After the end

di _ki_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

 

Hermione inspirò. Quello che le venne fuori fu un sospiro frammentato dal dolore.

«Forza amore, tra poco sarà tutto finito» le sussurrò Fred ad un orecchio. La donna annuì e strinse la mano al marito. Subito un dolore allucinante al ventre la fece urlare. E a quello seguirono una serie di fitte che a lei parvero infinite. Ma, dopo un tempo imprecisato, finalmente il dolore sparì. Fred sorrise a sua moglie e le accarezzò una guancia.

«Sei stata bravissima» le disse, prima di alzare il busto e voltarsi verso Luna.

«Allora?» chiese con la voce incrinata dall’emozione. Luna sorrise con il suo sguardo vacuo e gli passò un fagotto di stoffa rosa confetto.

Fred guardò dentro alle coperte con il sorriso che si allargava di secondo in secondo, poi si voltò di nuovo verso Hermione, distesa sul divano del salotto e madida di sudore.

Fred le scostò alcuni ricci dal viso e sorrise ancora.

«È una femmina» e quelle parole bastarono ad Hermione, che a sua volta sorrise e cadde in un sonno profondo, sfinita dal suo primo parto.

 

*

 

Luna si buttò di peso sul letto e sospirò profondamente. George le sorrise e le strinse la vita con un braccio.

«È nata» sospirò la ragazza, scoccando un bacio a fior di labbra a George. Questi sorrise radioso.

«Femmina?» chiese.

«Sì, e anche parecchio silenziosa. Mi sorprendo, con un padre come Fred».

George inarco un sopracciglio.

«Quindi secondo te quando noi avremmo un figlio sarà pestifero come ero io?»

«Oh, no» lo rassicurò Luna, un sorrisetto strano dipinto in volto. «Sarà come sei tu» e rise. Geroge si unì alla risata e la baciò ancora. Luna rispose con dolcezza, ma poco dopo si staccò per sussurrare: «Sarà un bellissimo maschietto pestifero» e rise ancora, accompagnata dal ragazzo. Geroge le credette, perché quando Luna diceva una cosa era sempre quella, non cambiava mai.

Così, con un colpo di bacchetta, Geroge insonorizzò la stanza e si portò Luna sopra di sé. In poco tempo si ritrovarono ancora una volta a fare l’amore.

 

*

 

La mattina a Villa Fatata spuntò imprevista come sempre e accolse gli abitanti della casa impreparati.

Hermione mugolò infastidita dalla luce che filtrava dalle finestre della sua camera. Aprì un occhio assonnato e si guardò intorno. L’ultima cosa che ricordava del giorno precedente era di aver partorito una bambina sul divano del salotto e aver chiuso gli occhi lì. Constatò, dalle coperte che le coprivano il busto e le tende chiuse, che Fred l’aveva portata fin in camera loro.

Si alzò a sedere con lentezza e fissò il lato del letto accanto a lei. Notò con fastidio che non c’era suo marito a dormire con la sua faccia da angelo. Quando, però, sentì un altro respiro nella camera che non asomigliava a quello di Fred, incominciò a preoccuparsi. Che fossero arrivati i Mangiamorte e l’avessero fatta prigioniera? Si guardò intorno socchiudendo gli occhi, ma le tende pesanti che coprivano le finestre facevano filtrare solo un filo di luce (che, quasi a farlo apposta, arrivava sul cuscino della ragazza, facendola svegliare tutte le mattine) e più in là del letto non si distingueva nulla. Hermione cercò a tentoni il comodino e scoprì con sollievo che la bacchetta era ancora lì.

‘Forse aspettavano che mi svegliassi per farmi vedere i miei famigliari morti’ pensò la ragazza con un brivido che le percorreva la schiena solo ad immaginare il corpo di Fred cosparso di sangue e in fin di vita.

Scacciò quel pensiero lugubre e si tolse con lentezza le coperte di dosso. Cercò di scendere dal letto senza alcun scricchiolio delle molle e, forse un po’ di fortuna albergava anche in lei, riuscì a non fare in benché minimo rumore. Posò i piedi scalzi sul freddo pavimento di marmo e si issò in piedi con una piccola protesta delle gambe indolenzite. Strinse la bacchetta con forza e mosse qualche passo verso il respiro che ancora sentiva forte e chiaro. Uscì dal piccolo cerchio di luce e penetrò il buio. Non osò farsi luce con la bacchetta per paura di rovinare l’effetto sorpresa.

