Lascia che ti racconti la storia

di Jamie_Sand
(/viewuser.php?uid=1209744)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1. Estate 1993 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2. Accoglienza scozzese ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3. Adoro la magia ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4. Una botta di verità ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5. Il giorno in cui si innamorarono ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6. La partenza ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7. Natale, whisky e dichiarazioni ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8. Notizia inaspettata ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9. Chiacchiere tra amici ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10. Il dio degli inizi ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11. Il Torneo Tremaghi e altre disgrazie ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12. Grimmauld Place ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13. Harry ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14. Chiarimenti ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15. Fuga ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16. Distacco ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17. La mattina più buia ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18. Avanti con la vita ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19. Ritorno al presente ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20. Alla scoperta di un nuovo mondo ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21. Primo settembre ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22. Vorrei che fossi qui ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23. Il tipo ideale ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24. Il passaggio ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25. Non sai un bel niente ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26. Andare avanti ***
Capitolo 28: *** Capitolo 27. Sostituto ***
Capitolo 29: *** Capitolo 28. Strani eventi all'Ufficio Misteri ***
Capitolo 30: *** Capitolo 29. Esprimi un desiderio ***
Capitolo 31: *** Capitolo 30. Confusione ***
Capitolo 32: *** Capitolo 31. Una presenza ingombrante ***
Capitolo 33: *** Capitolo 32. Signora quasi-Weasley ***
Capitolo 34: *** Capitolo 33. Non mi arrenderò mai con te ***
Capitolo 35: *** Capitolo 34. Faccia a faccia ***
Capitolo 36: *** Capitolo 35. Ritorno a scuola ***
Capitolo 37: *** Capitolo 36. Normalità ***
Capitolo 38: *** Capitolo 37. Guanti di lana verdi ***
Capitolo 39: *** Capitolo 38. Gelosia ***
Capitolo 40: *** Capitolo 39. Vacanze di Natale (parte uno) ***
Capitolo 41: *** Capitolo 40. Vacanze di Natale (parte due) ***
Capitolo 42: *** Capitolo 41. Kamilah ***
Capitolo 43: *** Capitolo 42. Slipping through my fingers ***
Capitolo 44: *** Capitolo 43. Something in the way ***
Capitolo 45: *** Capitolo 44. L'ultima notte ***
Capitolo 46: *** Capitolo 45. Andiamo a casa ***
Capitolo 47: *** Capitolo 46. La lista ***
Capitolo 48: *** Epilogo - Parte Iª ***
Capitolo 49: *** Epilogo - Parte IIª ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


(Storia pubblicata anche su Wattpad ma in tutta sincerità preferirei che la seguiate qui su efp. 
Buona lettura,
Jamie Sand.)

La casa era un grazioso cottage dal tetto verde, disperso nella profonda campagna scozzese, posto proprio nel bel mezzo di un immenso campo di papaveri. 

Quell’anno l’estate se ne era andata via presto e, nonostante fosse solo metà agosto, la temperatura era rigida e il vento soffiava forte e gelido muovendo le fronde degli alberi e scompigliando i capelli neri e già spettinati dell’uomo.

Le grandi vetrate riflettevano il grigio del cielo burrascoso e il rosso dei tanti papaveri che ferivano il prato e, anche se non c’erano prugne dirigibili e altre stramberie tipiche dei maghi, quel posto gli fece tornare in mente la vecchia dimora dei Lovegood. Il giardino, oltre il basso cancello in ferro, era diviso in due da uno stretto vialetto sterrato: da una parte c’era un piccolo orto mentre, dall’altra, una bicicletta da bambino era stata abbandonata contro un albero, una altalena dondolava spinta dal vento accanto ad un pallone da calcio mezzo sgonfio. 

Era palese che lì ci vivesse un ragazzino e, da quanto diceva la lettera che Harry teneva in mano, si trattava di un mago, un nato babbano. Si chiamava Janus Regulus Rains, un nome molto particolare per appartenere a un ragazzino qualunque, per questo non aveva protestato quando la preside McGranitt gli aveva chiesto di portare la lettera di persona: non insegnava a Hogwarts ma, di tanto in tanto, quando poteva, gli faceva piacere dare qualche lezione di Difesa contro le Arti Oscure e aiutare la preside a consegnare le lettere ai nati babbani che di lì a poco sarebbero arrivati a scuola. Adorava guardare le loro facce felici, amava partecipare a quella gioia e a quello stupore ma, più spesso di quanto avrebbe voluto, c’erano famiglie che non prendevano benissimo la notizia. Proprio per questo, insieme a Hermione e Ron, aveva deciso di sfruttare Grimmauld Place per dare una casa a tutti quei giovani maghi e quelle giovani streghe che, durante le vacanze estive, non avevano un posto sicuro in cui tornare. Era sicuro che Sirius avrebbe apprezzato e che si sarebbe divertito all’idea di vedere la sua vecchia casa di famiglia piena di diseredati, proprio come lui. 

Quando aveva letto quello il nome del ragazzino in questione sulla busta, gli tornò in mente, potente come un temporale estivo, il suo terzo anno a Hogwarts, la fuga di Sirius, quel Natale passato proprio a Grimmauld Place. Sapeva che tra i Black c’era stato qualche Magonò, immaginò dunque che si trattasse di un lontano parente del suo padrino, e questo gli fece un po’ stringere il cuore. Harry aveva sofferto così tanto per la sua morte che quasi si sentì infastidito quando quella lettera lo fece tornare indietro negli anni.

Si riscosse dai suoi pensieri e spinse il cancello, che si aprì con un cigolio. Attraversò il vialetto a grandi passi, fino a raggiungere il portico. La porta era di legno, massiccia e rustica, non c’era il campanello, proprio come all’entrata non c’era la cassetta delle lettere. Chiunque vivesse lì non sembrava essere molto socievole e Harry si preparò al peggio.  

Bussò con decisione due volte e attese immobile che la porta si aprisse, tenendo ben stretta in mano la lettera di Hogwarts, mentre una strana sensazione cominciava ad invaderlo, come una strana frenesia. La soglia si spalancò senza fare alcun rumore e davanti a lui apparve un ragazzino dai capelli neri, lunghi fino alle spalle e gli occhi grigi come il cielo sopra di loro. - Sei tu Janus Rains? - Chiese Harry, con un sorriso.

Il bambino sembrò scosso da un fremito, spalancò gli occhi come sorpreso. - Mamma, corri, vieni! - Gridò, la voce piena di emozione, ma senza smettere di guardare l’uomo che aveva davanti. - È arrivata! È arrivata la lettera! - 

Harry aprì la bocca, ma non ebbe il tempo di dire niente: una donna si era precipitata alla porta, i capelli castani e mossi, legati con una matita, gli scuri occhi, il viso, i vestiti e le mani sporche di pittura. Probabilmente non aveva poco più di tren’anni, il suo aspetto era florido e giovane, ma il suo sguardo era profondo come se, in passato, avesse sofferto le pene dell’inferno. Si portò le mani alla bocca, quasi tremante. - Harry… - Disse, la voce piena di viscerale emozione. - Non mi aspettavo che saresti stato tu a portare la lettera per Hogwarts. - 

Harry, sempre più sorpreso, rimase senza parole. Perché quella donna lo conosceva? Ma, soprattutto, come faceva quella babbana a sapere di Hogwarts? 

- Lo so, sei confuso. - Continuò a dire lei. - Ti prego, entra, fatti offrire qualcosa di caldo e ti spiegherò tutto. Non sai da quanto tempo aspetto questo momento. - 

Senza dire niente, Harry varcò la soglia. Dentro, il cottage era arredato in pendant con l’aspetto della padrona di casa; le pareti erano quasi tutte ricoperte di quadri e fotografie, statue e oggetti di design arredavano il salotto, insieme ad una grossa libreria piena zeppa di libri d’arte e romanzi. Harry si sedette sul divano; continuò a guardarsi intorno, prima di notare che il bambino, invece, non faceva altro che tenere gli occhi sulla busta ancora stretta tra le sue mani, come se temesse di vederla sparire da un momento all’altro. I suoi occhi sembravano venire da un tempo lontano.

Poi una sensazione surreale lo prese del tutto quando il ragazzino spostò lo sguardo dalla lettera al suo volto, mentre la donna entrava in salotto con in mano un vassoio che posò sul basso tavolino davanti a lei, prima di sedersi accanto a suo fianco. Ma Harry non ci fece caso, era ancora troppo concentrato sul bambino. Lo vide spostarsi una ciocca di capelli lontano dagli occhi con casuale eleganza e, proprio in quel momento, Harry sentì la terra mancare sotto i suoi piedi. I suoi ricordi erano confusi e bloccati, ma c’erano e si stavano facendo sentire più forti che mai.

- Come è possibile…? Lui e Sirius… - Sussurrò Harry, continuando a fissare il ragazzo, senza accorgersi di avere gli occhi pieni di lacrime.

Poi si voltò verso la donna, che teneva in mano una tazza piena di tea e aveva gli occhi chiari, e lucidi come i suoi. - Sono identici, non è vero? - Chiese, con voce rotta. 

- Non capisco. - Disse Harry, sempre più confuso. - Se Sirius avesse avuto una famiglia, addirittura un figlio, tutti noi lo avremmo saputo! - 

- È complicato. - Rispose la donna. - Lascia che ti racconti la storia. - 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 1. Estate 1993 ***


Ciao a tutti. Prima di lasciarvi al primo capitolo volevo fare qualche premessa: questa è la prima volta che scrivo in assoluto, non so neanche se ne sono capace o se vale la pena continuare, quindi sarebbe bello sapere cosa ne pensate o se ci sono cose da migliorare, quindi che ne dite di lasciare qualche recensione? 

Per adesso, buona lettura. 

Jamie Sand


Capitolo 1. 

 

La donna al suo fianco era rigida e fredda. Teneva gli occhi, rivolti verso il soffitto pieno di muffa, fissi e vuoti, su un viso teso. Le labbra erano schiuse e blu, contorte in una smorfia. Probabilmente aveva sofferto, ma la bambina non ci pensò. Pensava invece al fatto che aveva fame. Si guardò intorno; si trovava in cucina, seduta accanto al corpo della donna, che se ne stava stesa tra il tavolo e la sedia con una siringa infilata nel suo braccio sinistro. 

La bambina si sdraiò accanto a lei e la fissò. Aveva i capelli biondi, sparsi sul pavimento come una sorta di aureola, il viso era pallido, gli occhi fissi erano chiari. Non somigliava a sua madre, ma non sapeva nemmeno se somigliasse a suo padre, dato che non lo aveva conosciuto. Si afferrò una ciocca di capelli e la guardò: i suoi erano scuri, crespi e rovinati, le ricadevano sulle spalle in modo disordinato. 

Aveva consumato tutto il cibo che c’era in dispensa e ora, che era già passata più di una settimana e il corpo di sua madre cominciava a marcire lentamente, cominciava a credere che non sarebbe arrivato nessuno ad aiutarla, che sarebbe morta di fame proprio lì, in casa sua, accanto al cadavere della sua mamma. No, non sarebbe arrivato nessuno. 

Si alzò in piedi e barcollò verso la porta. Aveva solo sette anni, ma le era già capitato di uscire da sola, sua madre diceva sempre che era una bambina indipendente. Mise una mano sulla maniglia, ritrovandosi nel giardino per nulla curato di casa sua; in strada non c’era anima viva e il sole aveva preso a brillare nel cielo solo da pochi minuti. Era spuntata l’alba e… 

La ragazza aprì gli occhi all’improvviso e di scatto, come se qualcuno le avesse suonato una tromba nell’orecchio. Si trovava nella stessa casa del sogno, ma era in camera sua, nel suo letto e le pareti non erano più piene di muffa, ma ricoperte di tele dipinte mentre, a terra, tantissimi fogli spiegazzati, colori e pennelli rendevano la stanza molto caotica. Si mise seduta e guardò fuori dalla finestra. Il peggior temporale estivo che avesse mai visto era terminato, ma il vento danzava ancora nell’oscurità della notte, spazzando via le nuvole e mostrando di nuovo il cielo trapunto di stelle e illuminato da uno spicchio di luna. C’era silenzio, sia dentro che fuori quella casa. 

Non aveva mai avuto paura di dormire da sola ma, per un millesimo di secondo, una strana sensazione la prese. Aveva l’impressione che ci fosse qualcuno o qualcosa intento ad aggirarsi tra quelle stante. Uscì silenziosamente dal letto e poi dalla sua camera, ritrovandosi nel bel mezzo del corridoio buio. Guardò a destra e poi a sinistra: dalla cucina proveniva della luce e dei rumori, come se qualcuno stesse frugando in dispensa o nel frigorifero. Prese un respiro profondo e iniziò a camminare lentamente verso quella direzione, il cuore in gola e pronta a fuggire da quella casa più velocemente possibile, finché non raggiunse la soglia. Nascosta tra lo stipite e il muro, si sporse per dare un’occhiata: un uomo vestito di stracci e zuppo di pioggia stava mangiando gli avanzi della sua cena come se non toccasse cibo da un secolo. Era magro, i capelli erano lunghi e neri e sporchi, la sua pelle era pallida e gli occhi infossati. Secondo la ragazza, se i vampiri fossero esistiti sarebbe stato proprio quello l'aspetto che avrebbero avuto. 

Ma non fu il suo aspetto a colpirla, bensì fu la sua espressione, il modo in cui si muoveva, cose se fosse un animale ferito e confuso, come se non capisse realmente dove si trovasse. Sentì nascere nel suo cuore qualcosa di strano, una sorta di compassione; poi prese coraggio e fece un passo in avanti entrando in cucina, ma l’uomo sembrò non notarla. Lo vide prendere l’ultima coscia di pollo e solo allora si voltò verso di lei, sussultando. - Chi sei? - Tuonò, con la voce roca di chi non parlava da un po’. 

Lei sgranò gli occhi e spalancò la bocca. - Chi sono io? Chi sei tu, casomai. Questa è casa mia! - Esclamò, immobile ma meno impaurita di quanto si aspettasse. 

- Io pensavo che fosse vuota… - Disse l’uomo, riponendo la coscia di pollo tutta mangiucchiata di nuovo sul piatto che teneva nell’altra mano. - Scusami. Scusa se ti ho spaventata, non voglio farti del male, te lo assicuro. Me ne vado, non chiamare nessuno…  - 

Lei aggrottò la fronte, guardandolo sorpresa. Anche lei, in passato, aveva avuto così tanta fame da sentire la voglia di intrufolarsi in case altrui in piena notte. - Hai fame? - Gli chiese, facendo un passo nella sua direzione. - Ho fatto dei cupcake, se ti vanno. Vuoi del tea? Così ti scaldi. - 

L’uomo sussultò di meraviglia. Non si ricordava nemmeno l’ultima volta che una persona sconosciuta si fosse rivolta a lui con così tanta gentilezza. - Sì, grazie. - Rispose. 

La guardò raggiungere i fornelli, prendere la teiera e due tazze dalla credenza e poi accendere il gas. Era piuttosto giovane, forse una ventina d’anni, indossava un pigiama estivo dall’aria dismessa, perfettamente in tinta con la casa, talmente vecchia e rovinata da sembrare disabitata. Aveva i capelli castani, mossi, che le arrivavano oltre le spalle e, quando si voltò di nuovo nella sua direzione, lui notò dei profondi occhi scurissimi, quasi neri, un colore disarmante che non aveva mai visto prima. Pensò che fosse carina, ma forse erano i suoi modi a renderla tale. Si muoveva con grazia, il suo viso era rilassato e la sua voce trasmetteva tranquillità.

- Allora… chi sei? - Gli domandò lei, mentre aspettava che l’acqua bollisse. - Come ti chiami? - 

Lui esitò. Era fuggito da Azkaban da meno di un giorno; aveva nuotato nel gelido Mare del Nord ed era approdato sulla riva poco distante da quella casa. Non aveva ancora avuto il modo di leggere un giornale, ma era sicuro che tutto il paese lo stesse cercando. Eppure quella ragazzina non sembrava spaventata, piuttosto gli lanciava sguardi pieni di pietà, come se si trovasse davanti ad un cucciolo spaventato e malconcio. - Mi chiamo Sirius. - Disse alla fine, pentendosene. 

Lei sorrise. - Come la stella! - Esclamò. - I tuoi genitori dovevano volerti davvero tanto bene se ti hanno dato il nome della stella più luminosa del cielo notturno. - 

Anche Sirius sorrise, o almeno ci provò. - No, è che dovevano solo tramandarlo. - Rispose, scrollando le spalla. - E tu come ti chiami? - 

- Hazel. Hazel Rains. - Disse, concentrata a versare il tea nelle due tazze, prima di afferrare due cupcake al cioccolato. - Puoi sederti se vuoi, non avere paura. - Aggiunse, indicando il tavolo. 

Sirius obbedì e poi anche lei lo raggiunse su una delle sedie che circondavano il traballante tavolo di truciolato ricoperto da una tovaglia un po’ rattoppata.

- Il tuo accento… sei scozzese? Siamo in scozia? - Le chiese lui, con urgenza. 

Lei gli mise la tazza e il cupcake davanti, prendendosi tutto il tempo necessario prima di annuire. 

- Dove, precisamente? - Domandò lui, azzannando come un cane quel dolcetto. 

- Circa trenta chilometri da Aberdeen. - Rispose Hazel. - Da dove vieni? Dove stai andando? - 

Sirius pensò di nuovo di mentire, ma poi le parole gli uscirono dalla bocca prima che potesse fermarle. Era troppo tempo che non parlava con un altro essere umano. - Sono di Londra e no, non mi sono perso, devo solo andare a nord, molto a nord. - Disse, nervoso.  

Lei sogghignò. - Sembra l’inizio di un romanzo sul viaggio piuttosto scadente; immagina: uomo inglese di mezza età lascia il suo tranquillo posto fisso e parte per le Highlands della selvaggia Scozia per ritrovare se stesso. - Disse, con aria sognante, facendo un gesto teatrale con le mani. 

Lui aggrottò la fronte. - Mezza età? - Fece, con sdegno. - Non ho nemmeno trentacinque anni. - 

Hazel scrollò le spalle. - Ma che ci vai a fare a nord? Non c’è niente lì. - Rimbeccò. 

- Devo vedere un amico. - Buttò lì Sirius. 

Ci fu un lungo attimo di silenzio nel quale Sirius si prese altro tempo per osservare la ragazza, che invece teneva gli occhi sul cupcake che teneva in mano, come se ci vedesse qualcosa di molto interessante. Proprio come la casa, anche lei era piuttosto particolare: aveva le mani piccole e sporche di pittura, non sembrava una di quelle ragazze che perdeva molto del suo tempo davanti allo specchio, anzi, era sicuro che non si specchiasse quasi mai, altrimenti si sarebbe resa conto di avere della pittura anche sulla fronte. Forse era un’artista o magari una maestra di asilo, comunque era certo che avesse molto a che fare con i colori e i pennelli. 

Sembrava così ingenua, ma lui non riusciva proprio a stare tranquillo. Se ne stava lì, seduto su quella sedia, teso come una corda di violino, pronto a scappare più lontano possibile.

- Hai ancora fame? - Gli chiese lei, riscuotendolo dai suoi pensieri. 

Lui si affrettò a scuotere la testa. - Sei davvero gentile, ti ringrazio. - Disse, sorpreso. - Grazie, davvero. Solo che adesso devo andare. -

- Oh… va bene. - Rispose Hazel, un po’ dispiaciuta. - Però la prossima volta che hai fame magari non entrare di soppiatto, altrimenti mi prende un colpo. Piuttosto suona il campanello. - 

Sirius si lasciò sfuggire un sorriso. - Va bene. -  Disse. - Scusa ancora se ti ho spaventata. - 

- Figurati, anzi. Ho una vita così noiosa che trovarti nella mia cucina ha rappresentato la cosa più emozionante che mi sia successa negli ultimi dieci anni. - Rispose lei, ridendo. 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 2. Accoglienza scozzese ***


Capitolo 2

 

Passò un’intera settimana senza che Sirius Black si azzardasse ad avvicinarsi di nuovo a quella casa, rimanendo ben nascosto in una grotta non troppo lontana da lì, cercando di riprendersi almeno un po’ prima di affrontare quel lungo viaggio. Mangiava quel che trovava nei cassonetti e, ogni tanto, sotto forma di cane, raggiungeva il paese, dove si lasciava accarezzare e spesso beccava anche qualche prelibato avanzo, prima di tornare indietro. Spesso, quando ci passava davanti, lanciava occhiate furtive al basso cancelletto sgangherato che delimitava il giardino attorno al cottage in cui viveva quella strana ragazzina. La osservò da lontano per sette giorni e ci mise pochissimo ad imparare la sua routine: la mattina, Hazel si alzava presto, andava a correre sulla spiaggia poco distante e poi usciva di nuovo di casa, raggiungendo il centro abitato a circa due o tre chilometri da casa sua con la bicicletta. Lavorava nell’unica libreria del circondario e Sirius aveva l’impressione che le piacesse ma che non fosse il suo sogno. 

Come sospettava, infatti, Hazel era una artista: spesso, nel fine settimana, dipingeva in giardino, altre volte, invece, la vedeva disegnare sulla spiaggia o sul bordo di altissime scogliere scoscese. 

Non sembrava avere molti amici ma, ogni tanto, soprattutto di sera, un ragazzo la andava a trovare. Si chiamava Derek, capelli biondi che gli arrivavano alle spalle, si trascinava dietro un’aria irritante da bello e  dannato. Hazel ci passava una o due ore alla settimana, una sorta di appuntamento fisso nel quale si dimenticava di se stessa, per poi rimanere a fissare il cielo dalla finestra di camera sua con una sigaretta accesa tra le labbra, per quasi tutta la notte. 

Quella sera, quando ormai Derek se ne era andato da un po’, Felpato la stava spiando fumare come al solito, questa volta sotto il portico, con un grosso libro aperto sulle ginocchia. Lo stava leggendo piena di concentrazione, indossando una maglietta a maniche corte più grande rispetto alla sua taglia, infilata dentro a dei cortissimi pantaloncini che probabilmente aveva ricavato da un paio di vecchi jeans. Sirius tornò se stesso e la osservò, al di là del cancello, come in attesa che lei lo notasse. Ma non accadde. Rimase dunque immobile a fissarla per almeno altri cinque minuti, finché la ragazza non alzò lo sguardo dal libro, sussultando alla sua vista. 

- Sei così inquietante! - Esclamò, per poi scoppiare a ridere, chiudendo il tomo. - Puoi entrare. - 

Come era possibile che lei non lo avesse riconosciuto? Sirius se lo chiese, pronto a lanciarle un incantesimo di memoria con la bacchetta che aveva rubato ad un mago solo qualche giorno prima, ma poi però aprì il cancello, che cigolò, ritrovandosi nel giardino piuttosto trascurato. Attraversò il vialetto, raggiungendola sotto il portico. - Ciao. - Le disse. 

Hazel sorrise, spense la sigaretta premendola su un posacenere e poi si alzò in piedi. - Pensavo che non saresti più tornato, ti immaginavo già nelle Highlands a vivere a stretto contatto con la natura, cacciando cervi o cose così. - Disse, aprendo la porta di casa. 

Sirius non sapeva perché fosse di nuovo lì, ma la seguì dentro, fino alla cucina dove, sul tavolo ancora apparecchiato, c’erano i resti di quella che sembrava una torta di compleanno con tanto di candeline che segnavano il numero venti. - Hai compiuto vent’anni? - Le chiese. 

Lei annuì, sedendosi su una delle sedie. - Fare il compleanno in estate è uno schifo totale. Quando ero piccola nessuno veniva alle mie feste. - Raccontò, afferrando una forchetta e infilzando la torta, portandosela poi alla bocca. - Mangia, è buona, l’ha portata uno che conosco; i suoi genitori hanno una pasticceria, ci lavora anche lui, anche se vorrebbe fare il musicista. Suona la batteria. - 

- È il tuo fidanzato? - Domandò Sirius.

Hazel lo guardò scandalizzata. - No, è solo una sorta di passatempo, non ho tempo per le relazioni vere e proprie. - Rispose, facendo un gesto sconclusionato. 

Sirius, con una forchetta in mano, aveva intanto assaggiato la torta, sentenziando che davvero era buona, forse la cosa migliore che avesse mai mangiato, o magari lo era perché aveva passato l’ultima settimana a mangiare topi e gabbiani. Tornò a guardarla, pensando che anche lui, alla sua età, avrebbe risposto in quel modo alle domande sulla sua vita sentimentale. 

- E i tuoi genitori dove sono? - Le chiese poi, continuando a mangiare la torta. 

Sul viso di lei apparve una piega. - Mia madre è morta molti anni fa, avevo sette anni, mio padre, invece, non l’ho mai conosciuto. - Disse, alla svelta. - E tu, hai una famiglia? Sei sposato? - 

Sirius scosse la testa. - Credo che anche mia madre sia morta, ormai. - Disse, senza inflessione. 

- Mi dispiace. - Rispose Hazel, alzandosi in piedi e raggiungendo i fornelli. - Tea? - 

Sirius annuì. - A me non dispiace affatto, in realtà. - Ribatté, a costo di sembrare senza cuore. 

- Era una stronza? - Domandò la ragazza, riempiendo la teiera e mettendola sul fuoco. 

- Stronza è un eufemismo, ma sì. Lo era. - Rispose l’uomo. - E la tua, com’era? - 

Hazel si sedette di nuovo di fronte a lui, le mani incastrate una nell’altra. - Anche la mia era stronza. Era una tossica, quindi non lo faceva apposta, ma la odiavo. - Raccontò. 

- Una tossica? - Chiese lui, che non aveva idea di cosa volesse dire. 

- Sì, una drogata. È morta qui, con un ago nel braccio, una scena piuttosto pietosa. - Spiegò, come se nulla fosse, scrollando le spalle e con il viso rilassato. - Ma dimmi della tua famiglia. - 

Sirius ci pensò su, cercando di tradurre la storia della famiglia Black in termini babbani. - La mia famiglia era una banda di fanatici fascisti che si accoppiavano tra di loro per mantenere una qualche purezza. Mio padre è morto quando ero un adolescente, mio fratello è stato ucciso da uno come lui e mia madre, come ti ho detto, credo che abbia tirato le cuoia. - Raccontò. 

Lei alzò un sopracciglio, piuttosto sorpresa dal suo racconto. - Wow, fascisti che si accoppiano tra di loro, ora capisco perché sei ridotto così, senza offesa, eh, ma credo solo che tu abbia bisogno di una ripulita. - Disse, prima che la teiera sul fuoco fischiasse. Hazel si alzò da tavola, versando il tea in due tazze, per poi tornare indietro, mettendone una davanti all’uomo. - Puoi usare il mio bagno, se vuoi. Ho anche dei vestiti da uomo da qualche parte, erano di uno dei fidanzati di mia madre. Non saranno alla moda, ma sempre meglio di quella cosa che hai addosso. - 

Lui aggrottò la fronte, le mani ben strette attorno alla tazza bollente. Sapeva di non essere al massimo dello splendore ma, almeno fino a quel momento, avere un bell’aspetto e un buon odore non era stato tra le sue priorità. - Ma perché sei così gentile con me? - Domandò, quasi rimproverandola. 

Hazel trasalì. - Mi sembri in difficoltà, ecco perché. Penso che sia il minimo. - Rispose. 

- Sì, ma… perché? Non ci conosciamo nemmeno e io potrei essere una persona pericolosa e farti del male, ma mi stai offrendo massima ospitalità. - Ribatté lui. 

Lei alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa. - Se fosse così lo avresti già fatto. - Disse. 

Sirius sbuffò. - È una cosa che fai con tutti quelli che bussano alla tua porta? - Chiese. 

- In realtà è la prima volta che mi capita una cosa del genere, ma sì, è ovvio che lo farei per chiunque. - Rispose Hazel. - Non so cosa ti sia successo, ma puoi fidarti, qui sei al sicuro. Puoi rimanere quanto vuoi, riprenderti e poi partire per andare dove devi andare. Tanto io non sto quasi mai in casa e, quando ci sto, mi sento un sacco sola. Mi fa piacere avere un po’ di compagnia. -  

Lui esitò. Non poteva crederci di aver trovato una persona così, dopo tutti quegli anni di abusi e tristezza. Sentì i suoi occhi pizzicare, ma si trattenne; non aveva mai pianto davanti a nessuno, anzi, forse non aveva mai pianto in vita sua, nemmeno quando James era morto, non poteva farlo davanti ad una sconosciuta. - G… grazie. - Fu tutto ciò che riuscì a dire, nascondendo il viso tra le mani. - Sul serio, non so come ringraziarti. - 

Lei si allungò nella sua direzione, mettendogli una mano su una spalla e lui sussultò, come se non fosse abituato ad essere toccato. - Lo so, l’accoglienza scozzese fa sempre commuovere voi inglesi. - Disse Hazel, smorzando un po’ la tensione e sorridendo. 

Fu quella la sera in cui Sirius Black tornò a sentirsi un essere umano. 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 3. Adoro la magia ***


Capitolo 3


Sirius si guardò allo specchio. Indossava una camicia a righe piuttosto larga e un paio di pantaloni scuri che Hazel aveva detto essere appartenuti ad uno dei tanti fidanzati di sua madre. Passò la mano sul vetro di nuovo appannato, ritrovandosi a fissare se stesso. Non si faceva una doccia da così tanto tempo che quasi aveva dimenticato la sensazione dell'acqua calda sulla sua pelle e l'odore del sapone. I suoi capelli, neri e lunghi, erano pettinati e gli ricadevano su quella faccia smunta e pallida che spesso non riusciva a riconoscere: le palpebre pesanti, le occhiaie profonde, le rughe e i segni di quella prigionia nascondevano il suo vero aspetto che, molti anni prima, qualcuno avrebbe definito affascinante.

Hazel aveva ragione: necessitava davvero di una bella ripulita e di rimettersi in sesto. 

Non sapeva perché gli importasse la sua opinione, alla fine non aveva idea di chi fosse, avevano parlato pochissimo ma, dopo tutti quegli anni di solitudine ad Azkaban, Sirius non poteva fare a meno di considerarla una sorta di… amica, forse l’unica che aveva al mondo. 

Comunque incontrarla era stata una vera fortuna, cosa che lui avrebbe sicuramente sfruttato.  

Quando l’uomo uscì dal bagno, la trovò mollemente accomodata su una grossa poltrona accanto al divano in soggiorno, tra le labbra una sigaretta accesa e in mano un blocchetto da disegno e una matita. Sirius la osservò silenziosamente sulla soglia della sala, anche quella arredata con mobili piuttosto datati. Non riusciva a capire cosa stesse disegnando, ma sembrava piuttosto concentrata: gli occhi erano più piccoli, quasi socchiusi, come per mettere a fuoco le linee che tracciava, il fumo saliva lento dalla cicca posata con nonchalance tra le sue labbra, era seduta in modo scomposto e disarmonico.  

Quando lo notò, dall’altro capo della stanza, gli rivolse uno dei suoi soliti sorrisi e lo invitò ad entrare. - Wow, sembri davvero un’altra persona adesso. - Disse, mentre lui si sedeva sul divano. 

Sirius non rispose, ma prese a guardarsi intorno con interesse. Davanti a loro c’era un camino spento, dal soffitto pendeva un lampadario ammaccato in ferro mentre, a terra, sotto il basso tavolino davanti al divano, era stato sistemato un grosso tappeto. Quel posto era tanto vecchio quanto accogliente, in qualche modo gli ricordò la Sala Comune dei Grifondoro ma sulle pareti non c’erano stendardi rossi e oro, ma diversi quadri dalle ambientazioni desolanti che sembravano appartenere quasi tutti allo stesso pittore. Uno attirò la sua attenzione più degli altri, rappresentava una donna bionda, sdraiata a terra con uno sguardo vacuo rivolto allo spettatore. 

- Non ti piacciono? - Gli chiese lei, curiosa. 

Lui esitò. - Non ci capisco niente di arte. - Avvertì. - Però sono strani. Un po’ inquietanti. - 

- Oh, bene. - Disse Hazel, lasciandosi sfuggire un sorriso compiaciuto. 

- Quindi sei una sorta di artista? - Chiese Sirius, come se non lo sapesse già. 

Hazel annuì con decisione. - Quando non lavoro cerco di tenere il passo con il college, studio storia dell’arte e ho una smisurata passione per la pittura e il disegno, ma non ho mai fatto una mostra mia, anche se mi piacerebbe. Magari un giorno esporrò al MoMa, chissà. Tu, invece? Cosa fai o facevi prima di arrivare qui? - 

Sirius ci pensò su. Non aveva mai avuto bisogno di lavorare, suo zio Alphard gli aveva lasciato abbastanza galeoni da permettergli una vita molto al di sopra delle sue aspettative. Pensò al suo lavoro per l’Ordine della Fenice e ad un modo per tradurlo in termini babbani. - Ero una sorta di… agente segreto che cercava e catturava persone molto cattive. - Tentò di dire, cauto, muovendo una mano a mezz’aria, tenendo d’occhio l’espressione di lei. 

Hazel soffocò una risatina, spense la sigaretta e chiuse l’album da disegno, posandolo a terra vicino al posacenere. - Dai, seriamente. - Disse, guardandolo divertita. 

Sirius sbuffò, alzando gli occhi al cielo. - Va bene, mi hai beccato. Ero… un insegnante. -  

- E di cosa? - Chiese Hazel, interessata. 

- Letteratura inglese. - Rispose lui, talmente deciso da sembrare credibile.

Gli occhi di lei si spalancarono dalla sorpresa. - Io adoro la letteratura. Lavoro in una libreria, sai? Così posso pagarmi il college. Dimmi, chi è il tuo scrittore inglese preferito? - 

Sirius fece un rapido ripasso di tutti i libri che Remus aveva letto in quei lunghi sette anni a Hogwarts. - Goethe. - Disse il primo nome che gli venne in mente, con fare agitato. 

- Lui era tedesco. - Ribatté Hazel, alzando un sopracciglio.  

- Allora… Melville. - 

Hazel lo guardò di sottecchi. - Lui era americano. - Disse. - Le cose sono due: o come insegnante sei pessimo o, semplicemente, non sei un insegnante. E se lo fossi avresti risposto Joyce. - 

Sirius ghignò. - Lui era irlandese però. - Rispose divertito. - Ma hai ragione, non sono un insegnante di letteratura inglese. Solo che non posso parlare molto di me, tutto qui. - 

Lei parve contrariata. - E dai, te l’ho detto che puoi fidarti di me! Alla fine sei qui, in casa mia, sul mio divano, con indosso questi orrendi vestiti in stile anni ‘80 del fidanzato di mia madre... sapere qualcosa di te mi sembra il minimo. - 

Il sorriso si spense sulle labbra di lui. Hazel aveva ragione, lei era l’unica persona che, negli ultimi dodici anni, si stava comportando con lui come se fosse un essere umano con pari dignità e lui le mentiva spudoratamente. - Hazel… non posso dirti chi sono o cosa faccio, quindi di capisco se non mi vuoi qui, davvero. - Le disse, serio. 

- Perché non puoi? - Domandò lei, sbuffando e incrociando le braccia sul petto. 

- Non mi crederesti. - Rispose Sirius. 

- Mettimi alla prova. - Ribatté Hazel, insistente. - Avanti. - 

Lui esitò. Aveva già parecchi guai con la giustizia, infrangere lo Statuto di Segretezza sicuramente era l’ultima cosa di cui aveva bisogno. Ma, d’altra parte, lui era pur sempre Sirius Black e seguire le regole gli era sempre costato una grande fatica. La guardò, era in attesa e lui si sentiva praticamente messo al muro. - Va bene, ma non ti spaventare. - Disse, prima di tirare fuori la bacchetta, sistemata in modo piuttosto scomodo dentro i suoi pantaloni. Gliela mostrò e, di fronte al suo sguardo perplesso, continuò a parlare. - Lo so che sembra assurdo ma… sono un mago e questa è la mia bacchetta. -  

Lei parve interessata. - Quindi anche tu sei un artista! Fai spettacoli nei teatri o sei più uno di quelli che si esibisce per strada e alle feste di compleanno dei bambini? - Chiese.  

Sirius aggrottò la fronte, sorpreso. - Credo che tu non abbia capito; io sono un mago vero, non un babbano che fa trucchetti di magia. - Spiegò, serio. 

Hazel scoppiò a ridere. - Cioè sei tipo mago Merlino? - Chiese divertita. 

- Più o meno. Lui era un Serpeverde, ha frequentato la mia scuola. - Sirius rispose alla domanda retorica con sicurezza. - Anche io farei fatica a crederci se fossi un babbano, una persona come te, qualcuno senza poteri magici. - 

Lei sembrava ancora divertita. - E quella cosa che hai in mano è la tua bacchetta? - Ripeté. 

Sirius annuì. - Esatto. Non è quella che ho comprato a undici anni, prima della scuola, ma l’ho trovata quando sono scappato via dal posto in cui ero. - Spiegò. 

- Ah certamente… - 

- E so anche trasformarmi in un cane. - Continuò Sirius. 

Hazel annuì, ridendo. - Questa è bella, davvero. Ne ho sentite di cose strane in vita mia, ma questa le batte tutte. Dovresti fare lo scrittore, sai? Guadagneresti un sacco di soldi. - 

Sirius sbuffò, posò la bacchetta sul divano al suo fianco e si alzò in piedi. - Vuoi una dimostrazione, immagino. - Disse, stizzito. - Va bene, è ciò che avrai. - 

Un lampo di luce accecante apparve, costringendo la ragazza a coprirsi gli occhi con l'avambraccio e facendola sussultare. Li tenne serrati anche quando la luce fu scomparsa. Quando li riaprì ci mise un po' a capire cosa fosse accaduto. Dove poco prima c’era quello strano uomo, adesso un cane la guardava scodinzolando. Era grosso e nero, il pelo arruffato e gli occhi grigi come quelli di Sirius. Ci fu un altro lampo di luce e poi l’uomo riapparve, proprio al posto del cane, lasciandola senza parole. 

Hazel, a bocca aperta, aveva totalmente cambiato espressione e adesso lo guardava con gli occhi sgranati. - Non ci posso credere. - Disse, a bassa voce. - Sto impazzendo? Non ci posso credere. Non è possibile! - 

- Invece è possibile. - Rispose lui, sorridendole e sedendosi di nuovo sul divano. 

- E perché sei un mago? Come funziona? Lo hai imparato da qualche parte? - Chiese Hazel.

Sirius scosse la testa. - Sono nato così, di solito è una cosa che si eredita dai propri genitori, ma non sempre. Capita spesso che da due babbani possa nascere un mago o un strega. - Spiegò, allegro. - La moglie del mio migliore amico era una nata babbana ed era anche una delle streghe più in gamba che io abbia mai conosciuto. Un vero genio in pozioni, a contrario di me. - 

- Fammi vedere qualcos’altro! - Esclamò Hazel, il viso acceso dall’eccitazione. 

Lui sogghignò divertito, poi afferrò la bacchetta e ci pensò su. Doveva essere qualcosa di bello da vedere, voleva stupirla a tutti i costi, ma dopotutto era una babbana, quindi era probabile che sarebbe rimasta a bocca aperta anche davanti ad un incantesimo da primo anno. Sirius, che aveva un po’ perso l’allenamento in quegli ultimi dodici anni, pensò che forse era il caso di non strafare. - Passami il tuo blocco da disegno. - Le disse dunque. 

Hazel obbedì senza alcuna protesta. Lo guardò mentre lo apriva e strappava un foglio, per poi poggiarlo sul basso tavolino davanti al divano. L’uomo mosse la bacchetta con un movimento circolare bisbigliando qualcosa e, all’improvviso, il foglio prese vita trasformandosi in una rana di carta animata, che saltò sulle gambe di lei. 

- Assurdo! - Urlò la ragazza, guardando l’uomo con occhi spalancati e con un grosso sorriso che le illuminava il volto. - Non ci credo, è davvero… davvero pazzesco! - 

La rana di carta saltellò via fin fuori alla stanza e Sirius sentì il suo ego assopito risvegliarsi da quel lungo sonno. - Be’, è un incantesimo piuttosto semplice, lo insegnano durante il primo anno a Hogwarts, la scuola di magia migliore al mondo. - Disse, fingendo modestia. 

- Quindi avete una scuola in cui imparate a fare gli incantesimi? - Domandò Hazel. 

Sirius annuì. - Sì, ma impariamo anche a fare pozioni, a tradurre dal runico, a volare… ci sono tantissime materie, una di queste è babbanologia; è un corso a scelta ma io lo seguivo solo per il gusto di infastidire i miei genitori. - Raccontò nostalgico. - A loro non piacevano i babbani. - 

- E cosa si studia a babbanologia? - Chiese lei, curiosa. 

- Tutto ciò che riguarda il vostro mondo, le vostre tradizioni. La mia cosa preferita erano i vostri mezzi di trasporto, una volta ho anche comprato una moto, solo che la mia volava. E poi voi avete l’elettricità e il telefono! Adoro il telefono. - Rispose lui, sognante. 

- Io ne ho uno. - Disse Hazel. - Vuoi fare una telefonata? - 

Lui sgranò gli occhi e annuì. - Ma a chi? Non conosco nessuno che abbia un telefono. - 

Hazel alzò le spalle. - Possiamo chiamare la pizzeria del paese e farci portare qualcosa, ma forse adesso è un po’ tardi. - Disse Hazel, pensierosa. - Che ne dici di domani sera? Possiamo mangiare la pizza e guardare qualcosa in tv, sai cos’è una tv? - 

Sirius annuì svelto. - Certo, quella scatola con i film dentro. È come il cinema, ma più piccolo. - 

- Esatto, ma non ci sono solo i film, ci sono anche i programmi di varietà e le partite di calcio… a proposito, proprio domani sera ci sarà Scozia-Portogallo, per la qualificazione al mondiale del prossimo anno! A te piace il calcio? - 

- Noi maghi abbiamo il quidditch. - Rispose Sirius. - Si gioca volando sui manici di scopa. - 

Hazel sospirò sognante. - Adoro la magia. - 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 4. Una botta di verità ***



Grazie a chi ha messo la storia tal e seguite e preferite, ma che ne dite di farmi sapere cosa ne pensate della storia? Ne avrei davvero bisogno.
 

Capitolo 4

 

Hazel gli aveva ceduto la sua stanza e lei si era trasferita in quella che era appartenuta a sua madre, proprio accanto lì accanto. Dormire su un letto vero dopo tutto quel tempo, era stato per Sirius Black una vera e propria cura. Crollò nel sonno non appena la sua testa toccò il cuscino e, per la prima volta dopo dodici anni, nessun incubo disturbò il suo riposo. La mattina dopo venne svegliato da un fastidioso raggio di sole che era riuscito ad oltrepassare le tende, finendo proprio sulla sua faccia, ma non ne fu infastidito. Aprì gli occhi, guardandosi intorno e ascoltando il silenzio, probabilmente in casa non c’era nessuno. 

La camera da letto di Hazel era il posto più disordinato che Sirius avesse mai visto e gli ricordava quasi il dormitorio maschile di Grifondoro che divideva con i suoi amici: il pavimento era disseminato di colori, pennelli e fogli scarabocchiati, la scrivania era affollata di libri e, sulla sedia, c’era una montagna di vestiti accatastati uno sull’altro. Sulle pareti erano stati appesi alcuni quadri dallo stile inconfondibilmente inquietante, proprio come quelli del piano di sotto. 

Sul comodino, invece, c’era un quaderno rilegato in pelle con dentro una matita e un libro che si intitolava “l'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica”. Sirius lo afferrò e lo aprì, leggendo le prime righe, per poi chiuderlo alla fine della prima pagina, senza capire una parola. Che Hazel avesse gusti strani si poteva intendere dalla quantità di libri su De Chirico che aveva in libreria e da tutti quei dischi jazz che se ne stavano accatastati sotto il giradischi in soggiorno, affianco a quelli dei Nirvana. In un certo senso, quella ragazzina gli ricordava un po’ Remus, forse per quella sua strana aria da secchiona, e questo fece sentire Sirius un po’ a disagio dato che la trovava parecchio attraente. Ma lui cercò di non farci caso, dopotutto era appena uscito di prigione dopo dodici anni, probabilmente avrebbe trovato attraente anche Lumacorno se solo avesse avuto un paio di tette. 

Sirius passò gran parte della giornata a far nulla, lusso che non si concedeva da molto tempo, sfogliando i libri di lei e usando tutti i suoi apparecchi babbani. Il suo preferito era la lavatrice, seconda solo alla televisione, che però conosceva già e che non era riuscito ad accendere.  

Poco prima del tramonto, lei tornò a casa. Lo salutò come se avesse sempre vissuto lì e poi insieme chiamarono la pizzeria per ordinare la cena. - Devo dire che te la sei cavata proprio bene. - Disse Hazel, quando lui attaccò il telefono. - Saresti un perfetto babbano. -  

Sirius sorrise. - Te l’ho detto che ero bravo in babbanologia. - Rispose. 

Cenarono guardando l'incontro tra Scozia e Portogallo, e Sirius si divertì, anche se non aveva mai visto una partita di calcio in vita sua, anche se non aveva capito esattamente come si giocasse. 

- Dai, è facile: bisogna buttare la palla nella porta avversaria, tutto qui! - Disse lei, a fine partita. 

- Sì, ma poi c’è il fuorigioco e quell’infinità di regole. - Ribatté Sirius. 

Hazel alzò gli occhi al cielo, ma sorrise divertita. Pensò ad un modo semplice per spiegarglielo ma, poco prima di parlare, una voce in televisione attirò la sua attenzione: - Il noto terrorista Sirius Black è stato avvistato nei dintorni di Aberdeen, chiunque lo vedesse è pregato di chiamare il numero speciale in sovraimpressione. - Stava dicendo la giornalista. 

Hazel si voltò verso l’apparecchio e, proprio sullo schermo, c’era la foto segnaletica dell’uomo che le sedeva accanto. La ragazza si pietrificò e in tutta la casa la temperatura sembrò abbassarsi di colpo. Si voltò lentamente verso di lui, che la guardava con apprensione. - Io non capisco… - Balbettò la ragazza, con il cuore che le correva forte nel petto. - Quello sei tu, sei proprio tu. Vuoi uccidermi? - 

- No, ascolta… posso spiegarti. - Disse lui, con la voce piena di urgenza. - Non avere paura. - 

Ma Hazel si alzò di scatto, allontanandosi dal divano. - Non dirò a nessuno che sei stato qui, ma ti prego, non farmi del male! - Esclamò, con gli occhi pieni di lacrime. 

Anche Sirius si alzò, cercando di avvicinarsi a lei, cauto. - Non potrei mai farti del male. Non ho mai ucciso nessuno, non è vero che sono un terrorista. - Le disse. - Ti spiegherò tutto ma, per favore, non avere paura. L’hai detto tu che se avessi voluto farti del male l’avrei già fatto. Stanotte ho dormito nella stanza accanto alla tua, avrei potuto fare qualsiasi cosa, per non parlare del fatto che è una settima che ti guardo da lontano. - 

Hazel rabbrividì, spalancando gli occhi. - Quindi sei un maniaco, è per questo che tutti ti cercano! Un maniaco e un assassino! - Esclamò indignata. 

- Va bene, so che quello che ho detto potrebbe sembrare ambiguo ma… - 

- Ambiguo? - Gridò lei, facendo una risatina nervosa. - Tu spii una ragazzina che ha la metà dei tuoi anni e lo consideri ambiguo? È una cosa da maniaci e da pervertiti! -  

- Prima di tutto non hai la metà dei miei anni, abbiamo solo quattordici anni di differenz… - 

- Non è questo il punto! - Lo interruppe Hazel, ormai quasi fuori di sé. - Ti prego, non farmi niente, vattene via e nessuno saprà che sei stato qui, te lo prometto! Ma non farmi del male! -  

- Ti ripeto che non voglio farti del male e che non sono l’assassino che tutti credono, quindi non ti ucciderò, stai tranquilla. - Disse Sirius, avvicinandosi a lei con le mani alzate e tremanti e uno sguardo folle. - Ma non posso andarmene così, tu sai dove sto andando, sai troppo. -  

L’uomo si mosse di scatto afferrando la bacchetta e fu quello il momento in cui Hazel gli saltò addosso gridando, stringendo una mano attorno al suo polso ossuto e deviando un lampo di luce, mentre l’altra lo colpì in pieno viso con un pugno ben assestato. Caddero entrambi e dalla bacchetta di Sirius partì un getto di scintille che mancò di poco la faccia di Hazel, che continuava a colpirlo furiosa ovunque le capitasse. Ma poi lui la sovrastò, spingendola contro il pavimento, la bacchetta puntata davanti ai suoi occhi. - Mi hai stancato. - Sibilò, tremante e con un po’ di sangue che gli usciva dal naso, il fiato corto.  

Stava quasi per pronunciare qualcosa, quando Hazel prese ad urlare e scalciare, liberandosi dal peso di lui e lanciandogli un calcio molto forte che lo fece gemere di dolore. Si alzò, l’adrenalina che scorreva a fiumi nelle sue vene, prese a correre verso l’uscita in preda alla più totale disperazione. Aveva quasi raggiunto il cancello quando, alle sue spalle, sentì Sirius gridare un incantesimo e tutto si fece improvvisamente buio.   

 

La ragazza aprì gli occhi, ma ci mise qualche attimo per mettere a fuoco. Sopra di lei il soffitto era bianco e acceso da un caldo raggio di sole che illuminava per bene la stanza. Si trovava in camera sua, sdraiata sul suo letto, con le mani legate sopra la sua testa, ben salde alla spalliera di ferro. Hazel, presa dal panico, cercò di liberarsi con uno strattone, mentre tutti i ricordi della sera prima le tornavano in mente, facendole scoppiare la testa e rendendo i suoi occhi umidi. Non poteva crederci, aveva fatto entrare un assassino in casa sua, l’aveva nutrito e gli aveva offerto riparo e lui, in tutta risposta, l’aveva praticamente rapita.  

Si guardò intorno, alla ricerca di un modo per liberarsi e scappare via di lì, per correre dritta dritta ad avvertire la polizia. Cercò di tirarsi su senza riuscirci, con il dolore alla testa che peggiorava ad ogni brusco movimento. Era la fine, Sirius Black l’avrebbe uccisa e chissà cos’altro. Si lasciò sfuggire un singhiozzo di disperazione e, proprio in quel momento, l’uomo apparve sulla soglia, guardandola rilassato. Aveva dei graffi sul viso e uno zigomo timefatto, ma sembrava stare più che bene e sorrideva beffardo. - Sei sveglia, finalmente. - Le disse con tranquillità. 

- Brutto stronzo, liberami subito! - Gridò lei furente, scalciando nel letto. 

Sirius sospirò, alzando gli occhi al cielo. - È inutile che ti agiti così; sei legata con la magia, non puoi liberarti in nessun modo. - Spiegò, appoggiandosi allo stipite della porta. 

- Va’ a farti fottere! - Urlò Hazel, continuando a muoversi furiosamente. - Prima o poi qualcuno verrà a cercarmi, ti troverà qui e tu finirai di nuovo in carcere come ti meriti! Ti odio! - 

Lui non fece una piega. - Hai finito, Hazel? - Chiese, sbuffando. - Non ho nessuna intenzione di farmi trovare qui. Potrei farti un incantesimo di memoria anche adesso, ma credimi se ti dico che sono molto fuori allenamento; quindi tu adesso mi starai a sentire. Ti racconterò tutto, so che tu mi crederai e io mi risparmierò la responsabilità di cancellarti la memoria. - 

- Non voglio sentire un bel niente! - Sbottò lei. - Sei pazzo, un maniaco perverso e pazzo! - 

- Sì, sì, come ti pare, ragazzina… - Borbottò Sirius, tirando fuori la bacchetta. - Se preferisci rischiare con l’incantesimo di memoria a me sta bene, rendi tutto più facile. - 

Hazel tremò. - No, aspetta… va bene, aspetta! - Esclamò, scoppiando in lacrime. - Puoi liberarmi mentre mi racconti tutto? Per favore. Farò la brava, te lo prometto. - 

Sirius ci pensò su, poi sospirò e si avvicinò a lei. La guardò per bene; sembrava così piccola, così indifesa, probabilmente l’aveva traumatizzata per sempre, eppure rimaneva tenace. Hazel era ferocemente attaccata alla vita e la ammirava per questo. Sirius fece un altro sospiro e poi la slegò, tornando subito a puntarle la bacchetta contro. - Un solo passo falso, Hazel… e giuro che stavolta non sarà solo uno schiantesimo. - La avvertì, guardandola di sottecchi. 

Le raccontò tutto, partendo dall’inizio. Le raccontò della sua famiglia, degli anni ad Hogwarts, dei suoi migliori amici, del piccolo problema peloso di Remus. Le raccontò con grande nostalgia il giorno del matrimonio di Lily e James, la nascita dell’Ordine della Fenice e di Harry; parlò fino a raccontare di quella terribile notte di Halloween del 1981. E poi arrivò il momento di parlare di Azkaban, dei dissennatori, di Peter Minus e della sua assurda fuga da quell’inferno. Hazel lo ascoltò in silenzio, accogliendo quel fiume in piena di parole e fu quando Sirius terminò di parlare che la ragazza si rese conto che gli credeva e di non avere più paura di lui. 

- Quindi c’è un mago cattivissimo che ha ucciso Lily e James perché qualcuno gli ha rivelato una profezia. - Disse Hazel facendo il punto della situazione. - E tutto il mondo pensa che tu li abbia traditi vendendoli a questo Lord Voldemort causando dunque la loro morte. E hai passato dodici anni in quel carcere perseguitato da questi dissennati che ti risucchiano tutti i pensieri positivi, nonostante tu sia innocente. - 

- Dissennatori, sì. - La corresse lui, che camminava avanti e indietro ai piedi del letto su cui lei era seduta, pieno di angoscia e nervosismo. - Quindi mi credi? - 

- E ora che sei scappato vuoi tornare a Hogwarts per far fuori Peter Minus… - Hazel continuò a parlottare tra sé e sé, ignorando la domanda dell’uomo, prima di alzare lo sguardo su di lui. - È per questo che hai quel numero tatuato sul collo? Te l’hanno fatto ad Azkaban? - 

Lui si portò una mano sul punto indicato dalla ragazza e annuì, senza dire niente. 

- Mi dispiace davvero per quello che hai dovuto sopportare. - Disse Hazel, serissima. - Ma… te ne saresti andato di qui senza dire niente, è così? - Gli chiese poi, indignata. 

Lui tergiversò e poi si lasciò cadere al suo fianco con un sospiro. - Sì, è quello che avevo intenzione di fare tra qualche giorno. - Ammise. 

- Te ne saresti andato davvero senza nemmeno salutarmi? - Domandò ancora lei, tristemente. 

Sirius annuì, corrucciato. - Sì. Tu sei stata così buona con me, sei l’unica amica che ho al  mondo, sarebbe stato troppo difficile dirti addio, Hazel. - Rispose. 

- Già, forse hai ragione. - Disse Hazel, ma la voce le uscì piena di gelo. - Quando te ne andrai? Dovresti portare con te delle scorte di cibo e delle coperte e dei vestiti pesanti. - 

Sirius si mosse sul letto come se fosse diventato il posto più scomodo del mondo. - Puoi smettere di essere così gentile con me solo per un secondo? - Sbottò, irritato. - Sono entrato in casa tua in piena notte svuotando il tuo frigorifero, ti ho schiantata e poi hai passato un'intera notte legata ad un letto, ma ti ostini a trattarmi così. Non capisco se sei solo ingenua o se sei anche pazza. -

Lei sgranò gli occhi, guardandolo. - E tu puoi smetterla di credere che tutti debbano sempre di merda? Cosa ti aspettavi, che ti cacciassi via? - Gli chiese, risentita. 

- Sì… così rendi tutto più complicato. - Rispose Sirius. - Tu mi hai letteralmente salvato la vita. Ho dormito in un vero letto e ancora non ci credo, ho mangiato della pizza, sai da quanto non facevo un vero pasto? Non sai quanto io ti sia grato. Sei una persona meravigliosa. -  

Hazel divenne pensierosa, mollemente abbandonata contro la spalliera del letto, una mano sul viso e gli occhi chiusi. - Dovresti rimanere fino a settembre, è inutile che te ne vai adesso. - Disse, tornando a guardarlo. - Fossi in te mi prenderei tutta l’estate per rimettermi in sesto e poi partirei per far fuori quello stronzo. - 

Lui scosse la testa. - Non posso rimanere qui, ti metto in pericolo e tu non te lo meriti. Ti ho già sconvolto la vita abbastanza, è meglio che me ne vada. - Rispose. 

- Se ti beccano potrai dire che mi hai confusa. - Ribatté Hazel. - Siamo nel bel mezzo del nulla, Sirius. Nessuno può immaginare che ti trovi qui, nel cottage sperduto di una babbana ventenne. - 

- Non lo so… mi sembra di chiedere troppo, alla fine non ci conosciamo nemmeno. - Sbuffò lui. 

- Ma non sei tu a chiedere qualcosa, sono io che te lo dico. Puoi restare. - Disse Hazel, guardandolo negli occhi. - Resta, riprenditi; così, quando sarai a Hogwarts, avrai la forza necessaria per affrontare tutto. Quando sarai scagionato mi verrai a trovare di nuovo e potremmo… andare da qualche parte… - Le parole le uscirono di bocca prima che potesse fermarle e si sentì le guance andare in fiamme.

- Tipo un appuntamento? - Domandò lui, un po’ divertito e un po’ imbarazzato. 

- Non essere sciocco, sei troppo vecchio per me! - Esclamò, cercando di distogliere l’attenzione dalle sue guance accese. 

Lui rise, una strana risata, quasi amara. - Casomai sei tu ad essere troppo giovane per me, Hazel. - Ribatté.   

- Allora resterai? - Domandò lei, dopo un attimo di silenzio. 

Sirius sospirò. - Resterò. -

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 5. Il giorno in cui si innamorarono ***



Lo so, ci ho messo più di un mese per pubblicare, ma ho avuto un devastante blocco creativo. Spero che questa lunga assenza non vi abbia fatto perdere il filo della storia, ma soprattutto spero che il capitolo sia quanto meno decente. Per ora, dunque, buona lettura. 
(Se volete prendervi dieci secondi per farmi sapere cosa ne pensate mi rendereste molto felice)

Capitolo 5


Hazel non aveva mai amato i mesi estivi e per questo, solitamente, le sembravano non finire mai. Ma non fu così per l’estate del 1993 che, invece, fu piuttosto breve, ma la ragazza non riuscì a capire mai se fosse o meno merito di Sirius Black, che ormai viveva a casa sua ed era un perfetto coinquilino. Si dividevano le faccende domestiche, passavano le lunghe ore notturne a parlare sdraiati sul prato del giardino sul retro, si davano una mano durante i momenti di crisi. Hazel sentiva che poteva dirgli tutto, aprirsi senza nessuna vergogna, cosa assai strana dato che, nonostante la sua apparenza spensierata, non si considerava affatto una persona estroversa. Per la prima volta nella sua vita, Hazel Rains affidò il fardello propri traumi a qualcuno. 

Gli aveva raccontato tutto: dopo la morte di sua madre, i servizi sociali l’avevano fatta saltare da una famiglia affidataria all’altra, senza sosta, e questo aveva contribuito a farla crescere priva di qualsiasi stabilità. Non era servito a niente andare in terapia, lei proprio non ce la faceva a raccontare di quei giorni passati con il cadavere di sua madre e nemmeno di tutte quelle persone che, invece di prendersi cura di lei, l’avevano trattata come un cumulo di rifiuti. Aveva sempre faticato a lasciarsi andare, detestava che qualcuno si prendesse cura di lei, almeno finché non fu lui a cominciare a farlo. 

Anche lui, in compenso, aveva finito per raccontarle cose che non aveva mai detto a nessuno. Le confessò di aver sofferto per la morte di suo fratello e di aver sentito la mancanza di una vera famiglia durante tutta la sua vita. Le disse di non essersi mai veramente innamorato, che non si era mai sentito particolarmente attratto dalla vita famigliare, ma che ora l’idea di passare tutta la vita da solo un po’ lo spaventava.  

- Io, invece, non credo che mi sposerò mai. - Disse lei quella sera, seduta sul prato e con lo sguardo rivolto al cielo stellato e senza nuvole sopra di loro.

Sirius si voltò verso di lei, guardandola: il suo volto, rischiarato dalla luce della luna, era pallido e serio, gli occhi erano fissi e puntati in alto, i capelli si muovevano al vento che soffiava piano e profumava di salsedine e sabbia anche se la spiaggia era lontana almeno qualche centinaio di metri. - Non vorresti una famiglia? - Domandò.

- Non lo so, credo di no. Il matrimonio è solo un costrutto sociale di impostazione patriarcale, dopotutto, non è una fede al dito che fa di due persone una vera coppia. - Rispose Hazel, voltandosi verso di lui. - Ma, quello che so, è che sicuramente non voglio dei figli, sarei una pessima madre e poi non avrei il tempo per l’arte, dovrei trovarmi un orrendo lavoro d’ufficio e dire addio a tutti i miei sogni e non voglio farlo mai. -

Sirius aggrottò la fronte. - Non ci capisco mai niente quando dici cose così. - Le disse.

Hazel fece un piccolo sorriso, prima sdraiarsi sul prato con le mani dietro la sua testa, così da poter guardare il cielo più comodamente. - Qual è la tua stella? - Gli chiese. 

Lui tese il braccio verso l’alto, indicando un puntino molto luminoso. - È piuttosto facile da individuare. - Spiegò Sirius. - Vedi quelle tre stelle una dietro l’altra? Quella è la cintura di Orione e, se si guarda un po’ più in basso, eccola lì, è quella più brillante. - 

Hazel guardò il punto indicato dall’uomo e poi si voltò verso di lui. - Ammettilo, ci hai rimorchiato tantissime ragazze con questa cosa del tuo nome, quando eri a Hogwarts. - Disse, sogghignando. 

Lui rise, scuotendo la testa. - In realtà no. Noi studiamo astronomia, quindi per le streghe non è difficile individuare Sirio. - Rispose. - Avevo altri metodi, decisamente molto più efficaci. - 

- Ad esempio? - Domandò lei, interessata. 

Sirius parve pensarci su. - In realtà non mi sono mai dovuto impegnare troppo. - Disse. - Mi bastava puntare una ragazza, guardarla e poi faceva praticamente tutto lei. - 

Hazel fece un verso vagamente sprezzante. - Ci avrei scommesso che eri uno di quelli. - Obiettò. 

Lui la guardò senza capire. - In che senso? - 

Hazel si mosse, stendendosi su un fianco, rivolta nella sua direzione. - Sì, dai. Popolare, bello e talentuoso. Uno di quelli che non mi avrebbe guardata nemmeno per sbaglio. - Spiegò. 

Sirius fece un gesto sbrigativo con la mano, alzando gli occhi al cielo con finta modestia. - E tu, invece, com’eri? - Chiese.  

- Ero praticamente il ritratto della sfiga. Povera, brutta e orfana, non piacevo a nessuno. - Rispose Hazel, facendo un sorriso triste, nel tentativo di sdrammatizzare. 

- Non è possibile che tu fossi brutta. - Ribatté lui, pentendosene subito dopo. 

Le guance di Hazel si fecero poco più rosse e subito tornò a guardare il cielo con occhi spalancati. - Tu pensi che io sia… carina? - Gli domandò, dopo un po’. 

Lui sospirò. - Io penso che tu sia bella, Hazel. - Rispose, dopo un attimo di esitazione. 

La ragazza rimase in silenzio senza guardarlo per qualche secondo e poi rispose: - Grazie. Anche tu non sei male, in fondo. - Disse, a bassa voce, prima di mettersi seduta. - Adesso però devo andare a dormire, domani mattina lavoro. - Aggiunse.  

Il volto di lui parve attraversato da qualcosa di simile alla frustrazione. Si mise seduto sul prato e la guardò alzarsi in piedi. - Allora buonanotte. - Le disse. 

Hazel esitò. - Tu non vieni? - Chiese. - Lo so che non ci riesci, ma dovresti almeno provare. - 

- Non ti preoccupare per me. - Rispose lui. 

Lei sospirò, lasciandosi cadere nuovamente al suo fianco. - Allora resto con te un altro po’. - Disse. 

Sirius cercò di non mostrarsi troppo contento, ma si lasciò sfuggire un sorriso. 

Durante quei due mesi, Derek andava a trovare Hazel con la stessa cadenza settimanale di sempre. Quando accadeva, Sirius, piuttosto infastidito, si trasformava in Felpato e attendeva in giardino che il ragazzo uscisse, per poi ringhiagli un po’ contro. Quel tipo non gli piaceva ma, soprattutto, non gli piaceva la sensazione che provava ogni volta che girava intorno a Hazel, posando le sue sporche mani sul suo corpo e le labbra su quelle di lei. Sirius sentiva come se, proprio nel suo stomaco, prendesse vita una sorta di mostriciattolo che gli suggeriva di schiantare il babbano ogni volta che si avvicinava a quel cottage. E comunque nemmeno a Derek piaceva Felpato. 

- Dovresti tenerlo legato, si vede che è una bestia pericolosa. - Disse una volta, guardandolo di sottecchi quando Hazel lo aveva lasciato salire sul divano. 

- Non è pericoloso. - Ribatté Hazel, accarezzando la testa del cane. - Guarda quanto è carino. - 

Derek fece un verso sprezzante. - Certo, un tenero cucciolo proprio. - Disse. - Secondo me ci dormi anche insieme, non è igienico, Hazel. - 

Hazel si sentì arrossire, pensando come doveva essere dormire accanto a Sirius e svegliarsi al suo fianco. - Felpato dorme in camera mia e io in camera di mia madre. - Rispose nervosa. 

Derek aggrottò la fronte. - Hai dato la tua stanza ad un cane? - Domandò, ridendo. - Capisco che gli vuoi bene, ma non sarà un tantino esagerato? È solo un cane! - 

Con l’arrivo della fine di agosto e il progressivo svuotarsi delle spiagge, Sirius cominciò a prendersi il rischio di accompagnare Hazel durante le sue corse mattutine restando se stesso, godendosi un po’ le prime luci dell’alba su quella immensa distesa di sabbia deserta. 

- Forza, Black, non fare il pigro e tieni il passo! - Esclamò lei ridendo la prima volta, quando lo vide abbandonato sulla sabbia dopo meno di duecento metri di corsa.  

- Tu sei completamente pazza! - Ribatté Sirius, tornando faticosamente in piedi.  

Lei tornò indietro, cercando di trattenere un sorriso. - Sei proprio vecchio, Sirius. - Gli disse, punzecchiandolo. - E se facessimo il bagno? - Domandò poi, certa che fosse un’ottima idea. 

- Non pensarci proprio. - Rispose lui. - Non abbiamo il costume e poi l’acqua sarà gelata. - 

Hazel alzò gli occhi al cielo sbuffando. - Chissene frega del costume, non ne abbiamo bisogno, e poi l’acqua non è così fredda, siamo ancora in piena estate! - Esclamò.  - Dai, spogliati, su. -     

Lui si affrettò a scuotere la testa, e lei invece si tolse la maglietta mostrando un reggiseno rosa che Sirius trovò davvero molto grazioso, ma tentò in tutti i modi di non guardarla, anche se con scarso successo. - Non vorrai spogliarti del tutto. - Fece, con voce allarmata e bassa. 

Hazel lo guardo e si tolse i pantaloni, con uno sguardo molto divertito. - Ovvio che no, mica voglio che mi salti addosso. - Rispose, lasciando cadere l’indumento sulla sabbia. 

- Non lo farei mai. - La contestò lui. - Sei una ragazzina, potresti essere mia figlia. - 

Hazel sogghignò. - Fortunatamente per te non lo sono. - Disse, prima di voltarsi, correndo verso l’acqua e tuffandosi. - Allora, vieni o no? Si sta benissimo, è quasi calda! - Gridò quando emerse, buttandosi i capelli all’indietro e facendo un sorriso. 

Sirius sospirò, mentre gli tornavano in mente tutte quelle volte che aveva fatto il bagno nel Lago Nero con la ragazza di turno. Era tutto così facile e naturale a quei tempi. Con un po’ di incertezza, cominciò a spogliarsi sotto lo sguardo di lei e, quando finalmente entrò in acqua, Hazel esultò schizzandolo. - Hazel! No, dai smettila… Hazel! - Esclamò, divertito e infastidito insieme, prima di afferrarla per le mani, fermandola.  

Rimasero a fissarsi per un interminabile attimo, nel quale l’espressione di lei mutò dall’essere spensierata all’essere seria, vicini come non lo erano mai stati e con decisamente pochissimi vestiti addosso. Lei lo guardava con i suoi penetranti occhi scuri e la bocca socchiusa, l’espressione era assorta, come se stesse cercando di leggere qualcosa sul volto di lui. 

- È vero, si sta bene. - Mormorò poi Sirius, ancora con il fiato corto. 

Hazel non rispose, ma continuò a guardarlo, godendosi una strana sensazione che, a mano a mano, la stava invadendo anche negli angoli più nascosti del suo corpo. Aveva come l’impressione di essere stata messa al mondo e di aver vissuto per vent’anni solo per arrivare a quel momento, su quella spiaggia, mentre il sole sorgeva sopra di loro e Sirius Black la teneva per i polsi. 

Lui allentò la presa, ma il contatto non si interruppe e Hazel ne fu contenta. Voleva toccarlo e lasciarsi toccare, non le importava dove, bastava che lui le rimanesse vicino. Hazel sentì il suo respiro farsi più rapido, fece un passo indietro, colta dall’imbarazzo. Cosa le stava succedendo? 

Sembrò quasi scossa da un brivido e poi tornò a schizzarlo sorridendo allegra e fuggendo, nuotando verso l’acqua più alta. Sirius la guardò allontanarsi da lui e quasi ne fu felice: conosceva quella sensazione, quella brama e quel desiderio, e sapeva che per lei non poteva essere lo stesso. Sospirò, cercando di cancellare l’immagine del suo corpo dalla sua mente e poi la raggiunse.

Passarono tutta la mattina su quella spiaggia, fecero il bagno e presero il sole finché non arrivò a toccare il suo punto più alto. E forse fu quello il giorno in cui si innamorarono. 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 6. La partenza ***


Capitolo 6




 

Hazel, affacciata alla finestra della camera di sua madre, guardava fuori con una sigaretta tra le labbra. Agosto stava terminando in quella calda oscurità, animata solo dal frinire acuto delle cicale, e illuminata da una grandissima luna piena che dava spettacolo in un cielo sgombro di nuvole ma puntellato di stelle brillanti. Sarebbe stata una notte fantastica, se solo non fosse per il fatto che era l’ultima che Sirius Black avrebbe passato in quella casa. 

Nessuno dei due aveva avuto voglia di parlare quella sera; avevano cenato in religioso silenzio, seduti al tavolo della cucina, poi Hazel si era alzata e si era chiusa in camera senza dire una parola, cercando di occupare la sua mente con il romanzo che stava leggendo quella settimana. Si trattava de “le notti bianche”, di Dostoevskij, ma le parole parevano scivolarle via dalla mente proprio nello stesso attimo in cui le leggeva, così aveva deciso che avrebbe passato quella noiosa nottata a fa nulla. Si era rotolata nel letto per un po’, aveva scarabocchiato qualcosa su un foglio e poi si era messa a guardare il cielo, lanciando lunghi sospiri tra un tiro di sigaretta e l’altro, pensando al fatto che, l’indomani  mattina, si sarebbe svegliata da sola in quella casa che adesso le sembrava troppo grande per essere abitata da una sola persona. Non ci sarebbero state più chiacchierate notturne, niente più passeggiate in spiaggia, niente più incantesimi o lezioni di astronomia. Sarebbe tornata a casa dopo una lunga giornata di lavoro e non avrebbe trovato più nessuno ad attenderla, nessuno le avrebbe più preparato la cena o avrebbe posato per lei, lasciandosi ritrarre nei suoi disegni.  

Sbuffando, la ragazza raggiunse il suo letto, lasciandosi cadere sul materasso, sconfitta. Faceva fatica ad ammetterlo, ma si era presa proprio una bella cotta; anzi, forse non le era mai capitato in tutta la sua vita di desiderare così tanto che qualcuno le rimanesse vicino, ma era consapevole di dover tenere questo suo sentimento nascosto. Lui era un mago, era molto più grande di lei e, come se non bastasse, era anche pieno di problemi. Hazel era certa che Sirius non provasse niente per lei, eppure, durante quelle ultime settimane, le era parso di notare in lui alcuni strani comportamenti le avevano quasi fatto credere il contrario: ogni volta che Hazel tornava da qualche appuntamento con Derek, Sirius sembrava irritato, si chiudeva in camera sua e non le rivolgeva la parola per ore, per poi tornare a parlarle lanciando frecciatine per tutto il resto della giornata.  

- Allora, cosa avete fatto tu e quella sottospecie di Kurt Cobain oggi pomeriggio? - Le diceva, lo sguardo torvo e il tono della voce gelido. - Non riesco proprio a capire cosa ci trovi in lui. - 

Hazel allora scrollava le spalle e, semplicemente, non rispondeva, cambiando discorso. 

Ogni tanto, di notte, quando Sirius si svegliava urlando da qualche terribile incubo, Hazel dormiva con lui, si lasciava abbracciare e gli raccontava qualcosa di bello finché, entrambi, non si addormentavano di nuovo, svegliandosi la mattina successiva, uno accanto all’altra, pieni di imbarazzo. 

Quella sera, Hazel quasi desiderava di sentirlo urlare dall’altra stanza, per potersi precipitare da lui con la scusa di doverlo tranquillizzare, così da passare quelle ultime ore prima della sua partenza insieme. Chissà se si sarebbero rivisti, una volta che tutta quella storia fosse finita; magari lui l’avrebbe portata a fare un giro su quella moto volante di cui le parlava sempre, o magari sarebbero semplicemente sparito per sempre, andato via proprio come era arrivato, di nascosto e all’improvviso. 

Questo pensiero la attanagliò talmente forte, che la ragazza, per un momento, sentì quasi dolore, una morsa fastidiosa all’altezza del petto, lì dove il suo cuore si sarebbe spezzato. 

Hazel sospirò e si sdraiò sul letto, affondando la testa nel cuscino e le mani al volto. Le veniva da piangere e si sentiva una stupida. Per tutta la vita era riuscita a non dipendere mai da nessuno, a cavarsela sempre da sola, a bastare a sé stessa, e adesso si ritrovava a struggersi per un uomo che conosceva da poco più di due mesi, per una persona che con lei c’entrava ben poco. 

Riuscì appena a terminare quel pensiero, quando la porta della sua camera si spalancò con un cigolio, attirando la sua attenzione. Sulla soglia, Sirius la stava guardando come se si fosse sentito chiamare. 

Hazel si tirò su e ricambiò il suo sguardo, incrociando le braccia sul petto. - Non puoi entrare così in camera mia, Sirius. - Lo rimproverò. - Potevo essere nuda. - 

Lui sogghignò. - Sarebbe stato davvero un peccato. - Disse, sarcastico. 

Hazel si sentì arrossire, ma tentò di dissimulare, distogliendo lo sguardo. - Che cosa c’è? - Chiese poi, tornando a guardare nella sua direzione. 

- Non riesco a dormire. - Rispose Sirius.

- Tu non riesci mai a dormire. - Precisò lei, sospirando e guardandolo triste. - Dai, entra. Parliamo un po’, tanto nemmeno io riesco a chiudere occhio - Aggiunse.

Lui obbedì. Lasciò la soglia della porta e si sedette accanto a lei, con la schiena appoggiata alla spalliera del letto. 

Hazel continuò a guardare verso di lui, come in attesa che dicesse qualcosa, scrutando la sua espressione illeggibile e cupa, come se fosse rapito da terribili pensieri. Non sapeva quando, con esattezza, avesse cominciato a trovarlo affascinante; ma un pomeriggio, davanti ad un bellissimo tramonto, si era ritrovata a guardarlo con occhi diversi. Si rese conto che preferiva di gran lunga guardare lui, rispetto al sole che spariva all’orizzonte, facendo diventare il cielo come una tela dipinta con lo stile dei Fauves. E anche quella sera, seduta nel suo letto, al suo fianco, non riusciva a fare a meno di fissarlo.  

Fu lei, alla fine di un lungo minuto di silenzio, a parlare per prima. - Che hai? - Gli domandò. 

- Domani parto per Hogwarts, lo sai. - Rispose Sirius, tetro, senza guardarla. 

- Sì, e quindi? Cosa ti turba? Sei fuggito da Azkaban per questo, no? - Domandò Hazel. 

Lui sbuffò e annuì, voltandosi nella sua direzione e scontrandosi con gli occhi di lei. Gli occhi di Hazel erano i più belli che avesse mai visto; ultimamente era così difficile per lui guardarla senza rischiare di perdersi in quello sguardo penetrante. Come in quel momento. Erano così vicini, sarebbe stato così semplice, appoggiare le labbra sulle sue, annullare quella distanza così fastidiosa, sentire il suo calore e poterla toccare e spogliare… 

- Sei strano. - Disse lei, allarmata, riscuotendo dai suoi pensieri. - Che succede? - 

- Non lo so. - Fu la sofferta risposta dell’uomo. - So solo che… forse, mi sono affezionato troppo a te. Non doveva accadere. -  

Hazel lo guardò piuttosto sorpresa. - Questo è un tuo strano modo per dirmi che mi vuoi bene? -

Sirius annuì, abbassando gli occhi. - Una cosa del genere, sì. - Rispose. 

La ragazza sorrise. - Anche io te ne voglio. - Mormorò, poggiandosi a lui e lasciandosi racchiudere in una sorta di abbraccio. - Mi scriverai quando sarai a Hogwarts? - 

- Certo che ti scriverò. - Disse Sirius, passando piano le dita tra i capelli profumati di Hazel, il cuore che gli batteva velocissimo nel petto. - Farò in fretta e poi tornerò da te, te lo prometto. - 

Hazel allentò piano la loro stretta, per poterlo guardare negli occhi. Sembrava di nuovo tormentato, come quando lo aveva trovato nella sua cucina, ma in compenso, almeno nell’aspetto, non sembrava più la stessa persona: aveva ripreso un po’ di peso, si era lasciato accorciare i capelli e, su quel suo volto segnato, ogni tanto, sembrava quasi affacciarsi di nuovo lo spettro del bel ragazzo che era stato dodici anni prima. 

- Davvero tornerai? - Chiese piano Hazel, guardandolo con sguardo serio.  

Sirius annuì, e rimasero immobili, fermi per quella che sembrò un’eternità, o forse un solo secondo, finché lui, semplicemente, non la baciò come se lo avessero sempre fatto. 

Fu un contatto estremamente delicato, quasi timoroso, che poi cambiò, trasformandosi in un vero e proprio bacio. Lei incrociò le braccia attorno al suo collo e Sirius decise di approfondire, facendo scivolare la lingua fra le labbra morbide di Hazel, alla ricerca dell’altra che gli rispose timidamente. Hazel sembrava così dolce e ingenua... il pensiero di sporcare quella purezza non fece altro che invitarlo a spingere ancora più in profondità la lingua contro quella di lei, che, a poco a poco, imparava a seguire i suoi movimenti incalzanti. Si staccarono per un attimo, ripresero fiato e si guardarono negli occhi, uno affianco all’altra, vicini. 

Sirius credeva di impazzire. Erano passati troppi anni da quando aveva baciato una donna in quel modo. Voleva di più, ma si sentiva quasi spaventato all’idea di loro due insieme in quel modo: in cosa si stava cacciando? Ma, soprattutto, in cosa stava cacciando quella ragazzina appena ventenne? Lui non aveva proprio un bel niente da offrirle, se non un carico di problemi di cui Hazel sicuramente non aveva bisogno.

In quel momento, lì davanti a lei, con lo sguardo fisso negli suoi occhi scuri, Sirius si sentì un egoista; avrebbe dovuto fare un passo indietro, lasciare quel letto, quella stanza, quella casa, sparire per sempre dalla vita di Hazel, ma quando lei si mosse, avvicinandosi di nuovo al suo volto, non riuscì a fare a meno di lasciarsi baciare ancora. 

Si ritrovò in un attimo sotto di lei, che quasi bramava di poterlo toccare, e lo baciava come se avesse atteso quel contatto da tutta l’estate o forse da tutta la vita.

Sirius la prese per le spalle, invertendo la posizione senza troppa delicatezza lasciandola sorpresa. Le mani di lui vagarono sul suo corpo, una finì per stringerle il seno e l'altra tra le sue gambe, accarezzandola piano da sopra il tessuto già umido. Hazel percepì il respiro di lui vicino al suo orecchio, era accelerato e caldo, poi le sue labbra che le sfioravano il collo e, nello stesso istante, lo sentì armeggiare con il bordo dei suoi pantaloni. Glieli sfilò guardandola negli occhi, e Sirius si sentì quasi tremare davanti alla profondità dello sguardo di lei. La voleva, la desiderava così tanto da star male, così intensamente da sentirsi inebriato da quelle strane sensazioni. 

Si ritrovarono improvviamente nudi e avvinghiati, circondati dai loro sospiri che sembravano quasi rimanere sospesi nell’aria, circondandoli e proteggendoli in una sorta di realtà parallela in cui esistevano solo loro due e nient’altro. 

Mentre si spingeva dentro di lei, Sirius riuscì a scorgere nei suoi occhi tutte le cose meravigliose che la vita poteva ancora offrirgli e, per un attimo, dopo dodici lunghissimi anni, il mondo non gli sembrò più un posto tanto orribile. 


 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 7. Natale, whisky e dichiarazioni ***


Ciao a tutt*, 

lo so, sono passati ben dieci giorni, ma come penso abbiate capito non riesco ad aggiornare molto spesso, ma sto cercando di fare del mio meglio. Il problema di questa storia è che non sta uscendo per niente come me la sono figurata nella testa. Mi spiego meglio: doveva essere tutto molto più tetro e triste, invece sta uscendo fuori una ambientazione che manco “il favoloso mondo di Amelie” e sinceramente non so nemmeno se la cosa mi piaccia. Quindi ho davvero bisogno di sapere cosa ne pensate, sia del capitolo che della storia in generale. Cosa dovrei migliorare, secondo voi? Fatemi sapere, vi prego. 

Adesso vi lascio a questo settimo capitolo che spero non sia osceno come mi appare. L’ho letto tre milioni di volte e il mio Io giudicante non approva per niente. 

 

Capitolo 7

 

Non vi fu un giorno nel quale Hazel Rains non pensò a Sirius Black, cercandolo ossessivamente tra le pagine di qualche giornale o al notiziario, mentre tutto intorno a lei sembrava tornare lentamente alla normalità. Hazel si alzava presto al mattino, si preparava senza troppa cura e prendeva il treno in direzione Aberdeen per assistere alle lezioni del nuovo anno accademico appena cominciato, e quella era sicuramente la parte della giornata che preferiva: aveva sempre trovato i treni particolarmente romantici e, inoltre, su di essi ci si poteva imbattere in una quantità esorbitante di volti interessanti che lei si divertiva molto a ritrarre durante quella mezz’ora che divideva Downies da Aberdeen. Dopo di che, nel pomeriggio, poco dopo l’ora di pranzo, la ragazza affrontava il viaggio di ritorno, per poi spendere le successive sei ore lavorando in libreria. 

La sua vita era di nuovo scandita da orari serrati e quasi folli, lasciandole ben poco tempo per pensare, ma questo non bastò affatto per distogliere la sua attenzione dal fatto che, a distanza di settimane, Sirius non le avesse mai scritto, neppure una volta. 

Con la fine di settembre e l’inizio di ottobre, la temperatura divenne più fredda e le foglie secche cominciarono a cadere dagli alberi e ad invadere strade e tombini. Nell’aria c’era già un anticipo di inverno, che scoppiò del tutto con l’arrivo di novembre. Il vento aveva preso a soffiare forte, agitando il mare che adesso si abbatteva con onde altissime sulla spiaggia deserta in cui Hazel in estate aveva corso e fatto il bagno insieme a lui, che adesso si presentava come una immensa distesa deserta di acqua e sabbia. Molto spesso, davanti a quello spettacolo a tratti quasi inquietante, Hazel si regalava mezz’ora, una sola mezz’ora al giorno, per lasciarsi attanagliare dalla malinconia e dalla tristezza. Si sentiva sola, ma non era questo ciò che la faceva realmente soffrire dato che, purtroppo, si sentiva sola da tutta la vita, ma piuttosto l’idea di essere stata di nuovo abbandonata da qualcuno a cui teneva. 

A dicembre, il cielo si illuminò all'improvviso di un candore opalino e abbagliante e una mattina i prati fangosi che circondavano la casa si ricoprirono di candida neve soffice e lucente. Con l’avvicinarsi delle feste, la libreria si riempì di clienti in cerca di regali da fare e mentre in tutti gli angoli del villaggio si riempivano l’aria di Natale, il cuore di Hazel iniziava a scricchiolare anche in momenti in cui non gli dava il permesso. 

La paura dell’abbandono che l’aveva caratterizzata da bambina, ma che pensava di aver superato grazie a svariati anni di terapia, tornò più forte che mai, insieme all’insistente vocina che le ripeteva maligna di non valere un bel niente. 

