Confessioni di una mente pericolosa di shilyss (/viewuser.php?uid=21848)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio ***
Capitolo 2: *** Giovani principi ***
Capitolo 3: *** Si apre la caccia ***
Capitolo 4: *** In fondo alla prigione ***
Capitolo 5: *** Amici di penna? ***
Capitolo 6: *** In mancanza d'aria ***
Capitolo 7: *** Primi passi ***
Capitolo 8: *** Nessuna coincidenza ***
Capitolo 9: *** Strane trappole ***
Capitolo 10: *** Doveri ***
Capitolo 11: *** Concessioni ***
Capitolo 12: *** Invenzioni e nascondigli ***
Capitolo 13: *** Giù le carte ***
Capitolo 14: *** Precipitando ***
Capitolo 1 *** L'inizio ***
PROLOGO
Il fortuito ritrovamento del carteggio di Loki Laufeyson è certamente da intendersi come una scoperta davvero eccezionale, di cui tutta Asgard beneficerà negli anni futuri. Come ragiona una mente acuta e lucida anche nella prigionia come quella del dio degli inganni? Quali processi mentali è in grado di sviluppare, come si creano le connessioni brillanti che tanti danni e altrettanti trionfi hanno portato alla nostra Asgard?
Purtroppo, come molto spesso avviene per le opere del passato, il carteggio ci è giunto incompleto. Il principe Loki, probabilmente, distrusse personalmente tutte le lettere che ricevette e non aveva intenzione di far arrivare fino a noi le sue memorie, sebbene alle volte nel testo sembra emergere una volontà differente. Quest’opera raccoglie solamente le rare risposte che il dio degli inganni concesse a Re Thor e a una ristrettissima cerchia di persone. Nonostante l’incompletezza della raccolta, emerge comunque in maniera vivida la complessità di una mente senz’altro geniale, ma pericolosa.
Prima di lasciare il Lettore alla documentazione rinvenuta, è doveroso avvertirlo e ricordare che Loki Laufeyson è sempre stato abile nel manipolare a suo piacimento la realtà. Nel suo carteggio spesso mente, a volte è sincero, altre ancora si contraddice. Prendete dunque con le dovute precauzioni ognuna delle parole che ci ha consegnato.
Lettera 1
Tutti sostenete che io non faccia altro che mentire. Mi chiamate il dio degli inganni, il fabbricante di bugie, lingua d’argento. Mi accusate di distorcere gli eventi, piegare al mio volere i discorsi, ordire continuamente trappole per farvi cadere, povere vittime innocenti, nelle mie trame perverse. Vi sbagliate. Anzi mentite, voi stessi per primi. E ve lo posso dimostrare. Molti mi chiedono, mascherando la curiosità dietro la comprensione, com’è che sia diventato così come sono. Perché scelgo sempre il lato oscuro, mi crogiolo nella beffa, rido delle altrui disgrazie. Credono che ci sia qualcosa, nel mio passato, di oscuro e irrisolto. Qualche torto fatto nell’infanzia, un trauma sepolto nella memoria. Sono convinti, poveri sciocchi, che se io mi concentrassi sui miei ricordi, se mi sforzassi di raccontarli in modo onesto, distaccandomi dagli eventi vissuti, come se fosse possibile davvero fare ciò, se io, dicevo, mi impegnassi nel rievocare quelli che sono stati i tratti salienti della mia vita, potrei rappacificarmi anche con il presente.
Ad essere sincero – perché è proprio questo che volete da me, dico bene? – credo che tutto ciò sia una patetica idiozia. Ma voglio dimostrarvelo, voglio che siate certi innanzi tutto voi, che me lo state proponendo, di quanto sia fallace questo vostro piano idiota. Il fatto è, amici cari, e spero che coglierete l’ironia delle mie parole, che io non sempre mento, ma le verità che vi propongo non vi piacciono: quando le udite, torcete il collo via da me, perché graffiano le vostre anime come artigli di bestie feroci, mostrandovi tutte le meschinità di cui siete capaci, le contraddizioni in cui vi impelagate, i desideri beceri che vi fanno agire. E quando ciò accade, vi allontanate in fretta e mi chiamate bugiardo. A me, beninteso, sta bene. Mi diverte, e sono sincero mentre lo dico, vedere i vostri volti deformarsi dalla rabbia, la scintilla della consapevolezza accendersi per un momento nei vostri occhi – perché voi sapete quando dico la verità, in cuor vostro voi lo sapete, sempre.
Il fatto è, lettori affezionati, che non volete vedere veramente né voi stessi, né il mondo che vi circonda. La verità è spesso scomoda e brutta, se non c’è niente che l’addolcisca, che ce la renda più piacevole, più accettabile. Mentiamo affinché le nostre speranze non vengano tradite, i nostri cuori non debbano soffrire: è una necessità, sostengo io, che lo faccio sempre con lucidità e cognizione di causa. Allora, vi chiederete voi, come mai hai deciso di accettare questa farsa, di metterti a raccontare la tua vita? Beh, mi pare evidente: a me piacciono queste messe in scena, e sapete bene quanto mi diverta anche parlare e vantarmi di me stesso; non a caso mi chiamano lingua d’argento. Ebbene sì, la superbia è un mio difetto. Vedete? Sono stato sincero. C’è chiaramente anche un’altra ragione. L’ho detto anche poco fa. Voglio dimostrare a Thor, il dio del tuono che si ostina a chiamarmi “fratello” quando conosce benissimo le mie origini, che il suo tentativo di recupero nei miei confronti è uno sciocco e stupido desiderio da bambini.
Si è convinto, lui per primo e per ragioni a me ignote, dicevo, che io non sia stato sempre così. Ecco, questo è un esempio lampante di come stia raccontandosi una valanga di menzogne per proteggersi da verità scomode, mettendo su questo teatrino patetico e divertente al tempo stesso. Perché vedete, sarebbe consolante sapere che se io sono il dio del caos e degli inganni è per qualche torto fattomi in passato, che ha annerito la mia natura altrimenti gentile; che in fondo la mia anima è solo sporca d’inchiostro, e basterebbe pulirla perché ritorni allo splendore e possa avvicinarmi alla grandezza degli altri Asi, come Balder, come Thor stesso. Ma la verità, vi dicevo, non è questa: è cruda, senza orpelli, senza tenerezze, piena di meschinità: ed è che io sono esattamente come dovrei essere; che la mia natura è precisamente questa, il mio fine, chiaro e lampante, è di scatenare il Ragnarok e uscir fuori da questa prigione comunque, nonostante tutto. A proposito, ormai l’avrete capito. Se sono costretto ad assecondare i desideri infantili del dio del tuono, è per i ceppi pesanti che ho stretti intorno alle caviglie, per le mura possenti della mia prigione. Non vi avevo mentito sulla mia condizione, l’avevo solo omesso.
Per concludere, vi dimostrerò che Thor sbaglia. Vi racconterò tutto, così come lo ricordo, con la massima sincerità. E se mentirò, sappiate che lo farò non più di voi, che vi ammantate di ipocrisia e vi battete il petto.
Lettera 2
Gli altri prigionieri non guardano mai verso la mia cella. Solo appena giungono qui sotto, nei sotterranei, cercano con ansia morbosa il mio sguardo; poi, una volta che l’hanno incrociato, volgono rapidi il capo dall’altra parte, né mai più osano rialzarlo. Io lo so, perché. Temono i miei occhi. Dicono che trapassino le anime, carpiscano i segreti degli uomini, confondano le menti. Credo che il primo che abbia avuto paura delle mie occhiate sia stato il grosso Val. Di lui ricordo la forza bruta con cui abbatteva la sua mazza sul mio stomaco, gli occhi porcini e il sapore di terra in bocca. E quello, fratello mio, so che lo ricordi anche tu, sebbene l’abbia assaggiato assai meno spesso di me. Il sangue, mescolato al fango, è qualcosa che ti resta attaccato al palato, nelle narici, sotto la pelle. Ogni volta che penso a quei tempi, vedo me stesso esattamente com’ero per la maggior parte del tempo. Dolorante, con le ossa mezzo fracassate, steso in una pozza di fango, sconfitto da un gigante idiota il cui unico pregio era il braccio poderoso con cui mi atterrava. Intorno a me, a fare da contraltare alle mie sconfitte, le tue fragorose risate di scherno. Non mi sto lamentando né dico che le tue parole mi facevano soffrire. Infuriare semmai, questo sì, come era inconcepibile per me che a gettarmi nel fango fosse quel bestione di Val. Io, un principe di Asgard, il cui destino avrebbe dovuto brillare come la più bella stella del firmamento, atterrato da una creatura con l’intelligenza di un pecorone. Inammissibile.
Val, dunque, temeva i miei occhi e, per evitare che lo guardassi troppo a lungo, si sbrigava a colpirmi in fretta. E io tentavo di sfuggirgli, armeggiando con la spada che era stata tua. Mi avrebbe preso, alla fine, e atterrato nella polvere, come faceva ogni volta, e io avrei sentito la puzza del suo fiato corto e affannato sopra di me e sarei stato troppo esausto per levare la mia spada contro di lui. Fu Vili a porre fine a quel ciclo orribile di sconfitte. Ero ancora steso nell’arena, quando si avvicinò. Tirò giù due o tre maledizioni, mi ordinò di tirarmi in piedi. Poi mi squadrò con occhio disgustato. “Perché ti ostini a voler usare una spada troppo pesante? Con le armi giuste, oggi avresti potuto vincere.”
Gli dissi che quella era la stessa spada che usavi tu. E Vili scosse la testa, e rispose quello che per lui – e per tutti – era un’evidenza, che solo io continuavo ad ignorare. “Tu non sei come Thor. Lui ha una forza eccezionale, ed una corporatura possente. Diventerà un grande guerriero, come lo fu vostro padre.”
“Anche io sono figlio di mio padre,” risposi, “e se mio fratello usa questa spada anche io devo usarla.” Vili parve soppesarmi, poi ricordo che mi parlò con lentezza. “Odino è molte cose, Loki. Non solo un guerriero. Usa la magia, è astuto e intelligente e, soprattutto, sa riconoscere i propri punti di forza e sfruttarli. Questo devi fare. Tu sei rapido, Loki, e resistente. La velocità e la resistenza saranno tue alleate.” Fu così che mi spiegò che si può ferire e far male anche se si stringe tra le mani un singolo pugnale; che se conficcato nel punto giusto, un tagliacarte può fare più danno di una mazza chiodata. Fu per rendermi degno agli occhi del Padre di Tutto, che iniziai ad essere ciò che oggi sono.
I nostri percorsi sarebbero stati diversi, noi eravamo diversi. Guardandomi allo specchio non c’era traccia di te, in me, né viceversa. E non era solamente perché tu ti ubriacavi trionfante a qualche banchetto mentre io contavo le mie ferite; i nostri caratteri erano opposti, le nostre preferenze pure. Mentre osservavo il mio occhio nero, il labbro spaccato, il braccio appeso al collo, registravo con occhio critico la mia magrezza, presi consapevolezza che l’unico modo per essere il principe degli Aesir che bramavo essere, era staccarmi dalla tua pesante eredità. Gli occhi di tutti si posavano estasiati sul primo figlio di Odino, dotato di una forza smisurata, seconda solo alla sua resistenza alle bevute, e nessuno badava, se non con una smorfia un filo disgustata, il secondo figlio. Troppo esile – ero forse malato? – troppo debole, troppo affascinato dalla magia – dovevo fare il guerriero, non la maga -, decisamente inquietante a causa della mia abilità innata di mutare la forma, di raggirare il mio prossimo con i miei discorsi.
Affrontai di nuovo Val. Ricordo che entrai nell’arena con arrogante sicurezza e un sorriso sornione sulle labbra. Ma dentro di me, non ti nascondo che tremavo. Il Padre di Tutto era venuto ad osservare i progressi dei suoi figli e fissava, con le mani incrociate dietro la schiena e l’occhio annoiato, i nostri allenamenti. Strinsi tra le dita l’elsa leggera della mia nuova spada, sottile e affilata, e mi posizionai al centro dell’arena. Fu il mio trionfo. Val mi si gettò contro con l’identica foga, e io evitai ogni colpo. L’importante, come al solito, era che non mi prendesse; se mi avesse colpito, mi avrebbe malmenato come suo solito sino a farmi svenire. Dagli spalti, tu e gli altri allievi mi incitavate, invece, a confrontarmi direttamente col bestione. Così fanno gli Aesir. Si scontrano col nemico con incosciente intraprendenza, senza riflettere sulle reali capacità di sopravvivenza. Fa parte del retaggio del tuo popolo, figlio di Odino, gettarsi nella mischia di una battaglia senza piani né strategia, confidando nella forza bruta soltanto. E io, che pure ero stato allevato, come te, a quei principii sconsiderati, quel giorno davanti a Val li ricusai. Dovevo vincere, e basta. Dimostrare a Odino, che a stento tratteneva un sorriso soddisfatto quando ti guardava combattere, che anche io ero il figlio degno. E non m’importò nemmeno allora di quali mezzi avrei dovuto avvalermi, per portare a casa la vittoria. Qualunque fosse stato il prezzo per sconfiggere Val, l’avrei pagato.
Per Val ero troppo veloce. Presto il bestione si stancò, si adirò. I suoi colpi erano sempre più imprecisi, la guardia che teneva con salda destrezza si abbassò più volte. Tentava di acciuffarmi, gridava maledizioni e insulti alla mia persona. Non m’importò, finché non capii che il momento aspettato con tanta ansia era arrivato. Lasciò il fianco scoperto, e io, con rapidità felina, mi gettai su di lui, ferendolo. Urla di sorpresa si levarono dagli spettatori, assieme a battute poco lusinghiere nei confronti di Val, e oscene rivolte a me. Alzai il capo trionfante, cercando l’approvazione nell’occhio intransigente di Odino, nel suo volto. Ma tuo padre non mi guardò, e quando lo fece, non vidi sul suo viso la soddisfazione che nutriva per te. Mi fissò, invece, con l’occhio assorto, come se stesse decidendo che valutazione dare al mio comportamento. Non era soddisfatto nemmeno quella volta. Avevo sconfitto Val, ma non era abbastanza. E come poteva esserlo, mi dissi, se tu lo avevi già abbattuto infinite volte?
Ora mi rendo conto che ottenere l’approvazione di Odino, così come la desideravo allora, era impossibile. Tentare di inseguire te, anche. Reputarti la ragione per cui il Padre di Tutto non mi notava abbastanza, sciocco e vero solo a metà. Ma è così che la pensavo, allora. Oggi guardo a quei tentativi disperati di attenzione con pietà e disgusto, forse i medesimi che albergavano anche nel cuore di Odino, quando mi vedeva. Decisi che avrei trasformato quelle occhiate meditabonde e assorte in sorrisi carichi di soddisfazione. Non ci sono mai riuscito.
Non è semplice essere un principe degli Aesir. A terra, nell’arena, finii ancora molte volte. Ma mi vendicai di ogni colpo che mi era stato inferto. Dicevate che usavo la magia, per evitare i gli attacchi. Bugie. Ero più veloce di voi, più intelligente, e se non avevo la vostra forza bruta, vi avrei vinto con la velocità e la destrezza, con l’astuzia e la perspicacia. E così, fu assaggiando il sapore del sangue e del fango mescolati assieme, che imparai cosa volesse dire davvero, essere un’Ase. Fu lo stordimento che seguiva il colpo tremendo che mi aveva atterrato, e il dolore, a insegnarmi che prezzo avesse la nostra supremazia. Furono le labbra spaccate, le ossa contuse, i lividi evidenti e neri che spiccavano sulla mia pelle, a insegnarmi la fierezza e l’arroganza proprie della gente che mi ha cresciuto. E quando mi rialzavo, ogni volta, ero più fiero di appartenere alla stirpe degli intrepidi e spietati Aesir. Del resto, Asgard stessa è stata fondata su una terra selvaggia e terribile, stupenda e fredda, inospitale e rude, eppure tanto bella da mozzare il fiato.
Io l’ho amata, Asgard fatta di alte torri. Ogni volta che tornavamo da un’impresa, osservavo dai vetri della nostra nave i profili affilati delle montagne che svettavano ricoperte di nevi perenni e nascono dal mare, creando fiordi di impareggiabile bellezza. E così ammiravo il verde, intenso, vivace, che ricopre le dolci colline, contrastando col blu profondo dell’acqua sempre ghiacciata. Sarei stato un re degno, per Asgard. Un sovrano intelligente e oculato, attento e determinato a far prosperare il mio popolo. Sarei stato saggio, e giusto. Ma la possibilità di divenirne il sovrano, insinuata così tante volte nelle nostre teste di bambini fino a diventare quasi un’ossessione per entrambi, per me, in realtà, non c’è mai stata. La gara era truccata, fratello. L’erede designato sei sempre stato tu.
E mentre tu ti perdevi tra risse e gozzoviglie, io passavo notti insonni a progettare astronavi più veloci; tu e i tuoi patetici amici andavate a caccia di cervi e cinghiali, mentre io controllavo il progetto di qualche diga. Voi facevate a gara di sputi o di tiro con l’arco, che so, mentre io mi annoiavo a morte ascoltando le sedute del Consiglio di qualche popolo codardo e infido, tentando di convincere creature che dovevano solamente baciare il terreno dove passavamo per la considerazione offerta, che le nostre proposte commerciali o di difesa, erano ottime, vantaggiose. E ci riuscivo, sempre. Allora mi avete chiamato Lingua d’Argento, ma c’era un misto di ironia e paura nei vostri occhi, come se la mia abilità retorica fosse frutto del seidr che non potevate né capire né controllare. Quando tornavo, Odino pareva soddisfatto. Non era entusiasta come quando tu entravi nella sala del trono con un cervo od un cinghiale in spalla, chiaramente. Scrutava critico i progetti di cui mi occupavo, scorreva con le sopracciglia accigliate i trattati stipulati, battendo ritmicamente le dita sul suo scranno.
Gli accordi erano sempre vantaggiosissimi, più per noi che per loro. Avrebbero portato ricchezza e prosperità alle nostre terre, senza danneggiare gli altri. Eppure, il Padre di Tutto trovava sempre qualcosa da ridire. “Fin troppo buono per noi,” diceva alle volte, spiazzandomi. Perché dunque mi aveva mandato a trattare, se non era l’eccellenza quello che voleva? E se non desiderava benefici così grandi, allora perché trattare? E allora mi allontanavo adirato verso sentieri noti a me soltanto, confondendomi tra la gente, sparendo e vagando per i Nove Mondi, lontano dagli occhi severi e spietati del Guardiano del Bifrost, in cerca di un modo, uno soltanto, per suscitare la soddisfazione di Odino.
Lettera 3
Nessuno regge il mio sguardo. Tranne lei. Ha gli occhi del colore delle nuvole d’inverno, i capelli d’oro, e quando passa tra le celle dispensa sorrisi gentili ad assassini e mostri come non ce ne sono in tutti i Nove Regni. Sorride persino a me. Mi fa la riverenza, mi chiede come sto. Io la guardo, ma non le rispondo. Lei aspetta qualche istante davanti al vetro della mia cella, come in attesa, poi si gira e se ne va.
Ogni tanto, mentre porta conforto a creature che tutto meritano meno che la sua pietà, la osservo. Si muove con grazia estrema, e talvolta, credendo che nessuno vi faccia caso, getta qualche occhiata nella mia direzione. L’ha fatto anche oggi, e sarebbe stato esattamente uguale agli altri giorni che passo rinchiuso qui, se non avessi colto nel suo sguardo un’apprensione nuova.
Si ferma davanti alla mia cella, come tutte le volte, per l’ultima tappa del suo giro pietoso. Fa il consueto, elegante inchino, mi rivolge quel sorriso carico di cordiale dolcezza. “Come state, altezza?” domanda, come sempre.
E io, come sempre, la guardo e non rispondo. Lei batte le ciglia scure, attende. Ma stavolta qualcosa la agita. Si sfiora un ciuffo che le cade sulla fronte, liscia le inesistenti pieghe della gonna. Si sta trattenendo più del solito. Infine espira e parla ancora.
“Vi guardavo da lontano. Vi ho guardato per così tanto tempo, principe.” Io non la ricordo. E se anche il suo volto mi fosse familiare, avrebbe senso, dirlo adesso? Abbassa lo sguardo, finalmente, lunghe ciglia nere che coprono i suoi occhi chiari, e la sua voce freme. “Avrei voluto avere il coraggio di dirvelo prima.”
Sorrido, ghigno, chissà. E le racconto come sarebbe stato, se mi avesse parlato. Come l’avrei guardata, fuori di qua. E lei resta ad ascoltarmi, con occhi gonfi di lacrime, tormentandosi la collana che porta al collo, mentre le si bagnano le guance e immagina che possa stringerla al mio petto, sfiorare le sue labbra. E non importa che le dica che sarebbe durato solo una notte; che non avrebbe scalfito alcuna corazza, redento nessuna anima. Alla fine, le dico, saremmo finiti ugualmente a questo punto. Solo che io ti avrei spezzato il cuore, aggiungo.
Allora scappa Sigyn, scappa lontano, e posso sentire, dalla mia cella, il suo pianto.
Non so se tornerà.
Lettera 4
Oggi, nelle prigioni, c’è stato un grande tumulto. Le guardie del Padre di Tutto, sempre così impassibili e severe, erano agitate, maggiori nel numero. Ogni tanto, qualcuna si affacciava di fronte alla mia cella, lanciandomi occhiate di sottecchi, come se volesse davvero accertarsi che il terribile dio degli inganni fosse ancora imprigionato. Allora mi sono alzato dalla poltrona, che dovrebbe rendere più comoda la mia condanna, e ho chiesto quanto gravi fossero le ferite che ti erano state inferte.
Il secondino è impallidito, ma che dico: è quasi svenuto dal terrore, ed è scappato, gridando ai suoi compagni che il principe perduto degli Aesir, nonostante sia rinchiuso e guardato a vista nei sotterranei di Asgard, è riuscito persino a tramare contro il suo nobile fratello. Ora so che succederà. Verranno a prendermi, mi metteranno i ceppi, mi condurranno da Odino: lui mi interrogherà, per capire come sapessi cosa ti fosse successo; io nicchierò, risponderò con vaghezza, scherno. Lui si adirerà, mi maledirà, ancora e di nuovo. Ma senza prove non potrà condannarmi, e i suoi corvi fedeli gli sussurreranno all’orecchio che io nulla c’entro con la tua disavventura. Allora, ancora più infuriato per la mia ennesima beffa, mi farà condurre di nuovo nelle fredde e tristi prigioni.
Forse, mentre scenderò assieme alle guardie le centinaia di scalini che portano nei sotterranei, uno dei soldati abbasserà la guardia, rilassato dal falso allarme.
Forse penserà alla fidanzata lontana, o alla voglia che avrebbe di una bella pinta di birra; forse me ne accorgerò, e ne approfitterò per fuggire, e stasera, quando ti consegneranno questo scritto, sarò già lontano, perso nell’Universo. Non esiterò un istante, di fronte a una via di fuga. Non mi fermeranno le guardie di Odino, le lacrime di nostra madre, la spada di Sif. E nemmeno tu. Perché il fine giustifica sempre i mezzi, fratello, e tu lo dovresti ricordare. Ma prima di perderci di nuovo nei nostri ricordi felici, soddisferò la curiosità che certamente ora si annida nei tuoi occhi.
Come avrò mai fatto a indovinare cosa ti è successo senza esserne coinvolto? Facile, facilissimo anzi. Se fosse capitato qualcosa a Odino o a Frigga, saresti sceso personalmente nei sotterranei. Non avresti lasciato che una guardia mi avvisasse. O forse sì, chissà. Ma Padre Tutto non ha la tua medesima pietà, né sente di dovermi dare informazione alcuna su voi tutti. Ecco, dunque, come so che lui e la regina stanno bene. Che sia tu, tra i nostri fratelli, colui che ha avuto la sventura di incontrare il ferro nemico, anch’essa è una deduzione scontata: che bisogno hanno, Balder o Hoder, di combattere, se c’è già il prode e coraggioso dio del tuono a difendere i preziosi confini di Asgard? Perché lasciare la casa sicura, quando ci sei tu che rischi la pellaccia in giro per i Mondi? È così che cadi persino tu, nonostante il prodigioso martello, la forza notevole, se non c’è qualcuno di previdente a guardarti le spalle.
Dimmi, fratello, mentre ancora le tue ferite non sono rimarginate, dov’era la coraggiosa Sif, quando il ferro nemico si levava contro di te? Perché non ha incrociato la sua spada, sempre così letale, per difenderti? Dov’era, invece, il corpulento Volstagg, che ai banchetti si vanta, ubriaco, di essere il tuo più fedele braccio destro, mentre si versa la birra sulla barba fulva e aggrovigliata? Dov’era Fandral, con le sue battute insipide come la sua spada fiacca, come confermano con disgusto tutte le prostitute di Asgard? Dove, i tuoi nuovi amici, buffoni mascherati buoni soltanto a pensare grettamente a se stessi? Dimmi, Thor, dov’erano mentre il ferro nemico ti lacerava la cotta di maglia, penetrava nella tua carne, tagliava i tuoi muscoli? Dov’erano i tuoi fratelli di sangue, così nobili e valorosi, che siedono ai banchetti accanto a Odino, che chiamano le loro armi mai macchiate di sangue nemico con nomi inutili e altisonanti? Quante volte saresti morto, figlio di Odino, se non ci fossi stato io a gridare, parare, pensare?
Avrei potuto lasciare che accadesse. Sarebbe bastato che esitassi, di poco, nell’avvertirti. Che recitassi i miei incantesimi con meno rapidità, e saresti caduto a terra, morto. Un freddo corpo irrigidito che avrei visto allontanarsi disteso su una pira. Allora, forse, il trono sarebbe stato mio. Quante volte ci ho pensato. Adesso sgranerai gli occhi, forse avrai già smesso di leggere queste righe. O forse no, ma ti starai domandando, con orrore, com’è possibile che il fratello con cui sei cresciuto e hai condiviso ogni cosa, sia capace lucidamente di pensare una cosa così orribile. Che creatura malvagia devo essere, per crogiolarmi all’idea della tua morte?
Ed ecco, a questo punto, che faccio quello che mi accusate sempre di non fare. Ti dirò la verità, Thor. E non ti piacerà. Credi forse che i nostri giovani fratelli non abbiano mai riflettuto, con un misto di sgomento e di eccitazione insieme, che se tu fossi morto in battaglia, con me rinnegato e rinchiuso, il trono di Odino sarebbe finito senza sforzo in mano loro? Non dico che nei loro animi si annidi il seme di chissà che malignità; è un pensiero normale, che si affaccia alla mente, egoista e pungente. È una voce che si insinua nella tua testa: un ragionamento secco. E tu lo soffochi, con la ragione e l’affetto, perché mai vorresti che la tua gloria si edificasse sulle ossa sbiancate di tuo fratello, ma sei pure un principe degli Aesir e sai che, se accadesse, dovresti essere pronto a subirne l’onere e l’onore. Non è una calunnia, questa.
È accettare la nostra natura che, per quanto ammantata di dorata superiorità, non fa di noi che grette, meschine e vili creature, non dissimili, in fondo, dai midgardiani che tanto ami. Nemmeno tu sei esente da questa logica crudele, fratello mio. E, se avrai pazienza di leggere ancora queste mie righe, te lo spiegherò. Tu ora fremi di rabbia, per le mie parole. Ma guarda nel tuo cuore, guardaci attentamente: la mia presenza, in questa cella, non ti disturba? Non sarebbe stato meglio, per l’equilibrio tuo, della tua famiglia e dei Nove Regni tutti, se la mia caduta dal Bifrost fosse stata letale?
Avevo espiato le mie colpe. Il guiderdone era stato giusto, avevo offerto la mia vita, e ora voi potevate essere liberi di piangermi e perdonarmi. Ma sono tornato, e il mio capo non era cosparso di cenere, la mia indole nient’affatto mutata. Cosa fare, dunque? Assolvermi e cancellare il male antico e quello nuovo? O condannarmi per il bene dei regni, e dimenticare l’amore e l’amicizia nutriti verso di me? Il Padre di Tutto è un grande sovrano, e ha scelto con piglio severo e grande razionalità. Ma l’erede designato, il figlio prediletto, cosa avrebbe fatto, se fosse stato seduto su quel trono? Sarebbe stato altrettanto lungimirante e riflessivo, o avrebbe lasciato che il cuore prevaricasse? Mi avrebbe liberato, infine, oppure avrebbe dimostrato di tenere saldo il suo potere? Guardati allo specchio, figlio di Odino, e rispondi sinceramente a questa domanda.
Di fronte alla mia, di natura, io mi trovo fin troppo spesso. La prima volta che mi sono scontrato con le ombre cupe che tanto evocate quando parlate di me, fu a causa tua, e tua soltanto. Ti guardai le spalle, come ero solito fare, e vidi un pericolo mortale per te. E ti salvai, come mille altre volte.
Lettera 5
Perché lasci che sia lei, a portarmi le tue missive piene di farneticazioni? Perché insisti nel volerle dare un compito che turba il suo cuore, fa tremare la sua mano? Mi consegna i tuoi fogli pieni di domande sciocche e accuse vecchie e nuove, e aleggiano, tra di noi, le sue parole. Non fugge il mio sguardo, lo sostiene, ma leggo nei suoi grandi occhi chiari che avrebbe preferito non dichiararsi mai. Tu, mio crudele fratello, le ricordi ogni giorno l’errore che ha commesso. Anche se non lo sa, lei mi porta notizie dal mondo di fuori, che non posso più vedere. Quando piove, tiene i capelli raccolti in due rigide trecce fissate sulla nuca; se c’è il sole e il tempo è bello, la treccia è sciolta sulla schiena, tra la sua chioma dorata scorgo piccoli fiori. Se ad Asgard si attendono ospiti importanti, non indossa il vecchio scialle scuro con cui scende sempre qui sotto, ma un mantello di velluto, e fa sfoggio di qualche delicato gioiello.
È stato mentre mi consegnava la tua ennesima, sconclusionata lettera, che ho notato l’anello. Un cerchietto d’oro, sottilissimo, che le fascia il dito esile. Ha abbassato gli occhi, seguendo il mio sguardo, e li ha rialzati con me. Sarà senz’altro un matrimonio felice, il suo. Suo padre ha scelto per lei un buon uomo. Fedele, giusto, coraggioso. Certo, forse un giorno lo guiderai in battaglia, assieme a moltissimi altri, e creperà, cadendo in mezzo al sangue e al fango, ma questo è il destino degli Aesir, e sarebbe una buona morte.
Ma lei aggrotta le sopracciglia, soffoca a stento un singhiozzo. Non è questo che avrebbe voluto, ma disobbedire non è nella sua natura. Ma trasgredire a cosa? Che alternative ha, questa dolce ragazza?
“Sarà un’unione felice,” le dico. E lei arcua appena le labbra sottili in un mesto sorriso e risponde con parole che mi aspettavo dicesse. “Voi mentite.”
“E tu non puoi prevedere ciò che hanno filato per te le Norne,” ribatto.
“Non ne ho bisogno,” risponde lei. “Io conosco l’uomo che sposerò. Non è coraggioso né gentile, ma ama la sua terra e i suoi abitanti. È fiero di indossare l’armatura dei guerrieri Aesir, e quando la sera mi incontra, non manca mai di portarmi in dono un fiore. Ma io non attendo il tramonto con ansia. Non aspetto alla finestra che la sua sagoma si stagli all’orizzonte. Non mi batte il cuore quando giunge alla mia porta, non arrossisco quando mi guarda.”
Potrei chiederle quand’è che, invece, sente il cuore batterle nel petto, ma forse conosco la risposta. E allora le dico, con tono leggero, che forse legge troppi poemi pieni di dame sognanti e cavalieri intrepidi. E lei non risponde, anche se è tentata di farlo, perché non può scoprirsi ancora, e se ne va, salutandomi con una riverenza aggraziata.
Lettera 6
Ho riso fratello, ho riso a lungo leggendo la tua ultima lettera. Dimmi, ti prego, che è stata la tua donna mortale a insegnarti le frasi che hai scritto. Se così non fosse, e le parole sdolcinate fossero le tue, sarei tentato di leggerle ad alta voce, qui, nei sotterranei, affinché i miei compagni di cella possano divertirsi assieme a me sentendo come il possente dio del tuono scriva come una ragazzina innamorata. E farei vergognare i secondini, costretti assieme a noi a vivere nell’oscurità, constatando come si è spenta dentro di te la fiamma feroce che ha reso la stirpe degli Aesir quella che è. Che ti inventi, figlio di Odino? Di quale dolce lirismo parli? Ti incanta a tal punto, il mio modo di scrivere, che confondi l’abilità retorica con l’ispirazione amorosa? Credi dunque, sul serio, che io ricambi i sentimenti di quella ragazza? Davvero, Thor?
È ovvio che guardi con interesse la sua figura. È graziosa, e io sono rinchiuso dentro una cella sotterranea. Le uniche cose che vedo, oltre lei, sono le brutte facce di criminali catturati in giro per i Nove Mondi o quelle, molto poco effeminate, dei soldati che ci controllano. Non mi pare strano, dunque, che la fissi con insistenza, o che trovi la sua presenza piacevole. Mi ricorda quanto sono belle le donne.
Se fossi libero, probabilmente, dato l’ascendente che ho su di lei, l’avrei corteggiata e sedotta. Sarebbe stata una facile preda, come lo sono state tante altre, per me come per te. Ma questo non significa che la ami, mio povero, ridicolo, ingenuo fratello. Significa solo che non sono indifferente ad una ragazza carina che scende nelle carceri dove sono rinchiuso e mi fa gli occhi dolci.
Lettera 7
Se non fossi rinchiuso in questa putrida cella, che pure se è arredata riccamente sempre fetida e buia rimane, è evidente che non sprecherei il mio tempo e la mia vista a scriverti. E nemmeno a parlarti. Ma devo vincere la noia, ingannare il tempo che scorre con inesorabile lentezza e, come se non bastasse, debbo anche limitare la portata delle mie richieste in fatto di libri. Per questo sono costretto a dilungarmi con l’unico interlocutore che mi è stato concesso in ciarle inutili. L’episodio che ti è stato riferito, innanzitutto, è stato distorto. La mia fama, qui sotto, è quasi immeritata, fratello. Ogni lampada che si spegne, ogni cosa che si perde, ogni alito di aria che ogni tanto giunge persino qua sotto, pare essere causato da me. Ma se io fossi il responsabile di ogni cosa, vorrebbe dire che il mio potere si estende oltre la mia cella. E se il seidr mi permettesse di influenzare l’esterno, credi davvero che rimarrei chiuso nei pochi metri che mi avete concesso?
Ma torniamo a noi. Il fatto è che lei è ingenua, tremendamente ingenua. A volte, mi sembra dimentichi un po’ troppo facilmente dov’è e cosa sta facendo: si è avvicinata ad un orco che lamentava inesistenti malesseri, e quello l’ha afferrata e l’ha quasi trascinata dentro la sua cella. Evidentemente, era difettosa. Io, chiaramente, non l’ho salvata. Sono state le guardie, a farlo. E nemmeno è vero che sono riuscito ad utilizzare la mia magia sull’orco. Se potessi lanciare incantesimi oltre il vetro della mia prigione, chiaramente li indirizzerei verso le guardie io per primo, e me la darei a gambe. Ti concedo che, forse, mi prenderei un ostaggio, tanto per vivacizzare un po’ il tutto. Ma se ancora non ho realizzato questo piano è perché non posso farlo, mi pare ovvio.
Quello che c’è stato e che ha tanto terrorizzato tutti i prigionieri e fatto letteralmente pisciare sotto dal terrore le guardie, è stata una semplice illusione creata all’interno della mia cella. Un trucco di una banalità disarmante, lo stesso in cui sei caduto tu più volte, non ultima su Midgard. Ho finto di aver aperto la cella e di avere, dietro di me, qualche creatura terrificante. Ho minacciato l’orco di una brutta e colorita morte – cosa che avrei fatto a prescindere da lei, dato che la sua cella mi è proprio davanti e mi disgusta immensamente vedere come mangia – e ho chiamato le guardie. Ti pare che dovevo lasciare che l’unica gonnella che gira qua sotto rimanesse traumatizzata da una bestiaccia del genere?
L’ultimo, ma non meno importante dettaglio, riguarda ciò che le avrei detto. Devi partire dal presupposto, già più volte espletato, che qui nei sotterranei non è che ci si diverta in modo particolare. Solo io ho il privilegio di poterti scrivere e di ricevere libri. Gli altri passano le loro vite fissandomi, fissandosi, fissando le guardie, fissando lei. Ah, ogni tanto mangiano – in maniera disgustosa – e dormono – rumorosamente – ma, per la stragrande maggioranza del tempo, si limitano a fissarci inebetiti. Poi, chiaramente, se potessero uscire e tagliare la gola a tutti gli Aesir possibili, sarebbero strafelici e, probabilmente, dietro ai loro sguardi ebeti si nasconderà pure qualche mente acuta che sta elaborando chissà che piano, ma tant’è. Nella noia generale che regna sovrana, dunque, capita che i prigionieri travisino ciò che vedono. Poiché è davvero misero, lo spettacolo che viene offerto loro, lavorano, com’è logico, di fantasia. Inventano di sana pianta discorsi e male interpretano toni e gesti, riempiendo così quei vuoti che credono debbano essere colmati. La loro fiaba preferita, al momento, siamo io e lei.
Ad ogni modo, non le ho detto di stare attenta con voce preoccupata. Era, semmai, scocciata, perché l’orco fingeva, bene ma fingeva. E prima che potesse tirarla dentro, l’ho distratto, perché era proprio di fronte alla mia cella, nel modo che già ti ho spiegato. E qui chiudo, prima che ti inventi ancora che riempio le mie lettere di frasi su di lei. Sei tu che chiedi con morbosa insistenza, e io ti rispondo solo per cortesia. Anzi, obbligo.
Continua...
Caro Lettore che sei arrivato fino a qui,
Grazie per il tuo tempo. Ti sarei infinitamente grata se mi lasciassi un pensiero di qualsiasi tipo su queste mie paginette. Non pensare di dovermi scrivere necessariamente venti righe di testo super profondo e descrittivo o che non mi accontenterei di una semplice frase. Ti giuro che sono molto alla mano. Qualcosa tipo “Guarda ti leggo, aspetto il prossimo capitolo, la storia mi è piaciuta/non mi è piaciuta” o “ho letto la tua storia, mi ha tenuto compagnia mentre aspettavo il treno,” o un più stringato “storia carina/non carina, questo Loki mi è simpatico/antipatico,” vanno già no bene, benissimo. Non pensare neanche vabbé, ma perché aggiungere un mio pensiero che conta 0, che se ne fa? Me ne faccio, me ne faccio, e non conta 0 neanche per niente. Altra cosa che non devi pensare? Se le scrivo la disturbo nella sua Torre dello Scrittore Inavvicinabile e Altera. Se avessi voluto fare l’eremita non avrei postato! J
Insomma, Silente Lettore, ogni volta che non recensisci una storia, la Fatina dell’Ispirazione perde un po’ della sua magia e un capitolo o una fanfiction ne risentono e non verranno mai create o saranno interrotte. A tal proposito, dedico “Confessioni” a E., a S e A. che mi hanno spinto a dare un senso a questo file parcheggiato nel mio pc all’incirca dal 2015.
S. |
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Capitolo 2 *** Giovani principi ***
Cap. 2 Giovani principi
Lettera 8
Sigyn. Sigyn è il suo nome. L’ho scritto. Anche l’ultimo baluardo è caduto, e ora dovrai inventarti qualcos’altro a sostegno della tua ridicola tesi. Sigyn, che da due giorni non scende qui sotto. E tutti gli sguardi si posano su di me, come se io fossi la causa, o conoscessi la ragione, della sua assenza. Ma io non so perché lei non è qui. Giorni fa è scesa col consueto scialle e i capelli raccolti, come sempre. Nei suoi occhi grigi, però, c’era una traccia, ombre scure le velavano lo sguardo. Quando ha terminato il suo giro consueto mi ha portato i tuoi saluti, mi ha chiesto come stavo. Senza attendere una risposta da parte mia, ha posato la mano inanellata sul collo lungo ed elegante, si è sfiorata la pelle bianca e morbida e mi ha ringraziato.
Solo che io, a quel punto, sarei dovuto rimanere in silenzio, e invece non l’ho fatto. Per cosa, le ho detto. Ringrazia le guardie, loro ti hanno tirato fuori di là*.
“Ma voi l’avete distratto, avete preso tempo, e sempre voi le avete chiamate,” ha insistito. Le si era arrossato il collo dall’agitazione, la mano piccola e delicata tremava appena. E, scorgendo quel turbamento che ben conoscevo, non ho potuto fare a meno di affondare la lama nel fianco scoperto che mi porgeva. Le ho sorriso, e ho cambiato agilmente discorso. “Questa è l’agitazione che vorresti provare col tuo promesso?” ho domandato.
“Vi prego,” ha mormorato, “non lo fate,” e sotto le ciglia scure i suoi occhi grigi ardevano.
“Cosa, non dovrei fare?” ho insistito.
Ha esitato, Sigyn. Doveva scegliere le parole adatte. “Rendere tutto più difficile,” soffia, sperando che nessuno possa sentirla. Non le ho risposto. Credo che persino le guardie mi abbiano guardato con disapprovazione, dopo.
Ci separa un vetro. Spesso, infrangibile. Filtra tutto, quella parete di cristallo. Deforma appena le voci, copre completamente gli odori. È sottile, non più di qualche millimetro, ma la distanza che pone tra noi è invalicabile e terribile. Eppure, questa lastra trasparente che mi isola dal mondo in un certo senso protegge entrambi. Senza di essa, non avrebbe mai osato confessarmi l’interesse che ho sempre suscitato in lei. E io, chiuso qui, sono costretto a notarla, a prestarle attenzione.
Sì, ho esultato, di fronte al suo sgomento, al suo tremore. Perché è stata l’ennesima prova che mi ha dimostrato come abbia in mano il suo cuore. Durante il giorno, mentre cavalca o ricama, la notte quando, seduta di fronte alla toletta, si scioglie l’acconciatura sofisticata da cui comunque sfugge sempre qualche ciocca ribelle, e la massa dei suoi capelli color dell’oro le ricade sulle spalle esili in un modo che posso solo immaginare, è a me che lei pensa.
Lettera 9
Mi chiedi di rievocare gli anni spensierati della nostra giovinezza. Non sempre siamo stati un mago e un guerriero, tu dici. È esistito un tempo in cui eravamo solamente ragazzi, e il trono maledetto non rappresentava ancora un’ossessione distruttiva, ma un sogno infantile. C’è stato un tempo in cui Odino non era il padre severo che scrutava senza enfasi i nostri progressi, ma un genitore come tanti, che ci cercava in giro per il palazzo o nei boschi circostanti, maledicendo le Norne con l’apprensione di un uomo che si occupi dei suoi bambini troppo vivaci. Sostieni che il nostro futuro era lontano, insondabile. Io non sono d’accordo, fratello.
Già si scorgeva, in noi, l’ombra di quello che saremmo diventati. Io, ad esempio, non ho memoria della prima volta che ho scoperto la capacità che ho, innata, di mutare forma a mio piacimento. Sono tempi lontanissimi, quelli che mi chiedi di rammentare. E dolorosi. Rievocare anni spensierati, pieni di speranza, ora che passerò secoli e secoli qui, rinchiuso, è come versare sale su delle ferite aperte, fratello. Ma tutti i libri che mi hai portato sono accatastati in un angolo della mia cella, e osservare le facce idiote dei miei compagni di prigionia è ancora più desolante che scriverti.
Ricordo che il primo figlio di Odino era un irresponsabile, arrogante attaccabrighe anche quando era ancora poco più di un bambino. Prima agivi, poi pensavi. Forse. Non so quante volte avrò pronunciato le fatidiche frasi “Thor, aspetta,” o “Thor, non farlo.”
Parole al vento, tu non mi ascoltavi mai. Sono il maggiore, dicevi, e so quel che faccio. Bugie. Non avevi la benché minima idea di cosa stavi per fare, dove ti saresti andato a immischiare. Come non ce l’hai tutt’ora. Ma all’epoca, eravamo comunque una squadra perfetta. È sceso un nuovo prigioniero. È un troll. Incrocia il mio sguardo, mi bestemmia contro. Ci dobbiamo essere già incontrati, da qualche parte, oppure gli avrò fatto qualche grave torto di cui non mi pento. Sorrido alle sue imprecazioni: se un giorno uscirò da questa maledetta cella, saprò vendicarmi per oggi. Oppure, potrei convincere qualche guardia a fargliela pagare al posto mio, data la condizione in cui mi trovo. Chissà. Non credere Thor, che questa prigione mi fermerà ancora a lungo; non pensare che non mi libererò, prima o poi. Troverò il modo, come l’ho sempre trovato, di fuggire. E quando ci riuscirò, risolverò le questioni che ho in sospeso, una per una. Fino al Ragnarok. Allora, mi troverò faccia a faccia anche con te.
Adesso che ci penso, anche la prima evasione l’ho fatta con te. Quasi ogni cosa, la prima volta, l’ho fatta con te. O nella stanza accanto. Ad ogni modo, la prima volta, in una cella, ci sono finito con te. Ovviamente a causa tua.
La cosa divertente, ripensandoci, fu il come e il dove. Midgard. Ebbene sì. Da qualsiasi altra parte ci avrebbero riconosciuti senz’altro, ma in quella terra di cretini passammo inosservati. O quasi. Com’è che andò Thor, te lo ricordi? Midgard era un possedimento dimenticato. Teatro di passate battaglie con gli Jotnar, Odino aveva lasciato che il ricordo degli Aesir svanisse**. Quando noi calpestammo per la prima volta le verdi terre del tuo pianeta adorato, ancora ci idolatravano come fossimo divinità. Presto, ci avrebbero dimenticato. Avevamo l’età incerta della primissima giovinezza. Non eravamo più bambini, ma ancora nemmeno uomini. Sapevamo utilizzare una spada, ma non eravamo mai stati portati in battaglia. Le ragazze ci sorridevano, ma noi preferivamo ancora giocare a fare gli eroi, e ricordo come il tuo viso fosse ancora glabro.
Midgard, dunque, ci accolse con una bella giornata d’estate. Atterrammo nei pressi di un fiordo e, subito, scorgemmo le navi. Galleggiavano placide sulle acque fredde e scure, con le prue aguzze tese verso occidente. Ci sembrarono subito primitive e ridicole. Ricordavano vagamente, con le loro forme sinuose e appuntite, le bellissime lance Aesir, ma erano di legno, seppur ben fatte***.
Che fare? Se ci fossimo fatti riconoscere, loro si sarebbero messi ad alzare le loro suppliche a nostro padre ed Heimdall, il maledetto, le avrebbe senz’altro intercettate. Nascondere la nostra identità e mantenere un basso profilo era l’unico modo per passare inosservati e divertirci un po’, senza conseguenze. Peccato che sperare di farti tenere un comportamento discreto fosse una mera utopia. So cosa mi risponderai quando leggerai queste mie righe. Dirai che la cattiva fama che ho presso i midgardiani è assolutamente meritata. Che la sequela di disgrazie che incontrò la povera nave su cui salimmo, derivarono dalla mia malsana idea di vedere come navigavano quelle buffe imbarcazioni di legno. Ti dimentichi della voglia matta che avevi di andare a menare le mani e di seguire i guerrieri nelle loro razzie. Dirai anche che io ti impedii di utilizzare la tua forza e che per questo ci catturarono, e che io, invece, riuscii a utilizzare la magia. Anche su questo dissento vigorosamente. Utilizzai pochi incantesimi, i necessari per non farci ammazzare o scoprire in modo tanto stupido.
Ma l’umida cella di Midgard, con i suoi ceppi pesanti e il suo odore nauseabondo, non è un ricordo infelice. Se torno con la mente in quel luogo fetido e buio, alla paglia gettata sul pavimento, al cibo disgustoso servito in ciotole di legno, non riesco a provare rabbia, vergogna o disgusto. Devo essere diventato folle, perché un sorriso nostalgico mi affiora alle labbra – possibile? – e il ricordo della prigionia si fa dolce nella memoria. Ricordo che litigammo, litigammo furiosamente, ma ridemmo anche, e molto. E, nottetempo, fuggimmo: provai un singolare piacere nel forzare e far scattare il meccanismo semplice eppure efficace che ci imprigionava le gambe; e poi uscimmo, ridendo o litigando ancora, o forse facendo entrambe le cose, come spesso è accaduto, e ci fermammo a osservare il cielo trapunto di stelle, così diverso da quello, magnifico e immenso, che potevamo ammirare dal palazzo. E in quel momento esatto provammo entrambi nostalgia di Asgard, perché gli astri che osservavamo non erano quelli a noi tanto cari. Stringemmo le pupille, cercando un punto di riferimento in quel cielo sconosciuto, una via che ci indicasse dove fosse casa, e la cercavamo ancora quando Odino, più vecchio di come appariva ad Asgard, vestito di stracci e con un cappello floscio posato sulla testa, ci venne a prendere****.
