L'istitutrice

di Lady Warleggan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno. ***
Capitolo 2: *** Due. ***
Capitolo 3: *** Tre. ***
Capitolo 4: *** Quattro. ***
Capitolo 5: *** Cinque. ***
Capitolo 6: *** Sei. ***
Capitolo 7: *** Sette. ***
Capitolo 8: *** Otto. ***
Capitolo 9: *** Nove. ***
Capitolo 10: *** Dieci. ***
Capitolo 11: *** Undici. ***



Capitolo 1
*** Uno. ***


Piccolo angolo dell’autrice:
Salve a tutti! Questa è la mia prima fanfiction su Poldark (che è il mio period drama preferito) e come potrete già immaginare dal mio nome utente, George è il personaggio che maggiormente preferisco di tutta la serie. Non ne apprezzo affatto alcune scelte, in quanto spesso sono piuttosto discutibili, ma come personaggio ha lentamente catturato la mia attenzione per le sue infinite sfumature: è complesso, crudele, talvolta vulnerabile. L’altro giorno mi è capitato di sentire nostalgia della serie rivedendo alcuni spezzoni, e ho sentito l’esigenza di iniziare a mettere nero su bianco questa fanfiction. Metto anche le mani avanti per eventuali inesattezze storiche o proprio sulla stessa serie di Poldark, scrivo solo di getto e cerco di far rientrare tutto quello che mi viene in mente su questa storia.
Non so quanti capitoli prevederà questa ff, proprio perché all’inizio era nata come OS, solo che poi mi sono resa conto che sarebbe diventata troppo lunga. Vedrò semplicemente dove vorrà condurmi.
Ho preferito ambientarla alla fine della 4° stagione (quindi saranno ovviamente presenti spoiler), perché l’ultima non mi ha veramente convinto (non ne seguirò l’andamento, infatti), nonostante ci abbia dato modo di assistere a tutto l’incredibile talento di Jack Farthing alle prese con la mente di George e il suo dolore per la scomparsa dell’adorata Elizabeth.
Ho introdotto un nuovo personaggio, Isla, che avrà un ruolo importante nella vita di George. Me la sono immaginata con il volto della splendida Jenna Coleman.
Scusate se vi ho annoiato con questa premessa, vi lascio ora alla lettura. Aspetto i vostri pareri.


 
 
Uno.
 
L'arrivo a Trenwith si verificò durante lo scroscio di un rabbioso temporale. Isla rifletté che non avrebbe potuto aspettarsi un'accoglienza diversa da una residenza che, al suo interno, sembrava rispecchiare perfettamente il pungente e cupo clima temporalesco dell'esterno. Una domestica venne ad aprirle all'ingresso, e l'aiutò a togliersi di dosso l'elegante soprabito grigio che aveva fatto confezionare dalla sarta poco prima dell'inizio dell'inverno e che si era leggermente bagnato a causa della pioggia.
Benché fosse ancora pomeriggio, il temporale era talmente scuro e intenso che aveva costretto la servitù a riempire gli ambienti della casa di candele luminose per rischiarare le pareti. Il che, a detta di Isla, aveva reso Trenwith ancora più spettrale di quanto già non fosse. Era come se, mentre attraversava la troneggiante sala da pranzo che si apriva quasi subito, dopo l'entrata, si avesse la percezione di essere osservati non solo da uno, ma da tre o quattro fantasmi contemporaneamente. Come se stesse calpestando il suolo di una vita passata.
La domestica le fece strada verso un salottino che, a porte spalancate, affacciava sulla splendida sala da pranzo che stava attraversando. Isla fu colpita da un grosso ritratto appeso ad una delle pareti. Era stato coperto, ma qualcosa, forse chissà, uno di quegli spettri, aveva fatto cadere metà del panno che lo nascondeva ad occhi inopportuni come suoi. Nella metà lasciata scoperta e che in un qualche modo catturava il suo sguardo, si celava il ritratto di quella che, sembrava essere una giovane ed incantevole donna. Ne vedeva solo un occhio e metà volto, ma era certa che, se fosse caduta la restante parte di quel panno, non avrebbe mutato la sua opinione sul soggetto di quel ritratto.
La domestica chinò il capo di fronte all'uomo che attendeva, seduto comodamente su uno dei divanetti del salottino, il suo arrivo. Era lui la persona con cui doveva aver intrattenuto la corrispondenza di lettere: francamente immaginava George Warleggan con un aspetto del tutto differente. Aveva cercato informazioni su di lui e sapeva che aveva dodici anni più di lei, che era di umili origini, ma che, col tempo, aveva fatto fortuna come banchiere e che ora la maggior parte dei creditori, forse quelli di tutta la Cornovaglia, facevano ora capo al suo nome.
Ma l'uomo che le era di fronte sembrava decisamente più vecchio, era calvo, con solchi rugosi sotto agli occhi, una bocca sottile ed arcigna che sembrava conoscere il fatto suo. Isla non si lasciò intimorire, non era mica la prima persona di quel genere con la quale aveva a che fare.
"Signorina Wood" salutò monotono. "Sono Cary Warleggan. Mio nipote George è fuori città per affari, sono stato incaricato di farle io il colloquio. Sono suo zio."
Isla fu sollevata che non si trattasse di George Warleggan, per qualche strano motivo. Anche se, dalla bruttezza dello sguardo di quell'individuo, non era certa che dal nipote potesse aspettarsi di meglio, nonostante non l'avesse mai visto. Fu un colloquio di breve durata, in cui lui si limitò a ricapitolare le sue referenze come istitutrice: aveva ventisette anni, ma un curriculum di tutto rispetto per una ragazza della sua età. Si era fatta una certa reputazione in Scozia, sua terra d’origine, e poi per un anno aveva lavorato saltuariamente presso diverse case londinesi, ma non aveva mai ottenuto un impiego stabile che le consentisse di fermarsi permanentemente in una città.
L'inserzione di George Warleggan sul giornale le era parsa l'occasione che aspettava, non aveva mai avuto problemi a spostarsi da una città all'altra, nonostante sua madre la volesse stabile e sistemata in Scozia. Ma quella era una cosa che non le apparteneva.
George Warleggan cercava un'istitutrice per suo figlio ed era pronto ad offrire anche vitto e alloggio, purché si curasse del bambino non solo durante l'orario di studio, ma anche nelle ore successive. In pratica cercava sia un'istitutrice che una bambinaia.
Il colloquio poté ritenersi abbastanza tranquillo se non fosse che Cary Warleggan si interessò a quello a cui si interessavano tutti quando venivano a scoprire la sua età e si rendevano conto che non era ancora sposata.
"Siete ancora nubile, vedo."
"Sì."
"Come mai non vi siete ancora sposata?"
"Non credo che le ragioni per cui io non abbia mai contratto matrimonio sia qualcosa che concerne il mio lavoro come istitutrice."
Cary Warleggan fece un ghigno mentre fuori si sentì lontano il rumore di un tuono. Osservò quasi divertito quella ragazza minuta coi capelli castani tirati all’indietro che sembrava ostentare una sicurezza che difficilmente aveva visto sul volto di altre donne. Isla poteva essersi anche bruciata l'occasione del secolo, ma su quella parte della propria vita privata non transigeva affatto. Subiva già abbastanza pressioni dalla famiglia che insisteva che si accasasse e mettesse da parte le grandi aspirazioni di indipendenza che aveva maturato sin da piccola, ma Isla aveva assistito al matrimonio pietoso dei suoi genitori (due persone estranee che non avevano niente in comune se non i figli e un'unione combinata) e si era convinta che non sarebbe mai convolata a nozze.
"Mio nipote George tornerà domani mattina. Aveva già deciso di assumervi vedendo che siete di buona famiglia e che avete delle ottime referenze nonostante siate molto giovane" disse alla fine. "Domani avrete l'opportunità di conoscere sia lui, che il bambino. Se tutto filerà liscio, l'incontro con lui sarà una pura formalità."
Isla annuì. Per quella notte sarebbe stata ospite a Trenwith, com'era già stato deciso in una delle lettere che George le aveva scritto, ma francamente, se avesse potuto, avrebbe preferito dormire in una bettola. Quando arrivò l'ora di cena, la domestica di prima venne a servirgliela in camera: non poteva lamentarsi della propria stanza, era splendida e forse un po' antiquata per i propri gusti, ma aveva a propria disposizione un letto a baldacchino, un ampio guardaroba, una specchiera e una scrivania. Il signor Cary Warleggan si era ritirato nella propria stanza per affari e aveva dato ordine di servirle la cena in camera.
La cameriera posò il vassoio sulla scrivania e disse che sarebbe passata a riprenderlo più tardi. Isla non lo guardò nemmeno e congedò educatamente la domestica: fissò piuttosto il giardino scuro dei Warleggan dalle vetrate della propria finestra, mentre la notte calava e lei si sentiva ancora spiata dai fantasmi di quella casa.
* * *
I Warleggan erano stati generosi in termini di cena: aveva poi mangiato a sazietà la carne e i legumi che le erano stati serviti la sera precedente, ma il suo datore di lavoro non si risparmiò affatto anche per la colazione. La tavola era stata imbandita di un tripudio di piatti dolci e salati, probabilmente per soddisfare i gusti di ogni membro della casa.
Fu proprio al mattino che conobbe finalmente George Warleggan, dopo essersi osservata attentamente allo specchio ed aver scelto un abito verde che rientrava tra i suoi preferiti.
Comandava dal posto a capotavola, impettito in un completo di colore grigio che lo faceva sembrare ancora più rigido di quanto già non fosse. Per un attimo Isla si soffermò ad osservarlo dalle spalle della stessa cameriera che l'aveva accolta all'ingresso e che le aveva portato la cena in camera.
George non era brutto, anzi, era di bell'aspetto. Ma aveva qualcosa dello zio nel suo sguardo, qualcosa di vile e sospettoso, e anche qualcosa di tormentato che niente aveva a che vedere con lo zio anziano e che non riusciva a decifrare. Al tavolo, accanto a lui, rispettivamente sulla sinistra e sulla destra, c'erano Cary Warleggan e quello che doveva essere sicuramente Valentine, il bambino di cui avrebbe dovuto occuparsi.
Più lo guardava, e più Isla sentiva di non riconoscere alcuna somiglianza col padre. George era biondo, con occhi chiari e una mascella piuttosto dura e geometrica; i colori di Valentine erano totalmente opposti ai suoi: aveva i capelli ricci e scuri, così come gli occhi che sembravano molto dolci, stanchi e un po' tristi. Le venne da pensare che dovesse aver preso per forza quelle caratteristiche dalla madre che in una delle lettere di George, aveva scoperto fosse scomparsa alla nascita della secondogenita.
Quando George la vide per la prima volta, ammise che fu colpito dalla sua bellezza. Isla dimostrava anche meno dei suoi anni, e forse, se avesse usato questa caratteristica a suo favore, probabilmente non avrebbe trovato difficoltà a incontrare finalmente qualcuno. Era di statura minuta, sembrava graziosa nei modi, ma pure una persona piuttosto sicura di sé: il suo sguardo non la tradiva. Gli rivolse un sorriso mentre si presentava, uno vero, non uno di quelli di circostanza. Fu una cosa che apprezzò molto.
La invitò a sedersi al tavolo e lei scivolò immediatamente nel posto accanto a quello di suo figlio, e benché George cercasse la sua attenzione, si rese immediatamente conto che non vi sarebbe stato verso di attrarre totalmente su di sé gli occhi azzurri della nuova istitutrice. Erano tutti per Valentine: Isla cercava di conoscerlo con domande dolci e delicate, chiedendogli quanti anni avesse, quali fossero le sue materie preferite e quale invece, fossero gli argomenti in cui trovava più difficoltà. George fu sorpreso dalla facilità con cui a tavola si conquistò la parola di Valentine, la leggerezza che sembrava aleggiare sul volto del figlio mentre le rispondeva. Lanciò per un attimo un'occhiata allo zio, che sorrideva compiaciuto mentre mangiava un altro boccone della sua torta.
Forse si sarebbe aspettato un altro tipo di colloquio, ma poteva andare bene così, anche se detestava in generale essere ignorato. Tuttavia aveva un'altra bambina piccola di cui occuparsi, Valentine aveva ora un'istitutrice apparentemente meravigliosa a cui fare affidamento. Isla sembrava totalmente differente dagli istitutori che invece aveva conosciuto lui da ragazzo, quando suo padre aveva iniziato a farsi un certo nome tra i ranghi più alti e aveva perciò deciso di farlo studiare privatamente: i suoi vecchi istitutori erano sempre severi, rigidi, non esitavano nemmeno ad usare le maniere forti se necessario. Ma Isla sembrava voler adottare un metodo completamente differente, fatto di dolcezza e pazienza, gli bastò un unico sguardo per capire di aver assolutamente preso la decisione giusta, anche solo scrivendole quelle lettere.
Cary Warleggan aveva ragione: il "colloquio" fu una pura formalità.
* * *
Passò il primo mese e l'inverno in Cornovaglia si fece ancora più gelido di quanto Isla si aspettasse. Si era già conquistata la fiducia di Valentine, come se quel bambino dalla folta chioma riccia e scura avesse trovato in lei qualcosa che in quella casa gli mancava da troppo tempo. Anche se era lì da poco, la nuova istitutrice sapeva osservare molto: il distacco di George da Valentine non poteva essere soltanto giustificato con la sua attività lavorativa, che si divideva tra la sua professione di banchiere e l’impegno politico. Sembrava nutrire un sincero affetto per il bambino, ma pure un tormento quando gli era accanto, come se un'ombra gli impedisse di vedere lucidamente. Valentine stravedeva per il padre, Isla lo capiva da quanto fosse fiero di lui per come ne parlava, ma comprendeva anche la gelosia che sembrava dimostrare per la sorellina minore, Ursula, verso la quale il padre non rivolgeva affatto lo stesso atteggiamento: era attento e affettuoso, cosa che con Valentine faceva piuttosto di rado.
Così Isla aveva fatto di tutto per rendere le sue giornate di studio più piacevoli possibili: se l'aria non era troppo fredda cercava di farlo studiare all'aperto, oppure, quando erano costretti a stare rintanati in casa, cercava in tutti i modi di trovare un metodo che gli consentisse di apprezzare lo studio in maniera giocosa. Nel pomeriggio però nessuno dei due cercava di rinunciare ad una passeggiata lungo la scogliera o sulla spiaggia: vivere in un posto incantato come quello, che affacciava sul mare, era troppo bello per restarsene all'interno.
Isla aveva un giorno libero a settimana e ne approfittava sempre per conoscere meglio i dintorni, scendeva al villaggio e nel giro di quel primo mese dai Warleggan imparò quasi a memoria le strade del centro e i negozi principali in cui fare acquisti. Di solito era molto parsimoniosa, era una cosa che aveva appreso dal padre e poi da sola, quando per un periodo, con la propria attività di istitutrice, aveva dovuto aiutare economicamente la sua famiglia. Ma, passando di fronte alla boutique del sarto, si era resa conto che un vestito in più per l'inverno, magari per Natale, dato che era certa di non poter rientrare in Scozia quell'anno, poteva anche concederselo come un piccolo regalo personale.
Dal sarto c'erano già due donne in attesa al bancone. Il negozio era abbastanza piccolo e Isla, dopo aver educatamente salutato all'ingresso, si mise in fila. Non aveva fretta, dopotutto. Aveva l'intera giornata libera, e Trenwith era quasi vuota perché George aveva un pranzo con un cliente abbastanza prestigioso e aveva portato con sé Valentine, probabilmente nella speranza che il bambino facesse amicizia con i figli del gentiluomo presso cui si stava recando. La piccola Ursula era assieme alla sua bambinaia e in casa doveva essere rimasta solo la servitù.
Le due donne davanti a lei erano molto eleganti: una aveva una folta chioma bionda, quasi nascosta sotto ad un elegante capello a visiera larga; indossava un abito molto colorato, di un ciliegia piuttosto acceso. L'altra invece, con dei lunghi capelli rossi, indossava un abito più modesto, di un celeste quasi sporco e un cappello con un nastro dello stesso colore. Non per questo, pur essendo più semplice, sfigurava accanto all'amica con la quale chiacchierava sorridente.
Il sarto rientrò dal retrobottega in cui si era allontanato per un attimo, e accanto a lui figurò una donna, probabilmente la moglie, che fece cenno a Isla di raggiungerla dall'altra parte libera del bancone. Chiacchierò un po' con lei, ignorando la conversazione tra le due amiche, e le spiegò di avere bisogno di un nuovo abito per l'inverno. Dopo averle descritto più o meno il tipo di vestito che stava cercando, la sarta le chiese che tipo di colore desiderasse, e di fronte all'indecisione della ragazza, le rispose che aveva tutto il tempo che voleva per pensarci.
"Di solito acquisto sempre abiti verdi, perché è il mio colore preferito, ma mi piacerebbe provare qualcosa di diverso."
La sarta le propose allora un rosso, o un arancione, ma Isla non parve del tutto convinta.
"Cosa ne dice di un abito di colore rosa?"
Isla si rese conto che non era stata la moglie del sarto a parlare. Si voltò e alla sua sinistra riconobbe la donna con i capelli biondi che era ancora lì al bancone assieme all'amica dalla chioma rossa.
"Rosa?"
"Mi scusi se mi sono permessa. L'ho sentita parlare con la sarta e dato che è indecisa sul colore, ho pensato che un rosa le sarebbe stato molto bene."
"La signora Enys è una nostra cliente affezionata" aggiunse la sarta. "Ha un ottimo gusto."
Isla rifletté, in effetti non aveva alcun abito di quel colore e poteva essere una bella novità indossarne uno. Dopo aver passato un'altra decina di minuti a chiacchierare con la signora Enys delle tonalità che più potessero adattarsi al suo incarnato, Isla decise di seguire il suo consiglio e di ordinare un abito di colore rosa. La sarta annotò su un foglio le sue misure e le disse di ripassare la settimana successiva.
"Sono Caroline Enys, comunque. E lei è la mia amica, la signora Demelza Poldark."
Isla pensò che fosse buon educazione presentarsi anche lei, dato che la signora con i capelli biondi era stata molto gentile quella mattina: non le aveva dato quel consiglio con alcuna malizia, ma solo nell'interesse di farla apparire veramente al meglio.
Si presentò educatamente alle due amiche.
"Se ha del tempo, gradisce una tazza di tè con noi?" le domandò ancora la signora Enys.
Isla non aveva niente di meglio da fare e accettò di buon grado. Fare delle amicizie in quella zona poteva essere una buona cosa, dato che a parte Trenwith e i suoi inquilini, non conosceva nessun altro in Cornovaglia.
Raggiunsero a piedi, pochi metri più avanti, un piccolo locale molto rustico, ma decisamente delizioso. Un posto dove era ovvio che fosse frequentato da gente di un certo tipo e livello, anche per l'atmosfera molto tranquilla ed appartata. La signora Enys fu accolta immediatamente come la più fastosa delle regine e le offrirono un tavolo accanto alle vetrate, che i camerieri sapevano evidentemente essere il suo posto preferito all'interno del locale.
"Deve sapere che tutti stravedono per la signora Enys, qui dentro" spiegò la signora Poldark, mentre prendeva posto su una delle sedie al tavolo. Ora che la guardava meglio, Isla si accorse che non solo aveva un aspetto fresco e giovane, ma pur essendo molto elegante, nei suoi occhi chiari riconosceva qualcosa di selvaggio e di libero che all'amica, purché elegante e fine allo stesso modo, non avrebbe attribuito affatto.
"La mia amica esagera" tagliò corto la signora Enys, mentre anche loro due prendevano posto.
Poco dopo, un cameriere si presentò frettolosamente al tavolo e cinque minuti più tardi fu servito il tè più buono che Isla avesse mai bevuto. Sapeva che quel locale sarebbe diventato uno dei suoi posti preferiti.
"Raccontatemi, signorina Wood, non mi è mai capitato di incontrarvi da queste parti!" esclamò Caroline. "Siete arrivata da poco, per caso?"
In effetti, il posto in cui vivevano, era piuttosto piccolo. La signora Enys le dava l'impressione di conoscerlo per benino e che tutti, al contempo, sapessero esattamente chi fosse.
"Sì, sono scozzese. Ho vissuto per qualche tempo a Londra, ma ora mi sono stabilita qui per lavorare."
"Che lavoro fate?" chiese con genuina curiosità la signora Poldark, mentre girava il suo cucchiaino nella tazza di tè.
"Sono un'istitutrice" spiegò Isla.
Caroline si fece ancora più curiosa.
"Dove lavorate? Sono certa che potrei venire a farvi visita qualche volta, dato che qui conosco quasi tutte le famiglie ben in vista."
Isla non era certa che il signor Warleggan lo consentisse, nonostante avesse già trascorso poco tempo con loro e si fosse sempre comportata bene. Ma dirgli dove lavorava non era certo un male.
"Sono l'istitutrice del figlio del signor George Warleggan."
Per un attimo le due donne trasalirono. Demelza stava quasi per strozzarsi con il suo tè e Caroline si era bloccata con la tazza a mezz'aria, mentre faceva il gesto di portarsela alla bocca.
"Accidenti" borbottò Demelza sottovoce, come a non voler far sentire quell'imprecazione a Isla. "Mi sono scottata."
"Conoscete... sir George?"
Caroline e Demelza fecero un sorrisetto in contemporanea.
"Ci sarebbe da chiedersi chi non conosca sir George, in Cornovaglia" rispose alla fine la signora Enys.
In effetti, Isla rifletté che era stata una domanda piuttosto stupida. Facoltoso com'era, e potete uomo d'affari, George Warleggan doveva essere per forza ben in vista nell'alta società.
"Siete clienti della sua banca?" azzardò allora a chiedere.
La signora Poldark sembrava stesse nuovamente per strozzarsi col suo tè.
"Per l'amor del cielo, neanche morta!"
Ed ecco cosa le rimandavano gli occhi di Demelza Poldark: all'apparenza era fine, tenue e delicata, ma a riguardarla con attenzione si capiva immediatamente che non poteva essere solo quello. Demelza Poldark non poteva stare zitta, era diretta, e tagliente.
"Demelza!" la rimproverò duramente l'amica, lanciandole un'occhiataccia. "Quello che la signora Poldark vuole dire è che, purtroppo, le nostre famiglie non sono in buoni rapporti con sir George."
"Oh" sospirò Isla.
"Ma non dovete preoccuparvi! Può capitare. Non bisogna per forza andare d'amore e d'accordo! Voi non centrate nulla."
Isla passò perciò l'ora successiva a studiare le due amiche, a capire se quella sarebbe stata l'ultima volta che le avrebbe riviste, se si intrattenessero con lei soltanto per cortesia, o se avessero un genuino piacere a restare con lei nonostante le divergenze tra le loro famiglie e quella del signor Warleggan. Non riuscì a capire di che tipo di attrito si trattasse, ma probabilmente doveva andare al di là della semplice antipatia. Tuttavia, per educazione, non indagò oltre.
Anche perché, nonostante le rimostranze verso il suo datore di lavoro, Demelza Poldark e Caroline Enys sembravano davvero gradire la sua compagnia e anche a lei iniziavano a piacerle. Poteva semplicemente occultare quella loro simpatia a sir George, in fondo prendere un tè non era mica un reato; e poteva anche fare la finta tonta se lui le avesse chiesto come mai le conosceva.
Capì che per le due amiche l'inimicizia con sir George non era importante quando Caroline la invitò a pranzo il sabato successivo. La residenza in cui viveva la sua nuova amica era a dir poco mastodontica, non aveva nulla da invidiare a Trenwith, anzi, a dire il vero, si ritrovò a pensare che per i suoi colori, per l’umore ciarliero della sua padrona, quella splendida dimora era piena di una vita che Trenwith non avrebbe visto nemmeno tra mille anni.
A pranzo con Caroline, venne a conoscenza del fatto che in realtà la vera faida scorreva tra i Warleggan e i Poldark. Lei, come amica di Demelza, si era solo ritrovata nel mezzo. E pure suo marito: a quanto pare Dwight Enys, il marito di Caroline, era uno stimato e giovane medico della zona che, dopo qualche iniziale diffidenza, si era guadagnato un certo rispetto anche presso i Warleggan, nonostante fosse l’amico più caro di Ross Poldark, il marito di Demelza. La vera guerra esisteva tra loro due.
George non era uno stinco di santo e aveva mandato sul lastrico una quantità di persone che per poco Isla non inorridì.
Per quale uomo stava prestando servizio?
Caroline si rese conto di aver detto troppo, probabilmente avrebbe riservato qualcosa per le altre visite di cortesia che sicuramente sarebbe venuta a porgerle. Quel sabato, di ritorno da uno dei suoi pazienti, si unì al loro pranzo anche Dwight Enys. Isla non poteva fare a meno di pensare che Caroline avesse scelto proprio bene: suo marito era bello, gentile, biondo, con occhi limpidi e cristallini; veniva voglia di fidarsi ciecamente a primo impatto e più, e più volte, si vide costretta a spostare lo sguardo su Caroline e sulle portate del pranzo perché Dwight era così avvenente che a starlo a fissare troppo si correva non solo il rischio di risultare inopportune, ma pure di diventare rosse come una ciliegia.
Al termine di un ricco pasto e di uno splendido pomeriggio, Isla rincasò in sella al proprio cavallo, riflettendo su quel pranzo dalla sua amica, iniziando a pensare se non fosse il caso di licenziarsi. Caroline non le sembrava una che mentiva e francamente, dopo quanto aveva preso coscienza di George, non era certa di voler continuare a servirlo. Tuttavia le dispiaceva per Valentine e inventare una scusa su due piedi sarebbe stato un po’ assurdo, senza contare che George era stato preciso con la sua prima paga, cospicua come indicato nell’inserzione. Quei soldi le facevano comodo: sarebbero stati tutti per il suo futuro.
Si disse che poteva resistere mentre scorgeva la sagoma di Trenwith in lontananza. In fondo sir George non era quasi mai in casa, incrociarlo soltanto all’ora dei pasti poteva sopportarlo.