Il rumore si fece sempre più vicino e Hermione sentì distintamente i battiti del suo cuore aumentare a dismisura. Imprecò mentalmente, pensando che forse il rumore del suo cuore, in quel silenzio di tomba, si sarebbe sentito distintamente e avrebbe rovinato tutto.

Poi, quando era sicura di essere ad un solo passo dal Mangiamorte, sentì il fruscio di un corpo che sfiorava qualcosa di sottile e delicato, come una coperta, e aggrottò la fronte: che il Mangiamorte, stanco di aspettare il suo risveglio, si fosse addormentato a sua volta?

Sorrise quasi inconsciamente: ormai di Mangiamorte rimbambiti ce n’erano a bizzeffe.

Avanzò di mezzo passo e si fermò. Come poteva colpire qualcuno al buio? Avrebbe dovuto farsi un po’ di luce, ma così facendo avrebbe dato al Mangiamorte la possibilità di svegliarsi e magari di respingere il suo attacco. Cosa poteva fare?

Era ancora immersa nelle sue strategie di attacco quando un altro rumore la fece sobbalzare: il mugolio di un bambino. Il chiaro, limpido rumore di un bambino che sta per svegliarsi.

«Lumos» sussurrò, e la luce chiara della bacchetta illuminò la stanza. Hermione imprecò sotto voce: davanti a lei, a mezzo passo dal suo corpo, due splendidi occhi color del cioccolato al latte la guardavano con un misto di curiosità e timore.

La ragazza sorrise lievemente. Aveva gli stessi occhi del padre. Dalla testa, invece, spuntava qualche boccolo disordinato di un castano chiaro.

‘I miei stessi capelli’ pensò mentre il sorriso si allargava ancora. La bambina, con le sue labbra fini, sorrise a sua volta, facendo così creare sulle guanciotte paffute due perfette fossette.

Hermione si voltò un attimo e con un colpo di bacchetta aprì le tende della stanza. La luce dell’alba le inondò il viso e si sparse per tutta la camera da letto. Poté così vedere la culla di legno chiaro in cui aveva dormito la sua piccola bambina, proprio a pochi passi dal letto dei genitori.

Si infilò la bacchetta nella tasca della vestaglia da notte e allungò le braccia verso la piccola, come chiedendo il permesso di prenderla in braccio. Aveva già avuto esperienza con Teddy Lupin su come comportarsi con i bambini, ma con quel piccolo angelo che era suo, solo suo, non era molto sicura di poter fare come con il piccolo Teddy.

La bambina allungò le braccine a sua volta e Hermione la prese tra le sue. Era così leggera che la ragazza pensò avesse qualcosa che non andava. Durante la gravidanza non aveva mangiato abbastanza per tutte e due? Aveva fatto qualcosa che non andava bene? Qualcosa era andato storto durante il parto?

Poi la bambina allungò una mano e le toccò il viso e allora lei lasciò perdere quei pensieri inutili. Piegò un po’ il viso verso la mano e chiuse gli occhi per assaporare quel momento magnificò.

«Rose» sussurrò, quasi a sé stessa. Sua figlia mosse appena la manina, come a far capire che le piaceva quel nome.

Poi un pensiero le colpì la mente e per poco le ginocchia non cedettero sotto il suo peso. Posò la bambina di nuovo nella culla un attimo prima di cadere a terra con un tonfo poco rassicurante.

 

«Quando avrai un bambino...» borbottò un ragazzo dai capelli neri perennemente scompigliati e lo sguardo verde smeraldo. Hermione lo guardò con un sorrisetto.

«Se avrò un bambino» lo corresse volgendo lo sguardo lontano dal viso dell’amico. Harry rise.

«Ok, se avrai un bambino» concesse con un sorriso. Hermione non poté fare a meno di volgere di nuovo lo sguardo verso di lui e sorridere a sua volta. «Comunque, se avrai un bambino... come lo chiamerai?»

Hermione aggrottò la fronte.

«Ma che domande sono queste?» chiese, le guance improvvisamente arrossate. Harry alzò le spalle.

