When it Feels Like the End of the Road (you don’t Let Go, you Just Press Forward)

di laisaxrem
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Look Out ‘Cause Here I Come ***
Capitolo 2: *** Stand a Little Taller ***
Capitolo 3: *** Ride with the Moon in the Dead of Night ***
Capitolo 4: *** ‘Bout to Show you What I’m Workin’ With, uh ***



Capitolo 1
*** Look Out ‘Cause Here I Come ***


TITOLO: Good Job - Alicia Keys

DATA: Mercoledì 13 Gennaio 1681
TITOLO: This Is Me - “The Greatest Showman” Cast

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Sakura stava guardando un film comodamente seduta sul suo divano, una tazza di tè in mano, la mente già proiettata al suo giorno di riposo e a tutte le cose che avrebbe fatto (o non fatto), quando Yamato-taichō bussò alla sua porta e le chiese di seguirlo. E così in un secondo abbandonò il calore di casa sua e si ritrovò a saltare sui tetti spolverati di neve in direzione del palazzo dell’Hokage, la preoccupazione che le montava nel petto… perché niente di buono deriva da una chiamata urgente a quell’ora della sera.

Il palazzo era ovviamente vuoto e Sakura seguì Yamato al piano superiore, seguendo corridoi che conosceva a memoria fino a giungere all’ufficio dell’Hokage. Seduto dietro la scrivania c’era Kakashi, i soliti capelli argentati indisciplinati, la solita divisa, la solita pila di carte. Accanto a lui c’era Shikamaru, i soliti occhi neri, la solita espressione annoiata sul volto. Ma c’era qualcosa di diverso nell’aria, una tensione strana, che fece crescere l’ansia nel petto di Sakura.

Al loro ingresso entrambi gli uomini posarono i rotoli che stavano studiando e le lanciarono un’occhiata.

«Hokage-sama», lo salutò, formale, piegando appena il capo in un principio di inchino. «Volevate vedermi?»

«Ti prego, Sakura, niente “Hokage-sama”. “Kakashi” va bene, lo sai», la rimproverò lui, gli occhi che si piegavano in un sorriso.

Stanco, Kakashi era decisamente troppo stanco per i suoi gusti. Doveva essere successo qualcosa di grave. Sakura sentì il suo corpo reagire alla minaccia nell’aria e i muscoli tendersi automaticamente per renderla pronta per la battaglia… non che si aspettasse di essere attaccata in quel momento, ovviamente, però…

«Lo so», concesse lei. «Ma se mi fai convocare alle 11 di sera dal capitano della tua scorta personale penso sia necessaria un po’ di formalità».

«Non hai tutti i torti». Kakashi sospirò e si lasciò cadere contro lo schienale della poltrona, riprendendo in mano il rotolo che aveva lasciato aperto sul legno lucido della scrivania e lanciando un’occhiata al suo assistente. «Shikamaru, vuoi fare tu gli onori di casa?»

Questi sospirò ma dedicò la sua attenzione a Sakura.

«Penso tu sappia della grave carenza di iryō-nin nelle squadre ANBU».

Tecnicamente Sakura non avrebbe dovuto essere a conoscenza della composizione e della gerarchia (o di qualunque altra cosa) delle Ansatsu Senjutsu Tokushu Butai, ma stare accanto alla Godaime per più di tre anni l’aveva fatta venire in contatto con molti aspetti della vita di Konoha e le squadre speciali erano uno di questi. Perciò sì, la kunoichi sapeva bene del problema della carenza di iryō-nin in quel particolare ambito della forza militare del loro Villaggio. In effetti prima che Tsunade-sama salisse al soglio dell’Hokage, nelle squadre di ANBU non era previsto un medico, mai, nemmeno nelle missioni più rischiose… e infatti la mortalità era tremendamente alta e fin troppi bravi shinobi erano caduti in battaglia per qualcosa che era facilmente guaribile. Per fortuna la Godaime aveva cambiato quella cosa ma già prima della Guerra il numero di iryō-nin ANBU era ridicolo e con la Guerra… bè, c’erano state perdite ovunque.

Quindi Sakura annuì, perché tutti i presenti nella stanza erano a conoscenza dell’infrazione del protocollo da parte della Godaime… e a nessuno di loro importava, tra parentesi.

«Nonostante gli sforzi di Tsunade-sama negli anni passati, la Guerra ha mietuto molte vittime anche tra gli iryō-nin ANBU e come sai meglio di me ci vuole tempo per addestrare dei sostituti», continuò Shikamaru mentre estraeva rapidamente una sigaretta dalla tasca dei pantaloni e l’accendeva… per poi sospirare e spegnerla immediatamente. «Il problema è che fra un paio di giorni inizierà una missione congiunta con Suna di estrema importanza, e per una serie di circostanze abbiamo una grave carenza di iryō-nin».

Una serie di circostanze”… Quindi erano tutti in missione, gravemente feriti o morti. Sakura annuì. Iniziava a vedere dove il suo amico stava andando a parare.

«Kakashi-sensei ha pensato che potresti sopperire a questa mancanza», concluse Shikamaru, scrutandola attentamente.

«Mi state chiedendo di unirmi agli ANBU?» chiese Sakura cautamente.

«No, assolutamente no. Sarà solo per questa missione», la rassicurò all’istante Kakashi, guadagnando la sua attenzione. C’erano delle sottili rughe di preoccupazione nella piccola porzione di fronte lasciata scoperta dall’hitai-ate. «Non voglio che tu ti senta obbligata a –»

«Accetto», l’interruppe lei rapidamente.

«Sakura, riflettici bene…»

La donna sorrise della preoccupazione evidente sul volto del suo ex sensei e se non fosse stato Kakashi, se fosse stato Naruto o Sasuke o uno qualunque dei suoi compagni, Sakura si sarebbe arrabbiata. Ma al contrario dei suoi amici, Kakashi non aveva mai sottostimato le sue abilità, non dal suo primo tentativo di diventare chūnin, almeno, e Sakura sapeva che quella sottile vena di apprensione nei suoi occhi non era data dal suo timore che lei non fosse all’altezza ma da una genuina preoccupazione per il suo benessere… e dopotutto Kakashi era stato negli ANBU per quasi quindici anni quindi sapeva bene cosa voleva dire entrare in quel mondo. Non che Sakura avesse intenzione di indossare la maschera in modo permanente, assolutamente no, ma aveva un dovere nei confronti di ogni essere umano e non intendeva sottrarsi ad esso.

«Quando ho chiesto a Tsunade-sama di diventare la mia shishō ho votato la mia vita a salvaguardia dei miei compagni shinobi e di qualunque malato io incroci sulla mia strada. Durante la guerra ho fallito troppe volte in questo. Se la mia partecipazione a questa missione potrà aiutare quei soldati a tornare a casa, se potrà aiutare dei civili, allora accetto», spiegò, cercando di mettere nel suo tono di voce tutta la decisione che sentiva.

I tre uomini la scrutarono un momento e Sakura capì immediatamente di averli convinti quando Kakashi sospirò e si rilassò un poco nella sedia.

«Bene, Tenzō, a quanto pare hai la tua iryō-nin».

Sakura si voltò a guardare l’ANBU e chiese: «Perciò sarò in squadra con te, Yamato-taichō?»

«Esattamente», rispose lui con un blando sorriso e la donna annuì: era rassicurante sapere che avrebbe avuto qualcuno che conosceva e di cui si fidava come capitano. Non che non fosse brava a collaborare con shinobi che non aveva mai conosciuto, ma poter contare su qualcuno con cui sai di essere in sintonia era decisamente rasserenante.

