Bougies

di Flitwick
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Vingt-Cinq ***
Capitolo 2: *** Trente-Cinq ***
Capitolo 3: *** Cinq ***
Capitolo 4: *** Quinze ***



Capitolo 1
*** Vingt-Cinq ***


 

  TW: leggere senza aspettative

 

 

Bougies

 

 

 

Come sempre, piccolo suggerimento musicale per voi qui.

 

 

 

 

 

La musica era talmente assordante che a malapena riusciva a sentire i suoi stessi pensieri. Era stata una pessima idea, ma ormai ci era dentro fino al collo e non poteva più svignarsela in alcun modo. L’origine di quel frastuono non poteva essere nessun altro se non quello scapestrato di Alain, tutto intento a ficcare il naso fra dischi e autoparlanti. Lascia fare a me, sarà una festa sobria e di classe! Stupida lei che ci aveva quasi creduto. Doveva accorgersene dal momento in cui insieme al necessario per la festa le bottiglie di alcool si erano moltiplicate misteriosamente insieme al numero degli stereo.

Non aveva mai amato festeggiare il suo compleanno, anzi, se avesse potuto, avrebbe saltato volentieri qualsiasi festeggiamento passando direttamente al ventisei dicembre senza troppi preamboli. Oscar non aveva mai amato stare al centro dell’attenzione e i sontuosi pranzi che suo padre organizzava con tutti i soci della sua azienda per celebrare il Natale e il suo piccolo erede la mettevano sempre in soggezione. Ore e ore di supplizi ricamate di domande di cortesia, brindisi di vini pregiati e regali costosi che non avrebbe mai utilizzato.

Eppure questa volta la situazione era ben diversa, perché non solo questa volta si era sottoposta alla tortura volontariamente, ma aveva permesso ad Alain e a tutta la sua strana combriccola di metterci le grinfie sopra. Quando André glielo aveva presentato doveva aspettarselo che quell’omone avrebbe portato solo guai.

Il grande salone di casa sua era addobbato dal sontuoso albero di Natale e dalle delicate decorazioni dorate. Il grande tavolo era stato apparecchiato e ricoperto di cibi di ogni tipo, dal dolce al salato. Quando aveva timidamente accennato che avrebbe voluto festeggiare i suoi venticinque anni, la nonna di André per poco non era svenuta dalla gioia.

“La mia bambina! La mia piccola compie ben venticinque anni!

“Quando li ho compiuti io a malapena mi hai cucinato una torta.”

“Fa silenzio, nipote screanzato!”

Era una novità che lei stessa chiedesse di festeggiare, e tutta la sua famiglia, ma anche i suoi amici si erano dati da fare per dare vita a quel grandissimo casino che si stava scatenando. André si era occupato di avvertire tutti e fare in modo di avere il miglior dj di tutta Parigi, o almeno così si considerava Alain. Rosalie in preda all’euforia, una volta ricevuta la notizia, l’aveva abbracciata con forza facendola arrossire per l’imbarazzo. Antoniette gioiosa che la sua amica finalmente festeggiasse qualcosa, le aveva donato un costosissimo abito disegnato da lei stessa che Oscar aveva guardato con enorme disappunto, ma che non poteva in alcun modo rifiutare.

La nonna lo aveva trovato immediatamente dopo che aveva tentato miseramente di nasconderlo e aveva dovuto cedere.

“È così che si veste una signorina!”

“Non riesco a respirare così!”

“Stai ferma! So io come vanno certe cose.”

E adesso si ritrovava imbalsamata in quell’abito celeste con cui a malapena riusciva a respirare.

Cercò di muoversi e scansare tutte le persone che ballavano, ben attenta a non colpire nessuno e a non farsi male.

“Wow, zia Oscar, questa festa è beeeellissima!”

Aveva esclamato Loulou, passandole vicino, mentre si scatenava sulla pista da ballo con la piccola Marie Thérèse.

Le aveva sorriso, per poi darsela a gambe non appena aveva notato una finestra aperta della stanza. Si moriva dal caldo e l’abito non le permetteva di respirare regolarmente.

Sgusciò via e appena l’aria fredda della notte la investì si sentì subito meglio. La temperatura era altissima dentro, non solo a causa della moltitudine di corpi danzanti, ma anche per i camini accesi e roventi che donavano un’atmosfera tipicamente natalizia.

Non aveva ancora nevicato quell’anno, l’inverno era appena iniziato, ma si prospettava pacifico e mite. Temperature gradevoli e piogge poco insistenti avevano accompagnato le sue giornate di lavoro in ufficio, eppure un poco ci sperava ancora, perché tutto sommato la neve le piaceva. Dava a tutto un colore magico e sereno. I giardini di palazzo De Jarjayes diventavano magnifici con quei tocchi di bianco, e non vedeva l’ora di poter ammirare quello spettacolo ancora una volta.

Scosse la testa con un leggero sorriso, pensando che dopo questa festa ne avrebbe avuto abbastanza fino alla morte. Il karaoke l’aveva traumatizzata a sufficienza. Sentì dei brividi lungo la schiena, a quanto pareva il calore in eccesso della sala la stava abbandonando definitivamente, ma piuttosto che rientrare e sorbirsi l’ennesima canzone discutibile cantata da Alain e Bernard avrebbe patito il gelo.

Improvvisamente qualcosa di caldo le toccò le spalle, facendola sobbalzare dalla sorpresa. Si voltò allarmata, ma chi le si parò davanti la fece tranquillizzare.

André.

“Così ti raffredderai.” Le porse gentilmente una giacca che molto probabilmente doveva appartenergli. Per l’occasione aveva tirato fuori la sua camicia migliore, di un bel blu notte. Gli occhiali argentati brillavano alla luce della luna, facendo un bel contrasto coi capelli corvini. Non appena Alain lo aveva visto una risata fragorosa gli era partita con annesso un ora sei ufficialmente un secchione quattrocchi. A cui André aveva risposto con un pugno sulla testa del malcapitato. Nonostante tutto, Oscar trovava che si adattassero bene al suo viso, anche se effettivamente lo rendevano ancora più secchione di quanto non fosse già nel laboratorio di ricerca per cui lavorava.

“Grazie André.”

Prese la giacca infilandosela velocemente e avvertendo immediatamente il tepore avvolgerla. Doveva averla tenuta addosso fino a poco prima per avere ancora addosso il suo odore. Lo vide sorriderle gentilmente mentre si appoggiava al balcone vicino a lei.

Erano cresciuti insieme in quella casa, quindi non la stupiva che quella fosse un poco anche casa sua. Anche se sul campanello figurava un altro cognome e se alle feste spesso faceva da cameriere anziché da invitato, ma questa volta era diverso. Nessun collaboratore domestico, nessun cameriere, né cuoco. Oscar non aveva voluto niente di tutto ciò e tutti coloro che lavoravano per suo padre potevano scegliere se partecipare alla festa come invitati o semplicemente passare la Vigilia di Natale a casa.

André era rimasto, ovviamente. Avevano trascorso tutti i Natale e compleanni insieme sin dalla tenera età di sette anni, non avrebbero iniziato sicuramente a venticinque a vivere separatamente.

Lo osservò di sbieco mentre era intento a guardare di sotto le fontane spente del giardino.

Era strano pensare ad una vita senza André. Non era esistito anno, settimana o giorno senza di lui. Avevano giocato insieme, studiato insieme, si erano allenati insieme. Non esisteva quasi secondo della sua vita che non fosse scandito dalla sua presenza, eppure da quando avevano iniziato a lavorare in due posti diversi la situazione era mutata.

Non si vedevano più tutti i giorni, non sempre i loro pasti coincidevano, non sempre i messaggi arrivavano in tempo reale. Persino i loro amici non coincidevano più. A causa dei loro impegni lavorativi non potevano più praticare scherma insieme, e questo aveva spinto entrambi in nuove direzioni. Sfortunatamente in quella di André era capitato Alain e i suoi amici pazzi.

Nonostante tutto, si ritrovavano sempre. Era strano, ma finiva sempre così. Potevano passare giorni senza parlarsi, per poi ritrovarsi a mangiare i biscotti della nonna in piena notte come quando erano piccoli e a conversare sul lavoro o sui libri che avevano letto.

Si voltò, sentendosi osservato, sorridendole amabilmente.

“Come mai?”

“Cosa?”

Lo vide trattenere una risatina. “Come mai hai deciso di fare questo mega party? Tu detesti il tuo compleanno, e anche le feste. Cosa ti ha spinto a farne una così mastodontica lasciando carta bianca ad Alain?”