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Capitolo 2
*** Due. ***


Due
 
Se c’era una presenza che Isla non apprezzava particolarmente di Trenwith, non erano i fantasmi o George stesso, ma era Tom Harry. Si trattava di uno dei servitori più fedeli di George pure se in casa o all’esterno non lo vedeva bazzicare in alcuna attività utile: non curava i giardini, né le stalle, né tantomeno dava l’impressione di essere un domestico. A vederlo, con quel suo aspetto così rozzo e malcurato, Isla escludeva totalmente che potesse essere socio in un qualche tipo di affari gestito dal banchiere. Nonostante questo, George lo convocava spesso per una serie di faccende inspiegabili e Tom spariva dall’oggi al domani, per poi ricomparire come una presenza oscura in casa.
Isla doveva ammettere che a starci troppo vicino le venivano i brividi. Era un uomo brutto e trascurato, con una barba sporca ed incolta e una linea corpulenta e tozza, era certa che solo con la sua mano sarebbe stato capace di stenderla a terra. Gli girava il più a largo possibile, perché non le piaceva lo sguardo che le rivolgeva, sguardo che in realtà riservava a chiunque, a parte George stesso o suo zio Cary.
E quando una mattina, poco prima di uscire di casa per il suo tè con Caroline e Demelza, George la mandò a chiamare, ebbe il sentore che ci fosse qualcosa che non andava. La ricevette nello stesso salottino doveva si era svolto il suo colloquio con Cary Warleggan: il fuoco era acceso e sul tavolino basso di fronte al camino, George aveva fatto preparare un vassoio con due tazze da tè e una teiera fumante. Aveva l’impressione che non sarebbe riuscita a schiodarsi da quella casa per un bel po’, e sperò che sia Caroline, che Demelza, non si offendessero se fosse stata costretta ad arrivare più tardi al loro incontro.
“Isla, la prego, si segga” fece gentile, indicandole sul divano il posto affianco al suo. “Mi spiace disturbarla durante il suo giorno libero, le prometto che le ruberò al massimo una mezz’ora.”
Isla chinò il capo, ubbidiente, cercando di trattenere una smorfia di impazienza. Mezz’ora era decisamente troppo. Sarebbe arrivata tardissimo al villaggio, ma era sicura, almeno da una parte, che le due amiche avrebbero compreso che c’era stato un imprevisto e che sarebbe arrivata molto dopo l’orario previsto.
Quella mattina George sembrava rigido e algido come al solito, ma non era la prima volta che si soffermò sul fatto che lo trovasse un uomo attraente. Ormai entro un anno avrebbe raggiunto la soglia dei quaranta, eppure li portava benissimo, quasi come se ne avesse cinque o addirittura sei in meno. Aveva perso una moglie da meno di un anno e non ne portava più il lutto. Ora che era nuovamente sul mercato, vedovo e con un patrimonio piuttosto consistente, era certa che si sarebbe risposato di nuovo. E sicuramente, sua moglie, avrebbe preso le redini dell’educazione di Valentine e l’avrebbe mandata via: doveva soltanto pazientare un altro pochino. Non avrebbe avuto problemi a trovare un impiego da un’altra parte, ne era sicura, aveva delle referenze magnifiche.
“Buongiorno sir.”
“Gradisce una tazza di tè?”
“Volentieri.”
George tornò zitto mentre le versava il tè dalla teiera. Isla rimase a guardarlo stringendo nervosa le mani sul vestito viola che indossava. Ne sorseggiò un po’ prima che lui riprendesse a parlare.
“Raccontatemi, che cosa fate solitamente nel vostro giorno libero, Isla?”
Cercò di non trasalire. Francamente, benché non avesse mai fatto nulla di male a frequentare sia Caroline che Demelza, provava un senso di disagio allo sguardo inquisitore del signor Warleggan.
“Esploro i dintorni, sir George. Solitamente mi reco al villaggio.”
Isla sapeva che benché fosse il suo datore di lavoro, George non avesse alcun diritto a disquisire sulla sua vita privata e su come gestisse il suo tempo libero, eppure quelle parole mancavano di uscirle dalla bocca. Si sentiva come una bambina piccola beccata a combinare qualche guaio.
“Potreste spiegarmi come mai Tom vi ha vista uscire da casa della signora Enys sabato scorso?”
Isla si puntellò sul posto a sedere. Se Harry non le era mai piaciuto e le aveva sempre messo i brividi, quella era la definitiva conferma che non le sarebbe mai andato a genio. Le venne in mente quello che le aveva detto Caroline durante uno dei loro incontri, che non c’era da fidarsi di George, che lei gli era stata sempre diffidente e che i loro rapporti si erano ridotti al minimo indispensabile, proprio perché, essendo due delle persone più ricche della zona, non potevano evitare di frequentarsi.
“Mi avete fatta seguire?!” domandò indignata.
George trasalì e rischiò di rovesciarsi il tè bollente addosso. La sua reazione inaspettata le parve sincera: le fu evidente che non avesse mai tentato di farla spiare.
“Per l’amor del cielo, Isla, assolutamente no! Tom Harry si è trovato a passare di lì per delle mie commissioni e vi ha vista uscire dalla casa della signora Enys.”
Isla trattenne un sospiro di sollievo. Non si fidava ancora totalmente della versione di George, ma se si trattava soltanto di Caroline, poteva ancora cavarsela. Francamente non vedeva comunque perché dovesse nascondergli che frequentava anche Demelza Poldark: in fondo la vera faida era col marito, cosa centrava lei?
“Ho conosciuto la signora Enys dal sarto, sir George. È stata molto gentile con me e siamo entrate subito in sintonia, tutto qui. Lo scorso sabato mi ha invitato a pranzare da lei e io ho accettato. Ma non ho ancora capito perché debba darvi delle spiegazioni.”
George non rispose. Era la prima volta che aveva a che fare con l’audacia di quella ragazza: bevve un altro sorso del suo tè e osservò l’atteggiamento quasi stizzito di Isla, che sembrava offesa dall’aver ricevuto un quasi affronto.
“Mi spiace se vi ho ferita, non era mia intenzione. Tra me e la signora Enys non c’è un grande dialogo, ma è una donna assolutamente rispettabile” dichiarò. E anche quella volta, dal tono che assunse, George le parve sincero. “Se volete invitarla qui a Trenwith, nel vostro giorno libero, per me non c’è alcun problema.”
“Vi ringrazio sir George”rispose Isla. Voleva chiudere quella conversazione il prima possibile. Non avrebbe mai invitato Caroline lì, sinceramente, aveva la sensazione comunque di sentirsi gli occhi di George addosso, nonostante tutto.
Quella situazione stava diventando paradossale.
“Volevo chiedervi un’altra cosa” continuò George, cercando di attirare nuovamente il suo sguardo. “La prossima settimana gli Enys terranno un ricevimento in casa, Caroline ve ne ha già parlato?”
Isla annuì, non aveva senso mentire. Le aveva detto che avrebbe volentieri partecipato, ma ovviamente, con tutta la questione di George, non ci aveva nemmeno pensato ad accettare.
“Sono stato invitato per pura cortesia, pur non essendo particolarmente gradito. All’inizio avevo pensato di rifiutare, ma dato che Caroline è vostra amica, ho pensato che potremmo andarci insieme. Visto che conoscete soltanto lei, vorrei farvi conoscere dei miei amici e mostrarvi invece di chi diffidare.”
Isla dovette prima fermarsi un attimo e assimilare quello che George le aveva appena detto. Non era ben chiaro dalle sue parole se avesse dato per scontato che fosse venuta a conoscenza dei Poldark soltanto perché diventata amica di Caroline; o se Tom, dopo l'ultima volta che l'aveva spiata fuori dalla porta degli Enys, l'avesse seguita già altre volte su ordine del suo padrone e lui ora stesse già tessendo una ragnatela di cui era inconsapevole. Probabilmente, da qualche parte, George Warleggan già sospettava che conoscesse i Poldark.
Non aveva senso vuotare il sacco nel caso in cui lui non sapesse niente e anche se fosse stato, Demelza ora era sua amica e frequentarla non significava certo pugnalare il suo datore di lavoro o fargli un torto alle spalle. Non comprendeva ancora tutto quell'astio fra le due famiglie, come se le sue amiche non le avessero ancora detto tutto per non turbarla, ma iniziava ad averne abbastanza di fare da spola tra le due parti. Se aveva voglia di fare delle amicizie doveva essere libera di farlo senza alcuna costrizione.
"Credo di saper riconoscere da sola di chi potermi fidare, sir George" rispose, soppesando ogni parola e gustandosi la faccia del signor Warleggan mentre le pronunciava. Era una sua sottoposta, ma chiunque George Warleggan fosse, Isla non sarebbe mai stata una sua pedina.
Tuttavia, con un sorriso sbilenco, si ritrovò a pensare che l'unica cosa che potesse fare, per accedere a quella festa degli Enys a cui desiderava partecipare, era proprio quella di ingraziarsi il suo datore di lavoro.
"Ma sarò ben lieta di accompagnarvi al ricevimento."
George rimase in silenzio, con un'espressione dapprima sorpresa, e poi via via più composta. Le rivolse un sorriso di circostanza che tratteneva un certo nervosismo, mentre lei si congedava e lasciava la sua tazza di tè piena per metà sul tavolino del salotto. "Ora vi chiedo scusa, ma devo proprio andare. Vi auguro una buona giornata."
* * *
Nella settimana che precedette l'evento, Isla e George si incontrarono a malapena. Sir Warleggan trascorreva la maggior parte del suo tempo fuori casa e non si fermava più a pranzo. Quando rincasava, lei e Valentine avevano quasi sempre già cenato e si erano ritirati nelle proprie stanze. Di mattina usciva sempre per primo, quindi da quella discussione, le occasioni tra i due per salutarsi, pur vivendo all'interno della stessa casa, si erano letteralmente sprecate.
Isla temette che George si fosse persino scordato del ricevimento perché, ad un paio d'ore dall'inizio, ancora non era rientrato in casa. La domestica che le era stata messa a disposizione, la stessa che l'aveva accolta per la prima volta e il cui nome era Anne, le venne perciò a chiedere se dovesse aiutarla a prepararsi per l'evento.
Isla sospirò: non sapeva che fare. Tuttavia voleva davvero andare alla festa degli Enys, indipendentemente da George, quindi cominciò comunque a prepararsi. Si fece un bagno caldo e molto veloce, poi Anne l'aiutò ad infilare il vestito rosa che aveva fatto confezionare il giorno in cui aveva conosciuto Caroline. Aveva pensato di tenerlo da parte per il Natale a Trenwith, ma effettivamente sir George aveva già visto tutti i suoi abiti e non voleva che si lamentasse perché non se n'era fatto confezionare uno nuovo in occasione di un ricevimento in cui sarebbe stato il suo accompagnatore. Le sembrava proprio il tipo che si sarebbe lamentato per una cosa del genere.
Arrivando insieme avrebbero attirato sicuramente delle occhiate, ma era certa che George avrebbe saputo dissipare qualunque pettegolezzo col suo savoir-faire. Senza contare che Caroline e Demelza conoscevano la verità dei fatti ed era questo che per lei maggiormente contava, al di là di ogni altra cosa. Nel loro ultimo incontro si erano accordate perché Isla fingesse di non conoscere Demelza, anche perché sicuramente si sarebbero incontrate al ricevimento e non dovevano destare alcun sospetto in George, sempre che lui già non sapesse o sospettasse ogni cosa. Quando Isla aveva provato ad indagare di più sulla faida, le due amiche si erano perse nei preparativi dell’evento, e lei non se l’era sentita di fare la guastafeste.
Ora, di fronte alla sua specchiera, optò per una pettinatura semplice e raccolta all'indietro. Anne le propose di infilare dei fiori freschi all'interno dello chignon che le aveva fatto e Isla approvò, osservando, pochi minuti dopo, il risultato del suo riflesso allo specchio.
"Siete un incanto" si lasciò sfuggire la sua domestica.
Isla si sentiva benissimo e a proprio agio. Si sentiva bella, donna, come se quell'abito valorizzasse non solo la sua figura minuta, ma anche la sua vera età. Di solito la scambiavano per una ragazza molto più giovane.
"Per favore, va' a controllare che sir George sia rientrato" ordinò ad Anne.
Era certa che una volta riaperta la porta avrebbe ricevuto una risposta negativa, ma, quando Anne fece nuovamente capolino nella stanza, le disse che sir George era arrivato e che l'aspettava in sala da pranzo, dove si stava riposando un attimo. Era stanco, ma era arrivato con quel pensiero a Trenwith: non avrebbe di certo perso quel ricevimento e anche l'occasione di incontrare faccia a faccia quei creditori che ancora non gli avevano restituito i prestiti elargiti un anno o pochi mesi prima.
Isla uscì dalla sua camera e scese le scale, dopo pochi passi percorsi si ritrovò in sala da pranzo, dove George, evidentemente provato da una corsa dell'ultimo minuto per arrivare in tempo, era però già pronto con un vestito nuovo di colore bordeaux. In piedi accanto alle tende, fissava distrattamente qualcosa fuori dalla finestra. Il rumore delle sue scarpe lo spinse a voltarsi nella sua direzione e quello che lesse nel suo sguardo fu totalmente diverso dall'apatia che vedeva sempre in lui. Sembrava colpito.
"Sir George" lo salutò, chinando rispettosamente il capo.
"Isla" fu tutto quello che riuscì a dirle. Forse voleva farle anche un complimento, ma dalla sua bocca non uscì nessun’altra parola.
Isla si sentì leggermente a disagio sotto i suoi occhi chiari. Sistemò una piega invisibile sul vestito e restò in attesa che la raggiungesse, visto che erano ancora lontani, ma sembrava che da quel punto vicino alla finestra lui avesse trovato l'angolazione giusta per osservarla per bene.
"Siete pronto?" domandò allora per sciogliere l'imbarazzo, e George sembrò rendersi conto di essere rimasto imbambolato e di aver fatto la figura dell'idiota.
In fondo non c'era niente di male, non gli capitava di restare colpito così dai tempi in cui aveva conosciuto Elizabeth: fin quando c'era stata lei, non aveva avuto occhi per nessun'altra donna. Ma ora lei non c'era più e si trovava di fronte ad una giovane ed avvenente donna che si era presentata al meglio per un ricevimento. Non c'era niente di male a restarne per un attimo folgorati o a trovare il coraggio di farle un complimento. Suo zio gli ribadiva sempre di guardarsi attorno, che poteva ancora sistemarsi e sfornare nuovi eredi, invece lui non riusciva a staccarsi dal ricordo della sua prima moglie.
"Sono pronto" confermò.
* * *
Il tragitto verso la casa degli Enys per fortuna durò poco: l'atmosfera tra Isla e George era diventata pesante dopo quello strano momento avvenuto in sala da pranzo. Quando giunsero a destinazione, il vento gelido della Cornovaglia schiaffeggiò i loro volti arrossati dal calore della carrozza e dell'imbarazzo.
Per un attimo, quando sir George alzò il braccio nella sua direzione, Isla sembrò non capire. Poi, dopo un instante di confusione, comprese che dovesse camminare sottobraccio al suo accompagnatore e così fece, mentre un domestico all'ingresso, annunciava il loro arrivo.
La stanza in cui gli Enys avevano allestito il ricevimento era la sala da pranzo. Era calda e accogliente. Avevano spostato il tavolo su un lato ed imbandito un banchetto di tutto rispetto, probabilmente lo spazio lasciato al centro sarebbe stato riservato ai balli, visto che, da un altro lato della sala, avevano assunto degli strumentisti per movimentare l'atmosfera, che risultava essere molto rilassata pure se gli invitati erano numerosi e il vociare si era fatto consistente.
"George, Isla!" esclamò gioiosa Caroline, correndo loro incontro. In realtà era evidente che Caroline fosse più contenta di vedere Isla che George. Era più che probabile che avesse esteso il suo invito anche a lui nella speranza di riuscire in questo modo a vedere la sua amica. "Siete venuti."
Caroline era divina. Indossava un abito blu cobalto e sebbene la sua acconciatura non fosse diversa dalle solite con cui Isla l'aveva vista, quel tocco di semplicità non le impediva di essere comunque raggiante. Anche Dwight era molto elegante, in realtà Isla era consapevole che, come la moglie, sarebbe stato bello pure con uno straccio addosso. Nei giorni in cui si erano incontrati, non lo aveva mai visto indossare panciotti, ma solo camicie e giacche molto pratiche e veloci, come se dovesse uscire da un momento all'altro per assistere qualsiasi emergenza medica nei dintorni.
"Buonasera, Caroline" si complimentò George, mentre la padrona di casa si scioglieva dall'abbraccio con Isla. "Sapere che siete amica della signorina Wood, non può che allietarmi."
"Non c'è bisogno di essere così formali, George. Isla ed io ci siamo conosciute per caso dal sarto e siamo state sin da subito inseparabili" gli rispose Caroline, con un sorriso smagliante. "Tra l'altro sono certa che non avreste potuto trovare istitutrice migliore per il vostro Valentine, data la sua intelligenza e pazienza."
George annuì e quando si voltò verso Isla, con uno sguardo che non gli aveva mai visto in volto, le sorrise per la prima volta: il primo vero sorriso che le rivolgeva, senza malizia. Non sorrideva mai, di solito ghignava. Ma ora George... sorrideva.
"Sì, è vero. Non potevo trovare di meglio per mio figlio."
Isla restò per un attimo senza parole. Guardò George per capire se fosse davvero serio e poi sorrise a sua volta. Ancora una volta, come nel salottino, le sembrò sincero. Perché solo lei riusciva a vedere quel tratto di lui?
"Grazie."
* * *
Nella mezz’ora successiva, George la presentò ad un gruppo di invitati diversi di cui dimenticò il nome dopo cinque minuti. Isla cercava di riservare i sorrisi più brillanti che riuscisse a trovare, ma dopo un po’ iniziò a sentir male alle labbra per lo sforzo continuo di apparire sempre affabile e chiese a George di poter fare una pausa.
Lui non obbiettò, dicendo che sarebbe andato a prenderle qualcosa da bere: le chiese cosa gradisse maggiormente, ma Isla gli lasciò carta bianca.
Finalmente da sola, in piedi in un angolo della stanza, sentì di aver smesso di girare come una trottola e poté osservare meglio quello che accadeva attorno a sé: da un lato, nel punto in cui era entrata assieme a George, vide finalmente sbucare la faccia familiare di Demelza a braccetto di un uomo che non aveva mai visto.
Fu palese che si trattasse del marito che non aveva mai visto, ma di cui tanto aveva sentito parlare: Ross Poldark indossava un lungo completo scuro e i capelli, che gli arrivavano fino alle spalle, li aveva lasciati liberi, senza bisogno di dar loro una forma. Francamente, apparteneva a quella rara categoria di uomini che Isla osò pensare, potessero permettersi anche di andarsene in giro con una capigliatura così selvaggia.
Rispetto a Dwight, che era bello in maniera oggettiva, Ross era invece intrigante, benché Isla fosse consapevole che non sarebbe mai stato il suo tipo. Anche Demelza era splendida: indossava un abito verde acqua in stile impero, che le lasciava parte delle braccia scoperte, e due paia di guanti dello stesso colore piuttosto lunghi. La capigliatura rossa e ribelle l’aveva lasciata libera di esprimersi dietro le spalle. Lei e Ross sembravano una coppia ben assortita, tanto quanto lo erano Dwight e Caroline.
Per un po’ Isla non riuscì a distogliere lo sguardo da Ross. Era dunque lui l’uomo che George tanto detestava? A vederlo, anche solo a primo impatto, sembrava una brava persona, sorridente e gentile, e a giudicare da quanto sembrassero andare d’accordo con i padroni di casa, soprattutto dai sorrisoni che si rivolgevano l’uno l’altro, Isla non poté fare a meno di pensare che l’unica persona da biasimare fosse George, perché non vedeva niente in Ross Poldark da essere così detestabile da attirarsi un odio viscerale che segnasse una faida tra le due famiglie. Eppure, formulare un giudizio soltanto sull’impatto di una prima impressione, non poteva essere più sbagliato, proprio perché Caroline e Demelza non le avevano mai detto tutto e non poteva essere certa che, magari, Ross non avesse fatto un qualche tipo di torto al padrone di Trenwith che non gli fosse mai andato giù.
“Sono arrivati” sussurrò George, e Isla sussultò perché non si era affatto accorta che era tornato. Le porse un calice con una bevanda rossa che, ad annusarla, le parve vino fruttato.
“Li conoscete?” domandò con voce innocua, non aveva senso mentire e dire che non li stesse osservando. In fondo stava solo guardando, no?
George annuì, sembrò non essersi accorto del suo tono. “Purtroppo sì. Una coppia di miserabili.”
Isla dovette trattenersi dal difendere Demelza.
“Che intendete dire?”
George si avvicinò di più a lei per non dover essere costretto ad alzare la voce.
“Lui è Ross Poldark, uno che disdegna la sua classe sociale, proprietario di una miniera nelle vicinanze e anche parlamentare. Lei invece è sua moglie Demelza, era la sua domestica e ora, dopo un matrimonio di quasi tredici anni fa, grazie a lui fa la signora.”
Isla dovette trattenersi dal dover dire nuovamente qualcosa a favore dell’amica, ma non poté fare a meno di mostrarsi sorpresa. Quella parte del matrimonio fra i Poldark le era sconosciuta: Demelza non le aveva mai raccontato come si fosse innamorata di Ross e né tantomeno aveva fatto cenno alle sue precedenti condizioni sociali. A dire il vero, ben vestita, curata e pettinata, e anche a modo, non le aveva mai dato l’impressione che le sue origini fossero umili, non che ci fosse qualcosa di cui vergognarsi. E poi la spiazzava il fatto che anche lo stesso George, dal suo tono di voce, sembrasse disprezzare così tanto quelli delle classi più basse: anche lui proveniva da una famiglia di fabbri e poi col tempo si era fatto un nome. Che male c’era?
“Non... vi sono simpatici?” azzardò a chiedere, anche se la risposta le parve palese.
George non la guardò nemmeno. “Sono le ultime persone sulla Terra che potrebbero starmi simpatiche, mia cara. “ Poi sospirò. “Non ci credo. Vengono verso di noi.”
Isla osservò Caroline e Demelza camminare assieme ai rispettivi mariti nella loro direzione. Anche Ross aveva fatto una brutta faccia quando si era accorto di George e aveva finto di conversare qualcosa di improvviso con Dwight, pur di ritardare il più possibile il loro incontro, anche semplicemente camminando come una lumaca. Isla fece caso a come il volto di Demelza si sforzasse di apparire cordiale con George, che non faceva nemmeno la fatica di fingersi gentile. Beveva il suo vino volgendo la testa da un’altra parte.
“Ross, Demelza, posso presentarvi la signorina Wood? Questa sera è l’accompagnatrice di George, ma lavora come istitutrice del piccolo Valentine a Trenwith.”
Isla sorrise agitata, presentandosi, come se fosse la prima volta, a quella che era già una sua amica.
“Buonasera, George” aggiunse poi Demelza, a denti stretti.
Lui le fece appena un cenno con la testa e lo stesso fece col marito, come se avesse già fatto più del dovuto. Ross non si scompose nemmeno, anzi, a malapena lo salutò. A dire il vero Isla sembrò sorpresa dello sguardo che le rivolse successivamente, passando prima a lei e poi a George, come se volesse cercare di comprendere di più sul loro legame.
“Buonasera, signorina Wood” la salutò educatamente. La sua voce era calda e profonda.
“Buonasera, signor Poldark.”
“Isla è arrivata un mese fa” cominciò Caroline, come se volesse togliere dall’impaccio l’intero gruppo da quella situazione confusa. “Non conosce molte persone in città e ho pensato che invitarla qui al nostro ricevimento fosse una buona occasione per fare amicizia.”
“Un’ottima idea” aggiunse sarcastico George, alzando in aria il suo bicchiere come a voler fare un brindisi invisibile.
Caroline finse di non aver colto la provocazione nel suo tono di voce e sembrò incitare Demelza con lo sguardo a portare avanti la conversazione. Ross Poldark e Dwight si stavano già allontanando con una scusa, così Demelza cominciò a farle delle domande di cui sapeva già la risposta, per non destare alcun sospetto in George. Quest’ultimo, dopo aver ingollato l’ultimo sorso dal suo calice, si congedò frettolosamente dicendo che sarebbe andato a prendersi un altro po’ di vino, ma in realtà, ben presto, seguì una direzione del tutto diversa da quella del banchetto, incamminandosi verso la porta che portava ai giardini.
Per le tre amiche fu l’occasione di tirare un sospiro di sollievo, e anche il momento per sorridere fra di loro della piega che la serata aveva preso. Chiacchierarono per una decina di minuti, buttando qua e là uno sguardo alla sala per assicurarsi che George non le vedesse così complici, e poi Caroline si allontanò per aprire le danze assieme al marito. Gli strumentisti, come se avessero ubbidito ad un ordine invisibile, iniziarono a strimpellare una musica decisamente più allegra, e diverse coppie presero posto al centro della stanza.
Isla si appartò sorseggiando un altro po’ del suo vino. Da quella posizione riusciva a scorgere per bene i volti innamorati di Dwight e Caroline, ma anche quelli di Ross e Demelza. Era la prima occasione in cui Isla aveva modo di vederli effettivamente insieme, e a guardarli bene si capiva perfettamente che il loro matrimonio dovesse essere per forza basato su un sentimento forte. Erano complici, anche nei passati sbagliati, pure quando rischiavano di attirarsi le occhiatacce del resto della gente. Isla era sempre stata bene da sola, ma... a vedere una cosa del genere, provò qualcosa di vagamente simile all’invidia. Anche lei, come mai prima di quel momento, desiderò qualcosa di così speciale con qualcuno.
Aveva avuto qualche cotta negli anni passati, certo, qualche corteggiatore, e persino un grande amore. Ma dopo i venticinque anni si era praticamente bruciata la piazza attorno e quando scopriva che le sue passioni non potevano conciliarsi con quelle dell’altra persona, preferiva troncare tutto sul nascere. Non vedeva la necessità di portare avanti una relazione dove sapeva che tutto sarebbe stato soffocato sul nascere.
Stava per andare a servirsi un altro calice di vino quando, durante il secondo ballo, si accorse di un ragazzo alto e allampanato che sembrava dirigersi proprio verso di lei. Distolse lo sguardo, per un attimo credette di essersi immaginata tutto; ma alla seconda occhiata fu chiaro che, quel bell’imbusto si stesse dirigendo proprio verso di lei. George le aveva presentato il padre, un uomo alto come il figlio ma più corpulento. Non ne ricordava il nome, ma sicuramente quel ragazzo le aveva dato l’impressione di essere un po’ troppo viziato e prepotente. Iniziò a cercare frettolosamente un posto nel quale allontanarsi alla sua vista, ma era tutto aperto proprio perché la maggior parte delle persone era in pista.
Si sentiva quasi come un animale in trappola.
“Perdonatemi, lord Wright.”
Isla si voltò, George le si era letteralmente parato davanti. Non si era nemmeno accorta del suo ritorno, pensò, mentre il ragazzo fissava entrambi con aria un po’ confusa. Sarebbero bastati due secondi in più e avrebbe dovuto avere a che fare con quel pallone gonfiato. Sembrava essere uno non troppo pratico con i rifiuti.
“La signorina Wood questa sera è mia accompagnatrice” gli spiegò, con un sorriso serafico. “Il primo ballo deve essere mio.”
George strinse la sua mano con una presa così salda che Isla non fu capace di dire nient’altro, nemmeno per farfugliare a lord Wright le scuse più patetiche del mondo. La portò in un angolo della pista e a quella distanza, lui sembrò bearsi della vista di quel rampollo emaciato che era rimasto nello stesso punto con un pugno di mosche in mano. Isla dovette trattenersi dal ridere.
“Chi ve lo dice che questo è il mio primo ballo?” gli domandò un po’ piccata.
Mentre cambiavano di posizione, George la guardò inarcando un ciglio.
“Credo che il fatto che cercaste di scappare da lord Wright sia una risposta sufficiente.”
Isla inclinò un po’ la testa. In effetti...
 “Suo padre è un ottimo cliente, ma il figlio è un buon a nulla. Averci a che fare, per me, è pura cortesia” spiegò George, mentre la musica degli strumentisti si faceva sempre più incalzante. “Non dategli troppa confidenza.”
“Come non dovrei dare confidenza ai Poldark, immagino.”
George sembrava stesse per fermarsi per come la fulminò con lo sguardo. Un conto era essere diretta, un altro era che gli rispondesse così di slancio. Non poteva farci niente: le era venuto spontaneo.
“La signora Poldark vi ha messo immediatamente al corrente, vedo.”
“Non è stata la signora Poldark” rispose immediatamente. Doveva trovare subito un senso a quell’uscita di poco prima.
Era già amica di Demelza, ma George non lo sapeva. Doveva ricordarselo!
“Me ne sono accorta soltanto a vedere come vi guardavate voi e il signor Poldark” continuò, più tranquilla. “E per la cronaca, sir, la signora Demelza mi sembra una persona a modo.”
George fece un ghigno. La musica si spense e i presenti fecero un applauso, per poi ripartire immediatamente quando gli strumentisti iniziarono a suonare una melodia più lenta. Isla fece per allontanarsi, un po’ agitata per come avesse affrontato George così d’istinto, ma lui la trattenne e la trascinò nuovamente in pista.
“Non ancora, aspettate. Concedetemi un altro ballo.”
Isla non obiettò, accorgendosi di sentire quasi il fiato sul collo di lord Wright che sembrava non essersi ancora arreso. Continuò a ballare assieme a George, sapendo che con quel secondo invito sicuramente le occhiate all’interno della sala si sarebbero sprecate.
“Le mie questioni private non vi riguardano” le disse. Parlava a voce troppo bassa per sovrastare la musica, ma Isla riusciva a capirlo. “Voglio solo farvi capire che sono vostro alleato, non vostro nemico. Non intendo mettervi i bastoni fra le ruote.”
In realtà, dal tono con cui le parlava, a Isla sembrò che le sue parole suonassero come un vero e proprio ordine. Non distoglieva mai lo sguardo dal suo, tanto per fargli recepire il messaggio che non avrebbe abbassato la testa ai suoi avvertimenti. Ma voleva anche fargli capire che, lavorando per lui, non sarebbe mai stata scorretta nei suoi riguardi, indipendentemente dal tipo di persone che avrebbe frequentato. Era vero, qualche giorno prima aveva pensato di andarsene alla prima occasione possibile perché non le era piaciuto quel poco che aveva saputo di George dalle sue amiche, ma fino a quel momento non si sarebbe mai comportata male. Ci aveva riflettuto, e aveva capito che nonostante tutto, si fosse affezionata troppo al piccolo Valentine per andarsene così su due piedi, quindi al momento la situazione restava tale.
“Sir George” disse calma. “Come vi ho già detto, credo di saper comprendere di chi potermi fidare oppure no. Me la sono cavata da sola per tanto tempo e ho intenzione di continuare a farlo, per il resto della mia vita.”
Prese una pausa, mentre lui la faceva volteggiare per poi stringerla di nuovo a sé. Isla si sentì mancare un attimo il respiro per un mix di cose insieme.
“Ma voglio anche che sappiate che lavoro per voi, e che vi sono fedele” proseguì, guardandolo per bene. “Non vi tradirei mai. Qualunque sia il tipo di attrito che vi separi dai Poldark, e indipendentemente dal fatto che io possa diventare loro amica.”
George rimase zitto e anche stavolta Isla sperò di non aver fatto il passo più lungo della gamba, mentre la melodia degli strumentisti continuava e lui la stringeva a sé più e più volte con movimenti meccanici. Osservò un particolare di Isla: lei lo guardava negli occhi. Anche Elizabeth lo faceva, con sicurezza, ma a volte sembrava perdersi in qualche altro meandro della sua mente. Isla invece aveva gli occhi più azzurri, più decisi, e più cristallini che avesse mai incontrato. Gli fecero impressione.
“Va bene” fu tutto ciò che riuscì a rispondere.
“Va bene?” ripeté lei, incredula. Non si aspettava che le dicesse solo quello.
“Sì, tutto qui. Vi credo” replicò. “Ora però voglio solo ballare.”
Furono le ultime parole che le rivolse durante il ballo, prima che la facesse girare di nuovo.


 
Angolo dell’autrice
Eccomi di ritorno! In questi giorni questa fanfiction mi ha così tanto ispirata che ho continuato a scrivere di fila altri tre capitoli. Tuttavia mi prenderò un altro po’ di tempo per correggerli e rileggerli fino allo sfinimento, così da avere una visione di insieme e non lasciare buchi di trama, per così dire.
Questo è un capitolo in cui sostanzialmente non succede chissà che cosa, ma quello che succede è importante per il rapporto tra George ed Isla e soprattutto per quello che accadrà successivamente.
Ringrazio chi, nel primo capitolo, è passato a lasciare una recensione o chi è soltanto passato a dare un'occhiata: sapere di aver attirato la vostra attenzione, per me è davvero meraviglioso.
Vi abbraccio e aspetto ancora i vostri pareri.
Lady Warleggan
 

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Capitolo 3
*** Tre. ***


Tre.


 
Nelle settimane che precedettero il Natale, George le passò quasi sempre fuori casa. Soggiornava a Londra ormai più a lungo del solito, l'attività di banchiere e quella nella politica assorbivano tutto il suo tempo, quindi non c'era verso di tornarsene in Cornovaglia neanche per un breve saluto.
I suoi figli erano in mani sicure. La piccola Ursula cresceva a vista d'occhio e lui si stava perdendo anche quei brevi momenti in cui iniziava a camminare, ma non riusciva a guardare troppo lei e Valentine senza rivedere Elizabeth nei loro occhi. Quel quadro che aveva fatto dipingere per lei ormai se ne stava a prendere la polvere sotto ad un vecchio panno nella sala da pranzo e non c'era verso che riuscisse a guardarlo per più di un minuto senza sentirsi in colpa.
In Cornovaglia, nel frattempo, ora che era arrivato un inverno ancora più intenso e tremendo che congelava le ossa, e la neve aveva cominciato a scendere copiosa, per Valentine e Isla era diventato praticamente impossibile fare anche solo una piccola passeggiata lungo la scogliera o in spiaggia, quindi le giornate a Trenwith divennero sempre più monotone e anche Isla cominciava ad esaurire i suoi assi nella manica per tentare di non annoiare il piccolo Valentine. Senza contare che, da qualche tempo, il bambino stava diventando insofferente all'assenza del padre, piangeva tanto e spesso, e a volte senza un particolare motivo. In quelle occasioni si stringeva a Isla come se in lei potesse sopperire quel vuoto che George aveva lasciato con la sua assenza.
Isla non dubitava che amasse i propri figli, ma era anche certa che quell'uomo stesse anteponendo se stesso ai bambini. Un padre doveva essere presente, guidare i propri figli, vederli crescere. George si stava perdendo tutto quello ed era certa che un giorno se ne sarebbe pentito, qualunque fosse il motivo che lo portasse così lontano da Trenwith, al di là dei copiosi impegni lavorativi.
Ormai mancavano pochi giorni al Natale quando Valentine si ammalò. Una notte, Anne venne a svegliarla tutta trafelata, ma non ci fu nemmeno bisogno che bussasse alla sua porta, perché i suoi passi concitati avevano disturbato immediatamente il sonno di Isla.
"Che succede?" scattò, in allerta.
"Mi spiace se l'ho svegliata, signorina. Il bambino ha la febbre, sta molto male. Non lascia avvicinare nessuna delle cameriere e chiede soltanto di voi e del padre."
Isla si stropicciò gli occhi, stremata, ma si alzò subito dal letto. Il suo orologio in camera segnava le tre di notte: disse ad Anne di ritornare da Valentine e che l'avrebbe raggiunta a breve. Si cambiò indossando lo stesso abito usato il giorno prima e uscì velocemente fino ad arrivare alla camera del bambino, che non era troppo distante dalla sua.
L'aria al suo interno era fredda come un iceberg. Era più piccola della sua stanza, in dimensioni almeno. C'era un letto, una piccola libreria, un baule con i giochi e un guardaroba con dei cassetti.
Valentine, raggomitolato su se stesso, spalancò gli occhi non appena sentì la voce di Isla. Chiamò il suo nome piangendo e lei si precipitò accanto a lui, appoggiandosi al bordo del letto e controllandogli la temperatura corporea. Era molto caldo, sudava e tremava.
"Bisogna chiamare un dottore" disse ad una delle cameriere. "Qualcuno dovrebbe andar ad avvisare il dottor Enys, per favore."
Non ne conosceva altri in zona e francamente Dwight le aveva ispirato fiducia sin dal primo momento.
In casa non c'era nessun altro che avesse un'autorità come quella dei padroni, per questo fu naturale per il gruppo di domestici affidarsi a Isla, che sembrava sapere esattamente cosa fare.
"Qualcuno dovrebbe scrivere al signor George che il bambino sta male e ha la febbre. Domani, all'alba, manderemo il signor Harry a spedire la missiva."
A sentire quel nome, la restante parte delle cameriere rabbrividì. Isla avrebbe volentieri mandato qualcun altro, ma sapeva che l'unico celere in quel compito poteva essere soltanto quell'orco barbuto che tanto detestava. Avrebbe fatto qualunque cosa per ingraziarsi ancora di più il suo padrone, ne era sicura, pure se lo conosceva da poco tempo.
Sospirò e si voltò di nuovo verso Valentine, che aveva i capelli umidicci quando glieli accarezzò.
"Che ne dici se iniziamo a toglierci questi vestiti tutti sudati, eh?" gli chiese con estrema dolcezza.
"Ho freddo."
"E se li cambiassimo accanto al camino? Così resti al caldo."
Valentine non rispose, ma si limitò ad annuire, asciugandosi ancora un altro lacrimone, e non ci fu bisogno nemmeno che Isla si rivolgesse nuovamente alle cameriere per dir loro di accendere il fuoco, perché una di loro stava già armeggiando col legno all'interno del caminetto. Qualche minuto dopo, un lieve calore iniziò ad espandersi all'interno della camera e Valentine trovò la forza per lasciarsi trascinare fino al caminetto.
Isla asciugò il sudore dal suo corpo, lo aiutò a lavarsi con un panno imbevuto nell'acqua calda e poi lo rivestì con un'altra camicia da notte. Valentine era stanco e provato dalla febbre, e quando si aggrappò a Isla, lei glielo lasciò fare. Non volle saperne di rimettersi nemmeno a letto, stretto tra le sue braccia.
Così, mentre aspettavano l'arrivo del dottor Enys, si fece passare una coperta pulita e coprì Valentine dietro le spalle. Per un po' riuscì a camminare per la stanza tenendolo in braccio, poi fu costretta a sedersi sul bordo del letto perché il bambino era troppo pesante. Continuò a consolare Valentine che si lamentava per i tremori e per i dolori alle gambe dovuti alla febbre.
"Voglio il mio papà."
Isla si sentì morire quando gli sentì mormorare quella frase.
"Ci sono io qui."
"Sei proprio come la mia mamma."
Una cameriera che era rimasta all'interno della stanza trasalì quando Valentine pronunciò quelle parole. Anche Isla sembrava sconvolta da quell'affermazione: era diventata una presenza talmente costante nella vita di quel bambino che ora non poteva negare di costituire una figura materna per lui.
Non ebbe il coraggio di rispondergli niente, ma fortunatamente, dal piano inferiore, sentì provenire dei passi frettolosi, segno che Dwight Enys fosse finalmente arrivato. Qualche secondo dopo, aveva finalmente varcato la soglia della camera di Valentine e Isla tirò un sospiro di sollievo quando se lo ritrovò davanti.
Le domestiche avevano già sostituito le lenzuola e le coperte del letto mentre lei era accanto al camino a cambiare i vestiti al bambino, e ci volle un po' perché lui si staccasse dalla stretta con cui si era aggrappato a Isla. Riuscirono a farlo sdraiare a letto e Dwight lo visitò, ascoltando anche dalla voce stanca di Valentine i sintomi che aveva. Il dottore confermò che si trattava di una semplice febbre, ma che sarebbe rimasto fino all'alba perché lo sentiva troppo caldo e voleva assicurarsi che la temperatura scendesse con il medicinale che gli avrebbe dato.
Isla promise a Valentine una zolletta di zucchero se avesse mandato giù lo sciroppo del dottore e così fece. Un attimo dopo, Valentine aveva dimenticato il saporaccio della medicina e aveva insistito per tornare tra le braccia di Isla, ma Dwight, con voce dolce, lo aveva invece raccomandato di riposare.
"Mi sdraio accanto a te, va bene?" gli chiese perciò Isla, vedendo che non la smetteva di insistere.
Valentine alla fine si arrese e annuì. Per distrarlo dai dolori muscolari gli cantò una ninna nanna scozzese che nessuno all'interno di quella stanza fu in grado di decifrare. Dopo un paio di giri di canzone, il bambino era già più tranquillo e rilassato, e qualche minuto dopo avvertì la stanchezza delle palpebre e si lasciò vincere dal sonno.
Dwight e Isla lo sorvegliarono fino all'alba. Valentine dormì tranquillo per tutto il tempo, e alle prime avvisaglie del mattino, Dwight si assicurò che non avesse più febbre. Fortunatamente la medicina aveva fatto il suo dovere e il bambino aveva smesso di scottare, ma disse comunque che sarebbe ripassato dopo pranzo, per assicurarsi che le sue condizioni fossero effettivamente migliorate.
Isla lo ringraziò, e lasciò che una cameriera lo scortasse fino all'uscita. Anne, che era rimasta lì accanto a lei, la esortò a recarsi nella sua stanza per andare a riposare un po', ma non vi fu verso di schiodarla dal letto di Valentine. Isla le raccomandò semplicemente di andare ad avvisare Tom della missiva per sir George e lei ubbidì senza contestare altro.
Quando la lasciarono sola con Valentine, andò a ravvivare il fuoco e poi si stese di nuovo accanto a lui, avvolgendosi nella stessa coperta con cui aveva avvolto il bambino durante il suo sfogo notturno. Gli baciò i capelli scuri mentre dormiva tranquillo, dopodiché appoggiò la testa al cuscino e qualche minuto dopo crollò anche lei mentre il sole sorgeva dietro le tende della finestra.
* * *
George era tornato più presto in Cornovaglia, colto da un'improvvisa sensazione che a Londra gli aveva dato il tormento fino allo sfinimento. Di solito era piuttosto scettico sui presentimenti, ma questa volta si era convinto a mettersi in viaggio in carrozza senza ulteriori indugi: aveva frettolosamente fatto preparare un bagaglio da uno dei suoi domestici a Londra e si era immediatamente avviato. Aveva ancora molto da fare nella capitale, ma sentiva l'urgenza di tornare a casa.
Era arrivato in paese che era passata da poco l'alba, le strade erano ancora vuote e non vi era anima viva. Poco più avanti però, mentre distingueva soltanto desolazione attorno a sé, una figura ferma lungo la strada aveva agitato le braccia per farsi notare. George lo aveva riconosciuto dal finestrino della carrozza: era Tom. Doveva aver visto arrivare la sua carrozza da lontano.
Che fosse ubriaco? Sentiva di non aver tempo da perdere. Più si avvicinava e più però Tom gli sembrava sobrio, solo molto stanco e trascurato come al solito.
"Signor Warleggan, stavo proprio per venirle a spedire questa!" spiegò trafelato, quando George, roteando gli occhi, fece fermare cocchiere e cavalli.
Sembrava che Tom avesse fatto una lunga e veloce corsa e dato che non riusciva a parlare a causa del fiatone, gli strappò la lettera dalle mani e ne lesse velocemente il contenuto.
La sensazione...
Risalì di fretta in carrozza e ordinò al cocchiere di sbrigarsi a raggiungere casa sua. Tom rimase lì, a guardare a braccia spalancate la carrozza di Sir George andare via, chiedendosi cosa avesse fatto di male nella vita per meritarsi una tale indifferenza.
* * *
Quando finalmente i contorni di Trenwith si fecero più nitidi e corposi, George saltò praticamente fuori dalla carrozza rischiando di rompersi l'osso del collo. La casa era silenziosa quando di scatto aprì la porta di ingresso senza annunciarsi, segno che ognuno fosse impegnato nelle attività giornaliere e che probabilmente la missiva ci teneva soltanto ad avvisare di quello che stava succedendo in casa durante la sua assenza. Il cuore gli salì comunque in gola per la preoccupazione.
Si precipitò al piano superiore e la scena che si parò davanti, quando si ritrovò in camera di Valentine, non capì perché lo sorprendesse.
Suo figlio dormiva tranquillo, il suo petto si muoveva su e giù con regolarità e il volto sembrava rilassato. Il camino, in fondo alla stanza, si stava spegnendo.
Isla era invece sdraiata accanto a Valentine e una delle sue mani era proprio stretta a quella del bambino. Dormiva anche lei, come se avesse passato tutto il tempo accanto a lui, senza tregua. La sua treccia si era ormai quasi del tutto sciolta.
L'immagine della donna col vestito rosa, ardita e sicura di sé al ricevimento degli Enys, gli comparve alla mente come qualcosa di lontano. Davanti a lui quello che vide fu soltanto un ritratto sereno, di una donna che sembrava molto più giovane della sua vera età, che aveva fatto molto più di quanto fosse stato capace di fare lui stesso nel tempo che era rimasto vedovo. O forse in tutto quel tempo in cui era divenuto padre.
Sussurrò il nome di Isla tre volte, prima che lei finalmente riaprisse gli occhi e si guardasse attorno, con fare confuso, cercando la fonte del suo disturbo. La sua faccia mutò completamente espressione quando mise a fuoco George: si alzò di scatto dal letto e tentò di rimettersi a posto la treccia, ma ormai non c'era verso di sistemare i capelli. Le ricadevano morbidi e ondulati lungo le spalle del vestito.
"Sir George" disse con voce rauca.
"Non preoccupatevi Isla, è tutto a posto" le rispose lui, intuendo il suo palese imbarazzo mentre la vedeva toccarsi nervosamente i capelli e il vestito stropicciato. "Stavo tornando qui quando ho incontrato Tom per strada e ho letto la lettera.”
Si avvicinò a Valentine, gli toccò la fronte con un gesto affettuoso che Isla non gli aveva visto fare troppo spesso. Anzi, a dirla tutta, praticamente mai.
"Ho dovuto chiamare il dottor Enys, sir George" lo informò. "Dice che discuterà con voi della parcella."
"Che cosa vi ha detto?"
Isla ricapitolò quanto capitato la notte precedente. George ascoltò la sua voce stanca riassumergli quello che era successo in sua assenza: la febbre, i pianti di Valentine, e l’arrivo del dottor Enys. Aggiunse poi che il medico sarebbe ripassato in giornata per assicurarsi che i sintomi della febbre non si ripresentassero e per prescrivergli dell’altro sciroppo.
George si portò una mano al centro della fronte, come se avesse un terribile mal di testa.
“Sarete stanca, immagino” le disse. “Resto io accanto a mio figlio, potete ritirarvi nella vostra stanza, se lo desiderate.”
Isla si allontanò un po’ riluttante dal letto di Valentine, come se sentisse di non aver fatto ancora tutto. Avrebbe voluto aggiungere che quella notte il bambino aveva spesso reclamato la mancanza del padre, ma a guardare George si capiva perfettamente che in realtà non c’era bisogno di parlare, che forse lo aveva capito lui stesso senza che nessuno glielo dicesse.
“Mandate qualcuno a svegliarmi quando uscite per andare a lavoro.”
George alzò lo sguardo verso di lei, stava stringendo la mano di Valentine.
“Oggi non vado da nessuna parte, Isla. Potete riposare, resto io qui.”
* * *
Non ci fu verso di schiodare George da quella stanza per tutto il tempo, nemmeno quando Cary Warleggan passò chiedendo informazioni del nipote e lui lo congedò frettolosamente dicendogli di ripassare l’indomani. Isla, dalla ringhiera del piano superiore, dovette ammettere che veder uscire Cary Warleggan a passo innervosito con quell’assurda parrucca col codino, era una visione piuttosto divertente.
Valentine dormì sonni tranquilli fino all’ora di pranzo, quando si risvegliò. George si avvicinò gradualmente a lui con fare rilassato, Valentine sembrava parecchio sorpreso di trovarsi il padre sul bordo del letto.
“Papà” mugolò, a metà tra l’assonnato e lo stupore.
“Ciao, Valentine.” Si avvicinò per stringergli una mano e il bambino non si ritrasse. “Come ti senti?”
“Stanco. E mi fa male la testa” si lamentò imbronciato. George gli toccò nuovamente la fronte e si accorse che era di nuovo calda, ma non tanto da preoccuparsi.
Chiamò una cameriera per farsi portare una bacinella con dell’acqua fredda, ma non si allarmò più di tanto. Anche quando lui era piccolo, quando aveva l’influenza, la febbre si alzava e abbassava per due o tre giorni, poi, seguendo le giuste cure, era capace di tornare come nuovo.
O almeno, non si allarmò perché cercò di contenere il suo stato di agitazione in sé, dato che Valentine era sempre stato per natura un bambino cagionevole di salute. Ma il dottor Enys sarebbe passato presto, dopo pranzo, quindi poteva comunque stare tranquillo.
“Dov’è Isla?” chiese Valentine, mentre George gli passava una pezza fredda sulla fronte.
“Sta dormendo un po’, era stanca” gli spiegò il padre. “Ti va di mangiare qualcosa?”
Valentine scosse il capo. “Ho la nausea. Non mi va. Voglio solo vedere Isla.”
“Lasciamo che si riposi un altro po’, va bene? Poi la lascio venire qui.”
Il bambino annuì, poco convinto, e più tardi George riuscì a convincerlo a mandare giù un piatto di brodo. Non parlarono molto, aveva solo l’impressione che il bambino lo guardasse stralunato, come se risultasse alquanto strana la sua presenza in camera sua. E, subito dopo aver ingurgitato tutto il suo pasto, Valentine chiese nuovamente della sua istitutrice.
Anne, che era venuta a riprendersi il vassoio col piatto vuoto, lo rassicurò dicendo che subito dopo pranzo sarebbe passata da lui.
“Ti sei molto affezionato ad Isla” constatò George. “È brava, vero?”
Valentine fece un segno di assenso con la testa. “Sì.”
“E tu sei migliorato molto, grazie a lei.”
Suo figlio annuì ancora.
“Papà, posso farti una domanda?”
“Dimmi pure.”
“Secondo te la mamma si offende se ho detto ad Isla che me la ricorda?”
George si paralizzò. Dopo la morte di Elizabeth, non era mai riuscito a parlare apertamente di lei con Valentine. Ripensò a quando suo figlio aveva ritrovato in uno dei cassetti un medaglione con il ritratto di sua moglie e lui aveva dato di matto...
Valentine si era chiuso talmente tanto a riccio dopo quella sfuriata, che George si era ripromesso di non farlo mai più, ma l’indifferenza che gli stava dimostrando in quel periodo sicuramente non lo aveva aiutato. Aveva promesso ad Elizabeth che non avrebbe più avuto alcun dubbio, che avrebbe dato più considerazione a Valentine, ma quell’insinuazione che aveva fatto quella megera di Agatha Poldark ancora gli dava il tormento e non lo faceva dormire...
Però, dopotutto, Valentine... che colpa aveva della sua cattiveria o dei suoi dubbi?
Alzò una mano e fece un’impacciata carezza sui suoi capelli.
“No, non si offende” lo tranquillizzò. “Sono sicuro di no.”
Valentine si prese una piccola pausa. “Papà, la mamma mi manca. Tanto.”
George dovette fare un grosso respiro per evitare di piangere, soprattutto quando vide gli occhi lucidi di suo figlio.
“Lo so. Manca anche a me.”
 
 
 
Angolo dell’autrice
Eccomi di ritorno. Scusate per la prolungata assenza, ma questi ultimi giorni sono stati assurdi... sono stata operata di appendicite talmente tanto all’improvviso che non ci ho capito più nulla. Ora sto abbastanza bene, mi sto lentamente riprendendo dall’operazione e devo dire che leggere e scrivere mi aiuta parecchio a distrarmi. Cercherò di recuperare a breve le vostre storie e anche di commentarle.
Cosa ne pensate di questo nuovo capitolo? Spero che George non sia troppo OOC, ci tenevo ad analizzare il suo rapporto con Valentine che nella serie è sempre stato piuttosto complesso. Credo che George in un qualche modo tenga a Valentine, ma che il dubbio insinuatogli da Agatha Poldark lo tormenterà praticamente per sempre... e questa è una cosa su cui intendo lavorare all’interno di questa ff, soprattutto grazie all’aiuto di Isla, il personaggio che ho inventato io.
Aspetto i vostri pareri e vi ringrazio per quelli che avete lasciato nei capitoli precedenti.
Alla prossima
Lady Warleggan

P.S.: Vi ho lasciato in cima al capitolo un collage di mia creazione, con l'attrice che mi sono immaginata per il ruolo di Isla, la bellissima Jenna Coleman. Spero vi piaccia. :)

 

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Capitolo 4
*** Quattro. ***


Quattro.
 
