Seven Days

di Iam_Cactus
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Capitolo 0



 

 

Katsuki Bakugo odiava il puzzo di disinfettate che permeava ogni millimetro di quell’ospedale.

Ogni volta che si lasciava quel luogo alle spalle, poi gli rimaneva appiccicato alla divisa scolastica per giorni, costringendosi ad usare quella di ricambio e, se la puzza persisteva, si trovava addirittura costretto ad indossare quella invernale.

No, tra le tante cose che non riusciva a tollerare, quell’odore era in cima alla lista, ed Izuku Midoriya ne era perfettamente a conoscenza, per questo si limitava a sorridere ed ad apprezzare quei pochi minuti di visita che gli concedeva nel fine settimana.

 

26 Luglio


«Mi dimetteranno domani.»

La voce squillante del ragazzo sovrastò addirittura il canto delle cicale che proveniva dalla finestra, sapientemente aperta per cacciare via l’odore stantio che aveva preso di mira le narici del biondo, seduto scompostamente a braccia incrociate accanto al letto di Izuku.

Shoto Todoroki era in piedi al lato opposto, impeccabile nella sua divisa nonostante il caldo torrido, con l’orecchio proteso a catturare ogni singola parola del compagno di classe come se non esistesse suono più soave.                                                              Gli occhi bicolore gli accarezzavano la pelle lentigginosa, mentre lui continuava a parlare di quanto fortunata fosse quella coincidenza, dato che domani la sua fumetteria di fiducia avrebbe scaricato il primo volume di un fumetto che stava aspettando da mesi.

Poco importava quanto crescesse, Izuku rimaneva un completo idiota.

Non che Shoto fosse da meno: perché limitarsi a guardarlo con la bava alla bocca, anziché fare qualcosa?

Katsuki arricciò il naso, stanco di essere l’unico a notare tanta ovvietà ed a dover anche stare zitto, o sarebbe apparso come il solito stronzo che si sentiva al di sopra di chiunque solo perché leggermente più sveglio.

O così gli avrebbe detto quella “faccia tonda” di Uraraka.

E sapeva che glielo avrebbe detto, considerato il rapporto che aveva con Midoriya.

Lo sguardo cadde istintivamente sull’orologio che aveva al polso.

Mancava poco al termine dell’orario delle visite, ed erano ben cinque minuti che se ne stava seduto ad ascoltare i loro discorsi inutili e superflui.

Inoltre, non voleva correre il rischio di dover fare la strada del ritorno con quell’idiota metà e metà –sapeva che lo avrebbe messo in difficoltà coi suoi discorsi asettici, e non ne aveva la minima voglia.

Si alzò in piedi ed afferrò la borsa, sistemandosela su una spalla, catturando l’attenzione dei due.

«Torni a casa, Kacchan?»

«Si, ci si vede.»

«Grazie ancora per oggi, mi fanno sempre piacere le tue visite.»

Gli sorrise Izuku, guadagnandosi un grugnito come saluto, per poi varcare la soglia della porta ignorando totalmente qualsiasi cosa avesse detto Todoroki subito dopo.

Percorse in fretta il corridoio e, arrivato all’ascensore, il cui piccolo schermo sovrastante ne avvisava la discesa al proprio piano, iniziò a premere forsennatamente il pulsante –come se questo avrebbe potuto velocizzare le cose.

Nemmeno si accorse delle occhiatacce lanciate dagli infermieri alle proprie spalle.

Un suono metallico lo avvisò dell’arrivo e, non appena le porte gli si aprirono davanti, entrò in fretta, ignorando la persona che vi era già al suo interno, ed allungò una mano per…

«Bakugo!»

La voce di Shoto lo raggiunse con snervante tempismo, facendogli ringhiare un “merda” decisamente annoiato.

«Potremmo tornare…»

Tuttavia non ebbe modo di terminare la frase perché le porte si chiusero prima di permetterglielo.

Rimase intontito per qualche secondo, prima di spostare lo sguardo sulla mano che aveva premuto sul tasto per anticipare la chiusura della porte.

«Ora mi devi un favore.»

Lo sorprese la voce, appartenente ad un ragazzo che indossava la sua stessa divisa scolastica.

Aveva un’aria familiare, ma non aveva la più pallida idea di chi diamine fosse, ma di una cosa era certo: aveva dei capelli di merda.

Lo vide inarcare un sopracciglio, ed il sorriso ingenuo vacillò.

«Stavo.. Stavo scherzando, non immaginavo che la cosa ti avrebbe dato tanto fastidio.»