Distolse gli occhi dal suo sguardo divertito, perché in fin dei conti anche a lei veniva da ridere. André aveva ragione, odiava tutto ciò che era presente in quella stanza. Il suo ultimo compleanno in cui era stata contenta di festeggiare aveva forse undici anni e lei e André si erano ubriacati col vin brûlé.

Non sapeva dare una vera risposta a questa domanda, ma sentiva che questa volta doveva festeggiare in qualche modo.

“Volevo creare un bel ricordo.”

Si guardarono in silenzio, mentre la musica impazzava a pochi metri da loro. Nell’aria serpeggiava qualcosa. Qualcosa di non detto, qualcosa di silente che allo stesso tempo esplodeva come lo stereo nella sala.

Esistevano parole non dette fra loro, silenzi prolungati, occhiate eloquenti. Si sfuggivano e si cercavano di continuo senza però arrivare a nulla. Erano diventati evasivi e silenziosi, come se il loro rapporto si fosse improvvisamente trasformato.

Erano loro o non lo erano più?

Cosa succede quando due persone che vivono in simbiosi per così tanti anni poi improvvisamente non lo sono più? Chi finisce dove e chi inizia in che punto. Era possibile ancora identificarsi del tutto da soli senza una persona che ci ha definiti e accompagnati per così tanto tempo?  Dove termina il sottile confine che definisce cosa è il nostro essere per noi da quello che noi siamo per gli altri?

Probabilmente non avrebbero mai avuto risposta a questa domanda, ma guardandolo negli occhi c’era sempre qualcosa che andava detto e rimaneva silente.

Blu contro verde. Ormai erano abituati a scontrarsi su questo terreno da battaglia senza armi e senza parole, dove i loro occhi mischiavano i loro colori intensi senza lasciarsi per diverso tempo. Non serviva più parlare, i loro sguardi arrivavano a comunicare molto di più, come se dal linguaggio si fosse passati alla telepatia.

“Ah! Oscar, André! Siete qui! Venite, manca poco alla mezzanotte!”

Rosalie interruppe il loro silenzio riportando il frastuono. Si voltarono contemporaneamente a guardarla. Le sue guance rosee piene di vita e di gioia si avvicinavano ad Oscar.

La prese per mano, tirandola delicatamente.

“Va bene Rosalie, rientriamo subito.”

Si voltò nuovamente verso André, che le aveva rivolto un ultimo sguardo, per poi precederle ad entrare.

 

Il baccano si era leggermente placato e tutti erano in trepidante attesa della mezzanotte, tanto da ricercarla con lo sguardo e con le pupille dilatate per l’eccitazione. Antoniette si strinse a lei prendendola per mano.

“Che gioia essere qui con te, mia cara Oscar.”

Il cuore di Oscar si intenerì enormemente. Lei e Antoniette si conoscevano da più di dieci anni e la loro amicizia era qualcosa di così cristallino e puro che non lo avrebbe scambiato per nulla al mondo.

Si guardò ancora in giro, ma di André nessuna traccia, era stato come inghiottito dalla marea di gente.

Mancavano pochissimo alla mezzanotte e Alain si stava scatenando alla console provocando il suo disappunto. Non aveva mai ballato quella robaccia e non avrebbe sicuramente iniziato adesso. Improvvisamente le luci si spensero di botto, interrompendo bruscamente gli invitati.

La mano di Antoniette la strinse più forte, quando un conto alla rovescia la fece sprofondare dalla vergogna.

Ma cosa diavolo mi è saltato in mente?

Dieci.

Nove.

 Anche Rosalie le si avvicinò sorridendole. Era stata davvero fortunata a trovare una ragazza come lei nella sua vita. Lei era una sorella minore che aveva sempre la capacità di stupirla con la sua bontà e il suo buon cuore.

Otto.

Sette.

Si guardò intorno, in attesa di qualcosa, e vide Hans con in braccio la piccola Marie Thérèse che dormiva beatamente. La salutò con la mano e lei ricambiò. Anche loro erano amici da tantissimo tempo, e il suo amore per lui aveva ancora degli alti e dei bassi. Il suo cuore si infiammava ancora quando lo guardava, ma da quando lui e Antoniette si erano sposati aveva soffocato sempre con più forza i suoi sentimenti.

Sei.

Cinque.

Bernard e Alain erano talmente presi dal microfono e dal countdown che non notarono il suo sguardo divertito mentre li osservava. Erano due persone nuove nella sua vita. Arrivate da molto poco, ma che nonostante tutto le avevano dimostrato il loro affetto e la loro lealtà.

Lei e Alain avevano avuto un inizio molto burrascoso che sarebbe sfociato in odio se non fosse stato per André. Avevano entrambi un carattere troppo forte e determinato per coesistere pacificamente per lunghi periodi. Finivano in qualche modo a battibeccare per qualcosa o lui tirava fuori qualche battuta sconcia per farla innervosire.

Quattro.

Tre.

Un gridolino di Rosalie la fece trasalire, voltandosi immediatamente. Una piccola luce apparve dalla porta che collegava il salone alla cucina, ma non riuscì a identificare cosa fosse. Si avvicinava velocemente, e vide le sue sorelle sorriderle gioiosamente mentre suo padre le rimproverava come se fossero ancora delle bambine. La nonna piangeva ancora lacrime di commozione, mentre sua madre, Marguerite le porgeva dolcemente un fazzoletto. La sua famiglia era strana, lo era sempre stata. Lei stessa si considerava atipica.

Nonostante tutto aveva imparato ad amare la sua famiglia stramba. Un padre strano con le sue fissazioni, che nonostante tutto amava le sue figlie e sua moglie e aveva sempre difficoltà a gestire i suoi sentimenti. Una madre dolce e affettuosa, che le aveva insegnato ad apprezzare e a riconoscere le persone buone e generose. Le sue pazze sorelle con quella nidiata di nipotini urlanti che ogni volta che tornavano a casa esordivano con un Come sta la nostra piccola sorellina? Anche se ormai di piccolo non le era rimasta nemmeno l’età anagrafica.  E la nonna, che non era una sua parente biologica, ma l’amore non aveva bisogno di sangue. L’affetto e la cura con cui aveva cresciuto lei e André non aveva misura e non aveva parole per esprimere la sua gratitudine.

Due.

Uno.

La luce era divenuta sempre più forte, fino a quando la fonte era divenuta fin troppo chiara.

Joyeux anniversaire à toi, Joyeux anniversaire à toi

Mentre tutta la sala intonava la canzone in tutti i modi possibili e immaginabili, André apparve davanti a lei.

La luce delle candeline gli illuminava il viso decorato da un bel sorriso, mentre portava con attenzione una bellissima torta tutta decorata. Le si avvicinò con calma guardandola dolcemente.

Si fermò davanti a lei, senza smettere di guardarla. Sorrise, guardando l’enorme torta, sicuramente opera della nonna. Le fiammelle delle candele illuminava solo loro due. I loro visi dipinti di calde fiamme in attesa di essere spente.

“Esprimi un desiderio.”

Oscar sorrise di nuovo, guardandolo di nuovo negli occhi.

La mezzanotte era scoccata e lei soffiò. La sala ricadde nel buio con la piccola nuvola di fumo. Il fragore esplose di nuovo, ripreso con urla, balli, auguri e canti di vario genere.

Eppure, nessuno si accorse di quello che era appena successo.

 

 

 

 

Buon anno a tutt* voi!

Piccola storiella senza pretese e molto leggera per salutare l’anno passato e festeggiare il nuovo.

Dubito di aver beccato l’IC, ma ammetto che stavolta ho scritto con molto relax e solo con l’intenzione di rilassarmi, spero vi piaccia quanto è piaciuta a me.

Se ci dovessero essere errori, ovviamente ditemelo che li correggerò immediatamente! E André con gli occhiali patrimonio dell’umanità.