«Allora è ufficiale: Haruno Sakura, ti affido questa missione. I dettagli ti verranno spiegati domani insieme ai tuoi compagni», riprese Kakashi con il suo migliore tono serio da Hokage e Sakura si ritrovò a raddrizzare la schiena quasi inconsciamente. «Il tuo nome in codice sarà “Tanuki”. Queste sono la tua maschera e la tua divisa», aggiunse, togliendo da un cassetto della scrivania la classica divisa da ANBU ed una maschera bianca con piccole orecchie rotonde e marchi rossi. Sakura sorrise dentro di sé mentre notava la macchia viola a forma di diamante proprio sulla fronte, segno che la maschera era stata preparata appositamente per lei… Kakashi la conosceva bene, dopotutto. «Vorrei anche che durante tutta la missione tu mantenga un Henge per mascherare i capelli e il Byakugō. Immagino tu capisca il perché».

«Sono troppo riconoscibile», convenne Sakura.

«Esattamente. I tuoi compagni sapranno chi sei ma non vogliamo che lo sappiano anche i ninja di Suna né tantomeno i nostri nemici», specificò lui. «Bene, ora puoi andare. Domani alle 2230 avverrà il briefing. Fatti trovare a quell’ora in divisa, fuori dal quartier generale dei jōnin».

«Sissignore».

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Capitolo 2
*** Stand a Little Taller ***


DATA: Giovedì 14 Gennaio 1681
TITOLO: What doesn’t Kill you (Stronger) - Kelly Clarkson

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Sakura si presentò al quartier generale dei jōnin alle 22.30 proprio come aveva detto Kakashi. A dirla tutta era arrivata con quasi quaranta minuti d’anticipo ed era rimasta nascosta tra gli alberi nei dintorni, osservando la zona. Si era sentita un po’ stupida, in realtà: dopotutto si trovava all’interno delle mura del Villaggio, non c’erano pericoli a minacciarla. In teoria lo sapeva bene; in pratica era più forte di lei. Dal suo colloquio con Kakashi la sera prima, si era sentita catapultare di nuovo a prima della pace, in quel periodo incerto e pericoloso di costanti minacce e conflitti tra i Villaggi. E questo era esattamente uno dei motivi per cui aveva accettato di partecipare a quella missione con gli ANBU: avevano lottato tanto, e tanti erano morti, per arrivare a quello stato di quiete generale in cui si trovavano, e che fosse dannata se non avesse fatto di tutto per mantenerla e tramandarla alle generazioni future.

Non che morisse dalla voglia di lanciarsi in quella faccenda, anzi. Avrebbe preferito mille volte rimanere nel Villaggio con le sue missioni e le sue lezioni all’Accademia e i suoi malati.

Quando finalmente scattò l’orario dell’incontro, Sakura uscì dal folto degli alberi, la maschera a coprirle il volto e l’Henge attivo, come lo era stato da quando si era alzata quel mattino. In teoria non era necessario perché il suo Byakugō le garantiva una riserva di chakra davvero enorme, molto più grande di quando l’aveva finalmente completato poco più di un anno prima, ma aveva deciso che voleva testare quanta concentrazione e quanto chakra sottraeva mantenere costantemente attivo il jutsu: per nulla al mondo voleva ritrovarsi a dover curare un compagno, o peggio – e che gli dei non volessero – in battaglia senza energie a causa della sua copertura. No, doveva sperimentare, prima di partire. Aveva anche considerato l’idea di usare una tinta per tramutare il suo fin-troppo-riconoscibile rosa in un più normale castano, invece che usare l’Henge, ma il suo orgoglio l’aveva spinta a scartare l’idea: era una ninja più che capace, istruita non da uno ma da due Hokage, più volte paragonata ad uno dei Sannin e che aveva padroneggiato il Byakugō in meno di quattro anni e che fosse maledetta se non riusciva a tenere un semplice jutsu attivo per qualche giorno.

Lo sfarfallio di un chakra che conosceva fu l’unico avvertimento che Yamato le diede prima di comparire a qualche metro da lei, anch’egli in divisa, anch’egli col volto coperto dalla maschera dalle fattezze di gatto.

«Seguimi, Tanuki», ordinò senza tante cerimonie, e lei obbedì, seguendo il suo taichō nell’edificio buio che conosceva bene.

Che non si aspettava era di venire portata in uno dei tanti ripostigli per le scope. Era piccolo e Sakura si ritrovò gomito a gomito con Yamato. Quando la porta fu chiusa e loro si ritrovarono immersi nella semioscurità, l’uomo appoggiò la mano sulla parete e Sakura sentì distintamente le onde di chakra fluire nello spazio angusto. All’improvviso il muro tremò ed una sezione non più grande di un metro per uno scomparve all’improvviso lasciando spazio ad un tunnel. Ma certo, un genjutsu.

«Solo un ANBU può sciogliere il jutsu», giunse la risposta di Yamato alla sua domanda non espressa.

Sakura annuì. Era evidente che il tatuaggio sul braccio che tutti i membri delle Black Ops avevano non era solo decorativo. Per anni Sakura si era domandata quali funzioni avesse ed ora aveva parte della risposta.

La ragazza attraversò il varco nel muro al seguito di Yamato e si ritrovò in un corridoio del tutto uguale agli altri del quartier generale dei jōnin, l’unica differenza era la completa assenza di finestre, rimpiazzate da una doppia fila di lampade che illuminavano il corridoio di fioca luce giallastra.

«Togli la maschera, adesso. Qui dentro non ti servirà», comunicò Yamato, che già aveva rimosso la sua.

Senza discutere, Sakura eseguì l’ordine del suo taichō e una stilla di compiacimento le fece increspare l’angolo della bocca in un sorriso quando notò il guizzo di sorpresa in quegli enormi occhi a mandorla.

«Molto bene. Hai cambiato anche il colore degli occhi. Se non sapessi chi sei non potrei mai riconoscerti», si complimentò lui con un sorriso.

«Posso cambiare anche qualche tratto del viso, se serve», propose Sakura. Voleva davvero che il suo travestimento funzionasse al meglio e far sembrare il suo naso più lungo, o gli zigomi più pronunciati, non avrebbe sottratto molto più chakra rispetto a tutto il resto.

«Non sarà necessario», la rassicurò lui. «Pensi di poter mantenere l’Henge per tutto il tempo della missione?»

«Sì, signore».

«Bene. Proviamo a metterlo alla prova. Seguimi, ti presento agli altri». E riprese a camminare.

Yamato la condusse per una serie di corridoi fino ad arrivare davanti ad una porta che aveva intagliato sull’architrave il simbolo katakana per la sillaba “HO”. La porta si aprì su una stanza piuttosto ampia con una dozzina di armadietti aperti su un lato e una porta sul fondo, con sedie ed un tavolo in un angolo e grossi pensili di legno simili a quelli che aveva nella sua piccola cucina.

All’interno c’erano sei persone. Erano tutti in divisa completa ma nessuno di loro indossava la maschera, che portavano appesa alla vita o in mano o di traverso sul capo, così Sakura poté farsi un’idea di chi sarebbero stati i suoi compagni di missione. Sembravano tutti ninja stagionati, probabilmente tra i trenta e quarant’anni, e il suo occhio di medico si mise subito a catalogare le cicatrici visibili stabilendo che uno degli uomini (con una maschera con un prominente becco e marchi viola) aveva una ferita non completamente guarita al braccio sinistro che doveva causargli molti problemi. C’era anche una sua vecchia conoscenza, l’uomo che aveva fatto da esaminatore nella terza fase dell’esame chūnin che aveva sostenuto con il Team 7 ormai cinque anni prima… onestamente non ricordava il suo nome nonostante l’avesse rattoppato una dozzina di volte di ritorno da una missione durante il suo apprendistato con Tsunade.

