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di unrapido_sospiro
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cuore di cane ***
Capitolo 2: *** Re Mida ***
Capitolo 3: *** Lucifero ***
Capitolo 4: *** Fire on fire ***
Capitolo 5: *** Nettuno ***



Capitolo 1
*** Cuore di cane ***


"Se Simone non si sveglia mi ammazzo. È tutta colpa mia."

Il rumore costante dei macchinari a cui Simone era attaccato e che lo tenevano in vita era come un tarlo nella testa di Manuel. Il ragazzo batté il pugno con violenza contro il vetro che separava la sala d'attesa dalla stanza di Simone: vederlo in quello stato senza poterlo toccare era peggio di una tortura.

Era successo tutto così in fretta: mentre cenava con sua madre, lui e Anita avevano sentito un rumore fortissimo provenire dalla strada, così si erano precipitati fuori e avevano visto Simone riverso a terra, con gli occhi sbarrati, immobile - il suo motorino distrutto dall'impatto con un furgone che era sfrecciato via senza fermarsi. Era stato Zucca ad investirlo, su ordine di Sbarra, per vendicarsi di Manuel e dell'invadenza indebita di Dante, che aveva cercato di aiutarlo ad uscire dal brutto guaio in cui si era cacciato. Si sentiva tremendamente in colpa, perché ad andarci di mezzo era stato proprio l'unico che non avrebbe dovuto, l'anima più buona e pura di tutte: Simone.

Simone il bravo ragazzo, premuroso ed affidabile, Simone lo studente coscienzioso amante della matematica, Simone con la testa sulle spalle - quella stessa testa che aveva perso completamente per Manuel. E Manuel lo sapeva, era ben consapevole del potere e della presa che aveva su di lui, di quanto Simone fosse disposto a tutto per lui. Aveva sfruttato ogni mezzo a sua disposizione pur di impedirgli di farsi coinvolgere nei loschi traffici di Sbarra: l'aveva insultato, tenuto a distanza e preso in giro per il suo essere sempre così scioccamente disponibile nei suoi confronti. Simone e il suo maledettissimo vizio di mettersi sempre in mezzo, quando si trattava di Manuel. Cosa avrebbe dato pur di avere quel ficcanaso tra le sue braccia, in quel momento.

Per ferirlo e tenerlo lontano dai guai gli aveva detto che non provava niente per lui, che il bacio che gli aveva dato alla sua festa di compleanno non significava nulla, che nemmeno se lo ricordava perché quella notte era sbronzo e lo aveva semplicemente usato per scrollarsi di dosso la rabbia dopo la rottura con Alice.

Bugie, ovviamente. Erano tutte menzogne, dalla prima all'ultima (soprattutto l'ultima): non aveva affatto dimenticato quel bacio, né quello che era successo dopo, quando Simone l'aveva reso suo e Manuel si era lasciato prendere, perso nel suo abbraccio, aggrappato a lui come se fosse l'ultima notte al mondo.

"Con te è diverso."

Come poter dimenticare l'intensità di quei momenti, il suo respiro affannoso, i suoi occhi che non avevano smesso per un attimo di scrutarlo? Nessuna donna (nemmeno Alice, di cui credeva di essere innamorato - ma che ne sapeva lui dell'amore? Quella parola aveva senso solo dopo Simone) l'aveva mai fatto sentire così uomo. Portava ancora addosso i segni indelebili di quella notte con lui, che gli era parsa interminabile e allo stesso tempo brevissima. Quanto avrebbe voluto tornare indietro nel tempo e non essersi comportato da stronzo.

Le parole di Simone rimbombavano nella sua testa, come un disco rotto.
- Non ti lascio, va bene? Non ti lascio perché ti voglio bene.
- Vengo con te.
- Mica sono innamorato di te, io.
Manuel forse sì, ma Simone ancora non lo sapeva, infatti aveva creduto alle sue bugie e avevano litigato. Se n'era andato con gli occhi gonfi di lacrime, mentre Manuel lo guardava con il cuore spezzato: pensava ingenuamente che in questo modo Simone sarebbe stato al sicuro. Ma si sbagliava. E se Simone non si fosse più svegliato e non avesse più potuto scoprire la verità?

Ora, nella sala d'attesa dell'ospedale, Manuel indossava ancora la giacca che Simone gli aveva prestato dopo la prima volta che aveva dormito a casa sua. La manica destra era orribilmente macchiata del suo sangue. Gli vennero in mente le parole di una canzone di Ermal Meta.

"Caro Antonello
È una giornata di merda
Ma va tutto bene
In fondo respiro ancora

Oggi con la tristezza
Condivido la stanza
Ma c'è un letto solo
Porterò pazienza"
Sembravano scritte apposta per lui: nel suo caso il letto era quello in cui era disteso Simone, mentre la tristezza albergava tutta nel suo cuore.

"... Di Roma Capoccia, di notti e di esami
Non è rimasto più niente
C'hai fregati tutti

Ci hanno fatto male, male, male
Le tue canzoni d'amore
Ma almeno mentre si canta
Non si può mai morire"
Manuel sentì una stretta alla bocca dello stomaco.

"Non morire, Simo."

"... È buffo, pensavo
A questa vita che è cara
Che per averne anche solo metà
La si paga intera

Hai visto il mio cuore
Il mio cuore di cane
Lo riconosci subito
Perché è quello che morde"
Manuel pensava davvero di avere un cuore di cane: un cane randagio, per la precisione - sporco, rabbioso, sempre pronto ad attaccare, abbandonato a se stesso, senza nome. Stupido, stupido cuore.

"... Vedi Antonello
Lei manca pure adesso

E anche se mi uccideva
Io che l'amavo lo stesso"
Il pronome in questo caso era sbagliato, ma il concetto no: quella canzone parlava di Simone.

Gli mancava. Perderlo sarebbe stato come smarrire la sua bussola, il suo riferimento e porto sicuro. Lo amava? Sì, a modo suo lo amava, anche se era troppo orgoglioso e spaventato per ammetterlo persino a se stesso.

"Starà sognando? Mi starà pensando? Mi odierà a morte quando si renderà conto di quello che gli ho fatto."
Quella sensazione non gli dava tregua, aveva il cuore pesante e la testa che gli scoppiava. Si passò le mani fra i capelli ricci, abbandonandosi senza forze sulla sedia, mentre guardava sua madre camminare avanti e indietro per la stanza, troppo agitata per riuscire a stare seduta.

- Mà, per favore, sta' ferma. Me fai venì il mal di testa.

Anita si avvicinò al figlio, gli si sedette accanto e senza dire nulla lo strinse in un abbraccio. In condizioni normali Manuel si sarebbe allontanato e l'avrebbe presa in giro, con quella sua tipica aria spavalda che in realtà nascondeva un animo estremamente fragile: ma quella non era affatto una situazione normale, perciò si lascio cullare, affondando la testa nell'incavo della spalla di Anita.

- Se succede qualcosa a Simone io non me lo perdono Mà, non me lo perdono. Me ammazzo, giuro che stavolta lo faccio pe' davvero.
- Non dirlo neanche per scherzo, Manuel. Dobbiamo avere pazienza. Simone si risveglierà, te lo prometto.
- NON DIRE COSÌ, CAZZO !

Manuel si alzò di scatto dalla sedia, facendo sobbalzare Anita.

- Voi adulti avete sempre questa mania de fa' promesse che poi non riuscite a mantenere. Non puoi sapere che si risveglierà, quindi non dirlo, cazzo !

Anita guardò il figlio: il suo sguardo era disperato, le mani gli tremavano e la voce era sul punto di spezzarsi. Non l'aveva mai visto così sconvolto.

- Manuel, calmati. Non puoi fare così ! Tra poco Dante avrà finito di parlare con i medici e ci dirà tutto.
- NO CHE NON ME CALMO !

Manuel sembrava su tutte le furie.

-    Simone rischia de morì ed è solo colpa mia. Sbarra e Zucca volevano punire me, Simone non c'entrava nulla. Lui è entrato in 'sto giro demmerda solo per stamme vicino, per non permettermi de fa' cazzate. Ma alla fine la cazzata l'ho fatta lo stesso, e ci è andato di mezzo lui. Dovevo starci io al suo posto, attaccato come un vegetale a quelle macchine del cazzo !
- Smettila di dire così. Non è colpa tua, Manuel !

Ma Manuel non voleva sentire ragioni. Non riusciva a stare fermo, ogni centimetro del suo corpo era in tensione: calmarlo era semplicemente impossibile. In quel momento, la porta dello studio del neurochirurgo si aprì. Manuel corse incontro a Dante, aggrappandosi alla sua camicia.

- ALLORA?? Come sta Simone?? Quando si sveglia??

Dante lanciò uno sguardo triste e colmo di apprensione ad Anita, poi si rivolse a Manuel.

- Simone ora ha bisogno di tempo, Manuel. Il coma farmacologico è necessario dopo quello che è successo. Il suo corpo ha subìto un fortissimo stress. Dobbiamo avere pazienza e aspettare: tutto dipende da come reagirà alle cure nelle prossime 48 ore.

Dante fece una breve pausa prima di ricominciare, accompagnata da un lungo sospiro.

- Tu e tua mamma ora dovreste andare a casa, non serve rimanere qui. È ancora troppo presto per sapere se si risveglierà.

Quel "se" era pieno di tutto l'amore e la paura che può provare un padre che rischia di perdere un figlio, di nuovo. In quell'istante si pentì di non aver mai creduto in Dio: almeno avrebbe avuto qualcuno da pregare.

- È inutile che insiste, Prof: io a casa non ci torno. Non me ne vado, a costo de dormì pe' terra. Voglio esserci quando Simone riaprirà gli occhi, glielo devo.

Anita cercò di intercettare l'espressione di Dante, per fargli cenno di non aggiungere altro: nulla avrebbe potuto far cambiare idea a suo figlio, lo conosceva fin troppo bene. Dante capì e non disse una parola: era distrutto, anche lui divorato dai sensi di colpa. Le ultime parole che si erano scambiati prima dell'incidente erano state parole di rabbia: avevano litigato, per l'ennesima volta. L'idea che avrebbe potuto essere l'ultima lo tormentava: quel dolore sordo e indescrivibile che aveva vissuto quando Jacopo era stato male, tanti anni prima, ora tornava di nuovo a farsi strada nel suo petto. Si sedette vicino ad Anita, la testa poggiata sulla sua spalla, mentre Manuel si accasciava a terra, la testa tra le mani.


"Non fare il coglione, Simo. Non osare fare scherzi, non questa volta. Torna da me."

Sarebbero state le 48 ore più lunghe di sempre.

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Capitolo 2
*** Re Mida ***


... Quattro giorni dopo...

Le prime 48 ore erano passate, così come le 48 ore seguenti. Ma Simone ancora non si svegliava.