Bye

Flitwick

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Capitolo 2
*** Trente-Cinq ***


     Per voi, qui
TW: Non so cosa sia uscito stavolta, abbiate come sempre misericordia di me
 
 
 
 
 

 Trente-Cinq



 
 
Il misfatto che gli si presentava davanti agli occhi era veramente un grosso problema. Si lasciò sfuggire un lungo sospiro pensando alle disastrose conseguenze a cui sarebbe andato incontro e alle lunghe e tediose occhiatacce di biasimo che lei gli avrebbe riservato. Il caldo di agosto era a dir poco soffocante e dovette aprire tutti i finestrini della macchina. Una leggera brezza gli accarezzò la fronte, liberandolo da quel giogo rovente.
Sentiva gli occhi di Bernard, comodamente seduto sull’altro sedile, che lo scrutavano in attesa di una sua prossima mossa. La situazione era veramente grave, ma non aveva idea di cosa tirare fuori stavolta.
Cosa facciamo adesso, Alain?
E che cosa vuoi che ne sappia?
Il sopracciglio di Bernard si alzò, mentre il suo indice indicava con fare accusatorio il corpo del reato ormai distrutto sull’asfalto.
Come diavolo lo spieghiamo ad Oscar? Ci ucciderà.
Si guardarono in preda al terrore mentre solo il nome di lei veniva ripetuto. Un rivolo di sudore misto al caldo e all’ansia accarezzò la nuca di entrambi.
Quando si erano offerti di dare una mano per la preparazione della festa, Oscar li aveva osservati in un silenzio fin troppo eloquente, per poi accettare senza troppo entusiasmo. Aveva deciso di organizzare una bellissima festa per celebrare i trentacinque anni di André. Nobile idea, nobilissima, se non fosse che aveva commesso l’enorme errore di affidare a loro due un compito così delicato. Come aveva potuto? Occupatevi della torta. Probabilmente nella sua testa quella doveva essere la cosa più semplice in assoluto. Un margine di possibilità di combinare disastri che doveva aggirarsi intorno allo zero.
Eppure Oscar non avevo previsto che quella piccola percentuale era comunque possibile. Ed era appena successa.
Il cadavere della povera torta giaceva ormai senza vita, anzi, senza forma, sulla strada a pochi metri da loro. Avevano combinato un macello e per colpa loro André non avrebbe avuto una festa decente. E loro probabilmente sarebbero stati giustiziati in pubblica piazza dalla moglie del suddetto amico. Avevano commissionato il dolce ad uno dei migliori pasticceri di Parigi, sotto consiglio (o ordine?) di Oscar. Una bellissima torta decorata nei minimi dettagli, rifinita di delicate rifiniture che appariva squisita in ogni punto. Fieri della loro impresa, dovevano poi recarsi nella villa di famiglia di Oscar, nei pressi di Versailles, per poter festeggiare tutti insieme, quando…
Alain, mi stai pestando i piedi.
Guarda che sei tu che non guardi dove vai.
Mi stai buttando tutto il peso della torta addosso.
Sei proprio una testa di rapa, Bernard.
Aspet…
Splash. Un suono scivoloso, accompagnato dalla inevitabile caduta della torta sul suolo. La panna candida ormai sporca di terreno si spandeva lungo il viottolo mentre la crema chantilly urlava vendetta imbrattando le scarpe del povero Bernard.
Si erano bloccati di botto, increduli davanti al disastro. Cosa avevano combinato? Avevano appena decretato la loro morte.
Miseriaccia, e ora?
Alain si morse il labbro, visibilmente preoccupato, mentre Bernard cercava disperatamente di far reinvenire il povero dolce. Non voleva rovinare la festa di André, gli voleva troppo bene. Lui e André si erano conosciuti diversi anni prima in palestra. Lo aveva osservato aggirarsi negli spogliatoi con fare timido e silente e lo aveva subito colpito.
Mentre lui e i suoi amici facevano casino in ogni momento, lui si teneva in disparte, quieto. Era troppo elegante, troppo particolare. Emanava un’aura di nobiltà, sembrava veramente un damerino. Gli si era avvicinato una volta con una bevanda ghiacciata, lo incuriosiva troppo quello strano ragazzo.
Allenamento duro, eh? Devi dimenticare qualcosa? O qualcuno?
Lo aveva osservato, per poi posare lo sguardo sulla lattina. Gli aveva sorriso, afferrandola.
Puoi dirlo forte.
Da allora, erano stati inseparabili. Lo aveva presentato ai suoi scapestrati amici, che, inizialmente diffidenti, lo avevano bollato come un figlio di papà viziato, ma dopo pochi mesi si erano ricreduti. Era sempre stato difficile non andare d’accordo con André. Alain doveva ammetterlo, aveva il carattere di un santo. Lo aveva punzecchiato in ogni modo, ma lui pareva stoico e senza alcun punto debole. Schivo, timido e di indole buona, era veramente impossibile non volergli bene.
Se all’apparenza appariva placido e sereno, percepiva qualcosa che sotto la superficie ribolliva senza sosta e senza pace alcuna.
Eppure la sera che conobbe Oscar François de Jarjayes la situazione gli divenne immediatamente fin troppo chiara. Lei era il suo punto debole. Non si perdeva una singola parola che usciva dalla sua bocca, e i suoi occhi non la perdevano mai di vista. Era talmente cristallino il suo amore che pure un cieco lo avrebbe notato, ma lei appariva non cosciente di tutto.
Lo guardava, ma non lo vedeva veramente. Erano sempre stati amici, ma i suoi occhi e il suo cuore apparivano presi da un altro ragazzo svedese di cui però non conosceva il nome.
Passavano i mesi, e improvvisamente, vide lo sguardo di lei modificarsi. I suoi occhi farsi più dolci, i suoi sorrisi più elitari, le sue parole più tenere. Era come se si fosse improvvisamente svegliata da un lungo sonno. Era come se ora lo vedesse.
Non poteva non essere felice per loro, quei due erano letteralmente fatti l’uno per l’altra, ma non poteva non sentire la morsa della gelosia roderlo. Aveva lottato per anni, e tutt’ora doveva combatterci in silenzio, perché l’amicizia di André e Oscar era più importante, ma non poteva più negarlo in alcun modo.
Si era innamorato di lei.
Lo aveva capito quando durante una lite fra loro degenerata a male parole, aveva avuto paura di perderla. Perderla, ma non come si perde un’amica. Il fuoco lo infiammava ogni qual volta i suoi occhi si posavano su di lei, ma sapeva anche che in nessun modo loro sarebbero stati destinati.
Oscar era fatta della sua stessa essenza. Loro si assomigliavano, ma allo stesso tempo non si somigliavano. Due caratteri forti, determinati e prepotenti a tratti che collidevano sempre con un forte impatto.
Due uragani di massima potenza che, come titani si scontravano su terreno neutro, che cercava in qualche modo di mantenere la pace. André era la loro nemesi. Una brezza pacifica e delicata capace di tranquillizzarli e farli riappacificare con la sua sola presenza o con poche semplici parole.
Mantenere un clima tranquillo a volte era veramente difficile. Provocarla a volte lo divertiva, nella speranza di ottenere le sue attenzioni, ma si pentiva ogni volta. Non poteva continuare così e doveva fare in modo che le sue emozioni non sovrastassero il loro rapporto.
Il giorno che aveva saputo del loro matrimonio il suo cuore infame lo aveva tradito, sanguinando e gioendo allo stesso istante. Aveva visto gli occhi di André leggergli dentro, e aveva percepito il suo senso di colpa crescere a dismisura. Non si può scegliere chi amare, e André lo sapeva, ma sapeva anche quanto fosse dura soffocare i sentimenti non ricambiati. Amare la stessa donna è spesso sintomo di dannazione, ma André era sempre stato troppo buono. Gli aveva sorriso amabilmente, come solo lui sapeva fare. Vorresti essere il mio testimone?
Sbuffò, mentre scacciava dalla mente quei pensieri, posando di nuovo lo sguardo sulla torta ormai deceduta. Dovevano trovare una soluzione in fretta, ma cosa?
Era il ventisei agosto, la maggior parte dei negozi e pasticcerie chiuse, cosa diavolo potevano fare? Avevano poche ore, ma pochissime possibilità di riuscire.
All’improvviso, un’idea balorda gli balenò in mente.
Accese di colpo la macchina, mentre Bernard sobbalzava, stupito.
Che stai facendo?
Andiamo a casa mia.
A fare che?
Un ghigno si materializzò sul suo viso, ben consapevole che Bernard non se lo sarebbe mai aspettato.
Abbiamo una festa da salvare, amico mio.
 
