultima
occhiata e un altro
rapido sorriso, attraversarono quegli addobbi floreali che si
estendevano davanti a loro e che creavano diverse fantasie
nell'intrecciarsi gli uni con gli altri, galleggiando nell'aria come se
fossero stati incantati; probabilmente c'era lo zampino di Zatanna e
Damian sorrise un po' al pensiero che tutta la Justice League si fosse
adoperata per il suo matrimonio, cosa che gli fece anche scaldare il
cuore. Sapeva che Arthur si era occupato del rinfresco e che Diana
aveva pensato alle fedi, che Clark aveva steso il tappeto bianco e che
J'onn aveva creato una cupola mentale per rendere la zona sicura per
qualunque evenienza, e tutte le decorazioni erano state appese a tempo
di record da Wally e Barry, i quali avevano corso da una parte
all'altra come delle schegge impazzite. E Damian era grato a tutti loro
per averci messo così tanta passione. Non sentiva davvero di
meritarselo.
Arrivò nell'enorme spiazzale
del giardino
addobbato a festa insieme a suo padre, trattenendo un po' il respiro
quando lo sguardo si posò sulla figura di Jon. Nervoso
quanto
lui e in piedi sotto l'arco di rose rigorosamente blu - Damian non
aveva voluto saperne di avere niente di diverso, essendo le rose
coltivate da Pennyworth -, si stava torcendo le mani e gettava sguardi
veloci agli invitati accomodati sulle poltroncine riposte ordinatamente
in fila sotto le fronde degli alberi, vedendoli chiacchierare tra loro
in attesa dell'inizio della cerimonia.
Seduti in prima fila, Drake e Todd
davano qualche
pacca sulla spalla a Grayson, che piagnucolava borbottando
chissà cosa con uno dei suoi soliti sorrisetti dipinti in
volto
mentre si soffiava il naso; al suo fianco c'era anche Barbara che
ridacchiava e gli carezzava la testa, ma persino Stephanie stava
tirando su col naso nell'asciugarsi le lacrime. Cassandra era quella
più composta, per quanto stesse sorridendo come Damian non
l'aveva mai vista sorridere. E poi c'erano Lois, Clark, Conner e Kara,
l'uno più felice e commosso dell'altro; Iris era impeccabile
nel
suo vestito mentre se ne stava seduta proprio tra Barry e Wally, a
braccetto con Linda e con i gemelli che chiacchieravano allegramente
con Colin e Kathy, la quale si era trascinata dietro anche Maya;
quest'ultima, cercando di non piangere, teneva lo sguardo basso e
borbottava chissà cosa, nonostante l'aria felice che aveva
dipinta sul suo volto.
Seppur in un angolo, quasi nascosta alla
vista,
c'era persino Talia, dietro la quale svettava anche la possente figura
di Goliath con le grosse ali spiegate e il muso affondato nelle piante.
Sua madre aveva indossato un caffettano marocchino verde tiffany che
modellava le forme sinuose del suo corpo, e sembrava brillare sotto i
tiepidi raggi del sole grazie alle rifiniture e il modo pregiato in cui
le lunghe maniche nascondevano in parte la cintura dorata.
Damian era contento che alla fine fosse
davvero
venuta, ma il suo sguardo si soffermò soprattutto su Jon,
poiché non l'aveva mai visto così: essendo una
cosa
praticamente in famiglia, aveva deciso di non indossare gli occhiali e
si era ravvivato i capelli all'indietro, con indosso un completo bianco
vagamente simile al suo; al collo portava una cravatta azzurra che
metteva ancora più in risalto i suoi occhi, luminosi come
non li
aveva mai visti. E quando Jon ricambiò il suo sguardo, il
sorriso che gli rivolse fu così radioso da far impallidire
il
sole.
«Va' a prenderlo,
ragazzo».