Il pensiero di essere stata usata per avere un tetto sopra la testa, un pasto caldo e una scopata semi decente si stava cominciando ad insinuare sempre più prepotentemente nella sua testa e, verso la metà del mese, quando finalmente il Natale era arrivato, lanciandole addosso un denso strato di malinconia, Hazel smise del tutto di credere che Sirius sarebbe tornato, come invece le aveva promesso quella notte, mentre si stringevano l'uno all’altra accaldati e nudi.

Quel pomeriggio, mentre era seduta dietro il bancone della libreria stranamente vuota, Hazel si sentiva una povera illusa. Davanti a lei, il giornale locale di Downies avvertiva, a caratteri cubitali, che Sirius Black era stato avvistato a est di Fort Augustus, un insediamento vicino al lago di Loch Ness, molto più a sud di quanto, in quel momento, l’uomo si sarebbe dovuto trovare. 

Hazel sospirò, continuando a tenere lo sguardo sulla foto segnaletica di lui, in cui era tale e quale alla notte in cui lo aveva trovato nella sua cucina. Doveva toglierselo dalla testa, magari anche alla svelta, solo che non aveva idea di come fare. Non si era mai innamorata prima d’ora e, a dire il vero, non si era nemmeno presa chissà che grande quantità di cotte; insomma era talmente alle prime armi che non aveva idea di come ci si dovesse comportare in caso di delusione amorosa. Pensò alle sue poche amiche e a tutte le volte che una di loro era stata lasciata dal ragazzo di turno: ad esempio Mary, la sorella di Derek, tendeva a buttarsi immediatamente nelle braccia di qualcun altro, mentre invece Amelia, una sua compagna di corso al college, si immergeva totalmente nello studio, passando un esame dopo l’altro. Hazel, invece, tutto ciò che riusciva a fare, da quando si era resa conto che quella strana storia d’amore era finita ancor prima di iniziare, era sospirare e maledirsi per essersi lasciata andare così con un uomo che conosceva appena. Come diamine mi è passato per la testa? Pensò per l’ennesima volta, guardando il giornale talmente intensamente che, se solo fosse stata una strega, probabilmente avrebbe preso fuoco; poi l’entrata della libreria, proprio di fronte a lei, si spalancò con un tintinnio, e la signora Gwen Manning, la proprietaria, varcò la soglia.

Era una donna longilinea e parecchio avvenente, dai lunghi capelli rossi che arrivavano quasi alla vita, grandi occhi color cielo erano incorniciati da una montatura di occhiali che le davano l’aria da segretaria; le sue labbra erano rosse e carnose, il suo naso piccolo e perfettamente in armonia con tutto il resto del viso. Sebbene avesse all’incirca solo una quarantina d’anni, era vedova da cinque, non aveva figli e viveva nell’appartamento sopra alla libreria con i suoi due gatti, che aveva chiamato Elisabeth e Philip in onore della regina e del principe di Edimburgo. 

Agli occhi degli altri abitanti del villaggio, e a dire il vero anche agli occhi di Hazel, Gwen Manning appariva come una donna parecchio particolare: nonostante suo marito fosse morto ormai da parecchio, e lei fosse decisamente molto bella, non c’era nessun uomo nella sua vita. Non aveva amici, né familiari, passava quasi tutto il suo tempo a lavorare, mentre nel tempo libero leggeva seduta ad uno dei tavolini dell’unica caffetteria di Downies. Mentre Hazel la guardava avvicinarsi al bancone con passo spedito e un bel sorriso sulla labbra, tenendo tra le braccia un grosso cartone pieno di libri, quasi le sembrò di vedere se stessa, solo più vecchia di vent'anni e decisamente molto più carina. 

Gwen appoggiò lo scatolone sul bancone con un lamento e poi sospirò, rivolgendo uno sguardo verso la sua dipendente. - Hazel, tesoro, è la vigilia di Natale. - Esordì, in tono di rimprovero. - Che ci fai ancora qui a quest’ora? Non hai un fidanzato che ti aspetta a casa, o roba del genere? - 

Hazel accennò un sorrisetto, un po’ imbarazzata. Non avere nessuno che ti attende a casa durante le feste era già abbastanza deprimente senza che la signora Manning glielo ricordasse. - No, nessun fidanzato. - Rispose, spiacente. 

Gwen si corrucciò. - E quel Derek con cui uscivi? - Le domandò, poggiandosi con i gomiti al bancone. - Lui è molto carino, di buona famiglia… certo, forse un po’ montato. -  

Hazel mantenne il suo sorrisetto, mentre cercava una risposta capace di accontentare la donna. L’ultima volta che aveva parlato con Derek era circa metà settembre, e lei gli aveva raccontato di essersi innamorata di un fantomatico turista inglese dal passato tormentato (non del tutto falso, in effetti). Da allora, il giovane si limitava solo a salutarla per strada e a chiederle, di tanto in tanto, cose del tipo “allora, come va con il tuo misterioso fidanzato inglese?”; insomma, Hazel non era del tutto sicura che l’avesse presa bene.  

- Io e Derek ci siamo presi una pausa. - Spiegò, alzando le spalle. - Effettivamente era un po’ montato, ora che ci penso… con quella sua cover band dei Bon Jovi… - 

Gwen rise sommessa, poi prese il giornale di fronte alla ragazza e diede un’occhiata alla prima pagina, dove la foto di Sirius ricambiò il suo sguardo. - Sai, a parte lo sguardo da psicopatico, io lo trovo piuttosto attraente. - Asserì, annuendo. - Certo, probabilmente è un sadico perverso, di quelli con fantasie molto discutibili, ma c’è a chi piace, o no? - 

Hazel avvampò talmente vistosamente da beccarsi un’occhiata interrogativa da parte della donna. - Dipende per cosa si intende p-per discutibili. - Balbettò, sentendosi assalire dall’imbarazzo. - Insomma, magari è solo un po’ passionale, ma dopo tutti quegli anni ad Azk… Alcatraz ci sta, presumo. Comunque ci sa fare… credo. - 

Gwen soffocò una risatina. - Hai l’aria di una che ci ha pensato parecchio! - Esclamò, molto divertita. 

Non hai idea quanto, Gwen, avrebbe voluto rispondere Hazel, ma si limitò ad arrossire ancora di più, scuotendo la testa. - Questa conversazione sta degenerando. - Disse, sorridendo imbarazzata. - Cosa farai a Natale, Gwen? - Chiese, cambiando discorso. 

- Starò a casa con Elisabeth e Philip, come tutti gli anni. - Rispose la donna. - E tu? - 

- Io… sì, farò sicuramente qualcosa. - Buttò lì Hazel. - Andrò da qualche parente. - 

Ovviamente la verità era che avrebbe passato tutte le feste a casa da sola, guardando film natalizi e aspettando che il periodo più triste dell’anno passasse, ma era una cosa troppo patetica da dire ad alta voce, anche se la persona che la stava ad ascoltare era Gwen Manning, che avrebbe speso il 25 dicembre con i suoi due gatti. A Downies sembravano tutti così soli, eppure Hazel si sentiva sempre in dovere di nascondere tutti i suoi vuoti. 

- Allora vai, tesoro. - Le disse Gwen. - Vai a prepararti per la cena della vigilia, tanto non credo che avremo altri clienti per oggi. - 

Hazel esitò per una manciata di secondi, poi annuì, fece il giro del bancone, e raggiunse la signora Manning dall’altra parte. - Buon Natale, Gwen. - Disse, lasciandosi scappare un sorriso amaro. - Saluta Elisabeth e Philip da parte mia. -

- Sarà fatto. - Rispose l’altra. - Anzi, perché domani mattina non passi per la colazione? - 

Hazel assunse un’espressione intenerita. Lavorava in quella libreria da quando era solo una adolescente, Gwen era sempre stata per lei qualcosa di molto simile ad una sorta strana e incasinata figura materna, ma si stupiva sempre quando si comportava come tale. - Sì, ci vediamo domani mattina. - Decise. 

- Passa un buon Natale, Hazel. - 

Fuori dalla libreria, la neve aveva ricoperto ogni angolo del villaggio, e le luci natalizie si riflettevano brillanti in quel chiarore. Il sole era ormai sparito dietro l’orizzonte e le strade erano ormai quasi tutte vuote sotto gli occhi di Hazel che, camminando verso casa sua, si ritrovò a sbirciare all’interno delle altre case davanti a cui passava. Le famiglie si stavano riunendo per festeggiare: le mamme e le nonne cucinavano il tacchino, i padri giocavano con i bambini e gli alberi di Natale illuminati svettavano sopra i pacchetti regalo. 

Nella mente di Hazel riaffiorarono dolorosamente i vecchi e lontani ricordi delle feste passate con sua madre. Non avevano mai fatto l’albero, Hazel non aveva mai ricevuto dei veri e propri regali ma, ogni 24 dicembre, lei e sua madre mangiavano cibo da colazione per cena, prima di fare insieme una maratona di “la casa nella prateria” che durava tutta la notte. C’era stato un solo anno in cui Hazel ricordava la figura sfocata di un uomo insieme a lei e sua madre, ma era altamente probabile che quel ricordo fosse solo uno modo della sua mente di tentare di riempire uno dei suoi tanti vuoti. 

Hazel camminò, con l’espressione sempre più cupa, per una ventina di minuti, il cuore gonfio nel petto e una strana e incredibile voglia di piangere. Guardò verso il cielo e si ritrovò a pensare a Sirius; chissà dov’era, chissà cosa stava facendo, chissà se anche lui si sentiva solo, proprio come lei. 

Quando la ragazza arrivò finalmente davanti all’entrata di casa sua, si sentiva svuotata e stanca, tanto che non si rese nemmeno conto della piantina di vischio che qualcuno aveva appeso sulla porta. Si limitò solo ad aprirla e a varcare la soglia, infreddolita e con gli occhi lucidi, ritrovandosi immediatamente in un soggiorno che non sembrava il suo.

Hazel si guardò intorno a bocca aperta: dal camino acceso pendevano due calze, e accanto, un abete addobbato sfiorava quasi il soffitto, mentre del sorprendente vischio incantato le vorticava sopra la testa. Dalla cucina arrivava la voce di Sirius, che cantava le carole ad alta voce, ancora convinto di essere solo. 

Hazel camminò in quella direzione, arrabbiata e felice insieme, indecisa su quale emozione far uscire per prima e, quando raggiunse la soglia, Sirius si voltò verso di lei.  

Era molto più magro rispetto all’ultima volta che lo aveva visto, si notava che aveva di nuovo patito la fame da come gli ricadevano addosso gli abiti che lei gli aveva comprato mesi prima, ma sembrava stare bene, almeno non era sporco e spaventato come la notte del loro primo incontro. 

- Hazel! - Le disse, andandole incontro e facendole un sorriso. 

Lei lo guardò, lanciandogli uno sguardo torvo che quasi riuscì a spegnere tutto il suo entusiasmo. - Tre mesi senza uno straccio di notizia! - Sbottò, le mani serrate in due pugni stretti e le labbra piegate verso il basso e tremanti. - Nemmeno una lettera, un biglietto, un segno, niente! Sono così arrabbiata con te che io… io… - 

- Lo so, e mi dispiace. - Disse lui, avvicinandosi. - Ma non ho avuto modo di reperire una pergamena e una piuma. Però una volta mi sono intrufolato in una casa di alcuni babbani per usare il camino, speravo di vederti ma tu non c’eri. - 

Le labbra di Hazel tremarono ancor di più, mentre gli occhi le si appannavano. - Non mi importa! Anzi, non ci credo proprio! - Esclamò, arrabbiata. - Non puoi fare così, Sirius, lo capisci? Non puoi apparire e scomparire come se nulla fosse, non puoi farmi delle promesse se poi non riesci a mantenerle! Io non sono come le altre persone, io ho patologicamente paura dell’abbandono, non puoi fare così!

Sirius sembrò sorpreso dalla reazione di lei, e si ritrovò a fissarla a bocca aperta e con le sopracciglia inarcate. Aveva pensato per molto tempo se fosse o meno il caso di tornare in quella casa: aveva preso in considerazione l’idea di lasciar tornare Hazel alla sua vita di sempre, di non farsi vedere finché non fosse stato finalmente scagionato, ma si ripeteva che fosse quella la cosa giusta da fare, più sentiva che in realtà fosse il contrario.  

Sirius continuò a guardarla in silenzio per almeno un minuto, la gola che gli sembrava essersi rivestita di spilli, mentre lei ricambiava il suo sguardo con occhiate di ruggente rabbia. 

Gli era mancata così tanto, aveva passato così tanto tempo a pensarla, eppure non riusciva a muoversi, né a dire nulla che gli sembrasse neanche lontanamente abbastanza da farsi perdonare. Solo dopo un’altra interminabile manciata di secondi Sirius fece un solo esitante passo nella sua direzione, ritrovandosi abbastanza vicino da poter sentire di nuovo il suo profumo. - Hazel… - Mormorò piano il suo nome, come una supplica. - Vuoi che me ne vada? - Le domandò, serio. 

Lei scosse la testa e poi, semplicemente, lo abbracciò. 

 

Se c’era una cosa positiva dell’essere orfani, era sicuramente il fatto che, quando non si hanno più i genitori, si tende ad imparare a fare tantissime cose. Hazel aveva imparato a gestire una casa da sola, a pagare le bollette e le tasse universitarie, a fare le spesa e ad autoregolarsi su ogni cosa, ma non era mai riuscita a imparare a cucinare nessun piatto degno di questo nome. Si nutriva quasi esclusivamente di prodotti già pronti e di cibo da asporto, e per questo il frigorifero, proprio come quella sera, era quasi sempre vuoto. Sicuramente nessun locale, nel pieno della vigilia di Natale, poteva essere disposto a portarle da mangiare, così, dopo una lunga meditazione davanti alla sua dispensa vuota, Hazel prese un paio di pacchetti di crackers e delle scatolette di tonno. Mangiarono sul divano, davanti al camino acceso, raccontandosi tutto quello che era successo in quei lunghissimi tre mesi, poi Hazel tirò fuori una bottiglia che una cliente della libreria le aveva regalato in vista delle feste: 

- Whisky scozzese invecchiato sedici anni. - Disse, strappandola, sotto gli occhi curiosi di lui. - Dovrai dirmi se è meglio o peggio del whisky incendiario. - 

Li rese piuttosto allegri in poco tempo. Hazel, con la testa che le girava, se ne stava seduta accanto a Sirius, abbandonata sulla sua spalla e gli occhi puntati verso il fuoco scoppiettante del camino. - Adesso che ci ho pensato mi sono resa conto che ti sei perso praticamente tutti gli anni ottanta. Sono successe tantissime cose, sai? - Gli disse, ad un certo punto. 

- Ad esempio? - Chiese lui, estremamente rilassato, forse un po’ brillo.

Hazel ci pensò su, facendo mente locale su tutti gli eventi che avevano caratterizzato gli ultimi dodici anni. - La guerra fredda è finita e il muro di Berlino è stato buttato giù nel 1989, quindi adesso la situazione geopolitica è un po’ diversa, ma forse non è una cosa interessante per te. - Iniziò a raccontare. - Nel 1986 è esploso un reattore nucleare in Ucraina con conseguente rilascio di materiale radioattivo. Margaret Thatcher non è più il Primo Ministro dal 1990, e aggiungerei grazie al cielo, al suo posto c’è John Major, ma anche lui è del partito conservatore, il che non è una cosa buona. -  

- Perché no? - Chiese Sirius, che di politica babbana non ci aveva mai capito granché. 

- Ho sempre preferito i laburisti. - Rispose Hazel, scrollando le spalle. - Ah, Freddie Mercury è morto e quindi i Queen si sono sciolti. -

Sirius sgranò gli occhi. - I Queen si sono sciolti? -   

Hazel scoppiò a ridere. - Sul serio è l’unica cosa che ti ha colpito tra tutto quello che ti ho detto? Voi maghi siete così assurdi. - Disse, divertita. 

- Ovviamente, chissene frega di questa Margaret non è più il primo ministro dei babbani, dai! - Esclamò lui. - In fondo non mi sono perso un granché, no? -  

Hazel lo guardò intenerita, cercando di sforzarsi di sorridere ancora. In quei dodici anni Sirius aveva perso tutta la sua giovinezza, anni che nessuno gli avrebbe dato mai più indietro. - Sì, in effetti hai ragione, non è successo praticamente nulla. Sarebbe stato grave perdersi… che ne so, lo sbarco sulla luna. - Disse dunque lei, prima di allungarsi per prendere la bottiglia di whisky poggiata a terra. - Cosa che io effettivamente ho perso, mentre tu avevi… quanto, dieci anni? - 

Sirius annuì, prima di toglierle la bottiglia di mano. - Mi stupisce sempre rendermi conto di quanto tu sia giovane in realtà. - Disse, portandosela alle labbra. 

- Ti infastidisce? - Domandò Hazel. - Ti infastidisce che io sia giovane? - 

- Direi che infastidire non sia il termine adatto, no. - Rispose Sirius, pensieroso. - Però un po’ mi preoccupa. Questa cosa tra noi, qualsiasi cosa sia, mi preoccupa. - 

Hazel rimase per qualche secondo zitta, cercando, nonostante la mente annebbiata dall’alcol, di interpretare le parole di lui. - A me piace questa cosa tra noi, qualsiasi cosa sia. - Disse, puntando gli occhi scuri su di lui, come due grandi fari. - Ci ho pensato tanto negli ultimi mesi. Credo di essermi innamorata di te. -  

Sirius sgranò gli occhi e rimase in silenzio, cercando di capire come comportarsi, spiazzato da quelle parole che non era mai riuscito a pronunciare in vita sua. Quello che provava per lei aveva davvero un nome? Era quello l’amore di cui tutti parlavano? Era questo sentimento che aveva spinto James a chiedere a Lily di sposarlo? La guardò, ancora scosso, rendendosi conto che avrebbe per lei si sarebbe fatto rinchiudere nuovamente ad Azkaban. Eppure non riusciva a dirglielo. La baciò stringendola forte, come se da quel contatto dipendesse la sua stessa vita e lei capì; capì che quello era il suo modo di dirle ti amo e le andava bene così. 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 8. Notizia inaspettata ***


Ciao,

dopo sei giorni di raro flusso creativo quasi ininterrotto, ho portato finalmente a termine anche questo ottavo capitolo che, devo dire, non mi dispiace poi così tanto. È stato particolarmente difficile da scrivere. In realtà tutta questa prima parte della storia mi sta risultando difficile, perché vorrei saltarla e arrivare dritto al punto, ma poi non avrebbe senso quindi mi devo solo mettere l’anima in pace e avere pazienza. Insomma, tutto questo per dirvi che sarebbe bello sapere come lo avete trovato, dato che ho una paura folle che sia tutto un po’ noioso.  

Buona lettura. 



 

Capitolo 8

 

Da quando Sirius Black era tornato in quella casa, il tempo aveva ripreso a passare molto più in fretta, esattamente come era successo in estate. Una mattina Hazel si svegliò e si accorse che le feste di Natale erano passate, che gli esami erano vicini e che lei aveva perso le ultime settimane chiusa in quel mondo fatto di cose che non sapeva nemmeno di desiderare, come svegliarsi accanto a lui ogni singola mattina e guardarlo dormire nella penombra di quella che era diventata la loro camera da letto, o cenare sul divano guardando tutti i film che lui si era perso nel corso degli ultimi dodici anni. 

La prima settimana del 1994 passò con sorprendente rapidità, e mentre lei tornava a dividersi tra il college e il lavoro in libreria, si rese conto del fatto che non sarebbe riuscita a sopportare di perdere l’unica persona di cui le fosse mai importato veramente qualcosa; se Sirius fosse finito ad Azkaban era certa che avrebbe lottato per lui e per la sua innocenza fino all’ultimo, senza mai arrendersi, ma era comunque terrorizzata che questo potesse accadere. 

Mentre le luci natalizie sparivano dalle strade e dalle vetrine dei negozio, Sirius andava e tornava da Hogwarts, smaterializzandosi direttamente in casa di Hazel almeno due volte a settimana, ma capitava spesso che passassero giorni senza che di lui ci fosse nessuna traccia. Durante quelle prolungate assenze, Hazel si lasciata trascinare dall’ansia e dalla tristezza, la sera cenava da sola con quel che capitava e poi, semplicemente, sperava di sentire il familiare suono che accompagnava l’apparizione della figura di lui. Nonostante le paure e le angosce che riempivano quelle giornate un po’ vuote, Hazel era certa di non essersi mai sentita più felice di così in vita sua. 

Sapere che c’era qualcuno lì per lei, qualcuno che le voleva il suo bene e a cui lei poteva dire tutto, le trasmetteva una strana sensazione e piacevole, qualcosa di mai provato prima. Era come se Sirius Black fosse sempre stato il tassello mancante del mosaico della sua vita, il pezzo capace di riempire perfettamente quello spazio vuoto che sentiva da sempre.

Le prime settimane di gennaio furono talmente piacevoli che perfino la signora Manning si accorse che c’era qualcosa nell’aria, prendendo dunque a tempestare Hazel di domande, finché non riuscì a cavare qualcosa dalla sua bocca. 

- Be’, allora, come si chiama? - Le aveva chiesto eccitata, quando la ragazza aveva finalmente ammesso che c’era qualcuno nella sua vita. 

Hazel allora aveva sospirato e si era lasciata sfuggire un piccolo sorriso divertito, prima di cimentarsi nella descrizione della versione babbana e non ricercata di Sirius Black: 

- Sì chiama… James, è di Londra e nella vita fa… il banchiere. - 

 

Quella mattina di inizio febbraio, mentre la neve si scioglieva e i primi fiori spuntavano dal bianco manto innevato che aveva ricoperto Downies negli ultimi due mesi, Hazel stava spazzando il pavimento della libreria, canticchiando a bassa voce una canzone dei Beatles, mentre Gwen la guardava con interesse, seduta dall’altra parte del bancone di legno, scrutandola con uno sguardo sospettoso. Da quando era tornata a lavoro, dopo le vacanze di Natale, Hazel sembrava diversa. Era molto più carina del solito; la sua pelle era luminosa e liscia, i suoi capelli sembravano una morbida cascata di seta dello stesso colore del cioccolato, era anche molto più formosa, come se avesse preso qualche chilo, cosa che le aveva permesso di scrollarsi di dosso quell’aspetto da ragazzina denutrita che l’aveva sempre caratterizzata. D’altra parte, però, Hazel sembrava essere diventata vittima di strani sbalzi d’umore che la rendevano intrattabile e poi nuovamente allegra nel giro di meno di un minuto. Quella mattina, inoltre, un nuovo allarmante sintomo era comparso: la nausea. 

Hazel era chiaramente incinta, e la signora Manning era convinta che la ragazza non ne avesse idea, dato che continuava a fumare e ad ordinare il pranzo da Mary La Zozza (cosa non raccomandabile nemmeno per chi non fosse in stato interessante). 

Quando la giovane sospirò, abbandonandosi contro uno degli scaffali pieni di libri, la scopa ancora in mano, Gwen si ritrovò catapultata di nuovo fuori dai suoi ragionamenti, ritrovandosi ancora a fissarla. Hazel aveva l’aria stremata, come se fosse influenzata e febbricitante, o come se quella sera non avesse dormito molto.  

- Hazel, tesoro, ti senti bene? - Le chiese Gwen, con la voce accesa da una bella dose di apprensione, aggirando il bancone e avvicinandosi a lei. 

Hazel si affrettò ad annuire. - Sì… ultimamente sono solo un po’ acciaccata. - Rispose, abbozzando un sorriso. - Forse dovrei prendere qualche integratore. - 

Gwen la guardò con uno sguardo molto preoccupato. Voleva bene a quella ragazza, la considerava una delle poche persone per bene in quel paese di vipere. La conosceva da quando era solo una bambina, era andata a scuola con sua madre e quando, quattro anni prima, l’aveva vista entrare in quella libreria in cerca di un lavoro, non aveva esitato nemmeno un momento e l’aveva assunta. 

Mai, nemmeno una volta in tutti quegli anni, Hazel aveva avuto parole cattive da rivolgere a qualcuno, era una persona buona, a tratti quasi ingenua, e Gwen si sentiva addolorata nel sapere che, proprio come lei, anche Hazel non aveva quasi praticamente quasi nessuno. 

- Hazel, tesoro… - Esordì, dopo un lungo sospiro. - Ascolta, io non voglio sembrare troppo invadente, ma credo che tu non sia solo un po’ acciaccata. - 

Hazel si accigliò. - Gwen, ti prego, non licenziarmi. - La supplicò, impaurita. - Io ho un disperato bisogno di questo lavoro, lo sai. - 

- Oh, no no, non voglio licenziarti! - Si affrettò a dire l’altra. - Sono solo un po’ preoccupata e vorrei solo che ti facessi vedere da un medico. Quindi domani prenditi una giornata libera e fatti visitare. Magari non hai niente di grave, potresti avere solo una lunga influenza o… magari essere incinta, per quel che ne sappiamo, no? - 

Hazel sgranò gli occhi e spalancò la bocca, rimanendo per un attimo pietrificata. Aveva l’espressione di chi era stato appena rapito da un densissimo flusso di pensieri, come  se davanti ai suoi occhi stessero passando decine di fotogrammi. - No. - Disse poi, con fermezza, scuotendo la testa. - Non sono incinta. Impossibile che io lo sia. - 

- E perché? Vorresti dirmi che tu e il banchiere non fate sesso? - Chiese Gwen, perplessa. 

Hazel alzò gli occhi al cielo. - Sì che lo facciamo, ma stiamo sempre stati molto attenti, non sono mica scema. - Ribatté. - Anche se una volta… - 

- Lo sai benissimo che una volta può bastare. - La bacchettò Gwen. - Devi fare il test il prima possibile, soprattutto se non vuoi tenerlo. - 

Hazel sentì improvvisamente il cuore stretto in una morsa. Non aveva mai desiderato dei figli, ne era certa fin da piccola ed era sempre stata più che sicura che, nel caso in cui fosse rimasta incinta per sbaglio, non ci avrebbe pensato nemmeno per un secondo e sarebbe corsa ad abortire. Invece, mentre era lì, in piedi davanti a Gwen, la sola idea di farlo la turbava ma, allo stesso tempo, le sembrava di assistere alla fine di tutti i suoi sogni: non sarebbe mai diventata un’artista, non avrebbe mai esposto al MoMa, non ci sarebbe stato più spazio per la pittura, la fotografia o la scultura ma solo per pappette e pannolini. 

E se, per qualche sfortunato evento, Sirius fosse ad Azkaban, lei se la sarebbe dovuta cavare totalmente da sola; o magari se ne sarebbe andato via, proprio come aveva fatto suo padre, lasciandola sola con sua madre. 

- Non sono incinta. - Insistette, imperterrita. - Davvero, non preoccuparti per me. Ho solo un malanno passeggero, nulla di grave. Non sono incinta, non posso esserlo. - 

Gwen sospirò esitando un momento prima di parlare. - Va bene, cara. - Acconsentì, cercando di non sembrare troppo accigliata. - Per oggi basta così. Vai a casa e riposati. - 

Hazel annuì. - Grazie, Gwen. - Disse, mentre si infilava la giacca pesante e si avvolgeva nella sua sciarpa di lana rossa. - Mi rimetterò presto, te lo prometto. -   

 

°°°°°°°°°°°°°°°°°

 

Hazel era ferma davanti allo specchio del bagno, le mani appoggiate al bordo candido del lavandino e lo sguardo fisso sul suo riflesso, che quasi sembrava giudicarla. Non le era mai piaciuto guardarsi allo specchio. Anzi, lo detestava: aveva sempre detestato il suo aspetto, la sua faccina da ragazzina, quei suoi comunissimi capelli castani, i suoi occhi banalmente scuri, tremendamente nella media anche quelli. Non c’era nulla nel suo corpo che potesse in qualche modo attirare uno sguardo, non c’era nulla che fosse degno di essere commentato.

Hazel sospirò, per poi abbassare lo sguardo sulla mensola montata proprio sotto allo specchio, dove il test di gravidanza che aveva appena fatto giaceva senza dare nessun segno. Doveva aspettare circa cinque minuti, questo c’era scritto sulla spiegazione, ma il tempo sembrava essersi pietrificato. 

Lei era lì, immobile davanti a quello specchio, il cuore che quasi non le batteva più per l’angoscia, da quella che le sembrava un’eternità, finché qualcosa, finalmente, accadde. La ragazza afferrò il bastoncino di plastica e lo osservò attentamente: lì, dove prima non c’era niente, erano apparse due piccole linee rosa, una accanto all’altra, inequivocabilmente ben visibili.  

Hazel si ritrovò a gemere sommessamente, alzando gli occhi al soffitto, prima di lasciar cadere il test nel lavandino come se fosse diventato incandescente, ritrovandosi subito dopo seduta sul bordo della vasca, il viso nascosto nelle mani. 

Per tutta la vita aveva sempre cercato di fare la scelta giusta, di comportarsi bene, di assicurarsi quel futuro che per una come lei non era affatto scontato. Aveva studiato, aveva lavorato, non si era concessa nemmeno un secondo per perdere il controllo, ma era bastato un solo attimo, un solo passo falso, per far crollare tutto. 

Si sfiorò il ventre ancora piatto con la punta delle dita, e fu quello il momento in cui il suo cuore saltò un battito, mentre un sentimento immenso, mai provato prima, invaderla in ogni parte del suo corpo. Si rese improvvisamente conto che non importava quale lavoro sarebbe finita per fare, l’unica cosa che contava in quel momento era poter dare una vita felice a quell’essere che stava crescendo dentro di lei.  

Gli occhi le si appannarono e Hazel si lasciò sfuggire un singhiozzo. Si chiese come avesse fatto suo padre ad abbandonarla, si chiese il perché sua madre preferisse drogarsi piuttosto che stare con lei; com'era possibile se lei invece amava già più di sé stessa quel minuscolo ammasso di cellule, quella creatura che non era nemmeno ancora un vero essere umano? 

La porta alle sue spalle bussò e lei si portò una mano al cuore, spaventata. - Hazel? - La chiamò la voce di Sirius, dall’altra parte della soglia. 

Hazel sospirò. Non lo vedeva da almeno tre giorni, ma era stata contenta di trovare la casa vuota quando era tornata. Ma adesso lui era lì e la ragazza non era per nulla pronta, né tanto meno preparata, per affrontare con lui l’argomento bambino. 

Si affrettò ad infilare nuovamente il test nella scatola, che a sua volta finì nel piccolo armadietto appeso accanto allo specchio, poi si voltò, raggiunse la porta e la spalancò. 

Davanti a lei, Sirius fece un sorriso che Hazel trovò decisamente molto irritante. Ultimamente lui era così di buon umore da risultare quasi fastidioso, era talmente positivo e speranzoso che tutto si sarebbe risolto nel migliore dei modi che forse Hazel si era lasciata trascinare un po’ troppo da quella strana spensieratezza. 

- Vuoi vedere un asticello? - Esordì allegramente Sirius. 

L’espressione di Hazel rimase impassibile. Di solito era incuriosita tutto ciò che riguardava la magia e, qualunque cosa fosse un asticello, era certa che le sarebbe piaciuto, ma non in quel momento, non mentre tutta quella preoccupazione le gonfiava il cuore. - No. - Tagliò corto, raggiungendo le scale. 

Sirius rimase per un momento fermo e perplesso, poi la seguì. - Ma è una cosa che piace sempre alle ragazze babbane! - Esclamò. 

Hazel si fermò di scatto, voltandosi verso di lui e guardandolo con un’espressione truce in volto. - Alle ragazze babbane. - Ripeté, gelida. - Quindi fai così con tutte? - 

Sirius fece un sorrisetto beffardo. - No, non con tutte. - Rispose. - Solo con quelle che mi piacevano molto. E poi non ho conosciuto molte ragazze babbane, a dir la verità. - 

Lei incrociò le braccia sul petto e riprese a scendere svogliatamente le scale, senza aggiungere altro. Lui a sua volta la seguì, guardandola perplesso. Hazel non era quasi mai di cattivo umore; a parte quei rari momenti in cui, soprattutto in tarda notte, si lasciava andare a qualche cattivo ricordo, tendeva ad essere sempre allegra. Eppure, quel giorno, sembrava sul punto di esplodere. 

- Però di ragazze in generale ne hai conosciute molte. - Borbottò lei ad un certo punto, una volta arrivata nella sala da pranzo, buttandosi sul divano. 

Sirius scrollò le spalle e poi si sedette al suo fianco. - Non più di chiunque altro. - Disse. 

Hazel si limitò a fare un verso sprezzante, senza neppure guardarlo. Non sapeva per quale motivo, ma aveva una assurda voglia di litigare con lui, allontanarlo prima che potesse essere lui a lasciarla. Ingoiò a fatica le lacrime, cercando disperatamente di apparire stoica e distaccata, senza riuscirci. 

- Ma che hai? - Le chiese Sirius, con urgenza, avvicinandosi. - Questa mattina ti sei svegliata e ti sei resa improvvisamente conto che sono stato con altre donne prima di te? - 

Hazel scosse la testa e poi singhiozzò, senza proferire parola, continuando a guardare dritto davanti a lei, gli occhi lucidi che sembravano molto più grandi del solito e che le davano l’aspetto di una piccola e triste bambola di porcellana.  

Sirius si ritrovò a fissarla sorpreso e a bocca aperta. - Hazel, ma cosa… che succede? Cosa c’è? - Le domandò ancora, facendola voltare nella sua direzione. - Non mi vuoi più qui? Guarda che non hai nessun obbligo nei miei confronti, puoi dirmelo. -  

Lei singhiozzò ancora e scosse la testa, prima di scoppiare finalmente in lacrime. Si sentiva il petto in fiamme, la gola stretta in un nodo; era come se stesse piangendo per tutte quelle volte in cui non l’aveva fatto, tentò di parlare ma le parole le morirono in bocca. Qual era la frase giusta per comunicare una cosa del genere? Forse quella più semplice, pensò, allontanandosi da lui di qualche centimetro, quel tanto che bastava per poterlo guardare nuovamente negli occhi. 

- Sono incinta. - Disse con voce soffocata, e solo in quel momento riuscì a smettere di piangere. 

Lui sgranò gli occhi, come se Hazel lo avesse colpito in piena faccia con uno schiaffo, e continuò a guardarla in silenzio per una manciata di secondi, il volto che ospitava un’espressione illegibile. - Oh. - Disse solo, dopo quella che sembrò un’eternità. 

- Ho intenzione di tenerlo. - Lo avvertì lei. - Ma non ti sei costretto a rimanere, non sarai costretto a fare il padre se non vuoi. - 

- Cosa? - Fece Sirius, incredulo. - Hazel, io resto con te, resto con voi; e sì che voglio fare il padre! Non sapevo neppure di volerlo, ma sì! -  

Hazel apparve sorpresa e, nonostante stesse tentando ancora di apparire imperturbabile, quasi si lasciò scappare un sospiro di sollievo. - Davvero? - Gli chiese, scrutandolo. 

- Certo. - Annuì Sirius, facendo un sorriso. 

Si abbracciarono, e per Hazel fu come tornare a respirare. 

- Sirius? - Mormorò lei, poco dopo, con il volto ancora nascosto contro il suo petto. - Cos’è un asticello? - 

Sirius rise sommessamente e poi, dalla tasca dei suoi pantaloni, fece capolino una minuscola creatura di legno simile ad uno stano folletto, dotato di braccia e gambe nodose e marroni, dita a rametto al termine di ciascuna mano e una buffa faccia piatta di corteccia. Sembrava intimorito, infatti se ne rimase lì fermo, infilato per metà nella tasca dell’uomo. - Sono creature un po’ timide, ma facili da addomesticare. - Spiegò Sirius, guardandolo. - L’ho trovato nella Foresta Proibita, a Hogwarts, abbiamo fatto amicizia e ora eccolo qui. Come vuoi chiamarlo? - 

Hazel guardava l’asticello come solitamente avrebbe guardato un cucciolo di gattino e, a sua volta, la creatura guardava lei con due piccoli occhietti luminosi, neri e sfuggenti. 

- Che nome si da ad un asticello, di solito? - Domandò, alzando lo sguardo verso Sirius. 

Lui si strinse nelle spalle. - Non lo so, non sono propriamente animali da compagnia. - 

- Sembra un po’ una strana foglia rinsecchita. - Osservò Hazel, beccandosi le proteste della piccola creaturina.  - Che ne dici di Leaf? - 

Sirius guardò l’asticello. - Che ne dici? - Gli domandò. 

La creatura squittì, e Hazel si ritrovò a sorridere. - Chissà se sarà così facile anche trovare un nome per nostro figlio! -   


 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo 9. Chiacchiere tra amici ***


Capitolo di passaggio che però è molto necessario. Dal prossimo in poi giuro che la storia avrà qualche scossa, tenete duro e, se vi va, ditemi cosa ne pensate. 



Capitolo 9

 

Sdraiato sul letto ma con gli occhi spalancati, Sirius Black fissava il soffitto, il volto accartocciato dalla preoccupazione. Erano mesi che riposava ancora peggio del solito, più o meno da quando aveva saputo della gavidanza di Hazel.

Era ricercato in tutto il mondo, l’anno scolastico di Harry stava per terminare e lui ancora non era riuscito a mettere le mani su Peter Minus; questi erano i pensieri che lo tormentavano e lo tenevano sveglio. 

Sirius fece un secco sospiro, prima di voltarsi alla sua destra: Hazel, sdraiata e rivolta nella sua direzione, dormiva beata ed era bellissima, con i suoi capelli castani e folti sparsi sul cuscino come una sorta di criniera, gli occhi serrati e la labbra schiuse. Respirava lentamente, il petto le si alzava e le si abbassava a tempo, la pancia che finalmente iniziava a notarsi. Sembrava così fragile. 

Durante gli ultimi mesi, non c’era stato un giorno in cui Sirius non si fosse maledetto per il guaio che aveva combinato. Era consapevole che far nascere un bambino in un mondo come quello era una vera e propria follia, ed era stato più volte sul punto di andarsene via, nella speranza di poter tornare una volta che tutto fosse finito, così da poter regalare a Hazel e al bambino una vita normale, ma non c’era mai riuscito. Si sentiva così dannatamente egoista. 

Sirius si avvicinò a lei ancora un po' e la abbracciò, beandosi di quel contatto e inebriandosi del suo profumo, sperando segretamente che si svegliasse.

Quando Hazel spalancò faticosamente gli occhi, lo guardò assonnata attraverso l’oscurità della stanza. - Che succede? - Gli chiese. 

Sirius sospirò e basta. Aveva imparato che con lei non c'era bisogno di usare troppe parole. 

- Vieni qui. - Mormorò Hazel, abbracciandolo. Lo cullò tra le sue braccia, accarezzandolo e lasciando piccoli baci tra i suoi capelli, mentre lui la stringeva come se ne valesse la propria vita. Ultimamente succedeva sempre più spesso che Sirius cadesse in quei momenti di sconforto, esattamente come quando, all’inizio, lo vedeva intristirsi improvvisamente e senza un apparente motivo reale. - Anche io ho paura. - Gli rivelò Hazel parlando piano. - Ma noi non possiamo permettercela. - 

- Lo so. - Disse lui, con la voce roca e una mano sulla pancia di della ragazza. - Non saprei proprio cosa fare se tu non ci fossi. Sono così fortunato ad averti. - 

Hazel lo guardò sorpresa, Sirius non diceva mai cose del genere. - Anche io non saprei cosa fare senza di te. - Gli disse, accarezzandolo. 

- Probabilmente staresti molto meglio, magari con uno della tua età, con cui puoi fare cose normali. - Borbottò Sirius.  

Hazel alzò gli occhi al cielo, sospirando. - Che ci vuoi fare… sono stata ammaliata da questo tuo aspetto da bello e dannato, cadendo così tra le tue braccia.- Disse, sarcastica. 

- Dico davvero, potresti ave… - Sirius si fermò di botto, spalancò gli occhi perplesso e poi guardò Hazel come se si aspettasse di vederla morire da un momento all'altro. - Il bambino si è mosso? - Chiese terrorizzato e sorpreso insieme. 

- Sì, ultimamente è un po' scalmanato. - Disse Hazel, posando la mano su quella dell'uomo. - O forse non gradisce quando suo padre fa il melodrammatico; vero, piccolino? - 

- Non posso crederci che mancano solo quattro mesi. - Sussurrò Sirius, prima di posare le labbra su quelle di lei. - Spero che Ozzy ti somigli. - 

- Per l'ultima volta, non chiamerò mio figlio Ozzy solo perché il tuo cantante preferito è Ozzy Osbourne. - Esclamò Hazel, come se avessero fatto questo discorso almeno una decina di volte.

- Se è per questo non lo chiameremo nemmeno Marcel perché il tuo artista preferito è Duchamp. - Ribatté Sirius. - Ma perché diamo per scontato che sia un maschio? - 

- Non lo so, però devo ammettere che l’idea di avere una bambina non mi dispiacerebbe affatto - Rivelò Hazel, sorridendo. - Tu come la chiameresti? - 

Sirius ci pensò su per qualche istante. - Nella mia famiglia c’è stata una donna, durante la metà del 1800. - Iniziò a raccontare, con lo sguardo perso nell’oscurità. - Si chiamava Iola, fu anche lei bruciata dall’albero genealogico, dato che aveva scelto di sposare un babbano. Non so per quale motivo ma, un giorno, decisi che, se mai avessi avuto una figlia, l’avrei chiamata come lei. E tu, invece, come la chiameresti? - 

- Daisy, come mia madre. - Rispose Hazel. - Ma temo che sia un po’ troppo babbano. -  

- Tanti maghi e tante streghe hanno nomi babbani. - Obiettò Sirius. - Harry ha un nome da babbano, ad esempio, come Lily e James. - 

Hazel si voltò verso di lui, stendendosi poi sul fianco, rivolta nella sua direzione. Attraverso la luce fioca che trapassava i vetri della finestra chiusa, la ragazza poteva vedere il profilo regolare dell’uomo, i lineamenti sfuggenti nell’oscurità, i capelli che gli arrivavano più o meno alle spalle in modo disordinato, la forma del suo naso e delle sue labbra. Non era passato nemmeno un anno da quando l’aveva trovato nella sua cucina, durante quella notte di tempesta, ed era infatti assurdo pensare a quante cose fossero cambiate in quegli ultimi dieci mesi. 

- Chissà se piacerò a Harry. - Mormorò Hazel, pensierosa. - Insomma, ha otto anni in meno di me, sono molto più vicina a lui di quanto io non lo sia a te, ma è proprio questo che mi spaventa. Gli adolescenti sono strani. - 

- Magari sarò io a non piacergli. - Rispose Sirius, con un tono amaro e le labbra piegate in una smorfia di disapprovazione. - Magari vorrà restare con i suoi zii. - 

Hazel fece un piccolo sorriso e scosse la testa. - Credo sia impossibile che tu non gli piaccia, Sirius. - Gli disse. - Se io incontrassi il migliore amico dei miei genitori, il mio padrino, credo che lo adorerei a prescindere da tutto, e ti assicuro che a tredici anni questo sarebbe stato molto più amplificato. Quindi ti adorerà, te lo assicuro. -   

- Lo spero. - Rispose Sirius. - Ma perché non hai mai cercato qualcuno legato alla tua famiglia? Non so, magari qualche parente o direttamente tuo padre? - 

Quella domanda uscì di getto dalle sue labbra, tanto che si pentì quasi subito di averla pronunciata. 

Non avevano mai parlato troppo dell’infanzia di lei, ma era certo che quello non fosse affatto tra gli argomenti preferiti di Hazel. Il suo sorriso, infatti, si increspò, ma non diede altri segni di turbamento. - Non ne ho mai sentito il bisogno. - Spiegò, usando il tono di una che stava dando una risposta di circostanza. - Non ho voglia di sbattermi per cercare una persona che probabilmente non vuole conoscermi. - Aggiunse. 

- Potresti chiedere a qualcuno che conosceva tua madre. - Disse Sirius. - Oppure pot… - 

- No, ha fatto le sue scelte, e io non voglio averci niente a che fare. - Lo interruppe gelidamente lei. - E comunque non avrei bisogno di chiedere informazioni a nessuno: io ho il suo cognome, non quello di mia madre, quindi vuol dire che mi ha riconosciuta e che dunque il suo nome probabilmente appare sul mio certificato di nascita. - 

- E non sei curiosa di sapere chi è? Nemmeno un po’? - Rimbeccò lui. 

- Esattamente. Come ti ho già detto non ne ho mai sentito il bisogno. - Ribatté Hazel, alzando i lati della bocca in un sorriso forzato. - Secondo te, per Harry, sarà un problema dividere la stanza con il bambino? - Chiese poi, cercando di sviare il discorso. 

Sirius fece spallucce. - Non so nemmeno se vorrà effettivamente vivere insieme a me, quindi per ora non mi sto ponendo quesiti simili. - Disse. - In caso, però, forse avremmo bisogno di un po’ più di spazio, non credi? - 

- Hai qualche soluzione alternativa? - Domandò Hazel. 

Sirius annuì. - C’è la mia vecchia casa, quella che ho comprato con i soldi di zio Alphard molti anni fa. - Rispose, facendo un sorrisetto nostalgico. - Potremmo trasferirci lì tutti insieme. Secondo me ti piacerebbe Londra, è piena di musei e altre cose di quelle cose da intellettuali che ti piacciono tanto. Certo, non c’è il mare e tutto questo spazio, ma Harry e il bambino avrebbero una camera tutta per loro, e se mai avessimo altri figli… - 

- Oh no. - Fece lei ridendo nervosamente. - Non avremo altri figli. - 

- Ma avere dei fratelli è bello! - Esclamò Sirius. - Io e Regulus andavamo molto d’accordo all’inizio. Avrei avuto un’infanzia ancor peggiore senza di lui. - 

- Immagino che sia bello avere dei fratelli con cui crescere, ma ti assicuro che essere incinta invece è davvero orribile. - Disse Hazel, annuendo solennemente. - È come essere posseduti da qualcosa che ti fa venire sempre fame, sonno o voglia di scopare. - 

- Il che non mi sembra poi così tanto lontano da come sei quando non sei incinta, dopotutto. - Rispose Sirius, facendo un sorrisetto innocente. 

- Una volta l’ultima cosa ti piaceva. - Obiettò Hazel sogghignando. 

- Infatti mi piace, ragazzina. Non hai idea di quanto mi piaccia. - Mormorò l’uomo, prima di posare le labbra su quelle di lei. - Ma sarebbe tutto ancora più bello se potessi chiamare mio figlio come uno dei membri storici dei Black Sabbath. - Aggiunse.

Hazel alzò gli occhi al cielo. - Facciamo così. - Disse, tentando un negoziato. - Quando sarà nato lo guarderemo e decideremo solo in quel momento il nome, a seconda della faccia che avrà e, se per qualche sfortunata complicazione dovuta al parto dovesse somigliare a Ozzy Osbourne… non avrò nulla in contrario a chiamarlo come lui. -  

Sirius sorrise vittorioso, guardandola attraverso la luce bassa dei primi raggi dell’alba che avevano preso ad illuminare la stanza. Quella mattina, più di molte altre mattine, gli pesava anche solo l’idea di dover lasciare quel letto, ma raccolse ogni briciola di buona volontà dal fondo della sua mente e si tirò su, finendo seduto.  

Doveva prendere Peter prima della fine della scuola, altrimenti sarebbe stato tutto ancor più complicato ma, nonostante fosse ormai arrivato giugno da qualche giorno, Sirius non aveva ancora un vero piano. Dopotutto lui non era mai stato bravo a programmare, aveva sempre vissuto tutto al momento, d’istinto, senza pensare troppo, eppure più il tempo passava e più l’angoscia sembrava stringerlo in una morsa. Voleva tornare ad essere un uomo libero prima della nascita del bambino, poter accompagnare Hazel in ospedale, starle vicino per tutto il tempo e poter poi fare insieme a loro tutte quelle cose che, fino a poco tempo fa, aveva sempre considerato impensabili per lui.  

- Hazel, ti ricordi quello che mi hai detto a Natale? - Le chiese dopo qualche attimo di silenzio, alzando nuovamente lo sguardo sul suo volto. 

Lei parve non capire. - Cosa, precisamente? - Domandò dunque. 

- Che credi di essere innamorata di me. - 

Hazel annuì, guardandolo con una certa tensione e apprensione. -  Non credevo che te lo ricordassi, dato che eravamo entrambi un po’ ubriachi, però sì. E lo sono. - Disse. 

- Per me vale la stessa cosa. - Confessò lui. - Anche se probabilmente non riuscirò mai a dirtelo chiaramente, guardandoti negli occhi, voglio comunque che tu lo sappia. - 

Hazel lo guardò sorpresa, ma sorrise. - Ma io lo so. Però grazie per avermelo detto. - Gli disse, stringendogli la mano.  

Sirius sospirò, prima di avvicinarsi a lei per lasciarle un lieve bacio sulle labbra. - Adesso è meglio che vada. - Disse, costringendosi ad alzarsi in piedi. - Non so quando riuscirò a tornare questa volta, Hazel. Sono le ultime settimane di scuola e io devo sfruttarle al meglio per acchiappare quel maledetto topo. - Aggiunse con tono funebre. 

- Non preoccuparti per me. Piuttosto tu non farti ammazzare o baciare dai dissennatori. O da persone che non siano me. - 

 

°°°°°°

 

Il maestoso ippogrifo, cavalcato da un uomo, atterrò con grazia davanti ad una casa ridotta ad un rudere, sperduta nelle campagne a qualche chilometro da York. Era l’ultima settimana di luglio, ma non faceva caldo come ci si poteva aspettare. Comunque nel cielo non c’erano nuvole e nemmeno la luna, il  manto nero era ferito solo da tantissimi piccoli puntini argentei e fissi, la sola vera fonte luminosa proveniva infatti dalla bacchetta che il mago teneva saldamente stretta in pugno. 

Sirius scese dalla groppa di Fierobecco e si guardò intorno. La casa che aveva davanti era interamente ricoperta di edera e, letteralmente, cadeva a pezzi. Legò l’ippogrifo al tronco di un albero rinsecchito alle sue spalle e poi attraversò il giardino pieno di erbacce, ritrovandosi davanti alla vecchia porta di legno ammuffito. 

Bussò forte un paio di volte e attese in silenzio che questa si spalancasse.  Pochi secondi dopo, avvertì un movimento dietro la soglia, che si aprì di uno spiraglio. Un uomo con dai capelli castani striati di grigio, con indosso un pigiama vecchio e rattoppato, ricambiò perplesso il suo sguardo. - Sirius! - Esclamò, felice e sorpreso insieme. - Che ci fai qui? Ti credevo fuggito all’estero. - 

- Sì, in effetti sono appena tornato. Devo parlarti di una cosa importante. - Disse, alla svelta. - Mi fai entrare o sei con qualche donzella, eh, Lunastorta? - 

Remus alzò gli occhi al cielo ma sorrise. - Non essere ridicolo, Felpato. - Rispose, facendosi di lato per lasciarlo passare. - Vieni, accomodati e dimmi cosa hai combinato. - 

L’ingresso della casa non era altro che un corridoio buio e umido, che a sua volta dava subito su una cucina altrettanto trascurata, dai mobili vecchi e dalle pareti ammuffite. Nonostante l’aspetto dimesso di quel luogo, tutto era estremamente pulito e ordinato, proprio come ci si poteva aspettare da uno come Remus. 

Al centro della cucina c’era un tavolo quadrato di legno circondato da sedie dello stesso materiale, qualche metro più a destra era stato sistemato un vecchio frigorifero e, a sinistra, i fornelli con il piano da lavoro. Non c’erano piatti sporchi abbandonati nel lavandino come invece capitava spesso a casa di Hazel e nemmeno tazze di tea abbandonate qua e là. 

Sirius si lasciò cadere distrattamente su una delle sedie e poi posò finalmente lo sguardo su Remus, che nel frattempo aveva preso due burrobirre e si era sistemato davanti a lui, dall’altra parte del tavolo. Era passato poco più di un mese da quella notte alla Stamberga Strillante, quando Sirius si era ritrovato nuovamente ad un passo da Azkaban, finendo poi costretto a scappare via abbastanza lontano da far perdere le sue tracce. Non vedeva Hazel da quella mattina in cui era uscito da casa sua all’alba e, nonostante si fosse lasciato sfiorare più volte dal pensiero che forse sarebbe stato meglio per lei se non fosse più tornato, non c’era stato un giorno in cui non avesse pensato a lei e al bambino. Se la immaginava a casa da sola, con la pancia che cresceva e soprattutto piena di rabbia nei suoi confronti. Ma non poteva tornare, non fino a che i controlli per la Coppa del Mondo di Quidditch non si fossero allentati, altrimenti rischiava di metterla in un mare di guai. 

- Allora? - Fece Remus, distraendolo dai suoi pensieri. - Cosa è successo? - 

- Perché pensi che sia successo qualcosa? - Gli domandò dopo un sospiro, guardando con aria pensierosa la bottiglia di burrobirra davanti a sé.

- Sei arrivato nel cuore della notte, e ora te ne stai seduto lì, con la stessa espressione che avevi quando mi hai confessato del casino che avevi combinato con Piton durante il nostro quinto anno. - Disse Remus, con un tono piuttosto bonario. - Hai combinato qualcosa, te lo leggo in faccia. -  

Sirius tirò un sospirò profondo. - L’anno scorso, pochi giorni dopo la mia fuga da Azkaban, mi sono imbattuto in una casa che pensavo essere abbandonata, sulla costa orientale della Scozia, vicino Aberdeen. - Iniziò a parlare, cercando di partire proprio dall’inizio. - Ero così stanco, avevo freddo e fame, ero quasi certo che sarei morto se non avessi trovato un riparo solo che, quando sono entrato, mi sono reso conto che quel posto era tutt’altro che disabitato. - 

Remus guardò l’amico senza capire. Sirius stava tergiversando, cosa non da lui, che invece tendeva ad andare dritto al punto, così decise di tacere, spingendolo a continuare il suo racconto.  

- C’era una ragazza, in quella casa. - Tornò dunque a parlare Sirius. - Lei mi ha accolto, mi ha ospitato per tutta l’estate e mi ha rimesso in sesto sotto ogni punto di vista. Dopo dodici anni passati in una cella di pochi metri non mi sembrava vero di poter dormire nuovamente su un letto, di poter indossare degli abiti sempre puliti e soprattutto di avere qualcuno con cui parlare. Non so come sia capitato, ma ci siamo innamorati. - 

Remus inarcò le sopracciglia, sorpreso. - Questa si che è una cosa strana da sentire dalla tua bocca. - Disse sorridendo. - Ma perché sembri turbato? - 

Sirius esitò, si portò la burrobirra alle labbra prendendosi tutto il tempo necessario per scegliere le giuste parole. Quando posò nuovamente la bevanda sul tavolo, alzò gli occhi sull’amico e sospirò. - Lei è incinta. - Rispose. 

Remus per poco non si strozzò con la burrobirra e prese a tossicchiare, guardandolo con occhi sgranati, l’espressione illegibile. - Non dici sul serio! - Esclamò, incredulo. - Sei forse impazzito? Tu sei ricercato e lei… per Godric, è una babbana, non è vero? Ti rendi conto di quanto questo sia pericoloso e… - 

- Sì, Remus, per questo sono qui. - Lo interruppe Sirius, alzando gli occhi al cielo. - Il bambino dovrebbe nascere a settembre e io ho bisogno di te. Non posso tornare da lei, come hai detto anche tu è pericoloso. Non la vedo dall’inizio di giugno ma preferisco che mi odi piuttosto che rischiare di metterla nei guai. - 

Remus guardò Sirius stringendo gli occhi color ambra nella sua direzione. - Cosa vuoi che faccia, precisamente? - Gli domandò. 

- Vorrei che tu la tenessi d’occhio per me. - Spiegò Sirius. - Hazel non ha nessuno, nessun parente, nessun genitore, ma non voglio che affronti tutto da sola. Ho bisogno che tu ti prenda cura di lei mentre non ci sono. - 

Remus sospirò, portandosi una mano al volto stanco. - Cosa sa di me? - Domandò.  

- Tutto. Sì, anche del tuo piccolo problema peloso. - Rispose Sirius, cogliendo nello sguardo dell’altro i suoi pensieri. - Non pensa nulla di male di te, Lunastorta, e non ha paura. Sai, avete tantissime cose in comune. - 

Remus sospirò di nuovo. - Ad esempio? Dai, dimmi qualcosa della donna che è riuscita a conquistare il cuore di ghiaccio di Sirius Black. - 

Sirius si lasciò sfuggire un sorrisetto. - Lei è davvero bellissima. Ha un culo da paura e delle tette perfette. Tu non hai idea di quanto mi manchino quelle tette. - 

- Intendevo caratterialmente. - Si affrettò a spiegare Remus. 

- Oh… be’, Hazel è molto scozzese. - Disse allora Sirius, annuendo. - Sì, ha un accento molto marcato e delle volte dice parole strane, ma ti abituerai. È gentile, molto spesso troppo gentile, irritantemente gentile, ma questa è anche una delle cose che più preferisco di lei. Ah, è una artista, dipinge e scatta fotografie, però io i suoi quadri non li capisco e li trovo un po’ inquietanti, ma non dirglielo. Lavora in un libreria e studia storia dell’arte. - 

- Studia? Quanti anni ha? - Domandò Remus. 

- Ha compiuto ventun’anni qualche giorno fa. - Rispose Sirius, sbrigativo. 

Remus unì le mani davanti a sé e sospirò, scuotendo la testa. - È praticamente una ragazzina. - Lo ammonì. - Sei stato davvero imprudente. - 

Sirius alzò gli occhi al cielo. - Quanto sei pesante, Lunastorta! - Esclamò, incrociando le braccia sul petto. - Non mi serve una ramanzina, ho già parecchi sensi di colpa anche senza il tuo aiuto. Insomma credi che l’abbia scelto io di innamorarmi di lei? È successo e basta. Sarebbe stato semplice cancellarle la memoria e andare via, lo so, ma adesso anche solo il pensiero mi fa rabbrividire. -  

Remus guardò l’amico come se si trovasse davanti ad uno sconosciuto. Sirius stava difendendo la sua storia d’amore a spada tratta, e questo, in qualche modo, rendeva il lupo mannaro felice, ma anche molto preoccupato. - Va bene, Felpato. - Disse, dopo un lungo attimo di silenzio. - Ci penserò io a lei finché lo riterrai necessario. - 

- Grazie, Remus, vecchio mio. - Rispose Sirius. - Dille che non l’ho abbandonata. - 

- Lo farò. Però tu resta lontano dai guai. - 

Sirius annuì. - Non ti preoccupare. - Lo rassicurò. - Ma ora dimmi di te, come te la stai cavando? Cosa fai adesso per vivere? - 

- Mi arrangio, come al solito. - Disse Remus. - Lo sai che non riesco a tenermi un lavoro per più di qualche mese. Per fortuna nell’ultimo anno sono riuscito ad accumulare qualche galeone. Per il resto è tutto come al solito. - 

- Sai, in tutti quegli anni ad Azkaban ti ho sempre immaginato sposato. - Disse Sirius, dopo aver bevuto. - Tu sei portato per la vita familiare, Lunastorta. Non come me. - 

Remus fece un verso sprezzante. - Lo sai che non posso avere quel tipo di cose. - Rispose. 

Sirius guardò il soffitto, facendo un gesto svogliato con la mano. - Sì, lo dici da sempre, ma secondo me è un limite che ti stai ponendo da solo. - Gli disse, certo. - Prima o poi troverai quella persona, e allora non ci sarà scusa che tenga. - 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo 10. Il dio degli inizi ***


Capitolo 10


Il piccolo villaggio di Downies, arroccato su un’alta scogliera davanti al Mare del Nord, era quanto di più insulso e sperduto ci potesse essere in tutta la costa dell’Aberdeenshire. Nonostante questo, soprattutto in estate, capitava di incrociare qualche turista lungo i sentieri immersi nella natura selvaggia, o in spiaggia, ma quasi mai in costume, viste le temperature che, anche con la bella stagione, non toccavano mai i trenta gradi.  

Il centro del paese era costituito da una piccola piazza pedonale dove, proprio nel mezzo, c’era una graziosa fontana circondata da panchine di ferro nere che quel caldo giorno d’estate erano state rese incandescenti dal sole, a destra c’era un piccolo pub in stile medioevale e a sinistra l’unica libreria della zona nel raggio di trenta chilometri. A dividerle, invece, c’era la piccola parrocchia che fungeva da centro nevralgico per la vita sociale di tutto il villaggio. 

Man mano che ci si allontanava da quella piazza, battendo strade sempre meno asfaltate e frequentate, spingendosi fino all’aperta campagna, ci si poteva finalmente imbattere in un piccolo e malconcio cottage dal tetto verde e dal giardino piuttosto trascurato. 

Lì, in piedi davanti al cancelletto tenuto chiuso da un pezzo di fil di ferro, Remus Lupin se ne stava fermo, con gli occhi fissi sulla porta chiusa dall’altra parte del vialetto, preparandosi a incontrare Hazel Rains. Sirius gli aveva parlato così tanto di lei, qualche notte prima, che gli pareva quasi di conoscerla. 

L’uomo tirò un respiro profondo.  Attorno a lui, l’aria sapeva di mare anche se il mare non si vedeva, e poi, approfittando di un improvviso moto di coraggio, aprì il cancelletto e lo varcò, attraversando il viale sterrato fino al portico. Bussò alla porta, attese e, quando questa finalmente si spalancò, si sorprese nel notare che la ragazza non era affatto come se l’era immaginata. Sebbene fosse piuttosto carina, non sembrava per niente il tipo di Sirius. Aveva un’aspetto troppo ingenuo, con quel viso pulito incorniciato da una banale capigliatura castana, gli occhi color nocciola contornati da un pronunciato paio di occhiaie che stavano lì ad indicare che forse non riusciva a dormire bene. Ma, soprattutto, quella ragazza non era nemmeno lontanamente paragonabile a quelle che c’erano state prima di lei nella vita di Sirius, che era sempre stato un tipo dai gusti parecchio ricercati. E invece, quella che sarebbe diventata la madre di suo figlio, era una ragazza… normale. Assolutamente e straordinariamente ordinaria. 

- Desidera qualcosa? - Chiese lei, dopo alcuni attimi di silenzio. 

Remus si riscosse. - Tu devi essere Hazel, vero? - Le domandò, facendo un sorriso cortese. - Sono Remus Lupin. - 

Hazel sussultò e la sua espressione da prima rilassata mutò, facendo diventare il suo viso teso e preoccupato. Cosa ci faceva quell’uomo lì? Perché Sirius non era con lui? Non aveva sue notizie da troppo tempo, anzi di lui non c’era traccia da nessuna parte, nemmeno più sui giornali o i telegiornali babbani. Per quanto ne sapeva poteva essere morto o ad Azkaban. 

- Oh no… - Mormorò angosciata e tesa. - Che cosa è successo? - 

- Va tutto bene, non ti preoccupare. - Si affrettò a dire Remus. - Sirius mi ha detto di venire qui. Sta bene, anche se sono successe tante cose. Se mi fai entrare ti racconto tutto.  - 

Hazel annuì e si fece di lato, lasciandolo passare. 

Dentro, la casa aveva l’aspetto di un posto felice e accogliente: c’era un divano rattoppato sistemato proprio davanti ad un camino spento, un tavolo circondato di sedie e affollato di libri, fogli e colori, un grosso tappeto che copriva la maggior parte del pavimento. E poi, sulle pareti, i famosi quadri inquietanti di cui Sirius aveva tanto parlato. Remus si fermò ad osservarne uno, una copia davvero ben riuscita di “Ettore e Andromaca” di De Chirico, notando poi che anche tutti gli altri seguivano più o meno lo stesso stile pittorico. 

- Noto che ti piace la pittura metafisica. - Osservò, voltandosi verso di lei. 

Hazel aggrottò la fronte. - Vorresti farmi credere che i maghi non sono tutti carenti in cultura generale come il tuo amico? - Chiese, sorpresa. 

- Mia madre era babbana, proprio come te, quindi vengo da entrambi i mondi. Inoltre è stata lei a farmi da insegnante prima che iniziassi a frequentare Hogwarts. - Rispose Lupin, sorridendo. - Per quelli come Sirius è diverso. -

- Immagino di sì. - Mormorò lei, in tono amaro, sedendosi sul divano. - Accomodati pure. Ti offrirei volentieri qualcosa ma non ho tempo di fare la spesa e dunque non ho praticamente niente, a parte molte scatolette di tonno. - 

- Non dovresti mangiare cose nutrienti viste le tue condizioni? - Domandò lui, scrutandola. 

Hazel alzò un sopracciglio, lasciando trapelare una leggera nota di fastidio nella sua espressione. - Sono incinta, non malata. - Ribatté, guardandolo di sottecchi.  

- Sì ma… - 

- Dov’è Sirius? - Gli chiese Hazel, interrompendolo. - Cosa è successo? Tu lo sai che è innocente, vero? - 

Remus sospirò. - Sì, lo so. - Rispose, sedendosi composto al suo fianco. - Sirius è dovuto scappare, purtroppo le cose non sono andate come aveva previsto e Minus è fuggito. Sirius ha rischiato di essere condannato al bacio del dissennatore, ma Harry e Hermione lo hanno salvato appena in tempo. - 

- Chi è questa Hermione? - Domandò Hazel, guardandolo a occhi stretti.

- Una studentessa di tredici anni amica di Harry. - Spiegò Remus, lasciandosi scappare un sorrisetto un po’ divertito. 

Hazel arrossì vistosamente, ritrovandosi a mugugnare qualcosa, imbarazzata per aver dato l’impressione di essere una stupida ragazzina gelosa. Prese un respiro profondo e chiuse gli occhi assaporando la piacevole sensazione di tutta quell’angoscia accumulata nelle quelle ultime settimane che lasciava finalmente il suo corpo: Sirius era vivo, stava bene e, almeno questa volta, si era degnato di mandarle un segno. Fu proprio mentre l’ultimo grammo di preoccupazione la abbandonava del tutto che Hazel sentì qualcosa di diverso fare capolino dentro di lei. Si sentiva arrabbiata, si sentiva stanca e soprattutto si sentiva incapace di affrontare quella valanga di problemi che Sirius aveva portato con sé entrando nella sua vita. 

- Quindi lui è ancora ricercato. - Constatò, le labbra tremanti piegate verso il basso. 

- Sì. - Rispose Remus. 

Hazel sospirò e annuì, tentando di ingoiare tutta la sua afflizione. - Non credo di potercela fare. - Mormorò con voce soffocata, mentre gli occhi le diventavano sempre più umidi e appannati, e maledicendosi. - Scusa… non ci posso credere che sto mettermi a piangere davanti ad uno sconosciuto, adesso penserai che sono una stupida. - Disse, asciugandosi il viso. - Solo che… sembra tutto così insormontabile, capisci? Non ho nessuno con cui poter parlare di tutte queste cose. L’unica persona che considero più o meno mia amica pensa che Sirius sia un banchiere. - 

Remus non poté fare a meno di trattenere una sommessa risata. - Puoi parlarne con me, da oggi in poi. - Si propose. - Alla fine sono qui proprio per badare a te. - 

Hazel gli lanciò uno sguardo torvo. - Non ho bisogno di una balia. - Borbottò, tirando su con il naso, nel tentativo di ricomporsi. - Sto bene, davvero. Sono solo gli ormoni che mi fanno impazzire, non ho bisogno di nessun aiuto. Inoltre immagino che tu abbia le tue cose da mago da sbrigare. -  

Remus scosse la testa. - In realtà no. - Rivelò. 

- Non lavori più a Hogwarts? - Chiese Hazel curiosa. 

- No, gli studenti sono venuti a sapere del mio problema e ho preferito licenziarmi prima che il consiglio dei genitori mi buttasse fuori a calci. - Rispose Remus. 

- Ma perché avrebbero dovuto farlo? - Domandò la ragazza, perplessa. - A me sembri piuttosto innocuo. - 

Remus fece un sorriso amaro. - Essere un lupo mannaro è una cosa che porta con se una grande stigmatizzazione che io riesco perfettamente a comprendere. - Disse, storcendo la bocca in una smorfia. - Non credo che tu possa capire. Probabilmente Sirius ti ha illustrato il tutto come una cosa da niente,  ma non è così. - 

Hazel sogghignò, alzando gli occhi al cielo. - In realtà mi ha solo raccontato dei tuoi innumerevoli complessi a riguardo. - Disse. 

Remus inarcò le sopracciglia in un’espressione sorpresa. - Oh, in tal caso direi che è arrivato il momento di parlare dei suoi, di complessi, non credi? - 

- Sono tutta orecchie. - Lo incitò Hazel, abbandonandosi sullo schienale del divano. 

- Sirius non ha mai imparato a volare veramente per bene su una scopa, e questo è praticamente l’equivalente del non aver la patente, per voi babbani. - Iniziò, ghignando, ma sentendosi anche vagamente in colpa. - Questo l’ha sempre fatto soffrire un po’, anche perché suo fratello, invece, era parecchio bravo nel volo. - 

Hazel guardò Remus con un viso piuttosto compiaciuto. - Remus Lupin, credo che io e te avremo molte cose da dirci. - Sentenziò. 

- Ti dirò tutto quello che vuoi sapere, ma tu in cambio mi permetterai di tenerti d’occhio finché Sirius non tornerà. - Propose Remus. - Starò qui e ti aiuterò per il bambino. Ci stai? - 

Hazel ci pensò un po’ su. - Mi dirai tutto tutto? - Chiese, scrutandolo. 

- Tutto tranne le cose che potrebbero mettere a rischio la vostra relazione. Non voglio avere la prima vera storia d’amore di Sirius sulla coscienza. - Chiarì lui. 

- Non credo che ce ne siano di cose così. - Ribatté Hazel, sicura. 

Remus la guardò scettico. - Allora dimmi, qual è la cosa peggiore che Sirius abbia mai fatto? - Le chiese poi. 

- Dire a Piton di infilarsi sotto a quel passaggio segreto per vedere la tua trasformazione, cosa di cui lui è certo di non essere stato ancora perdonato da te. - Rispose subito Hazel, come se si trattasse di un esame universitario. 

Remus guardò Hazel con uno sguardo sorpreso. - Ti ha raccontato di quella storia? - 

- È una cosa importante, quindi sì. Fa parte dei suoi innumerevoli sensi di colpa. - Spiegò la ragazza. - Dunque, devo sapere altro? Ha fatto qualcosa di più grave? - 

Remus scosse la testa e poi si lasciò sfuggire un piccolo e incerto sorriso. Sirius aveva raccontato a Hazel la sua parte peggiore e lei era ancora lì che lo aspettava. Era forse quello essere innamorati di qualcuno? 

Fu così che, in quel caldo giorno d’inizio agosto, altre due vite si intrecciarono. 

 

°°°°°°

Circa tre settimane più tardi, Remus Lupin scrutava l'orizzonte che si allargava buio di fronte a sé, fermo nel bel mezzo della terrazza di un ospedale, come se si aspettasse di veder apparire nel cielo notturno qualcosa di strabiliante da un momento all’altro. 

Sotto di lui, la città sembrava essersi pietrificata; e giaceva lì, muta e immobile, avvolta da un profondo silenzio sonnacchioso. Da lì si poteva vedere tutto: le basse case in granito, i campanili delle chiese che svettavano alti ferendo il manto scuro del cielo, le foci dei due fiumi tra cui sorgeva Aberdeen e, naturalmente, il mare in cui essi si riversavano, che si estendeva a perdita d’occhio e di cui si poteva sentire l’odore. 

Non sapeva da quanto tempo fosse su quel tetto e, tanto meno, aveva idea di che ore fossero. Quello che era certo stava nel fatto che si trattava ormai di notte inoltrata e che più passava il tempo e più sentiva le sue palpebre farsi pesanti.  

Dire che la giornata appena trascorsa fosse stata infernale era un eufemismo: non chiudeva occhio dalla notte prima, e nelle sue vene scorreva così tanta caffeina che quasi si stupiva del fatto che non gli fosse ancora venuto un attacco cardiaco.  

Remus sospirò, passandosi le mani sul volto stanco e stropicciandosi gli occhi, sbadigliando. Quando poi tornò a guardare dritto davanti a sé, notò che qualcosa era apparsa nel cielo, qualcosa di grosso e alato che puntava proprio nella sua direzione. 

L’ippogrifo si lanciò in un rocambolesco atterraggio a pochi metri da lui, e l’uomo che lo cavalcava scese dalla sua groppa con un balzo. Remus gli andò incontro, guardandolo ricolmo di ansia e stanchezza. Al contrario di lui, Sirius aveva un bell’aspetto, come se fosse appena rientrato da una lunga vacanza rigenerante. I suoi vestiti erano puliti, i suoi capelli erano più corti rispetto all’ultima volta che lo aveva visto ed era perfino un po’ abbronzato. 

- Ci hai messo una vita. - Lo bacchettò Remus, l’aria sfinita. 

Sirius accarezzò il dorso di Fierobecco, che spiccò nuovamente il volo, e poi si voltò verso l’amico, con un sorriso eccitato dipinto in volto. - Sono due giorni che volo, ho cercato di fare più in fretta possibile. Sono passato a casa per tentare di rendermi presentabile e ora eccomi qui. - Disse, parlando in fretta. 

- Va bene. Penso ancora che sia una pessima idea ma va bene. - Rispose nervosamente Remus. - Qual è il piano? Se qualcuno ti vede cosa facciamo? - 

Sirius lo guardò con un piccolo sorriso beffardo. Sul suo volto si era accaso quel bagliore che appariva ogni volta che lo aveva visto fare qualcosa di pericoloso e stupido. 

- Intanto partiamo dal presupposto che nessuno mi vedrà. È molto tardi. - Disse. 

- È un ospedale, qui la gente non dorme mai. - Ribatté Remus, alzando gli occhi al cielo.

Sirius fece un gesto sbrigativo con la mano e sospirò. - In caso incontrassimo qualcuno, allora tu lo confonderai e io gli cancellerò la memoria, o viceversa. - Spiegò, come se fosse la cosa più ovvia del mondo, avviandosi verso la porta.   

Dentro, come predetto da Sirius, non c’era nessuno. Si respirava una strana aria surreale che odorava di disinfettante, i loro passi rimbombavano nel silenzio e, con le bacchette strette in pugno, attraversarono senza difficoltà mezzo ospedale, fino ad arrivare davanti ad una grossa porta di ferro chiusa, la cui insegna di plastica diceva “reparto di ostetricia e ginecologia”. 

- Hazel è arrabbiata con me, vero? - Chiese Sirius, guardando dritto davanti a sé. 

- No, non è arrabbiata con te. Non hai idea di quanto tu le sia mancato. - Rispose Remus, facendo un sorriso amaro. - È arrabbiata per la situazione in generale. - 

Sirius sospirò. - Anche io lo sono. - Disse, lasciando trasparire una nota di durezza nella voce, prima di premere entrambe le mani sulla maniglia antipanico della porta, che si spalancò senza fare rumore su un lungo corridoio dalle pareti spoglie, illuminato dalla luce che proveniva da lunghe strisce di lampade a led. Ai due lati che costituivano il corridoio, decine di porte chiuse o accostate. 

- Entrare si sta rivelando più facile di quanto mi aspettassi. - Mormorò Sirius tra sé e sé, varcando la soglia con la bacchetta ancora in mano. 

- Aspetta di incontrare qualche ostetrica, alcune sono delle vere arpie. - Ribatté Remus, facendo strada verso la camera di Hazel. - A proposito, il bambino è un maschio. - 

Sirius sorrise e aprì la bocca per dire qualcosa, quando una voce alle loro spalle attirò la loro attenzione, facendoli pietrificare. 

- Scusate, voi due… non si può entrare a quest’ora! - Esclamò una giovane ostetrica, raggiungendoli. 

I due si lanciarono un rapido sguardo, prima di voltarsi verso di lei con un sorrisetto e le bacchette pronte ma nascoste dietro la schiena. Lei, a sua volta, li guardava con sospetto,  passando gli occhi da uno all’altro e viceversa. 

- Oh, scusi. - Disse Sirius, fissandola. - Hai… davvero dei bellissimo occhi. - 

La ragazza aggrottò le sopracciglia, perplessa, mentre Remus lanciò un’occhiata nervosa verso Sirius, che a sua volta ricambiò fugacemente con uno sguardo che pareva quasi chiedere aiuto. Sirius era sempre stato piuttosto bravo come duellante, ma se c’era una cosa che proprio non gli riusciva, allora quella era ingannare o soggiogare le menti altrui, che fosse con o senza magia. 

Remus mormorò qualcosa a bassa voce e, poco prima che la ragazza potesse rispondere a quello strano complimento, il suo sguardo si svuotò e la sua espressione si fece vacua. Guardò per l’ultima volta i due sconosciuti e poi tornò indietro, sparendo dentro una delle stanze senza dire niente e senza voltarsi. 

- “Hai davvero dei bellissimi occhi”! - Fece Remus, prendendo in giro l’amico. - Se usi per davvero queste pessime tecniche di approccio, io non posso far altro che chiedermi come tu abbia fatto a conquistare Hazel.  - 

- Non so quale versione della storia ti abbia raccontato Hazel, ma è stata lei a provarci con me. - Ribatté Sirius, facendo un sorrisetto. - Mi è praticamente saltata addosso. - 

- Chissà quanto ti sarà dispiaciuto. - Disse Remus, fermandosi davanti alla porta numero dodici e voltandosi verso di lui. - Io resto qui a fare da palo, tu vai a conoscere tuo figlio. - 

Sirius annuì, prese un respiro profondo e spalancò la soglia, entrando. 

Dentro, la camera era illuminata dalla fioca luce bianca che proveniva da una lampada montata sopra l’unico letto che la arredata, accanto cui c’era una piccola culla trasparente in cui giaceva addormentato un neonato. 

Hazel, che teneva gli occhi sul bambino, così da accertarsi per l’ennesima volta che respirasse ancora, si voltò nella sua direzione, e quasi sussultò dalla sorpresa. Non si vedevano da due mesi, ma lui non era sporco e malconcio come capitava solitamente dopo una lunga assenza. 

Rimasero fermi e zitti per qualche attimo, poi lui parve riscuotersi da quello che sembrava essere un pensiero molto profondo, attraversò la stanza con passo deciso e, quando fu abbastanza vicino a lei da poterla toccare, semplicemente, la abbracciò. 

Hazel ricambiò la stretta. Si era ripromessa che, quando lo avrebbe finalmente rivisto, gli avrebbe fatto una ramanzina talmente lunga da rimanere senza voce, eppure, in quel momento, tutto il discorso sul prendersi le proprie responsabilità che si era preparata nella sua testa era scivolato via. Si allontanarono di qualche centimetro uno dall’altra, lui la baciò piano, sulle labbra, come se avesse paura di romperla, e poi Hazel si voltò verso la culla e lui fece lo stesso, ammirando, pieno di meraviglia, e per la prima volta, il viso di suo figlio. 

-  È un maschio. - Lo informò lei, guardando il neonato. 

Sirius riuscì solo ad annuire, letteralmente senza parole, ma con gli occhi ancora puntati nella culla. Il bambino era sveglio, vispo e minuscolo, il viso paffuto che ospitava una buffa espressione imbronciata, gli occhi chiari spalancati e tantissimi capelli scuri in testa. Non ricordava che Harry fosse tanto piccolo, ma forse era dovuto al fatto che il bambino fosse nato con qualche settimana di anticipo. 

- Direi che non ha la faccia da Ozzy Osbourne. - Disse, dopo qualche attimo di silenzio. 

- No, grazie al cielo no. - Rise Hazel. - Vuoi prenderlo in braccio? - 

Lui si affrettò a scuotere la testa. - No, è davvero troppo piccolo, non credo di essere capace. - Rispose. 

Hazel alzò gli occhi al cielo. - Sei suo padre, certo che sei capace. - Ribatté, tirando su il bambino. - Remus dice che eri molto bravo con Harry, quindi ho alte aspettative. - 

Sirius indugiò, poi fece un passo in avanti cercando di raccogliere il coraggio. 

Hazel, invece, ne fece uno indietro guardandolo con l’aria desolata di chi sembrava aver appena cambiato idea. - Forse è meglio di no. - Disse, di getto. 

- Non ti fidi di me? - Chiese lui, perplesso. - E quella cosa delle alte aspettative? -  

Hazel sospirò e, dopo un attimo di esitazione, si fece avanti. - Cerca di sorreggergli la testa e sappi che se lo fai cadere ti ucciderò. - Disse tesa, porgendogli il bambino.  

- Mi ricordi Lily. Anche lei aveva quella scintilla di follia negli occhi. - La prese in giro Sirius, facendo un sorrisetto beffardo, prendendolo in braccio con più facilità di quanto si fosse aspettato. - Una volta io e James abbiamo portato Harry a fare un giro in moto, quando Lily lo è venuto a sapere si è messa ad urlare per due ore. Sul serio, due ore. -  

- Chissà come mai. - Rispose Hazel, con velato sarcasmo. 

Lui continuò a sorridere, cullando piano il bambino, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Si sentiva strano, terrorizzato e felice allo stesso tempo, ma non c’era una sola cosa che non sembrasse al posto giusto in quel momento. Pensò a James e Lily, a tutti i loro “non hai figli, non puoi capire”, e al fatto che avrebbe dato qualsiasi cosa per poter parlare con loro un’ultima volta. In un mondo ideale, era certo che Hazel e Lily sarebbero diventate amiche, e che James lo avrebbe preso in giro per tutte quelle volte in cui aveva detto che l’amore era solo un sentimento idiota per idioti o al massimo la conseguenza di pensieri moralisti per non demonizzare il sesso. 

Sirius alzò lo sguardo verso Hazel, che li guardava con un’espressione commossa e intenerita in volto. Era bella anche se aveva l’aspetto un po’ malconcio di che non dormiva bene da un po’, le occhiaie viola sotto gli occhi scuri e i capelli scompigliati. 

- Scusa se sono sparito. - Le disse piano, mentre metteva delicatamente il bambino di nuovo nella sua culla. 

- Non ti preoccupare, Remus mi ha detto tutto. - Rispose Hazel, lasciandosi cadere sul letto e allungando una mano verso di lui. - Vieni qui. - 

Lui obbedì, sedendosi al suo fianco e intrecciando le dita alle sue. - Non sei arrabbiata con me? Nemmeno un po’? - Domandò, guardandola negli occhi. 

- Un po’ sì. - Ammise Hazel. - È una cosa irrazionale, lo so. Lo so che non è colpa tua, ma sono stati due mesi davvero terribili, mi mancavi ed ero preoccupata praticamente per tutto il tempo. Non so cosa avrei fatto senza Remus. - 

- Sono contento che andiate d’accordo, sospettavo che sareste diventati subito amici. - Rispose Sirius. - Potrebbe essere il padrino di nostro figlio, che ne dici? - 

Hazel annuì, voltandosi verso la culla. - Come vogliamo chiamarlo? - Chiese, facendo un cenno verso il bambino. - Sei tu l’esperto di astronomia. -  

Sirius ci pensò su, cercando di capire che nome gli ispirasse. - Vuoi dargli il nome di una stella? - Domandò con dissenso. - Perché non lo chiamiamo James, invece? -  

- Perché non l’ho spinto fuori dal mio corpo con dolore e sofferenza per dargli un nome banale. - Rispose Hazel, alzando gli occhi al cielo. - E poi è una bella tradizione quella della tua famiglia, ammettilo. -

Sirius fece un verso sprezzante. - Nessuna tradizione della mia famiglia è bella. - Obiettò gelido. - E se, invece del nome di una stella, fosse il nome di un qualche altro corpo celeste, come un satellite? Ad esempio Janus, uno dei satelliti naturali di Saturno. -

Hazel ci pensò su, guardando verso il bambino. - Ha un po’ la faccia da Janus, in effetti. - Constatò. - Però è anche il nome di una divinità romana, il dio degli inizi. Non credi che sia un po’ troppo… pretenzioso? -

Sirius scrollò le spalle. - A me sembra che gli doni. - Osservò. 

- E comunque avere il nome di un satellite non è affascinante come avere il nome di una stella. - Asserì lei.

Il viso di Sirius venne attraversato da qualcosa di indefinito. - Ieri era il venti, vero? È nato il 20 agosto? - Domandò. 

Hazel annuì. - Sì, perché? - Chiese a sua volta. 

- Anche Regulus è nato quel giorno. - Spiegò Sirius. - È una strana coincidenza. - 

Hazel gli strinse la mano e sorrise quasi con amarezza. Durante quell’anno che avevano passato insieme, Sirius non aveva fatto altro che ripeterle quanto avesse detestato la sua famiglia, i loro ideali, le loro regole; l’unico che sembrava essere risparmiato da quella valanga di distruttiva rabbia era sempre stato solo suo fratello quel ragazzino che non era riuscito a salvare e che faceva parte dei suoi rimpianti. - Quello di Regulus potrebbe essere il suo secondo nome. - Propose Hazel. 

Sirius esitò per un momento, ma poi annuì. - Così avrebbe anche il nome di una stella, come vuoi tu. - Le disse, stringendosi un po’ a lei. 