 
Casa De Jarjayes era meravigliosa la sera. Il grandioso giardino decorato con piccole luci lo rendeva magico e suggestivo. Oscar si era veramente impegnata in questo allestimento, doveva ammetterlo. Aveva investito un sacco di energie in questa festa.
André non aveva quasi mai festeggiato il suo compleanno in modo così grandioso. Un poco per carattere, e un poco perché la maggior parte delle persone si trovavano in vacanza a fine agosto, ma questa volta era stata Oscar ad insistere.
Erano sposati da poco più di un mese e ci teneva che questo compleanno fosse speciale. Trentacinque anni. Un’età strana, in cui si è adulti, ma non ci si sente arrivati.
Quando Alain mise piede nella gigantesca dimora un fischio poco educato uscì dalle sue labbra scostumate attirando su di sé tutti gli occhi.
Era sempre stato un animale da teatro, un vero protagonista, e amava farsi notare.
Vide André sorridergli, mentre Oscar scuoteva la testa scocciata. Gli si avvicinarono velocemente, facendosi largo fra tutti gli invitati.
Ciao Alain! Bernard! Ce l’avete fatta!
Bernard gli sorrise, tenendo il pacchetto fra le mani, mentre Oscar li scrutava pensierosa. Si salutarono, chiacchierando del più e del meno, quando gli occhi azzurri di lei si posarono interrogativi sulla scatola che Bernard teneva gelosamente in braccio.
Cos’è?
Alain sghignazzò, ben pronto alla catastrofe che di lì a poco sarebbe scoppiata. Sapeva perfettamente a cosa andasse incontro, ma sapeva anche che il divertimento aveva un prezzo. Quel prezzo sarebbe stata la sua testa.
La torta, no?
Gli occhi di Oscar si strinsero pericolosamente in due fessure minacciosa, mentre quelli di André si coloravano di un visibile stupore.
Non ha la scritta della pasticceria.
Perché non è della pasticceria. Il silenzio fu fin troppo eloquente. Percepì le frecce saettargli intorno in attesa di colpirlo. Quando Oscar ordinava qualcosa non esisteva né i se, né i ma. Si doveva eseguire e basta. Ogni tanto sembrava più un generale dell’esercito che una giornalista. Aveva avuto seriamente paura quelle rare volte in cui l’aveva vista perdere le staffe e l’idea di provare di nuovo quella discutibile esperienza lo aveva fatto desistere dal tirare ulteriormente la corda.
E perché non lo è, di grazia? Ero stata sufficientemente chiara…
Era pronto alla sfuriata, quando André, il suo salvatore, venne in suo soccorso. Lo vide girarsi verso di lei, prendendole delicatamente una mano fra le sue e baciandole il dorso con tenerezza. La voce innervosita di Oscar si bloccò immediatamente.
Oscar, tesoro, non ti arrabbiare. Non è successo nulla di grave.
Ma… André! Il tuo compleanno… Io…
Le sorrise amabilmente, come solo lui era sempre stato capace di fare.
Non è un problema, sono già felicissimo così.
Sorrise anche a loro, mentre la donna si acquietava, non prima di aver lanciato loro un altro sguardo truce che faceva presagire una sfuriata coi controfiocchi quando si sarebbero trovati sei occhi, di cui quasi sicuramente il terzo paio non sarebbe stato di André.
Bene, vediamo allora cosa avete portato. Dove l’avete presa?
Bernard si schiarì la voce, pronto a cercare la miglior giustificazione possibile, quando Alain lo precedette senza troppe cerimonie strappandogli di mano il pacco.
L’abbiamo fatta noi.
La mascella di Oscar cadde, persino lei non era riuscita a contenere lo stupore e lo sgomento davanti a questa affermazione. Avevano seriamente fatto una torta? Quei due impiastri? Avevano mica intenzione di avvelenarli tutti?
Piena di rabbia per il pasticcio combinato, prese dalle mani a sua volta la scatola dalle mani di Alain mentre André, curioso, sbirciava da dietro la sua spalla. Aprì la confezione e quello che ci ritrovò dentro era peggio di quanto avrebbe mai potuto immaginare. Una poltiglia con una vaga forma rotonda giaceva inerte nella scatola. La glassa bianca, ormai sciolta, ricopriva tutta la scatola, mentre i fiorellini di zucchero (palesemente acquistati dal discount vicino casa di Alain) si erano disposti in punti diversi da quelli che dovevano essere originariamente, ma la parte peggiore in assoluto, fu la scritta.
Oscar dovette fare appello a tutte le sue forze per non sbattere in faccia ad Alain quello sgorbio indegno. In mezzo a quello strano ammasso di ingredienti, una scritta con uno strano colore blu si presentava sulla torta.
Joyeuxe Anniversaire André!
Aveva sbagliato a scrivere. Buona compleanno. Possibile che fosse così idiota? Nemmeno il francese elementare sapeva scrivere? Gli aveva assegnato un semplice compito, il più facile di tutti, e lui e quell’altro soggetto di Bernard erano riusciti a fallirlo. Anzi, peggio, e fare un completo disastro. Quella torta era talmente brutta che nemmeno un bambino di cinque anni avrebbe saputo fare di peggio. Nemmeno impegnandosi.
Era pronta scagliarsi contro quei due… Scemi, quando la risata calda e calorosa di André si sparse per l’aria.
Si voltò, e lo vide tenersi la pancia dal troppo ridere. Aveva visto la torta insieme ad Oscar, ma la scritta lo aveva fatto capitolare. Era la torta più brutta di sempre, ma anche la più divertente in assoluto. Soltanto Alain avrebbe potuto creare una cosa simile.
Dopo qualche secondo, si asciugò le lacrime dovuto al troppo ridere e si avvicinò ad Alain.
Grazie Alain, questa è la torta più simpatica di sempre. Sei il migliore, amico mio.
Lo strinse in un forte abbraccio che lui non potette far altro se non ricambiare.
Era davvero un uomo fortunato.
E lo era perché aveva come amico André Grandier.
 
 

 
 
 
 
Ciao a tutti,
sono qui di fretta, e ammetto che ho pubblicato questa one shot più per fare un regalo a me che a voi. Oggi è il mio compleanno e volevo lasciare qualcosa come ricordo di esso.
Ammetto che non credo mi sia uscita bene questa one shot. È nata da una idea nebulosa che non ho avuto modo di curare al meglio, come sapete sono molto impegnata e probabilmente non è uscita curata come avrei voluto.
Spero mi perdonerete, purtroppo non tutte le ciambelle escono col buco.
Non volevo finire troppo nel tragico col povero Alain, ma nemmeno nel demenziale. Spero di esser riuscita un minimo a divertirvi.
Vi ringrazio molto per aver letto e per essere arrivati fin qui,
A presto!
Flitwick
 
 
 
 
 

 

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Capitolo 3
*** Cinq ***


Cinq

 

piccolo suggerimento musicale per voi qui.

 

 

 

 

 

 

 

Victor Clément Florian de Girodelle era uomo, anzi, un uomo tutto d’un pezzo, e come tale non si era sicuramente fatto intimidire da quella strana missione. Aveva osservato guardingo l’insegna del negozio, Carrousel, e a parte alzare il sopracciglio per la banalità del nome non aveva potuto far altro che farsi coraggio ed entrare.

Quanto poteva essere difficile comprare un regalo?

Era entrato con molti dubbi e poche certezze, ma una volta dentro la situazione si era aggravata. Si era ritrovato assalito da due commessi che lo avevano tempestato di domande senza dargli alcuna sosta. Lo avevano lasciato stordito e interdetto tanto che la sua stoica compostezza aveva vacillato per qualche secondo.

È per suo figlio?

Sbatté più volte le palpebre, fissando la giovane ragazza che lo stava servendo come se non avesse compreso a pieno la domanda.

Mio figlio?

Lo ripeté a voce alta, come se l’averlo sentito lo avesse scosso nelle membra. Vide il viso della fanciulla dipingersi di un evidente disagio davanti al suo silenzio. L’aveva messa in imbarazzo e cercò di sfoggiare il suo sorriso più cordiale e gentile.

No mademoiselle, è per il figlio di una cara amica.

Gli occhi di lei si rianimarono e prese a girare per il negozio cercando le scelte migliori per le sue richieste. L’osservò addentrarsi per i vari scaffali e prendere giochi, pupazzi e scatole delle forme e dai colori più disparati.

Mio figlio.

Sentì le sue labbra incurvarsi in qualcosa di più amaro di un sorriso. Avrebbe potuto essere suo figlio, ma lei aveva scelto lui.

La prima volta che aveva incontrato Oscar François de Jarjayes era stata ad una cena di lavoro che suo padre aveva organizzato a casa loro. I de Jarjayes erano stati da sempre soci in affari di suo padre e per l’occasione l’intera casa era stata tirata a lucido, lui compreso.

Comportati bene, verrà anche il figlio di Monsieur de Jarjayes.

Aveva annuito, leggermente annoiato da quel trambusto che da diversi giorni si respirava. Da poco aveva compiuto sedici anni e l’idea di doversi annoiare trascorrendo un’intera serata ascoltando i discorsi sull’azienda di suo padre lo allettava ben poco. Ancor meno contando che avrebbe dovuto intrattenere questo fantomatico Oscar per tutta la serata, quando avrebbe trascorso volentieri il suo tempo in altro modo.

Eppure, quello che gli si parò davanti infranse qualsiasi sua aspettativa.

Ciao, io sono Oscar.