Io ne ho visti, di cieli, fratello. Nel mio esilio ho ammirato migliaia di galassie, osservato stelle e costellazioni di qualsiasi tipo. Ogni volta che ho posato il mio sguardo su quelle luci straniere e distanti, non ho potuto fare a meno di cercare le nostre, seguendo inconsciamente l’abitudine antica. Dentro a questa cella lugubre, non ho nemmeno una feritoia per poter osservare un pezzo di cielo. Così fisso il soffitto, e provo a ricordare. Allora, la volta di pietra si tinge di blu, s’illumina di stelle, e posso vedere le luci a noi care che seguivamo nelle cacce notturne, quando, in silenzio nel cuore della notte, abbassavamo gli archi e volgevamo il capo al cielo; o quelle, non meno care, che ci hanno visti sussurrare parole dolci a dame innamorate che stringevamo tra le braccia, o tornare, barcollanti e ciarlieri, nei nostri letti, con la mente annebbiata dal troppo vino. Ma è solo un’illusione. Basta un gesto, il movimento di una mano, e il cielo trapunto di stelle svanisce per lasciare il posto, di nuovo, alla grigia pietra.
E tu, quando leggerai queste righe, stringerai la pergamena fin quasi ad accartocciarla e ti avvicinerai alla finestra, figlio di Odino: e soffrirai per me, rinchiuso qui sotto, a languire. E il vino nel tuo corno ti parrà meno dolce, il letto scomodo come fosse un giaciglio di fortuna, la carne secca e senza sapore. Condividerai, allora, parte del mio dolore: soffrirai per me, anzi, stai già soffrendo, hai iniziato nel momento in cui i tuoi occhi si sono posati su queste righe vergate in fretta – come se, di tempo, non ne avessi abbastanza – e forse, chissà, ti convincerai a scendere qui sotto, a osservare il tuo fratello rinnegato. Forse. Ma aspetta, fratello, mio ingenuo e sciocco fratello.
L’erede di Odino non può lasciarsi incantare dai pietosi lamenti d’un rinnegato bugiardo. Rifletti, Thor, avanti. Prova a osservare meglio le mie parole. E se mentissi? Se le nostre vicissitudini passate non suscitassero in me alcun sorriso nostalgico? Se fossero ricordi e basta, senza alcuna venatura dolciastra? Certo, le mie parole sono belle, liriche: plausibili, persino. E crederci sarebbe facile, e consolante. Lo capisco. Ma se così non fosse? Se, semplicemente, mi sentissi particolarmente ispirato a parlare del cielo di Asgard o delle nostre passate avventure, e inventassi sentimenti e sensazioni che in realtà non provo? Confonderesti, in quel caso, l’abilità retorica, la capacità narrativa, l’invenzione, con il passato, il ricordo. Ma cos’è il ricordo, davvero? Se raccontassimo entrambi l’episodio della prigionia di Midgard, in perfetta buona fede, a un terzo ascoltatore ignaro, racconteremmo inevitabilmente due storie diverse. E nessuna delle due dovrebbe essere per forza vera o falsa. Semplicemente, non esiste una sola, univoca realtà, ma infinite, come infiniti sono gli occhi di chi guarda. E allora io posso essere sia un rinnegato traditore che un eroe che sconta una pena ingiusta; Odino un sovrano dispotico e violento, o il protettore dei Nove Mondi tutti.
E, allo stesso modo, io posso mentirti, rievocando ricordi che so essere per te importanti, o forse sono sincero, e questa è solo una delle molte maschere che indosso. O magari, non è vera né la prima ipotesi né la seconda, perché, in me, come in chiunque, potrebbero persino convivere entrambe. Allora, Thor, ci sarebbe sia la velata nostalgia che la bieca indifferenza, sia l’amore che l’odio, sia la luce che la tenebra, dove brancoliamo, inermi e persi, alla ricerca di un punto fermo in mezzo alla tempesta, che non c’è.
Lettera 10
Sono due giorni che non scende qui sotto. Si deve essere sposata. Avrà scelto un abito candido, sciolto i capelli dorati. Chissà se ha esitato, mentre pronunciava i voti. Chissà se aveva fiori tra le ciocche chiare, o avrà ballato, la sera. E poi, la notte, lui le avrà fatto scivolare a terra la camicia di seta, avrà toccato la sua pelle morbida. Ne avrà inspirato l’odore, constatato la morbidezza. E l’avrà carezzata e attirata a sé, e forse sarà stato gentile e paziente, forse rude e violento, ma saprà, adesso, che sapore hanno le sue labbra, quanto dolci sono le sue curve. E io qui, rinchiuso tra queste mura, resto a immaginarlo.
Mi dirai com’era il suo volto, mentre stringevano il patto che li ha legati fino alla morte? Se era scolorito dall’emozione o dalla tristezza? Mi dirai se hai visto, mentre col Mjollnir benedivi la loro unione, qualcosa nei suoi grandi occhi chiari, come l’immagine di un’ombra? Quando leggerò la descrizione che forse farai mi chiederò cosa avrei fatto, se fossi stato libero. Avrei fermato la cerimonia? L’avrei presa e portata via, fuggendo con lei attraverso mondi sconosciuti e affascinanti? Oppure mi lascerei andare alle recriminazioni di un passato che ormai c’è stato e non si può cambiare? Pensa, fratello, quante volte ci saremo incrociati, io e lei, nel tempo in cui ancora ero certo di essere figlio, come te, del Padre di Tutto. Posso immaginare la scena. Sigyn, che mi osserva assieme ad altre dame, confusa in mezzo a loro, e io che le passo accanto senza vederla: forse a cavallo, con negli occhi già l’eccitazione della battaglia, oppure a un banchetto, tra canti e risate. Quand’è che mi ha visto, osservandomi da lontano? Perché non ho incrociato il suo sguardo, allora?
Tu scrivi che io e lei abbiamo una relazione. Fatta di brevi frasi, sguardi e desideri. Tu affermi che è tanto evidente quanto più io mi sforzo di negarlo, e fai una considerazione insolitamente giusta per i tuoi canoni: se non mi interessasse, non avrei bisogno di ribadirlo con forza ogni volta. Ciò che mi lega a Sigyn, è il desiderio. Non posso averla, e allora il solo pensiero di lei si sublima, ammantandosi della perfezione degli ideali e dei sogni. Il vetro che ci separa, che malediciamo a denti stretti, in realtà acutizza la nostra disperazione, gonfia i nostri cuori*****.
Ma perché scrivi ancora di lei? Cosa importa al figlio di Odino, se il fratello rinnegato e perduto si crogiola in pensieri che lo distraggono dalla prigionia infelice ed eterna cui l’avete costretto? Dove vuoi arrivare? Credi forse di potermi controllare, attraverso lei? Speri di suscitare in me tanta disperazione da spingermi a implorare il perdono presso Odino, come se potesse bastare a placare il suo rancore, a rimangiarsi la sua condanna? Se Sigyn fosse un trucco escogitato da te, dovrei ricredermi sulla tua scarsa perspicacia. Ma, se così dovesse essere, credo che, come al solito, tu abbia avuto solo una fottuta, sfacciata fortuna Thor. Ti dico com’è andata. Effettivamente, la ragazza mi notò, al tempo. Chi non l’avrebbe fatto? Ero il figlio di Odino dalla cattiva reputazione, il principe scapestrato che non riusciva proprio a mollare i suoi scherzi e il suo comportamento, come dire, differente rispetto a quello di voialtri: un bello e dannato, direbbero sulla tua preziosa Midgard. E tu, sei venuto in un modo o nell’altro a conoscenza di questo importante dettaglio, e l’hai sfruttato a tuo vantaggio. L’hai mandata qui sotto, da me. Poteva essere il mio tipo, avrai pensato, così bionda e delicata. E hai sperato che, nella solitudine forzata, mi incaponissi con lei, di lei. Che potesse essere un balsamo sulle mie ferite, o sale su di esse. O entrambi. Oppure, forse, è stato il caso e basta, e io ho solamente bisogno di uscire da qui, o di dormire. Il sonno in questo luogo non giunge più a farmi visita.
Lettera 11
Fammi uscire, fratello. Te ne prego. Portami via di qui, lascia che sparisca in qualche anfratto dell’Universo. Oppure abbi il coraggio di scendere nell’oscurità e di porre fine a questa insopportabile prigionia. Per l’amore che millanti di aver provato nei confronti del tuo miserabile fratello, ti imploro. Poni fine a tutto questo. Mi manca l’aria, qui sotto, né riesco più a sopportarne la puzza maleodorante. È rarefatta e asfissiante, diversa da quella fresca e carica di profumi che sferzava sui nostri visi quando galoppavamo verso l’orizzonte. Mi manca lo spazio, rinchiuso in questa scatola crudele di venti passi per diciotto. Li conto e li riconto con ossessiva, maniacale ripetitività, come se, compiendo sempre lo stesso gesto, potessi scoprire che i passi non sono diciotto, ma diciannove, non venti, ma ventidue. Quale sorpresa sarebbe, accorgersi che lo spazio si è dilatato! Devo uscire, Thor, e rivedere la luce del sole, sentire la pioggia sul viso, calpestare l’erba, la sabbia, la terra, la neve. Ho bisogno di sapere quando è notte e quando, invece, è giorno. Sentire il canto degli uccelli che annunciano l’alba, il frinire delle cicale la notte. Corri da Odino, fratello, tirami fuori da questa gabbia crudele, dove mi pare di essere rinchiuso già da mille anni, e il conto dei giorni mi riesce sempre più difficile. Per l’affetto che ci lega, per tutti i giorni in cui abbiamo riso, scherzato, combattuto, bevuto assieme, vai da Odino, vacci ora: se è il figlio prediletto che lo supplica di liberare il prigioniero maledetto, forse il suo cuore si intenerirà.
Vai da lui, Thor, e piangi lacrime amare, ricordando i nostri pomeriggi passati a cacciare: ricordi la volta che perdemmo i cavalli, e dovemmo camminare a piedi per tutta la notte, prima di ritrovarli? E le cose che ci dicemmo, camminando sotto la luna e le stelle, sognando la nostra futura grandezza? Ricordi quando fuggimmo di corsa dal palazzo del Re degli Elfi Chiari, ancora mezzo svestiti e con gli stivali in mano? Ti aveva sorpreso con le braghe calate assieme a sua figlia, e nemmeno le mie parole riuscirono a placarlo. Fu la mia magia, a farci scappare, tra le risate e con ancora il sapore dei baci delle graziose Elfe sulla pelle. Ricordi quando finimmo in quel pozzo oscuro, imprigionati per tre giorni e tre notti, senza che nessuno ci trovasse? Io sì, non ho dimenticato un solo istante, ed è per quell’affetto che allora ci legava, che ancora ci lega, che ti prego di farmi uscire da qui, prima che la mia mente finisca di vacillare per cadere, infine, nel baratro di una follia che già si insinua nelle mie notti insonni e tormentate. Ma sono davvero notti?
Lettera 12
Quando una guardia viene assegnata per la prima volta ai sotterranei, i suoi compagni veterani la costringono sempre, inevitabilmente, a portare il pranzo o la cena ai prigionieri più pericolosi o, addirittura, a entrare in una delle celle. È un rito crudele, ma necessario. Solo dopo aver affrontato questa prova, inizia ad essere trattato come un commilitone. Capita, spesse volte, che la nuova leva sia solo un ragazzo inesperto, che abbia paura persino di avvicinarsi ai vetri spessi che ci separano dal mondo. Non è raro che lo scherzo sia cattivo e il ragazzo pianga, o rischi di essere aggredito da un prigioniero in attesa di un secondo di distrazione per fuggire. Alcuni degli ospiti del sotterraneo partecipano con gusto sadico al perfido rito, facendo di tutto per spaventare il novellino. Tuttavia, nonostante la disponibilità a terrorizzare gentilmente offerta da orchi e banditi, sembra che la creatura più spaventosa di tutte le prigioni di Odino sia io. Sono soddisfazioni.
Il fatto è che al loro gioco io non partecipo, e questo mi rende, ovviamente, la loro attrazione principale. L’ultima prova che deve affrontare un guardia per poter lavorare qui sotto ed essere trattata con rispetto, è rompere le palle a me. Stamattina è toccato a un ragazzo fresco d’accademia, guadagnarsi l’amicizia dei suoi compagni. Oh, Thor, avresti dovuto vederlo! Non capisco come abbia fatto, a superare l’addestramento ed essere una guardia, davvero. Era così terrorizzato solamente dall’idea di avvicinarsi al vetro della mia cella, che i suoi compagni l’hanno dovuto spingere in avanti. Io leggevo, proprio seduto sull’intelaiatura che regge il cristallo resistentissimo. Hanno paura di me, temono i miei occhi, le mie parole, i miei sorrisi. Li spaventa la gentilezza delle mie richieste, la cortese benevolenza con cui mi rivolgo a loro. Sono entrato qui come quello che sono, un principe che doveva diventare Re, e come tale continuerò a comportarmi fino a che le Norne non taglieranno il mio filo. Se questo deve essere l’unico regno concessomi dalla sorte, ne accetterò di buon grado il dominio e lo governerò con responsabilità e premura, misurando instancabilmente la distanza che corre tra una delle pareti della mia cella e l’altra. Fammi avere altri libri, non sopporto di dover leggere di nuovo gli stessi.*****
Lettera 13
Non mi accontento affatto del mio regno, se così si può chiamare. Faccio solo quello che mi hai chiesto, che mi hai costretto a fare ricattandomi. Ti informo sulla mia vita, mantengo il contatto con la realtà. Direbbero così, su Midgard? Credi che sia un metodo efficace per controllarmi? Le tue paure sono offensive e chiunque, al posto mio, avrebbe fatto lo stesso. La vita degli Asi è troppo lunga per consumarsi in un’attesa che si protrarrà per migliaia di anni. Avreste dovuto avere la pietà e la sensibilità di comprenderlo quel giorno, invece non l’avete fatto e adesso mi ritrovo a dover mangiare senza posate, una conquista di Vanheim che certo tu e i tuoi amici non avete mai apprezzato, ma che io riconoscevo e utilizzavo con piacere. Piacere, sì. Una parola che adesso è legata al passato non grazie a me, che cercavo vendetta per essere stato tradito e ingannato, ma per merito di nostro padre, che nasconde sbagli ed errori sotto il tappeto. Esilia, bandisce e imprigiona chiunque lo scontenti senza dare spiegazioni perché niente esiste, se il suo occhio non lo vede. È questa che chiami giustizia, fratello? Crescermi come figlio suo, facendomi allungare le dita verso il trono quel tanto che bastava per desiderarlo, senza poi darmi la possibilità di ottenerlo? Dici che il potere mi ossessiona e che l’Hlidskjalf è maledetto. Forse è vero, te lo concedo, ma per colpa di chi? È stata solo la mia ambizione a condurmi qui? Come potevo lasciare impunito un simile affronto, come avrei potuto guardarmi allo specchio sapendo di non aver tentato nemmeno per un istante di ribellarmi a qualcosa che ritenevo ingiusto? L’orgoglio è un mio difetto, lo so: un aspetto che condivido con gli Asi, un popolo fiero che ama il combattimento sopra ogni cosa e desidera primeggiare, sempre. C’è un fuoco che ci divora dall’interno e ci spinge a superare i nostri limiti e a non abbassare la testa di fronte a niente e a nessuno.
Ora ti vedo, stai scuotendo la testa e pensi al Titano che, da qualche parte, mi aspetta e non pensa ad altro che a un modo per vendicarsi della mia sconfitta. Permettimi di ricordarti che Thanos non è un essere comune. È un mostro, un distruttore, un pazzo. Ho chinato la testa al suo cospetto, lo ammetto, ma l’ho guardato diritto negli occhi, e quello che ho visto non mi è piaciuto. Non scelsi di incontrarlo, fratello. Caddi dal Bifrost – ricordi? – caddi per milioni di chilometri attraversando le ere e il tempo e finii in uno dei suoi regni. Si sorprese accorgendosi che ero ancora vivo e le mie ferite, invece di condurmi nell’oltretomba, guarivano. Disse che avevo una tempra così robusta che sarebbe stato eccitante vedere come e in che modo si sarebbe spezzata. Parlò con una voce strana, carica di una cupidigia che mi terrorizzò, lo ammetto. Mi mostrò il potere vero, quello delle Gemme dell’Infinito che tu stai cercando invano e che lui tenta di recuperare da millenni.
Ho fatto delle cose, per il Titano, il cui ricordo mi opprime e insegue persino in questo sotterraneo squallido e maleodorante. Le vedo danzare nel buio davanti a me e non c’è perdono né assoluzione neanche nella consapevolezza che non avevo scelta. Non mi pento di quello che ho fatto, questo è il punto. Provare rimorso sarebbe consolante, nella mia condizione. Io invece so esattamente che rifarei ognuna delle bassezze compiute per il Titano perché l’alternativa sarebbe stata una morte orrenda e inutile. Un altro avrebbe fatto quello che mi si comandava di fare, e allora perché sacrificarsi? Trovi il pensiero troppo cinico, egoista, vile persino? Mi sta bene, ma lascia che ti dica una cosa: la mia paura non è nascosta dall’ipocrisia, e le mie righe sono state molto più schiette delle mille frasi retoriche di cui Fandral e Volstagg si sono sempre riempiti la bocca. Quel “Per Asgard”, che gridano in continuazione e ripetono mentre si ubriacano nei bordelli e si sciacquano la bocca con l’idromele, significa davvero che il loro spirito indomito sarebbe pronto a dare ogni cosa per la città degli Asi e il loro mondo? O non è, piuttosto, la vanità a spingerli a desiderare una morte gloriosa affinché possano brindare nel Valhalla con i grandi guerrieri?
A me non spetterà il Valhalla, fratello, e non solo perché creperò dentro questa cella. Brindare con voi priverebbe la grande sala degli dèi della sua piacevolezza. Io non sarei ben accetto e voi vi trovereste a disagio in mia compagnia, e l’Aldilà degli Eroi non deve essere una festa malriuscita, ti pare? No, a me non spetterà il Valhalla e credo non mi importi più, ma avrei fatto ogni cosa per rendere Asgard grande. Il Titano l’aveva guardata, la nostra città che si stende oltre il ponte color arcobaleno, e io ho distolto il suo sguardo dalle guglie d’oro del palazzo reale dicendogli che non era nulla, un insignificante puntino scuro nella vastità dell’Universo. La mia voce avrebbe dovuto tremare come le mie mani mentre parlavo e spiegavo, invece risuonò sicura nella sala privata di Thanos e lui mi guardò e alla fine acconsentì a dimenticarsi del mondo retto dall’Yggdrasill, il frassino sacro. Eccolo, il mio tributo per Asgard. Non ho avuto bisogno di gridarlo, anche se avrei voluto farlo. È stato decisamente meno teatrale di quanto avrei voluto, ma senz’altro efficace. Invece Asgard mi ha rinchiuso e condannato a una vita che è una farsa, la recita triste che offro al mio popolo di derelitti e disgraziati: lo spettacolo di un Re ingabbiato, privato dei suoi poteri, dimenticato. Racconto storie, alla mia gente. Spiego i miti e le leggende che ci hanno resi grandi, e descrivo le battaglie che Odino e Bor prima di lui hanno fatto affrescare sui soffitti a volta del palazzo reale. Loro mi ascoltano, non riescono a resistere, e non importa che siano secondini spaventati e compiacenti o delinquenti e nemici degli Asi. Per un momento il vetro della prigione sembra sparire quando racconto, ma alla fine della storia l’incanto svanisce e io non sono più nei campi di battaglia o perso in mille esplorazioni, ma torno qui, in questa cella maledettamente piccola di nemmeno venti passi per lato. E allora perché mi biasimi per aver cercato soltanto di migliorare la mia condizione? E tanto per la cronaca, come faccio a mantenere il contatto fottuto con la maledetta realtà dentro una gabbia dove nemmeno posso vedere il sole?
Lettera 14
Non me ne può fregare un cazzo di meno di Asgard. Ora che te l’ho scritto mi lascerai in pace? Gli sguardi ansiosi dei secondini che mi riveriscono come fossi ancora il loro principe non scalfiscono il mio disinteresse. Vorrebbero parlare, dirmi che nella città di Odino è successo qualcosa di grave: li fisso, li sfido a dirmi cosa è successo e a chi. Le loro labbra tremano, gli occhi si puntano in basso, la mia Corte di straccioni e condannati a morte ghigna soddisfatta e io dico solo una cosa: “Chiamate Thor, chiedete aiuto al primo figlio. Lui ha il Mjollnir.”
Mi rispondono che sei lontano e non puoi tornare e allora rido. “Balder il Buono non è in grado di risolvere i vostri problemi? Il giovane Hoder forse non ha un’ottima mira ed è poco più di un bambino, ma nelle sue vene non scorre il sangue di Odino? ****** Perché mi fissate come se io avessi la risposta?”
C’è fermento nei sotterranei fratello, ma a me non interessa. Leggo e traduco i poemi antichi dei nostri antenati e degli Elfi e vivo in un altro luogo, in un altro tempo. Qualsiasi ombra abbia offuscato l’Hlidskjalf non mi riguarda più da mesi, anni, però non ti nascondo che sono rimasto sorpreso quando è scesa Sif, in compagnia dei tre deficienti, ovviamente. Sei davvero lontano, se non hai impedito loro di venire qui. Lei in particolare si aspettava che le parlassi, e questo è davvero ironico perché c’è stato un tempo in cui io l’ho pregata di fare la stessa cosa e Sif mi ha rifiutato persino uno sguardo. Adesso avrai aggrottato le sopracciglia e colto senz’altro il riferimento o forse è troppo poco e devo aggiungere altro alla mia spiegazione. Lascia che ti dica com’era il suo viso quando mi ha visto: pallido, teso, sgomento, tanto da darmi una misura precisa di quanto debba apparire tetra e oscura la mia figura qui sotto. Saranno stati i capelli scarmigliati o i segni scuri sotto gli occhi, a spaventare la nostra fiera amica? Non le ho parlato, ma mi sono avvicinato tanto da sfiorare quasi il vetro della mia gabbia e l’ho guardata nei suoi occhi scuri per capire se le piacesse lo spettacolo.
Lei si è ripresa dal momentaneo smarrimento e si è messa a controllare se la mia prigione fosse davvero sicura come sembrava. Asgard trema per colpa di qualcosa che non sono io, ma a me non interessa, non frega niente di meno. Io e lei abbiamo avuto una breve relazione, lo sapevi? Provava vergogna allora come ne prova adesso, e pare quasi che il cedere qualche notte alla solitudine abbia macchiato per sempre il suo animo nobile e intrepido*******.
Mi ha riempito di domande, ma io non ho risposto. L’ho guardata dall’alto in basso perché se lei ancora non è venuta a patti con se stessa e con le sue azioni passate, per me non è più niente e questa è una mia vittoria. Mi interroga e io non rispondo e allora non siamo più un prigioniero e la fiera guerriera di Odino, ma un Re e la sua suddita che chiede senza ottenere. La poltrona su cui siedo qui sotto è il mio trono e queste mura umide sono la mia Corte, anche se ammetto che non è sontuosa e salubre come la Sala dove ci nascondevamo da bambini. Di questo regno sotterraneo io sono il signore e il padrone e lei non può far niente. Mi tempesta di domande e io le concedo nient’altro che l’ombra di un sorriso canzonatorio che la irrita ancora di più, perché le ricorda quello che entrambi sappiamo e che lei non ci tiene a far sapere – che abbiamo scopato, e dimostra come lei e la sua spada non abbiano alcun potere qui dentro. Sollecita i secondini e le guardie impettite, ma loro fanno finta di non ascoltarla nemmeno.
Posso non risponderle. Il giorno dopo no, sono stato tirato fuori dalla mia cella e portato in un’ala dei sotterranei che certo non conosci, e lì mi hanno ficcato la testa in un secchio d’acqua chiedendomi come avessi fatto e se c’entravo qualcosa. Mentre riprendevo fiato, con le mani legate dietro la schiena, una guardia mi ha bisbigliato all’orecchio che la sorella di Sigyn è scomparsa all’improvviso, e neanche Heimdall riesce a trovarla. Poi mi ha chiesto perdono, ha detto “Vostra Altezza solo pochi secondi stavolta, mi spiace” e di nuovo mi sono ritrovato con la testa nell’acqua.
Continua...
*Volutamente è un discorso indiretto.
**Come nel prologo del primo film Thor.
***Loki qui descrive un drakkar, le vere navi vichinghe.
****Così è descritto Odino nell’Edda quando si manifesta sulla Terra.
*****Come forse sai, o forse no, questa fanfiction è la sorella maggiore della mia breve storia “Sposami, Sigyn”, già postata su questo sito qualche mese fa.
******Hoder è un Ase cieco, nel mito.
*******Hai presente quello sguardo che si lanciano Sif e Loki in Thor: The dark world? Appena li ho visti ho pensato “questi due se la sono spassata”. Ad assecondare il tutto ci pensa, come sempre, la mitologia: nella Lokasenna il nostro eroe dichiara di essere andato a letto, tra le altre, proprio con lei.
Giuro, la prossima volta metto i numeri alle note!
Deliri dell'Autrice
Caro Lettore presente o silente, grazie mille per il tempo che hai voluto dedicarmi leggendo queste mie righe. La fatina dell’ispirazione ringrazia. Posso rubarti qualche altro istante? Come vedi/intuisci, la piega della storia inizia ad assumere contorni foschi e decisamente thriller, come nell’avviso. Le tematiche delicate saranno presenti, ma solo accennate (del resto Loki sceglie i suoi argomenti o risponde a delle domande e certe cose, semplicemente, non ha bisogno di spiegarle). Ricorda sempre che Loki è il dio dell’inganno. Ingannerà anche te che leggi. Potrebbe scrivere una lettera assolutamente falsa, completamente vera, o parzialmente vera/falsa J
Come sempre, mi farebbe piacere ricevere un tuo pensiero su queste righe e i motivi sono principalmente 2:
- Le recensioni sono un po’ la mia personale “indagine di mercato” nei tuoi confronti. Non la vedere come un’ingerenza. Si scrive partendo sempre da una necessità interiore, ma quando si posta e si condivide, la storia appartiene in un certo senso anche a chi legge e la immagina. Tu leggi, ma ti piace?
- “L’indagine di mercato” è un indice utile per capire quale storia postare, a quale dare la precedenza, se nel cassetto ho già pronto qualcosa che potrebbe far felice te, che mi leggi. Magari vorresti una fanfiction dove succede X e Y e forse io l’ho già scritta, ma se non ci parliamo non lo sapremo mai.
Cosa posterò prossima settimana? Una shot che mi hanno richiesto due malandrine…
Tua, S.
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Capitolo 3 *** Si apre la caccia ***
Capitolo 3 – Si apre la caccia
Lettera 15
Brindiamo al caos che ha fatto tremare le torri di Asgard e alla paura che attanaglia Odino! Padre Tutto sta davvero invecchiando, se teme che le sue prigioni non riescano più a contenere il male. Ha così paura di me, tiene tanto in considerazione il mio potere, da fantasticare che possa minacciare la vita in superficie. Mi fa ridere questo, immensamente, quindi non è vero quello che ti hanno raccontato. È stato un incidente. Non puoi pretendere di catturare un lupo e lasciare che sopporti la cattività senza tentare di liberarsi e scappare, qualunque cosa significhi. La mia Corte mi guarda spaventata oltre questo vetro infrangibile, eppure non resiste alla tentazione di fissarmi. Gli altri prigionieri sono in attesa e vogliono godersi lo spettacolo, la scena madre: come posso biasimarli? La caduta di un dio è qualcosa di affascinante e, per molti dei miei sudditi, noi Asi siamo questo, dèi condannati a vivere migliaia di anni, costretti a impazzire, schiavi come chiunque di desideri e passioni, vizi e bassezze, colpe e vittorie. Lei è scesa e questo non lo avevo previsto. Non voglio sapere se è stata mandata da te, da Odino o se è venuta di sua spontanea volontà. Non è un dato che potrebbe essere rilevante. Conta il resto, piuttosto. Non te ne ho parlato perché non era importante e, del resto, se a te importasse davvero saresti qui, davanti a me. Avresti il coraggio di guardarmi negli occhi.
Non le ho parlato, all’inizio. Mi sono preso il mio tempo per osservarla, scrutare ogni dettaglio del suo viso mentre lei guardava l’illusione della mia sagoma coricata nel letto. Invece ero lì, a pochissimi centimetri dalla sua bocca, vicino alle sue labbra. Se solo non ci fosse questo fottuto vetro, fratello, sarebbe mia anche solo per una notte. Solo che le Norne hanno deciso diversamente, e così non posso fare altro che spiare il modo in cui si protegge la gola con lo scialle e l’anello che le brilla al dito. Non è ancora sua ma non potrà mai essere mia, e questo è crudele come abbandonarsi a pensieri viziosi mentre lei si tormenta dalla disperazione.
Non è stato facile scendere qui sotto, e non solo perché ha confessato di amarmi col peggiore dei tempismi di sempre, ma per sua sorella. Maggiore, suppongo, cui era legatissima. I suoi occhi gonfi di pianto e straziati dalla stanchezza me l’hanno detto, i capelli acconciati con meno grazia del solito l’hanno confermato. Sigyn non dorme, non mangia, non respira quasi, da quando il mantello di sua sorella è stato ritrovato vicino a una taverna. Non aggrottare le sopracciglia, ti prego. Qui nei sotterranei non passa la luce del sole, ma le chiacchiere corrono veloci e si trasformano in storie diverse e più scure di quanto non sarebbero in superfice. Puoi biasimarci, per questo? Sigyn ha sfiorato con la sua mano bianca e sottile il vetro come se volesse svegliarmi. Non le avrei mai dato la soddisfazione di mostrarmi vigile perché mi ha negato la sua vista per giorni. Anche io sono vittima della noia, e la mia Corte di disperati non mi offre certo una vista piacevole. La sua gonna colorata e leggera mi racconta che è estate e c’è il sole, da qualche parte; la sua vita stretta sottolinea il suo corpo sottile e ben fatto, la scollatura né ampia né castigata concede e nasconde quel tanto che basta da darmi qualcosa di interessante cui pensare prima di addormentarmi. E poi la pelle, fratello. Perfetta, morbida, bianca, da toccare e baciare. Ho smesso di ragionare con la testa, lo ammetto. La volevo e ho avvicinato anche io la mano al vetro e lei ha sentito qualcosa e ha visto il riflesso del sangue.
Si è messa a strillare, la cretina. È saltata come un leprotto e ha cacciato una serie di urli insopportabili e isterici tanto che la guardia si è spaventata e ha aperto la cella e si è precipitata dentro e lei appresso a lui. I due deficienti si sono resi conto con un secondo di ritardo cosa hanno fatto. Va bene, lo ammetto. C’erano dei precedenti (1) che hanno spinto Bjorn a entrare: lei aveva detto che c’era sangue, ma lui non doveva lasciare che lo seguisse; quello è stato un errore imperdonabile e lo sai pure tu, fratello. Cos’era, dormiva quando all’Accademia spiegavano come si gestisce un prigioniero? Mi cadono le braccia, davvero.
Ad ogni modo, non appena hanno varcato la soglia della cella l’incanto è svanito e mi hanno visto. Era meno grave di quanto ti hanno raccontato. Per riprendermi dalle premure di nostro padre ho colpito il muro con un pugno con i risultati che sai. Non ho bendato la mano perché non me ne fregava niente, ma non è questo il punto, maledette Norne. È il resto. Sono stato più veloce di loro. Ho disarmato Bjorn, gli ho rotto il naso e ho preso Sigyn. L’ho afferrata per la vita, ho sentito la pelle morbida e calda sotto il vestito leggero che indossava, ho respirato l’odore dei suoi capelli, di lei. Ha sentito quanto la volevo? Temo di sì perché era rigida e spaventata, mentre la tenevo ferma e dicevo a Bjorn che se era così che difendeva Asgard c’era poco da stare tranquilli. E mentre lui si scusava, io mi sono inebriato del profumo di Sigyn annusandole il collo e le guance e avrei continuato, se i suggerimenti osceni di quel branco di depravati attorno alla mia cella non mi avessero ricordato che stavo comportandomi da bestia anch’io. Le ho porto le mie più sentite scuse – le avevo anche macchiato di sangue l’abito - e lei ha accennato una lieve riverenza e si è detta preoccupata per la mia mano, ma era sconvolta e tremava.
Le ho detto che è pericoloso entrare nella tana di un animale feroce, e che avrei potuto rapirla e usarla come scudo prima, ostaggio poi. Sigyn ha iniziato a piangere in silenzio e io non ho potuto fare a meno di dirle quello che era necessario sapesse: non è vero che mento continuamente, fratello. Molto spesso dico la verità, anzi, sono il solo che abbia la forza di farsene carico, ma non viene accettata.
“Non dovresti piangere per me, Sigynella, e non dovresti più nemmeno cercare lei.” Ho scosso la testa, ma ho continuato a guardarla perché bisogna avere il coraggio delle parole che si pronunciano, sempre. “Lei è morta. L’hanno uccisa poche ore dopo averla presa. Scappare e occuparsi allo stesso tempo di un ostaggio è difficile.”
È impallidita, ha sgranato gli occhi. “Tu non lo puoi sapere,” ha sussurrato e poi l’ha gridato sempre più forte finché le altre guardie non l’hanno trascinata via. Sia chiaro, Thor: non me la sarei mai scopata lì dentro come ha affermato qualcuno. Sarebbe stata una barbarie, un atto indegno di me e del mio retaggio, eppure affondare il naso nei suoi capelli e sfiorare con le labbra la sua pelle è stato simile a com’era vivere. Qui sotto il vino non ha sapore, il sonno non ristora, l’acqua non disseta, il cibo non sazia, la lettura non appaga. La cella si è richiusa.
Lettera 16
Punto uno: sono stati dei pazzi incauti e idioti loro, non io.
Punto due: lasciatemi crepare in pace.
Punto tre: non ci vuole una mente geniale per capire che era morta. A che pro rapire la sorella di Sigyn, per farsene cosa? Suo padre è un notabile come ce ne sono a decine, sua madre un’ancella minore della nostra. È gente semplice che possiede qualche rendita e una casetta in campagna, oltre a quella ad Asgard. Come lo so? Dalla stoffa con cui è stata realizzata la gonnella della biondina, un filato di media fattura, non certo di pregio. E allora che cosa farsene di una ragazza che senz’altro avrà avuto mille qualità, ma certo non era ricca e non era utile per un riscatto? Fidati fratello, se continuassi questo discorso offenderei la mia intelligenza e la tua, posto che tu ne abbia. Ora, per favore, non far precipitare qui quell’invasata di Sif o uno dei tre deficienti: non ho nessuna voglia di stare a sentire i loro starnazzi inutili né vorrei un altro fastidioso incontro con la giustizia di nostro padre. Non mi sono ancora del tutto ripreso dall’ultima volta, capisci?
Punto quattro: io non vedo il futuro(2) e non ho modo di interferire con il mondo di sopra. Se potessi farlo sarei fuggito da qui. Ho solo ragionato con i pochi dati a mia disposizione, valutando quanto mi hanno raccontato le guardie. Per quanto riguarda Bjorn, gli ho consigliato cosa regalare alla fidanzata per il loro anniversario e gli ho porto le mie più sentite scuse, ma davvero quel ragazzo ha bisogno di allenarsi e svegliarsi un po’, tiene la guardia troppo bassa. Non è pietà la mia, beninteso: si è comportato da deficiente e chiunque altro lo avrebbe ammazzato senza pietà, ma io sono un principe magnanimo e, qui sotto, lui è più suddito mio che tuo, te l’assicuro. Concedimi almeno la mia Corte di derelitti, dato che non hai mosso un dito per me davanti a nostro padre. Come hai preso la notizia della mia tortura, dimmi: ti sei andato a lagnare, hai protestato? Oppure te ne sei fregato dimenticando tutte le belle parole che hai speso quando mi hai visto l’ultima volta? La mano va migliorando.
P.S.
Trovo indelicato porgerle direttamente le mie condoglianze, ma sarebbe scortese non farlo. Dubito che scenderà nuovamente qui sotto dopo quello che le ho fatto.
Lettera 17
Brindo ad Asgard, che trema perché un nuovo mostro gira indisturbato per le sue strade. Brindo ai nostri fratelli più giovani (3), che brancolano nel buio dimostrando di avere il sangue annacquato, brindo a te che sei lontano e te ne freghi di questo posto, brindo a Odino che mi ha interrogato tutta la notte e a Heimdall, che non sa guardare dove dovrebbe(4). Con cosa? Con l’idromele di primissima scelta che papà mi ha mandato per scusarsi del pessimo trattamento, per la mano rotta e il senso di colpa di vecchio che lo tormenta. O sei stato tu? Non me ne importa un accidenti, purché me ne mandi qualche altra botte. Giuro che non farò niente di irresponsabile, prometto.
Nostro padre si è cimentato in una sequela di domande trabocchetto da antologia, davvero, preso com’è dall’idea che io possa nuocere al suo prezioso regno. Non gli ho dato nessuna soddisfazione. Non so quale fosse il punto, se desiderava sfruttare le mie intuizioni per catturare l’uomo che ha ucciso la sorella di Sigyn o fosse realmente convinto che io sappia chi è. Gli ho detto quello che vado ripetendo in giro da giorni – che ho solo troppo tempo libero –, e che le mie erano semplici supposizioni dettate dal buon senso.
D’accordo, potrei essere stato volutamente ambiguo e forse ho scherzato un po’, ma non puoi pretendere la serietà da uno che è stato giudicato pazzo, ti pare? In fondo, ti scrivo per questo motivo e nient’altro: i guaritori hanno detto che sarebbe stata una buona terapia e tu hai colto la palla al balzo e mi ha posto davanti a un becero ricatto. Libri e beni di servizio in cambio di lettere che non fossero solo un elenco di insulti. Peccato Thor, era liberatorio scrivertele.
Lettera 18
Sei tu un fottuto idiota che si nasconde dietro a un pezzo di carta. Tira fuori le palle e vieni a dirmelo in faccia qui sotto, avanti. Ti aspetto. Cos’è, hai paura di scendere? Ti fa male il cuore a immaginarmi qui? Sei patetico e debole. Credi di fare il tuo dovere scrivendomi suggerimenti e consigli, ma non osi nemmeno farmi visita e parlare a quattr’occhi. Tu mi hai incarcerato e devi prenderti la responsabilità delle tue azioni: non vuol dire questo, essere Re? Invece l’erede designato, il difensore dei Nove Regni non riesce a scendere le scale nere della prigione neppure per vedere il fratello di cui sente così disperatamente la mancanza. Non hai avuto il coraggio nemmeno di venirmi a trovare dopo l’incidente. Non che me ne freghi qualcosa, beninteso. Questa non è una scenata di gelosia perché mi hai lasciato solo – cogli l’ironia della frase, te ne prego. È un grido disperato perché non puoi lasciarmi senza libri. Cosa dovrei fare, mettermi a stringere amicizia con i miei sudditi cenciosi? Dovrei provare a socializzare con il troll che provò a sgozzare Sigyn e che mastica a bocca aperta, cui Asgard fornisce posate che a me sono state negate? O con l’Elfo Nero che crede di essere un Nano e racconta di voler andare a lavorare in una compagnia teatrale? Questo posto fa schifo: è umido, puzza di muffa e ci manda fuori di testa.
D’accordo, so cosa vuoi. Avevo consegnato la lettera, ma ho chiesto al secondino la cortesia di farmi aggiungere altre due righe. Nella mia Corte dei Miracoli l’educazione ha una certa rilevanza, che credi. Ovviamente ho notato che lei non indossa più l’anello e naturalmente le ho chiesto il motivo, anche se mi ero fatto una certa idea, ma la sua richiesta non posso nemmeno prenderla in considerazione. Sigyn è sconvolta dal dolore e crede erroneamente che io sappia qualcosa su quello che è capitato a sua sorella o, peggio ancora, riesca a rispondere alla domanda fondamentale: chi e perché l’ha uccisa. Non comprende che il male a volte esiste e basta, e che io ho usato non il seidr né qualche magia oscura per capire che era stata uccisa, ma un pizzico di acume e basta.
Ovviamente non mi ha creduto: sono stato il primo a dirle che Astrid non sarebbe tornata e a lei tanto basta. Si è aggrappata all’idea che io riesca, in un modo o nell’altro, a trovare il nesso, la ragione, il movente: di più, vuole che le consegni il colpevole. Ma io sono solo un prigioniero, e non ho i mezzi né l’interesse a risolvere questa faccenda. So benissimo che questa spiegazione non ti basta. Tu vuoi che ti racconti com’è andata, che ti faccia accedere ai miei pensieri. Vuoi sapere se lei è la chiave di volta per una mia redenzione o un’arma che puoi rivoltarmi contro quando ne avrai voglia, o forse questo è un piano di nostro padre, del potente Odino così ipocrita e crudele da seppellire ogni problema sottoterra e poi buttare la chiave.
Vuoi che ti dica che l’ho trovata bella? Lo era, ovviamente. Ho desiderato levarle di dosso l’abito nero che indossava nell’attimo stesso in cui è scesa. Adesso il racconto si è fatto più intrigante e succoso. I capelli erano acconciati in una treccia ordinata, ma la sua massa folta e bionda ha qualcosa di caotico dentro che le impedisce di tenere la sua capigliatura a bada. C’è sempre un ciuffo fuori posto leggermente ondulato che le spunta dal viso o si incastra sulle sue spalle. Si è avvolta in un lutto serrato che dovrebbe mortificare la sua bellezza, invece esalta il colore della sua carnagione tanto da farla splendere. Gliel’ho detto.
“Sei un raggio di luce in queste prigioni, Sigyn, anche se i tuoi occhi sono così tristi.” Poi, prima che potesse rispondermi, mi sono scusato di nuovo per averla spaventata, ma ho precisato che avrei mentito se avessi aggiunto che ero pentito per ciò che avevo fatto. Le ho guardato l’anulare finalmente sgombro e poi sono risalito cercando i suoi occhi grandi, liquidi, animati da una luce disperata.
“Astrid era il tuo centro, non è vero? Ma l’hai persa e ora tu non sai più dove andare.” Gliel’ho detto calcando ogni sillaba affinché ascoltasse, interiorizzasse, si rigirasse in bocca e nello stomaco la mia frase. L’ho vista stringere le mani bianche e sottili, sostenere coraggiosamente il mio sguardo peggiore. Sono stato crudele e non me ne sono pentito, perché non si può scendere fin qua e pensare che non abbiano un prezzo, le mie parole. La soddisfazione non è nella mia natura, ti ho detto qualche volta in passato, ma ci sono certe cose che me la fanno sfiorare, accarezzare. Era a disagio e io ho sorriso.
“Tu sei l’unico che lo sapeva.” Di nuovo il mio sguardo corse sull’anulare libero finendo poi per indugiare sul resto – Sigyn è nelle mie ovvie fantasie erotiche, tanto da farla arrossire, indietreggiare.
“Com’è successo?” ho domandato a bruciapelo, per sorprenderla e impedirle di alzare le sue difese e inventare una bugia qualsiasi. Mi ha guardato offesa, e ha spiegato con quattro parole che la morte di sua sorella ha messo in crisi un rapporto che già aveva basi precarie, come forse ricordavo. Ho riso e ho sentito la necessità di infierire e inserire il dito nella piaga perché non potevo oltrepassare quel vetro e lei, suo malgrado, ha riempito la mia fantasia. Non la amo, ovviamente, ma come già ti ho scritto è l’unica donna che scende qui sotto e il suo profumo è dolce e invitante, un insieme di vaniglia, miele e fiori.
Ho riso e le ho detto che so riconoscere le bugie, quando le ascolto, e le ho ricordato com’è che è andata davvero. Il suo ormai ex promesso sposo che le portava sempre fiori si è stancato di aspettare una donna fredda che non si voleva nemmeno far toccare. Ha resistito per mesi in attesa che la sua timida fidanzata gli concedesse qualcosa di più, invano. Si è ripetuto che il suo virginale pudore era indice di un’indole sensibile anche quando gli hanno detto che alzava le sue lunghe ciglia nere su di me. Ma io non sono più una minaccia né per Asgard né per il signor nessuno in questione e quindi ha lasciato correre. Solo che poi Astrid è stata rapita e poi è morta e Sigyn non solo non voleva più sentir parlare di nozze, ma cercava vendetta e ricordava come io le avessi predetto la triste fine della sorella. Gli ha confessato che avrebbe chiesto il mio aiuto, di nuovo. Questa decisione, mescolata al categorico rifiuto di non mettersi in ginocchio e slacciargli i pantaloni, ha convinto il nostro uomo che le due pecore e le tre vacche della dote di Sigyn non rappresentavano una svolta economica significativa né avrebbero contribuito al riassestamento delle sue finanze.
Invitandola a fare a me ciò che si era schifata di compiere su di lui, l’ha lasciata. Confesso di aver fatto lo stronzo e di aver esagerato. L’ho vista impallidire e sobbalzare e i suoi occhi si sono velati di pianto. Ho colto nel segno con troppo vigore, ma ormai era tardi per rimediare. A denti stretti, mi ha detto che non aveva mai desiderato sposarsi né col suo promesso né con altri, e che le sue nozze servivano ad aiutare la sua famiglia e le erano state imposte, la sua dote consisteva in un palazzo in città e in numerosi campi, ma qualcuno nel passato recente si deve essere sorbito davvero poco più di un paio di pecore, perché il riferimento l’ha davvero ferita. Poi si è voltata verso l’uscita e lì è successo qualcosa di increscioso.
I nostri spettatori affamati di storie e disperati quanto me hanno iniziato a fare chiasso, a suggerire e ipotizzare scenari scandalosi, a gridarle oscenità. Uno si è calato le braghe mostrando la scarsa – è il caso di dirlo – dotazione. La mia corte di delinquenti è formata da pessimi soggetti, fratello. Alle volte male interpretano i miei gesti e le mie azioni e credono di fare la mia volontà. Ecco, il decerebrato in questione deve aver pensato che il suo ripugnante gesto potesse essere inserito nel novero delle goliardie da prigione. Si è clamorosamente sbagliato e l’ho minacciato di una morte orrenda e tristemente lenta se non si fosse immediatamente ricomposto, e mentre lui obbediva ho richiamato Sigyn. Li ho dovuti zittire ben due volte, ma il disagio di lei era tale che la mia natura signorile – non è ironica questa frase – si è sentita in dovere di concederle qualcosa come un’inutile consolazione, una verità che non potrà rendere meno gravoso il suo lutto.
“Il loro comportamento è imperdonabile e offensivo. Non volevo umiliarti.” Non mi ha risposto, segno evidente che non credeva fossi sincero, e allora sospirando ho proseguito. “Io ero l’unico che avesse ragionato. Era una supposizione, la mia. Nient’altro.”
Il riferimento alla sorella morta l’ha riscossa e convinta a fissarmi nuovamente negli occhi. “Da quando il brillante dio degli inganni si schermisce dalle sue intuizioni?”
È stata acuta, glielo concedo. Ho abbassato la testa e riso tra me e me, compiacendomi della risposta pungente, della verità che mi metteva davanti. “Mi piace questo di te,” le ho detto, “e mi sarebbe piaciuto anche fuori. Non sei solo carina, Sigyn. Sei sincera, ma non in modo stupido.”
Ha chiesto cosa volessi dire non perché ci tenesse a sentire la mia opinione, ma nella speranza che le dicessi ancora qualcosa di Astrid. Era infuriata, livida in volto. Le ho spiegato che essere sinceri non significa vomitare sul prossimo supposizioni e pensieri senza alcun tipo di filtro: vuol dire ragionare, valutare, scegliere. La schiettezza di certe affermazioni è apprezzabile, la mancanza di tatto o di intelligenza imperdonabile. Sigyn, ancora sconvolta, non ha potuto fare a meno di cogliere l’opportunità che le stavo offrendo, così è rimasta ad ascoltarmi e io l’ho messa alla prova. Non era forse quello che voleva quando è scesa qui sotto? Non desiderava che le parlassi e spiegassi, incantandola con una soluzione che non c’è, non esiste?
“Cosa vedi quando mi guardi, Sigyn?” Il vetro ci separa, ma acuisce i nostri sensi, ci offre la possibilità di guardarci negli occhi, di spogliarci idealmente, perché ci è proibito toccarci e il suo profumo è un ricordo vibrante e nient’altro. Questa cella esaspera desideri che altrimenti si perderebbero. Lei ha aggrottato le sopracciglia e distolto lo sguardo poiché il modo in cui la guardo la turba, le ricorda l’innamoramento fugace che provava per me quando calpestavo con i miei stivali le strade della bella Asgard.