Hazel sospirò, posando la testa sulla spalla di lui. - Sono così stanca. - Disse, come se se ne fosse accorta solo ora. 

- Le cose saranno diverse da adesso, te lo prometto. - Mormorò lui. - Ci sono io, non andrò mai più via. - 

Hazel alzò lo sguardo verso di lui, guardandolo tristemente. - Lo dici da un anno, Sirius, e so già che non sarà così. - Obiettò. - Non avremmo una vita normale ancora per molto tempo, ma va bene così. - 

Sirius sentì il suo cuore stringersi dolorosamente nel petto. Hazel aveva ragione e questo lo faceva sentire tremendamente in colpa. 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo 11. Il Torneo Tremaghi e altre disgrazie ***


Capitolo 11


Sirius Black, con un occhio nell'obiettivo della videocamera che Hazel gli aveva regalato per il compleanno, riprendeva suo figlio che dormiva beato nella sua carrozzina, durante un freddo e rigido pomeriggio di fine novembre. 

Il terzo mese più duro della sua vita stava giungendo al termine, ma questo non voleva dire che la fatica sarebbe di colpo sparita: essere un genitore era terribilmente stancante, la cosa più difficile che avesse mai fatto, e questo era tutto dire, se a pensarlo era uno che aveva passato dodici anni in una cella lunga solo pochi metri, mangiando brodo di ossa.  

Janus, che si svegliava ogni due o tre ore, piangendo affamato, era una sorta di dissennatore che, invece dei pensieri positivi, risucchiava senza sosta l'energia della mamma e del papà, che ormai avevano rinunciato alla speranza di tornare ad avere una vita che appartenesse solo a loro. 

Mentre per Sirius occuparsi del bambino era un ottimo modo per impiegare il suo inesauribile tempo libero, e  per non pensare per tutto il giorno al nome di Harry che usciva dal Calice di Fuoco, per Hazel la situazione era quasi al limite del sopportabile. La ragazza si divideva tra la casa, il lavoro e lo studio, senza mai fermarsi, in una incessabile vita da eterna pendolare. Le capitava ogni tanto di addormentarsi nei posti più impensabili, come in classe o nel magazzino della libreria. Una volta era così stremata che si addormentò sul treno che la portava al college, finendo ad Edimburgo.  

Spesso Sirius si sentiva un po’ frustrato dal fatto di non potergli essere più utile di così, e più la guardava, più aveva l’impressione che Hazel fosse ad un passo dall’andare in pezzi.  

Il bambino si mosse nel sonno e poi aprì gli occhietti, che erano grigi e taglienti, come quelli del padre. Sirius sorrise, e continuò a riprenderlo.

- Ciao, Jan. - Disse, a bassa voce, avvicinandosi. - Tua madre ha letto su un libro che è importante parlarti, anche se non capisci niente, senza offesa, eh, alla fine hai solo pochi mesi… il fatto è che non so cosa dirti. Insomma, devo raccontarti delle storie? - La porta d’ingresso alle spalle dell’uomo si aprì e Sirius si voltò, continuando a riprendere. - Ecco, Jan, lei è tua madre. Ciao, Hazel, sei così bella. - 

Lei sbuffò, si tolse la giacca, appendendola all'appendiabiti. - Ti piace davvero tanto quella videocamera. - Disse, sedendosi sul divano con aria esausta. 

- Lo sai che adoro le cose babbane. - Rispose spegnendola e mettendosi al suo fianco. 

Hazel si appoggiò a lui, lasciando che la abbracciasse e abbandonando tutta la tensione accumulata durante quell’ennesima giornata interminabile. - Che avete fatto oggi? - Gli chiese. - Janus ha fatto il bravo? - 

Sirius annuì. - Lui ha fatto le sue solite cose da neonato, tipo mangiare e dormire e piangere come se non ci fosse un domani. - Raccontò sorridendo. - Ah, la padrona della libreria… come si chiama… Gwen. Sì, Gwen è venuta a trovarci. Ho dovuto confonderla e farle un incantesimo di memoria per sicurezza, è il caso che tu le parli. -   

Hazel si lamentò sommessamente. - La inviterò a cena un giorno di questi, ma Remus dovrà fingere di essere te, dato vuole assolutamente conoscerti. - Disse, mentre Sirius aveva preso a baciarla sul collo, facendo scorrere le mani sul suo corpo. - Che fai? - Gli chiese, tirandosi indietro.  

Lui la guardò aggrottando la fronte. - Non posso neanche più baciarti, adesso? - Sbuffò, un po’ risentito. 

Hazel aprì la bocca per ribattere, cercando una risposta soddisfacente, quando il pianto del bambino attirò la sua attenzione. Si alzò, ringraziandolo silenziosamente per averla tirata fuori dall’ennesima conversazione di quel tipo. 

Da quando il bambino era venuto al mondo, si erano allontanati: ogni tanto, Hazel dormiva addirittura nella sua vecchia stanza insieme a Janus, mentre Sirius rimaneva da solo nella loro camera da letto. Spesso capitava che lei non gli parlasse per giorni, confidandosi solo con Remus che, di tanto in tanto, la accompagnava alle mostre o al cinema, rendendolo vagamente geloso. Quei due, insieme, sembravano una vera coppia affiatata. Leggevano gli stessi enormi e noiosissimi libri, parlavano di strani registi polacchi di cui Sirius non sapeva nemmeno pronunciare il nome o, semplicemente, parlavano di arte e, di tanto in tanto, guardavano a ripetizione “io e Annie” mangiando cibo cinese che lui andava a raccattare fino ad Aberdeen.  

Sirius si sentiva uno stupido eppure, ogni volta che li vedeva uscire di casa, sentiva una dolorosa stretta al cuore. Doveva essere lui quello che spingeva la carrozzina di suo figlio, doveva essere lui ad accompagnare Hazel in tutti quei musei che amava tanto visitare. 

Sospirò, tentando di dissimulare in tutti i modi il suo fastidio e tenendo gli occhi fissi su Hazel, che cullava Janus, parlandogli dolcemente.

Gli mancava così tanto avere un’intimità con lei, poterle stare accanto e basta, senza che lei si ritraesse sempre come se la vicinanza dei loro corpi la infastidisse. 

- È ancora quella storia che pensi di essere brutta, vero? - Le chiese, sbuffando. 

Hazel alzò lo sguardo verso di lui; per un attimo apparve quasi sorpresa da quella domanda, ma poi scrollò le spalle e scosse la testa, senza proferire parola. 

Sirius aveva ragione, si sentiva orrenda. Era sempre così indaffarata da non avere neppure il tempo di pettinarsi, inoltre il suo corpo era cambiato, diventando talmente diverso da impedirle quasi di guardarsi allo specchio senza sentire l’impulso di sciogliersi in un mare di lacrime. Ma non lo avrebbe mai ammesso, non davanti a lui. 

- Hazel, ascolta… - Esordì Sirius, dopo qualche attimo di silenzio. - Tra qualche giorno dovrò andare a Hogwarts. Stanno succedendo tante cose strane e Harry ha bisogno di me. -

Hazel sospirò, mettendo di nuovo il bambino nella carrozzina. - Quando avresti intenzione di tornare? - Gli chiese distaccata, senza neppure girarsi nella sua direzione.

- Non lo so. Pensavo di iniziare a fare avanti e indietro come lo scorso anno, così da poter stare vicino a Harry durante tutta la durata del Torneo. - Rispose Sirius. 

Hazel si voltò finalmente verso di lui, guardandolo come se avesse appena detto qualcosa di molto stupido o molto offensivo. - L’anno scorso non avevamo un bambino. - Disse  

- Quest’anno sì, ma ciò non toglie che Harry abbia bisogno di me. - Ribatté lui, freddo. 

- Anche io e Janus abbiamo bisogno di te. - Obiettò Hazel, con la strana sensazione di avere un nodo in gola. - Tu ci pensi mai a come mi sono sentita tutte le volte che sei sparito nel nulla? A quanto io mi preoccupi continuamente per te? Janus è tuo figlio, Harry invece non lo è, mettitelo in testa! Se devi andare e venire di continuo allora preferisco di gran lunga che tu rimanga lì. Rimani a Hogwarts, vai all’avventura insieme a Harry, fa quello che ti pare, ma non aspettarti che io stia sempre qui ad aspettarti. -   

Davanti alle parole di lei, Sirius impallidì. - Mi stai forse chiedendo di scegliere tra voi e lui? - Domandò gelidamente. 

Hazel scosse la testa. - Tanto sceglieresti lui, non è forse così? - Chiese a sua volta. 

Sirius si alzò dal divano su cui era seduto, l’aria furente di chi stava tentando in tutti i modi di mantenere la calma. Prese un paio di respiri profondi, camminando avanti e indietro e poi si fermò, rivolto verso di lei. - Janus è troppo piccolo anche solo per riconoscere la mia faccia e tu a stento mi parli! - Abbaiò furibondo. - Harry ha bisogno del mio aiuto e lo avrà: non stavo chiedendo il tuo permesso, quindi finiamola qui! -   

Janus scoppiò a piangere, forse spaventato dal tono di voce del padre. Le labbra di Hazel tremarono, mentre gli occhi le diventarono molto umidi. Singhiozzando, prese in braccio il bambino e si voltò nuovamente verso di lui, guardandolo con rabbia. - Bene. - Sibilò tremante. - Allora vattene via. - 

- Hazel… -

- Vattene via. - Ripeté lei e, senza indugiare oltre, raggiunse le scale e sparì al piano di sopra insieme al bambino. 

Quando arrivò nella cameretta di Janus, chiudendosi la porta alle spalle, Hazel si lasciò trapassare quasi all’istante dalla lama del senso di colpa. Sospirando, mise il bambino nel suo lettino, prendendosi qualche istante per osservarlo. Aveva ormai più di tre mesi e in quel momento, sdraiato nel suo piccolo letto e con gli occhi chiari spalancati e luminosi come due fari, sembrava quasi giudicarla. Hazel non solo si sentiva una pessima madre per il fatto che lo lasciasse da solo per quasi tutto il giorno, ma aveva appena cominciato a sentirsi anche una pessima persona. Per quanto Harry non le piacesse (o forse non le piaceva il fatto che Sirius si sarebbe fatto anche uccidere per lui) era consapevole che quel litigio era stato una vera caduta di stile da parte sua.  

Sospirò, accarezzando piano la testa piena di capelli di Janus. - Tu pensi che abbia ragione tuo padre, vero? - Disse, come se il bambino potesse capirla. - Il fatto è che forse hai ragione… Harry è solo un ragazzo, un orfano, ha bisogno di Sirius almeno quanto ne abbiamo bisogno noi, se non di più. Insomma, con noi rimarrebbe lo zio Remus. - 

Il bambino sbadigliò e poi fece un piccolo sorriso. 

- Facciamo così… - Continuò Hazel. - Adesso ti addormenti per bene, così io e il tuo papà possiamo parlare con calma di questa faccenda. Sai… di solito sono molto più paziente di così, solo che ultimamente mi sento come sull’orlo di un precipizio. Poco più di un anno fa vivevo solo per me stessa, avevo dei sogni molto ambiziosi, mentre adesso… - Hazel fece un sonoro sospiro. - Adesso sono quasi sicura che, dopo la mia laurea, finirò per fare l’insegnante in qualche orribile liceo di provincia e la cosa mi deprime. - 


Sirius non rimise piede in quella casa per almeno una settimana, fino all’arrivo del freddo dicembre, che portò con sé un drastico calo delle temperature, una montagna di neve e la comparsa dei primi addobbi natalizi. L’inverno sulla costa del Mare del Nord era duro e tagliente come una lama affilata, il vento sferzava forte, sbattendo sulla scogliera su cui sorgeva Downies e, quel giorno, il cielo si presentava come un denso manto opalino e opprimente.

Sirius apparve all’improvviso nel salotto del cottage di Hazel, facendo sobbalzare Remus, che teneva in braccio il bambino, seduto sul divano. 

- Felpato, che ci fai qui? - Chiese il lupo mannaro, alzandosi appena lo vide. 

- Io vivo qui, Remus. - Rispose, con un tono piuttosto raggelante. - Piuttosto tu, cosa fai qui a quest’ora del mattino? Hazel dov’è?- 

- Aveva bisogno di qualcuno che le tenesse il bambino mentre lei è al college, aveva un esonero. Non so cosa voglia dire ma sembrava qualcosa di importante. - Spiegò Remus. 

Sirius annuì e poi prese Janus dalle braccia dell’amico. Non lo vedeva da giorni e gli sembrava quasi cresciuto e decisamente molto più vispo del solito. Avrebbe compiuto quattro mesi il 20 dicembre e aveva iniziato a riconoscere i visi a lui familiari. 

Sirius prese a cullarlo piano, guardandolo quegli occhi tanto simili ai suoi e lui gli sorrise contento.  

- Felpato, vuoi dirmi cosa è successo con Hazel? - Chiese all’improvviso Remus. 

Sirius alzò lo sguardo su di lui. - Non te lo ha detto? Lei ti dice tutto, di solito. - Disse, come una velata frecciatina. - Abbiamo litigato per Harry, mi ha praticamente chiesto di scegliere tra lui e loro e poi mi ha detto di andarmene. Una cosa del genere da lei non me l'aspettavo proprio, si è comportata da stronza. -   

Remus sospirò. - Guarda che non voleva sul serio che tu te ne andassi. - Lo informò, scuotendo la testa. - E non ti ha chiesto davvero di scegliere tra loro e Harry. - 

- Dipende da quale versione della storia ti ha raccontato. - Borbottò Sirius. 

- Tu non riesci proprio a capire cosa sta passando. - Replicò Remus, a costo di sembrare saccente. - Lei è praticamente una ragazzina che fino a un anno fa conduceva una vita normale e che ora si ritrova ad avere a che fare con un mago ricercato da mezzo mondo e con un bambino di pochi mesi. Tutto questo mentre provvede a guadagnare a sufficienza per farvi sopravvivere e, come se non bastasse, sta cercando di prendersi una laurea. Non è mai in casa e si sente una pessima madre per questo. - 

- Tu la difendi troppo, Remus. - Disse Sirius, infastidito. 

- E tu invece non la difendi per niente. - Ribatté il lupo mannaro. - Harry per lei è solo uno sconosciuto, mi sembra normale che per Hazel prima di tutto ci sia suo figlio, no? - 

- Il problema non è solo Harry. - Chiarì Sirius. - Lei non vuole nemmeno dormire con me. Non vuole che la tocchi o che le stia anche solo vicino. Non mi ama più, mi detesta! - 

Remus guardò l’amico e sospirò, lasciandosi però scappare un piccolo sorriso. - Felpato, non pensavo che avrei mai potuto dirti una cosa del genere ma… tu non le capisci proprio le donne. - Sogghignò, con una punta di tenerezza nella voce.  

Sirius gli lanciò uno sguardo torvo e, dopo un attimo di pausa, Lupin continuò:

- Hazel dice di non sentirsi molto a suo agio con sé stessa, ultimamente. - Spiegò. 

- Ma non mi dire. - Sbuffò Sirius, alzando gli occhi al cielo, prima di sistemare Janus nella sua carrozzina. - Comunque io non so cosa posso farci. -

- Potresti dirle che la trovi ancora bella e attraente. - Tentò Remus. 

- Ma lo faccio già! - Esclamò Sirius, indignato dal doverlo sottolineare. 

Remus alzò gli occhi al cielo. - Senti, Felpato, non so cos’altro dirti, dopotutto sei tu quello bravo con le donne qui, quindi sfodera le tue armi. - Esclamò. - Devi dirle che la desideri ancora e, per favore, abbandona questo tuo ridicolo orgoglio e se la ami diglielo chiaramente. Sono solo due parole, Sirius, puoi pronunciarle. - 

- La fai facile tu… - Borbottò Sirius, lasciandosi cadere sul divano.  

- Certo, perché lo è. - Rispose Remus, seduto accanto a lui, dandogli una pacca sulla spalla. - Comunque da te non mi aspettavo niente di diverso: ti conosco da tutta la vita e so che non sei il tipo di persona che dice chiaramente quello che prova. Probabilmente non hai mai detto ti voglio bene nemmeno a James. - 

Sirius si pensò su. Effettivamente era vero, non era mai stato abituato ad aprire il suo cuore ad un’altra persona, era sempre stata una cosa vietata in casa sua. E in effetti, a parte i suoi amici e poi in seguito Hazel, nessuno gli aveva mai detto a parole di amarlo, nemmeno sua madre, nemmeno quando era solo un bambino. Sirius si voltò verso la carrozzina in cui giaceva suo figlio, chiedendosi come fosse possibile che Walburga Black non l’avesse mai amato, e proprio in quel momento la porta d’ingresso si spalancò alle loro spalle.  

Hazel varcò la soglia e la chiuse senza guardarsi intorno, uno zaino dall’aria pesante sulle spalle e un grosso libro in mano. Quando si voltò verso i due, incontrando lo sguardo di Sirius dopo più di una settimana, rimase per qualche secondo impietrita. - Sei tornato. - Gli disse poi, ostentando disinteresse e lasciando cadere lo zaino e il libro a terra. 

Lui annuì. - Sì. Ti dispiace? - Le chiese, alzandosi dal divano. 

Hazel scosse la testa e attraversò la stanza, raggiungendo la carrozzina in cui Janus dormiva beato nel suo piccolo pigiamino di cotone rosso; detestava passare così tanto tempo lontano da lui. 

- Come è andato l’esonero, Hazel? - Domandò Remus, alle sue spalle. 

Lei sospirò e si voltò con un sorriso amaro in volto. - Non sapevo un bel niente. - Rispose tranquilla, scrollando le spalle. - Così sono uscita dall’aula, sono andata in segreteria e ho congelato gli studi. Riprenderò quando le cose si saranno sistemate. - 

Ci fu un attimo di silenzio nel quale Sirius e Remus si scambiarono uno sguardo fugace e poi il primo parlò: - Vuoi smettere davvero di studiare? - Le chiese. 

Hazel scosse la testa. - Mi sono solo presa una pausa. - Spiegò, con voce inclinata. - Ma non sto abbandonando il mio sogno, sarò un’artista, solo che non ora. Ora voglio solo stare a casa più tempo possibile insieme al mio bambino. E a te. -  

Remus guardò Hazel, il suo volto da ragazzina segnato dalla tristezza, e si alzò dal divano, avvicinandosi. - Porto Janus a prendere un po’ d’aria, va bene? - Disse. - Così voi due potete parlare un po’. - 

Hazel annuì e poi alzò i lati della bocca, abbozzando un sorriso. - Coprilo bene, fuori fa freddo. - Si raccomandò. 

- Fate i bravi, ci vediamo tra qualche ora. - Disse Remus, prima di raggiungere la soglia. 

Quando la porta si chiuse, Hazel si ritrovò sola in casa con Sirius per la prima volta da mesi. Si guardarono, immobili uno davanti all'altra, talmente intensamente che quasi avrebbero potuto far nascere un altro universo dalla collisione dei loro sguardi. Lui si mosse, camminando nella sua direzione e fermandosi a pochi centimetri di distanza. La abbracciò, respirando forte quel profumo che lo faceva sempre impazzire, ad occhi chiusi, beandosi di nuovo di quel contatto. 

- Scusa se ho detto quelle cose. - Disse Hazel, staccandosi da lui. - Lo so che per te Harry è molto importante, l’ho sempre saputo. Solo che odio vederti andare via, mi spaventa. - 

- Non ti preoccupare. - La rassicurò lui, lasciando un tenero bacio sulla sua fronte. - Non sa ancora niente di voi, in realtà sono un po’ combattuto se dirglielo o meno. - 

- Perché? - Chiese lei, un po’ indignata. - Ci stai tenendo nascosti? - 

Lui sospirò. - Lo sai che la mia è una situazione complessa… inoltre stanno succedendo tante cose strane, come tanti anni fa. - Cominciò a dire. - Ho l’impressione che succederà qualcosa e per questo, per ora, meno persone sanno di voi e meglio è. -

Hazel annuì, un po’ contrariata. - Ma lui come sta? - Chiese, andandosi a sedere sul divano. - Come vive tutta questa faccenda? - 

- Harry sta bene, ha superato la prima prova e adesso la sua unica preoccupazione è trovare una ragazza da invitare al Ballo del Ceppo. - Rispose Sirius, sorridendo. 

- Potresti dargli qualche consiglio, Remus dice che piacevi sempre alle donne. - Disse Hazel. 

Sirius la guardò di sottecchi, sedendosi al suo fianco. - Che altro ti ha detto Lunastorta? - Chiese divertito. 

- Tantissime cose. - Rispose Hazel. - Ma i suoi racconti possono essere riassunti tutti con te nel ripostiglio delle scope con la ragazza di turno. - 

Sirius arrossì leggermente, ma dissimulò. - Nel ripostiglio è successo solo una volta e sono anche stato beccato dalla McGranitt; è stato il giorno più imbarazzante della mia vita. - Obiettò, divertito e imbarazzato insieme. - Lo sai che per certe cose preferisco i posti comodi, come i letti. - 

Hazel annuì e sorrise. - Certo che lo so, sei noioso, infatti. - Ribatté. 

Lui spalancò gli occhi, cercando di capire se dicesse sul serio. - Ah, è così? Fare sesso con me ti annoia? - Chiese, avvicinandosi a lei con fare suadente. 

Hazel alzò le spalle, facendo un piccolo sorriso innocente e sfuggendo al tentativo dell’uomo di afferrarla. Si alzò ed aggirò il divano, ritrovandosi dalla parte opposta rispetto a lui. Fuggì con estrema facilità dai suoi tentativi di acciuffarla, ma all'ultimo inciampò e finì stesa ai piedi del camino, trascinandosi dietro anche Sirius. 

- Presa. - Disse lui, vittorioso. 

- Io realtà direi che sono io che ho preso te. - Ribatté, Hazel. 

Sirius la baciò sulle labbra, esultando nella sua testa quando anche lei rispose al quel contatto. Si staccò da lei quel tanto che bastava per poterla guardare negli occhi e sorrise. 

- Non siamo obbligati a fare qualcosa solo perché siamo soli, lo sai? - Le disse.  

Hazel annuì. - Potremmo guardare Twin Peaks sul divano, tenendoci per mano come se avessimo dodici anni. - Propose. 

- Mi sembra perfetto. - 


°°°°°°




 

Lo scorrere lento dei mesi, e l’arrivo della primavera, contribuì a rendere le cose sempre meno faticose. La vita stava andando avanti, muovendosi con grazia tra gli impegni della vita di Hazel, caotica come al solito, e il Torneo Tremaghi, che portava Sirius lontano da casa anche per intere settimane. Lei cercava di non prendersela, ma detestava vederlo andare via, anche se odiava ancora di più vederlo tornare malridotto come era all’inizio di tutto. Inoltre, durante quei giorni di assenza, capitava che l’uomo si perdesse tappe importanti della crescita del bambino, che Hazel poteva solo limitarsi a riprendere con la videocamera. Janus aveva imparato a gattonare e a tirarsi in piedi appoggiandosi al divano, si cimentava nei suoi primi esperimenti linguistici facendo emozionare la madre e, soprattutto, aveva cominciato a dare i primi segni di magia. 

Una mattina, durante la prima settimana di giugno, Hazel lo aveva visto animare uno dei suoi pupazzetti a forma di drago, che aveva preso a svolazzare per la casa e, spaventata, era corsa da Sirius chiedendogli se fosse una cosa comune nei piccoli maghi. 

- È normale. Anzi, mi chiedevo quando sarebbe successo. - Disse Sirius sorridendo, guardando suo figlio, pieno di orgoglio. - Sarà un mago eccezionale, io già lo so. - 

La temperatura si fece sempre più estiva e, spesso, Hazel, Janus e Felpato, facevano lunghe passeggiate sulla spiaggia, camminando sul bagnasciuga. A Janus piaceva il mare, ma adorava ancora di più quando Felpato, uscendo dall’acqua, si scrollava bagnandolo tutto. Proprio come James, anche suo figlio lo preferiva in forma canina. Quando poi in spiaggia non c’era nessuno, Sirius si prendeva il rischio di tornare se stesso, per camminare al fianco di Hazel, tenendola per mano. Ci fu un pomeriggio in particolare che rimase impresso nella mente di lei: Hazel se ne stava seduta sulla sabbia a gambe incrociate, con la videocamera accesa puntata su Sirius che teneva in braccio il bambino mezzo addormentato. Guardava verso l’orizzonte con lo sguardo pensieroso, mentre il sole stava tramontando, riempiendo il cielo di colori caldi; sospirò e poi si voltò verso di lei. - Che fai? - Le chiese sorpreso, quando vide che lo stava riprendendo.

- C’è una luce stupenda e io sto documentando. - Rispose Hazel, zoomando sul viso di lui. - Così, tra vent’anni, potrò riguardare questo video in cui sei perfetto. Vuoi dire qualcosa? - 

Lui ci pensò su, stringendo un po’ gli occhi, e poi sorrise. - Solo che sono felice. Tanto felice. - Rispose. - Qui, adesso, davanti a questo tramonto e con nostro figlio in braccio. Io guardo il mondo che ci circonda, poi guardo te e non riesco a smettere di pensare al fatto che ti amo. - 

Hazel mise giù la videocamera, sgranando gli occhi, piena di sorpresa. - Non me l’hai mai detto prima. - Mormorò, portandosi una mano alla bocca, gli occhi lucidi.  

Tendeva a commuoversi con poco, ma quella volta sentì qualcosa che non aveva mai provato prima. Essere amati era la sensazione migliore del mondo: si sentiva come se avesse passato più di vent’anni a vedere le cose senza riuscire a guardarle davvero, senza riuscire a metterle a fuoco, almeno finché non era arrivato Sirius, che le aveva donato occhi nuovi con cui osservare il mondo e meravigliarsi di esso. 

Si avvicinò a lui e lo baciò, desiderando quasi di fermare il tempo e cercando di imprimere quel momento nella sua mente per sempre.  

Con l’avvicinarsi della terza e ultima prova del Torneo Tremaghi, l’umore di Sirius divenne man mano sempre più teso, ma Hazel non se ne rese conto, troppo occupata a dividersi tra il lavoro e il bambino. Così, il 24 giugno, Sirius li salutò e partì per Hogwarts, lasciandola sola per quella che doveva essere l’ultima volta. Finalmente quel torneo stava per terminare; magari quell’estate Harry sarebbe stato un po’ con loro e Hazel l’avrebbe finalmente conosciuto. La cosa la caricava di ansia: e se a lui non fosse piaciuta? Se fossero finiti per odiarsi? Sirius sarebbe finito in una posizione molto scomoda, era essenziale piacergli ad ogni costo e doveva essere brava a fargli capire che non aveva niente da temere, che le cose tra lui e Sirius non sarebbero cambiate.

Hazel passò tutta la notte sveglia davanti ad una tela vuota, attanagliata da una strana sensazione di angoscia che la paralizzava. Non sapeva perché ma, se avesse avuto dei poteri magici, si sarebbe precipitata a Hogwarts, per accertarsi che tutti stessero bene. 

Seduta sotto il portico di casa sua, Hazel accese la sua prima sigaretta dopo più di un anno dall’ultima volta e attese, scrutando l'oscurità davanti a lei. Nell’aria c’era qualcosa di terribilmente sbagliato, come il sentore di una catastrofe che si stava per abbattere su tutti loro. Aveva come l’impressione che l'idillio delle ultime settimane fosse inevitabilmente destinato a finire e che sarebbe terminato proprio quella notte. Verso le quattro, Hazel tornò dentro e raggiunse la cameretta di Janus. Si fermò sulla soglia, guardandosi intorno: non c’erano più quadri inquietanti attaccati alle pareti, a terra non c’erano pennelli né fogli stropicciati, ma il letto era sempre lo stesso e, sopra di esso, Janus giaceva addormentato e ignaro delle ansie di sua madre. Aveva compiuto dieci mesi solo qualche giorno prima e somigliava tantissimo a Sirius, ma solo nell’aspetto. Era un bambino calmo, silenzioso e intelligente, adorava giocare da solo ed era fortunatamente molto ubbidiente. 

Spesso Hazel si fermava a pensare a quando, a undici anni, Janus sarebbe dovuto partire per Hogwarts e l’idea non le piaceva affatto. Quello era il suo bambino, l’aveva sentito crescere e muoversi dentro di lei e sapeva che undici anni erano troppo pochi per andare a vivere così lontano da casa. Inoltre, dai racconti di Sirius, Hogwarts le era sempre sembrato un posto molto pericoloso. 

Hazel raggiunse il letto e si sdraiò, accarezzandogli la testa piena di capelli neri di suo figlio, scuri proprio come quelli del padre; lo guardò estasiata. Quando poi il bambino aprì gli occhietti assonnati, non poté fare a meno di sorridere. - Di’ mamma. - Sussurrò Hazel. - Dai, ma-ma.  - 

Il bambino rise come se la madre le avesse detto qualcosa di molto divertente.  - Pa pa. - 

- No, di’ mamma. Ma-ma. - Ripeté Hazel. - Dai, Jan. Se tuo padre venisse a sapere che dici papà e non mamma non smetterà mai di pavoneggiarsi. Lo sai come è fatto. -  

Janus rise ancora. - Pa pa! - Strillò.  

Hazel sospirò, sdraiandosi più comodamente. - Va bene, ho capito che è chiaramente lui il tuo preferito, non c’è bisogno di agitarsi tanto. - Disse, divertita come se lui potesse capirla. 

In quello stesso istante, il suono della materializzazione la fece tirare su di scatto. Dopo tutto quel tempo non era ancora riuscita ad abituarsi al fatto che Sirius poteva apparire all’improvviso in giro per casa, ma mai come in quel momento fu felice di vederlo. 

- Allora, com'è andata? - Gli chiese. 

Sirius si mosse nella penombra, raggiungendoli sul letto. - Harry ha vinto. - Rispose cupamente, dopo aver lasciato un bacio sulla testa del figlio.  

- E lo dici con questo tono? - Ribatté Hazel, con il cuore gonfio di angoscia. - Che è successo? - 

Sirius non rispose, ma si sdraiò, stringendo il bambino tra le sue braccia, cosa che insospettì ancora di più la donna, che si allungò verso il comodino per accendere la luce. 

Hazel lo guardò, cercando una risposta alla sua domanda nell’espressione illeggibile sul volto di lui. Sembrava aver perso qualche anno di vita in poche ore e se ne stava lì, immobile, guardava il bambino come se ne valesse la sua stessa esistenza, come se avesse paura di vederlo sparire. 

- Che è successo? - Chiese di nuovo, sempre più in ansia. - Harry sta bene? - 

- Sta bene. - Tagliò corto lui, chiudendo gli occhi e prendendo un respiro profondo. Quando li spalancò di nuovo, Hazel notò che il suo sguardo era cambiato; non era più perso e impaurito, ma vuoto, come se avesse eliminato tutto ciò che lo rendeva umano. 

- Devo parlarti di una cosa. - Sospirò.

- Allora dimmi. - Lo incitò lei, sulle spine. 

Ma Sirius scosse la testa. - Non davanti a lui. - Disse, guardando il bambino, dopo un lungo sospiro. - Aspettiamo che si addormenti e poi andiamo di là. - 

- Ma dai, ha solo dieci mesi. - Rispose Hazel, perdendo la pazienza. - Cosa vuoi che capisca? - 

Sirius sospirò. - Ti prego, Hazel, dammi un attimo e poi ti dico tutto. - Mormorò, con una voce che lei non aveva mai sentito. - Sono stanco, tantissimo… - 

Lei rimase in silenzio, si allungò per spegnere di nuovo la luce e poi si sdraiò insieme a loro, stretti in quel minuscolo letto singolo. Rimasero in quella posizione per quelle che sembrarono ore, e ben preso Hazel cominciò a sentire gli occhi farsi pesanti, ma lottò per non addormentarsi. 

Quando poi la ragazza notò che le prime luci dell’alba stavano illuminando il cielo notturno facendo scomparire le stelle, Sirius si mise a sedere, finalmente pronto per parlare. - Ti ho messa proprio in un bel guaio, Hazel. - Disse, con voce triste e tremante. 

Anche lei si tirò su, guardandolo nella semioscurità. - Perché dici così? - Gli chiese. 

- Non è questa la vita che ti meriti; non è questa la vita che si merita Janus. Se solo non fossi un dannato egoista avrei almeno la decenza di andarmene. - Rispose lui, cupo. 

Hazel percepì il suo cuore saltare un battito. - Non mi piace questo discorso. Se tu te ne andassi saresti solo uno stronzo. - Disse, gelida. - Mi dici cosa è successo? -  

Sirius si voltò verso il bambino. Dormiva beato con la bocca semi aperta, rivolto nella sua direzione. - Voldemort è tornato. - Disse solamente, senza alcuna inflessione nella voce. 

Hazel guardò Sirius come se l’uomo avesse pronunciato parole a lei sconosciute. Che voleva dire tornato? Come era accaduto? Ma, soprattutto, cosa sarebbe succeso ora? 

- Silente mi ha chiesto di riunire i pochi membri rimasti del vecchio Ordine della Fenice, così da combattere fin da subito. Stavo pensando di usare la casa dei miei genitori, a Londra, come Quartier Generale, dato che è molto grande. - Disse Sirius, come se avesse sentito le domande che Hazel si era posta. - Dovrò trasferirmi lì, ma non voglio che Janus cresca in quella casa infernale, quindi forse è meglio se voi due… - 

- No. - Lo interruppe prontamente lei. - Non ci pensare nemmeno. - 

- Hazel, quel posto sarà pieno di mollicci e altre cose spaventose. Non c’è l’elettricità, funziona tutto con la magia, per te sarebbe troppo difficile vivere lì. - Insistette lui. - E poi i quadri dei miei parenti che non faranno altro che insultarvi perché tu sei una babbana e lui un mezzosangue… per non parlare del pericolo che vi farei correre. - 

Hazel prese un respiro profondo e scosse la testa. - Noi veniamo con te. - Ribatté, con un tono che non ammetteva regole. - Non ti lascerò tornare in quel posto che odi da solo. E poi mi mancheresti troppo. -  

- Non posso chiederti di lasciare tutto per una guerra che non ti riguarda. - Disse lui. 

- Mi riguarda eccome, dato che mio figlio è un mago. - Rispose Hazel. - Inoltre non me lo stai chiedendo, è una mia scelta. E io scelgo di venire con te; ovunque. -  


Lo so scusate, questo è praticamente il riassunto di un lasso temporale di quasi un anno e sono consapevole del fatto che è una schifezza ma non ho potuto fare meglio di così. Purtroppo il mio odio per i capitoli di passaggio colpisce ancora e io incasso il colpo postando questo abominevole capitolo e sperando che i prossimi siano più o meno meglio. 

Saluti, 

Jamie. 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo 12. Grimmauld Place ***


Capitolo 12


Hazel se ne stava ferma accanto al binario dieci della stazione di King’s Cross, uno zaino sulle spalle e suo figlio tra le braccia che, come lei, si guardava intorno pieno di curiosità, quasi come se anche lui fosse alla ricerca di un viso conosciuto. Hazel non era mai stata a Londra, a dire il vero non aveva mai lasciato la Scozia ed era abituata a stento a tutto quel caos che le si palesava davanti, quell’enorme afflusso di persone che le sfrecciavano davanti come un centinaio saette impazzite. 

Erano passate quasi tre settimane dalla notte del ritorno di Voldemort; quel giorno faceva più caldo di quanto fosse naturale e lei non vedeva l’ora di raggiungere Grimmauld Place e, soprattutto, di rivedere finalmente Sirius. 

Remus sarebbe andata a prenderla, le aveva detto in una lettera, doveva solo attendere davanti al binario dieci, ma era lì già da mezz’ora e Hazel sapeva che non fosse per niente da Lupin arrivare in ritardo.  

Sospirando, abbassò lo sguardo sul viso di Janus. Ad agosto avrebbe compiuto un anno, ma non era molto abituato alle persone e al rumore, tanto che sembrava quasi infastidito da tutto il chiasso della stazione.  

- Andiamo a cercare un posto tranquillo in cui sederci? - Gli chiese, facendo un sorriso. 

Il bambino annuì stanco, quelle sette ore di treno erano state faticose anche per lui, ma poco prima che Hazel potesse muoversi di un solo passo, uno strano individuo zoppicò velocemente verso di lei, gridando: - Hey tu, ragazza! -  

Aveva una folta chioma di capelli brizzolati e un volto diverso da tutti quelli che Hazel avesse mai visto. Era come se fosse stato scolpito nel legno da qualcuno che avesse solo una vaga idea di come fossero davvero le facce umane, e non fosse nemmeno molto abile con lo scalpello. Ogni centimetro di pelle sembrava coperto di cicatrici: la bocca pareva un taglio diagonale, e mancava un grosso pezzo di naso, ma furono gli occhi dell’uomo a spaventarla: uno era piccolo, scuro e lucente, l’altro era grande, tondo come una moneta e di un vivace blu elettrico. L’occhio blu si muoveva incessantemente, senza che mai calasse la palpebra, e roteava in su, in giù e da una parte all’altra, in totale autonomia rispetto all’occhio normale. 

Hazel si sentì improvvisamente colta dall’ansia e prese a camminare velocemente dalla parte opposta a quella dell’uomo, tentando di non guardarlo troppo e sperando che non ce l’avesse davvero con lei. Raggiunse le scale mobili che l’avrebbero portata all’area commerciale della stazione e, quando si voltò, notò ancora la presenza di quell’individuo, che si stava facendo prepotentemente spazio tra la folla nel tentativo di raggiungerla. 

Hazel si guardò nervosamente intorno, notando con piacere la presenza di alcuni agenti. Insomma, quel maniaco non si sarebbe mica azzardato a farle qualcosa davanti a loro, no? 

Lasciò la scala mobile stringendo talmente forte Janus, che il bambino si ritrovò a lamentarsi sommessamente cercando di svincolarsi, poi Hazel si voltò per l’ennesima volta, rendendosi conto che l’uomo era ormai a pochi passi claudicanti da lei e che, forse, tanto vale affrontarlo. 

- Cosa vuole? Guardi che mi metto ad urlare! - Esclamò, voltandosi verso di lui, furiosa e spaventata insieme. - La farò arrestare! - 

L’uomo scoppiò a ridere, una risata inquietante, ma anche piuttosto divertita, e poi rivolse il suo sguardo alle spalle della ragazza, facendo un cenno. - Lupin, eccoti qui. - Disse. - La signora Black dice che vuole farmi arrestare. -

Hazel si girò di scatto, incontrando con sollievo il viso conosciuto di Remus Lupin, che si stava avvicinando a lei insieme ad una ragazza dai capelli rosa, molto più giovane di lui. 

- Vuole farti arrestare? Come mai vuole farti arrestare? - Imboccò Remus, ridendo, e poi fermandosi, insieme alla ragazza, tra lei e quell’uomo. - Hazel, lui è Alastor Moody, detto Malocchio. Non lasciarti ingannare dall’aspetto, è un auror. -  

Hazel boccheggiò, imbarazzata, e tornò con lo sguardo su Moody. - Mi scusi. - Disse, avvampando vistosamente. - Io pensavo che… io… - 

- Lei, invece, è Ninfadora Tonks, anche lei è un’auror. - Continuò Remus, nel tentativo di tirarla fuori dall'imbarazzo, facendo un cenno verso la giovane al suo fianco. 

- Solo Tonks andrà benissimo. - Disse, stringendole la mano e facendo un sorriso. - E questo bel bambino deve essere Janus! Ciao, piccolo, vuoi vedere una magia? - 

- Non adesso, Tonks! - Sbottò Malocchio, cominciando a zoppicare verso l’uscita della stanzione. - Non vedi che è pieno di babbani? Vuoi farci scoprire? - 

Tonks alzò gli occhi al cielo, camminando accanto a Hazel e osservandola con insistente curiosità. - Sono felice che tu sia così giovane, hai praticamente la mia età. - Disse, allegra. - Tutti gli altri sono troppo giovane, come i figli dei Weasley e Hermione, o troppo vecchi, come Silente, o come Remus e Sirius. - 

Hazel notò lo sguardo di Remus saettare verso Tonks con uno strano cipiglio di fastidio che non gli aveva mai visto prima. - Ma Remus è poi così vecchio. - Buttò lì. 

- Vedi, Ninfadora, così si parla. - Sogghignò il lupo mannaro, guardando Tonks. 

- Per l’ultima volta, Lupin, non chiamarmi Ninfadora!

- E perché? A me piace il tuo nome. - Insistette Remus. 

Malocchio, qualche passo avanti di loro, borbottò qualcosa, puntando dritto verso una lunga fila di taxi. - Dobbiamo dividerci, maledette auto striminzite dei babbani. - Disse, fermandosi nel bel mezzo del marciapiede affollato. - Lupin e Tonks, voi prendete il cucciolo di Black, io mi occuperò del ragazzina. - 

- Perché? - Domandò Hazel, con una punta di agitazione nella voce. 

- In questo modo è più sicuro, Hazel. - Rispose cordialmente Remus, prendendo Janus in braccio. - Non preoccuparti, lo sai che a lui piace tanto stare con lo zio. - 

Una strana sensazione attanagliò ogni parte del corpo di Hazel. Era praticamente finita sotto scorta e quei tre si comportavano come se nulla fosse. 

- Forza, ragazzina, cammina. - Borbottò Moody, fermando un taxi. 

- Ci vediamo al Quartier Generale tra quindici minuti! - Esclamò Tonks, prima di allontanarsi insieme a Remus e al bambino. 

Hazel si voltò verso Malocchio e deglutì, accorgendosi di avere la gola secca. Anche se quell’uomo faceva parte dei buoni, lei non riusciva proprio a non esserne un po’ spaventata. Non solo l’aspetto era terrificante, ma il suo atteggiamento, che non riusciva affatto a renderlo più gradevole agli occhi. 

Quando entrambi si furono sistemati sui sedili posteriori del taxi, l’autista partì e Hazel prese a guardare fuori dal finestrino, cercando di reprimere almeno un po’ l’entusiasmo davanti ai bellissimi luoghi che Londra le metteva davanti agli occhi. Poco più di mezz’ora dopo, l’auto si fermò, Hazel scese e Malocchio confuse l’autista, che ripartì senza chiedere neppure una sterlina. 

La ragazza si guardò intorno con interesse. Sopra di loro il sole stava iniziando lentamente a tramontare, ma continuava comunque a fare caldo, anche all’ombra del grosso palazzo malridotto davanti a cui i due si trovavano. Alcune delle finestre avevano i vetri rotti, la vernice di molte porte era tutta scrostata e mucchi di immondizia giacevano davanti a parecchi ingresso. 

- Andiamo. - Ordinò Malocchio. 

Prese Hazel per un braccio e la guidò attraverso la strada, finendo sul marciapiede opposto. La voce soffocata di alcuni babbani che litigavano usciva da una finestra in alto nella casa più vicina, mentre un acre odore di immondizia marcia si levava dalla pila di sacchi neri rigonfi appena dentro il cancello rotto.

- Leggi in fretta e impara a memoria. - Borbottò Moody, porgendole un pezzo di pergamena su cui era stato scarabocchiata una frase con una scrittura serrata.

Hazel guardò il foglio. Diceva: “il Quartier Generale dell’Ordine della Fenice si trova al numero dodici di Grimmauld Place, Londra.” 

Malocchio le sfilò la pergamena dalla mano e la incendiò con la punta della bacchetta. Mentre il messaggio si arricciava tra le fiamme e fluttuava sino a terra, la ragazza guardò di nuovo le case. Erano davanti al numero undici, ma a sinistra c’era il numero dieci, mentre a destra, tuttavia, c’era il numero tredici.

- Ma dov… - 

Ma non fece in tempo a terminare quella frase, che una porta malconcia affiorò dal nulla, tra i numeri undici e tredici, seguita in fretta da muri sudici e finestre sporche, come se una casa si fosse appena gonfiata, spingendo le altre ai lati. Hazel guardò la scena a bocca aperta e poi guardò Malocchio, chiedendosi come fosse possibile il fatto che lui non la trovasse straordinaria. 

- Andiamo, avanti. - Ringhiò Malocchio, passandole accanto. 

- Remus, Tonks e Janus dove sono? - Chiese Hazel, seguendolo verso la porta.  

La vernice nera era scrostata e graffiata. Il batacchio d’argento aveva la forma di un serpente intrecciato. Non c’erano serratura né cassetta delle lettere.

- Saranno già arrivati. Quell’autista ci ha fatto fare il giro più lungo. - Rispose Malocchio, e poi bussò alla porta con la bacchetta per due volte. 

Hazel sentì molti rumori metallici e quello che suonava come il tintinnio di una catena, e poi finalmente la soglia si aprì con un cigolio su un lungo corridoio buio.

Quando Hazel varcò l’uscio fiutò umidità, polvere e un odore dolciastro di marcio; il luogo dava la sensazione di un edificio abbandonato. Poi si udì un sibilo basso e le vecchie lampade a gas appese lungo una delle pareti tornarono in vita, gettando una luce tremolante e inconsistente sulla tappezzeria scollata e sulla moquette lisa. Si udirono dei passi affrettati e Tonks emerse da una porta all’altro capo dell’ingresso.  

- Ci avete messo una vita, Sirius stava già iniziando ad impazzire. - Disse ad alta voce, andandogli incontro. 

- Parla piano, Ninfadora! Non vorrai mica svegliare la vecchia! - La rimproverò bisbigliando Malocchio, prima di zoppicare verso la porta alla fine del corridoio. 

Hazel guardò Tonks, la fronte aggrottata. - La vecchia? - Sussurrò. 

- Sì, la madre di Sirius. - Rispose la ragazza. - Lascia pure lo zaino qui. -

- Ma non era morta, la madre di Sirius? - Chiese Hazel, vagamente allarmata. 

Tonks annuì. - Sì, ma il suo quadro è vivo e vegeto. Ha già insultato Janus sette volte da quando siamo arrivati. - Spiegò, camminando lungo il corridoio.  

Camminarono in punta di piedi accanto a una coppia di lunghe tende color smeraldo e dopo aver quasi urtato un grande portaombrelli a forma di zampa di troll, passarono sotto una fila di teste avvizzite e montate su targhe lungo la parete. Hazel rabbrividì e poi, finalmente, lei e Tonks varcarono la soglia della cucina, da cui proveniva un forte odore di buon cibo. 

Guardandosi attorno, Hazel scorse una lunga tavolata attorno a cui si erano unite parecchie persone: c’era un gruppo di quattro adolescenti (tre ragazzi e una ragazza) tutti dai capelli rossi e molto simili tra loro, insieme ad una ragazza loro coetanea che però non sembrava far parte della loro famiglia. Vicini a loro, un uomo e una donna, fulvi anch’essi: lui era alto, un po’ stempiato e con un paio di occhiali storti sul naso, lei aveva il viso tondo, due fianchi molto generosi e teneva in braccio Janus, che richiamò subito le attenzioni della mamma non appena la vide. 

Dall’altro lato del tavolo erano seduti Remus e Sirius, insieme ad un ometto basso e pelato, mentre in piedi, forse in procinto di andarsene, c’era un uomo che le ricordava un po’ una sorta di pipistrello, il volto giallognolo incorniciato da lisci e unti capelli neri. 

- Che carino, Black, ti sei fatto davvero l’amichetta allora. - Sogghignò il pipistrello, scrutandola. - Quanti anni ha, sedici? - 

Lei arrossì vistosamente, e solo in quel momento Sirius sembrò rendersi conto della presenza di Hazel nella stanza. Si alzò, aggirò il tavolo e scoccò all’altro uno sguardo gelido. - Non stavi forse per andartene, Piton? - Gli disse. 

Piton non ribatté, scoccò un’ultima occhiata sprezzante verso Sirius e poi uscì dalla cucina senza aggiungere altro, il mantello nero che quasi toccava terra, lasciando una stana aura di negatività nell’aria. 

Mentre la porta si chiudeva alle loro spalle con un cigolio, Hazel guardò Sirius, e lui ricambiò il suo sguardo tentando di sorriderle alzando i lati della bocca, in un modo che suggerì alla ragazza che probabilmente quelle ultime settimane erano state per lui un vero inferno. Aveva l’aria stanca di chi non riusciva a riposare per niente bene ed era vestito da mago, cosa che, secondo Hazel, non gli donava affatto. Sembrava una strana versione di sé stesso, più triste e in qualche modo più vecchio. 

- Vieni, ti presento tutti gli altri. - Le disse, prendendola per mano e guidandola verso il gruppetto di persone dai capelli rossi sulla destra. - Loro sono Molly e Arthur Weasley, con una parte dei loro figli: Ron, Ginny, Fred e George. Mentre l’altra ragazza è Hermione Granger, l’amica di Harry. - 

Il gruppetto la salutò, poi Arthur si alzò in piedi e le strinse forte una mano, guardandola come se si trovasse davanti ad una qualche sorta di animale mitologico. - So che sei babbana! - Esclamò, allegramente. - Io adoro voi babbani, ma non ne ho mai conosciuto veramente uno prima d’ora, quindi è un vero piacere! Spero che non ti dispiacerà rispondere a qualche mia domanda… ad esempio mi sono sempre chiesto come… - 

- Arthur, non cominciare. - Sbottò la moglie, mettendo finalmente Janus tra le braccia di Hazel. - Devi scusarlo, cara, la sua è una vera e propria ossessione. - 

Hazel fece un sorrisetto divertito, in realtà trovava che Arthur fosse decisamente molto simpatico, anche se tutta quell’attenzione un po’ la metteva a disagio. - In realtà a me sta bene rispondere a qualche domanda. - Disse, con una sincerità tale che Arthur quasi esultò.

- Magari dopo cena, che ne dici, Arthur? - Fece Molly, andando verso i fornelli. - Spero che ti piaccia il pollo al forno, Hazel, hai un’aria così emaciata. - 

Arthur alzò gli occhi al cielo, ma poi fece cenno a Hazel di sedersi sulla sedia vuota al suo fianco, quasi fremente dall’eccitazione. 

La ragazza scoccò a Sirius uno sguardo che sembrava quasi pregarlo di non lasciarla sola in mezzo a quel gruppo di strani sconosciuti, occhiata a cui lui rispose sogghignando divertito, prima di tornare a sedersi accanto a Remus dall’altra parte del tavolo. 

Hazel sospirò e, con il bambino in braccio, si accomodò di fianco ad Arthur. 

Mangiarono tutti insieme in quella cucina dall’aspetto dimesso, consumando un pasto talmente abbondante da sembrare quasi esagerato agli occhi di Hazel, che era abituata a mangiare poco, male e di fretta da praticamente tutta la vita. 

Hazel passò quasi tutta la durata della cena intrattenendo una fitta conversazione con il signor Weasley, sorprendendosi di quanto lui si stupisse per cose che lei riteneva invece assolutamente banali. 

- Quindi voi non scrivete con delle piume ma avete delle penne con dentro l’inchiostro? - Le domandò a bocca aperta, infilzando un pezzo di pollo con la forchetta. 

- Esattamente. - Asserì Hazel. 

- E hai un apparecchio che ti permette di registrare e poi vedere, quando vuoi, dei film che sono stati catturati e messi in delle… cassette? -

- Sì, il videoregistratore. - Rispose Hazel, annuendo. - Puoi registrare qualsiasi cosa, anche le partite di calcio, lo sport dei babbani, o programmi di varietà. -

Sirius, dall’altra parte del tavolo annuì. -  Esistono anche dei veri e propri negozi in cui si possono noleggiare queste cassette, si chiamano videoteche. - Spiegò.

Arthur spalancò gli occhi, annuendo interessato. - E questo calcio… come si gioca? - 

- Te lo spiega Sirius, ormai è un esperto. - Rispose Hazel sogghignando. 

L’uomo storse la bocca, scuotendo la testa con disappunto. - È il gioco più stupido del mondo. - Esordì certo. - Ventidue persone che corrono lungo un grosso campo per cercare di buttare la palla nella porta avversaria usando solo i piedi. - 

- A me sembra un bel gioco! - Esclamò Arthur. - Organizzerò di sicuro un torneo con i miei colleghi del Ministero. - 

- Darei qualsiasi cosa per vederlo, dico davvero. - Ammise Hazel, ridendo.  

Intanto, avanti a Hazel, Tonks divertiva Hermione e Ginny trasformando il proprio naso tra un boccone e l’altro. Strizzava gli occhi ogni volta con la stessa espressione sofferente, e il suo naso prima si dilatava in una protuberanza simile a un becco che ricordava molto quello di Piton, poi rimpicciolì alle dimensioni di un fungo immaturo e infine germogliò parecchi peli da ciascuna narice. A quanto pareva era uno spettacolo consueto durante i pasti, perché ben presto Hermione e Ginny cominciarono a chiedere i loro nasi preferiti.

Hazel, nonostante avesse ormai a che fare con la magia tutti i giorni da quasi due anni, non riuscì a non sorprendersi davanti alle abilità sorprendenti della giovane auror. Perfino Janus, stremato com’era dal viaggio e da quella giornata che sembrava quasi infinita, rideva felice davanti a quelle buffe trasformazioni. 

- Sembri così giovane, cara, quanti anni hai? - Chiese ad un certo punto Molly, che se ne stava seduta accanto a Ginny, dall’altra parte del tavolo. 

- Ventidue. - Rispose Hazel, facendo un sorriso di cortesia. 

Molly storse un po’ la bocca, piena di disappunto, prima di scoccare un’occhiata torva verso Sirius, senza proferire parola. 

- Ma come vi siete conosciuti tu e Sirius? - Domandò invece Ginny, piena di curiosità. 

- È entrato in casa mia alla ricerca di cibo, facendomi prendere uno spavento! - Iniziò a raccontare Hazel, sorridendo. - Era appena scappato da Azkaban ed era ridotto davvero male. Abbiamo passato tutta l’estate insieme, ci siamo innamorati ed ora eccoci qui. -

- E il bambino… lui è stato voluto? - Chiese Molly, guardando Janus. 

Hazel scosse la testa. - No, ovviamente no, vista la situazione. - Rispose candidamente. 

Molly fece di nuovo quella strana smorfia piena di disapprovazione. - È stato un po’ da incosciente farsi mettere incinta da un uomo tanto più grande di te, tesoro, per giunta appena uscito da Azkaban… e immagino che non siate nemmeno sposati. Non so come funziona tra i babbani, ma tra noi una donna che ha un figlio ma senza una fede al dito non è affatto ben vista. - 

Uno strano silenzio raggelante cadde sulla cucina. Hazel sentiva gli occhi di tutti puntati su di lei, i loro sguardi che la trapassavano come lame affilate. Sentì le sue guance andare a fuoco e si voltò mortificata verso Sirius, che guardava Molly con occhi stretti e l’espressione di chi stava cercando in tutti i modi di controllarsi. 

- No, non siamo sposati e d’altronde come avremmo potuto farlo, Molly? Io sono ancora ricercato. - Disse l’uomo, gelido. - Ma lo faremo, quando tutto questo sarà finito. -  

Hazel lo guardò aggrottando la fronte. - Ah sì? - Chiese, sorpresa. 

Sirius scrollò le spalle. - Be’ sì, perché no… se vuoi. - Rispose. 

- Questa è la proposta di matrimonio meno romantica della storia delle proposte di matrimonio. - Rise Tonks, alleggerendo il tono della conversazione. 

- Comunque io non voglio sposarmi. - Ribatté Hazel, guardando Molly. - Non credo che ci sia bisogno di un contratto per dimostrare la validità del nostro rapporto. - 

- Non intendevo dire che il vostro rapporto non sia valido. - Si affrettò a dire Molly. - Ma è normale che due persone che si amano sentano l’esigenza di ufficializzare. - 

- Noi no. - Rispose seccamente Hazel. - Sinceramente non sento nessuna esigenza di prendere il suo cognome o altre cose di questo genere solo perché altrimenti qualcuno potrebbe pensare che io sia una sgualdrina. Anzi, il fatto che qualcuno potrebbe pensarlo mi spinge a tenermi ancor più lontana da certe pratiche, come atto di protesta, sai... - 

A capotavola Malocchio grugnì, e Hazel prese quel verso come un segno di apprezzamento per la sua invettiva contro il matrimonio, mentre invece Molly boccheggiò, quasi in imbarazzo. - L’importante è che siate contenti. - Balbettò in fine. 

- Esattamente. - Rispose Hazel con fare mellifluo, prima di abbassare gli occhi su Janus, che sbadigliò ricambianco lo sguardo. 

- Credo che sia un po’ stanco, povero piccino. - Cinguettò dolcemente Molly, ma Hazel la trovò tremendamente irritante.  

- Sì, infatti è meglio se lo metto letto. - Disse Hazel, alzandosi. - Sirius, vieni con me? - 

 

Poco dopo, al piano di sopra, Hazel stava facendo avanti e indietro in quella che era tornata ad essere, da qualche settimana, la stanza di Sirius Black, il viso sconvolto dalla rabbia e anche da qual poco di imbarazzo che le era rimasto addosso per colpa delle parole della signora Weasley.

- Quella vecchia strega… - Borbottò, furente, mentre Sirius la guardava misurare a grandi passi la distanza tra la porta e la finestra, il bambino che sonnecchiava sul letto. - Ma come si permette? Mi ha praticamente dato della puttana davanti a tutti! -

- Hazel… - 

- Che faccia tosta, che maleducazione! Non posso davvero crederci che è venuta a farmi un discorso del genere… insomma mi conosce appena! - Lo ignorò lei, fermandosi davanti a lui con le mani sui fianchi. - Siete davvero tutti così moralisti, voi maghi? - 

Sirius scosse la testa. - No, però effettivamente tendiamo a sposarci da giovani e a fare figli subito dopo, soprattutto se si tratta di matrimoni combinati come praticamente tutti quelli che ci sono stati nella mia famiglia. - Spiegò in tono amaro. - Però tu non fare caso a Molly, nessuno pensa che sei una poco di buono. - 

- Ma è sempre così quella lì? Insomma, come la sopporti? - 

- Proprio come sopporto tutto il resto. - Fece Sirius, scrollando le spalle. - Sopporto tutte le battutine di Mocciosus, sopporto il fatto di essere rinchiuso qui mentre gli altri rischiano la vita, praticamente tutta la mia esistenza è sopportazione. - 

Hazel sospirò e si lasciò cadere sul letto, al suo fianco. - Scusa. - Mormorò. 

- Di cosa? - Chiese Sirius, guardandola perplesso. 

- Per questa cosa che sono arrabbiata con la signora Weasley. - Mugugnò. - Tu hai già tanti problemi… abbiamo già tanti problemi, non dovrei prendermela tanto. - 

Lui sembrò, se possibile, ancor più perplesso. - È normale che tu sia arrabbiata, lo sono anche io. Non fa altro che dire quanto io sia immaturo e volubile da settimane. - Rivelò, poggiandole un braccio sulla spalla e attirandola a sé. - Solo che non ci vediamo da venti giorni e, sinceramente, vorrei fare tutto tranne che parlare di Molly Weasley. -  

Hazel annuì, guardandolo negli occhi, percependo tutti i pensieri negativi che avevano caratterizzato le ultime settimane che lasciavano finalmente il suo corpo. Si avvicinò a lui, posando delicatamente le labbra sulle sue come desiderava fare da quando era arrivata in quella casa e lui rispose a quel contatto con urgenza, quasi con impeto, prima di farsi di nuovo indietro, quel tanto che bastava per poterla guardare. 

- Detesto questo posto. - Le rivelò a bassa voce. - Ma soprattutto detesto che te e Janus dobbiate vivere qui. - 

Hazel scosse la testa. - Questa è solo una casa, Sirius. - Disse. 

- Non è solo una casa. - Obiettò lui. 

- Invece lo è. Guardati intorno: delle mura, un tetto, delle scale… a me sembra proprio solo una casa. - Ribatté la ragazza, stringendogli le mani. - Certo, magari è piena di brutti ricordi ma possiamo crearne di nuovi. - 

Sirius mugugnò contrariato e poi annuì, ma forse solo per accontentarla. 

- Come ci organizziamo per stanotte? Janus dormirà con noi? - Chiese Hazel, voltandosi verso il bambino. 

- Pensavo alla camera di Regulus, qui a fianco. - Rispose Sirius. - È un po’ cupa, ma magari potrebbe essere un’idea ridipingerla e togliere tutti i vari riferimenti a Voldemort. Ho anche recuperato il vecchio lettino in cui io e mio fratello abbiamo dormito da piccoli. - 

Hazel guardò suo figlio, ormai profondamente addormentato. - Magari per stanotte è meglio se resta qui con noi. - Disse, sdraiandosi al suo fianco. 

Sirius sospirò ma non disse niente, stendendosi vicino a loro. - Sembri stanchissima. - Mormorò, tenendola per mano. 

- Lo sono. - Rispose lei, con gli occhi a mezz’asta. - Credi che riusciremo ad essere felici qui, nonostante tutto? - Domandò poi, dopo un attimo di silenzio. 

Lui esitò. - Non lo so. - Sussurrò. - Ma presumo che lo scopriremo presto. -

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo 13. Harry ***


Ciao a tutt*,
scrivere questo capitolo è stato un po' faticoso e infatti il risultato non mi soddisfa un granché, solo che sono passati un po' di giorni dall'ultimo che ho postato, quindi eccolo qui. Che ne dite di farmi sapere come vi pare? 
Prima di lasciarvi alla lettura ho una domanda stana da farvi: ho creato una playlist solo per ascoltarla mentr scrivo questa storia, solo che sono a corto di canzoni e mi chiedevo, secondo voi, quali sono le vibes musicali di questa fan fiction? Insomma mi consigliate qualche titolo?
Detto questo... godetevi il capitolo. 
Jamie. 


Capitolo 13


La mattina dopo, Hazel, infastidita da un caldo raggio di sole che trapassava in uno spiraglio tra le tende, si svegliò in un letto vuoto. Si stiracchiò, portandosi le mani alla faccia, spalancò di nuovo le palpebre e, mettendosi seduta, iniziò a guardarsi intorno. 

La stanza era spaziosa e un tempo doveva essere stata bella, proprio come doveva esserlo stata tutto il resto della casa. C'erano il grande letto su cui lei era seduta, con la testata di legno intagliato, un'alta finestra oscurata da lunghe tende di velluto da cui passava quell’unico raggio di sole capace di illuminare tutto lo spazio, sulla scrivania c’erano i vecchi libri di scuola di Sirius, qualche romanzo di cui Hazel non aveva mai sentito parlare e qualche foglio stropicciato, insieme ad una piuma e una boccetta di inchiostro.  

Le pareti, invece, erano state tappezzate con un tale numero di poster e foto da lasciar libere solo poche strisce della seta grigio e argento circostante. 

C'erano molti stendardi di Grifondoro, rosso e oro sbiadito, a sottolineare la sua distanza dal resto della famiglia Serpeverde. C'erano molte foto di motociclette Babbane e anche poster di ragazze Babbane in bikini. Un bel contrasto con l'unica foto magica appesa: quattro studenti di Hogwarts che ridevano tenendosi a braccetto.

Hazel li guardò. Aveva sentito così tante volte parlare di quei quattro che quasi le sembrava di averli conosciuti. Riconobbe per primo Remus, decisamente molto più giovane e senza un solo capello grigio, ma con la stessa aria trasandata di sempre, poi quello con i capelli ribelli e gli occhiali, che doveva essere James, poi c’era il ragazzino tozzo dagli occhi acquosi, Peter Minus, che sorrideva inconsapevole di quanto dolore avrebbe provocato in futuro, e poi, alla sinistra di Minus, c’era Sirius. Hazel non aveva mai visto una sua foto di quando era giovane e felice ma, guardandolo, si rese conto che probabilmente, se lo avesse conosciuto a sedici anni, lo avrebbe evitato come la peste. Era troppo bello e consapevole di esserlo, il suo viso era troppo arrogante, il suo atteggiamento sfacciatamente sicuro. Inoltre era certa che non avrebbe avuto nessuna speranza con uno come lui. 

Hazel si ritrovò a fare un piccolo sorrisetto senza un vero motivo, e fu in quel momento che la porta alla sua sinistra si spalancò. Sulla soglia, Sirius la guardò come se non si fosse aspettato di trovarla sveglia. 

- Eri davvero molto carino. - Fece lei, indicando la foto, con un sorrisetto in volto. 

Sirius scollò le spalle. - Questione di atteggiamento. - Disse con nonchalance. - Molly mi ha chiesto con cosa fai colazione di solito, credo che si senta un po’ in colpa per averti dato della poco di buono e quindi ti rimpilzerà di cibo. - Aggiunse, sviando il discorso. 

Hazel storse un po’ il naso. Solitamente non era una persona rancorosa, eppure l’idea di dover avere a che fare con la signora Weasley di nuovo e di dover essere anche civile con lei la infastidiva. - Spero che abbia fatto dei pancake spettacolari. - Borbottò. 

- Molly ha tanti difetti, ma è un’ottima cuoca, quindi sì. - Rispose Sirius. - Potrebbe essere anche eletta baby sitter ufficiale di Jan, anche se non sembra approvare quello strano metodo educativo che segui per crescere bambini indipendenti. - 

Hazel alzò gli occhi al cielo. - Certo, la signora Weasley ne sa decisamente di più di Maria Montessori di pedagogia. - Sibilò, infastidita. - Non sarà la baby sitter ufficiale di nostro figlio. Piuttosto… Tonks lo sarà. Quando non c’è Remus, ovviamente. Anzi credo che potrebbero occuparsene entrambi, come una prova della loro futura vita insieme. - 

Sirius guardò Hazel, senza capire a cosa alludesse. - In che senso? - Domandò. 

- Credo che a lui piaccia lei o a lei piaccia lui. Insomma, si piacciono. - Rispose la ragazza, sbrigativa. - Lei lo fissa di nascosto e lui la chiama per nome, cercando di infastidirla. - 

Sirius alzò le sopracciglia, come colto da un'improvvisa illuminazione. - Bene, bene… - Disse, facendo un sorrisetto sghembo. 

- Però non dovremmo immischiarci nelle loro faccende. - Si affrettò ad aggiungere Hazel, con il tono di una che non credeva affatto in ciò che aveva appena detto. 

Sirius alzò le mani, ma continuò a sogghignare. - Non ne avevo nessuna intenzione! - 

- Certo come no. - Rise lei, scuotendo la testa. - Magari però… potrebbero aver bisogno di una piccola spinta, ora che mi ci fai pensare. Remus non è sfrontato come te. - 

- Esatto, è sempre stato così con Lunastorta. - Approvò Sirius. - Io mi occuperò di lui, tu tenta di farti amica Tonks, è una ragazza molto simpatica, lo sai che siamo cugini? - 

Hazel sgranò gli occhi, sorpresa. - Non dovrebbe odiare i babbani allora? - Chiese. 

Sirius scosse la testa. - Vieni, ti faccio vedere una delle cose più inquietanti di tutta la casa, così potrai capire meglio. - Le disse, uscendo dalla camera da letto. 

Percorsero il buio corridoio in silenzio e poi scesero le scale, fino ad arrivare al primo piano, in un grande soggiorno dall’aria antica e dimessa proprio come tutta la casa. Il grande camino in marmo era spento e buio accanto ad un vecchio pianoforte a coda nero, due divani che un tempo dovevano essere stati sontuosi erano piazzati uno di fronte all’altro, in mezzo un passo tavolino. Il grosso lampadario di ferro pendeva dal soffitto, pieno di ragnatele e un po’ ammaccato, mentre a terra c’era un tappeto liso e, su una delle pareti, un grosso arazzo che sembrava immensamente antico: era sbiadito e pareva rosicchiato qua e là, tuttavia, il filo d’oro con cui era ricamato scintillava ancora abbastanza da mostrare un esteso albero genealogico che risaliva al Medioevo. Grosse lettere in cima all’arazzo recitavano: la Nobile e Antichissima Casata dei Black, “Toujours pur”.

- Effettivamente è un po’ inquietante. - Convenne Hazel, anche se in realtà avrebbe voluto dire “affascinante”. Si trattava pur sempre di qualcosa di molto antico. - Tu non ci sei. - Osservò.

- Ero qui. - Disse Sirius, indicando un buchetto rotondo carbonizzato nel tessuto, simile a una bruciatura di sigaretta. - Quando sono scappato di casa mia madre ha deciso di cancellarmi. Questo buco qui, invece, è mia cugina Andromeda, la madre di Tonks. La sua colpa è stata quella di innamorarsi di un nato babbano, Ted Tonks. -  

Ferma davanti a quell’albero genealogico, Hazel si sentì improvvisamente a disagio, ma non riuscì a capire quale fosse il reale motivo, o forse non ebbe il tempo di pensarci abbastanza, dato che alcuni passi strascicati alle sue spalle attirarono la sua attenzione. 

Quando si voltò, si trovò di fronte ad una strana creatura mai vista prima: a parte lo straccio sudicio legato come un gonnellino attorno alla vita, era completamente nudo. Era molto vecchio: la sua pelle pareva troppo abbondante, e anche se era calvo come tutti gli elfi domestici, una gran quantità di peli neri spuntava dalle grandi orecchie a forma di ali di pipistrello. Aveva gli occhi di un grigio acquoso e iniettato di sangue e il grosso naso carnoso, molto simile a un ghigno.

- Che cos’è quella cosa? - Mormorò Hazel a Sirius. 

Sirius sospirò. - Kreacher, l’elfo domestico di cui ti ho parlato. - Rispose. 

L’elfo non badò assolutamente a loro e, come se non li vedesse, avanzò trascinando i piedi, ingobbito, lento e risoluto, verso l’arazzo, borbottando sottovoce con un tono rauco e profondo. - Che vergogna, che vergogna… padron Sirius si accoppia con i babbani e porta nella casa della mia padrona il suo loro pargolo mezzosangue… - 

- Cosa vuoi? - Chiese gelidamente Sirius.

Alla vista del suo padrone, Kreacher si prostrò in un inchino ridicolmente profondo che gli appiattì a terra il naso a forma di grugno. - Kreacher non aveva visto il padrone e la schifosa babbana con cui si accoppia. Kreacher si scusa… - Gracchiò. 

- Non chiamarla così! Non guardarla, non parlare a nessuno di lei e di mio figlio, sta lontano da loro o ti ucciderò! - Sbottò Sirius. 

Hazel sobbalzò, facendo saettare gli occhi da Sirius a Kreacher e viceversa. - È solo un elfo, lascialo stare. - Gli disse. - Non lo vedi che è vecchio? -  

Sirius guardò Hazel stringendo gli occhi. - Tu non lo conosci. - Ribatté con disappunto, prima di tornare a rivolgersi all’elfo. - Che cosa vuoi? -  

- Kreacher pulisce. - 

- Tutte le volte che sbuchi con la scusa di pulire, fai sparire qualcosa e la porti nella tua tana per impedirci di buttarla via. - Osservò Sirius. 

- Kreacher non vorrebbe muovere niente dal suo posto nella casa del padrone. -  Rispose l’elfo, poi biascicò molto in fretta: - La padrona non perdonerebbe mai Kreacher se venisse buttato via l’arazzo, sono sette secoli che è in famiglia, Kreacher deve salvarlo, Kreacher non permetterà al padrone e ai traditori del loro sangue e a questa babbana di distruggerlo… - 

- Lo supponevo. - Disse Sirius, scoccando un’occhiata sprezzante alla parete. - Prima o poi staccherò questo stupido arazzo dalla parete, lo farò a brandelli e gli darò fuoco, e tu, nel frattempo, guarderai senza poter fare nulla. - 

Kreacher gemette sommessamente come se le parole di Sirius lo avessero ferito fisicamente, poi fece un alto profondo inchino. - Il padrone ha sempre amato scherzare. - 

- Sì, pensa pure che io stia scherzando. - Sibilò Sirius. - Adesso esci da questa stanza. - 

Pareva che Kreacher non osasse disobbedire a un ordine diretto; ma lo sguardo che rivolse a Sirius mentre passava strascicando i piedi davanti a lui era colmo del più profondo disprezzo. L’elfo continuò a parlare sottovoce uscendo. - …torna da Azkaban per dare ordini a Kreacher, oh, la mia povera padrona, che cosa direbbe se vedesse la casa adesso, la feccia che ci vive, i suoi tesori gettati via, ha giurato che non era suo figlio ed è tornato, dicono che è anche un assassino… - 

- Continua a borbottare e lo diventerò! - Ringhiò Sirius, dietro l’elfo.

Hazel rivolse a Sirius uno sguardo vagamente infastidito. - Non dovresti trattarlo così, è una cosa sadica. - Disse, più freddamente di quanto avesse voluto. 

Lui alzò gli occhi al cielo e sbuffò. - Anche tu fai parte del C.R.E.P.A., adesso? - 

- Che cos’è il C.R.E.P.A? - Domandò, perplessa. 

Come risposta, la figura di Hermione spunto dalla porta, quasi come se si fosse sentita presa in causa. - È Comitato per la Riabilitazione degli Elfi Poveri e Abbruttiti, per la lotta ai loro diritti. - Spiegò, entrando. - Gli obiettivi del C.R.E.P.A. sono garantire gli elfi domestici un salario minimo, turni inferiori a sei ore al giorno, ferie retribuite e possibilità di mettersi in malattia. Possono fanne parte anche i babbani. - 

- Brava Hermione, la lotta di classe è importante. - Approvò annuendo. - Bisogna sempre stare dalla parte dei più deboli. Sirius, com’era quella tua massima… “se vuoi sapere com'è un uomo, guarda bene come tratta i suoi inferiori, non i suoi pari”? - 

- Lo ha detto anche a noi, lo scorso anno! - Esclamò Hermione ridendo. 

Sirius lanciò un’occhiata torva ad entrambe e poi incrociò le braccia sul petto. - E con questo? Kreacher si comporta da stronzo fin da quando ero solo un bambino, per lui nessuna massima vale. - Spiegò, infastidito.  

Hazel sospirò, mettendogli una mano sulla spalla. - Tratta bene Kreacher, per favore. - Gli disse. - Devi dare il buon esempio, non vorrai mica che nostro figlio cresca pensando che gli elfi domestici vadano trattati tutti come tu tratti Kreacher. -  

Sirius esitò per un momento e poi sbuffò. - Ci proverò. - Disse alla fine, alzando gli occhi al cielo. 

Hermione esultò (aveva forse trovato un’alleata per il C.R.E.P.A.?), e poi Molly apparve sulla soglia. - Oh, finalmente ti sei svegliata, cara. - Disse, guardando Hazel. 

Parlava con un tono cauto, lieve e educato, il che faceva capire che la signora Weasley non aveva dimenticato i dissapori della sera prima. La ragazza, d’altra parte, dovette trattenersi dalla voglia di farle il verso, e si limitò solo ad annuire. 

- La colazione è pronta, venite a mangiare? Oggi ci aspetta un’altra lunga giornata di pulizie. - Annunciò Molly, mentre faceva strada verso la cucina. 

- Pulizie? - Fece Hazel, varcando la soglia. - Non vi basterebbe muovere la bacchetta? - 

In cucina alegiava un invitante odore di vaniglia e, seduti attorno al lungo tavolo di legno, Ron stava facendo colazione con aria svogliata, masticando a bocca aperta, mentre Ginny, che teneva Janus sulle ginocchia, beveva il tea da una vecchia tazza sbeccata.

- In questo caso non basterebbe. - Spiegò Hermione, sedendosi sulla sedia vuota accanto all’amica. - C’è una fitta infestazione di doxy, mollicci nascosti nei mobili e altre creature di questo genere. - 

- Infatti credo che sia meglio se tu e Janus facciate una bella passeggiata questa mattina, mentre noi ce ne occupiamo. - Disse Molly, portando in tavola un grosso piatto pieno di pancake e sedendosi tra Ginny e Ron. 

Hazel aggrottò la fronte. - E perché? Ci sarà qualcosa che posso fare per aiutarvi pur essendo babbana, no? - Chiese, guardando Sirius accomodato al suo fianco. 

- È meglio di no, cara, credimi. - Insistette Molly. 

- Dare la caccia a qualche doxy non è poi così complicato neppure per i babbani, Molly. Sono convinto che Hazel saprà cavarsela. - Tagliò corto Sirius. 

 

Passarono così l’intera mattinata a pulire, disinfestare e a liberarsi di tutti quegli oggetti appartenuti alla famiglia Black, che la maggior parte delle volte venivano strappati via dalle braccia rachitiche di Kreacher, facendolo scoppiare in lacrime. Sirius gettò in un sacco, senza alcun riguardo, tutte le porcellane che recavano impressi lo stemma e il motto dei Black, e la stessa sorte toccò a un gruppo di vecchie fotografie in ossidate comici d’argento: 

- Perché tua madre vestiva te e tuo fratello in questo modo strano? - Domandò Hazel, osservando una fotografia che raffigurava dei piccoli Sirius e Regulus vestiti da maghi, fermi e composti tra i loro due genitori, tutti e quattro schierati davanti all’arazzo con l’albero genealogico. 

- Puro sadismo, presumo. - Rispose Sirius, togliendogliela dalle mani. 

- Effettivamente avete degli abiti davvero osceni. - Asserì Hazel. - Sul serio, perché vi vestite come in un romanzo di Jane Austen? Sembri Mr Darcy. - 

Poco dopo l’ora di pranzo, il professor Piton raggiunse il numero dodici, fermandosi giusto qualche minuto per fare rapporto e scoccando un’occhiata compiaciuta verso Sirius. - Vedo che le pulizie procedono bene, Black. - Disse ghignando e senza nessun reale interesse nell’ascoltare la risposta. 

Piton poteva anche definire il loro lavoro “pulizie”, ma secondo Hazel in realtà stavano muovendo guerra alla casa, e la casa opponeva una fiera resistenza, aiutata e sostenuta da Kreacher. 

Il campanello suonava parecchie volte al giorno, e ogni volta la madre di Sirius ricominciava a strillare. 

Quelle ultime settimane di luglio furono dunque caratterizzate da quelle interminabili sedute di pulizie potenzialmente pericolose, che portarono Hazel ad essere morsa da un doxy almeno cinque volte e a scoprire la forma che prendeva un molliccio davanti a lei. 

Tonks si unì a loro in un memorabile pomeriggio nel quale scoprirono un vecchio demone assassino appostato in un bagno di sopra, e Remus li aiutò a guarire un orologio a pendolo dalla spiacevole abitudine di scagliare grossi dardi ai passanti. 

- Oggi Remus è stato proprio bravo con quell’orologio. - Fece Hazel quella sera, seduta su uno dei due divani in salotto, guardando Tonks con uno sguardo pieno di sottintesi. 

- Remus è un ottimo mago. - Buttò lì la giovane auror, seduta mollemente accanto al cugino, con in meno una bottiglia di burrobirra ghiacciata. 

- Ed è anche molto carino, non credi? Molto affascinante. - Continuò Hazel. - Ma soprattuto è intelligente e sensibile, un ottimo ascoltatore, per giunta. E poi hai visto come è bravo con Janus? Sarebbe un ottimo padre. - 

Tonks alzò un sopracciglio, guardando prima Hazel e poi Sirius, che non sembrava per nulla preoccupato del fatto che la ragazza stesse tessendo le lodi del suo migliore amico come se ne fosse infatuata. 

- Hazel ha una cotta platonica per Lunastorta. - Spiegò Sirius, come se l’avesse sentita pensare. - E anche io. Se mi piacessero gli uomini lui sarebbe la mia prima scelta. -  

- Secondo me dovresti invitarlo a cena fuori. - Le consigliò Hazel.  

Tonks soffocò una risatina e scosse la testa. - Non credo di essere il suo tipo. - Obiettò. 

- Nemmeno Hazel è il mio tipo in teoria. - Svelò Sirius. - Eppure eccoci qua. - 

Hazel lo guardò storto. - E come sarebbe il tuo tipo, sentiamo? - Domandò incrociando le braccia sul petto. 

Sirius ci pensò su per qualche secondo. - Di solito mi avvicinavo a donne molto belle e parecchio meno intelligenti di te. - Disse poi, alzano le spalle. 

- Quindi io sarei brutta. - Sbottò lei, indignata. 

Tonks scoppiò a ridere e Sirius alzò le mani in segno di resa. - No, ma non sei nemmeno bellissima, sei normale… carina. Non mi sono di certo innamorato di te per il tuo aspetto. - Rispose Sirius alla svelta prima di rivolgersi di nuovo a Tonks. - Questa cosa del tipo ideale è sopravvalutata, l’amore è una cosa che non può sottostare a delle regole da noi inventate. Secondo me dovresti buttarti con Remus, Dora. -  

- Nemmeno tu sei il mio tipo. - Borbottò Hazel. 

- Sirius è il tipo di tutte. - Esordì Remus, varcando la soglia del salotto con Janus in braccio. - Di che state parlando? - 

- Del fatto che Sirius mi trova brutta. - Rispose Hazel.  

L’uomo alzò gli occhi al cielo. - In realtà parlavamo di te e Dora. Quando avete intenzione di uscire insieme? - 

 

Tra l’umore altalenante di Sirius, che passava dall’essere allegro al fare strani discorsi inquietanti su Azkaban, e il fatto che Hazel non potesse uscire di casa senza essere accompagnata da qualcuno, cosa che la irritava terribilmente, arrivò agosto, caldo e assolato come non mai. 

La mattina, Hazel si svegliava presto insieme alla signora Weasley, ogni tanto andava con lei e qualcun altro a Diagon Alley e doveva ammettere che fingere di essere una strega le piaceva. Poi, mentre gli altri si occupavano delle strane creature che se ne stavano rintanate negli angoli più bui del numero dodici, lei si occupava di rendere la stanza di Regulus Black adatta ad un bambino. Fece sparire gli articoli di giornale su Voldemort appesi alle pareti, coprì lo stemma dei Black disegnato sopra la spalliera del letto dipingendoci sopra e perse molto del suo tempo a frugare tra le cose che erano appartenute al fratello di Sirius. Nascoste sotto il grosso letto a baldacchino, Hazel scovò una fitta corrispondenza che Regulus si scambiava con quella che doveva essere stata la sua fidanzata a Hogwarts, una certa Camilla Zabini, di cui aveva anche qualche foto nascosta tra le pagine dei suoi libri. Lettera dopo lettera, Hazel si appassionò a tal punto da prendersi una cotta per Regulus, come se si trattasse di un personaggio di qualche romanzo babbano. 

Quel tardo pomeriggio, qualche giorno prima del primo compleanno di Janus, affacciata alla finestra della camera da letto, Hazel si rese conto che le mancava la Scozia e che trovava Grimmauld Place, o forse addirittura Londra, un luogo estremamente claustrofobico. Alle sue spalle, sedute entrambe sul letto insieme a Janus, c’erano Hermione e Ginny. Erano così giovani, eppure lei era molto più vicina alla loro età di quanto non fosse Sirius o chiunque altro in quella casa a parte Ninfadora. 

Più di una volta, era capitato che Hazel fosse finita a confidarsi con loro in quei momenti in cui non c’era nessuno ad ascoltarla, come quando Remus partiva in qualche missione o Sirius si chiudeva in sé stesso, ignorandola totalmente e ignorando perfino il bambino, cosa che stava accadendo sempre più spesso negli ultimi giorni. 

- Come vanno le cose tra te e Sirius? - Chiese infatti ad un certo punto Hermione, come se avesse dato un'occhiata ai suoi pensieri.   

Hazel scrollò le spalle e si avvicinò al letto, sedendosi. - Come al solito, lo sapete com’è avere a che fare con lui. - Rispose, facendo un sorrisetto triste. - Si comporta da stronzo, poi se ne pente e torna strisciando. Anche se, ultimamente, sono quasi convinta che se tornassi in Scozia proprio ora non se ne accorgerebbe nemmeno. - 

- Ma dai, non ci voglio credere! - Esclamò Ginny indignata, sedendosi a gambe incrociate e accarezzando i capelli del bambino. 

- Secondo me lo perdoni un po’ troppo facilmente. - Disse Hermione. 

Hazel sospirò e annuì. - Tonks dice esattamente la stessa cosa. - Rivelò. - A me non importa essere ignorata da lui, insomma alla fine ho sempre saputo che è un tipo un po’ volubile, ma quando lo fa con Janus… non lo sopporto. Non può far finta che non esita per una settimana per poi pretendere che tutto sia come al solito, lo confonde. - 

Hermione mise una mano su quella di Hazel, guardandola negli occhi - Vedrai, oggi arriverà Harry e sono sicura che andrà meglio. - 

Già, Harry Potter… , pensò amaramente Hazel, tormentata dall’idea di essere odiata da quel quindicenne che ancora non aveva conosciuto e che non sapeva nemmeno della sua esistenza. Fece un respiro profondo ma, poco prima che potesse parlare, delle grida attirarono la loro attenzione dalla stanza accanto. Tutte e tre, insieme a Janus, uscirono e raggiunsero allarmate la soglia della porta, affacciandosi. Dentro, insieme a Ron, Fred e George, c’era anche un altro ragazzo. Smilzo, con i capelli arruffati e scuri, gli occhiali sul naso e una cicatrice sulla fronte. Harry Potter ricambiò il loro sguardo: passò gli occhi prima su Ginny, poi su Hermione e su Hazel, chiedendosi chi fosse, e poi, infine, guardò Janus, che gli fece ciao con la manina. 