Era rimasto interdetto. Muto. Lo aveva squadrato da capo a piedi, ma questo Oscar sembrava tutto fuorché un lui. Portava i capelli corti, all’altezza delle spalle, e il loro colore era talmente intenso da sembrare oro. Gli occhi azzurri erano grandi e brillanti, così tanto da sembrare zaffiri. Si sentì avvampare, non aveva mai visto qualcuno di così bello.

Gli aveva stretto la mano, ma nonostante la decisione, percepì una stretta delicata e le sue mani estremamente piccole e morbide.

Victor.

Avevano conversato a lungo durante la cena e aveva scoperto che questo Oscar non era così male come si era aspettato. Avevano molte cose in comune: leggevano gli stessi libri e frequentavano anche la stessa scuola. Si era scoperto per la prima volta interessato a qualcuno che non fosse lui stesso o che facesse parte della sua famiglia. Questo strano ragazzo biondo, che poi scoprì essere una lei, provando che i suoi dubbi erano quindi fondati, era la persona più interessante e curiosa che avesse mai conosciuto. Sorrideva poco, e le parole erano sempre misurate nei discorsi, ma la sagacia e l’acume fluivano nelle sue parole. Quella cena trascorse più in fretta del previsto e prima che se ne accorgesse la serata era già terminata.

Sai duellare?

Duellare?

Sì, con la spada. Sai farlo?

Sì, sono anche bravo.

Un ghigno si dipinse sul suo volto angelico.

Allora vieni al club di spada ogni tanto. Io e André andiamo spesso lì ad allenarci.

André. André Grandier. Lo aveva citato più volte nelle conversazioni e ne aveva dedotto fosse il nipote della sua governante e che fossero cresciuti insieme. Nulla di straordinario, capitava spesso in famiglie come le loro che i figli o i nipoti dei dipendenti fossero presenti, ma questo André appariva molto importante per come ne parlava.

Non aveva ancora ben compreso quanto lo fosse.

 

Quale preferisce monsieur: il puzzle, il libro illustrato o il kit per la pittura?

Osservò i tre oggetti che la ragazza gli aveva disposto in ordine sul bancone. Non aveva la benché minima idea di cosa si regalasse ad un bambino; quindi, cercò di mascherare il suo dubbio con classe. Era ormai maestro in quest’arte.

Mademoiselle, sono adatti per un bambino di cinque anni?

Oui monsieur, sono adatti per quell’età e anche per essere utilizzati più avanti nel tempo. Sono splendidi, mi creda, perfetti per lo sviluppo della creatività.

Le sorrise gentilmente, mentre tirava fuori il portafogli.

Li prendo tutti.

La giovane si lasciò sfuggire una esclamazione di sorpresa nel sentire quella affermazione. Quei giocattoli costavano una fortuna, il prezzo dello scontrino sarebbe stato esorbitante.

Certo, allora glieli incarto. Suo nipote sarà felicissimo!

Victor le sorrise di nuovo, senza nemmeno disturbarsi di correggerla.

 

 

Il campanello aveva suonato, ma dubitò per qualche secondo che qualcuno lo avesse udito. La musica che fuoriusciva non era assordante, ma era piuttosto alta, e il vociare rimbombava per tutto il pianerottolo.

Avrebbe mentito a se stesso se non avesse ammesso che si era pentito di aver accettato quell’invito, ma allo stesso tempo non poteva più in alcun modo rifiutare. Si era incastrato con le sue stesse mani, ma si era condannato diversi anni addietro quando aveva accettato di duellare con lei.

 

Ah, eccoti, non pensavo saresti venuto.

Mantengo sempre la parola data.

Le aveva porso la mano e lei l’aveva stretta salutandolo. Non avrebbe mai dimenticato le sue mani candide.

Lui è André.

Già, lui era André. Il famoso e onnipresente André. Riccioli bruni e occhi verdi gentili, un sorriso affabile e una calma contagiosa. Non avrebbe immaginato persona diversa accanto ad Oscar. Si conoscevano dall’età di sette anni, era rimasto orfano da pochissimo e il padre di Oscar aveva accettato di buon grado di accoglierlo nella loro casa. Non avrebbe mai negato questo alla dolce Nanny. Avevano convissuto per la maggior parte della loro esistenza e vederli interagire era qualcosa di straordinario. A tratti appariva come se il loro linguaggio non fosse verbale, ma quasi telepatico.

Nonostante tutto, André si era dimostrato una persona gentile e perspicace. Non amava molto la sua compagnia, perché aveva sempre l’impressione che lo scrutasse nel profondo, penetrando la sua anima, ma allo stesso tempo la sua esistenza era strettamente legata a quella di Oscar e trovarli separati era spesso difficile.

Si scambiavano poche parole di cortesia, più per necessità che per interesse reciproco, ma capì subito che era una partita persa in partenza. Erano come una diade speciale, indipendenti una dall’altro, ma allo stesso tempo legati irrimediabilmente per sempre. Si era detto che era solo questione di tempo, e terminata l’adolescenza le loro strade si sarebbero separate, rompendo quel legame simbiotico.

E a tratti ebbe quasi ragione, dopo l’università i due avevano iniziato ad allontanarsi. Orari diversi, lavori diversi, nuovi amici e nuove scoperte. La diade si era rotta. Agli occhi di Victor quella fu come una benedizione. L’interesse che Oscar gli aveva provocato in adolescenza si era tramutato in qualcosa di più profondo una volta raggiunta l’età adulta. Lo aveva capito una volta essersi ritrovato disarmato durante uno dei loro allenamenti. Lei gli aveva sorriso per poi raccogliergli la spada e porgergliela.

Il suo cuore era sobbalzato e per la prima volta nella sua vita aveva sentito le parole mancargli di bocca.

Si era innamorato.

Lavoravano insieme da diversi anni nell’azienda che un tempo dirigevano i loro genitori e ancora una volta lei si era rivelata più brillante e pronta di lui nella dirigenza e si era ritrovato suo vice. Non che la cosa gli dispiacesse, lavorare con Oscar era sempre sinonimo di zelo, precisione e perfezione, ma voleva sempre di più. Ne bramava sempre di più di tempo con lei, dal lavoro, ai pranzi in ufficio, alle riunioni, fino alle uscite al di fuori dell’orario lavorativo.

L’aveva persino fatto. L’aveva invitata ad uscire più di una volta, ma da parte sua non aveva mai percepito lo stesso interesse che lui le dimostrava. Era stata a lungo innamorata di un giovane svedese che aveva conosciuto all’università e che poi in poco tempo era diventato il marito della sua migliore amica. Era stato impossibile non notarlo, quelle poche volte che l’aveva visto lei pendeva dalle sue labbra, ma anche lì, quell’infatuazione non era paragonabile a quello che vedeva in lei quando André appariva.

Era come se il tempo fra loro si fermasse, come se qualsiasi altra cosa perdesse di colpo significato. Qualche volta lui la veniva a prendere per tornare a casa insieme, visto che nessuno dei due ancora aveva lasciato la casa d’infanzia, ma lei si trasformava in quei frangenti. Smetteva di recitare, la maschera cadeva magicamente. Se durante la giornata appariva fredda, dura e impeccabile, con lui si poteva persino vederla sorridere e fare battute. Lui era capace di tirare fuori la sua parte migliore.

Non era passato molto tempo che qualcosa cambiò passando inizialmente in sordina. Se la presenza di André era diventata una abitudine a cui ormai aveva smesso di prestare attenzione, quel piccolo e semplice anello che apparve da un giorno all’altro al dito di Oscar lo destabilizzò.

Era semplicissimo e ai suoi occhi persino insulso, visto il patrimonio della suddetta quell’anello non era che una sciocchezza, ma per come se lo rigirava era chiaro che fosse più importante di tutto l’impero costruito da suo padre. Aveva negato a se stesso quello che stava succedendo, ma quando lei si presentò alla sua scrivania con le partecipazioni per il loro matrimonio, l’intera situazione precipitò.

Ci sposiamo il dodici luglio, mi farebbe tanto piacere se tu ci fossi.

Ci sarò sicuramente, sono molto felice per voi.

Quel caldo giorno di luglio sentì il suo cuore frantumarsi. Assistere ad una cerimonia in cui la donna che ami sposa un altro era fra le cose più dolorose che lui si potesse mai immaginare.

Se qualcuno ha qualcosa da dire, parli adesso o taccia per sempre.

Avrebbe voluto urlare. Alzarsi di scatto, scomporsi e dichiarare a tutto il mondo che lui avrebbe saputo renderla felice, non quel ragazzo squattrinato (e per di più ora anche quattr’occhi). L’aveva amata sin dall’adolescenza, loro si appartenevano. Provenivano dallo stesso modo e da famiglie di pari livello, con educazioni simili e sapevano destreggiarsi in determinati contesti per nascita.