“Cosa c’entra con mia sorella?” Dopo che ha confessato il suo amore per me, prova disagio nel parlarmi di certi argomenti e questo pensiero mi diverte. Mi sono sporto ancora più verso di lei mantenendo una posa studiatamente altera.
“Sei scesa qui in cerca di risposte. Vuoi sapere come potevo essere a conoscenza di cosa le fosse capitato. Ti sto offrendo la possibilità di capirlo, a patto che tu sia onesta.”
“È difficile,” mi ha risposto, e i suoi occhi grigi si sono velati di lacrime e non solo per l’infelice sorte della sorella. Aveva capito quello che le avevo chiesto e non desiderava parlarne, perché altrimenti avrebbe finito per confessarmi come mai è scesa per settimane, mesi, qui sotto. Lo spirito di guaritrice mancata che credevo la pervadesse è solo una delle motivazioni; la più giusta e la più pura probabilmente, ma non la meno intensa. Non la biasimo per questo: conosco la nostra natura e so quanto le buone azioni siano spesso animate da sentimenti meno nobili o, semplicemente, egoistici. Il suo difetto è l’incrollabile speranza, la fiducia che ha nel destino che filano le Norne.
“Lo so,” le ho risposto, ma ho insistito, ancora. “Cosa vedi, Sigyn?” (5)
“Questa prigionia ti consuma, Loki di Asgard.” Le sue dita delicate hanno sfiorato incautamente il vetro, la sua voce si è velata di nostalgia. Ha descritto quello che tu non vuoi vedere e che io non riconosco, ma che ha smosso Odino tanto da concedermi una buon barile del migliore idromele. Dimmi Thor, credi davvero che se adesso ti scrivessi la sua dolorosa descrizione farebbe bene alla mia presunta guarigione? Non soddisferebbe piuttosto la morbosa curiosità tua e di quelli cui passi le mie missive? Non ha importanza, credo. Non ho il diritto ad avere un dialogo privato con lei o con altri, e mezza prigione ci ha sentiti parlare: prima che tu possa travisare, ti racconterò com’è andata, affinché tu possa ascoltare anche la mia voce e non lasciarti abbindolare dalle fantasticherie di un gruppo di secondini rintontiti dalla noia e da un mucchio di avanzi di galera e tagliagole.
Occhi segnati dalla stanchezza, pallore, sintomi di qualche tara mentale acuita dall’insonnia, una tosse fastidiosa merito senz’altro dell’aria umida e insalubre di questo dannato sotterraneo di merda. Le ricordo un animale in gabbia, e io ho pensato immediatamente al bellissimo lupo che regalarono a nostro padre quando eravamo bambini: lo ricordi? Era un animale fantastico, fiero e potente che la cattività rese pazzo. Amavo nutrirlo, ma lui sentiva la nostra puzza nel cibo che gli offrivamo e rifiutava sdegnosamente il pasto. Non c’era bisogno che la bella biondina facesse la sua analisi puntuta perché rievocassi la storia del lupo (6): ci penso da quando mi hanno rinchiuso, credo, ma le sue parole me lo hanno fatto rivedere una volta di più com’era nella sua gabbia esibita, esposta. Almeno questo mi è stato risparmiato. Non è stata compassionevole né sciocca. Nelle sue parole ho letto qualcosa che già avevo riconosciuto da tempo, ma è stata solo un’analisi ben fatta e non un’accorata dichiarazione d’amore. Quella me l’ha fatta settimane o mesi fa – il tempo si sbrindella e confonde, qui dentro – e adesso l’unica cosa che conta, per lei, è capire chi le ha portato via sua sorella e per quale ragione.
E sia, se l’è meritato il mio aiuto. Prima di capire perché Astrid è morta occorre dire quando. Le ho esposto nuovamente la mia idea secondo cui il rapimento e l’uccisione sono avvenuti entrambi nel giro di poche ore. Un concetto straziante da accettare, me ne rendo perfettamente conto: implica che le ricerche durate settimane non hanno portato a niente, che le preghiere e le speranze erano vane. Quello che so di com’era quando l’hanno trovata, ha avvalorato ancora di più la mia tesi che credo i guaritori confermeranno. Le notizie che mi sono arrivate qui sotto sono vaghi e imprecisi racconti, ma non è importante, adesso.
“Heimdall non ha visto,” ha mormorato. “Perché? Com’è possibile?” Ho sorriso incrociando le mani dietro la schiena e fissandola con comprensiva tristezza. Ecco il punto, il nodo e il motivo per cui Sif venne da me a chiedere spiegazioni. Sono stato interrogato come un volgare delinquente per questo solo particolare, e se tu non fossi in giro a cazzeggiare per i Nove Regni o le Norne sanno dove, avresti potuto dimostrarmi che le tue non sono solo parole e agire.
“Non è poi così difficile gabbare il vecchio Heimdall,” le ho spiegato.
“Uno solo può vantarsi di averlo fatto: tu,” ha insistito. Quanti giorni erano già passati dal funerale di Astrid? Due settimane? Un mese? Il colore aveva abbandonato il guardaroba di questa ragazza così giovane da tanto tempo? Chiamare la sorella di Sigyn con il suo nome non mi aiuta, come dovrebbe, a stabilire chissà che compassione: non nascondiamoci dietro a inutili ipocrisie. La sua fine è stata orrenda e dolorosa, e una certa inquietudine assalirebbe chiunque pensando come la mano che ha agito in quel modo sia ancora libera, ma tutta la mia pietà si riversa nello sguardo di preda braccata di Sigyn: quando ironizzavo sul suo matrimonio privo di passione, i suoi begli occhi grigi erano più dolci e sereni. C’è sempre, in lei, un’inquietudine dolorosa e antica, ma adesso è stata sopraffatta dal dolore. Il punto è che Sigyn aveva bisogno di essere consolata sì, ma con delle risposte. Si può spiegare il male, Thor?
“Come fai a vedere il mondo? Con cosa mi stai guardando?”
Presa alla sprovvista ha esitato un momento prima di rispondermi, quasi non credesse che fossi così magnanimo da offrirle ciò che mi ha chiesto, dando un senso alla vergognosa vista che ha dovuto sopportare. “Con gli occhi,” ha risposto infine. Brava la mia ragazza, ho pensato.
“E Heimdall, da dove attinge il suo potere di Guardiano?” ho insistito, dicendole con parole più gentili quello che ho confessato a Padre Tutto.
“Io credo… dagli occhi,” ha deciso. A te avrei dovuto fare un disegno, temo.
“E dove li avete tutti e due i vostri begli occhi?” Ci stava arrivando, pian piano, occorreva solo metterla sulla giusta strada. Spiegarle come si ragiona, cosa si fa quando si hanno tra le mani una serie di dati, informazioni, aspetti.
“Che significa? Sul viso,” ha risposto confusa. Le mie domande sono troppo semplici, come la verità che spesso è più banale e insignificante di quanto non ci si aspetti. Ho ghignato – la metto sempre in difficoltà quando sorrido, perché si sforza probabilmente invano di capire quando scherzo e quando, invece, sono mortalmente serio. In fondo, io e Sigyn ci conosciamo appena, nonostante ricordi nitidamente il suo profumo.
“Riesci a vedere quello che stanno mimando dietro di te i miei compagni di cella?”
“No,” ha soffiato voltandosi di scatto. Le ho sorriso. “Nemmeno Heimdall. La spiegazione più semplice generalmente è quella giusta, Sigynella. Usa la logica.”
“Ma questo vuol dire che…”
“Che Heimdall era distratto da qualcos’altro. L’assassino di tua sorella non è un balordo ubriaco, ma uno che conosceva il momento in cui il Guardiano sarebbe stato, come si dice, in altre faccende affaccendato. Questo restringe un po’ il campo, no?”
Quando mi ha chiesto di aiutarla ulteriormente, le ho voltato le spalle e le ho detto di andare via. Farlo non migliorerebbe la mia condizione e dedicarmi alla giustizia di Asgard non mi diverte più come un tempo. So benissimo che mi dirai che lo dovrei fare per lei, ma tra noi non c’è niente: Sigyn è la mia finestra sul mondo preferita, ma non rappresenta niente più di questo. Lo sai.
Lettera 19
Thanos mi ha fatto visita, stanotte. Ho aperto gli occhi ed era lì, seduto sulla mia poltrona, di fronte al mio letto. Da regolamento dovrebbe essere una branda, ma mi è stato concesso un letto, sì: lo sapresti, se ti fossi degnato di portare qui sotto le tue chiappe. Vedi, la mia massima aspirazione in queste tediose giornate che si susseguono le une alle altre, è averti a portata di vista e dirti che sei il solito deficiente.
Ti hanno fatto il culo su Midgard? Ti sta bene, perdente. Le notizie corrono veloci, grazie a quel vecchio spione incapace di Heimdall, che quando serve è sempre con la testa per aria a impicciarsi delle vicende altrui. Oh, come vorrei aver potuto assistere al momento, memorabile, in cui ti sei reso conto che la tua combriccola di saltimbanchi litiga tra sé e non è che la parodia di una vera squadra. Non mi crogiolo delle tue disfatte perché ho l’animo cattivo: sono solo razionale, un concetto che per te è troppo astruso, lo so bene. Che pensavi, di vincere tutte le guerre roteando il tuo martello – una sorta di inutile appendice, te l’hanno mai detto che hai un rapporto morboso con quell’affare? Devi sopperire forse qualche mancanza?! - e gridando come un pazzo “per Odino?” (7) Dato che, ad ogni modo, sei resistente come una pianta infestante, occupiamoci in questa lettera di qualcosa di decisamente più rilevante: me.
Non ho intenzione di farmi visitare dal tuo guaritore elfico del cazzo. Chiuso il discorso. La mia non era un’allucinazione e nemmeno un sogno: Thanos era lì e abbiamo parlato. Ho riconosciuto il suo odore, ho visto i segni che ha lasciato sulla mia poltrona e sul mio braccio. Non me lo sono inventato. Ovviamente è sparito quando le guardie sono accorse, ma non sono stato io. Qualunque cosa fosse, era davvero nella mia stanza-prigione. Mi piacerebbe che la tua solerzia nel raccattare ciarlatani e portarli di fronte al vetro della mia cella a sparare idiozie, si tramutasse in una maggiore rapidità nel trovare i libri che chiedo. Ci si annoia a morte qui sotto, e non mi venire a dire che in tutta Asgard non c’è un solo essere, a parte Sigyn, in grado di consultare un catalogo e tirare giù due volumi da uno scaffale.
Continua...
Caro Lettore,
Grazie mille per essere arrivato fin qui. La Fatina dell’Ispirazione sbatte le sue alucce glitterose e ti ricorda che ogni pensiero è gradito, perché la tua opinione conta. Un caro abbraccio a tutti coloro che, finora, hanno supportato questo simpatico delirio. Grazie!
Ma veniamo al tuo pensiero: forse ti stai chiedendo quali lettere siano false e quali vere, quando Loki menta e quando no. Ti rovinerei la sorpresa e il divertimento se te lo dicessi, ma qualche piccola suggestione te la voglio dare lo stesso.
E se Thor non cercasse la verità da Loki? Non è importante quello che il dio dell’inganno dice, ma cosa, a chi, come e quando. E la sua reticenza su determinati argomenti.
- Nello scorso capitolo, Loki si lamentava di non poter mangiare con le posate.
- “Non sono uno stregone, non vedo il futuro” è un omaggio a una battuta pronunciata in Thor: Ragnarok. Nel testo sono presenti anche altre frasi Loki prese, in questo caso, da TDW (chi mi ha incarcerato/la soddisfazione non è nella mia natura). C’è pure una battuta del primo Avengers, l’hai riconosciuta?
- Balder e Hoder, già citati. Nel mito norreno, Balder sarà l’effettivo erede di Asgard dopo il Ragnarok. Tornerà da Hel, luogo in cui era finito perché, in soldoni, il cieco Hoder lo uccide con una freccia. Chi ha dato un arco a non vedente? Neanche a dirlo, è stato quel buontempone di Loki, che ha pure preso la mira. In questa fiction Hoder non è cieco fisicamente, ma è ottuso, quindi cieco spiritualmente.
- “Brindo a te, vergine…” è un’iconica battuta di uno dei film horror più belli di sempre: Profondo Rosso di Dario Argento.
- Questo dialogo è ispirato a una delle scene più iconiche del film “Il silenzio degli innocenti” che valse ad Hopkins l’Oscar. E niente, Loki assomiglia a Odino più di Thor, lo dice anche Hela!
- La storia del lupo di Odino l’ho inventata per la fiction “Sposami, Sigyn”: qui te la ripropongo. Come? Non hai letto/recensito quella fanfic? Ma insomma!
- Lo fa nei fumetti e nei cartoni, sic.
Ci vediamo giovedì sera, ;) con qualcosa legato alla saga del "Ponicorno"...
S.
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Capitolo 4 *** In fondo alla prigione ***
Capitolo 4 –
In fondo
alla prigione
Lettera
20
Avanti Thor, non
dirmi che sei sorpreso. Non ci credo: quello che è successo
era assolutamente
prevedibile, auspicabile persino. Cosa ti aspettavi facessi, sentiamo?
Una
giovane Asinna è stata offesa da un volgare delinquente
davanti ai miei occhi,
uno che certo non aveva senso sfamare e che mai si sarebbe redento
– ti ricorda
qualcuno, per caso? – e io non ho fatto altro che suggerirgli
una via di fuga
che non scontentasse nessuno e, soprattutto, appagasse
me. Sono un figlio della corona come te e non tollero di
vedere certi atteggiamenti, specie se la scortesia in questione
è stata fatta
alla mia ospite. Questo è il mio piccolo regno privato,
ricordi fratello? E ora
passiamo all’altra questione. Senza libri e altri sollazzi,
la bisca mi è
sembrata un ottimo modo per godere della mia presunta ora di
libertà. Altrove
si usa, non fosse altro che per vedere un quadrato misero di cielo, ma
qui ad
Asgard su certe cose siamo all’avanguardia, dico bene?
Del
pagliaccio elfico non voglio nemmeno parlare: è un
idiota e l’ho detestato dal primo istante in cui
l’ho visto. Non me ne frega un
cazzo di sapere cosa pensa di me o crede di aver compreso. Non capisco
quale
convinzione malata ti abbia convinto che avrei perso il tempo che mi
avanza
tediandomi in sua compagnia, davvero. Ora, ad ogni modo, ti si
prospettano più
di un paio di soluzioni e sono certo che, come al solito, farai la
scelta
sbagliata: punirmi perché secondo te a causa mia un
prigioniero è passato a
miglior vita, negarmi il conforto della lettura perché ho
allestito una
divertente attività ricreativa o per aver fatto scappare a
gambe levate il tuo
cerusico squilibrato. Che caso, tutte le soluzioni portano sempre allo
stesso
risultato.
Sai
benissimo che Sigyn non è più scesa qui sotto e,
del
resto, non vedo perché dovrebbe farlo. Bjorn mi ha informato
che sta ancora
cercando di capire perché la sorella sia stata uccisa e
voleva tentare di
parlarmene, dato che un suo cugino è il vicino di casa della
nonna delle due
ragazze, e allora si è quasi sentito in dovere di
descrivermi la povera morta, ma
a me non può fregare di meno. Qui sotto ogni cosa perde di
rilevanza,
sbiadisce, scolora. Solo l’ombra di Thanos era vera e reale,
ma non ti parlerò
di quello che mi ha detto né ti metterò a parte
di quanto successe quando caddi
dal Bifrost. Non capiresti. Non ci sono parole per descrivere
l’abisso né il
suo regno, e non voglio certo ricordarle in questo posto fetido e
umido,
malsano.
Lettera
21
Avanti
Thor, non te la sarai presa davvero, spero? Era solo
uno scherzo – un riuscitissimo trucco che mi ha strappato
qualche risata e che
resterà negli annali di questa divertentissima prigione. Al
prossimo banchetto,
anziché raccontare per la milionesima volta di quando
abbiamo fatto “chiamate aiuto”
(1) e poi il drakkar che
avevamo requisito ha iniziato davvero a colare a picco – e
lì ci è toccato
chiamare aiuto per davvero, rallegrerai i tuoi ospiti con questo
momento di
spettacolare ilarità. Ma chiudiamo questa allegra parentesi
e veniamo a noi
due.
Il
mio umore migliora quando la gonnella di Sigyn si palesa
qui sotto? Può darsi. Ti ho già detto che il mio
dirimpettaio mangia in maniera
disgustosa e ha uno scarso senso dell’igiene? Ti ricordi che
lei è una buona
lettrice e mi trova sempre testi interessanti? Non credo sia necessario
dire
altro, così come ci tengo a ribadire che non me ne frega
assolutamente niente
dell’opinione del tuo ciarlatano elfico. Ti avrà
detto le solite cose: che sono
un pericolo per me e per gli altri, che la sorveglianza nei miei
confronti deve
essere costante, che soffro di allucinazioni e manie persecutorie. Devo
proseguire?
Sai
Thor, quello che non mi è chiaro è
perché tutti vi
preoccupiate tanto assiduamente per me, ma non vi passi mai per
l’anticamera
del cervello che è questo tugurio scuro, il mio problema. Se
potessi vedere un
pezzo di cielo vero, anziché doverlo ricreare tramite il
seidr, starei
certamente meglio. Adesso non venirmi a dire che me la sono cercata.
Sai meglio
di me che la giustizia di Odino è severa, implacabile e
ingiusta: non ti bandì
da Asgard per aver tentato in buona fede di proteggerla? Fu una mia
trappola,
certo, che aveva come solo obiettivo quello di oscurare te e mettere in
una
luce migliore me; non me ne pento, ma ha avuto un alto prezzo. Curioso
come le
disgrazie di uno si riflettano sull’altro, non trovi?
Esiliato su Midgard,
l’arrogante Thor trovò se stesso e un presunto
nobile scopo. Nel tentativo di
mostrarmi degno di un trono che le mie qualità avrebbero
dovuto farmi ottenere
senza sforzo, io scoprii la menzogna in cui ero cresciuto e la vera
natura mia
e di nostro padre. Ho visitato Jotunheim, durante la tua assenza. Non
con
chissà che intenti melanconici, o animato dallo spirito
patetico dell’orfanello
che voglia ritrovare le sue origini. Non c’è
niente da capire, nella mia
vicenda, e di Laufey ho solo il nome. Non ero in cerca di motivazioni o
giustificazioni; la mia era solamente una curiosità
scientifica, niente di più
e niente di meno. È una terra spaventosa, estranea, gelida.
Non è priva di una
certa selvaggia bellezza, ma è inospitale in maniera
inaudita. Ti strangola con
il suo freddo implacabile e nella sua oscurità senza ritorno
proliferano creature
di cui si può solo immaginare l’esistenza.
È severa, gigantesca, onirica.
Lettera
22
La
fantasia e l’immaginazione dei secondini Asi colpisce
ancora! Alcune delle nostre guardie scelte dovrebbero proprio mollare
lo scudo
e la spada e dedicarsi alla carta e alla penna, tanto fervida
è la loro mente.
Da dove inizio? Lei è scesa, stretta nel suo ormai consueto
lutto, reggendo tra
le mani una serie di carte, plichi, testi. Ha lo sguardo stanco e
deciso di una
che ha passato tutta la notte a studiare, ma questo non ha intaccato la
sua
bellezza, anche se qui sotto facciamo tutti un po’
più schifo del solito.
Dunque, come dicevo, lei è scesa e la prima cosa che ha
chiesto è stata dove
fossero i miei libri. Gli ho raccontato dello scherzo fatto al cerusico
elfico
e a quel demente di Balder il Beota e della gentile punizione che mi
è toccata
in sorte.
Lei
ha sospirato scuotendo sconsolata la testa, e mi ha
parlato con la sua solita voce gentile condita però da un
pizzico di
familiarità assolutamente inappropriata, te lo concedo, ma
certo il suo tono
non assomigliava per niente al modo in cui una maestra carina
rimprovera
l’alunno disobbediente, come ti hanno invece riferito. Non mi
ha affatto
parlato come se avessi cinque anni, te lo posso garantire. Si
è dimostrata
dispiaciuta che le mie tediose giornate debbano passare senza poter
leggere,
raccontando storie a un gruppo di avanzi di galera abbrutiti, non
immaginando
neanche che in questo mio sotterraneo regno ho trovato mio malgrado un
pubblico
e un palco sempre pronto – o costretto, dirai tu –
ad ascoltarmi, e mi ha
contraddetto dicendo che avrei dovuto accettare dal cerusico il rimedio
per la
raucedine che mi affligge. Non tosse stizzosa, banale
raucedine. Sai dove ve lo dovete ficcare tutti, lo sciroppo?
Ma
torniamo a me.
“Dato
che non hai libri con te, forse potresti distrarti
leggendo questo.” Tramite il porta vivande mi ha passato i
plichi e le carte.
L’ho guardata con attenzione – non desiderio,
brutto idiota, attenzione, e ho
dato un’occhiata veloce ai fogli.
“Voglio
la tua opinione. Le guardie scelte dicono che è
opera di un balordo,” ha aggiunto abbassando le ciglia nere e
lunghe.
Ti
concedo che potrebbe lusingarmi il fatto che desideri
conoscere il mio parere, perché la sua richiesta di aiuto mi
ricorda quello che
ero e sono, il principe degli Asi ma, allo stesso tempo, immischiarmi
in questa
disgraziata vicenda acuirebbe ancora di più la
consapevolezza di essere sepolto
vivo qui sotto. A costo di sembrare scortese, le ho detto che avrei
letto per
necessità le sue carte, ma che non si doveva aspettare da me
alcun tipo di
aiuto. Non riceverei nulla in cambio. Il concetto di riportare ad
Asgard la
giustizia di Odino mi offende e ferisce enormemente, e aiutarla da qui
sarebbe
comunque una perdita di tempo. Per cosa, poi? Forse è
davvero un balordo che,
per puro caso, è riuscito a farla franca perché
Heimdall guardava da un’altra
parte; molto spesso la soluzione è a portata di mano ed
è semplice, la cosa più
semplice che si possa immaginare. Le ho detto che capisco benissimo il
suo
desiderio di trovare un perché al male che ci capita, ma le
ho ricordato come
alle volte una spiegazione non c’è, punto. Io sono
uno dei pochi fortunati che
può dire tranquillamente di conoscere il motivo delle
proprie sventure, ma alle
volte la sfortuna e le disgrazie sono semplicemente il frutto di una
serie di
coincidenze che ci portano a vedere connessioni dove non esistono.
Lei
ha protestato con veemenza a questa mia lucida e
coerente analisi, segno evidente che è ben lontana
dall’aver superato il suo
lutto. “Ti chiedo solo di leggere. Cosa vuoi, in
cambio?” ha detto fiera.
C’era
solo il vetro a separarci: senza la lastra sottile e
indistruttibile, i nostri nasi avrebbero quasi potuto sfiorarsi, le
mani
toccarsi. Questo è vero, come i suggerimenti affettuosi
giunti dagli spalti. I
nostri spettatori, dopo l’ultima volta, sono diventati quasi
dei veri
gentiluomini, ma non hanno mancato di dare la loro romantica visione di
come io
e la biondissima Sigyn dovremmo far evolvere la nostra relazione.
L’interferenza ha bruciato il momento, neanche a dirlo, e
così non senza un
certo imbarazzo ci siamo accomiatati con la promessa di riprendere
quanto prima
il discorso. Non mi farò visitare un’altra volta
dal tuo ciarlatano, ma prenderò
la vostra ridicola pozione. Ora, per cortesia, puoi far sì
che abbia di nuovo i
miei libri? Ti allegherò l’elenco dei testi che
voglio e non piantarmi un
casino perché sono troppi: non li leggerebbe nessun altro a
parte me.
Lettera
23
Lo
sapevi e non mi hai detto niente, vero? Ti diverte questo
giochetto? Sono sepolto qui sotto, e non basta una pila di libri ogni
tanto a
farmi trascorrere serenamente l’eternità: la mia
cella dorata è sempre una prigione
priva di finestre e con tre lati fatti di un vetro infrangibile, che mi
rende
uno spettacolo magnifico e inquietante o di patetica desolazione, a
seconda del
mio umore. In mezzo a tutto questo ci sono le tue paturnie e le battute
idiote
che mi regali.
Ho
letto i documenti che mi ha fatto avere Sigyn, ovviamente.
Potrei dirti che li ho studiati e non sarebbe affatto
un’esagerazione. A lei
dirò che non se ne deve occupare e farebbe bene ad andarsene
per un periodo da
qualche parente in campagna. A te, dico di portare le tue chiappe qui e
tenere
bene gli occhi aperti, perché c’è
un’intenzione perversa nel modo in cui quel
pazzo ha ridotto il corpo e non solo per quello che si è
portato via, ma per il
modo in cui ve l’ha fatta ritrovare. Non mi sembra un raptus,
ma una vendetta,
solo che ho troppi pochi elementi per poter capire chi è
davvero. Astrid lo
conosceva? Difficile dirlo. Quello su cui potrei giurare è
che sapeva di agire
indisturbato e che Heimdall non lo avrebbe visto, e partendo da questo
discorso
potrei essere d’accordo su quanto detto, che certi dettagli
li ha fatti per
sfregio. Solo che qualcosa non torna. Se avessi potuto vedere il corpo,
sarei
riuscito a togliermi certe curiosità, ma così non
è stato e quindi facciamocene
tutti una ragione. Del resto, non era un compito che amassi
particolarmente
svolgere anche quando me ne occupavo per conto di Odino. Non mi ha mai
esaltato
come incarico, sebbene non ti nascondo che provavo un certo sottile
brivido di
divertimento, nel dare la caccia a qualcuno, carpirne la
volontà, leggere le
intenzioni. So cosa stai pensando, ma la risposta è no: non
me ne frega
comunque un cazzo.
Finiscila
anche di insistere con Thanos, già che ci sei. La
mia permanenza nel suo mondo e all’interno
dell’entourage che ha creato è una parentesi
fortunatamente chiusa della mia esistenza. Non ho alcun piacere nel
rivangarla,
come ti ho detto. Non so niente neanche del resto, quindi arrangiati.
Lettera
24
Eri
qui, l’altra notte. Ti ho visto. Mi guardavi, sei sceso,
hai riso, hai parlato delle nostre passate battaglie. Davvero mi
stimavi,
fratello? Hai rievocato Nornheim e Vanheim dicendomi che ti fidavi di
me. Veramente
credevi che avremmo combattuto insieme per
l’eternità? (2) Forse anch’io
l’ho
pensato qualche volta, di ritorno da un campo di battaglia, con le ossa
ammaccate dai combattimenti e il sapore dell’idromele della
vittoria sulle
labbra. Dopo no, le nostre strade si sono divise perché non
poteva che essere
altrimenti. La vita adulta non è come ce la immaginavamo
quando giocavamo a
conquistare terre e mondi armati soltanto di due spade di legno:
è lo
smarrimento che provavamo quando ci perdevamo nei boschi intorno ad
Asgard e,
prima di ritrovare la via, ci guardavamo spaesati l’un
l’altro e poi fissavamo
gli alberi minacciosi dalle cime lontane e i rami contorti. Ieri eri
qui, ma
non ricordo di averti risposto. È come se fosse stato un
sogno o una visione.
Davvero sto diventando pazzo, dentro questa cella. Mi basterebbe poter
guardare
un pezzo di cielo protetto dal reticolo di una grata e respirare
dell’aria
pulita e fresca, ma non scriverò a Odino chiedendogli la
grazia o un
trattamento migliore. Sarebbe indegno di me e conosco abbastanza bene
il suo
cuore da sapere che non si scioglierà, se il figlio adottivo
gli chiederà
qualcosa. Anzi. Nemmeno lui ha mai avuto il coraggio di scendere, e non
mi
importa sapere che ogni tanto ha chiesto di me alle guardie: non basta,
fratello, non basta. È solo un modo per lavarsi la coscienza.
Sigyn
è tornata, oggi. Nei suoi occhi ho letto uno smarrimento
nuovo, lo stesso tuo credo. Lo spettacolo che le ha offerto la mia
cella non è
dei migliori, ne convengo, ma non fingete stupore quando mi vedete:
dovevate
aspettarvelo. La bestia feroce ogni tanto scalpita, si infervora,
prende
coscienza della sua condizione: allora la maschera si crepa e potete
vedere gli
effetti delle sagge scelte che sono state prese da Padre Tutto e anche
delle
mie azioni, forse sì. Non mi sto pentendo, fratello.
C’è una sola alleanza che
non rifarei, ma che comunque non mi lasciò la
possibilità di decidere e da cui
fuggii, come ben ricordi. Ma lasciamo da parte questi deliziosi
dettagli e
concentriamoci sul resto.
Lei
ti ha già raccontato tutto, credo. Mi ha detto che
volevi conoscerla per vedere negli occhi la ragazza per cui ho speso
tante
righe, dimenticando come tuo solito che non è amore ma
desiderio, quello che me
la fa inevitabilmente sognare la notte. Lei fissava spaventata il
disordine
improvviso cui non era affatto abituata, comprendendo una volta di
più la
misura della mia disperazione. Dimmi fratello, quale particolare
l’ha sconvolta
di più? I vestiti sporchi di sangue, i mobili distrutti, il
segno delle unghie
sui muri, cosa? Il mio aspetto dimesso? Gli occhi segnati dalla
stanchezza, il
pallore? Non le devo apparire più come il principe
affascinante che non la
guardava, il figlio cadetto del re per cui nessuna cosa era
impossibile. Avrà
avuto vergogna di essersi invaghita di quell’immagine passata
e di aver aperto
il suo cuore a questo – al mostro da cui le madri mettono in
guardia i bambini,
dal gigante di ghiaccio che mente persino sul suo vero aspetto. Ho
dimenticato
anche io dove inizia l’incanto e dove finisce, o forse non
l’ho mai saputo. La
mia forma reale qual è? Quella di Laufey da cui sono nato,
della donna che,
partorendomi, deve avermi trasmesso l’abilità di
mutare forma, un dettaglio
davvero inquietante sebbene divertente, o l’aspetto che ho
assunto quando Odino
mi ha preso in braccio? Nostra madre mi disse, una volta, che Padre
Tutto le
raccontò di non aver usato nessuna runa per donarmi
l’aspetto di un Ase: fui io
ad adattarmi al colore della sua pelle. In fondo, la mia figura
rappresenta ciò
che dovrei essere, che sono, e il volto che vedo riflesso nello
specchio o nel
vetro della prigione, qualunque cosa sia, sono io.
Sigyn
è tornata oggi, e forse ti ha detto che non
scenderà
qui sotto da sola mai più, o che non la posso aiutare anche
se potrei. Invece verrà
di nuovo: lo farà perché ha bisogno di capire
quanto so di questa storia anche
se è spaventata dai miei modi. Non riesco a essere
cavalleresco come dovrei,
con l’unica gonnella che scende qui sotto. Sono stato crudele
e lo ammetto e
lei, certamente, abbassando quelle sue lunghe ciglia nere, ti
domanderà con
voce esitante qualcosa di me, girando attorno al problema senza
rivelarlo. L’ho
turbata, stasera, e non solo per quello che ho lasciato trapelare, ma
per
l’altra battuta: quella che ti confesserà con un
riso nervoso e un gesto rapido
della mano, che le tornerà in mente quando si
adagerà nella vasca piena d’acqua
calda della sua stanza.
Concedimi
di indugiare in queste fantasie, fratello. Fuori
di qui non l’ho mai notata e ora lei ha il sapore e il gusto
delle cose
proibite, negate. Compatiscimi, avanti. Divertiti alle mie spalle,
sorridi
della mia disperazione. I piegamenti che faccio ogni mattina
– quando capisco
che è giorno, perlomeno, servono a non far atrofizzare i
miei muscoli, gli
altri esercizi sono un modo per non farmi venire le piaghe. Ho finto
che le
pergamene portatemi da Sigyn fossero dei pugnali affilati come quelli
che
usavo. Potrei aiutarla per ingannare il tempo e soffocare la noia?
Forse,
probabilmente. Questa morte assurda e francamente disgustosa in
verità non
stimola così tanto il mio intelletto da rappresentare un
valido passatempo
mentale, anche se l’idea che riguardi lei mi rende meno
indifferente alla cosa.
Il che non significa che nelle mie scorse lettere ti ho raccontato una
serie di
palle e di lei mi importa, ma che il mio menefreghismo non è
totale. Non è per
lei, i suoi begli occhi o le sue curve sinuose e invitanti, ma per
quello che
c’è scritto nei documenti che mi ha portato. Non
è che manchino i tasselli per
ricostruire tutti gli elementi della morte di Astrid, è che
sono stati
assemblati male e quindi il quadro che si è venuto a creare
è vago, incompleto,
imperfetto in una maniera disturbante.
Lettera
25
Anche
questo era senza occhi? I secondini non hanno saputo
dirmelo, o forse credevano che certi dettagli non dovessero essere
divulgati.
Certo che c’è un sistema in quello che fa e uno
scopo che vuole raggiungere o
ha già raggiunto. Mi sembra ovvio. Balder si è
rialzato? Buon pro gli faccia.
Odino è preoccupato? Indovina? Non me ne può
fregare di meno. Per quanto
riguarda lei, puoi scopartela, fate quello che vi pare.
Lettera
26
Non
voglio che siate vicini. Non ho intenzione di
immaginarvi insieme, detesto l’idea che collaboriate. Una
risata, una battuta,
un evento fottutamente ridicolo come una pioggia improvvisa e un solo
mantello,
ed ecco che vi trovereste improvvisamente troppo vicini. Ho creato
decine e
decine di situazioni simili e altre si sono verificate senza che mi ci
impegnassi troppo. Io non sono più quello che amava da
lontano. Guardami,
fratello. Scendi qui un’altra volta ancora e fissa il nemico
di Asgard negli
occhi. Dite che sono pazzo, temete le mie azioni sconsiderate, mi
biasimate e
giudicate ancora adesso, ma trovate più conveniente
scrivermi quattro righe su
un pezzo di carta che affrontarmi a viso aperto. Credi che non sappia
perché?
Rispondendomi
per iscritto, avete tempo per pensare una
risposta adeguata per ogni mia frase, ma se foste ora davanti alla mia
cella
ampia ed elegante, la vostra lingua esiterebbe e non saprebbe
ribattermi con
giudizio e accortezza. Tu risponderesti in maniera arrogante e
impulsiva perché
questa è la tua natura, io ti rigirerei contro ogni pensiero
e considerazione
seguendo la mia. Così sarebbe. Con lei è stato
diverso e so perché non scende,
anche se vorrebbe farlo, ma non le chiederò scusa. Respiro
il suo profumo, ammiro
il mio trofeo, ricordo il suo smarrimento e anche se la soddisfazione
non è
nella mia natura e questo, ovviamente, non può certo
bastarmi, fingo di
crogiolarmi in una vittoria apparente. Che altra verità vuoi
che ti serva,
Thor? Cosa ti soddisferebbe? Conoscere i palpiti del mio cuore? Provo
pena per
te e per la morbosa attenzione che dedichi alle farneticazioni di un
pazzo,
perché questo sono, dico bene? Sostieni che ho passato sotto
silenzio certi
piccoli dettagli del nostro ultimo incontro, ma sai una cosa? Io
davvero non li
ricordo, quindi fammi internare in una cella ancora più
buia, perché mi sono
svegliato da un sogno e non c’era un singolo arredo che fosse
intatto, e
anziché spaventarmi ho riso fino alle lacrime
perché l’ho trovato divertente,
immensamente divertente. Chiedi a Bjorn (3), che era di guardia, chiedi
a chi
cazzo ti pare. Non hai bisogno delle mie lettere bugiarde per sapere
quello che
succede qui: la mia corte estasiata provvede a tessere le mie lodi.
Lettera
27
Ha
pianto per me? E tu le hai asciugato le lacrime con le
labbra, l’hai baciata, cosa? Nei giorni in cui non ti ho
scritto ho cercato di
trasformare la mia corte di dementi in un gruppo di persone assennate,
pentite
dei loro errori e acculturate, persino. Le storie degli Asi li
affascinano, li
conquistano meglio e più intensamente di quanto non abbiamo
saputo fare con le
spade e le lance. Li incantano le nostre arguzie, i piani audaci, le
gesta
eroiche. Vorrebbero assaggiare l’idromele che conserviamo
nelle nostre botti,
al sicuro nelle cantine, e levare le loro voci sgraziate lodando Odino.
Non
facciamo solo questo, ovviamente. Alle guardie solerti insegno qualche
trucco
per vincere a dadi o a carte, allo sventurato Bjorn suggerisco le
parole
d’amore da mormorare quando smonterà dal suo turno
alla fidanzata da
riconquistare. Il naso rotto ha dato personalità al suo
volto e figurati, lei
finalmente gli ha concesso un appuntamento. Lui, in cambio, mi
ringrazia
omaggiandomi come mi spetta dato il mio rango e procurandomi quel poco
che mi è
concesso. Vuoi toglierci anche la bisca? Dopo i libri anche questo? (4)
Bjorn
ovviamente mi ha informato della paura che attanaglia
i tuoi futuri sudditi. Siamo a tre, e Astrid non era la prima. Temo ce
ne
saranno altri – che imperdonabile frase fatta – e
che tu ti stia agitando
pigramente con vane parole e non faccia niente per risolvere il
problema.
Lettera
28
Chi
mi ha incarcerato? (5) Chi mi costringe a respirare
muffa qui sotto? Sai già cos’è
successo, te lo ha raccontato lei. Perché devo
ripetertelo io, che gusto c’è a scriverti una
storia che già conosci, che
supponi falsa e per quale fottuta ragione dovrei dirti la
verità? Quale bisogno
soddisfi? Chiami questa farsa ridicola “cura”, mi
obblighi a mantenere un
legame con te, affermi che se non ti scrivessi avrei di nuovo le
visioni, ma il
punto non è questo, nient’affatto: non voglio
essere compatito da te. Vivo in
una cella angolare che ha tre lati fatti di vetro: nessuna delle mie
parole
viene udita solo da un paio di orecchie. Non ho diritto a una vita
privata né a
una vita. Devo espiare una condanna che credo smisurata e ingiusta e,
in tutto
questo, ti ci metti tu. Che non mi servi davvero a un cazzo se non a
farmi
impazzire davvero. Ieri sera vi hanno visto parlare tutto il tempo e la
voce è
giunta fin qua sotto, non priva di una certa ironica compassione nei
miei
confronti, come se lei fosse la mia donna o cosa. Mi hai tolto anche
questo, il
suo sospiro, fratello. Complimenti.
Lettera
29
La
tua offerta di pace mi ha sbronzato, ma questo già lo
sai. Mi congratulo e mi compiaccio per la tua ottima scelta, fratello:
hai dei
gusti francamente proprio di merda, ma di alcool ne capisci, te lo
concedo. Le
ho chiesto di sposarmi per vederla sobbalzare, tremare, soffrire
persino. È
bella e intelligente e questo anche fuori di qui. Era la cosa giusta da
dire
per la tensione che si era creata – qualcosa di vero,
palpabile, che l’ha
stretta come una morsa allo stomaco e l’ha fatta sentire
viva, donna. Hai
intuito questo, nei suoi occhi?
Venne
da me, giorni fa, stretta nel suo lutto ad eccezione
di una sciarpa color primavera: una sfumatura di viola, per
l’esattezza. Voleva
sapere che ne pensassi delle carte che mi aveva consegnato.
L’unica ragione per
cui ti riporto ciò che ricordo di quel dialogo è
perché tutti, anche lei, ti
avranno riferito quasi esclusivamente quella battuta estemporanea e
necessaria,
lo “sposami, Sigyn” che ho detto quasi ridendo, e
non si soffermeranno sul
resto. Perché quello è l’importante
Thor, soprattutto adesso che le vittime
sono tre. Ci sono una serialità e una sfilza di coincidenze
che non puoi
fingere di ignorare. Io sì, le riconosco, ma a me non frega
un cazzo perché sono
lo squilibrato chiuso dentro la cella, ricordi?
Ad
ogni modo torniamo a parlare di Sigyn, della mia Sigyn
che non posso sfiorare, dell’unica donna che mi fa visita qui
sotto. Mi ha
chiesto cosa ne pensassi, delle carte. Credo di aver alzato un
sopracciglio
dubbioso e averle detto che conoscevo il guaritore incaricato di
redigere le
analisi sulla povera Astrid: un uomo meticoloso, uno scienziato di
coscienza.
Morta poco dopo essere stata presa, tentò di difendersi.
Perché dovevo
nasconderle la circostanza che era viva, quando le hanno cavato gli
occhi? È un
indizio importante, anche se doloroso. Sigyn si è piegata in
avanti come se
fosse stata colpita e mi ha chiesto di continuare.
Dicono
di me che sono il dio degli inganni e che la verità dal
mio punto di vista sia un concetto labile, sfumato, grigio. Non
è una
descrizione accurata: mento e tramo per un fine preciso, un obiettivo.
La
biondina non aveva bisogno dell’ennesima persona che le
dicesse quale tremenda
disgrazia fosse capitata all’amata sorellina: le serve un
volto e un nome e un
perché. Io potrei aiutarla, solo non voglio, eppure quel
giorno l’ho fatto a
mio modo e dopo, nemmeno la mia corte di devoti disperati era disposta
ad
appoggiarmi. Temono i miei sguardi, assecondano i miei bisogni, restano
invischiati
nei miei racconti, ma non riescono a tollerare la perfidia di certe
trovate che
metto a punto quando mi assale la noia o la disperazione. Sigyn ha
voluto che andassi
avanti, e io le ho proposto un gioco.
Cosa
ti hanno raccontato, a quel proposito? Che l’ho
guardata con fare altero, incrociando le mani dietro la schiena,
sporgendomi
verso di lei? Confermo, è vero. Vedi,
c’è un altro motivo per cui non è
opportuno che io mi invischi nelle disgrazie di Asgard: questa
è una lotta
contro il tempo. Tre vittime chiamano necessariamente delle altre,
perché
l’artefice ritiene di poter agire senza essere scoperto e
vive in un delirio di
onnipotenza. Può fare ciò che vuole, dato che ha
trovato il modo per non farsi
scoprire da Heimdall e tutti gli Asi brancolano nel buio. A me, invece,
il
tempo qui sotto avanza: è una maledizione fottuta, una
catena in più che mi
tiene vincolato qui sotto. Io posso aspettare che commetta un passo
falso e
dare così un volto a colui che mi ha rubato il mio primato
di mostro, ma voi
no, non potete permettervi che tutti i Nove Regni vedano un uomo solo
gettare
in subbuglio la meravigliosa Asgard, di nuovo.
Lo
so, tu non vuoi sentire questi ragionamenti: starai
imprecando lamentandoti per la mia verbosità, per
l’insistenza con cui giro
attorno al punto, perché per te il tempo scorre, anche se
sempre secondo i
canoni degli Asi.
“Ti
dirò la verità su ciò che ho scoperto,
a patto che tu risponda
alle domande che ti farò,” le ho detto. Sigyn
è rimasta sorpresa, un sottile
disagio l’ha convinta a fare un passo indietro.
“Che
verità?” ha domandato in allerta. Le ho spiegato
che le
mie considerazioni valevano il prezzo di un gioco e che mi sarei
accorto se mi
avesse mentito: lo avrei visto nei suoi occhi, ascoltato nel tremore
della sua
voce, intuito dall’esitazione mostrata nel rispondere a una
domanda diretta.
Ecco qual è il prezzo della conoscenza: aprirsi a me,
spogliarsi come non
poteva fare di fronte ai miei occhi eppure, allo stesso tempo,
rivelarsi più
che se si fosse tolta i vestiti. Ho sorriso. “Concedimi un
passatempo
divertente e avrai le tue risposte.”
Nessuna
costrizione dunque, né allusione. Lei ha
acconsentito perché il pensiero che sua sorella sia
sottoterra e il suo
assassino libero le è intollerabile e non riesce a
dimenticare com’era quando
l’hanno ritrovata, ma io non sono il responsabile dei mali
del mondo e della
sua tristezza: potrei risolverli, forse, ma poi Asgard dovrebbe
concedermi
qualcosa, perché non accetterò mai le parole di
quell’idiota di Balder il
Beota: io non sono in debito con gli Asi. Sto scontando per le mie
presunte
colpe marcendo qui dentro: il conto si è azzerato, la
bilancia della giustizia
del buon Odino è assolutamente allineata. Il mio aiuto
prevede un
corrispettivo, e non me ne frega un cazzo che questa era casa mia e ho
giurato
di proteggerla. Non devo la mia fedeltà a Odino
perché mi ha mentito e
ingannato, come non devo nulla a Thanos che mi ha estorto promesse e
giuramenti
con la paura.
Oltre
il vetro l’ho vista annuire, mentre i secondini e i
prigionieri la guardavano con malcelata ansia: non è un
passatempo inventato
per l’occasione, lo confesso; è il modo in cui
alle volte tormento i miei
nemici qui sotto, perché talvolta, prima di piegarsi al mio
dominio, hanno
bisogno che qualcuno ricordi loro gerarchie e ruoli. Non posso dirti di
non
provare un certo gusto, nell’agire in questo modo; in fondo,
era una delle cose
che preferivo fare anche quando ero solo il figlio cadetto del grande
Odino. Ad
ogni modo, Sigyn ha deciso che non temeva la verità e che
qualsiasi rivelazione
valeva la vendetta per la sorella, così a bruciapelo le ho
fatto la prima di
una serie di domande cattive.
“Cosa
hai provato quando sei entrata in questa cella e ti ho
stretta tra le braccia?”
“Non
è rilevante, credo,” ha risposto in fretta.
Non
si aspettava che le chiedessi questo genere di
ammissioni e si è sentita mortalmente a disagio, chiusa
com’era in un
sotterraneo dove ogni discorso è assolutamente pubblico,
rivelato, commentato
persino. Scende qui sotto da un numero significativo di mesi
– anni, forse? – e
una volta mi ha anche rivelato di avere un debole per me, ma adesso era
diverso: io le ho chiesto di confessarmi non i sussulti del suo
cuoricino
innamorato, ma quelli più bassi: viscere che si
attorcigliano per un desiderio
fisico impossibile da consumare, questo volevo che ammettesse.
L’ho sentito
anche quando l’ho stretta a me. Per questo non la devi
toccare. Non sarà mai
mia, ma certo non può essere tua in nessun caso.
Mi
aspettavo questa sua reazione, così ho finto una certa
sorpresa. “Oh. Già contesti le regole
così, alla prima domanda? Non ho mai
detto che dovesse esserci pertinenza con l’omicidio, mi
pare,” le ho fatto
abilmente notare.
“Gli.
È la stessa mano.”
“Ti
disturba parlarne?” ho insistito ghignando e quasi
toccando il vetro che ci separa. “Vuoi incrinare da subito il
clima di pseudo
fiducia che si è creato tra me e te in questi
mesi?”
“Mi
lusinghi.” L’ha detto per smarcare la mia domanda e
cambiare discorso. È stato del tutto inutile, ovviamente. Si
è guardata attorno
come se fosse braccata, e allora lì ho affondato la lama.
“Allora
rispondi. Cos’era? Eccitazione, terrore,
gioia…”
C’era tutto questo nel suo sguardo, e anche di
più. Mi amava, te l’ho detto.
Quando avevo Asgard nelle mie mani, mi voleva, mi sognava. Adesso vede
l’ombra
sgualcita di ciò che ero, e le faccio pena. Fuori di qua, ci
sarebbe stata una
notte divertente e poi più niente: qui sotto, invece,
penseremo per sempre a
ciò che avrebbe potuto essere; il rimpianto e
l’amarezza fiaccano lo spirito
come l’idromele e l’insonnia fanno scrivere
sciocchezze.
Si
è infuriata, ovviamente. Gli occhi le brillavano per
l’ira e la vergogna. La sua voce limpida e sottile ha
superato il
chiacchiericcio insolente della mia banda di tagliagole ed è
risuonata per le
mura umide e muffite del sotterraneo tutto. Sarebbe stata una regina
perfetta,
così fiera e nobile. Sif mi ha detto che non è
aristocratica per nulla e che
davvero i suoi nonni coltivavano la terra. Alzando le spalle le ho
risposto che
il mio lignaggio pialla gli altri. Non fa differenza, per uno che come
me ha
sangue di Re nelle vene, guardare una contadina, una schiava o la
figlia di un
conte. Non sapevi che fosse tornata a farmi visita? Divertente.
“Se
il tuo gioco crudele consiste nell’umiliarmi,” ha
proseguito Sigyn, “forse è perché in
verità non hai nulla da dirmi. Intuiscilo
dal mio sguardo cos’ho provato, ma leggi bene, dio degli
inganni,” ha gridato
tremando. Ho inclinato la testa da un lato per osservarla meglio e con
aria
critica e una voce assolutamente neutra, ho interpretato il suo
sguardo. In
verità, l’avevo fatto da tempo, ma così
è più scenico e teatrale.