Poco importava, non era importante capire chi era.

Le porta dell’ascensore si aprirono, ed il biondo uscì in fretta, sperando che Todoroki non avesse la straordinaria capacità di farsi quattro piani a piedi in meno di tre minuti.

Ovviamente le disgrazie non capitano mai da sole, e se era fortunatamente riuscito a cavarsela col “bastardo metà e metà”,  mister “capelli di merda” aveva deciso di appiccicarglisi al culo e non dargli pace.

«Hey, Bakugo! Aspetta!»

Magnifico, conosceva anche il suo nome.

In una manciata di secondi fu al suo fianco.

«Potresti almeno ringraziarmi.»

«Hai premuto un bottone, avrei potuto farlo anche io.»

Sbuffò irritato.

«Ma non lo hai fatto.»

«Si può sapere che diamine vuoi? Sei una specie di stalker?»

«Uno stal..? Cosa?! No! Faccio sempre questa strada per tornare a casa, lo sai.»

Katsuki corrugò la fronte, dubbioso. Lo sapeva?

«Non sai chi sono, vero?»

Ridacchiò, passandosi una mano sulla nuca ed arrossendo appena per l’imbarazzo.

«Andiamo entrambi alla U.A., mi chiamo Eijiro Kirishima. Sono letteralmente ad un paio di banchi da te.»

«E perché proprio oggi hai deciso di rompermi le palle?»

Eijiro sobbalzò a quelle parole e si ritrovò a distogliere lo sguardo dal biondo, nel tentativo di scegliere accuratamente le parole da utilizzare per non farlo innervosire.

«Bhe, eri in ospedale.»

«Si, anche tu.»

Il silenzio che ne seguì gli fece intuire che dare spiegazioni, in quel caso, non sarebbe stata una cattiva idea.

Almeno avrebbe evitato probabili pettegolezzi fondati sul nulla.

«Un mio compagno di classe si è fatto male, sono venuto a trovarlo.»

«Oh, mi dispiace, spero non sia nulla di grave.»

«Si è solo rotto una gamba.»

Eijiro sbatté le palpebre, confuso: solo?

Il sorriso tornò ad illuminargli il viso, ricordando il modo in cui Bakugo affrontasse ogni singola situazione, e dubitava che il suo approccio scolastico fosse tanto diverso da quello di tutti i giorni.

Lo ammirava, senza dubbio, forse un po’ influenzato da come ne parlava Izuku.

Probabilmente  per questo non era sorpreso dal fatto che non si ricordasse di lui, nonostante fino a poco fa fossero nella stessa classe, ad affrontare il medesimo compito di aritmetica di fine anno.

Forse era la persona giusta a cui dirglielo.

«Non mi chiedi per quale motivo fossi lì?»

«Non mi interessa.»

«Già, lo immaginavo. Ma ciò non toglie che ti ho salvato e che mi devi un favore.»

Per la prima volta da quando erano usciti dall’ospedale i loro sguardi si incrociarono, e gli occhi di Katsuki esprimevano tutta l’irritazione che, probabilmente, aveva trattenuto da quando gli aveva rivolto la parola.

«Hai detto che stavi scherzando.»

«Ho cambiato idea.»

Il biondo si fermò, indicando un viale che portava ad una piccola casa.

«Io sono arrivato, stammi bene…»

«Eijiro Kirishima.»

Lo aiutò l’altro, venendo in aiuto del suo annoiato tentativo, privo di motivazione, di ricordare il suo nome.

«Quindi abiti qui. Bene, domani passo a prenderti, andiamo al mare.»

«Assolutamente no.»

Asserì secco, dirigendosi verso la porta.

«Mi devi un favore, e sarebbe un peccato se tu mi deludessi. Potrebbe pesarti sulla coscienza per tutta la vita.»

«Devi essere parecchio sicuro di te se lo credi sul serio.»

La mano del rosso si poggiò sulla spalla di Katsuki, costringendolo a voltarsi quel minimo che bastava a guardarlo sul viso. Il sorriso era sempre lì, ma c’era qualcosa di incomprensibile che brillava negli occhi scarlatti, rendendoli paradossalmente spenti.

«Potrei morire presto.»

Bakugo rimase immobile, congelato dalle parole del ragazzo.

«Se è uno scherzo…»

«Non lo è. Passo a prenderti domani, allora.»

Il contatto tra loro terminò all’improvviso, esattamente come era iniziato, e quando il rosso non fu più nello sguardo di Katsuki, questi si chiese se avesse realmente vissuto i momenti di poco prima.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

Primo giorno

 



 

 

Bakugo era già sveglio quando il cellulare iniziò a squillare, avvertendolo che era ora di abbandonare il letto.