Cosa ne poteva sapere lui? Di umili origini e con neanche un soldo in tasca. Tutto quello che era e poteva diventare lo doveva solo a lei e ai suoi genitori, se non fosse stato per lei cosa sarebbe mai potuto diventare? La rabbia e la gelosia lo divoravano. Lo distruggeva sapere della loro nuova vita insieme, della casa, dei viaggi, di tutto. La nausea gli bloccava il respiro e vederla così contenta gli sembrava la più grande punizione per la sua infelicità silente.

Quando credette di star soffocando, si rese conto che al peggio non poteva esserci limite. Anche lì, forse per evitare il dolore, forse perché veramente non se ne era accorto, ma quando si rese conto che il suo ventre che era sempre stato piattissimo aveva ora una curva, leggerissima e a tratti impercettibile, la fitta era stata fortissima.

Era incinta.

Collegare il nome di Oscar all’aggettivo incinta era veramente difficile, ma nonostante fosse difficile, divenne ancora più bella, ancora più splendente. Emanava luce e gioia da qualsiasi parte del suo corpo, e più quella piccola pancia cresceva, più il suo sorriso si allargava.

 

Suonò nuovamente, e sentì qualcuno rispondere al suo trillo con un arrivo!

Prese un bel respiro, ben conscio che anche questa sarebbe stata un’esperienza di dubbio gusto. Non amava le feste, tantomeno i bambini, quindi la combo di queste due cose preannunciava solo un disastro senza precedenti.

E dire che ho pure accettato di buon grado.

Si ravviò i lunghi capelli, il caldo di luglio era soffocante e i vestiti gli si stavano appiccicando tutti addosso. Sentì il chiavistello della porta muoversi e uno spiraglio di luce aprirsi sul suo volto. Si aspettò una voce adulta, ma dovette presto rendersi conto che il suo interlocutore si trovava ben al di sotto della soglia del metro e trenta.

Abbassò il capo e vide degli occhietti vispi fissarlo con attenzione, quando dopo una breve osservazione li vide brillare di gioia.

Tonton Victor!

Gli sorrise gentilmente mentre il bambino apriva ulteriormente la porta. Era impressionante la sua somiglianza con lei. La genetica si era divertita nel crearlo, perché questa piccola creaturina era talmente bella da ammaliare chiunque. La prima volta che lo aveva visto aveva poco più di qualche settimana. Una pelle diafana e bianchissima coperta da una moltitudine di riccioli scuri che risultavano in numero spropositato rispetto al suo breve tempo di vita. Il viso piccolo e delicato, le labbra rosse come le guance, ma la cosa che lo aveva colpito erano stati i suoi occhi.

Azzurri, più azzurri del cielo e del mare. Di una sfumatura leggermente più scura rispetto a quelli della madre, che a tratti ricordavano gli abissi marini. Si era aspettato che cambiassero con la crescita, ma erano soltanto diventati più belli e più brillanti. Era incredibilmente somigliante a lei e se alla apparenza per un osservatore distratto poteva apparire come una versione più piccola di suo padre, una volta scrutatolo con attenzione era palesemente la copia sputata di sua madre.

Se il suo aspetto rassomigliava ad Oscar, il suo carattere era però molto influenzato da quello di André. Solare, vivace, gentile e molto, forse troppo perspicace ed empatico. Quelle rare volte che lo incontrava e quegli occhietti blu lo guardavano percepiva la stessa sensazione di disagio che aveva provato anni addietro quando André lo osservava. Quella sensazione di essere penetrato e scoperto, messo a nudo.

 

Ciao Charles, buon compleanno, scusami se ho tardato.

Il suo piccolo visetto roseo si dipinse di un sorriso grande mentre la porta si spalancava lasciando che il caos che regnava dentro lo investisse. La camicina a quadretti blu che portava si intonava benissimo al suo incarnato e ai suoi occhi. Sembrava un piccolo principino per come si comportava e per il suo abbigliamento. Aveva pensato di odiarlo, per quanto odiare un bambino potesse essere infattibile, ma Charles aveva un carattere e un’anima tale che non amarlo era impossibile. Era come se avesse ereditato le miglior qualità dei suoi genitori rendendolo un esserino a dir poco perfetto.

Ovviamente, questa era una affermazione fallace, era comunque un essere umano, e possedeva dei difetti, anche se in piccola parte, ma era capace di nasconderli mostrando sempre la sua parte migliore. L’aveva visto piangere e fare i capricci pochissime volte e la maggior parte delle volte la situazione si risolveva nel giro di pochi minuti senza troppi sforzi dei suoi genitori.

Sei arrivato, ti stavamo aspettando! Vieni!

Prima che potesse rispondergli sentì la piccola manina del bambino afferrare la sua e trascinarlo dentro senza troppe cerimonie. Si guardò intorno, scrutando la stanza. La casa di Oscar e André non era mai stata troppo grande. Un piccolo appartamento nel centro di Parigi che per il suo personale gusto era fin troppo umile. Per l’occasione il salone era stato riempito di palloncini blu e verdi, dei teneri festoni si destreggiavano fra le pareti, finendo a volte a terra per la sbadataggine di qualche invitato. Non si sarebbe mai abituato a una cosa del genere. Nella sua famiglia per festeggiare un qualsiasi compleanno di una qualsiasi età, si sarebbero riuniti in un ristorante di classe senza generare tutto quel baccano.

Si lasciò condurre dal bambino che si muoveva con leggiadria tra tutti quegli impedimenti.

Maman! Maman! Tonton Victor è arrivato!

Sentì la gola asciugarsi di botto e le labbra seccarsi quando la vide arrivare. La presa del bambino si allentò, mentre si avvicinava sua madre, fino a quando non fu così vicina da poterla abbracciare.

Non si sarebbe mai stancato di guardarla, ogni volta che i suoi occhi si posavano su di lei il suo corpo prendeva fuoco e il suo cuore batteva così forte da fargli male. Nonostante gli anni, quell’amore lo continuava a tormentare senza sosta, divorandolo nel profondo. Era come una goccia d’acqua, inizialmente innocua, fino a che la sua persistenza non aveva penetrato la roccia del suo animo facendolo dannare.

Vederla e incontrarla era un’arma a doppio taglio. Innaffiava quella speranza vana di poterla avere per sé, ma allo stesso tempo gli mostrava la realtà come era davvero.

La salutò cordialmente, scusandosi per il ritardo imprevisto. Gli sorrise gentile e parlarono del più e del meno, ma quel piccolo momento di calma fu interrotto prima del previsto.

Ciao Victor, sono contento che tu sia riuscito a venire.

Lo vide apparire in poco tempo, posizionandosi a fianco della moglie e prendendo in braccio il figlio.

Scusatemi il ritardo.

Gli sorrise calorosamente, porgendogli un bicchiere di champagne mentre il bambino guardava con curiosità crescente quella busta colorata nella sua mano. Era palese che la bramasse, come qualsiasi bambino che sa che riceverà dei giocattoli di lì a poco, ma tentò di trattenersi il più che potette.

Tieni Charles, questo è per te, spero che ti piaccia.

Un tintinnio di eccitazione uscì dalla sua bocca, dimenandosi per farsi mettere giù dal padre. Afferrò con entusiasmo la busta iniziando a rovistarci dentro, così tanto preso da finirci quasi di testa dentro.

Charles! Come si dice?

Un rimprovero gentile, ma severo che André gli aveva indirizzato. Interruppe la sua caccia al regalo, rendendosi conto di non aver nemmeno ringraziato il suo interlocutore. Gli rivolse un sorriso tenero sincero a cui non potette rispondere.

Grazie moltissime tonton Victor.

Riprese a scartare con vorace curiosità i regali, trillando di euforia ogni qual volta ne tirava fuori uno. Li mostrava ai suoi genitori con occhi brillanti e pieni di allegria, fino a quando non scartò anche l’ultimo e lo abbracciò con gioia nonostante a malapena arrivasse alla sua coscia.

Si sentì braccato improvvisamente da quel piccolo umano che aveva invaso più volte nel giro di pochi minuti il suo sacro spazio vitale. Emanava un calore dolce, mentre quella testolina scura gli stringeva le gambe con forza. Gli accarezzò goffamente il capo.

Grazie, grazie, grazie, son bellissimi! Posso andare a giocare con Thérèse e Louis Joseph per farglieli vedere, papa?

Appena vide il padre annuire lo lasciò andare portando con sé l’enorme busta con difficoltà. Si diresse saltellando verso i due bambini dall’altra parte della stanza che lo stavano aspettando insieme ad un omone altissimo e possente che li stava facendo sbellicare dalle risate raccontando storielle buffe.