“Desiderio.
Paura. Compassione.”
Ha
annuito trattenendo a stento lacrime di rabbia. “Compassione.
Soprattutto compassione.”
Si
è allontanata e non è vero che sono quasi
soffocato nel
mio catarro dal dispiacere. È solo un fastidio, una leggera
affezione dovuta
all’aria stantia di questo cesso di prigione dove mi avete
sbattuto. Andasse
pure a brancolare nel buio nel vano tentativo di trovare il bandolo
della
matassa di questa lugubre storia, ho detto.
Ah,
quasi dimenticavo. Il foulard che teneva al collo è
stato un pegno che lei mi ha lasciato, non certo ho chiesto io, ma non
l’ha
fatto in quel momento. È ritornata correndo nemmeno due ore
dopo
quell’incontro, ma sai già anche questo. Suppongo
di dovertelo raccontare. È
quasi l’alba e non ho chiuso occhio: tanto vale continuare,
non credi?
Descriverti la noia delle mie giornate e i miei incontri con lei
è sgradevole e
irritante, ma cerco sempre di ricordarmi che se non sto al tuo
ripugnante
ricatto, perderò il privilegio della mia cella dotata di
ogni comodità e del
paravento che mi consente di espletare le mie funzioni al riparo da
sguardi
indiscreti. Cosa credevi, che Sigynella fosse l’unica a
essere squadrata con
una certa cupidigia qui sotto? Provo pena per te. E per me.
Dunque,
come sanno anche i muri verdognoli e male isolati di
questa cloaca fetida, due ore dopo Sigyn è corsa di nuovo
nel sotterraneo e si
è quasi ammazzata cadendo per le scale scivolose per tutta
la serie di
problematiche strutturali dei sotterranei, che mai mi
stancherò di illustrarti.
Io l’ho squadrata dall’alto in basso con un certo
fastidio; il minimo, dopo che
mi aveva carinamente urlato che prova pena per me, ma lei ha ignorato
completamente la mia irritazione. Mi ha detto che era sparita una
bambina, che
forse c’era una possibilità di ritrovarla viva, se
solo io avessi collaborato,
e via di seguito. Le ho spiegato che non avevo la soluzione a portata
di mano
perché non leggo il futuro e non sono una strega e conosceva
i termini della
mia eventuale collaborazione. Si è indignata – o
dovrei dire schifata? – e mi
ha insultato dicendo che era vile trattare in un momento del genere.
Le
ho gridato contro che era da esseri ignobili, ma del
resto aveva presente o no il vetro e il sotterraneo? “Io sono
rinchiuso qui con
una condanna a vita, non per aver pestato la coda ai lupi di Odino. Ho
seminato
guerra, distruzione e morte!”
Di
fronte a tanto sgarbo, la dolce ospite si è mortificata e
mi ha sciolto con una frase tremante e gonfia di speranza.
“Ma non sei un
mostro e mi aiuterai.” Una pausa lunga, un sospiro.
“Cosa vuoi sapere?” ha
mormorato.
Io,
con in tasca la vittoria, le ho fatto una domanda
personale che nessuno oltre lei ha udito e ho ottenuto risposta.
Soddisfatto,
le ho spiegato ciò che avevo compreso dai documenti su cui
avevo messo le mani.
Non salverà la ragazzina – è persa, non
c’è più niente da fare, ma forse
riuscirete
ad acciuffarlo prima che possa nuocere agli altri. Come muto
ringraziamento o provocante
pegno, devo ancora deciderne il senso, si è sfilata dal
collo il foulard viola
con impresso il suo profumo di donna e me lo ha passato grazie al porta
vivande.
Ho
alzato le spalle e finto disinteresse perché lei non
è
che una fantasia graziosa che non ho mai potuto nemmeno sfiorare. Le
guardie si
sono date il cambio, deduco che sia finalmente sorta l’alba,
da qualche parte
in superficie.
Lettera
30
Punto 1: certo che
è una
minaccia, idiota.
Punto 2: non è
elegante
dirti cosa ho fatto con le lettere di Balder.
Punto 3: il cerusico
elfico dice solo cretinate.
Punto 4: sai che
facciamo, adesso? Organizziamo un bel matrimonio qui, nelle prigioni,
in questo
clima di serenità collettiva, sia mai che riusciamo ad
agevolare lo squilibrato
che vuole decimare la popolazione. Tu mi fai da testimone e la graziosa
Sigyn
si occuperà della mia biancheria sporca senza poter
beneficiare dei miei
servigi e dei miei doveri coniugali. Certo, potrebbe consolarsi con le
rendite
e l’oro che forse non mi avete sequestrato, ma ritengo sia
poca cosa dopotutto,
nevvero? Fare la vedova bianca è la massima aspirazione
della sua vita,
immagino. Piantala di dire cazzate e tieni gli occhi aperti, piuttosto.
E fammi
avere idromele di qualità: l’ultimo andava bene
per le bettole che frequenta
quel fanfarone di Fandral. Hai notato la figura retorica? Non si
mangia,
tranquillo.
Continua....
Cantuccio
dell'Autrice (Shilyss we want you!)
Caro
Lettore che sei arrivato fin qui, grazie immensamente
per aver letto queste mie righe. Io e la Fatina
dell’Ispirazione ti saremmo
grate se volessi testimoniare il tuo passaggio e farci sapere se ti
è piaciuta
questa storia che chiede con prepotenza di essere scritta, ma che per
scintillare ha bisogno anche del tuo aiuto: perché ricorda,
lettore: il tuo pensiero vale!
Ringraziamo altresì
di cuore tutti coloro che hanno recensito, e hanno dato un segno del
loro
apprezzamento. Grazie mille!
Il
titolo della fanfiction, come qualcuno avrà riconosciuto
senz’altro, è un omaggio al primo film diretto da
George Clooney che era,
appunto, “Confessioni di una mente
pericolosa.” Parla di tutt’altro. O forse
no?
1) .
“Chiamate
aiuto,” come abbiamo scoperto in Thor:
Ragnarok, è l’arma definitiva degli Asi. Sic.
2) .
Queste
battute sono riprese da Thor: Ragnarok.
Il riferimento a Nornheim è preso dalla scena tagliata del
primo Thor.
3) .
Bjorn,
in onore del figlio di Ragnar in Vikings.
4)
Pesanti
riferimenti a De André e alla mia
fanfiction “Sposami, Sigyn.”
5) “Ti
agiti pigramente” è un omaggio di The
Avengers; “Chi mi ha incarcerato” a Thor: the dark
world, ovviamente. Riferimenti
ai film di Thor, a De André, ad Avengers e al film
“Il silenzio degli
innocenti” sono sparsi ovunque nel testo tanto che, se ve li
indicassi tutti, la
fic sarebbe illeggibile.
Un
saluto e a presto, con il nostro solito appuntamento ;)
Shilyss
<3
|
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Capitolo 5 *** Amici di penna? ***
Confessioni cap. 5
Capitolo
5 – Amici di penna?
Lettera
31
Allora,
cerchiamo bene di stabilire una serie di linee guida,
d’accordo? Non ti aspettare nomignoli deficienti o incipit
particolarmente
melensi. Sono del tutto inutili. La nostra è una
collaborazione, niente di più
e niente di meno. Non ritengo opportuno rivelare a voce tutte le
strategie e
teorie su cui sto meditando; la mia Corte di derelitti è pur
sempre un manipolo
di tagliagole, dico bene? Non mi fido eccessivamente neanche delle
guardie: i
secondini dei sotterranei non vengono scelti personalmente da Odino o
dai
vertici dell’esercito Asi. Controlla sempre che il sigillo
sia intatto. Altra
cosa che ti ordino di fare: una volta lette, brucia tutte le mie
missive.
Niente nascondigli sotto al cuscino. Capito, Sigyn? Cerca di
interrogare i
parenti delle vittime e vedi se esisteva un legame, qualsiasi legame,
con tua
sorella o Heimdall. Potrebbe essere una vendetta nei suoi confronti, ma
questa
soluzione troppo semplice non mi soddisfa. Sbrigati.
Lettera
32
Credo
che la questione con gli Elfi Chiari sia stata gestita
in maniera tutto sommato soddisfacente. Non potevamo fare di
più. Ti pregherei
anche di mantenere uno stretto riserbo – molto stretto
– sulla diagnosi. Anche
se non condividi la mia scelta, è doveroso che almeno tu la rispetti. Non ho intenzione
di prostrarmi di fronte a
nostro padre piagnucolando che non riesco a sopportare la prigionia.
Qui
nessuno ha manifestato problemi del genere, e molti sono rinchiusi da
più tempo
di me. Strano che tu mi chieda di approfittare
dell’occasione: Thor, il nobile
erede di Odino, che suggerisce all’opportunista dio degli
inganni di tramare e
supplicare affinché mi sia concesso cosa, fratello? Un pezzo
di cielo? Una
stanza più grande? Ricordati del lupo che quel cacciatore
regalò a nostro
padre, quando ti vengono in mente queste brillanti idee. La
cattività lo aveva
reso pazzo e triste e rifiutava persino il cibo che mi ostinavo a
portargli:
era una bestia bellissima e fiera, ma non riesco a ricordare come
morì. Non ti
sembra strano, fratello? Ricordo che la notte ci intrufolavamo nel
giardino
dove era stata eretta la sua gabbia e ci avvicinavamo terrorizzati per
vedere i
suoi occhi scintillanti nel buio; mi torna in mente l’odore
dell’erba umida, la
paura, la sensazione della stoffa che si inumidisce a contatto con la
terra e
il rumore dell’animale nervoso che ci fiutava oltre le
sbarre, eppure non
riesco a ricordare l’ultima volta che lo vedemmo vivo e come
lasciò questo
mondo. (1)
Lettera
33
Suvvia,
ma ti pare davvero che avrei iniziato la nostra
corrispondenza con uno sdolcinato Cara
Sigyn? Le nostre non sono lettere d’amore piene di
sospiri: trattano temi
orrendi, soddisfano la curiosa morbosità di due spiriti che
hanno deciso di
interrogarsi su perché esiste il Male. Non possiamo
chiamarci “Caro” l’un
l’altra. Collaboriamo per un fine più grande
– trovare chi mi ha rubato il
primato di signore del Caos, ad esempio. Andiamo con ordine, esaminiamo
i
fatti, guardiamo gli indizi, cerchiamo il filo comune, Sigyn. Non si
uccide in
quel modo in maniera casuale: c’è un piano sotto.
Noi
siamo i cacciatori che devono inseguire una preda che a
sua volta caccia. È ironica la sorte, non trovi?
L’altro giorno ti ho detto che
dovevi trovare dei legami e ti ho indicato gli indizi che gli stolti
non hanno
visto. Le mani, le hai guardate? Osserva le unghie, le labbra i
polpastrelli.
Soffermati sui dettagli, chiediti qual è il fine,
l’obiettivo. Chi caccia ha
l’abitudine di riservarsi un trofeo e sceglie le proprie
vittime: non punta
l’arco a caso. Seleziona un posto, osserva, aspetta e poi,
quando il momento è
propizio, incocca la freccia e mira. Ma come fa il nostro a sapere che
Heimdall
guarderà inevitabilmente da un’altra parte mentre
lui agisce? Come riesce a
celare le intenzioni del suo cuore, oltre che della sua mano? Lo sa
perché non
è un vagabondo come si vocifera persino qui nei sotterranei,
ma qualcuno che ha
accesso ai piani alti del potere, che sa o intuisce il momento in cui
quel
pedante del Guardiano ha gli occhi puntati altrove. Allora, agisce. Se
fosse un
pazzo senza criterio le guardie lo avrebbero già trovato,
invece lui studia e
attende paziente che le sue vittime si trovino nell’esatto
punto in cui sa che
potrà prenderle. Che fantastico intreccio! Che mente
geniale, oltre che
crudele! Mi dispiace, dolce Sigyn: spiava Astrid da tempo.
Asciugati
le lacrime che so stai versando, contieni il
dolore: c’è una cosa cattiva che devo dirti. So
che sei carica di ansia per
quella ragazzina, ma lascia che ti ripeta la verità, per
quanto insopportabile:
arriverai tardi, questa volta. Non ti illudere che la salverai, non
giocare una
partita persa in partenza. Non c’è già
più niente da fare, lo abbiamo visto le
scorse volte. Stringi i denti piuttosto, prendi questa tragedia come
una sfida
delle Norne, trasformala in un’occasione: così ho
vinto molte delle mie
battaglie. Quand’ero libero manipolavo gli eventi a mio
piacimento, dicevano,
ma questa definizione io l’ho sempre trovata in un certo qual
modo scorretta,
ingiusta. Non lo dico per vanità o vanagloria, né
per rievocare il tempo
perduto, ma per aiutarti. Hai detto che saresti stata le mie mani e i
miei
occhi, mi hai guardato con gentilezza in mezzo alle ombre dove tutti mi
temono.
Te lo devo, piccola leale Sigyn. A un altro non farei questi discorsi
perché
non mi è mai importato nulla di spiegare, ma tu sei
coraggiosa e non nascondi
la tua dolcezza: ne vai fiera, e io l’apprezzo.
L’unica boccata d’aria fresca
che rischiara una prigionia che durerà per troppo tempo. (2)
Quand’ero
libero, dicevo, sfruttavo ogni occasione cercando
di cogliere, in ogni evento, l’opportunità.
Bisogna avere una coscienza fluida,
una forte dose di spavalderia e un pizzico di sarcasmo per far crollare
un
impero intero da soli, senz’altra arma che la propria testa.
Così feci in uno
dei Regni che confinavano con le estreme propaggini della terra dei
Nani.
Furono loro a vendermi ai miei nemici: c’è uno
strano rapporto tra me e quel
popolo di abili fabbri e gioiellieri: entrambi amiamo costruire
macchine e
forgiare oggetti di grande valore, eppure c’è
qualcosa che li disturba, di me,
e viceversa. Ci capiamo solo di fronte a un progetto o davanti alla
fucina, ma
dopo tutto è complicato. Forse è
perché i loro maestri sono taciturni e
scostanti e temono che rubi con gli occhi la loro perizia,
l’abilità nascosta
nelle loro mani grandi e nodose. Non lo nego, l’ho fatto
– ma questa è un’altra
storia. (3) Mi vendettero, ma li pregai io di farlo: la mossa brillante
di un
piano geniale. Senza altre difese oltre alle mie parole e a un pugnale
nascosto,
scalzai il tiranno. Così l’ho sempre raccontata,
persino a mio padre e a mio fratello,
ma non ti ingannare. Il piano mutò infinite volte, rischiai
la pelle
altrettante. Il sovrano voleva uccidermi e mancò
l’obiettivo per un soffio. Il
terrore non mi abbandonò mai, anche se lo mascherai
più o meno bene dietro a un
sorriso sicuro, protervo.
Capii
come avrei fatto a liberarmi quando in cella qualcuno
nominò il labirinto. Allora domandai e chiesi e mi fu
risposto, e con quel
mucchio di informazioni stantie buone solo per non far dormire i
bambini la
notte (4), pensai che la via di fuga e la salvezza erano a portata di
mano.
Ecco quello che devi fare. Getta la lettera nel camino non appena
finirai di
leggerla.
Lettera
34
Io
vorrei davvero capire con che faccia mi hai fatto
recapitare qui sotto quattro dolcetti e uno stinco di prosciutto.
È stato uno
dei momenti più brutti della mia esistenza, te lo giuro.
Umiliante, persino più
di tutti i “chiamate aiuto” in cui mi hai lanciato
come un sacco di patate facendomi
sfracellare contro guardie idiote, soldati distratti, balordi ubriachi
e
puzzolenti, persino (4). Bjorn, quel deficiente nato, ha intonato una
canzone
di auguri e si è fermato solo quando l’ho
minacciato brutalmente. Ti concedo
che l’idromele era buono, ma posso giurarti che la prossima
volta spaccherò
questo vetro a calci e ti prenderò a badilate sui denti. Tra
l’altro, se eri
qui e ci tenevi così tanto al mio genetliaco potevi pure
alzare le chiappe,
lasciare il banchetto e portarmeli di persona. Ma il grande e possente
Thor si
mortifica, all’idea di scendere nelle segrete buie e
puzzolenti di Asgard per
vedere il fratellino preferito rinchiuso come un animale, vero?
Però
ti compiaci nel descrivermi la festa. Non sei un bravo
scrittore e le tue battute sono goffe e altalenanti come la tua prosa,
ma una
cosa te la devo riconoscere, fratello. Sai descrivere. Che posso dire?
Che devo
dire? Se fossi stato al tuo fianco, con un corno stretto tra le dita,
avrei
riso delle tue battute e tu delle mie come in mille altre occasioni; ci
saremmo
beffati del volgare Theoric con lo spirito tronfio e crudele di chi si
creda
padrone del mondo. Ma noi non siamo più così, non
è vero? Noi abbiamo visto la
dignità e la fierezza negli occhi del lupo ormai pazzo che
si lasciava morire,
e un soldato strapparsi una lancia dal petto per dare da bere a un
cavallo
ferito (5). Conosciamo la pietà e la tragedia, la caduta e
l’ascesa, e non
possiamo più divertirci come dei ragazzini viziati e troppo
sicuri di se
stessi. Il tuo ritratto di Theoric è rozzo e giusto in una
maniera singolare, e
mi amareggia leggerlo. In una delle tue passate lettere, mi hai
ricoperto di
insulti per aver immaginato una tua relazione con Sigyn.
L’hai definita la mia
ragazza in un modo che, francamente, qua sotto mi ha fatto sorridere
non per il
senso delle parole in se stesse – non è mia
né mai lo sarà, e lo sai, ma per la
loro funzione colloquiale, quotidiana. Avresti potuto dirmelo mentre
strigliavamo i nostri cavalli o tornando da una taverna, invece lo hai
dovuto
scrivere perché mi hai fatto rinchiudere qui sotto, e questo
è crudele e fa
male, ma mai quanto le tue parole. Non sapevo che avesse
quell’aspetto né che
fosse così tanto più vecchio, e se fossi stato
presente certo gli avrei fatto
passare la voglia di dar fastidio a una ragazza con un bel pugnale
piantato sotto
la cintura.
Riconosco
che la tua delicatezza mi ha stupito. Se fossi
intervenuto tu sarebbe stato come se lo avessi fatto io, e Sigyn non ha
bisogno
di questo, ma lasciare che la trascinasse fuori per ballare
è stato comunque
sgradevole e non mi consola che Sif sia andata cautamente ad accertarsi
che tutto
fosse a posto. Stasera va meglio e non ho visto tracce. Ti invito a
essere
discreto con chiunque.
Lettera
35
Mia
dolcissima Sigyn, forse mi stai seducendo? Quel
riferimento allusivo a te che leggi le mie lettere immersa nella vasca
mi ha veramente
colpito, stupito, sorpreso. Sii sincera, era un inganno: la piccola
trappola
che hai messo appunto in modo tale che iniziassi con un incipit
più sfacciato,
la vendetta gustosa per le confessioni che ti ho strappato, il colpo di
grazia
per la proposta indecente che ti ho fatto? O un regalo tardivo,
l’unico che
puoi farmi qui sotto? L’immaginazione ci lega:
l’ipotesi di un futuro che non
c’è né ci può essere, la
frenesia per un passato in cui ci siamo sfiorati senza
incontrarci. In un mondo parallelo a questo siamo stati amanti e io non
sono
rinchiuso in una prigione finché l’ultimo respiro
non mi sarà uscito dal petto.
Così hanno predetto le Norne. Sono andato fino ai confini
del regno di Hela,
per scoprirlo.
Noi
saremmo diventati amanti, cara Sigyn, ma conosco la mia
indole e le mie ambizioni. Se fossi ancora libero, ti corteggerei in
maniera
serrata e, dopo averti avuta una notte o forse due, ti lascerei non
perché tu
non sia degna di me, ma perché solo se si è
liberi e senza legami si può
giocare come faccio io con il destino e le parole. Te l’ho
detto a voce spezzandoti
il cuore e te lo scrivo affinché tu non ti lasci mai
incantare dalla mia voce.
Sono rinchiuso nei sotterranei di Asgard, Sigyn. Non uscirò
mai e, se lo
facessi, dovrei fuggire lontano e tu non saresti comunque con me.
So quanto deve
essere
stato difficile interrogare e domandare alle famiglie stremate dal
dolore
dettagli e particolari della morte dei loro cari; Odino mi ha rinchiuso
nel suo
serraglio, nascondendomi come fa con tutto ciò che offende
la sua vista, e alle
volte devo confessare che la sua punizione non è del tutto
priva di fondamento,
anche se è sproporzionata alle colpe, ma non mi manca
l’empatia come non difetta
a te. È grazie a questa capacità di comprendere
le persone che lo prenderemo:
una brava ragazza di buona famiglia, la prima ritrovata ma la terza
vittima, un
mercante con problemi finanziari, un marinaio beone senza legame
alcuno,
un’altra ragazzina – una povera lavandaia,
stavolta. Tu non vedi ancora il
filo, ma c’è.
Soddisfa un
bisogno, Sigyn,
perché vedi, quello che è terribile dei mostri
è che alla fine desiderano e
odiano e amano esattamente come noi. Desiderano, sì.
Catturare l’attenzione,
compiere una vendetta, realizzare ciò che per loro
è un sogno e per gli altri
un incubo. Gli sfregi che lascia, ad esempio, non sono casuali: fanno
parte di
un disegno – sono antiche lettere, Sigyn. Il che ci riporta
immediatamente a
un’altra considerazione. Non è mentre giri per le
strade sudicie del porto che
devi avere paura, ma quando passeggi nei giardini assolati che
circondano
Asgard e i quartieri dei ricchi. La nostra preda è colta, ha
studiato,
frequenta la biblioteca persino. Quando andrai a prendere altri libri
per me,
consulta il registro e appunta i nomi di coloro che la visitano
abitualmente.
Mi domandi come
mi
liberai quando i Nani mi vendettero. I miei aguzzini si vantavano di
aver
rinchiuso dentro il labirinto intricato un mostro dalle orride fattezze
che,
tempo prima, aveva seminato panico e morte. Quando fui giudicato,
sputai in
faccia all’altezzoso re e ottenni come premio di essere
condotto immediatamente
dall’essere. Fui calato in un pozzo profondo e oscuro:
lì c’era la bestia. La
ammansii con la promessa di una libertà immediata e la
possibilità di
vendicarsi e quella mi credette: assunse la forma bestiale con cui
aveva
soggiogato il regno e spezzò grazie al mio aiuto le catene.
Invece di sbranare
me, come doveva, mise a ferro e fuoco la patria che lo aveva rinchiuso.
Thor e
le sue armate giunsero poco dopo. Brucia la lettera, dopo che
l’avrai letta.
Lettera
36
Le
missive di Balder sono un’accozzaglia mal scritta di
idiozie di stampo bucolico, buonismo di pessimo gusto e considerazioni
politiche miopi e degne di un bambino di cinque anni. Anche se qui
dentro il
tempo di leggere mi avanza, non voglio rendere più gravosa
la mia prigionia
mortificandomi con una lettura tanto ignobile. Asgard trema e lui mi
parla
della primavera che colora i campi. Io dico, è deficiente?
A
nessuno frega della piccola lavandaia, del marinaio
ubriacone e del mercante fallito, ma la ragazza di buona famiglia li ha
sconvolti. Eppure hanno già dimenticato tutto, presi come
sono dalle loro vite
indaffarate. Considera se non avevo ragione, quando ti dicevo che non
volevo
immischiarmi in questa faccenda: molte rogne e nessun beneficio. La
gentile Sif
non ha mancato di farmi sapere che Odino vuole interrogarmi di nuovo,
perché è
ovviamente girata la voce che mi sto interessando di tutto questo o
forse i
corvi che gli defecano sulla spalla e imbrattano di guano la sala del
trono gli
hanno mormorato che Sigyn va in giro facendo domande (6). Il fatto che
mi
interessi dei delitti senza la sua plateale approvazione deve averlo
irritato
mortalmente, motivo per cui potrei non essere in grado di scrivere nei
prossimi
giorni. La nostra guerriera preferita ha anche sentito il bisogno di
darmi una
notizia che certo tu avrai ritenuto troppo insignificante
perché mi fosse riferita
e questi smidollati dei secondini non hanno avuto il coraggio di darmi:
bene,
adesso lo so.
Non
ho intenzione di commentare in altro modo qualcosa che,
a ben pensarci, era inevitabile e scontato, data la situazione. Avevo
compreso
che c’era qualcosa che non andava: Sigyn non mi ha scritto
né detto nulla del
ballo e l’altro giorno, quando è scesa qui sotto,
l’ho vista tesa e poco loquace.
Il nostro gioco si è svolto sul filo del rasoio e io non ho
voluto infierire: è
nei miei sogni necessari Thor, ma non come pensi tu o spera lei. La
desidero
perché è l’unica che vedo. Sigyn si
sforza di ricordarselo, ma alle volte nei
suoi occhi grigi scorgo uno smarrimento nuovo che certo non le fa bene.
Colpa
mia. Mi prendo la responsabilità delle sue illusioni e delle
false speranze che
mio malgrado instillo; quando le scrivo, la penna nella mia mano
traccia frasi
eloquenti e accorate: così sfogo il desiderio che ho di lei,
ma Sigyn con le
dita tremanti si sforza, nella solitudine della sua stanzetta, di
separare il
grano dal loglio, la verità dalla finzione. Colpa mia, che
anche ieri l’ho
guardata diritto negli occhi per farle quella proposta assurda ma
necessaria
proprio perché irrealizzabile. Ho avvicinato il naso al
vetro, le ho sorriso
appena col più affascinante e obliquo dei miei ghigni
studiati e, sfiorando la
lastra come se fosse la sua guancia senz’altro morbida
l’ho fatto, gliel’ho
chiesto. Ti lasceresti baciare, Sigyn?
Quattro
parole che valgono uno scherzo, cui avrebbe dovuto
rispondere alzando le spalle e ridendo. E invece, Thor, ha sgranato gli
occhi
e, confusa, si è affrettata a dire che non potevo amarla e
la mettevo a disagio
e, e, e.
Che
senso ha questo gioco? So che te lo stai chiedendo.
Scuoti la testa credendo che io menta, sperando forse in cuor tuo che
l’interesse sia vero o valutando se hai il campo libero. Non
è il tuo genere di
ragazza, lo hai già detto, ma quando gareggiavamo per il
trono ci siamo contesi
qualsiasi cosa, anche le donne, e non mi stupirebbe se me la portassi
via, né
potrei avercela con lei per questo, ma che sia una simile
nullità, a farlo,
questo no. Dici che è una questione di debiti, di affari, di
accordi pregressi,
ma ciò non toglie che sia comunque qualcosa di squallido. Ha
il doppio dei suoi
anni, per le Norne, se non di più. Non devo spiegarti che su
questo fronte non
possiamo fare assolutamente niente. Offrirle aiuto e sostegno non
sarebbe
impossibile, dato che non mi sono stati tolti i miei beni, ma
l’offenderebbe di
certo e io questo non lo voglio. Il suo sguardo è sempre
stato libero dalla
pietà e dalle costrizioni, quando è scesa qui
sotto, e le devo il rispetto che
mi ha sempre portato. Potremmo provare a convincere il padre,
però. Verrà da
te, prima o poi, o chiederà udienza presso il nostro. Ha
già perso una figlia,
non vorrà perderne un’altra. Potrebbe essere una
buona occasione per fornirgli
i mezzi per liberarsi di Theoric senza dover cedere Sigyn.
Per
quanto concerne l’ultima questione di cui mi scrivi,
come già sai non ci sono stati che sporadici miglioramenti.
Tento di nascondere
segni e fazzoletti, in modo tale che nemmeno le guardie sappiano con
esattezza,
ma a volte la tosse mi sconquassa e mi sveglia nel sonno. Il rimedio
del tuo
ciarlatano elfico, come immaginavo, vale il tempo di addormentarmi e
basta; il
suo effetto si affievolisce nel giro di poche ore. Non ho intenzione di
assumerne dosi più massicce: sarebbe del tutto inutile.
Lettera
37
Non
piangere, Sigyn. Non è colpa tua. Non c’era niente
da
fare. Ha infierito, stavolta. Era un messaggio per noi, per me. Non
è più una
beffa verso Heimdall, se mai lo è stata, ma nei confronti di
Asgard in generale
e mia, persino. Mi propone una sfida di intelligenza e intanto ti
offende. So
che è stato terribile stavolta, entrare nello studio del
guaritore, sollevare
il lenzuolo e guardare. La pietà, il dolore,
l’orrore persino, non sono
sentimenti estranei al mio spirito: non si nasce guerrieri nemmeno tra
gli Asi,
neanche alla corte di Odino. Ci si illude di allenarsi per tutta la
vita fino
al giorno in cui, quando ancora non si è altro che ragazzini
senza barba e col
moccio al naso, si viene spediti su un campo di battaglia. Quello che
tu hai
visto oggi io l’ho osservato nelle tende allestite sul campo
dai guaritori al
seguito dell’esercito, ci sono inciampato in mezzo durante
gli assalti e le
ritirate. Soldati più abili e forti e grandi di me morivano
falciati dalle armi
nemiche e io, sperduto e incapace, sopravvivevo alle loro spalle grazie
alla
benevolenza momentanea delle Norne. Dicono che ci si abitui, alla fine.
Non è
del tutto vero, anzi non lo è affatto. È come una
cicatrice rimarginata che
talvolta prude: ti chiedi perché non è toccato a
te, ti svegli la notte zuppo
di sudore credendo che, da un momento all’altro, le trombe ti
sveglieranno. Non
è facile essere un guerriero Asi, e anche se la promessa per
taluni è il
Valhalla, la verità che nessuno ammette è che ci
impegniamo tutta la vita per
creare una corazza abbastanza spessa da proteggerci dagli incubi che ci
tormentano e, alla prima occasione, scopriamo che i nostri sforzi sono
stati
vani ed esistono crepe troppo evidenti e profonde per essere riparate.
A
te, però, non deve rimanere addosso alcun senso di colpa.
Stai seguendo le mie direttive in maniera pedissequa, seria, compita.
Sei stata
brava, Sigyn, davvero. Non preoccuparti per due colpi di tosse:
è solo l’aria
viziata di questo schifo di cella.
Lettera
38
Sono
davvero curioso di sapere come intendi procedere, dato
che è arrivato a quattro. Aspetterai che massacri mezza
Asgard? Non ho i mezzi
per poter indagare come vorrei, e sinceramente non vedo
perché dovrei
impegnarmi più di quanto faccia. Sigyn ha stilato una lista
di tutte le persone
che leggono in biblioteca resoconti di medicina o politica. Per il
momento,
sono gli unici indizi che abbiamo. Il nostro pazzo squilibrato, il Cacciatore, mentre noi siamo qui a
mandarci inutili bigliettini, si fa beffe di noi. Da un lato, credo
fermamente
che sia un bene: nel delirio di onnipotenza che lo pervaderà
a breve – che
forse già lo consuma –, senz’altro
commetterà l’errore fatale che ce lo
farà
prendere. Dall’altro, mi inquieta la sua precisione e la sua
morbosità. Sigyn è
stata male, dopo l’ultimo ritrovamento. Ho pensato di
esonerarla da questo
compito, ma avrei avuto l’effetto contrario: avrebbe
continuato a indagare per
suo conto, di nascosto.
Come
stai facendo tu su un’altra questione. Sono pochi i
campi di battaglia che non abbiamo attraversato insieme, fianco a
fianco, per
cui immagino che tu non sia rimasto affatto stupito, nel vedere e
nell’osservare cosa è rimasto di quelli che hanno
provato a opporsi al Titano.
E a me. Mi hanno trovato in una taverna in preda al delirio, scosso
dalla
febbre, ferito e ammaccato. Raccontavo le storie degli Asi, spiegavo i
molti
inganni di Odino: come fece a far erigere le mura di Asgard dai Giganti
di
Ghiaccio, come sottrasse lo Scrigno degli Antichi Inverni agli stessi,
come
rapì l’erede di Laufey che doveva morire
abbandonato nella neve per farne il
proprio burattino. La gente, incantata, mi stava a sentire senza poter
discernere la realtà dalla finzione. Ho dipinto te come un
arrogante sbruffone,
Freya come la baldracca che è, Odino come il viscido sovrano
bugiardo e crudele
che ha schiacciato la libertà di Otto Regni sotto la vuota
parola pace. E tu
chi eri, Loki? Il principe offeso e pieno d’orgoglio ferito o
il buffone di
corte, il delinquente bandito ma fiero o il disgraziato che sputa nel
piatto
dove ha mangiato e si discolpa da ogni accusa? (7)
Thanos
mi guardò con disgusto e mi chiese perché la
compagnia di teatranti cui certo appartenevo mi aveva abbandonato
lì, a
racimolare elemosina e a ubriacarmi. Risposi che ero sobrio e i denari
ai miei
piedi rappresentavano i tributi versati dai miei sudditi. Dissi di
essere un
principe di sangue e di aver perso il mio trono. Non si rese conto,
mentre
parlavo e mi ascoltava, che gli avevo sottratto un’arma a lui
molto cara.
Quando se ne accorse, fratello, mi volle tra i suoi. È una
bella storia, non
trovi?
Continua...
L’angolo di
Shilyss
Cari Lettori, bentrovati con il
nostro consueto appuntamento
settimanale. Come forse ricorderete, nel primo capitolo annunciavo che
le
lettere di Loki erano indirizzate a Thor e
a una ristretta cerchia. Eccola, finalmente. Il fatto che il
dio degli
inganni scriva talvolta anche a Sigyn, vi permetterà di
capire meglio il modus
operandi del nostro e individuare i suoi piani. Questo capitolo
è un po’ di
transizione, ma se lo avessi fatto più lungo o avessi
inserito la lettera 39 avrei messo
troppa carne al
fuoco, davvero.
Sono lieta di presentarvi Loki in
modalità primo incontro
con Thanos. Il suddetto non avviene in un giorno di pioggia, ma per
caso con
Andrea e Giul… no, ok, questa è
un’altra storia anche se Thanos per me aveva i
capelli come quello dei Bee Hive, Satomi. Ve lo dico: Loki straccione e
derelitto lo ritroverete in altri lidi, un po’
perché l’unica serie che sto
seguendo al momento è Shameless, un po’
perché ho trovato un fumetto dove dorme
dentro un cartone, un po’ perché prendere
quell’arrogante sbruffone e coprirlo
di stracci mi emoziona come una bimbetta. Vedrete anche una versione
alternativa di codesto incontro in Giochi
Pericolosi, che ha subìto una momentanea pausa
post Infinity War ma tornerà
sui vostri schermi.
Come sempre, grazie per essere giunti
fin qui e per avermi
dedicato parte del vostro tempo. Fatemi sapere se volete che le lettere
indirizzate a Sigyn siano segnate in qualche modo e… donate
un po’ di luce e
gioia alla Fatina dell’Ispirazione
lasciandomi un vostro pensiero. Io rispondo sempre con grande
celerità e
partecipazione perché il vostro pensiero vale!
Recensioni are a writer’s best friend!
Pure i diamanti, ma
penso vi costi meno, nevvero? Oh, se poi avete questo brillocco da
millemila
carati che vi fa schifo, io e la Fatina ce lo facciamo bastare! XD
A giovedì e domenica!
1 Per maggiori info su questa storia,
come sempre vi rimando
alla mia fic Sposami,
Sigyn.
2 Il cambio di registro di Loki
potrebbe apparire forzato:
si tratta, tuttavia, di una lettera consolatoria che
l’ingannatore offre alla
sua “dipendente/galoppina” in un momento
particolare (una bambina è stata
rapita e Loki, brutalmente, le sta dicendo che le ricerche sono
inutili). L’arte
manipolatoria del nostro antieroe si manifesta a mio avviso anche con una sporadica e studiata
gentilezza.
È la tecnica del bastone e della carota, praticamente.
3 Nell’Edda, il testo
mitologico dei norreni, viene
raccontato come Loki si fece costruire dai Nani numerosi artefatti
magici da
donare agli Asi e ai Vani. Uno dei Nani, Brokk, pretese la testa
dell’Ase e
ottenne di cucirgli le labbra per punirlo.
4 Citazione dai film.
5 Citazione di Robin Hood, principe
dei ladri. Quello con
Kevin prima che facesse lo spot del tonno.
6 Huginn e Muninn, i corvi di Odino
che gli riferiscono
quello che succede nei Nove Regni.
7 Di nuovo torna Loki come narratore,
come in Sposami,
Sigyn: alcune delle cose che il nostro eroe
racconta sono volutamente distorte:
nel mito è Loki a imbrogliare per far erigere le mura. Altre
sono vere e prese
dalla Lokasenna (Edda poetica) e dai film (Ragnarok e il primo Thor, di
nuovo
in maniera distorta).
Shilyss
|
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Capitolo 6 *** In mancanza d'aria ***
Capitolo 6 – In mancanza
d’aria
Lettera
39
Ma
guarda! E così nostro padre è stato laconico,
avaro di
notizie riguardo il nostro ultimo incontro. Curioso, perché
è durato quasi
tutto il pomeriggio e non saprei davvero da dove cominciare. Bugia, lo
so
perfettamente. Non eravamo soli, ovviamente. Non lo siamo stati mai.
C’erano
altri membri del Consiglio, c’era il padre di Sigyn, persino.
Un uomo modesto –
di lei ha gli occhi – che si è spaventato,
vedendomi. L’ho trovato ironico,
sai? Un tempo, non molti anni fa, mi avrebbe guardato in modo diverso:
ieri
temeva che potessi far del male alla figlia adorata, allora si sarebbe
raccomandato verso le Norne che io mi avvicinassi a lei con le peggiori
intenzioni.
Quante
ancelle di nostra madre ci hanno presentato le loro
ragazze con un filo di emozione nella voce, gettandocele praticamente
tra le
braccia? A quante è stato detto di sbattere le ciglia e
sfoggiare un abito
particolarmente scollato affinché i nostri sguardi si
posassero sulla pelle scoperta?
Anche quest’uomo avrà fatto un ragionamento
simile, forse lo fa persino adesso.
Se solo non fossi il figlio disgraziato e reietto, che immensa fortuna
sarebbe,
che abbia deciso di nascondere il foulard della sua preziosa Sigyn
nella mia
umida cella! Ieri, invece, mi ha guardato con terrore e io non lo
biasimo per
questo. Mi hanno lasciato i ceppi alle caviglie e ai polsi e io, da
parte mia,
non ho avvertito la necessità di sfoggiare un abbigliamento
elegante. Una
tunica chiara piuttosto ampia, i soliti pantaloni, stivali comodi.
Dignitoso,
ma con quel pizzico di trasandatezza che gli ha fatto ricordare la mia
posizione, il ruolo che ricopro. Avresti dovuto vedere nostro padre:
era a
disagio, e sarebbe stato evidente persino a un cieco come temesse di
parlarmi.
Forse nemmeno verso questo atteggiamento sarebbe giusto che mostrassi
biasimo.
I nostri ultimi dialoghi sono stati una serie di accuse crudeli gettate
l’una
in faccia all’altro, affilate lame retoriche che non hanno
nessuno scopo
apparente se non quello di rendere più profondo il baratro
che ci separa. La
sua giustizia per me non è tale, il mio tradimento per lui
è la mossa
inaccettabile di un ingrato che ha perso il senno. Ma ieri no, non
eravamo ai
ferri corti, o meglio, non potevamo permetterci di esserlo. Troppi
occhi ci
spiavano, in attesa di un passo falso, e nostro padre, come me,
è troppo
accorto per regalare gratuitamente uno spettacolo tanto volgare. Ma
assistere
all’interrogatorio del figlio imprigionato, lasciare che
anche quando ti è
seduto davanti lo stringano pesanti catene, non è in fondo
lo stesso?
Il
suo occhio rapace mi scrutava, avido di notizie che non
poteva chiedermi, ma che certo non gli sono nuove:
l’affezione che causa il mio
pallore, l’aria sovreccitata e folle che anima il mio volto,
erano per lui
fonte di preoccupazione, era evidente, come è palese che tu
non sei affatto in
grado di mantenere un segreto. Non ho la forza di infuriarmi per
questo,
adesso. Fregare Padre Tutto non è uno scherzo, lo so bene,
l’ho imparato a mie
spese e tu con me, non è forse vero?
Il
padre di Sigyn era lì in veste di parte doppiamente lesa:
ha perso sua figlia e teme per l’altra. È andato
da Odino supplicandolo di
allontanarla da me, che metto a repentaglio la sua integrità
fisica, mentale,
morale persino. Questo non me lo ha detto in faccia, ma l’ho
letto nei suoi
occhi. Odino non mi ha messo alle strette per farmi confessare qualcosa
che non
posso aver commesso; stavolta è stato decisamente
più morbido e ragionevole e
mi ha proposto una sorta di accordo.
Una serie di benefici in più di cui potrei godere
all’interno della mia bella
cella se mi impegnerò in maniera costante e, soprattutto,
proficua, nella caccia al cacciatore. Buffo, vero?
Metterà a mia disposizione guardie, libri,
documenti, referti. Quasi tutto ciò che voglio.
Gli
ho fatto presente che indagare in pochi metri quadrati
di spazio non è solamente avvilente, ma anche scomodo e che
non mi fido di
nessuno. Un’affermazione ragionevole, l’ha
definita, soprattutto considerando
che il Cacciatore – continuiamo a chiamarlo così,
fa colore – agisce
indisturbato con sommo scoramento del nostro caro Heimdall.
“Allora,” ha deciso
Odino, “scegli tu un collaboratore; non mi importa chi,
purché tu riesca a
risolvere il problema.”
Non
è andata così, ovviamente. Ho infarcito il
racconto di
qualche menzogna. Siamo stati soli prima che entrassero gli altri
gentili
ospiti. Lui era già seduto, in attesa, ma davvero
il suo occhio rapace mi fissava in cerca delle risposte alle domande
che non mi
avrebbe mai fatto. I secondini, a disagio, mi hanno chiesto di
accomodarmi e
hanno iniziato ad assicurare le manette alla sedia. Mentre
armeggiavano, nostro
padre si è stizzito. “È capacissimo di
liberarsi anche così,” ha tuonato,
“assicuratele al tavolo e basta, senza perdere altro
tempo!”
Che
lusingante riconoscimento delle mie abilità, eh? Ci
siamo scambiati quattro frasi in croce sul Cacciatore, poi ha lasciato
che
entrassero i membri del Consiglio, il padre di Sigyn. Un uomo
sinceramente
distrutto, preoccupato, ansioso. Il suo sguardo vagava da un punto
all’altro
della stanza, domandandosi muto se davvero avremmo dato una risposta a
perché
il Cacciatore si fosse accanito così sulla figlia maggiore.
L’inconsolabile
dolore si sommava ovviamente a quello per la testarda Sigyn.
C’era, in lui, una
mancanza di fede che mi ha stupito: non crede, nel profondo del suo
cuore, che
il pazzo maniaco venga prima o poi acciuffato, anche se il suo stesso
sovrano
ha deciso di occuparsene non dico personalmente, ma quasi. E allora,
fratello,
nostro padre ha sfoggiato una volta di più la sua grande
abilità retorica e gli
ha fatto un lungo discorso su quanto impegno metta ogni soldato di
Asgard in
questa caccia: e qui, Thor, è scattato il suo brillante
piano. Se lo avessi
ideato io, mi avrebbe guardato con aperto biasimo e certamente non si
sarebbe
lasciato scappare la possibilità di criticare la mia
durezza, ma l’ha partorito
la sua mente e allora era perfetto. Usa due pesi e due misure, come
sempre. Ma
andiamo avanti: la penna oggi è pesante da tenere in mano.
Quest’uomo
di cui ora mi sfugge il nome, come ben sai,
appartiene alla classe media: rovesci e disgrazie economiche lo stanno
riportando nel buco da cui è emersa la sua stirpe nelle
ultime generazioni: per
questo la più carina delle sue figlie doveva sposare
quell’ubriacone di
Theoric: la classe dei cavalieri cui appartiene – a
proposito, lo ricordi per
qualche gesta in particolare, tu? Per quanto mi sforzi, io ho il vuoto,
davvero
– dicevo, l’ordine equestre garantirebbe a tutta la
famiglia una posizione di
invidiabile rispetto anche economico che non è per nulla da
sottovalutare. Ti
vedo, fratello. O meglio, immagino esattamente la faccia schifata che
hai
adesso. Il figlio di Odino non deve preoccuparsi di una cosa volgare
come la
sopravvivenza, dico bene? Che cosa poco aristocratica che è,
fare i conti in
tasca a un mercante che si è comprato la toga e che presto
dovrà tornare a
zappare la terra! (1) Ma la gente, caro il mio futuro re, vive con tali
pensieri. Per la famiglia di Sigyn questi sono i problemi veri, reali,
presenti. A loro non interessa di meno delle miniere dei Nani o della
salute
degli Elfi; Midgard è un punto lontano nel cielo che non
saprebbero
riconoscere, Svartlfheim un posto dove ambientare le fiabe da
raccontare ai
bambini, la sera. Ha senso l’oggi e quante monete sonanti
tintinnano nel loro
portafoglio di pelle. Sigyn non è la sola, oltretutto. Ha
fratelli e sorelle
più piccole che dovranno trovare una sistemazione in questo
mondo. Ma perché ti
parlo di questo? Non essere impaziente, adesso ci arrivo, promesso: i
racconti
hanno bisogno del loro tempo, devono cuocere come un piatto gustoso.
Nostro
Padre ha rassicurato i membri del Consiglio: Asgard
non brancola nel buio preda di un mostro. Ha un asso nella manica, una
mente
acuta che vigila già da qualche tempo sulla terribile
minaccia: me.
“Cosa
mi darà Asgard se l’aiuterò a liberarla
dall’incubo?”
Glielo avevo domandato quando eravamo ancora soli, cercando di non
tossire,
augurandomi di non lasciare segni. Nostro padre mi aveva guardato con
attenzione scegliendo con cura ogni parola.
“Dipende.
Cosa chiedi? Quanto tempo pensi di impiegarci?”
Abbiamo trattato prima che orecchie indiscrete ci ascoltassero, lo
confesso.
“Un
pezzo di cielo,” gli ho risposto. “Più
libri. La libertà
è troppo, non me la daresti né io
l’accetterei, forse. La possibilità di
illudermi di vivere secondo il mio rango. Un’aiutante scelto
da me. Altri, non
ne voglio, non mi fiderei.”
Ha
concesso tutto senza particolare enfasi, ovviamente. Teme
quello che succederà – anzi, temeva quello che
sarebbe potuto succedere se, per
liberarsi da un mostro, ne avesse chiamato uno ben peggiore. Da re
molto
attento al consenso e all’immagine qual è, non ha
potuto che decantare con
parole gonfie di ammirazione i passi da gigante fatti in questi
concitati mesi
da me con l’aiuto della ragazza. Ha sottolineato come,
nonostante fossimo privi
di aiuti esterni, io e Sigyn avessimo già notato dettagli
che i guaritori
avevano trascurato, come la terra sotto le unghie, le asportazioni
quasi
chirurgiche, la coincidenza degli omicidi con eventi politici. Nostro
Padre ha
volutamente evitato di dire come il mio aiuto sia stato concesso non ad
Asgard,
ma a Sigyn, e solo in virtù di uno scambio non troppo
nobile. Non era
importante.
Mi
hanno fatto molte domande e io ho risposto in maniera
precisa, ma secca. Via ogni orpello retorico, bandite spiegazioni
inutili: i
membri del Consiglio, preoccupati e incuriositi, hanno potuto
beneficiare
soltanto di una manciata di frasi laconiche.
Al
padre di Sigyn che chiedeva giustizia e protezione,
nostro padre ha offerto sicurezza e tranquillità. Avresti
dovuto vederlo,
fratello! Quell’uomo era lì in rappresentanza di
tutte le famiglie delle
vittime ed è stato comprato, raggirato, irretito dal suo re
in una maniera
totale e inevitabile. Gliel’ho detto, sai? Non ho potuto
resistere, a costo di
dovermi beccare un’occhiata malevola del nostro augusto
genitore. Il discorso
del mercante è stato onesto, accorato. Per Astrid non
c’era più niente da fare,
ormai: le Norne avevano tagliato il suo filo in maniera atroce, ma
Sigyn, la
secondogenita, era una ragazza che ancora poteva essere felice e
superare
quest’incubo.