Trenwith si preparò alla Vigilia di Natale con un clima del tutto differente rispetto a quello di sempre. La casa profumava di odori diversi, di portate che sarebbero rimaste a bollire e a cuocere per una giornata intera, di buono e calore. George aveva dato ordine che si facessero le cose come si deve pure se a tavola sarebbero stati solo in quattro: lui, Valentine, suo zio e l'istitutrice di suo figlio, cinque a voler contare pure la piccola Ursula.
Isla poté giurare di sentire, finalmente da quando si era stabilita lì, una parvenza di luce in quel posto, che aveva invece spesso trovato spettrale e antiquato.
Si era svegliata di buon mattino e aveva riletto la lettera dei suoi genitori arrivata qualche giorno prima, per cercare di formulare un testo di senso compiuto con il quale riuscire finalmente a dare una risposta a quelle parole insulse che aveva già letto.
I suoi genitori non erano contenti che avesse deciso di rimanere in Cornovaglia per le vacanze di Natale, ma comprendevano la sua scelta di non voler intraprendere un viaggio che le sarebbe costato giorni e salute, dato che affrontare un tragitto molto lungo sfidando il clima rigido e la neve della Gran Bretagna, di quei tempi, non rientrava esattamente nella sua idea di felicità.
Era consapevole che in realtà quella lettera fosse stata scritta più dalla mano di sua madre, che da quella di suo padre. Certo, anche suo padre sapeva essere pesante quando ci si metteva, ma sua madre... aveva capito che fosse stata più lei a scrivere quella lettera non solo dalla piega petulante con cui aveva preso piede il discorso, ma anche dal modo in cui aveva totalmente ignorato quello che le aveva raccontato su George e sulla sua famiglia nelle lettere precedenti.
Sua madre aveva parlato soltanto del matrimonio di sua sorella, avvenuto la scorsa estate, e di come, mesi dopo, non fosse ancora riuscita a rimanere incinta. Sua madre sembrava essere già disperata, sua sorella era a malapena sposata da qualche mese e già si davano per spacciate.
"Non solo una delle nostre figlie non ha intenzione di sposarsi, ma quella che ci è riuscita non aspetta ancora un bambino!" recitava una delle parti della lettera. E lei era consapevole che sua madre non le avesse lanciato soltanto una frecciatina, ma praticamente l'arco, tutte le frecce e pure il bersaglio.
Anche senza volerlo, aveva la stessa sensibilità di un sasso di pietra. E la roba totalmente assurda era che, anche dopo averci riflettuto, non se ne rendeva comunque conto.
Isla sbuffò, la testa iniziava a farle male. Accartocciò la lettera dei genitori e la rigettò in un angolo della propria scrivania. Non aveva la voglia e l'intenzione di rispondere in maniera celere a quelle parole che avevano avuto soltanto l'effetto di innervosirla esattamente come la prima volta che le aveva lette.
Si alzò dalla sedia accanto alla scrivania e andò a darsi un'altra occhiata allo specchio prima di uscire dalla camera. La colazione era già pronta quando giunse in sala da pranzo, e la famiglia Warleggan era già completamente riunita attorno al tavolo: Valentine si stava spalmando del burro su una fetta di pane, George faceva lo stesso sorridendo al figlio dell'inaspettata coincidenza.
Sembrava diverso dalla notte in cui Valentine aveva avuto la febbre. Per due o tre giorni l'influenza aveva continuato a ripresentarsi a momenti alterni, ma poi, fortunatamente, era andata via così com'era arrivata. In realtà Isla aveva l'impressione che a Valentine quella febbre fosse venuta più per lo stress che per un colpo di freddo.
E, a giudicare dal suo nuovo atteggiamento, anche George pareva essersene accorto, perché Isla doveva ammetterlo, era migliorato molto come padre. Da quando era ritornato da Londra non si era mai più allontanato dalla Cornovaglia, continuando a gestire tutti i suoi affari da Trenwith o dalle vicinanze.
La priorità sembravano averla adesso soltanto Valentine e la piccola Ursula, visto che nei giorni scorsi aveva passato più tempo assieme ad entrambi i figli. Sperò che continuasse così perché ora quella casa era proprio un bel vedere, e si augurò che quel suo nuovo aspetto non fosse dovuto soltanto all'atmosfera più rilassata e raccolta delle feste natalizie.
Isla andò a sedersi accanto a Valentine, ormai quello era il suo posto. La stanza era piacevolmente silenziosa, interrotta soltanto dal tintinnio delle posate o da qualche chiacchiera sul tempo e sui programmi della giornata. L'unico contrariato sembrava Cary Warleggan, ma non che fosse una novità. Cary Warleggan era contrariato di natura.
George sarebbe rimasto a casa per tutta la giornata e anche per la mattina di Natale. Isla fu sorpresa che le avesse lasciato libertà per l'intera giornata, ma quando le aveva spiegato che avrebbe voluto passare da solo un po' di tempo con Ursula e Valentine, Isla fu ben felice di scomparire per qualche ora.
Si fece prestare una delle carrozze e ne approfittò per fare una visita agli Enys, giusto il tempo di un tè e di farsi aggiornare da Caroline sulle ultime novità. Non c'era nulla di particolarmente succulento da conoscere, la vita scorreva abbastanza tranquilla negli ultimi tempi e i pettegolezzi che aveva ricevuto nell'ultimo periodo non avevano nulla di interessante. Dwight lavorava come un matto anche il giorno della Vigilia, ma Caroline contava di averlo tutto per sé almeno in serata.
Fu contenta che Isla fosse passata per un saluto, e dopo una serie di insistenze riuscì a convincerla a restare anche per pranzo.
Le raccontò che lei e Dwight avrebbero cenato quella sera a Nampara, a casa di Ross e Demelza. La coppia aveva anche un paio di figli, ma a parte aver sentito parlare di loro, da quando aveva conosciuto le sue amiche, Isla non aveva ancora avuto modo di incontrarli.
Si chiese se Caroline non avesse mai pensato a diventare mamma anche lei, ma poi si frenò dal domandarglielo direttamente. Non solo le parve una domanda inopportuna da fare, ma si sentì fin troppo simile a quella madre impicciona che tanto aveva criticato in mattinata. Immaginò come dovesse sentirsi sua sorella Mary con tutta quella pressione addosso: aveva appena ventuno anni, era ancora giovanissima,
Mary non era forte, anzi, di natura era piuttosto mite e debole, si lasciava facilmente condizionare. Sua madre era sempre stata brava a trasformarla in quello che voleva, ecco perché sua sorella minore era da sempre la sua cocca, proprio perché, a differenza di Isla, ubbidiva come un perfetto soldatino.
"Se volessi unirti a noi, sono sicura che riusciremmo a trovarti un posto a Nampara."
Ed era vero. Isla era certa che le avrebbero trovato una sedia anche ammassandosi fra loro, pure se si fosse presentata all'improvviso a casa di Ross e Demelza.
"Verrei con piacere" ammise. "Ma ho già accettato di passare il Natale a Trenwith."
Se fino a qualche settimana prima i Poldark le avessero rivolto un invito del genere, Isla avrebbe voluto andarci con tutte le sue forze, ma ora, doveva ammetterlo, l'idea di passare la Vigilia assieme ai Warleggan non le dispiaceva affatto.
Dopo un pranzo leggero, poiché entrambe erano certe che il meglio sarebbe arrivato la sera a cena, Caroline insistette per mostrarle l'abito che si era fatta confezionare qualche settimana prima in occasione della Vigilia. Non era sfarzoso e pomposo, come si sarebbe immaginata: era di stile imperiale, e di color rosa pesca, con un nastro bianco da legare attorno alla vita. Sembrava perfetto per una cena tra amici.
Quando chiese a lei che abito avrebbe indossato, Isla le rispose che si sarebbe rimessa lo stesso vestito rosa che le aveva portate ad incontrarsi. Dopo quella risposta, Caroline non disse niente, ma la trascinò direttamente in una stanza, che Isla diede per scontato fosse la camera che condivideva con Dwight.
Caroline passò a setaccio il suo intero armadio, di fronte alla totale confusione della sua amica, spiegandole che non c'era verso che si sarebbe presentata alla Vigilia di Natale con qualcosa di già visto. Isla non sapeva dove guardare, se osservare l'opulenza della camera da letto di quella casa o cercare di fermare la sua amica da una missione inesistente.
Sembrava che prendesse quella cosa troppo sul serio...
"Caroline... è solo una cena di famiglia" le fece notare, spalancando le braccia.
"Oh no, no. Per queste occasioni c'è bisogno sempre di qualcosa di nuovo!" esclamò lei con fare civettuolo.
Isla fece per ribattere che in realtà stava per passarle un vestito usato, ma non ne ebbe il tempo. Caroline aveva tirato fuori dal suo guardaroba due abiti davvero splendidi: uno era di un colore rosso scuro, da abbinare ad un colletto di merletto; il secondo invece era di un verde molto intenso, probabilmente si era ricordata che era il suo colore preferito.
Isla li provò entrambi e in tutti e due calzò alla perfezione: lei e la sua amica avevano più o meno la stessa fisicità ed erano quasi alte uguali. Per entrambi i vestiti le consigliò anche le pettinature giuste in cui acconciare i capelli.
"Te li riporterò dopo le feste" disse Isla a Caroline, quando si accorse che, nonostante fosse ancora presto, il sole iniziava già a scurire dietro le finestre.
Caroline la accompagnò fino alla porta e poco prima che mettesse piede all'esterno, si protese verso di lei e le diede un abbraccio che purtroppo non riuscì a ricambiare a causa delle scatole che contenevano i vestiti.
"Puoi tenerli. Ne ho tanti di vestiti e a te stanno così bene che voglio darteli."
"Ma Caroline..."
"Considerali un regalo di Natale" la liquidò senza ammettere repliche.
"Ma io non ti ho fatto alcun regalo."
"Non ha importanza" le sorrise gioiosa. "Buon Natale, Isla."
"Buon Natale anche a te, Caroline."
* * *
La sera scese velocemente su Trenwith e, mentre i suoi inquilini erano impegnati a prepararsi per la cena della Vigilia, tutto il personale domestico aveva unito le energie per portare a termine un banchetto degno di un vero reggimento. La tavola era stata apparecchiata con colori accesi e con il servizio di piatti e posate riservato alle occasioni speciali. Più tardi, quando la luce del sole tiepido d'inverno aveva iniziato a spegnersi dietro le scogliere e sulla neve della Cornovaglia, i domestici non avevano perso tempo ad accendere candelabri lungo tutto il perimetro della sala da pranzo con lo scopo di ricreare un atmosfera calda, luminosa e rilassata.
George fu il primo a scendere le scale per il piano inferiore, quando fu quasi orario di cena. Si sentiva bene nel suo completo blu notte con il colletto di ghirigori dorati. Aveva anche tagliato i capelli da solo con un discreto risultato, e ora si sentiva più leggero, come se avesse eliminato anche tutti i pensieri negativi dell'ultimo periodo.
Camminando per la sala da pranzo, osservò soddisfatto l'operato dei suoi domestici, e poi, con coraggio, fece quello che si era ripromesso di fare: si avvicinò al ritratto di Elizabeth e, con un gesto secco, ne tirò giù il lenzuolo bianco che lo copriva alla vista di qualunque sguardo.
Dovette aggrapparsi al bordo di una sedia per non cadere a terra e prese un lungo respiro cercando di ritrovare se stesso. Elizabeth era matronale nel suo lungo abito rosso che le aveva spesso visto indosso. Era stato lui ad insistere perché si mettesse quel vestito per il ritratto e lei lo aveva accontentato, ma la verità era che sua moglie sarebbe stata splendida in ogni caso, anche con uno dei suoi completi da uomo, se avesse voluto.
Si asciugò gli occhi. Non piangeva da parecchio tempo, da quando aveva dovuto combattere il dolore per se stesso e per la sua famiglia, e in quel lungo processo soltanto Dwight Enys era riuscito ad aiutarlo a vedere la luce. Per molto tempo se n'era tenuto alla larga poiché amico di Ross, ma quando era stato necessario, aveva dovuto ricorrere al suo aiuto e si era trovato a dover ammettere l'evidenza. Era stato l'unico dottore a comprendere che le sue visioni su Elizabeth, poco dopo la sua morte, non potevano certo essere spiegate con la diagnosi di un demone interiore: erano vecchie dicerie che anche gli uomini di scienza continuavano a tramandarsi, forse perché nessuno aveva ancora studiato abbastanza a fondo i meccanismi della mente per riuscire a vederci finalmente qualcosa.
E quando ad andare contro a quel folto gruppo di medici che sostenevano la stessa cosa era stato persino suo zio Cary, Dwight Enys era intervenuto ed era stato la sua salvezza. Era vero, George aveva ancora molto contro cui combattere, ma stava meglio, e ora, finalmente, poteva guardare il ritratto di Elizabeth senza incorrere nel rischio di impazzire.
Valentine fu l'unico che lo distrasse da quel fluire di pensieri: se prima lo scalpiccio dei suoi passi era veloce ed impaziente lungo le scale, a mano a mano che si avvicinava alla sala da pranzo e a lui, si fece molto meno frenetico. A guardare quegli occhi spalancati dallo stupore per il ritratto di Elizabeth, George quasi faticava a restare serio.
"Papà, il quadro della mamma..."
"Sì, Valentine."
"Di solito non togli mai il lenzuolo."
"Ho pensato che per Natale si può fare un'eccezione."
Valentine sorrise e gli piombò letteralmente addosso, in un abbraccio sincero che da troppo tempo non gli riservava. George restò quasi di stucco di fronte a quel gesto d'amore così improvviso, un po' perché lui stesso non ne era mai stato abituato, e gli fece una carezza impacciata sulla testa. Per Valentine anche solo quello significava molto.
"Buonasera." Una voce parlò dietro di loro. "Spero di non aver fatto tardi."
Padre e figlio si voltarono e videro Isla: era un'autentica visione e sarebbe stato da bugiardi non ammetterlo. George le aveva sempre visto i capelli raccolti, ma per quella sera li aveva lasciati liberi di ondeggiare lungo le spalle, tirando soltanto un paio di ciuffi dietro la testa. Non aveva bisogno di alcun gioiello perché bastava il portamento fiero con cui indossava l'elegante vestito rosso scuro che l'amica Caroline le aveva regalato.
"No, nessun ritardo, Isla" la rassicurò George, dopo qualche istante di silenzio. "Mio zio non è ancora arrivato."
"Papà!" Valentine lo tirò per una manica. Lui lo guardò per un attimo con una certa perplessità. "Dovresti dire ad Isla che è davvero bella!"
Isla sorrise, forse un po' in imbarazzo per quell'uscita innocente di Valentine, e a George venne da fare lo stesso. Suo figlio guardò entrambi gli adulti in quella stanza come se non lo avessero capito.
"Papà, non sto scherzando!" sussurrò, ma in realtà Isla lo sentiva benissimo. "Forza, diglielo."
George avrebbe voluto ammonirlo, e lo avrebbe fatto in un altro momento, ma la situazione era talmente surreale e paradossale che gli venne spontaneo reggergli il gioco.
"Isla, siete... siete molto elegante."
Isla sorrise, un po' divertita dall'imbarazzo di George, ma comprese che stava solo accontentando suo figlio e che non c'era niente di malizioso in quel complimento.
Gli rispose a sua volta: "Grazie, sir. Anche voi lo siete."
Ma Valentine non sembrava per niente soddisfatto.
"Papà! Ti avevo detto di dirle che è bella, non che è elegante!" brontolò a voce bassa, poi si portò una mano alla fronte come se avesse a che fare con un caso perso.
Ad Isla uscì fuori la risata più genuina e cristallina che George avesse mai sentito negli ultimi tempi. Abituato ai ricevimenti e ai suoi clienti, aveva scordato il suono di una bella risata sincera. Quanto tempo era passato da quando anche lui aveva sorriso così di gusto?
Dopo quella scenetta, Isla, alzando gli occhi verso l'alto, si accorse del quadro. Si chiese come diamine non le fosse saltato all'occhio visto che la prima cosa che aveva adocchiato, al suo ingresso a Trenwith, era stato proprio quel ritratto appeso alla parete e coperto per metà. Nel periodo successivo in cui aveva ricominciato a lavorare, però, qualcuno lo aveva coperto di nuovo.
"Mia moglie Elizabeth" spiegò George, osservando il suo sguardo assorto. "La madre di Valentine."
Isla ritornò a guardare il suo datore di lavoro e rispose sinceramente: "Una donna incantevole."
Ora che poteva vedere per intero quel ritratto, Isla riconfermò la prima impressione avuta: era certa che, anche per metà, quel quadro doveva aver reso giustizia ad una donna che in vita doveva essere stata veramente bella. Adesso che la vedeva meglio, riconosceva finalmente quelle somiglianze in Valentine che non aveva trovato in George.
"Venite." Fu lui ad interrompere il flusso dei pensieri, facendole segno di raggiungere il suo posto a tavola. "Ho sentito il rumore di una carrozza. Credo che mio zio sia arrivato."
* * *
Quel 24 dicembre, Isla si scordò totalmente dei suoi dubbi e delle sue perplessità sui Warleggan. La cena della Vigilia non lasciò nessuno insoddisfatto, tra portate di carne e di pesce, contorni vari, zuppe e dolci fatti di frutta e glasse varie. Ognuno fece un assaggio di tutto.
Isla si sentiva un po' come su una nuvola, colpa forse della pancia piena o di un bicchiere di brandy di troppo che le aveva screziato le guance di un rosso piuttosto tenue.
In quelle condizioni anche Cary Warleggan appariva l'essere più amabile e divertente di tutta la Cornovaglia. Forse perché aveva bevuto anche un po' più dei suoi familiari e infatti, a causa di questo, si era lasciato andare a sproloqui senza senso di fronte al caminetto, arricchendo aneddoti della sua vita di particolari talmente assurdi di cui Isla era certa che, al mattino, non avrebbe ricordato nemmeno un particolare. Anche George era un po' brillo, ma il giusto, e se Valentine era rimasto sveglio assieme agli adulti, era solo perché lo zio Cary era un autentico spettacolo comico da non perdere.
Poco dopo però, quando la pesantezza del brandy e di quella cena iniziarono a farsi sentire, Cary Warleggan crollò su una delle poltrone ed iniziò a ronfare senza alcun tipo di ritegno, cosa che, nell'improvviso silenzio del salottino, aveva fatto scoppiare tutti in una risata liberatoria. George nemmeno sembrava essersene reso conto.
Sembrava persino più umano col colletto slacciato e il volto piacevolmente intontito dal bicchiere di troppo. Per un po' lui, Isla e suo figlio giocarono a carte, ma bastarono un paio di partite per tramortirli visto che Valentine ormai faticava a restare sveglio, ed anche George e Isla cominciavano ad avvertire la stanchezza. Valentine fu portato in camera da George stesso, Isla si ritirò nella propria.
Al mattino successivo, la situazione si fece decisamente più tiepida rispetto a quella della sera precedente, complice anche un sonno ristoratore. A colazione ogni membro di quella casa toccò poco e niente, forse per riuscire a digerire anche il grande pranzo di Natale, dopo la movimentata cena della sera precedente.
Cary Warleggan invece, risultava meno divertente rispetto alla sera precedente perché a causa della sbornia si era svegliato con una terribile emicrania e non aveva voluto saperne di uscire di casa nemmeno per la messa. Senza contare che, restarsene a dormire una notte intera su una poltrona, non era molto saggio alla sua età. Si sentiva la schiena a pezzi.
In realtà, la sera prima, George aveva anche provato a svegliarlo dal suo sonno catatonico dovuto all'ubriacatura, ma non vi era stato verso di portarlo fuori dal mondo dei sogni. Gli aveva steso una coperta addosso e lo aveva lasciato dormire lì.
Così, soltanto Valentine, Isla e George uscirono per andare a messa. La chiesa era un piccolo edificio di colore bianco, con un tetto di legno spiovente. Al suo interno c'erano pochi banchi dove non poteva sicuramente entrare tanta gente. 
Tra le file, Isla riconobbe Demelza sotto ad un capello di paglia e le fece un breve saluto con la mano, accanto a lei invece c'erano suo marito e due bambini adorabili, un maschio e una femmina, sicuramente i suoi figli. Isla li guardò per un attimo, e fece ad entrambi un salutino che però fu ricambiato soltanto timidamente. Più avanti, seduti al secondo banco, c'erano anche gli Enys.
George non salutò nessuno. La funzione durò un'oretta e mezza e quando uscirono dalla chiesa, Isla ne approfittò per andare a fare un veloce augurio sia agli Enys che alla famiglia Poldark, cosa che la portò a meritarsi l'occhiataccia del suo datore di lavoro e che lei, prontamente, ignorò. Ormai al ricevimento degli Enys aveva già espresso la sua opinione sui Poldark, invitando George a non immischiarsi nelle sue amicizie: indipendentemente dai suoi attriti, lei avrebbe frequentato chi voleva.
Dopo aver fatto quattro chiacchiere anche con Clowance e Jeremy, i figli dei Poldark, Isla aveva capito che non era il caso di mettere a dura prova la pazienza di George, che, già intirizzito dal freddo e dalla neve della Cornovaglia, continuava a fissarla assieme a Valentine dall'esterno della carrozza. 
Si era perciò diretta verso l'angolo di strada dove se ne stavano fermi, ma mentre lo faceva, Valentine iniziò a correre e George cercò di afferrarlo da dietro quando per un attimo suo figlio rischiò di scivolare sulla neve. In un primo momento, Isla credette che stesse correndo verso di lei (il motivo le risultava incomprensibile), ma invece la sorpassò e quando si voltò per capire dove fosse diretto, si accorse che aveva raggiunto un ragazzo biondo fermo vicino agli Enys e i Poldark e che prima non c'era.
"Geoffrey Charles!" urlò, fiondandosi tra le sue braccia.
Il ragazzo, che avrebbe potuto avere sui diciassette, diciotto anni, lo accolse con lo stesso entusiasmo e lo tenne stretto a sé sicuramente per un minuto buono. Sembrava che entrambi non si vedessero da una vita intera e a giudicare dalla confidenza che quel giovanotto sembrava avere sia con Ross, che con Demelza, era ovvio che fosse o un loro parente o un amico di famiglia. 
Isla si sentì sempre più confusa e intuendo che la sua perplessità fosse palese, quando si avvicinò a George, fermo con le braccia dietro la schiena, sembrò incitarlo a proferire delle spiegazioni.
"Geoffrey Charles Poldark" le disse, ripetendo quel nome come una cantilena. "Il figlio di mia moglie e di Francis Poldark, il suo primo marito."
Isla si voltò per un paio di volte da una direzione all'altra. Questo legame tra i Warleggan e i Poldark era del tutto inaspettato. Pur essendo parecchio incuriosita, non osò chiedere altro soltanto guardando la faccia di George, contrariata come poche cose nella vita. Sembrava tornato lo stesso uomo algido e rigido di sempre, come se quello esistito la sera della Vigilia fosse soltanto una sua brutta macchietta.
L'astio che George Warleggan sembrava provare per il ragazzo non era soltanto palese, ma sembrava addirittura contraccambiato quando quello gli si avvicinò porgendogli un saluto di cortesia. Era ovvio che, con Valentine tra le braccia, quel ragazzo lo stesse facendo soltanto per il fratellino.
"Buon Natale, zio George."
Isla sentiva gli occhi diventare matti per tutte quelle informazioni insieme.
Cosa diamine stava succedendo?
 

 
Angolo dell’autrice
Eccomi di ritorno con un nuovo capitolo. Credo che, fra tutti quelli che ho scritto fino ad adesso (al momento, sul mio pc, la ff conta 7 capitoli), sia uno dei miei preferiti e probabilmente resterà tale.
Ho voluto regalare ai Warleggan un po' di serenità. E in fondo, anche queste piccole parentesi idilliche, servono a rafforzare il legame di Isla con la famiglia presso cui lavora. E poi... il vero protagonista di questo capitolo è il caro zio Cary! Sono certa che, in fondo in fondo, sia un vero burlone. Certo... molto in fondo!
Nel frattempo, nella prima parte, cominciamo a conoscere anche qualche aspetto della famiglia di Isla... vi posso solo anticipare che non avrà un ruolo così marginale, ma che col passare dei capitoli diventerà sempre più importante!

Ne approfitto anche per ringraziare nuovamente chi lascia un parere alla mia storia. Per me è fondamentale, perché mi sprona ad andare avanti e mi aiuta a migliorare.
Vi abbraccio e ci risentiamo alla prossima (spero di non dover far passare troppo tempo per aggiornare come adesso).
Lady Warleggan

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Capitolo 5
*** Cinque. ***


Cinque.
 
