Promesse

di elenabastet
(/viewuser.php?uid=423850)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Samhain, 1793 ***
Capitolo 2: *** Samhain, 1815 ***
Capitolo 3: *** Samhain, 1830 ***



Capitolo 1
*** Samhain, 1793 ***


PROMESSE

 

Rating: tematiche non facili, lutto, morte, struggimento.

Fandom: Lady Oscar.

Note: Serie di oneshot ambientate in un posto che non si vede nell’anime ma che è fondamentale.

 

Samhain 1793

 

Gilbert e sua sorella Yvette avevano sperato nella Rivoluzione, ma a quattro anni dal suo scoppio le cose andavano di male in peggio: si mangiava sempre poco, soldi non ce ne erano, e odio, violenza, intolleranza, morte e delazione erano ormai pane quotidiano.

Dopo tante traversie loro avevano almeno un lavoro, gestivano un’osteria con camere per la notte, ma non era certo il momento migliore, chiunque poteva denunciarti in maniera anonima e allora la condanna a morte era certa. Cercavano di parlare il meno possibile del passato, anche di quella volta, quasi vent’anni prima, quando Gilbert bambino era stato malato e si era salvato grazie a quei due angeli che senza chiedere niente in cambio lo avevano portato in ospedale. Due angeli caduti come eroi, ormai.

Quel giorno, presagirono dei guai quando arrivò da loro quell’uomo anziano, a cavallo, sfinito e con l’aria dolente e dolorosa di chi è arrivato al termine del suo percorso dopo tanto soffrire e penare.

Ma quell’uomo non stava bene, era distrutto, dalla stanchezza, dal dolore e dal rimpianto, e chiese ai due ragazzi solo biada e acqua per il suo cavallo, e un piatto di zuppa per lui. Fuori faceva freddo, diventava buio presto ormai, del resto era la sera di Samhain, quando i morti tornavano in mezzo ai vivi. E di morti ce ne erano troppi, ormai, era arrivata da qualche giorno la notizia della morte sul patibolo di quella povera donna che una volta era stata regina di Francia.

Dall’aria che quell’uomo aveva era quasi evidente che era un nobile, ma Gilbert ed Yvette non fecero domande, in lui videro solo un uomo distrutto e in difficoltà, bisognoso d’aiuto, fosse solo per carità cristiana, qualcosa che non andava più di moda. C’era in lui qualcosa di familiare, ricordava a loro qualcuno che avevano conosciuto, fossero stati vivi ancora i loro genitori forse avrebbero saputo chi era. Ma se ne erano andati anni prima, di polmonite, insieme alla loro sorellina minore.

L’uomo non chiese di dormire lì.

“Abbiamo delle camere semplici ma confortevoli, fuori piove e fa freddo”.

“Grazie per la vostra gentilezza, ma c’è un solo posto dove devo andare, è l’ultima cosa che mi resta da fare. La strada per il cimitero sulla collina è qui dietro sulla sinistra salendo, vero?”.

Voleva andare al cimitero? In una serata come quella, piena di pioggia e di freddo, ma a fare cosa? Forse voleva celebrare gli antichi riti di Samhain, ma non sembrava il tipo.

“Guardate, signore, che la strada è scivolosa e pericolosa, e non c’è più luce”.

“Lo so, ma devo andare, è l’ultima promessa che devo portare a termine, devo anche chiedere perdono. Poi, tutto sarà finito. Vi ringrazio tantissimo”.

L’uomo uscì nella notte e Gilbert ed Yvette lo videro imboccare la strada conducendo il cavallo, scuotendo la testa.

 

Era l’ultima cosa che doveva fare, per espiare e chiedere perdono, tutto ormai era perduto per sempre. Non aveva voluto dire chi era, non voleva creare problemi a quei due ragazzi, aveva già fatto soffrire troppe persone, e per loro ormai era troppo tardi.