Odino
gli ha parlato di responsabilità, di destino e di
forze già in moto: come avrei potuto spiegare, gli ha detto,
a un’altra persona
il modo in cui indagavo? Quanto tempo avremmo perso se Sigyn, a
metà
dell’opera, avesse lasciato il suo lavoro da aiutante che lei
stessa aveva
caldeggiato? Povera ragazza: in verità
l’investigatrice è lei e io mi limito ad
essere nient’altro che un consulente, ma questo è
un dettaglio che sembra non
importare a nessuno. Avrei
potuto
difendere i suoi molti meriti, ma sarei incappato nel rischio di far
sembrare
le mie parole più gentili di quanto non dovrebbero. Ad ogni
modo ha concluso
con classe, nostro padre, veramente: gli ha fatto l’elemosina
risolvendo con
uno schiocco di dita tutti i suoi problemi economici. Aveva proprio
bisogno di
un uomo fidato per certi suoi affari, gli ha detto, e così
gli ha
infiocchettato un’elargizione di beni e proventi che
altrimenti sarebbe
sembrata offensiva. Il brav’uomo non capiva e ringraziava il
suo re
genuflettendosi e io, maledicendo la mia tosse selvaggia e inopportuna,
mi sono
tolto la soddisfazione di portare un po’ di verità
in quella stanza. Come
potevo esimermi? Quello diceva: “e mia figlia,
Maestà, la mia povera bambina
deve comunque continuare a vedere questi orrori?”
Capisci?
Cercava di convincerlo, fratello, e allora non ho
potuto trattenere le risate e gli ho spiegato cosa stesse succedendo.
“Ci
sta comprando,” gli ho detto. Mi sono sporto verso di
lui, oltre il tavolo. “Compra te, compra me e compra
Sigyn.”
L’attacco
di tosse improvviso non mi ha impedito di
spiegare. Nostro padre era illividito, il mercante ha aperto la bocca
senza
riuscire ad articolare una sola frase, per la paura, forse, di sentirsi
apostrofato dal dio degli inganni in persona: uno di cui non ci si
può fidare,
che gioca e mente e, da troppo tempo, è rinchiuso dentro una
prigione. Ha
scosso la testa confuso e allora io ho insistito – che altro
potevo fare?
“A
te ha promesso la sicurezza che deriva da un impiego
stabile e redditizio, a me una serie di benefici tra cui la presenza di
Sigyn.
Lei l’ha presa per me,” ho spiegato. Di fronte al
suo smarrimento – o orrore? –
mi sono sentito in dovere di puntualizzare una verità ovvia.
“Ma non possiamo
dirgli di no, dico bene? Ci compra e compra per noi ciò che
vogliamo; non ci
resta da fare altro che dire sì e rispondere grazie
tante.”
Ha
annuito, il buon padre di famiglia, non perché non ami
Sigyn né perché desideri lasciarmela, ma per il
buonsenso di mercante che certo
non gli manca. Non gli ho reso il compito facile. Non ho
l’aspetto che avevo un
tempo, quando ero libero e fiero e camminavo per la mia Asgard come se
mi
spettasse di diritto: i ceppi mi stringono i polsi e le caviglie, i
capelli
sono spettinati e il mio viso è pallido e segnato dalla
stanchezza. Ho un’aria
selvaggia che mi appartiene naturalmente e che ho sempre cercato di
mascherare
con l’ordine: ma io, in fondo, non sono che il signore del
caos e forse dovrei
accettare che la mia immagine manifesti la mia natura. Il caos non
è trasandatezza,
se è questo che ti stai chiedendo, ma è qualcosa
che il padre di Sigyn ha
riconosciuto e di cui ha avuto paura: mi ha fissato come un tempo le
guardie
del palazzo spiavano il lupo di nostro padre quando, esasperato e
furente,
ficcava il naso oltre le grate e annusava il loro odore, la loro paura,
e
cercava di liberarsi dalla sua prigionia per fare l’unica
cosa per cui era nato
e che dava un senso alla sua esistenza: cacciare.
Ma
torniamo a noi: nostro padre ha rimediato in fretta alla
mia scomoda verità, promettendo quello che non
può garantire, confermando cose
che mi pareva avesse negato.
“Loki
è sempre un membro della mia famiglia,” ha
spiegato al
padre di Sigyn, “e si comporterà con onore con tua
figlia, come ha sempre fatto
con qualsiasi donna. Vuole lei e gliel’ho
concessa,” ha ammesso, “perché di lei
sola si fida.”
“Sono
solo parole, non ci crede,” ho riso. (2) Padre Tutto
mi ha afferrato per una spalla; ho sentito la sua stretta calda e mi
sono domandato
quanto tempo fosse passato, dal nostro ultimo contatto. Ci prendeva in
braccio
da bambini, ci rimboccava le coperte quando c’era brutto
tempo, ci faceva
sedere sulle sue ginocchia durante i banchetti e ci consolava in quello
stesso
identico modo quando eravamo ragazzi, con quella stretta potente ed
energica,
eppure l’avevo dimenticato. Non mi si è
risvegliato dentro alcun amore filiale,
non credere. Il mio è lo stupore di chi ricordi
all’improvviso qualcosa, punto.
“Non
sono solo parole,” ha detto. “Tu non farai niente
che
possa nuocerle.”
Che
ho annuito e accettato, questo forse te lo dirà. Che
mentre lo facevo non ho potuto controllare la tosse, anche.
L’attacco è stato
violento e il fatto di aver cercato di trattenere gli spasmi, unito
all’improvviso cambio di aria, deve avermi messo al tappeto.
Annuivo e
soffocavo. Al primo fiotto di sangue, ho cercato di coprirmi la bocca
con le
mani, ma invano: erano legate al tavolo. Ho perso i sensi, alla fine:
l’unica
cosa che ricordo è la voce di nostro padre che chiamava un
guaritore.
Dicono
che ho un piede nella fossa, o nella pira, a seconda
dei punti di vista. Sono stato in bilico tra la vita e la morte, e non
posso
negarti di aver accarezzato l’idea di abbandonarmi a lei, a
un certo punto.
Credo che qualcuno mi abbia vegliato: forse nostra madre, o tu o Sigyn,
o
almeno così mi è sembrato. Non ha importanza. Ho
i polmoni molto più malati di
quanto non sospettava il tuo ciarlatano elfico. Un’affezione
grave,
potenzialmente letale. Per sopravvivere mi servono aria, riposo, sole.
Tutte
cose incompatibili sia con la mia attuale prigione, sia col pezzo di
cielo che
ho appena estorto. Mi serve qualcosa di più.
Nostro
padre si è palesato poche ore fa. Mi è sembrato
stanco. Dice che ci sono notizie del Cacciatore, ma che me le
darà quando sarò
in grado di pisciare da solo e non dentro a una sacca. Mi ha fatto
ridere,
sembrava preoccupato. Ha detto di aver dato ordine di sistemare per me
la
vecchia stanza dei bambini dove stava con i suoi fratelli, Vili e Ve
(3). Il
motivo è che ha un solo accesso, un ponte stretto che
connette la zona nuova
del palazzo reale con quella vecchia. Gli ho risposto che sapevo
esattamente
dov’era e che si trattava di una topaia. Ha replicato che
nostra madre la sta
rendendo vivibile e che ha una vista magnifica e un grande terrazzo. Ho
domandato perché non avesse fatto costruire una gabbia
più grande per il suo
magnifico e fiero lupo. Non ha capito, né ricordato: gli ho
dovuto raccontare
di nuovo tutta la storia fin dove la ricordo, e quando finalmente
è riuscito a
ricollegare le mie frasi, ha scosso la testa. “Il lupo voleva
morire,” ha
detto. “Se anche gli avessi dedicato un bosco intero, non
avrebbe mangiato né
corso.”
Credo
che dopo siamo rimasti in silenzio per ore, giorni,
secoli persino, finché ha parlato di nuovo. Devo proprio
dirtela, fratello, la
sua frase è stata irripetibile e non ammetterà
mai di averla pronunciata, ma
invece l’ha pronunciata e tu devi sapere. “Non
è a causa mia che morirai. Io ti
ho condannato e imprigionato, ma sei tu che hai fatto il
resto.”
Fanne
quello che vuoi. Giudicala tu, rigiratela in gola come
ho fatto io, ancora immobilizzato in questo letto e guardato a vista.
La penna
è diventata mortalmente pesante e ora devo riposare.
Lettera
40
Sai
che non amo gli incipit melensi, Sigyn. Se mi fossi cara
non avrei bisogno di scrivertelo su un pezzo di carta. Te lo direbbero
i miei
occhi e i miei gesti, non trovi? Il tuo ex fidanzato ti chiamava cara e
diceva
che eri la più bella del reame ogni volta che ti vedeva, ma
quando è morta tua
sorella si è slacciato i pantaloni e ti ha chiesto di
provvedere. Un
gentiluomo. Mi ha mandato un biglietto in cui farneticava che
chiederà a Odino
in persona di intervenire e punire la mia intromissione nel vostro
splendido
rapporto. Non aver paura: il mio augusto genitore adottivo stravede per
te e
ritiene che la tua presenza possa far bene alla mia salute, oltre che
alle
indagini. Continua a cercare. Abbiamo trovato un legame flebile tra due
delle
vittime, ma potrebbe essere un falso indizio messo appositamente in
giro dal
Cacciatore per depistarci. Con Heimdall parlerò direttamente
io o, se non vorrà
farlo, spedirò mio fratello con un elenco puntato e una
serie di domande già
scritte. Ti raccomando solo tre cose: non deprimerti venendo qui
un’altra
notte, non ne ho bisogno, fai molta attenzione e non parlare con
nessuno e,
soprattutto, dai fuoco a tutta la nostra corrispondenza. Io lo faccio.
Lettera
41
Sei
un idiota senza speranza fratello, e Balder con te. Non
so da dove cominciare e scrivo anche in una posizione fottutamente
scomoda: in
un letto, con una guaritrice con i baffi che fa l’uncinetto e
mi guarda
malissimo. Sigyn è appena andata via. Quando si è
presentata contro i miei
desideri, ieri, mi ha risposto soave che la mia opinione per lei
contava
moltissimo, ma che aveva chiesto il permesso di visitarmi a Odino in
persona.
Lui le ha dato il suo benestare e indovina? Eccola qui. Non
può avvicinarsi al
mio letto e con tutta questa gente intorno a noi dobbiamo
necessariamente
parlare in codice. Solo che non possiamo inventarci un linguaggio
segreto di
fronte a due guaritrici baffute e tre secondini mezzo addormentati, e
io sono
ancora troppo debole per elaborare. Così cerchiamo di essere
neutrali e
laconici. So benissimo che effetto le fa vedermi così. Si
sente in colpa per
non aver indovinato il mio male ed è in ansia per il
Cacciatore.
È
a disagio, ovviamente. Senza il vetro a proteggerla, si
sente vulnerabile, esposta, in pericolo. Un conto è chiedere
aiuto a un
prigioniero rinchiuso che non potrà mai sfiorarti,
tutt’altra cosa è sedersi a
pochi centimetri dal suo letto. Protetto da una serie di rune in grado
di
attivarsi se solo metto un piede fuori posto, ma
c’è tutto il resto, Thor.
L’odore. La possibilità di toccarsi. La paura,
persino. Non ha mai avuto il
coraggio di farsi avanti, quando ero libero. Le ancelle di nostra madre
ci
presentavano le loro figlie brave a civettare, ammiccanti e seduttive e
lei si
nascondeva dietro una colonna, in mezzo alla folla. Avremo attraversato
lo stesso
corridoio mille volte nello stesso momento: se solo avesse alzato gli
occhi per
guardarmi, se avesse avuto il coraggio di rallentare il passo e
lanciarmi un
sorriso, forse le avrei risposto. Invece è facile confessare
il proprio amore a
qualcuno che non può rispondere se non evocando il tempo
passato in maniera
nostalgica e rabbiosa, pensando a ciò che si è
perso, abbandonandosi a un
rimpianto che non per forza deve essere una storia d’amore.
Dicono che la mia
vita sia appesa a un filo; io sostengo, a differenza, che nei
sotterranei ero
morto, per questo lì Sigyn aveva il coraggio di guardarmi.
Tutto
il contrario di quando indaga per mio conto, non ti
pare? Lì la ritrosia scompare, la timidezza diventa
spavalderia. Sono colpito
dall’insistenza con cui conduce le ricerche, davvero. Si
diverte a raccontarmi
l’aria spaventata e inquieta che assumono le persone quando,
senza nascondere
una punta di soddisfazione, dice che agisce in mia vece. Godo ancora di
una
certa autorità tra la mia gente, interessante. Forse
è proprio questa grande
considerazione ad aver scatenato questo piccolo terremoto, ti pare?
Sono in
attesa del risultato, dovrà arrivare tra qualche giorno, e
allora sapremo
meglio che strategia adottare.
Intanto,
pensiamo al buon vecchio Heimdall. Il nostro
guardone preferito è nei guai, ma per quanto non possa
negare una certa
soddisfazione nel vederlo nei casini, sono assolutamente certo sia
della sua
buona fede che della sua onestà. Questo non significa,
però, che tu non lo
debba interrogare: non nutro sospetti su di lui, ma voglio capire
perché stanno
cercando di tirarlo in mezzo. Solamente io avrei saputo fare di meglio
– o
peggio, a seconda dei punti di vista –, quindi obbedisci alla
mia richiesta e
fagli quelle cazzo di domande. Tutte, anche la 19.
Lettera
42
Sono
le medicine, deficiente. Dopo aver sigillato la mia
ultima lettera ho scoperto di stare di nuovo male e ho passato la notte
a
delirare. La domanda 19 non era volta a insultare quel ficcanaso
permaloso, ma
a capire perché la vittima numero 5 è stata
ritrovata proprio a casa sua.
Scusa, ma è una coincidenza brutta. Sigyn non è
la mia balia e non passa tutti
i pomeriggi qui. Viene quando ha qualcosa da dirmi o da portarmi. Non
ritengo
che, date le circostanze, la nostra conoscenza debba varcare
determinati
confini.
L’angolo
di Shilyss
Cari
Lettori,
Eccoci
finalmente a uno dei capitoli più importanti della
fic, dove qualche velo ha iniziato finalmente a sollevarsi. Ero
così impaziente
di farvi leggere questo capitolo, non ne avete idea! Cosa
sarà successo al
nostro Loki? Pare proprio che la sua malattia fosse vera, ma di cosa si
tratterà? Come sempre, vi ringrazio per gli apprezzamenti
che state dimostrando
verso questa storia. Ringrazio infinitamente coloro che stanno
recensendo
regalando alla Fatina
dell’Ispirazione
momenti di giubilo e dandomi una misura del loro apprezzamento. In
particolare
grazie a Myrose, Makochan,
Avareil, Sildoryl,
Lightning, MaxT.
Quella
ghiottona della Fatina spera ovviamente che qualche
altro silente si manifesti, ma ad ogni modo grazie
per essere semplicemente qui.
Per
il nostro consueto appuntamento, ci si vede domenica!
1
Nobiltà di spada e di toga sono due modi distinti per
definire la nobiltà. Banalizzando tantissimo, quella di
spada è più antica e
“nobile”,
quella di toga è appannaggio di gente ricca che acquista la
nobiltà pagandola.
2
Una citazione dal primo Avengers.
3
Effettivamente nell’Edda Odino ha altri due fratelli che
hanno, appunto, questi nomi.
Shilyss
|
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Capitolo 7 *** Primi passi ***
Confessioni 7
Capitolo
7 – Primi passi
Lettera
43
Cos’è che non ti è
chiaro, Thor? Sono ancora inchiodato al
letto e, come immaginerai senz’altro, questo non aiuta
affatto il mio umore.
Come la risposta alla domanda 19. Sei un cretino e Heimdall un uomo
senza
fantasia. Le mie condizioni migliorano, si fa per dire. Non rischio di
crepare
da un momento all’altro, se è questo che intendi,
ma stare bene è un’altra
cosa. Fatico ancora a tenere in mano la penna. Ad ogni modo, hai
frainteso il
mio rapporto con questa ragazza lasciando che le frasi prendessero il
sopravvento sulla ragione e non hai valutato fattori come la noia, la
mia
naturale propensione a mentire e, non ultimi, i miei impulsi costretti
ad
appagarsi con una sola presenza. La letteratura, fratello, è
finzione,
nient’altro.
Vivevo in una gabbia senza finestre. Lei mi
sorrideva e,
quando lo faceva, la cella diventava inevitabilmente meno grigia. Mi
hanno
rinchiuso, ma continuavo ad avere esigenze, bisogni, speranze, persino.
Non
l’avrei potuta avere mai. Per questo ci adoravamo.
Il vetro attutiva l’uno i difetti dell’altra.
Sospirare di fronte a un miraggio
non ha implicazioni, fratello. La mente galoppa libera verso scenari
fantastici, stuzzicata da una scollatura più intrigante, da
un rossore che, se
solo non ci fosse la lastra a dividerci, potrebbe essere il punto
d’inizio di
qualcosa, qualsiasi cosa.
È stata la mia amante mille volte, nei
miei sogni, ma le
Norne non hanno incrociato i nostri destini. Si sono permesse di far
vibrare i
fili delle nostre vite per un momento, uno solo, ma non ci siamo
sfiorati né
mai lo faremo. Sarebbe stata una delle tante e, come molte, si sarebbe
illusa
che un paio di notti di follie in un letto avrebbero scatenato
chissà che
risultati. Le avrei spezzato il cuore e mi sarei tolto uno sfizio.
Questo
siamo, saremmo stati. Solo che nel buio di una prigione mi è
parsa più bella di
quanto non sia in realtà: senza l’aria marcia dei
sotterranei, lei è solo una
ragazza che mi ha chiesto aiuto per compiere una sua vendetta, dolore
che sto
sfruttando per ottenere un maggior beneficio per me. Sto riducendo ai
minimi
termini una storia che già conosci. So benissimo quello che
ti ho scritto nelle
mie precedenti comunicazioni, né c’entra niente la
promessa che nostro padre
crede gli abbia fatto; non gli devo la mia lealtà per un
discorso di mera
coerenza. Se gli fossi stato fedele non sarei rinchiuso e non
c’è ragione per
iniziare adesso: non fa una piega, non ti pare?
Certo, per tornaconto potrei, dovrei, ma sai una
cosa? Sono
stanco, tremendamente. Di cercare il suo consenso, di compiacere un
popolo che
si esalta fin troppo facilmente. Stai tremando, Thor? Credi che possa
di nuovo
eludere ogni sorveglianza per fuggire in modo definitivo e
tremendamente
scenico? Potresti non essere così fortunato, stavolta: io,
in compenso,
otterrei la libertà e mi rimarrebbe addosso persino la
soddisfazione di vedere
il tuo smarrimento per avermi fatto riempire centinaia di metri di
carta
scritta fitta praticamente invano.
Lettera
44
È consolante la tua bella epistola
zeppa di insulti. Due o
tre errori di sintassi in meno e l’avrei definita una vera e
propria opera
poetica. Così adesso la gara è tra me il
Cacciatore. È un gioco a chi è più
furbo? Una gara di velocità stuzzicante? Devo ammetterlo,
fratello: conosci
alcuni dei miei punti deboli, anche se ti inganni tragicamente su molti
altri. Stamattina
è stato un giorno molto importante, per me: ho guadagnato in
completa autonomia
il gabinetto. Le infermiere mi hanno definito un eroe e hanno voluto
chiamare
nostra madre per renderla edotta sul notevole progresso. Mi ha parlato
per
mezz’ora di lavori di ristrutturazione e altre
amenità simili e io ho finto di
ascoltare, ovviamente. Una cella, per quanto bella, è pur
sempre una cella, non
credi?
Giocherò a renderla un quartier
generale, però. Allestirò un
tavolo e una stanza intera per raccogliere e rendere immediatamente
visibili
gli indizi e le supposizioni raccolte. Ci spia, Thor. Ci osserva e
attende il
momento migliore per colpire. Quattro persone che non si conoscevano ma
avevano
legami con la Corte di Asgard. Cinque morti che sono una tragica beffa
nei
confronti di Odino, Heimdall, me persino. L’amico
d’infanzia di Odino caduto in
disgrazia, il mercate; la sorella della dolce fanciulla che fa visita
al mostro,
Astrid; la ragazzina che doveva la sua vita al guardiano, la piccola
lavandaia salvata
dal Guardiano; il marinaio beone. Mi sfugge il legame di uno degli
sventurati,
ma non temere: lo troverò non per Asgard né per i
suoi begli occhi né per
nostro padre, ma per me. Non è l’unico cacciatore,
qui.
Lettera
45
Cosa vuoi che ti scriva oggi, fratello? Un buon
piano deve
contenere una dose generosa di rischio, solleticare il destino e la
fortuna,
comprendere quella piccola variabile di caos e genio. Mi risponderai
“non mi aspettavo che lo facessi
così presto.”
Il tempo ci scivola dalle dita e ha smesso di essere qualcosa di
inconsistente,
per me. Ha una scadenza, adesso: non sono più cinquemila
anni circa di noia e
tedio da passare dentro a una scatola di vetro sepolta nella terra, ma
una
sfida contro una bestia che mi divora dall’interno. Nostra
madre ha chiesto e
ottenuto che le analisi fossero rifatte altre due volte,
perché non si fidava del
risultato. È venuta a dirmelo di persona, non voleva che
fossi costretto a
mascherare il disappunto di fronte a un estraneo, e nostro padre
gliel’ha
concesso, ma senza accompagnarla. Presto diventerai re
perché lui non è più in
grado di fissare a testa alta i risultati delle sue decisioni.
Quando eravamo bambini, mi infastidivi tutto il
tempo al
primo raggio di sole primaverile, non appena cadeva un fiocco di neve.
Stracciavi i miei appunti, mi strappavi di dosso i libri trascinandomi
fuori
dalla stanza. Volevi giocare ad essere
Thor e pretendevi che io fossi Loki
l’aiutante. Volevi vivere nella favola audace che
ti avrei raccontato e
distruggere a colpi di spada i nemici inventati dalla mia fantasia
eccessiva,
febbricitante, resa ancora più vivace dai testi polverosi
che sottraevo dalla
biblioteca privata di nostro padre. Libri proibiti, non adatti a un
bambino, ma
quel divieto che mi imponeva di non toccarli li rendeva i volumi
più preziosi
al mondo, vere e proprie reliquie. Cosa c’è di
più eccitante che violare un
ordine? Questo libro non è per te (1),
mi dicevano, e io subito lo desideravo fino a provare una fitta
dolorosa allo
stomaco. Così mi inventavo ogni sorta di trucco per
sottrarlo, rubarlo,
nasconderlo. Alle volte, ti trascinavo nelle mie trame raggirandoti con
poche,
semplici mosse.
Altre, eri tu che mi offrivi l’occasione
per ingannarti.
Creavi il contesto, esponevi il fianco. Allora certe mie
abilità ti incantavano
ancora: mutare aspetto non era una trasformazione inquietante, ma
l’elemento
che rendeva più efficaci i nostri pomeriggi passati a
immaginare un futuro
glorioso, di guerrieri. Solo che nei campi di battaglia non abbiamo
trovato
proprio quello che ci aspettavamo, non credi? Ci hanno imbottito la
testa di
una retorica vuota e ridondante, raccontandoci che i Nove Regni erano
il
giardino prezioso che dovevamo coltivare e proteggere, hanno detto che
combattere per Asgard era un onore e un privilegio, e poi ci hanno
sbattuti nel
fango, nella polvere, nella furia concitata delle battaglie. E noi
nascondevamo
la paura dietro a un sorriso fanfarone, stringevamo con più
forza le nostri
armi per nascondere le mani che tremavano.
Non sto dicendo che la politica espansionistica di
Asgard
sia errata, attenzione: alcuni interventi li ho caldeggiati io stesso
perché
solo il caos può portare l’ordine, e chi ha osato
alzare la testa verso gli
Aesir era necessario che pagasse il prezzo della sua arroganza.
È semplicemente
un modo per spiegarti cos’ho fatto anche se, a ben guardare,
probabilmente sto
sopravvalutando le tue abilità di comprensione del testo.
Bisogna sporcarsi le
mani per ottenere un risultato, Thor. Non possiamo permetterci di
bruciare
l’unica pista che può condurci da qualche parte.
Occorrerà solo fare
attenzione. Questa farsa non peggiorerà le mie condizioni, e
mi offre il
vantaggio strategico di stare un passo avanti al mio sfidante. Non ho
la benché
minima intenzione di immolarmi sull’altare di Asgard: Padre
Tutto ci ha già
cavato il sangue e non verserò più una sola
goccia per lui.
Lettera
46*
Non fraintendere, Sigyn. Non commettere
l’imperdonabile
errore di credere che l’improvviso mutamento della mia
condizione significhi
qualcosa di diverso: ci sarà sempre una lastra di vetro, a
dividerci. Ciò che
ieri hai visto e sentito non è che una parentesi strana
messa fuori dal tempo
di cui tu hai solo colto un frammento. Non sono più il
figlio di Odino che
ghignava ai banchetti e se la spassava con le ancelle, né il
giovane tronfio
che incrociavi per i corridoi del palazzo. Quello che hai visto ieri
sera, sono
io. Non intendo compatirmi né giustificarmi. Non rinnego uno
solo degli atti
che ho compiuto, delle alleanze che ho stretto. Se tornassi indietro,
rifarei
ogni cosa nello stesso identico modo: presterei solo attenzione a non
farmi
prendere.
Ad essere onesti, cara Sigyn, anche in
quell’occasione ho
agito in modo tale da essere esattamente dove sono: solo, ho creduto
che la
scure della giustizia di Odino si abbattesse con meno violenza sul mio
capo. Un
pessimo errore di valutazione, lo ammetto, ma la fine che mi spetta,
per quanto
lunga e straziante, sarà certamente migliore di quella che
mi avrebbe atteso
con il mio passato signore. Gli Asi
non sono gli esseri viventi più potenti di tutti i Mondi,
mia bella Sigyn:
l’universo è immenso e nella sua
vastità noi siamo riconosciuti per essere un
popolo robusto e fiero, ma non certo per la nostra
invincibilità. Un altro ha
questo nome, uno presso cui io trovai asilo tempo fa. Una certa
educazione
dovrebbe vietarmi di farti parola delle circostanze in cui mi
trovò e com’ero
ridotto. Vedi Sigyn, e anche adesso non ho intenzione alcuna di
giustificarmi,
io non andai da lui di mia volontà. Mi trovò. Ero
ferito, spezzato, confuso e
con il cuore gonfio di vendetta. Ho visto un potere nuovo e spaventoso,
ho
fatto cose, per inseguirlo, che qui ad Asgard sono irripetibili. Il
prezzo
della mia fuga, però, è il terrore che non mi
abbandona mai. Lo tengo a bada
durante il giorno, mascherandolo sotto a un sorriso sprezzante; lo
nascondo
dietro una battuta affilata o divertente, ma c’è,
sempre. La notte sguscia via
dalle catene in cui lo frena la coscienza ed emerge prepotente
invadendo i miei
incubi. Mi cerca ancora, forse, e lo farà fino alla fine dei
tempi non perché rappresenti
una minaccia per il suo impero, ma perché ho avuto
l’ardire di trovare una via
di fuga e infilarmici.
Ieri sei entrata nella mia stanza e io non ti
aspettavo e
hai visto quello che non era necessario osservassi: il terrore sordo,
la febbre
che attanaglia la ragione, il lamento per una sofferenza fisica che
rallenta le
nostre indagini e mi squassa. Non provare pena per me, Sigyn: non ne ho
bisogno. Non guardarmi con quei tuoi occhi profondi e dolci, non lo
merito.
Quando avrai la tua vendetta, dovrai lasciare questo posto e inseguire
altri
sogni, altri amori e avventure. A me, restano solo i racconti di quelle
che ho
passato e metà delle storie che la mia mente evoca sono
false, manipolate,
distorte dalla mia personale visione. Succede così a tutti,
Sigyn. Tu, ad
esempio, ricordi di avermi sentito invocare il nome di mio fratello e
ti sei
avvicinata per posarmi sulla fronte una pezza bagnata e stringere le
mie mani
gelide tra le tue. Il tuo errore è stato guardarmi con occhi
innamorati. Credi
di aver visto un guerriero sconfitto, ma non piegato, un principe
costretto a
pagare per le sue ambizioni smodate, un uomo su cui non hai smesso un
giorno di
fantasticare, nemmeno quando Odino mi ha costretto in ceppi a dirigermi
per
sempre verso i sotterranei. Dovresti guardare il resto: certe cicatrici
che non
mi sono state inflitte in battaglia che sicuramente ieri sera, con i
polpastrelli, hai sfiorato. La pelle pallida di chi sta perdendo la
battaglia
contro una malattia feroce e debilitante, la follia di un condottiero
ossessionato dal passato, divorato dal rancore.
Credi che ti stia aiutando per i tuoi begli occhi
e confondi
la cortesia che ti devo per educazione e lignaggio con un innamoramento
che
nasconderei ad arte. Non è così. Il Cacciatore mi
ha consentito di trattare con
Odino condizioni migliori della mia prigionia; un vantaggio che, nel
lungo
periodo, potrebbe rivelarsi fondamentale perché nessuna cosa
è immutabile,
nemmeno le decisioni di Padre Tutto. Ti giustificherai dicendo che sai
tutto,
ogni cosa: non ti illudi che io sia migliore di come mi descrivono i
miei molti
nemici e detrattori, sai bene che il principe che ti affascinava si
è tramutato
in un traditore che ha minacciato il trono. Spiegherai in una lunga
lettera che
mi hai preso la mano e accarezzato la fronte in un gesto non
d’amore, ma di pietà,
e ti pentirai per aver scelto quel termine perché non
desideri né riesci a
compatirmi: io lo so. Cerca di guardare il mondo con più
disincanto, Sigyn.
Estrapola la verità dalle confessioni dei tuoi
interlocutori, distaccati dagli
eventi e cerca di trovare le connessioni giuste tra le vittime e il
Cacciatore.
Lui le sceglie, le seleziona, le segue e, infine, le prende. Ricorda
che cercare
legami è un gioco che la maggioranza delle volte ti
porterà fuori strada, ma in
un’unica occasione potrebbe rivelarsi fatalmente utile,
decisivo. Brucia questa
lettera.
Lettera
47
Di cosa hai paura, fratello? Che possa
approfittare della
guardia bassa di Asgard tutta per fuggire? Già ci pensa
l’indomita Sif a
nutrire questi sospetti, e io sorridendo non posso smentire
né avallare la sua
ipotesi. Cogliere le opportunità che mi si presentano
davanti è omaggiare la
mia natura, assecondare la trama filata per me dalle Norne. Chi
sceglierebbe di
scontare una pena lunga fino al proprio ultimo respiro, se fosse a
conoscenza
anche solo di un modo per scappare? Te lo dico io: nessuno. Anche il
fiero lupo
di nostro padre la pensava così. Si muoveva instancabilmente
nel suo recinto
fiutando tracce e pensando alle vie di fuga per poi fissarci con i suoi
occhi
gialli, selvatici, solenni. Credo di aver pianto per giorni, quando
è morto.
Non è il momento di parlare di questo,
adesso. Il lupo, la
fuga, il passato, sono ombre che è opportuno accantonare da
un lato. Credo che
il fulcro di tutto sia sempre Astrid, fratello: la prima a essere
ritrovata, la
terza a morire. C’è un nesso che mi sfuggiva e che
la mia assistente non riesce
a sviscerare. Le ricerche si sono arenate, da quando sono costretto a
letto, e
questo non va bene non perché, come credi tu, mi interessi
particolarmente
questa caccia, ma per una ragione più pratica ed egoista.
Senza passi in avanti
tangibili, nostro padre nella sua sfavillante giustizia,
troverà il modo di
trasformare a mio danno i privilegi che mi ha concesso e che, ironia
della sorte,
avrebbe dovuto accordarmi ugualmente. Heimdall è venuto a
trovarmi, ieri. Una
visita sgradita e inaspettata, ma non infruttuosa, lo devo ammettere.
Mi ha
fissato a disagio, guardingo, come se potessi balzare fuori da questo
fottuto
letto e tirargli qualche scherzo che certo meriterebbe, ma che non mi
dò la
pena di infliggergli. Certe sfide sono divertenti e gustose solo se si
svolgono
ad armi pari, altrimenti hanno un retrogusto amaro. E tu la pensi come
me.
“La tua fibra è sempre stata
robusta,” ha detto
osservandomi, “non avrei mai pensato di vederti deperire
così.” Ho riso, ma
questo te lo racconterà lui, come ti riferirà
quello che ci siamo detti e le
analisi hanno finalmente confermato. Il mio aspetto inganna, lo ha
sempre
fatto: se non hai una forza bruta devi puntare
sull’agilità, la destrezza, la
velocità. I miei colpi dovevano essere precisi e se mi
toccava prenderle,
occorreva che mi rialzassi in fretta. Non sarei mai stato come te
– né lo
desideravo –, ma avrei reso degno nostro padre, forse. Il
riconoscimento
tardivo di Heimdall e il suo sguardo assorto mi fanno pensare a
ciò che è stato
più di quanto non sia lecito. Inseguiamo un’idea
azzardata, rischiosa, che non
ti piacerà affatto, ma non potrai fare a meno di appoggiare.
Di questo, come di altre cose, parleremo a voce
quando mi
degnerai di una tua visita. Mi chiederai di lei, adesso, e della pista
che
riconduce ad Astrid. La dovevo vedere. Le descrizioni di Sigyn sono
velate
dall’amore e dalla nostalgia per sua sorella, non poteva
aiutarmi. Per questo
l’ho fatto. Mi dirai che è stata una scorrettezza,
date le circostanze, ma con
la mia bionda aiutante credo di aver chiarito ogni cosa sia per
iscritto che a
voce e adesso non mi importa più, davvero, se
quell’uomo riuscirà prima o poi a
sposarla.
Perché dovrebbe, in fondo? Sarebbe
opportuno che si
allontanasse da me, piuttosto, e andasse a convivere con il suo lutto
lontano
da qui, in un luogo dove potrebbe farsi una famiglia sua. Ecco
perché ho
chiesto udienza a nostro padre. Non avevo nulla da dirgli circa il
Cacciatore,
e non mi andava di condividere le supposizioni acerbe che sto ancora
valutando.
Lui si è fatto attendere per ben due giorni. Si è
astutamente presentato di
sera, quando sapeva che la febbre si sarebbe rialzata: gli ho chiesto
di
affibbiarmi chiunque altro al posto suo, persino quell’idiota
senza fantasia
del buonissimo Balder. Mi ha guardato compiaciuto con quel suo occhio
gelido e
rapace, soppesando la mia giusta richiesta. A lui non cambierebbe
nulla, anzi.
Dimostrerebbe a tutta Asgard come è riuscito a piegarmi per
l’ennesima volta –
questo è ciò che crede, almeno – e non
dovrebbe più preoccuparsi di dover
giustificare le mie azioni. Io, da parte mia, potrei torturare
quell’idiota
fino allo sfinimento e sarebbe divertente. Me l’ha negato,
ovviamente. Mi ha
rigirato contro le stesse frasi usate con il padre di Sigyn.
Sai che non desidero scriverti di lei: se te ne
parlo, è
perché mi metti nella fastidiosa condizione di doverti
spiegare le mie giornate
da prigioniero con questa tua inutile idiozia del dirci continuamente
cretinate
e, soprattutto, per evitare che la tua mente fantastichi appresso a
cose di
nessuna rilevanza. Tuttavia, l’indagine che entrambi seguiamo
per ragioni
differenti si interseca con Sigyn, e allora sono costretto a
raccontare,
puntualizzare, precisare, affinché tu non scambi o travisi
un rapporto che
fuori dalla mia prigionia non esiste. Vedi fratello,
l’immobilità costringe a
pensare, a valutare, a grattare via orpelli e considerazioni lasciando
la
verità nuda, esposta. Strano che io ne parli, non trovi?
L’ingannatore
imprigionato che si arrovella per risolvere un mistero e scoprire la
verità.
Curioso, per uno che non ha mai creduto che ne esistesse una sola.
Il fulcro è Astrid, la prima che ci ha
fatto trovare. Potrei
elencare a memoria tutto quanto si è detto di lei nelle
settimane concitate che
sono seguite alla sua sparizione e al ritrovamento dei suoi poveri
resti
martoriati. Più graziosa delle sorelle, ottima musicista,
buona conversatrice,
gentile con tutti. Una serie di luoghi comuni che la rendono la
perfetta
vittima da piangere disperatamente. Quanto sono state ingiuste le
Norne,
strappandocela così presto! Avevo bisogno di altro,
però. Di un viso, un gesto,
un contesto in cui inserire questa figura quasi evanescente.
L’ho detto a
Sigyn. È facile, per lei, prendermi la mano quando la febbre
mi lacera: più
difficile è rimanere in questa stanza d’ospedale
con me senza un vetro a
separarci. È abbastanza coraggiosa da fissarmi negli occhi,
ma vedo in lei la
paura, la cautela, il dubbio. Le velano lo sguardo, rendono incerta la
sua
voce. Io non la aiuto affatto a rilassarsi, anzi.
Perché dovrei, in fondo? La mia amante
immaginaria dovrà pur
soddisfarmi in qualche modo, non credi? Ora che
c’è una finestra, per quanto
piccola, nella mia stanza, deve offrirmi qualcosa di più che
la sua presenza e
il suo profumo di fiori e miele. Se solo fossi nobile come te,
fratello, se
soltanto le Norne mi avessero donato un briciolo
dell’integrità morale del
figlio di Odino, non avrei mai fatto niente. Mille remore mi avrebbero
dovuto
fermare, non fosse altro che per la dolcezza con cui ha poggiato per
una notte
intera una pezza gelida sulla mia fronte. E invece. La sua figura
sottile e
flessuosa è scivolata oltre la porta; con dispetto ho notato
che aveva
acconciato i capelli in una spessa treccia, mentre io li preferisco
spettinati,
sciolti e ribelli come se si fosse appena alzata dal mio letto. Mi ha
portato
solerte tutto ciò che le ho chiesto: documenti, referti,
testimonianze. Un
plico di carte che mi ha teso con una certa ansia.
“È sparita un’altra
ragazza,” ha detto.
Non le ho volutamente prestato troppa attenzione.
Sfogliavo
lentamente le pagine scritte fitte. Ha iniziato a dirmi che
è successo
stamattina, al mercato, affrettandosi nel riportarmi una serie di voci
concitate, contraddittorie, irritanti.
“Non è che ogni persona che
manca per sei ore da casa è
stata presa dal Cacciatore,” le ho fatto notare.
“Perché tanta ansia? La
conoscevi?”
Ha risposto di no, ma la sua espressione era
sbalordita.
Come facevo a restare così calmo e impassibile? Cosa avremmo
fatto, se davvero
fosse stata rapita?
“Se”, ho ribattuto laconico.
Posando finalmente il mucchio
di fogli, mi sono finalmente degnato di guardare il suo bel viso
pallido e stanco.
“A me non interessa salvare questa disgraziata sfortunata,
Sigyn, ma solo di
prendere il nostro amico. Un bravo predatore sa attendere il momento
giusto,
per lanciarsi sulla preda. Ecco, lui è la mia preda. Non mi
serve un colpevole
da esibire, ma l’indizio giusto. Non importa quanto ci
vorrà.”
Era delusa, sconvolta dal mio cinismo, forse
persino turbata
dall’analogia che ho creato tra me e il Cacciatore.
“L’indizio che mi serve
è racchiuso nella vicenda di
Astrid,” le ho detto senza alcuna emozione. “La
devo vedere.”
“È sepolta, tu non puoi
uscire.”
“Non mi serve vederla dal vivo. Basti
tu.” Avevo appena
catturato la mia, di preda. Ha fatto un passo indietro trattenendo il
respiro,
quasi il solo inalare la stessa aria che respiravo potesse nuocerle e
forse è
vero. Se ci fosse stato un vetro spesso, a separarci, avrebbe riso
sicura, mi
avrebbe negato il suo aiuto, perché quello che le ho chiesto
è stato davvero
crudele. Se le avessi ordinato di spogliarsi e soddisfare le mie voglie
sarebbe
stato meno doloroso, invasivo, spietato, perché entrare
nella testa di qualcuno
come Sigyn e poi frugare, è un atto violento.
Avrei dovuto spiegarle cosa significava,
prepararla
all’ingerenza. Riesco ad alzarmi, adesso, e per quanto sia
ancora debilitato,
resto ugualmente un guerriero Asi e lei una ragazzina esile e minuta.
Che le
Norne mi maledicano, Thor, l’ho afferrata
all’improvviso e le ho messo una mano
sulla fronte prima che lei potesse anche solo gridare. (2)
Non me lo perdonerà mai.
Non è consolante dirti che ci avevo
visto giusto, per
niente. Violare la sua mente, calpestare i suoi ricordi e scoprire la
parte più
nascosta della sua essenza è stato esaltante, terribile,
doloroso,
sconvolgente, proficuo, eccitante. Astrid era la chiave, e adesso che
lo so non
ho più bisogno che mi aiuti nelle ricerche, anzi: se mi
servisse il suo aiuto
ora sarebbe lei a negarmelo, e nemmeno nostro padre con tutta la sua
autorità
potrebbe costringerla. Povera Sigyn. Avrei dovuto raccontarle che ogni
sera
portavo al lupo rinchiuso e furioso la cena, ma che lui mi ringraziava
con un
ringhio basso e spaventoso, tentando ogni volta di azzannarmi. Non
mangiava
nulla, ovviamente, e per non cadere nella tentazione di assaggiare la
carne che
puzzava di prigione ci defecava sopra. Che magnifica bestia, che era.
Sotto la
polsiera, ho ancora il segno dei suoi denti, sulla pelle. Per questo
quando sbranò
Tyr strappandogli una mano, alzai le spalle. Era stato incauto.
Ho visto più cose di quante non ne
avessi volute. Trascinato
dal seiðr, ho osservato ciò che non dovevo, e non mi
aiuta scriverti che Astrid
è la chiave e che conosceva l’assassino. La sua
morte è stata orrenda e priva
di senso, ma adesso il disegno è più chiaro e
nitido di quanto non fosse ieri.
È già passato un giorno da quando Sigyn ha capito
sulla sua pelle quanto
meritata fosse, la mia prigionia. La sua adorata sorella, la terza
vittima, non
era priva di macchie, tutt’altro. Quegli occhi, quel naso,
quella bocca. Non
posso essermi sbagliato. Devi tornare.
Continua...
L’angolo di Shilyss
Cari lettori,
Mi sono portata avanti con Confessioni
perché il mio stato fisico rasenta quello del principe
Loki. Ebbene sì, ho l’influenza e qualche altro
acciacco collaterale. A giugno,
sì. Scrivo con la coperta addosso. La Fatina
dell’Ispirazione è molto mesta per
questo, sappiatelo. Come avrete intuito,
pare che il nostro stesse proprio male per davvero, ma con
l’ingannatore non si
può mai dire. Grazie a chi ha recensito e a chi
recensirà, a chi leggerà e a
chi ha inserito la storia tra le ricordate/seguite/preferite.
1 citazione da La
storia infinita.
2 come in Thor: Ragnarok fa con Valchiria.
Ci vediamo domenica (se sopravvivo)
Shilyss
|
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Capitolo 8 *** Nessuna coincidenza ***
Capitolo 8
Nessuna
coincidenza
Lettera 48
Sigyn non sa
niente,
ovviamente, ma ora tutto ha un senso. Vedo la stortura, solo non so
come
raddrizzarla e ogni soluzione mi appare audace e spaventosa allo stesso
tempo.
Lettera 49
C’era
una sola cosa che
ieri ti avevo chiesto di non fare, ricordi? Io sì, ma lascia
che ti rinfreschi
la memoria, perché forse avevi bevuto un corno di idromele
di troppo. Sei arrivato
qui e abbiamo parlato di Astrid e io ti ho spiegato perché
era importante che
Sigyn non sapesse che la conoscevamo. Ci sei fin qui? Se la risposta
è sì,
barra con un segno di croce su “sì, ho
capito.”
Se hai spuntato
(come
spero) la casella giusta, potresti per favore di dirmi cosa ti ha detto
il
cervello? No, perché a me sfugge completamente il
ragionamento mentale che ti
ha convinto a recarti da lei, a casa sua, per dire davanti ai suoi
genitori che
cosa, per le Norne, cosa? La verità tu non la puoi dire.
Aprirebbe ferite
enormi in una famiglia già provata, in nostra madre. Di lui
no, non mi
interessa. Avrebbe potuto dirmelo in mille occasioni – o
dirlo a te, a questo
punto sarebbe stato uguale – invece ha preferito tacere,
mistificare,
cancellare con un colpo di spugna quello che è stato. Chi
è l’ingannatore, il bugiardo,
adesso? Come laverà la sua colpa? Oh, lo so, lo sento:
adesso tu ti metterai a
blaterare che ho ragione in teoria e non in pratica e giocherai a fare
il buon
re. Scimmiotterai certe mie idee, sostenendo come la ragion di Stato
possa
portare a occultare fatti ed eventi in nome di qualcosa di
più nobile e
importante: il popolo – anzi i popoli – che ci
siamo impegnati a proteggere e
che, per inciso, non ci hanno mai chiesto niente se non la
libertà. Quella che
invoco anche io, ma in maniera diversa.
Ma adesso
parlare di
questi concetti è inutile e fuori luogo. Sigyn non
tornerà perché ho guardato
nella sua testa e ho visto quello che vuole, desidera, spera. Come
potrebbe
avvicinarsi a me sapendo che so cosa si lascerebbe fare? È
persa, e il punto è
che temo possa andare a investigare da sola, sfruttando le informazioni
elaborate insieme. Questo potrebbe rovinare le nostre indagini, rendere
vano il
mio piano e inutili i rischi che sto correndo. Quindi fammi il favore,
fratello. Porta le chiappe qui anziché andare a
chiacchierare con il padre di
Sigyn.
Lettera 50
Come hai potuto
permettere che mi insultasse in questo modo?
Lettera 51
Sai dove devi
ficcartela,
la tua offerta di pace?
Lettera 52
Lo devo
ammettere, Thor,
sono colpito. Ho aperto la tua lettera chiedendomi chissà
quale altro gesto
deficiente avresti compiuto per farmi incazzare, ma stavolta hai
superato le
mie aspettative. Mi hai stupito. Allora, da dove vuoi che cominci?
Non
chiederò la grazia a
Odino, non mi pentirò di quello che ho fatto. Ho sputato
sangue e non l’ho
chiesta, sono svenuto davanti a lui e non gli ho detto una sola parola,
al
riguardo. Odino, non padre. Non lo è, non ci lega alcun
vincolo di sangue, né mai
si è comportato come un genitore dovrebbe, neppure adesso.
Mi ha fatto
gentilmente portare dai sotterranei all’infermeria per non
dover spiegare al
suo popolo una mia eventuale morte, ma soprattutto perché
ora gli servo, Thor.
Faccio gratuitamente ciò che altri non sono in grado nemmeno
di pensare pur
ricevendo un corrispettivo. Per questo la costringerà a
tornare.
Lo so, non ci
arrivi. Non
cogli il nesso tra la volontà del tuo re di risolvere presto
il caso e la sua
pretesa che Sigyn torni a ronzarmi intorno. Non puoi farlo. Ti dovrei
scrivere
che sei troppo idiota per comprendere, ma non è esatto come
termine, no: direi
che sei ingenuo, ecco.
Vedi, fratello,
il buon
Padre Tutto sfrutta Sigyn per costringermi a occuparmi della questione
ma,
soprattutto, per farlo a modo suo.
La
polvere che ha nascosto sotto il tappeto va fatta sparire, la parete
affrescata
deve essere coperta – a proposito, chissà se
c’è qualcosa, sotto la volta che
lo ritrae e celebra la sua famiglia e i suoi successi? (1) E dimmi
Thor, il mio
ritratto l’ha già fatto cancellare? –
rispondimi pure sinceramente, a me non
importa, non interessa più da molto,
molto tempo. Ma torniamo a noi: Padre Tutto verrà
da me e dirà che io e lui
siamo uguali, che i nostri desideri sono simili, puntano nella stessa
direzione, quindi come posso io accusarlo, se sono coinvolto e
invischiato
quanto lui? Affermerà sprezzante che non posso giudicarlo,
ma solo proteggere
il suo nome per il fottuto bene di Asgard e, soprattutto, per lei che
non
merita altro fango addosso. La userà per controllare me. Da
chi pensi abbia
imparato a raggirare il mio prossimo, sentiamo?
Maledizione, la
morte di
Astrid avrebbe dovuto liberarci tutti e invece ci ha invischiato in una
storia
sgradevole e tremenda. Ecco perché non dovevi andare da
Sigyn e mentirle a quel
modo. Ora che ti ho svelato tutti i retroscena non mi resta che
rispondere a
lei. Grazie Thor, grazie tante.