Come quel 25 dicembre si fossero ritrovati a passeggiare lungo la spiaggia lui, Isla, Valentine e Geoffrey Charles, George ancora non sapeva spiegarselo.
La temperatura di quella mattina era clemente e permetteva una breve passeggiata, ma il sole era ancora troppo tiepido per scaldare o per sciogliere la neve distesa qua e là sulla sabbia, neve in cui affondavano anche le sue scarpe costose. Erano calzature "speciali" perché il più delle volte facevano solo la sua figura, visto che si presentavano bene sotto ai suoi completi, ma in realtà erano un vero tormento per le dita dei piedi.
Dopo la messa, non se l'era sentito di dire di no a Valentine quando aveva visto Geoffrey Charles, almeno non nel giorno di Natale. Certo, aveva considerato che suo figlio di recente si fosse beccato la febbre e che quel giorno il clima della Cornovaglia continuasse a non essere gentile. Forse sarebbe stato il caso di tornare a Trenwith, pure se Geoffrey Charles non si sarebbe fermato a lungo (avrebbe passato il pranzo di Natale a Nampara): poi però aveva pensato che il suo figliastro non solo non avrebbe voluto metterci più piede (lui era un Poldark e ormai, in quella casa, non restava più niente della sua famiglia e dei suoi avi), ma lo stesso George non voleva ritrovarselo in giro per casa, col rischio di dover aggiungere un posto in più a tavola per non essere scortese o per non far dispiacere Valentine.
Quando Geoffrey Charles aveva proposto una passeggiata lungo la spiaggia, dato che non la vedeva da un po', e Valentine aveva annuito entusiasta, George non aveva detto niente per rifiutare. In fondo si sarebbe trattato soltanto di un'ora: Geoffrey Charles avrebbe passato un po' di tempo con il fratellino, Valentine sarebbe stato felice e lui non doveva per forza fingere di sembrare contento. Anche se ci fosse stata Elizabeth, i suoi rapporti con il figliastro si sarebbero limitati al minimo indispensabile.
La spiaggia era bellissima, rifletté Isla, e in effetti era da parecchio tempo che, a causa delle neve o delle temperature troppo fredde, lei e Valentine non avevano potuto fare una bella passeggiata lungo la battigia. Osservò quasi incantata le onde calme che riportavano sulla sabbia tanti pezzettini ghiacciati, come i resti di un quadro rotto. In sottofondo si sentivano soltanto il verso dei gabbiani, il rumore delle onde e le risate e le voci allegre dei due fratelli.
Quando si voltò verso di loro, vide Geoffrey Charles far volteggiare Valentine con le braccia, lamentandosi scherzosamente che ormai stava crescendo e che quasi non riusciva più a tenerlo in braccio per quanto stesse diventando pesante, ma evidentemente, quelle lamentele, sembravano non bastare affatto a placare la gioia che Isla vide sul volto di Valentine.
"Geoffrey Charles quanti anni ha?" chiese a George, mentre i due camminavano dietro ai fratelli, ma a distanza debita per permettere loro di giocare.
George fissava un punto indistinto davanti a sé.
"Diciassette."
Isla si sfregò le mani infreddolite.
"Vi ha chiamato zio, dovete essere molto legati."
In realtà soltanto a guardare le occhiate di astio che si era lanciati fuori la chiesa lui e Geoffrey Charles, e pure dal fatto che si fossero parlati a malapena fino a quel momento, non ci voleva certo una scienza a comprendere che non si sopportassero. Isla aveva fatto quella domanda soltanto per saperne di più, per conoscere qualcosa in più su quel legame tra i Poldark e i Warleggan.
"Sono stato suo padrino di battesimo quand'è nato e qualche anno dopo ho sposato sua madre, ma i legami fra noi finiscono qui" spiegò George, con un tono che sembrava non ammettere ulteriori domande. "È da quando lei è morta che non ho più sue notizie. Chi si occupa di lui adesso... è suo zio."
Isla si pizzicò il naso diventato rosso a causa del freddo e non le richiese troppo tempo capire chi fosse lo zio a cui George alludeva. Era chiaro che si trattasse di Ross Poldark. Quello che la lasciava perplessa però, era la totale indifferenza che sembrava nutrire nei riguardi del figliastro: possibile che il legame che lo aveva unito alla madre non significasse abbastanza per preoccuparsi di quel ragazzo? Era vero, avrebbe raggiunto i diciotto anni l'anno successivo, ma dopotutto a quell'età Isla era assolutamente consapevole che non si può essere del tutto giudiziosi. Si è troppo giovani!
Aveva così tante domande che le ronzavano in testa che non poté anche fare a meno di notare quanto quella giornata si stesse presentando come l'opposto di quella precedente. Il George che aveva visto la sera prima, intontito dal brandy o dall'atmosfera ciarliera della Vigilia era tornato impettito, come se l'arrivo di Geoffrey Charles avesse riportato a galla un passato che aveva cercato di seppellire, forse qualcosa di appartenente a quella faida su cui nessuno voleva essere chiaro fino in fondo con Isla.
"Non... sapete di cosa si occupa attualmente?" provò ancora a chiedere, per portare avanti la conversazione. Sperò di non infastidirlo.
Ma George non sembrava seccato, almeno non da lei e dalle sue domande.
"Qualche anno fa frequentava un collegio in cui l'ho spedito io stesso ma... poi, come vi ho già detto, si è occupato suo zio Ross della sua educazione."
Isla dovette fermarsi un attimo per riordinare quell'albero genealogico immenso. Era ovvio che avendo gli stessi cognomi, Geoffrey Charles dovesse essere per forza parente della famiglia Poldark, ma non pensava che il legame fra loro fosse così stretto. Probabilmente, intuendo ancora la sua perplessità anche senza esprimerla a voce, George precisò che Ross e Francis (il padre di Geoffrey Charles), erano cugini.
Isla non guardò più il suo datore di lavoro, ma avrebbe volentieri commentato quel suo scarso disinteresse verso il figliastro per cui, in un qualche modo, lei invece si sarebbe sentita responsabile: rifletté ancora, ripensando a quel legame tra George e la moglie defunta, e quando le tornò alla mente il modo in cui aveva fissato il quadro che la ritraeva, si diede mentalmente della stupida per aver pensato che non l'avesse amata. Quello sguardo trasognato e malinconico, aveva detto più di mille parole... ma allora perché George parlava con tanto disprezzo di quel ragazzo? Che cosa gli aveva fatto di male? Possibile che questa faida con i Poldark stesse sfiorando il ridicolo per cui dovesse andarci di mezzo un ragazzo?
Isla non chiese nient'altro, ma si girò. Geoffrey Charles stava tornando da lei e George con Valentine in braccio.
"Mi iscrivo alla scuola militare, zio George" disse il ragazzo all'improvviso, come se avesse continuato un discorso iniziato molto prima. "Comincio il prossimo anno."
George annuì, ma in realtà era evidente che non gliene fregasse niente.
"Bene. Vedo che seguirai, in un qualche modo, gli stessi passi di tuo zio."
"Zio Ross? Oh beh, se raggiungessi anche solo un minimo di quello che ha raggiunto lui in tutta la sua vita, per me sarebbe un grande traguardo."
Una folata di vento gelido fece rabbrividire Isla, ma non seppe dire se fosse dovuto al clima della Cornovaglia o per la tensione che si era appena creata. Si sentiva ancora più confusa di prima, le mancavano pezzi di quella conversazione, non conosceva abbastanza Ross Poldark per comprendere bene tutta quella situazione: aveva sentito Demelza parlare di lui, ma era ovvio che, nelle loro conversazioni, non si intrattenessero di certo sul passato del marito.
Stavolta la strafottenza di George si era trasformata in un autentico fuoco nei suoi occhi, e sembrava che lo stesso Geoffrey Charles se ne fosse accorto, perché sulle sue labbra si era aperto un sorrisetto soddisfatto. Isla ebbe l'impressione che lì, su quella spiaggia, Valentine non fosse l'unico bambino.
In realtà non poteva sapere che Geoffrey Charles, con quella frase, avesse segnato un nuovo confine tra i Poldark e i Warleggan: lui era nato sotto il nome dei Poldark e come tale avrebbe difeso sempre il suo casato. Avrebbe portato avanti le idee di suo padre con tutto se stesso.
Isla stava per intervenire, per dire qualcosa, qualunque cosa, prima che Geoffrey Charles riprendesse la parola. Si voltò verso di lei, osservandola con un sorriso, uno onesto, non uno di quelli che aveva riservato soltanto a George, fino a quel momento. Si erano velocemente presentati fuori alla chiesa e da allora non avevano più parlato, ma doveva ammettere che anche in quel breve momento, il ragazzo era sempre stato gentile con lei.
"Signorina Wood, come vi trovate qui in Cornovaglia? Siete di queste parti?"
Geoffrey Charles iniziò a camminare con Valentine tra le braccia, costringendo lei e George a fare altrettanto. Quest'ultimo però, camminava un passo dietro di loro, come a non voler entrare nella conversazione.
"No, sono scozzese."
Geoffrey Charles sembrò colpito e sinceramente interessato. "Di dove esattamente?"
"Thurso."
"Nelle Highland! Meraviglioso!"
Iniziò da lì una lunga conversazione sulla cittadina natale di Isla, sulla sua famiglia e sulla loro attività di proprietari terrieri, poi sugli studi che aveva condotto e infine sulle città in cui aveva vissuto lavorando come istitutrice. Geoffrey Charles le raccontò di Londra, sorridendo all'inaspettata coincidenza che non si fossero mai incontrati, le disse anche dei posticini in cui aveva lavoricchiato e studiato: si vedeva che era un ragazzo buono, ma pure un bel po' scapestrato. Isla non poté fare a meno di provare pena per lui: doveva aver perso il padre da bambino, e poi la vita gli aveva strappato anche la madre, quindi doveva veramente sentirsi solo al mondo.
Valentine restò ad ascoltare i loro racconti, affascinato dalle avventure del fratello, era palese che stravedesse per lui, tanto quanto per il padre.
La conversazione sarebbe proseguita se non fosse stato però che, Valentine stesso, si fosse reso conto che George si era fermato in un punto della spiaggia, molto dietro di loro, come se non avesse alcun interesse a proseguire. Geoffrey Charles lo lasciò scendere dalle sue braccia per correre incontro al padre, che sentendosi chiamare, si voltò in direzione di Valentine.
"Come siete arrivata a mio zio George?" le domandò Geoffrey Charles improvvisamente.
Isla rimase stupita da come il suo tono di voce fosse letteralmente mutato ora che Valentine non era più con loro. Sembrava essere passato dalla cortesia alla più totale preoccupazione.
Isla cercò di rispondere comunque con tranquillità.
"Beh ecco... c'era un'inserzione sul giornale, ho scritto una lettera e poi è stato tutto un susseguirsi di cose."
Le venne spontaneo lanciare un'occhiata preoccupata in direzione di George, che però era distratto da Valentine. Piegato sulle sue ginocchia, all'altezza del figlio, il bambino gli stava indicando qualcosa in lontananza, in un punto imprecisato del mare.
"Mio zio George non è... non è esattamente una persona di cui fidarsi, ecco" sussurrò Geoffrey Charles.
Isla dovette sforzarsi di sentire la voce del ragazzo al di sopra del rombo delle onde e del verso dei gabbiani. Avrebbe voluto sbottare spazientita che era una cosa che le avevano già detto, ma nessuno si decideva a spiegarle che cosa diamine stesse succedendo.
"Ha sposato vostra madre... non era felice con lui?"
Geoffrey Charles si accorse che George li stava guardando, con fare un po' stranito, visto che ancora non si decidevano a tornare. Fece un cenno a Isla, come a voler intendere di camminare e continuare a chiacchierare fino a quando non sarebbero stati a portata d'orecchio di George e avrebbero dovuto improvvisare una conversazione decisamente diversa.
"Mia madre l'ha sposato perché mio padre l'aveva lasciata fra i debiti. Non è un comportamento molto degno, lo so, ma mio padre era molto più uomo di quanto non sia mio zio George" sospirò, poi continuò. "Ha sempre riconosciuto i propri errori e ha cercato di rimediare... certo, non posso fare a meno di ammettere che George abbia davvero amato mia madre, e che lei, dopo qualche tempo, abbia iniziato a provare qualcosa per lui... ma resta comunque il fatto che non sia una persona di cui ci si può fidare. Ero un ragazzino, ma mi accorgevo di tutto."
Isla continuò a guardare George, sulla spiaggia, per assicurarsi che non fosse sospettoso mentre li raggiungeva, ma lui era tornato ad ascoltare Valentine.
"Secondo voi, signorina, chi è che ha ridotto mio padre sul lastrico?"
Isla dovette trovare tutta la forza che avesse per non piantarsi con i piedi sulla spiaggia. Si vedeva che Geoffrey Charles volesse aggiungere qualcos'altro per spiegarsi meglio, ma evidentemente, la situazione in cui si trovavano non glielo consentiva.
Cercò di non sembrare troppo sconvolta mentre gli rispondeva.
"Geoffrey Charles, non sono qui per sindacare la vita di sir George, ma solo per fare da istitutrice a vostro fratello. Mi dispiace se le cose sono andate davvero così, ma... del resto, non mi importa. Voglio solo essere tranquilla nel mio lavoro."
Geoffrey Charles sembrò molto colpito da quella risposta, come se non l'avesse messa abbastanza in guardia. Ma in realtà, guardando meglio il volto di Isla, era palese che la sua confessione l'avesse stupita.
"Voi non fidatevi comunque di lui. Prendetelo come un consiglio personale."
"Perché me lo state dicendo?"
"Perché mi sembrate proprio una brava persona" le spiegò Geoffrey Charles, alzando le spalle. "Non... non avvicinatevi troppo a lui."
Isla dovette un attimo ad elaborare quella frase. Quando si rese conto da cosa avesse voluto metterla in guardia, restò interdetta. Che quel ragazzo avesse pensato per un momento che tra lei e George stesse nascendo un legame? Assolutamente no! Voleva rispondergli, e dirgli che quello che la univa a George si limitava ad un semplice rapporto di cortesia e rispetto, ma non riuscì ad aggiungere altro, proprio perché si accorse che erano arrivati quasi troppo vicino al soggetto della loro conversazione e quindi dovette immediatamente darsi un contegno.
Geoffrey Charles fu molto abile ad iniziare a parlare dei luoghi che avrebbe voluto visitare una volta che si sarebbe sistemato, dopo aver intrapreso la carriera militare. Parlava di terre lontane come se fossero dietro l'angolo, ma Isla non riuscì ad ascoltarlo più, troppo presa da quanto aveva saputo poco prima.
Geoffrey Charles riprese Valentine tra le braccia e i due fratelli ricominciarono a giocare insieme. Restò in disparte questa volta, lontana dai suoi accompagnatori, fissando distrattamente l'orizzonte davanti a sé come se potesse darle la risposta che stava cercando. Quando George fece cenno a Valentine che era ora di andare, solo in quell'istante Isla si rese conto di essere rimasta in silenzio per tutto il tempo.
Salutò Geoffrey Charles con un sorriso, mentre George gli fece un cenno della testa. Valentine e il fratello maggiore rimasero abbracciati per un minuto buono: quell'unica ora sarebbe stata tutto il tempo che avrebbero trascorso assieme per un bel periodo.
* * *
Il Natale a Trenwith fu abbastanza tranquillo, ovviamente niente al pari della Vigilia: sembrava che ormai l'umore di George si fosse spento, e che, appresso a lui, si fosse spento anche quello di tutta Trenwith.
Di fronte a quel mortorio, Isla si ritrovò a sperare che Cary Warleggan si ubriacasse di nuovo e mettesse in scena un altro dei suoi siparietti comici, ma evidentemente lo zio di George doveva aver imparato troppo velocemente la lezione: alla sua età non reggeva più l'alcool come quando era ragazzo, e quindi si era tenuto ben lontano dalla bottiglia di vino francese che il nipote aveva fatto mettere sulla tavola.
Nel pomeriggio riprese a nevicare e Isla non poté nemmeno suggerire a Valentine di uscire a giocare un po', così passarono la restante parte di quel Natale in salotto, assieme alla piccola Ursula. Era una bambina vivace e paffuta, molto più simile fisicamente a George di quanto non fosse Valentine. Gattonava per raggiungere il fratello maggiore da una parte all'altra della stanza: Isla sapeva che Valentine fosse geloso delle attenzioni che il padre dedicava alla figlia minore, ma quel pomeriggio, forse ancora complice quel che restava dello spirito natalizio, o forse che il padre si era praticamente ammutolito su una delle poltrone a leggere un libro, Valentine aveva giocato tutto il tempo con la sorellina e il pomeriggio era stato anche più piacevole del pranzo stesso.
Dopo quel Natale abbastanza piatto, all'inizio dell'anno nuovo, George fu costretto a tornare a Londra, visto che i suoi impegni politici nella capitale reclamavano la sua presenza, e la routine precedente al Natale ricominciò nuovamente.
Isla non vide George per tre settimane, per questo dovette sforzarsi con tutta se stessa di distrarre Valentine per evitare che crollasse nuovamente nelle sue crisi di pianto o che si ammalasse, cosa che in parte riuscì a fare con lo studio e soprattutto grazie alla piccola Ursula.
Isla e la sua bambinaia, di nome Emily, avevano deciso di far trascorrere ai due fratellini un po' più di tempo insieme. Emily aveva qualche anno meno di Isla, lavorava dai Warleggan da quando la piccola Ursula era poco più che una neonata e gli aveva fatto anche da balia. Era una ragazza molto educata e religiosa, con una lunga chioma di capelli neri che però teneva sempre sotto ad una cuffietta, due occhi dello stesso colore e un fisico decisamente minuto come quello di Isla.
Avvicinarsi a lei fu semplice, e si chiese come fosse stato possibile che, in quei mesi in casa, non avessero legato più di tanto. Collaborare perché i due fratelli facessero più amicizia non rientrava di certo tra le loro competenze, ma nessuna delle due ci vide niente di male: in poco tempo Valentine si affezionò talmente tanto ad Ursula che ormai, ad ogni occasione libera, non faceva che abbracciarla e coccolarla, e anche la sorellina sorrideva e faceva dei versetti gioiosi ogni volta che era con lui.
Avvicinarsi alla sorellina e smettere di esserne geloso aiutò decisamente Valentine a sentire meno la mancanza del padre.
* * *
Arrivò nel frattempo anche il compleanno di Caroline e Isla e Demelza si scervellarono parecchio per decidere cosa regalarle. Caroline in fondo aveva tutto e se desiderava qualcosa non avrebbe di certo avuto problemi ad ottenerla. Così, senza non poca fatica, Isla e Demelza riuscirono a non farle acquistare un cappello e un paio di guanti da passeggio abbinati che aveva adocchiato da un bel po' in un negozio di Truro, e glieli regalarono al suo compleanno.
Caroline organizzò una piccola cena in casa: il suo compleanno cadeva di sabato, proprio nel giorno libero di Isla. Aveva fatto preparare un carrè di agnello e purè di patate, un contorno con verdure ortolane, porto, acqua e whiskey.
Isla aveva accettato il suo invito. George era fuori città e chissà quanto altro tempo sarebbe passato prima che si rivedessero, mentre Valentine era rimasto assieme alla sorellina sotto la supervisione di Emily.
Al tavolo degli Enys erano stati invitati anche i Poldark, e quella fu un'occasione decisamente più ghiotta per lei di conoscere meglio Ross, il rivale di George, visto che le occasioni per incontrarli si erano a dir poco sprecate. Geoffrey Charles le aveva dato solo un assaggio del clima di attrito respirato tra le due controparti, e quella poteva essere la sua occasione per iniziare a vederci chiaro.
Ross non era solo affascinante da un punto di vista estetico, lo era anche nei modi, nella passione con cui parlava del proprio lavoro e del suo impegno politico: in passato era stato un soldato e ora anche lui a periodi alterni si recava a Londra. Scoprire che lui e George fossero rivali anche su quel lato non stupì più di tanto Isla: praticamente sembrava che il resto del mondo ce l'avesse col suo datore di lavoro.
"Sir George vi ha mai parlato del suo impegno politico?" le domandò Ross.
Le si rivolse così improvvisamente che Isla non capì immediatamente che si fosse riferito a lei.
"Oh, uhm... no, signor Poldark. Passo la maggior parte del mio tempo col figlio, non lo vedo quasi mai."
Ross ridacchiò.
"Non c'è bisogno di essere così formali, signorina Wood. Potete chiamarmi semplicemente Ross."
Isla sorrise. "Va bene. E voi potete chiamarmi semplicemente Isla."
Ross annuì.
"Mia moglie" continuò, lanciando uno sguardo d'intesa a Demelza. "Dice che siete scozzese."
Isla annuì, inghiottendo un pezzo della sua cena. "Sì, sono originaria di Thurso. La città alla fine della Scozia, come dice mio padre."
Ebbero una conversazione molto simile a quella avuta con Geoffrey Charles tre settimane prima, ma, a differenza del ragazzo, Ross Poldark non la convinceva: sembrava che si aspettasse di sapere di più, qualcosa che in realtà sembrava avere poco a fare con le sue origini. Purtroppo Isla non riuscì a capire dove volesse andare a parare.
Dopo che fu servito il dolce, Caroline e i suoi ospiti si intrattennero in chiacchiere davanti al fuoco. Demelza cantò per lei, un brano molto dolce che Ross sembrava conoscere bene dallo sguardo che rivolgeva alla moglie.
Anche Isla cantò, sotto insistenza di Caroline. Ovviamente non aveva la splendida voce di Demelza, che aveva lo stesso suono del canto di una ninfa, ma anche lei se la cavò: canticchiò una ballata scozzese, battendo le mani, senza alcun sottofondo musicale, e poco dopo anche la restante parte dei suoi nuovi amici si era unita al ritmo, pur non capendo mezza parola di quella canzone.
Si fece tardi. Dwight si offrì di accompagnarla visto che fuori era ormai buio e non si fidava a lasciarla andare da sola. La rassicurò dicendo che le avrebbe riportato l'indomani mattina il cavallo con cui era arrivata, così si infilarono nella carrozza e trascorsero assieme un tragitto silenzioso, intervallato soltanto dallo scricchiolio delle ruote o dai rumori tipici della notte. Ma quella parte di Cornovaglia era sempre tranquilla, e probabilmente anche a camminare da sola, non le sarebbe successo niente.
Trenwith era ancora illuminata da dietro le finestre. Isla non ne fu sorpresa, spesso i domestici restavano svegli fino a tardi per anticipare alcuni lavori del giorno successivo. Ringraziò Dwight della cortesia e del passaggio ed uscì dalla carrozza, congedata dal suo rassicurante sorriso.
Come Anne le aveva promesso, all'ingresso le aveva lasciato un candelabro ed una scatola di fiammiferi. La sala da pranzo poteva essere pure ancora illuminata, ma il piano superiore era totalmente al buio, segno che la restante parte della casa, fatta esclusione per i domestici, si fosse già ritirata a dormire.
Il pavimento all'entrata emise il solito suono cigolante, mentre lo percorreva col candelabro acceso. Quella casa era bella, ma necessitava di alcuni lavori perché era molto antica.
Aveva quasi raggiunto le scale, quando, una voce sottile la chiamò dalla sala da pranzo.
Isla ebbe quasi un mancamento quando, voltandosi, si accorse che il ritratto della signora Elizabeth era scoperto. Dopo Natale, George aveva immediatamente dato ordine di ricoprirlo, e per un attimo le venne l'assurdo terrore che a parlarle fosse stato proprio il fantasma di quella donna. D'altronde, non le sarebbe parso strano che in quella casa si aggirassero degli spettri. Era la prima impressione che aveva avuto quando vi aveva messo piede.
Si immobilizzò, pallida come un cencio, e non riuscì più a muoversi. Una forza invisibile la ancorava vicino alle scale.
"Isla, siete voi?" ripeté la voce.
Isla tirò un sospiro di sollievo e si tranquillizzò leggermente quando capì che si trattava, in realtà, di un uomo. Inspirò ed espirò, portandosi una mano al petto e raggiunse la sala da pranzo: si chiese come avesse fatto, mentre rientrava, ad ignorare la figura di George a capotavola. A dire il vero, a guardarlo bene, sembrava proprio lui il fantasma.
Era strano rispetto solito: sembrava trascurato, aveva i capelli spettinati e una faccia stravolta, due paia di occhiaie talmente profonde che sembrava non dormisse da giorni.
"Signore... non sapevo rientraste oggi" fu tutto quello che riuscì a dire.
In realtà non sapeva mai quando rientrasse. Non c'erano mai certezze con lui.
George la guardava, ma in realtà i suoi occhi erano vuoti, come se non fosse lì accanto a lei. C'era una bottiglia di liquore sul tavolo e un bicchiere accanto, ma a giudicare dal fatto che fosse vuoto e pulito, e che la bottiglia fosse ancora piena, non doveva essere ubriaco.
"Dove... dove siete stata?" le chiese, quasi balbettante.
Che si fosse già scolato un'altra bottiglia intera e quella sul tavolo era la seconda? Isla si tenne a debita distanza, ad un paio di sedie da lui.
"Era il compleanno di Caroline, signore. Mi ha invitata a cena a casa sua."
George annuì, ma in realtà, a causa di quello sguardo vacuo, non riusciva a capire se l'ascoltasse oppure no.
"Vi sentite bene?" gli chiese, inclinando un po' la testa.
"C'erano anche i Poldark alla cena, immagino..." fece. Non sembrava arrabbiato e nemmeno infastidito, ma soltanto rassegnato. Poi indicò il ritratto della moglie. "Sapete, anche lei è stata una di loro... amata da ben due Poldark..."
Due?
George recepì la confusione di Isla come un invito a continuare.
"Il primo grande amore di Ross Poldark" disse, con voce enfatica, e picchiettando le dita sul tavolo. Stava parlando ad Isla, ma in realtà era come se lui stesse conversando con la moglie defunta. "Lei si è sforzata di amare il cugino, Francis, ma non ce l'ha fatta... e lui era un debole. Anche per Ross lei ha continuato ad essere importante, pure dopo che gli aveva spezzato il cuore o quando, qualche tempo dopo, ha sposato la domestica."
Isla si era bloccata, vicino alla sedia, quasi quasi avrebbe volentieri voluto mantenersi per non cadere a terra: troppe informazioni tutte insieme, in quella conversazione che aveva un che di paradossale. Ora che ci pensava meglio, possibile che Ross Poldark l'avesse davvero studiata quella sera per capire quanto fosse importante per George? Per scoprire se tra loro ci fosse un qualcosa e se lui non avesse già rimpiazzato il suo primo amore? Aveva avuto la stessa impressione al ricevimento degli Enys di qualche tempo prima, ma credeva di essersi sbagliata...
"L'ho amata così tanto... ve lo giuro" disse George. Isla si sentì a disagio perché aveva la voce incrinata dal pianto: avrebbe voluto andare via perché sentiva in un qualche modo di star violando un momento intimo, ma, al tempo stesso, aveva anche la sensazione che lui non volesse essere lasciato da solo.
Ora riusciva a comprenderlo un po' di più. Ora le era anche un po' più chiara tutta quella guerra tra le due famiglie.
"Le ho promesso che non avrei più avuto dubbi, che sarei stato un buon padre per Valentine e Ursula e invece sto facendo tutto il contrario..." continuò George.
Isla non riuscì più a stare ferma, ed andò al tavolo. Prese posto accanto a quello di George. Lui non la guardò nemmeno, fissava soltanto il bicchiere di vetro vuoto davanti a sé, digrignando forte i denti.
"Sir George, lo siete. Siete un buon padre."
"Cosa ne volete sapere voi, Isla..."
"Lo so, sir George, lo so. Vi ho visto con i vostri figli" continuò. "Lo vedo da come Valentine vi guarda che siete un buon padre. Siete solo... un po' assente dalle loro vite, ma non è niente che non si possa recuperare. Siete ancora in tempo."
Isla si sentì morire dentro quando George scoppiò in lacrime. Non credeva che un essere umano potesse piangere così: era stravolto, respirava a fatica, gli occhi erano diventati due fessure a causa delle lacrime e tremava vistosamente. Ancora non riusciva a capire se quel pianto fosse dovuto solo ad un momento di sconforto o se invece era ubriaco e si stesse sfogando per quei sentimenti che reprimeva tutti i giorni: le dava l'impressione che, in quelle condizioni, non si sarebbe fatto mai vedere da lei da sobrio.
Eppure non sembrava brillo, per niente...
"È morta per colpa mia, per colpa mia..."
Isla prese le mani di George fra le sue, in modo che fosse costretto a guardarla per bene. Erano freddissime, ma cercò di non badarci.
Con le difese abbassate, lui non sembrava più tanto rigido e spaventoso come gli altri giorni. Ecco cos'era invece: un uomo rancoroso, probabilmente anche vendicativo, pieno di sensi di colpa. Ma doveva aver amato davvero Elizabeth, fosse l'ultima cosa che Isla avrebbe potuto affermare in vita sua, anche se non li aveva mai visti insieme.
"Sir George... la morte di vostra moglie è dovuta soltanto ad una tragica fatalità. Non è colpa vostra. Non lasciatevi tormentare dal senso di colpa per averla persa, sono certa che abbiate fatto tutto il possibile per salvarla. Ora però dovete andare avanti."
George non rispose, riusciva a non far altro che piangere o a fissare quell'improvvisa vicinanza fra loro due. Anche Isla ne era imbarazzata, ma non riusciva a staccare le mani dalle sue, per infondergli conforto e sicurezza.
"Dovreste riposare. Sembrate stremato."
George tirò su col naso.
"Voi ce l'avete avuto un grande amore, Isla?"
"Che?"
"Siete mai stata innamorata?" domandò lui ancora, tra una lacrima e l'altra. "Se lo siete stata... sicuramente potrete capirmi."
Isla dovette ricorrere davvero a tutta la forza che avesse per non crollare anche lei. George ora non aveva più lo sguardo vacuo, ma la fissava davvero, i suoi occhi azzurri non mentivano. Osservò quella situazione assurda in cui si trovavano: seduti ad un tavolo, mano nella mano, vulnerabili come non lo erano mai stati prima.
Era stata innamorata di un uomo, per tanto tempo, ma aveva seppellito quel ricordo grazie al lavoro, che era stata l'unica cosa che le avesse consentito di andare avanti. Aveva sempre pensato che non si sarebbe mai sposata, non dopo aver vissuto per tutta la vita con due genitori che non si erano mai amati, ma per una, una sola volta... ci aveva quasi sperato. Certo, quello che aveva provato non era niente di lontanamente simile a quello che legava Dwight e Caroline o Ross e Demelza, ma... era sicuramente un qualcosa che ci si avvicinava.
"Lo sono stata, sir George. Una volta sola."
"E quest'uomo? Lo avete perduto?"
Isla annuì e deglutì nervosamente. "Sì, ma non nel modo in cui voi avete perso vostra moglie. L'uomo di cui vi sto parlando è ancora vivo."
Sospirò. George lo prese come un invito a darci definitivamente un taglio, che quella conversazione stava veramente degenerando. Smise di piangere e il suo respiro si fece più calmo.
"Sarete stanco, andate a dormire" gli suggerì Isla, nuovamente.
"Lo sono, in effetti. Ma non riuscirei a dormire comunque."
"Lo volete un tè?"
George sospirò. "Tutti i domestici stanno dormendo."
"Ve lo preparo io, andate a sistemarvi sul divano nel salotto. Siete anche gelido come la neve lì fuori, una tazza di tè vi scalderà."
Il calore delle mani di Isla si dissolse da quelle di George quando si alzò e si allontanò verso il corridoio che conduceva alle cucine. Era tanto, troppo tempo che non percepiva più quel calore attorno alle sue mani... restò così a fissarle, sentendone già la mancanza.
Fece come gli disse Isla. Era troppo stremato per fare qualcosa di sua volontà. Andò in salotto, si appoggiò al divano, ma dopo poco si rese conto che, a discapito di quanto pensasse, faticava a tenere gli occhi aperti.
Si sdraiò: "solo cinque minuti" pensò. Invece si addormentò quasi subito: quando Isla tornò con un vassoio e due tazze di tè, era pronta per ascoltarlo ancora. Ma lo ritrovò disteso sul divano, a pezzi, con un braccio dietro la testa, ormai profondamente addormentato.
Isla scosse la testa, poggiò il vassoio sul tavolino, poi prese una coperta che era sempre lì in salotto e gliela pose addosso. George non si scompose, era troppo stanco per accorgersi di lei e continuò a dormire.
Tornò in cucina e diede una lavata alle stoviglie, poi tornò da lui e lo osservò un po' prima di ritirarsi: era sicura che non le sarebbe più capitato di vedere George in quello stato, che al mattino successivo lui avrebbe fatto finta di niente o si sarebbe giustificato e scusato dicendole di aver bevuto un bicchiere di troppo. Lei gli avrebbe fatto immediatamente capire di non essere così viscida da spifferare una cosa del genere, perché era certo che George, con quel suo tipico atteggiamento, avrebbe messo le cose in chiaro.
Lo lasciò così sul divano, con la luce della luna che illuminava una porzione di salotto. George non faceva poi così tanta paura, ma sembrava soltanto spaventato lui stesso di cosa gli riservasse il futuro da quel momento in poi.
Spense le candele di tutta la sala da pranzo. Mentre si ritirava al piano superiore, lo sguardo di Elizabeth Warleggan, da quel quadro in sala da pranzo, si fece decisamente insistente, anche se era buio e a malapena si vedevano i suoi occhi. Era come se la stesse osservando per essere andata oltre un valico che non doveva superare.
Isla salì di corsa le scale e chiuse la porta della sua camera dietro di sé, senza pensarci due volte.
 

Angolo dell’autrice
Buona domenica!
Come state? Vi porto oggi un nuovo capitolo. Spero vi piaccia e mi scuso se ci ho messo un po’ ad aggiornare.
Cosa ne pensate? Nella prima parte passeggiamo assieme a Geoffrey Charles e ai Warleggan lungo la spiaggia, e posso assicurarvi che il piccolo e ribelle Poldark dai capelli biondi non si limiterà a fare soltanto un’apparizione in questa fanfiction! Nella quinta stagione, il poverino non ha un soldo bucato, ma qui ho voluto che fosse Ross ad occuparsi di lui, mantenendo così fede all’inimicizia tra George e il suo figlioccio.
Ho sempre trovato Geoffrey Charles estremamente interessante, credo sia uno di quei pochi personaggi che pur essendo soltanto un ragazzino, sia stato capace in un qualche modo di tenere testa al villain della nostra amata serie preferita (soprattutto nella terza stagione)! Al tempo stesso mi ha sempre fatto una gran pena, soprattutto nell’ultima stagione, quando vediamo quanto senta la mancanza di sua madre.  
Nella seconda parte del capitolo, succede invece qualcosa di speciale. Le voci che provano a far sì che Isla non si avvicini troppo a George non trovano alcuno spazio. Per una volta, i due sono più vicini di quanto possano pensare. Hanno avuto entrambi due grandi amori. Conosciamo quello di George, ma chi sarà l’uomo del passato che ha spezzato il cuore di Isla?
Vi lascio con questo quesito.
Un abbraccio
Lady Warleggan

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Capitolo 6
*** Sei. ***


Sei.
George dormì poco sul divano in salotto e si risvegliò un paio d'ore prima dell'alba. Era avvolto dal buio, intirizzito dal freddo e scaldato da un'unica coperta gelida. Si sentiva intontito, come se qualcuno gli avesse dato una botta in testa e lo avesse tramortito lasciandolo in mezzo al nulla.
Anche così, anche se mezzo morto di stanchezza e di freddo, con la schiena a pezzi, in quella stanza semibuia, non riuscì a fare altro che restarsene immobile. Si sentiva gli occhi gonfi, come se avesse continuato a piangere pure nel sonno: il ricordo del calore delle mani di Isla gli tornava alla mente come un sogno, come se si fosse immaginato tutto, e invece non poteva credere che il tutto fosse avvenuto soltanto poche ore prima, che lui avesse permesso che una persona lo vedesse in quelle condizioni, soprattutto una donna che non fosse la sua Elizabeth. Aveva pianto davanti a lei, in passato, per chiederle perdono. Ma con Isla no, con lei aveva soltanto cercato conforto. Tracciò delle linee invisibili su quella coperta gelida che sicuramente doveva avergli posato addosso, mentre era profondamente addormentato.
Si sfregò le mani, ormai tanto fredde e intorpidite, forse riprovando a ritrovare quel calore che aveva sentito con le mani di Isla. Ormai pensava solo a lei, immerso in quella lucida consapevolezza del buio, adesso più imbarazzato che mai per come si fosse lasciato andare in sua presenza, in preda ad uno di quei deliri in cui la nostalgia per la moglie defunta era diventata troppo insostenibile. Sospirò, pensando con quale coraggio poi avrebbe dovuto guardarla in volto ed affrontarla: non era sicuro di riuscirci, e francamente non si sentiva ancora pronto ad affrontare quel momento.
Trovò finalmente la forza di alzarsi da quel divano, le sue scapole reclamarono pietà mentre si stiracchiava. Cercò di orientarsi nel salotto semibuio, muovendosi a tentoni: la luce della notte non aiutava, doveva trovare un candelabro e un paio di fiammiferi.
Affidandosi ai suoi altri sensi, sapeva che sul camino del salotto avrebbe trovato entrambe le cose, e dopo un paio di tentativi, riuscì ad accendere tutte e tre le candele del candelabro. Iniziò a farsi luce nella sala da pranzo: sentiva su di sé lo sguardo di Elizabeth da quel quadro che aveva scoperto lui stesso, poche ore prima, ma non si voltò per guardarla. Conosceva a memoria ogni dettaglio di quel ritratto. E sapeva che non c'era motivo di dare alcun ordine al personale di casa sua, lo avrebbero fatto in automatico: il quadro, prima che lui avesse fatto colazione, sarebbe stato sicuramente coperto.
Tornò in camera propria, dormì ancora un altro po', e quando si risvegliò, non ebbe la forza di uscire. Si fece portare la colazione in stanza e i domestici sembrarono sorpresi di ritrovarselo a Trenwith, nemmeno sapevano che fosse rientrato: d'altronde era tornato talmente tardi che tutti erano già a dormire. Ordinò poi che qualcuno mandasse un messaggio a suo zio Cary in cui lo informava che non si sarebbe recato a lavoro, che si sentiva poco bene e che lo avrebbe aggiornato direttamente il giorno successivo. A causa di quelle poche ore passate a dormire sul divano adesso aveva dolore in muscoli che nemmeno pensava di avere.
Seduto sul letto, si portò in grembo il vassoio della colazione. George non voleva semplicemente fare niente, quella mattina. Non ne aveva voglia.
Mentre ingollava un pezzo di pane, la sua mente vacua fu attirata da alcune risate all'esterno. Sembrò accorgersi solo in quel momento di quanto fosse bella quella giornata, e di che sole meraviglioso splendesse alto fuori le finestre di camera sua.
Si alzò, ignorando il freddo del pavimento sotto ai piedi scalzi e si accostò al vetro. Da quell'angolo della sua camera, le figure di Isla e Valentine erano perfettamente visibili. Suo figlio e la sua istitutrice camminavano nel giardino di Trenwith ancora spoglio a causa dell'inverno, entrambi con un libro in mano, come se avessero approfittato di quella giornata gentile per fare lezione all'esterno.
Che visione: anche da quella distanza il sorriso di Valentine era nettissimo. Non riusciva a capire che cosa stesse dicendo ad Isla, ma era evidente che entrambi stessero discutendo di qualcosa di particolarmente interessante, forse un argomento di studio che doveva aver catturato la loro attenzione.
Quell'esplosione di vita, quell'anticipo di primavera offerto da Isla e da suo figlio nel clima rigido della Cornovaglia, rappresentò per George la molla giusta. Aveva una terribile emicrania e dolori dappertutto, ma niente che una passeggiata all'aria aperta non potesse lenire; una risata di suo figlio sarebbe potuta essere sicuramente una medicina più che adeguata.
Ora, mentre lo vedeva sorridere, si chiese da quanto tempo Valentine non sorridesse così, almeno per merito suo. Valentine lo rispettava, lo ammirava, ma forse troppe poche volte aveva riso per causa sua.
Si diede una ripulita al catino, indossò dei vestiti puliti e pettinò alla bene e meglio i suoi capelli senza alcuna forma. Aveva toccato poco della sua colazione, ma si sentiva fiducioso: ora sentiva che, nonostante la nottata delirante, avrebbe comunque avuto il coraggio di osservare gli occhi azzurri di Isla.
Lasciò la sua camera e scese le scale, poi uscì dall'ingresso. I ciottoli sotto ai suoi piedi scricchiolarono. Isla e Valentine gli davano le spalle, ma non erano troppo lontani da dove li aveva visti alla finestra.
Fuori faceva ancora freddo, ma al sole si stava bene. Tuttavia erano entrambi ben imbabuccati: lei era stretta in un soprabito grigio e indossava un cappello non troppo largo; suo figlio aveva messo un cappotto blu.
A quel punto e a quella distanza, riuscì ad estrapolare parti della loro conversazione. Stavano studiando francese.
"Peux je vous inviter à danser, mademoiselle?"
"Très bien!" esclamò Isla, con un sorriso fiero. "Miglioriamo solo un po' la pronuncia di peux, d'accordo?"
George mise le mani in tasca, gli ci volle poco per avvicinarsi a suo figlio e ad Isla, e anche ad entrambi per rendersi conto di non essere più da soli. George non riuscì a guardare subito Isla, preferì concentrarsi su Valentine, che dopo aver urlato "papà!" si era letteralmente fiondato tra le sue braccia, lanciando per terra il suo libro di testo. Isla lo raccolse immediatamente.
"Non sapevo che fossi tornato!"
"Ho fatto un salto a casa."
Valentine annuì, e si avvinghiò a lui a mo' di koala. George non ebbe il coraggio di lasciarlo andare.
"Mi spiace aver interrotto la lezione" si scusò, trovando finalmente la forza di osservare l'istitutrice di suo figlio. "Buongiorno, Isla."
Lei gli sorrise con estrema sincerità e contraccambiò il saluto. Non sapeva da dove partire, se aspettare un momento opportuno e chiederle un confronto privato, o soltanto lasciar correre quanto capitato la sera precedente come se nulla fosse. George non voleva soltanto chiederle di non dire niente in giro, ma voleva anche ringraziarla: era vero, era stato un caso che lei rientrasse nello stesso momento in cui lui si era diretto nella sala da pranzo, ma era pur sicuro che se non fosse stato per quelle sue mani o per le sue parole, forse quella sera si sarebbe ubriacato fino a scordare il suo nome e probabilmente, chissà, lo avrebbero trovato addormentato al tavolo da pranzo.
E sicuramente non sarebbe stata una bella visione per nessuno.
"Posso assistere alla lezione?"
Isla fu sorpresa dal tono timido con cui George le si rivolse. Era in evidente difficoltà dopo quanto capitato la sera precedente, tanto quanto lei, ma in fondo a Trenwith lui era il padrone, non aveva bisogno di chiedere.
"Certo, sir George."
Valentine scese dalle braccia del padre e riprese il suo libro in mano. George non disturbò affatto, a pochi passi dietro di loro, e la sua presenza non risultò per nulla ingombra, era solo come se a quella lezione assistesse un spettatore.
George aveva già notato, quand'era a casa, dei miglioramenti in Valentine, ma quella fu la prima volta in cui poté osservare da vicino il metodo di insegnamento utilizzato dalla nuova arrivata di Trenwith. Pazienza, tenacia e dolcezza sembravano gli ingredienti giusti.
"Perché non ci presentiamo in francese a vostro padre?" azzardò a chiedere Isla a Valentine, fermandosi di colpo e costringendo George a fare altrettanto.
Il bambino la guardò con incertezza, come se non si sentisse ancora pronto, ma Isla gli fece un occhiolino, incitandolo quantomeno a provarci.
George non disse niente, si limitò ad un cenno della testa invitando il figlio a procedere, e incrociò le braccia dietro la schiena.
Valentine sembrava nervoso alla sola idea di esporsi. Con Isla era un conto, se faceva degli errori lei era clemente e gli faceva capire dove avesse sbagliato, ma suo padre era tutta un'altra faccenda.
"Puoi farcela!" insisté lei, e a quel punto si lasciò convincere. Prese un grosso respiro e cominciò a parlare.
George rimase stupito da quello che ascoltò. Valentine era riservato e timido di natura, probabilmente non sarebbe stato capace di spiccicare il suo nome per intero davanti ad un estraneo, tra l'altro nella sua lingua madre. Il bambino che gli stava ora di fronte poteva non avere una certa fluidità nel discorso o formare delle frasi molto semplici da un punto di vista grammaticale, eppure gli stava parlando in francese senza commettere alcun tipo di errore.
Valentine fece una breve presentazione sul suo nome, sulla sua età, su dove vivesse, con chi vivesse e cose semplici come il suo colore o i suoi giochi preferiti. George non si accorse nemmeno che il discorso era terminato fino a quando Isla non fece un piccolo applauso e lui si ritrovò a fare altrettanto.
"Sei stato splendido!" esclamò con orgoglio.
Si chinò alla sua altezza per un abbraccio veloce, poi Valentine osservò il padre con sguardo speranzoso.
"Papà, che ne dici?"
Il silenzio inaspettato di George lo lasciò per un attimo nel panico, ma quando le labbra di suo padre si aprirono in uno dei suoi inaspettati sorrisi, Valentine sentì le sue gambe vibrarsi in aria.
"Praticamente tra poco parlerai francese meglio di me!"
* * *
Passarono altri giorni da quella mattina, e poi anche delle settimane. George alla fine scelse la strada del silenzio: far finta che quella notte non fosse successo nulla conveniva sicuramente sia a lui che ad Isla per evitare eventuali imbarazzi, poiché già di per sé il loro rapporto aveva superato determinate righe. Eppure, evitare di pensare che ormai quella ragazza facesse parte di quella loro famiglia, era come mentire a se stessi.
Quando rincasava spesso dai suoi viaggi fuori dalla Cornovaglia, era nata, senza preavviso, l'abitudine di ritrovarsi tutti assieme attorno al fuoco del caminetto, dopo cena: di solito l'atmosfera era molto tranquilla, Valentine giocava sempre un po' prima di dormire, mentre George, seduto alla poltrona, ricontrollava attentamente gli ultimi conti; Isla invece si perdeva a leggere qualche libro o le lettere della famiglia.
Una sera capitò che Valentine prendesse sonno sul divano, in grembo ad Isla. George se ne accorse per primo, alzando per un attimo lo sguardo da tutti quegli affari che gli occupavano la mente. Avrebbe dovuto trovare quell'immagine stonata, forse se si fosse trovato nelle condizioni in cui era stato per un lungo periodo, avrebbe dato di matto... soprattutto a ripensare al volto di Elizabeth e a come quella notte in cui erano stati intensamente vicini lui ed Isla, gli occhi del suo ritratto l'avessero giudicato male. E invece non ci trovò niente di assolutamente assurdo, quella volta.
Fu quella sera che notò qualcosa di strano in Isla, e quello fu l'inizio di un lungo periodo in cui non gli parve più serena. Sembrava preoccupata mentre leggeva qualcosa in una delle lettere che le arrivavano spesso a Trenwith: George faceva controllare spesso la posta e perlopiù erano missive provenienti da Caroline e dalla sua famiglia, non arrivava praticamente mai niente dai Poldark e fu grato che, nonostante quella latente amicizia con Demelza, Isla stesse mantenendo un qualche tipo di distanza o comunque cercasse di non piazzarglielo davanti agli occhi.
Il contenuto di quelle lettere continuò a preoccupare Isla nei giorni successivi, motivo per cui smettere di pensare a quello strano momento tra lei e George, avvenuto tempo prima, divenne più semplice. Lasciarselo alle spalle divenne naturale come bere un bicchiere d'acqua, visto che ormai, di dormire non se ne parlava: divenne difficile scervellarsi su cosa rispondere alle parole dell'ultima lettera di sua madre.
Il motivo di quei pensieri inquieti era Mary. Sua madre scriveva che sua sorella minore si era inspiegabilmente ammalata dinanzi agli occhi di tutti e che ormai le sue giornate erano tutte uguali.
"Una malattia di nervi" aveva confermato l'ultimo dottore che l'aveva visitata, roba che le aveva fatto contorcere le budella quando poi aveva letto delle barbarie a cui sembrava che sua madre e quell'idiota di suo marito avessero deciso di sottoporla per aiutarla a riprendersi.
"Un demone interiore, dobbiamo pregare!" recitava una delle parti della lettera e Isla era rimasta in bilico tra il voler rispondere con una lettera piena di insulti verso sua madre e il marito di sua sorella oppure fare quello che sembrava più giusto in quel momento: tornare in Scozia.
Mary era sempre stata fragile e quello ne era il risultato. Probabilmente le continue pressioni da parte delle famiglie dovevano essere state deleterie per lei, cosa che in parte portava Isla a sentirsi in colpa perché sapeva che non si erano lasciate bene quando aveva fatto armi e bagagli dal suo ultimo incarico a Londra ed era andata a vivere in Cornovaglia.
Ma Mary non era cattiva, e lei non aveva mai smesso di volerle bene. E lei era sua sorella maggiore, e doveva tornare, provare ad aiutarla. Era certa che solo con la sua presenza potesse assicurarsi che i suoi non permettessero più a dei dottori da strapazzo di tormentare sua sorella.
Ma per l'assurdo, mentre rimuginava sulla risposta da inviare, il solo pensiero di dover lasciare Trenwith per un periodo di tempo che non avrebbe saputo definire, era diventanto un qualcosa di inconcepibile. Sua sorella aveva bisogno di lei, ma anche Valentine ne aveva. E lei, dopotutto quel tempo accanto a lui, sapeva di non poterlo davvero abbandonare perché se n'era affezionata troppo per fargli del male.
Sarebbe stato tutto più semplice se fosse riuscita a parlare con Dwight e a convincerlo a partire per la Scozia, perché era certa che, uno come lui, avrebbe saputo trovare davvero la cura giusta per aiutare Mary a riprendersi. Ma come faceva? Dwight era probabilmente l'unico medico che i minatori e la gente povera dei dintorni potessero permettersi stando ai racconti di Caroline, e lei non poteva strapparlo a quella terra e a quelle famiglie, anche perché era certa che lui non si sarebbe schiodato da lì, per quanto dispiaciuto di non poter davvero aiutarla.
Un sabato, durante uno dei suoi soliti incontri con Caroline e Demelza, quella cosa saltò fuori, soprattutto di fronte all'insistenza delle due amiche che vedevano chiaramente un turbamento in lei da molto tempo. Le giornate si facevano più gentili con l'arrivo della primavera e ormai non nevicava più, potevano chiacchierare e passeggiare all'esterno senza rischiare di diventare tre pezzi di ghiaccio.
Isla aveva tentennato a confessarlo perché, a di là di quanto potesse stimare le due amiche, parlare di salute mentale nel loro mondo e ai loro tempi, era ancora come camminare sui carboni ardenti: si rischiava di dire troppo e coinvolgere degli istituti di recupero dove le menti già provate raggiungevano la definitiva morte, o si rischiava di essere allontanati da qualsiasi cerchia sociale. Ma Mary era sua sorella, e Demelza e Caroline erano le amiche migliori che potesse aver mai conosciuto fino a quel momento, quindi decide di fidarsi.
"Magari, se riuscissi a convincerla a venire qui in Cornovaglia, sono certa che Dwight sarebbe ben lieto di visitarla" rifletté Caroline a voce alta, beandosi di un raggio di sole sul volto.
"Sono certa che Ross potrebbe trovare per tua sorella e suo marito una sistemazione a Truro in qualche appartamento" aggiunse poi Demelza, e quel suggerimento gettò Isla nel panico. "Ha delle conoscenze in città."
Doveva intervenire immediatamente. Un conto era chiedere consiglio alle sue amiche, un altro era che coinvolgesse in quella faccenda anche il peggior nemico di George. Che per inciso, di tutto quello che stava capitando, non sapeva ancora niente. Non gliene aveva mai parlato: anche se dopo quell'insolito fatto aveva ripreso ad essere più presente in casa, gli unici momenti in cui si beccavano erano la sera accanto al focolare o qualche volta all'ora dei pasti, e di solito si limitavano a convenevoli si cortesia.
Era vero, si trattava pur sempre di sua sorella, ma non voleva comunque incorrere nel rischio di accentuare ancora di più quella faida oppure di essere licenziata. Perché aveva la sensazione che George non si sarebbe fatto troppi problemi a mandarla via.
"E perché mai sistemarsi a Truro? Il centro è caotico, e credo che Mary abbia invece bisogno di tranquillità e di pace" intervenne Caroline, scuotendo il capo. "Casa mia è perfetta: abbiamo un sacco di stanze e Dwight può prendersi cura di lei in qualunque momento."
Il volto di Isla si illuminò. Caroline aveva avuto davvero un'ottima idea: certo, il viaggio dalla Scozia fino in Cornovaglia non sarebbe stato una passeggiata, ma probabilmente era l'unica alternativa che Isla avesse per contribuire in qualche modo ad evitare il definitivo declino di sua sorella. Di quel passo avrebbe dovuto scrivere anche al marito, ma era una situazione che poteva tenere benissimo a bada.
"Credo di doverne parlare prima con sir George" ammise francamente.
Forse da un lato non ne era obbligata, ma nascondere quella parte enorme al suo datore di lavoro le sembrò d'improvviso allucinante. L'arrivo di Mary avrebbe richiesto un po' del suo tempo e lei doveva essere certa che lui gliene concedesse abbastanza per prendersi cura di lei. Col suo arrivo, non poteva occuparsi di Valentine tutti i giorni.
"Perché?" Demelza inarcò un sopracciglio.
"Perché ho bisogno di più tempo per stare accanto a Mary" rispose Isla. "E per farlo dovrò toglierne a Valentine."
"E se lui dovesse rifiutarsi?" azzardò a chiedere Caroline. "Se non dovesse permetterlo?"
Isla fece spallucce. "Non lo so. Probabilmente l'unica soluzione possibile in quel caso sarebbe tornarmene in Scozia, dalla mia famiglia." E a quel punto, le facce delle due amiche si fecero dispiaciute. "Ma fino ad adesso sir George è sempre stato cortese con me."
Ci fu un attimo di silenzio.
"Seh. Cortese."
Isla alzò lo guardò su Demelza. Era la prima volta che la affrontava con un'espressione di autentica frustrazione: non ne poteva più di parole a caso, frasi a metà, di verità celate. Tutta quella questione di sua sorella la stava già mettendo a dura prova.
"Non so quale sia il problema tra voi Poldark e i Warleggan, Demelza" sbottò e il suo tono di voce fece sgranare gli occhi a Caroline. "Ma ne ho abbastanza. E sì, che tu voglia crederci o no, sir George è sempre stato gentile con me."
Isla dovette rilassare le spalle perché si rese conto che aveva detto tutto senza prendere un attimo di respiro. Lo sforzo di difendere a tutti costi George l'aveva lasciata senza fiato. Perché si era spremuta così tanto? Si sentì in fiamme. Il sole tiepido le scaldava la pelle, ma era certa che quel calore che sentiva non fosse dovuto soltanto alla bella giornata.
"Quando ti accorgerai davvero di chi è George, Isla, rimpiangerai di averlo incontrato" rispose Demelza, piccata alla stessa maniera, forse anche un po' sorpresa di essere stata aggredita in quella maniera.
Caroline si voltò a guardare inorridita anche la sua amica dai capelli rossi.
"Demelza!" la sgridò.
Isla fece un segno con la mano e la invitò, educatamente a non intromettersi. Non aveva bisogno di alcun avvocato difensore, si era difesa da sola tutta la vita, ora era brava a farlo. Aveva affrontato nemici ben peggiori della signora Poldark, che per quanto scaltra ed impetuosa non le faceva alcuna paura.
"Non mi importa cosa sia successo fra le vostre famiglie, ma sei mia amica e se fossi in pericolo avresti già dovuto dirmelo sin dall'inizio e non l'hai mai fatto, quindi direi che non ho niente da temere." Prese una pausa. "E che tu ci creda o no, lavorare a Trenwith non è l'inferno che vuoi farmi credere. Mi piace stare lì."
Era la prima volta che lo ammetteva ad alta voce. Aveva lavorato in tante case prima di arrivare lì, ma la Cornovaglia era l'unica che le avesse dato l'impressione di sentirsi davvero in un posto familiare, dopo la Scozia. Quanto tempo ci aveva messo per riuscire finalmente a realizzarlo?
"Un giorno dirai anche che ti piace anche George e ne vedremo delle belle" replicò Demelza con un sorrisetto.
L'atmosfera si congelò in quel perfetto momento, Caroline sembrava non smettere mai di mostrare un'espressione di stupore alla volta, ma né Isla e né Demelza abbassarono mai lo sguardo l'una dall'altra. Era la prima volta che le due si concedevano il tempo di osservarsi attentamente: le due bruciavano di due fuochi intensi e diversi, che non si sarebbero somigliati mai. Erano amiche, pensò Isla, ma le venne da chiedersi spontaneamente se l'universo non stesse mandando anche a lei dei segnali per dimostrarle la linea di confine che sembrava separarle. Demelza era sicuramente dalla parte dei Poldark, ma lei?
Lei era una Warleggan?
Isla non replicò nient'altro. Non perché temesse di rispondere all'amica, ma perché quella era l'unica risposta necessaria che potesse concludere quel momento sgradevole.
Si voltò verso Caroline, distogliendo lo sguardo da Demelza.
"Credo di dover andare."
* * *
Passarono un paio di giorni da quella discussione e quando Isla ebbe modo di sbollire, un milione di dubbi e domande le imperversarono i pensieri. Litigare con Demelza era stato stupido e più avanti avrebbe trovato modo di chiarire tutta la situazione con lei, ma non erano quello il tempo e il momento giusti per pensare alla faida tra i Poldark e i Warleggan.
Trovò finalmente il coraggio di chiedere a George di potergli parlare e l'incontro avvenne nel salottino, dopo cena: quella sera anche Cary Warleggan aveva deciso di fermarsi a dormire Trenwith. Sarebbe stata una serata come le altre, se non fosse per quello che Isla raccontò.
Valentine giocava con i soldatini, ma con un orecchio era teso alla conversazione. Dovette trattenersi dall'intervenire quando Isla spiegò a George che una signora di nome Mary aveva bisogno del suo aiuto e che lei quindi non poteva trascorrere tutto il tempo con lui come prima, perciò si limitò a fissare la faccia impenetrabile del padre sperando che lui non fosse d'accordo e non lo permettesse. Era evidente che Isla fosse a disagio, come se non volesse che anche lui sentisse, per questo fece ancora finta di giocare con i suoi soldatini.
Anche Cary Warleggan, appoggiato alla poltrona opposta a quella di George, distolse lo sguardo dai fogli che stava esaminando con cura, per studiare la portata di quella conversazione. Ad ascoltare il racconto di quella ragazza, gli sembrò di fare un salto nel passato, come se il destino gli stesse giocando l'ennesimo tiro mancino, perché quello che stava ascoltando provenire dalla bocca di Isla sembrava l'esatta copia sputata di quanto successo a George, soltanto qualche tempo prima. Cercò di incontrare lo sguardo del nipote per trovare un'intesa, ma non lo trovò.
Cary ripensò ai controlli frequenti dei medici per comprendere il motivo delle sue visioni sulla moglie Elizabeth, le "cure" atroci a cui lo avevano sottoposto e che lo avevano solo fatto peggiorare precipitosamente in un baratro di vuoto e silenzio, fino a quando non era arrivato Dwight Enys a metterci una pezza. Gli costava ammetterlo perché non aveva granché stima di quel dottore, ma se George aveva riacquistato una parvenza di normalità nella vita di tutti i giorni era stato solo grazie a lui.
George non intervenne mai, per tutto il tempo in cui Isla parlò. E quando lei terminò, e iniziò a torturarsi le mani in maniera nervosa in attesa di una sua risposta, finalmente si decise a parlare.
"Mi spiace per vostra sorella, Isla. Sono... sono solo deluso che non siate venuta a parlarmene prima."
"Deluso... dite?" Isla soppesò quelle parole.
Lui annuì e il suo sguardo fu difficile da interpretare: non seppe dire se fosse deluso perché non gliene avesse parlato subito o perché, qualcuno prima di lui, aveva trovato una soluzione geniale al suo problema. Qualcuno che fosse così vicino ai Poldark, come gli Enys.
"Cosa credete che penserà la vostra famiglia se non vi aiuto io per primo, come vostro padrone?" George scosse il capo.
"Sir George, dovete credermi: l'ultimo parere di cui mi interessa è quello della mia famiglia."
Quella risposta così fredda e secca, stupì George. Dagli occhi di Isla sembrava brillare un autentico astio mentre pronunciava quelle parole, ma era certo che non fosse diretto a lui.
"Voglio solo che mia sorella stia bene, non ho tempo di stare a pensare a voi che siete offeso perché mi sono rivolta prima a qualcun altro."
Isla si irrigidì. Non aveva minimamente pensato a quello che aveva appena detto. Dovette ficcarsi le unghie nella pelle delle mani e stringere i denti. Era stata precipitosa: se non voleva dare a George motivo di mandarla via e sperare in un qualche modo di aiutare la sorella, ora gliene aveva appena servito uno su un piatto d'argento.
"Perdonatemi, io non intendevo dire questo..."
"No" la zittì George, spazientito. "Voi intendevate davvero dire quello che avete detto. Dovreste mettere d'accordo mente e bocca prima di parlare a sproposito, Isla. Può costarvi caro, ve lo assicuro."
L'atmosfera si fece tesissima. Isla aspettava ormai di sentire la sua definitiva condanna a morte, ora iniziava a comprendere gli avvertimenti delle amiche o Geoffrey Charles perché lo sguardo di George non era bello da vedere. Stava già pensando ai bagagli da riempire e al lungo viaggio che l'aspettava per ritornare alla sua piccola città natale e solo al pensiero si sentì morire. Cercò di mantenere tutta la completezza che riuscì a trovare, ma dall'alto del suo metro e cinquantotto e dei suoi timori, si sentì minuscola.
"Non... non mandarla via, papà."
La voce di Valentine fece quasi sussultare tutti all'interno di quella stanza, forse perché la tensione si poteva tagliare con un coltello. Nessuno si era reso conto che aveva ormai smesso di giocare con i soldatini e che era parte di quel momento, quanto tutto il resto della stanza. Ad Isla mancò poco per scoppiare a piangere a quelle sue parole dolci e George dovette accorgersene.
"Non la mando via, Valentine. Isla è soltanto preoccupata per la sorella" gli rispose tranquillo.
Anche con quella frase, niente poté placare il moto di panico che prese il sopravvento sull'istitutrice, e a quel punto sostenere lo sguardo di George divenne ancora più difficile.
"Non vi siete mai guardata attorno, non avete fatto caso a quanto grande sia questa tenuta?" disse alla fine, indicandole con un dito lo spazio attorno a loro. "Gli Enys hanno una bella proprietà, e concordo con loro che vostra sorella abbia bisogno di tranquillità per riprendersi. Trenwith ha tutto ciò che le occorre."
Isla non riuscì a parlare.
"Scrivete a suo marito, ditegli di venire qui. Potranno fermarsi tutto il tempo che desiderano. Ma la prossima volta che mi rispondete come avete fatto prima, Isla... posso assicurarvi che non ve la caverete tanto facilmente."
 