A fatica, mentre l’acqua gli scorreva addosso, arrivò nel cimitero. Non c’era più luce, ma sapeva dove erano le loro due semplici croci, sapeva cosa c’era scritto sopra, lui non se ne era occupato, non era nemmeno andato quando li seppellivano insieme, uniti per l’eternità come lo erano stati in vita, ma aveva lasciato che facessero così, perché così dovevano rimanere. Arrivò da loro e accarezzò le loro croci, ingincchiandosi sulla terra marcia e fangosa e iniziando a ripetere:

“Perdonatemi, perdonatemi, ho capito quanto volevo bene ad entrambi troppo tardi, spero che siate felici, finalmente, ma il prezzo è stato troppo grande, per voi soprattutto. Vorrei che ci fosse stata giustizia per voi, avrei voluto che foste felici qui, solo gli eroi muoiono giovani, ma per chi rimane è terribile”.

La pioggia si mescolava alle sue lacrime, sempre più forti, quell’acquazzone aveva scoraggiato chi di solito veniva a celebrare gli antichi riti celtici per i morti, i morti che tornavano in mezzo ai vivi perché i confini tra i regni cadevano in quella notte.

Ad un tratto li vide, erano insieme, erano felici, erano abbracciati, si baciavano, quella cosa che lui non aveva accettato ma che sapeva che era successa tra di loro, perché era giusto così, perché dovevano avere almeno quello: erano belli e giovani in eterno, coraggiosi, leali, pronti a sacrificarsi per i loro ideali. Due eroi, due angeli, e vennero verso di lui, dimenticando crimini, odi, sopraffazioni, ingiustizie.

 

La pioggia smise di scendere durante la notte e l’alba si annunciava con un sole insolito, come se l’estate di San Martino fosse arrivata prima. Un’alba magica, romantica, travolgente, come la promessa di qualcosa di bello che doveva arrivare.

Gilbert, Yvette e i loro unici ospiti, una coppia che andava a trovare un parente in Normandia, furono svegliati bruscamente da un drappello di gendarmi.

“Cittadini, svegliatevi. Stiamo cercando un pericoloso criminale!”

“Chi sarebbe?”

“Un traditore della patria, ha cercato di far fuggire l’Austriaca dalla prigione prima dell’esecuzione, deve pagare con la vita”.

“Se ce lo descrivete magari potremmo aiutarvi”

“Si tratta di un uomo anziano, che viaggia su un cavallo baio. È stato un militare, fiero e spietato, è un nemico della nostra Rivoluzione, e chi lo protegge rischia la condanna a morte. Era noto come conte e generale de Jarjayes, un realista della peggiore specie, deve essere processato ed ucciso per quello che ha fatto”.

Di colpo Gilbert ed Yvette capirono chi era il loro ospite e capirono anche perché aveva chiesto loro la strada del cimitero.

“Se lo state nascondendo verrete puniti con la vita, quelli sono nemici della patria!”.

Gilbert non voleva rischiare e comunque la follia di quei fanatici gli dava il voltastomaco. Cosa ci poteva essere di pericoloso in quel poveruomo distrutto? Forse meritavano una lezione di vita.

“Guardate, ieri sera è arrivato un poveraccio marcio per la pioggia e stanco morto, ha solo chiesto un po’ di cibo per lui e il suo cavallo e poi ha proseguito verso il cimitero...”

“Ah, ecco dicevano che aveva dei legami, qui ad Arras, ma certo! Spero per voi che sia tutto vero, altrimenti sarete puniti”.

Il drappello di giustizieri uscì nell’alba di quella mattina, seguito da Gilbert ed Yvette che si diressero verso il cimitero, mentre la luce di un sole meraviglioso per la stagione stava accarezzando ed illuminando tutto.

 

Altrove, il sole avvolgeva gli amanti e la collina.

“Padre, sono qui con il mio eterno amore André, vediamo le albe della nostra infanzia, ormai per sempre, niente può più dividerci, viviamo in maniera finalmente completa le nostre vite, come doveva essere...”