Lettera 53*
Sigyn,
ovviamente non ho
assolutamente dato incarico a quell’idiota di mio fratello di
porgerti le mie
scuse. Nessuno sano di mente affiderebbe un messaggio delicato e
importante
all’irruente dio del tuono, nemmeno se fosse confinato in una
noiosa
infermeria. Questo non vuol dire che mi rimangerò con questa
missiva il senso
del messaggio di quel caprone (2). Quello che ho fatto è
stato crudele, fidati
lo so, ma necessario in una maniera che tu ancora non puoi comprendere.
A
ferirti non è sapere che io abbia visto Astrid, ma il resto.
Non c’è
giustificazione che tenga, per questo. Ci sono mali necessari
– e quello non lo
era – esistono compiti che vengono svolti con disgusto, e
mentirei se ti
dicessi che per me è stato così. Sono il dio
dell’inganno, questo è il nome che
mi hanno dato. Porto il caos ovunque, anche dentro di te. Potrei dirti
che non
userò ciò che ho visto per manipolarti. Suonerei
pateticamente bugiardo a
qualsiasi orecchio. Semplicemente, non meritavi tutto questo e capisco
perché
non mi vuoi più vedere, comprenderò se affiderai
la tua vendetta a qualcun
altro, anzi. Ti invito a fare esattamente questo. Ignora i discorsi sul
senso
del dovere di Thor, di tuo padre, del tuo re, persino. Il primo
è un ingenuo, i
secondi ti stanno usando. Sono quasi certo che, stavolta, brucerai
questa
lettera.
Lettera 54
Sai qual
è l’ironia della
sorte, Thor? Adesso che la mia cella misura un po’
più di diciotto passi per
venti io cammino a malapena, mi stanco immediatamente e rimpiango un
po’ che il
gabinetto sia a trentaquattro passi dal mio letto. Nostra madre ha reso
quella
che era una soffitta spaventosa e con il tetto sfondato un appartamento
confortevole e ben arredato: la mia gabbia,
adesso, è bellissima. Affaccia sul bosco, si intravede uno
scorcio del fiordo
che circonda il palazzo. Devo confessare di aver provato un moto di
felicità e
stupore improvvisi, vedendo l’acqua blu e scintillante. Ci
sono libri, tappeti,
poltrone, un camino, strumenti per fare esercizio fisico persino, ma
non posso
uscire, resto un prigioniero e non l’ho dimenticato, non
posso. Mi chiedi se
rimpiango la compagnia del mio pubblico di tagliagole. Ho chiesto ai
secondini
che bivaccano nella mia anticamera cosa ne pensano di questa tua
affermazione,
e loro mi hanno risposto che di quel gruppo di delinquenti se ne
può
tranquillamente fare a meno e si sono arrischiati a domandare, con
infinita
esitazione, se potevo fargli la grazia di insegnargli uno dei miei
trucchi per
vincere a carte. Il portavoce del gruppo ovviamente è il
buon Bjorn (3). Si è anche
premurato di raccontarmi, qualora a me interessasse, di essersi
ufficialmente fidanzato
con la ragazza che corteggiava e di averne incontrato i genitori. Sono
rimasti
molto impressionati dal fatto che io l’abbia picchiato, lo
considerano un
grande onore. Gli ho fatto presente che non me ne può
fregare di meno della sua
vita privata e, come regalo di nozze, gli frantumerò tutte e
dieci le falangi,
solo a patto che non mi tedi mai più con queste cretinate.
Lettera 55
Come il lupo,
esattamente. In fondo, la modalità con cui risolve i suoi
problemi è stata
collaudata in anni e anni di macchinazioni e depistaggi. Mi usa, ci
usa,
concede per poi sottrarre, ricatta in maniera subdola. Promette e poi
circonda
il percorso di paletti. Potrei farti ricordare quando, il giorno della
tua
incoronazione, decidesti di vendicarti degli Jotnar: era una scelta
impulsiva,
la tua? Probabilmente sì e il tuo piano, non
dimenticherò mai di dirtelo, era
davvero stupido e incauto, tuttavia c’era un fondo di
giustizia nella tua
pretesa. L’idea era orribile, ma il principio che lo animava
lecito e corretto.
Eppure non gli è importato, ti ha punito in modo esemplare
con il banno.
Peccato che, a
noi, i
suoi metodi tirannici non stupiscano più di tanto. Ci
abbiamo fatto il callo,
dico bene?
Lettera 56
La
sincerità è un lusso
che non voglio concedermi, un’illusione cui non voglio
aggrapparmi. Non è un
valore né è assoluta. Io non devo essere leale
con te o con Sigyn, soprattutto
con lei. Non le devo niente, non ho intenzione di restituirle una
goccia, un
sussurro di quello che le ho strappato, perché era utile e
necessario. E tu lo
sai. Non è la mia donna, né mai lo
sarà. Nostro padre tenta di gettarla nel mio
letto per accusarmi di un vizio che appartiene più a lui che
a me, e lo fa in
maniera subdola, spietata, che non posso fare a meno di ammirare, lo
ammetto.
Le concede di entrare nella mia stanza al calare delle tenebre, quando
le
guardie che mi tengono d’occhio sono stanche e affamate.
Vuole che restiamo
soli, così che il lupo imprigionato scelga di mangiare,
anziché mostrare il
ghigno carico di sfida e lasciarsi crepare.
Bel modo di
stanarla,
davvero. Degno di lui. Lo avevo sottovalutato, mi ero concentrato sulla
possibilità che tu o qualcuno dei nostri incapaci fratelli
spifferasse a destra
e a manca la ragione delle rughe nuove che solcano il viso di nostra
madre, e
invece è stato lui. Ha messo a repentaglio tutto il mio
piano e la mia stessa
vita, condividendo con lei parte della mia strategia. Ovviamente Sigyn
ha
frainteso. Mi ha urlato contro parole sul sacrificio, il coraggio, la
pazzia.
Le ho fatto presente, non celandole affatto un certo fastidio per il
tono e la
sua irruzione improvvisa, che aveva azzeccato solo la pazzia,
caratteristica
che senza dubbio mi appartiene. Tutto il resto sono vane parole. Non ho
scelto
io, di essere un bersaglio. Mi sono ritrovato in questa fastidiosa
condizione e
non sono nemmeno certo che i delitti siano collegati con la mia
particolare vicenda.
Potrebbe tranquillamente essere il piano di un qualche nemico vecchio o
recente, non ha importanza, che sta cogliendo al balzo
l’occasione offertagli
dal caos di queste ultime settimane per agire passando indisturbato. Io
avrei
fatto così, farei così.
Come al solito,
le nostre
visite sono la valvola di sfogo dei miei secondini. Ti informo che
stanno
abbassando la guardia, fratello. Credono che il loro principe gli sia
amico e
non rappresenti più un pericolo solo perché deve
fermarsi a riprendere fiato
ogni dieci passi e ha un tavolo pieno di intrugli e medicamenti. Si
illudono
che, siccome un paio di volte ho concesso loro di bere il mio idromele
e mi
sono divertito a giocare a carte insieme, mi farei degli scrupoli a
tagliare
loro la gola da un orecchio all’altro. A metterli fuori
strada è il fatto che
io stia apparentemente lavorando per Asgard. Dormi sonni tranquilli,
fratello.
(4)
Continua...
L’angolo
di
Shilyss
Caro
Lettore,
Vuoi
più Shilyss
nella tua vita?
Ogni
settimana ti
domandi quale storia aggiornerò interrogando i tarocchi, i
fondi del caffè o le
Rune? Vorresti sapere con precisione il momento in cui posto?
Ti
piacerebbe
conoscere anteprime e curiosità, sapere quali altre trame
sto elaborando e come
immagino il mio mondo con foto eccetera, ma non vuoi interagire su
questa
piattaforma?
Ebbene,
forse ho
un presente per te. Shilyss approda sui social. Vinci la timidezza e
seguimi in
questo magico mondo delirante ricco di avventure! Potrai
avere accesso a contenuti inediti e speciali ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/
Voglio
come sempre
ringraziare i coraggiosi recensori (Stella Cadente, MaxT, Avareil,
Sildoryl,
Makochan, Lightning, LadyStarkiller98, Myrose e Detective per aver
nutrito la
buona Fatina dell’Ispirazione e ringrazio tutti coloro che
preferiscono,
seguono e ricordano questa mia storia. Vi adoro tutti. Vincete la
timidezza e
ditemi che ne pensate, mi raccomando!
1
Il riferimento,
qui, è alla scena presente in Ragnarok dove Hela mostra la
volta originale
della sala del trono di Odino (per voi due, Makochan e Light, so che
apprezzerete ♥).
2
Nell’Edda Thor
va in giro su un carro velocissimo tirato da… caproni.
3
Credevate che
avrei dimenticato Bjor? Puah!
4
Mi rendo conto
che questa lettera è, più delle altre,
particolarmente criptica perché non è
chiaro il motivo per cui Sigyn è tornata da Loki nonostante
quello che ha
subìto nel capitolo 7. Siccome non mi va di farvi stare 14
giorni con il dubbio
amletico, voglio espletarvi il passaggio: Odino convince Sigyn a
tornare
rivelando qualcosa che Loki e Thor sanno (il sacrificio) e che potrebbe
far
parte della strategia di Loki; qualcosa che la ragazza non condivide e
che la
spinge, nonostante tutto, a tornare da Loki.
A
presto! (Per
sapere quando, usate facebook, ma lo sapete, sono una creatura
abitudinaria…
Un
caro saluto,
Shilyss
|
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Capitolo 9 *** Strane trappole ***
Confessioni 9
Capitolo
8 – Strane trappole
Lettera
57
Sai invece cosa
esaspera
me, davvero? Stare qui dentro e scriverti queste lettere ridicole. Vai
a
sfogare le tue frustrazioni e repressioni su Midgard o in qualche buco
perso
nella galassia! E ricorda che mi devi due botti del migliore idromele
di
Vanheim. Non ho barato, ieri sera hai
semplicemente perso perché non sai giocare. La tua manifesta
incapacità nel
partecipare e vincere a qualsivoglia gioco sociale certo non dipende da
me.
Quindi, dato che sbandieri all’Universo tutto quanto sei di
parola, leale,
onesto e chissà che altro vai vanamente blaterando in giro,
paga i tuoi debiti.
E la prossima volta che ti azzardi a dire che mi lagno e sparo minacce
per
avere la tua compagnia, giuro sulle Norne che ti ritrasformo un rospo e
ti
schiaccio, stavolta. (1)
Lettera
58
Oggi mi sento
magnanimo. Ho
dormito una notte filata
senza espettorare gli occhi come mio solito, pensa.
L’eccitante progresso è
stato rovinato mentre spalmavo il miele sulla mia consueta fetta di
pane
croccante. Beh, mi pare ovvio che le mie presunte illazioni abbiano
trovato una
conferma più o meno evidente. Nel senso, il Cacciatore si
prende gioco di noi,
di me, mostrando quello schifo in quel
modo. Ci si è messo d’impegno per farmi capire che
conosce il mio problema. Le
ipotesi sono due, a questo punto. O lo ha scoperto o ne è la
causa. La prima
ipotesi pone, per assurdo, la mia bionda assistente nel novero dei
sospettati
assieme a papà, mamma, te, quei due deficienti dei nostri
fratelli, i
secondini, il guaritore elfico del cazzo, tre medici Asi e due
infermiere
racchie, gentilmente concessemi da Odino affinché
continuassi a fantasticare su
Sigyn. Ah, dimenticavo, anche io ed Heimdall, meglio abbondare. La
seconda, è
che lui sia l’artefice del mio avvelenamento e che ci tenga a
farmelo sapere
con questo simpatico e macabro ritrovamento. Il che presuppone anche,
qualora
non ti fosse chiaro, che sa benissimo come il mio trasferimento sia
dovuto al
fatto che necessito di cure. Ipotesi fantastica,
quest’ultima, perché
allargherebbe il giro dei sospettati in maniera spaventosa. (2)
Questa bella
consapevolezza non ha intaccato il mio buonumore, ad ogni modo. Ci ha
pensato tuo padre, piuttosto. Le
sue visite sono
rare e mai gradite. È rimasto solo pochi minuti, il tempo
necessario a
rovinarmi la giornata. Il suo nome pronunciato da lui è
qualcosa di
insopportabile. È tutta colpa tua, fratello. Se non fossi
andato da Sigyn
porgendole le mie inesistenti scuse, lei sarebbe partita, avrebbe
trovato un
posto nuovo dove dimenticare sua sorella. Invece è rimasta,
ha contravvenuto
alle mie direttive e si è lasciata influenzare e manipolare
da Padre Tutto. E
si è precipitata qui urlando.
Non è
come pensi tu e
spera lui. Non ci sono andato a letto. Le guardie ci hanno lasciato
soli, sono
rimaste nel corridoio fuori la mia bella cella sopraelevata, bloccando
l’unico
passaggio che collega il palazzo alla mia stanza. So che lei hai
interrogate e
ti hanno detto che lei è uscita all’alba. Ci hanno
sentiti litigare, hanno
ascoltato le frasi che ci siamo gridati contro e, a un certo punto,
c’è stato
un silenzio così strano da far
pensare
che ci fossimo abbandonati alla passione. Fantasticano, ovviamente. Non
è la
mia amante, ed è talmente sconvolta e fuori di sé
persino per i miei canoni,
che non potrei mai iniziare una relazione di quel tipo con lei. Senza
il vetro
di una cella a dividerci le cose diventano più complicate e
vere. Non è più un
sogno irrealizzabile, ma un’ipotesi che porterebbe a delle
conseguenze
nient’affatto positive. Non voglio coinvolgimenti con questa
ragazza, e non
solo perché a nostro padre farebbe piacere se lo facessi.
Non ho niente da
offrirle in più rispetto a qualche settimana fa, quando ero
chiuso nei
sotterranei. Ha dormito nelle mie stanze, in soggiorno. Si è
addormentata
singhiozzando per me che mi lasciavo avvelenare pur di catturare la mia
preda,
per se stessa e le scelte pessime che fa, per il fidanzato che la
tormenta
ancora e a cui forse un po’ di bene voleva, per la sorella
morta senza un
perché – così lei pensa, e ci tengo
continui in questa direzione – e non c’è
altro da aggiungere, davvero. (3)
Lettera
59
Da dove nasce il
tuo
cinismo, Loki? Bella domanda, bella davvero. Potrei cominciare da
Alfheim,
suppongo. Direi che è lì che siamo diventati
davvero adulti, non trovi? Piove
come allora, oggi. La pioggia lava via polvere e lordura dal tetto
della mia
cella sontuosa, ticchetta sul davanzale su cui mi posso affacciare, mi
scivola
addosso. Avevo dimenticato cosa significasse, sentire le gocce sulla
faccia, e
allora ho pensato ad Alfheim e a quello che ho fatto credendo di agire
per il
bene dei Nove Regni: in verità, esattamente come adesso,
soddisfacevo
semplicemente la vendetta di Padre Tutto. Sono abbastanza certo che
ricordiamo
quei giorni in maniera uguale eppure differente. Presso gli Elfi
Chiari, tu
scopristi di essere un guerriero eccezionale, capisti che la tua forza
era
qualcosa che fuori Asgard era davvero prodigiosa. Dopo, iniziasti a
parlare
della responsabilità che avevamo nei confronti degli altri
regni. Era una
parola ancora vuota, in verità: ti sciacquavi la bocca
masticando un termine più
grande di te, di cui percepivi l’importanza, ma non coglievi
l’essenza. Oggi,
forse, le cose sono diverse, ma a me non interessa appurare. Mi
dispiace,
fratello.
Ad Alfheim
scopristi che
il sacrificio è parte essenziale della natura di un
guerriero e che bisogna
mantenere la posizione anche quando gli altri fuggono spaventati. Nella
tua
ingenuità, iniziasti a capire cosa significasse davvero
essere un Ase. Quando
da Alfheim tornammo ad Asgard, non facesti altro che tempestarmi di
domande per
tutto il tragitto. Io ero stanco. Mi si chiudevano letteralmente gli
occhi e
forse, durante il viaggio, ho persino dormito mentre il mio cavallo
seguiva
docilmente il tuo. A qualcuna delle tue curiosità ricordo di
aver risposto in
maniera vaga, divertita, noncurante. Ad altre, non ho risposto mai.
Quando
entrammo nei possedimenti Aesir, Heimdall mi scrutò con i
suoi occhi gialli e
mi chiese come stessi. Nemmeno a lui risposi, per una volta mi
mancarono le
parole da dire. Tu pensasti che l’improvvisa attenzione del
guardiano nei miei
confronti mi avesse semplicemente lasciato a bocca aperta, e non ti
domandasti
il prezzo della mia sopravvivenza, o forse sì e non me lo
hai mai detto.
Da Alfheim
tornasti
vincitore, e nostro padre rimase così colpito dalle tue
imprese che ti concesse
di provare a impugnare il famoso martello. Molti dissero che ti guardai
sollevarlo con invidia. Aggiunsero come la mia faccia fosse livida, i
miei
occhi gelidi. Altri annunciarono che la gara verso il trono poteva
dirsi
conclusa. Avevano torto e ragione assieme: non c’è
mai stata alcuna
competizione, Asgard doveva andare al legittimo figlio, non a quello
trovato.
Nostra madre direbbe scelto,
aggiungerebbe frasi consolatorie, ma la verità è
che Padre Tutto mi ha salvato
la vita per tenere per le palle gli Jotnar. Qualcosa a metà
strada tra la
reliquia e l’ostaggio, il punto nascosto sotto una carta
coperta, l’arma
affilata da sfoderare contro Laufey qualora fosse servito. Se nelle mie
vene
non scorresse il sangue di quel mostro, mi avrebbe salvato, secondo te?
Mi sono
fatto questa domanda così tante volte da toglierle qualsiasi
importanza. Ad
Alfheim ho imparato che il male, spesso, è necessario. (4)
Lettera
60*
Quello che
è successo
l’altra notte, Sigyn, o non è successo, appartiene
a noi e basta. Non mi sono
pentito mai di niente, non rimpiangerò neanche questo.
Terrò il pegno che mi
hai lasciato, in ricordo di quello che avrebbe potuto essere e non
è stato, e
sarò forse più geloso quando ti rimetterai con il
tuo promesso sposo. La
soddisfazione non è nella mia natura e passerò
l’esistenza a domandarmi cosa
potrò fare per ottenere di più.
Fuggirò da questa cella, prima o poi accadrà, e
allora riprenderò il mio peregrinare attraverso le galassie
in cerca di
obiettivi da superare, troni da conquistare. Forse il segreto della
felicità
sta nell’accontentarsi di quello che le Norne hanno filato
per noi.
Ma cambiamo
argomento,
dedichiamoci a qualcosa di più importante, adesso. Non so
dirti con assoluta
precisione se sia stato lui, a far sì che il mio corpo mi
tradisse. La nostra
caccia potrebbe avere non una, ma due prede: il mio avvelenatore e
l’assassino
di tua sorella e delle altre vittime. L’unico modo per
risolvere questo enigma
è tenere, per il momento, tutte le strade aperte. Scorrendo
la lista delle
persone che frequentano la biblioteca non ho riscontrato alcun indizio
particolare. La maggior parte dei lettori abituali è gente
che ho conosciuto di
vista, altri sono nomi assolutamente oscuri. Tenerli d’occhio
tutti
comporterebbe un dispendio di energie semplicemente inutile, oltre che
enorme.
Dunque, cosa fare? Aggirare il problema in un altro modo – ne
parleremo a voce,
quando stasera verrai qui.
Lettera
61*
Andiamo Sigyn,
non ho
nessuna voglia di crepare né di immolarmi per Asgard, Odino
o chiunque altro.
Tutto è maledettamente sotto controllo. È nel
cibo, lo so. Contrasto gli
effetti con antidoti e medicine, ma non posso permettermi di troncare
immediatamente la somministrazione. Chi mi ha fatto questo se ne
accorgerebbe, e
sarebbe da pazzi perdere l’unico vantaggio che ho: quello di
conoscere il modo
in cui vuole ammazzarmi. Se non fossi corsa via come se ti mancasse il
terreno
sotto ai piedi, ti avrei spiegato che la Natura ha creato sostanze
micidiali e
potentissime. Ci sono sostanze che fermano il cuore, altre che invece
paralizzano gli arti, fanno impazzire chi le ingerisce, rovinano i
polmoni. I
sotterranei certo non sono la zona più salubre dei Nove
Regni, e sicuramente
non mi ha aiutato respirare la stessa aria malsana per mesi e anni, ma
era il veleno
a farmi sputare sangue, non la muffa della mia cella.
Lettera
62
Non va bene
niente Thor,
faceva schifo anche la colazione, stamattina, e vuoi sapere qual
è il motivo?
Balder il Beota. Se c’è un essere vivente, nei
Nove Regni, che mi irrita è
questo imbranato senza appello. Come ovviamente sai, era importante che
mi
tirasse giù dal letto all’alba per rendermi edotto
della simpatica trovata del
nostro Cacciatore: devo essere sincero, Balder non ha proprio fatto
schifo. È
stato attento ai limiti della pedanteria nel portarmi tutto quello che
poteva
essermi utile e poi è rimasto in attesa di qualcosa. Una mia
frase, una parola
di gratificazione, un attestato di stima. Voleva una pacca sulla spalla
e
qualcuno che gli dicesse bravo. Non l’ho fatto fratello, non
ha più l’età per
queste cose. Alla sua età io tornavo con te da Alfheim ed
ero un uomo.
Non iniziare a
minacciare
ritorsioni e vendette, non negarmi i testi che chiedo. Ti
concederò Alfheim,
quando sarà il momento. Oggi no, non è giornata,
bisogna che mandi Sigyn dai
guaritori a cercare quello che i suoi occhi ormai sono in grado di
scorgere. Ha
gli incubi, fratello. Non dorme più. Quello che vede e mi
riferisce le entra
dentro, si insinua nella sua testa e torna a farle visita la notte. Non
la commisero,
beninteso: voleva la sua vendetta e questo è il prezzo,
però c’è qualcosa, nel
suo sguardo, che mi preoccupa. Ha l’aria di chi si sente
braccato, e così in
effetti è. Intuisce che le sto nascondendo qualcosa, e anche
questo è vero.
Teme per la mia vita, ed è sciocco. Quando mi tocca
inavvertitamente – o
deliberatamente, come oggi – vorrei ci fosse il vetro, a
separarci. Mi ha
sfiorato i polsi, ho sentito le sue dita sulla cicatrice bianca e lei
mi ha
guardato dritto negli occhi e ha sussurrato, come
posso fidarmi, Loki?
“Non
puoi,” le ho detto.
Ho aggiunto che la fiducia è qualcosa che nasce spontanea da
un cuore saldo. Mi
ha sorriso, finalmente. “Esiste davvero un cuore saldo, privo
di dubbi,
esitazioni, incertezze? Mi vuoi far credere questo, Lingua
d’Argento?”
La sua voce era
improvvisamente diventata giocosa, lieve, come se l’ombra di
terrore che avevo
riconosciuto pochi minuti prima fosse scomparsa per sempre, ma
c’era, fratello,
io lo so. Dovrei convincerla ad abbandonare questo incarico, spingerla
a
rimettersi col suo promesso sposo onesto, ma volgare. In fondo, cosa le
chiedeva? Attenzioni, nient’altro, le stesse che pretenderei
io se lei fosse
sul punto di diventare mia moglie o prima, decisamente prima, se avessi
una
storia con lei. Solo che Sigyn non lo ama, non come dovrebbe una
compagna,
almeno; si è illusa che buttare la sua esistenza dietro una
vendetta che non le
porterà altro che amaro in bocca sia ciò che
vuole. Spaventata com’è, crede che
innamorarsi disperatamente del dio degli inganni condannato a una
reclusione a
vita possa salvarla dall’incertezza di una
quotidianità che sente estranea. Può
andare via quando vuole, ma io non le indico la porta e lei rimane. Si
rannicchia sul divano in mezzo alle scartoffie piene zeppe di
elucubrazioni,
analisi e prove, si allenta leggermente il corsetto e si addormenta
mentre
gioco l’ultima mano a carte con i secondini ossequiosi, lieti
di aver lasciato
il sotterraneo. Ridotto come sono, non posso fare altro che guardarla e
cercare
di non turbare il suo sonno trattenendo i colpi di tosse. Che ironia,
eh?
Lettera
63
Certo che a suo
padre e a
Odino va bene. Il nostro augusto genitore stapperebbe
l’idromele migliore, se
solo avesse la certezza che abbiamo diviso il letto. Scommetto che sta
già
preparandosi il discorso per incastrarmi. Le sorelle hanno qualcosa che
ha
colpito entrambi, così è stato filato. Non potrei
accusarlo di niente, perché
se lui ha avuto Astrid, io non avrei fatto di meglio con Sigyn. E se
Padre
Tutto vuole arrivare a questo punto – e noi sappiamo
benissimo che è così –,
credi davvero che non sia capace di convincere un nobiluccio sommerso
dai
debiti a chiudere un occhio? In fondo, questa è pur sempre
una cella
sorvegliata a vista. Non esiste luogo, ad Asgard, più sicuro
e ben difeso di
questa incantevole soffitta. Bjorn mi ha detto che l’ex
fidanzato di Sigyn
protesta vivamente per la libertà concessale, ma le sue sono
chiacchiere al
vento, lamenti fatti al mercato che non trovano orecchie disposte a
udirli.
Lettera
64
Mi aspettavo da
tempo una
lettera del genere. Mi chiedevo quando l’avresti scritta e
avevo la risposta
già pronta da darti. Da Padre Tutto ho imparato a raggirare
il prossimo,
mentire, prevedere i problemi e pararmi le spalle, anche se adesso tu
dirai che
quest’ultima arte non l’ho appresa alla perfezione.
Te lo concedo, Thor. Non
sono ancora nella posizione di smentirti. E nemmeno la tua ultima
missiva,
posso definire come calunniosa.
Quello che so
è più di
quanto abbia ammesso? Possibile, ma no, non credo che tutto questo sia
un gioco
divertente. Dicono che abbia smarrito da tempo il senso della
realtà, ma non è
vero. Capisco e comprendo la gravità della situazione e non
ho appreso con
gioia cos’è successo al funerale
dell’ultima vittima. Se il mio piano non
scatta è perché manca ancora qualcosa. Ti devi
fidare, non puoi fare altro. Sif
è tornata chiedendomi un nome, nient’altro che
quello. Era furiosa. Non le ho
concesso altro che una risata, ciò che merita. Non
avrà gloria né onore grazie
a me. Quando ci rivestivamo in fretta dandoci le spalle, eravamo
perfettamente
coscienti che non c’erano obblighi né vincoli, tra
di noi. Su Midgard ci
definirebbero in un modo particolare, credo di aver sentito qualcosa al
riguardo (5), ma non ricordo il termine esatto, come avevo dimenticato
se mi
piaceva baciarla. Mentirei, se ti dicessi che l’ultima volta
che è successo
aveva ancora quei magnifici capelli biondi. C’è
cascata di nuovo, reiterando
senza logica un comportamento che sa benissimo essere dannoso.
È impetuosa come
sempre, in questo non è cambiata. Non le ho tagliato i
capelli perché mi aveva
sconfitto in un allenamento, come va dicendo in giro da secoli. Non fu
l’invidia, a spingermi verso quel gesto, ma la gelosia. Mi
sputò in faccia che
ti amava disperatamente e per te sarebbe morta, e io, di fronte
all’assoluta e
totale ipocrisia e infedeltà che nascondevano le sue parole,
le ho riservato la
punizione che si infligge alle adultere. Questa è la
versione ufficiale. Quella
ufficiosa è che i capelli Sif se li è tagliati da
sola di fronte a me che la
sfidavo a farlo, perché una volta le avevo detto che erano
belli. Si tinge per
lo stesso motivo. Ecco perché è di pessimo umore.
Ora che abbiamo svelato
l’arcano, torniamo a parlare di cose serie.
Lascia perdere
la tua
assurda ricerca: nessuno ha mai riunito le Gemme e chi ci ha provato
è cibo per
vermi in fondo a un fosso. Del tuo futuro non me ne può
importare di meno, ma
se tu crepassi in un crepaccio – peccato che tu non
possa
capire il gioco retorico – l’eredità di
Padre Tutto finirebbe nelle
incapacissime mani di Balder il Beota. Ti immagini che tristezza
sarebbe,
Asgard? L’idiota chiuderebbe bische e bordelli, imporrebbe i
limiti di velocità
nelle gare sui drakkar, darebbe un potere sproporzionato a
quell’impiccione di
Heimdall. Verrebbe a trovarmi, persino. Non puoi permetterti di
schiattare
finché io non sarò fuggito. E poi, se davvero
credi che sappia già chi è il
Cacciatore, perché resti lontano dalla tua casa, figlio di
Odino? Hai paura di
affrontarmi, di dirmi ciò che sospetti? Te l’ho
già scritto: le tue minacce mi
fanno sorridere anche se sventolassi il Mjollnir sotto al mio naso.
L’hai fatto
già, del resto, su Midgard, e io non sono indietreggiato
né ti ho supplicato di
fermarti. Ricordi quando i Chitauri si sono gettati sulla tua preziosa
Terra,
sul protettorato che ignori e consideri solo quando ti serve? (6)
Lettera
65
Sigyn non
è bionda
com’era Sif da ragazza. Il colore delle sue ciocche
è più caldo e vira al
castano. È l’esatto punto di biondo che hanno
migliaia di altre Aesinne. I suoi
“occhioni”, permettimi di citarti, sono grigi come
almeno altre dieci persone
che conosco. Se non fossi chiuso qui dentro, ti direi che è
una ragazza carina
come tante altre. Puoi dirle che ho trascorso qualche momento di
distrazione
con la nostra amica guerriera, non devo la mia fedeltà a
nessuno. Lei stessa è
libera di fare ciò che crede della sua esistenza. Io non mi
contraddico,
idiota. Io passo il tempo.
Lettera
66
Quante ne ha?
Quali ha?
Sei andato fino ai confini dell’Universo per scoprire che
anche le galassie
hanno una fine. C’è qualcosa di poetico e
bellissimo in questo ragionamento,
non trovi? Ho appena ricevuto la tua lettera, è notte. Il
cielo è limpido,
sereno, una trapunta di stelle che illumina e protegge il nostro mondo
e gli
altri. Riguardo la tua lettera, osservo la tua grafia alla luce della
candela.
Non è che un biglietto, in verità, un messaggio
breve dove trapela l’orrore e
la paura che puoi confidare solo a me. Forse sono un pessimo fratello
(7), ma
resto l’unico confidente in grado di scrutare le ombre dietro
i tuoi occhi
azzurri e franchi senza tremare. Il solo a cui puoi confessare di
sentirti come
nient’altro che un granello di polvere, di fronte a lui. Non
posso pronunciare
il suo nome in questa prigione sopraelevata. Lei dorme sul divano, con
una
coperta addosso. Respira tranquilla, con le ginocchia rannicchiate
verso il
petto. Sembra una bambina. Lo era quando Astrid cantava. Ecco
perché non l’ho
mai notata.
La tua lettera
è un messaggio
disperato, e forse dovrei risponderti, credo di doverlo fare. Impugno
la penna,
cerco la carta, mi muovo per evitare di fare rumore. Nella notte i
pensieri si
affastellano gli uni agli altri e si trasformano in incubi. Il buio
regala ai
ricordi particolari inquietanti, aumenta le nevrosi, fa tremare il
cuore.
Soffoco un colpo di tosse, lei si agita, si gira e torna a dormire. La
osservo.
Non le somiglia poi tanto. Forse le labbra, la forma del naso. So cosa
vuole
fare Thanos, solo speravo non ci riuscisse. L’ho scoperto per
caso. All’inizio,
non mi interessavano i suoi progetti. Non mi importava di niente.
Essere
scaraventati giù dal Bifrost è
un’esperienza che non definirei elettrizzante. È
spaventoso, un incubo agghiacciante che si realizza, una caduta verso
l’oblio
in cui il terrore aumenta a dismisura a mano a mano che il tempo passa.
Posso
immaginare la tua faccia, adesso. Ti vedo bestemmiare, scuotere la
testa.
Conosco la storia, la ricordo, adesso. Abbiamo distrutto il ponte
d’arcobaleno
e stavamo per cadere giù e io, io ho lasciato la presa. Di
mia volontà.
Tradito, ingannato, sconfitto, ho visto nel buio eterno sotto di me
l’unica via
per liberarmi. Raccontiamola in questo modo, non mi dispiace come
versione. È
abbastanza epica, come trovata. A ogni modo, non importa come e
perché sia
caduto. Conta quello che è successo dopo, quando mi sono
risvegliato con un
taglio sulla fronte e la testa confusa. Lei ha aperto gli occhi, mi ha
cercato.
Continua…
L’angolo
di
Shilyss
Un
ringraziamento
particolare va a quanti seguono, ricordano e preferiscono questa
storiella. Mille
grazie a Myrose, Avareil, Sildoryl, MaxT, Makochan, Lightning e
LadyStarKiller98
per avermi lasciato i loro pensieri e… tu o silente, non
aver paura! Fammi
sapere che ne pensi, farai felice me e la Fatina
dell’Ispirazione!
A
tal proposito… Vuoi
più Shilyss nella tua vita?
Ogni
settimana ti
domandi quale storia aggiornerò interrogando i tarocchi, i
fondi del caffè o le
Rune? Vorresti sapere con precisione il momento in cui posto?
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sto elaborando e come
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1
Come forse avevo accennato a qualche lettore nelle
recensioni, chiaramente Loki scrive a Thor quando Thor non
c’è. Qui vediamo
come finalmente sia tornato ad Asgard. La minaccia del dio
dell’inganno non è
vana, ma si riallaccia al mito in cui, appunto, in
un’occasione Loki trasforma
il tonante in un… rospo.
2
Meglio abbondare… è una traduzione della
locuzione latina Melius
est abundare quam deficere.
3
Surprise! Ecco finalmente svelati gli altarini.
4
In questa lettera l’uso del passato remoto serve a
sottolineare la distanza che Loki mette tra sé e gli eventi
narrati e conclusi,
ovviamente.
5
Chiaramente, amici con benefici. Qui la mia
interpretazione della relazione tra Loki e Sif, che è canone
nell’Edda poetica,
dato che Loki ammette di aver “fatto spuntare le corna a
Thor.” (Sil, questo è
per te, sallo!)
6
Se all’inizio del capitolo Thor era tornato, adesso
sappiamo che è ripartito e Loki, come al solito, non
è mai, mai contento!
7
Citazione da “Infinity War.”
Shilyss
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Capitolo 10 *** Doveri ***
Capitolo
9 - Doveri
Lettera 67
Letto, divano,
che ti importa?
Non sono affari tuoi fino a questo punto, fratello. Ora ti chiedi se
mento?
Settimane fa hai scritto che non ti importava: basta
che tu scriva, Loki. Questo hai detto. Racconta,
parla, sfogati, prendimi in giro, divertiti, inventa: me lo
farò bastare, purché tu non agisca più
in maniera sconsiderata e non precipiti
di nuovo nel tuo inquietante silenzio. Mi commuovo solo a
scriverla, questa
tua frasetta smielata, sai? Adesso, invece, vieni meno ai patti, mi
inganni,
cambi improvvisamente le regole del gioco: pretendi la
verità, minacci e
inveisci, ipotizzi e prometti vendetta. Dimentichi il mio nome; sono il
dio
dell’inganno, riuscirò sempre
a farti
guardare dalla parte sbagliata. E se mai il trucco mostrerà
qualche crepa, ti
confonderò con una delle molte verità che
esistono, e tu non saprai dove
guardare. E tutto questo per cosa, Thor? L’onore di Sigyn
è intatto: non dirò
mai diversamente. Avrai ciò che hai chiesto – la
mia voce –, e basta. Cerca
dentro le mie parole la verità, scovala. Gratta sotto gli
aggettivi, osserva in
controluce i verbi, lambiccati il cervello tra una virgola e
l’altra. E intanto
roditi il fegato, perché non saprai di Alfheim né
delle Gemme e di Thanos.
Lettera 68
L’ho
dovuto fare, Thor.
Questa è un’altra di quelle cose di cui non mi
pento affatto. Era semplicemente
giunto il momento, credo. Altre due vittime. Padre Tutto è
appena uscito dalla
mia prigione di lusso. Si guardava attorno, alludendo a qualcosa che le
sue
bestiacce (1) hanno intravisto, ma non distintamente. Gli ho chiesto
dove
avessero puntato i loro occhi neri e cattivi, se sulle strade insicure
di
Asgard o nella mia elegante e confortevole dimora.
“Entrambi,”
ha risposto.
Poi ha parlato di Frigga e di quanto questa situazione la devasti e il
futuro
non si mostri a lei. Non è la confessione di un marito
preoccupato verso il
figlio adulto e consapevole, questa, ma di un vecchio colpevole di
fronte al
suo unico accusatore. Ho incrociato le mani dietro la schiena e ho
atteso. Vedi
Thor, mi ha incarcerato e condannato a una vita che non è
più tale, ma le sue
catene tintinnano quanto le mie. Eppure, oggi non è venuto
qui per parlare dei
molti torti che mi ha fatto, né per chiedermi di salvare
ciò che resta della
sua famiglia distrutta. È qui per proteggere se stesso,
fratello, per il suo
nome che deve rimanere intonso. Se parlassi, la nuvola del sospetto
coprirebbe
persino lui. Il suo stratagemma è sempre più
palese, ché il Re degli Asi tutti
non può certo mettersi a supplicare quel pazzo bugiardo di
suo figlio.
Adottivo, ovviamente. Il resto lo sai, non c’è
bisogno che aggiunga altro.
Lettera 69
Sigyn è la mia amante. O meglio, lo
è quasi stata. Non
è successo la notte in
cui le guardie ci hanno sentiti litigare, sarebbe stato banale. In
quell’occasione, semplicemente, ci siamo ritirati ognuno nel
suo angolo, in
silenzio. È capitato le sere successive. Non vuole essere
toccata, lei, non
dopo che le sono entrato dentro la testa. Dice questo ad alta voce, ma
pensa
altro, io lo so. Solo che è difficile far scoccare la
passione se il tavolo è
ingombro di referti medici scopiazzati, mappe e dettagli macabri.
Rimane una
tensione nell’aria, però, il sottile desiderio
insoddisfatto che si attacca ai
vestiti, alla pelle, alle labbra. Mi aveva chiesto di Astrid, del
perché avessi
voluto guardare il suo viso, di cosa significasse per me il suo nome.
C’era una
punta di adorabile gelosia, nella sua voce. Astrid,
Astrid. Padre Tutto le rivolgeva nomignoli cretini, quella
volta che sono
entrato. Ma veniamo a Sigyn. L’ho afferrata per i fianchi,
l’ho sollevata sul
piano finalmente sgombro, ho tirato su la gonna irrimediabilmente nera,
l’ho
baciata, finalmente. Ci cerchiamo la pelle sotto i vestiti, le nostre
labbra si
incontrano con la disperazione di chi ha aspettato troppo tempo.
L’irreparabile
non avviene perché le bisbiglio che è
così, in questa posizione decisamente
compromettente, che ho sorpreso sua sorella e nostro padre. Quindi mi
godo il
suo stupore e la bacio, altro non faccio. C’è
qualcosa di perverso, nel modo in
cui a volte imito Odino. Mi riesce terribilmente bene il suo lato
peggiore. Lei
è sconvolta, ma si infilerà nel mio letto. Lo
farà con adorabile timidezza, con
un candore virginale squisito. Ti piace questo racconto, fratello?
Soddisfa il
tuo ego, scatena la tua virilità?
Sigyn non è la mia amante.
È una ragazzina
infelice che sta superando un lutto. Approfittarsene sarebbe da vili.
Mi ha
chiesto di Astrid e io gliel’ho detto. Le ho raccontato di
come l’avesse notata
quando era al tuo fianco, dell’improvvisa e squallida
passione che l’ha colto.
Eravamo uno di fronte all’altra, seduti sul tavolo ingombro
di referti copiati,
mappe, appunti. Lei ripeteva che non era possibile, che sua sorella non
poteva
aver fatto una cosa così assurda.
“Assurda?”
Le ho sorriso,
ma senza cattiveria. “Una ragazza di una modesta famiglia
viene notata dal Re
degli Asi in persona. Un uomo affascinante, sicuro, capace, potente.
Meno
vecchio di quanto non sia adesso. Thor, al suo confronto, non
è che uno
spaccone arrogante, io neanche esisto. Lei è giovane. Si
illude sia amore. E se
anche non si fosse ingannata, tu credi davvero che avesse
scampo?”
Sigyn ha alzato
il capo
verso il mio. Stava piangendo in silenzio. Sapeva che avevo ragione.
A quale storia
vuoi
credere, fratello? (2)
Lettera 70 (3)
Ad Alfheim ho
ingannato,
tradito, ucciso. Mi sono vendicato di chi ci stava pugnalando alle
spalle.
Come? Li ho colpiti prima io, ovviamente. Sono andato a cercarli nei
loro
letti, mentre dormivano. Non è un atto da guerrieri Asi, mi
dirai. Queste sono
imboscate, trucchi orrendi. Pensala come ti pare, Thor. Siamo vivi e
tanto
basta.
Ad Alfheim, tu
comprendesti che la pace dei Nove Regni dipendeva dalla nostra
capacità di sedare
le rivolte. Quando tornasti ad Asgard, Padre Tutto ti offrì
la possibilità di
stringere tra le dita il martello e tu riuscisti
nell’impresa: eri degno. Io non
tentai nemmeno, lo confesso. Impugnando Mjollnir, tu diventasti il dio
del
tuono, padrone della folgore e della tempesta, difensore di Asgard, ma
anche io
ottenni un tributo, un riconoscimento. Ho sempre avuto insita la
capacità di
mutare forma, scherzi e bugie erano il mio modo di migliorare la
realtà che ci
circondava. Tu esultavi con la reliquia in mano e Padre Tutto mi
osservò cupo.
Me ne accorsi e ci scambiammo un lungo sguardo.
“Sei
il dio dell’inganno,
Loki.” Lo disse a bassa voce, con lentezza, tanto piano che
solo io potei
udirlo.
“Perché
non lo annunci
agli Asi tutti?” chiesi. Sentivo sulle spalle tutta la
stanchezza del mondo. La
mia domanda potrà sembrarti ingenua o terribilmente
puntuale. Scegli tu
l’interpretazione migliore.
Odino
sospirò. “Alcuni lo
sanno già, altri lo capiranno.
Certe
cose non devono essere annunciate. Esistono e basta.”
Sentii qualcosa,
dentro.
L’ombra nera che mi avrebbe offuscato la vista in futuro, il
seme del rancore
che sfogai seguendo i sogni contorti di Thanos. Rabbrividii. “Non hai una
reliquia preziosa da dare anche
a me, Padre?”
Non rispose.
Lettera 71
Avanti Thor, di
che ti
lamenti? Era un ottimo epilogo. Lascia che sfoghi la mia vena creativa,
in
questa soffitta acchittata come un appartamento reale. Avrei voluto
proseguire,
per quello che vale, davvero: sono sincero. Il problema è
che mi hanno
interrotto sul più bello. Quello stronzo di Fandral assieme
a Sua Noia Abissale
Balder il Beota. Asgard cadrà, semmai quel deficiente
diverrà re. Sono entrati
nelle mie stanze pieni di boriosa arroganza, sventolandomi sotto al
naso la
confessione del presunto
Cacciatore.
Rettifico. Fandral ha con me dei conti in sospeso di cui solo lui
conosce
l’origine, e il buon Balder è un gregario
manipolabile, che potrei rigirarmi
come un calzino se solo volessi. Ma che ti devo dire, fratello: non
è un
boccone succulento. Come il lupo di nostro padre, anche io disdegno le
prede
moribonde o malate o deboli. Non mi danno alcuna soddisfazione.
Ma torniamo a
noi. Asgard
è in festa e tributa onore e gloria a Fanfaral
(4) e al piccolo
principe, e
tutti si chiedono come abbia fatto io a non sospettare niente. Il
processo
inizierà tra tre giorni da adesso. Oh, avrei voluto che ci
fossi anche tu,
davvero. Fanfaral ha iniziato a
prendersi gioco di me, insinuando che il mio non è stato
altro che un piano,
una messinscena per poter estorcere da te e da Padre Tutto un
trattamento di
favore. Forse, dice, ho finto persino il mio avvelenamento e nessun
Cacciatore
sta tentando di farmi la pelle. Gli ho chiesto se questa sua
prospettiva lo
tranquillizzasse. Se dormisse sonni sereni, adesso che il male era
stato
arginato. Ho preso in mano la copia che mi hanno portato della
confessione del
presunto omicida – il loro trofeo – e
l’ho letta rapidamente. Un’ammissione di
colpevolezza in piena regola, che non lascia adito a nessun sospetto.
Non ho
risposto alle accuse di Fandral. Mi sono rifiutato persino di
commentare le
lamentose recriminazioni di Balder su quanto sia stato un ingrato
bastardo a
prendermi gioco di tutti voi. Mi sono comportato come un Re offeso, non
concedendo ai miei detrattori null’altro se non il mio
sorriso più ambiguo. Che
credano ciò che vogliono.
Lettera 72*
Sigyn, devi fare
una cosa
per me. Mio fratello non tornerà prima di domani notte,
credo, e io ho bisogno
di te. Adesso. Dovrai seguire le mie istruzioni passo dopo passo, in
maniera
precisa ed esatta. Ne va della tua vita.
C’è
un passaggio segreto,
nel palazzo. Si trova vicino alla Sala del Trono.
C’è un’anticamera ampia e
spaziosa e un grande affresco con Bor vittorioso. Premi il corno destro
di Bor
e spingi: si aprirà un passaggio segreto. Percorrilo tutto.
Prima che tu me lo
chieda, sì: troverai ragnatele e schifezze di ogni genere,
quindi indossa un
paio di stivali e mettiti il cuore in pace. A un certo punto, il tunnel
presenterà due biforcazioni. Vai a sinistra. A destra
c’è lo scolo della fogna,
dovresti anche avvertirne l’odore. A un certo punto, troverai
delle scale:
percorrile tutte e arriverai all’archivio del Thing.
(5) Lì troverai i fascicoli sul Cacciatore. Voglio che tu li
prenda per me, Sigyn. Non c’è bisogno di dirti che
questa lettera devi
memorizzarla e farla sparire nelle fiamme, esattamente come le altre.
Non mi
deludere.
Lettera 73
Non
trovi che adesso Fanfaral assomigli più a un guerriero che a
un cicisbeo? Il
mio tocco gli ha regalato un profilo decisamente più virile
e probabilmente,
così conciato, ha rimediato anche qualche scopata a buon
mercato. Si atteggia a
nobile sofisticato, ma gli piace sfogarsi nei bordelli più
malfamati e il
motivo, fratello, fossi in te me lo chiederei. Asgard non è
fatta solo di luci,
canali e piazze ben ordinate: ha un’anima nascosta grassa e
maleodorante. Nei
quartieri dove il buon Odino non si degna di passare (6),
c’è una massa di
persone brulicanti fatta di uomini e donne che sopravvivono giorno per
giorno
affogando nella loro mediocrità, annaspando per non
affondare. Fandral beve con
il mignolo tirato su alla tavola di Padre Tutto, ciarla con dame e
principesse
millantando il suo valore, poi si va a infilare nelle bettole:
perché? (7)
Ma
sto divagando, Thor. Mi lascio trasportare dalla mia penna lungo
sentieri
sconosciuti ai più (8), distraendoti per non affrontare la
domanda che mi hai
fatto: perché gli ho deturpato per sempre il profilo. Da
quando Asgard sente di
essersi liberata dal male, molti guardano con sospetto alla mia
posizione.
Ritengono, a metà strada tra l’offeso e
l’ammirato, che io abbia cavalcato
l’onda di terrore generata dal Cacciatore volgendola a mio
totale favore. Un
atteggiamento da sciacallo che, però, una volta di
più dà alla gente la misura
del mio genio. A questa adorazione feroce e cattiva io sono abituato,
lo sai
bene: lei no. La chiamano la mia puttana, sostengono sia la mia
complice e
aiutante. Per me non è forse arrivata a spezzare un
fidanzamento, del resto?
Lei
non si è confidata con me riguardo questo argomento.
È stato Bjorn a dirmelo.
Sigyn me lo ha confermato senza volerlo, con i suoi gesti. Nella lenta
gravità
con cui piegava una coperta, nell’arco delle sopracciglia
particolarmente
corrucciato, nella smorfia improvvisamente severa delle labbra, ho
riconosciuto
il suo dolore. Si guarda attorno circospetta e quando lascia la mia
soffitta
ben protetta, si stringe nel mantello vergognandosi del nome che porta,
del
cedimento folle di sua sorella, della benevolenza che Frigga le
dimostra.