Le sue condizioni di salute non lasciavano ben sperare: trauma cranico, braccio destro rotto, due costole incrinate, possibile lesione cerebrale (da valutare al risveglio). I parametri vitali erano ancora instabili, il corpo estremamente provato dall'incidente.

Nelle 24 ore successive alla disgrazia né Manuel né Dante si erano allontanati per un istante dall'ospedale. Non c'era stato verso di farli desistere: non avevano alcuna intenzione di lasciare Simone da solo. Si sentivano entrambi responsabili per quanto gli era accaduto, colpevoli di averlo fatto soffrire ingiustamente, senza nemmeno dargli una spiegazione. Condividevano in silenzio quei momenti d'angoscia, facendosi bastare l'uno la muta presenza dell'altro - ognuno con un diverso fardello sul cuore, immerso nel proprio tormento, intento a fare i conti con il peso dei rimpianti: Dante, per non essere stato vicino a Simone quando più ne aveva bisogno e per non avergli ricordato a sufficienza quanto gli volesse bene; Manuel, per non aver avuto il coraggio di dirglielo mai.

Non si parlavano: in quella circostanza ogni frase sarebbe stata superflua - era il dolore ad unirli, ben più delle parole.

Anita era passata da casa per farsi una doccia e per prendere qualche coperta. Una volta tornata in ospedale li aveva trovati addormentati: Dante seduto per terra, la testa abbandonata contro il muro della sala d'attesa; Manuel rannicchiato sulle sedie, la giacca di Simone a fargli da cuscino improvvisato. Volevano esserci quando Simone si sarebbe risvegliato. Perché Simone si sarebbe svegliato, era solo una questione di tempo: un esito diverso non era possibile, non era nemmeno lontanamente pensabile.

 

Settimo giorno.

Dante era a pezzi: per non pensare era rientrato a scuola e aveva ricominciato ad insegnare, stare con i ragazzi gli faceva bene. Anche Manuel era tornato in classe, su insistenza della madre, ma non era affatto concentrato. Le ore sembravano interminabili, i minuti scorrevano penosamente: solo le lezioni di filosofia lo facevano stare un po' meglio, perché guardare Dante muoversi per la classe era come vedere Simone. Padre e figlio avevano lo stesso modo di camminare, con quell'andatura bizzarra e a tratti goffa per via dell'altezza; la stessa maniera di piegare la testa quando erano chiamati a rispondere ad una domanda che non si aspettavano; la medesima ruga di espressione ai lati della bocca; il medesimo sorriso, tanto spontaneo quanto raro.

Simone gli mancava da morire.

 

Decimo giorno.

Tutti i giorni dopo la scuola Dante e Manuel andavano insieme in ospedale da Simone. Più tardi, uno dei due andava a prendere Anita al museo dove lavorava, per poi far ritorno all'ospedale. A quel punto Manuel insisteva per rimanere ancora qualche ora, ma Dante lo minacciava di farlo bocciare se non fosse tornato a casa a fare i compiti e a cercare di svagarsi.

Svagarsi. Era una parola. Manuel non riusciva a pensare ad altro che a Simone, alle ultime parole che si erano scambiati, al fatto che non c'era ancora stato un miglioramento nelle sue condizioni.

"Tu per me manco esisti."

Aveva ancora davanti agli occhi lo sguardo distrutto di Simone, i suoi grandi occhi da cerbiatto gonfi di lacrime che in silenzio lo supplicavano di dargli una possibilità. Era stato straziante urlargli quelle parole, voltargli le spalle e sentirlo andare via, ma era stato necessario: Simone era pronto a cacciarsi nei peggiori guai per lui, ma Manuel non glielo avrebbe permesso - a costo di farsi odiare, a costo di perdere il suo affetto per sempre. Ora però rimpiangeva ogni singolo secondo che non avevano trascorso insieme, tutti gli abbracci che non gli aveva dato, ogni carezza che gli aveva negato: aveva ragione Battisti, è solo la paura che inquina e uccide i sentimenti.

Manuel aveva dovuto ferirlo per il suo bene, per proteggerlo, per salvarlo da lui e dal suo cuore di cane, perché per colpa sua Simone sarebbe stato disposto a mettere a repentaglio ogni certezza - ma non sapeva che Manuel, anarchico re Mida, trasformava in fango e rovinava tutto ciò che toccava. Era così da sempre e puntualmente era successo anche questa volta: aveva distrutto l'unica cosa bella che gli era capitata, il rapporto con Simone, ed ora rischiava di perderlo per sempre. Non se lo sarebbe mai perdonato.

 

Quindicesimo giorno.

Quella mattina Anita aveva chiesto a Manuel di tornare a casa dopo la scuola, invece di andare direttamente in ospedale con Dante: gli disse che voleva pranzare con lui (era il suo giorno di riposo) e Manuel accettò di buon grado: da quel maledetto giorno in cui Simone era stato investito non avevano più pranzato insieme a casa - Manuel aveva davvero bisogno di stare un po' in sua compagnia. Dopo aver mangiato, Anita invitò il figlio a rimanere ancora qualche minuto con lei, prima di correre da Simone.

- Hai qualcosa da dirmi, Mà? C'hai la faccia de una che deve di' qualcosa de importante.

Anita fece un lungo sospiro. In effetti c'era qualcosa di cui voleva parlargli.

- È così. Ascoltami un attimo, Manuel: devo parlarti, è una cosa seria.

- Me devo preoccupà?

- Ma no, che dici ! È una bella notizia, o almeno spero. Per me lo è di sicuro, mi auguro lo sia anche per te.

- Va bene, te ascolto. Spara.

 

Anita prese coraggio e con un solo fiato gli disse:

- Dante mi ha chiesto di trasferirci a casa sua.

 

Fece una breve pausa.

- Ti ricordi quel discorso che ti ho fatto al parco, quando ti ho detto che mi ero innamorata? Ecco, forse lo avevi già capito, ma... Era di Dante che parlavo. Mi sono innamorata di lui.

- L'avevo capito, Mà, te si legge tutto in faccia. Ma mica c'aveva un'artra, la mamma de Aureliano? Li avevo visti insieme fino a qualche tempo fa.

- Sì, in effetti era così, ma si sono lasciati poco prima di...

Un'altra pausa. Non voleva ricordargli ancora una volta dell'incidente: sapeva quanto gli facesse male parlare di Simone.

- Ho capito, ho capito.

Manuel guardò la madre: aspettava una sua risposta con ansia, glielo si leggeva negli occhi.

- Per me va bene, Mà.

- Sei sicuro? Guarda che è una cosa seria, Manuel.

Anita esitò per un istante.

- So bene che Dante non è un uomo qualunque: è un tuo professore e soprattutto è il padre di Simone. Non posso dirgli di sì se tu non sei d'accordo. Tu per me vieni prima di tutto.

- Lo so, Mà. Comunque sì, so sicuro. Se te sei felice, lo sono anche io.

Anita si alzò, si avvicinò al figlio e lo abbracciò, raggiante.

"Che bella che è quando sorride" - pensò Manuel.

 

- Però te posso chiede 'na cosa, Mà?

- Certamente. Dimmi tutto !

- Avevi detto che non te voleva perché c'aveva paura... Perché ha cambiato idea?

Quella domanda la colse alla sprovvista: sapeva come metterla in difficoltà, sin da quando era bambino - i suoi perché andavano sempre dritti al punto. Prima di rispondere gli prese il viso tra le mani e lo accarezzò dolcemente.

- Perché la vita è breve, Manuel. Tutto può finire da un momento all'altro. Dante ha capito finalmente che non vale la pena perdersi, bisogna tenersi stretti. A che serve stare lontani, quando ci si vuole bene?

Aveva perfettamente ragione, Manuel lo aveva imparato sulla propria pelle. In quel momento avrebbe tanto voluto raccontarle di lui e di Simone, di quello che c'era stato tra di loro, di tutto il male che gli aveva fatto e di tutto il bene che invece Simone aveva fatto a lui senza nemmeno rendersene conto. Ma non ebbe il coraggio. Non era ancora pronto per quella conversazione.

Anita intuì che Manuel non le stesse dicendo tutto: anche lui aveva qualcosa dentro di sé che voleva rivelarle, se lo sentiva, ma per il momento decise di non chiedergli nulla. Quando sarebbe stato il momento, lei ci sarebbe stata. Vedendolo così pensieroso cercò di farlo sorridere, dicendogli che per il momento aveva finito con le rivelazioni shock e che poteva andare da Simone. Manuel si mise a ridere.

- In effetti è meglio che vada, altrimenti Dante ce rimane male se non me vede. Te lo saluto e je dico anche che se te fa soffrì lo vengo a cercà e je sfascio Paperella, va bene?

- Sei sempre il solito scemo. Ma... Chi è Paperella??

Anita non sapeva del soprannome che Simone aveva dato da piccolo alla moto di Dante. Un sorriso amaro solcò il volto di Manuel.

- Storia lunga, Mà. Cose mie e de Simò. Un giorno te la spiegheremo.

Era un ricordo felice del passato di Simone, che il ragazzo non aveva esitato a condividere con Manuel: una delle tante piccole cose che li legava.

 

Prima di conoscere Simone, Manuel era sempre stato avaro nei sentimenti, avido divoratore di emozioni fugaci e di passioni superficiali. Con lui invece aveva appreso l'arte della lentezza, la bellezza del donarsi a poco a poco: tutto questo lo spaventava a morte, lo faceva sentire costantemente nudo e privo di difese. Cedere a quelle sensazioni e ammettere ciò che provava sarebbe stato troppo rischioso, un folle salto nel buio.

"Non ti disunire, Manuel. Resta lucido."

Ma era praticamente impossibile, dopo quello che era successo con Simone. Simone aveva scompaginato tutte le sue carte e gli aveva fatto cominciare una partita nuova con il destino - stavolta senza assi nella manica, trucchi o sotterfugi. L'amore era per lui una lingua straniera, una materia in cui era stato più e più volte bocciato: questo perché la complessa grammatica delle relazioni non conosce ordine sintattico, è una confusione entropica che mette tutto al posto giusto.

"Mi manchi, Simo..."

Era ora di tornare da lui in ospedale.

 

Venticinquesimo giorno.

Era passata una settimana dal trasferimento di Manuel ed Anita a casa Balestra. La villa in cui Dante viveva con il figlio e sua madre Virginia era spaziosa, calda ed accogliente - le stanze erano ampie e c'erano libri ovunque. Era perfetta. Ma pareva vuota e triste senza Simone.

Pur avendo a disposizione una stanza tutta per sé, ogni notte Manuel andava a dormire nel letto di Simone, per sentirsi più vicino a lui. Non voleva che gli altri membri della famiglia lo scoprissero, perciò aspettava sempre che tutti si fossero già addormentati per sgattaiolare dalla sua camera e infilarsi in quella di Simone, cercando di non far rumore: puntava poi la sveglia alle sei, per riuscire a tornare in tempo nella sua stanza e far finta di aver dormito lì. Sapeva che se lo avesse detto a sua madre o a Dante non lo avrebbero di certo preso in giro, né glielo avrebbero impedito. Tuttavia, preferiva tenere questo piccolo segreto per sé: non lo avrebbe mai rivelato nemmeno a Simone - sarebbe stato troppo imbarazzante confessargli che annusare i suoi vestiti e tuffare il viso nel suo cuscino erano diventati gli unici modi per non fare brutti sogni.