«Era una domanda. Io lo chiamerò James. E invece, se è una femmina, Lily» disse, come stesse parlando delle previsioni del tempo. Hermione, però, brava osservatrice com’era, notò il suo pur lieve rossore a pronunciare quelle parole. Allora sorrise.

«Mio figlio si chiamerà Harry» disse con decisione. Il ragazzo alzò lo sguardo verso di lei e, dopo uno sguardo un po’ spaesato, sorrise, e stava per parlare, quando Hermione lo interruppe.

«Niente ringraziamenti, non servono. Allora, un maschio lo chiamerò Harry. Se sarà una femmina, invece -e sarà una femmina-, la chiamerò Rose» e non aggiunse altro, guardando non più in viso l’amico, ma un punto imprecisato dietro di lui.

«Rose?» chiese Harry, curioso. Hermione diventò un po’ più rossa.

«Come la protagonista del Titanic, non so se lo conosci. È un film Babbano. Beh, io l’ho visto. Mia figlia si chiamerà come Rose» e poi incominciò a camminare, decretando chiusa quella discussione. Però dentro di sé, sorrideva sollevata: lei sperava, in cuor suo, fossero due gemellini. I gemelli Harry e Rose.

 

Un singhiozzo le scosse il petto. Si portò una mano alla bocca per soffocare il rumore e chiude gli occhi. Una lacrima le rigò il viso.

Era impossibile, ora che anche un solo ricordo di lui le aveva sfiorato la mente, impedire agli altri di riaffiorare con una prepotenza inaudita. E così si sedette con le gambe strette in vita, il viso affondato nelle braccia e le lacrime che scendevano copiose.

 

«No!» urlò Hermione con quanto fiato aveva in gola. Fred la strinse a sé.

«Lasciami! No, Harry no...» urlò, cercando di divincolarsi dalla presa del ragazzo. Questi, però, non le lasciò via d’uscita. Ancora urlava, ma pian piano la sua voce si affievolì fino a diventare un sussurro.

«Harry... Harry...» ripeteva, come una nenia straziante.

Singhiozzi le scuotevano il corpo e lacrime ghiacciate le attraversavano il viso.

Ron, accanto a lei, era trattenuto da Geroge e Bill. Come lei, aveva le lacrime agli occhi e, come lei, si era arreso alla presa dei fratelli.

«Il Bambino-Che-È-Sopravvissuto ormai è morto, arrendetevi tutti al vostro nuovo Signore e nessuno si farà male» la voce risuonò tra i presenti con una strana nota compiaciuta. Hermione urlò un insulto che fu soffocato alla mano di Fred. Altre lacrime caddero a terra.

«Stai ferma Hermione. Ti prego, non fare nulla» le sussurrò il ragazzo con il respiro frammentato dai singhiozzi che avevano incominciato a scuoterlo.

«Ti prego Fred. Ti prego...»

«Bastardo!» urlò una voce alle spalle dei due. Hermione non poté girarsi, ma pochi attimi dopo davanti a lei correva Neville Paciock, la bacchetta stretta in pugno e il viso contratto dalla determinazione.

Una maledizione lo colpì in mezzo al petto e lo fece volare indietro. Cadde a terra contorcendosi dal dolore, ma neanche un gemito uscì dalle sue labbra serrate.

«Bada a come parli, feccia!» strillò Bellatrix Lestrange con un sorriso sadico. Il suo Signore la fece smettere alzando una mano biancastra.

Neville emise un lungo sospiro e provò a rialzarsi in piedi. Questa volta fu Lord Voldemort ad attaccare e lo rifece cadere a terra con una ferita al braccio destro.

Qualcuno urlò. Qualcun altro alzò la bacchetta per difenderlo, ma altre maledizioni colpirono i presenti e alcuni caddero a terra urlando di dolore. Quelli che prima avevano le bacchette levate, ora, alla vista dei conoscenti che urlavano, abbassarono le armi con gli sguardi vacui.

«Harry...» ripeté un ultima volta Hermione, poi Lord Voldemort prese il controllo di tutti quanti.

 

Hermione singhiozzava ininterrottamente, ora, e la mano che le copriva la bocca non bastava a smorzare il rumore. Rose emise un versetto che Hermione non comprese.

Poi, ad un tratto, la porta si aprì a sbatté con forza all’indietro, rivelando la figura trafelata di Fred. Hermione si voltò di scatto e lo guardò negli occhi.