“Mi permetterai di restare con voi dopo il male che vi ho fatto? Mi perdonerete?”

“Ma certo, ormai non c’è più dolore né odio in noi, solo amore, per l’eternità...”

 

Gilbert ed Yvette riuscirono ad andare più veloci dei gendarmi a cavallo che incespicarono più volte sulla strada fangosa. Arrivarono nel cimitero, vedendo quel sole che baciava ed accarezzava le due tombe in cima alla collina, dove riposavano loro due, gli amanti eterni e per sempre insieme.

Sopra le tombe, disteso e con un ultimo sorriso su un volto ormai in pace, c’era l’uomo anziano della sera prima, sparito oltre i veli che uniscono il mondo dei vivi a quello dei morti proprio quella notte.

Gilbert si girò verso i gendarmi:

“Credo che sia lui il pericoloso criminale che cercavate, ormai se ne è andato, dopo aver dato un ultimo saluto a sua figlia Oscar e al suo amore André, sapete, sono due eroi della vostra Rivoluzione, sono morti per voi, chissà se ne è valsa davvero la pena...”

Yvette guardò suo fratello con aria per un attimo spaventata, poi alzò la testa anche lei con aria di sfida. I gendarmi, agguerriti fino a poco prima, erano in silenzio di fronte a quello spettacolo. Quello che videro fu solo un uomo anziano morto, con un sorriso sul volto e ancora gli occhi pieni di lacrime o pioggia o entrambe le cose, disteso su quel prato dove sorgevano quelle due croci, sotto cui dormivano per sempre insieme due eroi.

Uno dei gendarmi si riscosse:

“Meglio che ce ne andiamo...” e si allontanarono, a testa bassa e in silenzio.

Gilbert si strinse ad Yvette, lì c’erano i due eroi che lo avevano salvato tanti anni prima, in un giorno ormai lontano e perso:

“Bisogna che chiamiamo padre Roland, bisogna avere pietà di quest’uomo, finalmente è tornato a casa”, disse Gilbert.

“Ora è in pace anche lui, povero generale”, disse Yvette.

E il sole di quell’alba che qualcuno avrebbe voluto vivere in maniera più completa li avvolse definitivamente, facendo loro vedere per un attimo tre sagome che si allontanavano oltre il tempo e quel luogo, per sempre.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Samhain, 1815 ***


PROMESSE

 

Rating: tematiche non facili, lutto, morte, struggimento.

Fandom: Lady Oscar.

Note: Serie di oneshot ambientate in un posto che non si vede nell’anime ma che è fondamentale.

 

Samhain 1815

All’inizio, ero pentito della mia scelta, anche se l’avevo fatto per far piacere a mia madre, mi sentito fuori posto ed annoiato.

Io, Henri Marie de Bonneville, ero francese solo di nome: ero nato a Londra e mi sentivo inglese fino al midollo, visto che avevo sempre vissuto oltre Manica. I miei genitori erano scappati via dalla Francia poco prima dei massacri di Settembre del 1792, con mio fratello appena nato e mia sorella ancora da nascere. Io ero nato a Londra nel 1795.

Non avevo mai sentito la mancanza della Francia, io amavo Londra e Oxford, amavo i locali lungo il Tamigi, sia quelli più signorili che i ruspanti pub, le corse di cavalli, le aule universitarie dove avevo incontrato i miei migliori amici, i balli dove il mio cuore batteva per le splendide bellezze locali. Amavo le battute di caccia vicino a Richmond, le escursioni al mare a Brighton, i bagni romani e la bella società di Bath, i giri nelle suggestive rovine di Stonehenge e nei luoghi arturiani.

Mi sentivo inglese fino al midollo, e anche i miei genitori si erano comunque ambientati nella bella Londra sotto la Reggenza, così come mio fratello e le mie sorelle.