Allungò una mano a disattivare il suono che quella mattina gli sembrava assordante, rigirandosi sul fianco per non dover affrontare la luce di un nuovo giorno.

Quel nuovo giorno.

L’avvenimento di ieri gli si era presentato più volte durante la notte, impedendogli di dormire le sue sacrosante otto ore.

Non sapeva cosa fare, si sentiva combattuto per la prima volta in vita sua.

Aveva sempre avuto le idee chiare, fin da bambino aveva scelto la strada da perseguire e non si sarebbe lasciato corrompere da nulla e nessuno.

Eppure quel ragazzo dagli sgargianti capelli rossi lo aveva reso stranamente nervoso.

Come avrebbe dovuto comportarsi?

Assecondare la sua scelta e perire sotto il volere di uno qualsiasi solo per… pietà?

Ma non ricordava neppure il suo nome, per non parlare del fatto che lì per lì non lo aveva minimamente riconosciuto come un compagno di classe, se non fosse stato per la divisa.

Eijiro era stato un fantasma per lui durante tutto il primo semestre alla U.A.

«Katsuki, è ora di svegliarti!»

La voce di sua madre gli ricordò che non poteva sottrarsi alla colazione e, seppur di malavoglia, si alzò dal letto e si diresse verso la porta.

Il profumo lo attirava verso la cucina, da cui proveniva un parlottare indistinto ed apparentemente allegro, il ché era decisamente fuori dalla norma, visto che suo padre era solito essere già a lavoro, a quell’ora.

Non appena varcò la soglia, tutto gli fu più chiaro.

Il suo sguardo venne catturato dal motivo per cui aveva perso le sue preziose ore di sonno.

«Oh, buongiorno Bakugo.»

«Ma che caz-.»

Mitsuki zittì il figlio con un’unica occhiata feroce.

«Il tuo amico ti stava aspettando, possibile che non sei mai in orario?»

Eijiro abbassò lo sguardo sulle uova, addentandone una mentre tentava di trattenere una risata –e per evitare l’occhiataccia che il biondo gli stava sicuramente riservando.

«Allora, Kirishima, dove andrete oggi?»

«Al mare. Bakugo è stato l’unico ad accettare la mia proposta.»

Rispose il ragazzo, afferrando il toast per morderne metà in un sol boccone.

«Perché mi hai obbligato.»

Sbuffò l’altro, iniziando a mangiare con una certa stizza per la piega che la situazione stava prendendo. Se sua madre lo avesse preso in simpatia, poteva dire addio a delle vacanze estive tranquille in compagnia dei suoi amici.

In risposta a tale punzecchiatura, Kirishima gli mostrò un sorrisetto furbo e gli mise nel piatto un abbondante pezzo di salmone al vapore, più della metà, tornando poi a sbocconcellare il proprio.

«Sarà una giornata lunga, ti voglio in forze.»

Mitsuki posò sulla tavola due bicchieri colmi di spremuta d’arance.

«Starete fuori tutto il giorno, giusto? Per il pranzo?»

Il volto del rosso si illuminò.

«Ho pensato a tutto io, non deve minimamente preoccuparsi Signora.»

 

27 Luglio

 

Il profumo del mare si infrangeva sui visi dei due giovani, ripagandoli dell’ora passata in quel forno a ruote che i poveri e sudaticci cittadini che ci salivano si azzardavano a chiamare “autobus”.

Eijiro si tolse in fretta e furia le scarpe non appena messo piede sulla sabbia, zampettandoci goffamente sopra perché troppo calda.

«Rimettiti le scarpe, idiota.»

Lo rimproverò Katsuki passandogli pigramente accanto.

Se proprio doveva passare la giornata con lui almeno voleva prendere posto il più vicino possibile al mare, e magari passare il proprio tempo ad ignorarlo totalmente come meglio gli riusciva.

D’altronde era come avere a che fare con un bambino, non poteva essere così difficile.

«Bakugo, guarda! Il mare!»

Appunto.

«Si, ci vedo, non c’è bisogno che me lo fai notare.»

Commentò in un ringhio irritato il biondo, gettando sulla sabbia lo zaino in cui aveva sistemato le poche cose che reputava essenziali per quel giorno, per poi sfilarsi le infradito ed affondare le dita dei piedi nella sabbia bollente.

Non lo avrebbe mai ammesso all’altro, ma era incredibilmente piacevole.

«E non ti viene voglia di buttarti immediatamente?»