L’espressione prima dura di Fred, alla vista della moglie in lacrime, si addolcì di un po’. Si avvicinò lentamente e si accovacciò accanto a lei.

«Ricordi?» sussurrò scostandole un ciuffo dal viso. Hermione, incapace di proferir parola, annuì soltanto. Fred sorrise appena, poi la sua espressione si indurì nuovamente.

«Prendi la bambina amore, svelta. Stanno arrivando» disse a voce un poco più alta, alzandosi in piedi e lanciando uno sguardo d’amore verso la culla. Rose sorrise e allungò le braccia, ma a prenderla in braccio venne Hermione, non il padre, che stava già avviandosi verso la porta.

«Fred» lo fermò Hermione, muovendo un passo verso di lui. Il ragazzo si voltò.

«Ti amo» sussurrò Hermione asciugandosi il viso. Fred sorrise.

«Anche io vi amo» lanciò un ultimo sguardo alla figlia, poi alla moglie ed infine uscì.

Rose volse lo sguardo curioso verso la madre e la trovò di nuovo con le lacrime agli occhi.

«Mangiamorte...»


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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

 

«Scappa Ginny!»

«No! Non ti lascio qui!»

«Crucio!»

«No!»

«Ginny vieni via!»

«no! Draco! Draco, no!»

Delle braccia robuste presero Ginny per la vita e la strinsero forte mentre i colori della battaglia si confondevano e Ginny veniva catapultata a terra. Notò che non era più sul marmo di casa, non era a Villa Fatata. Si erano smaterializzati.

«Draco... Draco...» singhiozzò la ragazza. Una mano le si posò sulla spalla, ma lei la respinse con forza.

«Ginny, Draco...»

«No!» urlò la ragazza, con quanto fiato aveva in gola. «Sta’ zitto! Non ti voglio sentire! sparisci, va’ via! L’hai abbandonato! L’hai...» e riprese a singhiozzare. Blaise Zabini la strinse a sé.

«Ti odio, Zabini» borbottò la ragazza, non cercando comunque di sottrarsi a quell’abbraccio di cui aveva un estremo bisogno.

«Saprà cavarsela. Ci sono i tuoi fratelli con lui. Tu non devi assolutamente scontrarti con qualcuno».

Ora Ginny se lo scostò di dosso.

«Sta’ zitto Zabini. Tu non capisci niente» sibilò guardandolo negli occhi. Blaise sorrise.

«Quando tutto sarà finito mi ringrazierai».

La ragazza emise uno sbuffo.

«Tutto questo non finirà mai, Balise, mettitelo bene in testa. Anche tu, come Draco, verrai cercato e i tuoi genitori ti infliggeranno la giusta punizione. Moriremo tutti, prima o poi».

Blaise sentì un blocco allo stomaco che gli fece volgere lo sguardo lontano dal viso infuriato della ragazza. Lui sapeva, sapeva che non sarebbe finito molto presto tutto questo. Sapeva che sarebbe morto, che i suoi genitori lo consideravano feccia che andava eliminata e presto così avrebbero fatto. Sapeva che lui non aveva speranze. Ma loro sì. Loro avrebbero custodito i loro figli, li avrebbero cresciuti come si deve e avrebbero posto la parola fine sulla terribile guerra che li aveva travolti. Loro meritavano di vivere. Per questo aveva portato Ginny lontano da casa.

Ginny si accorse dell’improvvisa tristezza dell’amico.

«Oh Merlino. Scusa! Scusa Blaise! Non volevo... io... intendevo... Oh scusa...» e riprese a singhiozzare.

«Non ti scusare Ginny. Hai detto quello che pensavi. Hai solo messo a parole quello che penso da tempo» la rassicurò Blaise accarezzandole i capelli con gentilezza.

Quei capelli che avrebbe accarezzato tutti i giorni.

Scostò la mano bruscamente e se la infilò in tasca, quindi si alzò e sfoderò la bacchetta.

«Dove mi hai portata?» chiese Ginny alzandosi a sua volta, non accortasi di quel movimento brusco.

«Dove i tuoi fratelli mi hanno detto di portati. Quelli che... beh, verranno qua» distolse lo sguardo dal viso di nuovo rigato di lacrime della ragazza e si guardò intorno. Era una pianura. Ai suoi lati, due colline. Una di quelle colline era stata la casa di Luna Lovegood. Ora era solo terra piena di detriti.