«Lei è Tanuki», la presentò Yamato senza troppi preamboli, e Sakura raddrizzò la schiena sotto agli occhi scrutatori di quelli che stavano per diventare i suoi compagni di squadra. «Sarà il nostro iryō-nin per questa missione. So che tutti voi la conoscete già», poi si girò appena verso di lei e comandò: «Lascia cadere l’Henge», e lei eseguì senza esitare.

All’istante un mormorio si diffuse tra i sei ninja e Sakura non riuscì a trattenere il sorriso.

«Questa sì che è una bella sorpresa», esclamò gioviale l’esaminatore (Ganna? Genno?)

«Lei non è un ANBU», sottolineò la donna dai capelli scuri e la maschera con fattezze da gatto. Il tono nella sua voce non piacque molto a Sakura ma non disse nulla. Sapeva che gli ANBU erano piuttosto restii a fidarsi di persone al di fuori della loro squadra perciò non se la prese. Ma Sakura non avrebbe chinato la testa, fingendo di sentirsi fuori posto, perché sapeva di essere non solo l’iryō-nin più abile dei cinque grandi Paesi ninja (esclusa Tsunade) ma anche una delle kunoichi più competenti di Konoha ed aveva il diritto di fregiarsi del titolo di jōnin.

«No, infatti», confermò brevemente Yamato.

Poi l’uomo le presentò gli ANBU partendo dai due che avrebbero completato la loro squadra da quattro membri. L’uomo che aveva fatto da esaminatore al suo primo esame chūnin si chiamava Shiranui Genma (ecco, Genma!), che proprio come Yamato-taichō era uno delle guardie personali di Kakashi; poi c’era Uzuki Yūgao, la donna con la maschera da tigre e una spada dall’aria minacciosa legata alla schiena, anche lei guardia dell’Hokage. La seconda squadra invece era composta da Inuzuka Ichiru, il capitano, un uomo con corti capelli castani e la maschera dalle fattezze di uccello; Ono Rō, uno degli uomini più imponenti che Sakura avesse mai visto nonostante fosse alto meno di Kakashi; Yakushi Hinoto, l’altra donna del gruppo, quella che non sembrava molto contenta di averla lì; ed infine Hōki Tatsu che proprio come Hinoto la osservava con sdegno.

Sakura chinò appena il capo ad ognuno di loro e catalogò le loro reazioni che andavano da un’occhiata disgustata (Hinoto e Tatsu), ad una neutra (Ichiru e Rō), una curiosa (Yūgao) ed una gioviale (Genma). La giovane kunoichi sperò intensamente che la missione durasse poco.

«Allora, Kakashi ti ha incastrata, eh?» attaccò bottone Genma, avvicinandosi e piegandosi un po’ per scontrare la sua spalla con la sua.

Sakura sollevò un sopracciglio al comportamento dell’uomo e aprì la bocca per rispondere con qualcosa di sarcastico ma all’improvviso captò un nuovo chakra e i suoi muscoli si tesero automaticamente, pronti a farla scattare in caso di aggressione. Ma la sua mente aveva già riconosciuto la familiarità di quel chakra e la tensione si era già dissolta quando Kakashi comparve sulla porta. Non indossava né mantello né cappello da Hokage ma intorno a lui c’era come un’aura di potere che nemmeno un civile si sarebbe lasciato sfuggire.

Kakashi si guardò attorno e i suoi occhi grigi si posarono su ognuno di loro a turno. Poi, senza preamboli disse: «Un gruppo di nukenin vuole assassinare il Kazekage».

Sakura sentì il suo cuore perdere un battito.

Era questo il motivo della missione congiunta? Qualcuno aveva tentato di uccidere Gaara? Merda. Perché? Perché l’essere umano non imparava mai? Perché continuavano a fare e rifare gli stessi dannatissimi errori ancora ed ancora?

«Ci sono già stati due tentativi falliti e non vogliamo rischiarne un terzo. Gaara ha chiesto il nostro aiuto per affiancare i suoi ANBU nella ricerca ed annientamento del nemico», proseguì Kakashi e la sua voce calma la costrinse a mettere da parte i suoi pensieri. «Il leader di questo gruppo è Ichigen, uno dei monaci del Tempio del Fuoco. Era stato dato per morto dopo l’attacco dei due membri dell’Akatsuki, Hidan e Kakuzu, tre anni fa».

Sakura sollevò un sopracciglio. Forse dovevano smettere di dare per morti i ninja dispersi visto che avevano poi il brutto vizio di tornare per mordere loro le chiappe.

«Abbiamo a disposizione poche altre informazioni. I membri conosciuti del gruppo sono cinque, oltre a Ichigen, di cui uno è stato riconosciuto come un nukenin di Iwa mentre gli altri sono ancora sconosciuti», continuò Kakashi, gli occhi che continuavano a vagare per la stanza, posandosi su di loro a turno. «I ninja di Suna avevano trovato una pista ma l’hanno persa dopo circa venti chilometri. Tsuru, mi aspetto che tu riprenda quella traccia come primissima cosa appena arriverete lì», aggiunse rivolgendosi a Ichiro che annuì. «Non mi aspetto che sia ancora sufficientemente incontaminata, ma se c’è qualcosa da trovare tu puoi farlo. Per il resto dovrete sincronizzarvi al meglio con Suna. Neko è al comando dell’intera missione», comunicò, facendo un cenno col capo verso Yamato. «Tanuki, tu sei di supporto. Ci sono stati dei feriti, durante gli attacchi, e se puoi dare una mano fallo ma la priorità è la missione».

Sakura annuì. Era ovvio che avrebbe cercato di curare quante più persone possibile ma l’ordine diretto dell’Hokage la sollevava da qualunque possibile accusa: purtroppo al Villaggio c’era ancora gente che non approvava il perdurare dell’Alleanza ninja ed in particolare qualche tempo prima una fazione del Consiglio aveva portato una mozione per impedire qualunque collaborazione con gli altri Villaggi chiedendo il reato di tradimento per chi avesse infranto la regola. Ovviamente Kakashi aveva bocciato immediatamente la proposta ma non si era mai troppo sicuri con quei tipi.

«Bene. In mattinata attendiamo un ultimo aggiornamento da Suna, speriamo con altre informazioni utili, ma se così non dovesse essere verrete aggiornati direttamente là». Dal tono di voce era evidente che Kakashi non era troppo contento della totale mancanza di dati sui nemici e Sakura non poteva che essere d’accordo: essere mandati in missione allo sbaraglio era sempre il primo passo verso il fallimento e forse addirittura la morte. «Ritrovo domani alle 16.30 qui per l’ultimo briefing e la partenza», aggiunse l’Hokage. «Siete liberi di andare», concluse. Poi lanciò un’occhiata a Yamato e a Sakura e continuò: «Neko, Tanuki, fermatevi un momento».

Hinoto le lanciò un’occhiataccia (ma seriamente?) mentre i sei ANBU sfilavano via con un inchino verso l’Hokage e quando Genma si fu chiuso la porta alle spalle Kakashi parve sgonfiarsi appena, come se avesse avuto un bastone legato alla spina dorsale per tutto il tempo del meeting.

«Sakura, appena arriverete a Suna vorrei che per prima cosa tu ti facessi invitare da Gaara nelle sue stanze».

«Cosa?!» strillò Yamato, le guance che si tingevano violentemente di rosso.