La pacca sulla spalla e il sussurro di
suo padre
all'orecchio lo riscossero dalla sua visione e quasi
arrossì,
sbottandogli contro qualcosa nel tentativo di ritrovare la sua
compostezza mentre seguiva con lo sguardo il genitore che si
allontanava, vedendolo sedersi accanto a Pennyworth e Selina; vide
quest'ultima trattenere una risata quando Bruce si accasciò
col
capo contro la sua spalla, e fu nel tenere quell'omone grande e grosso
a sé che la donna ricambiò lo sguardo di Damian,
sorridendogli raggiante.
Deglutendo, Damian si fece coraggio e si
incamminò su quel lungo tappeto bianco nell'esatto momento
in
cui le note della marcia nuziale riempirono l'aria intorno a loro,
sentendo il nervosismo tornare ad ogni passo che faceva per avvicinarsi
a Jon. La tradizione avrebbe richiesto dei testimoni o l'essere
accompagnati all'altare, ma avevano voluto fare entrambi di
testa
loro e lasicare che tutti si godessero la cerimonia in prima fila;
Diana aveva invece insistito col pensarci lei ad unirli in matrimonio,
e vederla fiera sotto l'arco floreale, nel suo bell'abito e con la sua
espressione austera ma felice, metteva a Damian un po' di soggezione.
Quando finalmente raggiunse Jon,
quest'ultimo gli
rivolse un sorriso ancor più luminoso di prima, sollevando
una
mano per sfiorargli uno zigomo e carezzargli poi un angolo dell'occhio
sinistro. Damian aveva contornato i suoi occhi con una sottile linea di
kajal, così fine che chiunque non possedesse una vista
microscopica non avrebbe potuto vederlo se non a minima distanza, e nel
vedere le labbra di Jon aprirsi per dire qulcosa, Damian lo
fulminò subito.
«...non dire
niente», lo mise in
guardia, ma Jon rise e abbassò un po' il viso verso di lui,
dovendolo raddrizzare imbarazzato quando qualcuno - Jason - gli fece
notare che non era ancora il momento di baciare lo sposo, rimediandoci
un sibilo scocciato da parte di Damian al quale non diede comunque
peso.
Riprendendosi, Jon sollevò un
angolo della
bocca in un nuovo sorriso. «Mi piace... mette in risalto i
tuoi
occhi», sussurrò, e a quel punto Damian distolse
lo
sguardo con un borbottio, come a voler nascondere il rossore che
sembrava essersi dipinto sulle sue guance già scure.
«Non ti ci
abituare», tagliò
corto, ed entrambi vennero poi richiamati all'attenzione da un piccolo
colpo di tosse di Diana, la quale sorrise prima di fare un breve cenno
col capo; in quello stesso istante arrivò Tito con gli
anelli, e
la scena quasi fece ridere Damian visto il modo in cui camminava fiero
con quegli anelli legati al grosso collare che indossava.
Fu Jon ad allungarsi verso di lui per
prendere
quelle fedi con mani tremanti, fluttuando ad un pelo da terra
per
quant'era eccitato; cercò di riprendere un certo contegno
nonostante avesse un sorriso da una parte all'altra del viso, e quando
anche Damian prese il suo anello e lo guardò dritto negli
occhi,
quasi tornò a galleggiare in aria. Deglutendo nervoso,
cercò di stabilizzare il battito del suo cuore, lo sguardo
chino
sul volto di Damian prima di cominciare a pronunciare i voti.
«La prima volta che ci siamo
incontrati, eri
un piccoletto irascibile e testardo che voleva sempre averla vinta. E
le cose non sono cambiate molto». La frase di Jon
provocò
un gran numero di risate nei presenti, e lui nascose un sorriso al modo
in cui Damian stava cercando di non prenderlo a calci proprio davanti a
tutti. «Ma ho capito che sotto quella scorza dura c'era
più di quanto volessi dare a vedere... e non avrei potuto
sperare in un amico, un partner e un compagno migliore».
Un coro di «Ohh»
parve innalzarsi dalla
fila di sedie, e Damian si sforzò davvero molto per non
voltarsi
a guardarli, forse un po' imbarazzato dalle parole di Jon.