«Siamo» Ginny deglutì. «Siamo vicino a casa mia» un sussurro, niente di più, che la fece piangere ancora. Ricordava la Tana, quel giorno di molti anni prima, assediata dai Magiamorte, incendiata con il corpo di suo fratello Percy dentro, che aveva dato l’allarme a tutti sull’arrivo del nemico.

Cadde di nuovo a terra e si prese il viso fra le mani. Blaise, questa volta, preferì restare in piedi e lasciarla ai suoi ricordi.

Ginny aveva ormai smesso di singhiozzare da tempo, e ora solo le lacrime rigavano il volto della ragazza, quando un forte pop la distrasse dal suo dolore.

Erano a pochi metri da loro. Ginny balzò in piedi con una rapidità sorprendente ed incominciò a correre. Anche Blaise, accortosi dello slancio della ragazza, voltò il capo verso il gruppo di persone ed incominciò ad avvicinarsi, il passo spedito ed un sorriso un po’ tremolante in volto.

Ginny si fermò a pochi passi dal gruppo. Guardò i suoi familiari.

Remus era davanti. Reggeva a fatica Dora, che aveva un grosso taglio in fronte, e teneva per mano il piccolo Teddy, che si reggeva il braccio con una smorfietta di dolore, ma per il resto erano tutti e tre salvi.

Affianco a Dora Ron respirava a fatica. Aveva del sangue incrostato sui capelli e un occhio gonfio.

Poi veniva Neville, che teneva per mano Nives. Dietro i loro s’intravvedevano George e Luna, stanchi ma illesi. Bill e Fleur erano accanto a loro. Fleur si teneva il grembo con una smorfia.

Lavanda, dopo essersi fermata, cadde a terra con un sospiro e restò lì.

Fred era dietro di tutti. Reggeva la neonata in una mano e con l’altra teneva ancora salda la bacchetta, guardandosi intorno furtivo.

Balise si affiancò a Ginny, il sorriso che scompariva piano dal volto.

«Do... dove sono Hermione e Draco?» chiese. Ginny trattenne il fiato. Remus abbassò lo sguardo, scuotendo il capo, così come fecero quasi tutti. Fred guardò Ginny in viso, così lei poté accorgersi che aveva gli occhi lucidi.

Sentì i singhiozzi salirle in gola. Scosse il capo con furia e chiuse gli occhi: meno guardava meno male stava.

Blaise sentì le lacrime pungergli gli angoli degli occhi. Ma non le lasciò uscire. Si voltò, in modo che i presenti non lo vedessero, e abbassò le spalle, sconfortato. Il suo miglior amico non ce l’aveva fatta.

«Hanno dato fuoco alla casa. Ancora» disse Remus, la voce roca. Ginny scosse di nuovo il capo. Non voleva sentire nient’altro. «Non siamo sicuri che li abbiano uccisi».

«E cosa credi che ne abbiano fatto? Li hanno portati con loro per offrirgli un banchetto e trattarli come vecchi amici?» esclamò Blaise, ancora girato di spalle. Remus scrollò le spalle.

«Potrebbero averli imprigionati per costringerli a dir loro dove siamo» fu la sua semplice risposta, quindi si voltò verso Teddy, lo prese in braccio e portò Dora a sedersi accanto ad un albero solitario. Ron si avvicinò timidamente a Lavanda e si accovacciò, prendendole il viso tra le mani per sollevarlo. Questa scostò in malo modo le mani e si inginocchiò con una smorfia di dolore. Ron vide così il sangue che le impregnava la veste da notte.

Cercò di parlare, ma la ragazza fu più veloce.

«Ce l’avevi ad un passo. Era ancora lì, distesa. Potevi prenderla. Perché non l’hai fatto?» aveva sussurrato così piano che nessuno, apparte Ron, poté sentirla. Questi si sentì sprofondare in un baratro oscuro, ma non rispose.

«Non l’hai dimenticata, vero? Volevi farle un torto? Volevi fare un torto a tuo fratello? Sei uno stupido, Ronald Weasley» e detto ciò si mise in piedi, pur a fatica, da sola e si avvicinò con passo traballante all’albero dov’era appoggiata Dora e dove si stavano riunendo tutti. Luna le andò accanto e la sorresse con il corpo minuto.