Fandral
era qui e l’ha punzecchiata alla sua maniera idiota,
trattandola con
sufficienza. Le ha ordinato di prenderle una caraffa di idromele come
se fosse
nell’ultima delle bettole vicino al porto e io gli ho detto
di alzare il culo e
prendersela da solo. Non è la mia serva né la
sua. Sigyn ha risposto che sapeva
difendersi da sola. Il resto, puoi ben immaginarlo. Non ho ancora il
diritto di
usare le posate, ma certo mi è per forza necessaria una
penna.
Per
una volta, Odino si è dimostrato benevolo nei miei
confronti. Nostra madre mi
ha raccontato che Fandral è venuto a lamentarsi del mio
gesto sfoggiando il suo
naso orrendamente fasciato. Ha chiesto che fossi internato di nuovo
nelle
segrete, ipotizzando che forse è mia la mente dietro il
Cacciatore. Padre
Tutto, incredibilmente, gli ha sorriso. “Conosci
Loki,” pare gli abbia detto.
Sussurri
incerti sono arrivati fino a me raccontando addirittura, che Padre
Tutto si è
fatto una grassa risata. “È mio figlio, Fandral.
L’ho cresciuto per essere un
re; davvero pensavi che avrebbe lasciato correre un’offesa
fatta nella sua casa?”
Ha
riso come fece quando il suo lupo staccò una mano al dio
della guerra, il
tronfio Tyr. “È il mio lupo,” disse,
“e tu hai tentato di catturarlo. Di più,
l’hai scambiato per un cane. Che ti aspettavi
facesse?”
Quella
bestia magnifica mi guardava, Thor, mi fissava con sfida come se
sapesse che
avremmo condiviso un destino simile, e io mi avvicinavo alla sua gabbia
fino a
sentirne il ringhio basso e lento, l’odore selvatico. Dici
sempre che dovrei
ricordarmi cosa successe, come morì. Non voglio.
Lettera 74 (9)
Ti dici deluso,
mi chiami
pazzo e bugiardo. Niente di nuovo, insomma. Ho riletto due volte la tua
lettera, e non solo perché sei del tutto incapace di
scrivere qualcosa di
sensato, ma per capire da dove iniziare a risponderti. Ti sei illuso
che stessi
bene semplicemente perché non mi sono messo a raccontarti
delle notti in cui
tossisco finché non mi fa male lo sterno, della febbre che
sale fino a farmi
tremare. A me, che ho sangue di Jotunn nelle vene. Credevi che io e
Sigyn ci
intrattenessimo in una fosca convivenza in cui non era ben chiaro se
andassimo
anche a letto insieme, invece hai scoperto che mi dorme accanto
perché Frigga è
troppo esausta per vegliarmi ogni notte, e allora lei le dà
il cambio. Avremmo
potuto diventare amanti, se io non avessi i polmoni malati e lei non
fosse
distrutta da un lutto tragico, presumo.
Sei entrato nei
miei
appartamenti di gran carica, credendo di trovarmi tronfio e ghignante:
che
atroce delusione deve essere stata, vedermi pallido e smunto. La
verità non
esiste, fratello. C’è solo l’immagine
alterata che ferisce i nostri occhi,
parziale e irreale come un sogno, cui diamo il senso che vogliamo.
Tutto è
inganno. I miglioramenti sono costanti, ma lenti, e il fatto che
continui ad
assumere veleno non aiuta la mia tempra robusta. E poi, preferisco che
il
Cacciatore si senta sicuro del fatto suo. Non ho idea di chi abbia
rubato i
fascicoli del processo. Sebbene mi paia strano, può darsi
che abbia dei
seguaci, imitatori o persone all’interno del palazzo che lo
aiutino. Oppure
lavora lui stesso nel Thing, chi può dirlo.
Lettera 75
Certo che ho
letto la sua
confessione. In un’altra occasione, ti avrei detto che avrei
voluto guardarlo
negli occhi mentre ammetteva e spiegava e raccontava.
Perché? Ma per trarlo in
fallo, ovviamente. Per metterlo sotto pressione e indagare, scavare
nella sua
testa e capire come, dove, quale bisogno ha soddisfatto. Ma stavolta,
fratello,
non c’è alcun bisogno che io veda, e francamente
non ho alcuna voglia di
tornare nella stanza dove Odino ha permesso che mi torturassero. Me ne
lavo
aristocraticamente le mani, lascio lo scettro del comando al piccolo
principe e
al suo aiutante fanfarone. Loro hanno liberato Asgard, stavolta: che
imparino a
conoscerne il prezzo come abbiamo fatto noi.
Io ho camminato
in lungo
e in largo per la sala del Thing spiegando tesi, svelando intrighi e
menzogne.
La mia voce risuonava sotto le volte di legno e pietra del Tribunale
alta e
sicura, nonostante la mia faccia fosse segnata dai lividi e dalle
cicatrici delle
recenti battaglie. Quante volte ho presieduto zoppicante o con un
braccio al
collo? Quante, ho soffocato il dolore pur di mostrarmi
all’altezza del compito
che mi aveva affidato Padre Tutto? Pensavo fosse
l’allenamento di un re:
scambiavo il Thing per la palestra dove avrei imparato a esercitare una
giustizia in cui non ho mai creduto ciecamente, ma che reputavo
indispensabile
affinché Asgard, la magnifica Asgard, prosperasse. Mi
sbagliavo: era il
tirocinio di un politico zelante, del fedele consigliere che Odino
sperava di
affiancare al vero erede, al figlio della sua vecchiaia abbastanza
degno da
impugnare Mjollnir. Sono stato anche dall’altra parte della
barricata, sul
banco degli imputati. Tu non c’eri, ti trovavi su Midgard o a
fanculo chissà
dove, e non hai voluto ascoltare la condanna né vedere la
faccia di Padre Tutto
divenire una maschera d’odio. Ti è mancato il
coraggio, fratello, così come
ieri sera, quando sei venuto qui, non hai avuto la forza di
rinfacciarmi quello
che hai visto nel tuo ultimo viaggio. Dovresti ricordarlo, le voci
corrono in
fretta. So dove sei stato.
Cos’ho
fatto, per Odino?
Partiamo da questo. Ricordo di aver abbandonato a metà
banchetti festosi e
divertenti dove tu cantavi e raccontavi le nostre imprese, per andare a
rileggere
per la centesima volta un referto, analizzare ogni parola di una
confessione,
parlare fino all’alba con un guaritore che aveva dissezionato
il cadavere di
una povera vittima in cerca di prove o, semplicemente, per dormire e
non
presentarmi sfatto e con i postumi di una sbronza davanti agli uomini
riuniti
nel Thing. Serve solo il seiðr per estirpare la
verità dalle bocche e dagli
occhi degli imputati? Non sempre, fratello. L’incantesimo che
mi consente di
toccare una persona e scrutare nella sua testa è complicato,
debilitante e,
come ben sai, malvisto (10). L’abilità sta
nell’utilizzare l’altra
maniera. Individuare i
microscopici cambiamenti che si manifestano nel viso di un uomo quando
mente,
raccogliere la pausa troppo lunga che serve al malfattore per
inventarsi una
bugia adeguata, rintracciare qual è la realtà e
quale la menzogna dentro una
confessione (11). Nella sala dove mi hanno torturato, ho fatto tutte
queste
cose. Sono arrivato a perfezionare persino qualche tecnica, e sai qual
è
l’ironia? Hanno provato a rigirarmi le mie stesse armi
contro. Ma come si dice,
fatta la legge, trovato l’inganno. Dalle mie trappole io ho
sempre saputo come
liberarmi o, perlomeno, ho avuto la misura di quanto a fondo nella buca
da me
stesso scavata sarei precipitato.
Mentre io
lavoravo per
Asgard giorno e notte, tu e il fanfarone mi pigliavate per il culo,
ricordi?
Anche questa è una circostanza affascinante che certo nella
nostra
corrispondenza non possiamo non rievocare. Lo scribacchino di
papà, il
segretario di Asgard, il topo di biblioteca. Eri geloso che non
passassi tutto
il mio tempo con te a idolatrarti, come quegli idioti che ti seguono da
anni?
Non capivi e allora, nell’ignoranza in cui pascolavi,
aggredivi l’ignoto?
Lettera 76
Non ero
d’accordo con il
piano di Thanos, per quello che vale. Era una terra fiorente,
bellissima, ricca
di risorse minerarie, circondata da splendidi fiumi. Le sue
città erano di
marmo. Appena conquistata, mi concessi alcune ore di libertà
per attraversare
le sue strade, nonostante tutto ordinate e pulite. Ero attorniato da
architetture mirabili, statue e monumenti grandiosi, prodigi
dell’arte frutto
di un amore incondizionato per il bello. Camminavo e attorno a me
c’era solo il
silenzio e la meraviglia di una civiltà spezzata che aveva
raggiunto
elevatissimi gradi di conoscenza. Ma delle gemme, fratello, nessuna
traccia, e
allora ha ordinato di appiccare il fuoco e distruggere ogni pietra,
scultura,
casa, tempio, palazzo. “Risparmia almeno la
biblioteca,” gli ho detto,
“conterrà informazioni utili.”
Ha risposto che
era
inutile e allora ho osservato con le lacrime agli occhi la
città incantata
bruciare, corrompersi, svanire. Il rogo più grande e intenso
era al centro
della città, dove i devoti abitanti avevano scelto di
custodire la loro
sapienza, nell’edificio più grande e bello di
tutti. Le dita mi bruciavano per
le ustioni lievi che avevo riportato, sotto al braccio stringevo i
libri e le
pergamene che ero riuscito a portare via. Mi ha chiesto se stessi
soffrendo.
Gli ho risposto che la pietà non era nella mia natura e che
appartenevo a un
popolo di fieri pirati e guerrieri. Ha domandato se mi riferissi ai
Giganti di
Ghiaccio o agli Asi.
L’angolo
di Shilyss
Cari
Lettori,
Questo
capitolo doveva essere postato a settembre, ma una
serie di circostanze mi spingono a condividerlo adesso. Dedico questo
capitolo
a una cara Lettrice che ama come me il buon vecchio Fëdor e
compie gli anni in
questi giorni. Questo è per te! ;)
Ringrazio
ovviamente tutti voi che recensite e preferite e
ricordate e seguite. Illuminate d’immenso me e soprattutto la
Fatina e… le
vacanze per me significano anche scrittura, quindi poveri voi, non vi
libererete della sottoscritta!
Vuoi
più Shilyss
nella tua vita?
Ogni
settimana ti
domandi quale storia aggiornerò interrogando i tarocchi, i
fondi del caffè o le
Rune? Vorresti sapere con precisione il momento in cui posto?
Ti
piacerebbe
conoscere anteprime e curiosità, sapere quali altre trame
sto elaborando e come
immagino il mio mondo con foto eccetera, ma non vuoi interagire su
questa
piattaforma?
Ebbene,
forse ho
un presente per te. Shilyss approda sui social. Vinci la timidezza e
seguimi in
questo magico mondo delirante ricco di avventure! Potrai
avere accesso a contenuti inediti e speciali ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/
1)Hugin
e Munin, i corvi di Odino.
2)
Una citazione del bellissimo film “Vita di P.”
3)
L’uso dei tempi verbali in riferimento a questo episodio,
è volto a mettere più distanza possibile tra Loki
e gli eventi raccontati.
4)
Fanfaral è una giocosa contrazione di Fandral +
fanfarone. C’è rispetto e simpatia, sì.
5)
Thing è il nome dell’Assemblea vichinga dove si
prendevano le decisioni e si amministrava la giustizia.
6)
Calco de La città di
vecchia di De André.
7)
Secondo le regole del Galateo, quando si beve il mignolo
non deve essere mai alzato. Loki, che è un principe e un
uomo di mondo,
ovviamente conosce questa regola, Fandral (che NON mi è
simpatico), no.
8)
Citazione da “Thor: The dark world.”
9)
Come vedete, Thor è finalmente tornato e ha incontrato
Loki. Chiaramente i nostri eroi parlano solo ed esclusivamente di cose
che
conoscono.
10)
Loki si riferisce all’incantesimo visto in Ragnarok che,
in questa fiction, ha usato anche con Sigyn.
11)
Un omaggio alla serie tv “Lie to me”.
Shilyss
|
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Capitolo 11 *** Concessioni ***
Capitolo 11
– Concessioni
Lettera 77
Alla Suprema
Maestà di
Padre Tutto Odino figlio di Bor, dio delle Forche e della Poesia,
Signore di
Asheimer, servo dei servi di Asgard, protettore dei Nove Regni, Custode
della
Sapienza di Mimir, Capo e Generale degli Asi tutti, io, Loki Laufeyson,
dio
degli inganni e del caos, principe di Asgard e legittimo erede di
Jotunheim,
conte dei confini nord di Asheimer (1), maestro delle rune e del
seiðr,
avvocato del Thing in veste di
accusatore.
Chiedo
ufficialmente
Che la mia
assistente, Sigyn
Iwaldottir, sia ammessa in mia vece in veste di uditore presso il Thing durante il processo al presunto Cacciatore. I motivi che mi
spingono a inoltrare questa richiesta sono molteplici. I miei titoli mi
danno
libero accesso al Thing poiché,
nonostante sia stato condannato a una pena a vita, non sono stato
destituito
ufficialmente da nessuna delle mie cariche. Anche se ciò
dovesse avvenire oggi
stesso, del resto, per il processo a carico dell’uomo
conosciuto come il Cacciatore
rimarrei nell’ambito delle
mie funzioni perché la destituzione,
com’è noto, non è retroattiva. Ai tempi
di
Bor era uso e consuetudine che un membro del Thing
potesse, in casi eccezionali, delegare una persona degna di fides. A questa antica norma io mi
appello augurandomi che venga rispettata così come
è sempre stato. Dama Sigyn
figlia di Iwaldi potrà fare domande e interrogare il
prigioniero secondo la
prassi stabilita.
Rimanendo in
attesa delle
decisioni che vorrà prendere la Corona, pregherò
le Norne affinché possano
tessere un destino luminoso e fortunato per Asgard e i suoi domini
tutti. Con
la presente porgo i miei rispettosi omaggi,
Loki Laufeyson,
principe
di Asgard, conte del Nord, maestro delle rune.
Lettera 78
Certo che
l’ho fatto,
idiota. Gli ho scritto una lettera inappuntabile, perfetta sotto tutti
i punti
di vista. Mi ha fatto aspettare tre giorni e mi ha risposto con un
biglietto
che gli avrei ficcato volentieri in gola, se solo me lo fossi trovato
davanti.
Si è degnato di rispondermi con una cazzo di mezza riga.
“Scrivimelo come se fossi mio figlio,”
ironizza. Può andarsene
affanculo, Thor, e tu con lui. Non mi piegherò a recitare
nel suo fottuto
teatrino la bella favoletta della famiglia felice. Lo fa per umiliarmi,
lo
stronzo, e se credi che questo sia alto tradimento ti prego: esponi
questo tuo
dubbio ad alta voce e liberami da questa penosa condizione.
Lettera 79*
Thor dentro il Thing a fare domande?
Cos’è l’inizio di
una storiella demenziale? Tipo ci sono un elfo, un nano e un gigante su
una
barca? Per piacere, Sigyn, non ti ci mettere anche tu.
Lettera 80**
Mi chiedo
perché tu
voglia questa lettera. Mancano poche ore all’inizio del
processo e dovrebbe
essere tua cura far sì che ad Asgard regni la giustizia. La
runa che indica
questo concetto, non ha lo stesso significato di “prendi il
primo sfortunato
che ti si para davanti e impiccalo solo perché la folla
vuole vedere il mostro
penzolare.” La colpevolezza deve essere oltre ogni
ragionevole dubbio, com’è
stata a suo tempo per me. Balder sente già
l’Hlidskjalf sotto le chiappe ed è
spinto da Fanfaral a cercare una
rapida soluzione al processo, ma questo è un errore, e tu lo
sai. Ecco cosa non
ti perdono.
“Scrivimelo come se fossi mio figlio,”
dici. Attento a quello che
desideri, recita un antico adagio: potresti ottenerlo. Il sonno che
spesso ti
coglie e getta Asgard tutta nel caos che io rappresento, potrebbe non
salvarti
da una verità scomoda uscita dalla bocca del dio
dell’inganno, il fabbricante
di bugie, il figlio che hai raccolto su un picco di ghiaccio e che hai
permesso
cadesse, si perdesse.
Padre,
perché mi hai torturato? Cominciamo dagli ultimi torti, te
ne prego. Non ero
forse tuo figlio, quando hai permesso che, per interrogarmi, fossero
usati
sistemi decisamente poco ortodossi? I miei carcerieri mi hanno chiesto
perdono
mentre riprendevo fiato e hanno cercato di essere rapidi; in taluni
casi, hanno
fatto del tutto perché non vedessi gli strumenti. Lascia che
ti dica che hanno
avuto più pietà di quanta non ne abbia dimostrata
tu.
Padre,
perché ti ostini a farmi trascorrere del tempo con quella
ragazza? La tua
sagacia è venuta meno, ignori quello che a chiunque altro
appare evidente o è
un modo particolarmente subdolo per continuare a torturarmi? Vuoi dei
nipoti
nati da un genitore in cattività o ti sollazzi nel mostrarmi
ciò che ho perso e
a cui tu non hai rinunciato?
Padre,
perché non sei sceso nei sotterranei per vedere la mia cella
e hai impedito a
tua moglie di fare altrettanto? Ti ho visto assistere decine di volte a
pene
atroci come l’aquila di sangue (2) senza muovere un solo
muscolo e non ti nego
che, qualche volta, ho temuto che avresti condannato anche me a un
supplizio
così crudele. Un vero Ase, per essere tale e morire con
onore, non dovrebbe
emettere un solo sospiro durante tutta la pena, ma non temere
quell’orrore è
follia. Cosa ha trattenuto l’impassibile Padre Tutto dal
posare il suo occhio
fin qua sotto? Ricordo che visitavi il lupo tutte le sere. Al termine
di una
riunione o di un banchetto incrociavi le mani dietro la schiena e
raggiungevi
la sua cella – gabbia, perdono – e lo osservavi
ringhiare e sfidarti. Io e Thor
ti spiavamo.
Padre,
perché mi hai condannato? C’è stata
forse una mia parola davvero sbagliata,
nell’arringa che ti ho fatto quando le guardie mi hanno
trascinato al tuo
cospetto legato come un animale? (3) In quanto figlio di re non mi
spetta forse
un trono? E Asgard sulle ceneri di cosa è stata costruita,
Padre? Dalle miniere
di quale paese viene l’oro che ricopre persino le pareti del
tuo palazzo? Ho
cercato di prendermi con la forza ciò che tu mi hai negato
perché non sono
degno, ricordi? Me lo hai detto mentre oscillavo nella
vastità dell’abisso,
oltre il Bifrost. Non ero abbastanza. (4)
Padre,
perché mi hai ingannato? Hai passato una vita lunga secoli a
farmi allungare le
dita verso il trono, spingendo me e Thor a fare ogni cosa in nostro
potere per
poter meritare la corona ai tuoi occhi – perdono, al tuo
unico, crudele occhio
– e poi, d’improvviso, non eravamo abbastanza. Mio
fratello era troppo
presuntuoso, violento, rozzo, io eccessivamente bugiardo, falso,
malvagio,
debole, intrigante e chissà cos’altro. Allora lo
ripeto: perché ci hai
ingannato? Hai cambiato idea? Il tuo cuore di vecchio è
diventato fiacco e lo
spirito del guerriero in te si è placato?
Padre,
perché non mi hai cercato? Hai allestito un funerale
pomposo, mi dicono, hai
fatto cantare lai in mio nome, ma la speranza nel tuo petto grinzoso si
è
affievolita. Il potere per cui sei famoso non ha lasciato che la mia
presenza
fosse avvertita oppure, semplicemente, ti è convenuto non
cercarmi?
Padre,
se il mio destino era crepare su un picco di ghiaccio, lasciato a
morire di
freddo, stenti o divorato dalle bestie, perché mi hai
salvato? Qual era il tuo
scopo? Aggiungere una reliquia alla tua collezione ignobilmente vasta,
sfruttarmi come una marionetta per soggiogare Jotunheim, un giorno,
estorcere
favori a Laufey? Il piano iniziale non era dare un fratello al figlio
maschio
appena arrivato, ma accrescere il tuo potere e quello degli Asi.
Nient’altro.
Risponderai pietà, a
questa domanda.
Chiamerai in causa l’innocenza di un neonato, la stanchezza
della guerra,
l’affetto che sopraggiunge inevitabile quando si raccoglie il
cucciolo di
qualsiasi cosa. Sono fatti per ispirare tenerezza, i piccoli delle
varie
specie. Hanno un aspetto gradevole e paffuto e grandi occhi per far
nascere
nell’adulto che li trova un istinto di protezione. Mi sono
salvato per questo,
padre, perché alla fine
ti sei
affezionato?
Padre, stai
commettendo
una sciocchezza con quel processo: macchierà il tuo nome.
Lascia che la ragazza
che non sarà mai mia assista e possa riferirmi quanto
accadrà.
Lettera 81
Non
c’è niente di peggio
che rimanere qui ad aspettare, ovviamente. Siamo uomini
d’azione, guerrieri
abituati a prenderci la responsabilità della nostra vita e
di quella degli
altri. Oh Thor, non farlo, non dirlo. Non ripetere quello che hai osato
dire
ieri sera. Avevo intere ali dell’esercito di Odino al mio
comando. (5) Guidavo
negli assalti truppe fatte di veterani come di ragazzi appena usciti
dall’Accademia e mi sono sempre preoccupato di farne tornare
a casa il più possibile.
Midgard annulla tutto ai tuoi occhi, certo. Lei e il mio lungo periodo
con
Thanos. Abbiamo combattuto spalla contro spalla per secoli, ho iniziato
a
difendere i Nove Regni quando ancora avevo le guance lisce come una
ragazza,
eppure quello che mi definisce, oggi, è la manciata di anni
passati ad
abbassare lo sguardo quando il Titano mi si avvicinava.
Vorresti il
racconto di
un fiero eroe che non si è mai piegato, non è
vero? Ti piacerebbe, in fondo al
tuo cuore, che ti dicessi come la gemma che splendeva sulla
sommità del mio
scettro mi abbia reso un burattino inerme nelle mani del mostro che
insegui
senza successo. Sarebbe consolante, suppongo. Ma non è il
momento di parlare di
quel pazzo, adesso. Lo abbiamo già fatto ieri sera, ricordi?
Quando mi sono
messo a spiegarti, come se avessi cinque anni, cosa ti succederebbe nel
dettaglio se ti avvicinassi troppo a lui. Non gettare alle ortiche i
miei
preziosi suggerimenti, fratello. Ti hanno salvato la vita
più volte, in
passato, tienilo sempre a mente – o dovrei dire, piuttosto,
in quella zucca
vuota che le Norne ti hanno concesso.
Lettera 82*
Piccola Sigyn,
non
capisci? Avevano già deciso tutto. Serviva una vittima da
immolare, uno
spauracchio che esorcizzasse l’orrore. Odino, lo spietato dio
delle forche,
doveva mostrare quanto sia ancora
efficiente e celere la giustizia di Asgard e anche promuovere le gesta
del
figlio minore. Thor è un irresponsabile che si è
messo a cacciare chimere, io
sono rinchiuso con una condanna a vita. Il trono di Asgard deve
dimostrarsi
saldo in qualsiasi frangente. Nessuno è davvero
indispensabile, ad Asgard,
nemmeno il mio nobile e valoroso fratello. Se si dimostrasse indegno di
stringere Mjollnir, Padre Tutto troverebbe immediatamente un altro
difensore
dei Nove Regni. E quest’ultimo potrebbe essere persino
Balder, figurati. Tu hai
fatto del tuo meglio, e fidati delle mie parole: se mi fosse stato
riferito
diversamente, non avrei esitato a rendertelo noto. La clemenza e la
gentilezza
albergano nel mio spirito, contrariamente a quanto taluni pensano, ma
è
dispensata con cura e attenzione. Detesto gli incapaci, gli stolti,
coloro che
agiscono senza riflettere. Hai fatto del tuo meglio, ma Odino aveva
già deciso
che quell’Erik dovesse penzolare dalla forca. Mi dispiace.
Lettera 83
Te lo dico io
che cazzo è
successo: quel vecchio orbo crudele ha messo a morte l’uomo
sbagliato e non
sono sicuro che sia una tecnica per far sentire più al
sicuro il vero
Cacciatore. Raramente ho visto eseguire una condanna così
rapidamente e questo,
lascia che te lo dica, mi ha disgustato. Chi è il mostro,
adesso? Sigyn ha
raggiunto lo status di puttana pazza del dio degli inganni e ha avuto
una crisi
di pianto qui, ieri sera. Mi è toccato consolarla come fosse
una bimbetta.
Siamo proprio una bellissima coppia, noi due: entrambi distrutti
– io nel
corpo, lei nello spirito – e inascoltati. Bjorn ci ha
sorpreso così, mentre ci
stringevamo. Sigyn singhiozzava piano sul mio petto, io le accarezzavo
i bei
capelli biondi.
Che immagine
succosa e
interessante, non trovi? Quell’idiota ha balbettato qualcosa
e lei si è
scostata in fretta, ma mi è rimasta accanto. Confusa, rossa
in volto, con gli
occhi lucidi. Bjorn era venuto a riferirmi il messaggio di Heimdall e
no, non
ne sono rimasto affatto sorpreso.
Lettera 84
Gettala. Gettala
via,
falla sparire, ficcala in fottuto buco nero. Non la cercare, non la
inseguire,
Thor. Ti troverà e vorrà la sua vendetta.
L’arma che sottrassi al Titano in
quella bettola senza nome, aveva una gemella. La possiede ancora,
credo, sua
figlia – un’abile guerriera con cui sarebbe
interessante scontrarsi, forse. Thanos
non si accorse immediatamente del furto (6). Tornò nel suo
accampamento, s’infilò
nella sua tenda, e solo allora, quando si tolse le placche
dell’armatura, si
accorse che il fodero era vuoto. Dicono che
s’infuriò tanto che le vene del
collo gli si gonfiarono a dismisura. Che sradicò alberi a
mani nude e che
minacciò di distruggere quell’eremo insignificante
di cui nemmeno ricordava il
nome. C’è chi racconta che uccise metà
dei suoi sottoposti per riportare l’ordine
e l’equilibrio, e che fu solo dopo aver compiuto
quell’inutile massacro, che gli
tornai in mente io.
Mi chiamano il
dio degli
inganni, fratello, tu lo sai. Dicono di me molte cose, troppe, forse.
Alcune voci
le ho alimentate io stesso per testare la curiosa morbosità
degli uomini di
conoscere, sapere, parlare di ciò che li affascina e, allo
stesso tempo, li spaventa.
Come la storia del cavallo che, su Midgard, è diventata
persino una curiosa
quanto improbabile leggenda. A volte, come ad Alfheim, mi muovo
nell’ombra e
colpisco prima che il mio avversario se ne accorga, cogliendolo alle
spalle. Altre,
invece, faccio sfoggio delle mie abilità alla luce del sole,
armato solamente del
mio acume e di un occhio attento. Non ho atteso che fosse il Titano a
venirmi a
cercare. Fui io ad andare da lui. Mi fermai ai margini del suo
accampamento
sontuoso e decadente e osservai le astronavi scintillanti, le tende
montate con
accurata perizia, i cadaveri ammucchiati gli uni sugli altri. Non
è stato lo
stupore e il terrore che la morte aveva congelato sui loro volti, a
farmi rabbrividire,
ma il capriccio privo di senso e scopo che si nascondeva dietro quel
massacro
osceno. Ho attraversato mille e mille campi di battaglia, al tuo
fianco. Ho visto
la morte negli occhi di un soldato già esanime, ho assistito
a fini gloriose e
ad altre miserande, ho camminato nel fango e nel sangue facendomi largo
tra i
cadaveri, ho posato il mio sguardo su di loro. Alcuni avevano
sacrificato la loro
esistenza in nome di un fine ritenuto alto e nobile, meritevole. Altri,
avevano
lottato fino allo stremo spinti dalla fame e dalla leva obbligatoria,
ed erano
morti sapendo a malapena il nome del sovrano per cui avevano dato ogni
cosa. Anche
le guerre più giuste nascondono motivazioni luride e
sporche, fratello. Io tutto
questo l’ho saputo sempre o l’ho capito troppo
presto, non ricordo, eppure nell’accampamento
di Thanos, tutti quei cadaveri mi hanno colpito. Il Titano mi parve
come un
bambino gigantesco e infinitamente stupido che sfogava la sua
frustrazione
sugli uomini con cui avrebbe dovuto lottare fianco a fianco. Per lui
quelli non
erano sudditi né tantomeno guerrieri da comandare, ma
giocattoli da distruggere
all’insorgere del primo disappunto.
Lettera 85
Il Cacciatore
penzola
ancora dalla forca, e già Asgard si chiede che ne
sarà di me. Potrei perdere i
privilegi ottenuti fino a ora e crepare sputando sangue. È
una possibilità che ho
preso in considerazione, sì. Nascondere la Gemma
è stata la cosa più stupida
che tu potessi fare, Thor. Davvero. Ti avevo detto di sbarazzartene, di
gettarla in qualche buco nero del cazzo, e invece tu che fai? Decidi di
tenertela. Pagherai per non avermi ascoltato, pagheremo tutti. Io,
forse, prima
degli altri. Lei non si è fatta vedere. Sono due giorni che
non la vedo – due giorni
in cui i corvi di Odino non hanno fatto altro che volare senza sosta
sul cielo
grigio di Asgard. Spero davvero che abbia abbandonato la
città a favore dell’isolata
e mite campagna. Lui è ancora in giro e potrebbe decidere di
cercarla. Non lo
hai ancora capito, Thor? Allora sei più sciocco di quanto
credessi. Porta le
tue chiappe qui, dobbiamo parlare.
Continua…
L’angolo
di Shilyss
Cari
Lettori che siete arrivati fin qua,
Ecco
finalmente l’undicesimo capitolo di questa long! Vi ho fatto
aspettare un’eternità,
ma non temete! Mai più così tanto tempo! Voglio
ringraziare tutti coloro che
hanno recensito, preferito, ricordato e seguito questa storia. Grazie
davvero,
ogni riga è per voi ♥: vi invito, anzi, a
utilizzare le liste di Efp. Per voi è
solo un clic, per noi Autori una grande soddisfazione **
La
Fatina dell’Ispirazione necessita sempre delle vostre cure
per poter spandere i
suoi glitter! Per ulteriori info e un po’ di
divertimento… c’è la mia pagina
facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/
Ricordo che
il personaggio di Sigyn, tolto
quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia,
è una mia personale
interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.
Che Loki si occupi di giustizia e sia
conte è un mio headcanon che difenderò nelle sedi
opportune con le unghie e con
i denti.
1)
Loki conte del Nord
e con un ruolo politico è un MIO headcanon.
2)
L’aquila di
sangue è un’orrenda punizione vichinga che non vi
descriverò per decenza.
3)
Riferimento a
TDW.
4)
Riferimento al
primo film Thor.
5)
Anche questo è un
mio headcanon.
6)
Mi riferisco alla
lettera 38/Capitolo 5 di questa long.
Prima di
lasciarvi, vi informo che a giorni aggiornerò anche
un’altra
long! Vorrei inoltre consigliarvi di leggere altre due mie storie: sto
parlando
dell’AU Tesori, whisky e ossessioni, che non toglie nulla al
personaggio di
Loki, e alla minilong ispirata al mito “Fino alla fine del
tempo.”
Grazie per
essere arrivati fin qui,
Shilyss
|
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Capitolo 12 *** Invenzioni e nascondigli ***
Capitolo 12 -
Invenzioni e nascondigli
Lettera 86
Goditi questo
momento,
fratello, perché dubito che ti ricapiterà tanto
presto l’occasione di
utilizzare contro di me le mie stesse battute. È ovvio che
io e il guardone
ficcanaso dobbiamo essere davvero
disperati, per essere costretti a scambiarci le informazioni.
La cosa fa già ridere di
per sé, oltretutto. Il dio bianco capace di vedere ogni cosa
che deve chiedere
aiuto a me. Non ti nascondo che ho provato un brivido di soddisfazione,
quando
è venuto nel mio grazioso studio sopraelevato. Mi sono
crogiolato del suo
disagio, ho fatto pesanti allusioni alla mai abbastanza maledetta
ironia delle
Norne. Lui, con tutta probabilità, deve averti raccontato
che l’ho accolto al
mio solito, tronfio, modo: stravaccato su una poltrona con un sorriso
di
scherno sulle labbra e l’aria strafottente di chi crede che
tutto sia un gioco,
uno scherzo. Così ha detto, vero?
Heimdall ha un
cuore
puro: troppo, per i miei gusti. La sua volontà è
retta solamente dal desiderio
che Asgard prosperi e che nulla possa turbarla, ma se dovesse scegliere
tra te
e il nostro vecchio e glorioso padre, chi pensi seguirebbe? I suoi
occhi
gialli, a mio modesto parere, oscillerebbero verso la speranza
racchiusa nella
giovinezza.
Mi detesta perché gli
porgo queste domande schiette e crudeli e lui non sa cosa rispondermi,
dilaniato
tra il senso del dovere e la rettitudine che lo spingono a essere
sincero in
qualsiasi circostanza, anche con me. So di metterlo a disagio;
è abituato a usare
i suoi poteri per tenere d’occhio i Nove Regni tutti, ma io
riesco a
sfuggirgli, a nascondermi, a tessere magie tanto potenti da celarmi al
suo
sguardo impietoso. Lui non conosce le mie ombre o, perlomeno, non era
riuscito
a distinguerle quando avrebbe dovuto farlo e io questo lo so
– lo sappiamo
entrambi. Ha fallito.
Si muoveva a
disagio, il
guardiano. Non gli piaccio, non gli sono mai piaciuto; troppo mutevole,
caotico, ingestibile, ma ieri sera tu non c’eri e lui aveva
bisogno di
ripristinare l’ordine e proteggere gli Asi. A chi rivolgersi,
se il tonante è
assente, lontano, alla ricerca di un potere che condannerà
tutti a morte? Al
secondo in comando, ovviamente. A colui che crea e, allo stesso tempo,
risolve
i problemi di Asgard. Al principe bugiardo e malfattore. Ho accolto
Heimdall
come se lo aspettassi perché, in effetti, ero certo che,
prima o poi, sarebbe
passato da me. Ha inghiottito il suo orgoglio in nome
dell’Yggdrasill, si è
convinto a darti retta. È il tuo primo ammiratore, temo. I
convenevoli che ci
sono stati tra noi sono serviti unicamente a studiarci l’un
l’altro. Parole
vuote, senza un reale significato. Mi ha chiesto come stessi e non ha
mancato
di ringraziarmi per aver sostenuto la sua innocenza quando il sospetto
si era
abbattuto persino su di lui. Il fatto che il corpo di una delle vittime
fosse
proprio a casa sua lo ha offeso e indignato: il dio bianco è
troppo retto e
giusto per commettere un crimine, non ti pare? Eppure, nei suoi occhi
gialli,
ho letto anche altro: l’ombra del sospetto che io sappia
più di quanto non
ammetta. Come facevo a essere così sicuro che lui era
innocente? Perché lo
avevo difeso con forza, io, che ero e sono il dio della menzogna e
dell’inganno
e che avrei potuto vendicarmi del suo disprezzo anche solo rimanendo
neutrale?
Gli ho risposto
che si
trattava del potere. Potevo salvarlo e l’ho fatto. Sono un
principe
lungimirante e benevolo, gli ho detto col peggiore dei miei sorrisi.
Lui mi ha
guardato a lungo, con severità.
“Ti
servo, Loki.” Questo
mi ha detto.
Non è
poi così sciocco il
nostro caro guardiano, non trovi?
Lettera 87*
Non eri tenuta a
farmi
avere tue notizie.
Lettera 88
Moriremo, per
quello che
abbiamo fatto. La tua cieca speranza nella vittoria mi appare come
nient’altro
che l’illusione di un bambino. Ti stai crogiolando in un
sogno che renderà
solamente più doloroso il risveglio.
Moriremo, e io
spero solo
di farlo lontano da queste quattro, insopportabili mura.
L’universo intero
dipende dall’efficacia del nostro nascondiglio, dalla potenza
d’un incantesimo
che non dovrà essere rivelato nemmeno sotto tortura. Quello
che mi hai chiesto
di fare è proibito in così tanti modi e con tali
e tante leggi che violarle
tutte, lo ammetto, è stato quasi divertente. E poi,
diciamolo: cosa c’è di più
tremendamente ironico del nobile dio del tuono che chiede al fratello
maledetto, al figlio ingannato, alla reliquia rubata, al traditore di
Asgard,
di collaborare come ai vecchi tempi in nome di un fine più
alto? Siamo davvero
in una condizione disperata, fratello. La nostra unica speranza
è che non
riesca a trovare un veicolo, un oggetto magico capace di contenere,
canalizzare
e gestire tutte le pietre. C’è un solo luogo, in
tutto il cosmo, dove questo
potrebbe essere costruito.
Lettera 89
Ti sbagli, Thor.
Sei
totalmente, disperatamente, tristemente fuori strada. Non guardare a me
come la
fida spalla che sono stato, come l’alleato che ti ha salvato
da mille battaglie.
Secoli di combattimento spalla a spalla non significano più
niente. Soffoca la
speranza che ti ha animato nell’ultima lettera. Ancora non lo
comprendi? Di me non puoi fidarti e
io ho sacrificato
troppo alla causa di tuo padre per decidere di mettermi alla tua destra
e
aiutarti a riportare l’ordine nel caos. Sono il lupo che
ringhiava e rifiutava
il cibo, il trofeo, esibito ed esposto che testimonia
l’ennesima, crudele,
vittoria del dio delle forche, il grande Odino. Non confondere il mio
aiuto
come il segno di chissà che pentimento: prendi esempio dal
buon vecchio
Heimdall, che non si illude delle mie intenzioni e continua a essere
cieco di
fronte all’ombra che si è abbattuta su Asgard e
ora, silenziosa, tace. Nessuno
mette in dubbio che sia stato giustiziato un innocente e
l’apparente
tranquillità che regna ad Asgard fortifica questa patetica
quanto miope
considerazione. Padre Tutto, ovviamente, non è di questo
avviso. Vedo le rughe
che gli segnano il volto farsi ogni giorno più profonde.
Lettera 90
Bjorn
è il solito idiota. Gli ho chiesto di portarmi il
diciassettesimo volume di Storia della
magia e dell’oreficeria nanica e lui, per ben due
volte, ha sbagliato.
Avrei dovuto prenderlo a calci, altro che.
Gli ho dato un solo
compito – uno solo, per le Norne – e lui
è stato capace di confondersi, di
sbagliare, di scontentare il suo principe. Il diciottesimo volume o il
diciannovesimo non sono il diciassettesimo; persino tu dovresti
capirlo.
Ovviamente, lei non si sarebbe
sbagliata, mai. Qualora disgraziatamente il volume non fosse stato
reperibile,
si sarebbe adoperata per cercarlo in qualche collezione privata e mi
avrebbe
fatto avere prima che glieli chiedessi altri testi
sull’argomento. Non
offendere la mia intelligenza con altre domande sul perché
non desidero più che
venga qui. Il Cacciatore deve credere di essere al sicuro, ritenere di
avermi
sconfitto.
Lettera 91
Non ho la
benché minima intenzione di giustificare con te le
mie azioni. Non sei il mio re, Thor. Non avrai la mia eterna
fedeltà, non ti
presterò omaggio. Circondati dei saltimbanchi che ti
accompagnano nelle tue avventure
e che si beano del riflesso della tua gloria. Fatti aiutare da Fanfaral, da quell’ubriacone di
Volstagg,
dall’imperscrutabile Hogunn o dalla nostra cara Sif, che non
disdegna l’idea di
frequentare entrambi i nostri letti. Le tue accuse scivolano su di me
come
acqua piovana sui tetti, le tue minacce mi fanno ridere. Non
impicciarti
ulteriormente dei miei affari. Ciò che ho fatto per te con
la Gemma non
significa niente; non fare in modo che debba ripeterti questo concetto
un’altra
volta. È nel mio interesse che il Titano non diventi ancora
più potente. L’ho
deluso, ho intralciato i suoi piani smarrendo qualcosa che gli era
caro, ho
perduto un’intera armata. Tu credi che mi
perdonerà, dopo questo? Cosa mi
faresti, al suo posto? Quale punizione infliggeresti al servo incauto
che ti ha
provocato un danno? La clemenza non è nella mia natura e gli
insegnamenti del
nostro ipocrita padre forse hanno finito per attecchire persino nel tuo
petto
indomito.
Le mie azioni
sono meschine e riprovevoli, dici? Allora girati,
non guardare, torna a occuparti di questioni lontane e irrisolvibili,
anziché
mettere bocca negli affari della terra che ti spetta di diritto
governare, ma che,
in fondo, non ti interessa quanto dovrebbe. Come Midgard, del resto. La
tua
presenza su quel mondo esposto e delicato ha provocato una moltitudine
pressoché infinita di problemi: come puoi definirti il
protettore dei suoi
abitanti? Con che faccia ne calpesti la terra ora fertile ora brulla,
tu che
hai portato, come me, come gli Asi
tutti, guerra, distruzione e morte? Ciò che faccio di Sigyn e con
Sigyn non
ti deve importare.
Lettera 92
Mi pare ovvio
che mi facciano
ancora male la mano, la spalla e persino le costole, se proprio ci
tieni a
saperlo, motivo per cui non mi sento affatto in colpa per il tuo piccolo incidente. Del resto, era
abbastanza scontato che prima o poi sarebbe successo, non credi? Bjorn,
vedendoci
litigare, ha spalancato la bocca tanto che ho creduto gli si sarebbe
staccata
la mascella, povero il mio sciocco carceriere che spesso si trasforma
in
tirapiedi.
Sono convinto
del fatto
che Padre Tutto e nostra madre non siano rimasti particolarmente
colpiti dal
nostro allegro diverbio. Piuttosto, immagino che l’avranno
considerato un
ritorno ai cari, vecchi tempi, quando ogni scusa era buona per
azzuffarci. Quanti
banchetti abbiamo rovinato con le nostre intemperanze? Per lo sguardo
ambiguo
di un’ancella o uno scherzo non gradito ci siamo presi a
pugni infinite volte, in
un’occasione persino nella stanza antistante il trono
– anche se, a essere
sinceri, quella avremmo proprio potuto risparmiarcela, considerato quanto si inferocì con noi
Odino. Ecco
perché non ho mai avuto paura di scontrarmi con te. Lo
abbiamo sempre fatto, lo
faremo sempre. Fa parte di noi stessi e della nostra natura. Non temo
né la tua
ira né il tuo martello perché li conosco, so
cosa possono fare.
Tu, invece,
guardi con sospetto alla mia magia. Te l’ho letto
negli occhi e non solo ieri sera. La prima volta che ho mutato forma
davanti a
te, eravamo ancora bambini: mi hai rivolto un sorriso sdentato e hai
battuto le
mani, entusiasta, ma dopo, quando la mia abilità nel
manipolare il seiðr si è
accresciuta, nel momento in cui ha assunto tinte inquietanti, ho
sentito sulla
mia pelle il tuo sguardo severo, accigliato. Il seiðr
è qualcosa di antico, di
oscuro, di potente e difficilmente controllabile. Che non ti
apparteneva né lo
avrebbe fatto mai, sebbene, in fondo, anche reliquie come Mjollnir ne
siano
profondamente intrise. Quando la mia capacità di pronunciare
le giuste rune e
di evocare il potere che tanti ha spaventato si è
manifestata in tutta la sua
devastante potenza, qualcosa è cambiato, in te. Di fronte ai miei
incantesimi, a volte sei stato
tentato di indietreggiare, dio del tuono. L’ho visto, come
ieri notte ho scorto
il tuo volto impallidire di fronte alla mia trovata. Ammettilo.
Passando a
discorsi senz’altro più utili, sai bene che
rivelare
cosa abbiamo fatto non è nei miei piani. Sarebbe una mossa
stupida, che
peggiorerebbe notevolmente la mia già spiacevole e
fastidiosa condizione. O credi
che questa soffitta dalla vista incantevole mi faccia dimenticare che
sono
imprigionato per aver preteso ciò che mi spetta di diritto?
Ora devo
lasciarti: nostra madre ha deciso di allietarmi donandomi
un divertente gioco di strategia elfico, uno di quelli composto da un
piano su
cui si muovono le pedine colorate. L’altra sera abbiamo
giocato insieme, io e lei,
e devo dire che è stato piacevole. Ho tentato di insegnarlo
a quella zucca
vuota di Bjorn, ma con scarsi risultati, visto che per fare la mossa
sbagliata
che porterà me all’ovvia vittoria in sole tre
mosse, ci sta mettendo più del
tempo utilizzato da me per scriverti questa lettera. Cielo, forse ce
l’ha fatta!
Siano ringraziate le Norne, ha mosso!
Lettera 93
C’è
ancora veleno nel mio cibo, fratello. Lo dice il
guaritore di fiducia di nostra madre, lo dice il sangue che mi
è rimasto sulla
mano stamattina dopo un colpo di tosse particolarmente violento. Si
tratta di
un peggioramento leggero, lievissimo, ma che non ci sarebbe stato, se
il
Cacciatore fosse morto. Invece è vivo, da qualche parte. La
mia improvvisa
ricaduta ha limitato nuovamente la già precaria
libertà di cui godevo, ma,
soprattutto, ha avuto come conseguenza che quell’idiota di
tuo fratello è
venuto a tediarmi con la sua insopportabile presenza. Non
c’è niente che il
nobile Balder desideri di più che sentirmi affermare come il
mio avvelenamento
sia opera di un terzo soggetto che ha sfruttato la questione del
Cacciatore per
colpirmi. Del resto, Asgard pullula di gente che avrebbe più
di un motivo per
vendicarsi della mia persona, ti pare? Persino lei,
la mia esca dai capelli d’oro.
Continua…
L’angolo
di Shilyss
Cari
Lettori che siete arrivati fin qua,
Avevo
promesso un aggiornamento in tempi umani, e invece… perdono!
Davvero, amo questa
long e non ho nessuna intenzione di abbandonarla o lasciarla
incompleta. Come avrete
avuto modo di notare, poi, l’ultima parte del capitolo ha un
colpo di scena
abbastanza succoso, eh eh eh.
Voglio
ringraziare tutti coloro che hanno recensito, preferito, ricordato e
seguito
questa storia. Grazie davvero, ogni riga è per voi
♥: vi invito, anzi, a
utilizzare le liste di Efp. Per voi è solo un clic, per noi
Autori una grande
soddisfazione. **
La
Fatina dell’Ispirazione necessita sempre delle vostre cure
per poter spandere i
suoi glitter! Per ulteriori info e un po’ di
divertimento… c’è la mia pagina
facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/
Ricordo
che il
personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla
voce “Sigyn” su
Wikipedia, è una mia personale
interpretazione/reinterpretazione/riscrittura. Che
Loki si occupi di giustizia e sia
conte è un mio headcanon.
Shilyss
|
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Capitolo 13 *** Giù le carte ***
Capitolo 13
Giù
le carte
Lettera 94
Sigyn gioca
discretamente a dama elfica. Perde, ovviamente,
ma lo fa con più grazia e muove con maggiore sveltezza le
sue pedine rispetto a
quell’idiota di Bjorn. Non che ci volesse poi molto, in
verità. Ogni volta che
le mangio un pezzo, alza su di me i suoi occhi grigi e mi dice che sono
un baro
e la inganno. Che questo gioco soddisfa il mio ego smisurato e una
serie di
altre cose carine che ti risparmio. È tornata col chiaro
intento di farmela
pagare e manifesta un atteggiamento a metà strada tra
l’eccessivamente serio e
lo sdegnoso che mi diverte moltissimo, con suo gran dispetto. Appena
entrata ha
salutato calorosamente Bjorn abbracciandolo. È stata una
scena spassosa: lui
era terrorizzato. Teme, chissà perché, una mia
brutta vendetta fatta a freddo.
Lei mi ha guardato perché desidera farmi scontare il mio
comportamento
scostante, ma avrà pan per focaccia, te lo garantisco. Il
suo ritorno mi è
sgradito perché complica il mio piano, ovviamente. So che
detesti te lo dica,
ma sono ancora certo che occorreva solo avere un briciolo in
più di coraggio e
pazienza e avremmo avuto il Cacciatore a portata di mano. Il mio
peggioramento,
invece, ha reso necessaria, agli occhi di Frigga e a quello, malvagio,
del tuo
caro padre, la sua presenza. E lei, ovviamente, è corsa di
nuovo da me,
sottolineando che è per dovere. La mia ultima missiva
l’ha offesa.