Quella notte, la venticinquesima da quando Simone era stato investito, Manuel non riusciva a prendere sonno. Le condizioni di Simone erano peggiorate, non rispondeva bene ai farmaci: la speranza di poter parlare di nuovo con Simone cominciava a vacillare. Si ritrovò a rivolgere una preghiera a Dio, cosa che non aveva mai fatto prima: tanto valeva tentarle tutte, che altro aveva da perdere?

"Forza Simo. Devi farcela. Torna da me."

Si addormentò sfinito alle tre di notte, nel letto di Simone. Anche Anita quella notte non riusciva a dormire, perciò si alzò e scese al piano di sotto per bere una tazza di tè caldo. Stava per rientrare nella camera di Dante, quando notò che la porta della stanza di Manuel era aperta. Pensò subito che fosse strano, Manuel non lo faceva mai. Si avvicinò e vide che la camera era vuota: dove era finito Manuel? Fece per andare a svegliare Dante, preoccupatissima, quando si accorse che anche la porta della stanza di Simone era spalancata.

Sbirciò dentro e vide suo figlio addormentato a pancia in giù nel letto di Simone. Sembrava così piccolo e indifeso in quella posizione. Si fece più vicina, cercando di non svegliarlo: Manuel aveva un'espressione corrucciata, il viso pallido e stanco. Era distrutto. Gli accarezzò i riccioli e gli diede un lieve bacio sulla fronte, come quando era bambino e faceva fatica ad addormentarsi - poi se ne andò, lasciandolo riposare. In quel momento capì con chiarezza quanto Manuel tenesse a Simone: chissà se sapeva che Simone era innamorato di lui... Gliene avrebbe parlato, un giorno, quando Manuel sarebbe stato pronto.

Ora però il problema era un altro: Simone doveva risvegliarsi.

 

Ventinovesimo giorno.

Ore 2.43 di notte.

Al piano terra, il telefono di casa Balestra squillò.

Dante si svegliò di soprassalto e si precipitò giù dalle scale, seguito da Anita. Anche Manuel si svegliò con il cuore in gola: un brivido di terrore gli percorse il corpo all'udire il rumore del telefono. In pochi secondi aveva raggiunto Dante e la madre al piano terra - qualche attimo dopo, anche la nonna di Simone fece capolino in soggiorno.

Era l'ospedale.

Dante pronunciò solo poche parole, poi riattaccò. Tremava. Guardò Anita con gli occhi pieni di lacrime e la strinse forte a sé. Manuel e Virginia li osservavano in preda al panico – Manuel volle subito sapere cosa si erano detti.

- ALLORA? CHE È SUCCESSO?

Dante si staccò da Anita e andò incontro al ragazzo, lo prese per le spalle e scoppiò in un pianto liberatorio.

- Manuel... SIMONE SI È SVEGLIATO !

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Capitolo 3
*** Lucifero ***


Quella notte Manuel non era riuscito a chiudere occhio per l'emozione: dopo un mese che gli era parso interminabile, Simone si era svegliato. Niente in quel momento avrebbe potuto guastare la sua gioia: era elettrizzato all'idea di rivedere Simone, di potergli parlare, di poterlo guardare negli occhi. Un brivido gli corse lungo la schiena al solo pensiero: non si era mai sentito così felice e allo stesso tempo così vulnerabile.

Gli venne in mente quel verso meraviglioso di una poesia di Antonia Pozzi:

"A cuore scalzo e con laceri pesi di gioia."

Così si sentiva. Finalmente leggero, era ormai pronto a spiccare il volo: aveva deciso di dire tutto a Simone - gli avrebbe confessato che cosa provava per lui, il perché della sua freddezza, le ragioni del suo comportamento contraddittorio ed incoerente. Non poteva più tergiversare o fingere indifferenza: era giunto il momento di restituirgli la felicità che gli aveva negato.

Tutto sarebbe andato bene.

 

La mattina seguente, Dante e Manuel si recarono in ospedale: entrambi avrebbero dovuto essere a scuola, ma non riuscivano ad aspettare un momento di più - dovevano vedere Simone. Al loro arrivo, li accolse il neurologo che si era preso cura del ragazzo: Manuel notò subito che un velo di nervosismo gli adombrava il volto, lasciando trasparire una certa preoccupazione. In lui si fece strada un brutto presentimento, ma cercò di ignorarlo.

Dante, ignaro di tutto, andò a stringere la mano al dottore.

 

- Dottore, finalmente una bella notizia ! Come sta il nostro Simone?

Il medico rivolse loro un sorriso rassicurante.

- Buongiorno signor Balestra, ciao Manuel. Simone sta decisamente meglio. È ancora molto provato, chiaramente: nei prossimi mesi dovrà fare fisioterapia per ristabilirsi del tutto. L'incidente è stato un duro colpo per il suo fisico, ma è un ragazzo forte: si riprenderà presto, vedrete !

Manuel però non era del tutto convinto. C'era qualcosa che non andava e che il neurologo esitava a rivelare.

- Possiamo andare da lui ora?

Questa volta era stato Manuel a parlare. Il neurologo esitò.

- Ecco... C'è una cosa che dovete sapere, prima di incontrare Simone.

Manuel trattenne il fiato, mentre lo sguardo di Dante si fece interrogativo.

- Dopo un mese di coma, il fisico di ognuno reagisce in modo diverso. Possono succedere diverse cose che non ci aspettiamo. Nel caso di Simone, lo shock dell'incidente gli ha procurato una lieve amnesia.

- Un'amnesia?? Che significa??

Dante iniziava a preoccuparsi, mentre Manuel era visibilmente confuso. Il dottore proseguì.

- Quando Simone si è svegliato, io e i miei colleghi gli abbiamo fatto alcuni test e lo abbiamo sottoposto ad alcuni esami di routine, per verificare eventuali danni e scongiurare lesioni cerebrali più serie. Fortunatamente Simone non ha riportato danni permanenti. Solo che, quando gli abbiamo chiesto di dirci che giorno fosse, lui ci ha risposto che era circa fine settembre.

- Ma ora siamo a marzo !

Manuel era sempre più incredulo. Lui e Simone avevano iniziato a frequentarsi a metà ottobre: a settembre non erano ancora amici, anzi - erano più le volte in cui litigavano e facevano a botte che quelle in cui si comportavano come due normali compagni di classe. E se Simone era convinto che fosse settembre... Ciò significava che si era dimenticato di lui?

- Nei pazienti che hanno subìto un trauma del genere è abbastanza comune una perdita di memoria in forma temporanea. Non vi dovete preoccupare, presto Simone si ricorderà tutto: l'unico problema è che non sappiamo quando questo avverrà. Potrebbero volerci giorni, settimane - in alcuni casi addirittura mesi. Dovete solo essere comprensivi con lui e dargli il tempo di metabolizzare quello che è successo - senza mettergli fretta e soprattutto senza arrabbiarsi con lui se non riesce a richiamare alla memoria ciò che voi, invece, ricordate benissimo.

Dante era molto scosso.

- Ma quindi ci sta dicendo che Simone non ricorda quello che è successo dalla fine di settembre ad oggi...?

- Purtroppo no, al momento non ricorda nulla.

- Ma c'è il rischio che non riacquisti più la memoria...?

La domanda proveniva da Manuel: aveva lo sguardo rivolto a terra e la voce strozzata. Dopo la gioia di averlo ritrovato, ora ripiombava nel buio: l'incubo non era ancora finito.

- In ragazzi giovani come Simone non è mai capitato, quindi potete stare tranquilli. Bisogna solo avere pazienza. Coraggio !

 

La notizia non riusciva a rincuorarlo. Nella mente di Manuel rimbombavano le parole di Montale.

"Lo sai: debbo riperderti e non posso. [...]

Cerco il segno

smarrito, il pegno solo ch'ebbi in grazia

da te.

E l'inferno è certo."

 

Simone si era dimenticato di lui. Tutto quello che avevano passato, le loro avventure, le litigate, i momenti di passione che avevano condiviso e che solo loro conoscevano... Per lui non esisteva più nulla.

Anche Dante era attonito. Suo figlio aveva appena ricominciato a fidarsi e ad aprirsi con lui... Ed ora? Avrebbero dovuto ricominciare tutto da capo.

 

- Quando si è svegliato quindi non ha chiesto di noi?

Chiese Manuel con un filo di voce.

- Ha chiesto solo della madre, della nonna e di una certa Laura.

Laura, la sua ex fidanzata. Anzi, la sua fidanzata attuale, dal momento che a settembre lei e Simone stavano ancora insieme. Manuel si sentì mancare l'aria: quelle parole gli fecero perdere il controllo. Uscì di corsa dall'ospedale e salì sulla sua moto, lasciandosi alle spalle Dante e il neurologo.

 

Il medico diede a Dante una pacca sulla spalla.

- Non si perda d'animo. Adesso provi a chiamare questa Laura e le chieda di andare a parlare con Simone: la convinca a spiegargli quello che è successo, con delicatezza. Per quanto riguarda Manuel invece...

- Ha visto come ha reagito, dottore? Sta peggio lui di me. Lui e Simone sono... Erano molto legati, ma il loro rapporto è iniziato a sbocciare solo dopo gli ultimi ricordi di Simone: la notizia deve averlo sconvolto.

Il dottore gli rivolse un sorriso comprensivo.

- Lo lasci un po' da solo, mi dia retta. Tra qualche ora però lo raggiunga e provi a parlargli. Ora di sicuro penserà di aver perso per sempre il suo amico: lei gli ricordi che non è così e soprattutto che ora deve essere forte e stare vicino a Simone, anche se per lui al momento è praticamente uno sconosciuto.

- Lo farò, dottore.




 

Manuel aveva resistito sino a quel momento: mentre Simone era in coma non aveva versato una singola lacrima - non poteva perdere le speranze: doveva restare lucido, essere pronto a reagire. Solo la notte si concedeva un po' di tregua ed abbassava le difese, abbandonandosi senza forze nel letto di Simone - ne aveva bisogno, per tornare a respirare.

Ma quello che gli aveva rivelato il medico... Era troppo da sopportare. Mentre percorreva le strade di Roma, superando le automobili imbottigliate nel traffico della città, le lacrime gli rigavano il viso. Avrebbe voluto buttarsi nel Tevere o andare a schiantarsi sulla tangenziale - non importava quale delle due opzioni: voleva solo smettere di soffrire.