Avvertì un improvviso freddo e un vuoto nel punto in cui il bambino lo aveva lasciato andare. Non amava essere toccato, ma nonostante Charles avesse invaso e superato qualsiasi limite fisico che si era imposto, fu quasi rammaricato di vederlo andar via a giocare. Non aveva mai desiderato dei figli, o almeno, non ci aveva mai veramente pensato.

Aveva trascorso la sua intera infanzia da solo, o al massimo con la sua governante. I suoi genitori erano sempre stati troppo presi da loro stessi o dai loro affari per poter occuparsi di lui. Una volta raggiunta la maggiore età era diventato un semplice strumento da utilizzare per far fruttare al meglio gli affari dell’azienda. Cosa poteva offrire lui ad un figlio? Non aveva mai sperimentato l’affetto, tantomeno la dolcezza o il senso di famiglia.

Non dovevi disturbarti con tutti quei regali, ne sarebbe bastato uno solo.

La voce di Oscar lo distolse dalla visione di Charles che mostrava agli altri i suoi bellissimi regali appena ricevuti.

Non si compiono mica cinque anni tutti i giorni, Oscar.

 

 

 

 

 

Faceva davvero caldissimo e nonostante le finestre spalancate, quel giorno si boccheggiava. Erano passate diverse ore da quando era arrivato alla festa e si era ritrovato a chiacchierare amabilmente con Monsieur de Jarjayes e sua moglie, per poi finire nelle grinfie del celeberrimo Alain de Soisson e della sua cara sorella.

Era ormai sera quando, durante una bella conversazione con Diane, le luci si spensero improvvisamente.

Ma che diavolo sta succedendo?

Si guardò intorno e vide tutti rivolgere la loro attenzione al tavolo in mezzo alla stanza dove André stava stringendo a sé un Charles euforico che saltellava pericolosamente sulla sedia su cui era appollaiato per vedere meglio.

Lo guardò con insistenza, mentre lui era troppo preso dal controllare che il suo piccolo monello non finisse di testa per terra. Si era sforzato per anni di capire cosa Oscar ci trovasse in lui, ma tutt’ora gli risultava difficile comprenderlo a pieno.

Cosa aveva lui in più? Non aveva soldi, terre, palazzi. Era bello, questo era vero, ma anche lui lo era. Quindi perché alla fine aveva scelto André?

Dalla piccola cucina vide Oscar uscire con una piccola torta azzurra illuminata da cinque candeline colorate mentre l’intera sala intonava sgraziatamente un canto di auguri.

Si era risposto appellandosi al fatto che fossero cresciuti insieme, ma in cuor suo sapeva che non era così. Lo poteva vedere da come si guardavano. Generavano invidia e gelosia nel suo cuore. Era come se loro si appartenessero in qualche modo, come se la loro anima fosse unica. Due corpi che però ospitavano pezzi della stessa essenza. Fiamme gemelle. Così venivano chiamate dagli esoteristi, ma lui aveva sempre faticato a credere a certe corbellerie, anche se in questo caso faticava a negarlo.

Anche stavolta, mentre lei appoggiava il dolce sul tavolo gli occhi di lui erano solo per lei, nonostante la sua attenzione fosse indirizzata al bambino.

Coraggio Charles! Esprimi un desiderio e non sputacchiare sulla torta che poi me la devo mangiare io.

Un sacco di risa si diffusero per il salone dopo che Alain aveva urlato al bambino che per tutta risposta gli aveva fatto una linguaccia, scatenando l’ilarità di Oscar e André.

Charles si strinse ai suoi genitori, soffiando vigorosamente sulla torta, mentre i primi fuochi per festeggiare il quattordici luglio erano partiti.

Guardò il fumo delle candeline volare via e i suoi genitori abbracciarlo con dolcezza.

Alzò il bicchiere di champagne a quel quadro, perché per la prima volta la risposta era fin troppo chiara.

André non le aveva dato materialità, ma qualcosa di ben più importante e prezioso che prescindeva tutto il resto. Lui le aveva donato l’amore, ma non quell’amore becero che si leggeva nei romanzetti.

Loro erano l’amore.

Anche quel piccolo esserino che ora si dimenava fra loro, ricoperto di affetto e dolcezza, era stato generato dal loro amore. Anzi, era la prova vivente e la personificazione di quell’amore straordinario e puro.

Sorrise amaramente, buttando giù diversi sorsi di champagne.

Lui quel tipo di amore non glielo avrebbe mai potuto donare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E dopo veramente diverso tempo, rispunto dal nulla.

Questa one shot è stata difficile, lo ammetto. Non ho mai e dico mai scritto su Girodelle. È sempre stato un personaggio da me poco amato e forse poco compreso. Ho faticato moltissimo a mettermi nei suoi panni e non sono certa di esserci riuscita.

Ammetto però che mi avete fatto riflettere, e il fatto di averlo dimenticato nel primo capitolo mi ha fatto pensare che in qualche modo dovevo fargli giustizia. E quindi perché non renderlo il vero protagonista di una shot?

Mi incuriosiva l’idea di vederlo interagire con un bambino e chi se non il piccolo diavolo che Oscar e André possono aver generato?

Non credo di essere proprio nell’IC con tutti, ma poco male, essendo una AU ci sta.

Come sempre vi ringrazio per la vostra attenzione e per essere arrivati fin qui a leggere.

Grazie e spero a presto, se avete commenti, critiche o idee da sottopormi sono sempre a vostra disposizione. La raccolta terminerà a breve poiché non vorrei scadere nel banale, ma se avete qualche desiderio di qualche compleanno speciale vi ascolto volentieri.

Bye!

Flitwick

 

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Capitolo 4
*** Quinze ***


Quinze

 

Suggerimento musicale per voi qui

 

 

 

 

Tic. Tac. Tic. Tac.

Il suono ripetuto dell’orologio lo stava snervando. Erano ore che alternava le torture alla sua povera e innocente penna blu, mangiucchiando la e a tratti sbattendola sul banco. Persino quel secchione di Lasalle aveva chiuso l’astuccio negli ultimi cinque minuti che rimanevano. Finalmente quello strazio stava per terminare e lui e i suoi compagni avrebbero potuto fiondarsi nella boulangerie più vicina per ingozzarsi di dolci e poi cercare di comprare in modo molto poco limpido delle birre.

Era ormai l’ultimo mese dell’anno, l’ottavo giorno di dicembre, e Alain de Soissons quel giorno compiva la bellezza di quindici anni. Quindici! Ora era ufficialmente il più grande dei suoi amici, quel cinque gli conferiva il potere di poter prendere le decisioni finali sulle questioni importanti del loro gruppo. Un sorriso beffardo gli si dipinse in volto, pensando a quanto se la sarebbero spassata quel pomeriggio, sperando che sua mamma non sentisse l’odore dell’alcol, ma la lezione tardava a terminare.

Uno sbuffo insofferente, accompagnato da uno stiracchiarsi di braccia poco educato. Era stufo marcio di quel corso e di lei. 

Quel corso di matematica avanzata era la cosa più noiosa in assoluto che avrebbe mai potuto scegliere sulla faccia della terra, ma lui e i suoi amici erano stati i soliti idioti, dimenticandosi di scegliere e si erano ritrovati lì a discutere di teoremi e disequazioni. 

 

Che palla infinita.

 

Non aveva mai amato studiare, tantomeno la scuola, la trovava noiosa e ripetitiva. Non andava male, perché alla fine quel poco che serviva lo portava a termine senza troppi sforzi. Gli insegnanti lo additavano come scansafatiche e poco brillante, ma a lui poco interessava. Dopo il liceo voleva entrare in qualche corpo militare, magari in marina. Voleva intraprendere una carriera in cui poteva assicurare sua madre e a sua sorella una entrata senza pesare su di loro. Da quando il padre se n’era andato, diversi anni prima, proprio il giorno del suo compleanno, aveva sentito su di sé il peso di quella posizione.

Sua madre con il suo lavoro da sarta aveva sempre cercato di assicurare una vita dignitosa a lui e a Diane, ma alla soglia dei suoi quindici anni sentiva che era arrivato il momento di prendersi le sue responsabilità e smettere di gravare sulle spalle di sua madre. Un pensiero che si potrebbe arrivare a definire forse retrogrado, patriarcale, ma se nessun padre si era curato di lui e della sua famiglia, non facendosi remore a formarsene un’altra, lui stesso sarebbe stato il padre di se stesso.

Un altro sbuffo, più rumoroso del precedente, probabilmente con la chiara intenzione di far capire alla persona alla lavagna che era stufo marcio di quella lezione.

La vide voltarsi, facendo ondeggiare i lunghi capelli biondi e rivolgendogli uno sguardo poco amichevole. 