A proposito del
nostro luminoso e caro re: mi ha sorpreso con
uno dei suoi trucchi, perché non sono certo il solo e
l’unico a manipolare a
mio piacimento la realtà. Dunque, sa che ho lanciato un
incantesimo, ma non ha
idea di cosa abbia fatto e perché. Fossi in te, lascia che
ti dia un
suggerimento, gli renderei nota la tua strategia e smetterei di andare
in giro
a cercare le Gemme. Continuando così, il rischio
è quello di un nuovo bando da
Asgard, o peggio. E allora chi difenderà questa terra,
custode di Mjollnir?
Lettera 95
Mi hanno dato
così tante medicine, fratello, che ogni cosa
appare ancora sfocata e a malapena reggo la penna. È passato
un po’ di tempo
dall’ultima volta che ho avuto il dispiacere di scriverti e
no, non mi mancava
affatto il nostro carteggio, con le tue lettere imbarazzanti e dalla
prosa
banale e spesso dubbia. Mi chiedi come sto: scrivo dal letto e ho
sputato una
quantità tale di sangue che lei si è spaventata e
le ho macchiato persino la
gonna.
Ha
aumentato le dosi
di veleno. È impaziente di vedermi crepare. Forse teme
– e in questo caso
avrebbe maledettamente ragione – che presto
scoprirò il suo gioco, e l’effimera
vittoria del nostro ingenuo fratello si rivelerà
l’abbaglio che è. Potrebbe
essere un bene per me – per noi. Se si sentirà
braccato, commetterà di sicuro
un passo falso, quello che sto attendendo da quando ha sfidato la mia
intelligenza. Non ricordo cos’è successo con
precisione prima che la tosse mi
soffocasse, e così ho dovuto chiamare Heimdall e farmelo
raccontare. Lui si è
seduto di fronte a me e ha iniziato a tediarmi con delle
ovvietà un po’
melense, dicendo che se lo aspettava e che ciò che sto
facendo è per Asgard e
la sua gente. Gli ho risposto che i tuoi sudditi – i vostri sudditi – non mi hanno
mai restituito nulla.
Lettera 96
Ho sperato con
tutta l’anima che il nostro fitto epistolario,
fatto di esempi di retorica e pura poesia (le mie missive) e carta
straccia
degna del camino (le tue) fosse finalmente concluso, ma purtroppo i
miei
gloriosi propositi – o dovrei dire i nostri, fratello?
– sono malamente
scivolati nell’abbondante scia di sangue che il Cacciatore ha
di nuovo
lasciato dietro di sé, a sfregio. Ha lasciato che
trascorressero mesi, dall’ultima
volta. Mi hai chiesto un giudizio analitico e spassionato. Beh,
eccotelo. Sono
ammirato. Ha pazienza e ha scelto con cura il momento in cui agire.
Quello in
cui io ero più debole, tu lontano, il credito di entrambi
verso Odino scarso,
la gloria del piccolo Balder al suo picco massimo. Asgard si sente
sicura? Ma
bene, ecco il momento giusto per sferrarle un colpo che non
dimenticherà. Inondiamola
con altro sangue innocente che ne imbratti le sue strade tirate a
lucido. Facciamolo
con le interiora di una povera levatrice, usiamo i suoi resti
martoriati per
mostrare la parte più squallida del regno di Padre Tutto. Mi
riferisco alla sua
ipocrisia, al manto d’oro che ricopre il fango: basta
grattare con l’unghia la
superfice luccicante per trovare la vera natura di ogni cosa, per
svelare
l’inganno. E chi meglio del dio dell’inganno,
malato e forse pazzo, può ridere
fino a perdere il respiro mentre il suo giovane fratellino, sconvolto e
balbettante, descriveva la scena?
Non ho riso
perché ho compreso chi sia, Thor. Balder non ha
indovinato nemmeno questo. La mia risata era l’amara
constatazione – e il buon
vecchio Heimdall sarà d’accordo con me, te lo
garantisco – che due indizi
cominciano a essere una prova robusta. Vedi, fratello, il Cacciatore,
con
questa sua mossa, si è esposto come ha fatto solo quando ha
ucciso la bella
Astrid. Il suo intento è screditare Padre Tutto,
è offendere il suo presunto
buongoverno, è minare le fondamenta di una casata tra le
più antiche e potenti
dei Nove Regni. E di fronte a tanta maestria, non posso evitare di
pensare che
chi ha sospettato di me, dopotutto, non mi ha fatto un torto.
C’è del metodo
nel modo in cui il Cacciatore mi sta avvelenando con lentezza, nella
scelta di
mostrarci una vittima dopo l’altra, spiazzandoci. E
così, adesso, Asgard trema
in preda al disordine generato da un mostro ignoto che credeva di aver
trovato
e giustiziato e guarda di nuovo in alto, verso la mia prigione
illuminata dal
bagliore lontano delle candele. Mi invoca temendomi, domandandosi fino
a che
punto sia estraneo a queste morti turpi e spaventose. Non ero io a
professare i
vantaggi del caos e della libertà? Il Cacciatore, in fondo,
sembra aver fatto propri
i miei proclami.
So che dirai
adesso: sono così pieno di me che mentre elogio
l’intelligenza del nostro avversario incenso me stesso, la
mia intelligenza.
Non lo nego. Ma ora è tardi, la penna è diventata
pesante. Se ci saranno
notizie degne di esserti riferite, ti scriverò domani. Ora
affiderò la lettera
a Bjorn assicurandomi che arrivi a te e a te soltanto
– il motivo dovrebbe
esserti chiaro.
Lettera 97
Una levatrice.
Anziana, esperta, discreta. Chiediti che
segreti nascondeva, anzi: di chi. E che senso
può avere avuto
l’ucciderla, dato che lei non avrebbe mai parlato. Una donna
del genere si
sarebbe fatta impiccare, anziché rivelare i dettagli del suo
mestiere – non lo
ha mai fatto, ecco perché tante donne, nobili e meno nobili,
l’hanno voluta
accanto a loro nelle difficili ore del travaglio. Dalle tue parole mi
è
sembrato, fratello, che la mia insinuazione, come
l’hai chiamata, sia
stata qualcosa di estremamente sconvolgente, per te. Mi chiedo come
mai. Tutti
i re dei Nove Regni hanno avuto amanti, concubine e relazioni anche
durature
che sono state fertili. Per Odino avrebbe dovuto essere diverso solo
perché
Frigga meritava uno sposo leale, capace di amarla in maniera
incondizionata?
Ma torniamo al
Cacciatore: la fedeltà di Padre Tutto non è
qualcosa che dovrebbe riguardare solamente la più saggia
delle regine –
impossibile, a ogni modo, che lei non abbia mai saputo nulla. Riguarda
tutta
Asgard, tutti gli Æsir. Odino è un sovrano il cui
corpo e sangue sono sacri, la
cui parola è legge. Quello che accade nel suo studio decide
il destino di
Asgard, certo, ma anche quello che accade nel suo letto: se non avesse
avuto
eredi, l’intero futuro del regno sarebbe incerto. Il
Cacciatore cosa sa più di
noi riguardo alla voglia di gioventù di cui si è
macchiato Padre Tutto?
Lettera 98
Lui ci osserva,
Thor. Ci ha guardati mentre mentivamo a Padre
Tutto circa il nostro gioco con le gemme del Titano e tu e
l’indomita Sif vi
stuzzicavate cercando di recitare la parte dei quasi
fidanzatini, quando
Sigyn ha commesso l’errore fatale di varcare di nuovo la
soglia della mia
prigione per sfidarmi a dama. Ma hai ragione, non è stata
solo lei a sbagliare
– io non dovevo consentirle di venire da me, specie sapendola
così esposta.
Vincolata. Condannata. Se è vero quello
che penso, mi potrei essere
macchiato di più colpe di quante non me ne siano state
imputate, temo. Ci sono
regole ancestrali che nessuna dispensa o sotterfugio possono annullare.
A tale proposito, sono
costretto a chiederti di non fare parola con lei di quanto sospetto.
Capirai
bene che questa storia l’ha già messa abbastanza
alla prova senza che un
dettaglio del genere (l’ennesimo) debba rovinarle
l’esistenza.
Bjorn, che
è un fottuto sentimentale, lo so, specie adesso
che ha commesso l’imperdonabile errore di riprodursi
perpetuando il suo sangue
rozzo, ti ha riferito di un nostro presunto riavvicinamento che
potrebbe
stonare con quello che ti ho riferito. Non posso dire che Sigyn abbia
perdonato
la mia intrusione nella sua testa, ma in queste settimane ha cercato di
accettarne la necessità. Lo ha fatto senza smettere il suo
penoso lutto – non
cederà fin quando sua sorella non sarà vendicata,
temo. Per distrarre
quell’idiota del mio secondino dallo spettacolo che io e
Sigyn rappresentiamo
quotidianamente per lui, ho pensato di riciclarlo come spia,
sull’onda
dell’antico adagio che necessità fa
virtù. Gli ho chiesto di tenere
d’occhio sia Fanfaral che quella
disgrazia su due gambe di Balder il
buono. Sospetto che stiano agendo per loro proprio conto nel tentativo
di
riparare al danno fatto impuntandosi nel voler far condannare un uomo
innocente. Inutile dirti che non ho fiducia in loro – come so
che non ce l’hai
tu.
Lettera 99
So
che fine ha fatto il lupo di nostro padre. L’ho ricordato o
sognato – gli
intrugli dei guaritori hanno il potere di calmare i sussulti del mio
petto e di
indurmi un sonno pesante come quelli che le streghe scagliano nelle
fiabe, ricco
di visioni. E lei, stanca eppure incantevole,
invocava le Norne con la
sua voce bassa e cantilenante, quando mi sono svegliato. Sono state
settimane
buie. Giorni in cui questa fottuta prigionia si è rivelata
più pesante di
quanto potessi sopportare. E ho lasciato che si prendesse cura di me.
Non ci si abitua
mai a dover misurare con i passi la propria
cella. Certo, adesso ho una dozzina di finestre ampie e luminose, una
terrazza
e degli appartamenti che, se non fossero protetti da una fitta serie di
rune
incise sui muri e sigillati da una porta che nemmeno io con la mia
magia posso
infrangere, potrebbero farmi credere di essere di nuovo libero. Ma la
mia pena
non si è mitigata, anche se vivo in una cella arredata con
gusto. Vivo
un’illusione che non m’inganna. E lei, che mi
assisteva fin da quando tossivo
nelle segrete sotterranee di Asgard, lo sa. Mi osserva, mi porge un
bicchiere
d’acqua, mi asciuga la fronte, in silenzio. So cosa pensa
– cosa ha pensato,
ma anche lei ha imparato a riconoscere qualcosa di me.
Il fatto
è che Sigyn ha iniziato a farmi delle domande.
L’ho
istruita troppo bene, abbiamo studiato le testimonianze e i documenti
che
riguardavano il Cacciatore senza considerare le ragionevoli distanze
che
avrebbero dovuto essere mantenute tra noi. Le nostre teste si
sfioravano, le
dita anche. Ora lei analizza i miei silenzi. Applica i miei metodi. Se
non osa
arrivare alla verità è perché non le
conviene farlo – non potrebbe sopportarla.
All’inizio non sapevamo, nessuno dei due lo sapeva, ma ora?
La colpa va
condivisa, come la conoscenza.
Lettera 100
Anche a me
è giunta la notizia che la levatrice è stata
seppellita oggi. Padre Tutto si ostina a voler tenere ogni cosa sotto
stretto
silenzio. Porgi i miei saluti a Brokk:
digli pure che spero la
sfortuna si abbatta su di lui e sulla sua gente. Sono abbastanza certo
che
nessun altro potrebbe forgiare un artefatto capace di incanalare il
potere
delle gemme, ma non sottovalutare il Titano. Non ha paura di nulla e
non ha
quasi niente da perdere, temo.
Lettera 101
Lo ammetto.
Abbiamo ecceduto con l’idromele, quando Bjorn ha
annunciato ufficialmente che presto sarebbe diventato padre. Io ho
avuto il
privilegio immenso di essere la prima persona al
mondo a cui la
coppietta ha deciso di rivelare la lieta novella e sì,
può essere partita da me
l’idea di organizzare un piccolo
rinfresco per rendere edotte anche le
altre guardie della splendida novità.
A
mia discolpa, posso
dire che mai i guaritori avevano accennato al fatto
che nelle mie
condizioni non dovessi bere – e, se lo hanno fatto, devo
proprio averlo
dimenticato – e che quello sciocco del mio tirapiedi
travestito da carceriere
ci teneva moltissimo a offrirmi dell’idromele abbastanza
decente. Non come
quello delle cantine di Odino, beninteso, ma accettabile. Ha avuto il
buongusto
di portare anche qualcosa da mangiare di sicuro e di non avvelenato.
Credo che
la mia compagnia gli faccia bene, dopotutto. Da quando l’ho
picchiato per la
prima volta, Bjorn è passato dall’essere una
guardia tonta e inconcludente a diventare
un discreto giocatore di carte, un pessimo compagno di bevute e una
ributtante
spia con margini di miglioramento scarsi, ma presenti. Allo stesso
modo, la
poderosa accelerata sulla sua vita sentimentale, un tempo inesistente,
si deve
al prestigio della mia persona, come sappiamo bene.
Ammetto che
c’era anche Sigyn, ma di lei ti avrà
già parlato
quell’idiota, pertanto non ti concederò nessun
altro dettaglio né risponderò
alle tue considerazioni – provocazioni. Sostieni che tutti
sanno, vedono, hanno
capito. E allora, mi domando, perché parlarne?
Lettera 101*
Sembra proprio
che i nostri timori siano abbastanza fondati. Portami
i libri che ti ho chiesto. Ho pensato a una soluzione – temo
non ti piacerà, ma
ne parleremo a voce. Brucia questa lettera, Sigyn. Non sono mai
messaggi d’amore,
i nostri.
Lettera 102
Flagranza,
doveri, responsabilità; la tua
lettera, Thor, era veramente
noiosa e pedante oltre che mal scritta, come tuo solito. Hai citato il
primo
termine sette volte, quindici il secondo e diciassette il terzo.
Esistono i sinonimi,
fratello. La tua lingua madre ne è piena. Ma ignorando la
forma pietosa dei
tuoi messaggi e badando solo ed esclusivamente alla sostanza,
d’accordo. Te lo
concedo: una maggiore cautela sarebbe stata provvidenziale e abbiamo
bevuto
troppo, tutti e due, ma andiamo! Chi poteva immaginare che
quell’idiota di
Balder sarebbe venuto a disturbarmi nel cuore della notte? Tuttavia la
febbre e
le pozioni che mi somministrano per cercare di abbassarla non offuscano
i miei
pensieri a tal punto da preoccuparmi come fai tu. Per cosa, poi? Per la
reputazione
della mia graziosa assistente personale, di quella che chiamano
già da tempo la
mia puttana o mia moglie, a seconda che nutrano nei miei confronti
disprezzo o terrore?
È arrivata anche a me l’intera descrizione della
presunta scena – le fiamme del
camino acceso, le gonne sollevate, le mani intrecciate, i sospiri, una
scena
inequivocabile – ma l’unica cosa che
farò è trincerarmi in un elegante silenzio.
L’ennesimo.
Le guardie che
vigilano nelle celle segrete di Asgard dicono
di noi che quando lei scendeva le scale che conducevano alle prigioni
io non le
staccavo gli occhi di dosso; i miei patetici tirapiedi e i guaritori
che mi
seguono qui sostengono che la tenga in grande considerazione e mi
rivolga a lei
come fosse la padrona delle stanze che io abito. Colgono sguardi e
sorrisi che
non ho mai negato – che sia bella e l’abbia
desiderata è cosa nota, legittima,
prevedibile, giusta. Mi sono limitato a spogliarla con gli occhi o ho usato le
mani, per slacciarle i numerosi nastri
di raso nero del corsetto, per liberarla dalle gonne lunghe e pesanti,
per assaggiare
le sue labbra per la prima o la millesima volta? Avrei dovuto
rinunciare a lei
per via del lutto che faceva risaltare i suoi capelli d’oro?
Costringermi a
immaginarla come ogni bravo prigioniero sogna l’unica ragazza
che gli si
profila davanti – spinto dalla noia, dalla
curiosità, dalla nostalgia, da quell’impulso
che ci distingue dai vecchi?
Lettera 103
Non è
che parliamo sempre delle stesse storie. È che tu
–
tutti – insistete sempre con quelle vecchie, spinti dalla
morbosa curiosità di
sapere, dalla voluta ambiguità delle mie parole. Ho negato?
Ho confermato?
Balder ha frainteso una situazione o ha visto fin troppo bene? E cosa
saremmo
allora, io e lei? A ogni modo, nostro fratello mi ha disturbato per
nonnulla e
ha dato l’occasione a Odino per tediarmi con la sua presenza.
Lui mantiene
ancora un atteggiamento serafico circa le mie presunte intemperanze con
Sigyn. Più
siamo legati a doppio filo, minore è il rischio che scelga
di tradirlo. Ne ho
approfittato per sondare il terreno e domandargli della levatrice,
però. La sua
vaghezza nelle risposte è stata encomiabile, il suo
controllo magnifico, degno
del grande re che è. Perché io, fratello, non ho
mai negato che Padre Tutto
fosse tutto quello che un sovrano deve essere. Persino in questa
scomoda
circostanza, in cui la sicurezza della gente di Asgard si lega a doppio
filo
col corpo stesso del suo re, lui mantiene una fermezza e una
lucidità che rappresentano
un fulgido esempio per tutti noi. Devo confessarti, però,
che è vero quello che
ti hanno detto: non è stata una conversazione amabile.
C’è stata una lite, l’ennesima,
non troppo esplosiva giusto per le mie condizioni precarie. E
perché la sua
furia, se si abbattesse ancora su di me, troverebbe solo due
ragionevoli vie: la
sala delle torture o il ceppo delle esecuzioni. Voleva sfruttare la
storia che
Balder ha raccontato a chiunque per obbligarmi in una direzione in cui
non
posso di certo andare. Gli ho proposto un’onorevole
alternativa – la medesima
che offrì alla povera Astrid, presumo. Sai
com’è finita.
L’angolo di Shilyss
Care Lettrici e cari Lettori
del mio cuore ♥ ♥!
Con che faccia si aggiorna
una storia ferma da febbraio 2019? Vale come scusa che ero presa da
altre
storie, che poi ho dovuto rileggerla tutta, che in mezzo si
è messa la real
life? Non avete idea delle volte in cui qualcuno mi ha chiesto che fine
avesse
fatto, se l’avrei, un giorno aggiornata, e così
via.
È con un certo disagio
che ve
la ripropongo, perché mi rendo conto che chi la seguiva al
tempo neanche se la
ricorderà più.
Tuttavia, la dedico a chi
è
rimasto. A chi l’ha lasciata nelle liste, a chi la ricorda
con affetto, a chi
mi segue dopo tanto tempo e non si è mai fatto vivo e a chi
la leggerà per la
prima volta, a chi è sempre presente e chi è
presente quando può. A Emi ♥ perché
è un giorno importante, a Sil, perché Bjorn for
president e a C., che qualche
giorno fa mi ha scritto su fb una cosa tenerissima proprio su questa
storia.
Per quanto concerne Loki e Sigyn
in questa storia… leggete tra le righe. Una delle cose che
adoro di più di
questo carteggio è che Loki sia testardo e si ostini a non
sbottonarsi nei
confronti di Thor, ma sappiate che Thor si fa delle grasse risate
quando legge i
deliri del fratello.
Ringrazio con tutto il
cuore chi listerà, recensirà o semplicemente
leggerà questa storia: a parte gli scherzi (lokini)
siete importanti e
sappiate che leggo tutti i vostri commenti e non vi mangio. Spesso non
rispondo
pubblicamente, ma se vi palesate lo faccio e sono molto alla mano,
ecco.
Ricordo che il personaggio
di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce
“Sigyn” su Wikipedia, è una mia
personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura. Non ha una
sorella di nome
Astrid nella realtà, ho scelto il nome Astrid
perché è il primo con la A che mi
è venuto in mente e, per praticità, lo uso in
tutte le mie storie. Non vi
autorizzo a ispirarvi o peggio a questa versione o alle altre storie da
me
postate né qui né altrove (peggio mi sento con le
fiabe, come questa) e lo
stesso vale per gli headcanon su Vanheim, su Loki o su Asgard stessa.
Lo stesso
vale per il Thing, per le cariche che Loki ricopre in questa Asgard.
Creare un
mondo con usi e costumi non è uno scherzo.
A presto e grazie per tutto
l’affetto/sostegno/cose, vi si lovva (e spero voi lovviate
me).
Vostra,
Shilyss
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Capitolo 14 *** Precipitando ***
Capitolo
14
Precipitando
Lettera 104
Thor, a volte mi
chiedo se hai notato quel piccolo,
insignificante dettaglio circa la mia cattività. Non posso
uscire da qui. Non
c’è perdono nelle intenzioni di Padre Tutto. Non
mi libererà. Se guarissi, non
sono nemmeno certo del fatto che mi lascerebbe vivere in queste stanze.
E lo
dico a ragion veduta, nonostante stia facendo il suo gioco, indagando
per lui,
per Asgard che mi ha rifiutato. Giudichi la mia proposta ignobile, ed
è
divertente e spassoso, lo dico davvero, vedere come
certe parole cariche
di disprezzo vi riempiano la bocca, ipocriti che non siete altro, tu e
tutti
gli altri. È onorevole – e in molti lo hanno
fatto, non c’è bisogno che mi
ripeta – offrire privilegi e pagare ricche doti alle proprie
concubine, amanti
o ex spose ripudiate, desiderose di rifarsi una vita – e bada
che non sto
ammettendo niente. Nostro padre non si è
esposto pubblicamente con la
famiglia di Sigyn e di Astrid, all’epoca. Non voleva che,
favorendoli, la sua
relazione diventasse di dominio pubblico, ora lo sappiamo, ma io non ho
niente
da perdere e mi sembra corretto – non ridere, l’ho
scritto per davvero – che
Sigyn abbia una ricca dote da parte mia, una che le consenta di essere
la
felice sposa di chi voglia. Che alternative ha? Nessuna.
L’oro la
renderebbe appetibile e libera, ripulirebbe l’onore che dite
le ho sporcato, le
garantirebbe una vita al riparo da me, da Asgard, dal Cacciatore.
Pare,
però, che la mia logica stringente vi abbia
profondamente offesi tutti. L’ho notato dalla valanga di
insulti che mi hanno
investito in questi ultimi giorni. Da Sigyn mi aspettavo una reazione
particolarmente
vivace, ovviamente, sebbene mi abbia stupito la sua
ottima mira, degna
di un arciere. Ti confesso che ho fatto una certa fatica a evitare il
libro che
mi ha lanciato contro. Ma proprio questa sua passionale –
deliziosa – rivolta
alla mia volontà è il segno che si deve pur fare
qualcosa per il suo futuro. A
prescindere da ciò che quell’impiccione maledetto
di Balder va blaterando,
siamo stati comunque troppo vicini, e lei, sebbene
non abbia mai evitato
di alzare i suoi begli occhi su di me, quando mi guarda vede non solo
il figlio
del suo re, il principe dannato di Asgard, ma l’uomo che ama.
E riconoscere
l’uomo e dimenticare il dio è pericoloso, per lei.
Così, offesa dal mio senso
pratico, diserta la torre da alcuni giorni e, per non farmi
preoccupare, mi fa
avere sue notizie per mezzo di Bjorn e di sua moglie.
Lettera 105
Le tue
insinuazioni, al solito, sono irritanti, fratello.
Persino la tua calligrafia sbilenca mi indispettisce. Io non mi
crogiolo nella
mia romantica cattiva fama, come l’hai
definita tu. Constato. E sia
chiaro che non ti sto rispondendo a stretto giro perché
sento il bisogno di
correggerti e discolparmi – sanno le Norne se non mi prudono
le dita di fronte
a certe schifezze che scrivi, ma solo per via della fastidiosa insonnia
che mi
fa rimanere sveglio fin quando non iniziano a cinguettare tutti i
volatili di
Asgard, che pare abbiano trovato convegno proprio sopra il mio tetto.
Quindi,
dato che non ho niente da fare perché continuo
a essere un pericoloso
nemico di Asgard, inganno il tempo vanificando il senso dei tuoi
scarabocchi,
ammesso che ne abbiano mai avuto uno.
E, soprattutto,
faccio quello che dovrebbe fare Balder il
Beota anziché seguire piste fantasiose e brancolare (o
brucare) nel buio più fitto.
È per questo che ho chiesto quei registri, ben conscio che
le informazioni che
vi troverò saranno false. Ma a me non interessa questo: mi
importa di trovare
una corrispondenza vaga e capire se c’è un altro
erede o meno, magari
abbandonato o nascosto. La sua nascita potrebbe essere stata camuffata
e
spostata di qualche giorno o settimana – mesi persino, chi
capirebbe la
differenza? Ho smosso anche, grazie ai miei goffi tirapiedi (ma sai
come si
dice; si lavora con quello che si ha), un po’ del torbido che
c’è nei
bassifondi di Asgard. Heimdall continua a ripetere quello che
già sappiamo. Era
a conoscenza dell’interesse del nostro austero genitore nei
confronti di della
graziosa Astrid, ma non ha idea se ci sia stato un figlio o meno. Allo
stesso
modo, non sa dire se l’ipotetico principino sia vivo oppure
morto – ma immagina
che divertimento sarebbe, se fosse proprio lui il cacciatore. Oh, lo so
bene, è
un’ipotesi così blasfema e irriverente che
commetto tradimento solamente a
scriverla, ma del resto non ho quasi più niente da perdere
– e rischiare, alle
volte, fa sentire vivi. No, non stracciare la lettera e continua,
fidati di me:
ti strapperò senza dubbio qualche risata. Pensa a quanto le
nostre posizioni
risalirebbero, se il buon Odino scoprisse che l’arrogante
primogenito che ha già
bandito una volta e che ha osato mettersi in cerca delle Gemme
dell’Infinito e
il figlio adottivo attualmente incarcerato per aver tradito Asgard in
svariate
occasioni – ma cos’è, il tradimento, in
fondo? Una questione di punti di vista –
non sono il peggio che è uscito da lui. Immagina come
sarebbe disorientato e
furioso se avesse generato una simile disgrazia, capace di offuscare le
due che
ha già?
Lettera 106
Vedi Thor, sulla
sintassi c’è da lavorare e anche sulla
povertà semantica delle tue lettere. Le figure retoriche che
utilizzi sono o
troppo vecchio stile o inefficaci e, nel complesso, le tue frasi non
sono per
niente musicali. Come se non bastasse, spesso riscontro una
punteggiatura distratta.
Per quanto concerne l’altra questione, invece, sapevo che
saremmo andati a
parare sempre sulle solite recriminazioni che, ogni tanto, fingi di
aver
accantonato per sempre. Com’è che dite, tu e Sif?
Che godo del male altrui, che
provo una malefica soddisfazione nel veder soffrire chi mi è
accanto. E questo
anche quando immagino e fantastico su teorie irrealizzabili e
strampalate,
perché un presunto figlio di Astrid, se ci fosse stato e se
fosse vivo oggi,
avrebbe la metà degli anni di Balder l’idiota
– quindi pochi, decisamente troppo
pochi per escogitare un piano così
complesso che prevede anche il
mio avvelenamento. Essere il figlio naturale di Odino, come dovresti
sapere
bene tu, non vuol dire necessariamente possedere un lasciapassare
valido per
sedersi al tavolo degli intelligenti, tutt’altro. Quindi le
mie della scorsa
lettera erano nient’altro se non oziose, ironiche
fantasticherie, che,
purtroppo, tu non cogli.
Lettera 107
Sigyn le avrebbe
colte, sì, così come avrebbe, se fosse stata
qui, capito al volo che un bambino non può essere il
Cacciatore.
Lettera 108
Ad Asgard piove
ininterrottamente da almeno tre giorni e il
vento di Jotunheim – freddo e implacabile come
l’acciaio, rende tutti più
nervosi e intolleranti, persino Bjorn, che nasconde malamente
l’impazienza
muovendosi di continuo. Ammetto, perché sono estremamente
magnanimo e so
immedesimarmi negli altri, sebbene tutti voi mi abbiate tacciato
recentemente
di malvagità e mancanza di empatia, che il suo turno era
già finito da un’ora,
quando ho acconsentito ad adempiere allo snervante compito che
è lo scriverti.
Ma non m’importa se ha fame, ha sonno ed è stanco.
La sua sofferenza
nell’attendere che lo mandi via non è nemmeno la
metà del tedio e del fastidio
che provo io nello scriverti banalità.
E, in fondo, è bene che rimanga
qui, visto che nelle locande si vanta del fatto che lo chiamo per nome.
Questo
è il prezzo per essere cosa,
esattamente? Più che un secondino a me
sembra un domestico.
Prima che tu me
lo chieda, questa lettera non conterrà
informazioni rilevanti per il Cacciatore o per le Gemme per la semplice
motivazione che non ho niente da dirti. È per questo che non
ti scrivevo, Thor,
credevo che questo fosse il tacito patto. Ma la maledizione che mi
insegue fa
sì che le persone che mi sono attorno si agitino sia quando
parlo che le volte
in cui scelgo la saggia via del silenzio – anzi, a volte pare
che il non
sentire la mia voce li inquieti ancora di più.
La verità è che non ho
trovato nulla di rilevante nelle carte che ho esaminato. Niente che
valga la
pena di essere riferito nelle ciarle tediose di Balder, che ha avuto la
malaugurata idea di rovinare la mia giornata palesandosi per dirmi
ovvietà. Una
su tutte, che ad Asgard corrono strane voci su tutti noi. Roba da non
prendere
sonno la notte, ti pare?
Lettera 109
Se Sigyn
tornasse, finirebbe per perdersi definitivamente. La
voglio lontana da questa torre, libera da una storia che puzza di
sangue e di
morte. È vero quello che dici: ha sempre cercato la mia
compagnia e, forse, se
non fossi stato rinchiuso nelle segrete di Asgard, lei non avrebbe
insistito
per scendere le strette scale che portano fino alle prigioni. Mi
rivolgeva la
parola guardandomi negli occhi ed era, allo stesso tempo, esitante e
spavalda.
Ammiravo – ammiro – anche questo, di lei. Il
coraggio che ha dimostrato nel
raccontarmi il suo amore per me senza pretendere nulla in cambio,
neanche la
gentilezza. E so di non essere stato gentile, con lei, mai.
Ho cercato
di non esserlo e forse, pensandoci, alla fine questo
è stato il mio
errore. Vedi, fratello, l’ha presa come una cortesia nei suoi
riguardi. Deve
aver creduto che mostrarle il lato peggiore di me sia stato un modo
contorto
per proteggerla, per non illuderla. Nella durezza delle mie parole, nel
sarcasmo esibito e tagliente, ha rintracciato una flebile luce cui si
è
attaccata, che ha seguito. Avrei dovuto allontanarla quando sono stato
trasferito in cima a questa torre isolata e desolata, ma non ho voluto.
È un
mio terribile difetto, il voler rendere reali talune illusioni
– fantasie.
Immagino che
Bjorn non abbia potuto fare a meno di dirti che
lei, dopo molti giorni, mi ha scritto, ma, per fortuna, il resto della
mia
corrispondenza non è affare tuo.
Lettera 110
Il potere
affascina, intriga, ammalia. E questo non riguarda
solamente chi lo stringe tra le dita e chi vorrebbe farlo, ma anche chi
osserva
lo scintillio delle armature, la finezza dei tessuti, lo splendore dei
gioielli, le schiene diritte e gli occhi sfavillanti e immagina, sogna,
invidia. Sembra sempre tutto magnifico a chi ammira
un’acconciatura elaborata e
un’unione che pare perfettamente assortita. Lo scopo del
Cacciatore era quello
di svelare i segreti più ignobili di Padre Tutto.
L’ho già scritto e lo ripeto
anche qui, in questa lettera. Bjorn si è offerto di scrivere
sotto dettatura,
al posto mio. Se ne avessi le forze, ti giuro, lo picchierei per
quest’affronto, ma non posso e persino recitare le rune
è faticoso, oggi. Siamo
nati per essere re e condottieri, non per mostrare
incapacità o dolore. Bjorn
osserva lo sforzo che faccio per tracciare ogni runa e deglutisce, a
disagio.
Si morde le labbra, perché ha capito che la sua gentilezza
è risultata
offensiva ai miei occhi. Si è ricordato di quanto detesti la
commiserazione e
l’altrui pietà – si è
rammentato che un principe di Asgard non teme né la
fatica né la sofferenza; una lezione che io e te abbiamo
imparato molto bene,
ma che altri, nati in anni di pace, non hanno appreso altrettanto a
fondo. Presumo
sia il prezzo dell’ordine.
Il Cacciatore ha
aumentato le dosi del suo veleno. Magari
desidera che Sigyn torni e riallacci con me ogni rapporto, gettandosi
alle
spalle la terribile scoperta della quasi parentela esistente tra noi
due. Del
resto, qualsiasi colpa è già stata
consumata. Acquisita per via di quel
figlio morto a poche settimane dalla nascita che avrebbe potuto
riscrivere le
sorti di Asgard, di quel nostro fratello le cui spoglie,
anziché essere
tumulate insieme agli altri membri della casa di Odino, giacciono in un
anonimo
campo, insieme alle ossa estranee dei contadini che ne hanno lavorato
la terra
fino allo sfinimento. So che Heimdall ti ha già raccontato
il come e il dove.
So anche che trovi tutto questo terribile, ipocrita e ingiusto, ma non
rifilarmi la menzogna che ne sei stupito, te ne prego. Non adesso, non
a questo
punto. Non dopo tutto quello che Padre Tutto ha fatto a me. Una simile
ingenuità da parte tua è l’ennesima
conferma del fatto che sei inadatto al
governo di qualsiasi cosa – non ti affiderei nemmeno un
drakkar mezzo affondato,
fratello.
Lettera 111*
Preferisco
rispondere alle tue lettere a voce, guardandoti in
viso. Ma se tornerai, se non riuscirai a resistere al desiderio di
ascoltare quello
che ho da dirti – ma lo vuoi davvero sapere? –
rimarrai intrappolata, di nuovo,
nei contorti intrighi di Odino. Come me. Ma mentre io sono condannato a
una
prigionia lunga tutto il resto della mia vita e, allo stato
dell’arte, mi è
impossibile andarmene, tu sei libera di dimenticare e di lasciarti
tutto alle
spalle. Di accettare i miei doni che non hanno nulla di sconveniente e
molto di
pratico, anche. Agisci come devi, brucia questa lettera e presta
attenzione a
tutto quello che ti circonda, mia cara Sigyn.
Lettera 112
In qualcuna
delle lettere che ti ho scritto nei mesi passati
– ma a volte sembrano anni – ti ho detto che, alla
fine, ho ricordato la fine
del magnifico lupo di nostro padre. La memoria funziona
così, va coltivata ed
evocata in mezzo al groviglio composto dal nostro passato e dalla somma
dei
giorni che si sono confusi gli uni con gli altri. Da quanto dura la mia
prigionia, Thor? Astrid è morta mesi o anni fa? A volte lo
dimentico, fratello,
e mi sembra di essere rinchiuso qui da secoli. Quelle sere in cui mi
avvicinavo
lentamente e con la massima cautela alla gabbia fissando gli occhi
gialli e
feroci di quella magnifica bestia, del lupo inferocito che sfidava
l’autorità
di mio padre, avrei dovuto sapere – e forse, in una qualche
recondita parte di
me, ne ero già vagamente cosciente – di stare
osservando nient’altro che il mio
destino. Le Norne, Thor, sono beffarde quanto abili: a volte, si
divertono nel
mostrarci, sotto altre spoglie, la trama che stanno già
filando per noi. A
vederlo da questo cupo punto di vista, il malessere che provavo
fissando la
cattività del magnifico e spaventoso lupo non era altro che
il presentimento
della prigione che, a sua volta, attendeva me. Gli ingranaggi della
trappola
che mi avrebbe rinchiuso si erano già messi in moto, la
promessa del trono su
cui solo il più meritevole tra di noi si sarebbe potuto
sedere aveva cominciato
a invadere i nostri sogni di ragazzini. Il lupo non si è
lasciato morire di
fame, sebbene rifiutasse coraggiosamente il cibo. È una
delle mie colpe,
un’altra delle molte che mi impediscono di sollevare Mjollnir
ed essere degno.
Presumo che non sia considerato onorevole liberare un feroce lupo
– mi ha
guardato fino alla fine e solo in quel momento lo ha fatto senza alcun
rancore.
Forse, vedeva già in me il prigioniero che sarei stato
– che sono.
Sai che lei
è tornata anche se non avrebbe dovuto farlo. La
scusa che ci siamo raccontati è che voleva conoscere
l’ubicazione esatta della
tomba dov’è sepolto il nipote che non sapeva di
avere – il nostro fratellastro.
Heimdall sostiene che se non fosse nato sarebbe stato tutto
più semplice, ma
che la sua morte non fu affatto voluta. Se n’è
andato come capita a volte agli
infanti, ma il sospiro che ha strappato dal petto di Odino è
stato, con tutta
probabilità, di dolore e di stupore. Le Norne lo hanno
favorito eliminando un
erede scomodo, più ingiustificabile di quanto lo sono stato
io. Perché io, Loki
di Asgard, ho meritato quest’appellativo. Me lo sono
guadagnato sputando sangue
nei campi di battaglia, consumandomi gli occhi sulle pergamene
rosicchiate dai
topi che contenevano i segreti degli incantesimi che, poi, ho imparato
a
padroneggiare. Quando le mie vere origini sono state rivelate, ero
già il
principe degli Æsir che comandava la marca settentrionale
– che scelta oculata e
inevitabile, quella di nostro padre, non ti pare? Assegnarmi il feudo
che
sapeva confinante con quello del padre che mi generò e che
ha vissuto considerandomi
troppo debole per vivere.
Lei è
tornata e il lutto non le dona, anche se l’oro dei suoi
capelli splende di più, se le ciocche scendono e si
arrotolano sulla seta scura
e sul velluto color tenebra. Il veleno che mi corrode, quella sera, era
tenuto
a bada da uno dei medicamenti di nostra madre. Per una volta,
è stata lei a
raccontare, a parlare del tumulo semi nascosto che si confonde in mezzo
all’erba alta. La sua voce non palesava nessuna particolare
inflessione, come
se si fosse svuotata di ogni tristezza, ma io sentivo –
vedevo, percepivo, il
lavoro che deve aver fatto su sé stessa. Ha ricostruito
assenze e menzogne. Col
senno del poi, capire che sua sorella si era allontanata dalla famiglia
perché
incinta e che i suoi genitori hanno coperto la gravidanza e il parto
è stato
palese. Si è sentita ingannata, usata. Bjorn ti
dirà che l’ho trovata bella e
che l’ho consolata.
Lettera 113
Sigyn
è tornata da me senza accettare i miei doni, senza
ascoltare le mie parole. Te l’assicuro, fratello. Mi ha
chiesto di tacere e di
lasciare che fosse lei a spiegare. Ha la compostezza e la
nobiltà di una grande
dama e lo spirito infuocato di una guerriera, sotto quello strato di
dolcezza
che è un balsamo per me – eppure, se è
qui, è per colpa mia, solo mia. E non me
ne pento, anzi. Non sopporta la lontananza, dice,
non sopporta gli
altri, che la fissano con quegli sguardi di disapprovazione che io
conosco così
bene. Niente è definito, tra noi, tutto è rimasto
sospeso, cristallizzato, imprigionato.
Come sono io, come siamo noi.
Padre Tutto
è venuto a farmi visita, interrompendo meno cose
di quanto Bjorn o tu immaginiate, ma più di quanto
è lecito che sappiate. Non è
stato un incontro piacevole, chiaramente, ma credo che tu, di questo
sia stato
avvertito già. Non fingere con me di essere stupito e non
piantarmi le tue
solite sequele di recriminazioni – a me, dico, a me!
– su quello che
avrei o non avrei dovuto dire a Odino. Come se tu
non avessi mai
risposto in maniera insolente e inopportuna al tuo venerabile re e
padre –
l’ordine col quale li ho scritti non è casuale,
no, per nulla. Prima siamo
sudditi, generali piegati ai suoi ordini e poi, solo in seconda
battuta, figli.
Abbiamo parlato
di quel fratellastro forse più fortunato di me
e di te. L’ho guardato nel suo occhio così
spietato e gli ho chiesto come ha
potuto negare al sangue del suo sangue una sepoltura degna. Ho
insinuato anche
altro. Ho sollevato colpe, gettato ombre, immaginato soluzioni. E lui
mi
fissava senza rispondermi, fratello, con un sorriso triste e beffardo
sul suo
viso segnato dalle rughe. “Conosci la mia testa molto bene,
ma non il mio
cuore,” ha replicato, e l’ha fatto con disprezzo o
disincanto, non so decidermi.
Gli ricordo il lupo che non è riuscito a piegare, lo
sappiamo entrambi. Ma
mentre io ho dimenticato come morì quella bestia, lui ci ha
pensato
continuamente da allora. Dite spesso che ci assomigliamo. Lo sostieni
tu quando
desideri ferirmi, lo borbotta tra i denti Balder sperando che io non lo
senta,
lo sospira nostra madre. Ma in realtà, io e Padre Tutto non
ci capiamo. Forse è
un difetto di questa presunta somiglianza, come quando, nel tentativo
di vedere
più chiaramente un oggetto, lo avviciniamo troppo ai nostri
occhi finché
quest’ultimo perde contorni, colori, significato. Ha
minacciato di farmi
tornare nelle celle sotterranee di Asgard, giurato che non mi
libererà mai,
sostenuto che la mia irriverenza corrisponde a un tradimento. Gli ho
detto che
ha ragione e non ho saputo resistere alla tentazione di dirgli che
è lui
l’obiettivo, la causa, lo scopo del Cacciatore. È
evidente che non sono l’unico
a conoscenza delle sue colpe, delle molte ipocrisie che nasconde sotto
l’immagine del sovrano giusto. E lì, fratello,
sono certo di aver colto un
bagliore, nel suo sguardo, una consapevolezza che solo le recenti
riflessioni
hanno reso limpida. Te ne parlerò a voce, quando saremo
soli.
Lettera 114
L’idea
di rimettere in piedi il cifrario che usavamo quando
eravamo due ragazzini è senz’altro molto poetica e
nostalgica, ma temo che
sarebbe comunque una mossa poco accorta, da parte nostra. Quando
eravamo poco
più che bambini le nostre malefatte non destavano tanta
preoccupazione quanta
ne solleverebbero oggi. Al tempo non avevamo ancora sfoggiato il nostro
potenziale, sebbene un occhio attento avrebbe già potuto
rintracciare quello
che saremmo diventati. La tua forza prodigiosa si era, se ben ricordo,
già
ampiamente mostrata nelle gare di lancio del tronco, di sollevamento
dei massi.
La mia intelligenza veniva messa in luce dai piccoli incantesimi che
già
riuscivo a controllare e a modificare a mio piacimento e da qualche
scherzo
davvero divertente e ben piazzato. Ma, in fondo, che potevamo mai fare?
Prendere i cavalli e inoltrarci nella foresta? Andare a caccia senza
permesso?
Qualche scorribanda nei regni vicini, fatta al solo scopo di esplorare,
conoscere, stupirci di cose nuove? In fondo, eravamo innocui e
inoffensivi. D’accordo,
in alcuni casi le nostre ragazzate si sono rivelate un po’
più difficili da
gestire dal previsto, ma in fondo siamo nati per essere re, giusto?
Tornando a
noi, oggi, se Padre Tutto intercettasse qualcosa di cifrato, se venisse
a
sapere da una delle guardie che mi controllano che la tua tanto amata
corrispondenza è meno limpida di quanto dovrebbe, cosa credi
che farebbe? Appunto.
I
miei secondini
bevono e giocano a carte con me e si comportano più come dei
domestici servili
che come dei carcerieri, ma non mi fido di loro a tal punto da
affidargli
quello che ho da dirti. Del resto, credo che tu possa tornare ad Asgard
senza
che l’ira di Odino si abbatta con troppa violenza su di te.
Nascondere la gemma
è stato un gesto legittimo e lungimirante, lo sa anche lui.
E finché resta
irraggiungibile, da qualche parte, è lontana anche dalle
grinfie del Titano.
Per certi versi, la mia prigionia è quasi una fortuna. Se mi
sapesse libero non
esiterebbe a chiedermi di saldare i molti conti che abbiamo in sospeso.
Ho
visto come agisce, conosco la logica della sua mente disturbata.
Lettera 115
Il veleno mi
debilita, ma non fino al punto di impedirmi di
cercare un rimedio efficace, un siero, una cura in grado di ridarmi le
forze. A
sfiancarmi nei pochi giorni che sono intercorsi dalla tua partenza
è stato
Balder il Beota, con le sue inutili lagne. A me non può
importare di meno che
si senta in colpa per non avermi dato retta, anzi. Merita di sentirsi
uno
straccio. Se avesse atteso, se si fosse fidato della mia
capacità di giudizio –
delle mie intenzioni, a lui, non deve interessare – quel
poveraccio non sarebbe
morto invano e il Cacciatore non avrebbe riso della vostra
stupidità. Ed
è questo quello che mi fa infuriare di più.
Balder, dicevo, mi ronza attorno inviato
da Padre Tutto, che desidera spiarmi per poi piegarmi. Le mie prese di
posizione non gli sono piaciute e temo che il mio soggiorno in questa
torre
così arieggiata e assolata sia a rischio. Ma il piacere di
dirgli in faccia
quasi tutto quello che penso non aveva prezzo, Thor.
Nel tentativo di
trovare il rimedio che i cerusici di Asgard
non sono riusciti a rintracciare, mi sono venuti in mente un
po’ di posti dove il
Cacciatore potrebbe rifornirsi; oscure botteghe di speziali, sedicenti
veggenti
e un considerevole numero di cialtroni più o meno dichiarati
affollano i
mercati vicino al porto del fiordo. E se il nostro assassino, che ha
accesso
alle sale più splendenti del palazzo del re degli
Æsir e riesce a mettere del
veleno nel cibo o nell’acqua dell’ingannatore, si
rifornisse proprio dai più
sudici tra i venditori di erbe, medicamenti e unguenti? Non appena le
mie
condizioni si sono rivelate in tutta la loro criticità fu
dato ordine, questo è
vero, di controllare con discrezione la provenienza degli ingredienti
atti a
creare simili veleni mortali, ma io stavo troppo male per poter agire
in prima
persona, la notizia che ero stato colpito dall’assassino
andava tenuta nascosta
il più possibile e l’indagine fatta non
è stata svolta con la perizia con cui l’avrei
condotta io, non foss’altro perché mancavano,
all’appello, alcuni degli
ingredienti del veleno stesso. Senza la ricetta completa della pozione
che mi
ha avvelenato per settimane o mesi, chi può dirlo, capire
chi poteva approvvigionarsene,
dove e in quale modo era praticamente impossibile. Ma adesso,
finalmente, so
cosa mi è stato dato e so chi potrebbe aver visto o aiutato
il nostro
assassino.
L’angolo
di Shilyss
Care
Lettrici e cari Lettori del
mio cuore ♥ ♥!
Sono passate troppe,
troppe settimane dal mio
ultimo aggiornamento in generale e quindi eccomi qui, sempre con loro e
deliziata dalla visione di What if. Spero che sia rimasto qualche
lettore
paziente che sopporta i miei lunghi silenzi – ah, che tempi
quelli in cui
aggiornavo tutte le settimane in maniera costante! – ma la
real life è la real
life e, talvolta, per scrivere c’è bisogno di un
momento di calma e di tranquillità.
Siamo quasi alle
battute finali di questa
storia, nel senso che Loki pare aver raccolto diversi indizi in questi
ultimi
due capitoli. Chi sarà ‘sto benedetto Cacciatore?
Ringrazio
con tutto il cuore chi listerà,
recensirà o semplicemente leggerà questa storia: a
parte gli scherzi (lokini) siete importanti e sappiate che
leggo tutti i vostri
commenti e non vi mangio. Spesso non rispondo pubblicamente, ma se vi
palesate
lo faccio e sono molto alla mano, ecco.
Ricordo
che il personaggio di Sigyn, tolto quello che
trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia,
è una mia personale
interpretazione/reinterpretazione/riscrittura. Non ha una sorella di
nome
Astrid nella realtà, ho scelto il nome Astrid
perché è il primo con la A che mi
è venuto in mente e, per praticità, lo uso in
tutte le mie storie. Non vi
autorizzo a ispirarvi o peggio a questa versione o alle altre storie da
me
postate né qui né altrove (peggio mi sento con le
fiabe, come questa) e lo
stesso vale per gli headcanon su Vanheim, su Loki o su Asgard stessa.
Lo stesso
vale per il Thing, per le cariche che Loki ricopre in questa Asgard.
Creare un
mondo con usi e costumi non è uno scherzo.
A
presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose,
vi si lovva (e spero voi lovviate me).
Vostra,
Shilyss
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