 


Angolo dell’autrice
Ciao a tutti, come state?
Spero abbiate passato buone vacanze di Pasqua! Ne ho approfittato per ritornare visto che era da un bel po’ che non lo facevo, e sono adesso curiosa di sapere cosa pensate di questo aggiornamento.
Sicuramente, in questo sesto capitolo c’è poco tempo per George e Isla per pensare a quello che è successo fra loro precedentemente; lei è preoccupata per la sorella, che conosceremo a breve, e lui purtroppo non si dimostra l’uomo più affabile del pianeta nella parte finale!
Del litigio tra Isla e Demelza cosa ne pensate? Potrebbe essere il preludio di un'ulteriore spaccatura che accadrà nei capitoli successivi? Per adesso posso solo dirvi che le due saranno abbastanza intelligenti da capire che la loro discussione è stata stupida e che prima o poi chiariranno le cose.
Perché secondo voi, George vuole aiutare Isla?
Bene, credo di aver detto tutto!
Cercherò a breve di tornare a leggere le vostre storie, scusatemi se non mi sono fatta sentire per un bel po’, ma mi sono presa questi giorni per stare un po’ in relax.
 
Vi abbraccio
Lady Warleggan

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Capitolo 7
*** Sette. ***


Angolo dell’autrice
Ehilà! Lo so, di solito mi faccio sentire alla fine del capitolo, ma stavolta ci tenevo davvero molto a dire qualcosa prima di lasciarvi alla lettura. Questo capitolo è molto importante per la storia, soprattutto per il passato di Isla. Ci terrei perciò davvero molto a sapere cosa ne pensate!
 
P.S.: Sempre in questa sezione, troverete una mia nuova storia intitolata Skam Cornovaglia. Si tratta di una AU di Poldark ambientata ai giorni nostri, in cui i protagonisti della nostra serie preferita sono dei divertentissimi adolescenti. Il personaggio di Isla, che è protagonista di questa storia, mi è piaciuto talmente tanto che ho voluto inserirlo anche in questa AU e ovviamente la ship con George sarà presente anche lì! ;)
Si tratta di una nuova storia che aggiornerò però di tanto in tanto, per ora avrà la priorità L’istitutrice. Se vi fa piacere passare anche lì e dirmi cosa ne pensate, ne sarei davvero contenta.
Un abbraccio
Lady Warleggan

 

Sette.
I preparativi per l'arrivo di Mary in Cornovaglia assorbirono gran parte dei pensieri di Isla, cosa che, nel giro di un paio di settimane, l'aiutò non poco a non farsi distrarre da altre preoccupazioni.
Ormai non sentiva e non vedeva più Demelza dal litigio avuto a casa di Caroline. Si era ripromessa che una volta risolta la questione del viaggio di sua sorella avrebbe chiarito anche le cose con lei, ma la verità era che rimandare quel momento con tutte le scuse possibili le veniva più facile che affrontare di petto la situazione. Normalmente non si sarebbe fatta problemi a confrontarsi faccia a faccia con lei, come la volta precedente in cui non si era certo tirata indietro al litigio, ma non le era piaciuto il modo con cui Demelza le aveva parlato e aveva insinuato certe cose tra lei e George. Certo, non escludeva che la gente avesse già iniziato a parlare di entrambi e del loro legame all'epoca del ricevimento degli Enys, quando si era stabilita in Cornovaglia da appena un mese, ma il parere delle amiche valeva più di qualunque altra cosa e non poteva accettare simili allusioni da una persona che, dopo molti mesi, reputava importante.
Quella discussione le aveva caricato la testa di mille domande che aveva tentato (riuscendoci, appunto, in parte) di spazzare via pensando soltanto a Mary.
Non era certa che quel litigio la innervosisse soltanto per una pura questione di orgoglio. Non riusciva più a sentirsi sicura di quello che sentiva: forse Demelza aveva toccato un nervo ancora scoperto o inesplorato. Isla aveva ammesso senza riserve che le piaceva stare a Trenwith, e forse non soltanto perché da quando era arrivata in Cornovaglia si era sentita finalmente a casa.
Ricordava ancora la prima impressione che quella vecchia e ricca residenza le aveva dato e come, dopo molti mesi, la sua opinione fosse radicalmente mutata.
Voleva bene a Valentine, più di quanto si aspettasse. Così tanto che le era costato caro il pensiero di doversi rimettere in viaggio verso la Scozia soltanto per aiutare Mary, e questo l'aveva portata a cercare la soluzione che non la strappasse più via dalla Cornovaglia. E che forse... Demelza non fosse poi tanto lontana dalla verità? Forse teneva anche a George più di quanto si fosse accorta in tutto quel tempo?
Isla sospirò. Era tardi mentre, seduta alla scrivania della sua camera, quei pensieri le affluivano alla testa tutti assieme.
Si era messa in testa di rileggere tutte le lettere arrivate nelle ultime due settimane, per essere sicura che non le fosse sfuggito nulla, ma ora si sentiva solo più stanca e stressata. Il solo pensiero che in un paio di giorni avrebbe rivisto sua sorella e suo marito e che sarebbe tornata a convivere col suo passato non la aiutava di certo a prender sonno.
Guardò poi le lettere e gli inviti di Caroline a cui aveva risposto con le scuse più improbabili, e sperò che, tutta quell'improvvisa codardia, non le costasse anche lei come amica. Doveva ammettere che, anche per com'erano andate le cose con George, era molto più legata a lei che a Demelza.
Era anche certa che quelle lettere costituissero dei tentativi da parte di Caroline di aiutare le sue due amiche a riavvicinarsi, ma Isla aveva ora troppo in ballo per continuare a discutere con Demelza. Avrebbe messo tutto a posto, prima o poi, ma adesso non se la sentiva.
George, in quelle due settimane, non era cambiato affatto e non aveva di certo mutato le sue abitudini per lei. Il ricordo di quanto capitato la sera in cui gli aveva parlato di Mary era ancora fresco, soprattutto perché la conversazione aveva preso una piega decisamente non troppo piacevole, cosa che le aveva confermato la terribile opinione che il mondo intero sembrasse avere del suo datore di lavoro.
E proprio per questo motivo, in un primo momento, la proposta di aiuto da parte sua le era parsa a dir poco strana. Dapprima aveva pensato che lo facesse per senso del dovere: d'altronde ora Isla era una presenza fissa in casa e non si poteva negare che quasi facesse parte della famiglia; poi aveva anche più ragionevolmente pensato che lo facesse solo per una questione di puro orgoglio nel non farsi superare da nessuno, anche se gli Enys non erano di certo i Poldark.
Infine, all'improvviso, doveva aver capito perché l'avesse fatto: per sdebitarsi. Probabilmente dopo quella notte strana in cui lui si era lasciato andare accanto a lei, Isla aveva dedotto finalmente che George non fosse ubriaco e il fatto che lei lo avesse visto in un tale momento di difficoltà doveva averlo messo talmente tanto a disagio che l'unica cosa che aveva potuto pensare un uomo come lui era unicamente quella: che ora avesse un debito nei suoi riguardi. Non avevano avuto più occasione di parlarne visto che con lei aveva mantenuto il più grande riserbo (e la sua discrezione era stata una cosa che aveva sinceramente apprezzato), ma era chiaro che George Warleggan non si sarebbe mostrato più a lei in quello stato e ora, mettendo a disposizione Trenwith per sua sorella e suo cognato, per lui rappresentava il modo migliore che conoscesse per sdebitarsi.
Non che lei avesse intenzione di parlare con qualcuno di quello che era successo. Ma doveva ammettere che, l'ospitalità di George, risolveva gran parte dei suoi desideri più egoisti di non voler lasciare la Cornovaglia.
Isla guardò la tazza di tè che Anne le aveva preparato prima di ritirarsi in camera propria, ormai intiepidita dalla temperatura gelida della stanza che lei non riusciva a percepire dalla tanta agitazione e preoccupazione, nonostante indossasse una camicia da notte e una vestaglia piuttosto leggere.
Riusciva soltanto a pensare che, in un paio di giorni, il suo passato avrebbe bussato alla porta di una casa che aveva iniziato a considerare come sua, più di quanto Thurso o la sua famiglia stessa fossero mai state capace di essere.
* * *
I due giorni passarono forse troppo in fretta e la mattina in cui, secondo i calcoli, prevedeva l'arrivo di Mary, sua sorella si presentò puntuale lungo il viale di ingresso di Trenwith. Isla aveva sinceramente sperato che qualcosa rallentasse il viaggio, ma poi si era sentita in colpa al solo pensiero.
Era abbastanza presto quando gli ospiti sopraggiunsero e lei, imbambolata, si ritrovò a fissare come un'ameba dalle finestre della sala da pranzo la carrozza dei Thomson. In quel momento, stava facendo colazione assieme a Valentine e George, anche se in realtà aveva mangiato ben poco. Ormai le si era chiuso lo stomaco da giorni.
Probabilmente George dovette accorgersi di quanto strana si sentisse, perché fu costretto a chiamarla un paio di volte per attirare la sua attenzione e nemmeno la voce squillante di Valentine che saltellava allegro per l'arrivo degli ospiti, con le sue nuove scarpe nere e lucide, servì a farla sentire meglio.
"Vi sentite bene?" le chiese George, poco prima che mettesse mano alla porta per uscire di casa.
Stavano indossando tutti dei cappotti per non gelare al cospetto del clima rigido della Cornovaglia, e Isla, quando guardò George, gli diede l'impressione di essersi accorta soltanto in quel momento della sua presenza.
Un paio di domestici, nel frattempo, erano già all'esterno pronti a dare il benvenuto agli ospiti della tenuta, com'era stato dato loro ordine nei giorni precedenti, quindi non c'era di che preoccuparsi; e sua sorella e suo cognato non si sarebbero di certo sentiti inadeguatamente accolti come spettava a due persone del loro rango.
George la guardava così intensamente che le diede la sensazione che non avrebbe aperto la porta fino ad una sua richiesta. Probabilmente non l'avrebbe aperta mai e Isla sarebbe stata più felice così, ma ovviamente non si potevano ignorare i problemi. Le parve quasi... umano nei suoi riguardi. Non avrebbe saputo trovare altro aggettivo.
Era... dalla sua parte.
"Sì, signore. Sto bene. È tutto a posto" rispose, col sorriso più finto che riuscisse a trovare, e forse troppo velocemente per essere creduta, ma a George non sfuggì affatto il grosso respiro che dovette prendere per calmarsi portandosi una mano al centro del cappotto grigio che indossava.
Perché se c'era una persona che Isla aveva paura di rivedere, non era mica sua sorella Mary, non la spaventava nemmeno il senso di colpa per non essere voluta tornare immediatamente alla sua cittadina natale o per aver sperato che un ostacolo rallentasse il suo viaggio. Non si erano lasciate bene l'ultima volta che si erano viste, perché sua sorella era talmente fragile e sottomessa a sua madre e alla sua famiglia che avrebbe fatto qualunque cosa pur di non deludere nessuno.
Isla camminava pochi passi dietro George, con una tempra che lui non le aveva mai visto addosso, tenendo stretta la mano del piccolo Valentine. In realtà sembrava che si stesse aggrappando a lui per non cadere a terra, e a giudicare dagli sguardi dolci e preoccupati che il bambino le rivolgeva continuamente, anche lui doveva essersene accorto, ma non riuscì a dire niente per confortarla. Tutto ciò che si sentì di fare fu stringerle ancora di più la mano per non farla sentire sola.
Mary stava ancora scendendo dalla carrozza mentre Isla, George e Valentine si avviavano verso di loro. Il padrone di Trenwith cercò di scorgere qualcosa nelle due sorelle che mostrasse una somiglianza, ma a parte la statura minuta e la lunga capigliatura castana, non sembravano somigliarsi in molto altro. C'era uno sguardo perso che aleggiava sul volto di Mary: sembrava fragile, stanca e provata, e non solo per il lungo viaggio dalla Scozia fino alla Cornovaglia. Mary era praticamente un suo riflesso di come si era visto a lungo allo specchio nel periodo dopo la morte di Elizabeth.
La sorella di Isla però sembrava combattere ben altro lutto: vestiva di nero da capo a piede, a partire dal lungo abito col merletto fino al cappotto e al cappello, come se fosse davvero morto qualcuno. Era molto magra e come la sorella, dava l'impressione di avere meno dei suoi anni. Un'altra delle pochissime similitudini che George, nel periodo in cui Mary si fermò a Trenwith, riuscì a scorgere nelle due sorelle.
La sua era una battaglia contro la pressione di due famiglie potenti che non vedevano l'ora che mettesse finalmente al mondo un erede. Probabilmente, già stremata per i suoi "insuccessi", la mente di Mary non aveva retto.
Suo marito doveva essere più grande di lei, sicuramente dell'età di Isla. Era biondo, riccio, e con gli occhi azzurri. Un principe uscito direttamente da una favola: ma vi fu poco del suo sguardo che piacque a George, anche nel sorriso decisamente eccessivo che lo ringraziava dell'ospitalità per quel breve "soggiorno" in Cornovaglia. Un lupo travestito d'agnello, fu quello che gli venne istintivamente da pensare, pure se non lo conosceva.
George non poteva certo definirsi uno stinco di santo, ma almeno lui non si nascondeva. Alec Thomson gli rimandava invece delle cattive sensazioni.
Quando le due sorelle si salutarono, il loro abbraccio fu così forte che George temette che si potessero strozzare l'un l'altra. Mary sembrava provata da quella stretta così sincera, e i suoi occhi si stavano inumidendo di lacrime, ma si contenne e il marito sembrò tirare un sospiro di sollievo, come se fosse abituato a gesti di emozionalità improvvisi da parte della moglie.
Quando però le due si staccarono, e Alec e Isla si guardarono, George si ritrovò ad osservarli più del dovuto, provando qualcosa che non gli piaceva, e fu quasi sicuro che non fosse dovuto soltanto alla cattiva sensazione che aveva di Alan. Lo sguardo di quest'ultimo si incrociava a malapena con quello dell'istitutrice di suo figlio, come se non fossero capaci di guardarsi troppo a lungo: si salutarono molto rigidamente e più pacatamente di quanto avesse immaginato.
Isla sembrava disprezzarlo, eppure...
Se solo avesse saputo che...
Mary Thomson poteva essere fragile, sottomessa e ubbidiente ai desideri dei suoi genitori. Così ossequente che, quando i Wood si erano trovati nel baratro e Isla era lontana a rimboccarsi le maniche, iniziando a lavorare come istitutrice un po' qua è un po' là, lei aveva preso la scelta più meschina per cui potesse optare, anche se sicuramente l'ultimo dei suoi intenti era quello di ferire la sorella maggiore.
Mary aveva sposato l'uomo che Isla, sin da bambina, aveva sempre amato.
* * *
La storia di Isla cominciò con Dave Wood, secondogenito di un ricco possidente terriero, Oliver Wood. Dave era un uomo dalla tempra tutt'altro che forte, ma con un buon nome e una discreta fortuna. Aveva sposato Christal Brown, la prima di una lunga sfilza di figlie femmine che non aspettavano altro che accasarsi. Un matrimonio basato sul cognome e sul patrimonio: i due sposi avevano ben poco in comune e non si amarono praticamente mai.
Christal rimase incinta quasi subito le nozze, ma la sua fu una gravidanza complessa, che la costrinse a letto quasi per tutta la durata dei nove mesi. Alla fine però venne al mondo una bambina sana e forte a cui madre e padre attribuirono il nome di Isla: probabilmente già quella lunga e difficoltosa attesa avrebbe dovuto avvisare entrambi i genitori della tempra della figlia che avrebbe visto la luce.
In realtà Dave non era molto contento che fosse venuta su una femmina, lui desiderava l'erede: era un uomo che per quanto debole e inetto, era profondamente legato alla sua terra e al nome del suo clan, e desiderava poter tramandare il mestiere di possidente ad un erede maschio. Christal gli promise nuove gravidanze, ma a differenza della prima figlia, queste tardavano ad arrivare, cosa che allontanò ulteriormente i due coniugi più di quanto già non fossero.
Dopo anni di tentativi, quando Christal riuscì a restare incinta per la seconda volta, marito e moglie aspettarono in trepidante attesa l'arrivo del desiderato erede maschio.
Isla, già all'età di sei anni, era una bambina profondamente indipendente che aveva imparato il valore della solitudine e delle proprie forze: era accudita perlopiù da una bambinaia di nome Katherine che difficilmente avrebbe dimenticato, anche dopo tutti quegli anni. Fu l'unica persona che, in quella casa a Thurso, le trasmise una parvenza di famiglia: la ninna nanna scozzese che infatti aveva intonato per Valentine quando aveva avuto la febbre, gliel'aveva insegnata lei.
Ma anche alla seconda gravidanza, Christal non riuscì ad accontentare il marito, e la nuova arrivata prese il nome di Mary Wood. L'ennesimo "fallimento" della moglie, divenne per Dave il pretesto per segnare il definitivo declino di quel matrimonio già insensato in partenza. Da quel momento non tentarono neanche più di avere altri bambini.
Con gli anni divenne però chiara la predilezione dei genitori verso una delle figlie: la minore. Mary divenne il centro delle loro attenzioni non solo per la sua salute cagionevole o per il suo carattere mite, ma anche perché Isla era ritenuta troppo ingestibile, con pensieri troppo liberali, ormai era un caso perso. Christal aveva capito sin dai suoi primi anni di età che non sarebbe mai riuscita a piegare la figlia al suo volere, anche nei piccoli gesti in cui non le ubbidiva.
In entrambe le gravidanze aveva desiderato figli con capelli rossi come i suoi, ma le due bambine avevano invece preso i colori della famiglia del padre. Solo Isla aveva ereditato i suoi occhi azzurri.
Se non poteva essere accontentata da quel punto di vista, quando vide che però poteva modellare Mary a suo piacimento, plasmarla col proprio modo di fare e con le proprie idee come non aveva potuto fare con la figlia maggiore, si rincuorò.
Forse Isla divenne il figlio maschio che Dave aveva sempre desiderato. Mary era una bambina intelligente che sfruttava le sue capacità fino a dove le fosse consentito. Isla, lasciata a se stessa in quegli anni, aveva maturato ben altra tempra e ben altre abilità. E intorno ai vent'anni, quando ormai era così lontana dai suoi genitori sotto tanti punti di vista, scoprì dei debiti del padre a causa di alcune speculazioni piuttosto rischiose e ne rimase sconvolta. Di fronte agli sguardi tesi e alle mani nervose della madre, che nonostante sapesse tutto non aveva mai posto ostacoli alle iniziative del marito, Isla gli andò dritto a parlare.
"Non ti riguarda" le aveva risposto Dave per tagliare corto quella conversazione, ma Isla non era pronta a chiuderla lì: lo fissava come se fosse disgustata dalla sua presenza.
"Avete quasi rovinato la nostra famiglia" constatò, mostrandogli i documenti in cui aveva ficcanasato per arrivare fino alla verità. Sua madre le aveva insegnato che non era un bene per una donna intromettersi in questioni più grandi di lei, soprattutto se riguardavano gli affari degli uomini, ma Isla per fortuna non l'aveva mai ascoltata. "Da oggi in poi mi occuperò io delle finanze delle terre."
Dave le rise in faccia, quella ragazza sapeva essere divertente a modo suo. Ma poi la guardò, dall'alto del suo bicchiere di whiskey e si accorse che non stava affatto scherzando, che gli occhi azzurri che sua figlia aveva ereditato dalla donna che aveva sposato, erano più seri di quanto avesse mai creduto.
"Tu?" ripeté, più scioccato che divertito. "Una donna?"
"Sì, una donna, padre" rispose, senza alcun timore. "Sono sicura che gestirei le terre e gli affittuari molto meglio di voi."
Dave era seduto su una poltrona sfondata, ma niente gli impedì di alzarsi di scatto e tentare di sporcare la faccia della figlia maggiore con un ceffone. L'impertinenza di quella ragazza andava messa a posto.
Eppure non vi riuscì. Vuoi per quel bicchiere di troppo, perché non dormiva bene da alcune notti, vuoi perché, si rese conto, stava diventando miserabilmente vecchio e rachitico e pure quella ragazza alta a malapena un metro e cinquantotto riusciva a fermare il suo braccio magro e debole. Isla lo fissò, tenendo ben salda la sua presa su di lui, senza un briciolo di paura negli occhi.
"Da domani gestirò le terre e gli affittuari, padre. Vedrete che riuscirò persino ad accumulare una discreta dote per me e per Mary."
Sua figlia scandì quelle parole con lentezza, come se volesse che suo padre le ascoltasse per bene, una ad una. Per evidenziare quello in cui lui, in quegli anni, non era stato capace.
E così fu.
Dave glielo lasciò fare per davvero. Anche sua madre. Durante l'orario dei pasti Christal si lamentava con lei che una ragazza che si occupava di affari da uomini non si sarebbe mai maritata, e Isla le rispondeva che una ragazza come lei la stava salvando tutta d'un pezzo dalla bancarotta. A quel punto, riusciva sempre a zittirla e sua madre non faceva mai niente di concreto per fermarla, perché evidentemente era consapevole che senza il suo aiuto sarebbero stati spacciati.
Dave invece non fece assolutamente nulla: ormai, dato che Isla gestiva l'economia di famiglia, non gli permetteva più di sperperare i soldi in cose che avrebbero soltanto contribuito ulteriormente all'indebitamento: aveva preso il vizio del whiskey e delle belle donne, e d'un tratto non poté usufruire né dell'uno e né dell'altro. Sicuramente un altro padre di famiglia, di quei tempi, non avrebbe mai permesso che una donna lo tenesse così in pugno: ma Dave era Dave, forse troppo inetto per non lasciarsi trasportare dagli eventi.
Nel frattempo, ovviamente, Isla non era veramente sola. Katherine le era stata accanto nel periodo infantile, ma quando era diventata abbastanza grande, era stata mandata via nonostante i mille pianti e le mille lamentele. E così, in quello stesso periodo, era nata la sua amicizia con Alec Thomson.
Alec proveniva da una famiglia di mercanti di tessuti che si erano arricchiti col commercio lungo tutta la Gran Bretagna e poi anche con le trattative con l'Irlanda. Non erano di origini nobili come i Wood, ma intrattenere rapporti con persone così potenti, per Dave era fondamentale, e per questo le due famiglie, sin da quando Isla e Mary erano solo delle bambine, si erano sempre frequentate.
Isla e Alec avevano la stessa età e crebbero insieme.
Fu l'unico ragazzo che poté definire un amico sincero. Lui non la trattava come gli altri coetanei che aveva conosciuto ai pranzi e alle cene o ai ricevimenti: al suo fianco poteva essere libera di sentirsi chiunque, non doveva per forza attenersi ad un canone o ad un comportamento. Con lui non era per forza una "femmina", ma soltanto Isla.
Probabilmente da quella lunga amicizia fu quasi naturale che nascesse qualcosa di più, almeno per lei: Alec era già grazioso da bambino, ma con l'adolescenza la sua bellezza era praticamente esplosa e diverse coetanee avevano iniziato ad adocchiarlo causando immediatamente la gelosia di Isla.
Sicuramente, nonostante mancasse di origini nobiliari, la sua famiglia possedeva un impero commerciale tale che anche i cognomi più restii non avrebbero potuto ignorare una tale evidenza.
Eppure, inaspettatamente, lui voleva proprio Isla, cosa che la lasciava ulteriormente sbigottita. Era sempre stata una ragazza graziosa, ma durante l'adolescenza non si era mai vista bella e non si era mai piaciuta, eppure Alec fu il suo primo bacio e la sua prima storia importante. Si amarono sin da quando avevano sedici anni e anche più di dieci anni dopo, anche seduti al tavolo da pranzo di Trenwith, intenti a fare colazione, forse lui la amava ancora.
Ma quando Isla aveva vent'anni e si era dovuta rimboccare le maniche, lui le aveva proposto immediatamente il matrimonio. Sarebbe stato conveniente per entrambe le famiglie: quella di Isla avrebbe potuto risanare i debiti con l'aiuto di Alec, e al tempo stesso quella dei Thomson ci avrebbe ricavato un ottimo vantaggio con l'associazione al cognome dei Wood.
Ma Isla si rifiutò. Non aveva una dote da offrire ai Thomson. Forse Alec l'avrebbe sposata anche senza, ma era certa che il padre di lui si sarebbe opposto con tutte le sue forze. E forse, in cuor suo, sapeva di non essere ancora pronta per metter su famiglia.
Infine, non poteva nemmeno negare che tutta quella faccenda fosse diventata una questione personale con suo padre e forse con tutta la sua famiglia. Doveva ammetterlo: iniziò a lavorare come una matta e senza tregua, accettando incarichi come istitutrice e amministrando di notte gli affari delle terre e degli affittuari, cercando di venire incontro a quelle famiglie che a causa dei costi troppo alti non riuscivano ad arrivare alla fine del mese.
Isla abbassò gli affitti, causando l'ira del padre, ma niente di fatto da parte sua perché non la ostacolò per davvero. E questo servì, perché, in questo modo, gli affittuari potevano pagare in tempo e ciò permetteva di ricavare abbastanza denaro da mettere da parte per risanare i debiti. Ci volle parecchio tempo e molte delle vecchie proprietà del padre finirono nelle mani dei creditori per forza di cose (avrebbero fatto la stessa fine anche prima) ma finalmente, dopo qualche mese, la sua famiglia poté ricominciare a respirare.
E poi passarono gli anni. Da quella proposta di matrimonio, lei ed Alec continuarono a scriversi e ad amarsi ogni volta che potevano o quando lei per i suoi lavori non si allontanava troppo da Thurso. Ogni volta che si rivedevano, trascorrevano la maggior parte del tempo assieme, ovviamente non lontani dagli occhi indiscreti di entrambe le loro famiglie che volevano assicurarsi che non commettessero niente di sconveniente.
Tuttavia, ogni volta che Alec provava a toccare l'argomento delle nozze, Isla sviava: non perché non lo volesse (almeno, in un giorno lontano), ma per ora non si sentiva più pronta a sposarsi. Se Isla avesse potuto, si sarebbe fatta bastare quello che avevano, ma sapeva anche che Alec avrebbe desiderato di più per entrambi.
In fondo, lo doveva ammettere, il matrimonio non le era mai andato a genio, sin da bambina. Quello dei suoi genitori era stato l'esempio lampante di cosa non volesse, anche se sapeva che fra lei e Alec le cose sarebbero state diverse. Provò a convincersi per tanto tempo di fronte ad una tale evidenza, ma più viaggiava lavorando come istitutrice e più l'indipendenza e il riconoscimento da parte degli affittuari e di altri uomini d'affari scozzesi e non, le piaceva.
Ormai aveva messo da parte abbastanza denaro per la sua dote e anche quella della sorella, ma non lo rivelò mai ad Alec, anche se sapeva che avrebbe dovuto: andarsene in giro per la Scozia e poi per l'Inghilterra, anche soltanto per lavorare, le aveva aperto un mondo. Era certa che, in un qualche modo, alla fine sarebbe comunque finita con lui. Qualche volta si infatuava di gentiluomini di passaggio, ma mai abbastanza per dimenticare il suo primo grande amore. Aveva accettato qualche complimento, ma non lo avrebbe mai tradito. Prima di essere l'uomo che amava, Alec era sempre stato il suo più grande amico.
Tuttavia, al compimento dei suoi ventisei anni, qualcosa nel loro rapporto si ruppe. Probabilmente, dopo tante notti insonni, pianti isterici e momenti affollati di pensieri, Isla arrivò semplicemente alla conclusione che si fosse stufato di aspettare e che in fondo lo aveva sempre dato per scontato. Aveva forse amato la sua idea di libertà più di quanto avesse amato lui?
Alec comunque non mutò da un giorno all'altro, ma il suo cambiamento fu graduale. Iniziò a scriverle di meno, limitandosi a lettere molto più concise, più rade, e meno affettuose. Isla, di fronte a quella evidenza, chiese immediatamente un permesso alla famiglia in cui lavorava come istitutrice a Londra e si precipitò in Scozia, fingendo un problema a casa. Avrebbe dovuto affrontare direttamente Alec e mettere le cose a posto, non voleva perderlo.
Solo che non poteva immaginare quanto la scusa che aveva rifilato ai suoi datori di lavoro non fosse troppo lontana dalla realtà.
Il suo ultimo incarico l'aveva portata lontana dalla Scozia, quindi non aveva avuto modo di verificare di persona come le cose procedessero nella sua cittadina natale. A distanza non poteva occuparsi attivamente della gestione delle terre come aveva fatto in precedenza e per questo si era totalmente affidata ad Alec e alla sua esperienza, cosa che la portò immediatamente a pentirsi al suo ritorno. E non per un'eventuale pessima gestione delle finanze di famiglia, ma anche per un'altra serie di cose.
Non poteva immaginare quanto la dignità della sua famiglia fosse sprofondata nel baratro, mentre, assonnata e nell'oscurità della notte, varcava, dopo una settimana di viaggio, la porta cigolante dell'ingresso della vecchia villa in cui aveva vissuto assieme ai genitori sin da bambina. Era ancora una fortuna che si tenesse in piedi: necessitava urgentemente di lavori, soprattutto al piano superiore, ma dopo gli ultimi eventi dubitava che la sua famiglia potesse permetterseli.
Probabilmente la sorpresa del suo arrivo, dato che non si era annunciata in alcuna lettera precedente, se non con una che aveva spedito ad Alec informandolo del suo ritorno, aveva stupito anche il gruppo di domestici che era venuto a darle il bentornato in casa visto che la famiglia, a quell'ora della notte, era già avvolta dal calore delle coperte.
Le cameriere si studiavano fra loro, nervose e assonnate, come se non sapessero come muoversi di fronte a quell'imprevisto, ma quella sera, forse complice la stanchezza, Isla non poté comprendere fino in fondo i loro sguardi o le loro espressioni agitate.
Fu chiaro soltanto al mattino successivo.
Suo padre si era di nuovo giocato tutto e, alle spalle di Alec, era ricaduto nei vecchi vizi del passato. L'alcool, le carte e le prostitute.
E ora la sua famiglia rischiava nuovamente il baratro. La cosa non avrebbe dovuto sconvolgerla forse più di tanto, nemmeno che suo padre fosse capace di farla sotto al naso ad Alec, perché se c'era un'unica persona che non poteva ingannare, era la figlia maggiore che aveva sempre mal sopportato, e forse, di nascosto, anche invidiato per la tenacia che lui non aveva mai posseduto in tutta la sua vita. In quella famiglia, Isla era sempre stata un'estranea per il suo carattere e per la sua grinta: lui, sua moglie e la figlia minore erano invece un ammasso di vigliaccheria.
Quando le luci del sole rischiararono le stanze al pian terreno, per Isla fu chiaro e lampante quello che stava accadendo.
La sua famiglia non rischiava più il baratro se non per merito di Alec.
Aveva chiesto la mano di Mary per aiutare la sua famiglia, come se questo potesse sdebitarlo di non aver adempiuto correttamente al proprio dovere durante l'assenza della sua migliore amica. Probabilmente questo doveva essere bastato al padre per convincerlo a sposare una donna senza una dote consistente.
Isla ebbe l'impressione di star per avere un mancamento. Agli occhi e sulla bocca della gente, lei e Alec apparivano soltanto come amici di lunga data, ma le famiglie sapevano che da tempo tra i due esisteva un legame profondo e che, quando sarebbe arrivato il momento adeguato, sarebbero convolati a nozze.
Ma quel giorno non avrebbe mai visto il suo sorgere, e ora, purtroppo, era costretta a realizzarlo. Avrebbe dovuto urlare, spaccare qualcosa, ma non riuscì a fare niente di tutto ciò. Soltanto osservare attonita quello che accadeva attorno a sé.
I preparativi per il matrimonio tra Alec e Mary erano esageratamente a buon punto perché la proposta potesse definirsi recente e ci volle poco, soltanto studiando gli sguardi della madre o le mezze parole della sorella più piccola, che non aveva nemmeno il coraggio di guardarla in faccia, che probabilmente progettavano di farle sapere tutto soltanto a cose fatte.
Ma Alec... come aveva potuto...
Quando al tavolo della colazione Isla guardò i fiori in un angolo della stanza, gli inviti ammucchiati su un mobiletto o la lista di cose da preparare per cui Alec si era convinto a non badare a spese, non poté fare a meno di mettersi nei panni di sua sorella. Quello... tutta quella organizzazione, dannazione, era una cosa sua, che apparteneva a lei!
Doveva esserci lei al fianco di Alec in chiesa!
Si alzò frettolosamente dal tavolo della colazione dopo aver ricevuto tutte quelle informazioni assieme, senza dare troppe spiegazioni. Si sentiva un'intrusa per quel suo arrivo che sembrava aver destato lo scalpore della famiglia, a quella tavola dove c'era la faccia magra e smunta del padre che avrebbe voluto soltanto prendere a ceffoni. La colpa era sempre sua, dopotutto.
E perché no, avrebbe volentieri tirato uno schiaffo anche alla guancia pallida e paffuta di sua sorella Mary che se ne stava stretta sulla sua sedia come un cucciolo bastonato, come se questo la giustificasse di quello che aveva fatto.
Era certa che la sua mente fosse stata plasmata dal senso del dovere e dalle pressioni della madre e forse, le costava ammetterlo, anche da quelle dello stesso Alec, ma per la miseria... possibile che non avesse mai il coraggio di parlare ad alta voce? Possibile che non tenesse un po' a lei da opporsi a quelle nozze?
Lei e Mary avevano sempre avuto un buon rapporto, nonostante le preferenze in famiglia o i caratteri differenti.
Isla corse nel giardino sul retro e a quel punto, vicino ad un cespuglio di rose, vomitò, disgustata, quel poco che era riuscita a mandare giù a colazione e pure la bile. Alzò lo sguardo, intontita dal vomito e dalla testa che girava e osservò, in lontananza, un punto preciso. Quello della quercia dove, quando lei e Alec avevano sedici anni, si erano scambiati il primo bacio.
E poi pianse.
Pianse come non aveva mai fatto in tutta la sua vita.
In quell'esatto momento, Isla si accorse di essere sola come non lo era mai stata prima.
E che probabilmente, lo sarebbe stata per tutta la vita.
* * *
"Isla."
Due tocchi alla porta.
"Isla, so che sei lì dentro."
Altri due tocchi.
"Apri, per favore."
Isla sospirò. L'unica stanza che avesse mai apprezzato della vecchia villa dei genitori era il salottino in biblioteca. Da ragazza si era chiusa spesso al suo interno per studiare, o per informarsi tramite i giornali sulle innovazioni degli ultimi anni, oppure ricordava quando negli ultimi anni aveva passato al setaccio i bilanci delle terre e gli ultimi conti degli affitti ritirati.
Sospirò. Fu la prima e ultima volta che pensò che non avrebbe mai dovuto lasciare la Scozia.
Ora era chiusa in quella stanza soltanto a fare niente, accanto al camino acceso e seduta su una delle poltrone a scaldarsi. Sul tavolino di fronte al fuoco, c'era un giornale di Londra vecchio di alcuni giorni su cui aveva trovato un'interessante inserzione che però ancora non aveva esaminato a dovere.
Ormai, non c'era più niente per lei in Scozia. Amava con tutta se stessa quel paese e si sentiva fiera della sua nazione e delle sue origini, anche del suo accento marcato, ma francamente non sarebbe rimasta un minuto di più in quella casa e aveva già dato ordine ai domestici di preparare le sue valigie, che sarebbe immediatamente tornata nella capitale inglese il mattino seguente. In realtà non erano neanche mai state disfatte.
"È aperto" mugolò in risposta, sapendo che non avrebbe schiodato nessuno dall'altra parte della porta se non si fosse decisa a rispondere.
Non era da lei non affrontare i suoi problemi. Probabilmente Mary doveva essere corsa ai ripari quando aveva saputo che si stava preparando a lasciare la casa il prima possibile. Forse, ingenuamente, aveva pensato che, chiamando Alec per spiegarle la situazione (che a differenza della sua famiglia era già stato avvisato del suo arrivo), che se magari avrebbe saputo usare le parole giuste, lei avrebbe compreso perché aveva compiuto quel gesto.
Alec entrò in biblioteca e Isla dovette sforzarsi di non piangere come aveva fatto in giardino. Era anche più bello di come lo ricordasse, con la barba curata e i capelli invece in disordine, uno straordinario e pregiato completo verde scuro che risaltava il suo incarnato chiaro. Il suo cuore fece un salto mortale mentre, col suo sguardo preoccupato, varcava la porta, seguito, come se fosse un cagnolino, da sua sorella Mary.
Isla dovette fare uno sforzo immane anche per non alzare gli occhi al cielo quando la vide.
Alec fu colpito da Isla, anche se non glielo raccontò mai. Non aveva smesso di provare gli stessi sentimenti, anche se la sua vecchia fidanzata gli appariva diversa da come se la ricordasse. Era più magra e più pallida, forse per effetto di quanto le era stato raccontato in un solo giorno. E poi aveva qualcosa di insolito: tante volte l'aveva vista triste, ma mai, come quel mattino, gli parve stanca e distrutta. Ingoiò il rospo: aveva preso la sua decisione e doveva portarla avanti.
"Ho saputo che stai già facendo le valigie" iniziò Mary, rompendo il silenzio di quella stanza.
Isla fissò intensamente le fiamme nel caminetto. Le veniva più facile fare così che guardare negli occhi Alec.
"Ho trovato un'inserzione interessante sul giornale, qualche giorno fa. Potrei dover partire per la Cornovaglia molto presto e mi conviene essere a Londra il prima possibile."
In realtà non era vero niente. Isla aveva soltanto dato un'occhiata quasi distratta a quell'inserzione, ma dato che col sopraggiungere dell'estate la famiglia presso cui lavorava si sarebbe trasferita oltreoceano il mese successivo e non le avevano chiesto di seguirla, la cosa più ovvia che le era parsa di fare era stata quella di trovarsi un nuovo impiego. Tuttavia, non aveva neanche scritto all'inserzionista della Cornovaglia per mostrarsi interessata a quell'annuncio di lavoro e non sapeva se nel frattempo il suo posto non fosse già stato rimpiazzato.
"Credo che dovremmo parlare, prima che tu parta di nuovo."
Alec rimarcò volutamente quelle ultime due parole.
Isla scosse la testa, ma ancora non lo guardava. I suoi occhi restavano fermi sul fuoco.
"No, non credo."
"Io e Mary vorremmo che fossi presente al nostro matrimonio. Si tratta di aspettare un'altra settimana e poi potrai tornare alla tua vita di sempre."
Isla a quel punto ridacchiò. Ci tenevano che fosse presente al matrimonio, come no. Quando stavano progettando di farle sapere tutto a cose fatte.
Stavolta, anche se con occhi lucidi, trovò il coraggio di voltarsi verso sua sorella e quello che fino al giorno precedente era sempre stato il suo più grande amore.
"Cos'è questo Alec? Un dispetto?"
Lui sembrò colto sul vivo.
"Di che diavolo parli?"
"Non sposi Mary per senso del dovere, e certamente non perché la ami." Isla guardò a fondo sua sorella minore mentre pronunciava quelle parole. Lei evitò volutamente il suo sguardo. "Forse lo fai perché vuoi sdebitarti di non aver tenuto sotto controllo mio padre, ma francamente penso tu lo faccia soprattutto per farmi un bel dispetto."
La stanza si riempì di silenzio.
Alec sospirò.
"Sei stata lontana tanto tempo, Isla, troppo. Io e Mary in questi ultimi mesi ci siamo avvicinati molto."
"Ultimi mesi?" ripeté Isla, con una certa incredulità, e dovette sforzarsi di non correre a vomitare di nuovo in giardino com'era accaduto dopo la colazione. "Glielo hai detto che all'inizio dell'anno mi scrivevi ancora lettere d'amore?"
Mary trasalì, ma mantenne la sua compostezza e non fiato, continuando ad osservare Alec in attesa della prossima mossa. Lui sembrò aver raccolto la frecciatina.
"Ci vogliamo bene" la ignorò sua sorella.
"Certo." Isla annuì sarcastica. "Continuate pure a raccontarvi le vostre storielle, io però non ho intenzione di assistere a questa pantomima. Se permettete, torno a Londra il prima possibile."
"Isla ma cosa ti aspettavi, esattamente?" sbottò Alec, stufo marcio. Probabilmente si era portato quel peso per tutto il tempo senza avere mai avuto il coraggio di liberarsene. "Che stessi in un angolo ad aspettarti per tutta la vita? Hai già rifiutato tante volte il matrimonio perché volevi viaggiare, esplorare, lavorare e io te l'ho lasciato fare. Ma se permetti, ad un certo punto, inizio a guardarmi attorno."
Isla strinse le dita attorno al bracciolo della sua poltrona. Doveva mantenere la calma, ma le prudevano le mani. Fece un grosso respiro, ricacciando indietro lacrime rabbiose che preannunciavano oceani e si voltò verso Alec e Mary con l'espressione più indifferente che riuscì a trovare.
"E ce l'hai fatta, Alec. Tu non cercavi una moglie che condividesse tutto con te, ma un soprammobile che ti seguisse ovunque." Fece un applauso ironico. "Ti faccio le mie congratulazioni. Lo hai trovato. Mary sarà una moglie perfetta."
Isla si alzò dalla poltrona con una calma indicibile. Fece un piccolo saluto col capo alle facce sbigottite di sua sorella e di Alec e si avviò fuori la porta, percependo l'impellente voglia di Alec di correrle dietro e abbracciarla. Anche lei lo avrebbe fatto, ma non poteva permetterselo, ormai doveva lasciarsi per sempre alle spalle quel capitolo della propria vita. Era sola e nessuno la obbligava più a sentirsi parte di quella famiglia.
Si sarebbe limitata ad un contatto minimo, a distanza.
Non sarebbe più tornata, neanche per le feste. Avrebbe inventato le scuse più improbabili pur di non farlo.
Mentre al mattino successivo rientrava in carrozza, le capitò il giornale che aveva portato con sé sotto le mani. Rilesse l'inserzione con più attenzione, mentre la carrozza riprendeva la sua marcia e fece ciò che trovò sensato in quel momento.
Aveva da parte sia la sua dote che quella della sorella. Quei soldi ora erano suoi e non li avrebbe più usati per nessuno, se non per sé stessa.
Così iniziò a buttare giù la lettera che avrebbe poi spedito a George Warleggan.