Bill fece sedere con molta lentezza la moglie e le scostò i capelli dal viso, sorridendole con quanta convinzione poteva. Questa ricambiò con dolore il sorriso e si strinse la mano di Bill sul viso con tristezza.

Blaise si voltò e trovò ancora Ginny davanti a lui, le mani in volto e il petto che si alzava e abbassava a ritmo irregolare. Le toccò un braccio con gentilezza e le scostò i capelli dal viso. Ginny abbassò le mani e lo guardò negli occhi. Leggeva in quelle pozze azzurre lo stesso dolore che provava lei. Così, senza pensarci, gli buttò le braccia al collo e lo strinse in un abbraccio, che il ragazzo restituì un po’ titubante.

Ron rimase a terra. Delle gocce caddero sul suolo erboso e presto diventarono molto frequenti. Il gruppo alzò lo sguardo verso il cielo come un unico elemento e i nuvoloni grigi che si presentarono agli occhi dei presenti li fecero rattristare ancor di più. Anche il cielo sapeva di aver perso due delle poche persone che ancora si opponevano a Lord Voldemort.

 

*

 

Hermione venne spinta in malo modo dentro una cella e dietro di lei la serratura venne fatta scattare. Qualcuno rise e Hermione si sentì mancare.

«Non avrete mai nulla da me!» urlò quasi senza rendersene conto. Ancora una risata, poi il nulla.

La ragazza di mise seduta e cercò di scrutare il buio attorno a lei. Ma non vedeva più in là della sua mano.

Non ricordava precisamente com’era finita in quel luogo, di qualunque luogo si trattasse. Ricordava Villa Fatata, quella sì, ricordava Fred che l’avvisava dell’arrivo dei Mangiamorte, lei che prendeva Rose e scendeva di sotto per andar via. Ricordava di essere entrata in cucina, poi tutto si era fatto confuso. Qualcuno le aveva lanciato una maledizione e lei l’aveva schivata solo per un soffio. Poi però qualcosa doveva averla colpita, perché si ricordava di esser caduta a terra ed essersi svegliata solo quando l’avevano spinta nella cella. Constatò con un rapido esame di aver preso una botta in testa e una storta alla caviglia, perché le doleva al minimo movimento. Si toccò i capelli in cerca di tracce di sangue, ma con suo enorme sollievo non aveva ferite sul capo, solo un livido che al minimo tocco protestava vivacemente.

Cercò di prendere un respiro profondo, ma quello che venne fuori fu l’ennesimo sospiro frammentato dai singhiozzi che premevano di uscire.

Pensò ai suoi genitori, che non vedeva ormai più da anni, alla sua nuova famiglia, che aveva appena perso. Pensò a Fred, che sicuramente in quel momento non sapeva che pesci prendere, pensò alla sua piccola Rose. E pianse. Le lacrime le sgorgarono dagli occhi prima che potesse anche solo pensare di fermarle, e così le lasciò fare. Lasciò che quelle gocce calde le attraversassero il viso con gentilezza e cadessero sul suolo sudicio della cella. Si sfogò, piangendo tutte le lacrime che possedeva, singhiozzando fino a sentir male al petto, sussurrando ogni tanto i nomi dei suoi amati.

Dovevano essere passate ore, ormai (non che ne fosse sicura, non si capiva molto in quella cella lontana dal mondo), quando finalmente le lacrime incominciarono ad esaurirsi e i singhiozzi divennero semplici respiri irregolari. E fu in quel momento, mentre la razionalità si faceva largo a spintoni decisi tra la disperazione che l’attanagliava, che la porta della cella fu aperta.

Un cigolio di ferro disperato accolse l’entrata in scena di qualcuno che non riusciva a vedere. L’improvvisa luce che illuminò la cella le fece dischiudere gli occhi, infastidita.

«Alzati. Forza, ora. C’è qualcuno che vuole vederti» disse una voce strascicata che fu impossibile da riconoscere. Forse poteva sbagliarsi, ma le sembro, mentre mani rudi le afferravano un braccio e la strattonavano in malo modo in piedi, che quella voce avesse un che di disgustoso. Come di... fogna.