«Co-? No!» esclamò immediatamente Kakashi, gli occhi grigi sbarrati nell’istante in cui si rese conto di quanto suonassero male le sue parole. «Non è… Non è assolutamente per quello! Kami-sama…» Kakashi si massaggiò la fronte, il rossore decisamente evidente sopra il bordo della maschera nera. «Credo che Gaara sia rimasto ferito durante uno degli attacchi. Non era scritto a chiare lettere nei rapporti che hanno mandato ma…»

Sakura annuì. Era così tipico degli shinobi cercare di nascondere le proprie ferite, ma Sakura aveva notato che più forte era il ninja e più responsabilità aveva, più tendeva a rifiutare l’evidenza di avere bisogno di aiuto. Idioti.

A volte, quando un veterano si ritrovava in ospedale per aver evitato di farsi visitare da un medico troppo a lungo, era seriamente tentata di non curarlo. Ovviamente lo faceva lo stesso… dopo una strigliata colossale e causandogli più dolore del dovuto. Il fatto che così tanti vecchi shinobi riuscissero ancora ad evitare quella che in teoria era una tappa obbligatoria al ritorno da una missione, ovvero una visita medica, era sconcertante e Sakura continuava a rimuginare sulla questione: avrebbe trovato una soluzione, prima o poi, ne era sicura, a costo di mettere una squadra di iryō-nin ai cancelli con l’autorizzazione a rapire qualunque ninja tornasse al Villaggio.

«Bene, puoi andare. Io devo fermarmi qui ma Tenzō ti accompagnerà fuori», aggiunse Kakashi con un gesto di saluto della mano e li lasciò lì.

Quando Yamato si mise a camminare seguendo il corridoio da cui erano venuti, Sakura lo seguì senza esitare. Erano ormai davanti al passaggio segreto che li avrebbe riportati nel quartier generale dei jōnin quando l’uomo si voltò quel tanto da guardarla in volto e le comunicò che l’indomani sarebbe passato a prenderla al suo appartamento per le 16.

«Ci sono alcune cose che devi imparare, prima di venire in missione come ANBU», spiegò Yamato mentre attraversava il passaggio, Sakura alle calcagna. «Innanzitutto i gesti in codice che sono diversi da quelli che hai imparato quando eri una chūnin; ma anche alcuni protocolli essenziali».

Sakura annuì mentre varcava la porta dello sgabuzzino.

E tornarono alla luce.


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Piccola nota sugli ANBU. Non sono completamente farina del mio sacco.
Innanzitutto abbiamo Inuzuka Ichiru che è uno dei tanti ANBU senza nome né volto che ci vengono mostrati nell'anime e nel manga; Ono Rō invece è quello che accompagna Shizamaru nel Paese del Silenzio (compare nel romanzo e alla fine di Shippuden); per quanto riguarda Yakushi Hinoto e Hōki Tatsu entrambi compaiono solo nell'anime, in particolare sono tra gli ANBU che vendono mandati da Danzo per assassinare il Sandaime dopo la morte di Minato. Sono quindi due ex membri della Radice e se lui ha scelto un nuovo nome (il suo nome in codice era Kanoe), lei invece ha tenuto quello assegnatole da Danzo. C'è un motivo per questo e ne parlerò in un qualche punto più avanti nella storia, in effetti parlerò di tutti loro, ma volevo comunque darvi un primo accenno.

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Capitolo 3
*** Ride with the Moon in the Dead of Night ***


Chapter 3: Ride with the Moon in the Dead of Night

 

DATA: Venerdì 15 Gennaio 1681

TITOLO: This is Halloween - Marilyn Manson

 

Yamato-taichō suonò alla sua porta alle 16:00 in punto, proprio come aveva annunciato la sera precedente e Sakura gli aprì immediatamente chiedendogli di attendere un attimo mentre controllava per l’ultima volta di aver chiuso tutte le finestre e svuotato il frigorifero, poi uscirono e Sakura chiuse la porta alle sue spalle con quel brivido che la percorreva sempre quando partiva per una missione pericolosa.

Non si soffermò troppo a pensarci e seguì Yamato giù per le scale. Entrambi, notò, indossavano la classica divisa da chūnin di Konoha e si diressero al Quartier Generale dei jōnin in un quasi totale silenzio, lo zaino in spalla, le armi che tintinnavano leggermente nelle sacche. Era una condizione stranamente rassicurante.

Mentre saltavano da un tetto all’altro, Sakura si trovò di nuovo immersa nei propri pensieri, proprio come era stato negli ultimi due giorni. In particolare il suo pensiero fisso erano gli ANBU e se quella missione poteva essere l’inizio di una sua permanenza definitiva nelle Squadre Speciali.

Non è che non ci avesse mai pensato, in passato, anzi. C’era stato un periodo, dopo il ritorno di Naruto, dopo il blitz fallimentare nel covo di Orochimaru, in cui aveva considerato l’idea di unirsi agli ANBU.

Tsunade-shishō non aveva praticamente più nulla da insegnarle come iryō-nin e trovarsi faccia a faccia con Sasuke l’aveva sconvolta e indotta a rivalutare i progressi che aveva fatto negli ultimi anni. L’idea di unirsi agli ANBU era nata una notte in cui non riusciva ad addormentarsi. Era da sola nella sua casa di famiglia (i suoi genitori erano tornati per l’ennesima volta a Hana no Kuni, dove risiedeva buona parte del clan Haruno, e le avevano chiesto di passare qualche notte ogni tanto in casa loro per occuparsene), cosa che non le dispiaceva affatto. Si era concessa un lungo bagno nell’enorme vasca (probabilmente la cosa che le mancava di più da quando era andata a vivere nel suo appartamento da chūnin) e poi si era seduta sul letto della sua vecchia camera con solo un paio di slip addosso e in grembo un romanzo che aveva appena comprato in libreria. I suoi genitori sarebbero inorriditi nel vederla così; ritenevano sconveniente per una giovane di buona famiglia come lei dormire praticamente nuda… il che lo rendeva ancora più appetibile. Quando ancora viveva lì era libera di mettersi comoda solo quando loro erano fuori casa per qualche festa o per qualche viaggio d’affari fuori dal Villaggio.

Comunque quel giorno aveva letto ben poco, del suo romanzo, troppo persa nei suoi pensieri e nell’analisi degli avvenimenti. Era stato in quell’istante che le era passato per la mente l’idea di entrare negli ANBU. Sapeva che il tipo di addestramento che veniva seguito dai membri della Squadra Speciale era completamente diverso rispetto a quello dei normali shinobi di Konoha e per un momento aveva pensato che potesse darle quel che le mancava per raggiungere finalmente Naruto e Sasuke e per riportare a casa il ragazzo che amava.

Ne aveva anche parlato con Tsunade, qualche giorno dopo, sperando che la sua shishō le desse gli ultimi pezzi del puzzle che l’avrebbero convinta a compilare la domanda. Ma Tsunade l’aveva guardata un attimo, aveva scosso il capo ed era tornata a lavorare con un semplice “se questo è ciò che vuoi”. Sakura aveva chiesto spiegazioni quella stessa sera, a cena da Tsunade e Shizune (passava così tanto tempo a casa loro che una delle stanze in più era diventata sostanzialmente sua), chiedendo cosa le mancasse per poter diventare un ANBU e la sua shishō l’aveva guardata, gli occhi lucidi per l’eccesso di alcool. E poi aveva detto una cosa che Sakura ancora serbava gelosamente nel cuore. “Non ti manca niente, ragazzina, niente. Ti ho addestrata io, dopotutto”, aveva grugnito, gli occhi ambrati piegati in un’espressione decisa. “Saresti un’ottima aggiunta per gli ANBU. Ma non è quella la strada giusta per te… E non è così che riporterai a casa quell’idiota di un Uchiha. Ma se davvero vuoi diventare un ANBU io ti sosterrò”.