Mio zio, il fratello di mia madre, no. Non aveva imparato bene la lingua, non amava Londra, stava tutto il giorno da solo immerso nei suoi pensieri. Mio zio era stato un militare fedele alla corona e non aveva accettato di non essere riuscito a salvare i sovrani. Sapevo che era andato in Francia nel 1793 per far scappare la regina, senza riuscirci.

Quando il Congresso di Vienna riportò le legittime monarchie sui troni, i miei genitori preferirono rimanere nella loro nuova patria, non ci tenevano a tornare in Francia, non nell’immediato, un giorno magari sì, ma niente li legava più ad un Paese in cui non si riconoscevano. Mio zio invece espresse il desiderio di fare un giro nei luoghi della sua giovinezza, ma dato che non stava tanto bene non se la sentiva di farlo da solo.

E così dovetti accompagnarlo io, rinunciando alle feste d’autunno ad Oxford con i miei compagni di Università.

Pensavo che saremmo andati a Parigi e a Versailles, e la cosa in fondo mi incuriosiva, anche se non so cosa avrei trovato, dopo anni e anni di guerre e massacri. Invece mi ritrovai, in un giorno di fine ottobre piovoso e nebbioso, in una berlina persa nel nord della Francia, in mezzo alla campagna desolata.

“Non dovevamo andare verso Parigi, zio?”, gli chiesi timidamente.

“Poi, se vorrete. Prima devo andare a trovare una persona che abita qui, una persona che conoscevo e che amavo molto”.

Mio zio che amava qualcuno? L’avevo sempre visto solo nei miei vent’anni di vita, non si era mai sposato e non faceva nessun tipo di vita sociale. Non andava nemmeno agli incontri tra esiliati.

“Si tratta di una signora?”, chiesi io, immaginando nel mio animo giovane e un po’ romantico uno zio non più giovane che ritrovava il suo amore e viveva felice e contento.

“Certo, della più bella e nobile tra le dame, l’unica che meritava davvero di essere amata”.

Peccato che non ci fossero le mie sorelle, Sophie e Antoinette, sarebbero andate pazze per questa storia.

Arrivammo alla nostra meta, un paese buio e isolato, pieno di fango, verso sera. Diluviava e mio zio si diresse verso una locanda spoglia, gestita da un uomo più anziano della sua età reale, che lo accolse con un sorriso triste.

“Siete venuto per lei, vero?”

“Certo”.

Quella sera cenammo da soli e io non potei non pensare ai miei compagni di Università, che si stavano divertendo in locande molto diverse da quella, piene di gente, di musica, di allegria, di canti, di divertimento. Era la sera prima di Ognissanti, ma nelle campagne inglesi c’era chi festeggiava ancora Samhain, la festa celtica dei morti che tornano a trovare i vivi. So che questo succedeva anche in Francia, in alcune zone, come in Bretagna, non tanto lontano da dove ero.

La donna amata da mio zio non venne e andammo a dormire.

L’indomani non pioveva più: quando mi affacciai alla finestra vidi un sole meraviglioso, come raramente avevo visto se non in piena estate. Di colpo, capii che ero in un posto bello, come è che si chiamava quel paesino perduto in mezzo al nulla? Arras… Come era diverso dalla sera prima, c’era una bellezza struggente, una pace, dei colori, un’armonia, e anche qualcosa che toccava il cuore.

“Se volete venire con me Henri, vorrei farvi conoscere lei”.

Andammo verso la collina e arrivammo in un cimitero illuminato dai raggi del sole d’autunno. Mentre camminavamo, capii sempre di più che la donna amata da mio zio non c’era più.

Alla fine, arrivammo in cima alla collina, con una splendida vista sulle albe che sorgevano. Là c’erano due semplici croci, vicinissime, con due nomi, due nomi maschili.

“Sono venuto da voi, madamigella, perché volevo portarvi i miei omaggi. Vi ho sempre amata e rimpiango ancora oggi di avervi perso e di non essere riuscito a salvarvi”, disse mio zio inginocchiandosi e accarezzando una delle croci.