 

Guidando senza una meta precisa, si ritrovò sulla strada che portava al Gianicolo. Parcheggiò la moto vicino ai viali alberati costeggianti la Villa Aurelia, poi proseguì a piedi fino al Belvedere: si vedeva tutta Roma da lassù. Manuel amava venire in questo posto quando era triste - e quello era decisamente uno di quei momenti: un senso opprimente di solitudine e una desolazione inconsolabile lo percorrevano dalla testa ai piedi.

Rimase seduto sul muretto del Belvedere per ore, lo sguardo perso nel vuoto, a consumare una sigaretta dopo l'altra.

 

Si sentiva come Lucifero: prima era l'angelo prediletto, il più amato da Dio, mentre ora il peso delle sue ali lo schiacciava e lo faceva precipitare nelle tenebre dell'oblio. Nessun paradiso era più disponibile per lui - era stato esiliato negli inferi, gettato in un abisso senza possibilità di risalita. Il suo dio si era dimenticato di lui.

Manuel pensò che quella fosse la punizione che si meritava per ciò che aveva fatto a Simone - gli aveva spezzato il cuore e per colpa sua aveva rischiato di morire: non occupare più un posto nella mente e nel cuore di Simone era la giusta condanna per le sue scelte sbagliate.

 

- Non è vero, Manuel.

Manuel si girò di scatto: la voce che aveva sentito era quella di Dante. Come aveva fatto a trovarlo?

- So quello che stai pensando: che forse è meglio che Simone non recuperi proprio la memoria, o sbaglio? E rispondo anche alla domanda che ti stai ponendo in questo momento: sapevo di trovarti qui perché tua madre mi ha detto che quando sei triste vieni sempre in questo posto, per stare un po' da solo con i tuoi pensieri. E fai bene, perché qui è bellissimo.

Manuel sospirò, accennando un lieve sorriso. Lontano dai rumori del centro, Roma si stagliava sotto di loro in tutta la sua bellezza, incurante e maestosa come una regina.

 

- Che palle Prof, ma come fa ad esse così? C'azzecca sempre, mannaggia a lei.

Dante sorrise a sua volta. Si sedette vicino a lui.

- Ascolta Manuel, so bene come ti senti. Pure io sono a pezzi: Simone ha "dimenticato" anche me. Posso capire il tuo dolore.

- No Prof, con tutto il rispetto, ma lei non può davvero capì. Lei è suo padre e farà sempre parte della sua vita, che a Simone piaccia o no. Ma io ora non so' più nessuno per lui... E forse è mejo così, me creda. Ho solo portato un sacco de grane nella sua vita da quando me conosce.

- Non dire così. Non hai portato solo guai... Anzi.

- E che altro avrei fatto per lui, sentiamo?

- Manuel, lo sai meglio di me... Simone prova qualcosa di importante per te.

Manuel trattenne per un attimo il respiro: sentire il padre di Simone pronunciare quelle parole gli faceva un certo effetto. Ma ormai era tutto inutile.

 

Provava, Prof. Ora lui pensa solo che so' lo stronzo che lo provocava e con cui litigava sempre in classe. Nient'altro. Come faccio a spiegargli come siamo diventati amici?? Come je spiego il bene che ce volevamo? E che l'incidente è colpa mia??

Manuel si era alzato in piedi e si era messo a camminare nervosamente avanti e indietro, dando le spalle a Dante.

- Intanto smettila di dire che è colpa tua, perché non è così. E soprattutto... Non è solo questione di "spiegargli" a parole quello che è successo tra di voi. Glielo devi mostrare, con i gesti di ogni giorno - passo dopo passo, senza fretta ma senza sosta. Vedrai che prima o poi si aggiusterà tutto e Simone ricorderà ogni cosa.

- Sì, ma quando?? Io non so se ce la faccio ad aspettà, Prof. Io rivoglio Simone ora.

- Lo so, Manuel, lo so. Dobbiamo essere forti. E volergli bene ancora più di prima, perché ora lui ha veramente bisogno di noi - anche se non se lo ricorda.

- Mah, non so' sicuro Prof. Per me è mejo se me dimentica.

- Non puoi mollare ora, Manuel.

Manuel si fermò e guardò Dante dritto negli occhi.

 

- Non farlo. Te ne pentiresti. Abbi fede.

- Io non credo in Dio, Prof.

- Nemmeno io. Devi avere fede in Simone e dargli il tempo di ricordare, di vivere di nuovo quelle sensazioni che provava per te. Vedrai che il vostro rapporto ne uscirà più forte di prima.

Dante fece una breve pausa.

 

- Io sono sicuro che quello che c'è stato tra di voi non sia svanito nel nulla. È lì, nella sua mente e nel suo cuore, solo che al momento non è disponibile. È come se i suoi occhi fossero coperti da un velo: sta a te rimuoverlo e fargli vedere di nuovo.

 

"Dipende tutto da me." - pensò Manuel.

Forse Dante aveva ragione: non era ancora il momento di arrendersi.

 

- Io ora torno in ospedale. Che fai, vieni con me?

La proposta di Dante lo spiazzò.

- Non so se ce riesco, Prof.

- Ce la fai, ce la fai. Fidati di me. Ora Simone sta parlando con Laura... L'ho pregata di spiegargli tutto: così, quando lo vedrai, lui saprà come stanno davvero le cose.

 

Manuel si sentì leggermente sollevato. Prese il casco e si avvicinò a Dante.

- Va bene Prof. Andiamo da Simone.

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Capitolo 4
*** Fire on fire ***


Sdraiato a pancia in su nella sua stanza d'ospedale, Simone fissava il soffitto, spaesato e confuso. Era frastornato dalle emozioni contrastanti che provava e per via di tutti i farmaci che stava assumendo. Doveva essere stato un incidente terribile, a giudicare dai lividi che gli percorrevano il corpo e dalle fitte lancinanti che accompagnavano ogni suo movimento, eppure non ricordava assolutamente nulla di quanto era successo, né dei mesi precedenti. I suoi ricordi si arrestavano alla fine di settembre: il terzo anno di liceo era appena cominciato e la sua vita era stata sconvolta dall'inaspettato arrivo a Roma di suo padre, nonché suo professore di filosofia. Un incubo, a tutti gli effetti.

Con fatica si mise a sedere sul letto. I medici avevano detto che il trauma cranico dovuto all'incidente e il coma prolungato gli avevano causato una temporanea perdita di memoria: presto avrebbe potuto parlare con suo padre e con il resto della famiglia.

Laura dov'era? Aveva voglia di parlare solo con lei in quel momento - era l'unica di cui si fidasse davvero: era la sua fidanzata, dopotutto. Tuttavia, pensare a lei non gli provocava affatto il tipico rimescolamento interiore che sentono le persone innamorate. Percepiva una sensazione ben diversa: nutriva nei suoi confronti quello che avrebbe potuto definire un profondo affetto, ma niente di più - o forse era solo l'effetto dei farmaci che gli avevano messo lo stomaco sottosopra?
Il ragazzo era visibilmente scosso.

Si alzò dal letto e andò verso la porta della stanza, per vedere cosa stava succedendo fuori. In fondo al corridoio, vide Laura. Era arrivata da poco: notò che stava parlando con suo padre, il quale la guardava preoccupato, gesticolando nervosamente. Non riusciva a capire quello che si dicevano, ma sembravano entrambi molto tesi. Dopo una mezz'ora che gli parve interminabile, Laura abbracciò Dante: suo padre pareva decisamente sollevato. Dopodiché, la ragazza si girò verso Simone: gli fece un cenno d'intesa con il capo, poi corse verso la sua stanza ed entrò.
Simone aveva mille domande da porle, fiducioso che almeno lei potesse districare i dubbi e gli interrogativi che gli affollavano la mente.

- Simone ! Finalmente... Mamma mia, che spavento che ci hai fatto prendere !

Laura gli corse incontro e lo abbracciò forte. Simone gemette per il dolore: con il braccio destro rotto e il corpo pieno di lividi, persino respirare gli costava un'immensa fatica.

- Ti ho fatto male? Oddio scusami...

Simone le rivolse un sorriso di incoraggiamento.

- Non ti preoccupare, davvero !

Era felice di vederla: al di fuori di medici ed infermieri, era la prima persona con cui parlava dopo il suo risveglio.

- Grazie per essere venuta subito. Ho mille cose da chiederti. Ho visto che stavi parlando con mio padre, poco fa...

- Sì, mi ha spiegato quello che ti è successo.

- Bella merda, eh? Non ricordo nulla da fine settembre ad oggi.

- Povero Simone...

Laura gli fece una carezza.

- Tuo padre mi ha detto che io sono stata una delle prime persone che hai nominato al tuo risveglio... È vero?

- Sì, è così. Sei la mia ragazza, è normale, no?

Laura abbassò lo sguardo, senza rispondere. Dante l'aveva pregata di dire a Simone come stavano realmente le cose, visto che al momento era la persona di cui Simone si fidava di più. Avrebbe potuto raccontagli una versione diversa dei fatti - dirgli che stavano ancora insieme, che si amavano come prima. Era ancora innamorata di lui... Ma prima ancora di questo, era sua amica: gli voleva bene e voleva il suo bene, perciò gli avrebbe detto la verità - anche se ciò implicava perderlo.

 

- Laura, mi devi aiutare, io non sto capendo più niente. Che cosa cazzo mi è successo?? Come ci sono finito qui in ospedale??

- In questi mesi sono successe tante cose, Simo: sei cambiato molto. Dell'incidente io non so granché, ti dirà tutto Manuel quando vi rivedrete.

- Manuel? Ma chi, Manuel Ferro? Quello bocciato che è finito in classe con noi? Quel Manuel??

Simone era incredulo. Che cosa c'entrava Manuel con il suo incidente? Da quando erano amici?

 

- Sì, proprio lui. Siete diventati molto amici nell'ultimo periodo... O meglio, non proprio "amici".

- Sei seria? Io e quello lì? Mi prendi in giro? Ma se ogni volta che ci guardiamo finiamo per litigare !

- Ecco... Diciamo che il vostro rapporto è molto diverso da come te lo ricordi.

La risposta di Laura era molto vaga: Simone era sempre più confuso.

- Aspetta, non ci sto capendo più nulla. Ma poi in che senso "non proprio amici"?

Aveva paura di sentire la risposta. Già la prima volta che Manuel era entrato in classe, il primo giorno di scuola, a Simone era mancato un battito. Lo aveva guardato intensamente, dalla testa ai piedi: era bellissimo, nonostante i vestiti trasandati e i capelli perennemente spettinati. Con quell'aria spavalda, i modi bruschi e un marcato accento romano, era semplicemente irresistibile. Tutte le ragazze del liceo facevano qualche commento quando passava nei corridoi, ma lui sembrava fregarsene: stava con Chicca, che pendeva dalle sue labbra. Simone li osservava spesso, in classe o all'intervallo - o meglio, osservava Manuel: come si muoveva, il modo in cui abbracciava Chicca, come impugnava la penna per scrivere sul quaderno, la maniera in cui giocherellava distrattamente con i capelli o con gli orecchini quando era perso nei suoi pensieri, come si accendeva una sigaretta dopo aver bevuto un caffè al bar di fronte a scuola. Invece di seguire le lezioni, si ritrovava talvolta a fissargli le mani ruvide, i riccioli disordinati, la linea degli zigomi, le ciglia lunghe, gli occhi scuri e profondi, le labbra che parevano disegnate. Su quelle indugiava più di quanto sarebbe stato lecito fare.