Che ci faceva un bambino in quel posto? Si chiese, perplesso. 

- Ragazzi, potevate dirmelo che era arrivato! - Esclamò Hazel, facendo un sorriso gentile. 

Harry la guardò di sottecchi. - Sì, sono io, il ragazzo che è sopravvissuto, il famoso Harry Potter! - Disse, stizzito e arrabbiato. - Vuoi chiedermi come ho fatto a sopravvivere a Voldemort? O vuoi vedere la cicatrice? - 

Hazel fece un passo indietro, mortificata. Dunque era lui il figlioccio di Sirius, tanto decantato per la sua gentilezza, il suo coraggio e la sua bontà d’animo? Era lui quello che sarebbe andato a vivere con loro una volta che Sirius fosse stato scarcerato? No, non le piaceva affatto. 

Il viso di Hazel si trasformò in una maschera di sdegno, gli voltò le spalle, decisa a tornarsene in camera sua fino alla fine della riunione che si stava svolgendo al piano di sotto, per poi poter parlare con Sirius del “famoso Harry Potter”, quando Fred e George la fermarono prima che potesse uscire  del tutto dalla stanza. 

- Vieni, Hazel, non avere paura. So che non è bello come appare sul giornale, ma ti assicuro che non morde! - Disse George mentre Hermione e Ginny si lanciavano occhiate alle sue spalle. 

- Harry, Harry, Harry. - Sogghignò invece Fred, mettendo una mano sulla spalla del giovane Grifondoro. - Hai versato la pozione fuori dal calderone, amico. Anzi, direi che il calderone lo hai proprio fuso. -

- Miseriaccia amico, non vorrei essere nei tuoi panni! - Aggiunse Ron a sua volta. 

Harry guardò Hazel, iniziando a rendersi conto che forse quella ragazza doveva essere molto importante in quella casa; e quel bambino… 

- Harry Potter. - Iniziò Fred, in tono solenne. - Ti presento Hazel Rains… che, nonostante possa sembrare praticamente una studentessa del settimo anno, è in realtà una cosa come… una sottospecie di madrina per te. E il bambino che tiene in braccio, Janus, è il figlio di Sirius. - 

Harry sgranò gli occhi e spalancò la bocca guardando i due e sentendo un forte desiderio di sparire sotto il mantello dell'invisibilità di suo padre. - Io non… non sapevo che… - 

- Non fa niente, non ti preoccupare. - Lo fermò Hazel, senza nessuna inflessione nella voce, prima di porgergli la mano e abbozzando un sorriso forzato. - Sono felice di conoscerti, finalmente. - 

Harry, titubante, strinse la mano della ragazza, muovendo gli occhi tra lei e il bambino, rimanendo con la bocca aperta ma senza emettere alcun suono. 

Sulla soglia della porta apparve poi la signora Weasley. - Oh, bene, vedo che hai già conosciuto Harry, Hazel. - Disse, con il solito distacco che tendeva a mantenere con lei. 

Hazel annuì. - Sì, una conoscenza davvero… piacevole. - Buttò lì, facendo un sorriso che risultò finto e con una certa nota passivo-aggressiva nella voce. 

Molly guardò Hazel ed Harry con insistente sguardo indagatore. - La riunione è finita e la cena è quasi pronta, se volete potete scendere. - Li informò poi. - Harry, caro, ho fatto la torta di melassa. -  

- Grazie, signora Weasley. - Disse il ragazzo, prima di uscire dalla stanza, seguito da Ron, Fred e George e poi da Ginny e Hermione. 

Molly e Hazel si guardarono per un secondo, poi la più giovane si fece avanti. - Molly, ti dispiacerebbe portare Janus da Sirius, per favore? Ho un po’ di… mal di testa. - Disse, passandole il bambino. 

- Certamente. - Annuì Molly, prendendolo in braccio. 

- Grazie. - 

Molly accennò un sorriso incerto. - Ti mando a chiamare per la cena? - Le chiese. 

- Sì… - Rispose Hazel, dopo un attimo di esitazione. - Grazie. - 

- Figurati, cara. - Disse Molly e poi, con il bambino ancora in braccio, uscì dalla stanza, senza aggiungere altro, lasciandola finalmente da sola, immersa nel silenzio che aveva preso a dilatarsi tutto attorno a lei. 

Sospirando, Hazel raggiunse di fretta la sua camera, chiuse la porta e si butto sul letto, ripensando al suo primo, disastroso, incontro con Harry Potter. 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo 14. Chiarimenti ***


Breve commento: questo capitolo è corto e mal riuscito, ma non ho saputo fare di meglio… ultimamente va un po’ così, sarà il caldo o chissà cosa. Comunque fatemi sapere cosa ne pensate e se trovate errori palesi fatemelo notare. 

Jamie. 

 

Capitolo 14




 

Sebbene fosse circondato da persone che, a loro dire, gli volevano bene, Harry Potter, seduto al lungo tavolo della cucina del numero dodici, si sentiva più solo, triste e imbarazzato che mai. Davanti a lui, Ron, Hermione, Ginny, Fred e George lo fissavano con sguardi angosciati, facendo scorrere di tanto in tanto gli occhi sui volti degli altri commensali, posandoli alla fine su Hazel, che sedeva al limite sinistro del tavolo, accanto a suo figlio e a Sirius.  

Harry sospirò, la testa bassa sulla sua porzione di torta alla melassa pur di sfuggire alle occhiate accusatrici dei suoi amici, e dalla vista di Sirius con la sua vera famiglia. Erano così tremendamente carini insieme: lui sembrava essersi totalmente rincoglionito e adesso passava tutto il suo tempo a riprendere con una videocamera tutto quello che Janus faceva, parlandogli con vocette imbarazzanti, mentre lei era quanto di più lontano ci si potesse immaginare quando si pensava alla donna ideale di Sirius Black. Hazel era così saccente, una sorta di Hermione che però ti correggeva la grammatica invece che i compiti di pozioni, ma nonostante questo aveva un irritante accento scozzese molto marcato. E poi era giovane, troppo giovane per stare con Sirius. Inoltre era incredibilmente gentile con tutti, perfino con Kreacher o con il quadro della madre di Sirius, come se avesse un enorme e disperato bisogno di piacere alle persone che aveva intorno.  

E poi c’era Janus, un bambino di quasi un anno, un po’ timido e dall’aria di uno che era profondamente amato, perfino adorato, dai suoi genitori, aspetto di cui invece Harry era sempre stato vistosamente privo. Non sapeva nulla di bambini, ma era quasi certo che Janus fosse piuttosto sveglio: camminava a stento poggiandosi sulle vecchie mura del numero dodici, o lasciandosi guidare dalla madre e dal padre, ma parlava facendosi capire perfettamente e, ogni tanto, si lasciava andare a qualche piccolo incantesimo, soprattutto quasi si arrabbiava, spaventando Hazel e rendendo Sirius fiero.  

Da quando Harry aveva scoperto dell’esistenza di Sirius, non c’era stato un giorno in cui non si fosse sentito un po’ in pensiero per lui, soprattutto dopo che lo aveva incontrato ad Hogsmeade. Aveva temuto che i Dissennatori lo catturassero di nuovo, era convinto che fosse fuggito all'estero e fosse tornato solo per stargli vicino e questo lo aveva sempre fatto sentire in colpa, e invece lui non aveva mai lasciato la Scozia e, per giunta, aveva trovato anche il tempo di mettere su famiglia. Tutto questo senza dirgli nemmeno una parola a riguardo, quasi come se non si fidasse di lui.  

- Stavo pensando. - Esordì Hermione, a bassa voce, facendogli finalmente alzare gli occhi dalla sua fetta di torta. - Dovremmo fare un regalo a Janus, per il compleanno. - 

- Mamma gli sta già facendo un maglione e un paio di calzini. - Disse Ron. - Dice che Hazel non lo copre abbastanza, che qui dentro è umido e che così si ammalerà. -  

- Harry, io e te cosa gli facciamo? - Domandò allora Hermione, guardandolo. 

- Non lo so. - Rispose seccamente il ragazzo. 

Hermione rivolse al bambino un rapido sguardo. - Non ho idea di cosa potrebbe servire ad un bambino così piccolo. - Disse, pensosa. - Magari dei giochi o dei vestiti? - 

- Non lo so. - Ripeté Harry. - Decidi tu, Hermione. Ho altro a cui pensare al momento. - 

Lei incrociò le braccia sul petto, sbuffando. Certo, poteva capirlo: aveva visto il ritorno di Voldemort, il Ministero non gli credeva e tra pochi giorni avrebbe dovuto affrontare un processo per un semplice caso di magia minorile ma, da quando aveva messo piede a Grimmauld Place, Harry non sembrava lo stesso di sempre. Era arrabbiato, quasi scontroso e le cose non sembravano accennare a migliorare. 

- Harry, non avrai mica paura che Sirius non ti voglia più con sé, adesso che ci sono Hazel e Janus, vero? - Sussurrò Hermione, scrutandolo. 

Harry sentì le sue guance andare a fuoco. Il primo incontro con Hazel era stato terribilmente imbarazzante; avevano cominciato con il piede sbagliato, ma non pensava che le sue paure fossero così palesi agli occhi di Hermione. - No… io non… no che non ho paura di una cosa del genere. - Balbettò, imbarazzato. 

- Meglio così. - Gli disse Ginny. - Sarebbe una paura molto stupida la tua, dato che Sirius non fa altro che parlare di te, mentre Hazel è terrorizzata dall’idea di non piacerti. - 

Harry si voltò verso Sirius per la prima volta dall’inizio della cena, e lui gli sorrise di rimando, facendolo sentire un po’ stupido e anche un po’ in colpa ma, soprattutto, si sentì d’un tratto sollevato. Magari le cose non sarebbero cambiate. O magari sì, magari dopo cena Hazel avrebbe raccontato a Sirius quello che era successo qualche ore prima e si sarebbe arrabbiato con lui. 

Quella fu la cena più lunga della vita di Harry, che ringraziò silenziosamente Molly quando ordinò a lui e agli altri di raggiungere le proprie camere. 

Lì, seduto sul letto, nella stanza che divideva con il suo migliore amico, Harry guardava i gemelli che giocavano a Sparaschiocco, mentre Ginny e Ron facevano il tifo. La porta accostata faceva intravedere l’incessante andare avanti e indietro di tutti quelli che quella sera sarebbero rimasti a dormire al numero dodici, l’aria che si respirava era distesa e tutti sembravano piuttosto allegri ma anche impigriti dall’abbondante pasto appena concluso. 

Harry non vedeva l’ora di infilarsi nel letto, anche se era certo che non sarebbe riuscito a chiudere occhio per tutta la notte, ma almeno avrebbe avuto il tempo necessario per rimuginare ancora su tutte le cose che aveva scoperto quel giorno. Non gli piaceva molto non avere un vero ruolo nell’Ordine della Fenice, dopotutto lui aveva visto il ritorno di Voldemort, ma allora perché gli impedivano di assistere alle riunioni? Perché non gli dicevano chiaramente cosa stava succedendo? 

La soglia accostata alle sue spalle si spalancò ed Hermione entrò, tenendo in braccio il figlio di Sirius. Lei, come la signora Weasley e Lupin, pareva andare molto d’accordo con quel bambi.  

- Credo che tra poco dovremmo andare a letto. - Esordì, sedendosi al suo fianco. 

Nessuno sembrò averla sentita; i gemelli continuarono a giocare a Sparaschiocco, Ron continuò a fare il tifo, mentre Ginny si avvicinò intenerita al bambino, che però sembrava molto incuriosito da Harry. Lo fissava con quei suoi grossi occhi grigi, facendolo quasi sentire a disagio. Harry aveva mai conosciuto tanti bambini, non ne aveva mai preso in braccio uno, non sapeva quale fosse il modo giusto relazionarsi con lui e, forse, non voleva farlo. Ma quando poi il bambino allungò le sue manine nella sua direzione, fu stranamente naturare accoglierlo tra le sue braccia. 

- Be’, almeno con lui sembri andare d’accordo. - Commentò Ginny.

- E meno male, siete una cosa come fratelli, in fin dei conti. - Continuò Ron, guardandoli. 

Quella frase fece nascere dentro Harry parecchi sentimenti contrastanti che lui stesso fece fatica a riconoscere. Idealmente quell’idea non gli dispiaceva affatto, eppure non riusciva a stare tranquillo. Abbassò lo sguardo verso Janus, che gli sorrise prima di afferrare con forza i suoi occhiali, strappandoglieli letteralmente dal naso. - No… fermo… fai il bravo bambino! - Bofonchiò, cercando di toglierglieli di mano. 

- Dallo a me, Harry. - Intervenne Hermione divertita, prendendo nuovamente il bambino in braccio. - Vieni dalla zia, Jan, avanti. -  

- Certo che sei brava con lui. - Osservò Ron, alzandosi da terra e stiracchiandosi un po’. 

In quello stesso momento, la porta si spalancò di nuovo, mostrando Hazel ferma sulla soglia. Indossava già il pigiama e aveva i capelli castani bagnati e ben pettinati, come se fosse appena uscita da sotto la doccia. Posò lo sguardo su ognuno di loro, e poi sorrise, guardando verso Hermione e Janus. - Scusa se ci ho messo tanto, Hermione. Spero che non ti abbia fatto dannare. - Disse, avvicinandosi e prendendo il bambino tra le braccia.  

Hermione si affrettò a scuotere la testa. - Lo sai quanto mi piace stare con lui. - Sorrise. 

- Anche a lui piace tanto stare con te. Vero, Jan? Ti piace Hermione? - 

Il bambino mormorò qualcosa difficile da comprendere, prima di nascondere il viso contro il collo della madre.

- Adesso però deve andare assolutamente a dormire. - Continuò Hazel, raggiungendo nuovamente la porta. Ma poi, proprio sull’uscio, si voltò nuovamente verso di loro, come se le fosse tornato in mente qualcosa. - Harry, posso parlarti un minuto? - 

 Harry quasi gemette, ma quando si scambiò uno sguardo pieno di sottintesi con Hermione, non poté fare a meno di alzarsi in piedi e seguire la ragazza e il bambino fuori dalla stanza. 

Camminò insieme a loro lungo il corridoio, immaginando ogni scenario apocalittico possibile e, poco prima di arrivare alle scale, raccolse il coraggio e parlò: - Hazel io volev… - 

- Ti ho fatto un ritatto. - Fece lei, voltandosi nella sua direzione e parlandogli sopra; in mano aveva un foglio spiegazzato e piegato a metà. - Dopo cena, mentre tu e Sirius parlavate… io vi ho fatto un ritratto. Lo so, pensi che sia una cosa inquietante… lascia stare, fa finta che io non ti abbia detto niente, solo che… tu mi spaventi. - 

Harry si sentì arrossire, e poi prese a far saettare gli occhi dal foglio al volto di lei e viceversa. Che Hazel fosse un po’ strana si poteva notare ad un miglio di distanza, ma non immaginava fosse così strana. Per un attimo gli ricordò quasi Luna Lovegood e, per la prima volta, non la trovò fastidiosa e non trovò fastidioso nemmeno il suo accento scozzese. 

- Il fatto è che voglio piacerti. - Continuò Hazel, abbozzando un sorriso. - Solo che ho l’impressione che ci sia del non detto, non so se mi spiego. Vorrei solo che tu sapessi che le cose tra te e Sirius non cambieranno solo perché sono spuntata io dal nulla, anzi! Mi piacerebbe tantissimo se questa estate tu venissi a stare da noi… sì, quando tutto sarà finito. Magari potresti trasferirti del tutto! Casa mia è un po’ piccola, ma è talmente sperduta in campagna che potresti giocare liberamente a quidditch senza essere visto dai babbani. Potresti anche insegnare a Janus a volare, dato che Remus dice che Sirius è un po’ scarso nel volo. Poi c’è il mare, spiagge davvero incontaminate e se, alla fine, la natura ti dovesse stancare, Aberdeen dista solo trenta chilometri. - 

Harry, rimasto a bocca aperta, si limitò a guardarla per qualche secondo, prima di lasciarsi scappare un piccolo sorriso. - Davvero posso venire a stare da voi? - Domandò. 

- Ma certo, Harry, quella può essere anche casa tua. - Rispose Hazel. - Certo, fa un po’ freddo e spesso Janus si sveglia di notte urlando come un’aquila, ma sono cose risolvibili. Sempre meglio che stare con i tuoi zii, o no? Sirius mi ha detto che non ci vai molto d’accordo. - 

- Non ci vado per niente d’accordo, in verità. - Spiegò Harry. 

Hazel annuì, facendogli un lieve sorriso. - Sai… nemmeno io ho mai avuto una vera e propria famiglia. - Svelò, dopo un lungo attimo di esitazione. - Mia madre è morta quando ero solo una bambina, mentre mio padre non l’ho mai conosciuto. So che non è la stessa cosa, i miei non sono stati uccisi davanti ai miei occhi, ma… ecco, un po’ ti capisco se ti senti arrabbiato o solo, anche io mi sentivo così, anzi delle volte mi ci sento ancora. Ma per me, al contrario di te, non c’era nessuno disposto ad ascoltarmi, quindi sfrutta le persone che ti vogliono bene, Harry, sfruttale per parlare di ciò che provi. Puoi sfruttare anche me, se vuoi, se ti fidi, lo so che sono una sconosciuta, ma potremmo… imparare a conoscerci. Io voglio che andiamo d’accordo, lo voglio sul serio. - 

Harry annuì. - Anche io lo voglio. - Disse, ricambiando il sorriso.  

- Bene… ottimo. - Rispose Hazel, una velata nota di imbarazzo nella voce. - Adesso ti lascio andare, ho già fatto la stramba abbastanza per stasera. - 

- Non sei poi così strana, in fondo! - Si affrettò a dire Harry, imbarazzato come non mai. Non sapeva il perché, ma gli sarebbe piaciuto parlare con lei un altro po’. 

Dopotutto non aveva mai conosciuto nessun altro che avesse perso i genitori da piccolo, come lui. 

- Posso avere il ritratto? - Le domandò.  

Hazel sembrò sorpresa da quella domanda, ma annuì e sorrise, allungando il foglio stropicciato nella sua direzione senza dire niente.

Harry lo afferrò e gli diede una sbirciata, prima di fare un piccolo sorriso nella direzione della ragazza. - Ma come vi siete conosciuti, tu e lui? - Le chiese.  

- È una storia lunga, ma se vuoi però posso raccontartela. - Rispose Hazel iniziando a scendere le scale verso il piano di sotto. - Dunque… era un’umida e tempestosa notte di luglio… - 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo 15. Fuga ***


Capitolo 15


I giorni dopo il verdetto positivo del processo di Harry furono caratterizzati da un improvviso malumore generale, che sembrò dilatarsi come un nube tossica in tutto il numero dodici di Grimmauld Place, infilandosi anche negli angoli più insospettabili della casa. Con l’avvicinarsi della partenza per Hogwarts, inoltre, l’umore di Sirius calò bruscamente, facendolo cadere sempre più spesso in quelli che la signora Weasley chiamava attacchi di broncio, durante i quali l’uomo si rintanava nella stanza di Fierobecco, parlando sempre meno spesso con tutti, Harry compreso. 

Settembre arrivò portando con sé la pioggia e un brusco calo delle temperature, mentre Grimmauld Place si svuotò nel giro di qualche giorno dopo la partenza dei ragazzi per Hogwarts, finendo in uno strano stato di surreale silenzio.  

Nonostante quell’estate non fosse stata di certo la più spensierata della sua vita, e il numero dodici non fosse esattamente un luogo accogliente, durante quei mesi Hazel aveva sempre avuto qualcuno con cui poter scambiare qualche parola durante i tantissimi momenti morti delle sue giornate interminabili. Alla fine di quelle vacanze, invece, cominciò a sentire all’improvviso un forte senso di solitudine e di abbandono. 

Lupin, che in teoria viveva lì con loro, era quasi sempre in missione per conto dell’Ordine, tornando di tanto in tanto più acciaccato e segnato che mai; Tonks passava a trovarli ogni giovedì sera per aggiornarli sui passi avanti (o indietro) che aveva fatto quella settimana con Remus, mentre Molly si presentava alla loro porta la domenica mattina, portando montagne di cibo e preoccupandosi che il bambino mangiasse sano e abbastanza. 

I mesi che seguirono furono scanditi da una routine fatta di piccole cose semplici e sempre uguali. Hazel non si sarebbe mai aspettata che vivere nel quartier generale di una associazione segreta di maghi potesse essere così noioso e a tratti deprimente. Ogni mattina si svegliava alla stessa ora con la consapevolezza di dover sopportare l’ennesima  giornata rinchiusa tra quelle quattro mura, con la sola speranza di vedere entrare da quella porta Tonks o Remus, giusto per parlare un po’ con qualcuno che non fosse Sirius o per fare una semplice passeggiata. In compenso, Hazel aveva scoperto che Londra le piaceva: adorava visitare le mostre di tutti quegli artisti emergenti che riempivano le piccole gallerie, amava rilassarsi al sole, sdraiata su uno dei tanti prati di Hyde Park ma, ogni volta che faceva ritorno a Grimmauld Place dopo qualche ora fuori, Sirius era più scontroso e imbronciato che mai. 

Si sentiva solo, inutile, un limite per Hazel e una zavorra per l’Ordine della Fenice. Non gli piaceva quella vita e nonostante lei facesse di tutto per tirarlo su di morale, non riusciva a fare a meno di sentirsi arrabbiato ogni volta che lo lasciava da solo. Poi si dava dell’egoista e finiva per tornare da lei, pieno di sensi di colpa. 

Mentre Hazel cercava di spendere le sue giornate tentando di mantenere una parvenza di produttività e normalità, magari dipingendo o leggendo o occupandosi del bambino per tutto il tempo, Sirius se ne stava immobile davanti alla finestra chiusa della stanza di Fierobecco, a guardare il tempo scorrere dietro quel vetro. Era chiuso in sé stesso, circondato da un altissimo e invalicabile muro fatto di silenzio davanti a cui Hazel si sentiva minuscola e inutile.

Con la fine di settembre le prime foglie cominciarono a cadere, invadendo i tombini della strada sottostante, poi arrivò ottobre e con esso il giorno di Halloween: Sirius detestava tutti quei gruppetti di bambini intenti a fare dolcetto o scherzetto sotto alla sua finestra, odiava il fatto che la gente osasse ancora divertirsi quel giorno che per lui aveva rappresentato la perdita della vita come la conosceva. 

Quel 31 ottobre, Tonks accompagnò Hazel e Janus (vestito da piccola zucca) a fare dolcetto o scherzetto in giro per la città, mentre lui e Remus rimasero a casa a scolarsi una bottiglia di whisky incendiario davanti al camino tra una storia deprimente e l’altra. 

- Allora, tu e Ninfadora, eh… - Farneticò ad un certo punto Sirius con voce strascicata, guardando il bicchiere vuoto che aveva in mano. 

Remus mugugnò stancamente, versando da bere all’amico, ma senza rispondere. 

- Guarda che lo so che scopate. - Insistette allora l’altro. 

Il lupo mannaro scosse la testa. Se ne stava seduto composto sul divano, le mani giunte in grembo e, se non fosse stato per le guance un po’ più rosse del solito, poteva quasi sembrare sobrio. - Io e Dora non scopiamo. - Disse, serio e solenne, ma biascicando un po’ le parole. - Facciamo l’amore, casomai, Felpato. - 

Sirius si lasciò andare in una risata simile ad un latrato. - E come se la cava la mia cara cuginetta a fare l’amore? - Gli domandò, portandosi il bicchiere alle labbra. 

- Divinamente, non ho nient’altro da aggiungere. - Rispose Remus.

- Ha davvero quel culo pazzesco o è la divisa da auror che le sta bene? - Domandò Sirius. 

Il lupo mannaro gli lanciò uno sguardo torvo. - Ha un culo pazzesco per davvero, ma tu non dovresti guardarlo. - Borbottò, muovendogli un dito contro.  

Sirius scrollò le spalle. - Lunastorta, lo sai che sono del team tette. - Gli ricordò. - Ad ogni modo è la mia Hazel ad essere quella più carina tre le due. - 

L’amico fece un verso pieno di scetticismo. - Ti piacerebbe, Felpato. - Commentò, con un sorrisetto pigro. - Ma, invece, voi due come ve la cavate con quelle cose lì? - 

Sirius fece un gesto sconclusionato con la mano, con cui afferrò poi la bottiglia ormai mezza vuota. - Lei se la cava sempre molto bene. - Raccontò. - Io… be’, delle volte è ancora un po’ strano per me. - 

- Che cosa intendi? - Chiese Remus ponendosi verso di lui con fare interessato. 

Sirius esitò e poi fece un lungo e sonoro sospiro. - Ad Azkaban il contatto fisico non è concesso in nessuna circostanza, per dodici anni infatti nessuno mi ha mai nemmeno sfiorato. - Spiegò con uno sguardo vuoto dipinto in volto. - Due giorni dopo che sono fuggito di lì ho incontrato Hazel e ci ho messo settimane per abituarmi di nuovo a cose normali come una pacca sulla spalla o un abbraccio. Quando poi l’abbiamo fatto per la prima volta io non sapevo davvero dove mettere le mani, Remus. - 

Lupin inarcò le sopracciglia e fece un piccolo sorriso intenerito. - Però poi le cose sono migliorate, o no? - Chiese all’amico. 

- Sì ma… non è come prima. E comunque non lo facciamo quasi mai, sai il bambino… - Rispose amaramente Sirius, e poi sospirò. - In realtà stare rinchiuso in questa casa mi sta togliendo qualsiasi voglia. Mi sento così stanco, Remus. -

Era durante quelle notti difficili che il mago si metteva a parlare con James nella sua testa, proprio come per anni aveva fatto ad Azkaban, illudendosi di poter sentire la sua voce ancora una volta, e raccontandogli di Janus e di Hazel, di Harry e di quanto fosse coraggioso nonostante avesse solo quindici anni. 

Qualche giorno prima di Natale, Hazel si svegliò trovando il letto già vuoto, cosa piuttosto strana dato che Sirius, che di notte faticava a prendere sonno, di solito si svegliava sempre molto dopo di lei. Si stiracchiò, passandosi le mani sugli occhi, prima di alzarsi faticosamente dal letto, buttando uno sguardo fuori dalla finestra.

Aveva nevicato per tutta la notte e adesso i tetti delle case attorno al numero dodici si erano ricoperti di neve, proprio come le strade, gli alberi e le aiuole. Si lasciò sfuggire un piccolo sorriso, lasciandosi sfiorare dall’idea di portare Janus a fare un bel pupazzo di neve, adesso che era abbastanza grande da saper camminare e stare in piedi da solo. 

Poi Hazel diede un’occhiata all’orologio: erano le undici in punto e nonostante ciò in casa regnava silenzio e calma. Nessun bambino che piangeva o la chiamava a gran voce, non c’erano le urla di Walburga Black e nemmeno quelle di Sirius che litigava con Kreacher.   

Insospettita, la ragazza si precipitò fuori dalla stanza, ritrovandosi in un altrettanto silenzioso corridoio e poi giù per le scale, che scese due a due fino a raggiungere il salotto, fermandosi sulla soglia. Lì, seduti uno accanto all’altro su uno dei due divani, Sirius e suo figlio ricambiarono il suo sguardo. 

- Buongiorno! - Esclamò allegramente l’uomo, alzandosi in piedi. 

Hazel sorrise. - Sei di buon umore, oggi. - Osservò sorpresa e felice insieme.

Sirius ricambiò quel sorriso, poi alzò le spalle, la baciò, e il bambino dietro di loro protestò scontento, cercando di richiamare l’attenzione della madre, che ovviamente non si fece attendere. 

- Ha nevicato tanto stanotte, hai visto? - Disse Hazel, una volta seduta sul divano con il figlio tra le braccia. - Quando arriva Tonks mi piacerebbe portare Janus a giocare fuori. - 

- Oppure potrebbe venire Felpato con voi. - Buttò lì Sirius. 

Hazel lo guardò storto. - L’ultima volta che sei uscito ti hanno riconosciuto. - Gli ricordò. 

- Certo che mi hanno riconosciuto; ero al binario 9 e 3/4 insieme a uno come Malocchio, i Weasley, Harry e gli altri, Malfoy si sarà fatto due conti. - Spiegò Sirius. - Ma chi mai sospetterebbe di una ragazza, un bambino e un cane che passeggiano nella Londra dei babbani? Dai, Hazel, torniamo prima di pranzo! Facciamo una brevissima passeggiata e poi torniamo a seppellirci qui dentro. - 

Hazel sospirò, alzando gli occhi al cielo. - Lo sai che è pericoloso e non solo per te. - Gli disse. - Se succedesse qualcosa? Se ci attaccassero per usarti come esca per Harry? - 

- Pensi che non sarei capace di proteggere te e Janus? - Chiese lui, risentito. - Guarda che ero molto bravo nei duelli, anzi lo sono ancora. - 

- Lo so che lo sei, ma non riuscirei a stare tranquilla. - Rispose Hazel. 

Sirius gli scoccò uno sguardo gelido, poi si lasciò affondare contro lo schienale del divano, senza dire una parola, le braccia incrociate sul petto. 

Hazel lo guardò. Detestava quei suoi repentini cambi d’umore e, per un attimo si lasciò così sfiorare dal  pensiero che, magari, quella di Sirius non era proprio una pessima idea.  

- Ma possiamo trovare un compromesso. - Asserì, dopo un lungo attimo di esitazione e silenzio. - Possiamo uscire, ma non dobbiamo allontanarci da qui, e staremo fuori solo un’ora, non un minuto di più. - 

- Tre ore e andiamo a Covent Garden per vedere i mercatini di Natale. - Contrattò lui.  

- Non pensarci nemmeno, è troppo lontano. - Ribatté Hazel. - Facciamo due ore, ma rimaniamo nei dintorni e ti compro un guinzaglio. - 

- Da te non me le aspettavo queste perversioni, Hazel. - Scherzò lui. - Due ore e andiamo a Primrose Hill, qui vicino. - 

Hazel sospirò. - Se qualcuno ci scoprisse… - 

- Non succederà. - La interruppe lui, fissandola con uno sguardo piano di supplica. - Ho bisogno di prendere aria e anche tu. In Scozia uscivamo sempre, perché qui no? -

- In Scozia eravamo nel bel mezzo del nulla, lo sai. - Gli ricordò lei. 

Sirius sbuffò. - Lascia stare, Hazel. Come non detto. - Bofonchiò scontento, affondando mollemente nello schienale del divano. - Qui dentro finirò per impazzire. Non ne posso più. - Aggiunse poi, mormorando. 

Hazel si angustiò. Posò una mano su quella di lui e poi abbassò gli occhi su Janus che, a sua volta, fissava intensamente il padre. Quel bambino aveva un anno e pochi mesi, ma anche lui conduceva una vita da recluso. Non aveva mai giocato con gli altri bambini ed era costretto a passare tutto il suo tempo in quella casa oscura, con un padre che rasentava quasi l’essere assente ed una madre che, per quanto si sforzasse per rendere l’esistenza del figlio più o meno normale, si ritrovava a fallire il più delle volte. 

Hazel si chiedeva spesso se tutto questo avrebbe potuto creare dei problemi a Janus un giorno; magari sarebbe cresciuto vendicativo, pieno di rabbia e rancore come Sirius, magari li avrebbe detestati entrambi senza sosta perché gli avevano strappato via tutta la prima infanzia. 

La ragazza alzò di nuovo gli occhi sul volto di Sirius, che stava fissando il camino spento con uno sguardo vacuo, e poi sospirò. - Dai, andiamo. - Gli disse, alzandosi in piedi. 

- Dove? - Chiese lui, voltando la testa nella sua direzione. 

- A prepararci. - Rispose Hazel abbozzando un sorriso. - Facciamo una passeggiata. - 

E fu così che Sirius Black scappò da Grimmauld Place per la seconda volta.

Rimasero fuori di casa quasi per tutto il giorno e si spinsero ben oltre Primrose Hill, prendendo addirittura la metropolitana per raggiungere i posti più centrali della città. In quel periodo dell’anno Londra brillava di addobbi e luci natalizie, le strade erano piene di persone intente a fare shopping e questo, insieme al manto bianco che aveva ricoperto tutta la città la notte prima, contribuiva a rendere tutto tremendamente festoso e allegro. 

Quando tornarono a casa, poco dopo l’ora di cena, Janus crollò quasi nello stesso istante in cui la sua testolina toccò il cuscino, lì in quella che non sembrava più nemmeno lontanamente la camera una volta era appartenuta a Regulus Black.

Hazel rimase ad osservarlo per qualche minuto nella penombra di quella stanza e, al suo fianco, Sirius faceva lo stesso, però guardando il bambino come se non riuscisse davvero a vederlo. 

- È così bello. - Mormorò ad un certo punto, senza distogliere lo sguardo. 

Hazel si voltò nella sua direzione e sorrise. - Vi somigliate. - Gli disse, parlando piano. 

Sirius scosse la testa, ma anche lui si lasciò scappare un piccolo sorriso. - Ha la forma dei tuoi occhi però. - Osservò, e solo allora si girò a guardarla. - Anche se il colore è come il mio, lui ha i tuoi bellissimi occhi e il tuo stesso sguardo malinconico. E sinceramente spero che, almeno nel carattere, lui possa essere più come te e che come me. - 

- Perché? - Domandò Hazel. 

- Perché sono egoista e immaturo. - Rispose Sirius, sorpreso di doverlo spiegare. - Anche oggi lo sono stato, potevo mettervi in pericolo, poteva succedere qualcosa… - 

- Ma non è successo. - Lo fermò lei, accarezzandogli il viso. - È stato davvero bello avere una parvenza di normalità per una volta. Anche se sono certa che, agli occhi degli altri, sembravamo tutto fuorché normali. Non sei affatto capace di fare il cane, è inutile che ti sforzi tanto! - Esclamò, sorridendo. 

- Be’, allora tu, che mi parlavi? - Rise Sirius. - Per non sottolineare quel muffin al cioccolato che mi hai fatto mangiare. Saresti una pessima padrona. - 

- Peccato. Stava iniziando a piacermi l’avere il controllo. Di solito hai un carattere così dominante. - Affermò Hazel salace. - Insomma sarebbe bello se tu ti lasciassi comandare un po’ anche in forma umana, non credi? - 

Sirius assunse un’espressione sorpresa e divertita insieme, e poi si mosse nella sua direzione, sogghignando beffardo. - Non sapresti tenermi testa, ragazzina. - Mormorò vicino al suo orecchio. 

Le sopracciglia di Hazel si sollevarono e lei ridacchiò sommessamente, portandosi una mano alla bocca, così da non svegliare Janus. - Se lo dici tu. - Stabilì lei, in tono canzonatorio.

Sirius la fissò per un secondo senza dire niente, prima di farsi avanti ancora di un passo, posando finalmente le labbra su quelle di lei. La baciò a lungo, stringendola a sé come se la salvezza del mondo dipendesse solo dalla vicinanza dei loro corpi, passò le dita tra i suoi capelli in disordine, finendo poi per guardarla di nuovo negli occhi, da vicino. 

- Grazie per oggi. - Mormorò sulle sue labbra. - Grazie per tutto quanto, in realtà. Di essere ancora qui nonostante ultimamente io sia un po’... be’, lo sai. - 

Hazel sorrise e annuì. - Lo so. Va bene così. - Lo rassicurò, accarezzandogli il volto segnato da tutti quegli anni di sofferenze. - Le cose si sistemeranno e torneremo a casa. Avremo una vita meravigliosa, faremo tantissime cose come… andare in vacanza. - 

- E dove vorresti andare? - Le chiese lui. 

- Oh, io ho una lunghissima lista di luoghi che voglio assolutamente visitare prima di lasciare questo mondo. - Annuì Hazel. - Al primo posto credo che ci sia l’Alaska. - 

Sirius alzò un sopracciglio, sorpreso. - E perché vuoi andare in mezzo al ghiaccio? - 

- Per l'aurora boreale. - Spiegò lei. - Immagina una casa calda e accogliente, con il tetto fatto di travi di legno e con una grandissima vetrata davanti al divano su cui stiamo seduti a bere della cioccolata calda. Fuori c’è tantissima neve e, nel cielo, tutte quelle luci danzano incessantemente sopra le nostre teste. In tutto questo, ovviamente, Janus è rimasto a casa con Remus e Dora, che nel frattempo si saranno sposati e avranno fatto un paio di bambini con cui nostro figlio potrà giocare. - 

Sul viso di lui, per un attimo, parve apparire una piega. Le parole di lei avevano formato nella sua testa un’immagine bellissima e dolorosa allo stesso tempo, un’illusione in cui gli sarebbe piaciuto sprofondare per sempre. Era quella la vita che Hazel si meritava, non essere rinchiusa insieme a lui in quel posto tremendo. 

Fermo davanti a lei, Sirius si ripeté per l’ennesima volta che le aveva rovinato la vita per sempre, che se solo fosse stato meno egoista avrebbe avuto almeno la decenza di farla allontanare da quell’inferno. 

- Sirius. - Lo chiamò lei, facendolo uscire con un sussulto da quei pensieri che lo avevano rapito. - Che c’è? Stai bene? - 

Lui annuì. - Sì, pensavo. - Disse piano, facendo scivolare la mano nella sua. - Andremo a vedere l’aurora boreale in Alaska. Sarà la prima cosa che faremo quando sarò libero. - 

- Vuoi cominciare alla grande. - Sorrise Hazel. 

Sirius annuì. - Ho tante cose da recuperare, lo sai. - Le ricordò in tono amaro. 

- Lo so. E le recupererai, solo che lo faremo insieme. - Disse Hazel. - Andiamo di là? - 

- Andiamo. -


Hazel si lasciò cadere nuovamente sul letto, guardando verso il soffitto, e con un piccolo sorriso pigro in volto. Accanto a lei, Sirius se ne stava disteso nella stessa posizione, il petto che gli si alzava e abbassava velocemente, come se avesse appena corso. 

- Perché non lo facciamo più tutti i giorni come all’inizio? - Chiese la ragazza, girandosi verso di lui e sistemandosi tra le sue braccia. 

- Fammi pensare… - Mormorò Sirius, con fare falsamente meditabondo. - Probabile che sia perché tu sei troppo occupata a fare la mamma e che finisci sempre per dire di no ogni volta che mi avvicino. -

Hazel lo guardò storto tirandosi su e appoggiandosi sui gomiti per poterlo guardare. - Se è per questo tu sei troppo occupato a piangerti addosso e a lamentarti di quanto la vita sia triste e ingiusta per farmi venire voglia di andare a letto con te. - 

Sirius annuì. - Touché. - 

- E comunque non è vero che ti dico sempre di no. - Obiettò Hazel, alzandosi da letto e cominciando a rivestirsi svogliatamente. 

- Invece è vero. - Ribatté Sirius, che intanto scrutava attento tutti i movimenti di lei. 

Era così bella, illuminata dalla luce fioca e rossastra che arrivava dal camino acceso davanti al loro letto, i capelli che le arrivavano a metà schiena, mossi e vaporosi come sempre, di quel caldo colore castano. Amava ogni parte di quel corpo, ogni singolo centimetro, ma più di qualsiasi altra cosa amava la spontaneità con la quale lei si muoveva davanti a lui anche quando era nuda, come in quel momento. 

- Vuoi rifarlo? - Le chiese sogghignando. 

Hazel sgranò gli occhi e scoppiò a ridere. - No, pietà. - Disse, prima di dare un’occhiata all’orologio. - È tardissimo. Devo dormire, altrimenti domani non mi reggerò in piedi. - 

- Vedi che dici sempre di no? - Confutò Sirius. - E non dicevo sul serio, non ho mica vent’anni, io. Purtroppo ti sei persa il tempo in cui ero un ragazzino arzillo come te. - 

- Nemmeno io ho più vent’anni, ma ben due in più. - Rispose Hazel, tornando a sdraiarsi sul letto. - E, in tutta sincerità, non mi sento arzilla, né tanto meno giovane. Non dopo la gravidanza… insomma, guardami. - 

- Ti guardo. Mi sembri esattamente come due anni fa. - Osservò lui. 

Lei lo guardò scettica, ma non ribatté. Le palpebre le si erano fatte improvvisamente pesanti, e probabilmente si sarebbe addormentata nel giro di poco se solo uno dei quadri al piano di sotto non si fosse messo ad urlare il nome di Sirius a gran voce, facendoli sobbalzare entrambi. 

- Dannato Phineas. - Borbottò Sirius, alzandosi dal letto e rivestendosi con calma. 

Hazel si portò le mani agli occhi, sbuffando. - Non mi abituerò mai a cose così. - 

- Non ti preoccupare, a casa nostra non ci saranno cose del genere. Sarà una casa babbanissima, con l’elettricità, elettrodomestiti e assolutamente nessun quadro dei miei antenati attaccato alle pareti. - Le disse lui, prima di uscire dalla stanza, mentre il quadro ancora urlava il suo nome. - Arrivo, arrivo! - 

Scese svogliatamente le scale, ritrovandosi subito dopo davanti al ritratto del suo bis-bisnonno che, non appena lo vide, si zittì. Aveva l’aria assonnata e un po’ scocciata, una lunga barba a punta, e indossava i colori verde e argento di Serpeverde. 

- Cos’hai tanto da urlare? - Sbottò Sirius, incrociando le braccia sul petto.

- Eccoti qui, indegno pronipote. - Borbottò il quadro. - Silente mi ha detto di avvisarti che Arthur Weasley è gravemente ferito e che dunque i suoi figli, sua moglie e Harry Potter arriveranno a momenti. - 

Sirius inarcò le sopracciglia, sorpreso. - Arthur è ferito? Cosa è successo? - Chiese. 

- Che vuoi che ne sappia. - Sbottò Phineas, con una scrollata di spalle, prima di sparire da quadro, lasciando solo lo sfondo color fango. 

Sirius rimase interdetto e immobile per qualche attimo. Ovviamente gli dispiaceva per Arthur, ma nella sua testa c’era solo un pensiero: presto la casa si sarebbe nuovamente riempita di gente, si sarebbe sentito di nuovo più o meno utile a qualcuno e, soprattutto, avrebbe rivisto Harry. 

Si lasciò sfuggire un piccolo sorrisetto, e quando si voltò si ritrovò di fronte a Hazel, che lo guardava, ferma sull’ultimo gradino. 

- Cosa è successo ad Arthur? - Chiese spaventata, avvicinandosi a lui.

Sirius esitò. Aveva sempre evitato di scendere in dettagli o di parlare troppo con lei di tutto quello che stava succedendo fuori dalle mura sicure di Grimmauld Place, preferiva di gran lunga che lei si focalizzasse solo sulla parte bella della magia. - Ha avuto un incidente, nulla di grave. - Le disse, infatti. - Torna a letto, hai l’aria assonnata. - 

Hazel incrociò le braccia sul petto e sbuffò. - Guarda che se vuoi tenermi fuori da certe cose basta che me lo dici, non trattarmi come una stupida. - Disse, con l’aria indispettita. 

- Non potrei mai trattarti come una stupida. - La rassicurò lui. - Però sì, vorrei tenerti fuori da certe faccende, per quanto questo sia possibile dato che vivi qui. Mi sentirei più tranquillo nel saperti tranquilla piuttosto che spaventata. - 

Hazel, nonostante sembrasse ancora piuttosto risentita, annuì. - Certo, dopotutto sono solo una comunissima babbana, che ne posso capire. - Disse freddamente, facendo un passo indietro. - Ti lascio alle tue cose da mago. -

Lui aprì la bocca per ribattere, quando dalla cucina arrivarono le voci inconfondibili dei giovani Weasley e di Harry. Guardò per l’ultima volta Hazel, che se ne stava ancora lì, davanti a lui, come se si aspettasse delle scuse. - Ne parliamo più tardi. - Disse, alla svelta, e senza attendere una risposta, corse in cucina. 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Capitolo 16. Distacco ***


Questo capitolo non è purtroppo uscito come desideravo, infatti non mi entusiasma per niente. Avevo pensato di dividerlo, ma rileggendo ho capito che non avrebbe avuto senso, anche se così ho l’impressione che tutto accada troppo velocemente. 

Fatemi sapere voi come lo trovate, mi farebbe tanto piacere. 

Jamie. 




 

Capitolo 16

 

Nei giorni successivi, con Arthur Weasley fortunatamente fuori pericolo e la casa che piano piano si addobbava per il Natale, non vi fu spazio né la reale necessità di parlare di quel piccolo e inutile screzio. La gioia di Sirius nell’avere di nuovo la casa piena, e soprattutto nel riavere Harry, era contagiosa. Non era più imbronciato come l’estate passata; pareva deciso a fare in modo che tutti si divertissero quanto a Hogwarts, se non di più, e trascorse i giorni prima di Natale a pulire e decorare senza sosta, con l’aiuto di tutti, così da far diventare la casa a stento riconoscibile. I lampadari anneriti non erano più carichi di ragnatele ma di ghirlande di agrifoglio e festoni d’oro e d’argento; mucchi di neve magica scintillavano sui tappeti lisi; un grande albero di Natale, procurato da Mundungus e addobbato con fate vive, nascondeva l’albero genealogico di Sirius, e persino le teste d’elfo imbalsamate sulle pareti portavano barbe e cappelli da Babbo Natale.

Il giorno prima della vigilia, Hazel accompagnò Tonks a fare regali per tutti, approfittando per uscire di casa dopo almeno una settimana dall’ultima volta, godendosi una bella passeggiata per le vie affollate di Diagon Alley e, successivamente, anche nella Londra babbana. La mattina di Natale, invece, la giovane si svegliò circondata dal calore familiare e accogliente della sua camera da letto, in una casa ancora avvolta dal silenzio. 

Alle sue spalle, Sirius la accarezzava pigramente, sfiorandole piano la pelle sotto la maglietta del pigiama.

Avere di nuovo la casa piena e, soprattutto, la possibilità di passare un po’ di tempo con Harry, aveva tirato fuori il mago dal baratro in cui sembrava essersi buttato e, per quanto Hazel ne fosse felice, spesso questo la rendeva pensierosa: perché lei e Janus non sembravano essere abbastanza? Perché non riusciva a sollevarlo da tutto quel dolore? 

Si voltò nella sua direzione, ritrovandosi a guardarlo negli occhi. La luce opaca di dicembre lo illuminava alle spalle, mettendo un po’ in ombra quel suo viso sciupato ma sorridente. 

- Buon Natale! - Le disse allegramente lui, dopo un leggero bacio sulle labbra. 

Hazel mugugnò qualcosa assonnata, avvicinandosi a lui tanto da nascondere il viso contro il suo collo. - Prima o poi mi spiegherai cosa ti piace tanto delle feste. - Borbottò, ancora ad occhi chiusi. 

Sirius rise piano. - E tu, un giorno, mi spiegherai perché invece le detesti. - Ribatté. - Sei un po’ come quel personaggio verde e peloso che odia il Natale… come si chiama…? - 

Hazel alzò il viso, in modo da poterlo guardare negli occhi. -  Il Grinch. - Rispose. - Ma io non detesto mica il Natale come lui, semplicemente non ci vedo niente di così bello. -  

- Dici così solo perché non l’hai mai festeggiato come si deve. - Obiettò Sirius. - Lo scorso anno eravamo troppo impegnati con il bambino per farlo, mentre quello prima ancora eravamo troppo occupati a darci dentro su tutte le superfici di casa tua. Ma quest’anno sarà diverso: mangeremo tacchino ripieno, scarteremo i regali sotto l’albero e cose del genere. - 

Hazel sorrise, poi si lasciò andare ad un piccolo sbadiglio, prima di affondare di nuovo la testa nel cuscino, lo sguardo rivolto al soffitto. - Mi piace avere una famiglia. - Disse. 

- Anche a me. - Rispose Sirius, stringendole la mano e voltandosi per guardarla. 

Il profilo di Hazel sembrava quasi un paesaggio illuminato dai primi raggi dell’alba. Sirius si ritrovò ad ammirare per l’ennesima volta la forma degli occhi di lei, rotondi e scuri, con le lunghe ciglia che sembravano essere state piazzate lì proprio per renderli ancora più grandi, poi la forma del naso, leggermente all'insù e, poco più sotto, le labbra sottili, rosa e sempre tremendamente invitanti. 

- Che c’è? - Domandò Hazel, facendo un sorrisetto imbarazzato, quando si rese conto di essere osservata intensamente. 

Sirius scrollò le spalle. - Sei troppo bella per stare con un vecchio come me. - Rispose un po’ amaramente, ma Hazel non riuscì a capire comunque se scherzasse o meno. 

- Ma piantala, non hai neanche quarant’anni. - Si limitò a controbattere.  

- E tu non ne hai neanche venticinque. - Le ricordò lui. - Se avessi una figlia non vorrei che finisse con uno come me. Io non ho niente da offrirti. - 

Hazel alzò gli occhi al cielo. - Guarda che due persone non stanno insieme perché devono offrirsi qualcosa a vicenda, Sirius. - Disse risentita. - E comunque pensavo che questa fase in cui ti fai venire i sensi di colpa l’avessimo superata. -  

L’uomo sospirò, prima di avvicinarsi, cingendole la vita con un braccio. - Non capirò mai cosa ci hai trovato in me. - Mormorò, stringendosi a lei. 

- Sai com’è… sei molto ben dotato. - Rispose Hazel, sogghignando. 

- Nulla di speciale. - 

La ragazza annuì. - Sì, effettivamente sei abbastanza nella media. - Ammise. 

Lui abbassò gli occhi verso di lei, guardandola perplesso. - E tu come fai a sapere qual è la media? - Le domandò. 

- Non sono mica stata solo con te. - Rispose Hazel, come se fosse ovvio. 

- Sei stata anche con Derek, ma a mio parere non basta per poter stabilire una media. - 

Hazel trattenne senza successo una risatina nervosa, prima di muoversi un po’ a disagio, mettendosi a sedere. - In realtà questo non è del tutto esatto. - Disse, spiacente. - Non ho mai avuto successo nelle relazioni vere e proprie, su questo fronte sei il primo in assoluto, ma sono pur sempre una ragazza più o meno carina, quindi diciamo che tutto il resto non mi è mai mancato. - 

Il volto di lui si contrasse, come se stesse tentando in tutti i modi di trattenersi dal fare la fatidica domanda di cui in realtà non voleva nemmeno ascoltare la risposta. 

- Che c’è, vuoi sapere con quanti ragazzi sono stata? - Rise Hazel, anticipandolo. 

Sirius annuì e scosse la testa insieme. - Solo se vuoi dirmelo, ovviamente. - Rispose. 

Hazel sembrò pensarci su, l’espressione di chi sembrava assolta da qualche complesso calcolo matematico. - Sicuramente meno di dieci. - Buttò lì. - E tu? - 

- Sono un gentiluomo, Hazel. Di certo non parlerò con te di queste cose. - Sogghignò, alzando le mani ai lati della testa. 

La ragazza gli lanciò un’occhiataccia. - Ma se lo stiamo già facendo. - Obiettò.

Sirius fece un gesto sbrigativo con la mano come se volesse liquidare la questione in fretta, prima di avvicinarsi con un sorriso beffardo dipinto in volto. La baciò, finendo sopra di lei con un impeto che ormai Hazel conosceva bene e a cui si lasciò andare quasi immediatamente, ritrovando a sospirare sulle sue labbra.

Nel frattempo, fuori dalla porta della loro camera da letto, il numero dodici di Grimmauld Place si stava svegliando pian piano, infrangendo quel sonnolento silenzio che li aveva avvolti fino ad allora. La ragazza sentì i passi goffi di Tonks sulle scale, gli schiamazzi dei ragazzi e la voce di Molly che li sgridava, intimandoli di stare lontani dalla cucina mentre, nello stesso momento, dalla stanza affianco alla loro, Janus scoppiò a piangere, come per avvertirli che anche lui era finalmente sveglio. 

Hazel sospirò scambiando con Sirius uno sguardo esasperato e divertito insieme, spingendolo indietro e alzandosi poi dal letto. - Magari continuiamo stanotte. - Gli disse suadente, prima di raggiungere la soglia della porta. 

 

Come previsto, quel Natale fu diverso da tutti quelli che Hazel aveva vissuto in passato e, in parte, anche da quelli che sarebbero arrivati in futuro. A Grimmauld Place si respirava un’atmosfera nuova e festosa, l’aria profumava di buon cibo e dalla radio provenivano le note soffici e allegre dei canti di natalizi. Tutta la negatività e la pesantezza di qualche mese prima sembrava essere stata spazzata via dalle decorazioni e dai biscotti alla vaniglia che la signora Weasley sfornava ogni mezz'ora. 

Dopo pranzo, quando venne il momento di scartare i pacchetti che si erano ammucchiati sotto l’albero durante l’ultima settimana, Janus ricevette la sua prima piccola scopa volante, regalo di Remus, che si beccò un’occhiata talmente brutta da parte di Hazel, che quasi il lupo mannaro si pentì di non aver comprato qualcos’altro. 

- Remus Lupin, se il mio bambino si romperà la testa svolazzando qua e là su quell’affare infernale… giuro che ti farò fuori! - Esclamò la ragazza, mentre Janus le sfrecciava accanto su e giù per il salotto, urlando dalla gioia mentre tutti lo guardavano.  

- Dai, si sta divertendo. - Rise Sirius, mentre l’amico alzava le mani sopra la testa in segno di resa. - Inoltre è questa l’età giusta per iniziare ad imparare a volare. - 

- Ma se a stento cammina! - Obiettò lei, indignata.  

- Secondo te, se gli tiriamo qualcosa, lui potrebbe afferrarla al volo? - Domandò Sirius a Remus, senza badare minimamente alle preoccupazioni di Hazel. 

- Non credo, ha pur sempre sedici mesi dopotutto. - Rispose il lupo mannaro, con fare meditabondo. - Ma potremmo incantare qualche oggetto per vedere se almeno lo rincorre, Harry lo faceva alla sua età, ti ricordi? - 

- Remus, almeno tu sii ragionevole… - Tentò di mettersi in mezzo Hazel. 

- Oppure potremmo usare la palla che ha già, ma come una pluffa! - Continuò Sirius, continuando ad ignorarla bellamente. 

Hazel, esasperata, si lasciò cadere sul divano con le braccia incrociate sul petto, cercando di non fissarsi troppo su quella minuscola scopa che svolazzava tra le gambe degli altri abitanti del numero dodici. 

Non aveva mai avuto una vera famiglia e, in realtà, non aveva mai avuto nemmeno la speranza di poterne trovare una. Eppure, mentre passava lo sguardo su tutte quelle facce che affollavano le stanze solitamente vuote di Grimmauld Place, si rese conto che appartenevano a persone con cui, per la prima volta nella sua vita, si era sentita a casa. 

Sul divano, sedute una vicino all’altra, Hermione e Ginny guardavano Tonks fare le sue solite trasformazioni, dietro di lei, seduti lungo il tavolo ancora apparecchiato, Malocchio parlava con Arthur di affari del Ministero mentre, in piedi davanti a lei, tutti gli altri insegnavano le basi del quidditch a Janus, a cui però importava solo sfrecciare più in alto di quanto la piccola scopa gli permettesse. 

Davanti a lei, abbandonata sul tavolino basso che divideva i due divani, c’era il regalo migliore che Hazel avesse mai ricevuto in tutta la sua vita. Si trattava di una polaroid ammaccata che Remus aveva incantato così da poter scegliere se scattare fotografie magiche o babbane. Hazel la afferrò e, con l’occhio nell’obiettivo, scattò nella direzione del bambino, che in quel momento cercava di afferrare la palla che Sirius gli lanciava.

Il rumore meccanico accompagnò l’uscita dell’istantanea. Hazel guardò l’immagine comporsi pian piano sulla cartuccia e il profilo delle due persone più importanti della sua vita apparve sullo sfondo un po’ scuro: Sirius e Janus sembravano due versioni diverse della stessa persona tanto era strabiliante la loro somiglianza. Avevano gli stessi capelli scuri e disordinati, gli stessi lineamenti aristocratici e, quando il bambino si indispettiva, sfoderava gli stessi sguardi torvi che erano tipici di suo padre. Ma Janus, a contrario di Sirius, stava sviluppando un carattere più equilibrato, quasi riflessivo, molto più vicino a quello di Hazel. 

- Guarda, l’obiettivo vi ama. - Disse loro mostrando la foto, quando dieci minuti più tardi finalmente abbandonarono la scopa sedendosi al suo fianco. - Guarda, Jan: io ti porto in grembo per nove mesi, ti partorisco tra dolore e sofferenze e tu somigli tutto a tuo padre. Questa è un’ingiustizia bella e buona. - 

Sirius rise, scuotendo la testa. - Però da te ha preso tutto il resto. Non mi stupirei affatto se finisse in Corvonero, una volta a Hogwarts. - 

- Tonks pensa che io sia una Tassorosso fatta e finita. - Obiettò Hazel. - Sai, no… la pazienza, la lealtà, il duro lavoro. Sono tutte caratteristiche dei Tassi. - 

- Ma sei anche parecchio intelligente, molto creativa e un po’ strana, come ogni Corvonero che si rispetti. - Insistette Sirius. - Comunque, dentro di me, spero proprio che Janus finisca in Grifondoro, ma staremo a vedere tra una decina d’anni. - 

Hazel guardò il bambino, che a sua volta rivolgeva lo sguardo a entrambi i suoi genitori con parecchia curiosità, come se fosse interessato a quella conversazione. 

- Immagina se finisse in Serpeverde. Ci rimarresti male? - 

Sirius esitò per qualche secondo, storcendo il naso con disapprovazione. - Di sicuro non la prenderei come i miei genitori hanno preso il mio smistamento, ma sicuramente non ne sarei entusiasta. - Rivelò. - Sarà il Cappello Parlante a decidere. - 

- Non capirò mai perché date tutta questa importanza allo smistamento. - 

Sirius la guardò come se avesse detto qualcosa di molto stupido. - Dallo smistamento si possono capire tante cose di una persona. - Rispose. - Inoltre è un momento che segna una vera e propria svolta: se fossi finito in Serpeverde come tutta la mia famiglia, non dico che avrei fatto la fine di Regulus, ma chissà quante cose sarebbero state diverse. - 

Hazel strinse le spalle. - Continuo a non capire. - 

- È anche un po’ come per il calcio. - Spiegò, nel tentativo di cercare un appiglio nel mondo babbano. - Immagina se Janus tifasse Rangers invece che Celtic. - 

- Sarebbe orribile. - Ammise Hazel. 

- Esattamente. Lo stesso vale per lo smistamento. - Disse Sirius. - Posso accettare la cosa, ma non sarebbe lo stesso. Inoltre sono più che sicuro che un Black mezzosangue non se la caverebbe benissimo tra i Serpeverde, capisci cosa intendo? Qualcuno potrebbe prenderlo di mira. - 

Hazel sospirò. C’era stato un momento, parecchi mesi prima, in cui si era ritrovata a sperare che suo figlio non avesse poteri magici, così da poter tenersi ben lontano da quel mondo pericoloso che era quello dei maghi. Sarebbe stato un bambino comune in mezzo a tanti altri bambini comuni, non l’ultimo erede maschio di una ricca e nobile famiglia di tradizione purosangue. Ma poi Janus aveva cominciato a manifestare la sua magia e lei non aveva potuto far altro che accettarlo. 

- Non ti ho ancora dato il regalo di Natale. - Tornò a parlare Sirius, ritirandola fuori dai suoi pensieri. 

Hazel si voltò a guardarlo, sorpresa. - Ho pensato che quest’anno non mi avessi preso niente, sai con il fatto che non puoi uscire di casa. - 

Sirius scosse la testa. - Ho mandato Molly a comprarlo per me. - Spiegò. 

Hazel fu, se possibile, ancora più sorpresa. - Molly? - Domandò scettica. 

Nonostante i dissapori della prima sera fossero ormai solo un ricordo lontano, Hazel era certa che la signora Weasley non fosse una grande sostenitrice della sua relazione con Sirius, e nemmeno del suo modo di fare la madre. 

- Sì, Remus era in missione e non sapevo quando sarebbe tornato, Tonks è stata molto occupata nelle ultime settimane. - Spiegò Sirius in fretta. - Dunque ho mandato lei, insieme a Ginny. Non ho dato indicazioni precise, speravo ti prendesse qualcosa di legato all’arte, qualcosa che potesse piacerti o almeno esserti utile, qualcosa di simile alla polaroid che ti ha regalato Remus, ecco. Solitamente io sono bravo a fare dei regali, ma tu sei babbana, sei strana… - 

- Oh, no, tu sei pessimo nel fare i regali, non sono io ad essere strana. - Lo interruppe lei ridendo. - Dimmi, cosa ha comprato Molly alla fine? - Domandò incuriosita. 

Sirius esitò per qualche attimo. - Ha comprato un… anello. - Rispose dopo un breve sospiro. - Lei dice che certe cose piacciono sempre alla donne e che, anche se dici di no, in realtà anche tu vorresti sposarti, un giorno. - 

Hazel sobbalzò, spalancando gli occhi. - Non ci provare! - Esclamò, facendosi indietro.   

- Calmati, non voglio farti nessuna fatidica domanda. Lo sai che anche io non sono troppo propenso al matrimonio, inoltre non te lo chiederei mai qui, davanti a tutti il giorno di Natale. - Disse Sirius storcendo il naso e iniziando a frugare nelle sue tasche, prima di tirare fuori una piccola scatoletta rivestita di velluto viola. - Solo che ormai non so cosa farci, quindi mi domandavo se tu lo volessi tenere lo stesso. - 

- E come me lo chiederesti, sentiamo? - Domandò Hazel. 

Sirius alzò le spalle. - Te lo chiederei e basta, ma in un posto privato in cui puoi sentirti libera di dire anche di no. - Rispose e poi, dopo una breve pausa, continuò, guardandola dritto negli occhi. - Ti amo e devo ammettere che un giorno mi piacerebbe sancire questa cosa tra noi con un contratto giuridico, il che può non sembrare affatto romantico ma… - 

Hazel si avvicinò e lo zittì, poggiando le labbra su quelle di lui e innescando la protesta indignata di Janus, seduto sulle sue gambe. 

Sirius sospirò, abbassando gli occhi su suo figlio. - Non mi sembri d’accordo, o mi sbaglio? - Gli chiese in tono leggero. 

- Va bene. - Esclamò invece Hazel, guardando Sirius con uno sguardo serio. - Lo faremo, ma ci sono delle condizioni da rispettare. - 

Sirius inarcò le sopracciglia, sorpreso. - E quali sarebbero? - Le domandò. 

- Prima di tutto Voldemort deve essere morto, ma questa volta sul serio. - Iniziò, con fare meditabondo. - Io devo avere più di trent’anni, una carriera artistica o accademica ben avviata, e non sarà, per nessun motivo al mondo, una cerimonia tradizionale. Niente abito bianco, nessuno mi porterà all’altare e terrò il mio cognome. - 

Lui annuì. - Ci sto. - Disse convinto, prima di scoperchiare la scatoletta in velluto.  

Hazel si guardò nervosamente intorno, notando con sollievo che in quel momento nessuno li stava guardando. Tornò con gli occhi su di lui e poi sull’anello che teneva in mano, tentando di celare la punta di imbarazzo che le era nata dentro. 

Su una montatura d’argento spiccava uno zaffiro azzurro e ovale, circondato da tanti piccoli diamanti che riflettevano la luce fioca proveniente dalle lampade a gas che in quel momento illuminavano il salotto, rendendo l’anello a dir poco abbagliante.

- Per la barba di Merlino! - Esclamò la voce del signor Weasley alle loro spalle, facendoli sobbalzare dalla sorpresa. - Congratulazioni! Finalmente vi siete decisi! - 

Hazel sentì gli occhi di tutti i presenti posarsi proprio su di loro, pieni di curiosità. Ci fu un sonoro “ooh” sorpreso e sospirato da parte di tutti e poi Molly, sulla soglia della cucina, si avvicinò loro con occhi sgranati e sognanti. - Lo sapevo! Lo sapevo che sarebbe successo! Hai detto di sì, vero, cara? - Domandò a Hazel. 

Hazel fece un sorriso ricolmo di imbarazzo, mentre gli occhi di tutti si posavano su di loro, pieni di curiosità. - In realtà non me l’ha nemmeno veramente chiesto… - Tentò di spiegarsi lei, lanciando uno sguardo verso l’uomo al suo fianco, che invece sembrava perfettamente a proprio agio. - Ma diciamo che ho detto di sì, in un certo senso. - 



 

L’ultimo giorno di vacanze terminò con una delle spiacevoli visite di Severus Piton che, agli occhi di Hazel, sembrava essere arrivato a Grimmauld Place solo per peggiorare l’umore del padrone di casa. Sirius, infatti, aveva passato la prima settimana del 1996 di nuovo totalmente rinchiuso in sé stesso, anche se aveva cercato in tutti i modi di non darlo a vedere, sforzandosi di sorridere durante le cene e i pranzi affollati, ma diventando silenzioso e accigliato quando si ritrovava da solo. 

La mattina della partenza dei ragazzi si presentò a loro come una delle più fredde e grigie degli ultimi mesi, talmente gelata da aver ghiacciato la strada sotto il numero dodici durante la notte. 

Hazel osservò il gruppo lasciare quella casa dalla finestra del salotto, chiusa e invisibile dall’esterno, con una strana sensazione che le attanagliava il cuore. Aveva l'impressione che qualcosa di terribile stesse per piombare su di loro, stravolgendo per sempre quella sorta di equilibrio che si era venuto a creare nelle ultime settimane, lasciandosi poi dietro solo vuoto. Con un sospiro, Hazel si guardò intorno, assaporando nuovamente la solitudine e il silenzio che avevano avvolto Grimmauld Place ancora una volta. Senza tutta quella gente ad abitarla, quella casa appariva più cupa e triste del solito. L’arazzo dell’albero genealogico era di nuovo lì, in bella vista adesso che l’abete di Natale era scomparso, più minaccioso e inquietante che mai, il vecchio pianoforte polveroso e scordato, i vecchi divani che un tempo erano stati sontuosi, tutto lì dentro trasmetteva un forte senso di malinconia e decadimento. 

Sulla soglia della porta, invece, Sirius la guardava esitante, con le mani nelle tasche e il volto che appariva quasi spiegazzato, come se quella notte non avesse dormito. 

Hazel gli sorrise, ma lui non ricambiò, facendole nascere dentro un forte stato di disagio. 

Era abituata a veder mutare il suo stato d’animo in poco tempo, ma durante quegli primi giorni di gennaio sembrava esserci qualcosa di diverso, come se un pensiero terrificante lo stesse torturando tanto da assorbire ogni sua energia. 

- Devo parlarti di una cosa. - Esordì però, muovendosi verso di lei. 

Lei aggrottò la fronte, ma cercò di ignorare il cuore che le aveva saltato un battito. - Che succede? - Domandò, sfiorando la sua mano. 

L’uomo chiuse per un momento gli occhi, come se nella sua testa stesse cercando le parole giuste. Spalancò nuovamente le palpebre, ma non la guardò. - Hazel, tu e Janus dovete tornare in Scozia. - Disse, andando dritto al punto.  

La ragazza sussultò e le sue sopracciglia si inarcarono dalla sorpresa. - Cosa… perché?- Chiese, scossa e perplessa insieme. 

Sirius sospirò, quasi come se continuare a parlare gli costasse fatica. - Finché Harry non imparerà l’occlumanzia nessuno di noi sarà al sicuro. Certo, Silente è il custode segreto dell’Ordine, ma non è di Voldemort che ho realmente paura. - Rispose, dopo qualche attimo di esitazione. - Ieri c’è stata un’evasione di massa da Azkaban e ovviamente il Ministero ha dato la colpa a me. - Continuò. - Tra i mangiamorte evasi c’è anche quella pazza di mia cugina Bellatrix e, se venisse a sapere di noi due, allora tu e Jan sareste in serio pericolo. Janus, pur essendo mezzosangue, resta l’erede della famiglia Black e questo potrebbe farla impazzire. Ricordo ancora quando Andromeda è scappata con Ted, ricordo la rabbia di Bellatrix alla notizia della nascita di Ninfadora e ricordo che promise che li avrebbe fatti fuori tutti e tre prima o poi. Non è sicuro per voi restare qui, se lei venisse a sapere della vostra esistenza… se Voldemort lo vedesse nella testa di Harry… non voglio nemmeno pensarci. Quindi tu e il bambino tornerete a casa oggi stesso, non appena Remus tornerà da Hogwarts. -

Hazel rimase immobile, in perfetto silenzio, gli occhi su Sirius che a sua volta si rifiutava di rivolgerle lo sguardo. - Per quanto tempo? - Chiese, gelida. 

- Finché tutto questo non sarà finito. - Disse Sirius. - Io sarò il vostro custode segreto, ma per essere ancora più sicuri è necessario che nessuno sappia della vostra esistenza. Le memorie di Harry e i ragazzi saranno cancellate una volta a scuola, quando te ne andrai io e Remus ci occuperemo anche degli altri. Gli unici che sapranno di voi saremo io, Remus, Silente e… Piton. Non mi fido per niente di lui, ma Silente ha insistito tanto. - 

Il volto di Hazel, illuminato dai raggi di quel pallido sole invernale che entravano dalla finestra a loro fianco, venne attraversato da una quantità innumerevole di emozioni. Quando Sirius alzò nuovamente lo sguardo su di lei, notò la rabbia indurire i suoi lineamenti, la tristezza bagnarle gli occhi e la rassegnazione farle tremare le labbra. 

- Sirius… no. - Mormorò solo, con la voce spezzata nella gola. - Non puoi controllare la mia vita in questo modo. Non puoi portarmi qui e poi decidere di cancellare la mia esistenza dalla mente di tutti quelli a cui tengo… - 

- Invece posso. - Ribatté fermamente lui. - Non sto chiedendo il tuo permesso, Hazel, faremo così che ti piaccia o no. - 

Hazel strinse gli occhi come se volesse metterlo a fuoco meglio e poi scosse la testa. Sembrava così delusa. - Quindi hai già deciso per me. Mi chiedo che senso abbia parlarmene allora. - Sbottò, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime. - Anzi, perché non cancelli anche la mia di memoria, così la facciamo finita? - 

- Avrei dovuto farlo quell’estate in cui ti ho incontrata. - Ribatté gelidamente lui. - E sai perché non l’ho fatto, Hazel? Perché sono stato egoista, avevo bisogno di qualcuno. Non di te, ma di qualcuno. Dopo tutti quegli anni ad Azkaban probabilmente mi sarei innamorato anche di Piton se mi avesse teso la mano come hai fatto tu. - 

Hazel parve scossa da un fremito. Fece un passo indietro, guardandolo fisso con gli occhi lucidi e il torace che le si abbassava velocemente. - Non è vero. - Disse semplicemente.  

- Invece è vero. - Replicò Sirius. - Ti ho rovinato la vita solo perché mi sentivo solo, quindi ora tornerai a casa, riprenderai la tua solita vita e ti dimenticherai di tutto questo per sempre. Non c’entri con questa storia, questo non è il tuo mondo, mettitelo in testa. - 

Hazel rimase zitta e ferma davanti a lui, il volto sconvolto dall'incredulità e dalla confusione che evidentemente stava provando, il respiro che le si mozzava nel petto tra un singulto e l’altro. Lo stava fissando come se si aspettasse ancora qualcosa e lui, a sua volta fissava lei con il cuore ridotto in mille pezzi minuscoli e taglienti. Hazel sembra ancor più giovane e fragile di quanto non lo fosse mai stata. Sarebbe stato facile annullare la distanza fisica che li divideva, abbracciarla, dirle che non l’avrebbe mai abbandonata, che le cose si sarebbero sistemate e che l’amava, che l’amava così tanto da lasciarla andare via, l’amava tanto da lasciarsi odiare, se questo voleva dire tenerla al sicuro. 

Fu invece lei a fare un passo verso di lui, avvicinandosi tanto da prendere il suo viso tra le mani, costringendolo a puntare gli occhi nei suoi. - Guardami. - Ordinò fermamente. - Avanti, guardami e ripeti quello che hai detto. Dimmi che non mi ami, forza. - 

- Non ti amo. - Ripeté lui, con la gola che gli pareva annotata e ricoperta di spilli. - Mi sentivo solo, ero stanco e avevo bisogno di un posto in cui stare. -  

- Io non ti credo. - Rispose Hazel. 

- Invece dovresti. - Disse lui, facendo un passo indietro. - Provvederò al bambino, ovviamente, non te la caverai da sola. C’è un conto intestato a tuo nome in una banca babbana, con l’eredità che spetterebbe a Janus se io dovessi morire, quindi non avrai più bisogno di lavorare per molto tempo. - 

Hazel gli scoccò uno sguardo raggelante. Adesso alla tristezza e alla confusione si era sostituita la rabbia. - Non voglio i tuoi soldi. - Sibilò lentamente. - Non dovrai provvedere a un bel niente, perché tu mio figlio non lo rivedrai mai più. - 

Sirius scrollò le spalle e non fece una piega. - Sarei stato un pessimo padre. - Disse senza nessuna inflessione nella voce. - Quei soldi rimarranno comunque su quel conto, nel caso tu cambiassi idea. - 

Hazel sentì il suo stomaco contorcersi davanti a quell’uomo che quasi stentava a riconoscere. Scosse la testa, delusa, ferita come non lo era mai stata in tutta la sua vita e, semplicemente, si allontanò da lui. Raggiunse la porta che dava sul corridoio, si voltò per l’ultima volta nella sua direzione e uscì da quella stanza, andando dritta verso le scale. Salì tremante un paio di gradini, prima di lasciarsi cadere, la schiena contro il muro, lasciandosi andare al pianto. Le scoppiava la testa, le faceva male il petto per quanto lo percepiva vuoto, e si sentiva una stupida, una stupida ragazzina credulona. 

Lui, ancora in piedi nel salotto deserto, sentì i singhiozzi di lei rimbombare sulle pareti di tutto il numero dodici, per poi arrivare dritti contro di lui, trapassandolo come un milione di lame affilate. 


 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Capitolo 17. La mattina più buia ***


Capitolo 17


Con il passare dei mesi, quel dolore lancinante che la attanagliava sembrò mollare di poco la stretta attorno al suo cuore, diventando un fastidio quasi cronico, un punto nero su quella serenità che Hazel stava cercando in tutti i modi di riconquistare e fare sua. 

Aveva trovato un asilo nido per Janus e un lavoro in una caffetteria del centro di Aberdeen per lei, cosa che la portava a rimanere fuori casa così tante ore al giorno da non avere il tempo materiale per deprimersi o fermarsi a pensare a tutto quello che aveva lasciato a Londra. 

Solo la sera, di tanto in tanto e soprattutto durante le prime settimane, le era capitato di cadere in qualche momento di forte angoscia. Allora si infilava nel letto, seppellita da diversi strati di coperte pesanti, e si lasciava andare in un pianto disperato contro il cuscino, prima di tornare in sé, mettendosi a fumare un pacchetto intero di sigarette guardando la brughiera ricoperta di ghiaccio e neve che si estendeva fuori dalla finestra di casa sua. 

Durante il mese di gennaio, la nostalgia di Grimmauld Place e della vita che lei e Janu avevano lì, per quanto strana e triste essa fosse, fu pungente, quasi insopportabile, tanto che più di una volta aveva pensato di partire di nuovo per Londra. Ogni volta che però ci pensava, la sua testa sembrava quasi allontanarla da quel pensiero: non riusciva a visualizzare nella sua mente Grimmauld Place, non si ricordava dove fosse, come ci si arrivasse, come se qualcosa fosse stato cancellato anche dalla sua memoria e questo, un po’, la terrorizzava.

Poi, con lo scorrere inevitabile del tempo, Hazel si adattò di nuovo alla solitudine. L’inverno passò con una lentezza disarmante, i prati tornarono di un verde rigoglioso verso marzo, mentre i primi fiori facevano capolino tra i fili d’erba fitti solo alla fine dello stesso mese. I giorni passavano tutti uguali, in una incessante danza che la rendeva sempre più apatica e stanca: la mattina si svegliava alla solita ora, faceva la solita colazione, preparava il bambino e, insieme, prendevano il treno per Aberdeen, dove lei andava a lavorare e lui frequentava l’asilo nido. 

Il fatto che Janus non fosse mai stato troppo a contatto con gli altri bambini si notava e, più di una volta, qualche maestra l’aveva convocata a scuola dicendole che intorno a lui succedevano cose strane e inspiegabili, come oggetti che volavano o cose che prendevano fuoco. Alcuni bambini, anche più grandi, avevano paura di lui, e perfino gli insegnanti erano un po’ intimoriti da quella strana aura che Janus si trascinava dietro.

“Il bambino ha qualcosa che non va”, le continuano a ripetere, ogni volta che la incrociavano durante l’orario d’uscita, e Hazel, anche se con fatica, dovette ammettere che, almeno in parte, avevano ragione. Era intelligente e sembrava in salute ma, da quando avevano lasciato Grimmauld Place mesi prima, qualcosa in lui era cambiato: Janus sembrava sempre arrabbiato, scontroso, agitato, e questo suo stato d’animo trovava sfogo solo nella magia, procurando non pochi incidenti.  

Spesso lui le chiedeva dove fosse finito Sirius, e Hazel, con il cuore che ancora le faceva male per come le cose tra loro erano finite, si limitava a rimanere sul vago dicendogli che magari prima o poi l’avrebbero rivisto, ma che non li aveva dimenticati, che continuava ad amarli anche se era lontano.  

Una o due volte a settimana, soprattutto di sera, Remus Lupin si presentava sulla sua porta, con del cibo da asporto al seguito. Mangiavano insieme, guardavano un film e poi lui tornava a Grimmauld Place, ma non parlavano mai di Sirius e nemmeno di quello che era successo. Si limitavano a parlare dell’Ordine della Fenice, di Tonks e dei progressi del bambino con la magia. 

- All’asilo non fanno altro che ripetermi quanto Janus sia diverso dagli altri bambini della sua età. - Disse Hazel una sera, il tono esasperato. - Il problema è che nemmeno io so cosa sia normale per un mago di quasi due anni. - 

- Fammi qualche esempio. - La spronò Remus, che se ne stava seduto al suo fianco sul divano del soggiorno, un bottiglia di birra babbana in mano e lo sguardo su Janus che giocava sul tappeto davanti a loro.  

- Quando vuole afferrare qualcosa che si trova a qualche metro di distanza da lui la fa volare fino a sé. - Iniziò la ragazza, sospirando. - Quando si arrabbia le luci fanno cose strane e poi credo che parli con gli animali, è possibile? - 

Remus alzò un sopracciglio. - In che senso parla con gli animali? - Domandò. 

- Ci parla. Ci parla come una sorta di… principessa Disney. - Spiegò Hazel, consapevole di quanto le sue parole potessero sembrare strane. - Soprattutto con i rettili. Giorni fa l’ho trovato a giocare con un serpente schifoso, non ti dico che colpo che mi è preso. - 

Remus per poco non si strozzò con la birra. - Stai scherzando? - Le chiese senza voce, guardandola con gli occhi sgranati. 

Hazel esitò per un istante. - Hem no, era proprio un serpente. Una biscia credo, quindi almeno non era uno di quelli velenosi. Solo che si faceva trattare come una sorta di gattino affettuoso, è stato strano da vedere, un po’ inquietante. Poi, quando l’ho uccisa lui si è messo a piangere e ad urlare come un disperato. - Raccontò. - È una cosa normale per quelli come voi? - 

Questa volta fu il turno di Remus per esitare. - Be’... per alcuni sì, è normale. - Rispose poi, fissando intensamente Janus. -  È una cosa rara, molto rara. -

- Se è una cosa rara allora è una cosa bella, no? - Fece la ragazza, preoccupata dal tono dell’uomo. - Si tratta di una sorta di talento che hanno in pochi? -  

Remus sospirò. - Più o meno… di solito è una cosa ereditaria, ma non credo che Sirius sia un rettilofono, ma sicuramente qualcun altro della famiglia Black lo era. Mi informerò. - 

- Ma perché stai usando questo tono? - 

- Che tono? - 

- Come se fosse una cosa molto brutta. - 

Remus indugiò ancora. - Di solito non è un buon segno avere una capacità del genere,  una sorta di maledizione. - Rivelò. 

- E perché mai? - Chiese Hazel, senza capire. 

Il mago alzò le spalle. - Sono solo dicerie, lascia stare. Jan è un bravo bambino e tu stai facendo un ottimo lavoro con lui. - Disse. 

Hazel sospirò, mettendo gli occhi su suo figlio. - Non lo so, Remus… spesso mi sembra di star sbagliando tutto. - Rivelò stancamente. - Forse non dovrei mandarlo all’asilo… ma poi non saprei a chi lasciarlo mentre lavoro. - 

Remus avrebbe voluto sottolineare che lei non aveva nessuna reale necessità di spaccarsi la schiena in quella caffetteria tutti i giorni, ma conosceva benissimo la posizione di Hazel riguardo a certe faccende, dunque decise di sorvolare: - Credo che lui abbia bisogno di stare con gli altri bambini, in fondo. - Disse invece. - Ho avuto un’infanzia da recluso, lo sai, e so che andare a scuola mi avrebbe aiutato molto. - 

- È una situazione diversa, Remus. Lui detesta gli altri bambini. - Ribatté Hazel. - Mi sembra assurdo che fosse più felice a Grimmauld Place. - 

- Si abituerà, vedrai. I bambini sono molto resilienti, Janus non farà eccezione. - Disse, prima di alzarsi in piedi. - Ora è meglio che vada, si sta facendo tardi e non voglio far preoccupare nessuno. -  

Hazel si limitò ad annuire. Sapeva che per nessuno Remus intendesse Sirius. 

Prese in braccio suo figlio e insieme accompagnarono il lupo mannaro alla porta. - Fai ciao a zio Remus. - Suggerì al bambino, una volta davanti alla soglia spalancata 

- Ciao, zio. - Mormorò Janus, muovendo la sua piccola mano. 

Remus sorrise verso di lui. - Fai il bravo, non far impazzire la mamma. - Disse, prima di alzare gli occhi su Hazel. - Ci vediamo tra qualche giorno, ma se hai bisogno di me prima stringi forte la moneta incantata che ti ho dato. - 

Hazel annuì, guardandolo tristemente. Remus era il suo unico appiglio al mondo magico e detestava vederlo andare via. - Sì, ma non ti preoccupare. - Lo rassicurò. - Comunque ottima trovata quella della moneta, Hermione è un vero genio. - 

- È pur sempre la strega più brillante della sua età. - Disse Remus, prima di muoversi lungo il vialetto. - Ciao, Hazel. -

- Remus, aspetta... - Lo chiamò la ragazza con urgenza, poco prima che lui uscisse dal cancelletto di ferro. - Come sta Sirius? - 

Le sopracciglia dell’uomo si inarcarono e sul suo volto comparve un’espressione di sincera sorpresa. Negli ultimi tre mesi Hazel non aveva chiesto nemmeno una volto di Sirius ma, anzi, si era comportata proprio come se lui non fosse mai esistito. 

- Lui sta… bene. - Rispose dunque il lupo mannaro, dopo qualche attimo di indugio. - Sì, sta bene, se la cava. Vuoi che gli dica qualcosa da parte tua? - 

Hazel scosse la testa. - Buonanotte, Remus. - Si limitò a dire, prima di tornare in casa, chiudendosi la porta alle spalle. 

Remus, davanti a quella soglia chiusa, sospirò. In quegli ultimi anni, Hazel era diventata per lui come una sorella. Sentiva l’istinto e il bisogno di proteggerla da tutti i mali del mondo e detestava vederla soffrire, esattamente come detestava veder soffrire Sirius. 

Quando si smaterializzò nuovamente a Grimmauld Place, trovò la casa più tetra e silenziosa che mai. Lungo il corridoio stretto dell’ingresso, le ombre inquietanti dei mobili e delle teste degli elfi domestici che negli anni avevano servito la famiglia Black si proiettavano sugli alti soffitti, alla luce della sua bacchetta illuminata. 

L’unica altra fonte luminosa veniva dalla porta del salotto ed era gialla, traballante, e veniva dall’imponente camino di marmo che Sirius aveva acceso quella fredda notte di fine inverno. L’uomo infatti era lì, seduto su una delle poltrone polverose e con lo sguardo vacuo e rivolto al fuoco che scoppiettava di fronte a lui. 

Remus si fermò ad osservare l’amico per un po’, immobile sulla soglia della porta del salotto, gli occhi che si stavano abituando pian piano alla penombra di tutto l’ambiente. Nonostante fosse ormai notte fonda, Sirius era ancora vestito da giorno e aveva l’aspetto di uno che non si guardava allo specchio da un po’. 

Lo sentì sospirare sonoramente, per poi voltarsi nella sua direzione. - Remus, se rimani lì fermo a fissarmi mi metti l’ansia. - Sbottò, infastidito.  

- Sapessi tu, sei inguardabile. - Ribatté il lupo mannaro, facendosi avanti fino a sedersi sulla poltrona accanto a quella dell’amico. - Indossi gli stessi vestiti da tre giorni. - 

Sirius alzò un sopracciglio, guardandolo risentito. - Stai per caso cercando di dirmi che puzzo, Lunastorta? - Sbottò piccato. 