Una fitta allucinante alla caviglia la fece urlare di dolore, ma l’uomo che le teneva ancora saldo il braccio non accennò a fermarsi. Si chiuse la porta della cella alle spalle e prese a camminare con una certa fretta, facendo così venir fuori il lato rude di Hermione, che incominciò a insultarlo con tutti gli epiteti disgustosi che aveva imparato nel corso della sua breve vita. L’uomo, comunque, che ora alla luce Hermione poteva vedere un pelo meglio, non accennò ad averla sentita e tirò dritto, svoltando per tanti di quei passaggi che Hermione presto perse il poco orientamento che aveva cercato di mantenere.

Come aveva immaginato solo a sentir la voce, l’uomo a lei davanti aveva un aspetto piuttosto ripugnante. Aveva lunghi capelli neri tendenti al grigio sporco, impiastricciati da macchie poco rassicuranti di rosso bordò e a volte anche verde. Gli occhi giallognoli erano iniettati di sangue e il viso, che un tempo doveva essere stato almeno chiaro e pulito, era cosparso da polvere nera che gli dava un aspetto alquanto pipistrellesco. Era un po’ gobbo, più basso di lei, e con almeno una ventina di chili in più di quanti se ne poteva permettere. Indossava abiti logori e sporchi come il suo viso, ed Hermione notò le dita con le unghie nere e gialle delle mani che la fecero rabbrividire: abituata almeno a quel poco di pulizia che era il decente, vedere quell’essere ripugnante che le stringeva un braccio con le mani sudice e incrostate dello sporco più ripugnante del mondo non era proprio rassicurante.

Rimasero in silenzio a lungo, Hermione intenta a non pensare a ciò che la stava toccando, l’uomo concentrato sulla strada da prendere per far perdere l’orientamento alla ragazza (o almeno così lei pensava, perché non riusciva a spiegare in altro modo le continue deviazioni e le immersioni in cunicoli bui come una notte senza stelle, luna e città luminose nei paraggi).

Aveva ormai calcolato che altri due metri e sarebbe crollata a terra svenuta per il male alla caviglia, quando l’uomo si fermò davanti ad una porta completamente indistinguibile dalle mura scure e incrostate di sporco.

‘Certo che si trattano bene in questo luogo’ pensò la ragazza contemplando l’unto che poteva vedere dappertutto. Ormai sospettava che, stando in quel posto, si stesse contaminando anche lei di tutta quella sporcizia.

«Ti conviene badare a quello che dici, ragazza, o non uscirai viva da questa stanza» borbottò l’uomo con un ghigno sadico, prima di infilarla oltre alla porta a forza, facendole urlare l’ennesimo insulto. Cadde in ginocchia con pateticità e non si alzò per un periodo di tempo che le parve infinito. Tutti i muscoli della gamba destra pulsavano così forte che sembrava andasse a fuoco l’arto. Il viso volto verso terra, aspettò la sua fine che sarebbe arrivata molto presto (sperava). Poi, dopo attimi interminabili di silenzio, constatò più saggiamente che molto probabilmente prima l’avrebbero torturata per estorcerle informazioni preziose sui superstiti con cui viaggiava, quindi forse l’avrebbero lasciata a marcire lentamente nella sua cella, divorata dai topi e sommersa da scarafaggi intenti ad avventurarsi nella sua bocca e su per il suo naso. Un rivolo gelato le attraversò la spina dorsale per tutta la sua lunghezza, quindi decise che forse alzare lo sguardo non le avrebbe procurato molto dolore in più di quello che già le torturava gli arti e si espandeva in tutto il corpo come formiche lavoratrici nel loro giorno di festa intente a procurarsi più cibo possibile.

Alzo molto lentamente (molto probabilmente il bradipo più pigro del mondo sarebbe stato cento volte più veloce di lei) il capo e guardò fisso un punto davanti a sé. Non vedeva molto così, in realtà. Davanti a lei c’era una scrivania di legno scuro da cui spuntavano un paio di gambe snelle fasciate da un abito scuro.

Il silenzio regnava sovrano nella stanza che (Hermione lo constatò quasi con un sospiro) era molto più pulita dei posti che aveva “visitato” negli ultimi venti minuti. Rimase alcuni attimi a contemplare quel poco che riusciva a vedere della persona che le stava di fronte, intimorita da quello che sarebbe successo di lì a poco.

‘Potrà sembrare stupido, adesso, ma non ci tengo a marcire con degli scarafaggi in bocca’ pensò, rabbrividendo solo all’idea.