«Ma che hai? Cinque an-?»

Non fece nemmeno in tempo a terminare la frase che si sentì afferrare il polso e trascinare in acqua –e non sarebbe successo se non fosse stato colto di sorpresa, questo è obbligatorio sottolinearlo.

Il polso gli venne restituito solo quando l’acqua li bagnava fino alla vita, ed allora Eijiro si tuffò, riemergendo poco dopo con un sorriso a trentadue denti che contrastava nettamente con l’espressione truce del biondo.

«Non potevi aspettare che rimanessi in costume?»

E non avrebbe mai creduto che qualcos’ altro potesse irritarlo di più fin quando la risata cristallina del rosso non gli giunse alle orecchie, sovrastando addirittura il caos attorno a loro.

«Io torno a riva.»

«Non immaginavo fossi così noioso.»

Lo seguì l’altro, nuotando lentamente al suo fianco.

«E cosa immaginavi? Che avrei assecondato ogni tuo desiderio solo per quello che mi hai detto ieri?»

Eijiro si zittì a quelle parole, rimanendo immerso vicino alla riva anche dopo che Katsuki fu uscito dall’acqua per estrarre l’asciugamano e distenderci sopra la maglietta, in modo da farla asciugare.

Volle considerarla una vittoria, nonostante riuscisse a percepire nettamente i suoi occhi accarezzargli insistentemente la schiena.

Non sapeva per quale motivo, ma questa consapevolezza lo metteva talmente a disagio da non riuscire a gustarsi la vittoria personale di poco prima –zittirlo aveva il sapore sublime del ramen piccante che Mitsuki preparava appositamente per lui la domenica, e maledizione se era frustrante non poterne godere appieno a causa sua.

«Non ho mai pensato di poterti far pena, per questo ho chiesto a te di accompagnarmi qui.»

Bakugo nascose un singulto di sorpresa: non lo aveva minimamente sentito avvicinarglisi tanto.

Quando si volse lo vide in piedi accanto a sé, intento a liberarsi dalla maglietta fradicia. Le ciocche rosse non erano più in contrasto con la forza di gravità, ma aderivano al collo ed alla fronte, rendendolo quasi più adulto.

«So che se lo dicessi agli altri verrei trattato diversamente, quando tutto quello che voglio è passare questa estate come farebbe qualsiasi ragazzo della mia età.»

Estrasse anche il proprio asciugamano dallo zaino e lo distese accanto a quello dell’altro, sedendosi ed arrotolando la maglietta in modo che gran parte dell’acqua gocciolasse sui propri piedi.

«Ti chiedo solo questo, in cambio.»

Gli sorrise, lasciando intravedere una malinconia che costrinse Bakugo ad abbassare lo sguardo.

«Ancora questa storia. Non mi hai salvato.»

Sbuffò, distendendosi.

Poi accadde qualcosa a cui lui stesso stentava a credere: non si arrabbiò con Eijiro per averlo messo spalle al muro, anzi.

Portò un braccio a riparare gli occhi dal sole e si umettò le labbra.

«Devi dirmi cos’hai, se vuoi che ricambi il favore non puoi tenermi all’oscuro.»

Lo sentì distendersi a sua volta, e poté percepire l’esitazione che seguì il silenzio.

Aveva paura che potesse cambiare qualcosa, ma arrivati a quel punto non poteva sottrarsi. Bakugo aveva accettato, glielo stava dimostrando in un modo tutto suo, presumeva, e mostrargli piena fiducia era il minimo che potesse fare.

«Insufficienza cardiaca.»

Il biondo liberò gli occhi dall’ombra e si concesse un’occhiata incuriosita verso il ragazzo accanto a sé, che ricambiò accennando un sorriso.

«Quando lo hai saputo?»

«Tre mesi fa. Durante le lezioni di ginnastica mi sentivo più affaticato del solito, ma non gli ho dato peso finché un pomeriggio non sono svenuto aiutando mio padre a caricare in auto degli scatoloni con gli abiti da donare in beneficenza. I medici dicono che le uniche soluzioni sono un trapianto di cuore o…»

Lasciò la frase in sospeso, sperando che Katsuki intuisse.

E lo fece, d’altronde era un ragazzo sveglio ed intelligente, e mai come allora lo rimpianse.

O aspettare che il cuore smettesse di funzionare.

Kirishima si girò sul fianco ed allungò una mano col mignolo alzato verso il coetaneo.

«Promettimi che non lo dirai a nessuno.»

«Allora hai davvero cinque anni.»

«Promettimelo.»