“Ma si chiama… Oscar!”, dissi io.

“Certo, ma era una donna, la più bella, nobile e coraggiosa delle donne. Era il mio capitano delle guardie reali, io l’ho amata per anni.”

“E lei?”, chiesi io pentendomi subito dopo.

“Lei è sempre stata molto gentile con me, ma nel suo cuore c’era solo un uomo. Lui.” e indicò la croce vicina, su cui c’era scritto André Grandier.

“Era anche lui un nobile?”, chiesi io.

“Nel suo cuore, più di me. Lei lo adorava, era un pezzo del suo cuore e della sua anima. Non avrei mai potuto dividerli, non ho mai visto un uomo guardare così una donna e una donna guardare così un uomo. Henri, auguro a voi e ai vostri fratelli un giorno di trovare qualcuno che vi guardi così”.

“Ma sono morti entrambi?”

“Sì, quando ci fu la presa della Bastiglia. Si schierarono con il popolo, per la libertà e i diritti, loro ci credevano veramente, volevano un mondo migliore per tutti e non mi sento di dare loro torto. Ci sono persone che combattono per gli altri, fino alla fine e oltre, e la mia adorata madamigella Oscar e il suo André erano così”.

Non sapevo cosa dire e mio zio continuò:

“Sua Maestà Maria Antonietta e il padre della mia amata, il generale Jarjayes, mi mandarono a Parigi per cercare di salvarla, ma arrivai troppo tardi. Il suo amato André morì colpito da una pallottola la sera del 13 luglio, tra le sue braccia disperate, lei vagò per tutta la notte dirigendo poi il fuoco sulla Bastiglia in prima fila. Fu uccisa deliberatamente dai soldati, io arrivai in quel momento e non potei fare nulla se non vederla morire”.

Di colpo il fastidio e la sufficienza verso quel mio zio tanto strano e solitario che mi avevano accompagnato per tanti anni e durante il viaggio mi abbandonarono. Mio zio aveva amato in maniera totale una donna e l’aveva persa, una donna che non lo considerava ma che non aveva mai dimenticato.

“Era così bella… mi chinai su di lei morta e la baciai sulla fronte… pochi giorni prima aveva impedito a me e ai miei uomini di macchiarci di un crimine orribile, attaccando i deputati del popolo. Lei voleva un mondo migliore ed è morta per questo”.

“Ne è valsa la pena?”, dissi io, con un groppo in gola.

“Non credo proprio, non certo per lei. Se avessi potuto sposarla l’avrei salvata, ma lei non mi voleva, me lo disse chiaramente e io non potei non lasciarla libera. Era come una rosa, splendida e libera nel vento, e come una rosa è vissuta e morta, consumandosi per il suo amore e i suoi ideali. Io non ero degno del suo amore, io l’ho vista morire, spero che sia con il suo André per sempre”.

Per la prima volta in tanti anni strinsi la mano a mio zio e mi appoggiai a lui.

“Siete un bravo ragazzo Henri, a lei sareste piaciuto. In un’altra vita impossibile qui”.

In un angolo vicino alla tomba cresceva una pianta di rose selvatiche e c’era ancora un bocciolo, bianco e splendente.

“Eccolo lì, il mio amore impossibile e perduto.. riposate in pace con il vostro André madamigella Oscar, avrei voluto salvarvi, mi sarei fatto da parte poi, ma non ne sono stato capace… ma accettate i miei omaggi”.

Lasciai un pezzo del mio cuore in quel cimitero, mio zio lo lasciò tutto per gli anni che visse ancora.

Visitai Parigi e Versailles volentieri, poi tornai a Londra ed Oxford, alla mia vita. Ma da quel giorno, ogni Samhain penso a quel giorno, a quell’amore, a quella donna uscita da una leggenda, eroina per la libertà.

Non parlai più di lei con mio zio per molto tempo: quando ormai era in fin di vita mi disse una cosa:

“Henri, andrò di là e la rivedrò, ma anche là lei sarà con il suo André. Spero che accetti i miei omaggi e la mia stima, quella nessuno può togliermela”.