Forse Manuel non gli era così estraneo come pensava. Forse già intuiva quello che Laura gli avrebbe rivelato di lì a poco.

 

Laura notò che il ragazzo non la stava ascoltando, immerso com'era nei suoi pensieri.

- Terra chiama Simone ! Ci sei??

Simone parve ridestarsi. Era curioso di sentire la risposta della ragazza.

- Ci sono, scusami. Mi ero un attimo perso. Mi stavi dicendo di Manuel... Che significa che io e lui siamo "non proprio amici"?

Laura fece un respiro profondo.

- Significa che io e te ci siamo lasciati per colpa sua. O meglio, tu hai lasciato me perché ti sei preso una cotta per lui.

All'udire le parole di Laura, Simone dovette sedersi sul letto per non rischiare di cadere.

 

- Aspetta, calma. Io ti ho lasciata... per Manuel??

- Già... Ti ho odiato per settimane. Ero convinta ci fosse un'altra, pensavo mi avessi tradita. Invece un giorno, dopo la festa di compleanno di Chicca, sei venuto da me e mi hai detto che effettivamente c'era un'altra persona, ma che non era una ragazza. Mi hai detto: "Mi sono innamorato di uno come me". Eri molto tenero in quel momento - ho smesso all'istante di essere arrabbiata con te. Poi mi hai rivelato che il ragazzo in questione era Manuel - l'hai definito "il più bello, il più stronzo e il più etero di tutta la scuola".

- Davvero ho detto questo? Che sottone che sono...

Era tutto così assurdo.

 

Simone proseguì con il suo interrogatorio.

- Che altro sai di me e di lui?

- So che avete iniziato a trovarvi dopo la scuola, spesso si fermava a dormire da te o tu andavi da lui alla sua rimessa. Siete diventati amici. Però mi hai anche detto che ha una storia con una più grande.

- Ah, fantastico... Questo preferivo non ricordarlo.

I due scoppiarono a ridere.

- Ma lui sa quelle cose che mi hai appena detto...?

- Non penso proprio... Senti Simo, io non so molto altro di quello che è successo tra di voi, ultimamente non parlavamo molto di questo. L'unico che può spiegarti tutto è Manuel. Devi parlare con lui e con tuo padre.

- Parlare con Manuel?? Non ci penso proprio. Che gli dico?? "Ciao Manuel, a quanto pare sono innamorato di te ma purtroppo non me lo ricordo: non è che per caso mi racconti tutto quello che è successo e mi spieghi perché non mi ami?" Così?! E con mio padre non se ne parla, non ho alcuna intenzione di stare a sentire le sue chiacchiere. Sai che non lo posso vedere.

- Guarda che anche con lui le cose stanno molto diversamente da come ti ricordi... Stavate ricostruendo il vostro rapporto, prima dell'incidente. Sia lui che Manuel hanno fatto tantissimo per te in quest'ultimo mese: pensa che sono venuti a trovarti in ospedale tutti i giorni, per ore... Non appena finivamo scuola correvano qui da te e non se ne andavano fino alla fine dell'orario di visite.

Simone era molto colpito: Manuel e suo padre sembravano tenere davvero a lui.

- È assurdo... Voglio sotterrarmi. Non ce la faccio a parlare con loro ora, non ci riesco.

- So che in questo momento ti sembra tutto difficile, ma dammi retta... Dai loro una possibilità. E dalla anche a te stesso. Se ora ti lasci prendere dal panico e li allontani solo per paura di quello che potresti provare, fai la cazzata della tua vita. Hai bisogno di loro, più di quanto tu abbia bisogno di me, anche se mi costa ammetterlo.

Simone rimase colpito dalle parole di Laura: si vedeva che gli voleva un gran bene. Con la mano sinistra le sfiorò il viso.

- Grazie, Laura. Non so cosa avrei fatto senza di te...

Laura gli fece un gran sorriso.

A quel punto lei e Simone furono interrotti da un rumore proveniente dal corridoio. Laura sbirciò fuori dalla porta: in fondo al corridoio c'erano Manuel e Dante.

 

- Simo, c'è Manuel ! È appena arrivato con tuo padre ! Che faccio, li chiamo?

- Ma sei pazza??? NO !

Simone era agitatissimo. Non si aspettava di vederli. Non era ancora pronto.

- Troppo tardi... Manuel sta venendo qui.

- Oh, merda.

E adesso? Che gli avrebbe detto? Simone era nel panico. Laura si avvicinò a lui.

- Stai calmo. Andrà tutto bene. Ora vi lascio da soli, va bene? Ricordati quello che ti ho detto.

Laura gli diede un bacio sulla guancia, proprio mentre Manuel stava entrando nella stanza di Simone.

 

- Scusate eh, se ve serve un po' de privacy me ne vado...

Manuel era sempre il solito, nonostante tutto non aveva perso il suo senso dell'umorismo.

- Tranquillo Manuel, io me ne stavo andando, vero Simone?

Laura lanciò uno sguardo d'intesa a Simone, che non disse una parola.

- Vi lascio soli. Ci sentiamo, Simo. Ciao Manuel.

Laura uscì dalla stanza.

 

Simone e Manuel erano finalmente a tu per tu. Manuel rimase fermo davanti alla porta, imbarazzato. A Simone tremavano le gambe: fortunatamente si era rimesso a letto, seduto, con la schiena appoggiata al cuscino, altrimenti Manuel avrebbe sicuramente notato la sua agitazione.

 

Manuel fece un cenno con il capo in direzione di Simone.

- Ciao Simò. Sono... Sono contento de vederti. Come te senti??

- Insomma, sono stato meglio... Mi fa male tutto.

- Eh, posso immaginà...

Manuel abbassò lo sguardo.

- Mi dispiace per quello che t'è successo, Simò. È stata colpa mia...

- In che senso, scusa? M'hai investito te?

- Ma che te sei rincoglionito?? Non so' stato io... Non potrei mai farti del male.

Manuel si interruppe. In verità lo aveva già fatto, più e più volte, solo che Simone non se lo poteva ricordare. Proseguì.

- T'hanno investito du stronzi per cui lavoravo, pe' vendicarsi perché non ho fatto quello che m'avevano chiesto de fà.

- E allora perchè in coma ci sono finito io? Non potevano investire te?

- Lo so, Simo, non c'ho dormito per giorni pe 'sta cosa... L'hanno fatto apposta, pe' famme ancora più male. Non sai cosa avrei dato per starci io in coma al posto tuo...

Simone notò il nervosismo di Manuel, nonché il tremore nella sua voce: preferì non chiedere altro, almeno per il momento. Non era pronto per affrontare quel discorso, e nemmeno Manuel lo era.

 

- Vabbè dai, me lo spiegherai un'altra volta... Sono troppo stanco ora per parlarne.

Manuel era palesemente stupito. Simone continuò.

- Sei fortunato che non mi ricordo niente e che so' pieno di lividi, altrimenti a quest'ora te avrei già menato.

- Te?? Secco come sei? Ma per favore...

Manuel si mise a ridere. Aveva passato giorni interi ad immaginare quell'incontro, le parole che si sarebbero detti, gli sguardi accusatori che Simone gli avrebbe sicuramente rivolto. Non si aspettava di certo una reazione così "pacifica". Da un lato era sollevato, ma dall'altro era confuso: Simone lo trattava così solo perché gli faceva pena?

Dal canto suo, Simone pensò che fosse strano parlare con Manuel senza litigare... E che non aveva mai notato quanto il suono della sua risata fosse stupendo. Scacciò immediatamente quella sensazione. Che gli stava succedendo?

Fu distolto dai suoi pensieri da una fitta lancinante al fianco destro, che lo fece piegare in due dal dolore. Manuel, che fino a quel momento era rimasto vicino alla porta della stanza, scattò verso il letto di Simone, pronto ad aiutarlo.

- Oddio Simò, che c'hai? Te fa male qualcosa?

- Certo che mi fa male, coglione, m'hanno quasi ammazzato per colpa tua.

Simone rispose un po' troppo bruscamente, la mente annebbiata dal dolore.

- Forse era meglio che io e te non diventavamo proprio amici, se questo è il risultato...

Simone si rese conto di aver detto una cazzata quando vide Manuel rabbuiarsi ed allontanarsi da lui: le sue parole lo avevano ferito. Cercò di rimediare come potè.

- Scusa. Non volevo dire questo... Non lo penso davvero.

- Invece dovresti. Quello che t'è capitato è colpa mia. Fai bene ad odiarmi.

- Dai, non dire così. Io non ti odio.

- Lo so che lo dici solo perché te faccio pena. È giusto così.

Manuel fece una breve pausa.

- Forse è mejo che vada... T'ho già rotto abbastanza le palle.

Manuel gli voltò le spalle e si avviò verso la porta, deciso ad andarsene.

 

- NO !

Simone aveva praticamente urlato.

- Voglio dire... Non andare subito. Io... devo chiederti un favore.

Manuel si voltò di nuovo verso Simone: aveva un'espressione molto triste in volto. Simone si guardò intorno in cerca di una scusa decente per trattenerlo ancora per un po' nella sua stanza. Il suo sguardo si posò sul suo pigiama, abbandonato su una sedia accanto al letto.

- Mi serve una mano... Per vestirmi. Ho provato a farlo da solo stamattina, ma è stato dolorosissimo, ho dovuto farmi aiutare dall'infermiera.

Non era esattamente vero. A parte sfilarsi la maglietta, riusciva senza problemi a vestirsi da solo: semplicemente non voleva che Manuel se ne andasse così, dopo le parole inutilmente cattive che gli aveva detto, e quella era la prima scusa che gli era venuta in mente.

- E non puoi chiedere ancora a lei, scusa?? Perché devi chiedere a me?

- Così... Già che ci sei, ho pensato che potevi aiutarmi te. Per comodità eh.

"Per comodità". Era veramente patetico. Simone maledisse silenziosamente la sua goffaggine.

 

Manuel finse distacco, anche se in realtà era felicissimo che Simone gli avesse chiesto di rimanere ancora per qualche istante con lui. Decise di sfruttare l'occasione per testare l'autocontrollo di Simone.

- Va bene dai, su, famme spazio che te do 'na mano.

Simone era seduto sul bordo del letto: Manuel gli si avvicinò e gli allargò le gambe, posizionandosi nel mezzo per poterlo aiutare a sfilarsi la maglietta.