‘Certo, però, resto ancora un altro po’ qui in silenzio e finisco con l’addormentarmi...’

«Non vi dirò niente» fu la prima cosa che le venne in mente di dire mentre cercava (invano) di alzarsi in piedi. Una fitta prepotente alla caviglia la fece gemere contrariata. Odiava farsi male.

Qualcuno rise. Era una risata che le accendeva un campanello di allarme nella mente. Non che fosse maligna, tipo quella di Bellatrix Lestrange, anzi, era un po’ derisoria, forse, ma sincera e stranamente gentile. Era più il fatto che le sembrava in qualche modo familiare, come qualcosa che non si sente da tempo e fa fatica a tornar in mente appena lo si risente. Come se quella risata l’avesse accompagnata per la sua vita con dolcezza, fosse stata presente nei suoi momenti migliori e peggiori. Come se Hermione conoscesse quella persona che rideva.

‘Maledetta caviglia’ si ritrovò a pensare la ragazza. Aveva una tremenda voglia di guardare la persona che le stava davanti negli occhi, non fissare le sue gambe.

«Dovrete uccidermi» mormorò ancora la ragazza, con più sicurezza di quanta ne avesse in corpo.

«Prendi tempo» le diceva sempre Fred quando i loro discorsi viravano verso una sua presunta cattura. «Cerca di farli parlare. Più parlano più si distraggono. Devi sembrare decisa, sicura di quello che fai, anche se dentro sei disperata e non trovi via di fuga. Questo li farà pensare in una tua arma segreta, un modo per sfuggirgli. E più parli, più loro si dimenticano quello che stavano facendo. Devi distrarli a parole. Combattere non serve in questi casi, non quando sei probabilmente senza bacchetta e sfinita dopo uno scontro».

«Non mi prenderanno mai» ribatteva con fermezza Hermione, sorridendo al ragazzo. «Non finché ci sei tu con me. Nessuno ci deve separare».

In quel momento quelle due semplici frasi le sembravano le più stupide e infantili del mondo. Era stata catturata, era stata allontanata da Fred, da Rose, da tutti. Era tutto perduto. Sarebbe morta.

«Non ti preoccupare, questo non succederà» ribatté la persona, con una fermezza ed una calma invidiabile. Ed Hermione si sentì mancare. Non perché, oltre alla calma, c’era una gentilezza agghiacciante in quella voce. Non perché l’uomo si era alzato e si era parato davanti a lei con la bacchetta in mano. Non perché lei era disarmata, piena di ferite e prossima a morte certa. Ma perché quella voce era, presumibilmente, l’ultima che si era aspettata di sentire tra quelle che aveva immaginato mentre cercava una via di fuga. Perché la persona che aveva davanti era l’ultima che avrebbe voluto vedere in quel luogo. Perché quei capelli scuri, spettinati, gli occhi verde smeraldo, gli occhiali cerchiati di corno, il corpo minuto ma muscoloso, il sorriso beato stampato in volto, erano cose che non vedeva da anni e che mai avrebbe pensato di rivedere.

«Non è possibile» mormorò, mentre l’uomo si chinava su di lei e il sorriso si allargava di più. Hermione pensò che forse, in fin dei conti, ora poteva davvero dire di aver visto di tutto prima di morire.

 

 

Spazio ringraziamenti:

 

Ringrazio le gentili persone che hanno aggiunto questa storia tra le preferite:

1 - millyray
2 - yuukimy

 

Quelle -quella, a dir la verità- che l’ha aggiunta tra le seguite:

 

1 - emmetti

 

Le persone che leggono senza dar segni di vita ritracciabili e, infine, le dolcissime persone che si fermano anche per una recensione:

love luna: eccomi qua con il seguito ^_^ Sai, anche a me sono sempre piaciuti Fred e Hermione insieme, così anche come George e Luna! Spero questo capitolo ti piaccia come il precedente.. bacini ^_^

emmetti: assie assie per i complimenti... eccoti il seguito ^_^ allora.. com’è? Spero ti piaccia come l’inizio... beh, aspetto la tua recensione C= Bacini...

 

Bene... al prossimo capitolo. Spero (come sempre) che possa piacervi questo cap e che mi recensirete, anche solo per una critica su qualcosa che non va ^_^

Bacini a tutti quanti _ki_

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