Qualcosa non va, Alain? Ti sei perso qualche calcolo?

 

Erano settimane che doveva sorbirsi quelle spiegazioni fastidiosamente dettagliate e poco interessanti da quella strana ragazza dal nome maschile. Quando si era seduto in classe, qualche mese prima, sapeva che da quella porta sarebbe entrato uno studente da poco laureato che doveva fare esperienza. Un pivellino in pratica. 

Lui e i suoi amici avevano sghignazzato, ben consci che avrebbero reso un vero inferno la vita del povero malcapitato. Non solo si erano beccati il corso più noioso e sfigato di tutti, di per certo non avrebbero iniziato a studiare. Persino Lasalle, sempre composto ed educato (e soprattutto scarso in matematica) non aveva preso seriamente quel corso. 

Eppure, ciò che si erano trovati davanti era tutt’altro che un pivellino fragile. Il primo giorno era entrata, con passo di marcia, una ragazza curata, ben vestita, ma soprattutto, bellissima. Aveva dei meravigliosi capelli color oro che le accarezzavano le spalle, gli occhi azzurri brillanti e un’espressione dura. 

 

Ammazza, ma quanto è bella? 

Non lo so, ma se vuole faccio le equazioni anche a comando.

 

I commenti e le risatine serpeggiarono fino a quando lei aprì bocca.

 

 Io sono la dottoressa Oscar François de Jarjayes, e sono la docente del corso di matematica avanzata. Aveva percorso l’aula con passo di marcia, scrutandoli uno ad uno. E se sento di nuovo quei commenti da bettola in questa classe giuro che vi sbatto dal preside, sono stata chiara?

 

Il silenzio era calato improvvisamente fra i ragazzi e nessuno aveva più voglia anche solo di fiatare. Quelli che erano seduti scomposti si erano riposizionati e i quaderni si erano magicamente palesati sui loro banchi. Mancava soltanto il signorsì signora, e l’addestramento militare poteva prender luogo, ma Alain mal sopportava questo genere di comportamenti.

 

Scusate mademoiselle, ma non prendo ordini da una donna. 

I suoi compagni si voltarono di scatto, aspettandosi la sua condanna in contumacia ad essere spedito dal preside De Bouille senza troppi preamboli, ma tutto ciò stranamente non accade. La ragazza strinse pericolosamente gli occhi in due fessure minacciose puntando il giovane.

Io non parlo con chi non è capace di sedersi correttamente. 

Alain la guardò ancora, mascherando sotto i baffi un sorrisetto divertito. Si rimise composto, mantenendo la schiena dritta.

 

Avete ragione, sono stato maleducato.

Il tuo nome.

De Soissons Alain.

 

Rimase in silenzio qualche secondo, incrociando le braccia, per poi afferrare un gesso che era stato abbandonato in precedenza da qualche insegnante distratto, e con una velocità straordinaria iniziò a scrivere alla lavagna una serie di teoremi e formule mai viste prima d’ora.

Una volta terminato si diresse con poche falcate verso il banco del ragazzo. 

 

Molto bene Alain. Visto che ti sei mostrato così pronto nella risposta sono certa che sarai in grado di risolvere ciò che ti ho lasciato alla lavagna.

 

Alain sgranò gli occhi, incredulo. Quella era totalmente svitata, fuori di testa. La roba che si palesava sulla lavagna era talmente lunga e complessa che non aveva idea di dove mettere mano. Si ricompose, nascondendo immediatamente l’espressione di sorpresa. Non le avrebbe dato la soddisfazione di vederlo in difficoltà.  Afferrò in fretta in gesso, camminando lentamente verso quella che appariva come una vera e propria condanna a morte. Si era letteralmente fregato con le sue stesse mani, lui e la sua stramaledetta boccaccia con la lingua lunga. Sua madre glielo diceva sempre di darsi una regolata, ma lui era sempre stato troppo diretto, con troppi pochi freni e ora si ritrovava in quel pasticcio. 

Si voltò verso i suoi compagni, che ora, pavidi, avevano il viso chinato sul libro mentre quella diabolica ragazza spiegava ciò che ritrovavano su quella pagina. 

 

E va bene, facciamole vedere chi comanda qua dentro.

Si strinse le meningi fino allo sfinimento, piuttosto che dargliela vinta si sarebbe fatto incollare al pavimento tutta la notte. Era una cosa che non aveva mai visto prima d’ora, ma nonostante fosse una rompiscatole gli aveva dato dei suggerimenti sul dove partire e non ci aveva pensato due volte. 

Aveva scritto e cancellato un’infinità di volte, non era neanche del tutto certo che quello che stesse scrivendo fosse corretto o matematicamente accettabile, ma lo tangeva molto poco. Doveva farcela. 

Doveva dimostrare a quella pallina gonfiata che lui, Alain de Soissons, non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno, tantomeno da una ragazza. 

 

L’ora trascorse in fretta e la campanella suonò prima del previsto. Abbandonò in malo modo il gesso, mentre i suoi amici con occhi compassionevoli lo guardavano uscendo dalla classe. La vide scrutarlo in silenzio, per poi osservare i calcoli alla lavagna. Non aprì bocca prima di diversi minuti, per poi avvicinarsi a lui. Profumava di rosa e i suoi capelli erano ancora più dorati da vicino.

È praticamente tutto scorretto.

Un gemito sfuggì dalla sua bocca. Era fregato, ora sarebbe finito in punizione. I suoi occhi azzurri lo squadrarono da capo e collo, mentre le sue braccia snelle si incrociavano al petto.

Ma non so come hai utilizzato correttamente i teoremi, sbagliando solo i calcoli. Per stavolta puoi andare, ma impara a comportarti come si deve, la prossima volta ti sbatto dal preside.

Un ghigno gli attraversò il viso, anche stavolta l’aveva scampata bella.

 

No, è tutto chiaro.

Lei annuì, ritornando a parlare con Lasalle, quando finalmente anche l’ultima campanella suonò. Erano ufficialmente liberi! Poteva andare a festeggiare il suo benedetto compleanno lontano da tutti quei calcoli odiosi.

Buttò alla rinfusa tutto ciò che si trovava sul banco, per poi afferrare la giacca e dirigersi quasi correndo verso la porta.

Alain, aspetta ad andare, vorrei parlarti.

Uno sbuffo mal trattenuto gli fece guadagnare un’occhiataccia dalla ragazza che attese pazientemente che tutti i ragazzi uscissero dall’aula. Era sempre molto schiva e riservata, parlava poco, ma riusciva facilmente a mantenere il comando dell’intera classe. Chissà se aveva un fidanzato o una fidanzata? Doveva essere un tipo piuttosto paziente per sopportare una nazista come lei.

Tieni, questo è il tuo compito. Hai fatto davvero un ottimo lavoro.

Prese in mano delicatamente il foglio che gli stava porgendo, incredulo davanti a quel voto così alto. Forse si era sbagliata, o forse lo stava prendendo in giro.

Ma è veramente il mio?

La vide trattenere un sorriso, probabilmente conscia del suo ottimo operato fatto nella classe.

Sì, è il tuo. Sei stato veramente bravo. Hai mai pensato di seguire calcolo avanzato il prossimo anno?

Alain strabuzzò gli occhi. Lui? Calcolo avanzato? Il professore dell’anno scorso per poco non gli aveva dato del ritardato al corso base. Però a quanto pare lei aveva visto qualcosa di buono in lui, delle possibilità.

Non ci avevo mai pensato in realtà.

Pensaci, ne hai tutte le capacità.

Si alzò dalla sua sedia, riponendo con cura le sue scartoffie nella borsa.

Per quanto facesse la tosta si vedeva che si era affezionata a tutti loro. Non c’era stata lezione in cui non ci avesse messo della passione o della grinta e non aveva mai rifiutato a nessuno di dare aiuto.

Era giovane, forse troppo, però Alain doveva ammetterlo, era proprio una tipa tosta.

Grazie, ci penserò.

Sì, quel compleanno era decisamente speciale. Per la prima volta qualcuno aveva creduto in lui e quello era stato senza dubbio il regalo di compleanno migliore di sempre.

 

 

Orbene, finalmente mettiamo una fine a questa raccolta. Sono come sempre mostruosamente in ritardo, ma questa volta la vita ha voluto colpirmi prepotentemente nelle gengive da marzo. È forse la prima volta dopo mesi che sono vagamente serena, quindi eccomi qui a portarvi l’ultimo capitolo.

È senza pretese, senza neanche il romance, una cosina così, com’è uscita ve la riporto.

Grazie a tutt* per aver letto, spero di risentirci presto.

Bye

Flitwick

 

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