Remus esitò. - Be’... di sicuro non profumi. - Iniziò, titubante.

Sirius scrollò le spalle. - Tanto nessuno deve annusarmi. - Si giustificò.

- Io sì, dato che vivo con te. E anche Dora. - Obiettò Remus. 

- Siete così carini, voi due. - Sospirò Sirius, sistemandosi meglio sulla poltrona, rivolto verso l’amico. - Come va con lei? Hai ancora quei ridicoli sensi di colpa? - 

- Lo sai. - Burrò lì il lupo mannaro, prima di tentare di cambiare discorso: - Oggi Hazel ha chiesto di te. - Lo informò. 

- E tu cosa le hai detto? - Domandò Sirius, tornando a guardare il fuoco. 

Remus si strinse nelle spalle. - Che le dovevo dire? Che ormai ti nutri esclusivamente di whisky incendiario? Le ho detto che stai bene, che te la cavi. - Rispose. 

- Bravo. Anche perché non mi nutro solo di whisky incendiario. - Replicò Sirius. 

Remus si lasciò scappare un verso denso di scetticismo. - Certo, come no. Comunque non sono qui per farti la paternale, sta’ tranquillo. - 

- Che strano. - Borbottò Sirius sottovoce. - Lei come sta? E Jan? La scorsa settimana aveva problemi con la scuola babbana ricordo. - 

Remus annuì. - Sì, ne ha ancora in realtà. - Disse. - E… credo che sia un rettilofono. - 

Sirius, contro ogni aspettativa, sospirò ma non disse niente, cosa che sorprese molto l’altro: 

- Tutto qui? Perché non sembri per niente sorpreso? - Gli domandò, con la fronte aggrottata. - Non mi dire che anche tu… - 

Sirius si affrettò a scuotere la testa. - No, io no, ma Regulus sì. Lo ha ereditato da mio padre. - Spiegò con un certo distacco. - Non sapevo che si potesse trasmettere anche tra nonno e nipote o tra zio e nipote, ma comunque la cosa non mi sorprende infatti: i Black sono legati alle arti oscure da secoli. Insomma, guarda questa casa… -  

- Non ne sapevo niente. - 

- Non è una cosa che si va a dire in giro, lo sai che un rettilofono è sempre malvisto, perfino tra i purosangue. - Replicò Sirius. - I miei genitori però ne erano molto entusiasti, mentre io l’ho sempre trovato un po’ inquietante. Dovrai spiegare a Hazel come comportarsi con questa cosa. - 

- O lo farai tu quando tutto questo sarà finito. - Tentò di dire Remus. 

Sirius si voltò verso di lui. - Prima dovrò riconquistarla. - Disse in tono amaro. 

- Conoscendola ti terrà il muso per cinque minuti e poi per lei sarà tutto dimenticato. - 

- Non lo so, Remus. Stavolta è diverso. - 

Remus sospirò. - Lo so. -

Ci fu un attimo di silenzio triste e malinconico, interrotto solo dallo scoppiettio della legna nel camino, poi anche Sirius sospirò: - Mi manca. - Disse a bassa voce. 


°°°°°°

 

 

L’alba del 19 giugno 1996 stava sorgendo sopra il piccolo villaggio di Downies, in Scozia, fresca e nebbiosa come ogni giorno. Hazel, sdraiata nell’enorme letto vuoto della camera che un tempo era appartenuta a sua madre, si voltò per l’ennesima volta, il cuscino stretto tra le braccia e lo sguardo rivolto verso la finestra. I primi raggi del sole stavano iniziando a far sparire la nebbia che avvolgeva il cottage, mentre alcuni uccellini, appena svegli, avevano già iniziato a cantare sugli alti rami degli alberi. La profumata brezza e lontana brezza marina arrivava alle sue narici, riempiendola e disetandola come una bibita, un odore così diverso da quello che si era abituata a respirare a Grimmauld Place parecchi mesi prima. Nonostante attorno a lei regnasse sempre la pace più assoluta, non riusciva più a riposare bene da quando a gennaio era tornata in quella casa. Detestava dormire da sola, non ne era più abituata e le mancava così tanto la presenza del corpo di Sirius al suo fianco che spesso, mentre era nel dormiveglia, si ritrovava a cercarlo con la mano dall’altro lato del letto. 

Hazel si stiracchiò con un lamento, tirandosi su per poi guardarsi intorno. La stanza in cui una volta dormiva di sua madre era disordinata e caotica come sempre: alcuni vestiti erano stati abbandonati sul pavimento, a terra c’era una bottiglia d’acqua mezza vuota e sul comodino, accanto ad un posacenere stracolmo, una tazza di té ancora piena e con la bustina ancora all’interno. 

La ragazza si passò le mani e, nello stesso istante, il trillo del campanello al piano di sotto la fece sobbalzare. Hazel diede un’occhiata alla sveglia appoggiata sul comodino di sinistra: erano le sei in punto del mattino, un orario strano per andare a trovare qualcuno, pensò. Nonostante questo, sbuffando un po’ scocciata, si alzò dal letto, uscì dalla stanza dando una rapida occhiata in quella di Janus, in cui il bambino dormiva ancora, e raggiunse la porta. 

Dallo spioncino Remus Lupin ricambiò il suo sguardo. Aveva l’aspetto di chi forse non aveva passato una bella nottata, gli occhi rossi e lucidi che sormontavano due profonde occhiaie viola, il suo solito completo rattoppato indossato stranamente in disordine, la cravatta allargata attorno al collo, i primi due bottoni della camicia aperti, i capelli ingrigiti e spettinati. Teneva tra le mani una grossa scatola di cartone chiusa.

Hazel spalancò la porta in fretta, guardandolo perplessa, cercando di capire qualcosa dalla sua espressione illeggibile. 

- Ciao, Hazel. - La salutò lui.

- Remus, vieni, entra. - Fece lei, facendosi di lato per farlo passare, ma senza smettere di scrutarlo attentamente. - Stai bene? Lo sai che sono le sei del mattino, vero? - 

L’uomo si limitò ad annuire. - Sì. - Disse poi semplicemente, ma con una strana voce, mentre la seguiva verso la cucina. - Janus sta dormendo? - Domandò. 

- Certo. - Disse Hazel una volta varcata la soglia. - Siediti pure. Ti va un tè? - 

- Sì, magari, grazie. - Rispose Remus, lasciandosi cadere su una delle sedie attorno al vecchio tavolo della cucina e appoggiando la grossa scatola che si era portato dietro sulla superficie legnosa. 

Hazel mise il bollitore sul fuoco, preparò due tazze con due bustine di té nero e anche un pacco di biscotti, sistemando tutto sul tavolo per poi sedersi di fronte all’uomo. Lo guardò per qualche secondo, come in attesa che dicesse qualcosa, finché il suo sguardo non cadde sulla scatola che Remus aveva portato con sé. - Che cos’è? - Domandò indicandola con un cenno del capo.

- Alcune cose di Sirius. - Rispose Remus asciutto. - Vorrei che le tenessi tu. - 

Hazel alzò un sopracciglio, sorpresa. - Cose che a lui adesso non servono? - Chiese, cauta. 

C’era qualcosa che non andava, lo poteva percepire nell’aria densa e pesante che li aveva avvolti, solo che Hazel non riusciva a capire cosa fosse. 

- No, non gli servono più. - Mormorò il lupo mannaro, alzando i suoi due occhi ambrati e lucidi nella sua direzione. - Hazel… io non so come dirtelo, davvero, non lo so. - 

Hazel sentì il suo cuore cigolare come un vecchio mobile tarlato e poi, alle sue spalle, il bollitore fischiò, avvertendola che l’acqua era pronta. Non si mosse, rimase immobile in attesa che Remus continuasse a parlare, ma l’uomo tacque. 

- Remus, che è successo? - Domandò dunque, tremante e pallida. 

Remus ingoiò come se la sua gola fosse ricoperta da tantissimi spilli incandescenti. Tentò di rispondere a quella domanda, ma dalla sua bocca non uscì una sola parola. Aveva trattenuto quel dolore per tutta la notte e proprio in quel momento, quando sarebbe dovuto essere forte per lei, si sentì crollare sotto il peso dell'intero universo. 

- Remus… - Lo chiamò appena Hazel, sussurrando talmente lievemente da risultare quasi impercettibile, appoggiando la mano sulla sua. - No… ti prego, non dirlo. -  

Il mago strinse le labbra e sul suo viso prematuramente segnato calò la disperazione più selvaggia che Hazel avesse mai visto. - C’è stata una battaglia al Ministero della Magia. - Disse con la voce soffocata di chi stava tentando di trattenere le lacrime. - Se n’è andato… Sirius è morto. -

Hazel si portò una mano alla bocca e singhiozzò, stringendo forte il braccio di Lupin con l’altra, quasi come se avesse paura di vederlo sparire davanti ai suoi occhi. Aveva così tante domande, eppure sembrava essersi dimenticata come si usasse la voce per parlare, e quei dubbi rimbombarono quindi nella sua testa, incessanti, come proiettili impazziti: Sirius era morto soffrendo? Chi lo aveva ucciso? Perché si trovava in mezzo a quella battaglia? 

Sentiva la presenza di una mano artigliata infilata nelle sue viscere; il dolore sembrava così reale, così insopportabile e destabilizzante che per un attimo si dimenticò di sé stessa. Pianse come non aveva mai pianto in vita sua, ritrovandosi il petto vuoto e un cuore ormai ridotto in cocci dolorosi. Avrebbe dato qualsiasi cosa per far cessare quell’agonia all’istante. Quando poi alzò finalmente lo sguardo sull’uomo di fronte a lei, Hazel notò che anche Lupin stava piangendo e che il suo dolore non sembrava poi tanto diverso dal suo. 

- Dov’è il suo corpo? - Gli domandò, tra un singhiozzo e l’altro. - Voglio vederlo, portami da lui, non mi importa se qualcuno mi vedrà. - 

- Non c’è più nessun corpo, Hazel. - Rispose stancamente Remus. - È sparito oltre un velo, una cosa molto misteriosa che si trova nell’Ufficio Misteri. Ci è caduto dentro, infatti non sono neppure del tutto sicuro che la maledizione di Bellatrix l’abbia effettivamente colpito. - 

Hazel trasalì. - Allora come fai a dire che è morto? Come puoi dire che è morto se non l’hai visto morire, se non hai visto il suo cadavere, me lo spieghi? - Sbottò tremante e accesa dall’ultima vana speranza. - Magari è solo prigioniero di questo velo, Remus, qualsiasi cosa sia, e tu devi tirarlo fuori! - 

L’uomo scosse la testa. - Non posso… - 

- Invece puoi farlo, tu sai tutto di queste cose. - Lo interruppe gelidamente lei. - Lui non è morto, non può essere morto, va bene? Quindi lo devi tirare fuori! - 

- Non posso tirarlo fuori, Hazel! Non c’è nessun rimedio alla morte. - Urlò Lupin con rabbia, alzandosi in piedi. - Se potessi farlo pensi davvero che starei ancora qui? Pensi che non mi sarei precipitato oltre quel velo per riportarlo indietro? Se ne è andato! È morto! -  

Hazel si ammutolì, guardandolo quasi impaurita. Poi si portò entrambe le mani al viso, scoppiando nuovamente in lacrime, questa volta con furia, con autentica disperazione. Non poteva essere successo, si ripeteva incessantemente. Non poteva averla lasciata, non mentre non parlavano da mesi, lasciandola piena di dubbi. Sirius l’aveva mai amata per davvero oppure tutta la loro storia era stata solo una conseguenza di tutti quegli anni di solitudine ad Azkaban? 

- Non ce la faccio. - Mormorò lei, senza fiato, tornando a guardare Remus. - Tutto questo è troppo da sopportare. - 

- Lo so. - Annuì il lupo mannaro. 

Fece il giro del tavolo, si fermò davanti alla giovane e, semplicemente, la abbracciò come se potesse in quel modo arginare il dolore straziante che li attanagliava. La accarezzò come un padre avrebbe potuto fare con la propria figlia o un fratello con la propria sorellina; lei sembrava indifesa, fragile, spezzata a metà. La lasciò piangere per ore finché, sopra di loro, il sole non spuntò del tutto, illuminando ogni angolo di quel cottage che un tempo aveva ospitato delle persone felici.  

Fu in quel momento, mentre Remus la teneva stretta a sé, che Hazel ebbe l’impressione di non essere più del tutto presente a sé stessa. Intorno a lei, la realtà sembrava essersi improvvisamente sbiadita e allontanata, i suoni le risultavano ovattati, i colori diversi. Aveva l’impressione di aver appena inserito il pilota automatico, e questo portava con sé la strana sensazione di essere rinchiusa in una teca di vetro che, seppur trasparente, era pur sempre abbastanza spessa da tenerla separata dalla realtà.

Fece un passo indietro, guardò Remus negli occhi, con la consapevolezza di non riuscire a provare niente ma, poco prima di poter aprire bocca, Janus apparve sulla soglia della cucina, assonnato e in pigiama. 

- Zio! - Esclamò il bambino, correndo verso il mago

Remus si asciugò gli occhi e lo prese in braccio, sforzandosi di sorridere.

- C’hai fatto, zio? Piangi? - Domandò Janus, guardandolo con sospetto. - Triste? - 

Remus guardò Hazel di sfuggita e anche lei, a sua volta, ricambiò l’occhiata, senza però dire niente. - No, non sono triste. - Rispose in fine l’uomo. 

Hazel sospirò. Si fece avanti, nella loro direzione, prendendo il bambino tra le braccia. Lo guardo negli occhi e il dolore ricomparve, ma meno intenso di quanto si aspettasse che fosse. Come avrebbe potuto spiegare a suo figlio quello che era accaduto? Come avrebbe fatto a tirare su quel bambino da sola, nel bel mezzo di un mondo in guerra, costretta a nascondersi dalla donna che aveva ucciso l’amore della sua vita? 

Hazel strinse forte Janus a sé, tentando disperatamente di non piangere, di essere forte per lui, fallendo miseramente. Il bambino la guardò senza capire, e confuso si voltò verso Remus, alla ricerca di una risposta. 

Ma non ne ricevette nessuna. 



 

Breve commento: ultimamente mi sta uscendo un capitolo peggio dell’altro ma sto pubblicando comunque perché voglio arrivare in fretta alla parte interessante. Spero che questa perdita di qualità non si noti troppo e che non vi faccia venire voglia di abbandonare la lettura di questa fan fiction. Questo capitolo, proprio come quello precedente, doveva essere diverso, doveva essere diviso in due parti molto più lunghe e articolate, ma proprio non mi veniva, quindi eccolo qui. 

Se vi va fatemi sapere come vi è parso, mi servirebbe parecchio, anche per darmi una regolata. 

Grazie per aver letto fin qui, 

Jamie. 


 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Capitolo 18. Avanti con la vita ***


Capitolo 18


Nei mesi successivi, Hazel ebbe come l’impressione che Remus si aspettasse di vederla andare in pezzi da un momento all’altro; ma non fu questo ciò che accadde. Contro ogni aspettativa, la giovane non diede nessun segno di tristezza e, anzi, continuò con la sua vita come se nulla fosse mai cambiato. Passava molto del suo tempo a lavoro e quando era in casa tendeva a non fermarmi mai, inventandosi tantissimi modi per non rimanere senza far niente. Mai, durante tutta quella terrificante e cupa estate, aveva nominato Sirius o aveva concesso a Remus di parlare di quello che era successo all’Ufficio Misteri. Inoltre, ogni volta che l’uomo tentava di intavolare il discorso, lei semplicemente si allontanava, come se non lo avesse nemmeno sentito parlare.  

Dall’altra parte, Remus Lupin era certo di non essersi mai sentito più triste di così in vita sua: il suo migliore amico, l’ultimo che gli era rimasto, era morto dopo una vita ricolma di sofferenze, lasciandogli la responsabilità di Hazel e Janus, la guerra era scoppiate e lui aveva chiuso definitivamente il rapporto con Tonks, che adesso probabilmente lo detestava. 

Come se tutto questo ancora non bastasse, Silente gli aveva proposto di infiltrarsi in alcuni branchi di lupi mannari, cercando di capire se fossero o meno dalla parte di Voldemort. Così, verso l’inizio di agosto, l’uomo partì, cercando di combattere contro la preoccupazione di lasciare Hazel da sola. Non era normale, secondo lui, che lei non avesse più pianto dal giorno in cui le aveva detto che Sirius era morto. Non era normale che non volesse parlarne, che evitasse anche di nominarlo. Ad ogni modo era in quella casa che tornava ogni volta che poteva, assicurandosi che lei e Janus stessero bene.  

Quell’umida mattina di fine settembre, Remus Lupin aprì gli occhi, ritrovandosi sul divano nel salotto di Hazel, con Janus che, inginocchiato proprio accanto a lui, lo chiamava con insistenza, battendo la manina sulla sua spalla. Il mago si stiracchiò e, con fatica, si tirò su, stropicciandosi gli occhi prima di guardarsi intorno. Il sole sembrava essere sorto già da diverse ore e i suoi raggi incandescenti illuminavano tutto lo spazio, mostrando il salotto stranamente ordinato e il bambino, che lo fissava talmente tanto intensamente da farlo sentire quasi a disagio. Aveva compiuto due anni proprio il mese scorso ma era incredibile quando somigliasse già al padre. 

- Ho fame. - Dichiarò. - Mamma dice che è stanca e non vuole alzarsi. - 

Remus sembrò sorpreso, ma tentò di non darlo troppo a vedere. Non era da Hazel rimanere a letto fino a tardi senza curarsi dei bisogni di suo figlio. - Vado a vedere come sta la tua mamma e poi facciamo colazione. - Disse con il suo tipico tono conciliante, prima di alzarsi in piedi. - Ti va un bel toast con la marmellata? - 

Janus annuì e poi si buttò sul divano. - Aspetto qui. - 

Remus gli rivolse un ultimo sorriso, prima di avviarsi verso la stanza di Hazel. 

Attraversò il corridoio, puntando dritto verso la porta accostata della camera di lei, fermandosi sulla soglia osservando all’interno. Tutto l’ambiente era in penombra, disordinato e caotico come al solito. Il pavimento era disseminato delle cose di Sirius che lui aveva portato da Grimmauld Place, come se Hazel avesse rovesciato quella grande scatola di cartone, rivelando il contenuto. C’erano molte buste da lettera e alcune erano state aperte mentre altre erano ancora sigillate, la videocamera che Sirius aveva ricevuto per il suo compleanno qualche anno prima da parte di Hazel, insieme ad alcune cassette che aveva registrato durante tutti quei mesi. C’erano anche gli abiti da babbano che la ragazza aveva preso per lui quando lo aveva trovato nella sua cucina quella notte tempestosa del 1993, e qualche vecchio libro di magia. Sul letto, invece, Hazel giaceva dandogli la schiena, immobile, coperta fino alla testa sebbene facesse piuttosto caldo. 

Remus fece un passo avanti, entrando definitivamente. - Hazel, stai bene? - Le domandò. 

- Sì, tutto bene. - Mormorò lei, e la sua voce giunse alle orecchie dell’uomo come se provenisse da un luogo lontano. - Sono solo un po’ depressa oggi. - Aggiunse. 

Remus socchiuse la bocca e inarcò le sopracciglia. - Non ti preoccupare. Ci penso io a Janus. - Disse, un po’ sorpreso. - Oppure vuoi che rimanga un po’ con te? - 

Hazel si voltò finalmente nella sua direzione e annuì. Aveva gli occhi lucidi come se avesse pianto per tutta la notte, i capelli le ricadevano spettinati e crespi su un volto che in quel momento pareva più vecchio di almeno dieci anni. - Sirius ha lasciato degli strani bigliettini. - Disse quando Remus si sedette al suo fianco, indicando il mucchio di buste da lettera aperte sul pavimento e afferrandone una. - Guarda. - Ordinò, mostrandogliela. 

Si trattava di una comunissima busta da lettere in carta bianca dove, sul resto, era stata scritta con una frase con la bella scrittura di Sirius: “per quando ti accorgerai che non ci sono più”. 

Remus la aprì, tirando fuori un piccolo biglietto di poche righe e leggendone avidamente il contenuto. Era indirizzato a Janus e diceva: “se stai leggendo queste parole allora è probabile che sono morto. Mi dispiace, ci sono tantissime cose che avrei voluto fare insieme a te e anche cose che avrei tanto voluto spiegarti di persona. La vita sa essere decisamente ingiusta. Comunque ho deciso di scriverti per ogni tappa che raggiungerai (o non raggiungerai) in modo che, almeno in un certo senso, io possa accompagnarti in questo tuo viaggio. Salutami tua madre.” 

- Sono tutte più o meno così, bravi e concise. - Spiegò Hazel, alzandosi dal letto e raccattandone un’altra da terra, mostrandogliela. - Ad esempio questa… per il primo giorno di scuola, oppure questa qui, guarda. - 

Anche quella era una normalissima busta da lettera ma, questa volta, sul retro c’era scritto “per quando farai l’amore per la prima volta”. Remus soffocò una piccola risata amara, scuotendo la testa prima di aprirla. - “Congratulazioni!” - Lesse. - “Lo so, la prima volta è sempre strana. La mia è stata con una ragazza di qualche anno più grande, non mi piaceva nemmeno ma mi sentivo in dovere di farlo. Spero che per te non sia stato così ma che ne sia valsa la pena, ma soprattutto che qualcuno ti abbia spiegato come farlo in modo protetto, così da evitare cose come le gravidanze indesiderate o le varie malattie orribili che esistono, (in caso contrario leggi la busta con su scritto “Il Discorso)”.  - 

Anche Hazel quasi sorrise. Tirò su con il naso e poi strinse le labbra. - Questo è tutto ciò che è rimasto di lui. - Disse tristemente. - Queste sono le uniche parole che potrà mai rivolgere a nostro figlio. E io mi sento così arrabbiata, Remus. Così arrabbiata con lui per il mondo in cui mi ha lasciata. Se n'è andato e non so neanche se mi abbia mai amata. - 

Remus si lasciò andare ad un sonoro sospiro, prima di voltarsi per poterla guardarla dritta negli occhi. - Ti amava. Ti amava profondamente. - Le disse. - E non c’è stato un giorno durante i suoi ultimi sei mesi in cui lui non abbia pensato a te e a Jan. - 

Le labbra di lei, piegate verso il basso, tremarono. - L’ultima volta che ci ho parlato mi ha detto esattamente il contrario. - Mormorò. 

- Hazel, devi capire che lo ha fatto con il solo intento di allontanarti per tenere te e Janus lontani da questa guerra. - Ribatté l’uomo. - Ti ha amata così tanto da avere la forza di rinunciare a te pur di tenerti al sicuro. - 

- Vorrei tanto crederti, ma non ci riesco. - Disse con voce rotta. - Sai, in questi mesi ho avuto speranza. Tantissima speranza. Speravo di vederlo apparire di nuovo in salotto come faceva quando tornava da Hogwarts, cercando di farsi perdonare. Ero certa che lui sarebbe tornato, capisci? Ma oggi… oggi… non lo so per qualche motivo ma… -  

- Oggi ti sei resa conto che non tornerà mai più. - Imbeccò Remus. 

Hazel annuì e rimase in silenzio per almeno un minuto, gli occhi bassi e lucidi, puntati su tutti quegli oggetti che una volta erano appartenuti all’uomo che amava e che adesso non erano più di nessuno. Si sentiva così vuota… 

- Se solo ci fosse un corpo su cui piangere… - Mormorò piano dopo un sospiro. - Non riesco a mettermi l’anima in pace. So che non tornerà più, te l’ho detto, l’ho capito; tuttavia non riesco a crederci del tutto. Delle volte io… io lo sento. - 

- Lo senti? - 

- Sì. Sento che lui è lì fuori, da qualche parte. - Tentò di spiegare Hazel. - Lo so che non ha senso, so che probabilmente è tutta una tecnica che la mia mente sta usando per non farmi morire di dolore, ma se fosse reale? Remus, se lui fosse ancora vivo? - 

Remus sbuffò e si irrigidì. - Non è vivo. - Ribatté gelido. 

- Non puoi saperlo con certezza. - Rimarcò lei. - Dietro quel velo c’è qualcosa, ma quel qualcosa non può essere la morte, perché la morte non è un luogo, non è un posto. - 

- Hazel, io non lo so cosa c’è dietro quel velo. - Ammise Remus. - Ma so che non c’è niente da fare. Sirius è morto e se hai bisogno di un funerale o di una lapide davanti a cui andare a piangere io lo capisco. Ma non devi lasciarti suggestionare, lo hai detto tu stessa: è la tua mente che ti fa credere che lui sia ancora vivo, non è la realtà. - 

La giovane rimase in silenzio per qualche attimo, guardando Remus con uno sguardo pieno di malinconia e dolore. Poi annuì, stringendo le labbra e cercando di trattenere a stento le lacrime che stavano cominciando ad inumidirle gli occhi. 

- Sirius è morto per davvero. - Sussurrò impercettibile. 

- È morto per davvero. - 

 

I mesi successivi furono caratterizzati dalle ansie e dal terrore che quella guerra appena cominciata aveva portato con se. Nonostante Remus l’avesse tranquillizzata sul fatto che lei e Janus non avessero niente da temere, Hazel viveva in un costante stato di allerta: dormiva poco e male, era diffidente nei confronti di chiunque le si avvicinasse troppo e questo suo atteggiamento inquieto si rifletté presto sul suo bambino. 

Janus, mese dopo mese sempre più vicino ai tre anni, stava crescendo senza un pezzo della sua identità, in una realtà oscura e piena di pericoli, consapevole fin da piccolissimo di quanto la vita potesse essere infame, lontano dal suo mondo e da quella che, una volta, era stata la sua famiglia. Nonostante la giovane età era già capace di mentire ai suoi compagni d’asilo e alle maestre, a cui aveva raccontato una versione babbana della storia di suo padre. Detestava andare a scuola, detestava i suoi coetanei, li trovava stupidi e noiosi, preferiva di gran lunga passare del tempo con lo zio Remus che si divertiva quasi quanto lui a mostrargli gli incantesimi che un giorno avrebbe imparato a Hogwarts. 

Mese dopo mese, i ricordi di Grimmauld Place e di tutte le persone che avevano vissuto insieme a lui al numero dodici sparirono dalla mente del bambino insieme a tutti i ricordi che aveva con suo padre, che divenne pian piano solo un nome e un viso stampato su tutte le fotografie che Hazel custodiva come tesori.  

Hazel invece sentiva la mancanza ancora forte la mancanza di quei mesi: le manca la cucina della signora Weasley, gli scherzi dei gemelli, il tono di voce rassicurante di Kingsley, gli occhi di Harry, ma soprattutto le mancava Sirius, quella sua strana risata simile ad un latrato e ogni altro aspetto di lui. Le mancava così tanto che, spesso, si lasciava consapevolmente trascinare dalla convinzione di poterlo sentire ancora. Capitava che, soprattutto di notte, una certa suggestione si impadronisse di lei, facendole credere di poterlo avere indietro o, almeno, di poter essere in qualche modo ancora in contatto con lui. Sentiva la sua presenza per giorni, ovunque andasse, per poi sparire di nuovo e tornare quando finalmente si convinceva di esserselo solamente immaginato. 

La vita scorreva rapida e inesorabile verso un futuro incerto e buio ma, almeno tra le mura di quel cottage, Hazel, Janus e Remus potevano fingere che stesse andando tutto bene. Remus si rese conto presto di quanto il bambino fosse straordinariamente dotato, seppur molto insicuro delle sue capacità. Gli piaceva passare del tempo con lui, vederlo crescere, imparare cose nuove e muovere i suoi primi goffi passi verso il lungo cammino che aveva davanti. Sapeva che sarebbe diventato un mago talentuoso almeno quanto Sirius, se non di più data la sua bruciante curiosità per tutto ciò che riguardava la magia. 

Un anno passò in un batter d’occhio e una sera di fine giugno Remus apparve in giardino con la stessa aria sconvolta di quando, poco più di dodici mesi prima, si era presentato alla porta di Hazel per informarla della morte di Sirius.

Hazel, che era lì, sotto il portico di casa sua con un libro tra le mani e con indosso solo un leggero pigiama estivo bianco, ricambiò la sua occhiata con un po’ di timore.

- Fai le valigie. - Esordì subito l’uomo, andandole velocemente incontro. - Tu e Janus dovete andare via subito. - 

Lei sobbalzò, alzandosi in piedi. - Che è successo? - Domandò perplessa.

Remus le si fermò proprio davanti, prese un respiro profondo e le mise entrambe le mani sulle spalle. - Silente è morto. - Rispose, andando dritto al punto. - È stato Piton, ha fatto entrare i Mangiamorte a Hogwarts. C’era anche Bellatrix… - 

Un brivido scosse la giovane donna dalla testa ai piedi. - Piton sa di me e Janus. - Fu tutto ciò che riuscì a dire, tremando. - Lui sa di noi… lui potrebbe… - 

Il lupo mannaro annuì, gonfio di rabbia. - Sveglia Janus, prendi solo lo stretto necessario e andiamo via. - Le disse con fermezza. - Io intanto chiamo un taxi. - 

- Ma dove andiamo? - 

- Tu e Janus lascerete il paese. - Spiegò Remus alla svelta, entrando dentro casa. - Vi accompagnerò in aereoporto e prenderete un volo qualunque che vi porti il più lontano possibile, magari fuori dall’Europa. Avevo pensato agli Stati Uniti o al Canada o ad un altro paese anglofono. Comunque dovreste stare in una grande città, a stretto contatto con i babbani, magari in un condominio. - 

Hazel si pietrificò. - E tu? - Mormorò piano. - Tu vieni con noi? - 

- No, ma ci terremo in contatto. Ti scriverò spesso e ti chiamerò da qualche cabina telefonica una volta al giorno. - Rispose Remus, ma come se gli costasse un’immensa fatica. - Quando poi la guerra sarà finita tornerete qui e saremo di nuovo una famiglia. - 

Hazel si sentì  tremare ancora. - Ho paura. - Confessò, facendo un passo nella sua direzione. 

- Anche io, Hazel. - Le disse l’uomo. - Però so che sarete al sicuro lontani da qui. Potrai comprare una casa con i soldi di Sirius, iscriverti in un buon college, ricostruirti la vita che il mio mondo ti ha strappato via. Però non è un addio. - 

Lei annuì. L’ennesimo distacco, l’ennesimo stravolgimento alla sua esitenza. Se fosse successo solo un anno prima non avrebbe smesso un secondo piangere ma in quel momento, lì di fronte a quell’uomo che per lei era diventato come un fratello, si rese conto che non aveva più lacrime. - Dimmi che resterai vivo. - 

- Ci proverò, te lo assicuro. - 

- E promettimi che la smetterai di fare l’idiota con Tonks, lei è quella giusta. - 

Remus rise, e ripensò a quello che proprio Dora gli aveva detto in infermeria, poche ore dopo l’omicidio di Silente. - Lo so, è quella giusta per davvero. - Disse. 

Hazel fece un piccolo sorriso e lo guardò con uno sguardo intenerito, prima di dargli una pacca sulla spalla. - Bravo, Lunastorta. - Disse. - Dammi una mano a fare le valigie. -

Dopo quella notte, ormai confinata dall’altra parte del globo, il mondo dei maghi cominciò ad apparere a Hazel come qualcosa di lontanissimo che non avrebbe mai più potuto toccare. Remus le scriveva e la chiamava spesso come aveva promesso, ma non parlavano quasi mai della guerra, né di Voldemort. Le loro conversazioni erano quasi unicamente concentrate su Janus, su come cresceva e su come si stava adattando all’America. Spesso parlavano anche di Sirius, della vita che avevano avuto a Grimmauld Place, di quanto lui mancasse ad entrambi. 

Qualche settimana dopo la partenza di Hazel e Janus, Remus e Dora si sposarono in una piccola locanda in Scozia e, qualche mese più tardi, Teddy Lupin venne al mondo. 

- Non hai idea di quanto vorrei essere lì con voi in questo momento. - Confessò una notte Hazel, parlando al telefono con Remus dalla sua nuova casa a New York. - Mi mandi una foto di Teddy? Sono troppo curiosa e anche Jan non vede l’ora di vederlo! - 

- Te l'ho già spedita qualche ore fa, ma il mio gufo è vecchio, ci mette un po’. - Rispose Remus, dall’altro capo della cornetta. La sua voce sembrava stanca e lontana, ma il suo tono era calmo e leggero. - Tu come stai? - 

Hazel sospirò, appoggiandosi con i gomiti al davanzale della finestra, da cui poteva vedere la città che si imbruniva al calar del sole. Aveva lasciato il Regno Unito da mesi e doveva ammettere che abbandonare la casa che aveva diviso con Sirius era stato in qualche modo terapeutico. Aveva ripreso a studiare e, per la prima volta nella sua vita, non doveva nemmeno preoccuparsi di guadagnare abbastanza per sopravvivere.

Spesso, quando Janus era all’asilo e lei a lezione, le piaceva fingersi una studentessa qualsiasi, con una vita normale e noiosa, studiare in biblioteca e prendere il caffè con i suoi compagni durante le pause. Si lasciava travolgere da quella sorta di tenera illusione in cui si rifugiava di tanto in tanto, e che le aveva permesso perfino di fare amicizia. 

- Sto bene. - Rispose con sincerità. 

- E con quel tuo compagno di corso come va? - Sondò Remus. 

Hazel aggrottò la fronte, presa alla sprovvista. - Di chi parli? - Gli domandò.

- Di quello con cui sei uscita insieme giovedì. - Rispose il mago. - Come è andata? - 

- Non ci sono uscita insieme! - Esclamò Hazel indignata. - Abbiamo pranzato insieme, questo è vero, ma alla mensa universitaria, non era mica un vero appuntamento. -

- Allora perché non gliene chiedi uno? Invitalo da Starbucks o in un posto simile, no? - 

Hazel tacque per una manciata di secondi prima di scoppiare a ridere. - Da Starbucks? Perché proprio da Starbucks? - Chiese divertita. 

- È una cosa tipica americana. - Rispose Remus sorridendo. - Ma puoi sempre portarlo in una sala da té se proprio ti manca casa. - 

Hazel fece un verso pieno di disapprovazione. - In tutta sincerità io credo che sia ancora troppo presto per uscire con qualcuno, Remus. - Disse facendosi di nuovo seria. - Poi questo qui ha detto chiaramente di odiare i bambini e inoltre pensa che la Scozia e l’Inghilterra siano la stessa cosa. - 

- Ma non deve essere mica l’uomo della tua vita. - Incalzò lui. - Hazel, tu sei ancora così giovane. Sirius è morto da quasi due anni, e non credo che vorrebbe vederti da sola. - 

- È ancora troppo presto. - Ripeté lei. - E non ho nemmeno il tempo per pensare a certe cose adesso. Ho una laurea da prendere, un bambino di quasi quattro anni a cui badare; un bambino che per giunta è un mago, quindi ci sarebbero troppe cose da spiegare. - 

Remus sospirò. - A proposito, lui come sta? - Chiese.

Hazel si voltò, dando uno sguardo al divano a pochi passi da lei, su cui suo figlio era mollemente accomodato, tutto preso a guardare il Re Leone. - Lui… sta come al solito. - 

- La scuola? Come è andata la sua prima gita? Dev’essere carino lo zoo di Central Park per i bambini della sua età, no? - 

- Lasciamo stare. - Sospirò Hazel.

- Cosa ha combinato? - Domandò Remus, il tono divertito e preoccupato insieme. 

- Fidati, non vuoi saperlo. - Rispose. 

Remus mugugnò scontento. - Hazel, avanti. - Borbottò, tentando di spronarla. 

- Ha fatto evadere per sbaglio un serpente gigante perché dice che era gli stava simpatico. E questo serpente simpatico ha quasi fatto fuori il cagnolino di un’altra visitatrice dello zoo davanti a tutti. - Raccontò Hazel rabbrividendo. - Comunque, questo incidente a parte, sembra che si sia dato una calmata, anche se continua a non avere nessun interesse per i suoi coetanei, anzi per gli esseri umani in generale. La maestra dice che in classe non parla, che non socializza, che vive in un mondo tutto suo e che dovrei mandarlo in terapia. - 

Remus tacque per qualche istante, tanto che Hazel si chiese se fosse ancora al telefono.

- Poteva andare peggio. - Disse alla fine. 

Hazel fece un verso sprezzante. - Tu credi? Ad esempio? - Fece in tono amaro. 

- Il serpente poteva quasi far fuori un umano invece che un cagnolino. - Buttò lì Remus. 

Lei sospirò. - Remus, dai, non è divertente. - Si lamentò. - Insomma, immagina se Teddy da un giorno iniziasse ad avere interazioni sociali solo con te e con dei rettili. Vorresti dirmi che non saresti preoccupato? - 

- Certo che lo sarei. - Rispose lui in tono ovvio. - Ma è pur sempre un’interazione, e con questo non voglio dire che sia una cosa sana, solo che non dovresti fargli credere che questa sua peculiarità sia solo un male. - 

- Cosa dovrei fare allora, prendergliene uno domestico al posto di un gattino? - Chiese Hazel con una punta di gelido sarcasmo.

- Se non vuoi no, ma non dovresti demonizzare la cosa. - Ribatté Remus. - Hazel, ascolta, lui probabilmente ha solo bisogno di uno sfogo. Perché non gli trovi qualcosa da fare dopo la scuola? Qualcosa con cui poter lasciare un po’, come uno sport. - 

- L’avevo iscritto a giocare a calcio, ma casualmente tutti i suoi compagni inciampavano nei lacci delle loro scarpe ogni volta che lui gli si avvicinava. - Spiegò Hazel. 

Remus tentò di trattenere senza successo una piccola risatina. - Be’ allora potrebbe provare con un corso di musica. - Propose. - Uno strumento difficile… come il violino. - 

Hazel guardò di nuovo Janus, con un fare pensieroso. - Tentar non nuoce, dato che non posso di certo portarlo da uno psicologo babbano come consigliano le sue maestre. - Disse in fine. - Vuoi che te lo passo al telefono, così ci parli un po’? - 

- Sì, magari. - Approvò Remus.

- Jan, amore, vieni a parlare con lo zio? - 

 

Tutti i giorni Janus trovava la frequenza di Radio Potter e, insieme a sua madre, rimaneva fermo ad ascoltare la voce di zio Remus che si alternava alle canzoni delle Sorelle Stravagarie, in una, a tratti tremenda, telecronaca della guerra.  

La sera del primo maggio 1998, un grosso gufo bruno si appollaiò stanco sul davanzale finestra di casa Rains, con una lettera da parte di Remus legata alla zampina. Erano poche righe, scritte di fretta, giusto per avvertirla che la battaglia stava per cominciare e che tutto, nel bene o nel male, sarebbe presto finito. 

Fu una lunga notte, interminabile, e Hazel la passò sveglia e incollata alla radio, bevendo caffè mentre Janus sonnecchiava sul divano alle sue spalle. Quando poi, mentre il sole sorgeva sugli alti grattaceli di New York, la voce di Harry uscì da quelle casse, per poco il cuore di lei non si fermò. 

- Qui Harry Potter. Voldemort è stato sconfitto. Voldemort è morto e noi siamo liberi. - Disse, ma senza nessuna allegria nella voce. - Siamo liberi, ma vorrei prendermi qualche momento per leggere insieme i nomi di tutti quelli che non sono sopravvissuti alla battaglia che c’è stata questa notte a Hogwarts. -  

Accanto a lei, Janus strinse la sua manina attorno al suo braccio, guardando la madre quasi con timore, che a sua volta però fissava la radio a bocca aperta, quasi pietrificata. 

I nomi si susseguirono in ordine alfabetico, erano tanti, senza un volto e la voce di Harry diventava sempre più grigia e inclinata man mano che leggeva. E poi accadde, arrivò il nome di Remus, il nome di Fred Weasley, il nome di tantissime altre persone che non conosceva, ma almeno non sentì quello di Dora. 

Fu straziante, ogni secondo, fino all’ultima lettera. 

- Mamma, anche zio Remus è andato? - Chiese Janus, quando alla radio partirono le note allegre dell’inno della scuola. - È andato con papà? - 

- Sì, adesso stanno insieme. - Rispose Hazel, asciugandosi gli occhi. 

Il volto del bambino divenne crucciato e gli occhi gli si riempirono di lacrime. - Anche tu morirai, mamma? - Le domandò, con le labbra piegate verso il basso. 

Hazel si voltò a guardarlo, gli asciugò il viso e lo abbracciò, tenendolo stretto. - Prima o poi succederà, sì. Ma non adesso e nemmeno nei prossimi anni, te lo prometto. - Disse seria. - È tutto finito, Jan, non dobbiamo più avere paura. Sei contento? - 

Il bambino annuì, ma poco convinto. - Adesso viene Harry? Torniamo a casa? - Chiese, guardandola speranzoso. 

Fu quello il momento in cui Hazel si ricordò dell’incantesimo di memoria, del fatto che non era stato sciolto e che, in tutto il mondo magico, non era rimasto più nessuno che si ricordasse della loro esistenza. Un senso di solitudine, di vuoto e di abbandono le strinse il cuore in una morsa: si sentiva così stanca, così arresa. 

- Harry arriverà, ma tra qualche anno. - Disse a suo figlio, tentando di sorridere, nonostante avesse solo voglia di mettersi ad urlare. - Adesso ha tantissime cose da fare, è un supereroe come… come Spider Man. Ma verrà a prenderci. - 

Janus sospirò e, nuovamente, annuì arreso. - Va bene… - Mormorò. 

- Vogliamo fare una passeggiata? - Propose Hazel allegramente. 

Magari avrebbero incontrato qualche strega o qualche mago intenti a festeggiare la caduta di Voldemort, magari così sarebbe potuta arrivare a Harry… 

Ma il bambino scosse la testa. - Sono stanco. - Disse tristemente. 

Hazel sospirò. Anche lei era stanca, se non stremata, spaccata in due da tutti gli eventi degli ultimi anni. - Allora andiamo a dormire. - Decise. 

Fuori le mura di quel piccolo appartamento di Brooklyn, mentre madre e figlio finalmente si permettevano di riposare, stormi di gufi iniziarono ad invadere il cielo terzo che si estendeva sopra quei grattacieli, proprio come in quel lontano 1981, mentre la comunità magica locale scendeva in strada per festeggiare la caduta, questa volta reale, del più grande mago oscuro di tutti i tempi che, per la seconda volta, era stato sconfitto dal ragazzo che è sopravvissuto. 



 

Questa volta il mio piccolo commento lo metto all’ultimo: 

con questo capitolo siamo arrivati alla fine del primo tempo, questo vuol dire che dal prossimo in poi saremo finalmente nel presente che è dove per me la vera storia comincia. Non so ancora se ci sarà un lieto fine, e voi probabilmente vi starete chiedendo come potrà mai esserci un lieto fine dato che Sirius è morto, ma questa è una fan fiction quindi tutto può succedere o non succedere. Spero che continuerete a seguire la storia e che io vi abbia fatto venire almeno un po’ di curiosità. 

Lasciatemi un commento, se volete. 

Jamie Sand. 


 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Capitolo 19. Ritorno al presente ***


Ciao a tutt*,

allora questo sarà un capitolo importante, anche se di passaggio. Ci ho messo qualche giorno più del previsto per scriverlo dato che da qui si potevano aprire un’infinità di strade diverse e tutte ugualmente valide, dunque mi piacerebbe sapere che ve ne pare. 

Ad ogni modo, per ora, vi auguro una buona lettura. 

Jamie. 





 

Capitolo 19


Downies, Scozia, agosto 2005

 

- Direi che questo è tutto. - Concluse Hazel, appoggiandosi sfinita contro lo schienale della poltrona su cui sedeva da ore. 

Davanti a lei, sul divano accanto a suo figlio, Harry Potter la stava fissando in silenzio, la lettera di Hogwarts ancora stretta tra le mani e lo sguardo confuso. Non aveva detto una parola per tutta la durata del suo racconto, limitanosi ad ascoltare attentamente e lasciandosi andare, di tanto in tanto, a qualche semplice espressione di stupore. 

Hazel lo osservò per bene, concedendosi un’analisi approfondita dell’aspetto di lui: sebbene i suoi capelli fossero ancora spettinati e ribelli e solo la montatura degli occhiali fosse cambiata, Harry Potter non era più il ragazzino gracile che aveva conosciuto a Grimmauld Place tantissimi anni prima. Sul suo viso era cresciuta la barba, era più alto, più robusto, più consapevole di sé stesso. Sull’anulare sinistro, inoltre, c’era una luccicante fede d’oro, segno che diceva chiaramente che si fosse sposato. 

Harry si mosse, si alzò in piedi e cominciò a frugarsi nelle tasche, da cui tirò fuori un piccolo portafogli di pelle marrone. Lo aprì, alla ricerca di qualcosa, e quando la trovò la mostrò a Hazel, incapace di formulare parole. Si trattava di un foglietto bianco stropicciato e piegato più volte. 

Hazel lo afferrò e, sotto lo sguardo attento e fremente di Harry, lo aprì, ritrovandosi tra le mani il ritratto che aveva fatto a lui e Sirius nella lontana estate del 1995. 

- Lo hai tenuto con te per tutto questo tempo. - Disse, commossa. 

Harry annuì. - Non sapevo chi l’avesse disegnato, ma quando Sirius è morto mi è stato di conforto. Per me era una sorta di prova che lui era esistito, che era stato al mio fianco, dato che con lui non avevo nessuna fotografia. - Spiegò. 

Hazel sorrise. - In realtà ne hai tantissime. - Obiettò. - Jan, vai a prendere la scatola? - 

Il bambino annuì in fretta, si alzò e sfrecciò fuori dal salotto, tornando poco dopo portando con se una scatola di legno decorata. Tornò a sedersi sul divano, accanto a Harry, sorridendo a sua madre come non aveva mai fatto, e aprì la scatola, mostrandone il contenuto. All’interno, tantissime istantanee ingiallite dal tempo mostravano una Grimmauld Place diversa da come Harry se la ricordava, più allegra, più accogliente. 

- Sembrate così innamorati. - Osservò Harry, tenendo in mano una fotografia che raffigurava Hazel e Sirius insieme. 

- Lo eravamo, sì. - Rispose lei, amara. 

Harry continuò a frugare in quella scatola e sentì i suoi occhi bruciare improvvisamente quando, tra le sue mani, arrivò una polaroid che lo mostrava insieme a Sirius, seduti entrambi attorno al lungo tavolo di legno della cucina del numero dodici, sorridenti, felici e circondati dagli addobbi natalizi. Pensava di aver superato il dolore per la perdita del suo padrino, eppure eccolo lì, più pungente e straziante che mai. 

- Dobbiamo sciogliere l’incantesimo di memoria. - Disse, sovrappensiero. - Hermione ha fatto una cosa del genere sui genitori durante la guerra, a te sta bene se la chiamo e la faccio venire qui? - 

- Harry, ma me lo stai davvero chiedendo? Io non vedo l’ora che vi torni la memoria, aspetto questo momento da anni! - Esclamò lei, ridendo. - Hai bisogno di un telefono? -

- No, no, ce l’ho. Ultimamente la tecnologia babbana si sta impossessando anche di noi maghi. - Disse, tirando fuori il proprio cellulare dalla tasca. - Le mando un messaggio con l’indirizzo, così intanto che ci raggiunge noi possiamo continuare a parlare. - 

- Va bene. - Approvò Hazel. - Dimmi, siete sposati tu e Hermione? - 

Harry assunse un’espressione perplessa e poi rise sommessamente. - Oh no, lei ha sposato Ron. - Raccontò allego. - Io sto con Ginny. Abbiamo un bambino, James Sirius, di un anno, ma ne stiamo aspettando già un altro. -  

- James Sirius. Immagino che sarà una vera peste. - 

- Non ne hai idea, è un vero Malandrino! - Rise Harry. - Ma dimmi di te. Ditemi di voi due. Cosa avete fatto in tutti questi anni? -  

- Abbiamo vissuto a New York fino a qualche mese fa, quando abbiamo deciso di tornare in attesa della lettera per Hogwarts, adesso viviamo a Londra. Comunque non abbiamo mai smesso di passare l’estate qui in Scozia, in questa casa che sarebbe potuta essere anche la tua, Harry. - Iniziò a raccontare Hazel, guardandolo. - Abbiamo avuto una vita felice. Sono riuscita a laurearmi, ho persino preso un dottorato e adesso insegno filosofia dell’arte ed estetica a Oxford, ma mi occupo anche di ricerca per conto l’università. Insomma diciamo che vivo di arte, come ho sempre sognato. Tu di cosa ti occupi? E tutti gli altri? Sono troppo curiosa, voglio sapere tutto! - 

- Io sono un auror. - Sorrise Harry, con una punta di fierezza nella voce. - Prima della nascita di James, Ginny giocava come cacciatrice nelle Holyhead Harpies, mentre adesso si occupa di giornalismo sportivo per la Gazzetta del Profeta. Hermione, invece, sta avendo una promettente carriera al Ministero, nell'Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia, mentre Ron aiuta George al negozio di scherzi. - 

- E Molly e Arthur come stanno? Oh, Harry, quando ho sentito il nome di Fred… non voglio nemmeno immaginare il dolore che avranno provato. - 

Harry annuì, stringendo le labbra. - Sì, è stata una battaglia spaventosa. Non conosco nessuno che non abbia perso qualcuno e non solo quella notte, ma anche durante tutti i mesi di guerra. - Raccontò, e poi si voltò a guardare Janus. - E tu, Janus, cosa ti piace fare? - Gli chiese, soprattutto con la volontà di cambiare discorso. 

Il ragazzino sobbalzò, come se in quel momento non si aspettasse nessuna domanda. Era troppo concentrato sulla lettera che Harry teneva ancora tra le sue mani per seguire il filo del discorso. Voleva aprirla, leggerla, godersi quel momento tanto atteso. - Io… hem… suono il violino e vado a scuola. - Disse.

- È il primo della classe. - Aggiunse Hazel. 

- Mamma! -

- Soprattutto nelle materie umanistiche; è molto sensibile. - Continuò Hazel, senza badare alle proteste del bambino. 

- Mamma, e dai! - Sbottò Janus, distogliendo solo per un attimo gli occhi dalla lettera per Hogwarts che Harry aveva ancora in mano.

Harry sorrise, poi seguì lo sguardo del ragazzino. - Vuoi aprirla? - Disse, porgend0gliela. 

Janus annuì freneticamente. - Posso? - Domandò, con il cuore in gola. 

- Certo che puoi, è per te. - Rispose Harry. 

Non se lo fece ripetere due volte, prese la lettera dalle mani di Harry e la aprì, assaporando ogni istante, apprezzò la consistenza il sigillo di cera che si rompeva sotto la pressione delle su dita, la ruvidezza della carta, l'orrore di pergamena… e poi iniziò a leggere avidamente il contenuto. Era tutto finalmente reale, Hogwarts esisteva, Harry esisteva, il primo settembre avrebbe preso l’Espresso per Hogwarts e finalmente sarebbe potuto essere chi realmente era. Gli veniva da piangere, ma si trattenne. Non voleva di certo fare la figura dell’idiota con Harry.  

- Quando andiamo a comprare tutte queste cose? - Domandò, passando lo sguardo da sua madre a Harry e viceversa. - Non vedo l’ora di avere una bacchetta! - 

- Io posso accompagnarvi quando volete. - Propose Harry. 

- Sarebbe davvero gentile da parte tua, ma non vogliamo esserti di peso. - Disse Hazel. 

Harry aggrottò la fronte. - Stai scherzando? Non manderò mai il figlio di Sirius a fare compere da solo a Diagon Alley! - Esclamò indignato. 

- Sai, ho cercato di trovare Diagon Alley molto spesso. - Disse Hazel, pensierosa. - Ho tentato anche di tornare a Grimmauld Place, a ricordare qualcosa, un vostro indirizzo, ma niente… è come se non riuscissi a focalizzare, non so se mi spiego. - 

Harry strinse gli occhi, osservandola per bene. Era possibile che Sirius avesse cancellato dalla mente di lei quelle informazioni? 

- Forse anche tu sei sotto l’effetto di qualche incantesimo? - Tentò di dire. 

Hazel si irrigidì immediatamente. - No, Sirius non mi avrebbe mai fatto una cosa del genere. - Asserì con sicurezza.  

Harry lasciò scivolare la questione, percependo una strana tensione nell’aria. - Ma quando arriva Hermione… - Mormorò tra sè e sè. 

Alle sue spalle, improvvisamente, la porta si spalancò con un cigolio ma, quando si voltò in quella direzione si rese conto che non era chiaramente Hermione la persona che stava sulla soglia in quel momento. Si trattava di un uomo sui trent’anni, di bell’aspetto, i capelli dello stesso castano caldo di Hazel, corti e ricci che gli ricadevano sulla fronte e su due paia di occhi, scuri anche quelli, profondi e infossati nel viso di una persona che aveva l’aspetto di uno che non aveva mai dovuto soffrire troppo nella vita. Teneva in mano un grosso cartone per la pizza e, una volta chiusa la porta, guardò tutti e tre con uno sguardo molto intenso e poi sorrise.  

- Non ci credo, è arrivata! - Esclamò, avvicinandosi e abbandonando la pizza sul tavolo. 

Harry sentì qualcosa vacillare dentro di sé. Non sapeva per quale incoerente e insensato motivo, ma non si aspettava che Hazel si fosse rifatta una vita e la cosa, in qualche modo, un po’ lo infastidì. 

- Harry, lui è Chris, il mio fratellastro. - Lo presentò Hazel, alzandosi in piedi. - Dopo la morte di Remus ho sentito per la prima volta la necessità di cercare mio padre. Avevo paura che mi succedesse qualcosa e speravo di avere ancora una famiglia, da qualche parte, che si potesse prendere cura di Janus in tal caso. - Si affrettò a raccontare con un sorriso, di fronte allo sguardo perplesso di Harry. - Purtroppo mio padre è venuto a mancare proprio qualche anno dopo averlo ritrovato, ma io e Chris abbiamo legato tanto e ci vediamo sempre durante le vacanze o a Natale. -  

Le sopracciglia di Harry si inarcarono dalla sorpresa. - Oh, bene. Molto piacere! - Disse. 

- In questi anni ho sentito così tanto parlare di te, Harry Potter. Ed ora eccoti qua, non ci speravo quasi più! - Gli disse l’uomo, stringendogli forte la mano. - Jan, sei contento? Andrai a Hogwarts! - 

Il bambino sorrise e annuì, il viso acceso da una gioia che raramente compariva sul suo volto un po’ altezzoso. 

Poi il campanello suonò: - Questa deve essere Hermione! - Esclamò Hazel, raggiungendo di corsa la porta. 

La spalancò con impeto ed emozione, ritrovandosi finalmente davanti a una ventiseienne Hermione Granger, vestita da strega e con i crespi capelli cespugliosi legati in una coda disordinata. Avrebbe voluto abbracciarla, ma sapeva perfettamente che sarebbe stato un gesto piuttosto strano agli occhi della giovane strega. 

Poi lo sguardo di Hermione sbirciò alle spalle di Hazel. - Harry. - Disse, attirando l'attenzione dell’amico. - Il tuo messaggio mi ha fatto preoccupare. Cosa succede? - 

Harry prese Janus dalle spalle, spingendolo davanti alla sua migliore amica, facendolo arrossire vistosamente. - Non ti ricorda qualcuno? - Domandò eccitato. 

Hermione guardò il ragazzino con molto interesse, scrutandolo. Sembrava timido, un po’ impacciato, ma allo stesso tempo trasudava una certa eleganza e grazia come…  

- Sirius! - Esclamò Hermione, alzando lo sguardo su Harry. - Cosa… io non capisco. - 

- Lo so, Hermione, è una storia lunga, ma lui è suo figlio, il figlio di Sirius! - Si affrettò a dire Harry. - La nostra memoria è stata modificata, ho bisogno del controincantesimo, proprio come quello che hai fatto sui tuoi quando li hai ritrovati in Australia. -  

Hermione boccheggiò. Solitamente avrebbe riempito Harry di domande prima di mettere mano alla bacchetta, ma si sentiva scossa, strana e dunque, semplicemente, obbedì. Puntò la sua bacchetta magica su Harry, sotto gli occhi degli altri tre che per lei erano ancora degli sconosciuti e mormorò il controincantesimo. 

Harry spalancò gli occhi come se qualcuno lo avesse appena colpito in piena faccia. La testa prese a pulsare forte, si portò le mani alle tempie e poi, mentre batteva forte le palpebre, qualcosa iniziò a riaffiorare. Fu come ritrovarsi sotto una immensa cascata di acqua gelata. Si sentiva confuso, sopraffatto, felice. 

Quando si voltò verso Hazel la sua vista era appannata per colpa delle lacrime. Fece un passo verso di lei e la abbracciò e piansero e risero insieme sotto lo sguardo di una confusa Hermione, e di Janus e Chris, finché non si allontanò quel poco che bastava per poterla guardare in faccia. - Hazel… mi dispiace così tanto. - Disse con voce rotta. 

- Di cosa? - Gli domandò lei, fissandolo senza capire. 

- Per tutto, per Sirius… se avessi imparato l’occlumanzia forse adesso lui sarebbe qui. - 

Hazel scosse la testa. - Harry, eri solo un bambino. - Disse dolcemente.  

Lì, nel cottage più sperduto dell’intera Scozia, sembrava quasi che tutti i pianeti dell’universo si fossero appena riallineati, eppure Hazel sentiva che c’era ancora qualcosa. Ripensò alle parole di Harry, al fatto che potenzialmente poteva essere anche lei sotto una qualche sorta di incantesimo, qualcosa che le aveva messo un blocco ogni volta che pensava intensamente alla posizione di Grimmauld Place o all’indirizzo degli zii di Harry. Si ritrovò a sospirare, per poi fare un passo indietro, in modo da poter guardare sia Harry che Hermione. - Credo che tu avessi ragione prima, Harry. - Disse. - Credo di essere sotto l’effetto di un incantesimo anche io, ma spero davvero di sbagliarmi. - 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Capitolo 20. Alla scoperta di un nuovo mondo ***


La prima parola che balenò nella mente di Janus nel momento stesso in cui mise per la prima volta piede a Diagon Alley fu travolgente. Sì, quella piccola città nella città era decisamente travolgente, oltre che caotica. 

La strada principale era talmente piena di persone che quasi si faceva fatica ad avanzare: le eccentriche vesti dei maghi e delle streghe erano un tripudio di colori sgargianti, che si mischiavano con i normalissimi vestiti di chi invece vestiva alla babbana, esattamente come lui; i negozi brulicavano di persone intente a fare acquisti per il nuovo anno scolastico alle porte e Janus, lista alla mano, si ritrovò immobile a fissare quello spettacolo, a bocca aperta. 

Quel giorno c'era bel tempo e il sole brillava altissimo in un cielo estivo e sgombro, illuminando una pila di calderoni fuori del negozio più vicino all’entrata la cui insegna appesa sopra diceva: Calderoni. Tutte le dimensioni. Rame, ottone, peltro, argento. Autorimestanti. Pieghevoli.

Più avanti alcuni negozi vendevano abiti, altri telescopi e bizzarri strumenti d'argento che Janus non aveva mai visto prima; c'erano vetrine stipate di barili impilati, contenenti milze di pipistrello e pupille d'anguilla, mucchi pericolanti di libri di incantesimi, penne d'oca e rotoli di pergamena, bottiglie di pozioni, globi lunari.

Janus notò subito il posto più amato dagli sportivi, la cui scritta recitava “Accessori di Prima Qualità per il Quidditch”, poi l’Emporio del gufo, il Ghirigoro, il negozio di vestiti di Madame McClan, quello di bacchette del vecchio Olivander e, infine, proprio in fondo alla strada, la banca dei maghi, un grosso edificio bianco, che si ergeva dritto davanti a loro. 

- Come prima cosa dobbiamo cambiare la valuta. - Esordì Harry, facendosi spazio tra la folla. - E poi possiamo iniziare subito con la bacchetta, che ne dici? - 

Janus si limitò ad annuire, guardandosi intorno ancora incantato. Quello era il posto più magico in cui fosse mai stato e voleva godersi ogni singolo istante. 

Hazel, dietro di lui, lo osservava camminare per quelle vie con uno stato d’animo contrastante: era felice, finalmente erano tornati nel mondo dei maghi, ma mancava qualcosa. Mancava qualcuno

Avanzando verso la Gringott, Hazel cercò di immaginare Sirius e tutto l’entusiasmo che avrebbe manifestato in quell’occasione.

Erano passati più di nove anni dall’ultima volta che aveva sentito la sua voce, nove anni dall’ultima volta che l’aveva sfiorato o guardato negli occhi, eppure in quel momento il dolore sembrava più pungente che mai. Da quando lei e Janus erano tornati nel mondo dei maghi, Hazel aveva l’impressione di essere nuovamente nella fase acuta del suo lutto. Ogni persona che incontra non si risparmiava mai nel ricordarle quanto suo figlio somigliasse al padre, quanto Sirius fosse stato sfortunato e coraggioso, quanto la loro storia fosse tragica. 

All’inizio era stata anche contenta di poter parlare finalmente con qualcuno che lo aveva conosciuto quando era vivo, ma più passavano i giorni e più questi continui riferimenti a Sirius la facevano sentire quasi infastidita. E poi, come se già questo non bastasse, aveva scoperto che Sirius l’aveva incantata per fare in modo che non potesse tornare a Grimmauld Place né in nessun altro luogo in cui avrebbe potuto incontrare qualche membro dell’Ordine della Fenice.

Si sentiva arrabbiata, tradita, triste, proprio come si era sentita il giorno in cui lo aveva visto per l’ultima volta. Si domandava chi fosse realmente l’uomo di cui era stata innamorata per tanti anni, se fosse davvero la grande persona di cui tutti parlavano, quali altri segreti si fosse portato al di là di quel velo e chissà quante altre volte aveva alzato la bacchetta su di lei senza che lei se ne rendesse conto. 

Dopo aver convertito le sterline in galeoni alla banca dei maghi, i tre tornarono ad aggirarsi per le strade di Diagon Alley per iniziare gli acquisti. La prima tappa fu il negozio di bacchette più famoso di tutto il paese. Si trattava di un negozio dall’aria angusta e sporca, la cui insegna a lettere d’oro diceva: Olivander: Fabbrica di bacchette di qualità superiore dal 382 a.C.. 

- Voi entrate. - Li incitò Harry, quando arrivarono davanti alla vetrina. - Io ho una piccola commissione da sbrigare. -  

Janus si voltò verso di lui cercando di nascondere una certa delusione, ma annuì e varcò la soglia insieme a sua madre, e un lieve scampanellio proveniente dagli anfratti del negozio non meglio identificati, accolse il loro ingresso. Era un luogo molto piccolo, un po’ spoglio e vuoto, tranne che per il bancone di legno che si trovava proprio di fronte all’entrata. 

Janus si sentiva strano, come se fosse entrato in una galleria d’arte privata. Rimase in silenzio, lanciò uno sguardo a sua madre, che sembrava ancor più sorpresa e incantata di lui, e poi si mise a guardare le migliaia di scatoline strette strette, tutte impilate in bell'ordine fino al soffitto. 

- Buongiorno. - Disse una voce sommessa, e poi qualcuno apparve sulla soglia di una porticina di legno al di là del bancone. 

Si trattava dell’uomo più anziano che Janus avesse mai visto. Aveva grandi occhi che sembravano illuminare il negozio come due astri lunari e pochi capelli grigi in testa.  

- Salve. - Mormorò Janus imbarazzato. 

Il signor Olivander gli scoccò un’occhiata penetrante e poi parlò: - Ah sì. - Disse, prima di mettersi a cercare qualcosa tra le scatoline accatastate lungo le pareti. - Sì, ricordo quando tuo padre è venuto qui a comprare la sua prima bacchetta magica. Dodici pollici, legno di ebano e crini di unicorno. Sufficientemente elastica. Una bella bacchetta, peccato che sia stata spezzata ad Azkaban. L’ho sempre trovata una cosa da barbari. - Raccontò, tirando fuori alcune delle scatole con molta attenzione. - Era una bacchetta particolare per un Black. - Concluse, avvicinandosi. 

Janus si chiese per quale motivo, ma non si azzardò a fare domande, limitandosi ad osservare l’anziano che tirava fuori una bacchetta magica dalla scatola, porgendogliela. 

- Allora, signor Black, provi questa. Alloro, piuma di fenice, nove pollici e bella flessibile. Su, avanti, la agiti in aria! - 

Janus prese la bacchetta e, sentendosi un po' sciocco, si voltò brevemente verso sua madre, seduta alle sue spalle, come per chiederle il permesso. Lei sorrise, quasi impaziente, e allora Janus tornò con gli occhi su Olivander e agitò debolmente la bacchetta. 

- No, no. - Borbottò il vecchio e gliela strappò quasi subito di mano. - Ecco, provi questa qui. Salice, dieci pollici, rigida. - 

Janus la provò, ma ancora una volta, non aveva fatto in tempo ad alzarla che il signor Olivander gli strappò di mano anche quella. Per un terribile attimo passò nella sua mente l’idea che forse non ci fosse nessuna bacchetta per lui.

- No... ecco, noce, corda di cuore di drago, dodici pollici e mezzo. -

Janus la prese in mano e subito avvertì un calore improvviso alle dita. La alzò sopra la testa, la mosse sferzando l'aria polverosa e una scia di scintille rosse e d'oro si sprigionò dall'estremità come un fuoco d'artificio. Sua madre, dietro di lui, gridò d'entusiasmo e batté le mani e Olivander esclamò: - Bravo! Molto bene, molto bene! - Poi ripose la bacchetta in una scatola e la avvolse in carta da pacchi. - Un bell’esemplare. L’anima di corda di cuore di drago indica che è potente, ma anche molto facile da piegare alle Arti Oscure se è ciò che vuole davvero il proprietario. Inoltre la bacchetta di noce, una volta assoggettata, assolverà qualsiasi compito le venga affidato, a patto che chi la usa sia sufficientemente brillante. Può risultare un'arma davvero letale se posta nelle mani di qualcuno senza scrupoli, perché il mago e la bacchetta possono alimentarsi a vicenda in modo malsano. - 

Hazel rabbrividì, e vide suo figlio guardare Olivander con un certo timore. Pagarono sette galeoni per la bacchetta ed uscirono come se entrambi avessero improvvisamente bisogno d’aria. 

Era ormai tarda mattinata e Hazel si guardò intorno, chiedendosi dove si fosse cacciato Harry. Lo cercò tra la folla e poi lo vide uscire dall’emporio del gufo e avvicinarsi con una gabbia tra le mani. Quando fu abbastanza vicino, Janus si ritrovò a guardare con interesse l’animale che c’era chiuso dentro. Si trattava di un piccolo barbagianni dall’aspetto timido, bianco e bruno e con due piccoli occhietti neri che ricambiarono il suo sguardo con lo stesso interesse. 

- Buon compleanno! - Esclamò Harry, porgendogli la gabbia. 

Janus sgranò gli occhi. - È per me? - Domandò incredulo.

- Certo. - Rispose Harry. - O forse preferivi un gatto? - 

Il ragazzino si affrettò a scuotere la testa. - No no, è bellissimo! Grazie, Harry! - Esclamò allegramente, prima di voltarsi verso Hazel. - Mamma, posso tenerlo davvero? - 

Hazel annuì e sorrise. - Però non pensare che sia io ad occuparmene quando tornerai per le vacanze. - Lo avvertì, e poi si rivolse al ragazzo. - Harry, non dovevi. - 

- Dovevo invece, dato che mi sono perso tutti gli altri suoi compleanno e un’infinità di Natali. - Obiettò il giovane, prendendo a camminare lungo la strada principale. 

Da quando avevano messo piede a Diagon Alley erano state tante le occhiate che i passanti avevano lanciato nella loro direzione. Harry sembrava più che abituato a certe attenzioni indesiderate, mentre Janus non aveva smesso nemmeno un secondo di sentirsi un po’ in imbarazzo. Sua madre, invece, sembrava tranquilla, a suo agio, come se in tutta la strada ci fossero solo loro tre e nessun altro.  

Passarono le successive ore dandosi allo shopping più sfrenato: comprarono un bel calderone in peltro, una graziosa bilancia per pesare gli ingredienti delle pozioni, un telescopio pieghevole in ottone e la divisa scolastica. Poi andarono in una sorte di farmacia, luogo talmente interessante da ripagare del pessimo odore che vi regnava, un misto di uova fradice e cavoli marci. Per terra c'erano barili di roba viscida; vasi di erbe officinali, radici secche e polveri dai colori brillanti erano allineati lungo le pareti; fasci di piume, di zanne e artigli aggrovigliati pendevano dal soffitto. Mentre Harry chiedeva all'uomo dietro il bancone una provvista di alcuni ingredienti fondamentali per preparare pozioni, Hazel e Janus esaminavano alcuni corni di unicorno in argento, che costavano ventuno galeoni ciascuno, e minuscoli occhi di coleottero di un nero lucente.

Una volta fuori, Hazel spuntò parecchie voci sulla lista di Janus. - Dobbiamo occuparci dei libri di testo e poi abbiamo finito. - Dichiarò poi, senza staccare gli occhi dal foglio.  

Nell’esatto momento in cui Janus varcò la soglia del Ghirigoro decise che quello era in assoluto il suo negozio preferito di tutta Diagon Alley. Gli scaffali erano stipati fino al soffitto di grossi libri rilegati in pelle, libri delle dimensioni di un francobollo foderati in seta, libri pieni di simboli strani e alcuni con le pagine bianche. Dentro, forse perché era quasi ora di pranzo, c’erano pochi clienti silenziosi e Janus ne fu felice: non amava molto la folla e a Diagon Alley ce n’era veramente troppa. 

Mentre sua madre e Harry si dirigevano verso il bancone con la lista dei testi scolastici, lui si concesse un giro tra gli scaffali imbattendosi prima in alcuni libri con strani simboli che presero il volo nello stesso istante in cui lui ci posò gli occhi sopra, poi vide alcuni tomi avvolti in copertine elaborate e dai titoli molto altisonanti che però non potevano essere aperti senza una parola d’ordine. 

Finì poi per curiosare nel reparto “sport e tempo libero”, sfogliando con interesse un libro intitolato “il Quidditch attraverso i secoli”. 

- Giochi a Quidditch? - Parlò la voce di una ragazzina alla sua sinistra. 

Janus sobbalzò, voltandosi in quella direzione, guardandola. Doveva avere più o meno la sua età, forse anche lei avrebbe iniziato il suo primo anno a Hogwarts il primo settembre, proprio come lui. I capelli erano di un castano dai riflessi dorati, raccolti sopra la testa in modo ordinato, e con la frangetta ben pettinata che ricadeva su due occhi ambrati che sembravano pozze piene di miele. Indossava un vestito da strega dall’aria molto scomoda e un mantello leggero, inoltre aveva l’atteggiamento di una che sicuramente doveva vivere in un grosso castello. 

Janus si sentì arrossire senza nessun motivo preciso, e poi tornò a guardare il libro che aveva tra le mani. - No. - Rispose. - E tu? - 

- Sì, infatti entrerò nella squadra della mia Casa. - Disse, e poi afferrò un libro intitolato “biografie dei grandi cercatori”. - Di solito quelli del primo anno non possono nemmeno portare un manico di scopa personale, però se la squadra ti prende allora cambia tutto, anche se è molto difficile che questo accada. - 

Janus non rispose, tornando a sfogliare distrattamente “il Quidditch attraverso i secoli”. 

- Non sei uno che parla molto, vero? - Continuò dunque lei. - Vuoi una cioccorana? -

Lui si voltò di nuovo verso di lei, notando che teneva tra le mani due cioccorane ancora incartate. Esitò per un momento e poi ne prese una. - Grazie. - Mormorò. 

La ragazzina scartò la sua e lui fece lo stesso, trovando dentro una figurina di Merton Graves, la violoncellista del gruppo Le Sorelle Stravagarie.  

- Per tutti i gargoyle, di nuovo Harry Potter! - Si lamentò lei. - Ne ho già sei di lui. Tu chi hai trovato? Fammi vedere! - 

Janus le mostrò la sua, adocchiando quella nelle mani di lei. - Se vuoi possiamo fare a cambio. - Propose. 

La giovane annuì e gli passò la figurina di Harry, prendendosi in cambio quella di Merton Graves. - Anche io suono il violoncello, lei è praticamente il mio idolo. - Spiegò. 

- Io suono il violino. - Disse Janus. - Però non mi piacciono molto Le Sorelle Stravagarie, preferisco di gran lunga altro quando si tratta di pop o di rock. - 

Lei apparve molto interessata. - Ad esempio? - Domandò. 

Janus alzò le spalle. - Bowie, Queen, AC/DC, ABBA… Black Sabbath. - Rispose con nonchalance. - Oppure i Linkin Park, se preferisci qualcosa di più recente. - 

- Mai sentiti. - Ribatté lei. 

Janus sembrò sorpreso. - Davvero non conosci i Linkin Park? - Domandò. - E allora i Coldplay? - 

Lei scosse la testa, guardandolo come se si trovasse di fronte ad un animale strano. - Non è che sei uno di quelli con i genitori babbani, tu? - Gli chiese scrutandolo. 

- Mamma è babbana, papà era un mago. - Spiegò lui. 

- E come ti chiami? - 

- Janus. - 

- Di cognome? - Sondò la ragazzina. 

- Rai…ns… B-black. - Si corresse. Era così strano usare il cognome di suo padre. - E tu? - 

Lei lo fissò ancora, ma talmente intensamente da farlo sentire a disagio. - Faye Selwyn. - Si presentò solennemente. - Pensavo che i Black si fossero estinti. - Commentò. 

Quella frase fece sentire Janus come un animale di una qualche specie protetta. - Sì, lo pensavano un po’ tutti. - Rispose, cercando di fingersi indifferente. 

- E poi loro non si accoppiano mica con i babbani. - Sottolineò Faye. 

Janus le rivolse uno sguardo torvo, quasi raggelante. - Mia madre e mio padre non si sono “accoppiati”, non sono mica delle bestie. - 

Lei alzò le mani in segno di resa. - Non ti scaldare, era solo un’osservazione. - Disse e poi fece un piccolo sorrisetto che Janus non riuscì a decifrare. - Mia madre doveva sposarsi con uno che si chiamava Black, lo sai? - 

Il giovane non rispose, ma si mosse verso il reparto “narrativa babbana” della libreria, nella speranza che lei non lo seguisse. 

- A lei piaceva molto, era tra i più carini di tutta Hogwarts, solo che lui era un po’ uno stronzo, dice. Troppo ribelle per sposarsi. - Continuò però a parlare Faye, saltellando al suo fianco.

Di nuovo, Janus non rispose, ma si mise a sfogliare una copia di “l’isola del tesoro”. 

- Comunque è stata una vera fortuna che non l’abbia voluta dato che è stato diseredato. E poi è finito anche ad Azkaban. - Annuì Faye, facendo così tornare inconsapevolmente tutta l’attenzione del ragazzo su di sé. - Non è che era un tuo parente Sirius Black? - Gli domandò lei alla fine. 

- No, mai sentito, mi dispiace. - Rispose lui, rapidamente e senza guardarla. 

- Strano, è piuttosto famoso. - Ribatté la giovane con sorpresa. 

Janus sbuffò e alzò gli occhi al cielo, per poi voltarsi finalmente verso di lei. - Ma tu non hai niente di meglio da fare? - Le chiese bruscamente. - Perché non mi lasci in pace? - 

Gli occhi di Faye divennero stretti. - Anche tu sei stronzo. - Lo accusò. 

- Non si dicono parole del genere. - Obiettò lui. 

Lei da prima sembrò sorpresa e poi scoppiò a ridere. - Certo che sei strano! - Disse. 

Janus aprì la bocca, indeciso sulla risposta da dare, quando alle loro spalle avvertì la presenza di qualcuno: 

- Jan, qui abbiamo finito. - Disse Hazel, facendo scorrere lo sguardo sorpreso tra i due giovani. 

Era raro, molto raro, che suo figlio si mettesse a parlare con qualcuno della sua stessa età volontariamente, soprattutto se si trattava di una ragazza. Lei era decisamente molto carina, osservò la donna quando la giovane si voltò.

Quando poi Faye puntò lo sguardo su Harry, che se ne stava al fianco di Hazel tenendo tra le mani la gabbia del barbagianni e alcune buste, spalancò la bocca in una perfetta “o” e con un’espressione sorpresa dipinta in volto. - Lei è Harry Potter! - Esclamò. 

Harry fece un sorriso gentile. - Proprio così. - Rispose. 

- L’ho appena trovata in una figurina delle cioccorane. - Raccontò Faye in tono leggero e spontaneo. - Però l’ho scambiata con lui per una di Merton Graves. - 

- Merton Graves è decisamente molto più rara come figurina, hai fatto bene. - Approvò Harry. 

- Che ne dite, andiamo? - Si mise in mezzo Janus, con una certa urgenza. 

Poi lanciò una rapida occhiata verso Faye e trascinò letteralmente sua madre e Harry fuori dal ghirigoro. 

Le strade si erano quasi svuotate, mentre i ristoranti si erano riempiti di maghi e streghe per il pranzo. Janus, passando davanti a quei tavolini all’aperto, si rese conto di avere una certa fame. 

- C’è una persona che vuole assolutamente rivedervi. - Li informò Harry, mentre tutti e tre si avviavano verso il Paiolo Magico.

- Di chi si tratta? - Domandò Hazel curiosa. 

Attraversarono il pub, a quell’ora pieno di clienti seduti ai tavoli e lungo il bancone, e poi si ritrovarono nuovamente nella Londra babbana. 

- Lo vedrete. - Sorrise Harry, camminando verso una fiammeggiante macchina grigia dall’aria costosa parcheggiata lì vicino. 


La casa davanti a cui la macchina di Harry atterrò bruscamente, dopo circa un’ora di volo, si trovava in un piccolo borgo nel Devon chiamato Ottery St Catchpole. Si trattava di un grazioso villaggio dall’aria magica fatto di casette dai tetti a tegole e scoscesi, tutte raggruppate nel centro della cittadina e tante piccole e strane abitazioni sperdute nelle campagne che lo circondavano. Era un panorama molto diverso a quello a cui Janus era stato abituato in America, fatto di grattacieli e asfalto, ma sembrava il posto più adatto in cui sistemarsi e mettere su famiglia. 

Harry parcheggiò malamente l’auto e poi uscì dall’abitacolo seguito a ruota da Janus e Hazel, che gli andarono dietro verso una casetta quadrata fatta di mattoni, circondata da un bel giardino estremamente curato. L’erbetta sui due lati del vialetto sterrato che portava alla porta d’ingresso sembrava essere stata tagliata filo per filo, sotto il portico c’era un dondolo di legno, un tavolo dello stesso materiale circondato da sedie e davanti alla soglia un grazioso zerbino con su scritto “benvenuto” decorato da strani ghirigori. 

Harry suonò il campanello e, tutti e tre, attesero in silenzio che l’uscio si spalancasse davanti a loro. Hazel sentì una leggera tensione crescere man mano che i secondi passavano, ma era piacevole, quel tipo di sensazione che ti assale poco prima di scartare un regalo atteso da molto. 

La porta si spalancò e davanti a loro apparve una donna che doveva avere più o meno una cinquantina d’anni. Era molto bella, regale in un certo senso. Indossava un vestito verde di lino che indosso a chiunque altro sarebbe sembrato un sacco di juta ma che su di lei stava più che bene; i capelli erano scuri, ricci e sciolti sulle spalle, gli occhi erano grigi e l’espressione che aveva dipinta in volto era un po’ altera. Hazel era sicura di non conoscerla, eppure quel suo viso aveva un che di familiare. 

- Harry, ben arrivato. - Disse la donna sorridendo, prima di posare lo sguardo su Hazel e Janus. - Venite, entrate pure, vi stavamo aspettando. Sono Andromeda Tonks. - 

Hazel sgranò gli occhi e spalancò la bocca dalla sorpresa, mentre Janus si domandò chi fosse quella donna tenendosi un passo indietro rispetto a sua madre e a Harry. 

Hazel strinse la mano ad Andromeda, che poi posò gli occhi sul ragazzino, facendogli un grosso sorriso. - Mi sembra di fare un tuffo nel passato. - Disse guardandolo. - Sei tale e quale a tuo padre quando aveva la tua età. Lui era mio cugino, lo sai? - 

Janus lanciò a sua madre uno sguardo di sfuggita, ma prima che qualcuno potesse dire altro, una voce da donna, chiara e cristallina, arrivò alle loro orecchie: - Mamma? Chi è alla porta? - Disse Ninfadora Tonks, per poi spuntare sulla soglia della cucina. 

Hazel sorrise, portandosi le mani alla bocca, mente gli occhi le si facevano lucidi. Aveva sempre saputo che era sopravvissuta alla battaglia, ma ritrovarsela improvvisamente davanti dopo tutti quegli anni era assurdamente emozionante. 

- Dora… - Disse, andandole incontro e abbracciandola. 

- Hazel, per Tosca, non ci posso credere! - Esclamò allegramente Tonks subito dopo, sciogliendo quell’abbraccio per rivolgersi a Harry. - Harry, potevi avvertirci! - 

Lui, ancora vicino all’entrata, sorrise bonario. - Era una sorpresa, Dora. - Si giustificò. 

- E guarda qui chi altro abbiamo! Janus, sei cresciuto così tanto dall’ultima volta che ti ho visto! - Disse Tonks, avvicinandosi al ragazzino. 

Janus fece un sorrisetto imbarazzato, cercando di fare mente locale su chi fosse quella donna il più velocemente possibile prima di poter rispondere. 

- Jan, lei è la moglie di Remus. - Lo informò prontamente Hazel. 

Il giovane inarcò le sopracciglia: adesso era tutto più chiaro. 

- Mamma, andresti di sopra a chiamare Teddy, per favore? - Domandò Dora a sua madre, mentre insieme si spostavano in cucina. 

Hazel si guardò intorno, sedendosi su una delle sedie che circondavano il grazioso tavolo rotondo al centro della stanza: probabilmente non aveva mai messo piede in un luogo più pulito e ordinato di quello, ma daltronde Dora aveva sempre avuto un certo talento per gli incantesimi di pulizia. La cucina, inoltre, sembrava appena uscita da un set di un qualche film anni ‘50: tutti i mobili erano color pastello, c’era una finestra spalancata proprio sopra il lavandino immacolato e, tutto intorno a loro, c’era odore di buon cibo. 

Poi Hazel tornò a guardare dritta davanti a sé dove, seduta dall’altra parte del tavolo, Ninfadora Tonks, anzi, Ninfadora Lupin, le ricambiò lo sguardo. 

Era molto diversa dalla ragazza spumeggiante che aveva conosciuto a Grimmauld Place parecchi anni prima. I suoi capelli erano di un castano scuro molto sobrio, tranne che per una ciocca grigia, proprio sul davanti, che pareva invecchiarla un po’. Hazel si chiese come mai li portasse in quel modo strano, ma non glielo domandò. 

Chissà se a lei manca Remus come a me manca Sirius, si disse invece tra sé e sé. 

- Hazel, non hai idea di ciò che ho provato quando l’incantesimo di memoria è stato sciolto. - Esordì la strega, guardandola negli occhi. - Io ero certa che Remus mi stesse nascondendo qualcosa, ne ero sicura! Ho pensato addirittura che mi tradisse, ma quando poi mi è tornata la memoria, giorni fa, è stato subito tutto più chiaro. - 

Hazel sorrise, scuotendo la testa. - Dora, non so proprio come ti sia potuta venire in mente una cosa così stupida. Remus era pazzo di te. - Le disse. - Ma cosa fai adesso nella vita? Sei ancora un auror? - 

Dora annuì. - Sì, certamente. - Rispose. 

- Dora è capo auror da quando Kingsley è diventato Ministro. - Spiegò Harry. - Ed è la più giovane nella storia ad aver ricoperto questo ruolo. - 

Tonks fece un sorriso umile ma annuì. - Be’ diciamo anche che di auror incorrotti ne erano rimasti davvero pochi dopo la guerra. - Disse quasi a giustificarsi. 

- Andiamo, Tonks, non fare la modesta! - Esclamò Hazel sorridendo. - Malocchio e Kingsley hanno sempre puntato tanto su di te. - 

La strega si strinse nelle spalle. - E tu, cosa hai fatto in tutto questo tempo? - Le chiese. 

- Io e Jan abbiamo vissuto a New York fino a qualche mese fa. Siamo tornati proprio per attendere la lettera da Hogwarts. - Rispose Hazel. 

- Immagino che entrambi non vedesse l’ora. - Suppose Tonks. 

Hazel annuì. Erano stati anni duri quelli appena trascorsi, anni pieni di attesa e paura che quel momento non arrivasse mai. Più di una volta, nei momenti più bui, Hazel aveva avuto il timore di essere pazza, di essersi immaginata tutto, che nessuno avrebbe bussato alla porta di casa loro il giorno dell’undicesimo compleanno di suo figlio. 

- Ciao, Harry! - Urlò improvvisamente una voce squillante. 