Sakura aveva riflettuto su quelle parole per giorni mentre scrutava il modulo per la richiesta di assegnazione agli ANBU… ed infine l’aveva gettato via per poi correre al Campo d’Addestramento dove Lee e Tenten la attendevano per la loro sessione settimanale di taijutsu. Non ci aveva più pensato da allora (il fatto che meno di un anno più tardi era scoppiata la Quarta Guerra Ninja aveva assorbito leggermente la sua attenzione).

Il suo rimuginare s’interruppe quando giunsero al Quartier Generale dei jōnin e Sakura seguì Yamato fino all’entrata segreta. Attraversato il tunnel percorsero i corridoi che già le sembravano fin troppo familiari ed arrivarono nella stessa stanza della sera precedente. Stavolta però c’erano solo due persone al suo interno.

«Ehi, Rosina! Ben tornata», l’accolse l’uomo che era stato esaminatore durante il suo primo esame Chūnin.

«Genma-san», lo salutò lei, chinando appena il capo mentre seguiva Yamato all’interno e si chiudeva la porta alle spalle.

«Oh, su, su, chiamami solo Genma», l’incitò lui con un sorriso. «Mi fai sentire vecchio»

«Tu sei vecchio, Shiranui», giunse la risposta di Yūgao che occupava l’armadietto alla sua destra.

Sia lei che Genma si stavano cambiando e notando che anche Yamato stava procedendo a levarsi la divisa ordinaria, Sakura scelse uno degli armadietti vuoti e iniziò a fare altrettanto, piegando con cura il gilet e la maglia a maniche lunghe per poi indossare la maglia e l’armatura leggera distintiva degli ANBU. Fino a qualche anno prima si sarebbe sentita in imbarazzo a spogliarsi davanti al suo taichō e a due sconosciuti, ma quei tempi erano finiti già da un pezzo.

Quand’ebbe finito riordinò i suoi abiti e li ripose con cura sul ripiano di legno dell’armadietto. Quando si voltò aveva gli occhi di Yūgao e Genma su di lei… bè, sulle sue braccia, e Sakura non sapeva se stessero guardando i muscoli o le cicatrici.

«Gli allenamenti con Tsunade sono davvero tosti come pensavo eh», constatò lei, occhieggiandola come se non volesse fare altro che punzecchiarle i bicipiti con un dito (e Sakura si sentì arrossire un poco).

«Però il culo che fanno venire è da primo premio», l’uomo fischiò e le strizzò l’occhio. «E mi farei volentieri schiacciare contro il muro da quelle braccia».

«Genma, cosa ha detto Kakashi-senpai riguardo al modo di rivolgersi ai colleghi?» giunse il rimprovero di Yamato che si avvicinò a Sakura con una spada corta stretta in mano. «Questa è la tua ninjatō», disse, porgendogliela.

«Non sono per niente abile con le armi da taglio», confessò Sakura senza prendere l’oggetto. Sapeva di dover mettere in chiaro ogni suo punto debole se voleva collaborare al meglio con i suoi nuovi compagni.

«Non importa. Molti di noi non lo sono ma è comunque parte della divisa e scoprirai che può salvarti la vita, in certe situazioni».

«Speriamo che non lo scopra, eh taichō?» ribatté Yūgao, facendole l’occhiolino.

«Sì, speriamo», concordò lui con un sospiro. Ma tutti loro sapevano che era una possibilità da non trascurare. «Allora, abbiamo solo pochi minuti per prepararti. Ascolta con attenzione».

«Yosh!»

***

Alle 16:30 precise la porta si aprì su quattro ANBU in divisa completa, la maschera in mano ed uno zaino in spalla. Sakura ricevette un’altra serie di occhiatacce da Hinoto e Tatsu ma l’arrivo di Kakashi e Shikamaru rese più facile ignorarle.

L’Hokage li scrutò uno ad uno, con calma, prima di parlare.

«Non abbiamo ricevuto aggiornamenti rispetto al briefing di ieri, perciò otterrete nuove informazioni solo quando giungerete a Suna», comunicò loro, ed una punta di fastidio era evidente nel suo tono di voce calmo. «Mi aspetto rapporti regolari secondo il protocollo. Il Kazekage ha garantito che avrete una zona del palazzo a vostro uso esclusivo in cui potrete avere tutta la privacy che vi serve, ma al di fuori di quel luogo dovrete seguire le regole di segretezza. Tanuki, sei stata informata riguardo i protocolli?» chiese Kakashi, fermando lo sguardo su di lei.

«Sì, Hokage-sama», rispose lei, formale.

Non era proprio tutta la verità, ma Yamato-taichō aveva detto che le avrebbe spiegato il resto durante i tre giorni di viaggio verso Suna. Ovviamente le aveva spiegato le cose fondamentali, come i gesti in codice tipici degli ANBU, o i protocolli in caso di attacco di un nemico lungo la strada, ma il resto sarebbe venuto man mano.

«Bene», annuì Kakashi, poi tornò a rivolgersi a tutta la squadra. «Allora radunate le vostre cose e partite».

«Hai!»

«Buona fortuna».

***

Quando si lasciarono alle spalle le mura del Villaggio, il sole era già tramontato e l’oscurità avanzava rapida nascondendo la loro corsa. Era tipico degli ANBU viaggiare il più possibile di notte e le missioni durante i mesi invernali garantivano loro più tempo per agire con il favore delle tenebre. E vista la natura di quella missione particolare, Sakura pensò che era una fortuna.

Certo, questo voleva dire anche un maggiore rischio di infortunio e quindi la necessità di tenere un passo di marcia più contenuto, ma erano bastati poco più di cinquecento metri per far capire a Sakura che sarebbe rimasta indietro rispetto ai suoi compagni, se non avesse fatto qualcosa.

Perciò, mentre balzava da un ramo ad un altro, Sakura concentrò un po’ del suo chakra negli occhi. In pochi secondi la sua vista si schiarì, come se una lampada fosse stata accesa nel bosco. Non era come correre alla luce del sole ma era sufficiente per farle allungare il passo.

Yamato doveva essersene accorto perché accelerò appena il ritmo e Sakura sorrise.

***

Corsero per più di quindici ore, facendo solo una manciata di brevi pause per reidratarsi ed ingollare una barretta energetica. Infine, quando il sole era ormai alto sopra l’orizzonte, Yamato segnalò loro di fermarsi.

Erano ancora nella foresta, nel mezzo del Paese del Fuoco, perciò il rischio di incontrare qualche minaccia era relativamente basso, ma appena il loro taichō scelse il posto in cui si sarebbero accampati, Yūgao e Rō si affrettarono ad applicare tutte le misure di sicurezza necessarie e tutti iniziarono a sistemarsi per le poche ore di riposo che si sarebbero concessi.

Alla luce del sole Sakura scrutò i suoi compagni e fu allora che notò che Tatsu stava evitando di utilizzare la mano destra nonostante fosse la sua mano dominante.

«Hayabusa, ti sei ferito?» gli chiese avvicinandosi e stendendo la mano per afferrargli il braccio… che venne tolto rapidamente dalla sua traiettoria.

Sakura guardò l’uomo sollevando le sopracciglia (non che lui avrebbe potuto vedere la sua espressione infastidita, visto che indossavano la maschera).

«Hayabusa», giunse la voce di Ichiro. «Sento odore di sangue. Falle dare un’occhiata».

«Sì, taichō», borbottò lui e le porse il braccio, che Sakura afferrò immediatamente.

«Bè, cazzo», imprecò mentre iniziava a far scorrere il chakra nel corpo di Tatsu.

«Cosa c’è?» chiese Yamato, che le fu accanto in pochi istanti.