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Capitolo 8
*** Otto. ***


Otto.
I primi due giorni di quella convivenza forzata a Trenwith trascorsero più velocemente di quanto Isla si aspettasse. Non aveva smesso di adempiere ai propri compiti di istitutrice e nemmeno a quelli di bambinaia, soltanto di pomeriggio rubava un paio d'ore al tempo trascorso solitamente con Valentine per stare accanto alla sorella, ma era una cosa che aveva già discusso e pattuito con George. Tuttavia, il bambino si era dimostrato sin da subito così maturo da comprendere la situazione anche se aveva solo otto anni: probabilmente, sia per la morte precoce della madre, sia per una serie di avvenimenti precedenti al suo arrivo a cui non aveva assistito, Isla aveva iniziato a pensare che Valentine fosse stato costretto a crescere più in fretta del previsto.
Dwight Enys fu convocato immediatamente nel pomeriggio in cui i Thomson misero piede per la prima volta a Trenwith. Sin da quando aveva parlato a George delle condizioni di sua sorella, Isla aveva messo immediatamente in chiaro che non avrebbe voluto altro medico a parte lui, e la cosa che l'aveva scioccata era stato il fatto che lui non si fosse minimamente opposto: dopotutto, era una decisione sua affidarsi al medico che preferiva, ma si sarebbe aspettata certamente un'opposizione più veemente, soprattutto alla luce di quanto era venuto fuori sulla storia dei Poldark e degli Enys. George invece era rimasto impenetrabile come suo solito, aveva incrociato le braccia e le aveva detto senza troppi problemi che era una sua scelta e che non l'avrebbe di certo contestata, visto che riguardava la salute di sua sorella.
Isla non avrebbe nemmeno potuto immaginare che Dwight Enys fosse stato la salvezza del suo datore di lavoro mesi addietro, e che per questo lui non aveva messo bocca, anche se la cosa, per chissà quale stupido orgoglio, gli veniva difficile da ammettere. Quello, infatti, era un capitolo troppo oscuro della sua vita per rivelarlo a qualcuno che abitava con lui da poco, pur essendo Isla diventata importante all'interno di casa sua, non gli veniva facile.
Sin dalle prime battute, Mary si era chiusa immediatamente in un mutismo piuttosto preoccupante. Al loro ingresso a Trenwith, George aveva invitato i suoi ospiti ad unirsi alla colazione, immaginando che dopo un viaggio così lungo sarebbero stati sicuramente stanchi, e di buon grado, più Alec, che sua moglie, aveva accettato di fermarsi a mangiare un boccone. George si era seduto a capotavola come suo solito, Valentine e Isla si erano messi alla sua sinistra; mentre Alec e Mary avevano preso posto dall'altra parte.
Isla parlava alla sorella con premura, passandole i cibi sulla tavola e invitandola a fare un assaggio di tutto. Anche se George era impegnato a chiacchierare con Alec, aveva imparato negli anni, grazie ad un'intensa esperienza come uomo d'affari senza scrupoli, a tenere occhi e orecchie ben attenti, senza però rischiare di farsi scoprire. Per tutto il tempo aveva intrattenuto il cognato di Isla chiedendogli informazioni sulla sua attività di commerciante, dimostrando all'apparenza un distinto interesse che non corrispondeva affatto a quel che gli passava per la mente.
George non poteva fare a meno di specchiarsi nello sguardo vacuo di Mary: ogni tanto, quando Isla richiamava la sua attenzione, lei sembrava in imbarazzo di fronte a quella sua premura, come se si sentisse in colpa. Più fissava quel triangolo al suo tavolo e più aveva l'impressione che qualcosa gli sfuggisse, e ancora non riusciva a togliersi dalla mente gli sguardi, anche se furtivi, che Isla ed Alec si erano lanciati, e forse, ancora, si lanciavano senza che nemmeno lui stesso potesse accorgersene.
Mentre addentava un pezzo di pane, si chiese se con la sua ospitalità non avesse offerto terreno ad uno scandalo. Forse tra Alec e Isla c'era qualcosa di più, al di là di quanto potesse immaginare, e probabilmente anche quel fattore poteva aver contribuito ulteriormente alla malattia nervosa di Mary. Quel pensiero lo fece bloccare immediatamente con la colazione fra le mani. Si sentiva stranamente a disagio.
Ma poi, a rifletterci meglio, lo escluse categoricamente. Era vero, non conosceva Isla da molto tempo da poterla giudicare a fondo, ma c'erano stati momenti belli e sinceri fra loro e anche se conosceva poco di lei, poteva dire di saperne abbastanza da affermare che la posizione di Isla Wood fosse decisamente integerrima per lasciarsi coinvolgere in una cosa del genere. Senza contare che, lo sguardo pietoso che Mary aveva rivolto alla sorella maggiore, lasciava ben intendere che quasi fosse lei a sentirsi in colpa per qualcosa.
E poi, quell'Alec Thomson... non gli piaceva neanche un po'.
Ad ogni modo, dopo un quarto d'ora al tavolo, Mary si alzò e si congedò frettolosamente, adducendo alla stanchezza del viaggio e si scusò con George per la sua maleducazione, ma che proprio si sentiva crollare e aveva bisogno di distendersi. Non aveva toccato nulla, se non un pezzetto di pane e un paio di sorsi di tè con latte.
Lui scosse il capo e le disse di non preoccuparsi e di riposare quanto volesse, ordinando ad una domestica di accompagnarla nella camera che aveva fatto preparare per lei e il marito al piano superiore. Tuttavia, anche Isla si alzò contemporaneamente dalla sedia, affermando di aver finito e suggerendo di fare lei stessa strada a sua sorella. A ciò, aggiunse che entro una mezz'ora avrebbe ripreso le sue attività giornaliere, e infatti poi si voltò verso Valentine e gli disse con dolcezza di iniziare a preparare il materiale di studio della giornata.
"Certo Isla, andate pure. Ormai Trenwith è casa vostra, la conoscete meglio di me" fece George, con un sorriso che sorprese l'istitutrice.
Isla dovette impegnarsi a fondo per non restare a sorridere come un ebete all'interno della sala da pranzo, mentre Alec osservava quasi senza parole quel rispetto che vibrava fra il padrone di Trenwith e la sua vecchia fidanzata: occhi azzurri che si scontravano e che quasi si parlavano senza dirsi niente.
George, nel frattempo, non sapeva perché gli fosse uscita una frase del genere: aveva la sensazione che non gli fosse venuta fuori soltanto perché voleva colpire, da qualche parte, Alec Thomson (anche se non c'era alcun nesso logico in ciò), ma forse anche perché gli faceva piacere dire una cosa del genere all'istitutrice di suo figlio.
Isla, subito dopo, accompagnò Mary al piano superiore, in una stanza praticamente spiccicata alla sua: c'era un letto a baldacchino, un armadio a muro, uno scrittoio e due paia di comodini. L'unica differenza la faceva una splendida finestra ad angolo che affacciava sul retro del giardino di Trenwith, laddove gli alberi erano ancora spogli, ma dove presto, con l'arrivo delle belle giornate, sarebbe fiorito tutto.
Fu proprio la finestra ciò che attirò per prima cosa l'attenzione di Mary.
"La vista adesso non è un granché" esordì Isla, per rompere il silenzio della stanza. "Ma la primavera sta per arrivare e presto il giardino sarà un'autentica visione."
In realtà, Isla non ne aveva alcuna idea. Era arrivata a Trenwith durante una giornata di pioggia e soprattutto durante quel periodo dell'anno che si avvicinava all'inverno, quindi poteva solo fantasticare su quanto potesse essere bello il giardino della tenuta durante la primavera.
Mary, dal canto suo, annuì senza convinzione e rimase ancora lì ferma per un po'. Isla si sentiva già scoraggiata: si chiuse la porta della stanza alle spalle e provò a fare un altro tentativo, stavolta più diretta all'argomento clou.
"Ti dà fastidio se ho già convocato il dottore per oggi pomeriggio?"
Mary non trasalì e nemmeno le parve sorpresa.  Alzò lo sguardo verso di lei con un'espressione vuota.
"No, ormai sono abituata."
Erano le prime vere parole che le sentiva pronunciare da quando l'aveva vista. Isla deglutì.
"Questo dottore... non è come gli altri che hai conosciuto fino ad adesso, te lo posso assicurare" cercò di spiegarle con calma, come una madre che parla ad una bambina. "Dwight è gentile e competente. Non ti sottoporrà alle stesse terapie degli altri."
"E tu che ne sai di quello che ho passato?" le rispose a tono. Mary aveva ancora lo stesso sguardo vacuo con cui era arrivata, ma sembrava più vigile. Isla raddrizzò le spalle. "Te ne sei andata senza più tornare."
"Lo sai perché me ne sono andata" la freddò.
Mary si irrigidì e sua sorella maggiore sperò di non aver usato un tono troppo duro, considerato quanto fragile fosse la sua mente in quel momento. Isla la vide sospirare con amarezza e appoggiarsi con la testa al muro di fianco alla finestra.
"Non voglio rivangare il passato" disse alla fine, per salvare la situazione.
"Lo so. Ed è per questo che mi chiedo come fai."
Isla guardò ancora Mary: di aspetto sembrava sempre più piccola della sua età, ma quello che le era capitato la rendeva in un certo senso anche vecchia e pallida. Isla aveva deciso con quel piano di non riportare a galla i ricordi dolorosi, e dopotutto una sorella non la si poteva lasciare in una tale difficoltà.
"Alec ti tratta male?"
"Cosa?"
"Alec" ripeté Isla, cercando di mantenere una parvenza di calma nel tono di voce. "Ti tratta male?"
"Cosa? No." Sembrava che quella risposta la stesse accalorando.
"Ti mette pressione per avere figli?"
"No" tagliò corto. "Sono io che ne voglio."
Isla non si era mossa per tutto il tempo dalla posizione in cui era, con le mani ben ferme sulla parte alta del suo vestito grigio. Mary forse avrebbe avuto bisogno di un altro abbraccio, come quello che le aveva riservato al suo arrivo a Trenwith, eppure non riusciva a muoversi di lì.
"Sei giovane, hai tutto il tempo che vuoi per averne."
"La mamma dice il contrario."
Isla roteò gli occhi. Anche da sposata, sua sorella non smetteva di essere la marionetta preferita di sua madre.
"La mamma è un'idiota e nostro padre lo è altrettanto. Tu non vuoi figli per te, ma solo per accontentarli."
Mary la fissò sgranando gli occhi. Il rancore di Isla verso i loro genitori era sempre stato evidente, ma palesarlo ad alta voce, con epiteti del genere, era a dir poco spudorato.
"Isla!"
"Che cosa ho detto di tanto scandaloso?" Alzò le spalle. "Mi sono limitata ad evidenziare la verità. È colpa loro se non abbiamo mai avuto una famiglia decente e se tu non sei capace di articolare un pensiero tuo. Pensa a ciò che vuoi veramente, per una volta. Ora sei lontana da loro."
Mary cercò di non tremare, aggrappandosi ad una delle tende accanto alla finestra. Avevano usato terapie d'urto su di lei nell'ultimo periodo, la più recente l'aveva costretta ad immergersi nell'acqua gelata per mandare via il "demone" che aveva dentro di sé. Mary non aveva fatto in tempo a spiegare che nessun essere spiritato abitava in lei, ma che cercava soltanto un po' di conforto e del tempo da sola, tuttavia nessuno sembrava ascoltarla, nonostante la paziente fosse lei. Nemmeno Alec, che verso di lei nutriva un affetto sincero, riusciva a capire fino in fondo il suo stato d'animo.
Eppure... in quel momento, le parole sincere di Isla riuscirono ad essere persino peggio delle torture mediche a cui era stata sottoposta.
"Beh, hai ragione, sono un soprammobile dopotutto, no?"
"Cosa?"
"È quello che hai detto ad Alec prima di andartene."
Isla deglutì. Era vero. Aveva usato quelle parole: forse le aveva pensate, o forse aveva semplicemente parlato senza riflettere. Ma quel giorno era arrabbiata, delusa, amareggiata e nauseata e aveva vomitato per lo stress e quindi si riteneva giustificata di quello che le era uscito di bocca.
"Ero furiosa, lo sai."
"Ma lo pensavi" sospirò. "E avevi ragione Isla, non sono altro che un soprammobile."
"Mary..."
Sua sorella alzò la mano per fermarla, visto che si stava avvicinando verso di lei. Si era stufata di parlare: le faceva male la testa, voleva stendersi e piangere fino a farsi bruciare gli occhi per la stanchezza e addormentarsi così.
"Aiutami a svestirmi" disse, con tono supplichevole. "Sono stanca, ho fatto un lungo viaggio e ho bisogno di riposare. Non voglio vedere nessuno fino all'arrivo del dottore."
* * *
Dwight arrivò nel pomeriggio, George era fuori casa per discutere con un cliente della banca e Alec aveva perso tempo, in attesa del medico, gironzolando per le stanze e i giardini della tenuta, restando ogni minuto di più affascinato da quella residenza.
Nonostante fosse una bella giornata ed Isla e Valentine ne avrebbero potuto approfittare per studiare all'aperto, la ragazza si era tenuta alla larga dall'esterno per paura di incappare nella presenza del suo vecchio fidanzato indaffarato a far nulla. Il piccolo Warleggan si era lamentato spesso perché la biblioteca, la stanza in cui si erano sistemati per studiare quel giorno, era uno degli spazi meno luminosi di tutta la casa; Isla gli aveva chiesto di portar pazienza per un po', perché aveva troppo freddo e non se la sentiva di studiare all'aperto. Valentine non si era di certo bevuto quella scusa e aveva continuato a protestare con motivazioni piuttosto valide, ma per fortuna, alla fine, si era arreso e avevano studiato per tutta la mattinata e buona parte del pomeriggio.
A pranzo, Alec non si era presentato. Aveva detto a George che si sarebbe rinchiuso in camera provando a convincere sua moglie a mandare giù qualcosa nello stomaco, e lui non se l'era sentita chiaramente di obiettare. Aveva così dato ordine ad una domestica di servire il pranzo in camera ai suoi ospiti.
Ospitava quella coppia da meno di un giorno e quasi iniziava a pentirsene: la tensione in casa era palpabile ogni volta che se ne parlava o gli sguardi della famiglia si incrociavano, quindi aveva accolto volentieri quell'incontro col cliente della sua banca come un modo per evadere e per sbollire la sua mente da pensieri poco gradevoli. Non aveva idea del perché gli sguardi di Isla ed Alec lo tormentassero a tal punto, e doveva fare immediatamente qualcosa per distrarsi.
Quando Dwight passò per la sua visita, George ancora non era rientrato e Alec era rimasto ad aspettare il responso fuori dalla stanza che li ospitava.
Era il primo medico che, anche se con gentilezza, gli aveva ordinato di uscire per visitare la sua paziente. Come marito aveva sempre tenuto sotto controllo la situazione della sua giovane moglie e di primo acchito aveva quasi temuto che volesse approfittarsi di Mary, ma poi aveva pensato che Isla lo aveva caldamente raccomandato, e la sua vecchia fidanzata non era certo una che si fidasse del primo che passava.
Si erano a malapena parlati e lei era sparita di nuovo dopo aver salutato Dwight con un sorriso ed un affetto che gli avevano stretto lo stomaco: si vedeva che nel loro rapporto non c'era chiaramente niente di malizioso, ma provava ancora delle fitte di gelosia al pensiero che altri uomini guardassero Isla, la sua Isla... soprattutto quel George Warleggan, che aveva sicuramente un aspetto meno affabile e più enigmatico del medico che si era presentato a Trenwith.
Mary e Alec rimasero sconvolti da quanto quel dottore avesse dedotto con una semplice visita. Il medico che Isla aveva presentato ad entrambi non prescriveva terapie d'urto e nemmeno medicinali troppo drastici, ma soltanto pazienza, passeggiate e cavalcate all'aria aperta e chiacchierate tre volte alla settimana. Aveva inoltre consigliato a Mary di prendere delle gocce per placare l'ansia al momento del bisogno. In quel periodo le sarebbe stato accanto per aiutarla a gestirla e Mary, che fino ad allora non aveva conosciuto altro se non la crudeltà dei vecchi matusalemme che l'avevano visitata, rimase affascinata dai modi gentili e premurosi di Dwight Enys.
Sua sorella non aveva mentito e non si era sbagliata sul suo conto. Era veramente un medico con la M maiuscola.
Dopo aver fornito anche ad Alec Thomson la sua diagnosi sulla moglie, Dwight aveva trovato Isla ad aspettarlo di fianco all'ingresso, con una mantella addosso, come se volesse accompagnarlo fino al suo cavallo. In realtà non ne era affatto sorpreso e se l'aspettava. Era sicuro che anche lei volesse un resoconto sulla situazione della sorella minore.
"Come sta Caroline?" abbozzò lei, cercando di rompere il ghiaccio.
Dwight le rivolse lo stesso sorriso dolce di sempre. Non capiva perché fra loro c'erano tutti questi imbarazzi: era vero, non si erano parlati spesso, ma sua moglie voleva bene ad Isla e la stimava molto, e per lui era lo stesso.
"Benone." Poi alzò un sopracciglio e continuò a sorridere. "E le manchi."
Isla sospirò e incrociò le braccia. "Sono una pessima amica."
"No." Dwight scosse la testa, mentre le sue scarpe calpestavano il pietrisco del vialetto. Il suo cavallo, uno splendido destriero dal manto scuro, lo aspettava poco più avanti, tenuto a bada da un inserviente. "È che Caroline odia ritrovarsi in mezzo alle discussioni."
"Lo so, devo chiarire anche con Demelza, la nostra discussione è stata patetica" sbuffò Isla avvilita. "Immagino che Caroline te ne avrà parlato. Dille che verrò a trovarla presto."
Lui annuì. "Porta anche tua sorella. Credo che le farebbe bene conoscere gente nuova."
Dwight iniziò a sellare di nuovo il suo cavallo e a controllare le redini.
"Allora? Cos'ha, Dwight?"
Lui continuò a rivolgersi a lei con la stessa espressione rasserenante. "Niente che un po' di tempo e di amore non possano guarire."
Isla restò ferma accanto a lui, stringendosi nelle braccia, quasi a volersi abbracciare da sola.
"Non ha un problema fisico, è sana come un pesce. È il suo benessere mentale a metterla a dura prova. È una ragazza giovane che è stata sottoposta a delle barbarie mediche per essere guarita, quando tutto quello di cui avrebbe avuto bisogno erano solo un po' di tempo e di amore, come ti ho già detto."
"Non ho saputo... non ho saputo niente di quello che stava subendo fino a un mese fa."
Dwight la guardò a fondo: negli occhi della sua amica vide un senso di colpa grosso come una casa. "Isla, non ti devi giustificare con me. Io e Caroline ti conosciamo abbastanza per sapere che non avresti mai permesso a nessuno di fare una cosa del genere a tua sorella."
Isla dovette trattenersi dal piangere. Il calore delle parole di Dwight era piacevole e rassicurante.
"Sai se... se il marito la tratta bene?"
"Chi? Alec?"
Dwight annuì. Si era posto la stessa domanda che anche lei aveva fatto a Mary in camera sua.
"Mia sorella dice di sì. Lo conosco da quando sono una bambina, Dwight. Può essere all'antica, ma non alzerebbe un dito su mia sorella."
Ed era vero. Le erano venuti dei dubbi, certo, ma non aveva mai pensato fino in fondo che potesse essere violento.
"Va bene." Dwight sembrò crederle e salì in groppa al suo cavallo. "Ci rivediamo tra un paio di giorni, d'accordo? Per qualunque cosa, manda qualcuno a chiamarmi."
Isla annuì e aspettò di vedere il suo amico sorpassare l'uscita di Trenwith prima di tornare dentro. Fu in quel momento che, dal piano superiore, vide Alec scendere le scale. Tuttavia, non fu abbastanza svelta da evitare di essere vista o di uscire nuovamente fuori per evitarlo e il cuore le finì direttamente in gola. Marciò verso il salottino accanto alla sala da pranzo, ma lui aveva notato quel suo scatto repentino e aveva iniziato a seguirla, come un gatto che cerca di afferrare un topo.
"Quindi è così che andrà tra noi, d'ora in poi?" esclamò lui spazientito.
Isla non poté fare molto per evitare di ammettere la sua presenza. Quando lui la raggiunse accanto ai divanetti del salotto adiacente alla sala da pranzo, ci fu poco che potesse fare se non voltarsi verso di lui. Si appoggiò con la schiena al caminetto, frustrata, e il fuoco iniziò a scaldarle le mani.
"Continuerai a fingere che non esista?" sbottò.
"Shh!" Isla gli fece cenno di zittirsi. "Vuoi far sapere i fatti nostri a tutta la casa? Io ci lavoro qui e francamente non voglio andarmene!"
"Come no. Immagino perché tu non voglia andartene." Alec incrociò le braccia. "George Warleggan è proprio il tuo caro benefattore."
Isla lo reguardì con lo sguardo di non proseguire oltre. Fu tentata di mollargli un ceffone, ma non poté fare a meno di arrossire o di sentire qualcosa di strano al centro del petto di fronte a quell'allusione.
"Dovrei scrivere a tuo padre, forse" continuò Alec. "Salvarti da uno scandalo e rimandarti a casa."
Isla inarcò un sopracciglio a quella sua affermazione ed ebbe una reazione che non si aspettava.
Gli rise in faccia.
Alec rimase impietrito.
"Mio padre non ha mai avuto autorità su di me da quando sono nata. Se avesse potuto, mi avrebbe diseredato molto prima. Fallo, se vuoi. Credo che non aspetti altro. Non mi muoverò comunque da qui" rispose gelida.
Si chinò, sotto al suo sguardo, e mise un altro pezzo di legno all'interno del camino acceso. Poi tornò a guardarlo con la stessa soddisfazione di prima.
"Quindi vuoi dirmi che tra te e sir George non c'è nulla?"
"No, Alec. Non so cosa ti aspettassi" dichiarò Isla, alzando le spalle. "Tra noi due c'è solo una cosa che tu forse non conosci: rispetto."
"Rispetto?" ripeté Alec, incredulo. "Ti ho aspettata ed amata per dieci anni. Per dieci anni mi hai fatto credere che mi avresti sposato, ma eri troppo impegnata nelle tue ambizioni di indipendenza per ammettere chiaramente che forse non mi amavi abbastanza tanto quanto me!"
Isla a quel punto, non si preoccupò nemmeno di abbassare la voce. Ormai non ne poteva più anche lei.
"Alec, tu hai sposato mia sorella. Ribadisco, mia sorella! E non ti perdonerò mai, per quello che mi hai fatto. Ti ricordi, quando sono tornata a casa per due giorni e poi sono subito andata via perché avevo scoperto del vostro matrimonio? Ero ritornata per parlare con te, perché avevo paura di perderti. E tu stavi organizzando di sposarti con lei chissà da quanto tempo!"
Alec cambiò immediatamente sguardo. Non sembrava più furente o frustrato, ma aveva assunto un'espressione che ad Isla non piaceva affatto, un misto tra la pietà e il dispiacere che non poteva permettersi di accogliere, per paura di crollare davanti a lui com'era accaduto quando era tornata in Scozia, quando aveva vomitato e pianto vicino al cespuglio di rose. Provò ad avvicinarsi a lei, probabilmente anche a sfiorarle una mano, ma Isla si scostò, indietreggiando.
"Non toccarmi."
"Isla, io..."
"Vai da Mary, per favore" rispose secca. "Ha bisogno di te, adesso. Più che mai."
Ma Alec non riuscì a demordere. Si allungò di nuovo verso di lei e le sfiorò una mano, questa volta per davvero, ma Isla riuscì a spostarsi di nuovo in tempo per non farsi più toccare e per poco, indietreggiando alle sue spalle, non rischiò di caracollare a terra.
"Isla, stai bene?" fece lui allarmato.
"Ti ho chiesto di andare" continuò lei, ad occhi bassi e con la voce incrinata dal pianto. "Non costringermi ad urlare."
L'espressione che le si aprì in volto, qualche istante dopo, confuse parecchio Alec. Guardava un punto dietro di lui, cosa che lo costrinse a fare altrettanto. C'era George Warleggan dietro di loro, fermo lì, sull'ingresso del salotto chissà da quanto tempo. Era rientrato in casa ed erano stati talmente impegnati a discutere che non si erano nemmeno accorti che probabilmente li stesse ascoltando già da un po'. Chissà, forse tutta la casa si era accorta di loro.
Più che guardare Isla, George fissava Alec con un atteggiamento algido e perentorio. Non gli era piaciuto, sin dal primo istante in cui aveva messo piede in quella casa, ormai ne aveva la conferma. Aveva il mento alzato e non schiodava lo sguardo, era difficile sostenere i suoi occhi con la stessa forza.
"Da quello che dice Lady Wood, sono certo che vostra moglie vi sta aspettando, sir Alec " gli disse. "Credo dovreste andare."
Alec non poté fare altro che ubbidire e andarsene da quel salotto a testa bassa. Sapeva che con una sola parola, soltanto a guardare lo sguardo del padrone di casa, avrebbe messo in difficoltà Isla, e per quanto volesse strapparla via di lì, non era giusto nei suoi riguardi. Oltretutto avrebbe rischiato anche la sua permanenza a Trenwith, e solo Dio sapeva quanto Mary avesse bisogno di quel soggiorno in Cornovaglia.
Una volta soli, George e l'istitutrice di suo figlio si guardarono abbastanza a lungo da capire che non si sarebbero schiodati da quel salotto troppo presto. Isla era sicura che ora pretendesse delle spiegazioni, ma non sapeva se era disposta a dargliene, perché si sentiva debole e piena di pianto in gola. Oltretutto non sapeva da che punto dovesse cominciare, visto che non poteva sapere da quanto tempo George li stesse ascoltando.
"Dobbiamo parlare, Isla" le disse, interrompendo il silenzio fra entrambi.
Era meno duro in volto, ma non per questo meno arrabbiato e lei non poté fare a meno di osservarlo mentre, con atteggiamento deciso, andava a socchiudere la porta del salotto per garantire un po' di privacy ad entrambi. Sotto al suo sguardo, George andò a prendere posto su una delle poltrone, pronto per ascoltarla.
Isla rimase in piedi accanto al camino.
"Cosa succede tra voi e sir Alec?"
"Non so nemmeno da dove incominciare, sir George" ammise lei e il tono di voce, debole ed indeciso, non la tradì.
Lui tornò in piedi all'istante, perché mai aveva visto uno sguardo tanto smarrito negli occhi di quella ragazza. Le si mise di fronte. Era già meno indispettito e più morbido in viso. Se per Isla era diventato difficile sostenere i suoi occhi per la vergogna, ora lo era perché le era troppo vicino. Ma, a discapito di quanto fosse accaduto con Alec, non riuscì ad allontanarlo con la stessa veemenza, forse perché non le dispiaceva neanche tanto.
"Vi ha fatto del male?" le chiese preoccupato. "Sono arrivato giusto due minuti fa."
"No, sir George. Non mi ha toccato con un dito, ve lo assicuro."
"Perché eravate soli, allora?"
Isla sospirò e si vide costretta ad affrontare quel discorso assieme a George.
Raccontò tutto: era certa che omettere parti di quel discorso non l'avrebbe salvata da un eventuale licenziamento quindi tanto valeva vuotare il sacco fino alla fine, e dopo essersi portata appresso un peso così consistente, fu come prendere una boccata d'ossigeno. Le era venuto semplice parlare a ruota libera, lasciando uscire fuori tutto, ma la parte difficile era stata alzare lo sguardo su George senza sentirsi giudicata. Non solo aveva raccontato tutto della sua storia con Alec, di come fossero quasi promessi sposi e di come lui invece avesse mandato tutto alle ortiche; ma gli aveva anche parlato dell'ambiente in cui era nata e cresciuta, della mancanza d'amore da parte della famiglia e della solitudine con cui aveva convissuto sin da bambina.
"Mi manderete via, non è così?" domandò rassegnata, notando che lui era rimasto in silenzio.
George scosse il capo e lei fu costretta ad alzare lo sguardo.
"No, come vi viene in mente?"
"Vi ho mentito."
"Avevate delle buone ragioni per farlo" le rispose col solito tono incolore. "E deve esservi costato molto parlarmene."
Isla non disse nient'altro, troppo scioccata per reagire all'inaspettata clemenza di George, soprattutto dopo quella volta in cui l'aveva reguardita dicendole che le sarebbe costato caro schierarsi contro di lui. Fu costretta a spostarsi dal caminetto per raggiungere la finestra e a puntare lo sguardo sulla vista davanti a sé, perché non riusciva più a trattenere il suo pianto.
"Guardatemi, per favore" le disse lui. Non era perentorio, ma restava comunque calmo e deciso. "Non dovete vergognarvi delle vostre lacrime."
Isla non riuscì comunque a voltarsi. Non piangeva ancora, ma ci mancava poco che ciò accadesse. E la cosa divenne uno strazio quando George, di sua iniziativa, le posò le sue mani sulla spalle.
Lentamente, con una dolcezza e una premura disarmanti, riuscì a farla voltare verso di lui.
Erano più vicini di quanto non fossero mai stati, o almeno più di quanto dovessero esserlo un padrone e una sua dipendente. E quella cosa sembrò sorprendere anche lui, come se non se ne fosse reso conto. George dovette trattenere l'assurdo impulso di accarezzare una guancia di Isla.
"Una volta mi avete detto che mi siete fedele, e posso assicurarvi che me lo avete sempre dimostrato" esordì. "Però anche io sono vostro alleato. E se siete in difficoltà, vorrei che vi affidaste a me come ho fatto io quella notte con voi."
Isla restò a fissarlo senza fiatare: non aveva scordato nulla di quello che c'era stato la sera in cui si sentivano spiati dal quadro di Elizabeth.
"Non vi ho mai ringraziata" disse gentile. "Ero troppo preoccupato della mia reputazione o del mio orgoglio per pensare a voi e me ne dispiaccio. Spero che possiate perdonarmi."
Isla scosse il capo.
"Non dovete preoccuparvene."
Lui continuò come se non l'avesse ascoltata.
"Vi prego di non pensare più di essere sola. Adesso avete me." Poi sembrò un po' in imbarazzo. "Avete me e Valentine, e questo posto. Non mentivo oggi a colazione quando dicevo che questa è casa vostra."
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Isla dovette sfiorarsi una guancia e toccare con mano le proprie lacrime, ma in realtà non c'era davvero bisogno che lo facesse per accorgersene. In quel momento, di fianco alla finestra, non pianse soltanto la donna adulta di ventisette anni, ma anche la bambina di Thurso che non era mai stata considerata dai genitori, che si rannicchiava nelle braccia della sua bambinaia senza riuscire però a sopperire alla mancanza d'amore da parte della madre e del padre; ma anche la ragazza che, quella volta che era rientrata in Scozia, avrebbe soltanto meritato un po' di riguardo e rispetto.
Quando George la tirò a sé e la abbracciò, Isla non ci capì molto. Era sconquassata dai singhiozzi e il calore di lui era troppo dolce ed invitante per rifiutarlo. Ma poi perché mai avrebbe dovuto farlo? Aveva l'impressione che, di quel passo, avrebbero potuto restare così all'infinito.
Fu una sensazione meravigliosa. Il suo cuore riprese a battere come non aveva mai fatto prima quando, le sue braccia, si mossero per ricambiare la stretta. Voleva abbracciarlo anche lei.
Lui ne sembrò per un attimo sorpreso, ma quello servì soltanto ad accentuare ancora di più la presa su di lei. Isla piangeva così forte che la sua faccia stava diventando irriconoscibile.
Fu solo quando si calmò, dopo una manciata di minuti, che George iniziò a valutare di lasciarla andare, ma nemmeno allora lo fece. Ciò avvenne soltanto qualche istante dopo, e anche piuttosto bruscamente.
Isla si era affrettata ad asciugarsi le guance e a darsi un contegno: si vedeva che avesse pianto, ma il suo aspetto restava comunque estremamente fiero e dignitoso.
Dietro di loro, con una faccia così confusa da rasentare quasi il ridicolo, si era fermato Cary Warleggan con la mano sulla maniglia della porta. Stava per formulare il nome del nipote con le labbra, ma nessuno dei due si era accorto abbastanza in tempo della sua presenza e la scena che si parò a tutti e tre davanti si divise a metà tra l'imbarazzo e la comicità estrema.
Gli occhi di Cary Warleggan saettavano dall'uno all'altra cercando di capire qualcosa.
"George... la domestica all'ingresso ha detto che potevo trovarti qui" cominciò, per sciogliere un po' il ghiaccio.
Isla si asciugò ancora una guancia e fece un breve e imbarazzato inchino ad entrambi per congedarsi.
"Vi lascio soli" le sentì dire George prima di uscire.
Lui non poté fare a meno di continuare a seguirla con lo sguardo per un po', prima di tornare su suo zio Cary. Avrebbe voluto supplicarla di tornare, aveva la sensazione che si sarebbe chiusa nella propria camera a piangere e lui non voleva che succedesse.
"E quello cos'era, nipote?"
"Cos'era cosa?"
"Quello" rimarcò il concetto suo zio, indicando il punto in cui Isla era scomparsa.
"Niente" fece George, accasciandosi ad una delle poltrone del salotto.
"Non mi sembrava niente" rispose Cary, marciando sulla parola finale.
George sbuffò. "Dimmi zio, cosa ti serve?"
Cary Warleggan spalancò le braccia con fare impressionato. Non vedeva quello sguardo sul volto del nipote da molto tempo, sinceramente George non era un tipo che si sentisse in imbarazzo così facilmente.
"Vuoi davvero ignorare quello che ho appena visto?" domandò imperterrito.
"Zio, non è successo niente di che. La stavo solo confortando." George cercò di liquidare la questione il più velocemente possibile. "Che c'è di strano?"
Beh, tanto per cominciare, c'erano un bel po' di cose strane. George non confortava di certo la servitù. Tuttavia, negare che quella ragazza si fosse accaparrata un posto di tutto rispetto in famiglia, sarebbe stato da idioti. Piombò per un secondo il silenzio nella stanza. Ma la risposta che venne fuori dalla bocca di suo zio, George non l'avrebbe mai e poi mai dimenticata.
"C'è di strano che non hai mai abbracciato così nemmeno Elizabeth."
 