Hazel si voltò verso la porta da cui un bambino era appena entrato, correndo dritto tra le braccia di Harry, insieme ad Andromeda. Non lo aveva mai conosciuto, ma Remus le aveva spedito per posta moltissime foto, per questo non faticò a riconoscere il ragazzino di sette anni che sfoggiava quella stravagante chioma azzurra.  

Quando poi Teddy Lupin sciolse l’abbraccio con il suo padrino si voltò verso di lei e verso Janus che sedeva al suo fianco. - E voi chi siete? - Domandò. 

Hazel sentì la gola annodarsi e gli occhi farsi un po’ più umidi. Guardò Dora, come per spingerla a parlare al posto suo, dunque fu proprio la strega a rispondere: - Lui, - disse facendo un cenno verso Janus, - è tuo cugino Janus e lei è sua madre; ricordi che te ne ho parlato qualche giorno fa? - 

Teddy lo osservò attentamente e i suoi capelli assunsero una tonalità più chiara di azzurro, cosa che lasciò totalmente di stucco Janus. - Come hai fatto? - Chiese sorpreso. 

Il bambino alzò le spalle. - Sono un metamorfomagus come lo era mamma. - 

- Era? - Domandò Hazel, guardando Dora. 

Tonks annuì. - Sì, dopo la guerra ho avuto qualche difficoltà. - Spiegò. 

- Sì, perché mio padre è morto in guerra. - Annuì Teddy, come se niente fosse. 

Per un istante su tutti loro cadde il gelo; su tutti tranne che su Janus, che invece sentì di apprezzare particolarmente la spontaneità del cugino. Da quando aveva messo di nuovo piede nel mondo magico aveva notato che l’argomento guerra era trattato ancora come un grosso tabù da tutti quelli che l’avevano vissuta. C’era una sorta di atteggiamento reverenziale con cui venivano trattati tutti quelli che avevano perso qualcuno durante quei terribili anni e la cosa lo faceva sentire spesso a disagio. 

Sì, quel ragazzino gli piaceva. 

Pranzarono tutti e sei attorno a quel tavolo con un pasto arrangiato alla bene e meglio da Andromeda, che si rivelò una buona cuoca nonostante fosse cresciuta circondata da elfi domestici disposti ad obbedire ad ogni suo ordine, e parlarono di argomenti leggeri e piacevoli. Quando poi Ted trascinò il cugino al piano di sopra per mostrargli la scopa che Harry gli aveva preso quell’anno per il compleanno, il tono della conversazione cambiò bruscamente, finendo per toccare discorsi molto dolorosi. Hazel scoprì quello che era accaduto al padre di Dora, catturato e ucciso dai mangiamorte, e si disse che sarebbe potuto capitare a lei e al suo bambino se solo Sirius non li avesse allontanati. Eppure non riusciva a smettere di essere furiosa con lui, non poteva farne a meno. 

Poi il discorso finì sulla battaglia di Hogwarts. 

- É stato orribile, ogni singolo attimo. - Raccontò Tonks, con lo sguardo perso nel vuoto, come se si trovasse ancora nel bel mezzo di quell’inferno. - Remus è morto proprio davanti a me, ma non ha sofferto. Dolohov lo ha ucciso con l’anatema, quindi è morto ancor prima di toccare terra. Non sono riuscita a farlo fuori, anche se in quel momento l’ho desiderato con tutta me stessa, ma l’ho arrestato circa due settimane dopo la fine della guerra. Adesso sta scontando i suoi crimini ad Azkaban. - 

Davanti a quel dolore inumano, Hazel sentì il suo stomaco contorcersi dolorosamente. C’erano state troppe perdite, troppe famiglie spezzate, troppi orfani. Tonks, esattamente come lei, era una donna spezzata, piena di dolore ma, a contrario di Hazel, non sembrava esserci rabbia nel suo cuore. 

Nel frattempo, al piano di sopra, Janus guardava estasiato tutti gli strani oggetti di cui la stanza di Teddy era piena. La scopa da corsa era appesa al muro quasi come una reliquia, sulla scrivania c’erano alcuni libri di magia per bambini, mentre sulle pareti erano stati attaccati dei poster dei Puddlemere United, la squadra del cuore di Ted e di sua nonna. 

Poi il bambino aprì una grossa scatola piena di dolci di Mielandia che offrì prontamente a Janus e poi un’altra, molto più grande, che teneva sotto il letto che sembrava piena di strani giocattoli, che però altro non erano che prodotti del negozio Tiri Vispi Weasley. 

- George e Ron mi fanno sempre lo sconto ogni volta che vado lì con Harry e delle volte mi regalano anche le cose. Ad esempio queste orecchie oblunghe o questa finta bacchetta, che se la agiti si trasforma in un pollo di gomma. - Raccontò allegramente. - E tu ce l’hai una bachetta vera? L’hai già comprata? - 

Janus annuì.

- E dov’è adesso? - Chiese Teddy, scartando un pacchetto di piperille. 

- Ce l’ha mia madre, insieme a tutte le altre cose. Lei dice che non posso usare la magia fuori dalla scuola, anche altrimenti possono espellermi. - Rispose Janus.

Ted fece un sorrisetto tutt’altro che innocene. - Ma mica ti espellono subito, devi avere tantissimi richiami e comunque non capita quasi mai. - Disse. - Vuoi una gelatina? - 

Janus scosse la testa. - Mamma non vuole che mangio zuccheri complessi. - Spiegò.

Teddy allora assunse uno sguardo perplesso. - Fai sempre tutto quello che ti dice tua madre? - Domandò incuriosito.

- Tendenziamente sì. - Ammise Janus, sentendosi un po’ stupido. - Non voglio che soffra, ecco. Lei dice di no, ma io lo so che spesso è triste e arrabbiata, quindi non voglio esserle di peso. Anche perché le ho sempre dato un sacco di problemi, pur non volendo. Sai… la scuola babbana non è fatta per quelli come noi. - 

- Io non ci vado infatti, mi insegna nonna. - Raccontò Teddy. 

- Beato te, mia madre invece ha sempre tentato di babbanizzarmi un pochino. - Disse Janus con disapprovazione. - Comunque, per fortuna, adesso è finalmente finita. - 

- Non vedo l’ora di andare a Hogwarts anche io. - Sospirò Ted. - In che Casa vuoi essere smistato? - 

- Grifondoro. - Asserì Janus. - Invece a te dove piacerebbe finire? - 

Ted scrollò le spalle. - In realtà non ho preferenze: mio nonno e mia mamma sono stati in Tassorosso, mio padre in Grifondoro come il tuo e mia nonna in Serpeverde come tutti i Black. Insomma, una vale l’altra, alla fine qualcuno sarebbe comunque felice, anche se devo dire che, se proprio potessi scegliere, allora sceglierei Grifondoro. - 

- Pensavo che Andromeda fosse stata smistata in Grifondoro come papà. - Afferò Janus, con un tono pensieroso. - Insomma, anche lei è stata diseredata, no? - 

- Sì, ma solo perché scappò via con mio nonno che era Nato Babbano. - Gli riferì Teddy annuendo. - Lei amava la sua famiglia, e anche se non approvava le loro idee non voleva ferirli. Invece Sirius era la vera eccezione, dice. Comunque se il Cappello ti manda in Serpeverde non te la prendere troppo. Non sono tutti così male come una volta, quelli. - 

Janus sospirò. Non aveva mai avuto paure né dubbi riguardanti lo smistamento. Almeno fino a quel momento. 



 

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Capitolo 21. Primo settembre ***


Ciao a tutt* e bentrovat*, 

questo capitolo stranamente mi piace, ma ultimamente sono un po’ giù di morale poiché sto avendo un piccolo blocco creativo. Fortunatamente sono avanti di un bel po’ di capitoli, quindi per ora sto correggendo quelli, ma il fatto di non riuscire a trovare le parole per mandare avanti la storia mi deprime. 

Fatemi sapere cosa ne pensate, ho realmente bisogno di un po’ di motivazione, sapere se la storia per voi ha un senso oppure no. 

Detto questo… buonanotte? (sì, sto pubblicando all’una di notte, dato che il caldo non mi fa chiudere occhio). 

Jamie.




 

Il primo settembre, Hazel spalancò le palpebre all’alba, ritrovandosi ancora totalmente immersa nella penombra che avvolgeva tutta la sua camera da letto. Non poteva crederci, dopo tutti quegli anni di attesa quel momento tanto atteso era finalmente arrivato ma lei non riusciva affatto a sentirsi felice. 

Erano stati giorni parecchio intensi quelli appena trascorsi, passati quasi tutti a sistemare le ultime cose per la partenza di Janus e a fare i conti con quel passato che sembrava voler tornare a torturarla. 

Con un sospiro scontento Hazel si allungò verso la lampada appoggiata sul comodino alla sua destra, accese la luce e si guardò intorno. Viveva in quella casa da pochi mesi e questo lo si poteva notare lontano un miglio: le quattro pareti che formavano la sua camera da letto erano bianche e spoglie, non c’erano fotografie e nemmeno oggetti d’arredamento ad abbellire le superfici dei mobili che puzzavano ancora di nuovo. Tutto, intorno a lei, sembrava quasi dare l’impressione di ritrovarsi in una anonima e fredda stanza d’albergo. 

Con un altro sospiro, Hazel si alzò dal letto e si stiracchiò, voltandosi poi verso la finestra spalancata da cui si poteva vedere un cielo che si stava man mano schiarendo sopra di lei. Si affacciò, poggiando entrambi i gomiti sul davanzale, dando uno sguardo alla strada deserta sottostante e poi alle stelle che brillavano ancora ferendo il manto oscuro. Nonostante Sirius glielo avesse spiegato milioni di volte, non aveva mai imparato a trovare quella stella di cui lui portava il nome ma, quella mattina, le sarebbe piaciuto poterla osservare di nuovo. Dopo tutti quegli anni, per quanto fosse dura da accettare, lui le mancava ancora, soprattutto nei momenti importanti come quello. 

Hazel si voltò verso il letto, immaginando come sarebbe stato poterlo guardare mentre se ne stava lì disteso, magari ancora mezzo addormentato, sdraiato sul lato sinistro ma con il viso nascosto nel cuscino come faceva sempre quando le prime luci dell’alba lo infastidivano svegliandolo. Era stato così difficile abituarsi a dormire senza averlo al suo fianco quando lui l’aveva lasciata, e ancora adesso le capitava spesso di trovare quel vuoto nel suo letto assolutamente dilaniante. 

Non sarebbe dovuta andare così, lei ne era certa; sapeva che erano destinati a stare insieme. Eppure lui non c’era più, se ne era andato via, non esisteva, non era rimasto neppure più il suo corpo. 

In quei giorni, a quel dolore già difficile da sopportare, si era poi aggiunto quello che aveva provato nel momento in cui aveva finalmente conosciuto il piccolo Teddy Lupin, qualche giorno prima. Anche lui, come Janus, somigliava al padre tanto da farla star male, ma con quell’atteggiamento frizzante che era tipico di Dora. 

Si sentiva così vuota.  

Hazel sbuffò, si portò una mano al volto e poi raccolse le forze per uscire da quella stanza, dirigendosi verso il bagno. La casa era immersa nel più surreale silenzio e, proprio come la sua camera da letto, appariva fredda e poco accogliente, così diversa dall’appartamento in cui lei e Janus avevano vissuto a New York, che invece appariva proprio come un posto nel quale abitavano persone felici. 

Varcò la soglia del bagno e accese la luce. Appoggiò entrambe le mani al bordo del lavandino e alzò lo sguardo, scontrandosi con il suo riflesso. Complice l’ansia per l'imminente partenza di suo figlio, non aveva dormito molto bene e questo lo si poteva notare dal viso un po’ gonfio di sonno arretrato e dalle occhiaie sotto gli occhi scuri. 

Non aveva più l’aspetto da ragazzina di un tempo ma, in compenso, era certa di essere migliorata con l’età adulta. I suoi capelli castani, una volta crespi e senza forma, adesso apparivano ordinati e curati, e ricadevano sulle sue spalle con piccole onde dall’aspetto setoso. Aveva acquisito sicurezza, un certo modo di fare che, secondo suo fratello Chris, la rendeva affascinante. Hazel si lasciò scappare un sorrisetto amaro: da quando l'aveva conosciuto, Chris le aveva fatto incontrare ogni suo amico, organizzando una quantità svariata di appuntamenti mai andati a buon fine. Dopo la morte di Sirius, era come se il suo cuore si fosse raggrinzito e, quelle poche volte in cui si era sentita attratta da qualcuno, il tutto era finito nel giro di una notte. Non si dava il tempo né la possibilità di innamorarsi nuovamente e si convinceva di non averne bisogno.

Hazel si concesse un lungo bagno rigenerante, alla fine del quale si sentì in qualche modo più riposata. Si asciugò e si vestì con più cura del solito, indossando un vestito estivo a fiori, e poi raggiunse la cucina, notando con sorpresa che anche Janus era già sveglio. Come lei, anche suo figlio era già pronto, e in quel momento stava facendo colazione con una tazza di latte e cereali. Sul tavolo, accanto alla tazza, giaceva abbandonata una delle brevi lettere che Sirius aveva scritto per accompagnare Janus lungo tutta la sua esistenza. Sul retro della busta, con la solita calligrafia elegante, c’era scritto “per il tuo primo giorno a Hogwarts”. 

Hazel si sedette dall’altra parte del tavolo, sorridendo al bambino, per poi far scorrere di nuovo lo sguardo sulla lettera. - Che cosa dice? - Domandò curiosa. 

Janus alzò le spalle. - Di divertirmi e cose del genere. - Rispose senza inflessioni.

- Posso leggere? - 

- No. - Tagliò corto Janus. - Lo sai che sono cose private tra me e lui. Papà non vorrebbe che tu leggessi. -  

Hazel gli fece il verso, prendendolo un in giro. - Come ti senti? - Chiese poi, tornando estremamente seria. - Sei un po’ nervoso? - 

Janus scosse la testa, ingoiò l’ultima cucchiaiata di cereali e poi si alzò per mettere la tazza nel lavandino alle sue spalle. - E tu sei nervosa? - Domandò a sua volta, sedendosi di nuovo di fronte alla madre.  

- Certo che lo sono, Jan. Sei il mio bambino e stai per andartene via per mesi! - Esclamò. 

- Ma torno a Natale. - Ribatté, un po’ scocciato. - E poi non sono più un bambino. - 

Hazel sospirò tristemente. - Per me lo sarai per sempre. - Gli disse. - E poi hai soltanto undici anni, certo che sei ancora un bambino, cosa credi? - 

Janus alzò gli occhi al cielo e sbuffò, senza però preoccuparsi di rispondere. Sua madre era sempre stata piuttosto protettiva nei suoi confronti e ormai si era ben abituato a sopportare tutte le sue ansie e le sue angosce, anzi un po’ riusciva anche quasi a comprenderla. Dopotutto, dalla fine della guerra, erano sempre stati soltanto loro due, avevano superato tutto insieme e si erano sempre fatti forza uno con l’altra. 

Hazel lo osservò in silenzio per qualche secondo, prendendosi qualche istante per poter imprimere nella sua mente quell’ultima mattinata di quotidianità insieme a lui. Di lì a poco sarebbe iniziato il suo viaggio verso l’età adulta, ma già sembrava in qualche modo più grande, più consapevole di sé stesso rispetto a qualche settimana prima, come se finalmente fosse diventato chi era sempre stato destinato ad essere: un mago, un futuro studente di Hogwarts, un Black.  

- Non sai quanto vorrei che tuo padre fosse qui con noi in questo momento. - Gli disse, continuando a guardarlo. - Ma io so che è fiero di te, ovunque sia in questo momento. - 

Janus abbozzò un mezzo sorriso. Durante quegli ultimi giorni aveva sentito tanto parlare di suo padre. Tutti sapevano la sua storia, in molti lo avevano conosciuto quando era ancora vivo, mentre lui se lo ricordava a stento e questo lo faceva sentire triste, ma anche molto arrabbiato. 

Osservò sua madre in silenzio, e dovette ammettere a sé stesso che, nonostante non facesse altro che ripetere di non essere più un bambino, gli sarebbe mancata ma soprattutto si sentiva triste al pensiero di doverla lasciare da sola per così tanti mesi. 

- Mamma, devi trovarti un fidanzato. - Asserì serio. 

Hazel aggrottò la fronte e, dopo un attimo di esitazione scoppiò a ridere divertita.  

- Guarda che dico davvero. - Ribatté Janus. - Mi dispiace che stai sola. -  

- In realtà avevo intenzione di prendere un cane. - Spiegò Hazel. - Sono troppo occupata per potermi permettere una relazione, lo sai. E poi non rimarrò sola, c’è lo zio Chris. E poi andrò  a trovare Harry di tanto in tanto. - 

Janus la guardò di sottecchi. - Zio Chris sta in Scozia. - Le ricordò. - Andare a trovarlo una volta ogni tanto come fai sempre non basta, e nemmeno vedere di tanto intanto Harry o avere un cane.  Non basta per non essere soli. - 

Hazel posò la mano su quella di suo figlio, stringendola piano. - Non devi preoccuparti per me, Jan. Piuttosto tu… - 

- Cosa? - 

Hazel sogghignò. - Se a Hogwarts ti invaghisci di qualche ragazzina o qualche ragazzino voglio essere la prima a saperlo! - Esclamò divertita. - Ad esempio… la bambina con cui parlavi in libreria sembrava molto carina, non trovi anche tu? - 

Janus fece un'espressione disgustata e scosse freneticamente la testa, ma le sue guance si arrossarono leggermente, tradendolo. - Sai chi era molto carino? Quel tuo amico scenografo, quello di Brooklyn con il nome strano… - 

Fu la volta di Hazel di assumere un’espressione contrariata, scuotendo la testa. - Raimar ti piaceva solo perché ti portava a quei ridicoli musical di Broadway. - Ribatté, alzando gli occhi al cielo. - Io detestavo troppo il suo accento tedesco. - 

- A parte che i musical non sono ridicoli ma, casomai, sono la cosa migliore in cui l’essere umano si sia mai cimentato. - Iniziò Janus. - Tu detestavi il fatto che lui non fosse come papà. Anzi, forse detestavi proprio il fatto che non fosse lui. - 

Hazel lo guardò di sottecchi. - Sei un ragazzino impertinente, lo sai? - Disse. 

- Però ho ragione. - Insistette il giovane. 

- Sei sicuro di aver preparato anche la gabbia per il gufo? - Domandò Hazel nel tentativo di cambiare radicalmente discorso.

Janus sospirò e poi annuì. - Sì. Però Wilson è un barbagianni. - La corresse. 

- È uguale, Jan. - Sbuffò lei, alzando gli occhi al cielo. - Sei così precisino. - 

Lui scrollò le spalle. - Harry dice che la tecnologia a Hogwarts non funziona, ma ho pensato di portare comunque il lettore mp3 per il viaggio. - Disse. - Secondo te è una cosa stupida? - 

- È una cosa stupida che tu voglia stare con le cuffie nelle orecchie mentre sei sul treno, quando invece potresti fare amicizia, sì. - Lo ammonì lei. - A Hogwarts non sarà come durante la scuola babbana, Jan. Nessuno penserà che sei diverso lì. - 

Il ragazzino sospirò ma annuì. - Lo so, Harry e Hermione mi hanno detto lo stesso. Solo che mi sento ancora un po’... scombussolato. -   

- Anche io lo sono, parecchio anche. - Confessò Hazel. - Lo sai quanto abbiamo dovuto attendere per questo momento, ma adesso ci siamo. Andrai a Hogwarts. - 

- Andrò a Hogwarts. - Ripeté il giovane, più a sé stesso che a sua madre.

 

Qualche ora più tardi, fermi nel bel mezzo della banchina del binario 9 e ¾, Hazel e Janus guardavano dritto davanti a loro, dove la locomotiva a vapore scarlatta era ferma lungo il binario gremito di gente. Una nube di fumo proveniente dal treno si alzava in grossi anelli sopra la testa della folla rumorosa, mentre gatti di ogni colore si aggiravano qua e là tra le gambe della gente. Gufi e civette si chiamavano l'un l'altro col loro verso cupo, quasi di malumore, sovrastando il cicaleccio e il rumore dei pesanti bauli che venivano trascinati.

Pochi metri più avanti, Harry aveva appena terminato di riporre il baule di Janus sul treno quando si voltò per guardarli. Era la prima volta che assisteva alla partenza per Hogwarts senza essere un passeggero della locomotiva e doveva ammettere che era una strana sensazione. Se poi a questo ci si aggiungeva il fatto che Janus era il figlio del suo padrino scomparso nove anni prima, allora il tutto diventava quasi surreale. 

Anche per Harry, quelle ultime settimane, erano state strane e faticose. Il dolore per la morte di Sirius aveva nuovamente bussato alla porta della sua anima e aveva passato giorni a pensare e a ripercorrere gli eventi che avevano portato alla sua improvvisa dipartita. Si domandò se potesse esistere un modo per avere indietro almeno il suo corpo per dargli una degna sepoltura, soprattutto dopo tutto quello che aveva passato in vita. Forse arrendersi così davanti a quell’evento tragico non era stata la scelta giusta, forse, se avesse almeno tentato di riportarlo indietro, adesso Sirius sarebbe stato lì con loro, su quel binario. Ma non aveva fatto niente, nemmeno dopo la guerra, non aveva cercato informazioni sul velo e non aveva mai più messo piede all’Ufficio Mistero da quella notte. 

Con un sospiro, Harry tentò di scrollarsi di dosso il senso di colpa e tutti quei pensieri negativi che lo stavano tormentando da quando aveva ritrovato Janus e Hazel, si avvicinò ai due con un sorriso stampato sul volto. - Sei pronto? - Chiese al ragazzino, mettendogli una mano sulla spalla. 

Janus annuì, lanciando poi uno sguardo fugace verso sua madre prima di tornare a guardare Harry negli occhi. - Posso parlarti in privato? - Mormorò. 

Harry parve sorpreso. - Ma certo. - Sussurrò in risposta, prima di alzare lo sguardo su Hazel. - Hazel, ti dispiacerebbe andare un attimo a… controllare se le prime carrozze sono già piene? Così io e Jan continuiamo a sistemare i bagagli. - 

Lei annuì in fretta, le piaceva essere utile a qualcosa nonostante fosse babbana, e iniziò a percorrere il binario, allontanandosi. Poi Harry guardò Janus, in attesa che il ragazzo parlasse.  

Lo vide sospirare, come per fare chiarezza nella sua testa e poi esordì: - Harry, come faccio a finire in Grifondoro? - Chiese, guardandolo dritto negli occhi. - Ci tengo troppo, deve essere la mia Casa a tutti i costi. Ma se finissi in Serpeverde? Ci saranno tutti i figli degli ex mangiamorte, persone che odiano i babbani e mamma è babbana e anche io mi sento in parte babbano. Il punto è che non capisco chi sono, ha senso? Anche la storia del cognome… io non so se me la sento di chiamarmi Black. Io non sono un vero Black, ma se finissi in Serpeverde come tutti loro? Insomma, io ho anche quella cosa che parlo con i serpenti… Serpeverde sembra quasi una strada segnata. - 

- In tal caso vorrà dire che la Casa Serpeverde avrà guadagnato un ottimo studente, no? Ma se per te è davvero così importante finire in Grifondoro allora il Cappello Parlante lo capirà. Lui tiene conto della tua scelta. - 

Il ragazzino alzò un sopracciglio con fare sorpreso. - Davvero? - Domandò. 

- Certo, con me lo ha fatto. - Confermò Harry. - Una volta il professor Silente mi disse che sono le scelte che facciamo che dimostrano chi siamo veramente, molto più delle nostre capacità. Se sceglierai di essere davvero un Grifondoro, se lo farai capire al Cappello, allora ti assicuro che lo sarai. - 

Janus lo guardò ma non disse niente, come se quella risposta non lo avesse del tutto soddisfatto. 

- Prima che torni tua madre… - Continuò dunque a parlare Harry, frugano nella tasca interna del suo mantello, e tirando poi fuori una vecchia pergamena. - Credo che questa possa servirti. Diciamo che è una piccola eredità lasciata da Felpato, Ramoso e Lunastorta. - 

Janus sgranò gli occhi. Aveva sentito così tante volte parlare della Mappa del Malandrino come una sorte di oggetto leggendario che quasi si emozionò quando Harry gliela mise tra le mani. Anche suo padre aveva toccato quella pergamena, anche zio Remus… l’avevano fatta loro. 

- Sai come funziona? - Gli chiese Harry. 

Janus annuì in fretta e sorrise. - Giuro solennemente di non avere buone instenzioni. - Recitò a memoria. - Harry… grazie. -   

- Ora mettila via, non credo che Hazel approverebbe. - Sussurrò Harry sogghignando, quando notò che la donna stava camminando rapida nella loro direzione.  

- Le uniche carrozze rimaste vuote sono in coda al treno. - Avvertì, avvicinandosi in fretta, mentre gli sportelli sbattevano lungo il treno rosso. - Sono quasi le undici. Janus, sei pronto? Sei sicuro di voler partire? Perché non sarebbe assolutamente un problema se tu non volessi, magari potresti studiare a casa, rimanere con me e… -  

- Mamma…  - Sbuffò lui, alzando gli occhi al cielo. - Vedi che devi trovarti un fidanzato? - 

Harry si lasciò sfuggire una breve risata, mentre Hazel alzò gli occhi al cielo. - Però se non ti trovi bene ti vengo a prendere. - Insistette, abbracciandolo.   

- Mi troverò benissimo, Hogwarts è il mio posto. - Ribatté Janus, cercando di svincolarsi dalla sua stretta. - Adesso però lasciami… mamma, dai, è imbarazzante! -  

Harry rise ancora, anche se con una dolorosa scheggia nel cuore. Nessuno l’aveva abbracciato in quel modo durante il suo primo giorno di scuola, era sicuro di essere solo al mondo e ancora non sapeva che, nella glaciale solitudine di Azkaban, c’era qualcuno anche per lui.

Il treno fischiò e Janus salì a bordo. Salutò ancora una volta sua madre e Harry, poi lo sportello si chiuse e il treno iniziò lentamente a muoversi verso l’uscita della stazione. 

Con il cuore in gola, Hazel vide la locomotiva allontanarsi. 

- Quando sapremo dello smistamento? - Domandò a Harry, con lo sguardo ancora rivolto al binario. 

- Entro le dieci di sera. - Rispose il ragazzo. - Perché non vieni a cena da noi alla Tana? Così quando arriverà il gufo da Hogwarts possiamo leggere insieme la lettera. - 

Hazel sorrise, voltandosi verso di lui. Le sembrava ancora tutto così assurdo. - Sì, mi farebbe davvero piacere. - Disse. 

- Allora ci vediamo stasera verso le otto. - Decise Harry alla svelta. - Adesso devo scappare a lavoro. Sono già in ritardo ma non potevo assolutamente perdermi la partenza di Janus! -

 

°°°°°°


Il treno sfrecciava, rapido e senza sosta, addentrandosi sempre più a fondo nelle selvagge campagne inglesi. Sopra la locomotiva, il sole brillava altissimo in un cielo terso e senza nemmeno una nuvola, neppure in lontananza, infrangendo i suoi raggi caldissimi contro il vetro sporco del finestrino e illuminando tutto lo scompartimento. 

Lì, un ragazzino di undici anni se ne stava seduto da solo, fissando i sedili vuoti davanti a sé da almeno un’ora, con un piccolo sorrisetto dipinto in volto e una copia di “Storia di Hogwarts” chiusa e appoggiata sulle sue ginocchia. Anche se gli mancavano poche pagine, era troppo eccitato per mettersi a leggere, anzi, forse era troppo eccitato per fare qualsiasi cosa. 

Ormai era fatta, era partito e tra poco sarebbe finalmente arrivato a Hogwarts. L’emozione bruciava nel suo petto con la potenza di mille supernove ad un passo dall’esplosione, e più ci pensava e più non poteva fare a meno di sorridere. 

Con un sospiro che sapeva quasi di sollievo, si lasciò affondare ancora un po’ nel suo sedile di moquette marrone e, nello stesso istante, la porta dello scompartimento alla sua sinistra si spalancò, mostrando una ragazzina sulla soglia. Janus si voltò a guardarla incuriosito: probabilmente anche per lei era la prima volta su quel treno, si notava da come si guardava intorno, intimorita ed eccitata insieme. Aveva i capelli rossi e un po’ crespi, legati in due trecce che le cadevano sulle spalle, due grandi occhi scuri che sembravano ancor più enormi per colpa della montatura di occhiali piuttosto spessa che portava sul naso pieno zeppo di lentiggini. Come lui, anche lei indossava abiti babbani e, quando sorrise imbarazzata, Janus notò che portava l’apparecchio.

- Posso sedermi qui? Tutti gli altri scompartimenti sono già molto affollati. - Esordì. 

Janus annuì. - Certo. Sì. Accomodati. - Disse. 

La bambina fece un altro sorriso imbarazzato e obbedì, sedendosi proprio sul sedile di fronte a quello del ragazzo, continuando a fissarlo. - Io mi chiamo Annie Carter, a proposito. Sono del primo anno. - Disse alla svelta. - E sono anche un po’ agitata, sai, i miei sono babbani, per me questo è tutto nuovo. I tuoi, invece? -

- Mamma è babbana, papà un mago. - Rispose lui. - Ma è tutto nuovo anche per me. E comunque a Hogwarts si parte tutti dallo stesso livello, non ti preoccupare. - 

- Oh… be’, meno male. Ho scoperto di essere una strega solo a giugno, quindi non so praticamente niente sul mondo dei maghi e su Hogwarts. - Annie sbuffò, arricciando il naso con disapprovazione. - Ma tu come ti chiami? Non me l’hai detto. - 

- Janus. - Rispose lui, porgendogli la mano. 

- Hai un nome molto strano. - Osservò Annie, stringendogliela con vigore. - Ma è un complimento. Strano è bello! - Si affrettò a dire, facendo un grosso sorriso. 

- È il nome di una divinità romana, ma anche di uno dei satelliti di Saturno. - Spiegò con cura. - La famiglia di mio padre ha come tradizione questa cosa di chiamare i nuovi nati come dei corpi celesti, anche se lui avrebbe preferito di gran lunga chiamarmi come il cantante dei Black Sabbath, dice mamma. -  

Annie rise, portandosi una mano alla bocca e Janus si sentì un po’ in imbarazzo. Di solito le persone non parlavano molto con lui, lo consideravano troppo strano, diverso.

- Ma quindi tuo padre ti avrà raccontato tutto di Hogwarts. - Intuì la giovane. 

Janus esitò e poi annuì e scosse la testa insieme. - Sì, in un certo senso. - Rispose, il tono vago. - Però quasi tutto ciò che so sulla scuola l’ho letto in Storia di Hogwarts durante le ultime due settimane. - Aggiunse, facendo un cenno verso il libro che aveva sulle gambe. 

La ragazzina lo osservò incuriosita Janus mentre sfogliava quel libro, e quando notò che le immagini si muovevano spalancò la bocca in una perfetta “o”. Ma, prima che potesse dire qualsiasi cosa, la porta dello scompartimento si aprì di nuovo ed entrambi si voltarono in quella direzione, dove era apparso un altro studente. Si trattava di un ragazzo nero, forse due o tre anni più grande di loro, i capelli ricci e scuri tagliati corti e due grossi occhi rotondi incastonati sopra gli zigomi alti,  che li guardò rimanendo sulla soglia e per poi domandare: - Tu, ragazzino, sei Janus Black? - 

Janus sobbalzò e poi annuì timoroso, come se si trovasse in classe, al cospetto di un insegnante. 

L’altro tirò un sospiro di sollievo. - Ma che fai, ti nascondi? Ho dovuto cercare in tutti gli scompartimenti prima di riuscire a trovarti. - Sbottò alzando gli occhi al cielo, entrando e chiudendosi la porta alle spalle. - Mio padre ha detto che dobbiamo fare amicizia, quindi eccomi qui. -

Annie e Janus si scambiarono uno sguardo perplesso, poi lei, che probabilmente era la più sfacciata tra i due, si fece avanti. - E tu chi saresti, scusa? - Gli domandò. 

- Hughie Shacklebolt, sì sì, mio padre è il Ministro della Magia. - Disse scocciato, prima di rivolgersi direttamente a Janus. - Mio padre e tuo padre erano entrambi nell’Ordine della Fenice, hanno combattuto insieme durante la battaglia dell’Ufficio Misteri, sai quella in cui tuo padre… be’ hai capito. Comunque assurda la tua storia. -  

Annie guardò Janus, cercando di comprendere meglio le parole dell’altro. - Che storia? - Chiese, senza cautela, troppo curiosa per trattenersi. 

Hughie parve sorpreso da quella domanda. - Il padre di Janus è Sirius Black, il padrino di Harry Potter, hai presente? -

La ragazzina scosse la testa.

- Harry Potter ha sconfitto il più grande mago oscuro di tutti i tempi e Sirius, il padre di Janus, ha nascosto lui e sua madre, cancellando la memoria di tutti quelli che li avevano conosciuti, per far in modo che il resto della famiglia Black non li uccidesse. - Iniziò a spiegare Hughie, come si trattasse di una trama avvincente di un’opera letteraria. - Ma poi il signor Black è morto e Janus ha dovuto dunque aspettare che gli arrivasse la lettera da Hogwarts per tornare nel nostro mondo. - 

Annie guardò Janus, che sospirò senza però parlare. - Mi dispiace per tuo padre. - Gli disse. 

Il ragazzo abbozzò un piccolo sorriso. - Non fa niente. - Rispose. - Voi sapete già in che Casa finirete? - Domandò, nel tentativo di cambiare discorso. 

Annie scosse la testa, mentre Hughie rispose: - Io sono del terzo anno e sono stato smistato in Grifondoro come mia madre e mio padre. - 

- Anche io spero tanto di finire in Grifondoro. - Disse Janus. 

- Ma come funziona lo smistamento, nel dettaglio? - Domandò Annie, con interesse. - Ho letto qualcosa a riguardo, e credo che mi piacerebbe Grifondoro, ma anche Tassorosso non sembra affatto male. Solo che non capisco con quale criterio ci smisteranno. - 

- Harry mi ha detto che il Cappello prende in considerazione la scelta dello studente. - Spiegò Janus. 

- Con me non l’ha fatto, ha gridato “GRIFONDORO” due secondi dopo che mi ha sfiorato la testa. - Raccontò Hughie. - Magari tu sarai un Serpeverde come tutti gli altri Black. - 

Janus scosse la testa. - Io non sono un vero Black, quindi non credo. - 

Hughie lo scrutò dal basso all’altro un paio di volte, prima di sogghignò divertito. - Tu credi? Secondo me l’aspetto un po’ ce l’hai. - Osservò annuendo. - Sì, ecco, siete tutti belli nonostante veniate da secoli di matrimoni incestuosi tra cugini. E poi avete questo atteggiamento. -

- Che atteggiamento? - Chiese Janus, inarcando le sopracciglia. 

Hughie lo indicò come se la risposta fosse ovvia. - Questo sguardo altezzoso e fiero, quest’aria da nobile pieno di soldi. Tu non credi? - Domandò ad Annie. 

La ragazzina rivolse a Janus uno sguardo indagatore. - In effetti Hughie ha un po’ ragione. - Dichiarò. - Hai l’aria di uno che gioca a polo, sì. Giochi a polo? - 

Janus arrossì fino alla punta delle orecchie e Hughie gli diede una forte pacca sulla spalla ridendo. - No, non gioco a polo. - Mugugnò. - Una volta giocavo a football, ma poi mi sono rotto una costola e mia mamma mi ha fatto smettere. -  

- Poteva lasciarti giocare, ma magari in porta. - Buttò lì Annie. 

Il ragazzino aggrottò la fronte, guardandola come se non avesse ben capito le sue parole. - Non ci sono le porte nel football che dico io. - Spiegò intimorito. - Forse tu intendi dire soccer, il calcio. - 

Annie e Hughie si scambiarono uno sguardo piuttosto perplesso; poi lui parve colto da un'improvvisa illuminazione. - Giusto, tu sei cresciuto in America. - 

- Oh, ora capisco l’accento un po’ strano. - Commentò Annie. - Comunque… non giocherai a polo ma sicuramente suoni il violoncello o altre cose del genere. - 

- Suono il violino. - Ammise Janus, alzando gli occhi al cielo, infastidito. - Ma questo non fa di me un nobile ricco e viziato, io non sono così e nemmeno mio padre lo era. Quindi no, niente Serpeverde. Sarò un Grifondoro e questo è quando. - 

- E ti scaldi facilmente, anche questo è tipico di voi Black. - Rise Hughie. - Ma staremo a vedere tra qualche ora. Comunque dicono che la Sala Comune di Serpeverde non si male, si trova sotto il Lago Nero. Certo, un po’ umida e poco accogliente, ma in compenso potrai fare amicizia con la Piovra Gigante. Ad ogni modo, caro Blackie, cara amica di Blackie, è il caso di iniziare ad indossare le divise. - 

Janus guardò Hughie con uno sguardo torvo, tentando di capire se quel ragazzo gli stesse simpatico o meno, e poi sbirciò fuori dal finestrino. Stava calando la sera, le montagne e le foreste si stagliavano contro un cielo che si stava facendo sempre più buio. 

Nel bagno della carrozza, Janus indossò finalmente la sua divisa, rivolgendo poi un sorriso allo specchio. Lo stemma della scuola era lì, cucito in bella mostra sul suo petto, e quella divisa, a suo parere, gli donava parecchio. Immaginò suo padre durante il suo primo giorno di scuola, vestito in quello stesso modo, su quello stesso treno e, nonostante il sorriso non gli si fosse ancora spento sul volto, Janus percepì una morsa famigliare stringere il suo stomaco. Si rese conto che si sentiva solo e un po’ spaesato. 

Quando tornò nello scompartimento, notò che anche Annie aveva indossato la sua divisa dal primo giorno, mentre Hughie indossava già i colori di Grifondoro.

Una voce risuonò per tutto il treno: - Tra cinque minuti arriveremo a Hogwarts. Siete pregati di lasciare il bagaglio sul treno; verrà portato negli edifici della scuola separatamente. - 

Dopo aver rallentato, infine il treno si fermò e gli studenti, ormai fuori dai loro scompartimenti, si mossero a spintoni verso lo sportello, per scendere poi sul marciapiedi stretto e buio. Janus rabbrividì all'aria gelida della notte. Rivolse uno sguardo al suo fianco, notando che Annie era pallida come un cencio e che si stava torcendo nervosamente le mani. Aveva voglia di dirle di stare tranquilla, che quello era il suo posto anche se era nata babbana e che non aveva niente da temere ma, anche al solo pensiero, si sentì un po’ ridicolo.  

Poi, sopra le teste degli studenti, si accese una luce, e Janus udì una voce: - Primo anno! Primo anno da questa parte! - 

Alla vista di Hagrid, il custode della scuola di cui aveva tanto sentito parlare, Janus non poté fare a meno di spalancare la bocca. Era alto almeno due volte un normale essere umano e aveva un aspetto a dir poco selvaggio. I capelli e la barba erano un unico cespuglio crespo, le sue mani erano enormi e i suoi piedi giganteschi; era semplicemente troppo grosso per essere una persona vera, eppure era lì, davanti a loro e li stava guidando verso un sentiero ripido e stretto. 

- Fra un attimo avrete una bella prima vista panoramica di Hogwarts! - Annunciò allegramente Hagrid. 

Lo stretto sentiero si era spalancato all'improvviso sul bordo di un grande lago nero e proprio lì, appollaiato in cima a un'alta montagna sullo sfondo, con le finestre illuminate che brillavano contro il cielo pieno di stelle, si stagliava un grande castello con molte torri e torrette.

- È bellissimo. - Mormorò Janus, tra sé e sé. 

- È reale. - Commentò invece Annie, ferma al suo fianco. 

Hagrid indicò una flotta di piccole imbarcazioni in acqua, vicino alla riva. - Non più di quattro a barchetta. - Avvertì. 

Janus e Annie salirono a bordo, e insieme a loro un giovane di nome Abner Rowle e Faye Selwyn, la ragazza che Janus aveva incontrato in libreria. Lei lo fissò per qualche attimo, come per essere certa che si trattasse proprio di lui, gli sorrise e poi le barchette si staccarono dalla riva, scivolando sul lago liscio come vetro. Tutti tacevano, lo sguardo fisso sul grande castello che li sovrastava e torreggiava su di loro, man mano che si avvicinavano alla rupe su cui era arroccato.

- Ciao, Black. - Gli disse Faye sottovoce. - Ti ricordi? Ci siamo incontrati al Ghirigoro. - 

- Ciao. - Mormorò lui di rimando. - Sì, che mi ricordo. Sei quella che non conosce i Linkin Park. - 

Abner Rowle, che fino a quel momento non aveva mostrato nessun interesse nei suoi confronti, staccò gli occhi dal castello per posarli su di lui. Aprì la bocca nel tentativo di dire qualcosa, quando la voce grossa di Hagrid lo sovrastò:

- Giù la testa! - Gridò quando le prime barche raggiunsero la scogliera. 

I ragazzi obbedirono e le barchette li trasportarono attraverso una cortina d'edera che nascondeva una grande apertura sul davanti della scogliera stessa. Poi attraversarono un lungo tunnel buio, che sembrava portare dritto sotto il castello, e infine raggiunsero una sorta di porto dove camminarono tra scogli e sassi lungo un passaggio nella roccia, preceduti dalla lampada di Hagrid, e finalmente emersero sull'erba morbida e umida, proprio all'ombra del castello. Salirono la scalinata di pietra e si affollarono davanti all'immenso portone di quercia.

- Ci siamo tutti? - Fece Hagrid, e poi alzò il pugno gigantesco e bussò tre volte.

La porta si spalancò all'istante e si vide una vecchia strega alta, dai capelli corvini, vestita di verde smeraldo. Aveva un volto severo, e Janus si sentì un po’ in soggezione davanti a lei. 

- Ecco qua quelli del primo anno, preside Mcgranitt. - Disse Hagrid.

- Grazie, Hagrid. Da qui in avanti li accompagno io come al solito. - 

Spalancò la porta. La sala d'ingresso era così grande che ci sarebbe entrata comodamente un’intera casa. Le pareti di pietra erano illuminate da torce, il soffitto era talmente alto che si scorgeva a malapena, e di fronte a loro una sontuosa scalinata in marmo conduceva ai piani superiori.

I ragazzi seguirono la preside calpestando il pavimento tutto lastre. A destra si udiva il brusio di centinaia di voci, forse il resto degli studenti doveva essere già arrivato, ma la preside Mcgranitt condusse quelli del primo anno in una saletta vuota, oltre la sala d'ingresso. Ci si assieparono dentro, guardandosi intorno tutti nervosi.

- Benvenuti a Hogwarts. - Esordì la strega. - Il banchetto per l'inizio dell'anno scolastico avrà luogo a breve, ma prima di prendere posto nella Sala Grande, verrete smistati nelle vostre Case. Lo Smistamento è una cerimonia molto importante, perché per tutto il tempo che passerete qui a Hogwarts, la vostra Casa sarà la vostra famiglia. Per il tempo che resterete a Hogwarts, i trionfi che otterrete le faranno vincere punti, mentre ogni violazione delle regole gliene faranno perdere. Ora, prego, seguitemi pure. - 

Uscirono dalla stanza, attraversarono di nuovo la sala d'ingresso, oltrepassarono un paio di doppie porte, ed entrarono nella Sala Grande. Janus non avrebbe mai potuto immaginare che, al mondo, potesse esistere un posto tanto splendido e sorprendente. Era illuminato da migliaia e migliaia di candele sospese a mezz'aria sopra quattro lunghi tavoli, intorno ai quali erano seduti gli altri studenti. I tavoli erano apparecchiati con piatti e calici d'oro scintillanti. In fondo alla Sala c'era un altro tavolo lungo, intorno al quale erano seduti gli insegnanti. Fu lì che la preside accompagnò gli allievi del primo anno, cosicché, sempre tutti in fila, si fermarono davanti agli altri studenti, dando le spalle agli insegnanti. Alla luce tremula delle candele, le centinaia di facce che li guardavano sembravano tante pallide lanterne. Qua e là, tra gli studenti, i fantasmi punteggiavano la sala come velate luci argentee. Soprattutto per evitare tutti quegli occhi che li fissavano, Janus alzò lo sguardo in alto e vide un soffitto di velluto nero trapunto di stelle. 

- Quando chiamerò i vostri nomi, indosserete questo cappello e vi siederete sullo sgabello per essere smistati. - Parlò la McGranitt, con il Cappello Parlante già pronto in una mano e un foglio di pergamena nell’altro. - Bene, iniziamo subito con… oh. - 

La strega alzò lo sguardo sul gruppo di studenti del primo anno, come alla ricerca di qualcuno in particolare. Passò gli occhi su ognuna delle loro facce, fermandosi poi su Janus e, in un attimo, si sentì quasi catapultata indietro di anni. 

- Black Janus! - Esclamò, tornando a guardare il foglio di pergamena. 

Janus sgranò gli occhi e quasi gemette. Perché diamine doveva essere il primo? Dietro di lui, la manina gracile di Annie lo spinse leggermente, e lui avanzò verso lo sgabello con lo stomaco chiuso e un nodo in gola. Si sedette sullo sgabello traballante e, l’ultima cosa che vide prima che il cappello gli coprisse gli occhi, fu la sala piena di gente che allungava il collo per guardarlo meglio. L'attimo dopo, era immerso nel buio.

- Mmmh. Solitamente voi Black siete facili. - Gli sussurrò una vocina all'orecchio. - Vedo ambizione e un dono molto raro che ti lega alla Casa Serpeverde, ma hai anche un bel cervello… Oh sì, sei sveglio, forse anche Corvonero potrebbe essere una buona scelta… tuttavia Serpeverde sembrerebbe essere proprio il tuo posto… - 

Non Serpeverde, qualsiasi cosa tranne Serpeverde. Se mi metti lì giuro che scapperò dalla scuola! Pensò il ragazzino, aggrappandosi forte ai bordi dello sgabello, Grifondoro, per favore, voglio essere un Grifondoro! 

Il Cappello tacque per qualche interminabile secondo e poi tornò a parare: - Be’ vedo che hai le idee ben chiare, ragazzo. - Disse. - Se ne sei davvero convinto allora ti ascolterò… non farò lo stesso errore che ho fatto con tuo zio. GRIFONDORO! - 

Janus udì il cappello gridare l'ultima parola a tutta la sala. Se lo tolse di testa e si avviò con passo vacillante verso il tavolo dei Grifondoro. Il sollievo di essere stato scelto per  la Casa di suo padre e non per Serpeverde era tale che a malapena si accorse di essere stato salutato con un forte applauso. 

- E bravo il nostro piccolo Blackie! - Esclamò Hughie, seduto dall’altra parte del tavolo, stringendogli la mano e facendogli un grosso sorriso. 

Subito dopo di lui, fu Annie Carter ad essere chiamata per lo smistamento. Rimase seduta sullo sgabello e poi il Cappello gridò ancora una volta “GRIFONDORO”, e la ragazzina saltellò nella sua direzione, sedendosi al suo fianco. 

- Siamo nella stessa Casa! - Esclamò eccitata, battendo le mani.  

Dopo di lei ci furono una sfilza di Serpeverde, (tra cui, con grande sollievo di Janus, Faye Selwyn), un Tassorosso, qualche Corvonero e poi un ragazzo di nome Klaus Hopper, che finì in Grifondoro e che si accomodò tra Janus e Annie, salutando lui con un cenno del capo e lei con un baciamano molto imbarazzante. 

Il banchetto fu abbondante, ma Janus quasi non toccò cibo, lo stomaco chiuso per l’emozione. Si guardò intorno, passando lo sguardo tra gli studenti seduti lungo i quattro tavoli e, per la prima volta nella sua vita, si sentì a casa. 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Capitolo 22. Vorrei che fossi qui ***


Questo è un capitolo di passaggio che potevo anche evitare di scrivere, ma secondo me ci sta bene. Spero che non risulti noioso, comunque fatemi sapere voi, ditemi pure cosa ne pensate e se avete già un’idea su dove sto andando a parare con la storia. 

Detto questo vi auguro una piacevole lettura. 

Jamie. 


La casa davanti a cui Hazel si trovava aveva l’aria di essere stata, un tempo, un grosso porcile di pietra. Qua e là erano state aggiunte delle stanze per un’altezza di diversi piani e, così contorta, la costruzione sembrava proprio reggersi in piedi per magia, il che, come Hazel rammentò a sé stessa, era probabilmente vero. Sul tetto rosso facevano capolino quattro o cinque comignoli e su un’insegna sbilenca fissata a terra, vicino all’entrata, si leggeva: “la Tana”. 

Non era mai stata in casa Weasley prima d’ora e, in quelle ultime settimane, non aveva avuto ancora modo di incontrare nessuno di loro, Ginny e Ron a parte, con cui aveva preso un gelato da Florian Fortebraccio qualche giorno prima, insieme a Hermione, Harry, il piccolo James e Janus. 

Ancora nell’auto, seduta al posto del guidatore, Hazel si lasciò andare ad un sospiro e ad un piccolo sorriso nostalgico. Chissà come sarebbero state le cose se Sirius non si fosse messo a giocare con le loro memorie, condannando lei e Janus ad un decennio di esilio. 

Per quanto avesse provato a perdonarlo, Hazel era ancora decisamente in collera con lui per ciò che aveva fatto. Lo era stata fin dall’inizio, da quel giorno a Grimmauld Place ma, da quando aveva saputo di essere stata lei stessa tra le vittime, la sua rabbia aveva quasi completamente raso al suolo ogni ricordo felice che aveva con lui, facendola finire per mettere in dubbio qualsiasi cosa, anche l’amore che aveva provato per lui.  

Una volta fuori dalla macchina, con in mano una bottiglia di vino rosso babbano, Hazel camminò verso la soglia della strana casa contorta che le si palesava davanti. Sulla porta principale, alla rinfusa, erano ammucchiati degli stivaloni di gomma e un calderone tutto arrugginito. Molte galline marroni ben pasciute andavano beccando qua e là per l’aia, mentre il cielo sopra di loro cominciava ad imbrunire pian piano mentre il sole tramontava. 

Hazel bussò un paio di volte alla porta e attese che questa si spalancasse. Quando accadde, fu una donna dai capelli rossi ad accoglierli. Negli ultimi nove anni, Molly Weasley era cambiata tanto da sembrare irriconoscibile. Magra e pallida, le guance incavate e scese, i capelli che le stavano diventando grigi. Guardò Hazel con due grossi occhioni azzurri e lucidi, come se l’avesse aspettata per una vita, e poi la abbracciò, sciogliendosi in un fiume di lacrime. 

- Hazel… mi dispiace così tanto per Sirius! - Esclamò, quando tornò a guardarla. 

- E a me dispiace per Fred. - Rispose Hazel, commossa. - Quando ho sentito il suo nome alla radio insieme a quello di Remus… - 

Alle spalle di Molly, Ginny era apparsa, appoggiando una mano sulla spalla della madre - Vieni mamma, andiamo in cucina. - Le disse, parlandole dolcemente. 

La signora Weasley annuì. - Ho fatto l’arrosto… ricordo che ti piaceva a Grimmauld Place. - Disse a Hazel camminando lungo il corridoio. 

- Si abbinerà divinamente con questo vino babbano che vi ho portato. - Approvò Hazel. 

Molly, Ginny e Hazel varcarono la soglia della cucina che era piccola e ingombra: l’orologio, sulla parete di fronte, aveva una sola lancetta e niente numeri. Sul quadrante c’erano scritte cose come: ‘ora di fare il tè’, ‘ora di dar da mangiare ai polli’ e ‘sei in ritardo’. Sulla mensola del camino, uno sopra l’altro, erano accatastati libri con titoli come “incantate il vostro formaggio”, “incantesimi da forno”, e “banchetti in un minuto: questa sì che è magia”.

Nel mezzo della stanza, invece, c’era un misero tavolo di legno con delle sedie, circondato da alcuni visi conosciuti. Harry era proprio accanto alla porta in compagnia di Tonks, ed entrambi la salutarono calorosamente non appena varcò la soglia; il signor Weasley, a capotavola, si alzò e le andò incontro non appena la vide seguito da George, e lo stesso fecero anche Ron e Hermione, che tenevano James in braccio. C’erano anche gli unici due Weasley che Hazel non aveva mai conosciuto, Percy e Charlie. 

Percy, a parte i capelli rossi e le lentiggini che gli sporcavano il viso, era praticamente l’opposto del fratello: alto e magro come Ron, indossava un paio di occhiali di corno e aveva un atteggiamento pomposo che Hazel trovò immediatamente irritante e divertente allo stesso tempo. Charlie invece era basso e muscoloso, talmente pieno di lentiggini da sembrare abbronzato; aveva un’aria piuttosto spensierata e, in qualche modo, anche un po’ selvaggia. Entrambi erano chiaramente suoi coetanei.

- Molto piacere! - Le disse Percy stingendole la mano, dopo essersi presentato usando solennemente il nome completo. 

Hazel aggrottò la fronte e sorrise, facendo lo stesso. 

- Perce, per Godric, te lo toglierai mai quel palo che hai piantato nel culo? - Fece Charlie, dando una pacca sulla spalla del fratello e beccandosi un’occhiataccia.

- Tu baci nostra madre con quella bocca di rose, Charlie? - Borbottò Percy, incrociando le braccia sul petto. - Scusalo, Hazel. Passa poco tempo insieme agli esseri umani. - 

Lei inarcò le sopracciglia, come colta da un’illuminazione. - Tu devi essere l’allevatore di draghi! - Esclamò guardando Charlie. - Dev’essere un lavoro parecchio pericoloso ma eccitante allo stesso tempo. - 

Charlie annuì e poi le strinse una mano in una stretta molto salda. - Sì, sono Charlie. Anzi… Charles Septimius Weasley, se vogliamo essere precisi come il nostro Perce. - 

Percy, in tutta risposta, si limitò ad alzare gli occhi al cielo. 

- Forza, sedetevi, sedetevi! La cena è pronta! - Esclamò Molly, camminando verso di loro mentre faceva levitare un grosso piatto pieno di arrosto sopra le loro teste. 

Hazel obbedì, sistemandosi tra Ginny e Hermione, proprio davanti al signor Weasley, seduto sedeva con accanto a Charlie e Percy, che iniziò subito a riempirla di domande sul mondo babbano: 

- Ma è vero che avete inventato un posto invisibile e pieno di informazioni da cui si accede premendo dei tasti? - Le chiese, eccitato. 

Hazel dovette pensarci prima di poter fornire una risposta degna. - Sì, penso che tu stia parlando di internet. - Disse, tirando fuori il telefono dalla tasca. - Si può accedere da computer, ma ultimamente anche con qualche cellulare moderno come questo, anche se la connessione costa tanto però… chissene frega, ecco questo è il mio blog in cui straparlo di arte e design. - Continuò mostrando loro lo schermo illuminato.

Il signor Weasley prese tra le mani il telefono di Hazel, guardandolo ad occhi spalancati e, al suo fianco, anche Percy e Charlie fecero lo stesso. 

- Si possono fare moltissime cose con i telefoni adesso. Ad esempio delle foto. - Tornò a spiegare Hazel, riprendendolo. - Ecco, queste sono di questa estate. Io e Janus siamo stati in vacanza in Italia… sì, lo so, sono praticamente solo fotografie di monumenti, quadri e cibo. Ah no, eccone una sua. - 

Anche Molly, che si era avvicinata alla tavola per portare delle patate al forno, diede un’occhiata allo schermo. La foto ritraeva un ragazzino sorridente e dai capelli neri, che se ne stava in piedi con alle spalle il Canal Grande di Venezia.  

- Somiglia molto al padre. - Commentò la signora Weasley commossa. 

- Sì, però lui non è come Sirius. - Ribatté Hazel, rimettendosi il telefono in tasca. 

Il tono usato dalla donna raggelò per un attimo Harry, seduto a capotavola, che si scambiò una rapida occhiata con Ginny. Sapeva quanto Hazel fosse arrabbiata con il suo padrino, ma si rese conto di non sapere fino a che punto. 

- Forza, mangiamo! - Esclamò Arthur, dopo pochi secondi di silenzio, mettendosi due fette di arrosto e delle patate nel piatto, imitato subito dopo dagli altri. 

- Di cosa ti occupi adesso, Hazel? - Domandò interessata Hermione. 

- Principalmente insegno filosofia dell’arte e estetica in un’università. - Rispose Hazel. 

Tutti, eccetto Hermione, si scambiarono uno sguardo perplesso. - E cosa tratta questa filosofia? - Domandò infatti Percy. 

- La filosofia in generale è una disciplina che si interroga sulle grandi domande, come ad esempio da dove veniamo, il senso della vita e altre cose di questo genere, ma riflette anche sulla morale e sull’etica. - Tentò di spiegare, versandosi un po’ d’acqua. - La domanda che si pone l’estetica è principalmente “cos’è il bello?” Lo so, non è interessante come allevare draghi o lavorare al Ministero della magia. - Concluse facendo un piccolo sorriso imbarazzato. 

- Sei come gli Indicibili, solo che babbana. - Commentò Dora. Hazel sembrò perplessa e allora continuò: - Quelli che lavorano all’Ufficio Misteri, anche loro studiano i misteri della vita e cose così. - 

Il viso di lei si adombrò. - Sì, immagino che sia così. - Disse. - Quindi in tutti questi anni ci sarà stato qualcuno, lì all’Ufficio Misteri, che si sarà chiesto cosa sia quel velo dietro cui è sparito Sirius? - 

- Non lo sappiamo, non possono uscire informazioni dall’Ufficio Misteri. - Spiegò Harry. 

Gli occhi di Hazel si strinsero. - Ma tu hai salvato il mondo, davvero ti negherebbe una cosa così semplice? - Domandò sorpresa. - Insomma… almeno sapere dov’è finito il suo corpo. Non mi aspetto più di vederlo comparire dal nulla, sono passati troppi anni anche solo per sperarlo, anche se spesso lo sento ancora, proprio come se fosse ancora vivo solo che in un altro posto… lasciate stare… Il fatto è che io voglio una risposta. - 

- Non è così semplice. Sono cose su cui nemmeno noi auror abbiamo giurisdizione. - Tentò di spiegare Dora. 

Hazel annuì, abbassando poi lo sguardo verso il suo piatto. - Certo. Le regole. - Mormorò con voce tremolante. 

- Davvero ottimo questo arrosto, Molly. - Disse Harry, con il chiaro intento di cambiare discorso. 

La cena proseguì con chiacchiere decisamente molto più leggere. Verso la fine, Hazel sentì i jeans che portava farsi fastidiosamente stretti sulla pancia ma, per fare contenta Molly, tentò di mandar giù ogni singolo boccone. 

Scoprì con dispiacere che, dopo la morte di Fred, la famiglia Weasley non era più stata la stessa: Molly sembrava vittima dei famosi attacchi di broncio che tanto aveva criticato a Sirius, oscurandosi senza motivo tra una chiacchiera e all’altra; il signor Weasley le stava vicino, ma Hazel lesse nei suoi occhi tanto dolore, qualcosa che preferì di gran lunga evitare anche solo di immaginare. Tra i loro figli, quello che ne aveva sofferto di più era stato chiaramente George, che non sorrideva più come un tempo nonostante fosse ormai un uomo sposato e padre da pochi mesi del piccolo Fred. 

La battaglia di Hogwarts doveva essere stata tremenda, ma nessuno ne parlava mai, come una sorta di tabù che però opprimeva forte i loro cuori. 

Alla fine della cena Hazel si sentì improvvisamente svuotata da ogni singola goccia di energia. Tra i discorsi rumorosi di tutti, si alzò e uscì, sperando di non essere notata. 

Fuori, nonostante fosse solo l’inizio di settembre, l’aria era fredda, quasi pungente, e la colpì in piena faccia. Sopra la sua testa, il cielo sgombro era illuminato da tantissimi puntini luminosi e da uno spicchio di luna crescente. Le capitava spesso, da ormai molti anni, di sentirsi molto sola quando si trovava in mezzo a tanta gente. Come quella sera. 

Prese il pacchetto di sigarette che aveva in tasca e ne prese una, per poi rendersi conto di non avere con sé alcun accendino. Sbuffò frustrata e, proprio nello stesso momento, avvertì la presenza di qualcuno alle sue spalle. Si voltò di scatto, ritrovandosi davanti la pecora nera della famiglia Weasley.  

- Salve, Percival Ignatius Weasley. - Gli disse, con il chiaro intento di prenderlo un po’ in giro, come facevano praticamente tutti. 

L’uomo gli lanciò uno sguardo torvo, ma era evidentemente troppo educato e formale per poterle rispondere a tono. 

Poi Hazel parve colta da un’idea. - Ti dispiace se ti uso come accendino umano? - Gli chiese, mostrando il pacchetto di sigarette. 

Percy sfoderò la bacchetta magica e la agitò, facendo comparire una piccola fiamma. 

Hazel si avvicinò di un passo, con la cicca tra le labbra, e poi aspirò accendendola, prima di buttare fuori il fumo. - Grazie. - Disse distrattamente. 

- Figurati. - Fece lui. - Anche se non ti fa bene quella roba lì. - 

- Ma non mi dire. - Ribatté lei con un certo sarcasmo. - Purtroppo sono geneticamente predisposta alla dipendenza, e non solo da sostanze tipo la nicotina. Mesi fa ho giocato per cinque ore di seguito ad Animal Crossing e non me ne sono nemmeno accorta. -  

- Animal Crossing? - Domandò Percy, curioso.

- È una videogioco. Praticamente crei un personaggio e inizi a vivere una vita spensierata cercando di pagare un mutuo gigantesco ad un procione. - Tentò di spiegare Hazel.  

Percy assunse un’espressione perplessa. - Non credo di aver capito. -

- Sì, immagino che sembri una cosa strana detta così. - Ammise Hazel ridendo.  

- È stranissima! - Convenne Percy. - Ultimamente ne state facendo di invenzioni strane voi babbani. Mio padre ne è entusiasta, davvero entusiasta. - 

- Posso solo immaginare. - Disse lei in tono leggero. - Stavo pensando di regalargli un mio vecchio cellulare, ma ho paura che Molly si arrabbi. Non ha mai incentivato troppo l’amore che Arthur nutre per le nostre invenzioni. - 

- Mio padre ha sempre avuto il vizio di incantare i manufatti babbani che finisce per possedere; come quella sua vecchia auto… prendeva il volo e poteva anche diventare invisibile. Peccato che sia una cosa totalmente illegale e potenzialmente pericolosa. - Spiegò Percy. - Non sempre la vostra tecnologia è compatibile con la magia. - 

Hazel annuì. - Sì, una volta Sirius ha fatto scoppiare il mio bollitore. - Raccontò. - Lui dice sempre di essere molto bravo in babbanologia. Immagina invece se fosse scarso, probabilmente casa nostra avrebbe preso fuoco. - 

Percy prese a guardarla in un modo strano, facendola sentire un po’ in imbarazzo. Dunque Hazel abbassò lo sguardo, fissando il fumo che saliva lento dalla sua sigaretta accesa. Se la portò alle labbra e aspirò, senza dire niente. 

- Hai sbagliato il tempo verbale. - Disse l’uomo, di getto. 

Lei si voltò di nuovo per guardarlo, perplessa. - Cosa? - 

- Hai detto che lui dice di essere bravo in babbanologia. - Chiarì. - Ma la forma corret… -  

Hazel, contro ogni aspettativa, fece una risatina divertita, interrompendolo. - Mi stai davvero correggendo i tempi verbali? - Ghignò, scuotendo la testa. - Insomma, Percival, io scrivo libri e articoli per mestiere, so come si parla in inglese. Semplicemente mi viene di parlare al presente quando parlo di lui. - 

- Posso comprendere. - 

Hazel fece un piccolo sorriso e non ribatté, portandosi la cicca alla bocca. 

- I libri che scrivi sulla filosofia sono accessibili a tutti? - Le chiese Percy, dopo qualche attimo di silenzio. - Se li leggessi io che non ne so niente potrei capirci qualcosa? - 

- Non saprei, probabilmente ti mancano le basi quindi magari prima dovresti leggere un bel manuale di storia della filosofia. Comunque dicono che sei quello intelligente e studioso della famiglia, quindi non dovresti avere troppi problemi. - Disse Hazel. - Ma come mai me lo chiedi? - 

- Sono curioso di leggerli. - Ammise Percy. 

Hazel annuì, piacevolmente sorpresa. - Allora ti porterò qualche vecchio testo da me usato quando ero ancora una studentessa. - Decise. - Poi in caso tu dovessi riscontrare qualche difficoltà puoi inviarmi una email per qualche chiarimento… una lettera. Scusa. -

Prima che Percy potesse ringraziarla, la porta alle loro spalle si aprì con un cigolio ed entrambi si voltarono in quella direzione. Appena fuori la soglia, il signor Weasley li sorpassò, prima di voltarsi per rivolgersi direttamente a Hazel. - Vieni, devo mostrarti una cosa. - Le disse, facendo cenno verso il capanno.  

Hazel lo seguì senza fare domande, lasciandosi Percy alle spalle.

Lì, nel giardino buio, regnava la pace e un silenzio che sapeva un po’ di malinconia e di perdita. Hazel, ancora dietro al signor Weasley, varcò la porta di ferro del capanno, ritrovandosi tra quelle che sembravano carcasse di oggetti babbani ormai rotti o finiti in disuso. C’erano alcuni vecchi televisori risalenti almeno agli anni ‘80, un microonde, una quantità impressionante di prese della corrente e altre cianfrusaglie simili, ma l’attenzione della donna cadde quasi immediatamente su una grossa motocicletta parcheggiata proprio davanti all’entrata. Era nera e polverosa, probabilmente non veniva usata da molto tempo, ed era tale e quale a quella del poster appeso in camera di Sirius a Grimmauld Place. 

Hazel si avvicinò con cautela, passando accanto al signor Weasley, per poi voltarsi nella direzione dell’uomo. - È la sua, vero? La moto di Sirius? - Chiese. 

Arthur annuì. - Ho tentato di sistemarla, ma non ci sono riuscito. - Spiegò camminando verso una sorta di armadietto di ferro, aprendolo. - Nel vano porta oggetti c’era questa cosa, credo che serva per ascoltare la musica, ma non ho idea di come funzioni. - 

Il signor Weasley si avvicinò a lei, mostrandole un vecchissimo walkman azzurro e bianco, molto simile a quello che anche lei aveva avuto quando era praticamente solo una bambina. 

- Posso vederlo? - Domandò, allungando la mano verso Arthur. 

L’uomo glielo passò senza nessuna protesta e Hazel lo aprì, dando un’occhiata alla cassetta che c’era infilata all’interno. Si trattava del famoso album dei Pink Floyd, “Wish You Were Here”. Hazel sospirò, si mise le cuffie e, contro ogni previsione, dopo aver premuto un pulsante, la musica partì. Se solo avesse avuto ancora qualche lacrima da poter spendere, probabilmente avrebbe pianto e avrebbe interpretato le parole di quella canzone come un segno. Ma il momento della speranza era terminato ormai tantissimo tempo fa. Rimase semplicemente lì, davanti ad Arthur Weasley, ascoltando quella vecchia canzone e immaginando un giovane Sirius Black che portava le ragazze a fare un giro sulla sua moto, provando un po’ di invidia per chi lo aveva conosciuto in quegli anni.  

Poi Hazel si tolse le cuffie e abbozzò un piccolo sorriso. - Funziona ancora. Devi solo premere questo tasto qui. - Dichiarò porgendo nuovamente l’apparecchio ad Arthur. 

Il signor Weasley la guardò esitando per qualche secondo, i soliti gli occhiali un po’ storti sul naso e il viso bonario ma che mancava della spensieratezza di cui era ricolmo molti anni prima, forse strappata via dalla morte di Fred. - Tienilo tu. - Le disse. 

Hazel annuì e non ribatté. Poi, alle loro spalle, la porta del capanno si spalancò. 

- Hazel, è arrivata una lettera da parte di Janus! - Esclamò Hermione, eccitata. 

La donna si voltò verso la giovane strega. - Oh… bene, arrivo subito! - Esclamò. 

Attraversò il campano con passi rapidi e impazienti, seguita naturalmente dal signor Weasley, e poi il cortile, tornando alla Tana. Si sentiva agitata, tesa, felice, non vedeva l’ora di scoprire come fosse andato lo smistamento di suo figlio e, a quanto pareva, tutti in quella casa non aspettavano altro. Quando lei, Arthur e Hermione varcarono la soglia della cucina, Harry aprì la busta, passandole il contenuto. 

Subito, sul foglio di pergamena piegato a metà, Hazel riconobbe la calligrafia di Janus. Prese un lungo respiro e poi lesse rapidamente a mente: 

 

Cara mamma, 

la scuola è molto più bella di come la immaginavo! Dopo il viaggio in treno abbiamo raggiunto il castello con delle barchette, attraverso il lago nero (lo sai che dentro c’è una piovra gigante?) dove poi, prima di cena, la preside McGranitt in persona ha smistato noi del primo anno. Ovviamente sono un Grifondoro, come papà, anche se il Cappello Parlante voleva mandarmi o in Corvonero o in Serpeverde. Corvonero non sarebbe stato poi così male, comunque sempre meglio di Serpeverde, (giuro che se fossi finito lì avrei lasciato la scuola) ma lo sanno tutti che Grifondoro è la Casa migliore.  

Ho conosciuto un sacco di persone, ho fatto amicizia come volevi tu, ad esempio con Hughie, il figlio di Kingsley Shacklebolt, (te lo ricordi? Adesso è il Ministro della Magia), comunque è un tipo strano e non so ancora se mi stia simpatico o meno. 

Comunque stai tranquilla, ci vediamo a Natale, però tu cerca di non stare sola e se proprio non vuoi un fidanzato (anche se potresti chiedere a Harry se ti fa conoscere qualche suo amico auror) allora prendi per davvero un cane. Un corgi mi piacerebbe, come quelli della regina Elisabetta, sembrano cani simpatici e intelligenti, però prendilo in canile. Oppure un carlino, ma meglio un corgi. 

Adesso è meglio che vada che domani mattina iniziano le lezioni e sono già un po’ in ansia. Non so se sarò bravo come a scuola: alcuni miei compagni sono abituati alla magia da sempre e mi sento un po’ stupido in confronto a loro. Ad ogni modo, non credo che qui sarà come la scuola babbana. Per cosa dovrebbero prendermi in giro, dopotutto? 


Con affetto, 

Janus. 


Sulle sue labbra apparve subito un sorriso. Piegò nuovamente la lettera e alzò gli occhi sul gruppetto che se ne stava lì, immobile e teso davanti a lei, in attesa che dicesse loro qualcosa. - Janus è un Grifondoro! - Annunciò allegra.

Harry, Ron, Charlie, George e Ginny esultarono felici, Hermione e Percy fecero un grosso sorriso e si complimentarono, mentre Molly e Arthur guardarono nella sua direzione pieni di commozione. 

- Dice che se fosse finito in Serpeverde avrebbe lasciato la scuola. - Continuò Hazel ridendo. - Un po’ melodrammatico, ma presumo che sia un tratto di famiglia. - 





 

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Capitolo 23. Il tipo ideale ***


Capitolo 23

 

Il due settembre, Janus fu il primo a svegliarsi in tutto il dormitorio di Grifondoro, ma spese almeno un’altra abbondante mezz’ora restando fermo sul letto a godersi l’atmosfera sonnacchiosa e rilassate che si respirava nella sua stanza, prima di alzarsi per raggiungere il bagno. Si lavò e si pettinò con estrema attenzione, deciso a fare buona impressione fin da subito, poi indossò la divisa con cura, sistemandosi per bene la cravatta e la camicia, che infilò nei pantaloni. 

Voleva che tutto fosse perfetto e, guardando il suo riflesso allo specchio, si decise che niente e nessuno sarebbe mai riuscito a rovinare quella prima giornata di lezioni. 

Con lo zaino sulle spalle, il ragazzino uscì silenziosamente dal dormitorio e poi dalla Sala Comune, ritrovandosi nei corridoi ancora vuoti della scuola. Passeggiò senza fretta, guardandosi intorno con interesse, immaginando suo padre alla sua età fare esattamente la stessa cosa in compagnia dei suoi amici.

A Hogwarts c'erano tantissime scalinate: alcune erano ampie e simili a quelle dei babbani, mentre altre erano un vero e proprio attentato alla vita degli studenti, con gradini che scomparivano all’improvviso o rampe che si muovevano portando nella direzione opposta a quella in cui si doveva andare. Tutta la struttura del castello sembrava essere un organismo vivente in continuo cambiamento, con i personaggi dei ritratti che si facevano visita uno con l’altro come se le loro tele fossero degli appartamenti e con le armature che di tanto in tanto sembravano muoversi.  

Quando raggiunse la Sala Grande per la colazione, dopo il suo lungo giro turistico del castello, si rese conto che non era più l’unico studente già in piedi, ma che disseminati lungo i quattro tavoli c’erano già parecchi Tassorosso, alcuni Corvonero e pochi Serpeverde. Al tavolo dei Grifondoro, invece, Hughie gli fece cenno di sedersi al suo fianco e il ragazzo obbedì, camminando a testa bassa fino a raggiungerlo. Si lasciò cadere sulla panca, diede un’occhiata alla colazione e poi al suo compagno di Casa. A contrario di lui, Hughie non sembrava molto interessato ad essere impeccabile: portava la cravatta allentata attorno al collo, la camicia aperta di due bottoni e rigorosamente fuori dai pantaloni e un paio di scarpe da ginnastica babbane. 

- Come è andata la tua prima notte? Hai pianto? - Gli chiese l’altro, ghignando. 

Janus aggrottò la fronte e scosse la testa. - No. - Rispose perplesso. - Tu hai pianto, la tua prima notte? - Domandò poi a sua volta. 

- Certo. - Rispose il ragazzo, come se fosse ovvio, prima di infilzare una salsiccia. - Come si fa a non piangere la prima notte lontano da casa? - 

Janus sorrise, anche se era ancora un po’ sorpreso, e poi si riempì il piatto di uova strapazzate, accompagnate da una fetta di pane ben tostato. - Una volta mia madre mi ha mandato in campeggio, lì effettivamente ho pianto e mi sono fatto anche venire a riprendere in piena notte. - Narrò senza un motivo e con un tono leggero. - Non vedo l’ora di iniziare le lezioni. - Aggiunse poi, parlando più a sé che all’altro. 

- Quali hai, oggi? - Chiese Hughie. 

Janus si frugò nelle tasche della toga, tirando fuori il foglietto su cui aveva appuntato l’orario di tutta la settimana. - Le prime due ore di storia della magia, poi trasfigurazione, pozioni… subito pranzo incantesimi e basta. - Disse, infilando di nuovo in tasca il foglietto. - Nel pomeriggio voglio fare una passeggiata in biblioteca, Hermione dice che è molto ben fornita, magari mi metto a studiare un po’.  - 

Hughie fece una faccia schifata. - Tu sei pazzo se il primo giorno ti vuoi mettere a studiare. - Sentenziò, scuotendo la testa. - Senti, che ne dici se oggi pomeriggio piuttosto ce ne andassimo da Hagrid? Non vuoi conoscere l’ippogrifo di tuo padre? - 

- Fierobecco? Pensavo lo avessero liberato. -  

Hughie scosse la testa. - No, no, è sempre stato qui, ma con un altro nome. - Rispose. 

La Sala Grande, intorno a loro, si stava man mano riempiendo di studenti e studentesse emozionati per l’imminente inizio delle lezioni. Janus notò Klaus, uno dei suoi compagni di stanza, sedersi davanti a lui, dall’altra parte del tavolo. Si trattava di un ragazzino alto, dagli ispidi capelli castani e dagli occhi scuri, che, nonostante avesse undici anni proprio come lui, appariva già come uno studente molto più grande. Infatti, a contrario di Janus che era sempre il più piccolo tra tutti gli altri suoi coetanei, Klaus era robusto e prestante come un adulto. 

- Black. - Esordì, appoggiando teatralmente, e con un tonfo, un grosso libro rilegato in pelle sulla superficie legnosa del tavolo e aprendolo davanti a lui. - Sei un rettilofono? - 

A quella domanda Hughie sobbalzò e Janus per poco non si strozzò con il succo di zucca, ma poi posò con calma il bicchiere sul tavolo e si ricompose, assumendo un’espressione sorpresa. - Cos’è un rettilofono? - Chiese con nonchalance, cercando di ignorare gli sguardi insistenti dei suoi due compagni di Casa. 

Klaus assunse un’espressione molto scettica. - Mi prendi in giro? - Lo accusò alzando entrambe le sopracciglia, prima di iniziare a sfogliare il grosso libro che aveva portato con sé. - Hai fatto strani suoni sibilanti per tutta la notte mentre dormivi, e poi ho letto qui che c’è un ramo della tua famiglia in cui si parla serpentese. -

- Mi dispiace ma non so proprio di cosa tu stia parlando. - Negò ancora Janus. 

- Quindi sei imparentato con Serpeverde? - Gli chiese Hughie, osservandolo bene. 

Janus sbuffò e incrociò le braccia sul petto. - A parte che Salazar Serpeverde non era l’unico rettilofono in tutto il mondo… - 

- Allora sai di cosa stiamo parlando. - Ribatté Klaus con un che di vittorioso nella voce, prima di rivolgersi a Hughie. - Comunque no, gli ultimi discendenti di Serpeverde erano i Gaunt. Ad ogni modo, Black, leggi questo libro quando hai tempo, scoprirai un sacco di cose interessanti, come ad esempio… ah, sì, ecco: lo sapevi che i tuoi parenti volevano rendere legale la caccia al babbano? L’ho letto qui, guarda… e poi ho scoperto che per voi era normale combinare matrimoni tra consanguinei; perfino i genitori di tuo padre erano cugini? Forse è per questo che… -  

- Non sono miei parenti quelli. - Lo interruppe gelidamente Janus, lanciando un’occhiata sprezzante a quel libro. - E poi perché stai facendo questa sorta di… ricerca? -  

L’altro chiuse il libro di scatto, come se si fosse sentito improvvisamente in imbarazzo, ma non diede nessun altro segno di disagio. Sulla copertina di pelle, delle lettere dorate formavano il titolo “nobiltà di natura: genealogia magica”. 

- Mio padre è uno storico della magia esperto in genealogia. - Spiegò di fretta. - Tu ti sei messo a parlare in serpentese nel sonno, quindi mi sono messo a cercare qualche informazione per vedere se avevo ragione. E poi credevo che ti avrebbe fatto piacere scoprire da dove vieni, visto che sei stato via per così tanto tempo. -   

- Grazie per il pensiero ma io so già da dove vengo. E di certo non da questi qui che facevano la caccia al babbano e che si sposavano tra cugini. - Ribadì Janus. - E quello non era serpentese. - 

- Guarda che non è per forza una cosa negativa. - Sottolineò Hughie. - Potenzialmente potremmo farci una passeggiata nella Camera dei Segreti, dato che tu puoi aprirla. - 

Klaus spalancò gli occhi come colto da un’illuminazione, mentre Janus chiese: - Cos’è questa Camera dei Segreti? - 

- Un posto creato da Serpeverde. - Rispose Klaus. - Dentro c’era un grosso basilisco che voleva far fuori tutti i nati babbani della scuola, ma poi Harry Potter lo ha ucciso e il suo scheletro è ancora lì, tutto intero, con tanto di denti velenosi capaci di uccidere un horcrux. Nessuno c’è mai più entrato dato che serve qualcuno che sappia parlare in serpentese. - 

Janus esitò per un istante e poi far rimbalzare lo sguardo tra i due con una velocità tale da farlo apparire nervoso. - Mi sembra una cosa inutilmente pericolosa - Commentò. 

- A me sembra una cosa divertente. - Ribatté Hughie tra sé e sé.  

- Ma quindi tu e tuo padre parlavate in serpentese tra voi? - Domandò Klaus curioso.

Janus scosse la testa. - Ho preso questa cosa da mio nonno e mio zio. E poi avevo un anno e mezzo quando io e mamma ce ne siamo andati da Grimmauld Place, quindi non è che io abbia avuto chissà quanto tempo per parlare con lui in generale. - Rispose amaramente. - Potete non dire a nessuno di questa cosa, per favore? -  

Klaus alzò le spalle. - Sì, non ti preoccupare. - Approvò. - Ma, aspetta… non è che sei una sorta di aspirante mago oscuro, vero? - 

Janus aprì la bocca per rispondere, gonfio di indignazione, ma Hughie lo anticipò: - Blackie è solo un ragazzino di undici anni come tanti altri. - Disse con sicurezza. - E poi ci sono tanti maghi per bene che sono dei rettilofoni. -  

- Potremmo evitare di usare quella parola in luoghi pubblici? - Sbuffò Janus. 

- Allora diciamo che parli italiano? - Buttò lì Hughie.

Nello stesso momento, come se fosse apparsa dal nulla, Annie si sedette dall’altra parte del tavolo, accanto a Klaus. - Chi è che parla italiano? - Esordì allegra. 

Hughie e Klaus si limitarono a fare un cenno verso Janus, che annuì incerto. 

- Davvero? Dai, dimmi qualcosa! - 

Il giovane si lasciò andare a una risatina nervosa. - Hem… hola, cómo estás? -

- Quello è spagnolo. - Obiettò Annie, guardandolo perplessa. 

- Annie, cosa fanno i tuoi nel mondo dei babbani? - Le chiese Klaus, nel goffo tentativo di togliere l’amico dall’imbarazzo.

- Sono entrambi psicologi, hanno uno studio insieme a Londra. - Rispose lei.

Klaus e Hughie si scambiarono uno sguardo dubbioso. - Ed è un lavoro pericoloso? - 

Questa volta toccò ad Annie essere perplessa. - Be’ no… - Rispose incerta. - Non sapete cosa sia uno psicologo, vero? - 

- Io sì. Mia madre mi ci mandava e ci andava anche lei. - Disse Janus, pentendosene all’istante. - Non che io ne abbia mai avuto bisogno. - Si affrettò ad aggiungere. 

- Guarda che non c’è mica niente di male. - Obiettò Annie. 

- Ma che cos’è questo psicocoso, Annie? - Domandò Hughie, curioso. 

- È una persona da cui vai per poter parlare senza essere mai giudicato e che ti aiuta a risolvere alcuni problemi. - Spiegò Annie. - Tu perché ci andavi, Janus? - 

Janus si sentì arrossire e si maledì. - Ci andavo solo perché mia madre mi obbligava, te l’ho detto, non avevo nessuna vera problematica. - Ribatté. - Però lei ci andava perché era triste per mio padre, da quel che so. - 

Lei lo guardò come se non ci credesse affatto e poi si rivolse agli altri due. - E i vostri genitori cosa fanno? - 

- Papà è il Ministro, mentre mamma un auror. - Raccontò Hughie come se si trattassero di due lavori comuni e umili. - Il padre di Klaus è uno storico della magia, mentre sua madre, se non sbaglio, dovrebbe lavorare alla Gazzetta del Profeta, vero? - 

Il ragazzo annuì. - Sì, lei si occupa di cronaca rosa. - Spiegò, prima di guardare Janus: - Tua madre invece di cosa si occupa? - 

- Lei insegna, ma si occupa anche di critica d’arte e saggistica. - Rispose Janus. 

Una campanella annunciò l’imminente inizio delle lezioni, e dunque i quattro studenti si alzarono per avviarsi nelle rispettive classi. 

- Certo che i babbani fanno lavori proprio strani. - Commentò Klaus, camminando verso l’uscita della Sala Grande. - I genitori di Annie vengono pagati per ascoltare i problemi altrui, mentre alla mamma di Janus basta fare qualche critica a qualche quadro. - 

Hughie raggiunse i suoi compagni del quarto anno, mentre Janus, Klaus e Annie si affrettarono a raggiungere il terzo piano per la lezione di storia della magia insieme ai Tassorosso, che risultò noiosa a tutta la classe tranne che a Klaus, che invece riteneva storia una materia molto interessante. 

- Stavo per addormentarmi, lo giuro. - Si lamentò Janus, due ore dopo, percorrendo il corridoio che li avrebbe portati verso l’aula di trasfigurazione. 

- Tu non ne capisci il fascino. - Lo bacchettò Klaus. - È importante sapere chi c’è stato prima di noi perché così possiamo capire meglio noi stessi. - 

- Come dici tu, Hopper. - Lo assecondò Annie, salendo le scale. 

Trasfigurazione si rivelò fortunatamente un entusiasmante. La insegnava la preside in persona, che fece loro un discorso sulla materia per poi trasfigurare una civetta in un calice d’acqua e viceversa. Tutti rimasero impressionati, ma si resero presto conto che ci sarebbe voluto un bel po' di tempo prima che diventassero abbastanza bravi da trasfigurare un animale in un calice. 

Come alla scuola babbana, Janus prese appunti con facilità e fu felice di notare che non ci fosse ancora troppa pratica con la bacchetta: anche se si era un po’ esercitato a casa, aveva paura di non essere bravo come tutti gli altri. 

Poi però la McGranitt diede a ciascuno di loro un fiammifero da trasformare in un ago, cosa che lo fece piombare nell’angoscia. Alla fine della lezione, il fiammifero di Janus era diventato tutto d’argento, ma non aveva minimamente l’aspetto di un ago. 