«Niente, sta esagerando, è solo una scheggia», minimizzò l’ANBU, scrollando le spalle e trattenendo malamente un sibilo. Bè, certo che gli faceva male. Quello stupido idiota.

«Avresti dovuto chiedere immediatamente l’assistenza di Tanuki. Sai bene che si possono infettare», lo rimproverò il loro taichō. «Sarebbe quella? È piuttosto grande», chiese, evidentemente riferendosi alla dozzina di millimetri di legno che spuntavano dalla pelle di Hayabusa.

Sakura scosse il capo.

«Quella è solo la parte visibile, il resto è penetrato nei tessuti», sibilò mentre continuava ad usare il chakra per analizzare la situazione. «Da quant’è che ti sei ferito?» chiese, alzando gli occhi sull’uomo che fremeva sotto alle sue mani.

«È solo una scheggia», ripeté lui in un borbottio.

Innervosita, Sakura strinse appena il braccio e al contempo spinse il chakra più a fondo, senza preoccuparsi di farlo con delicatezza, sospingendo leggermente verso l’esterno la scheggia. Tatsu sobbalzò.

Yamato mosse il capo per fissarlo per poi rivolgersi a lei.

«Hai detto che è solo la parte visibile?»

«Sì. Sono circa quindici centimetri… Mmm… Facciamo diciotto».

«Che diavolo… Puoi estrarla senza dover operare?»

Lei annuì. Non che fosse la procedura classica o la migliore, ma erano in missione e avrebbero dovuto accontentarsi. Perciò sibilò a Tatsu di restare immobile e procedette ad avvolgere la scheggia di legno con il suo chakra per evitare che durante l’estrazione si spezzasse. Una volta che si fu assicurata che non ci fossero altri pezzi di legno più piccoli piantati nella carne, Sakura afferrò l’estremità che sporgeva e tirò lentamente mentre con l’altra mano bloccava il braccio tremante di Tatsu. Quando anche l’ultimo millimetro fu estratto dalla palle, Sakura controllò di nuovo che non ci fossero resti di legno o di sporco e poi sigillò la piccola ferita che aveva iniziato a sanguinare.

Nel frattempo il resto della squadra si era avvicinata e quando Sakura buttò a terra la scheggia Genma fischiò.

«È praticamente un senbon taglia media», constatò, chinandosi per afferrare l’oggetto. Aveva sollevato la maschera sulla testa, quindi la sua espressione a metà tra l’incuriosito e il disgustato era chiaramente visibile a tutti.

«Potrà utilizzare il braccio?» chiese Ichiro, anch’egli senza maschera, che scrutava il suo sottoposto con un po’ di fastidio.

«Sì. Ho curato i tessuti e ripulito la ferita. Non avrà conseguenze», assicurò Sakura, prima di alzare la testa per guardare Tatsu (perché erano tutti così dannatamente alti?). «Ma lascialo riposare fino alla partenza. E la prossima volta interrompi la corsa, cazzo», aggiunse in un borbottio, andando a posizionare il suo sacco a pelo accanto a quello di Yūgao.

***

Mangiarono insieme, accompagnando le barrette energetiche con una semplice (e un po’ insipida) zuppa fatta con erbe e funghi che avevano trovato nel sottobosco.

«È ora di dormire. Tanuki ed io faremo il primo turno di guardia», annunciò Yamato quando tutti ebbero finito il pasto. «Hihi e Marēyamaneko il secondo, Uma e Tora il terzo e concluderanno il giro Tsuru e Hayabusa».

Sakura annuì. Sapeva che i turni di guardia in una missione ANBU erano tipicamente da due ore ciascuno; ciò significava che avrebbero dormito circa sei ore a testa e sarebbero stati pronti a ripartire prima che facesse buio, dopo aver mangiato di nuovo.

Appena ricevuti gli ordini, gli altri sei iniziarono a prepararsi per dormire… Bè, sostanzialmente posizionarono le armi accanto e sotto al loro giaciglio, per poi accoccolarsi nei sacchi a pelo. Sakura fece a malapena in tempo ad andare a sedersi accanto al fuoco con Yamato, che un russare lieve si levò nella quiete della foresta.

«Dannato. Come fa a dormire così?» borbottò Yūgao, lanciando un’occhiataccia a Genma mentre si rigirava un po’, nascondendo la testa sotto al tessuto imbottito.

Sakura trattenne la risata ed estrasse dalla sacca che portava legata in vita un libro arancione.

Non ebbe bisogno di guardarlo per sapere che Yamato aveva inarcato le sopracciglia.

«Icha Icha Paradise? Davvero?» sussurrò, mentre i respiri dei loro compagni iniziavano a farsi più pesanti.

Sakura scrollò le spalle.

«Ci sono pochi libri abbastanza piccoli da poter essere portati in una missione di questo tipo», spiegò mentre apriva il volume e posava il segnalibro sulla roccia accanto a sé. «E poi è un buon intrattenimento per riscaldare una fredda giornata di Gennaio», aggiunse, scoccandogli un occhiolino e facendolo ridacchiare.

«Kakashi-senpai sarà contento di saperlo».

«O forse no, perché non lo saprà mai, giusto?»

«Non posso fare promesse».

Sakura gli lanciò un’occhiataccia ma all’ennesima risatina scrollò le spalle e tornò a leggere mentre Yamato iniziava a pulire meticolosamente le armi che aveva con sé.

Era passata poco più di mezz’ora quando Sakura sollevò gli occhi dal suo libro ed iniziò a scrutare il suo taichō cercando di decidere se porgli la domanda che moriva dalla voglia di fargli.

Infine cedette, chiudendo Icha Icha e posandoselo sulle gambe.

«Yamato-taichō, posso farti una domanda un po’ personale?» iniziò piano, tenendo la voce bassa per non svegliare gli altri.

L’uomo sollevò lo sguardo dal kunai che stava affilando e qualcosa di simile al panico gli percorse rapidamente i grandi occhi a forma di mandorla.

«Certo», disse infine in tono piatto.

«“Tenzō” è il tuo vero nome?» chiese Sakura, ponendo la domanda che le frullava in testa da mesi. «Perché ho notato che Kakashi spesso ti chiama così e ho pensato che “Yamato” fosse solo un nome in codice», s’affrettò a spiegare sentendo dentro di sé la strana urgenza di giustificarsi in qualche modo.

«In effetti è così. Tsunade-sama mi ha assegnato questo nome quando ho dovuto accompagnarvi in quella missione nel Paese dell’Erba e poi è rimasto».

«Oh. E “Tenzō”…»

«Non è… propriamente il mio nome. È una lunga storia».

Sakura annuì ma non insistette. Sapeva della Radice e che Yamato ne era stato parte; sapeva di come Danzō avesse strappato loro di dosso ogni cosa, compresa la loro identità, e sapeva delle cicatrici mentali che questo aveva lasciato su ognuno di loro. Se l’uomo avesse voluto raccontarle la sua storia lei sarebbe stata felice di ascoltare, ma fino ad allora avrebbe accettato il silenzio.

«Posso chiamarti così anch’io?» chiese dopo qualche secondo e la sorpresa sul volto di Yamato era quasi comica.

«Non durante questa missione», s’affrettò a rispondere l’uomo, le guance che s’imporporavano appena.

Sakura sorrise. Ora capiva perché Kakashi si divertisse tanto a stuzzicarlo.

«No, ovviamente no… Ma quando siamo al Villaggio?»

L’uomo parve pensarci un po’ su mentre si rigirava in mano il kunai. Infine annuì brevemente con un: «Immagino di sì».