Ho fatto delle ricerche sul capitano Oscar François de Jarjayes e ho raccontato la sua storia alla mia adorabile moglie, l’amore della mia vita, la duchessa Elizabeth de Marbourgh, e ai figli che sono arrivati.

Mio zio non è tornato in Francia dopo morto, mi disse:

“Non posso stare vicino a lei ad Arras, tanto vale che stia qui”.

Ora è ad Highgate, e sulla sua tomba, ogni primavera e per mesi, crescono splendide rose bianche, che ricordano lei. Oscar François de Jarjayes, eroina della Rivoluzione, splendida guerriera, meravigliosa donna, amata per tutta la vita e oltre da mio zio, Victor Clement de Girodelle.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Samhain, 1830 ***


PROMESSE

 

Rating: tematiche non facili, lutto, morte, struggimento.

Fandom: Lady Oscar.

Note: Serie di oneshot ambientate in un posto che non si vede nell’anime ma che è fondamentale. In particolare in questo capitolo scrivo un destino diverso per uno dei personaggi migliori.

 

Samhain 1830

Avrei dovuto venire qui molto tempo fa, ma sono un vigliacco e non me la sentivo. Come confrontarsi con un amore che mi ha divorato tutta la vita e con un lutto che mi ha distrutto? Come riuscire a confrontarsi con qualcosa di così grande e totale?

Sono diventato vecchio, tanto vecchio, e ho vissuto tutta la mia vita a Parigi, scegliendo di lasciare l’esercito perché c’erano troppi ricordi dolorosi, e entrando in polizia. Sono diventato uno sbirro, illudendomi così di poter aiutare i deboli e gli indifesi, ma alla fine mi sono reso conto che sono sempre stato con chi avrei dovuto combattere, con i potenti che opprimevano. Le cose non sono cambiate, malgrado tutta la gente che si è sacrificata perché succedesse, a cominciare dai miei due amati amici.

Quest’estate, Parigi era di nuovo in rivolta, come allora, ho rivisto tante persone giovani cadere e morire, come allora, come loro. E di colpo ho capito che sono stato davvero un vigliacco a non venirli mai a trovare qui, dove riposano per sempre, uniti nella morte come sono stati da vivi, di un amore che non ho mai più visto su questa Terra, un amore fatto per stare in paradiso.

Li ho amati entrambi, più della mia vita, quel ragazzo timido e bellissimo dagli occhi verdi di cui ho sentito subito il cuore ferito e l’animo nobile e quella meravigliosa donna con quei capelli e occhi che brillavano al sole. Li ho amati come amici, come compagni di avventura, ma anche come creature da desiderare, anche se erano come il sole, troppo in alto per me.

Sì, ho desiderato entrambi, ho desiderato di stringerli tra le mie braccia e amarli, sia lui che lei, in un abbraccio senza fine, forse posso sembrare un depravato ma il mio era amore, amore vero, anche se non paragonabile al loro. E dire che mi hanno guardato storto in polizia per anni perché faccio una vita da monaco, solo, in una stanza minuscola, senza frequentazioni galanti. Da quando loro se ne sono andati, non sono nemmeno più andato al bordello. Se non posso avere un amore vero come il loro, non mi interessa altro.

Io amavo loro, volevo la loro felicità più di tutto, quando capii ogni cosa del loro rapporto, lei solo all’apparenza fredda e orgogliosa, lui con un cuore grande come il mondo e tutto per la sua donna.

Presi a cazzotti lui per sfogo, sfidai a duello lei per un equivoco dopo averla colpita, ma oggi vorrei che fossero qui con me, per baciarli e abbracciarli. Quanto avrei voluto fare accompagnare lui a fare bisboccia la notte prima di sposarsi, ben sapendo che la loro prima notte c’era già stata e deve essere stata unica, quanto avrei voluto fargli da testimone di nozze, quanto avrei voluto tenergli la mano mentre aspettava la nascita dei figli, quanto avrei voluto fare da padrino ai suoi bambini e magari raccontare loro le avventure dei loro meravigliosi papà e mamma. Ma quella è una vita che non c’è mai stata, forse esiste in un altro tempo e mondo, ma qui non è andata così.