 

Angolo dell’autrice
Ciao a tutti!
Questo capitolo per me è davvero importante e spero che possa piacere anche a voi.
George e Isla sono sempre più vicini e ormai anche i muri lo stanno iniziando a capire (compreso quel burlone di zio Cary).
Aspetto i vostri pareri.
Un abbraccio
Lady Warleggan

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Capitolo 9
*** Nove. ***


- Per la scrittura di questo capitolo, mi ha ispirata tantissimo la soundtrack Arrival of the birds. Se avete l’opportunità di ascoltarla durante la lettura, ve la consiglio tantissimo. Soprattutto per una scena in particolare, vi svelerò alla fine quale. –
 
Nove.
 
Che alla sua età, Cary Warleggan, dovesse mettersi a fare da Cupido, era a dir poco assurdo e imbarazzante. Ma, se suo nipote non prendeva in mano le iniziative di sua volontà, era giusto - e doveroso - in quanto suo zio e suo più stretto parente, aiutarlo con una piccola "spintarella".
Sapeva che con le sue parole, l'ultima volta, doveva aver sconvolto George. Essere così diretto su quell'abbraccio che aveva visto fra lui ed Isla e ammettere che nemmeno Elizabeth fosse stata calcolata allo stesso modo, era stato indelicato, ma gli era venuto spontaneo.
A lungo, forse per troppo tempo, aveva spinto perché George si interessasse ad un nuovo partito. Era vero, aveva ormai quasi raggiunto la soglia dei quaranta, ma non era certo da buttare e se avesse fatto più vita sociale, dopo la morte della sua prima moglie, sicuramente non avrebbe fatto fatica a scoprire che diverse fanciulle gli sarebbero cascate ai piedi con la fortuna che aveva, anche le figlie di quelle famiglie dal cognome importante che a lungo avevano disdegnato i Warleggan per le loro umili origini, e che ora riuscivano a tenere in pugno per l'influenza che avevano nel mondo bancario. Senza contare che, se avesse voluto, era quasi sicuro che sarebbe riuscito ad avere ancora altri figli.
Prima di sposare Elizabeth, George non aveva mai considerato l'alternativa del matrimonio. Aveva sempre visto solo ed unicamente lei: Cary Warleggan non era uno stupido, riusciva a comprendere le occhiate che le lanciava nelle occasioni in cui se li ritrovava davanti, anche quando era sposata con quel pappamolle di Francis Poldark e non era appropriato che lui fosse così lusinghiero nei suoi riguardi.
Solo quando lei era poi rimasta vedova, era convolato a nozze, proponendole un matrimonio che era stato più vantaggioso per Elizabeth, che per lui, parlando almeno in termini economici.
All'inizio Cary Warleggan aveva pensato che quel suo interesse fosse generato dalla volontà di fare soltanto una ripicca a Ross Poldark, ma il tempo gli aveva rivelato che quella del nipote era stata una scelta di cuore. E che di altro non potesse trattarsi: in quanto suo zio non aveva mai approvato quel matrimonio, soprattutto perché Elizabeth versava all'epoca in un mare di debiti che non avrebbe risanato troppo in fretta e anche perché aveva passato l'età del matrimonio da un pezzo, avendone già alle spalle un altro.
Anche Isla Wood aveva passato quella fase già da bel po', ma a differenza della prima moglie di George, doveva ammettere che quella ragazza gli facesse "simpatia". Era gentile, umile, e una gran lavoratrice; oltre che indipendente e probabilmente molto attenta a non sperperare le sue finanze. Sapeva anche il fatto suo e aveva un caratterino niente male, e questo era un lato della sua personalità che lui non riusciva a non ammirare; senza contare che, se George era arrivato al punto di abbracciarla a quella maniera, sicuramente quella ragazza doveva aver davvero aperto una breccia nel suo cuore di ghiaccio.
Era vero, non avrebbe mai immaginato che si sarebbe trovato a fare da Cupido ai due, ma qualcuno doveva pur farlo: Isla era tutto sommato di buona famiglia e pur lavorando come dipendente di George, una loro eventuale unione non avrebbe destato scandalo in società. Certo, le lingue più velenose avrebbero insinuato una relazione già intestina a Trenwith, ma era una cosa che poteva essere contenuta se lavorata a dovere.
L'occasione per adempiere ai propri compiti di Dio dell'amore si presentò quando il compleanno di George divenne sempre più imminente. Concentrati sugli oneri della loro attività commerciale, i Warleggan avevano in realtà ben altro a cui pensare. E sicuramente i festeggiamenti per un compleanno erano una cosa che George avrebbe volentieri evitato.
"Non puoi non organizzare un ricevimento per i tuoi quarant'anni, nipote!" lo aveva ammonito bonariamente suo zio. "Saranno mesi che non fai vita sociale, perché sei talmente assorbito dai tuoi impegni che non ti rendi conto che anche questi eventi possono essere fondamentali per il nostro lavoro, oltre che un modo per evadere un po'."
"Zio, anche se volessi, non avrei tempo per organizzare una cosa del genere" si lamentò George, non staccando gli occhi dalle sue scartoffie. In realtà, ad amministrare quei ricevimenti, Elizabeth era sempre stata più brava di lui.
"Oh, non importa!" esclamò Cary Warleggan. "Lascia che ci pensi io!"
George lo fissò inarcando un sopracciglio.
"Tu?"
"Esatto!" esclamò entusiasta suo zio, in un modo talmente tanto veemente che a George non poté non destare alcun sospetto. Suo zio in realtà, pur partecipando ai vari ricevimenti, non era esattamente quello che si sarebbe potuto definire un animale da festa.
"Andiamo, nipote. I quarant'anni capitano solo una volta nella vita!"
George continuò a scuotere il capo.
"Abbiamo... degli ospiti qui a Trenwith."
Suo zio annuì, e capì a chi alludeva. La famiglia di Isla, dopotutto, non era un peso. Aveva già incontrato la sorella Mary e per quanto provata, non gli era parsa incapace di intendere e di volere, o almeno, non nelle stesse condizioni in cui a lungo aveva versato suo nipote alla morte di Elizabeth.
"E allora? Invita anche loro! La signora Thomson mi sembra si stia riprendendo giorno dopo giorno" evidenziò Cary.
Ed era vero. Mary era lì da quasi tre settimane, ma i risultati cominciavano già a vedersi. Usciva più spesso dalla propria camera e passeggiava parecchio in giardino, suo marito era riuscito persino a convincerla a fare un giro in città. Dwight stava facendo un ottimo lavoro, esattamente come aveva fatto con lui.
George si grattò la fronte, esasperato.
"Va bene, zio. Occupatene tu" lo liquidò in fretta, per toglierselo dai piedi.
Cary Warleggan batté le mani tutto soddisfatto e qualche minuto dopo si congedò con un sorriso sornione da Trenwith. George si massaggiò una tempia, gli era venuto mal di testa e ancora non si capacitava di quell'improvvisa insistenza dello zio.
Nelle ultime tre settimane in casa sua aveva vibrato un'atmosfera piuttosto particolare. In quel tempo Alec aveva tentato un nuovo approccio verso di lui come se niente fosse, dopo quello che era accaduto nel salottino, e George aveva dovuto fingere di sopportarlo per quieto vivere, perché se c'era un unico motivo per cui tollerasse ancora la presenza di quell'individuo in casa propria, era soltanto per lei, per Isla.
Pur vivendo all'interno delle stesse mura, avevano avuto poche occasioni per sedersi e parlare, almeno non come succedeva di solito, forse anche a causa dei due ospiti. Tuttavia, in quelle tre ultime settimane, era capitato spesso qualcosa di incontrollabile tra Isla e George in quei momenti in cui i loro sguardi si incontravano: quelle occhiate duravano a lungo, si sorridevano, talvolta sembravano parlarsi senza parole che non fossero quelle abituali di cortesia e convenienza.
George si era accorto che Isla aveva l'abitudine adorabile di arrossire quando le si sorrideva di più o le si riservava uno sguardo più lungo del solito. Talvolta doveva sforzarsi di distoglierlo perché gli si formava qualcosa al centro del petto e perché persino i muri di Trenwith stavano iniziando a capire che c'era qualcosa di strano in quel rapporto: George stesso era consapevole che con quell'abbraccio che si erano concessi tre settimane prima avevano varcato un limite da cui difficile sarebbero riusciti a tornare indietro.
Cary Warleggan invece, voleva pure adempiere alle sue mansioni di Dio dell'amore, ma doveva ammettere che in quanto organizzatore di compleanni e ricevimenti fosse un autentico disastro, e quando riuscì finalmente a beccare Isla da sola per un momento, pensò che non ci fosse motivo per non trarre vantaggio da quel suo difetto, rivolgendosi alla giovane istitutrice per chiedere pareri e consigli sulla festa di George e cercare di sondare un po' il terreno sui suoi sentimenti per il nipote.
"Credo di essermi caricato di un compito piuttosto grande per un uomo solo" disse ad Isla, e alla ragazza era venuto spontaneamente da sorridere perché Cary Warleggan dirigeva assieme al nipote un'impresa bancaria piuttosto importante, probabilmente la più in vista di tutta la Cornovaglia. Il che faceva abbastanza ridere sapere che fosse invece incapace di organizzare una festa di compleanno.
"Potreste darmi una mano?"
"Certo" gli rispose, accondiscendente, esortando Cary Warleggan a prendere posto al tavolo di Trenwith per stare più comodi. "Non sapevo che a breve sir George compisse gli anni."
Cary Warleggan scosse il capo in maniera drammatica, mettendosi a sedere di fianco a lei.
"Se fosse stato per mio nipote non avremmo organizzato niente" borbottò. "Ovviamente l'invito è valido anche per voi, vostra sorella e vostro cognato. Non vorrete certamente mancare!"
Isla fece segno di no con la testa, non avrebbe potuto esimersi anche se l'avesse voluto. Cary Warleggan le dettò la lista di cose da preparare per quel ricevimento per cui sarebbe stato presente un vero e proprio corteo di invitati. C'erano un bel po' di punti da spuntare...
"Vi dispiacerebbe se coinvolgessi anche mia sorella, in questi preparativi?" domandò. "Credo le farebbe bene distrarsi un po'."
Il volto di Cary Warleggan si aprì in un sorriso che, per i suoi standard, Isla avrebbe potuto definire cordiale.
"Nessun problema, signorina Wood" le rispose. "Qualunque aiuto sarà ben accetto."
La ragazza gli sorrise affabile. "Isla, signor Warleggan. Potete chiamarmi così."
"Allora voi chiamatemi soltanto Cary."
Isla annuì, incerta sul fatto che si sarebbe presa una tale confidenza con lui, ma era la prima volta che finalmente sentiva un'affinità con quell'uomo. Ricordava ancora lo sguardo arcigno che aveva conosciuto a Trenwith al suo primo colloquio, e come cozzasse ora con lo sguardo gentile di quel momento.
Forse era la prima volta che gli vedeva comparire sul viso un'espressione tanto benevola. E sincera.
Mary fu ben lieta di partecipare all'organizzazione dell'evento. Diresse un piccolo gruppo di domestici perché si facesse recapitare i fiori voluti da Cary Warleggan per l'occasione e si dedicò con passione, alcuni giorni prima, ad alcune composizioni che potessero abbellire in maniera elegante l'allestimento.
Approfittando dell'inizio della primavera, Cary Warleggan aveva optato per un ricevimento all'aperto. Sarebbero stati allestiti dei piccoli gazebo di colore bianco e tavolini con sedie di legno a cui avrebbero potuto fermarsi e fare uno spuntino, oppure mettersi a giocare a carte. Ovviamente non poteva mancare un ricco buffet adatto a soddisfare le esigenze e le preferenze di tutti.
Isla si occupò invece di spedire gli inviti, e fu lieta di sapere che sulla lista degli invitati fossero stati inseriti anche i nomi di Dwight e Caroline Enys. Ovviamente, come c'era da aspettarsi, i coniugi Poldark erano stati esclusi.
Un sabato mattina, approfittando della sua giornata libera e del fatto che Mary ed Alec fossero in città a fare compere, Isla si mise in sella al suo cavallo per fare la sua tanto attesa visita all’amica dai capelli biondi.
Voleva che fosse una giornata tutta per sé visto quanto era capitato nell'ultimo periodo. E anche perché, se ripensava al tumulto che aveva nel cuore ogni volta che alla mente le ritornava l'abbraccio di George, era certa di volere anche il parere di un'amica.
Caroline non era granché impegnata quando arrivò. Era seduta ad una delle poltrone di uno dei tanti salotti della casa e stava leggendo un libro, mentre appollaiato ai suoi piedi, c'era il suo cagnolino Horace. Ormai, abituato alla presenza di Isla, le venne incontro scodinzolando e pretendendo attenzioni.
"Iniziavo a darti per dispersa" commentò l'amica con tono esagerato e la invitò a sedersi sulla poltrona di fianco a lei.
Non la guardava, ma continuava a fissare il suo libro con l'aria di chi si finge offesa.
"Mi spiace se non sono venuta a farti visita, in questi giorni" le disse Isla, dispiaciuta. "Mary mi ha dato più da fare del previsto e non sapevo come chiarire le cose con Demelza, sinceramente."
Caroline distolse finalmente lo sguardo dalla lettura e chiamò una domestica per farsi portare del tè. Dopo qualche minuto era tornata la stessa amica allegra di sempre e si fece aggiornare da Isla su tutto quello che si era persa in quelle tre settimane, come se semplicemente non si fossero viste dopo un lungo periodo di lontananza.
Caroline fu la seconda persona a cui Isla confidò il suo passato: il matrimonio tra Mary e Alec, il padre inetto e la famiglia che non le aveva mai voluto bene. L'amica ne restò sconvolta e qualunque broncio volesse mantenere per fingersi offesa, se ne andò via senza tornare più indietro.
"Oh, mia cara, ma come fai ad essere così buona!" le disse premurosa, stringendole le mani in una presa affettuosa. "Non credo che io li avrei perdonati tanto facilmente, anzi, io non credo li avrei perdonati affatto."
Il volto di Isla si aprì in un sorriso calmo.
"Direi che per Mary il mio rancore sia stato più che sufficiente come punizione" rispose con una tranquillità che colpì molto l'amica. "Siamo entrambe vittime di due pessimi genitori. Solo che io sono riuscita ad oppormi, lei invece no."
Isla dovette trattenersi dal piangere di nuovo anche all'interno di quel salotto. Sapeva che non avrebbe trovato le braccia di George a confortarla. E non serviva a niente piangere su qualcosa che non avrebbe potuto cambiare.
"Chissà quanto hai sofferto..."
"Molto" ammise. Non aveva senso mentire. "Ma qui in Cornovaglia ho ritrovato il sorriso. Grazie a Valentine, a Trenwith e ovviamente anche a te e Demelza."
Caroline annuì, pensierosa, e poi sorrise divertita.
"E George?"
Sembrava che le avesse letto nel pensiero, come se sapesse che l'invito per i suoi quarant'anni non fosse l'unico motivo per cui si era presentata a casa sua.
"Isla, tesoro. George... non è quello che si potrebbe definire il migliore fra gli uomini, ma tu provi qualcosa per lui, non è vero?"
Isla rimase zitta, forse perché ancora non riusciva ad ammetterlo ad alta voce e non poté fare altro che annuire. Ormai negare quello che sentiva nel cuore non serviva più a niente e non valeva la pena di farlo con Caroline, che si poteva definire l'amica più cara che avesse mai avuto. Anche perché era pure certa di essere davvero pessima a mentire sui suoi sentimenti.
"Devo raccontarti una cosa."
Caroline si fece servire una seconda tazza di tè e Isla raccontò tutto quello che si era persa in quelle tre settimane. L'abbraccio di George l'aveva turbata, ma evidentemente, aveva sorpreso anche la sua amica, che non se l'aspettava: lo capì dalla sua espressione. Non rivelò quello che era accaduto invece in sala da pranzo, la notte in cui aveva fatto ritorno dal compleanno di Caroline: quella era una cosa fra lei e George, e poi era stato un momento talmente fragile per lui che Isla non sarebbe mai stata così meschina da spifferarlo a qualcuno.
"Non so cosa pensare" sospirò.
"Forse anche lui prova qualcosa" osservò Caroline, come se stesse prendendo sul serio quel pensiero. "Ma non posso dirlo con certezza. George... George ha sofferto molto per la scomparsa della moglie. E credo abbia paura di lasciarsi andare e di soffrire di nuovo. Così come tu hai paura ad innamorarti a causa di Alec... accidenti! Non lo conosco nemmeno e vorrei soltanto prenderlo a schiaffi!"
Isla si fece una bella risata genuina e pensò che quella fosse la prima vera risata a cui si lasciava andare da giorni. La sua amica aveva parlato di amore, Isla non sapeva se fosse così o se, dopo più di un anno, avesse di nuovo la forza di pronunciare quella parola ad alta voce.
Restò con Caroline fino a pranzo, promettendole che presto avrebbe chiarito anche le cose con Demelza, perché scoprì che anche a lei mancava molto e che era molto dispiaciuta per il loro litigio, e che se avesse avuto occasione di incontrarla, sicuramente avrebbero messo a posto le cose.
Si congedò da quella casa con la promessa che si sarebbero riviste presto per l'imminente ricevimento.
Quando Isla fece ritorno a Trenwith, George era in casa. Aveva del tempo libero, e ne aveva approfittato per passarlo assieme ad Ursula e Valentine, controllando, piuttosto interessato, i preparativi per quel compleanno che fino a quel momento aveva ignorato. Già soltanto dando una rapida occhiata attorno a sé, comprese che non ci volesse certo una scienza infusa a capire che un tocco del genere non appartenesse di certo a suo zio.
O, almeno, che non avesse fatto tutto da solo.
In lontananza, vide Isla rientrare dall'ingresso di Trenwith. George teneva Valentine per una mano e con l'altro braccio invece la piccola Ursula, che si lasciava andare a versetti gioiosi e sorrisi in sua presenza. Più cresceva e più gli somigliava: non sembrava aver preso quasi niente dalla madre. Si accorse, con suo sommo stupore, che quella era una delle poche volte che pensava ad Elizabeth da molto tempo.
Isla accompagnò il cavallo fino alla porta principale, dove un inserviente venne ad aiutarla, e poi, come se non li avesse proprio visti, finalmente si accorse di loro.
Non era certo la prima volta che George la trovava attraente, ma complici quelle sensazioni che non lo lasciavano più in pace nell'ultimo periodo, il sorriso timido di Isla che lo salutava gli apparve così bello e così luminoso che per un attimo, quasi non si rese conto che Valentine gli stava per staccare la mano a furia di richiamare la sua attenzione.
Quando osservò il figlio, si accorse che aveva messo su un'espressione parecchio divertita, come se si fosse reso conto che si era imbambolato come un vero idiota.
Gli lanciò un'occhiataccia.
"Mattinata piacevole, Isla?" le chiese, quando lentamente, lei li raggiunse.
La ragazza annuì, sempre con quel sorriso radioso. Non aveva niente a che vedere con quel pomeriggio in cui gli era crollata tra le braccia.
"Sì, sir George. Sono stata dalla signora Enys per portarle l'invito del vostro compleanno."
George annuì diverse volte. Ora aveva finalmente un quadro ancora più chiaro della situazione.
"Immaginavo non fosse merito di mio zio, tutto questo" disse, facendo segno, con la testa, ai preparativi di Trenwith. "Ma non è compito vostro, non vorrei vi affaticaste. Avete già molto a cui pensare."
"Oh, ma non mi è stato di alcun peso, ve lo posso assicurare. Sono riuscita a coinvolgere anche un po' mia sorella, credo che le abbia fatto bene distrarsi. Ha un ottimo gusto in fatto di ricevimenti."
George per un attimo puntò lo sguardo sulla finestra ad angolo della stanza di Mary, e Isla fece lo stesso.
"Mia sorella e suo marito sono rientrati?" gli chiese.
L'uomo annuì. "Sì, da una mezz'ora credo. Volevano cambiarsi prima di scendere a pranzo."
"Capisco."
Mentre passeggiavano, Valentine fece una cosa che forse in un'altra occasione lo avrebbe fatto infuriare. Con una mano teneva quella di George e con l'altra, con una naturalezza disarmante, aveva raggiunto quella di Isla per far sì che stesse al suo passo.
In questo modo, tutti e quattro - lui, Valentine, Isla e la piccola Ursula - sembravano in piena regola il ritratto di una famiglia.
Isla sembrò accorgersene e si irrigidì un poco, e anche George ne sembrò imbarazzato; ma dopo qualche attimo di disorientamento, come se tutti dovessero abituarsi a quell'improvvisa situazione, la cosa si fece piacevole.
Sembravano davvero una famiglia, e George pensò che la cosa non sembrava nemmeno così terribile. Guardò Isla e lei sembrò essere dello stesso avviso. 
Mentre chiacchieravano dei miglioramenti di Mary, i quattro non potevano sapere che alla finestra ad angolo, in quel momento, ci fosse Alec a spiarli già da un po': la scena lo aveva lasciato completamente atterrito e osservava, anche se da lontano, gli sguardi che si lanciavano George ed Isla. 
Lo avevano sempre insospettito, ma ora, guardando meglio quel quadretto familiare, si rese conto che in realtà non aveva mai capito niente di Isla: aveva sempre creduto che non volesse saperne del matrimonio, visto che non si decideva ad accettare la sua proposta, ma ora, guardando il modo in cui si rivolgeva a George, iniziava a comprendere che forse, in realtà, non è che detestasse proprio l'idea delle nozze.
Isla, semplicemente, non stava aspettando di sposare lui.
Forse stava aspettando di incontrare George.
* * *
Ormai dietro l'angolo, il giorno del ricevimento arrivò ancor prima del previsto. Trenwith, immersa già nei preparativi da tempo, divenne ancora più frenetica e in ogni stanza vi fu un andirivieni di domestici che oltre a svolgere le consuete mansioni, si occupava anche di finire di allestire l'esterno e di pensare al ricco banchetto della serata.
Anche Isla, sorprendentemente, si svegliò emozionata come non lo era da tempo. Il quarantesimo compleanno di George cadde di venerdì e quel giorno non avrebbe dovuto lavorare come al solito: il suo datore si era concesso la mattinata libera e aveva insistito per trascorrerla assieme ai suoi figli, quindi ne aveva approfittato e si era alzata più tardi.
Si lavò, si vestì e scese al piano inferiore, dove, con sua grande sorpresa, scoprì che Valentine non aveva lasciato ancora Trenwith.
"Isla!" esclamò venendole incontro.
In un primo momento, la ragazza pensò che George avesse rimandato la mattinata con i figli.
Cercò di far uscire quella domanda dalla sua bocca mentre Valentine le augurava buongiorno e la abbracciava, ma nel frattempo George arrivò da una delle stanze laterali della sala da pranzo con quello che era un grosso cesto di vimini.
"Oh, Isla. Buongiorno" salutò, con un sorriso che non gli aveva visto troppo spesso in volto, forse praticamente mai. "Si unisce a noi?"
La ragazza balbettò confusa. "Ehm...?"
"Colazione sulla spiaggia!" esclamò Valentine entusiasta. 
"Vostro cognato e vostra sorella sono usciti stamattina presto" si affrettò ad aggiungere George. "Unitevi a noi. Non vorrete restare qui tutta da sola?"
Isla scosse il capo e alzò le braccia in un gesto accondiscendente. 
"Beh, come potrei dire di no" osservò con un sorriso, facendo una carezza sulla testa di Valentine. "E comunque, buon compleanno sir."
George sorrise a sua volta. "Grazie, Isla."
* * *
Trascorsero una mattinata bellissima e tranquilla. In riva al mare, al piacevole tepore del sole di primavera, la Cornovaglia sembrava incredibilmente quieta e silenziosa, eccezion fatta per le risate di Valentine e per i versetti della sorellina minore. 
George non aveva voluto che Emily, la bambinaia di Ursula, li seguisse; e ora si occupava della piccola e di Valentine un po' affaccendato, perché gli bastava girare un attimo lo sguardo per perdere prima l'uno e poi l'altra. 
Isla non riusciva a stare ferma un attimo, nemmeno per spalmare la confettura di frutta sulle sue fette di pane. Rincorreva Valentine sulla spiaggia, lo inseguiva, lo abbracciava e rideva con lui. George, che in un momento di riposo stringeva la più piccola della famiglia, sentì un piacevole calore al centro del petto: riusciva a vedere ancora Elizabeth in alcuni tratti di Valentine, ma poco in Ursula.
Però, quel giorno, fu la prima volta che pensò ad Isla come ad una figura materna per Valentine. Era certo che, pur non avendolo mai detto ad alta voce, quella ragazza volesse bene al suo bambino proprio come se fosse suo figlio. 
E poi, più la guardava e più non riusciva a fermare il fermento che sentiva nel cuore da più di tre settimane, e forse, inconsapevolmente, anche di più. Era qualcosa che non credeva che sarebbe stato più capace di provare dalla morte di Elizabeth: si era sempre detto che non sarebbe più stato capace di amare, non così almeno, e che se avesse sposato un'altra donna lo avrebbe fatto per una pura questione di affari e praticità.
Ma ora si trovava lì, su quella spiaggia, col vento che gli metteva in disordine i capelli e col cuore che gli batteva forse ancora più forte di quando aveva provato quel grande amore per Elizabeth. Guardava Isla e, dentro di sé, sapeva già che da quel momento in poi avrebbe fatto di tutto per renderla felice.
* * *
Rientrarono a casa per pranzo e al tavolo l'atmosfera sembrò persino più leggera alla presenza dei Thomson. Come se il mare avesse reso immune qualunque tipo di malumore in quella casa.
Mary aveva ripreso colorito ed era di ottimo umore: i preparativi per il ricevimento di quella sera erano stati utili a tenerla impegnata e non vedeva l'ora di catapultarsi quel pomeriggio nel mettere a punto gli ultimi dettagli. L'unico a parlare poco era stato Alec che rappresentava la nota stonata di quel pranzo, ma George non gli badò molto: non gliene fregava niente dei suoi sguardi sospettosi ed ignorò la sua aura negativa. Si sentiva stranamente vitale all'idea che quello fosse il giorno del suo compleanno.
Nel primo pomeriggio, Isla chiese di riposare per qualche ora, ma non vi fu verso di mettere davvero in pratica quell'intenzione. Si sentiva emozionata come una ragazzina, come se fosse la sua festa di compleanno, anche se era certa che vi fossero ben altre motivazioni che la facessero tremare da capo a piede, e quello che Caroline le aveva insinuato in confidenza al loro ultimo incontro prendeva sempre più forma.
Distesa a pancia in su sul letto, rifletté che forse provava davvero qualcosa per George. E il fatto che potesse essere ricambiata, era quello che la faceva sentire più viva. Non si sentiva più così... da quanto?
Aspettò che si facesse un orario adeguato per chiamare Anne in stanza e chiederle di aiutarla a prepararsi. La domestica le preparò un bagno caldo con dei sali profumati che però servirono ben poco a calmare l'orchestra che sentiva in petto e a niente servirono le chiacchiere di Anne a distrarla da quello che sarebbe accaduto di lì a breve.
Aveva accuratamente scelto l'abito per l'occasione. Era il vestito rosa che aveva indossato al ricevimento degli Enys, quello che aveva fatto confezionare dal sarto su consiglio di Caroline.
L'abito che aveva indossato quando George l'aveva invitata a ballare per la prima volta.
"State tremando, signorina" azzardò a dire Anne. "Avete freddo? Se volete, posso chiudere la finestra."
"No" la tranquillizzò Isla. "È tutto a posto. Credo di essere solo un po' nervosa."
Anne non proferì altro. Non le era concesso in qualità di domestica avere delle opinioni in merito, o quantomeno, di esternarle davanti ai propri padroni. Ma da qualche tempo la servitù spettegolava sul legame tra Isla e George: probabilmente gli unici a non essersi ancora resi conto dei reciproci sentimenti potevano essere soltanto loro. 
Erano cambiati parecchio dalla prima volta che si erano incontrati, e una volta aveva sentito dire al cuoco di casa che sarebbe stata una vera fortuna se quell'adorabile ragazza scozzese fosse riuscita ad ammansire un po' il loro perfido padrone. Perché se c'era un aggettivo che potesse descrivere perfettamente l'istitutrice del piccolo Valentine era proprio quello: adorabile.
"Non avete motivo di essere agitata, signorina" tentò di rassicurarla. "Guardate il vostro riflesso. Siete splendida."
Isla osservò l'immagine che vedeva nella specchiera davanti a sé. Aveva preso un po' di peso in quei mesi e il suo volto si era rinvigorito: la Cornovaglia le aveva fatto bene e ormai era certa che non ci fosse altro posto nel mondo in cui avrebbe voluto stare.
Si sentiva sicura, bella e adulta nell'acconciatura raccolta dietro la nuca, a cui aveva voluto aggiungere dei piccoli fiori; e anche nel trucco che risaltava invece il suo incarnato senza esagerare. Il vestito, quell'abito che aveva scelto appositamente per l'occasione, la faceva sentire bene.
"Grazie, Anne. Sono pronta."
 
 


 
Angolo dell’autrice
Ehilà, come state?
Scusate se aggiorno dopo tanto tempo: ho avuto un po’ da fare ultimamente, e come se non bastasse, mi sono beccata anche un bel raffreddore... questo però non mi ha impedito di continuare a scrivere.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Quello che accade in realtà è molto tranquillo, ma aggiunge tanto alla trama della storia: Isla finalmente ammette a se stessa i suoi sentimenti, e anche George lo fa, e questa piacevole calma è ciò che vi preparerà al prossimo capitolo che, tra parentesi, ho già scritto. Ha solo bisogno di essere revisionato.
La soundtrack Arrival of the birds è stata perfetta per la scrittura della scena sulla spiaggia: immaginavo proprio questo quadretto familiare in cui George si accorge della luce che Isla ha portato a Trenwith, ma anche nella sua famiglia e nella sua vita. Spero che anche voi lo troviate azzeccato.
 
Alcuni appunti prima di salutarvi.
In queste ultime settimane ho fatto un rewatch di tutta la serie (ho sfinito talmente tanto mio padre che alla fine ha iniziato a guardarla e se n’è appassionato). Mi ha aiutata a ricordare particolari che avevo completamente rimosso, ma soprattutto mi ha riportato alla mente quanto George fosse odioso sotto tanti aspetti. Eppure questo mi ha permesso di comprendere anche i motivi per cui mi sono interessata a lui: al di là delle azioni alquanto discutibili, il suo personaggio ha tante sfaccettature e colori.
Sono arrivata agli ultimi episodi della quinta stagione e questo mi ha permesso di ricordare anche che la bambinaia di Ursula ha un altro nome, ma qui ho preferito lasciare quello di Emily, che ho inventato io, proprio perché in realtà sarà solo un personaggio di contorno.
Bene, la chiudo qui se no mi dilungo troppo!
Aspetto i vostri commenti, un abbraccio fortissimo.
Lady Warleggan

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Capitolo 10
*** Dieci. ***


Dieci.