Questi alzò gli occhi al cielo e portò il proprio mignolo a legarsi a quello dell’altro, suggellando quella promessa come non faceva da anni.

Prima che riuscisse a trattenersi, fu il suo turno di sorridere per la prima volta da quando si erano incontrati, ritrovando in quel gesto la spensieratezza di tempi andati, quando il suo futuro aveva si un percorso prestabilito, ma non era colmo di dubbi che spesso lo facevano tentennare –ma solo qualche secondo.

Nemmeno Izuku avrebbe mai compreso le ombre di quell’ amico che conosceva da sempre.

«Non credo di averti mai visto sorridere.»

La voce del rosso lo ridestò, riportandolo alla realtà.

Assieme alla solita espressione corrucciata.

«Non farti strane idee, mi fanno solo divertire i tuoi modi di fare da moccioso.»

«Hey, Bakugo.»

«Che altro c’è?»

«Andiamo a farci un altro bagno?»

«Hai bisogno dell’accompagno?»

«Avaaaaanti!»

Di una cosa era certo, se Eijiro non avesse smesso di tirarlo per i polsi per trascinarlo ovunque volesse, presto lo avrebbe preso a calci.

༺❀༻

 

Alle sei passate le ultime combriccole di ragazzi si incamminavano verso casa, mentre Katsuki fissava a braccia incrociate la figura del compagno di classe disteso al suo fianco, col fiato corto di chi aveva appena affrontato le olimpiadi di nuoto.

Kirishima aveva gli occhi chiusi ed il sole gli stava asciugando di dosso le ultime gocce d’acqua salata. Sembrava distrutto nonostante avesse nuotato per appena cinque  minuti, tentando in tutti i modi di far tornare il proprio battito cardiaco al ritmo che aveva solitamente a riposo.

Se tre mesi prima qualcuno gli avesse detto quanto il suo corpo sarebbe cambiato in un lasso così breve di tempo gli avrebbe sicuramente riso in faccia, vantandosi del fatto che era stato rinominato “l’indistruttibile” dai suoi amici proprio per l’instancabile vena atletica che lo aveva sempre caratterizzato.

«Dobbiamo andare, si sta facendo tardi.»

La voce del biondo lo costrinse ad aprire gli occhi, pronto a sorridergli nella speranza che non si stesse preoccupando.

Tuttavia, tutto ciò che vide furono le sue spalle, già coperte dalla maglietta, ricurve mentre piegava l’asciugamano per poterlo mettere nello zaino.

«Se hai fame c’è metà del panino che non hai finito a pranzo.»

«Oh, non ne ho, grazie. Ma se ti è piaciuto puoi mangiarlo tu, mancano ancora due ore alla cena.»

Ribatté senza pensare, issandosi con non poca fatica.

Sentiva ogni muscolo dolere come se avesse passato l’intera giornata a spostare pesanti sacchi, anziché a stuzzicare il biondo per divertimento, persino indossare la maglietta gli costò fatica, appannandogli per un secondo la vista a causa dello sforzo.

«Maledizione, spostati! All’asciugamano ci penso io, o ti ritroverai qui a dover mangiare quel panino per colazione.»

Sbottò d’improvviso Bakugo, afferrando il ragazzo per le ascelle, come si fa coi poppanti, per poterlo spostare e ripetere i gesti di poco prima.

Eijiro lo fissò fin quando tutto non fu sistemato, sentendo sullo stomaco la morsa del rimorso per non essergli stato minimamente d’aiuto, per poi seguirlo con lo sguardo mentre gli si inginocchiava davanti, dandogli le spalle.

«Avanti, sali.»

Lo incitò il biondo in tono affatto gentile.

«Cosa?»

«Non ho intenzione di perdere l’autobus a causa della tua lentezza, quindi ti porterò in spalla.»

«N-non c’è bisogno, davvero, che razza di uomo sarei se mi lasciassi-.»

«Non era un invito, o fai come ti dico o ti lascio indietro.»

Non aveva altra scelta, era ovvio.

Si sporse in avanti e, facendo perno coi palmi sulle spalle altrui, lasciò cadere ciondoloni le gambe sui suoi fianchi, afferrando lo zaino che gli stava passando –che, sapientemente, conteneva anche quello di Kirishima.

E poco importava quanto poco maschile potesse essere lasciarsi trasportare in quel modo, o quanto irritante fosse trovare piacevole il contatto col suo petto contro la propria schiena, in quel momento nella mente di entrambi c’era un unico pensiero a farsi spazio nella mente.

Non era stata affatto male quella giornata insieme.