- Come hai fatto? - Gli chiese Klaus, mentre tutti e tre si avviavano verso il sotterraneo per la prima lezione di pozioni. 

- Mi sono esercitato un po’ a casa, infatti speravo che andasse un po’ meglio. - Spiegò lui, alzando le spalle. - Trovo che trasfigurazione sia una materia molto interessante. Mi piacerebbe diventare animagus un giorno. -

- Magari sarai un cane anche tu. - Buttò lì Klaus e poi, sotto lo sguardo interrogativo di Annie, aggiunse: - Suo padre si trasformava in un cane nero, è così che è scappato da Azkaban, l’ho letto sulla figurina delle cioccorane. -

- Lui è sulle figurine delle cioccorane? Insieme a Silente e Harry e Merlino? - Chiese Janus, guardando l’amico sorpreso.

- Sì, ma appare solo nell’edizione che mettono in commercio ogni anno per l’anniversario della fine della guerra. - Spiegò Klaus. 

- Cioccorane? Cosa sono? E cos’è Azkaban? - Domandò invece Annie. 

- Comunque dopo te ne do una. - Aggiunse in fretta Klaus mentre camminavano lungo un corridoio molto affollato, per poi guardare la ragazzina al suo fianco. - Le cioccorane sono delle rane di cioccolato con dentro delle figurine con i maghi e le streghe che hanno fatto qualcosa che li ha resi famosi. Nel caso del signor Black è stato… morire, credo, ma anche scappare da Azkaban, la prigione dei maghi. - 

- Sì, ma era innocente. - Si affrettò a dire Janus.  

- … era un posto davvero terrificante Azkaban. - Continuò Klaus, come se l’altro non avesse parlato. - Con i dissennatori che ti facevano uscire fuori di senno nel giro di qualche anno, celle di pochi metri senza nemmeno dei veri letti. Meno male che il Ministro Shacklebolt ha cambiato un po’ le cose. -  

- Perché, adesso com’è? - Domandò Janus, con interesse. 

- Ci sono ancora i dissennatori, dato che nessuno sa come liberarsene, ma le condizioni di vita dei prigionieri sono migliorate parecchio. - Raccontò Klaus. - Adesso si punta alle riabilitazione piuttosto che alla punizione. Infatti già il prossimo anno i primi mangiamorte, quelli che hanno commesso reati di minore entità, cominceranno ad essere rilasciati. Ma nessuno è veramente d'accordo con questa cosa. - 

- Chissà come mai. - Mormorò Janus, rabbrividendo.

L’aula di pozioni era fredda, umida e un po’ tetra, ma a Janus piaceva, anche se le pareti erano piene zeppe di scaffali su cui erano poggiati tanti barattoli di vetro in cui galleggiano animali immersi in un liquido giallognolo. I banchi non erano come quelli che occupavano le altre classi, ma si trattava di tavoli molto più grandi e non di legno circondati da sgabelli alti. 

Una volta entrati, Janus notò che gli studenti di Serpeverde, con cui avrebbe dovuto dividere quella prima lezione di pozioni, erano già arrivati e si erano sistemati occupando i due tavoli sulla destra; i tre Grifondoro, dunque, si accomodarono dall’altra parte dell’aula insieme al resto degli studenti della loro Casa. 

Janus, seduto su uno di quegli alti sgabelli, tirò fuori dal suo zaino il manuale di pozioni nuovo di zecca, la piuma e un paio di fogli di pergamena, senza badare troppo a chi aveva intorno e nemmeno agli sguardi che alcuni studenti dal tavolo di Serpeverde gli stavano lanciando. In fin dei conti era abituato a cose del genere, dato che era stato il ragazzino strano fin dai tempi dell’asilo, inoltre Harry lo aveva avvertito sul fatto che, nonostante la guerra fosse finita da parecchi anni, ci fossero ancora famiglie di maghi convinti della loro superiorità di purosangue. Lui, figlio dell’ultimo Black e di una comune babbana, rappresentava ciò che di più sbagliato ci potesse essere nel mondo. 

- Black, quella lì ti fissa in modo strano. - Lo avvertì Klaus, dandogli una gomitata e facendo un cenno verso il lato della classe occupato dai Serpeverde. 

Janus guardò nella direzione dell’amico, dove Faye se ne stava seduta, un po’ in disparte, con gli occhi puntati proprio verso di lui. - L’ho conosciuta al Ghirigoro quando sono andato a comprare i libri. - Spiegò. - Si chiama Faye. Faye Selwyn. - 

- Non sembra molto simpatica. - Commentò Annie, voltandosi verso di lei senza ritegno.

- Credo che non lo sia affatto. - Annuì Janus. 

La Serpeverde da prima sembrò fulminare i tre Grifondoro con lo sguardo, poi fece uno strano sorrisetto e li salutò muovendo la mano nella loro direzione. - Ciao, Black. - Disse, senza preoccuparsi di attirare l’attenzione dell’intera aula. 

Senza un apparente motivo logico, Janus sentì la sua gola farsi improvvisamente molto secca, mentre le sue guance molto calde. Si limitò a ricambiare il saluto di lei a volume bassissimo, sotto le occhiate perplesse dei Serpeverde a cui la ragazzina proprio non badava, a contrario di lui che, invece, si sentiva un po’ troppi sguardi addosso. 

- Sul serio, Selwyn? - Intervenne un ragazzino dai capelli chiari, quello che la sera prima, alle barchette, si era ad Annie e Janus con il nome di Abner Rowle. - Perché parli a questi qui? Una babbana, un mezzo babbano e un traditore del proprio sangue… -  

Mentre tra i Grifondoro la tensione salì quasi nell'immediato, Faye si voltò verso il compagno di Casa rivolgendogli un sorrisetto mellifluo e molto difficile da comprendere.  

- Che succede, Rowle? - Le chiese con voce leggiadra. - Pensi ancora di essere nel 1998? - 

- Purtroppo no. Se fossimo nel 1998 quello sgorbio lì non starebbe deturpando la mia vista in questo momento. - Ghignò Rowle, facendo un cenno verso Annie, le cui labbra si piegarono verso il basso. - E scommetto che neanche quel finto Black ci avrebbe degnato della sua presenza, se ne sarebbe rimasto ben nascosto in America. A quanto pare quello di nascondersi è un vizio di famiglia. - 

- Cosa intendi dire, scusa? - Gli chiese Janus. 

L’altro sogghignò e poi alzò le spalle. - Non era tuo padre quello che si nascondeva nella vecchia casa di sua madre mentre tutti gli altri combattevano contro il Signore Oscuro? Sì… sai, quello che è uscito una volta sola in un anno e ci ha anche rimesso e penne. - 

Janus non ribatté. Non gli piaceva discutere e, anzi, aveva imparato dalla scuola babbana che ignorare i bulli solitamente era un buon modo per toglierseli di torno. Quello era stato il suo approccio da quando, dopo aver trasformato i capelli di un bambino in un ammasso di vermi per sbaglio all’età di otto anni, sua madre gli aveva detto di essere delusa, estremamente delusa, dal suo continuo reagire male alle prese in giro degli altri bambini. Dopotutto era la quinta scuola che avrebbero dovuto cambiare in pochi anni. 

Anche in quel caso, davanti ad Abner Rowle, Janus non disse una parola, ma fu invece la Serpeverde a parlare al posto suo: - Lascia stare, Black. Credo che Rowle sia geloso del fatto che vai meglio di lui in trasfigurazione nonostante tu sia cresciuto tra i babbani. - Disse Faye.

- Attenta, tu. - Sibilò Rowle in risposta. - Non vorrai mica fare la fine di mammina, vero, Faye? - 

Accadde tutto in un millesimo di secondo. Faye sfoderò la bacchetta puntandola nella direzione del compagno di Casa, ma forse senza nessuna vera intenzione di lanciare un incantesimo verso Rowle, che invece non ricambiò il favore. Il Serpeverde urlò una formula magica come se fosse una cosa normale per lui lanciare incantesimi contro una persona, e il corpo di lei venne scaraventato contro uno degli scaffali pieni di barattoli, scatenando il caos tra gli studenti.  

Con una stoicità che Janus le invidiò, Faye si alzò in piedi quasi nell’immediato, ma con uno sguardo talmente duro negli occhi che faceva quasi paura. Fece un passo verso il suo compagno di Casa con l’andamento di una che sicuramente lo avrebbe preso a pugni e quando il ragazzo levò di nuovo la bacchetta davanti a sé, qualcosa fece scattare il Grifondoro in avanti ancor prima di pensare di farlo: non conosceva nessun incantesimo di disarmo, ma non poteva di certo stare lì, fermo a guardare mentre Rowle schiantava nuovamente Selwyn. No, lui non avrebbe fatto finta di niente come per anni avevano fatto i suoi compagni di classe quando qualcuno lo prendeva di mira, lui non si sarebbe voltato dall’altra parte.

Nonostante non avesse mai avuto la stazza da linebacker*, fu piuttosto facile atterrare Rowle un istante prima che pronunciasse un’altra formula, anche se se ne pentì quasi subito. - Hem… scusa. - Disse, mentre entrambi erano ancora a terra. - Non ti sei fatto male, vero? - 

- Che sta succedendo qui? - La voce di Lumacorno, appena apparso sulla soglia dell’aula, era quasi disperata. - Le mie scorte di veleno di veleno di acromantula… e tutti i miei crini di unicorno… - Quasi piagnucolò, dirigendosi verso l’ammasso di barattoli rotti. 

- Black e Selwyn mi hanno attaccato, signore. - Raccontò Rowle, tornando in piedi.

Tra gli studenti si alzarono cori indignati e non: metà dei Serpeverde dava ragione a Rowle, mentre l’altra metà si teneva fuori, mentre la totalità di Grifondoro si era schierata dalla parte di Janus e Faye. 

- Basta, basta! - Esclamò Lumacorno, con fare sbrigativo. - Mi duole molto, ma temo che tutti e tre voi dobbiate seguirmi… non è concepibile che devastiate l’aula di pozioni durante il primo giorno, anzi, durante la prima lezione di pozioni in assoluto. Avanti, andiamo. Cerchiamo il professor Paciock, così che si possa occupare anche di lei, signor Black. Dopotutto è lui il direttore di Grifondoro. -  

Janus rivolse un fugace sguardo terrorizzato a Klaus ed Annie, prima di obbedire docilmente, seguendo il professor Lumacorno e i due Serpeverde fuori dall’aula e poi su verso le scale. Camminarono in silenzio per quei corridoi affollati, il cuore di lui tormentato dal terrore di essere espulso, finché non raggiunsero la porta dell’ufficio del professor Paciock, direttore della casa di Grifondoro. 

Lumacorno bussò e, quando udì una voce che la invitava ad entrare, spalancò la porta, varcando la soglia con Janus, Faye e Rowle al seguito. 

Si trattava di una stanza quadrata, caotica e piena zeppa di piante come se fosse una serra. Dentro, il giovane professore stava prendendo un tè con la preside, che ricambiò i loro sguardi in modo severo. 

- Buongiorno Neville… signora preside. - Disse Lumacorno, a modo di saluto. 

- Horace, che succede? - Domandò subito la McGranitt, passando gli occhi da Lumacorno agli studenti e viceversa. 

- C'è stato un piccolo screzio: a quanto pare Black e Selwyn hanno attaccato il signor Rowle causano una vera devastazione dell’aula di pozioni. Ho pensato fosse giusto informare il professor Paciock. -  

- Io non ho attaccato nessuno e nemmeno Black! Anzi, casomai il contrario! - Sbottò Faye, piena di indignazione. - Cioè… in un certo senso Black ha attaccato Rowle, ma solo perché pensava che avessi bisogno di aiuto. E, tra parentesi, non ne avevo bisogno. - 

- Non è vero! - Esclamò Rowle. 

- Invece è vero. - Ribatté Faye, e Janus pensò che avesse troppa tenacia per essere conservata tutta in quel corpo minuscolo. - E hai detto anche cose razziste su quella lì, la nata babbana bruttina… e anche cose cattive sul signor Black! Non lui, ovviamente, ma l’altro… Sirius Black! - 

La McGranitt alzò una mano poco prima che Rowle aprisse bocca per rispondere e poi sospirò e scosse la testa. - Qual è l’entità dei danni, professore? - Domandò a Lumacorno. 

- Ho perso tutto il veleno di acromantula! Lei lo sa quanto è raro, signora preside. Per non parlare dei crini di unicorno! - Rispose il professore di pozioni.  

- Una settimana di punizione per tutti e tre. - Sentenziò, senza curarsi di Neville, consapevole di quanto il suo ex studente detestasse punire gli alunni. - Il signor Gazza avrà sicuramente bisogno di una mano per sistemare il vecchio archivio scolastico e voi lo aiuterete, chiaramente senza magia. - 

Janus sentì il suo petto improvvisamente vuoto. Mai alla scuola babbana aveva ricevuto una punizione. - M-ma io non ho fatto niente. - Mormorò, con le labbra piegate verso il basso. - Pensavo che… lui ha tirato fuori la bacchetta e… la prego, non mi espella! - 

La McGranitt gli lanciò un’occhiata penetrante. - Se dovessi espellere uno studente ogni volta che si azzuffa con altri allora non ci sarebbero più maghi diplomati in tutto il Regno Unito. Ma il professor Paciock dovrà scrivere a sua madre. Questo è quanto. - 

Janus sospirò con aria sconfitta. Era solo il primo giorno e già era finito nei guai, e la colpa era solo di Faye Selwyn. 

Prima di seguire Lumacorno nuovamente fuori dall’aula, il Grifondoro scoccò alla ragazzina un’occhiata raggelante e poi decise: si sarebbe tenuto lontano, molto lontano, da quella lì.


Mentre Janus cercava di muovere i suoi primi goffi passi nel mondo dei maghi, Hazel, a Londra, affrontava la solitudine di una casa vuota. Janus le mancava tantissimo e nonostante le sue giornate fossero scandite dalla solita routine fatta di lezioni e ricerca, passando dunque tantissimo tempo occupata, stava facendo fatica ad abituarsi a quella spiacevole sensazione di vuoto che provava ogni volta che si ritrovava in quella casa vuota la sera. Per troppo tempo aveva vissuto in funzione di suo figlio, rinunciando alla propria individualità al punto tale di dimenticare quasi sé stessa, e adesso che si ritrovava sola la vita le appariva più grigia e insensata che mai. Di tanto in tanto si concedeva un tè dai Weasley, un rapido pranzo in compagnia di qualche sua collega e qualche cena da Harry e Ginny nella loro graziosa casetta di Godric’s Hollow, ma la sua vita sociale iniziava e terminava lì, in quella cerchia ristrettissima di persone. 

Inoltre, quando il lavoro glielo concedeva, le piaceva accompagnare Molly a fare compere a Diagon Alley, fingendosi una strega come ai tempi di Grimmauld Place, con la differenza che, adesso, tutti sapevano benissimo chi in realtà lei fosse. 

Camminavano tra i negozi, compravano le cose necessarie e poi si accomodavano alla gelateria Fortebraccio (gestita dalla figlia e dal figlio di Florian, scomparso durante la guerra) o al Paiolo Magico. Spesso a loro si univa anche Andromeda, e Hazel aveva sempre la strana impressione di aver trovato in loro qualcosa di simile a due madri. 

Fu in una di quelle mattinate che Hazel si imbatté per la prima volta in Narcissa e nel resto della famiglia Malfoy. Sebbene le due sorelle Black avessero chiarito dopo la guerra, tra loro era rimasta una certa freddezza, forse soprattutto per colpa di Lucius che, nonostante avesse abbandonato la vecchia via, manteneva ancora qualche posizione non del tutto ortodossa nei confronti dei babbani. 

Hazel, dal canto suo, trovava sia la moglie che il marito piuttosto spocchiosi e antipatici, ma non Draco, che invece non sembrava affatto il ragazzino malvagio di cui aveva sentito parlare tanti anni prima. Lui, infatti, anche se probabilmente contro il parere dei suoi genitori, aveva addirittura un buon rapporto con il cuginetto Teddy, e confidò a Hazel che un giorno gli sarebbe piaciuto addirittura poter conoscere Janus. 

Hazel era stata anche sulla tomba di Lily e James, ritrovandosi a pensare tristemente e per l’ennesima volta al fatto che Sirius non aveva avuto nemmeno un degno funerale. Anche dopo tutti quegli anni, e nonostante il vuoto che lui le aveva lasciato dentro, non era ancora riuscita a convincersi del tutto del fatto che fosse morto. L’unica cosa di cui invece era certa era che, nel caso in cui lui fosse magicamente tornato in vita, tra di loro le cose non sarebbero di certo tornate come una volta. Le aveva spezzato il cuore diversi mesi prima di sparire dietro quel velo, le aveva modificato la memoria condannandola lontana da tutti quelli a cui teneva per molti anni: quel tipo di dolore non poteva essere semplicemente cancellato come se niente fosse successo. 

Fu in quei giorni che, per la prima volta, Hazel pensò seriamente che fosse giunto il momento di rifarsi una vita, uscire con qualcuno in modo serio, costruire qualcosa di solido. Il problema era solo uno: non aveva idea di come fare, dato che a Londra non conosceva nessuno o quasi.   

Così Hazel si affidò completamente nelle mani di Charlie e Ginny, che le fecero conoscere una quantità impressionante di uomini, senza però nessun risultato. 

- Mi spieghi cosa aveva che non andava Baston? È perfetto! - Sbottò Ginny, una sera, dopo l’ennesimo appuntamento inconcludente che si era svolto solo il giorno prima. 

- È perfetto se ciò che cerchi è un atleta da strapazzo capace di parlare sempre e solo di pluffe e boccini svolazzanti e scope da corsa. - Ribatté Hazel. - Non è il mio tipo. - 

Si trovava alla Tana, in compagnia di quelli che erano diventati ormai i suoi Cupido personali. 

Charlie, dall'altra parte del tavolo della cucina, sospirò arreso. - Puoi spiegarci qual è il tuo tipo, allora? - Domandò alzando gli occhi al cielo.  

- Be’ deve essere affidabile, preciso, paziente, serio. Non mi basta che sia semplicemente carino, non ho mica più quindici anni. - Iniziò lei. - E poi deve essere intelligente, curioso, acculturato e deve avere delle ambizioni: anche se a vederlo così poteva non sembrare, Sirius conosceva tante cose, parlava francese, aveva letto quasi tutta l’opera di Shakespeare e suonava discretamente il pianoforte. - 

- Potremmo farle conoscere quel cugino di Fleur, che ne dici, Ginny? Quello che indossa sempre quel papillon, come si chiama… - Fece Charlie, con fare pensieroso. 

- Philippe. - Rispose Ginny. - Ma lui non è molto affidabile, ha nove figli sparsi in nove paesi diversi, non fa al caso nostro. -  

- Allora che ne dici del figlio del fratello della prozia Muriel? - 

- Bertholdt? Lui è un brav’uomo, è vero, ma non credo proprio che sia uno che suona il pianoforte e che parla francese. - Osservò Ginny. - Forse Hazel dovrebbe abbassare un po’ i suoi standard. Insomma, Sirius sarà stato anche un bell’uomo, affascinante e tutto il resto, ma era tutto tranne che affidabile, preciso e paziente. - 

- Questo è vero, ma io ero molto innamorata di lui quindi non mi importava. - Spiegò Hazel. - Comunque qui stiamo parlando un po’ troppo di me e un po’ troppo poco di Dora, non credete? -  

I due si scambiarono uno sguardo perplesso. - Che c’entra Tonks? - Chiese Charlie. 

Hazel sbuffò e poi intrecciò le mani davanti a sé. - Perché non la inviti ad uscire? - 

Charlie sgranò gli occhi, guardando Hazel come se l’avesse appena colpito con un forte schiaffo. - Be’... lei è un po’ diversa rispetto a qualche anno fa. - Rispose con cautela. 

- Sì, Dora è ancora parecchio giù di morale per Remus. - Continuò Ginny. - Lei lo ha visto morire. Nessuno ha mai voglia di parlarne ma, Hazel, devi capire che la battaglia di Hogwarts è stata davvero tremenda. Se poi a questo si aggiunge anche l’omicidio di Ted Tonks e tutto quello che i Mangiamorte hanno fatto patire alla sua famiglia… direi che non possiamo fa altro che capire la povera Dora. - 

Hazel sospirò. D’un tratto la temperatura della stanza era crollata e una valanga di tristezza e brutti ricordi sembrava averli seppelliti. Alzò lo sguardo e vide negli occhi dei Weasley tutto il loro dolore e le ferite ancora aperte di quella battaglia in cui avevano perso Fred e decine di altre persone care. 

Poi la porta d’ingresso alle spalle di Hazel si spalancò con uno scricchiolio, rompendo il silenzio che si era venuto a creare, e quando la donna si voltò in quella direzione notò la presenza di Percy, che era appena entrato con le sue due figliolette al seguito. Molly e Lucy erano gemelle si somigliavano talmente tanto che quasi era difficile riconoscerle: entrambe avevano i capelli di un rosso intenso, diverso da quello che solitamente accomunava tutti gli altri Weasley, ma mentre Molly aveva gli occhi castani della madre, Lucy aveva ereditato quelli azzurri del padre. 

Hazel le aveva viste solo una volta, di sfuggita, per le vie di Diagon Alley insieme alla loro madre, Audrey. Lei e Percy si erano conosciuti a scuola, ma si erano avvicinati solo dopo, al Ministero. Si erano amati, sposati, avevano avuto le loro due figlie ma poi i due si erano lasciati, circa tre anni prima, per quelle che Percy chiamava “incomprensioni caratteriali”, ma quasi tutti in famiglia pensavano che Audrey lo avesse tradito.  

- Buonasera. - Salutò Percy, mentre le figlie correvano al piano di sopra. - Ciao, Hazel. -

- Percival. - Disse lei, a modo di saluto. - Non sapevo che ci fossi anche tu stasera, altrimenti ti avrei riportato quel libro sulla politica magica del ‘700. - 

- Lo hai già finito? - Domandò lui, sorpreso, mentre si sedeva composto al suo fianco. 

- Sì, ieri. Di ritorno dal mio appuntamento con Oliver Baston ho sentito la necessità di leggere qualcosa, dato che credevo di essermi instupidita. - Rispose lei, sospirando. 

- Davvero sei uscita con quell’idiota? Per Godric… avrà parlato solo di quidditch! - 

Hazel annuì e sospirò di nuovo. - Lascia stare. - Gemette. - Piuttosto, dimmi, tu come sei messo con Schopenhauer? Guarda che poi ti interrogo. -

- È deprimente, ma non così complesso. Ad ogni modo le tue note a bordo pagina mi aiutano parecchio, ma direi che non rientra tra i miei preferiti. - 

- Figurati, io lo detesto, era un tipo decisamente incoerente, predicava bene e razzolava male, malissimo. Non mi sorprende che tutti preferissero Hegel a quei tempi. -

- Esattamente. Predicava tanto l’ascesi, condannava l’invidia e la gelosia e poi era il primo a rodersi il fegato perché Hegel aveva più successo di lui. - 

- Percy, io sono veramente commossa. Ti facevo troppo un tipo da Schopenhauer. - 

- Così mi offendi, cara. - 

Charlie e Ginny si scambiarono un’occhiata perplessa, come se si fossero persi qualcosa. 

- Hazel, sul serio leggi i mattoni noiosissimi di Percy? - Domandò la ragazza, con cautela. 

Hazel fece sì con la testa. - Pensa che lui legge i miei e li capisce anche. - Disse. - È molto portato, si vede che è uno che pensa. Anche con l’arte non se la cava male, cosa rara per un mago, dato che per voi è una disciplina costituita da quadri parlanti. - 

Charlie per poco non cadde dalla sedia, improvvisamente colto da una rivelazione. - Voi due dovete uscire insieme! - Gridò. 

Ci fu un attimo di silenzio nel quale tra gli occhi di Percy comparve una ruga, poi Hazel scoppiò a ridere, scuotendo la testa. - Percy è troppo piccolo. - Argomentò.  

- Guarda che ha solo un anno in meno di Oliver. - Obiettò Charlie. 

- Ad ogni modo non posso uscire con nessuno di voi Weasley. - Ribatté Hazel. - E se potessi punterei tutto su Bill, senza offesa, ragazzi. - 

- Sì, Hazel, aspetta e spera che quello lì lasci Fleur. - Rise Ginny. 

- Effettivamente non posso competere. - Convenne Hazel. 

Ci fu nuovamente qualche secondo di silenzio, e poi Percy parlò: - Perché non puoi uscire con nessuno di noi? -  

Hazel sgranò gli occhi con fare sorpreso. - Perché voi siete come una famiglia per me, sarebbe strano. Cosa pensi che direbbe Molly a riguardo? - 

- Tu piaci a nostra madre. - Si mise in mezzo Ginny. - Molto più di quanto le piacesse Fleur all’inizio, questo è certo, e lei e Bill si sono addirittura sposati. Inoltre credo che papà impazzirebbe dalla gioia se uno dei suoi figli si mettesse con una babbana. Certo, i vostri pargoli verrebbero fuori noiosi e saccenti, ma sono sicura che tutti li amerebbero lo stesso. -

Hazel fece una risatina acuta e nervosa, mentre Percy prese a tormentarsi nervosamente le mani appoggiate sul tavolo. 

Lei non sapeva per qualche motivo ma, nonostante la cosa le creasse non poco imbarazzo, non pensava che quella di Charlie fosse del tutto una cattiva idea. Durante quelle ultime lei e Percy avevano parlato molto; mai di loro stessi, sempre e solo di libri, ma avevano comunque parlato. 

Prese un respiro profondo e si voltò per poterlo guardare. - Magari potremmo farlo per davvero. - Disse ostentando naturalezza. - Non la parte dei pargoli, ovviamente. - 

- Sì, potremmo uscire una volta. - Convenne lui, ma molto più rigido. 

- Da amici. - 

- Certamente. - 

- Senza alcun impegno. -

Accadde così che, in qualche modo, Hazel Rains iniziò ad uscire con il Weasley meno Weasley della storia.  

Le settimane presero a rincorrersi rapide verso l’inizio di ottobre. Iniziarono le prime piogge autunnali e con loro anche lo strano legame che unì Hazel e Percy molto più velocemente del previsto. Passavano molto tempo insieme; leggevano e soprattutto parlavano come Hazel non faceva da tempo con nessuno. Finirono così in poche settimane ad aprirsi uno con l’altra, raccontandosi tutto quello che era andato storto nella loro vita durante tutti quegli anni di guerra e di perdita. Percy parlò di Fred, del suo senso di colpa per non essere tornato in famiglia prima, dell’ambizione che l’aveva quasi rovinato. Si sentiva un fallito sotto ogni punto di vista: faceva un lavoro noioso che non lo soddisfava più, il suo matrimonio era fallito ed ora si era ridotto a vedere le sue figlie una volta a settimana e solo se Audrey glielo permetteva, e la sua famiglia d’origine era stata frantumata in mille pezzi da un lutto dilaniante. L’età adulta non gli aveva regalato nulla di ciò che aveva sperato e questa era una delle tante cose che aveva in comune con Hazel: lei, come lui, aveva avuto dei sogni, delle speranze, aveva sognato in grande ed era riuscita ad ottenere solo una briciola di quanto si aspettava. Certo, insegnare le piaceva, proprio come le piaceva scrivere, ma da quanto tempo non prendeva un pennello in mano? 

Nonostante avessero fatto il possibile per tenere quella loro frequentazione segreta, a tutti fu palese quasi fin da subito che tra i due era nato qualcosa, anche se nessuno si spiegava bene come questo fosse accaduto. 

E poi, una gelida sera di metà ottobre, Percy la baciò davanti alla porta di casa e, la stessa sera, fecero l’amore per la prima volta. 

Era stato faticoso per Hazel tornare ad uscire con qualcuno dopo la morte di Sirius. Spesso le risultava complicato anche solo lasciarsi toccare senza sentirsi in colpa, ma con Percy fu diverso, fu… rigenerante, nuovo, giusto.

- A cosa pensi? - Le domandò lui, osservandola nella penombra della camera da letto. 

Hazel esitò per qualche secondo, ma si voltò nella sua direzione, stesa su un fianco, e poi sorrise. - Sai, di solito, subito dopo averlo fatto mi sciolgo in lacrime. - Confessò. 

- E perché mai? - 

Lei, di nuovo, si prese qualche secondo in più per rispondere, quasi come se stesse cercando le parole più giuste, ma stavolta Percy la anticipò: 

- È perché pensi ancora a lui? - Le chiese con sincero interesse. - Pensi ancora a Sirius? - 

- No, non mentre… sarebbe un po’ strano, non credi? - Disse Hazel facendo una risata vagamente sconvolta. - Però sì, ci penso ancora molto. È stato il mio primo amore, speravo che fosse anche l’ultimo e di passare tutta la mia vita insieme a lui, inoltre è il padre di Janus. Scommetto che per te è lo stesso con Audrey. - 

Percy sospirò. - Non proprio, no. - Rispose pensieroso. - Le voglio bene, questo è ovvio, ma tra noi non c’è mai stato lo struggente amore di cui mi parli tu. Lei se ne lamentava spesso, diceva che non sembravo veramente umano, che stare con me era come stare con un pezzo di ghiaccio, che a trent’anni e dopo pochi anni di matrimonio le cose non erano così che dovevano essere, e il bello è che aveva ragione. - 

- Ma tu non mi sembri un pezzo di ghiaccio. - Obiettò Hazel. - Perlomeno non in contesti come questo qui. In realtà mi hai piacevolmente sorpresa, Percival. - 

Lui trattenne una breve risata e poi scosse la testa. - Sei troppo gentile. - 

- Ma dico sul serio! - Insistette lei. - Da uno come te mi aspettavo del sesso standard e noioso in posizione canonica, al buio e in perfetto silenzio, e invece te la sei cavata. -  

- Tu invece sei stata decisamente come mi aspettavo. - Svelò Percy. 

- Cioè? - 

- Cioè una che ama avere il controllo della situazione, che fa tutto lei e tu non ci capisci niente. - Spiegò il mago. - Ma la cosa non mi disturba, alla fine non sono mai stato quel tipo di uomo che usa il suo apparato come metafora di dominazione. -

- Apparato? Questo si che è un nome particolare da dare ad un cazzo. - Rise Hazel, prendendolo in giro. - Ad ogni modo, sappi che non sono stata sempre così e che, anzi, da giovane ero esattamente l’opposto: una perfetta preda. - 

- E poi, cosa è successo? - 

Hazel si strinse nelle spalle. - E poi Sirius è morto e io sono stata per molti molti anni da sola. - Spiegò. - Quando sono tornata ad uscire con qualcuno ero così terrorizzata all’idea che prima o poi ci sarei dovuta andare a letto che l’unico modo per farlo è stato mantenere il controllo, fare tutto io, non lasciarmi toccare. È stato orribile, me ne sono andata via di corsa da casa sua in lacrime e ho pianto per tutto il tragitto verso il mio appartamento, ma in qualche modo mi sono sbloccata. - 

- Però hai continuato a piangere anche tutte le altre volte, hai detto. - Le ricordò lui. 

- Ma non stavolta. - Disse lei, e senza un perché si sentì un po’ in imbarazzo. - Comunque basta parlare della mia noiosissima e disastrosa vita amorosa, dimmi della tua. -  

- Non c’è molto da dire. - Ammise Percy. - La mia prima ragazza ce l’ho avuta durante il sesto anno a Hogwarts, era una Corvonero, ci siamo lasciati qualche mese dopo la fine della scuola. Poi c’è stata Audrey e dopo solo qualche frequentazione inconcludente. E tu, dopo Sirius? Non ti sei mai più innamorata? - 

Hazel scosse la testa. - Però una volta ci sono andata molto vicino. - Mormorò, ma sorridendo, prima di iniziare a raccontare: - Dopo la fine della guerra ho passato un periodo veramente oscuro; ero sola, con un bambino di quattro anni a cui badare e un vuoto talmente grande nel cuore… ero così triste, Perce, così triste che, di notte, mentre fissavo il soffitto sdraiata sul mio letto, mi ritrovavo a fare pensieri terribili. - La sua espressione mutò di botto facendo sparire il sorriso che aveva sulle labbra pochi istanti prima. - Pensavo che vivere stesse diventando un po’ troppo faticoso per me, che tanto qualcuno si sarebbe preso cura di Janus una volta arrivata la lettera per Hogwarts, che dopotutto lui non aveva bisogno di me. Facevo pensieri del genere così spesso, pensavo di continuo a tutti i modi che potevo trovare per farmi fuori, eppure non ne avevo il coraggio. Insomma, ero come bloccata in un limbo: da una parte sarei voluta morire, ma dall’altra non lo volevo abbastanza da farla finita. Così sono andata da uno psicologo, che è una figura professionale che si occupa della salute mentale. -  

- E ti sei innamorata di questo psicologo? - Domandò Percy. 

- No, no. - Rispose subito Hazel, scuotendo la testa. - Lo psicologo da cui andavo lavorava in uno studio in cui c’erano tanti altri terapeuti e lì, ogni giovedì alle sei del pomeriggio, mi imbattevo sempre nello stesso ragazzo, Ryan. Dopo mesi di brevi conversazioni sul tempo, lui mi chiese di prendere un caffè in sua compagnia e io ho detto di sì e da lì abbiamo cominciato ad uscire insieme per più di un anno. Lui è stato l’unico che ha conosciuto mio figlio, anche se non in veste di fidanzato, dato che non abbiamo mai ufficializzato la nostra relazione o quello che era. Non ha saltato nemmeno un saggio di violino, nemmeno una partita di football. Quando poi lui ha lasciato New York per trasferirsi a San Francisco, Janus ne ha sofferto davvero tanto. Ryan era la cosa più vicina ad una figura paterna che avesse mai avuto, a parte Remus ovviamente, ma anche lui non c’era più ormai e da parecchio. Da quel momento ho deciso che non mi sarei mai più avvicinata ad un uomo finché Jan non fosse partito per Hogwarts. Aveva già perso suo padre e poi Remus, non volevo che soffrisse ancora. Lui è la persona più importante della mia vita. -  

Percy tacque, facendo piombare Hazel nel dubbio di aver parlato troppo. Lo conosceva da poco, troppo poco, e lei gli aveva appena raccontato di aver pensato di uccidersi, cosa le era venuto in mente? Ma, soprattutto, da quando si apriva con quella facilità? Sirius ci aveva messo tutta l’estate per tirarle fuori qualcosa del suo passato, perché con quel Weasley le cose dovevano essere diverse? Si maledì e si diede della stupida mentre la spiacevole sensazione di essersi esposta troppo la stritolava. 

- Mi ricordi mia madre. - Parlò Percy, facendola sobbalzare. 

- Sul serio ti ricordo Molly? E perché? - Domandò ridendo. 

- Sei fragile e forte come lei, e poi il modo in cui parli di tuo figlio… lui è sempre al primo posto per te e non è una cosa così scontata. - Spiegò il mago. 

- Be’, grazie, Perce… anche se “mi ricordi mia madre” non è proprio la frase che ogni donna sogna di sentirsi dire dopo averci dato dentro per ore. - Rispose Hazel, perplessa e divertita insieme. 

Lui alzò gli occhi al cielo e scosse la testa. - E io che volevo farti un complimento. - 

- Sei pessimo nei complimenti. - Ribatté lei sorridendo, per poi tornare seria subito dopo essersi voltata per guardare l’ora. - È molto tardi. - Disse. 

Non voleva chiedergli direttamente di andarsene, ma ancora non se la sentiva di dormire con qualcuno al suo fianco. Non gli era mai più capitato da quando aveva lasciato Grimmauld Place tanti anni prima e sperò che Percy lo capisse da solo. 

- Sì, direi che è ora che io vada via. - Disse per fortuna il mago, alzandosi dal letto e sollevandola dalla responsabilità di mandarlo via. - Senti… lo so che non dobbiamo vederci per forza tutti i giorni, ma domani a pranzo ho delle ore libere, quindi… - 

- Domani starò tutto il giorno all'università. - Lo bloccò subito lei, ma poi si rese conto di essere stata un po’ troppo brusca e aggiunse: - Però puoi venire con me a mangiare un panino nel bar della facoltà. So che non è una gran proposta. - 

- Mh, sì, perché no. - Rispose Percy infilandosi i pantaloni. - Come ci si arriva? - 

- Devi prendere il treno da Londra, è facile. Ma se non ti va non fa niente. -

- A te va? - 

Hazel esitò, arricciando un po’ il naso. - Non è che non mi va… è che preferirei andarci piano, tutto qui. Non bruciare le tappe, mantenere una certa indipendenza emotiva e tante altre cose del genere. - Disse. - Io ho bisogno di più tempo delle altre persone, da questo punto di vista sono io il pezzo di ghiaccio, non te. -

- Più tempo. - Ripeté Percy e Hazel annuì. - A me sta bene, anzi, credo che sia la cosa più sana per entrambi. Prenditi tutto il tempo necessario. - 

- Sei sicuro che non pensi che io sia un po’ troppo… troppo? - 

Il mago sorrise. - I miei fratelli e mia sorella pensano che tu sia troppo fuori dalla mia portata ma, a parte questo… no, direi proprio di no. - 



 

Ciao a tutt*

questa volta metto il mio inutile commento qui sotto. Allora, da dove cominciare… ci ho messo un po’ più del solito a pubblicare questo capitolo perché proprio non mi convinceva. Pur essendo un capitolo di passaggio, mette in tavola un bel po’ di cose e prepara le basi per ciò che potrebbe accadere dopo, quindi ci tenevo che fosse scritto bene. Il punto è che la forma mi piace pure, solo che… bo, questa storia mi sfugge di mano di continuo, che vi devo dire, ha una vita propria e spesso mi sento come se non fossi nemmeno io a decidere cosa deve accadere (ha senso?). 

Comunque fatemi sapere cosa ne pensate. 


Note: 

*Linebacker: nel football è praticamente un difensore e solitamente sono molto grossi e molto aggressivi. 




 

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Capitolo 24. Il passaggio ***


Capitolo 24


Quei primi mesi a Hogwarts non furono per Janus come si era sempre aspettato. Dopo quell’episodio durante la prima lezione di pozioni, Rowle non aveva smesso nemmeno per un secondo di perseguitarlo, anche se quella veramente presa di mira era soprattutto Annie. Come se questo non bastasse, si aggiunse la punizione che si era beccato, che consisteva nel mettere in ordine un polveroso archivio senza l’aiuto della magia, mentre i primi compiti che gli insegnanti assegnavano per dopo le lezioni diventavano sempre più complessi e impegnativi. In compenso andare a scuola gli piaceva e le materie erano talmente interessanti che non gli pesava affatto passare almeno sei ore al giorno in classe, così da dilettarsi nei suoi primissimi incantesimi. 

Scoprì di avere una certa predisposizione per la trasfigurazione ma, mentre nelle altre materie se la cavava discretamente, era un vero e proprio disastro in pozioni, anzi, un pericolo per l’intera aula, come aveva detto una volta Lumacorno, seppur con un tono scherzoso. Ad ogni modo, nel cuore del vecchio professore non nacque nessun affetto e tantomeno stima, come invece era capitato con l’ultimo Black che aveva messo piede in quella scuola, suo zio Regulus. 

Sicuramente, a contrario di lui, non sarebbe finito nel Lumaclub nemmeno tra un milione di anni e, per quanto facesse finta di niente, la cosa lo infastidiva parecchio: era abituato da sempre ad essere il primo della classe, quello bravo e adorato dagli insegnanti, ma a Hogwarts le cose non gli uscivano facili come durante la scuola babbana. Aveva l’impressione di stare un passo indietro rispetto a tutti i suoi compagni e per questo aveva preso l’abitudine di passare ogni pomeriggio in biblioteca a sgobbare sui libri finché Madama Pince non lo cacciava via.  

Una delle poche cose positive fu però sicuramente la scoperta del coro, ma soprattutto della piccola orchestra che accompagnava  il coro, entrambi i gruppi diretti dal professor Vitious, che rimase molto colpito dal suo modo di suonare il violino. Il fatto di essere così tanto portato in qualcosa, nonostante facesse schifo in quasi tutti gli altri ambiti della vita, aveva sempre fatto sentire Janus un po’ meglio. Comunque le orchestre dei maghi erano diverse da quelle dei babbani: anche nella musica, i maghi sembravano essere rimasti in epoca medioevale, suonando flauti, arpe e tamburi, inoltre usavano i rospi quasi come delle percussioni e non conoscevano nessun compositore famoso. 

C’era solo una nota stonata in mezzo a quel contesto di comfort: Faye Selwyn. 

La giovane Serpeverde suonava il violoncello come se fosse stata messa al mondo proprio per quello, facendo sì che, nemmeno lì, Janus riuscisse ad essere il primo in assoluto. 

Nonostante si fosse beccato una punizione solo per difenderla, continuava a trovarla irritante e altezzosa, ma più di una volta si ritrovò ad osservarla durante le prove mentre suonava, e anche in Sala Grande o in classe, se proprio doveva essere sincero con sé stesso, ma solo perché era rimasto incuriosito dalle parole che Rowle le aveva rivolto. 

“Non vorrai mica fare la fine di mammina”, le aveva detto il Serpeverde, e Janus voleva sapere cosa intendesse, solo che non aveva nessuna intenzione di chiederglielo e, anzi, ogni volta che i due si incontravano nei corridoio, lei cercava di parlargli e lui scappava via come se la ragazzina fosse ricoperta da pustole maleodoranti.

Janus aveva deciso: quella lì portava solo problemi, e lui si era già preso una punizione e una lettera lunghissima da parte di sua madre che lo minacciava di farlo tornare a casa se fosse finito di nuovo in qualche guaio. 

Durante il suo ultimo giorno di punizione, che cadde durante un sabato particolarmente assolato ed estivo, Janus si imbatté in un grosso faldone risalente all’anno scolastico 1975-1976 che, secondo i suoi calcoli, doveva essere stato l’anno in cui suo padre aveva dato i G.U.F.O.. Lo lesse tutto, da cima a fondo come un romanzo, seduto sul pavimento polveroso dell’archivio e, quando terminò, desiderò di non averlo mai fatto: da quelle pagine era venuto fuori un Sirius Black completamente diverso da come tutti glielo avevano descritto. Anzi, probabilmente, se l'avesse avuto come compagno di classe, Janus avrebbe fatto di tutto per evitarlo o, forse, lui lo avrebbe preso di mira proprio come aveva preso di mira Piton. 

Gli sarebbe piaciuto sapere di più, ma a chi poteva chiedere? 

Tutti non facevano che ripetergli che Sirius Black era una brava persona; uno studente brillante, e lui non aveva mai faticato troppo a credere che fosse proprio così. Eppure, nei giorni seguenti, questa sua certezza traballò per la prima volta nella sua vita. 

Con l’arrivo dell'autunno, dalla finestra del suo dormitorio, in cima alla torre di Grifondoro, Janus vedeva il paesaggio attorno alla scuola mutare sotto i suoi occhi. I prati, prima brillanti e rigogliosi, avevano cominciato a farsi sempre più secchi, mentre gli alberi si spogliavano man mano di tutte le loro foglie. 

Scoprì che sua madre gli aveva mentito una vasta varietà di argomenti: non era vero che era allergico al bacon come lei invece gli aveva fatto credere, Babbo Natale non era un mago della Lapponia infinitamente gentile e, soprattutto, non esisteva affatto. Ma la scoperta più sconcertante il ragazzino la fece quando Hughie gli spiegò che i bambini non li portava veramente un ippogrifo.

- Vorresti dire che mio padre ha fatto quella cosa schifosa a mia madre e che da lì sono nato io? - Domandò, per l’ennesima volta, tra le risatine di Klaus ed Annie, sconvolto e rosso in viso. - E che anche i vostri genitori hanno fatto la stessa cosa? - 

Annie annuì, seduta in modo scomposto sul divanetto della Sala Comune, davanti al camino ormai acceso. - Una volta li ho anche visti per sbaglio. - Raccontò con un brivido.

Janus sgranò gli occhi. - Quindi hai dei fratelli? - Chiese curioso. 

- Guarda che non si fa mica solo a scopo riproduttivo, ma anche e soprattutto per piacere. - Lo riprese Hughie ridendo divertito.  

Lui assunse un’espressione schifata. - Io non lo farò mai. - Promise solenne. 

- Prima o poi toccherà anche a te, amico. - Fece Hughie. 

- Non mi dire che tu l’hai già fatto! - Esclamò Janus, scandalizzato. 

Klaus ed Annie si misero all’ascolto, mentre Hughie si prese del tempo per rispondere, creando un po’ di sana attesa. - No, non l’ho fatto. - Dichiarò. - Però ho toccato le tette di Laura Green, una Corvonero del quinto anno. Da sopra la divisa. - 

Klaus sobbalzò. - Ah sì? E com’erano? - Domandò con urgenza. 

- Sai… morbide, rotonde. - Buttò lì Hughie. 

Annie alzò gli occhi al cielo e Janus sbuffò, ancora colmo di imbarazzo. - Vogliamo smetterla di parlare di queste cose orribili e concentrarci su cose più importanti? - Si lamentò indignato. - Ad esempio, come si passa Halloween, qui a Hogwarts? - 

- In Sala Grande c’è il solito banchetto, poi i fantasmi fanno uno spettacolo. - Rispose pigramente Hughie, che aveva passato al castello già tre Halloween. - Ma manca ancora un mese, perché ci pensi adesso?. - 

- Manca poco meno di un mese. - Lo corresse Janus. - Io adoro Halloween; mia madre mi permetteva di fare magie davanti ai babbani, dicendo loro che erano dei trucchetti. - 

- Possiamo fare una gita terrificante nella Foresta Proibita. - Propose la voce eccitata di Klaus. - Sarebbe molto in linea con la festa. - 

- Tu potresti parlare in italiano così da poter entrare tu sai dove. - Disse Hughie, riferendosi alla Camera dei Segreti. 

- In che senso in it… - Tentò di dire Annie, ma Janus la interruppe: 

- Voi due siete pazzi. Se finisco di nuovo in punizione mia madre mi farà tornare a casa, non posso rischiare. - Rispose nervosamente Janus.  

- Sei proprio un bravo bambino, Blackie. Un cocco di mamma. - Lo prese in giro Hughie. 

- Io sono d’accordo con Janus. - Si fece avanti Annie. - Insomma, pensateci: Hughie, tuo padre è il Ministro della Magia, quello di Janus è una sorta di eroe di guerra e il tuo, Klaus, conosce personalmente la McGranitt. Voi siete praticamente intoccabili, non vi espellerebbero mai. Ma io sono solo una nata babbana, non posso mettermi nei guai. - 

- Guarda che queste cose qui a scuola non contano. - Protestò Hughie piccato.

- Però ci penserebbero due volte prima di espellere il figlio del Ministro. - Insistette la ragazzina. - Per non parlare di Janus: la professoressa McGranitt lo adora. - 

- Non è vero. - Obiettò il diretto interessato. - È che io mi impegno. - 

- Amico, fidati, se non avesse cent’anni avrei detto che ha una cotta per te, e anche bella grossa! - Esclamò Klaus. 

- Mentre Lumacorno è pazzo per Annie. - Sogghignò Hughie. - Parla, Carter, come ci si sente ad essere tra i più giovani partecipanti al Lumaclub della storia? -

- Sì, non ci hai detto come è andata la cena. - Rimarcò Janus.

- È stata la serata più noiosa della mia vita. Del primo anno c’eravamo solo io, un tipo di Corvonero che era stato invitato perché il nonno giocava con Lumacorno a gobbiglie e quella lì che ti sta sempre attorno… Faye Selwyn. -

- Sul serio quella lì è nel Lumaclub? - Domandò Janus, con una punta di fastidio nella voce. - Insomma, è brava in pozioni, ma non così brava. - 

- Sembra che sua madre fosse una pozionista piuttosto famosa, il professore le ha infatti chiesto come se la passasse e lei ha risposto in modo un po’ strano. - Raccontò Annie. - Comunque Lumacorno dice che farà una festa prima di Natale e che a quella potremo portare un amico o un’amica. Dato che Hughie è già nel Lumaclub… pensavo di invitare uno di voi due. - Concluse guardando Klaus e Janus. - Cioè in realtà pensavo a te, Jan, però se non vuoi non fa niente. Insomma pensaci, mancano ancora due mesi. - Aggiunse, dopo un attimo di silenzio, arrossendo fino alla punta dei capelli. 

Lui assunse un’espressione sorpresa. - Non hai tipo un’amica femmina con cui andarci? - 

- No. Mi prendono in giro per l’apparecchio e perché sono brutta. - 

- Non sei brutta, io ti trovo carina. - La contestò Klaus. 

Annie gli lanciò uno sguardo di puro disinteresse, prima di tornare a fissare l’altro con una certa ansia. - Allora, ci verresti o no? - 

- No, è una cosa strana. - Rispose spiacente, scuotendo la testa. - Vacci con Klaus, lui è molto più adatto a questo genere di cose. - Disse, dando una pacca sulla spalla all’amico, che annuì. 

 

La seconda settimana di ottobre si aprì in grande stile, con la prima lezione di difesa contro le Arti Oscure tenuta da Harry, che tentò in tutti i modi di mantenere, almeno in classe, un certo distacco con Janus, fallendo però miseramente. 

- Questa lezione è stata una vera e propria rivelazione! - Esclamò Klaus con la sua solita teatralità alla fine dell’ora, mentre riponeva nello zaino la piuma e qualche foglio di pergamena spiegazzato su cui aveva preso appunti. - Jan, non è che il signor Potter può farmi un autografo, eh? Perché non glielo chiedi? Dai, prima che se ne vada! - 

- Non credo che Harry faccia degli autografi, non è mica una persona famosa. - Ribatté Janus, lanciando un’occhiata verso la cattedra, dove il giovane auror stava parlando con un gruppetto di studenti di Tassorosso. 

- Non è una persona famosa? - Ripeté Klaus sconvolto. - Lo so che per te è più una specie di fratello maggiore, ma ha salvato il mondo. Due volte! E la prima era solo un neonato! - 

Janus alzò le spalle e chiuse la sua borsa. - Non credo comunque che faccia degli autografi, però se ci tieni puoi provare a chiederglielo tu stesso, non ti morde mica! - Disse sorridendo. 

- Ma è vero che parla ancora il serpentese? - Domandò Annie, ancora seduta nel banco davanti a loro, sussurrando l’ultima parola come se fosse una parolaccia. 

- Anche se fosse? Non tutti i rettilofoni sono dei maghi oscuri o persone cattive. - Scattò Janus, sentendosi arrossire. - E comunque non più, lo parlava solo perché aveva quel pezzetto di Voldemort dentro di sé. - Aggiunse in fretta. 

Annie inarcò le sopracciglia con fare sorpreso. - Ero solo curiosa. - Disse, alzandosi in piedi e avviandosi con gli altri due verso l’uscita dell’aula. 

- Ultimamente sei un po’ nervoso o sbaglio? - Gli domandò Klaus.

Janus sospirò e decise che non avrebbe fornito all’amico nessuna risposta, anche perché neppure lui sapeva con certezza cosa avesse. Certo, frequentare Hogwarts non era tutto rose e fiori come se l’era sempre immaginato, non era il più bravo del suo anno, ogni tanto si beccava ancora qualche presa in giro, inoltre aveva il sospetto che suo padre fosse stato tutt’altro che una brava persona. 

Poco prima di varcare la soglia Janus si voltò verso Harry e si fermò a guardarlo. Era stato così disponibile per lui durante quelle settimane prima dell’inizio della scuola e gli aveva scritto spesso anche dopo il primo settembre, ma Janus sentiva di non aver ancora abbastanza confidenza per potersi aprire con lui. Ma a chi poteva chiedere qualcosa di suo padre se non a Harry Potter? 

- Ragazzi, vi dispiace se vi raggiungo più tardi in Sala Comune? - Domandò Janus a Klaus ed Annie, dopo qualche attimo di esitazione. 

Klaus sgranò gli occhi. - Vuoi fermarti a parlare con il signor Potter? - Sondò pieno di urgenza. - Gli dici dell’autografo? - 

Janus alzò gli occhi al cielo, ma sorrise. - Va bene, avrai questo tuo dannato autografo. - Approvò. - Annie, lo vuoi anche tu? - 

- No, non ti preoccupare. - Rispose la giovane. 

- Ci vediamo più tardi, Jan. - Disse Klaus dandogli una pacca sulla spalla prima di uscire dall’aula insieme a Annie. 

Janus annuì in fretta per poi voltarsi verso Harry, che si era finalmente liberato del gruppetto di studenti di Tassorosso. Indossava la divisa da auror, che consisteva in una giacca da mago color prugna, un paio di pantaloni neri e un mantello, anche quello sul viola. Si avvicinò a lui facendo un sorriso, e Janus ricambiò. 

- Allora, ti è piaciuta la lezione? - Gli chiese Harry, mentre insieme uscivano dall’aula. 

Janus annuì. - Sei un bravo professore. - Rispose con sincerità.

Intorno a loro, parecchi gruppi di studenti avevano preso a fissarli. Harry, che forse in tutti quegli anni si era abituato a tutte quelle attenzioni indesiderate, procedeva spedito e a testa alta, sembrava a suo agio, e Janus un po’ lo invidiò per questo. 

- Harry… tu hai da fare in questo momento? - Chiese poi il ragazzino, dopo qualche attimo di esitazione, necessario per farsi coraggio. 

- No, ma pensavo di andare a fare un saluto a Hagrid. Vuoi venire con me? - 

Janus annuì. Percorse insieme a Harry il tragitto che divideva l’aula di difesa contro le arti oscure alla sala d’ingresso senza dire una parola, cercando nella sua testa un modo per poter esordire chiedendo di Sirius senza sembrare troppo strano e soprattutto senza far trapelare troppo il fatto che aver letto quelle cose lo aveva reso parecchio triste. Una volta raggiunto il giardino Janus si strinse nella toga per proteggersi dal vento freddo e, semplicemente, decise di andare dritto al punto: 

- Harry, non so se la professoressa McGranitt te lo ha detto ma… sono finito in punizione praticamente durante il primo giorno di scuola. - Iniziò, assumendo un’espressione desolata. 

- Certo che me lo ha detto. - Disse Harry tranquillo. 

- Il punto è che ho dovuto mettere a posto alcuni vecchi faldoni in archivio e lì ho trovato delle cose su mio padre… - Tornò a parlare il ragazzo. - Insomma, il punto è che… perché si comportava sempre un po’ da… cattivo? - 

Harry sussultò, voltandosi a guardarlo sorpreso. - Che cosa intendi? - 

- Lui e tuo padre si comportavano da bulli. Soprattutto con Piton. - Spiegò Janus, addolorato. - Una volta lui lo ha spinto verso la Stamberga proprio mentre zio Remus si stava trasformando. Piton sarebbe potuto morire; è una cosa orribile da fare e non solo nei confronti di Piton, se ci pensi bene: pensa cosa può aver provato zio Remus nel sapere che uno dei suoi migliori amici era andato a spifferare il suo segreto. -  

Harry sembrò interdetto e continuò a camminare verso la capanna di Hagrid come in automatico, il volto concentrato sembrava alla ricerca di una risposta. - Capisco cosa stai provando. - Disse in fine. - Quando avevo quindici anni ho visto per sbaglio un ricordo del professor Piton che riguardava mio padre. Ovviamente c’era anche Sirius. Loro lo avevano appeso per le gambe sulla riva del Lago Nero, lo prendevano in giro. - 

- Ma perché? Perché lo facevano? - Ricalcò Janus. - Tutti dicono che mio padre era una brava persona, però tutto quello che ho letto dice praticamente il contrario! - 

- Era una brava persona, te lo posso assicurare. - Tentò di tranquillizzarlo Harry. - Quello che hai letto… sono cose che ha fatto quando era solo un ragazzino, poco più grande di te in effetti. Un ragazzino un po’ idiota, te ne do atto, e spesso lui e mio padre finivano per esagerare, ma poi sono cresciuti, sono maturati. - 

Janus sembrò ancora piuttosto contrariato, ma non ribatté, dunque Harry continuò: 

- Sirius una volta mi disse che il mondo non si divide in persone buone e persone cattive: tutti abbiamo sia luce che oscurità dentro di noi. Ciò che conta per davvero è da che parte scegliamo di agire. Come tutti noi anche Sirius aveva dei difetti, ma ha sempre tentato di stare dalla parte della luce. - 

Nel frattempo il cielo sembrava quasi aver messo in scena lo stato d’animo del giovano Grifondoro: nuvole grigie che annunciavano tempesta vorticavano sopra le loro teste, da una parte il sole tentava di resistere e, dall’altra, si potevano già osservare i primi fulmini. 

Janus sospirò, posando lo sguardo all'orizzonte, dove la capanna di Hagrid era appena apparsa, e poi di nuovo su Harry. - Secondo te io gli piacerei, se fosse ancora vivo? - Gli domandò, con una voce piccola piccola. 

Harry sorrise. - Altroché. - Gli assicurò. - Ti amava, amava tanto anche tua mamma,e sarebbe stato un bravo padre, anche se probabilmente un po’ sopra le righe. Ricordo quel Natale che abbiamo passato tutti insieme a Grimmauld Place, Remus ti aveva regalato una scopa giocattolo, ma questo a tratti sembrava divertire più Sirius che te… a proposito, come te la cavi nel volo? - 

- In modo discreto, come praticamente tutte le materie. - Borbottò Janus. - Non riesco ad eccellere in nulla, forse sono un pessimo mago… -  

La capanna di Hagrid, adesso vicinissima, appariva come una piccola casetta di legno dal tetto scosceso, con alle spalle l’immensa Foresta Proibita. Janus non c’era mai stato ma aveva l’impressione che fosse un posto molto accogliente.

- Hai già conosciuto Fierobecco? - Chiese Harry, continuando a camminare. 

Il ragazzo scosse la testa. - Non ho avuto molto tempo e poi… un po’ mi vergognavo ad andare a bussare così alla porta di Hagrid. - Spiegò, accennando un sorrisetto. 

Harry assunse l’espressione di chi aveva appena ascoltato qualcuno dire qualcosa di molto stupido. - Ma ad Hagrid piace molto ricevere visite! -

Una volta arrivati davanti alla porta della capanna del guardiacaccia, Harry batté forte, constatando che nessuno era in casa in quel momento. - Probabilmente è nella foresta con Grout, il suo fratellastro gigante. - Spiegò a Janus, aggirando la costruzione. 

Janus si chiese se Harry scherzasse, ma lo seguì senza dire niente verso il retro della Capanna dove, su una distesa erbosa, c’era un branco delle creature più strane che avesse mai visto. Sua madre gli aveva raccontato tantissime volte di Fierobecco, del fatto che aveva vissuto nel giardino della loro casa in Scozia per un anno intero e che, di tanto in tanto, suo padre lo portava a fare un giro sopra quell’ippogrifo facendole prendere un colpo, ma mai gli aveva detto che gli animali come lui avessero un aspetto tanto particolare. Gli ippogrifi avevano i corpi, le zampe posteriori e le code da cavallo, le zampe anteriori, le ali e la testa di aquile giganti dai becchi color dell'acciaio e grandi occhi di un arancione acceso. Gli artigli sulle zampe davanti erano lunghi più di quindici centimetri e avevano l'aria letale. 

Harry si avvicinò per primo, si inchinò e gli ippogrifi, uno ad uno, fecero lo stesso. 

Janus osservò la scena in silenzio, a qualche metro dall’entrata, con l’impressione che Harry fosse solito andare lì molto spesso e ne ebbe la certezza quando una di quelle creature si avvicinò all’auror, sbattendo il muso contro la sua guancia come un gattino. 

- Eccolo qui, il nostro Beccuccio. - Disse allegramente Harry, voltandosi verso Janus, che lo guardò terrorizzato. - Avanti, avvicinati, non avere paura. - 

Il giovane esitò. Dovette raccogliere ogni singola briciola di coraggio per fare solo un passo in avanti. - Devo… inchinarmi? - Domandò cauto. 

- Sì. Avvicinati piano, guardalo negli occhi senza sbattere le palpebre e poi inchinati. Se lo fa anche lui non hai nulla di cui preoccuparti. - 

- E se non lo fa? - 

Harry alzò le sopracciglia e aprì la bocca senza parlare per una manciata di secondi, prima di dire: - In tal caso si vedrà, ma non ti preoccupare, in tutta probabilità potrebbe riconoscerti. - 

Janus prese un respiro profondo, si avvicinò e si inchinò, seguendo le direttive di Harry mentre l’ippogrifo lo guardava altezzoso e minaccioso insieme. Poi emise un piccolo brontolio e piegò le ginocchia in quello che era un chiaro inchino. 

- Bene, adesso puoi avvicinarti. - Disse Harry sorridendo. 

Non che ci tenesse ma fu esattamente ciò che fece, allungando addirittura una mano per accarezzare il becco dell’ippogrifo che chiuse gli occhi pigramente, soddisfatto.

Una volta superato il primo moto di spavento alla vista di una cosa che era metà cavallo metà uccello, cominciò ad apprezzare i mantelli lucenti degli ippogrifi, che mutavano gradualmente da piuma a pelo, ciascuno di un colore diverso: grigio tempesta, bronzo, fulvo rosato, castagna lucente, nero inchiostro.

Janus si sentì molto felice e poi, improvvisamente, molto triste. Se le cose non fossero state ingiuste probabilmente sarebbe cresciuto insieme a Fierobecco, e lui e sua madre sarebbero stati felici insieme a suo padre e a Harry, che sarebbe andato a vivere con loro in Scozia. Invece aveva passato tutta l’infanzia in esilio, con sua madre che piangeva ogni notte quando pensava di non essere vista, completamente soli al mondo. Se solo suo padre non fosse morto non ci sarebbe stato bisogno di chiedersi che tipo di persona fosse, non avrebbe avuto dubbi su di lui.

Era arrabbiato, così arrabbiato e così triste e così… così… non lo sapeva neppure lui. 

- Harry. - Lo chiamò con voce piatta e senza staccare gli occhi da Fierobecco. - Non puoi proprio tirarlo fuori di lì, è vero? - Domandò. 

- Chi? - Chiese a sua volta Harry, perplesso. 

Janus si voltò finalmente verso di lui, guardandolo con una serietà che non si addiceva per niente ad uno della sua età. - Puoi tirare fuori papà da lì? Dal velo? - Ripeté cercando di essere più chiaro. - Ci hai provato? Qualcuno… qualcuno ci ha mai provato prima di dire che non si può fare? Tante cose sembrano impossibili prima di farle… dopotutto è un passaggio, e da dove si può entrare allora si può anche uscire, no? - 

Harry aprì la bocca per dire qualcosa, senza sapere ancora bene cosa, ma Janus lo anticipò: 

- Scusa… lo so che se potessi lo faresti tornare subito. - Mormorò con le labbra piegate verso il basso. - Però… se non fosse mai morto? Se lui fosse lì, da qualche parte, in attesa che qualcuno lo salvi? Non è giusto che nessuno ci dica niente, noi siamo la sua famiglia. - 

- Lo so, non è giusto. - Disse Harry. - Anche io mi sentivo come te da bambino e tante volte ho pensato che magari, essendo un mago, avrei potuto riportare indietro mia madre e mio padre. Ma questo non è possibile, o almeno non è possibile riportare indietro qualcuno facendolo tornare esattamente come era prima. Sirius non vorrebbe avere una vita a metà, come un fantasma o cose del genere. -

- Ma tu almeno lo sapevi che i tuoi erano morti, loro hanno una tomba. - 

- Anche tu lo sai. Sirius è morto. - Gli disse, come per assicurarsi che se lo ricordasse. 

Janus si lasciò sfuggire uno sguardo pieno di scetticismo. - Quando sarò grande andrò a lavorare all’Ufficio Misteri. - Decise. - E allora scoprirò se è morto per davvero e se è ancora vivo lo tirerò fuori. - 

- È una carriera difficile quella dell’indicibile. - Lo avvertì Harry. 

- Non importa. - Asserì seccamente Janus. Diede un altro piccolo buffetto sul muso di Fierobecco e poi si voltò nella direzione dell’auror. - Forse è meglio se adesso torno a scuola. - Disse.

Non aggiunse altro, ma gli passò accanto prima di correre via verso il castello, lasciando Harry solo in  mezzo a quel prato, circondato da Ippogrifi e con il cuore che faceva male come durante quella notte all’Ufficio Misteri.  


°°°°°°

 

Se qualcuno le avesse chiesto come stesse, Hazel avrebbe risposto senza esitare, per la prima volta dopo tantissimi anni, dicendo che stava bene. 

Negli ultimi due mesi tutto sembrava essersi allineato nel migliore dei modi, rendendo la sua vita, almeno all’apparenza, perfetta sotto ogni punto di vista: aveva un buon lavoro di cui non poteva proprio lamentarsi; Janus era ad Hogwarts e, da ciò che lui raccontava nelle lettere che le spediva, sembrava addirittura essersi fatto degli amici; attorno a lei c’era sempre una rete di persone pronta a sostenerla e a farle compagnia quando si sentiva sola, proprio come una vera famiglia. E poi c’era Percy, che si era insinuato nella sua vita prima che lei se ne rendesse conto, mostrandole un tipo di rapporto diverso da tutti quelli che Hazel aveva vissuto in precedenza: non era lei a doversi prendere cura di lui, lei non era lì per salvarlo ma, anzi, spesso era lui che la sollevava da quei cupi momenti in cui si intristiva. 

Le sue giornate scorrevano scandite dai suoi impegni e piccoli attimi di quella serena normalità da lei tanto bramata: ogni mattina si alzava alla stessa ora, beveva del tè nero dalla sua solita tazza, mangiava un muffin al cioccolato acquistato nella solita pasticceria e poi prendeva il treno verso Oxford. Rimaneva lì fino a tardi, anche dopo le lezioni, preparando il materiale per quelle dei giorni successivi e rispondendo a tutte le email arretrate. Spesso, nella pace del suo ufficio, Percy la andava a trovare e, giorno dopo giorno, la sua presenza nella sua vita divenne sempre più normale, quasi scontata. Lui c’era ed era un fatto. Era lì e sembrava non avere nessuna intenzione di andare via, come invece avevano fatto la maggior parte delle persone di cui si era affezionata. Se ne era andata sua madre, se ne era andato suo padre, Sirius l’aveva lasciata da sola un’infinità di volte anche prima di morire, e perfino Ryan, l’uomo di cui si era infatuata a New York, alla fine, l’aveva abbandonata. 

Non solo era diventato normale avere Percy intorno, ma anche lasciarsi baciare o sfiorare nel bel mezzo della quotidianità, anche se questo molto spesso le faceva paura. Si sentiva fragile davanti a lui ma, più lei tentava di allontanarlo, più gli mostrava la parte peggiore di sé, e più lui, testardo com’era, rimaneva fermo nella sua posizione.

- Magari un giorno mi innamorerò di te, - gli disse lei una sera, sdraiata e nuda nel letto di casa di lui, - e quando questo accadrà allora arriverà qualcosa che ti porterà via, una catastrofe, ad esempio. Succede sempre così. Chissà, forse ho una maledizione. - 

Lui fece un verso denso di scetticismo. - Non voglio indossare le vesti del tuo terapeuta, sarebbe strano e insano, ma hai mai pensato che forse tutti se ne vanno perché non hai mai scelto persone che non volevano o non potevano davvero restare? - Le disse. - Magari hai così tanta paura dell’abbandono che in qualche modo… lo fai capitare scegliendo persone emotivamente non disponibili o piene i guai fino al collo. - 

- Come una profezia che si autoavvera. - Osservò Hazel. 

- Sì, una cosa del genere. - Annuì Percy, passando pigramente la punta delle dita sulla pelle di lei e osservandola per bene. 

Gli piaceva il modo in cui Hazel si mostrava a lui, senza timore e senza alcuna vergogna. Si sentiva attratto dal suo corpo quasi quanto si sentiva attratto dalla sua mente; Hazel non era semplicemente intelligente, lei era creativa, era spiritosa ed era una sognatrice. Era il suo esatto opposto, sotto questo punto di vista, dato che lui tendeva ad avere sempre i piedi ben piantati a terra, ma forse per questo era così interessante parlare con lei. Hazel sembrava guardare il mondo attraverso delle lenti speciali capaci di acchiappare il dettaglio che ai più sfuggiva, era come se guardasse attraverso le cose, oltre ogni sovrastruttura. 

Non avevano ancora definito il loro rapporto, non sapeva se lei uscisse o meno con altri uomini, ma a Percy piaceva pensare che non fosse così. Voleva essere l’unico a poter toccare la piccola cicatrice che aveva in basso a destra, sulla pancia, risalente a quando le avevano tolto l’appendice a dieci anni, voleva essere il solo ad avere il permesso di baciarla nei punti più nascosti del suo corpo, ma non aveva il coraggio di diglielo. 

- Ginny e Charlie ti hanno fatto conoscere qualcun altro, ultimamente? - Buttò lì, dopo qualche minuto di silenzio contemplativo. 

Hazel aggrottò la fronte, come se Percy avesse appena parlato in una lingua arcaica e sconosciuta. - No, loro no. - Rispose. - Ma, qualche giorno fa, una mia collega mi ha proposto di uscire con un suo amico architetto. Ho declinato l’offerta. - 

- E perché mai? - Domandò Percy, fingendo nonchalance anche se si sarebbe messo volentieri ad esultare.

- A mio parere gli architetti sono un po’ egocentrici. - Spiegò Hazel. - E poi l’ho visto in foto, aveva pochi capelli e dei brutti denti. - 

- Meglio così. -

Hazel si sistemò su un fianco, in modo da poterlo osservare meglio, e lui ricambiò quello sguardo senza aggiungere nulla. - Tu stai uscendo con qualcun’altra ultimamente? - Gli domandò dunque lei. 

- Solo con te. -  Rispose Percy.

Hazel sorrise. - In effetti non sembri proprio uno di quelli che ha la fila dietro. - Disse in tono canzonatorio, beccandosi un’occhiata torva. 

- Tu invece sembri proprio una di quelle. - Ribatté cupamente Percy. 

- Magari, Perce, magari, ma purtroppo devo ammettere di non aver mai avuto un gran successo con gli uomini. - Sospirò Hazel. - Dimmi, non vorrai mica l’esclusiva? - 

- Perché no. - Fece lui, scrollando le spalle. - Dopotutto usciamo insieme da più di un mese, ci vediamo spesso e le cose vanno bene. Inoltre non sento la necessità di uscire con altre donne a parte te, quindi... -  

Lei rimase in silenzio e ferma per una manciata di secondi, poi scrollò le spalle e si mise a sedere, rivolgendo comunque lo sguardo verso di lui. - Va bene.- Approvò. 

- Va bene? - 

- Sì. Abbiamo un rapporto monogamo adesso. - Spiegò Hazel, prima di alzarsi in piedi.

Si rivestì senza fretta sotto lo sguardo attento di lui, che invece rimase lì, sdraiato sul letto con un’aria soddisfatta. - Mia madre mi ha detto di dirti che sei invitata alla Tana per Halloween. - La informò Percy mentre lei si allacciava i pantaloni. - Si lamenta del fatto che non vai a trovarla da un po’, mentre mio padre freme dalla voglia di mostrarti un vecchio telefono fisso che ha fatto anche allacciare alla linea telefonica. - 

- Bene, così adesso puoi chiamarmi, invece di scrivermi quelle lettere prolisse, quando vuoi dirmi qualcosa. -  Disse lei. 

- Ma a me piace la nostra corrispondenza, dunque continuerò con le lettere. - Ribatté lui. 

- Come vuoi, Perce. Resta il fatto che il telefono è più comodo. Magari te ne regalo uno per Natale, così potrai scrivermi dei messaggi, se proprio ti piace la corrispondenza. - 

- Non avrebbero lo stesso senso. Sono un romantico, lo sai. - 

Lei sorrise. - Lo so. - Disse. - Be’, io me ne vado a casa, si sta facendo tardi e domani devo alzarmi presto per arrivare a Oxford alle otto. - 

- Perché non dormi qui? Domani mattina posso portarti lì con la magia in un attimo. - 

- È meglio di no. E comunque a me piace prendere il treno. -  

- E poi non vuoi dormire con me. - Sottolineò Percy.

Hazel liquidò quella lieve frecciatina rimanendo zitta, e si infilò le scale. 

- Cosa dico a mia madre per Halloween? - Chiese dunque Percy, rompendo il silenzio che si era venuto a creare. - Vieni a cena alla Tana? - 

Hazel sospirò, lasciandosi cadere nuovamente sul letto. - Cosa sanno da te di noi due? - 

- Che usciamo insieme, ma solo perché Charlie se lo è fatto scappare. - Rispose Percy. 

- E cosa ne pensano Molly e Arthur? - 

- Non credo che abbiano una vera e propria opinione a riguardo. Mio padre pensa che tu sia una fonte inesauribile di informazioni sui babbani quindi ti adora, mentre mia madre è un po’ iperprotettiva, ma paradossalmente più nei tuoi confronti che nei miei. -  

- In che senso? - 

- Mi ha raccomandato di trattarti con cura. - Spiegò Percy.

Hazel sorrise intenerita. - Molly è sempre così dolce. - Disse sincera. - Ma lo sai che nel ‘95 mi ha dato della poco di buono? - 

- Davvero? - Domandò Percy, incredulo. - E perché mai? - 

- Perché probabilmente Sirius non le piaceva molto e di riflesso nemmeno io. Inoltre lui era molto più grande di me, avevamo un bambino e non ci eravamo ancora sposati. - Spiegò Hazel. - Molly era un po’... stressata a quei tempi. Sai, con tutto quello che stava capitano nel vostro mondo, il ritorno di Voldemort e poi… be’, sai, la vita a Grimmauld Place non era sempre facile. Era una casa malvagia, quella. - 

Percy alzò i lati della bocca in un sorriso amaro. - Apprezzo il fatto che tu abbia sorvolato su ciò che ho combinato a quei tempi con la mia famiglia, davvero. - Disse. 

- E io trovo che il tuo continuo bisogno di ricordare a te stesso ciò che hai fatto sia una stupida forma di autolesionismo. - Controbattè Hazel. - Sei stato perdonato da loro fin dal momento in cui sei tornato, te lo assicuro. Adesso sta a te guarire da questa cosa. - 

Percy la guardò senza parlare. Non era di certo un uomo silenzioso, ma spesso la capacità che lei aveva di fargli vedere le cose attraverso una prospettiva diversa lo lasciava insolitamente ammutolito. In effetti nessuno gli aveva mai rinfacciato nulla: fin dal giorno in cui era tornato nessun componente della famiglia si era comportato con lui in modo diverso rispetto a quando se ne era andato. Ma forse erano solo tutti troppo tristi per Fred per poter essere arrabbiati con lui. 

Percy guardò Hazel negli occhi e desiderò di baciarla, anche se non lo facevano mai o quasi mai all’infuori dei loro amplessi. Fu lei che, quasi come se lo avesse letto nel pensiero, si sporse verso di lui per posare le labbra sulle sue. 

- Ci vediamo ad Halloween… o domani, se vuoi. Insomma, decidi tu, tanto sai dove trovarmi ormai. - Disse Hazel, con le labbra segnate da un sorriso un po’ imbarazzato.  

 

La sera di Halloween, dopo due ore di viaggio da Londra a Ottery St Catchpole, Hazel arrivò alla Tana poco prima dell’ora di cena. 

Seduta su una delle tante sedie che circondavano il tavolo di legno della cucina, stava ascoltando Ginny che parlava con lei, Hermione e Tonks della  gravidanza, e intanto tagliava con cura una montagna di fagiolini per Molly, che alle loro spalle stava cucinando qualcosa che odorava di zucca. 

- Il medimago dice che nascerà a febbraio e che è un maschio. - Informò Ginny con aria insolitamente lugubre. - Questo vuol dire solo una cosa. -  

- Che cosa? - Chiese Hermione, seduta a suo fianco, incuriosita dal tono usato dall’altra. 

Ginny, in tutta risposta, si lasciò andare ad un lungo e sonoro sospiro e poi parlò: - Harry vuole chiamarlo come Piton. - Raccontò, senza nemmeno preoccuparsi di nascondere il suo disappunto. - Io capisco che l’ha protetto per anni, che ha rischiato la vita per lui più volte e tutto il resto, ma non posso chiamare mio figlio Severus. Nessuna madre sana di mente lo farebbe, o sbaglio? - 

Tonk annuì senza esitare un momento, Hermione si lasciò sfuggire un’espressione conciliante ma non disse niente, mentre Hazel sorrise, ripensando a quando Sirius voleva chiamare il loro bambino come il cantante dei Black Sabbath. - Magari Severus può essere il secondo nome, sarebbe un bel gesto comunque. - Buttò lì. - Dopotutto bisogna scendere a compromessi su certe cose. -  

Ginny sospirò. - Hazel, se riesci a convincerlo, giuro che quando avrò una figlia femmina la chiamerò come te. - Disse solennemente. 

Hazel rise e scosse la testa, prima di guardarsi distrattamente intorno. Dall’altra parte della stanza, vicino al camino, Percy e il signor Weasley sedevano sul divano e guardavano Charlie e Ron che, sul tappeto, giocavano a gobiglie insieme a Teddy mentre James tentava di reclamare la loro attenzione producendo diversi lamenti per nulla sommessi. Non c’era però nessuna traccia di Harry, nonostante fossero quasi le otto. 

- Dove si è cacciato Harry, a proposito? - Domandò dunque. 

- Sì, infatti. Tonks, dove si è cacciato Harry? - Chiese Ginny a sua volta, con voce alterata, guardando nella direzione di Ninfadora. 

L’auror aggrottò la fronte, perplessa. - Cosa vuoi che ne sappia? -  

A quelle parole, sul viso di Ginny passò un’espressione molto difficile da leggere. - Non hai cambiato tutti i suoi turni qualche settimana fa, aggiungendo delle ore in più? - Chiese, guardando Dora come se temesse di sentire la risposta. 

Tonks esitò per qualche istante, le labbra semichiuse e le sopracciglia alzate. - Ora che me lo dici… effettivamente sì. - Disse, annuendo con veemenza. - Sì, sì… molte ore in più, il crimine e i maghi oscuri non dormono mai in fin dei conti, dico bene? Siamo sulle tracce di un fanatico ex mangiamorte molto, molto pericoloso. Pericolosissimo oserei dire. - Tonks rise nervosamente e poi si rivolse a Hazel, con l’aria di una che non vedeva l’ora di cambiare discorso. - Come va tra te e Percy? - 

Quella domanda provocò in Hazel un moto di imbarazzo, ma la donna tentò comunque di dissimulare scrollando le spalle e mantenendo un’espressione distaccata. - Be’, sai, niente di che… usciamo insieme da amici... - 

- Ma piantala. - La fermò subito Ginny, alzando gli occhi al cielo ma con un sorrisetto canzonatorio sulle labbra. - Guarda che è inutile che fate finta di non avere un inciucio, voi due, anche perché non c’è mica niente di male, anzi! Inoltre ormai passate così tanto tempo insieme che mi sembra irrealistico che tra voi non sia scattato niente. - 

- Passiamo del tempo insieme, questo è vero. - Ammise Hazel, cercando di non apparire nervosa. - Ma non vuol dire che abbiamo un inciucio! Siamo solo buoni amici. E poi lui mi accompagna alle mostre, a contrario di voi tre. -

- Ti accompagna solo perché pensa che poi tu gliela darai, non perché gli piace andare a guardare dei quadri immobili e dipinti in modi strani. - Ribatté Tonks. 

Hermione assunse un’espressione scandalizzata, mentre Ginny sembrò contrariata. 

- A parte che non mi sembra affatto una cosa da lui. Inoltre, se fosse come dici tu, avrebbe smesso di accompagnarmi già da parecchie settimane. - Disse con sicurezza, rendendosi conto solo dopo di aver fatto una grande ammissione.

Tonks, infatti, sgranò gli occhi. - Lo avete già fatto! - Esclamò a voce alta, attirando l’attenzione di tutta la Tana nella loro direzione. 

Hazel si sentì avvampare. Lanciò nella direzione di Percy un’occhiata che sembrava quasi urlare di venire a salvarla, sguardo che lui notò ma che probabilmente non capì, dato che non si mosse di un solo centimetro. Quando poi Hazel tornò a guardare nella direzione delle tre streghe, si rese conto che perfino Hermione, che non sembrava mai molto a suo agio quando venivano trattati determinati argomenti, si era messa nelle condizioni di ascolto, fissandola con i suoi due occhi castani sgranati. 

- Non ho intenzione di dirvi una sola parola a riguardo, mi dispiace. - Asserì Hazel, lasciandosi sfuggire una risatina molto imbarazzata. 

Ginny sogghignò. - Forse hai ragione, non avete un inciucio. - Disse divertita. - Avete una relazione e io sono così felice per voi! Percy era diventato ancor più deprimente del solito dopo Audrey, mentre tu… be’, lo sai. Dopo tutto quello che hai passato ti meriti sul serio di andare avanti con la tua vita anche su quel fronte. - 

Il volto di Hazel si incupì. Non le piaceva molto l’espressione “andare avanti”, non le era mai piaciuta. Cosa voleva dire? Si stava forse dimenticando di Sirius? 

- Anche lui vorrebbe vederti felice. Sirius, intendo. - Mormorò Hermione, quasi come se avesse letto nella sua espressione i suoi tormenti. 

Hazel annuì e abbozzò un sorriso. - Certamente… sì. - Disse, cercando di convincere anche sé stessa. 

- E poi così potresti entrare ufficialmente a far parte della famiglia! - Esclamò Ginny, allentando l'improvvisa tensione, per poi alzarsi in piedi. - Charlie, ti devo dieci galeoni. - Annunciò, parlando al fratello, prima di allontanarsi. 

Hazel sospirò, sperando che quell’imbarazzante e strano momento fosse finito, quando Tonks andò di nuovo all’attacco: - Ora che non c’è Ginny… - Sogghignò. - Dimmi, come se la cava quel perfettino sotto le lenzuola? - 

- Dora, così la metti in imbarazzo! - Rise Hermione, andandole in soccorso. 

- Dai, Hazel. - Insistette Tonks. - A Grimmauld Place mi raccontavi tutto su te e Sirius. - 

Hazel alzò gli occhi al cielo, le guance accese di rosso. - Sì, be’... non lo facevamo mai, tra Janus che stava sempre tra i piedi e il fatto che lui fosse spesso giù di morale, quindi quando capitava lo vivevo come un evento epocale. - Rispose. - Non eravamo mica come te e Remus, noi. Voi sì che ci davamo dentro. -  

Stavolta fu Tonks quella ad arrossire. 

- E comunque Percy se la cava meglio di quanto potresti immaginare. - Aggiunse Hazel alla fine, accontentandola. 

- Su una scala da uno a dieci? - Indagò ancora Tonks.

- Dora… - 

Ninfadora sbuffò. - Va bene, va bene, la smesso. Certo che siete pudiche, voi due. - Si lamentò, e poi alzò le mani in segno di resa. - Volevo solo fare un po’ di sano gossip, discorsi tra donne, sapete…  - 

- Io vi trovo molto carini insieme. - Intervenne Hermione, rivolgendosi a Hazel. - Non sono stati anni facili nemmeno per Percy, questi, tra la guerra, la perdita di Fred e la separazione da Audrey. - 

- Che tipo è lei? - Si informò Hazel, cercando di non mostrare troppo interesse. - L’ho vista una volta a Diagon Alley. È molto bella, oltre a sembrare una a posto. - 

- Sì, lei può sembrare praticamente senza difetti, di prima occhiata, perfino Molly la adorava. - Raccontò Hermione. - Comunque nessuno si aspettava che lei lo lasciasse così, portandosi dietro anche Molly e Lucy. - 

Hazel lanciò di sfuggita uno sguardo verso Percy. Non parlava mai volentieri di Audrey ed era probabile che per lui, la fine di quel matrimonio, avesse rappresentato un enorme fallimento. 

- È ora di mettersi a tavola! - Annunciò Molly, facendo svolazzare sopra le loro teste una tovaglia e un mucchio di stoviglie. - Ginny, cara, pensi che sia il caso di aspettare Harry per la cena? - Domandò poi alla figlia. 

Ginny scosse la testa, assumendo un’espressione alterata. - No, mangiamo pure. - 

Fu solo verso la fine di quell’abbondante e ottimo pasto pasto che Harry Potter fece il suo ingresso alla Tana. Aveva l’aspetto di chi ultimamente non doveva passarsela bene, con i capelli più spettinati del solito, come se ci avesse passato nervosamente le mani nel mezzo più volte, gli occhi arrossati dietro le lenti degli occhiali, e quando si sedette proprio davanti a lei, Hazel ebbe la sensazione che il giovane volesse dirle qualcosa. Ma non lo fece, anzi in effetti Harry non parlò molto quella sera, rispondendo solo di tanto in tanto alle frecciatine che Ginny gli lanciava contro. 

Visti in quel modo, con lei arrabbiata e sospettosa e lui stanco e affranto, i due non sembravano andare molto d’accordo e Hazel non fu l’unica a notarlo. 