 
Il sole splendeva ancora nel pomeriggio primaverile a Trenwith, mentre George osservava, con una certa soddisfazione, i risultati dell'organizzazione dei giorni precedenti. Ci sarebbe stata luce abbastanza anche in serata grazie ad una splendida coreografia delle più moderne innovazioni e un salone invitante e accogliente nel caso in cui avrebbe fatto troppo freddo per restare all'aperto, anche se il padrone di casa sperava che non fosse necessario ricorrere a quella soluzione.
All'arrivo dei primi ospiti, i musicisti convocati iniziarono a suonare delicate melodie di sottofondo e il giardino cominciò a riempirsi di sorrisi tirati e risatine soffuse, chiacchiere e facce che George aveva imparato a conoscere abbastanza da decifrarne anche i movimenti più impercettibili, grazie più o meno alla sua influenza come banchiere.
Si allungò a salutare i Trenelogos: Ruth sfoggiava la sua nuova gravidanza come un trofeo e le dame attorno a lei si esprimevano in cianciose congratulazioni. Era paffuta, e l'attesa di un nuovo figlio sembrava averla rinvigorita. George aveva lanciato uno sguardo preoccupato nella direzione di Mary, sperando che non avesse avuto già a che fare con Ruth Treneglos e il bambino che portava in grembo, non si poteva mai sapere che effetto potesse avere su di lei.
Per fortuna, la donna era troppo impegnata a conversare col marito mentre sorseggiavano assieme un bicchierino di liquore. Aveva un sorriso talmente splendente che al suo ingresso a Trenwith la prima volta, George non avrebbe neanche potuto immaginarlo.
"Grazie mille per le composizioni, signora Thomson" disse avvicinandosi a lei, ed interrompendo educatamente la conversazione fra i due coniugi. "Isla mi ha detto che ve ne siete occupata voi."
Alec, nel frattempo, lo osservò con uno sguardo strano, uno di quelli che non riusciva mai a decifrare fino in fondo: avevano deciso sulla base di un tacito accordo di comportarsi pacificamente l'uno con l'altro per quieto vivere, benché si tollerassero davvero poco. Alec non poteva permettersi di interrompere quel soggiorno a Trenwith, non ora che Mary stava mostrando evidenti segni di miglioramento; e George non poteva certo fare un torto del genere ad Isla.
Isla.
Era dall'inizio della festa che sperava di vederla finalmente arrivare. Si era girato continuamente verso la casa aspettando impaziente di vederla finalmente uscire, ma fino a quel momento non vi era ancora traccia di lei. In realtà non era così tanto in ritardo, gli ospiti dovevano arrivare ancora tutti, ma i suoi occhi non smettevano di cercare quelli della ragazza.
"Grazie mille, signor Warleggan. Credo che il merito di tutto però vada a mia sorella, è lei che si è occupata della maggior parte delle cose."
"Questo è vero, ma negare il vostro talento nelle composizioni floreali sarebbe un'eresia" disse George, gentile. "Ve ne siete già occupata prima?"
Mary annuì, cominciando a raccontare le volte in cui le era stato permesso di allestire alcuni dei saloni della sua vecchia casa in occasione dei ricevimenti. In realtà, non è che ne avessero organizzati a profusione negli anni precedenti, visto che le finanze della sua famiglia non erano mai state troppo floride per sostenere spese di eventi del genere. E l'unica capace di amministrare il patrimonio con così tanta competenza era sempre stata solo e soltanto sua sorella maggiore.
George in realtà non ascoltò neanche una parola di quel discorso. Il suo sguardo continuava a vagare per il giardino, alla ricerca di qualcuno che stava aspettando da tempo, e finalmente, dopo quella che gli parve un'eternità, riuscì a riconoscere Isla che usciva dall'ingresso di Trenwith.
Indossava l'abito rosa con cui erano andati al primo ricevimento assieme. I capelli erano raccolti dietro alla nuca, mentre, ai lati della testa, aveva due deliziose trecce che si univano nel punto in cui terminava lo chignon. Aveva anche delle deliziose decorazioni di fiori che le adornavano l'insieme.
Era bellissima, lo era sempre stata, come la prima volta che l'aveva accompagnata a casa degli Enys, ora invece ne era solo più consapevole. Il cuore gli batteva come non succedeva da tempo e la cosa che più gli costasse ammettere, di tutta quella faccenda, era che quel piantagrane di suo zio avesse ragione: non aveva mai abbracciato Elizabeth come aveva fatto con Isla quella volta, forse chissà, osò chiedersi se avesse mai guardato sua moglie come in quel momento stava facendo con quella ragazza.
"Vi prego di scusarmi" sottolineò con una premura e una gentilezza insoliti per lui, non appena Mary si fermò un attimo col suo racconto. Alec, fino a quel momento, non aveva spiccicato parola. "Credo di dovermi dedicare un attimo anche agli altri miei ospiti."
L'arrivo degli Enys, in quel momento, fu davvero provvidenziale. George poté in questo modo congedarsi e avvicinarsi ad Isla senza attirare l'attenzione di nessuno, soprattutto perché già dai tempi in cui si era presentato con la ragazza al ricevimento a casa di Caroline si era parlato di loro: gli sembrava di rivivere quello che c'era stato tra Demelza e Ross molti anni prima, quando lei era la sua domestica e lui il suo padrone e la gente aveva iniziato a sparlare di quel rapporto così complice.
Gli fece così strano paragonarsi a Ross Poldark e a sua moglie.
Certo, Isla non ricopriva il ruolo di una serva, ed era sicuro che per la sua posizione sociale non sarebbe stata trattata allo stesso modo della signora Poldark, anche se poi Demelza, a modo suo, si era integrata. Lei e Caroline si erano salutate e abbracciate affettuosamente e avevano iniziato a conversare assieme a Dwight, che, da vero cavaliere, era andato e tornato a prendere un paio di calici sia per la moglie che per l'amica.
"Caroline, Dwight, benvenuti" li accolse George, col suo solito savoir-faire, quando fu abbastanza vicino perché potessero sentirlo. "Sono lieto che siate venuti."
"E chi poteva perdersi il compleanno del banchiere più influente di tutta la Cornovaglia?" scherzò Caroline, lanciando un'occhiata complice all'amica di fianco a lei. "Buon compleanno a voi, George! Festa incantevole. E che allestimento stupendo!"
Isla era insolitamente più agitata di quanto l'avesse mai vista. Non riusciva a sostenere il suo sguardo per più di cinque secondi ed era una cosa che non si sarebbe mai aspettato normalmente, conoscendo il temperamento della ragazza.
"Tanti auguri, George" aggiunse Dwight e il padrone di casa abbassò il capo in segno di ringraziamento.
"Vi ringrazio. Tutto quello che vedete, però, è opera della vostra amica" specificò, indicando Isla ad entrambi i suoi ospiti.
"Non ho fatto tutto da sola" rispose lei con modestia.
"Sciocchezze, una volta tanto ci si può prendere i complimenti se lo si merita!" esclamò Caroline, allegramente. "Ora vi prego sir George, credo che io e Dwight andremo a mangiare un boccone del vostro meraviglioso banchetto. Sembra tutto delizioso!"
"Servitevi pure!" fece George, mentre gli Enys si congedavano e si allontanavano lentamente da lui.
Per un attimo gli sembrò che Caroline lo avesse fatto a posta a lasciarlo da solo con Isla, e che avesse reso complice, suo malgrado, anche il povero marito. Aveva lanciato un sorriso divertito all'amica, che in realtà, sembrava presa da un moto di panico. Fissava un punto indistinto da un altro lato, opposto a quello di George.
"Valentine ha un amichetto."
Furono le prime parole che le sentì dire a quel ricevimento.
George si voltò verso il suo stesso punto. C'era Valentine che rideva e giocava con un suo coetaneo: alla sua festa aveva fatto inserire nella lista degli invitati anche alcuni figli dei suoi clienti, proprio perché voleva che il bambino non si annoiasse a quel ricevimento.
"Uno dei figli di sir Treneglos" spiegò ad Isla. Poi indicò alla ragazza il punto in cui si trovavano Ruth e le altre dame. "Quella è sua moglie. Aspetta un altro figlio."
Isla annuì e sorrise. "Così Valentine non si annoierà. Sembra divertirsi."
"Non vedevo mio figlio stare così bene da molto tempo" disse e la guardò dritto negli occhi. "E tutto grazie a voi."
Isla abbassò gli occhi, imbarazzata. "No, è anche merito vostro."
George scosse il capo. "No. Siete arrivata in questa casa e a Trenwith c'è finalmente colore solo grazie a voi."
Isla deglutì, ma poi non riuscì a non sorridere. Le belle parole del suo datore di lavoro non sembravano dettate soltanto dalla cortesia, non come in altre occasioni. Caroline aveva ragione: provava qualcosa di molto forte per lui, il suo cuore era fuori controllo, e forse sarebbe riuscita finalmente a pronunciare ad alta voce quella parola che tanto la spaventava.
Amore.
Perché non c'era altro termine che potesse descrivere quello che sentiva in quel momento per George.
"George, io..."
"Venite" la interruppe, porgendole una mano. "Ballate con me."
"Ma..." Isla si guardò attorno, tutti erano impegnati a fare altro fuorché danzare. "Nessuno sta..."
"Lo so" continuò lui. "Saremo i primi ad aprire le danze. A meno che voi non vogliate concedere il vostro primo ballo a qualcun altro."
George fece per abbassare la mano, con un'espressione a metà fra la delusione e una punta di nervosismo, ma Isla si affrettò a stringergliela. Alzò lo sguardo su di lei, osservando compiaciuto gli occhi emozionati con cui lo guardava.
Poteva sperare che anche lei ricambiasse quello che sentiva?
"Il mio primo ballo deve essere vostro."
George dischiuse le labbra per lo stupore, ma poi le sorrise. Si ricordò del ricevimento degli Enys, di quando lui l'aveva difesa da quel bell'imbusto di Lord Wright e l'aveva tratta in salvo ballando assieme: sembrava passata una vita, invece erano trascorsi soltanto alcuni mesi.
Osservando i movimenti di George, molti ospiti si voltarono a guardare la coppia che si accingeva ad aprire le danze. I musicisti avevano cambiato sinfonia e ora suonavano qualcosa di più elegante e ritmato, ma non era certo la musica la cosa più interessante di quelle danze. Mentre anche altre coppie si avvicinavano, tra cui anche una sorridente Caroline e un confuso Dwight, altri ospiti erano rimasti in disparte ad osservare gli sguardi del festeggiato e della sua dama. Sembravano parlare abbastanza chiaro e le voci in merito, su quella strana relazione, sembrarono diventare ancora più rumorose.
Cary Warleggan, in lontananza, si godeva quella scena con una soddisfazione che poche volte aveva provato in vita sua, persino quando si era tolto lo sfizio di prevaricare su quelle famiglie nobili che tanto avevano disprezzato il suo cognome a causa delle sue umili origini.
"Ci guardano tutti" sussurrò Isla a George, ma non sembrava preoccupata, anzi, pareva che la situazione la divertisse. Era la prima volta che i muri delle convenzioni sociali tra loro si abbassavano.
"Non importa" disse lui, mentre le metteva una mano dietro la schiena. "Posate lo sguardo su di me, per favore. Voglio danzare con voi guardandovi negli occhi."
Isla annuì, e se aveva osato pensare che il suo cuore non potesse battere più veloce di così, capì in quel momento che si era sicuramente sbagliata. I suoi occhi azzurri si persero in quelli di George, che brillavano dello stesso colore ed emozione, ed iniziò a muoversi in sincrono con lui, con una sintonia che avevano provato anche al loro primo ballo, ma che certamente, quel pomeriggio, sembrava aver raggiunto un livello superiore.
Isla dovette trattenere l'impulso di interrompere quella danza per accarezzargli una guancia.
George tornò a parlare mentre la musica incalzava.
"Non c'è nessun'altra, a parte voi, con cui io oggi desideri ballare."
* * *
"Allora... mi inviterai a danzare, o resterai a guardare mia sorella ancora a lungo?"
Alec sobbalzò. Si voltò alla sua destra, e trovò sua moglie. Aveva iniziato ad ignorarla da quando George si era separato da loro per raggiungere Isla, perché non era riuscito a guardare altro in quel giardino. Altro che rispetto... tra quei due c'era decisamente un'intesa, come aveva sempre sospettato, e sicuramente, ad osservare le occhiate che si rivolgevano, Isla forse nemmeno pensava più a lui.
"Non sono lei, non lo sarò mai, ma sono pur sempre tua moglie." Mary lo guardava con un'espressione sicura che mai le aveva visto sul volto. Era incredibile come le cure di Enys la stessero già aiutando ad acquistare più consapevolezza. "So che non mi amerai mai come hai amato lei, ma puoi provare a vedermi come un'amica. Mi conosci da sempre."
"Scusami" farfugliò, come un poppante che ancora non sa spiccicare una parola.
"Non importa." Mary fece spallucce. "Ora portami a ballare."
Alec si passò una mano fra i capelli biondi, ma poi condusse finalmente sua moglie accanto agli altri ospiti. La prese con sicurezza dietro la schiena e tentò con molta fatica di non rendere quella danza meccanica e priva di emozioni, ma non riusciva quasi a trattenere l'impulso di correre a separare la coppietta del momento.
"Non vedevo Isla così felice da tempo" ammise Mary, gettando un'occhiata veloce alla sorella maggiore. "Sir George sembra provare lo stesso e anche se è parecchio più grande di lei, qui in Cornovaglia lei sembra trovarsi bene."
"Già" fu tutto quello che riuscì a dire suo marito, facendola volteggiare.
"Alec, ora guardami, per favore." Mary si piantò con i piedi sull'erba, rischiando di urtare altre coppie che stavano eseguendo gli stessi passi. Gli posò una mano in volto per essere certa che le prestasse attenzione. "Lasciala andare. Direi che ci meritiamo a vicenda."
"Cosa?" chiese Alec, sempre più confuso.
"Non mi fraintendere. Non ho la presunzione di credere che un giorno mi amerai, ma ce lo siamo meritati. Tu l'hai lasciata andare troppo in fretta, io ho sposato l'uomo che amava. Siamo stati pessimi. E ci meritiamo a vicenda."
Alec non ebbe il coraggio di protestare, nemmeno quando Mary aveva parlato dell'amore che Isla provava per lui usando il passato.
Fece solo ciò che si sentì di fare in quel momento. Baciò velocemente il capo di sua moglie, e la sentì tremare tra le sue braccia. Dopodiché, ricominciò a ballare con lei riflettendo su quanto le aveva appena sentito dire: era finita. Anche se Isla avesse provato ancora qualcosa per lui, questo non avrebbe cambiato comunque la realtà dei fatti. Aveva giurato rispetto e doveri nei confronti di un'altra persona.
E l'atto d'amore più giusto e più coraggioso che potesse fare per la donna che amava davvero, era solo quello: lasciarla andare via.
* * *
Completamenti ignari di essere al centro della conversazione tra i due ospiti di Trenwith, George e Isla avevano continuato a ballare con una complicità che certamente non poteva passare inosservata. Quando la danza stava ormai per raggiungere al suo termine, George avvicinò di più il suo volto all'orecchio di Isla. Lei si sentì arrossire da capo a piede.
"Credo di dovervi parlare" sussurrò. "Lontano da qui."
"Che succede?" chiese lei allarmata.
Le bastò osservare il volto sereno di George per tranquillizzarsi. Non sembrava esserci nulla di cui preoccuparsi.
"Andate nel mio ufficio e non fatevi vedere. È lontano dalle cucine, ma non si sa mai che un domestico possa accorgersi di voi." Con una destrezza che la stupì, lo vide infilarsi qualcosa tra le mani e quando ritornò a stringere la sua, si accorse che le stava passando qualcosa di metallico senza farsi vedere da nessuno.
"Questa è la chiave. Aspettatemi lì, vi raggiungerò a breve. Con un po' di fortuna, nessuno dovrebbe accorgersi della mia assenza per un po', anche se sono il festeggiato. Devo parlarvi, non credo di poter resistere oltre."
Ad Isla iniziò a mancare la terra sotto i piedi. Se aveva capito a cosa George stesse alludendo, era certa che sarebbe morta dall'imbarazzo, ma un'altra parte di sé sapeva che se si fosse tirata indietro si sarebbe pentita per il resto della sua vita.
Il ballo terminò, e come prevedeva la buona educazione, la ragazza fece un inchino rispettoso al suo cavaliere. I due si allontanarono l'uno dall'altra cercando di non attirare ulteriori occhiate, ma Isla pensò che George non le rendesse certo le cose più semplici se continuava a rivolgerle sorrisi e sguardi a destra e a manca in lontananza.
Seminò Caroline che voleva evidentemente raggiungerla per spettegolare su quello che era appena successo e, prestando attenzione che nessuno si accorgesse di lei, scivolò oltre la porta di ingresso di Trenwith. Il salone era vuoto e col cuore che le rimbombava nel petto, camminò veloce verso l'ufficio di George. Non vi era mai entrata, ma sapeva dove si trovasse.
Le mani le tremavano mentre faceva girare la chiave nella toppa, e quando la porta si spalancò, Isla si affrettò a richiuderla dietro di sé. Si portò una mano al petto, cercando di placare il respiro sempre più rarefatto e, qualche lungo istante dopo, riacquistò una parvenza di lucidità.
La prima cosa che fece, fu quella di andare ad accostare le tende. La finestra dell'ufficio non affacciava sulla porzione di giardino dove si teneva la festa, ma non si poteva mai sapere e se qualcuno fosse passato di lì, almeno non li avrebbe visti in atteggiamenti che potevano risultare ambigui.
E se George voleva davvero dirle ciò che sperava, sarebbe stata pronta ad ammettere ad alta voce lo stesso?
Si prese quel tempo osservando la stanza attorno a sé. L'ufficio di George non aveva niente di speciale: uno scrittoio, un armadietto, un camino e un mucchio di scartoffie accatastate l'una sull'altra dall'aria di essere incredibilmente noiose. Isla non riusciva a concentrarsi su nient'altro e diverse volte fu tentata di uscire da quella stanza per paura di restarci secca, ma il suo buon senso riuscì a piantarla al suo interno fino all'arrivo del padrone di casa.
George bussò lievemente prima di entrare, ma questo bastò comunque a farla sobbalzare. Sì accorse, al suo ingresso, che aveva buttato un'occhiata alle tende dietro di lei e sembrò aver apprezzato il suo gesto di garantire ad entrambi più privacy possibile. Quando lo sentì richiudere la porta, Isla si convinse a rivolgergli finalmente un sorriso timido.
George si avvicinò a lei con cautela, più vicino di quanto le norme delle buone maniere lo consentissero.
"Isla" disse il suo nome come se fosse una supplica.
"George."
Era la prima volta che non usava il sir per rivolgersi a lui.
"Mi permettete... di abbracciarvi?"
Isla ne restò stupita, non era quello che si aspettava da lui, ma annuì, era certa che non sarebbe riuscita a dire altro. George si avvicinò ancora, e ancora, e un attimo dopo le sue braccia furono dietro la sua schiena. Pur tremando, Isla si lasciò andare, ricambiando quella stretta che si scoprì a desiderare ancor più di quella volta che, tre settimane prima, George l'aveva consolata.
"State tremando" notò lui, preoccupato, accarezzandole la testa.
"Non è niente. Sono solo troppo emozionata e continuo a chiedermi se tutto questo sia vero oppure no."
George si staccò da lei quel poco che bastasse a guardarla in volto. Le accarezzò le guance con i pollici, un gesto che forse avrebbe voluto fare anche per cancellarle le lacrime di tre settimane prima.
"Me lo sono chiesto anche io, tante volte, se tutto questo stia succedendo davvero."
Isla non si oppose quando si avvicinò di nuovo e stavolta le baciò la fronte, poi la tempia e poi una guancia, e se avesse voluto, avrebbe potuto prenderle anche il cuore e strapparglielo dal petto.
"Se posso osare di pensare che proviate lo stesso che sto sentendo io in questo momento, permettetemi di baciarvi."
Il tocco di George, sulla pelle di Isla, si fece ancora più rovente. Lei annuì.
"Baciatemi" mormorò.
E lui lo fece.
E la baciò con un desiderio tale che la colse alla sprovvista. Isla gli gettò le braccia al collo, completamente assuefatta, domandandosi se di quel passo non avrebbe perso i sensi a causa di tanta adrenalina.
Lui la strinse più a sé e il bacio si fece ancora più impellente e passionale, come se volessero recuperare un tempo che non sapevano di aver perso. George la lasciò andare soltanto per farle riprendere fiato per un attimo, ma non abbastanza.
Si avventò di nuovo sulle sue labbra con audacia, sempre più desideroso. Quando fece per togliersi la giacca, Isla capì che sarebbero precipitati in un punto di non ritorno, e la cosa, paradossalmente, non la spaventava.
Forse davvero non avrebbe avuto più paura a pronunciare quella parola.
Amore.
Isla lo aiutò a togliersi la giacca e quando se lo ritrovò davanti, in camicia, un po' spettinato e divertito, non riuscì a trattenere la sua risata.
"Che bella" sussurrò George, riprendendo il suo volto fra le mani e scontrando il suo sorriso sulle sue labbra, per poi baciarla ancora e ancora, e ancora.
E quando Isla stava per permettergli di sfiorare anche la pelle del suo collo, un rumore li fece sobbalzare e staccare all'istante.
Non avevano chiuso nemmeno la porta dell'ufficio, ma nessuno fortunatamente li aveva colti di sorpresa. Forse un domestico aveva fatto cadere qualcosa fuori dalla porta a giudicare da quanto fosse forte il rumore: aspettarono pietrificati di sentire i passi allontanarsi dall'esterno e quando furono attutiti abbastanza da essere impercettibili, finalmente tornarono a guardarsi.
"I capelli" disse Isla a George ridacchiando.
Lui non poteva fare a meno di essere un po' imbarazzato per come si fossero lasciati andare e da cosa sarebbero stati capaci di fare se non fossero stati interrotti.
Isla lo desiderava, ma lui lo sapeva che quella non poteva essere la loro prima volta. Isla meritava di più: un posto più caldo e confortevole, un luogo dove potesse ripeterle in continuazione quanto bella la trovasse. Perché George era certo che, dopo quello che era successo, non l'avrebbe lasciata andare mai più.
"Perdonami" si scusò, baciandole mani. "Mi sono lasciato trasportare."
"Non hai fatto niente che anch'io non desiderassi" mormorò la ragazza per rassicurarlo.
George chiuse gli occhi, appoggiando la fronte alla sua.
"Lo sai che dopo tutto questo... io non posso più rinunciare a te?"
"Non devi, infatti."
Lo baciò di sua iniziativa, e George ricambiò allo stesso modo. La abbracciò di nuovo così stretta che Isla ebbe l’impressione che di quel passo avrebbe smesso di respirare.
Dopo qualche minuto, lo aiutò a rimettersi la giacca, gli aggiustò come poté i capelli e sorrise quando lui si avvicinò a stamparle altri due lunghi baci prima di separarsi da lei e tornare alla festa. Avrebbero fatto esattamente come prima: sarebbero usciti dalla casa a distanza di tempo l'uno dall'altra per non destare sospetti.
Per ora era giusto che quella cosa rimanesse fra loro.
"Come sto?” le chiese un’ultima volta, prima di lasciare l’ufficio.
“Magnificamente.”
 
 


Angolo dell’autrice
Ciao!! Finalmente faccio ritorno anche io su questa piattaforma e mi spiace se ci ho messo una vita a pubblicare un nuovo capitolo. Chiedo scusa se aggiornerò più saltuariamente del previsto, ma questo periodo per me è impossibile, anche se cercherò di mantenere comunque una certa regolarità (spero a breve di poter buttare giù anche il 4° capitolo di Skam Cornovaglia, perché le idee ci sono già nella mia testa).
Allora, cosa ne pensate? Come potrete immaginare sono attaccata a questo capitolo in un modo assurdo, perché non vedevo l’ora di arrivare a questo punto. Ho tentato di ricreare un po’ l’atmosfera della festa col collage che trovate all’inizio, che spero possa piacervi.
Attendo i vostri pareri, sperando di non aver “snaturato” troppo il personaggio di George. Vedendo quanto ha amato Elizabeth, volevo che trovasse la forza di amare di nuovo, questa volta un personaggio che ho creato io stessa, immaginando la compagna che avrei visto meglio al suo fianco: una persona dolce e amorevole, che però sa come tenergli testa.
Vi aspetto
Lady Warleggan

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Capitolo 11
*** Undici. ***


Undici.
 
Quando un venerdì mattina George bussò a Killewarren, Dwight Enys si trovava all'interno del proprio ufficio a godersi distrattamente il tepore del suo camino e la compagnia di Horace, senza avere grandi piani per quella giornata. Solitamente sua moglie non si allontanava mai dal suo carlino, ma quella mattina il cane si era mostrato ancora più pigro e svogliato del solito, e Caroline, seppur a fatica, aveva alla fine smesso di insistere a cercare di schiodarlo dalla poltrona ed era andata a porgere le sue congratulazioni a una vicina di casa che recentemente aveva partorito.
Dwight era invece rimasto in ufficio adducendo la scusa di dover studiare il caso clinico di un suo paziente (in realtà, come già detto, quella mattina si stava godendo solo un po' di dolce far niente), ma sua moglie lo conosceva troppo bene e sapeva che aveva già fatto le sue congratulazioni a tempo debito quando aveva aiutato la loro vicina a partorire, e che presentarsi a eventi in cui dovesse sforzarsi di sorridere e conversare, era una cosa che non troppo gli andasse a genio.
Aveva finto di crederci e si era preparata di tutto punto, a lei quelle occasioni piacevano e Dwight sapeva che se la cavava piuttosto bene anche senza di lui: e poi, da quando avevano perso la loro piccina, Caroline finalmente riusciva ad avvicinarsi ai bambini senza usare scuse taglienti o nascondendosi dietro un velo di ironia... non ne avevano più parlato e quando si lasciavano andare sotto le lenzuola, Dwight era sempre molto cauto e attento, pure perché era certo che sua moglie avesse paura di rivivere l'inferno patito dopo la morte di Sarah. Anche lui sapeva che non sarebbe stato capace di sopravvivere nuovamente a quello strazio, benché desiderasse ardentemente provare ad avere un altro figlio.
Ma fino a che Caroline non sarebbe mai stata pronta ad aprire nuovamente il suo cuore, Dwight si era promesso di aspettare. Erano ancora giovani e belli, e sia lui, che sua moglie, scoppiavano di salute. Ci sarebbero stati tempo e modo di parlare di quell'argomento e sapeva che forse nessuno dei due sarebbe riuscito a farlo tanto presto.
Una domestica accolse George Warleggan all'ingresso di Killewarren e sempre lei stessa, accompagnò poi l'inatteso ospite nello studio di Dwight. Il dottor Enys, quando se lo ritrovò davanti, non era ancora riuscito a contenere la perplessità e lo stupore di ritrovarselo faccia a faccia: escludendo la febbre di Valentine di alcuni mesi fa, George non richiedeva i suoi servigi più o meno dai tempi in cui si era ripreso dalla morte di Elizabeth.
Dal suo quarantesimo compleanno era appena passata una settimana, ma in quell'occasione, Dwight aveva soltanto avuto modo di confermare che il banchiere più influente di tutta la Cornovaglia ormai si fosse ripreso alla grande e che il dolore che lo aveva travolto mesi prima, minando la sua salute mentale, si fosse finalmente tramutato in ricordo.
"George" disse, facendo il giro della sua scrivania per raggiungerlo e stringergli educatamente una mano. "Gradite un the o un brandy? Un bicchierino di porto?"
Dwight gli fece cenno di accomodarsi su una delle poltrone accanto al caminetto, quella su cui non si era spaparanzato Horace, che nel frattempo si godeva uno dei suoi tanti sonnellini della giornata.
George si sedette.
"Un po' di porto lo gradisco, grazie."
Dwight annuì, ancora incredulo per quella visita. Solitamente se c'era George Warleggan nei paraggi non ci si poteva mai aspettare nulla di buono, soprattutto perché, in quanto migliore amico di Ross, ormai aveva compreso da anni quanto potesse essere spietato il banchiere. Tuttavia, quel giorno, aveva la strana e inquietante sensazione che non ci fosse nulla per cui preoccuparsi.
Servì al suo ospite un bicchierino di porto e poi andò a mettersi di fronte a lui, portandosi Horace sulle gambe che, dopo un grugnito infastidito, era tornato ad appisolarsi pigramente. Ormai era invecchiato, e Caroline approfittava di ogni occasione per viziarlo e coccolarlo sempre di più.
"Cosa posso fare per voi?"
George gli sembrò incerto, come se effettivamente stesse soppesando il motivo di quella visita. Anche ad un'occhiata da lontano, era evidente che pure un cieco si sarebbe accorto che il signor Warleggan non avesse alcun tipo di problema fisico e che di certo nessun altro membro della sua famiglia corresse dei rischi, con lui che se ne stava così calmo a sorseggiare porto accanto al camino acceso di Killewarren.
"Ho bisogno del vostro parere... di medico."
Dwight annuì appena, ancora confuso.
"Ditemi... qualcuno sta male?"
"No." George scosse il capo. "Voi... siete a conoscenza di quella che era la mia situazione alla morte di Elizabeth."
Il dottor Enys annuì. "Certo."
"Non sono qui a chiedervi riservatezza o altro, so bene che il vostro mestiere lo richiede per principio e dopo tutto questo tempo non avrebbe senso" continuò il banchiere. "Ho bisogno di un vostro consiglio."
Dwight gli fece cenno di proseguire.
"Ho provato molto dolore alla morte di Elizabeth, e non vorrei mai rivivere una cosa del genere" iniziò a spiegare. "Ma credo di provare di nuovo qualcosa per un'altra donna, forse persino più forte di quello che sentivo per mia moglie e questo me ne fa vergognare."
Il dottor Enys aveva ancora un quadro molto confuso: non riusciva a capire se George volesse davvero un suo parere di medico o se, in realtà, cercasse soltanto il conforto di una parola amica. George aveva tanti clienti, alleati, ma forse nessun amico.
"Continuate."
"Dottor Enys, vi sto chiedendo se dopo quel dolore provato alla morte di mia moglie, io possa essere in grado di superare di nuovo qualcosa di simile. Avete visto in che condizioni ero, no?" spiegò ancora, gli occhi fissi sulle mani che torturavano il bordo della sua giacca. "Perché credo che se dovesse capitare ancora, provare di nuovo qualcosa del genere mi ucciderebbe."
Dwight Enys si passò una mano sotto al mento, fissando incuriosito il suo ospite. Il suo ballo con Isla Wood di certo non era passato inosservato soltanto a lui, ma neanche a sua moglie che sembrava saperne molto di più, e al folto gruppo di invitati che avevano preso parte alla festa di compleanno di George. Possibile che il banchiere provasse qualcosa di serio per la giovane amica di sua moglie e che ora avesse paura di lasciarsi andare?
Francamente, in principio, non avrebbe mai consigliato un uomo come George Warleggan alla dolce Isla: tuttavia, aveva modo di credere che gli eventi vissuti dopo la morte di Elizabeth e l'arrivo di quella ragazza scozzese, avessero cambiato profondamente, a modo suo, l'uomo che aveva davanti.
"George, non credo di potervi dare una risposta concreta come medico, ma più come un amico" rivelò Dwight, soppesando le sue parole e stupendo persino se stesso di averle pronunciate. "Non è possibile prevedere il futuro e quel che ci accadrà, ma... privarsi di qualcosa soltanto per paura di soffrire di nuovo, non può che nuocerci. Provare a non aprire nuovamente il vostro cuore per paura di stare male è comprensibile, ma anche triste: potreste privarvi non solo dell'occasione di essere di nuovo felice, ma anche di rendere felice la persona che vorreste al vostro fianco."
George rimase ancora zitto.
"La amate?"
"Cosa?" Il banchiere sembrò stupito.
"Scusatemi se sono stato così diretto" ammise Dwight. "Ve lo chiedo perché sono sicuro che dall'altra parte c'è la stessa intenzione di voler essere felice."
"Come fate a..." George si rese conto che qualunque cosa avrebbe detto in sua difesa sarebbe stata stupida: Isla era amica di Dwight e Caroline e la coppia aveva imparato a conoscerla forse ancora meglio di lui.
"I vostri occhi parlavano abbastanza chiaro alla festa."
George annuì. Non aveva senso negare.
"Capisco."
Rimasero per qualche attimo in silenzio. Dwight ne approfittò per spostare lo sguardo verso il camino, accarezzando distrattamente la testolina di Horace. Aveva pronunciato quelle parole rivolgendosi a George, ma in realtà sapeva che valevano anche per sé stesso: lui e Caroline avevano evitato tutto il tempo l'argomento "figli" per paura di rivivere ciò che avevano vissuto con Sarah, ma entrambi desideravano ancora formare una famiglia.
"Vi ringrazio, dottor Enys" disse infine il suo ospite, alzandosi di scatto dalla sedia.
Dwight si alzò per fare lo stesso, ma George gli fece cenno di non scomodarsi. La stessa cameriera che lo aveva condotto al suo ufficio, lo accompagnò anche all'esterno di Killewarren.
Dwight continuò a grattare pigramente la testolina del suo carlino. Era certo che di lì a qualche mese, probabilmente, la Cornovaglia sarebbe impazzita a sapere che George Warleggan stava per sposarsi di nuovo.
* * *
A Trenwith, nel frattempo, era una giornata come tante altre. Isla si era svegliata di buon mattino e a colazione, George aveva già lasciato la casa. La cosa non la stupì troppo: il padrone di Trenwith usciva spesso presto per affari e si ritirava nel pomeriggio o più tardi, e dalla fine della famosa festa in giardino, non riusciva a staccarsi dalla faccia un sorriso da ebete.
In quella settimana, lontani dagli occhi degli altri, George l'aveva abbracciata e baciata di nascosto, in ogni angolo buio della casa che erano riusciti a trovare. L’ufficio, forse complice il fatto di essere stato anche il posto in cui si erano baciati per la prima volta, era diventato il loro preferito.
Isla aveva l'impressione di essere tornata ad avere sedici anni. Con la sola differenza che ora si sentiva più matura e che quel nuovo sentimento per George era ben diverso da quello che aveva nutrito per Alec tempo prima: non solo perché il signor Warleggan era molto più grande di lei, ma anche perché aveva la sensazione di aver finalmente trovato il suo posto accanto a qualcuno.
Quella mattina, Mary le chiese se potesse unirsi alla sua lezione con Valentine in giardino. Vestita in un abito arancione, sua sorella era il ritratto della serenità e della salute.
Isla non ebbe niente da obiettare, anche perché sua sorella non fiatò per tutto il tempo: si limitava ad osservare lei e il piccolo Warleggan con aria dolce e incuriosita. Ormai si era ripresa perfettamente, anche se Dwight le faceva visita spesso e alla fine di quelle loro sedute, sua sorella sembrava svuotata: tuttavia, quella terapia sembrava fare effetto, perché Mary aveva ripreso colorito e gioia di vivere.
Quando quel mattino Isla le chiese che fine avesse fatto Alec, sua sorella liquidò la questione dicendo che si era chiuso in camera a sbrigare alcune faccende di lavoro arretrate e che non voleva essere disturbato. Isla si chiese se non fosse il caso di parlargli e di avere quel chiarimento che non avevano mai avuto, tra persone adulte e civili, ma non era ancora certa di volerlo fare tanto presto. E soprattutto non lo rivelò ancora a Mary.
Pranzarono assieme a Valentine, e anche in quel frangente, il suo ex fidanzato non si degnò di uscire dalla propria camera. Una domestica tentò di portargli un vassoio in camera, ma Alec lo rimandò indietro quasi completamente intatto.
Nel pomeriggio, Valentine si appisolò sul divano del salotto adiacente alla sala da pranzo, in grembo ad Isla. Aveva il volto disteso e un sorriso appena accennato ad aprirgli il visetto: sembrava in pace e anche se nelle prime ore pomeridiane tendevano a studiare un altro po', Isla non aveva avuto il coraggio di svegliarlo da quel suo sonno così tranquillo.
"Valentine è molto affezionato a te" osò osservare sua sorella minore. Mary, seduta su una delle sue poltrone a leggiucchiare un libro di poesie, la studiava sorridente. "Sembri più una madre per lui, che un'istitutrice."
Isla ci aveva riflettuto, qualche volta. La notte in cui Valentine si era svegliato in preda alla febbre, lei era stata al suo fianco e lo aveva vegliato come solo una madre avrebbe potuto fare. E si era accorta, da troppo tempo, che si era affezionata a lui più di qualsiasi altro bambino a cui avesse insegnato: all'inizio aveva pensato che fosse perché le faceva pena e perché nonostante fosse così piccolo, aveva vissuto e perso già troppe cose, ma poi si era resa conto che non era solo quello.
E se il destino avesse voluto che tra lei e George le cose ruotassero per il verso giusto... lei avrebbe fatto di tutto per non fargli mancare niente.
"È un bambino così piccolo, e ha già perso sua madre" rispose a sua sorella, accarezzando dolcemente i riccioli di Valentine. "Ed è sempre molto solo. Se io in un qualche modo posso sopperire alla sua solitudine, allora ne sono felice."
Mary annuì, richiudendo il suo libro di poesie.
"Io e Alec stiamo pensando di ritornare in Scozia."
Isla la fissò sgranando gli occhi.
"Cosa? Di già? Ma è passato soltanto un mese da quando siete qui!" protestò.
Mary però sembrava tranquilla. "È una decisione che abbiamo preso di comune accordo. Il dottor Enys mi dice sempre che in una coppia le cose importanti si scelgono assieme, che non deve essere solo il marito a farlo: e pensare che tu è da tutta una vita che mi dici di pensare con la mia testa."
"Ma Mary... la Cornovaglia sembra farti bene. Se ritorni adesso in Scozia, potresti di nuovo..." Isla non riuscì a terminare la frase.
"Lo so. È una paura che ho anche io. Ma il dottore mi ha dato fra le mani tutti gli strumenti giusti per cavarmela anche a casa" spiegò sua sorella. "Io e Alec desideriamo avere una famiglia. E se non possiamo avere figli nostri, abbiamo pensato che lì fuori ci sono tanti bambini che vorrebbero due genitori e non li hanno. Ne adotteremo uno e gli daremo la migliore vita possibile."
Isla di certo non si aspettava quella novità: a giudicare dallo sguardo di Mary, sembrava una decisione ben ponderata.
"E comunque, per la cronaca, spero che sir George abbia compreso la donna meravigliosa che sei."
Isla non poté fare a meno di arrossire. Sua sorella si era sicuramente accorta che il suo rapporto con George andava ben oltre la stima reciproca: Alec aveva avuto già i suoi sospetti all'epoca, ma ora quei sospetti si erano davvero tramutati in qualcosa di reale.
Il cuore di Isla prese a battere veloce.
"Non ti ho mai vista così felice come lo sei qui in Cornovaglia" continuò Mary. "Lo ami?"
Isla scrollò le spalle, tentando di evitare lo sguardo della sorella. Ma poi non poté distogliere i suoi occhi troppo a lungo: la fissò, e con sua somma sorpresa anche per se stessa, annuì.
"Credo di sì."
"Davvero?"
"E... ho ragione di credere di essere anche ricambiata."
Mary si portò le mani alla bocca e si precipitò nel posto affianco al suo sul divano, cercando di non dar fastidio al piccolo Valentine che sonnecchiava serenamente.
"Oh sorella mia! Che notizia meravigliosa!"
Isla le fece cenno di abbassare la voce, ma era emozionata anche lei.
"Ti prego, non lo sa nessuno a parte te" disse stringendole una mano. "E mi fa ancora paura ammetterlo ad alta voce."
Mary annuì, accentuando la presa delle dita attorno alle sue. Si era intristita di colpo: le lacrime commosse che le riempivano gli occhi, ora sembravano colme di dispiacere.
"Non ti ho mai chiesto scusa, per quello che ti ho fatto" sospirò. "Non pretendo che tu mi perdoni, ma se solo potessimo ricominciare da qualche parte..."
"Mary" la interruppe solerte. "Ti prego, smettila di biasimarti. Come puoi vedere, ora ho motivo di essere estremamente felice."
* * *
George rientrò nel tardo pomeriggio. Si ritirò in ufficio, e quando mandò a chiamare Isla, poco prima che la cena fosse servita, la ragazza non se ne stupì.
Isla portò con sé anche qualcosa che, presa dalla frenesia del compleanno di George, non aveva pensato più di dargli: il suo regalo. Quando aprì la porta dell'ufficio, fu la prima cosa che saltò all'occhio del banchiere.
"Isla" pronunciò il suo nome col suo sorriso lieve e si avvicinò per prenderle il volto fra le mani.
La baciò con la stessa dolcezza di una settimana prima.
"George" mormorò lei sulle sue labbra. "Giornata proficua?"
Lui annuì, ma non si pronunciò più di quello. Ci sarebbero stati tempo e modo per raccontarle del suo passato, trovare un giorno il coraggio per farlo. Spiegarle cosa aveva passato alla morte di Elizabeth e di come lei, anche a sua insaputa, avesse contribuito a risanare il suo cuore spezzato.
"Ti ho portato una cosa" gli disse, mostrandogli la scatola del regalo. "Non sono riuscita a dartelo al tuo compleanno."
George sorrise sorpreso. "Ah no?"
"No" ridacchiò lei. "Ero un attimo occupata a parlare col padrone di casa."
"Parlare. Capisco" incalzò George, divertito, seguitando a scartare l'involucro di carta blu che aveva davanti.
Qualche istante dopo, aprì la scatola che si trovò davanti. A prima vista sembrava un binocolo un po' troppo lungo, ma ad un'occhiata più attenta si accorse che non poteva esserlo.
"Un cannocchiale" spiegò Isla. "Per vedere le stelle."
George fissò quell'oggetto fra le mani senza sapere esattamente come reagire. Aveva ricevuto tanti doni al ricevimento di due giorni prima, anche cose completamente inutili che avrebbero fatto la polvere di lì a breve, ma niente di così particolare come il regalo di Isla.
"Non sapevo cosa regalarti perché non so ancora cosa ti piace. Ho pensato che potessimo partire da una cosa che piace a me, per condividerla insieme, se ti va" continuò la ragazza. "Quando ero in Scozia guardavo spesso le stelle. Soprattutto quando mi sentivo sola... una mia vecchia zia mi regalò un cannocchiale che purtroppo ho lasciato nella mia casa di Thurso. E mi consolavo così."
George si sentì sopraffatto. Lui ed Elizabeth non avevano mai avuto un rapporto del genere: si conoscevano da tempi immemori, e poche volte avevano provato a condividere le proprie passioni, se non cose inerenti alla smania di potere e ascesa sociale, o alla predilezione per le cose costose e di lusso. Ma quello che Isla gli stava offrendo era del tutto nuovo e aveva ragione di credere che lo stesso sentimento che gli ardeva in petto avesse natura completamente differente da quello provato per la sua defunta moglie.
George non aveva mai condiviso niente con Elizabeth perché non aveva motivi per farlo: a lei stava bene così. Lui aveva i suoi affari, lei gestiva i "propri". Però ora non riusciva a fare a meno di pensare che con Isla le cose non potevano che essere più diverse.
"Se non ti piace, non devi accettarlo per forza" mormorò lei, imbarazzata, notando che non si accingeva a dire niente.
George accennò uno di quei sorrisi che aveva imparato a conoscere: miti, quasi impercettibili, eppure sinceri. Intrecciò la mano alla sua e si avvicinò nuovamente al suo volto per lasciarle un bacio.
"Grazie."
Isla sfiorò la punta del suo naso. "Di nulla."
"Stasera manderò Valentine e la servitù a letto presto" sussurrò, lieve come un respiro. Con le dita le spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. "Vieni qui e guardiamo le stelle insieme."
Isla annuì.
Sua sorella Mary aveva ragione: non era mai stata più felice di così.
 
 
 
Angolo dell’autrice
Eccomi di ritorno! Mi spiace avervi fatto aspettare, in realtà il capitolo era già pronto da tempo, ma ho voluto sistemare un po’ di cose prima di pubblicarlo. Spero vi piaccia.
Come potete notare, nella prima parte ho voluto riprendere la questione della malattia di George: anche se ho deciso di ambientare la mia ff alla fine della S4, volevo comunque affrontare questo aspetto perché credo fosse una delle dinamiche più interessanti dell’ultima stagione di Poldark. E anche perché Isla, a modo suo, ha contribuito a risanare il cuore a pezzi di George.
Come avete potuto intuire, il capitolo è più corto rispetto ai soliti perché è di “passaggio”. Una sorta di parentesi idillica per i due innamorati, in quanto dovranno succedere molte altre cose ancora. George e Isla sono infatti solo agli inizi del loro amore e incontreranno degli ostacoli sul loro cammino.
Attendo i vostri pareri.
Un saluto affettuoso,

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