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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

Secondo giorno

 



 

 

La luce del sole mattutino strappò Eijiro dall’abbraccio di Morfeo, catapultandolo in una realtà sconosciuta.

Gli ci volle qualche secondo prima di comprendere che quella stanza non fosse la propria, e ripercorrere ogni singolo avvenimento del giorno prima si rivelò decisamente più imbarazzante del previsto. Non solo si era lasciato trasportare per tutto il tragitto come un peso morto, ma si era anche addormentato sull’autobus del ritorno e, a rigor di logica, quella stanza era di Katsuki.

Si rigirò sul futon alla sua ricerca, ritrovandoselo a pochi centimetri dal viso, ancora addormentato.

Riuscì miracolosamente a trattenere un sussulto di sorpresa, incapace di credere alla veridicità di quel momento.

Bakugo Katsuki era disteso al proprio fianco, sopito in un sogno probabilmente sereno, data l’espressione stranamente pacata che aveva dipinta sul viso.             Stentava quasi a riconoscerlo, abituato com’era a vederlo perennemente sul punto di fare a botte con chiunque si azzardasse ad invadere il suo spazio personale.

Kirishima si concesse il lusso di imprimersi nei ricordi quell’immagine di cui solo lui poteva godere, egoisticamente come non aveva mai fatto, trovandolo meraviglioso, e mai come in quel momento desiderò vederlo dormire ancora.

«Smettila di fissarmi, sembri un pervertito.»

Un leggero gridolino sgorgò dalla gola del rosso, il volto paonazzo per essere stato colto in fragrante.

«Da quanto sei sveglio?»

Gli occhi cremisi di Bakugo si rispecchiarono in quelli altrui, ed uno strano nodo gli strinse la bocca dello stomaco.

«Da parecchio, dormi troppo, ecco perché hai sempre quella faccia da idiota beato. Andiamo, ho preparato la colazione.»


28 Luglio


A differenza del giorno prima, quella mattina nuvole plumbee cariche di pioggia sostavano nel cielo minacciando un temporale estivo.

Kirishima le osservava con sguardo sconsolato, sbocconcellando il riso senza alcun appetito, sotto le occhiatacce indispettite del biondo che, vedendo il cibo toccato a malapena, sbottò acido:

«Se non ti piace basta dirlo.»

«Uh? Oh, scusami. Stavo pensando che con questo tempo è impossibile divertirsi. Sembra che questo giorno andrà sprecato.»

«E per quale motivo?»

«Bhe.. mi sembra ovvio, non si può uscire.»

Katsuki lo fissò di sottecchi per qualche istante, cercando in ogni modo di farsi scivolare addosso quello sguardo privo dell’entusiasmo che lo illuminava ieri.            Era frustrante ammetterlo, ma vedere il volto del rosso privo di allegria sembrava quasi alieno, soprattutto per qualcosa di così stupido.

«Non c’è bisogno di uscire per divertirti.»

Proruppe d’improvviso, il tono rauco e serioso attirò l’attenzione dell’ospite.

«E cosa fai quando sei costretto in casa?»

«Ci sono molti giochi che si possono fare anche qui, o puoi fare.. che cazzo ne so, una maratona di una serie.»

Lo sguardo intorpidito dal sonno terminato poco prima tornò a splendere, ed il biondo sentì qualcosa di simile ad un mezzo sorriso distendergli istintivamente le labbra, come se avesse appena vinto il premio più ambito e non volesse lasciar trapelare la contentezza.

«Hai ragione, facciamo la maratona di una serie!»

Facciamo?

«Non ti ho invitato a restare.»

«Allora vieni da me.»

Bakugo bevve un sorso di spremuta.

«Kirishima, non credi sia il caso di stare un po’ con la tua famiglia?»

Gli occhi di Eijiro cambiarono nuovamente, e Katsuki iniziava ad odiare il modo in cui riuscisse a percepire senza alcuno sforzo le sfaccettature di quel ragazzo, pagandone conseguenze frustranti che mai avrebbe lasciato intravedere.

«Non sei affatto come tutti credono.»

«Perché, cosa credono? E chi sarebbero questi “tutti”?»

Chiese il biondo, infastidito, ma la rabbia iniziale mutò in un imbarazzo scomposto ed iroso quando il ragazzo seduto di fronte a sé si protese in avanti per stringere tra le proprie mani la sua.

«Vieni a casa mia, faremo la maratona di qualsiasi serie tu voglia. Lo so che dovrei passare più tempo con la mia famiglia, ma vedere mia madre sull’orlo delle lacrime ogni volta che mi guarda mi fa sentire così.. impotente.»