A Simone mancò per un attimo il respiro: era vicinissimo a lui, poteva sentire il suo odore. Sapeva di tabacco e di caramelle alla menta. Quel profumo lo mandò in estasi.

 

Manuel gli tolse la maglietta, senza staccargli gli occhi di dosso. Le sue mani indugiarono per un attimo di troppo sui fianchi di Simone: lo aveva già toccato in quei punti, la notte della sua festa di compleanno, ma lui ancora non se lo ricordava. Tremava al solo pensiero che, prima o poi, avrebbero dovuto parlare di quella notte.

Questa volta, il suo tocco fu molto più delicato: aveva paura di fargli male. Gli porse la maglietta del pigiama e lo aiutò ad indossarla.

 

Simone riacquistò la capacità di parola quando notò che Manuel stava per allontanarsi da lui.

- Anche i pantaloni.

Manuel fece finta di non capire.

- Che hai detto??

- No, dicevo: mi devi aiutare anche con i pantaloni.

Manuel fece finta di essere scocciato da quella richiesta.

- Ma non è che ce stai prendendo gusto...? Lo stai a fa' apposta?

Quanto gli piaceva stuzzicarlo.

- Ma che sei scemo?! Dai, non fare lo stronzo, dammi una mano ad alzarmi.

Simone era visibilmente a disagio. Manuel invece era al settimo cielo. Forse la mente di Simone ancora non ricordava quello che provava per lui... Ma a quanto pare il suo corpo rammentava ogni cosa, a giudicare dal modo in cui fremeva ogni volta che lo sfiorava.

 

- Piano Simò, altrimenti te fai male. Reggiti a me.

Simone si alzò, reggendosi alle braccia forti di Manuel. Una volta in piedi, con estrema lentezza Manuel gli diede una mano ad abbassare i pantaloni, lo fece sedere di nuovo e glieli sfilò. Simone pregò che non si accorgesse di quanto la sua presenza lo facesse sentire... Su di giri - cosa che invece Manuel aveva  ovviamente notato (con sua grandissima gioia), ma fece finta di nulla. Simone non capiva che cosa gli stesse succedendo: mille domande senza risposta si facevano strada nella sua mente.

Perché la vicinanza di Manuel lo faceva sentire così vulnerabile? Perché il suo corpo sembrava già "conoscere" il tocco di Manuel, quando invece, stando alle parole di Laura, con Manuel non aveva alcuna speranza? E poi: quello che provava era semplice attrazione fisica o c'era qualcosa di più? Manuel sapeva qualcosa? E perché quando gli aveva chiesto di aiutarlo si era avvicinato così tanto a lui, senza mai staccargli gli occhi di dosso, quasi a volerlo sfidare?

 

Una volta indossati anche i pantaloni, i due si staccarono con un certo imbarazzo. Simone si era subito pentito dell'idea di farsi aiutare da Manuel - quel contatto lo aveva mandato in totale confusione. L'attrazione che provava nei confronti di Manuel era più che evidente: tuttavia, il fatto di non ricordare nulla di quello che era successo tra di loro lo rendeva estremamente inquieto. Aveva bisogno di stare da solo, per riflettere.

L'arrivo dell'infermiera di turno in quel momento fu provvidenziale.

- Ragazzi, l'orario di visite sta per finire. Vi conviene salutarvi.

Anche Manuel rivolse un silenzioso ringraziamento all'infermiera. Era molto a disagio: passato il momento di spavalderia che lo aveva spinto a mettere alla prova Simone, l'eccitazione provocata dalla vista del suo corpo seminudo (in quel momento così fragile e martoriato dai lividi) gli impediva di pensare lucidamente. Anche lui aveva bisogno di tempo per pensare: cosa avrebbe fatto ora? Per il momento non sapeva darsi una risposta.

O forse... Gli venne un'idea.

Prima di andarsene, rivolse un ultimo sguardo a Simone.

 

- Domani inizi con la fisioterapia, giusto?

- E a te chi te l'ha detto?

- Tuo padre. Quindi? La inizi o no?

- Sì, ce l'ho domani pomeriggio...

- Daje, allora vengo con te.

- Te?

- Sì, io con te.

Simone pareva molto colpito. Manuel lo incalzò.

- Che c'è, ti dà fastidio? Non dirmi che te vergogni !

- No no, macché... Anzi. Mi fa assolutamente piacere.

- "Mi fa assolutamente piacere": ma come parli?? Avrai anche perso la memoria, ma continui a parlà come prima, mannaggia a te.

- Ma vaffanculo, va' !

- Daje Simò, mica lo dicevo come un'offesa... Anzi. Che permaloso che sei.

I due si misero a ridere.

 

- Beh, allora... Ci vediamo domani !

- A domani... Ciao Simo, pace interiore eh !

Simone lo salutò, abbozzando timidamente un sorriso. A quel punto, Manuel uscì dalla stanza.



 

Era felice. Era passato dal panico più totale mentre Simone era in coma ad un'irrefrenabile gioia alla notizia del suo risveglio - poi, di nuovo, dalla disperazione per via della perdita di memoria all'euforia dopo il loro incontro in ospedale. Ora non gli importava più che Simone non ricordasse ciò che era successo tra di loro: l'unica cosa che contava in quel momento era che Manuel sentiva di avere ancora una speranza con lui. Aveva ragione Dante: non l'aveva perso per sempre.

Era disposto a tutto pur di fargli ritornare la memoria e farlo innamorare di lui... Per la seconda volta.

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Capitolo 5
*** Nettuno ***


Il giorno seguente Manuel accompagnò Simone dal fisioterapista, e così per tutte le sedute successive. Continuava a recarsi in ospedale ogni giorno dopo la scuola, per stare con Simone: dapprima lo canzonava per il fatto che, con il braccio rotto e tutte le botte che aveva preso, non riusciva a fare praticamente nulla, ma subito dopo lo aiutava - pranzava insieme a lui, gli tagliava il cibo, gli dava una mano a vestirsi, lo accompagnava nel giardino dell'ospedale per farlo passeggiare, lo sorreggeva quando era stanco e le fitte al petto gli rendevano difficile respirare e camminare diritto. Tutti gli infermieri e i medici del reparto si erano affezionati a loro: li chiamavano "i fidanzatini" - e anche se Manuel fingeva di arrabbiarsi quando sentiva quel soprannome, in cuor suo era felice. Simone era vivo, presto si sarebbe ripreso del tutto e sarebbe tornato a casa: che altro desiderare?

Certo, Simone non aveva ancora recuperato la memoria, ma quella che all'inizio gli era sembrata una tragedia ora gli appariva come un'arma a suo favore: dal momento che Simone non ricordava nulla, Manuel aveva l'opportunità di ricominciare da capo con lui - stavolta cercando di non farlo soffrire inutilmente. Con calma, gli avrebbe dimostrato ciò che sentiva, svelandosi a piccoli sorsi.

 

Dentro di lui era in corso una battaglia tra due forze opposte, ognuna delle quali cercava di portarlo dalla propria parte.

Da un lato aveva finalmente accettato, dentro di sé, il suo sentimento nei confronti di Simone: ormai era inutile fingere che non tenesse a lui - non era più irraggiungibile come forse credeva Simone: era lì, a sua totale disposizione, al suo fianco. Non l'avrebbe più lasciato andare.

Dall'altro lato, tuttavia, la paura lo attanagliava. Sebbene non avesse più timore di ammettere nel segreto della sua anima le emozioni che provava quando era con Simone, al pensiero di dover parlare di tutto questo con il diretto interessato era invaso dal terrore. Dirlo ad alta voce - a Simone, a sua madre, a Dante, ai compagni di classe, al mondo: ecco che cosa lo terrorizzava.

 

Le parole danno luce alle cose, danno alla luce le cose: le fanno vivere, le plasmano, le rendono reali - dando loro forma, consistenza, colore. Ma sanno anche essere una trappola, una prigione: incasellano, inquadrano, dividono - mettono etichette, distribuiscono giudizi, stabiliscono confini. Hanno la pretesa di essere chiare, evidenti, cristalline, ma spesso sono ambigue, mendaci, confuse, misteriose. L'emozione non ha voce.

Come si dice l'amore?

Come si spiega la fiamma che ti divora dentro al semplice tocco della persona di cui sei innamorato? Come si racconta la leggerezza che ti pervade quando sei in sua compagnia? Come si risponde al perché di un sentimento?

L'amore accade, ma è anche una scelta: è una benedizione data da Dio, un voto infrangibile e sacro, un "sì" che va urlato al mondo intero, ma può essere anche una condanna ad ardere in eterno, un fuoco che consuma e corrode, una passione proibita e profondamente sbagliata. Ti riduce in cenere e tu non sai se quelle braci raccontino di una morte o di una rinascita.

L'amore ti salva dal morire quotidiano, o ti toglie giorno dopo giorno un frammento di vita per donarlo all'altro?

 

Manuel non sapeva rispondere. E d'altronde non osava nemmeno pensarci. Aveva un rapporto ambivalente nei confronti delle parole: le venerava, ma al contempo lo facevano sentire in gabbia, stretto in una morsa - oppresso dal loro peso, schiacciato su di esso. Aveva paura che, se avesse dato un nome al sentimento che provava, lo avrebbe incatenato, corrotto, contaminato, rovinato per sempre.

Per questo prediligeva i gesti, le azioni impulsive: avrebbe preferito di gran lunga poter baciare Simone, accarezzarlo, fare l'amore con lui, confondere il suo respiro con il suo e poi disegnargli sulla pelle il senso del suo sentimento, tracciare sulle sue labbra i contorni della parola "amore". Ma poi Simone lo avrebbe (giustamente) riempito di domande, avrebbe preteso un chiarimento: Manuel avrebbe saputo dargli le risposte che bramava?

Simone amava la matematica, la chiarezza inconfutabile delle espressioni, la purezza dei numeri, la loro non contraddittorietà: non avrebbe potuto accettare la confusione di Manuel, il caos interiore che lo logorava.

 

Dal canto suo, Simone era molto colpito dalle attenzioni di Manuel: era diventato estremamente protettivo e persino dolce nei suoi confronti. Era completamente diverso dal Manuel che si ricordava: dov'era finito quel ragazzo sempre pronto ad attaccare, perennemente sulla difensiva, dispensatore di battute sferzanti e spintoni non richiesti? Fino a quel momento Simone non gli aveva fatto domande su di loro: si beava dei gesti di Manuel, attendeva con ansia il suo arrivo dopo la scuola, rifletteva su ogni attimo passato insieme. Era confuso: Manuel passava tutto quel tempo con lui solo per pietà e senso di colpa? Lo faceva in nome della loro amicizia? Lo faceva per amore?

Quest'ultima opzione gli sembrava una pura e semplice illusione: sapeva bene che a Manuel piacevano le donne - gli piaceva Chicca, gli piaceva la ragazza più grande di cui aveva parlato con Laura (e che già odiava, sebbene non si ricordasse nulla di lei).