«Se ti mette a disagio non lo farò, assolutamente», s’affrettò a rassicurarlo Sakura. Non voleva superare una linea e ferirlo, davvero. «Perdonami, io –»

«Sakura», l’interruppe lui, posandole una mano sul braccio. «Ho detto che va bene. Non l’avrei detto se non fosse vero».

«Sicuro?»

«Sicuro».

Sakura sorrise e riprese a leggere mentre Yamato… Tenzō continuava ad occuparsi meticolosamente delle sue armi.

Quando svegliano Rō e Hinoto, poco più di un’ora più tardi, e i due presero il loro posto come sentinelle, Sakura si sdraiò nel suo sacco a pelo e nonostante la luce del giorno che filtrava tra gli alberi si addormentò in fretta.

 

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Capitolo 4
*** ‘Bout to Show you What I’m Workin’ With, uh ***


Domenica 17 Gennaio 1681

 

Il resto del viaggio procedette senza problemi (a parte le continue occhiatacce di Hinoto e Tatsu a cui ormai Sakura iniziava ad abituarsi).

Accelerarono un po’ il passo appena superarono il confine tra il Paese del Fuoco ed il Paese del Vento, sia perché si trovavano in terra straniera, sia perché trovare copertura in mezzo al deserto era ben più complicato che non in una foresta. Anche le ore di riposo vennero ridotte e finalmente, la terza sera, all’orizzonte comparvero le alte mura di roccia che circondavano Suna.

Era tardi, ben oltre l’orario in cui i normali visitatori attraversavano l’unico ingresso, ma le guardie sapevano del loro arrivo e li accolsero amichevolmente (diffidenti, certo, ma almeno non impugnarono le armi contro di loro). Vennero fatti accomodare in una stanza scavata nella roccia delle mura dove attesero e attesero, tenuti d’occhio costantemente da un paio delle guardie di turno. Mezz’ora più tardi Sakura percepì un nuovo chakra avvicinarsi, un chakra che conosceva, e la pesante porta di metallo si aprì a rivelare Kankurō.

Il fratello del Kazekage non indossava la solita divisa cui Sakura era abituata ed i suoi corti capelli castani erano ben visibili… così come il trucco viola che gli adornava il viso ed arrivava fino al collo, scendendo giù oltre l’orlo della maglia. Kankurō fece scorrere lo sguardo su ognuno di loro e Sakura sapeva che li stava valutando. Poi Yamato fece un passo avanti e comunicò di essere il capitano della squadra mandata da Kakashi. Un sorriso piegò le labbra di Kankurō che fece loro cenno di seguirlo.

Li condusse per le vie silenziose del Villaggio semi-addormentato e loro si mossero in silenzio, come ombre sulla sabbia, studiando i dintorni, finché arrivarono al palazzo del Kazekage. Sakura era già stata lì, anni prima, quando insieme a Kakashi e Naruto era corsa in soccorso di Suna dopo che Gaara era stato rapito dai membri dell’Akatsuki. Ma i ricordi erano vaghi ed in ogni caso non era mai stata nell’ufficio del Kazekage. Kankurō nemmeno bussò, quando si ritrovò davanti alla porta, ma si accomodò all’interno, facendo un paio di cenni ai due ANBU di Suna che facevano la guardia.

Gaara era seduto in una poltrona dietro una grande scrivania. Alle sue spalle piccole finestre rotonde lasciavano intravedere il Villaggio bagnato dalla luce della luna. Il Kazekage era piegato su una serie di volumi ed un plico di carte era ben impilato lì accanto. Alla loro comparsa, Gaara sollevò il volto e Sakura notò subito che le occhiaie erano più marcate rispetto all’ultima volta che l’aveva visto. Ed era pallido, molto pallido. Per un attimo rivide il ragazzo che l’aveva caricata su una nuvola di sabbia per tenere in vita Naruto mentre attraversavano in volo il campo di battaglia. Un brivido le percorse la schiena.

«Kazekage-sama», salutò Yamato – dannazione, Tenzō – con un breve ma profondo inchino, e Sakura e gli altri suoi compagni lo imitarono immediatamente. «Io sono Neko e sono il capitano di questa missione», continuò dopo aver raddrizzato la schiena. Poi si voltò appena per guardarli ed iniziò le presentazioni. Quando vennero chiamati, i suoi compagni chinarono di nuovo il capo. «Ed infine Tanuki, il nostro iryō-nin», concluse Tenzō, prima di voltarsi di nuovo verso Gaara.

«Ringrazio tutti per essere venuti», iniziò questi in tono pacato.

«In anticipo sulla tabella di marcia», borbottò Kankurō, che era andato a sedersi all’angolo della scrivania dopo aver spostato malamente una manciata di rotoli dall’aspetto piuttosto logoro.

Gaara lanciò un’occhiata al fratello ma poi tornò a dedicarsi a loro.

«Come concordato con Kakashi-sama, è stato preparato per voi un quartiere nel palazzo a vostro uso personale ed esclusivo», continuò il Kazekage.

«Il che significa che potete minarlo come volete», s’inserì di nuovo Kankurō, le labbra piegate in un sorrisetto. Con le gambe che ciondolavano giù dal bordo della scrivania, sembrava un bambino che avesse appena combinato una marachella.

Questa volta Gaara lo rimproverò per l’interruzione e Kankurō scrollò le spalle, sbuffando sonoramente e borbottando qualcosa che Sakura non sentì (e fu estremamente grata della maschera che le copriva completamente il volto perché non riuscì proprio a trattenere il sorriso che le piegò le labbra). Gaara scosse il capo e tornò a dedicarsi alle due squadre ANBU.

«Il meeting con il Consiglio e le squadre dei miei ninja è previsto per domattina alle 10», comunicò loro. «Sarete stanchi per il viaggio. Vi farò accompagnare nelle vostre stanze», aggiunse. Sakura percepì il suo chakra variare d’intensità e la porta alle sue spalle si aprì. Sakura si voltò quel tanto da poter tenere d’occhio la konoichi che si era affacciata. Era giovane, forse un paio d’anni meno di lei, aveva capelli color sabbia e sorrideva cordiale.

«Matsuri, accompagna i nostri ospiti», ordinò Gaara.

«Sì, Kazekage-sama».

«Grazie. Neko-taichō, vorrei che ti fermassi», aggiunse poi lui. E prima che Sakura potesse escogitare un modo per “farsi invitare nelle stanze private di Gaara”, per usare le parole di Kakashi, l’uomo la fissò e disse: «E Tanuki-san, posso chiedere la tua assistenza?»

Bè, dannazione, così era troppo semplice.

«Certo, Kazekage-sama».

Yamato fece qualche breve, discreto gesto che Sakura riconobbe come uno dei codici che le erano stati insegnati nei tre giorni precedenti; stava dicendo a Ichiro di prendere il comando e procedere a mettere in sicurezza il loro quartiere. Poi i loro sei compagni seguirono Matsuri e la porta si chiuse alle loro spalle, lasciandoli da soli con Gaara e Kankurō.

Il primo sospirò e scivolò impercettibilmente lungo la sedia. Poi guardò Sakura, gli occhi celesti senza pupilla che sembravano perforare la porcellana della maschera da ANBU.

«Kakashi-sama mi ha informato riguardo alla tua identità, Tanuki», iniziò piano, e lei s’irrigidì appena. «Sakura… ho bisogno di un favore», aggiunse, la voce un po’ più tesa rispetto a pochi secondi prima.

Sakura aggrottò la fronte e guardò discretamente Yamato che le fece alcuni rapidi gesti per comunicarle il suo assenso.

«Se è in mio potere, Gaara-sama», assicurò lei, togliendosi la maschera ma senza sciogliere l’Henge che le cambiava, tra le altre cose, il colore dei capelli.