Il tono di Kirishima vacillò, e si costrinse ad abbassare lo sguardo quando le lacrime sfumarono il volto dell’altro.

«Mio padre non lo lascia a vedere, ma la notte lo sento pregare di prendere lui anziché me. So che quello che sto facendo è egoista e disgustoso, ma se davvero il tempo che mi rimane su questa terra potrebbe finire da un momento all’altro, io non voglio passarlo a chiedermi quando il mio cuore smetterà di battere.»

Una mano gentile, che stentava a credere fosse quella di Bakugo, gli si posò sui capelli.

«Solo se finisci la colazione.»

༺❀༻

 

La casa in cui Eijiro era cresciuto seguiva perfettamente le guide delle antiche dimore nipponiche, le porte spalancate del salotto gli davano la piena visuale del curato giardino, ora accarezzato dalla pioggia di quel giorno.

Il ticchettìo sordo dell’acqua che si scontrava sul terreno e sui petali delicati cullavano l’udito di Katsuki a tal punto da rendergli faticoso tenere gli occhi aperti.

«Hai avvisato i tuoi genitori?»

La voce possente di un uomo lo risvegliò dal tepore in cui si stava lasciando sprofondare.

Il padre di Kirishima –una montagna umana dall’aspetto addirittura più minaccioso di Mitsuki- poggiò sul basso tavolino una breve pila di vecchi DVD, mostrandogli un sorriso gentile e timido, molto diverso da quello del figlio.

«Si, per loro non è un problema dato che lavorano tutto il giorno.»

Lo guardò annuire, abbassando poi lo sguardo e schiarendosi la voce.

«So che Eijiro ti ha detto della sua malattia, e vorrei ringraziarti.»

«Di cosa?»

«Di rimanere un suo amico. Soffrire è terrificante, soprattutto quando il dolore è causato dalla consapevolezza di non poter vedere più quella persona.»

Katsuki distolse lo sguardo, tornando ad osservare l’esterno.

Contrariamente a quanto si sarebbe aspettato, non si sentiva a disagio, ed era certo che fosse tutto merito del modo in cui i suoi genitori lo avevano introdotto ad un argomento tanto delicato come la morte.

«Quando mia nonna morì avevo sette anni. Per quel che ricordo, mio padre non pianse, e quando gli chiesi il motivo lui mi prese in braccio e mi indicò tutte le persone presenti al funerale, poi mi disse che una vita vissuta circondati da tanto amore non può che essere una vita piena e meravigliosa, ed era felice di sapere che la nonna aveva avuto la fortuna di viverla.»

Benjiro Kirishima sorrise, ingoiando le lacrime che rischiavano di sgorgare un momento all’altro.

«Sono davvero felice che tu e mio figlio siate amici, sei davvero un bravo ragazzo.»

Dal corridoio giunsero due voci distinte che ridacchiavano con la più dolce delle complicità.

Una donna piccola e minuta, seguita da Eijiro, fece capolino nella stanza, gli occhi di pece erano leggermente gonfi ed arrossati, e portò un dito affusolato a raccogliere una lacrima.

«Scusa se ti abbiamo fatto aspettare, ma Eiji-chan voleva a tutti i costi attaccare un nostro lenzuolo bianco al muro.»

Sorrise, affiancando il marito, che gli cinse la vita con un braccio.

Sembrava ancora più piccola e fragile, ora, ed il dolore che stentava a celare coperto dall’abbraccio di un amore tanto forte da essere incomprensibile agli occhi del biondo –e non perché i suoi genitori non si amassero, anzi, ma davanti al figlio Mitsuki si lasciava difficilmente andare- parve annichilirsi per un istante.

«Non c’è problema, grazie a voi dell’ospitalità.»

«Non devi ringraziarci, se non fosse stato per te Benjiro sarebbe impazzito ieri. Se non avessi chiamato tu, a quest’ora avrebbe mobilitato tutto il quartiere alla ricerca del nostro bambino»

L’uomo ridacchiò, indicando il figlio.

«Nessuno riesce a trattenerlo, e come biasimarlo. Sai, quando ero giovane…»

Eijiro intervenne subito, afferrando il compagno di classe per il polso –di nuovo- prima che suo padre potesse iniziare uno dei suoi interminabili racconti colmi di rigiri di cui, poi, dimenticava il finale.

«Scusa papà, ma il giorno è breve ed i film sono tanti, ci trovate in camera.»