Eppure... Aveva notato più volte una strana intensità negli sguardi e nei gesti di Manuel - gli fissava le labbra, lo squadrava mentre si vestiva, oppure lo stringeva a sé con una delicatezza fin troppo affettuosa quando, dopo una giornata difficile, Simone si appoggiava a lui per camminare. Sperava con tutto il cuore che quella premura non fosse dettata semplicemente dalla preoccupazione di un amico: aveva capito perfettamente che, per lui, Manuel non sarebbe mai potuto essere solo questo. Prima o poi sarebbe arrivato il giorno in cui avrebbero dovuto affrontare l'argomento: tuttavia, non aveva ancora trovato il momento giusto e il coraggio di parlarne con lui.




 

Erano passati più di dieci giorni dal suo risveglio: Simone stava lentamente recuperando le forze, grazie anche alla presenza costante di Manuel. Presto sarebbe potuto tornare a casa.

- SIMOOO !! È ufficiale !!

Manuel era entrato nella sua stanza d'ospedale urlando.   

- Che c'è?

- Ho incontrato il tuo medico mentre venivo qui: m'ha detto che domani te dimettono !   

- DAVVERO? Se è uno dei tuoi soliti scherzi giuro che te meno...

- Conciato come sei?? Mah... Comunque so' serissimo, non se scherza su 'ste robe !

- Madonna, non ci credo, finalmente... Mi manca da morire dormire in un letto vero.

Simone non vedeva letteralmente l'ora di tornare a casa sua.

 

- E quindi questa sarà la tua ultima notte qui in ospedale...

Manuel si era messo a girare avanti e indietro per la camera.

- A quanto pare...

- Ma te sei proprio sicuro de volerla passà qui?

Simone gli rivolse uno sguardo interrogativo.

- Ma che domanda è? Dove dovrei passarla, scusa?

- No, dicevo così, per dire...

Simone ovviamente non gli credette.

- Non ti credo. C'è qualcosa sotto. Che hai in mente?

- M'è venuta un'idea bellissima. L'ultima notte prima de tornà a casa dev'esse speciale, o no?

- Okay... E quindi...?

- E quindi c'ho 'n piano.

- Che piano?

- Te fidi?

- No.

- E daje Simò ! Te piacerà, vedrai ! Te devi solo tenè pronto quando te chiamo, poi usciamo da qui senza facce beccà e te porto in un bel posto. Va bene?

- Ma se ci scoprono? Se mio padre lo viene a sapere mi ammazza !

- Ma va che non s'accorge de nulla. E poi oh, io te offro l'opportunità de passà la notte in un posto bellissimo, e questo è il tuo modo de ringraziare? Anvedi che ingrato !

- E dove sarebbe 'sta meraviglia di posto? Non mi dai nemmeno un indizio?

- È una sorpresa. Fidate, no?

Manuel fece un sorriso beffardo. Simone lo guardò: non sapeva bene perché, ma decide di fidarsi di lui. E poi era troppo curioso di sapere dove sarebbero andati insieme. Che intenzioni aveva Manuel?

 

Alle 20.30 l'orario di visite era ormai finito da parecchio tempo: la cena era già stata servita e gli infermieri stavano ultimando il giro dei pazienti. Il corridoio antistante la camera di Simone era semivuoto - di lì a poco non ci sarebbe stato più nessuno a controllare. Il piano di Manuel stava per entrare in azione.

Il telefono di Simone squillò: era Manuel, ovviamente.

- Simò, ci sei? Io sto al parcheggio sul retro. Te aspetto.

- Arrivo.

Facendo attenzione a non essere visto, Simone sgattaiolò fuori dalla sua stanza, attraversò il corridoio e uscì dalla porta d'emergenza che portava al parcheggio delle moto. Fuori era già buio. Cercò Manuel con lo sguardo e lo vide, seduto sulla sua moto, ad aspettarlo: aveva un grosso zaino sulle spalle e un sorriso stampato sul volto.

- Stiamo a fà una cazzata, lo sai vero?

Simone lo disse ridendo: non era affatto preoccupato, a dir la verità. Era semplicemente elettrizzato all'idea di passare la notte con Manuel.

- Ma quale cazzata... Dopo me ringrazierai. Tieni, metti questo.

Manuel gli porse il casco, poi aiutò Simone a salire sulla moto.

 

- Stringiti forte a me, che se fai 'n altro incidente stavolta ce resti sotto.

Dal tono in cui lo disse trapelava la sua apprensione: era seriamente preoccupato che Simone potesse farsi male di nuovo.

- Posso toccarmi le palle??

- Non sto scherzando Simò. Stai attento.

- Tu pensa a guidare, va bene?

- Va bene, te lo prometto.

Simone gli cinse la vita con il braccio sinistro, mentre con il destro (ancora ingessato) cercò di aggrapparsi alla felpa di Manuel. Dopodiché, appoggiò il petto alla sua schiena, stringendosi forte a lui, come Manuel gli aveva ordinato. Manuel sussultò al contatto con il corpo di Simone: la sua stretta era salda, poteva sentire il suo respiro sul collo. Un brivido gli percorse la schiena.

- Quanto ci vorrà?

- Un po'. Mettiti comodo, rilassati. Stasera ce penso io a te.

Ci sarebbe voluta circa un'ora, traffico permettendo - l'idea di Manuel era di tornare verso l'alba, prima del giro di visite del mattino: nessuno in ospedale si sarebbe accorto dell'assenza di Simone. Dal canto suo, aveva dovuto trovare una scusa convincente con Dante e Anita per giustificare la sua assenza: aveva detto loro che sarebbe rimasto a dormire da Matteo. Aveva organizzato tutto nei minimi dettagli: quella notte sarebbe stata semplicemente perfetta.

 

Manuel mise in moto e partì. Direzione: Nettuno.


 

Non parlarono molto durante il viaggio: Simone cercò di godersi quei momenti senza pensare a niente, attento solo ai movimenti del corpo di Manuel stretto al suo. Avrebbe voluto che quel viaggio durasse in eterno. Ogni tanto Manuel si metteva a canticchiare qualche canzone, sovrappensiero. Sembrava allegro.

Verso le 21.45 Manuel lasciò la via principale che conduceva al centro abitato di Nettuno, per imboccare una strada provinciale che costeggiava i campi - dopo aver passato un grande bosco, proseguì per circa cinque chilometri: al primo incrocio girò a destra e, dopo qualche minuto, i due giunsero a un grande parcheggio.

Simone non riusciva a riconoscere la zona: non c'era mai stato prima di allora - Manuel invece sembrava sapere esattamente dove si trovassero: parcheggiò senza indugio e fece scendere Simone dalla moto. Non c'era anima viva intorno a loro.

 

- Ma dove m'hai portato? Mi vuoi uccidere e nascondere il mio cadavere nei campi?

Manuel si mise a ridere: non gliel'avrebbe mai rivelato, ma adorava quando Simone se ne usciva con queste battute. Lo trovava semplicemente irresistibile.

- Certo che sei proprio scemo te. Siamo a Nettuno. Ce sei mai stato?

- No, mai... Ma a Nettuno mica c'è il mare? Io qui non lo vedo... Era questo il famoso posto che volevi farmi vedere? Un parcheggio deserto??

- Uomo de poca fede. Non siamo ancora arrivati. Ce la fai a camminare per una decina di minuti?

- Ce la faccio, tranquillo. Dove si va?

- Di qui !

Manuel gli indicò un sentiero e iniziò ad incamminarsi: Simone lo seguì. Camminarono per una ventina di minuti: poi, finalmente, davanti a loro si aprì uno spettacolo inaspettato.

 

Tra il rumore delle onde e il cielo stellato, circondato dalla sabbia, il castello di Torre Astura si stagliava in tutta la sua straordinaria bellezza senza tempo: completamente circondata dal mare, la torre costiera fortificata risalente all'età medievale era legata alla terra da un ponte lungo e stretto su arcate.

Simone rimase senza fiato. La spiaggia era deserta: quello scenario unico era tutto per loro. Sembrava di essere in un film.

 

Manuel notò con estremo piacere lo stupore sul volto di Simone.

- Ci venivo tutte le estati da bambino con mamma. Lei si metteva qui a prendere il sole o a leggere, mentre io giocavo a calcio con gli amichetti miei. Poi me chiamava per la merenda e io tornavo da lei - allora ci mettevamo sotto l'ombrellone e mi raccontava le favole o il mito di Nettuno.

Manuel fece una pausa, seguita da un sospiro.

- Questo posto me ricorda cose belle. Ce so' affezionato.

Simone si girò verso di lui: sembrava così piccolo e fragile in quel momento - avrebbe tanto voluto abbracciarlo, ma temeva di metterlo a disagio, dunque si limitò a fissarlo.

- Bellissimo...

Simone si accorse di averlo detto proprio mentre lo guardava.

- Bellissimo che? Io??

Beccato. Simone arrossì: fortunatamente c'era buio e Manuel non poteva vederlo.

 

- Scemo... Intendevo questo posto. È bellissimo. Non ci ero mai stato prima. Chissà quante ragazze ti sei portato qui, sotto le stelle, eh...

Gli diede una gomitata nel fianco.

- Ma finiscila... Non c'ho mai portato nessuna. Non vengo qui da anni. Sei il primo che porto, e unico che sa de questa cosa.

- Neanche Chicca?

- No, neanche lei.

Simone si fece coraggio.

- Nemmeno quella tipa più grande che ti facevi...?

- Ma chi, Alice??

- Eh, quella...

"Fa' che non sia innamorato di lei" - pregò Simone.

 

- E te come fai a sapè de Alice? Hai recuperato la memoria??

- No no, macché. È stata Laura a dirmi di lei.

- E Laura che ne sa, scusa?

Simone si maledisse per averglielo detto: a quanto pare solo lui sapeva della sua storia con quella donna, mentre ora Manuel avrebbe scoperto che era andato a raccontare le sue cose a Laura.

"Che figura di merda" - pensò Simone. Tentò di dissimulare.

- Mah, devo averglielo detto io un po' di tempo fa...

- E perché te ne vai a raccontà i cazzi miei in giro? Era una cosa che sapevi solo te.

- Perché scusa, a te non è mai capitato di raccontare un segreto a qualcuno?

- Vabbè, che c'entra, sì...

- Ecco, appunto.

Manuel non aggiunse altro: Simone era proprio l'ultima persona con cui avrebbe voluto litigare in quel momento.

 

- Dai, lasciamo perde Alice, d'accordo?

- Va bene, va bene. Non hai risposto però... Ce l'hai portata sì o no??

- No che non ce l'ho portata. Contento adesso? È un posto speciale questo...

Un posto speciale. In cui non aveva portato nessun altro, tranne lui. Simone avrebbe voluto urlare per la felicità.

 

- Allora che famo, stiamo qui impalati come du' somari? Tiè, prendi questo.