Gaara nascose perfettamente la sorpresa alla vista del suo aspetto modificato. Kankurō non fu altrettanto bravo e il suo grugnito fu perfettamente udibile.

«Sakura, ti prego, “Gaara” è più che sufficiente», l’invitò Gaara, lanciando un’occhiata di sbieco a suo fratello.

Sakura annuì.

«Come posso esserti utile?»

«Durante l’ultimo attentato sono rimasto ferito».

Sakura sospirò. Stupidi, stupidi uomini.

«Sì, Kakashi ci aveva accennato la cosa…» disse, cercando di far trasparire una vena di rimprovero nella sua voce.

«Bè, qualunque cosa sia sta peggiorando ed i nostri medici non sanno che pesci pigliare», s’inserì Kankurō, saltando giù dal tavolo ed avvicinandosi al fratello. «Fagli vedere, Gaara», disse, e senza attendere un assenso afferrò l’orlo della maglia del Kazekage ed iniziò a sollevarla.

Gaara girò la testa di scatto e gli lanciò un’occhiata che a Sakura ricordò tremendamente il Gaara che aveva conosciuto durante il loro primo esame per diventare chūnin, uno sguardo assassino capace di gelare sul posto anche i migliori ninja.

«Faccio da solo», praticamente ringhiò, scostando il braccio per poi alzarsi ed iniziare a togliersi con cautela la maglia ed a Sakura non sfuggì il breve lampo di disagio che passò sul suo volto. La ripiegò con cura e l’appoggiò sulla scrivania, poi procedette a sfilarsi anche la maglia a rete fino a rimanere completamente nudo dalla cintola in su.

Sakura aveva visto innumerevoli ninja in vario stadio di nudità e tutti loro, persino i genin, avevano almeno un paio di cicatrici ed i jōnin avevano la pelle praticamente costellata di cicatrici. Gaara no. Una sola, piccola cicatrice gli decorava il lato sinistro del petto. Ma non fu quello a far sgranare gli occhi a Sakura, no. Perché il torace di Gaara era striato di nero e viola scuro. Le macchie si irradiavano per tutto il corpo (o almeno per la parte che le era visibile) ma erano più intense sul braccio sinistro, in particolare vicino al polso, e andavano via via assottigliandosi in modo graduale man mano che ci si allontanava da quel punto. Sakura non aveva mai visto nulla del genere.

«Cos’è successo?» chiese, piano.

Il suo istinto le diceva di correre da Gaara ed iniziare ad usare il suo chakra per capire che diavolo era quella cosa. Ma non si mosse perché dopotutto era una kunoichi di Konoha nell’ufficio del Kazekage e non voleva rischiare di scatenare un incidente diplomatico. Perciò attese, gli occhi fissi sull’uomo.

«Non ne sono del tutto sicuro», confessò lui, la mano che andava a massaggiare leggermente una striscia particolarmente scura sul bicipite sinistro. «La barriera di sabbia… Non è stata intaccata, durante l’ultimo attacco».

«Ma qualcosa ha superato le tue difese, è evidente», sottolineò Sakura. Più fissava quelle macchie viola e nere più un campanello nella sua mente suonava impazzito. Doveva capire. «Posso…?» chiese, incrociando lo sguardo ceruleo del Kazekage.

Lui annuì e Sakura si avvicinò mentre Gaara girava attorno alla scrivania, poi gli posò le mani sulla parte alta del braccio sinistro ed iniziò a far scorrere lentamente il chakra sotto la pelle diafana. Le ci volle solo qualche secondo e poi…

«Merda», sussurrò a denti stretti.

«Cosa c’è?»

Sakura contemplò per un secondo, solo per un secondo, di non dire a Gaara ciò che aveva scoperto per evitare di mandarlo in panico o, peggio, di minare la fiducia di Suna nei confronti di Konoha. Ma scacciò quel pensiero all’istante perché non c’era alcuna possibilità che gli tenesse nascosta una cosa del genere. Dopotutto era lì per aiutare, non certo per lasciare che il Kazekage morisse in modo lento e doloroso.

«Sono insetti velenosi del clan Aburame».

«Capisco», disse con calma Gaara, il volto che non lasciava trasparire nessun genere di emozione. «Puoi estrarli? O ucciderli?»

Lei scosse il capo.

«Solitamente cercare di estrarli con la forza è la scelta peggiore», spiegò. Avrebbe voluto estrarli, davvero. Lasciarli lì era un rischio enorme per la salute di Gaara. Ma cercare di farlo sarebbe stato un rischio ancor più grande, un rischio che non era assolutamente disposta a correre, non se c’erano altre alternative. Ed in questo caso specifico avevano delle alternative, grazie agli dei. «Scriverò a Kakashi in modo che mi metta in contatto con qualcuno degli Aburame. Per ora li terrò in ibernazione usando il chakra».

«Funzionerà?»

«Se smetterai di usare completamente il chakra e seguirai altri accorgimenti che ti darò, allora sì», assicurò, Sakura, sorridendo un po’. «Devi sapere che si nutrono di chakra. È per questo che più passano i giorni più il disagio aumenta», aggiunse, perché davvero, poteva funzionare solo se Gaara avesse rispettato pedissequamente le sue istruzioni. Se l’avesse fatto avrebbero guadagnato il tempo necessario a Sakura per capire come intervenire. Se non l’avesse fatto… bè Gaara doveva capire che non c’era una seconda possibilità.

«Lo stanno mangiando dall’interno…» sussurrò Kankurō, e l’orrore era evidente nella sua voce e sul suo volto come il sole nel deserto.

Sakura gli lanciò un’occhiataccia.

«Grazie al cielo non sei un medico».

Kankurō lanciò un’occhiata a suo fratello e per un attimo parve mortificato.

«Scusa, Gaara, io –»

«Come ha fatto il mio medico a non accorgersene?» l’interruppe il Kazekage con un gesto della mano.

Sakura scrollò le spalle. Solo un paio d’anni prima avrebbe cercato di giustificare l’iryō-nin ed al contempo avrebbe sminuito le sue abilità. Anni di condizionamento da parte dei suoi genitori l’avevano spinta a ritenere che ogni sua conquista, ogni sua abilità, erano dovute non al suo impegno ma alla fortuna o all’aiuto degli altri. Le ci era voluto quasi un decennio (ed una Guerra) per capire che non era così.

«Tsunade-sama mi ha addestrata bene», si limitò a dire con una scrollata di spalle.

Dopo qualche secondo Gaara annuì e le chiese di procedere.

Le ci vollero poco più di dieci minuti per ibernare ogni insetto ed altri cinque per scandagliare attentamente ogni millimetro del corpo di Gaara per assicurarsi di non averne scordato nemmeno uno. Quand’ebbe finito chiese carta e inchiostro e scrisse alcune istruzioni (cibi da evitare, esercizi per il controllo del chakra, ore di sonno, eccetera).

«Sono seria, Gaara. Chakra al minimo», ribadì infine, cercando di mettere nella voce tutta la serietà di cui era capace.

«Non ti preoccupare, Sakura-chan, farò in modo che rimanga a riposo», s’inserì Kankurō passando la maglia a Gaara. «E aumenterò gli ANBU di guardia, in caso di attacco».

«Non sarà necessario».

«Zitto un po’, Gaara».

Sakura sorrise.

«Bene, se non c’è altro allora noi andremmo», intervenne Yamato in tono tranquillo.

Gaara annuì. «Grazie Sakura», disse poi, con un breve inchino del capo.

Lei scrollò le spalle, tornò accanto a Yamato ed insieme s’inchinarono per poi lasciare l’ufficio. Avevano dei piani da mettere a punto.

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