«Sei
il solito sdolcinato», sussurrò ad una frequenza
così bassa che solo lui - e gli altri kryptoniani presenti -
avrebbe potuto sentirlo, prima che Jon gli afferrasse la mano e lui
ricambiasse la stretta. «Io ti avevo considerato una
minaccia...
adesso l'unica minaccia che rappresenti è quella di farmi
morire
di diabete».
«Ehi».
«Sta' zitto», lo
ammonì Damian,
sentendo le risatine dei loro invitati. «Quello che sto
cercando
di dire... è che sei la cosa migliore che mi sia capitata,
Jonathan», soggiunse nel fissarlo dritto negli occhi,
sentendo
distintamente Dick tirare su col naso e, al tempo stesso, Jon sorrise
come non mai.
«Chi è quello
sdolcinato, adesso?»
«Sta' zitto».
I cuori di entrambi battevano
all'impazzata per
l'agitazione e il nervosismo, e quando fu il momento dello scambio
degli anelli sentirono le labbra secche e furono costretti a deglutire
più e più volte; nonostante tutti i tipi di vista
che
possedeva, il modo in cui le mani di Jon tremarono per l'emozione non
gli consentirono di infilare subito la fede al dito di Damian, e lui
stesso, per quanto addestrato fosse e potesse essere capace di bucare
un occhio con uno spillo da chissà quale distanza, ebbe il
medesimo problema.
Si guardarono entrambi per un lungo
istante, e
quando Diana pronunciò il fatidico «Puoi baciare
lo
sposo» fu Jon stesso ad attirare a sé Damian prima
ancora
che lui potesse muoversi, unendo le loro labbra in un caldo bacio;
Damian insinuò le dita nei suoi capelli e glieli
scompigliò mentre si alzava sulle punte, e Jon gli cinse i
fianchi con un braccio, sollevandosi a qualche centimetro da terra
insieme a lui.
«Risparmia qualcosa per la
camera da letto,
spruzzetto di sole!» esclamò Jason con fare
divertito,
unendosi agli applausi che si innalzarono come una marea che li
investì appieno.
Damian e Jon, nonostante l'imbarazzo,
sembravano
così felici che Tim sorrise radioso per loro, alzandosi in
piedi
per applaudire insieme agli altri nel sentire Conner accostarsi a lui e
cingergli le spalle con un braccio, commosso quanto lui; Tim
sbuffò ilare, sorridendo qualche momento dopo.
«Non credevo che avrei mai
visto quel moccioso sposarsi».
«Quei due se lo
meritano». Conner
abbassò lo sguardo verso di lui, sfiorandogli la fronte con
la
sua. «Magari i prossimi saremo noi»,
scherzò, e Tim
rise prima di sollevare il capo verso di lui e unire le loro labbra in
un bacio nello stesso istante in cui, mentre Damian sguainava la spada
per poter tagliare la torta, Jon gli spalmava un po' di panna in
faccia, ridendo.
_Note inconcludenti dell'autrice
Siamo
giunti alla conclusione di questa piccola raccolta che ha seguito i
passi verso il matrimonio di Jon e Damian
Non è stato esattamente un percorso facile (sia per quanto
riguarda l'organizzazione, sia per le avventure che hanno vissuto prima
ancora di arrivare a questo punto), ma alla fine sono riusciti a
coronare il loro sogno e, anche se a modo loro, sono comunque riusciti
a sposarsi (e la storia è ciclica. Si apre con Jon e Clark e si chiude con Damian e Bruce. Padri e figli) .
Ovviamente non poteva mancare la nota finale in cui rendo palese la
TimKon e, chissà, magari un giorno uscirà fuori
una raccolta anche su quei due scemotti. Mai dire mai. Nel
frattempo, le avventure di Jon e Damian continuano sulle pagine della
raccolta Smile
in a cornfield ~ a flower that has the breath of a thousand sunsets
e sulla long fiction Swap
(bodies)
Commenti
e critiche, ovviamente, son sempre accetti
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