Manuel gli porse lo zaino che aveva portato con sè: lo aprì e tirò fuori una grossa coperta di lana, poi la mise sulla sabbia e ci si sedette sopra.

- Ho portato da magnà e delle birre. Guarda un po' che robba. Dove lo trovi 'n altro che te prepara 'ste sorprese, eh Simò?

"E chi lo vuole un altro" - pensò Simone tra sè e sè.

 

- Posso?

Simone indicò la coperta.

- Vieni, vieni. Ce stiamo tutti e due.

Simone prese una birra e ne porse un'altra a Manuel. Dopodiché si sedette accanto a lui.

- A che brindiamo?

Manuel esitò prima di rispondere.

- A te. Che te sei ripreso alla grande e domani torni a casa. Sei er numero uno, Simò !

Simone sorrise.

 

- Sai, ti ricordavo diverso...

- Ah sì?

- Sì.

Manuel era curioso.

- E come me ricordavi?

- Più stronzo. E invece... Anche Manuel Ferro ha dei sentimenti. Ed è pure un mammone, stando a quello che mi hai detto prima su tua madre e le vostre estati qui. Se lo dico in giro non mi crede nessuno.

- Ma vaffanculo, va !

I due si misero a ridere.

 

- Comunque... Mi piace molto.

- Lo so, è stupendo qui... E poi guarda quante stelle Simò !

- Anche, sì, il posto è bellissimo. Io però intendevo... Questa nuova versione di te. Mi piace... E pure parecchio.

Manuel sorrise imbarazzato: non era abituato ai complimenti, soprattutto se era Simone a farglieli.

"Anche tu mi piaci da morire, Simo" - pensò tra sé e sé.

 

Manuel prese un sacchetto di caramelle e lo porse a Simone. Sembrava un bambino felice.

- Hai pensato proprio a tutto, vedo.

- Te l'avevo detto io di fidarti. E non dirmi che avresti preferito restà in ospedale perché non ce credo.

- È vero, ho fatto bene a fidarmi, devo ammetterlo.

- Ecco, bravo. Ora statte un po' zitto: ascolta il mare.

Il rumore del mare, il ritmo dolce e rigenerante delle onde. Da quanto tempo non lo sentiva.

Manuel si sdraiò sulla coperta, subito seguito da Simone: le loro ginocchia si toccavano. Quel lieve contatto era più che sufficiente a farli sentire complici. Restarono in silenzio per diversi minuti: Manuel si accese una sigaretta.

- Manu...

- Eh? Che c'è Simò?

Manuel rispose con un po' troppa apprensione al mormorio di Simone.

- Non è che per caso hai portato un'altra coperta?

- Perché? C'hai freddo?

- Un po'...

- To', tiè questa.

Manuel si tolse la felpa e la porse a Simone, rimanendo in maglietta.

- Sei sicuro? Così poi hai freddo te !

- Non fa niente... E poi mica fa freddo, sei te che sei 'na mezza cartuccia.

Invece già tremava: nonostante fosse primavera, quella notte a Nettuno c'era un leggero venticello. Cercò di non farlo notare a Simone: l'importante era che lui stesse bene.

- Grazie...

Simone si tolse la giacca, indossò la felpa di Manuel e si rimise la giacca. Subito si rese conto che Manuel aveva i brividi: allora si fece coraggio e si girò verso di lui.

- Ascolta, non voglio che ti ammali per colpa mia... Vuoi venire qui?

- Dove?

- Qui... Più vicino a me. Così stiamo caldi entrambi.

Manuel rimase un attimo in silenzio.

- Va bene.

Si avvicinò a lui. Ora i loro corpi erano molto vicini: spalla contro spalla, il braccio dell'uno era disteso accanto quello dell'altro. Le loro mani si toccavano a loro volta. Simone si girò a guardare Manuel: si accorse che il ragazzo lo stava già guardando.

- Che guardi?

Simone era sicuro che Manuel gli avrebbe risposto con una battuta. E invece...

- Guardo te.

- E che pensi?

Manuel alzò gli occhi al cielo e fece un lungo sospiro.

- Che fai troppe domande. Ma anche che sono contento che sei vivo.

- Anche io sono contento di essere vivo.

Scoppiarono entrambi a ridere.

 

Simone si fece coraggio.

- Senti... Te la posso fare ancora qualche domanda?

- Se proprio devi...

Simone prese fiato.

- Laura mi ha detto che sono cambiato negli ultimi mesi. Che sono diverso da quando io e te siamo... Amici. Tu sapresti dirmi in che senso...?

- In effetti la tua amichetta non c'ha tutti i torti. Non sei più il perfettino tutto casa e scuola de prima.

- Ma sentilo. E come sarei ora?

- Molto più interessante. E tutto grazie a me.

- Definisci "interessante"...

- Nel senso che hai iniziato a vivere. A fa' un po' de cazzate.

- Del tipo?

- Tipo che hai fumato una canna. E te sei fatto fa' un tatuaggio da me.

- Ma allora è opera tua il capolavoro che c'ho sul braccio !

- Che fai, sfotti? Me l'hai chiesto te di scriverti quella robba.

- "Quella roba"?? Stai parlando della formula più importante della...

Manuel lo interruppe subito.

- Sì sì va bene Einstein, abbiamo capito. Non me ne frega niente della tua matematica.

- Stronzo... Di sicuro mi avrai fatto malissimo.

- Sei te che c'hai la soglia del dolore pari a zero. Piagnevi come un bambino.

- Sappi che il tuo essere maligno e perfido non mi tocca, i tuoi cattivi pensieri non possono intaccare una mente brillante come la mia...

Manuel si mise a ridere. Quanto era buffo.

- Ma te stai male sul serio, altro che trauma cranico...

Scoppiarono di nuovo a ridere entrambi.

 

- Vabbè dai, non è uscito poi così male alla fine... Poi? Che altre cazzate avrei fatto?

- Hai iniziato a prendere brutti voti a scuola e a rispondere male ai prof. Una volta hai risposto anche a Lombardi per difendermi: a momenti je veniva un coccolone... Poi hai rubato il suo compito di latino e me l'hai passato - anche se poi tuo padre l'ha scoperto, l'ha inviato alla classe e ha fatto un macello...

- Il solito stronzo pure lui eh, i cazzi suoi MAI...

- Non te permette de parlà male del mio prof preferito, aò !

- Aiuto. Pure te in fissa con la filosofia? È un incubo...

 

Manuel proseguì.

- Ma mica è finita qui...

- C'è altro? Che ho fatto poi? Ho rubato un motorino?

- A dir la verità una macchina...

- COSA???

- Hai capito bene. M'hai fatto da palo. A Simone Balestra ormai je fa 'n baffo la galera.

- Sfotti, sfotti pure... Non ci posso credere che l'ho fatto davvero.

- Hai pure rubato le chiavi della scuola a tuo padre per farci la festa tua de compleanno...

Manuel si rese immediatamente conto di aver fatto una cazzata a nominare la festa di Simone. Pregò che Simone non gli facesse domande su quella notte.

 

- Oddio... Certo che tu hai proprio una cattiva influenza su di me.

Simone si mise a ridere. Manuel invece era tesissimo.

- Ma almeno la festa è stata bella? Ne è valsa la pena o...?

A Manuel mancò il fiato. Avrebbe dovuto dirgli tutta la verità?

 

- Ecco, a proposito della festa... È successa una cosa quella sera.

- Che cosa? Ho fatto altre cazzate?

Manuel si immobilizzò. Gli mancava il fiato. Simone se ne accorse, perciò si girò sul fianco in direzione del ragazzo.

- Allora?? Che è successo alla festa??

- ... Giulio.

- Giulio? Che ha combinato?

- Ha bevuto troppo ed è finito all'ospedale.

- Pure lui?? Mamma mia, che classe di sfigati che siamo !

 

Simone non poteva immaginare il caos che regnava in quel momento nella testa di Manuel. Aveva appena avuto l'occasione perfetta per parlare di quella notte: ce l'aveva quasi fatta, era ad un passo dal dirgli tutto, ma alla fine... Gli era mancato il coraggio. Come sempre. Si odiò per la sua vigliaccheria.

 

Si voltò a guardare Simone.

- Senti, io vado a fare quattro passi qui vicino, va bene? Così me sgranchisco un po' le gambe.

- Va bene, vai pure. Io rimango qui che sono un po' stanco...

- Arrivo tra qualche minuto, non te move.

Manuel si alzò e diede le spalle a Simone, che era rimasto alquanto confuso dall'improvviso sbalzo d'umore del ragazzo. Iniziò a camminare, allontanandosi da lui. Aveva bisogno di respirare, di stare un po' da solo.




 

Tornò una ventina di minuti dopo. Quando si avvicinò a Simone, notò che era girato su un fianco. Dormiva, o almeno così sembrava, a giudicare dal suo respiro regolare. Manuel si sedette accanto a lui, attento a non svegliarlo.

Mentre dormiva Simone sembrava così piccolo e indifeso... I suoi muscoli erano rilassati, i capelli ricci gli cadevano con delicatezza sulla fronte. Era una visione dolcissima. Manuel pensò che avrebbe voluto svegliarlo e fare l'amore con lui per tutta la notte: in silenzio, prima con foga, poi con calma e tenerezza.

- Mannaggia a te, Simo, che cosa me fai pensà...

Lo disse sottovoce, convinto che Simone non lo stesse ascoltando. Poi, mosso da tenerezza, si avvicinò lentamente a lui e gli diede un brevissimo bacio sulle labbra, appena percettibile.

 

- Buonanotte Simò...

Poi si girò sul fianco, dandogli le spalle. Prese il cellulare: erano le 3 di notte. Mise la sveglia alle 4.30: avrebbero dovuto svegliarsi prestissimo per poter essere di ritorno all'ospedale in tempo. Dopodiché, si addormentò.




 

Simone aprì gli occhi. Non stava affatto dormendo. Ed ora non sarebbe di sicuro riuscito a prendere sonno, dopo quello che Manuel aveva appena fatto. Manuel lo aveva baciato.

Manuel.

Lo.

Aveva.

Baciato.

Doveva essere impazzito.

Che cosa era successo?? Stava sognando??? Forse la birra gli aveva dato alla testa: non era più abituato a bere.

Eppure era sicuro di essere sveglio. Era successo davvero.

Non capiva più nulla. Decise di rimandare le riflessioni al giorno seguente: in quel momento era troppo felice per pensare. Si addormentò circa un'ora dopo, con il sorriso sulle labbra.




 

Manuel aprì gli occhi: la luce del sole lo abbagliò immediatamente. Si guardò intorno per capire dove si trovasse: la vista di Torre Astura lo fece subito tornare in sè. Ancora frastornato, prese il cellulare: erano le 7.43. Trovò 30 chiamate perse di Anita e 26 di Dante.

Cazzo. Non aveva sentito la sveglia.

Lui e Simone erano in guai seri.

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