Afferrò in fretta e furia i DVD e corse nella propria camera, trascinandosi dietro il ragazzo che gli sbraitava contro insulti di cui ignorava addirittura l’esistenza, ma in tono decisamente meno alto del normale.

«Che diamine fai? Non avevi intenzione di passare del tempo con loro?»

«Sono a casa, ceneremo con loro ed hanno conosciuto un mio amico, è più di quanto credi.»

Gli sorrise il rosso, posizionando un vecchio proiettore dalla scrivania al pavimento, di modo che puntasse verso il telo bianco appeso alla parete.

«E poi ho chiesto a mia madre come si usa questo, ne è stata felicissima.»

«Per quel coso polveroso? E perché mai?»

«Era suo, lo comprò per il terzo appuntamento con papà. Si sono scambiati il primo bacio sotto gli spari di Terminator, non è romantico e virile?»

Bakugo inarcò un sopracciglio con fare scettico, osservando i movimenti sapienti del ragazzo mentre armeggiava col primo DVD da inserire, per poi sedersi al suo fianco, incredibilmente vicino.

Non gli diede alcun fastidio, anzi, e relegò la cosa come un’abitudine: gli aveva pur sempre ceduto metà del suo letto, non avrebbe avuto senso fare l’acido in quel momento.

E poi…

Senza rendersene conto, aveva iniziato ad osservare i tratti morbidi e dolci di Eijiro, accarezzati ed adombrati dalle luci del film appena iniziato.

Le ciocche rosse erano ancora basse, ma scostate da una fascia bianca che impediva loro di non importunare la curiosità di quegli occhi docili ed accoglienti.

D’un tratto quegli stessi occhi furono puntati in quelli del biondo, facendogli notare quella lontana luce di consapevolezza, la stessa che gli era scivolata sul viso sottoforma di lacrime quella mattina.

«Bakugo, c’è una cosa che ti volevo chiedere, da stamattina.»

Il tono di Kirishima era più basso del solito, quasi sottomesso ad un imbarazzo che gli colorava le guance.

«E per quale motivo hai aspettato tanto?»

«Uhm, non mi sembrava il momento opportuno, ecco.»

«Muoviti allora, o non riesco a seguire il film.»

Il rosso si umettò le labbra, decidendo di sorvolare sul fatto che, da quando le immagini avevano iniziato a scorrere sul telo, si era sentito i suoi occhi puntati addosso.

«Questa mattina hai detto di esserti svegliato prima di me, giusto?»

«Esatto, Einstein, ho anche avuto il tempo di preparare la colazione per entrambi.»

«Allora per quale motivo eri accanto a me quando mi sono svegliato?»

Katsuki sussultò visibilmente a quella domanda, diventando paonazzo ed indietreggiando quando il viso del coetaneo si fece pericolosamente vicino al proprio.

«Non è che…»

«Chiudi il becco. Qualsiasi cosa tu stia per dire, non dirla!»

Esclamò il biondo, furente per un motivo che gli era sconosciuto, alzando un braccio come a volersi coprire da un imminente pugno.

Era solo Kirishima.

Lo stesso Kirishima che quella mattina gli dormiva accanto, che sembrava totalmente beato e sano.

Lo stesso Kirishima che il giorno prima non aveva fatto altro che sorridere per tutto il pomeriggio, per poi spegnersi tra le braccia dell’unica persona che gli stava dando il rispetto e l’egualità che altri non sarebbero riusciti a dargli.

Era solo lui, non era cambiato nulla, non lo aveva notato per un anno, ed in due giorni sembrava non aver mai indossato alcuna maschera con lui, mostrandogli una limpidezza che mai avrebbe creduto possibile in una persona che si conosce appena.

«Scusami.»

Quella parola gli giunse come un soffio.

Si scoprì il volto ancora arrossato, ritrovando il sorriso comprensivo del ragazzo davanti a sé, tanto vicino da poterlo sentire respirare.                                                               Le braccia di Eijiro gli cinsero il collo senza alcuna fretta, dandogli tutto il tempo di rifiutarlo nel caso in cui quel contatto gli fosse sembrato totalmente inappropriato, ma tutto quel che fece il biondo fu lasciarlo fare, ancora scosso per i pensieri che si erano susseguiti uno dopo l’altro in un turbinio caotico.

«Di che diamine ti scusi?»

Riuscì a ringhiare, lasciandosi stringere in quello strano abbraccio fuori contesto.

Gli parve quasi di sentirlo urlare, quel cuore malato, sbattendo forsennatamente contro la propria cassa toracica alla ricerca di un appiglio.

«Scusami, Bakugo.»

 

 

 

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