Tutto questo è rimasto comunque un sogno impossibile, perché li vidi languire sotto i miei occhi, lui che ci vedeva sempre meno, lei che si stava ammalando gravemente: se non fossero morti negli scontri, lui dichiarandole eterno amore con lei che urlava il suo dolore e lei crivellata di colpi per la libertà di tutti non avrebbero avuto un lungo domani, non ci sarebbe stato un futuro. Ma io avrei pregato per un miracolo, l’avrei voluto.

Lui mi disse una cosa quell’ultima mattina, quando fummo da soli per pochi attimi prima di andare a combattere:

“Sono felice, oggi è stata la notte più bella della mia vita, quello che abbiamo provato entrambi con i nostri cuori e corpi uniti è indescrivibile. Non pensavo che potesse esistere tanta gioia nella passione. Ho adorato lei e lei ha adorato me”.

Ero imbarazzato ma felice per loro due, per un attimo avrei voluto essere stato con loro a stringerli. Capii poi lo strazio di lei per aver perso qualcuno di così unico.

“Cose come godimento e piacere diventano con un altro significato se sei con la donna amata, per te e per lei. Volevo dirlo a qualcuno. Se mi succede qualcosa, occupati di lei, ti prego”.

Ma lei scelse di raggiungerlo al più presto, perché erano un solo corpo, un solo cuore, una sola anima, due eroi destinati a morire giovani e belli, per restare nella leggenda. Amarli è stato un sogno proibito.

Ricordo ogni cosa di quei due maledetti giorni, lui ferito che si accasciava per terra, la sua morte mentre lei gli giurava eterno amore, la sua disperazione e poi la scelta di lei di mettersi davanti a tutti per farsi colpire e raggiungerlo al più presto. Non c’è nulla in questo mondo che poteva essere più grande del loro amore, ed è giunto il momento di tornare ad onorarli.

Sono arrivato nel luogo dove i loro corpi giacciono, le loro anime sono oltre le stelle, per sempre unite.

Oggi è Samhain, il giorno in cui i morti tornano in mezzo a noi, almeno secondo quello che mi raccontava da bambino terrorizzandomi un vicino di casa di origine bretone. C’è il sole, un ultimo sole tiepido prima dell’inverno, e vedo le due croci che vegliano sulle loro spoglie mortali per l’eternità, finché il sole sorgerà e le stagioni passeranno.

Mi chino, le accarezzo e le bacio, ricordandoli, per sempre giovani e belli, cari agli dei che li hanno voluti con loro al più presto, portandoli via da chi li amava, come me, come altri.

“Era tanto che volevo venire da voi, perdonatemi se non l’ho fatto prima… Siete stati i miei più cari amici e le due persone che ho amato di più al mondo. In voi ho visto l’amore vero, quello che va oltre il tempo e lo spazio, per sempre...”

Nelle ombre e nelle luci di questo giorno d’autunno di colpo mi sembra di rivederli per un attimo, abbracciati, felici e che mi sorridono, lui con entrambi gli occhi, lei sana, per sempre insieme, come deve essere per questo amore nato in paradiso e lì destinato a stare.

Oscar François de Jarjayes, il mio meraviglioso capitano donna, e André Grandier, mio compagno d’armi e suo eterno amore, hanno riempito la mia vita di rimpianti e di ricordi: io, Alain de Soissons, sbirro solitario vecchio e brontolone, mi sento migliore ogni volta che penso a loro e al loro amore per sempre, eterno e oltre ogni leggenda. Ho mantenuto la mia promessa, sono venuto a salutarvi ancora una volta.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3994953