- Ginny dice che Harry si comporta in modo strano da un paio di settimane a questa parte. - Le confessò Percy a fine cena, mentre se ne stavano seduti vicini sul divano, davanti al camino acceso. - A casa non c’è mai e quando c’è si chiude nello studio, su cui ha perfino gettato un incantesimo di protezione. Se vengo a sapere che la tradisce mentre per giunta è incinta giuro che lo uccido. - 

- Se non c’è riuscito Voldemort, suppongo che tu non abbia speranza, Perce. E poi, oltre al fatto che Ginny ha tutta l’aria di una che sa cavarsela molto bene da sola, sono quasi del tutto sicura che Harry non la tradirebbe mai. - Asserì fermamente Hazel. - Magari è solo un po’ stressato per il troppo lavoro. Dopotutto lui è un auror, non è mica il ministro dei trasporti come te... -

- Sono il capo dell’Ufficio del Trasporto Magico. - La corresse Percy, guardandola di sottecchi. - Ed è un lavoro che mette sulle mie spalle tantissime responsabilità. - 

Hazel cercò di trattenere un sorriso. - Sì… certo. - Disse divertita. - Chissà come farebbe il mondo dei maghi se non ci fossi tu. Secondo me la regina dovrebbe assumerti come capo del ministro dei trasporti babbani, sai? - 

- Sicuramente la metropolitana di Londra funzionerebbe molto meglio. - 

- Come al solito ti sopravvaluti. - 

Percy sbuffo. - Comunque spero che tu abbia ragione su Harry. - Borbottò pensieroso, tornando al discorso di poco prima. - Inoltre credo sia normale e legittimo che io voglia proteggerla, dato che è mia sorella. A tuo fratello non darebbe fastidio se qualcuno ti facesse soffrire o ti tradisse? - 

- Io e Chris non siamo cresciuti insieme, quindi non abbiamo il rapporto che avete voi tra di voi. È probabile che gli darebbe fastidio esattamente come darebbe fastidio a qualsiasi altro mio amico. - Spiegò Hazel, alzando le spalle. - Ad ogni modo… Chris ha detto che gli piacerebbe conoscerti. -  

Percy alzò entrambe le sopracciglia assumendo un’espressione sorpresa e poi sorrise con una certa boriosità. - Allora gli hai parlato di me. - Gongolò.  

- Tsk… piantala. - Ribatté lei, alzando gli occhi al cielo. 

- E, dimmi, cosa gli hai detto? - Insistette lui.  

- Non gli ho detto niente, sa solo che esisti. - Bofonchiò lei, in imbarazzo. 

Percy si aggiustò gli occhiali sul naso, un gesto che faceva spesso quando si sentiva sicuro di aver ragione. - Dunque quando andiamo in Scozia? - 

- Andate in Scozia? - Intervenne Charlie, alle loro spalle, prima che lei potesse rispondere, appoggiandosi allo schienale del divano su cui i due sedevano. - Una fuga romantica, eh? Non ti ci vedo, Perce, in mezzo alla brughiera. -  

Hazel si sentì avvampare e quando guardò Percy notò che le sue orecchie erano un po’ più rosse del solito. - Non iniziare, Charlie. - Lo fulminò lui. 

Charlie, per tutta risposta, si infilò tra loro, poggiando un braccio sulla spalla del fratello e l’altro su quella di Hazel. - E dai… scioglietevi un po’! - Esclamò allegramente. 

- Charlie, ti prego, così la metti in imbarazzo. - Lo implorò Percy. 

Hazel si svincolò dal braccio di Charlie e si alzò in piedi. - Charlie, ti lascio prendere in giro Percy anche da parte mia. - Disse con nonchalance. - Vado ad adempiere il mio bisogno di nicotina. - 

Una volta fuori dalla porta d’ingresso della Tana, Hazel si rese conto che l’inverno era arrivato per davvero. Faceva freddo e la luna era coperta da un denso strato di nuvole minacciose che la rendevano visibile solo a momenti alterni. Si sedette a terra, sull’erba rinsecchita dalle prime gelate, la schiena contro il muro, accese una sigaretta e poco dopo la porta si spalancò di nuovo, lasciando uscire Harry.  

- Ti disturbo? - Le domandò di getto, come se l’avesse seguita per dirle qualcosa. 

Hazel scosse la testa, e poi gli fece cenno di sedersi al suo fianco. 

Il ragazzo obbedì senza alcuna protesta, sistemandosi accanto a lei, ma con lo sguardo rivolto al cielo. - Ho parlato con Janus, qualche settimana fa. - Esordì dopo poco. - Ero a Hogwarts per una lezione. - 

- Come lo hai trovato? Sta bene? - Domandò Hazel. 

- Sì… la McGranitt dice che è un bravo studente, che si applica molto in tutte le materie. - Rispose il giovane. - Comunque non volevo parlare di lui. Piuttosto, tu come stai? - 

- Sto bene. - Sorrise Hazel, portandosi la cicca alle labbra. - E tu? Che stai combinando? - 

- Niente. - Rispose Harry di getto. 

Lei lo scrutò, mantenendo il piccolo sorrisetto che gli increspava le labbra. - Harry, lo so che non sono Sirius, va bene? - Disse amaramente. - Però se c’è qualcosa che non va, qualsiasi cosa, sappi che con me puoi parlare. Non potrei mai giudicarti, mai. - 

- Lo so. - 

- Allora vuoi dirmi cosa ti prende? Sei strano. Ginny dice che sei strano. - 

Harry sospirò ed esitò prima di parlare: - Tu… tu sei felice, Hazel? Sei felice in questo momento? - Chiese, lasciandola perplessa. - Insomma tu e Percy… - 

Hazel aggrottò la fronte. - Non approvi la cosa? Pensi che io stia facendo un torto a Sirius, che è ancora troppo presto per andare avanti?  

- Oh, no no, io approvo eccome! - Si affrettò a dire Harry. - Certo, devo ammettere che la cosa mi ha lasciato un po’ perplesso; non so per quale motivo ma, per quanto io credo sia giusto e normale il fatto che tu voglia rimetterti in gioco, non riesco ad immaginarti con nessun altro che non sia Sirius. - Il giovane fece un lungo sospiro. - Forse non dovevo dirti una cosa del genere. - Aggiunse. 

Hazel scosse la testa. - È un pensiero legittimo il tuo, d’altra parte era una mezza specie di padre per te. E anche io faccio fatica a pensarmi insieme ad un uomo che non sia lui, ma lui non c’è più, da molto tempo ormai. - Disse, e la sua voce risuonò triste e tranquilla allo stesso tempo, come se avesse finalmente cominciato a scendere a patti con quel dolore che si portava dietro. - Non tornerà più da me, e l’idea di rimanere sola per sempre stava già iniziando ad attanagliarmi da qualche anno a questa parte ma c’era sempre Janus, lì pronto a distrarmi da quel senso di angoscia. Quando poi lui è partito e mi sono sentita vuota mi sono detta che forse era arrivato il momento di pensare anche un po’ a me. - 

- Ma sei ancora innamorata di lui, di Sirius? - Le chiese Harry con ansia. 

Hazel batté le palpebre come se così potesse schiarirsi le idee. - Certo che lo amo, ci sarà sempre una parte di me che lo amerà, anche tra cinquant’anni. - Rispose. - Però non è come prima e sicuramente non per colpa di Percy. Sirius mi ha pugnalata alle spalle; mi fidavo di lui ciecamente, l’ho sempre fatto, ma ciò che ho ottenuto in cambio è stata la manipolazione della mia intera esistenza. Non posso dimenticare una cosa così, Harry. - 

Harry annuì. - Sai, Janus mi ha detto che da grande andrà a lavorare all’Ufficio Misteri così da poter tirare fuori Sirius dal velo. - Svelò dopo un sospiro. 

- Prima o poi capirà anche lui che non è possibile. -  

- Ma se invece fosse possibile? - Ribatté Harry. - Ho scoperto che forse ci sono stati dei precedenti secoli fa. Dopotutto perfino Janus lo ha capito: se quell’arco è un passaggio, una porta, allora si può sia entrare che uscire. -  

Hazel rimase in silenzio per qualche istante, poi premette con una certa stizza la cicca a terra. - E questi precedenti che forse ci sono stati secoli fa, che esito hanno avuto? - 

Harry esitò per qualche attimo. - Non sempre buono, voglio essere completamente sincero con te. Qualcuno ha perso la vita nel tentativo di tirare fuori qualcun altro da lì, mentre altri hanno tirato fuori solo dei cadaveri. - Ammise. - Ma potrebbe non essere questo il caso. Ho scoperto che alcuni indicibili stanno indagando, che hanno bisogno solo di qualcuno che passi attraverso l’arco e… - 

Hazel sospirò. - Harry… ti prego. Basta illusioni. Non fare nulla di stupido, non metterti in pericolo per una vana speranza. - Lo interruppe e poi si alzò in piedi. Lanciò un'ultima occhiata all’orizzonte buio, sospirò e aggiunse: - Stai per avere un altro bambino, Ginny e James hanno bisogno di te, ora più che mai, e sono sicura che Sirius non vorrebbe che ti mettessi di nuovo in pericolo per lui. - 

- Ma tu dici sempre che vorresti almeno dargli una degna sepoltura. - Ribatté Harry.

- Se per fargli un funerale tu devi rischiare di rimetterci la pelle allora no, non voglio dargli una degna sepoltura. - Sbottò Hazel, più duramente di quanto avesse voluto. - Inoltre, ci ho pensato, e so che non voglio vedere il suo corpo, non voglio che tutto questo mi piombi addosso nuovamente e soprattutto non voglio dover perdere anche te. Quindi, per favore, smettila di fare l’eroe. - 

Harry tacque e lei sospirò. 

- Promettimi che non farai niente di stupido. - Tornò a parlare poi Hazel, dopo un istante di pesantissimo silenzio. 

- Va bene. - Approvò lui. - Te lo prometto. -




 

Ciao persone! 

Eccomi qui, quasi dieci giorni per partorire questo capitolo abominevole, ma dopo la ventesima rilettura ho gettato la spugna, dunque ve lo siete beccati così com’è: na merda colossale. 

Che cosa dire… Janus queen of drama, incazzato h24, Hazel presa bene anche se un po’ arresa. Quello che differenzia mamma e figlio è essenzialmente il fatto che Hazel, negli anni, si è fatta via via sempre più scettica, mentre Janus ha fede, se così si può dire. 

Dalle recensioni dello scorso capitolo ho notato che questa piccola tresca che Hazel ha con Percy vi ha un po’ sorpreso ma, come ho già detto nelle risposte, non avevo voglia di far spuntare un personaggio a caso e, allo stesso tempo, mettere in mezzo Charlie non mi convinceva (Charlie è troppo figo e spericolato per lei). 

Comunque dato che ultimamente sono un po’ in crisi credo che forse il ritmo degli aggiornamenti diminuirà, spero non vi dispiaccia. 

Grazie per essere arrivati fin qui, 

alla prossima, 

Jamie.   

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Capitolo 25. Non sai un bel niente ***


Capitolo 25


Durante le prime settimane di novembre, Janus prese l’abitudine di passare molto del suo tempo libero insieme a Fierobecco l’ippogrifo o da solo nei luoghi più appartati del parco di Hogwarts, che spesso gli ricordava i dintorni del cottage scozzese in cui aveva passato più di una estate.  In testa le stesse domande che aveva fatto a Harry poco tempo prima: cos’era quel velo che si era portato via suo padre? Era possibile tornare indietro, una volta attraversato? 

Ogni volta che provava a parlarne con qualche adulto, loro lo liquidavano con frasi che di risposte non avevano nulla, come se la morte di Sirius Black fosse una sorta tabù, qualcosa a cui nessuno voleva pensare. Aveva chiesto a tutti; alla McGranitt, a Hermione, a Lumacorno, aveva perfino scritto al padre di Hughie, che gli aveva risposto che nemmeno il Ministro della Magia in persona sapeva nulla di ciò che accadeva nell’Ufficio Misteri. Questo lo spinse ancora di più verso la decisione che aveva preso settimane prima: se nessuno sapeva niente di quel velo a parte gli indicibili, allora lui sarebbe diventato uno di loro a tutti i costi. Il problema stava nel fatto che era una carriera difficile, anzi difficilissima, diceva la professoressa McGranitt. Bisognava uscire da Hogwarts con dodici M.A.G.O., studiare come apprendista per tre lunghi anni e nel frattempo mantenere una condotta impeccabile. Poi, dopo un test, si era finalmente Indicibile. A lui di certo non dispiaceva studiare, ma dodici M.A.G.O. voleva dire non poter abbandonare pozioni subito dopo il quinto anno. Doveva impegnarsi di più, questo era certo, ma ne sarebbe valsa la pena. Chissà, pensava di tanto in tanto, magari non avrebbe solo riportato suo padre indietro, ma avrebbe potuto scoprire anche la cura per la morte e questo era decisamente molto meglio che essere il presidente degli Stati Uniti o il Ministro della Magia come invece aveva sempre sognato. 

Verso metà mese, Janus scoprì un posticino nascosto dalle fronde folte di un salice, sulla riva est del Lago Nero, quasi al confine con la Foresta Proibita, da cui si poteva osservare da lontano il castello e anche gran parte del prato che lo circondava senza essere notato da nessuno.  

Spesso andava lì a leggere o a suonare, oppure, semplicemente, si sdraiava sull’erba sempre più fredda e umida e si limitava a guardare il cielo grigio che si estendeva sopra di lui. Cominciò a farlo tutti i giorni dopo le lezioni, creandosi un piccolo spazio segreto in cui si lasciava andare totalmente a sé stesso, senza l’angoscia che ultimamente sentiva quando doveva avere a che fare con le altre persone. 

Avere degli amici chiaramente gli piaceva, ma era del tutto convinto che nessuno di loro potesse seriamente capirlo del tutto. In fin dei conti nessuno di loro tre aveva mai avuto un vero motivo per piangere o sentirsi triste, al contrario di lui che invece era convinto di averne parecchi. Nonostante per la maggior parte del tempo si trovasse circondato da tantissime persone, si sentiva solo, più solo che mai, solo con tutto ciò che lo tormentava. 

Prima di Hogwarts, anche se non aveva praticamente nessun amico o quasi, c’era sempre sua madre lì a comprenderlo, a capire ed accettare tutte le sue stranezze. Adesso invece, nonostante Hazel gli spedisse lettere almeno quattro volte a settimana, non se la sentiva affatto di confidarsi con lei sul fatto che nemmeno a Hogwarts si sentiva al posto giusto. 

Era come se gli mancasse sempre un pezzetto: si sentiva come disgregato in tanti piccoli frammenti taglienti che mai sarebbero stati capaci di fare di lui una vera e propria persona. 

Un pomeriggio, proprio su quella riva apaprtata, Janus fece amicizia con un simpatico esemplare nero di vipera morasso che lui decise di chiamare Will. 

Il fatto che in serpentese fosse impossibile mentire lo aiutava parecchio a fare i conti con tutte quelle parti di lui e quei desideri che cercava sempre di reprimere, come il fatto che si sentisse arrabbiato con Harry dopo il loro ultimo incontro o che detestasse non essere nel Lumaclub come Annie o quella ragazzina irritante di Faye Selwyn. 

- Alla scuola babbana ero sempre il primo della classe! - Sbottò una mattina, facendo avanti e indietro mentre Will lo fissava acciambellato su una pietra, al sole. - La famiglia di mio padre è nel Lumaclub da sempre e quel vecchio tricheco si comporta come se non esistessi solo perché non eccello nella sua stupida materia! -

- Sei troppo arrabbiato, mio giovane amico. - Ribatté il serpente. - Dovresti chiederti come mai per te è così importante essere sempre il migliore.

Janus sbuffò. - Chi non vuole esserlo? - Domandò scocciato. Poi prese un respiro profondo, cercando di rilassarsi. - Stavo pensando… perché non vieni con me al castello oggi? Comincia a far freddo qui fuori.

- Ti scoprirebbero e ti punirebbero. Io sono un serpente velenoso e inoltre i maghi e le streghe temono gli animali della mia specie. - Spiegò Will. - La foresta è il mio posto, ma tu potrai venirmi a trovare per tutto l’inverno, anche quando andrò in letargo.

Janus aprì la bocca per controbattere, quando alle sue spalle avvertì il rumore di alcuni passi che calpestavano i rami secchi della foresta. Si voltò di scatto, notando di sfuggita qualcuno che si era nascosto dietro uno dei tanti alberi. 

- Chi è là? - Tuonò, facendo un passo in avanti. - Guarda che ti ho visto! Vieni fuori! - 

Ci fu un attimo di immobilità e poi una figura minuta uscì da dietro l’ombra del salice. Faye Selwyn si fece avanti, con le mani alzate ai lati della testa e un sorrisetto beffardo dipinto in volto. - Scusate l’interruzione. Non volevo interrompere la tua chiacchierata con quella vipera. - Disse sogghignando. - Hai un segreto molto oscuro, Black. Curioso per un bravo Grifondoro come te essere un rettilofono. - 

Janus sussultò e, vicino a lui, il serpente si issò sibilando minaccioso. - Non devi dirlo a nessuno! - Esclamò con il cuore in gola. 

Faye ghignò divertita. - Io non lo dico a nessuno, ma tu in cambio farai i miei compiti di trasfigurazione da qui a sempre. - Ordinò. 

Il ragazzo sgranò gli occhi. - Non dici sul serio. - Protestò indignato. 

- Dico molto sul serio. - Ribatté lei, facendo qualche passo nella sua direzione. - Anzi, farai tutto ciò che dico io. Tutti i miei compiti. E poi diventeremo amci. - 

- Non voglio essere amico tuo. Tu… tu sei pazza! - 

Il viso di Faye cambiò radicalmente espressione, come se Janus avesse appena toccato un tasto dolente. - Tu sei stronzo. - Ribatté poco dopo, con forza. 

- E tu… tu sei volgare e cattiva. È per questo che nessuno vuole essere amico tuo! - 

- Dirò a tutti quello che ho visto, anzi, quello che ho sentito, se non fai ciò che dico io. -

Janus le lanciò uno sguardo torvo, molto torvo, ma quando lei fece un passo in avanti, lui si trovò comunque a indietreggiare. - Se dici qualcosa, io ti faccio mordere da Will! Lui è una vipera, ti farebbe male, molto male! - 

- Oh, Will, è così che hai chiamato il tuo animaletto domestico? - Fece lei, guardando la vipera, che sibilò infastidita. - Be’, tanto meglio. Così avrò anche le prove. Immagina cosa potrebbero pensare i tuoi amici di questo tuo curioso talento. Secondo me ne rimarrebbero disgustati, ti considererebbero un mostro, un mago oscuro, una persona da cui tenersi alla larga. - 

- I miei amici lo sanno già. - Controbattè Janus. 

- Ma il resto della scuola no. - Rimarcò Faye. - Lo dirò a tutti, non ci sarà una persona che non conoscerà questo tuo piccolo e oscuro segreto. - 

Janus si sentì scosso da un fremito di rabbia. Aveva voglia di schiantarla esattamente come aveva fatto Rowle il primo giorno di scuola, ma non lo aveva mai fatto prima e la paura di fare una figuraccia lo fermò. E poi era pur sempre una ragazza. 

- Allora, Black, accetti o no? - 

Janus esitò. Si sentiva arrabbiato, furioso, ed era consapevole del fatto che, ogni volta che provava qualcosa del genere, finiva sempre per mettersi a piangere come un bambino piccolo, e lui non poteva di certo farlo davanti a lei. - Va bene. - Sussurrò a denti stretti. 

- Ottimo. - Approvò Faye, con un sorriso mellifluo. - Allora domani pomeriggio ci vediamo qui alla stessa ora e tu mi insegnerai a trasfigurare un fiammifero in uno spillo. E porta anche il tema sulla rivolta dei folletti per storia della magia, così lo copio. - 

Fu così che, da un giorno all’altro, Janus si ritrovò a passare molto tempo in compagnia dell’irritante Serpeverde.

All’inizio i due si incontravano sempre e solo sulla riva del Lago, ma poi, con l’arrivo del freddo, cominciarono ad abbandonare quel luogo per trasferirsi in biblioteca. Nonostante ciò, capitava ancora che andassero insieme a trovare Will, che con l'arrivo del gelo si era rifugiato nella sua tana. 

Durante la prima settimana di dicembre il castello fu tormentato da tempeste e dalle prime spolverate di neve. Il Lago Nero si era ghiacciato e c’era l’odore dell’inverno nell’aria: le feste si cominciavano quasi a intravedere. Mentre nella Sala Comune e nella Sala Grande nei camini erano stati accesi fuochi scoppiettanti, i corridoi pieni di spifferi erano gelidi e umidi. Il peggio erano le lezioni del professor Lumacorno, e non solo perché Janus le detestava, ma anche perché che si tenevano nei sotterranei, dove faceva molto più freddo e tutti cercavano di starsene il più vicino possibile ai calderoni bollenti.

Anche la biblioteca, proprio come la Sala Grande e la Sala Comune, era accogliente. Janus adorava l’odore di quei libri vecchi e impolverati, il silenzio che regnava tra quei tavolini di mogano e il fatto che, almeno lì, Faye non poteva tormentarlo di continuo con la minaccia di dire a tutta la scuola il suo segreto. In compenso, però, la Serpeverde si sedeva al suo fianco e lo fissava mentre lui faceva i compiti al posto suo.

- Tornerai a casa per le vacanze? - Domandò lei un giorno poco prima di cena, mentre tornavano dalla loro consueta “seduta di studio” in biblioteca. 

Quel giorno faceva molto freddo e Janus se ne stava infagottato nel suo mantello anche nel bel mezzo dei corridoi affollati. - Sì, e tu? - Chiese a sua volta. 

- Sì. - Rispose Faye come se la cosa le dispiacesse, lo sguardo perso davanti a sé, nella calca di studenti che si affrettavano a raggiungere la Sala Grande. 

Janus si voltò a guardarla, studiandola per qualche secondo. Aveva le guance arrossate, le labbra screpolate dal freddo e i capelli dorati tutti crespi a causa dell’umidità, si stringeva anche lei nel suo pesante mantello di lana, mentre con una mano si teneva la sciarpa verde e argento intorno al collo. 

- Perché usi quel tono? Non ti mancano i tuoi genitori? - Le chiese, pieno di curiosità. 

- Nessuno dei due vive con me, io vivo con mio zio. - Rivelò. - Preferirei di gran lunga starmene qua al castello, si dicono cose leggendarie sul banchetto di Natale, ma lei pretende che torni. - 

- Perché non vivono con te? Dove sono? -  

- Mamma ha un problema… diciamo di salute, quindi vive nel reparto a lunga degenza del San Mungo, mentre mio padre è ad Azkaban per i crimini commessi in guerra. Era un mangiamorte. - Spiegò Faye, il tono tranquillo, come se non fosse dei suoi genitori che stesse parlando. 

- Anche mio zio, il fratello di mio padre, era un mangiamorte. - Disse lui, senza un reale motivo. - E anche mia zia, sai, quella che lo ha ucciso. E anche il marito dell’altra mia zia e il loro figlio, cioè mio cugino Draco; però mia madre dice che è comunque simpatico. Insomma, non ho pregiudizi, ecco. - 

- Mio padre non era simpatico. - Ribatté gelidamente lei.

- Se vuoi puoi venire a casa mia per le vacanze di Natale. - Buttò lì Janus, mentre entrambi si fermavano davanti all’imponente porta di legno della Sala Grande. - Mia mamma fa sempre le cose in grande, sono certo che le farebbe piacere avere una persona in più in casa. Di solito andiamo in Scozia da mio zio Chris. - 

- Non posso. - Tagliò corto Faye. 

- Come ti pare. - 

Lei gli lanciò un’occhiata di sfuggita. Nonostante sembrasse molto più piccolo della sua età, e lei fosse addirittura più alta di qualche centimetro, dovette ammettere che lo trovava carino. Considerava anche la sua compagnia piuttosto piacevole, ma si sarebbe fatta amputare una mano piuttosto che ammetterlo. - Ascolta, Black. - Disse ad un certo punto. - Vieni con me alla festa di Natale di Lumacorno. - 

Janus aggrottò la fronte. Quella non sembrava affatto una domanda. - Non ci penso proprio. - Rispose bruscamente. - Klaus e Hughie mi prenderebbero in giro. - 

- Se non ci vieni dico a tutti che sei un rettilofono. - 

Il ragazzino strinse gli occhi. - Mi hai stancato con questa storia. - Affermò. - Ti faccio tutti i compiti, ti porto lo zaino in lungo in largo come una specie di facchino, faccio tutto ciò che dici, ma non poi costringermi ad andare a quella stupida festa. - 

Faye ghignò. Era ovvio che non si aspettasse da lui una decisione simile. - Peccato, ero certa che conoscere Lumacorno al di fuori delle lezioni potesse assicurarti un posto nel Lumaclub. - 

- Cosa intendi? - 

- Che magari, parlando con te mentre non fondi l’ennesimo calderone, il professore potrebbe accorgersi che non sei poi così male. - Spiegò Faye. - Ma come non detto. - 

Janus parve pensarci su. Effettivamente il ragionamento della Selwyn aveva un senso, ma era davvero certo che Hughie e Klaus lo avrebbero preso in giro fino alla fine dei suoi giorni, dato che si erano convinti che si fosse perdutamente innamorato di lei. 

Però, per il Lumaclub potrebbe valerne la pena, mormorò la voce della sua ambizione. 

- Va bene. - Sbuffò alla fine. - Verrò a questa stupida festa. È il 22 dicembre, vero? - 

- Sì, nell’ufficio di Lumacorno. - Rispose lei, lasciandosi sfuggire un sorriso. - Fatti spedire da tua madre dei vestiti, non puoi di certo venire con la divisa, e tanto meno con quelle orrende magliette delle band babbane. - Aggiunse.

Gli rivolse un’ultima occhiata prima di varcare da sola la soglia della Sala Grande, lasciandolo lì fermo sull’uscio. 

Lui la guardò allontanarsi, sfilando lungo il tavolo della sua Casa fino a sedersi da sola, e poi seguì il suo esempio, puntando però verso il tavolo di Grifondoro. La Sala quel giorno era davvero uno spettacolo: dalle pareti pendevano ghirlande d'agrifoglio e di pungitopo, e tutto intorno erano disposti non meno di dodici alberi di Natale, alcuni decorati di ghiaccioli scintillanti, altri illuminati da centinaia di candeline.

Non appena raggiunse i suoi amici, Janus si lasciò cadere sulla panca, proprio tra Hughie e Klaus, davanti ad Annie, che lo stava fissando con uno sguardo indagatore. 

Sul lungo tavolo rosso e oro le pietanze del pranzo emanavano odori invitanti e lui si riempì subito il piatto di patate al forno. 

- Passate molto tempo insieme tu e la Selwyn. - Constatò Hughie, facendo un sorrisetto. 

Janus annuì, mugugnando qualcosa a bocca piena. 

- Non dovresti socializzare con il nemico. - Aggiunse Annie lugubre. 

Il Grifondoro soffocò una risata. - Nemico? Solo perché è una Serpeverde? - Domandò.  

- Be’... sì! Per colpa sua ti sei preso una punizione! - Gli ricordò Annie. - Insomma, cosa avete in comune tu e quella lì? - 

Janus alzò le spalle. - Suoniamo entrambi nell’orchestra della scuola. - Spiegò, prima di volgere lo sguardo verso il tavolo dei Serpeverde. 

Faye se ne stava seduta di spalle ma proprio dritto davanti a lui e, come al solito, era sola. A parte lui sembrava non avesse nemmeno un amico e quasi tutti la trattavano come una sorta di appestata. Gli ricordava un po’ sé stesso durante la scuola babbana. Certo, i suoi modi non la rendevano simpatica, era una di quelle persone caratterizzata da uno strano humor difficile da capire oltre che da una sincerità spesso imbarazzante. 

- E comunque la sto aiutando un po’ in trasfigurazione. - Aggiunse.

Annie fece un verso pieno di disprezzo e poi infilzò di malumore una salsiccia.

- Approposito, mi ha invitato alla festa di Natale di Lumacorno. - Annunciò Janus, seppur con un certo disinteresse. - E io ho accettato. - 

Davanti a lui, Annie lo fulminò con lo sguardo, mentre Hughie alla sua destra sgranò gli occhi dalla sorpresa e Klaus fece un sorriso beffardo. - Ma allora vedi che abbiamo ragione noi! - Esclamò il primo. - Ti piace! - 

- Ma per favore… - Borbottò Janus, sentendosi arrossire. - Ci vado solo perché voglio far capire a Lumacorno che sono degno di stare in quel suo ridicolo club. - 

- Eppure ad Annie avevi detto di no. - Sottolineò Klaus. 

- Tu hai detto di sì a quella lì e ci passi tutto quel tempo insieme solo perché è carina! - Lo accusò Annie, senza preoccuparsi di nascondere tutta la sua indignazione. 

- Be’, no. Insomma… io passo il mio tempo anche con te dopotutto. - 

Hughie e Klaus scoppiarono a ridere, mentre Annie, in tutta risposta, si alzò furente ed uscì dalla Sala Grande senza terminare il suo pranzo, lasciandolo un po’ interdetto. - Ma che le prende? - Domandò Janus, più a sé stesso che agli altri due. 

- Temo che tu le abbia appena spezzato il cuore. - Spiegò Hughie annuendo solennemente e passando un braccio sulle spalle del giovane Black. 


La sera della festa, nonché ultimo giorno prima dell’inizio delle vacanze, arrivò con più fretta del previsto, e Janus dovette ammettere a sé stesso che, nonostante ostentasse una più che credibile parvenza di menefreghismo, si sentiva invece un po’ emozionato. Si era fatto spedire da sua madre una di quelle camicie con cui lei lo obbligava sempre a vestirsi quando andavano insieme alle inaugurazioni di mostre prestigiose e l’aveva indossata guardando con tristezza la sua maglietta dei Linkin Park malamente abbandonata sul suo letto. 

- Adesso sì che sembri il degno discendente ed erede dei Black. - Commentò Klaus, con un tono leggermente canzonatorio, mentre insieme raggiungevano la Sala Comune. 

Janus sogghignò, rivolgendo nella direzione dell’amico uno sguardo fugace. Klaus, che andava alla festa insieme ad Annie, indossava una pretenziosa veste da mago rossa e gialla e piena di strani merletti, totalmente nel suo stile sempre piuttosto eccentrico. 

- Che ci vuoi fare, Klaus, in fin dei conti anche Faye discende da una famiglia delle Sacre Trentotto, dovevo adattarmi. - Disse Janus sarcastico. 

- Ventotto. Sacre Ventotto. - Lo corresse Klaus.

Lui scrollò le spalle. - È uguale. - 

La Sala Comune quella sera era particolarmente affollata di studenti, che si apprestavano a raggiungere l’ufficio del professore di pozioni. Quando raggiunsero Annie, vestita di tutto punto con un abito piuttosto natalizio, vicino al quadro della Signora Grassa, la giovane scoccò a Janus uno sguardo molto torvo, per poi rivolgere a Klaus un sorriso molto tirato, prima di varcare la soglia d’uscita della Sala Comune. Janus, in tutta risposta, alzò gli occhi al cielo e li seguì in silenzio, chiedendosi per l’ennesima volta il motivo per il quale la sua amica ce l’avesse tanto con lui. 

- Hey, voi tre! - Urlò una voce alle loro spalle, quando erano a circa mezza rampa di scale lontani dal quadro della Signora Grassa. 

Janus si voltò, notando la presenza di Hughie che stava scendendo pigramente le scale, vestito esattamente come tutti i giorni, cioè con totale disinteresse. - Non dirmi che Lumacorno non ti ha invitato, questa volta. - Disse, dando un’occhiata alla felpa dei Cannoni di Chudley e alle scarpe da ginnastica che l’amico indossava. 

- Certo che mi ha invitato. Lumacorno mi invita a tutti i suoi eventi anche se in pozioni faccio schifo, e  io ci vado solo per il buffet. - Spiegò Hughie. - Tu e la nostra cara amica Serpe dove vi vedete? - Gli chiese poi.

- Direttamente lì, no? - Fece Janus, tornando a scendere le scale dietro a Klaus ed Annie. 

Hughie fece un lungo e sonoro sospiro. - Guarda che dovresti come minimo raggiungerla all’uscita della sua Sala Comune. Capisco che sei un ragazzino del primo anno, ma devo davvero spiegarti tutto io? - 

- E perché? Insomma, presumo che Faye sappia arrivare da sola all’ufficio del direttore della sua Casa. - Ribatté Janus. 

- Non importa se ci sa arrivare o no, tu devi andarla a prendere e basta, è così che si fa con le ragazze, bello mio. Altrimenti non ne troverai mai nessuna. - 

Janus scrollò le spalle. - Tanto sono tutte stupide le femmine, tranne mia madre, ovviamente. Senza offesa, eh, Annie. - 

Annie, come al solito da qualche settimana a quella parte, gli lanciò uno sguardo di fuoco e non rispose. 

Alla fine, complice l’insistenza di Hughie, Janus accettò di raggiungere l’entrata della Sala Comune di Serpeverde dove effettivamente Faye lo stava attendendo con le braccia incrociate sul petto e l’espressione alterata in volto. 

- Ce l’hai fatta. - Disse la ragazzina rimproverandolo.  

Lui alzò gli occhi al cielo e sbuffò. - Non pensavo che tu avessi davvero bisogno di essere accompagnata all’ufficio di Lumacorno. - Spiegò scocciato. 

- Ma è così che funziona in certi casi. - 

- Se lo dici tu. - Tagliò corto Janus. - Allora, andiamo o no? Ho fame. - 

Faye gli scoccò un’occhiataccia, molto simile a quella che si era beccato da Annie poco prima, e poi fece strada lungo i sotterranei senza dire niente. 

Janus si trascinò dietro di lei un po’ svogliatamente, per poi tentare di darsi un tono quando raggiunsero finalmente l’ufficio di Lumacorno. 

Che fosse stato costruito così o che lui avesse usato qualche complesso incantesimo per farlo diventare tale, quell’ufficio era molto più grande di quello del professor Paciock. Soffitto e pareti erano stati ricoperti da arazzi color smeraldo che davano l’impressione di essere dentro un enorme negozio di tendaggi. 

La sala era affollata, calda e inondata dalla luce da un elaborato lampadario d’oro appeso al soffitto. Un’aura di fumo di pipa aleggiava sulle loro teste e un certo numero di elfi domestici si faceva strada strillando nella foresta di ginocchia, portando pesanti vassoi d’argento carichi di cibo. 

C’erano pochissimi studenti del primo e del secondo e del terzo anno, ma erano moltissimi quelli del sesto e dell’ultimo. Lumacorno si aggirava tra gli invitati con indosso un completo in velluto verde oliva, mentre gli altri insegnanti se ne stavano in gruppetti con dei calici in mano. Janus riconobbe la professoressa di Difesa contro le Arti Oscure che parlava con il professore di incantesimi, mentre la McGranitt si intratteneva in una lenta conversazione dall’aria noiosa con una donna dai grossi occhiali spessi che doveva essere la professoressa di divinazione.  

Il giovane cercò qualcuno dei suoi amici tra la folla, ma sembrava non esserci traccia di nessuno di loro finché, ad un certo punto, alle sue spalle, non sentì la voce di Hughie arrivare da dietro ad una delle tende verdi e argento. Janus e Faye si scambiarono uno sguardo perplesso, poi lui scostò un po’ il tessuto, scoprendo la presenza del Grifondoro, che sembrava essersi nascosto. 

- Ma che fate? Volete farmi scoprire? - Bisbigliò allarmato, prima di afferrarli entrambi per le mani, tirandoli dietro alla tenda. - Ciao, Selwyn, bel vestito. - Aggiunse. 

Lei lo guardò con una certa boriosità e poi rispose: - Grazie. - Con tono incerto. 

- Ma che fai qui dietro, Hughie? - Domandò Janus, sorpreso e divertito. 

- Mi nascondo da Lumacorno, come al solito, altrimenti mi starebbe appiccicato per tutta la sera. - Spiegò affranto. - Mi ha già fatto tre fotografie e mi ha anche già chiesto almeno due volte se seguirò le orme di mio padre. - 

- Almeno lui ti prende in considerazione. - Borbottò Janus. 

- Magari potresti impegnarti un po’ di più in pozioni invece di lamentarti. Guarda che un nome famoso non basta. - Si mise in mezzo Faye. 

- Nel caso di Hughie basta eccome. - Ribatté Janus, e Hughie annuì.  

Poi la tenda alle loro spalle si spalancò e i tre si voltarono di scatto. - Cosa state facendo? Fuori di qui. - Ordinò la preside McGranitt. 

I tre obbedirono senza controbattere e fu in quel momento che Lumacorno si avvicinò a loro molto rosso in viso, il cappello di velluto che aveva in testa un po’ storto con un bicchiere di idromele in una mano e un enorme pasticcio di carne nell’altra. 

- Hughie, mio caro ragazzo, ti stavo giusto cercando. - Esordì con voce sonora, dando una pacca sulla schiena del ragazzo, per poi passare lo sguardo su Faye e Janus. - Signor Black, non mi aspettavo di vederti stasera! - Disse allegramente. 

- Faye mi ha invitato, signore. - Rispose educatamente il ragazzo. 

- Bene, bene! - Esclamò Lumacorno. Sembrava un po’ brillo ma Janus lo trovò piuttosto divertente. - La preside decanta le tue doti per la trasfigurazione proprio come decantava quelle di tuo padre. Sirius è sempre stato il suo preferito, a mio parere perfino più di James! Sì, sì, ricordo bene quando quei due si travestirono proprio come lei per il banchetto di Halloween, con la veste da strega, una parrucca e il cappello a punta. Non li punì neppure! - 

Janus trattenne senza successo una risata, ammirando il coraggio e la faccia tosta di suo padre e di James, e la McGranitt fulminò prima lui e poi Lumacorno con lo sguardo. - Credo che per stasera tu abbia bevuto abbastanza idromele, Horace. - Gli disse, togliendo il bicchiere dalle mani dell’uomo. 

- … un ragazzo brillante; poca voglia di applicarsi nello studio, poca ambizione, ma decisamente molto sveglio, e che vita triste che ha avuto! - Continuò Lumacorno, come se la preside non avesse parlato. - E tua madre… poverina, ritrovarsi da sola già da così giovane. Ma dimmi, ragazzo, cosa fa lei nel mondo dei babbani? - 

- Insegna ad Oxford. - Rispose Janus. 

- Una cittadina molto graziosa. - Annuì il professore. 

- Intendevo dire l’università di Oxford, signore. - Chiarì Janus, un po’ perplesso da quella strana risposta. - Insegna filosofia dell’arte ed estetica. -  

- Ah sì? E cosa vuol dire di preciso? Si tratta di un lavoro redditizio? - 

Janus fu, se possibile, ancor più perplesso. Rivolse uno sguardo verso la McGranitt, che proprio come il professore di pozioni sembrava non avere nessuna idea di cosa fosse la filosofia. - Be’... diciamo che c’entra con l’arte. - Buttò lì, un po’ a disagio. 

- Sì, sua madre critica l’arte. - Annuì Hughie, soddisfatto di sé come se avesse appena detto qualcosa di molto intelligente. - Praticamente viene pagata per insultare i quadri. Certo che ne hanno di lavori strani, i babbani. - 

 

Due ore più tardi, Janus si rese conto che quella festa era noiosa quasi quanto una lunghissima lezione di storia della magia con il professor Ruf. Come se questo ancora non bastasse, nessuna delle pietanze che gli elfi domestici servivano sembrava andargli a genio, così si ritrovò, verso le undici, fuori dall’ufficio del professore in compagnia di Hughie e Faye, e con una grossa voragine nello stomaco. 

- Ho fame. - Si lamentò per l’ennesima volta. - Odio la cucina inglese. Tutto questo agnello, e questi stufati, e le interiora di drago… - 

- Cosa si mangia a New York? - Gli domandò Faye.

- Qualsiasi cosa. - Rispose Janus, ormai affranto al ricordo della varietà culinaria della Grande Mela. - Hamburger, cibo messicano, cibo cinese, cucina italiana… io e mamma andavamo a mangiare delle pizze enormi ogni giovedì a little Italy, e poi i bagel. -  

- Perché non andiamo a controllare se in cucina hanno questi bagel? - Propose Hughie. - Dicono che in cucina ci sia un’elfa con una dipendenza da burrobirra e che dunque tiene nascoste decine di bottiglie sotto il pavimento della dispensa. -

- Non siamo troppo giovani per la burrobirra? - Chiese Janus, perplesso. 

Hughie alzò gli occhi al cielo. - Quanto sei precisino. La burrobirra ha una percentuale alcolica bassissima, ubriaca solo gli elfi domestici perché sono piccoli. - Spiegò. - Ai Tre Manici di Scopa la vendono anche ai ragazzini come te. E poi tu non sei scozzese? - 

- Mezzo scozzese. - Lo corresse. - Ma cosa c’entra? - 

- La Scozia è la patria del Whisky, vorresti dirmi che tua madre non te lo ha fatto mai assaggiare? - 

- Certo che no, mia mamma a stento mi permette di bere le bevande zuccherate, figurati il resto. - Disse Janus.

- Dev’essere una tipa iper protettiva, eh. - 

- Non ne hai neppure idea. - 

Fu facile trovare le cucine, nascoste dietro un quadro di natura morta.  

Una volta dentro, un centinaio di elfi ancora indaffarati rivolsero loro lo sguardo. Erano creature piccole, dalle grandi orecchie da pipistrello. Molti erano vecchi e malconci, altri erano più giovani e arzilli e tutti portavano la stessa uniforme: uno strofinaccio con ricamato lo stemma di Hogwarts, a mo’ di tunica. 

La cucina era una grande sala in cui erano stati sistemati quattro lunghi tavoli come quelli della Sala Grande, le pareti erano di pietra e tutto intorno si poteva sentire ancora un invitante odore di cibo. Janus passò lo sguardo su ognuno dei loro volti sorpresi e poi qualcosa accadde. Un elfo, forse il più vecchio del gruppo, lo guardò molto intensamente, tanto che il ragazzo quasi si sentì intimorito. Notò che portava un grosso medaglione dorato con una S fatta di brillantini verdi incastonati sopra e fu quello il momento in cui capì davanti a chi si trovava. Harry gli aveva raccontato la storia di suo zio Regulus poco prima della scuola, gli aveva detto come si era sacrificato per il bene di tutti, nel tentativo di distruggere un pezzetto di Voldemort, ma non gli aveva detto che Kreacher si trovava a Hogwarts in quel momento. Chissà, forse sperava che i due non si incontrassero mai. 

Quando Janus fece un passo in avanti l’elfo sobbalzò. 

Sapeva che il figlio di padron Sirius era arrivato ad Hogwarts e aveva cercato di evitare di incontrarlo perché se lo avesse fatto avrebbe dovuto servirlo, e lui non voleva diventare l'elfo di quel mezzosangue, il figlio del rinnegato, il disonore dei Black, che aveva spezzato il cuore della sua amata padrona e che aveva osato accoppiarsi con una sporca babbana portandola addirittura nella nobile dimora di famiglia. Davanti a Janus, Kreacher sperò che quel mezzosangue non gli rivolgesse la parola, così da non attivare mai gli incantesimi che l’avrebbero obbligato a servirlo, ma soprattutto si preparò al peggio. Kreacher aveva tradito il suo padrone e questo per un elfo voleva dire solo una cosa: morte.

- Sei tu. - Disse il ragazzino, guardandolo con lo stesso sguardo che anche padron Sirius gli rivolgeva sempre. 

L’elfo fece un inchino talmente profondo che il suo grosso naso a grugno sfiorò il pavimento. - Padrone. - Gracchiò, fermo in quella scomoda posizione. 

- Tirati su, è ridicolo da parte tua. - Disse gelidamente Janus. 

Kreacher obbedì immediatamente, tornando a guardarlo in modo intenso. 

Intorno a loro l’aria nella cucina si era fatta pesante. Janus poteva percepire la tensione di Faye e Hughie alle sue spalle e coglieva tutte le occhiate preoccupate che gli altri elfi lanciavano a Kreacher. Prese un respiro profondo, cercando di reprimere una montagna di pensieri atroci che gli si stavano affollando nella testa. Aveva desiderato per anni di farlo fuori, ucciderlo in tantissimi modi dolorosi, ci aveva pensato tantissime volte da quando sua madre gli aveva raccontato com’era morto suo padre. Eppure, in quel preciso istante, l’idea di poter fare una cosa del genere lo spaventò a morte.

- Bene. - Disse dunque. - Adesso sei il mio elfo, è vero? - 

- Sì, padrone. - Gracchiò Kreacher, e si inchinò di nuovo. - Kreacher vive per servire la Nobile e Antichissima Casata dei Black… anche se tu non sei degno degno di farne parte... - Aggiunse sussurrando. 

Janus strinse forte i pugni, cercando di frenare un forte impulso di prendere a calci quella creatura fino allo sfinimento. - Sì, sì, come ti pare… tirati su, brutto idiota. Non ti uccido solo perché un elfo può sempre tornare utile a scuola. Magari lo farò dopo i M.A.G.O., chissà. - 

- Black, ma che dici? - Domandò Faye facendo un passo in avanti.  

- Questa cosa ha ucciso mio padre, lo ha tradito. Quindi da ora in poi farà tutto quello che dico io. - Disse duramente il ragazzo, sentendosi tremare tutto e avvicinandosi all’elfo. - Se farai un passo falso, Kreacher, uno solo, se ti azzarderai a non portare a termine uno dei miei ordini giuro… io ti taglierò la testa e la appenderò insieme a quelle dei tuoi antenati a Grimmauld Place. Anzi, no, perché non ne saresti degno. -   

- Kreacher fa tutto ciò che il padrone comanda. - Rispose l’elfo come se non ci credesse nemmeno lui a quelle parole e rivolgendogli uno sguardo pieno di disprezzo. 

- Bene. Allora comincia a memorizzare. - Riprese Janus. - Obbedirai a me e a tutti i miei amici, non ti azzarderai mai più a usare parole come “sanguesporco” contro qualcuno, non parlerai mai male di mio padre né di mia madre. Inoltre non mi dovrai mentire mai, questo è un ordine abbastanza preciso per te, inutile carogna? - 

Voleva che quell’elfo soffrisse ma nonostante fosse consapevole di poter usare la bacchetta in qualsiasi momento, sapeva anche che non avrebbe mai avuto il coraggio di farlo. Forse il Cappello Parlante aveva ragione, non era abbastanza coraggioso per essere un vero Grifondoro. Quando poi abbassò gli occhi sul grosso medaglione che Kreacher aveva al collo, Janus si rese conto che forse poteva farlo soffrire anche senza usare la magia contro di lui, dopotutto Harry gli aveva raccontato quanto l’elfo tenesse a quell’oggetto. 

- Dammi il medaglione. - Ordinò. 

Sul volto di Kreacher apparve lo sgomento. - Harry Potter lo ha dato a Kreacher per ricordare padron Regulus, è di Kreacher adesso. - Ribatté l’elfo, stringendolo con le sue dita scheletrite. 

- Pensi che me ne importi qualcosa? Ti devo ricordare come funziona? Sono io il tuo padrone, non Harry, io. Quindi adesso mi darai quel medaglione. - Ripeté il ragazzino. 

Kreacher emise un gemito raggelante che fece capire a Janus di aver toccato il tasto più dolente, il punto debole di Kreacher. - Kreacher non vuole farlo, padrone. - Gracchiò, prima di colpirsi violentemente sul muso a grugno.   

Alle sue spalle, Janus sentì Faye trattenere a stento un piccolo urletto, ma non ci badò. 

- Io sono l’ultimo Black rimasto, Regulus era mio zio, quindi quel medaglione è mio, non tuo. - Sottolineò con la voce alterata. - Non sei riuscito a salvarlo, hai lasciato che morisse perché sei un perfetto buono a nulla, il peggior elfo domestico sulla faccia della terra e sono sicuro che anche Regulus lo pensasse. Quindi ora obbedisci. - 

Singhiozzando disperatamente, Kreacher si sfilò il medaglione dal collo e glielo passò con le mani tremanti. Janus lo osservò per qualche breve attimo e poi se lo infilò in tasca senza aggiungere altro. Non sapeva ancora cosa ne avrebbe fatto, probabilmente lo avrebbe abbandonato sul fondo del suo baule, ma mai sarebbe dovuto tornare nelle mani di quell’elfo.  

- Me ne vado in dormitorio. - Annunciò, voltandosi verso Faye e Hughie. 

- Black, forse è meglio se… - 

- Non rompere, Selwyn. - La gelò lui, parlando con una durezza che né Hughie né Faye avevano mai sentito da lui. - Sei irritante, lo capisci o no? Nessuno vuole essere amico tuo perché sei insopportabile… i-io ti detesto! Ti detestano tutti qui a scuola! - 

Le labbra di Faye si piegarono verso il basso, ma non disse niente. 

Janus passò al fianco di Hughie e uscì dalla cucina quasi di corsa, tenendo ben stretta in mano la copia di Regulus del medaglione di Serpeverde. Aveva finalmente trovato qualcuno con cui prendersela per la scomparsa di suo padre e lui non era riuscito a fare niente, non lo aveva vendicato perché non ne aveva avuto il coraggio. Camminò nella direzione della Torre di Grifondoro per meno di un minuto, quando sentì la voce di Faye chiamarlo a qualche metro di distanza. Non si voltò nemmeno, ma continuò a muoversi finché lei non lo raggiunse, bloccandolo. 

- Che altro vuoi? - Inveì contro di lei, consapevole di avere gli occhi pieni di lacrime. 

- Lo so che sono irritante, va bene? - Urlò Faye. - Sono irritante e nessuno mi sopporta, però lo so cosa provi. - 

- Tu non sai un bel niente. - Sentenziò Janus, riprendendo a camminare. 

- No, tu non sai un bel niente. - Ribatté fermamente lei, afferrandolo per un braccio per fermarlo. - Pensi di essere l’unico ad aver sofferto? Tu non c’eri quando qui il mondo andava a rotoli. Io sono nata a settembre, quindi sono più grande di te di un anno, dunque ne avevo cinque quando la guerra è finita: ero piccola ma ricordo ogni cosa orribile a cui ho dovuto assistere. Ricordo la paura che aveva mia mamma la notte della battaglia… ho perso mio fratello lì e mia madre non è stata più la stessa. Non sei l’unico ad aver subito delle perdite, dunque togliti quell’aria da martire affranto. Tu una famiglia ce l’hai, io no. O vogliamo parlare del padre del tuo amico Klaus? Il signor Hopper è stato torturato dai mangiamorte perché si è azzardato a dimostrare che la discendenza non influiva affatto sul potenziale magico di una persona, e ora gli manca un braccio, ha una cicatrice orrenda sulla faccia e non ci vede da un occhio. Però sì, pensa pure di essere l’unico ad essere stato toccato dalla cattiveria del mondo se questo ti fa sentire speciale. - 

La voce di Faye parve rimbombare nel corridoio deserto per diversi secondi, fino a disperdersi nel silenzio. 

Janus si sentiva un idiota, ma era anche troppo orgoglioso per ammetterlo. Era vero, lui non sapeva un bel niente. - Mi dispiace. - Fu tutto ciò che riuscì a dire. 

- Anche a me. - Rispose Faye. 

- Non sei irritante. Cioè, lo sei, solo che sei anche… lascia stare. - Mugugnò Janus, e poi si sentì arrossire. 

Faye sorrise e lui si sentì subito un po’ meglio. - Cosa farai con quel medaglione orrendo che hai tolto all’elfo? - Chiese poi la ragazzina, facendo un cenno verso l’oggetto che Janus teneva ancora stretto in pugno. 

Janus lo guardò, notando che si poteva aprire. Dentro, con una calligrafia molto simile a quella di suo padre, c’erano le ultime parole di Regulus Arcturus Black. - Credo che glielo ridarò indietro, prima o poi. - 

- In effetti credo che sia giusto farlo soffrire almeno un po’. - Ammise Faye. 

- Sì… avevo pensato di appenderlo al cornicione della Torre di Astronomia per tutta la durata delle vacanze, ma credo che morirebbe di freddo oltre di fame e di sere. - 

- Non sarebbe il caso, no. - Convenne lei. - Lo hai detto tu che un elfo domestico a Hogwarts può sempre tornare utile. - 

Lui annuì, anche se non del tutto convinto. - Sai, ho cambiato idea. - Disse guardando il medaglione che aveva ancora in mano. - Non credo che Kreacher lo avrà mai. -   

- E cosa ci farai? - 

Janus alzò le spalle. - Lo terrò e ogni tanto glielo farò vedere per ricordargli che comando io e che se voglio posso togliergli qualsiasi cosa. - 

Lei aggrottò la fronte, guardandolo con disapprovazione. - Oppure potresti smettere di avercela con il mondo intero e… per così dire… perdonare. -  

- No, non credo proprio. - 



 

Sì, lo so, è un capitolo di passaggio che potevo anche risparmiarmi, ma secondo me ci sta perché comunque Janus doveva pur incontrarlo Kreacher dato che lavora a Hogwarts. Inoltre mi pareva brutto fare un salto temporale da ottobre a dicembre così a caso, come se non fosse successo niente. Ad ogni modo il prossimo capitolo sarà molto più interessante (avevo pensato di unirli, ma poi sarebbe uscita una roba lunghissima). 

Ho ancora un po’ di indecisione su una certa questione, o meglio, non so bene come e quando farla accadere, comunque durante questi nove giorni ho scritto un po’, quindi diciamo che mi è tornata l’ispirazione (ecco le ultime parole famose) e per questo devo ringraziare @GYHoggy2020 con cui ho avuto un breve scambio di messaggi che mi è risultato molto utile. 

Grazie per aver letto fin qui. 

J.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Capitolo 26. Andare avanti ***


Alors… all’inizio questo capitolo mi piaceva, cosa molto strana per me, adesso invece mi appare un po’ lento, un po’ pesante, ma forse perché succedono cose, o magari per il fatto che l’ho letto un milione di volte o giù di lì. Fatemi sapere voi cosa ne pensate. 

Comunque da qui si possono aprire due scenari differenti, uno un po’ audace, l’altro più facile e scontato. Io vorrei complicarmi la vita con lo scenario audace, ma vivo di ansia da prestazione dunque mi sto ripetendo da qualche giorno che non sarei in grado eccetera eccetera… vabbé, sto straparlando come al solito quindi ora vi lascio a questo capitolo 26 (assurdo quanto questa storia sia andata avanti, e io che ho rischiato di interromperla tipo al quinto capitolo.)

Buona lettura. 





 

Capitolo 26

 

La mattina del ritorno a casa di Janus, Hazel si svegliò presto e tutto in una volta, sorpresa di ritrovare qualcuno steso al suo fianco. 

Con un gemito sommesso, la donna si voltò nella direzione in cui Percy Weasley giaceva ancora addormentato. L’ultima volta che Hazel aveva dormito con un uomo risaliva ai tempi di Grimmauld Place, quando si svegliava accanto a Sirius, e doveva ammettere le faceva un po’ strano sentire nuovamente il peso di un’altra persona sull’altro lato del letto. Nonostante si frequentassero da ormai tre lunghi mesi, non si erano mai spinti fino al punto di dormire insieme prima della notte appena trascorsa. Forse per questo motivo aveva riposato poco e male.

Si mise seduta e sospirò, poggiando la schiena alla spalliera del letto. Rivolse un altro sguardo all’uomo che dormiva al suo fianco, scrutandolo per una manciata di secondi, osservando il modo in cui quei capelli rossi ed eccessivamente curati facevano contrasto con la federa blu notte del cuscino su cui la testa di Percy era appoggiata. 

Sebbene non fosse bello come il fratello Bill e nemmeno lontanamente simpatico quanto Charlie o George, a lei piaceva, soprattutto per quella particolare affinità che avevano sviluppato. Era raro per lei sentire affinità in qualcuno; in verità non le capitava da molti anni e, prima di incontrarlo, era assolutamente certa che per lei certi sentimenti fossero ormai andati, svaniti dietro quel velo insieme a Sirius. Nonostante ciò, quando un bel giorno si rese conto di sentire la sua mancanza quando non c’era, per poco non le venne un colpo: si stava innamorando di lui e mentre una parte di lei le gridava di scappare via da quel sentimento a gambe levate, l’altra la pregava di restare. 

L’idea di costruire insieme a lui qualcosa che potesse durare nel tempo la faceva sentire bene, anche se per era ancora difficile fare con lui tutte quelle cose normali che una volta aveva fatto con Sirius, come mangiare sul divano guardando un film di Woody Allen o, semplicemente, come quella notte, dormire vicini. 

Hazel sbadigliò e si stiracchiò, e poi lo scosse piano da una spalla. - Percy? Buongiorno. - Mormorò. - Devi portare via le tue cose, oggi Jan torna da Hogwarts. - 

L’uomo si lamentò sommessamente, voltandosi nella sua direzione prima di spalancare le palpebre. - Quali cose? - Domandò, ancora assonnato. 

- Hai qui tutti quei libri che mi hai prestato, devi portarli via. Jan potrebbe chiedersi dove li ho presi, se dovesse vederli. - Spiegò Hazel. - E poi è meglio se ci diamo una mossa: il treno arriverà tra tre ore. - 

Percy sbuffò, portandosi una mano al volto e stropicciandosi gli occhi. - Verrete alla Tana direttamente oggi, vero? - Domandò con voce assonnata. - E rimarrete fino al 26? - 

- Sì, credo proprio che passeremo un bel po’ di tempo insieme in questi giorni. - 

Percy sbadigliò e poi si mise a sedere. - Quindi conoscerò finalmente tuo figlio. - 

Hazel aggrottò la fronte. - Sì, lo conoscerai, ma solo come uno dei figli di Molly e Arthur, non come il mio… - Si bloccò per un attimo muovendo la mano a mezz’aria con un gesto sconclusionato, in cerca delle parole esatte. 

- Fidanzato? Compagno? - Suggerì lui, dopo un sospiro. 

La donna scoppiò in una risata nervosa. - Avrei detto più una cosa come… caro amico con cui faccio del sesso più o meno decente qualche volta alla settimana, ma può andare bene anche quella parola, se ti aggrada tanto avere un’etichetta. - 

- “Più o meno decente”? - Ripeté lui risentito. 

Hazel fece un sorrisetto innocente e poi allungò una mano, dandogli un buffetto leggero sulla testa. - Sei così carino. - Commentò divertita. 

Lui assunse un espressione infastidita, poi si fece avanti, avvicinandosi a lei. - Però ieri sera non dicevi così. - Asserì, prima di sovrastarla, ritrovandosi sopra di lei.

- Avevo bevuto troppi gin tonic. - Rispose lei sogghignano, con un tono falsamente spiacente. - Lo sai che l’alcol mi rende molto disinibita. - 

- Lo so. - Soffiò Percy sulle sue labbra. 

Hazel si lasciò baciare per una manciata di secondi, prima di appoggiare le mani sul petto di lui, spingendolo via. - Davvero, Perce, è meglio se ci diamo una mossa. Abbiamo tante cose da sistemare e non voglio rischiare di arrivare tardi in stazione. Mi sentirei una pessima madre. Una volta ho dimenticato di andarlo a prendere a scuola e ho pianto per tre giorni per i sensi di colpa. - 

Percy sospirò. - Tu ti senti sempre una pessima madre. Ma non lo sei. - Disse.  

- Io, a contrario di te, non ho avuto chissà che modelli a cui ispirarmi. - Gli ricordò lei, mentre si alzava dal letto. - Una volta mia madre mi ha persa in un centro commerciale e se n'è accorta una cosa come sei ore dopo essersene andata. - 

Raggiunse l’armadio e spalancò le ante alla ricerca dei vestiti adatti a quella fredda e nevosa giornata di dicembre, e Percy prese ad osservarla.

Hazel non era bellissima, ma aveva quel qualcosa di inspiegabile che la rendeva decisamente molto attraente. Sapeva così tante cose, e a lui piaceva così tanto l’odore della sua pelle, la morbidezza dei suoi capelli scuri, la curva dei suoi fianchi e il modo in cui sussurrava il suo nome mentre erano avvinghiati. Ma non poteva pensarci, non in quel momento almeno, altrimenti avrebbe passato l’intera giornata a desiderarla e lui odiava sentirsi vittima di quella passione. In compenso, però, non odiava sentirsi vittima dei sentimenti che da qualche tempo aveva cominciato a provare per lei. Quelli sì che gli piacevano. 

- Tua madre era così male per tutto il tempo? - Le domandò. 

- No, non per tutto il tempo. - Rispose Hazel, chiudendo l’armadio e voltandosi verso di lui. - Vado a fare la doccia, tu intanto fa pure colazione, se ti va. - 

- Vuoi che ti accompagno in stazione? - Chiese Percy. 

Lei scosse la testa. - Sarebbe strano se Janus ti vedesse lì. - Spiegò spiacente. 

- Però tu le mie figlie le conosci già entrambe. - Ribatté Percy. - Per loro non è strano vederci insieme. - 

- È una situazione completamente diversa. - Obiettò Hazel. - Molly e Lucy sono piccole e soprattutto Audrey non è morta. Inoltre Janus non ha mai conosciuto ufficialmente nessuna delle mie frequentazioni, quindi non vedo perché tu dovresti fare eccezione. - 

Percy rimase impietrito per una manciata di secondi e poi sospirò. - Ho capito. - Disse con un certo distacco, prima di uscire da letto, iniziando a rivestirsi.

Hazel sbuffò. Quel tono non le era piaciuto. - Cosa hai capito? - Chiese. 

- Che il problema non è tuo figlio ma sei tu. - Decretò Percy, abbottonandosi la camicia. 

Gli occhi di Hazel si ridussero a due fessure. - Ma cosa… cosa dici? - 

- Dico che usi Janus come scusa, ti nascondi dietro di lui per evitare di fare con me il passo successivo. - Spiegò saccente il mago. 

Lei boccheggiò. - Io non… non faccio niente del genere! Sei tu, casomai, che corri troppo, che hai bisogno di etichettare qualsiasi cosa e di mantenere un controllo costante di tutto ciò che ti circonda! - Sbottò infastidita. - Credi forse che sia così facile? Pensi che per me stanotte sia stato facile dormire al tuo fianco? Tu non puoi pretendere nulla di più da me, Percy. - 

- Ma io non pretendo niente, Hazel. - Sottolineò lui. - Ma il mondo in cui ti comporti, il fatto che cerchi sempre di nasconderti come se stessimo facendo qualcosa di male… mi sembra di essere tornato a scuola, quando nascondevo la mia prima fidanzata ai miei fratelli per evitare che mi prendessero in giro! - 

- Non ne voglio parlare adesso, sono già in ritardo. - Rispose lei, muovendosi per raggiungere il corridoio fuori dalla camera. 

- Hazel, per favore. - La bloccò lui. - Mi dici cosa ti turba tanto? Di cosa hai paura? - 

- Di niente. - Affermò Hazel, ma la sua espressione e voce, inclinata com’era, sembrò dire tutt’altro. - Semplicemente tra noi non può funzionare. È evidente che tu abbia bisogno di una persona emotivamente più disponibile di me, una con cui fare tutte quelle cose normali e perfette che ti piacciono tanto. Dovremmo tornare a scambiarci dei libri da leggere e basta… - 

Percy, contro ogni previsione, sorrise, lasciandola di stucco. 

- Piantala, Percival, togliti quel sorrisetto irritante dalla faccia. - Borbottò, incrociando le braccia sul petto. - Ti preferivo tutto impettito e soprattutto educato com’eri all’inizio. - 

- Non ci credi nemmeno tu che tra noi non possa funzionare. - Disse lui, riprendendo il discorso. - Può funzionare se ti fidi di me. -

- Ma io mi fido di te, Perce. - Replicò Hazel dopo un sospiro. - So che non te ne andrai da un momento all’altro, che non mi cancellerai la memoria per liberarti di me, che la guerra è finita e che nessuno ti ucciderà, ma d’altra parte più tra noi le cose si evolvono più io mi spavento. Ho bisogno di più tempo, te l’ho già detto. -  

- Hai tutto il tempo del mondo. - La tranquillizzò. - Però ti confesso che mi piacerebbe far parte della tua vita del tutto, per quanto incasinata essa sia. -  

- Ma tu fai già parte della mia vita. - Rispose Hazel, accarezzandogli il volto. - È davvero così importante per te definire il nostro rapporto? - 

Lui tergiversò, ma poi annuì. - Mi trasmetterebbe più sicurezza, sì. - Ammise. - Dare un nome alle cose mi tranquillizza. - 

- Ho capito. - Annuì Hazel. - Va bene. - 

- Va bene? - 

- Sì, Perce, va bene. - Ripeté Hazel. - Dai un nome a questa cosa, se ne hai bisogno. Conto sul fatto che hai troppo pudore per lasciarti andare in smancerie in pubblico. - 

- Questo è vero. - Convenne lui. - Io e Audrey siamo stati insieme sette anni, eravamo sposati ma non l’ho mai tenuta per mano né baciata davanti a qualcuno. - 

- Poverina. - Commentò Hazel. - Sirius invece era un tipo molto fisico. Sai, una di quelle persone irritanti che ti toccano mentre parlano o che ti baciano in pubblico. - 

Percy aprì la bocca senza dire una parola, rimanendo qualche secondo zitto, limitandosi a fissarla con cura. - Era? - 

Fu il turno di Hazel di rimanere perplessa. -  Be’, sì… era. - Bofonchiò, stringendosi nelle spalle. - Così non ti lamenti più se sbaglio il tempo verbale. Detesto essere corretta. - 

- A me piace correggerti. - 

- Lo so, dev’essere dura stare con una persona molto più intelligente ed istruita di te, caro il mio ministro dei trasporti. - 

- A parte che sono il capo dell'Ufficio del Trasporto Magico… - 

- Fa lo stesso. - 

- … inoltre non sei più istruita di me, sei più intelligente, forse questo sì, ma più istruita non credo proprio. Ho preso ben dodici M.A.G.O., con il massimo dei voti per giunta. - 

Hazel sogghignò. - Ed io ho un dottorato alla NYU, ma mica mi vanto. Altro che i vostri sventolii di bacchette e le vostre pozioni magiche. - 

Percy alzò gli occhi al cielo e scosse la testa. Poi aprì bocca per ribattere in modo piccato dicendo quanto si fosse impegnato in quei sette anni a Hogwarts, quando lei lo zittì, premendo le labbra sulle sue. Non si baciavano mai fuori dal letto, forse per questo si ritrovò confuso da quel gesto inaspettato. 

- Adesso devo davvero andare a fare la doccia. - Mormorò lei, staccandosi giusto di qualche centimetro. - Vuoi venire con me? - 

- No, credo che la farò a casa. - 

Hazel alzò le sopracciglia, lasciandosi scappare un’occhiata perplessa. 

 

°°°°°°

Il treno su cui Janus viaggiava stava sfrecciando nelle immense e innevate campagne della Gran Bretagna da almeno due ore e lui, in piedi nel bel mezzo del corridoio, guardava fuori dal finestrino con aria assente e le cuffie nelle orecchie. Allontanarsi da Hogwarts voleva dire poter tornare finalmente ad usare la tecnologia, e Janus aveva davvero voglia di ascoltare un po’ di sana musica babbana, dopo tutti quei mesi con le Sorelle Stravagarie alla radio. 

Non era riuscito a dormire molto quella notte, sia perché era tornato in dormitorio molto tardi e sia perché, agitato dagli eventi, non era riuscito a chiudere occhio: si era girato e rigirato nel letto immaginando tantissimi modi per vendicarsi di Kreacher mentre teneva in mano il medaglione, deciso a ridarglielo solo dopo le vacanze di Natale, giusto per farlo soffrire un po’ e poi, poco prima dell’alba, si era addormentato. 

Man mano che il treno sfrecciava, Janus dovette ammettere che, sebbene gli fosse dispiaciuto lasciare Hogwarts, era contento di poter finalmente rivedere sua madre. 

Immaginava già il soggiorno di casa sua addobbato, i pacchetti sotto l’albero, i film di Natale in televisione e il pranzo abbondante a casa dello zio Chris. Non avevano saltato nemmeno un anno, nemmeno quando vivevano ancora a New York e in realtà il giovane non aveva mai veramente capito come mai sua madre ci tenesse così tanto al Natale. Ma, chissà, magari quell’anno avrebbero passato le feste insieme a Harry e Ginny, e Janus avrebbe finalmente conosciuto tutte le altre persone di cui sua madre gli aveva sempre parlato, come la famiglia Weasley. Sapeva tutto di loro, su Arthur e Molly e i loro innumerevoli figli: C’era Bill, che era stato attaccato da un lupo mannaro e che ora aveva una cicatrice fighissima sul viso; Charlie, che nella vita era un allevatore di draghi; George e il gemello Fred (caduto durante la battaglia di Hogwarts), che secondo sua madre erano tra le persone più divertenti con cui avesse mai avuto a che fare, e poi ovviamente Ron e Ginny, che aveva già conosciuto alla fine dell’estate. Ah, e poi c’era quell’altro… Berny? Perry? Insomma, sì, il leccaculo del Ministero della Magia. Tutti loro erano ormai sposati e con figli. Tutti tranne Charlie, aveva sentito dire da Ginny. 

Con lo sguardo perso nel panorama innevato che si estendeva al di là del finestrino, Janus si ritrovò a fantasticare sul fatto che Charlie potesse essere davvero perfetto per sua madre. Insomma, era un Weasley, quindi una brava persona; certo, non era un auror, ma almeno non era nemmeno uno di quei noiosissimi burocrati che passavano tutta la vita chiusi in un ufficio, come quel Berny, Perry… insomma, sì, il traditore. 

L’ennesima canzone nelle sue cuffie si arrestò e solo a quel punto Janus si decise a tornare nello scompartimento occupato da Annie e Klaus. 

Lui se ne stava totalmente sdraiato sui sedili di destra, mentre lei leggeva seduta su uno dei sedili di sinistra, ma entrambi si voltarono nella sua direzione quando lo sentirono entrare. - Ci hai messo un sacco di tempo. - Osservò Klaus, tirandosi su. 

- Sì, stavo… cercando la signora del carrello. - Buttò lì Janus, sedendosi al suo fianco mentre si infilava le cuffie nella tasca della felpa che indossava in quel momento.

Annie, come al solito da qualche settimana a quella parte, lo guardò come se avesse detto qualcosa di molto offensivo, e poi chiuse il libro. - Quest’anno prevedo un Natale molto noioso. Io e la mia famiglia andremo a trovare i miei zii nel Kent. - Disse. - Voi cosa farete in questi giorni? - Domandò. 

- Io e i miei andremo in Irlanda dai nonni, come al solito. - Rispose Klaus. - E tu, Jan? - 

Janus si strinse nelle spalle. - Di solito io e mamma passiamo le feste in Scozia da zio Chris. Ma forse quest’anno resteremo a Londra con Harry, o forse staremo tutti insieme a casa dei Weasley, non saprei. - 

- Non ci posso credere che forse passerai il Natale con le persone che hanno salvato il mondo, mentre io dovrò stare con quegli ubriaconi dei miei parenti. - Si lamentò Klaus. 

- Se staremo a casa mia sei ufficialmente invitato. - Dichiarò Janus. - E anche tu, Annie. - Aggiunse educatamente. 

- Hai invitato anche la Serpeverde? - Chiese lei, velenosa. 

- Sì, ma non credo che suo zio la manderebbe mai. - Spiegò il ragazzino, e lei fece una faccia disgustata. - Mi spiegate perché Faye non vi piace? - Chiese dunque Janus.

- Neanche a te piace. Dici sempre che è irritante. - Gli ricordò Klaus. - E poi lei… prima di tutto è una Serpeverde e poi ha l’aria da ricca viziata. - 

- In Serpeverde potevamo capitarci tutti. Certo, è una Casa con una brutta nomina, ma non deve essere poi così male. - Ribatté Janus. - Anche io ho l’aria da ricco viziato. - 

- Sì, ma tu non lo sei sul serio. - Replicò Annie. - Tu non guardi tutti dall’alto al basso,  non cammini per la scuola come se fosse di tua proprietà come invece fa lei, sempre con quello stupido sorrisetto sulla faccia. -  

- Sentite: neanche a me piaceva molto la prima volta che l’ho incontrata. -  Spiegò Janus, incrociando le braccia sul petto. - Ma poi ho scoperto che non è così male come può apparire. Il fatto che sia una Serpeverde non è davvero così importante. - 

- Sì, Jan, in questo caso sì. - Lo contestò Klaus. - I suoi genitori erano invischiati con le arti oscure fino al collo. Secondo te perché sua madre è rinchiusa al San Mungo? Per non parlare di suo padre, che è ancora rinchiuso ad Azkaban per tutti i crimini che ha commesso in guerra. - 

- E con questo? La maggior parte dei parenti di mio padre sono stati mangiamorte o simpatizzanti ma questo non ha fatto di lui uno di loro. - Controbattè fermamente Janus.

Klaus sospirò. - Certo che sei testardo. - Disse arreso. - Ma se proprio ci tieni allora va bene, daremo alla Selwyn una possibilità, vero Annie? - 

- Sì, come no. - Borbottò lei. 

Man mano che il treno procedeva sferragliando con velocità costante sui binari gelati, fuori la campagna si fece sempre più rara e le case sempre più presenti. Quando finalmente arrivarono a Londra, il binario 9 e ¾ era pieno zeppo di genitori in trepidante attesa del ritorno dei loro figli. 

- Oh, ecco i miei. Venite, ve li faccio conoscere. - Disse Annie, salutando qualcuno tra la folla quando raggiunse la banchina. - Mamma! Papà! - 

I genitori di Annie, entrambi babbani e per niente abituati alla magia, si guardavano attorno incuriositi dalle vesti sgargianti dei maghi e delle streghe, cercando di farsi spazio nella calca per raggiungere la figlia. La madre era una giovane donna dai capelli rossi e gli occhi scuri proprio come Annie, mentre il padre sembrava più vecchio e aveva un’aria piuttosto stralunata, un paio di occhiali sul naso, pochi capelli brizzolati in testa ed una folta barba molto lunga. 

- Ann! Sei cresciuta, piccola mia! - Esclamò l’uomo, abbracciando la figlia, prima di rivolgere lo sguardo verso Klaus e Janus. - E loro due da dove spuntano? - 

- Mamma, papà, loro sono Janus e Klaus, due dei miei compagni di Casa. - Lì annunciò Annie emozionata. 

La signora Carter fece ai due Grifondoro un grosso sorriso, mentre il signor Carter li scrutò attentamente, come alla ricerca di qualcosa. - Qual è quello di cui parli sempre? - 

Annie arrossì fino alla punta delle orecchie. - Forse è meglio se andiamo. - Bofonchiò, tirando i genitori verso la barriera che divideva il binario dal mondo babbano. - Allora buon Natale, ragazzi. Mi raccomando fate i compiti. Ci vediamo al rientro! - 

I due ricambiarono l’augurio, per poi guardarsi perplessi. 

- Secondo me sei tu quello di cui Annie parla con i suoi. - Sentenziò Klaus. 

- Certo, sicuramente per dirgli quanto mi detesta. - Ribatté Janus, che nel frattempo aveva preso a cercare nella folla il volto di sua madre.

Qualche metro più a destra, tra la folla rumorosa, notò Faye che si trascinava dietro il baule, seguendo svogliatamente un uomo dai capelli chiari che indossava una veste da mago dall’aria molto costosa e che non la degnava nemmeno di uno sguardo. Lì, sulla banchina del binario 9 e ¾, lei sembrava diversa, come se fosse triste, scontenta. Stava quasi per fare un passo nella sua direzione per andarle a parlare, quando la voce di Klaus lo fece tornare alla realtà. 

- Ecco papà. - Annunciò, facendo un cenno verso un omone grosso e sfigurato. - Lo so, è ridotto un po’ male… quella cosa che ha in faccia è un piccolo ricordo della guerra, lunga storia. Ti fa senso? A molti fa senso. - 

- A me no. - Si affrettò a chiarire Janus. 

Man mano che il signor Hopper si avvicinava, si poteva notare quanto la cicatrice che aveva in faccia fosse effettivamente brutta da vedere, il suo occhio destro, inoltre, era come velato e dunque appariva bianco e immobile. Nonostante questo, non appena l’uomo vide il figlio, il suo viso si aprì in un ampio sorriso. 

Klaus agitò un braccio in aria per farsi notare, gridando “papà!” a gran voce, e quando finalmente il signor Hopper li raggiunse entrambi, strinse forte il figlio con il solo braccio che aveva, e Janus si sentì un po’ in imbarazzo. I due si separarono, e poi il signor Hopper scrutò bonariamente il viso di Janus, prima di presentarsi con il nome di Magnus Hopper. 

- Dimmi, ragazzo, come ti chiami? - Gli domandò curioso. 

Janus esitò. Sapeva del lavoro del padre di Klaus, esperto di genealogia magica, e non aveva molta voglia di presentarsi come l’ultimo Black. - Janus… Rains? - Fece in fine, scambiando uno sguardo con l’amico. 

Magnus Hopper rise. - Non sembri così sicuro, ragazzo. - 

Le guance di Janus si tinsero di rosso ma, prima che potesse dire qualsiasi cosa, notò la faccia sorridente di sua madre fare capolino alle spalle di Klaus e suo padre. - Mamma… ciao. - Disse, tirando un sospiro di sollievo. 

- Jan… come stai? Sei più alto! - Esclamò Hazel, prima di abbracciarlo. 

- Mamma… e dai, mi metti in imbarazzo… - Borbottò Janus, cercando di svincolarsi da quella stretta. - Mamma. Mamma, per favore, non lo vedi che… - 

Hazel ridacchiò, si staccò da lui, lo osservò per bene cercando di capire cosa avesse di diverso il suo bambino, sembrava quasi più grande, e poi rivolse un grande sorriso nella direzione di Klaus e il signor Hopper. - Piacere, Hazel. - Si presentò stringendo la mano di Magnus. 

- Salve, signora Black! - Si mise in mezzo il giovane. - Io sono Klaus, Klaus Hopper! Molto piacere. Sono il migliore amico di Janus. - 

Janus si chiese da quando in qua Klaus si fosse accaparrato il titolo di migliore amico, ma non disse niente. Anzi gli faceva piacere, dato che non ne aveva mai avuto uno prima. 

- Black? Sei un Black, ragazzo? - Chiese il signor Hopper con rinnovato interesse. 

Janus esitò nella risposta e fu dunque Klaus a parlare al posto suo. - Ti ho raccontato di lui in qualche lettera, non ti ricordi? - Disse. - Suo padre è Sirius Black, solo che lui delle volte si vergogna e allora usa il cognome di sua madre, che è babbana. - 

- Oh! Ma certo. Storia curiosa, la vostra. - Commentò Magnus. 

L’espressione di Hazel si incupì, e poi scoccò a Janus uno sguardo difficile da leggere. Quando poi tornò a guardare Klaus e suo padre alzò i lati della bocca esibendosi in un sorriso più che credibile. - Scusate, ma credo che sia giunta l’ora di andare. Sa, dobbiamo arrivare nel Devon, è un lungo viaggio. - Disse educatamente. - Sono molto felice di aver finalmente conosciuto un amico di Janus. - 

- Non si preoccupi, signora Black, vada pure. - Rispose il signor Hopper. - Viaggiate alla babbana, non è vero? Lei ha una di quelle… automobili? - 

- Proprio così. - Annuì Hazel. - Ma, la prego, mi chiami per nome. In fin del conti non sono la signora Black, io e Sirius non ci siamo mai sposati. - 

- Come desidera… Hazel. Ma lei mi chiami Magnus, a questo punto. -

- Certamente. - Hazel fece un sorriso educato e poi abbassò lo sguardo su suo figlio. - Avanti, Janus, saluta il tuo amico e andiamo. - Disse, con un tono severo. 

Janus sbuffò. - Ciao, Klaus. Passa buone vacanze in Irlanda. - Mormorò. 

- E tu divertiti con Harry Potter. - Ricambiò Klaus con un tono funebre. - Ciao, Jan. - 

Seguendo sua madre a passo di lumaca, Janus superò la barriera del binario 9 e 3/4, ritrovandosi a King’s Cross. I pendolari correvano su e giù per le banchine, la voce dagli altoparlanti annunciava arrivi e partenze e nell’aria c’era il tipico odore delle stazioni e dell’inverno. Raggiunsero la macchina senza dire una parola, e quando Janus si chiuse lo sportello di lato Hazel andò dritta al punto: 

- Ti vergogni di tuo padre? - Gli chiese freddamente. 

- No. - 

- Il tuo amico dice il contrario. - Ribatté Hazel, mettendo in modo. - Dice che usi il mio cognome invece che il suo. - 

- Klaus è un po’ strano. - Buttò lì il giovane. - È solo per non attirare l’attenzione che ogni tanto uso il tuo, non perché mi vergogno di papà. - 

Hazel non sembrò soddisfatta della risposta. Strinse le labbra in una espressione di disapprovazione e poi accese la radio come se non riuscisse a sopportare il silenzio. 

- Perché hai detto che andiamo nel Devon? - Domandò Janus, dopo qualche secondo. 

- Perché è vero. - Rispose Hazel. - Passeremo qualche giorno alla Tana dei Weasley. - 

 

Il viaggio durò circa due ore. Due ore in cui sua madre non parlò quasi per niente, come faceva ogni volta in cui era arrabbiata. I Weasley, notò Janus, vivevano nello stesso villaggio in cui viveva anche Teddy con sua madre e sua nonna, ma più in campagna, in una casa che sembrava sfidare ogni legge della fisica. Sembrava più un'installazione di arte contemporanea che una casa, o un qualche esperimento architettonico, ad ogni modo, da fuori, a lui piaceva parecchio. 

- Lascia pure in macchina il baule e andiamo. - Ordinò sua madre, una volta scesi dall’auto, attraversando il giardino innevato verso la porta d’ingresso.

Janus obbedì senza dire niente, seguendola. La vide bussare alla porta di legno e attendere ferma sullo zerbino, quando poi quella si spalancò Hazel entrò in casa come se fosse abituata a farlo da sempre. - Ciao, Molly. - Disse salutando la signora che aveva aperto, una donna non più tanto giovane, rossa e con un’aria un po’ smunta, e poi si voltò nella sua direzione. - Avanti, vieni. - 

Janus varcò timidamente la soglia, salutò la signora dai capelli rossi e lei, in tutta risposta, lo abbracciò come se fosse sua nonna. - Oh, eri così piccolo! E adesso guardati! - Esclamò commossa, stringendogli le guance. - Vieni, togli la giacca, hai fame? - 

- Hem… io… non so. - Balbettò Janus, imbarazzato, lanciando un’occhiata a sua madre. 

Camminarono lungo il corridoio, verso una stanza che doveva sicuramente essere molto affollata, visto le innumerevoli voci che arrivavano alle sue orecchie. Quando giunsero in cucina, talmente addobbata per Natale che quasi sembrava di trovarsi in un negozio di decorazioni e ghilande, Janus si ritrovò davanti ad un folto gruppo di persone dai capelli rossi, tra cui riconobbe Ron e Ginny, e poi notò anche la presenza di Hermione e Harry. 

Ci fu un rapido susseguirsi di nomi e presentazioni: Bill e Fleur, con i loro tre figli, Victoire di cinque anni, Dominique di tre e Louis di pochi mesi; Charlie l’allevatore di draghi; George, con la moglie Angelina e il loro bambino Fred, e poi Percy (non Berny e nemmeno Perry), insieme alle due figlie che dovevano avere su per giù sei o sette anni, identiche in tutto tranne che per gli occhi, che in una erano azzurri mentre nell’altra erano color cioccolato. Quella con gli occhi azzurri, Lucy, arrossì nel momento stesso in cui lui si presentò e poi scappò via con un gridolino, scatenando l’ilarità degli adulti. 

- A tavola, forza, prendete posto - Intervenne la signora Weasley e poi, con uno sventolio di bacchetta, apparecchiò la tavola. 

- Vieni, Janus, siediti. - Gli disse Percy, che sembrava molto più interessato degli altri di conoscerlo. 

Il ragazzo non poté fare a meno di lanciargli uno sguardo di pura diffidenza. 

Sua madre, in tutti i suoi racconti sulla famiglia Weasley, non aveva mai detto molto su Percy, dato che non lo aveva mai incontrato, e, quando lo aveva fatto, era stato per raccontargli del modo in cui aveva trattato tutta la sua famiglia. 

Comunque, dopo una rapida occhiata verso Hazel, come alla ricerca di consenso, decise di obbedire, sistemandosi accanto all’uomo, che a sua volta prese a fissarlo come se si trovasse di fronte ad un animale strano, mettendolo in imbarazzo. 

Quando anche tutti gli altri si furono seduti, Molly portò in tavola talmente tanto cibo che quasi sembrava di essere ancora a Hogwarts. C’era del pollo, patate al forno e una quantità inimmaginabile di contorni, mentre dal forno ancora acceso arrivava l’odore fragrante di pan di Spagna. 

Dritto davanti a lui, dall’altra parte del tavolo, Charlie aveva un’espressione molto più rilassata rispetto a quella del fratello e, così, a pelle, gli stette subito simpatico. 

- Allora, Janus, ti piace il quidditch? - Gli domandò subito l’allevatore di draghi. 

Janus annuì. - Da guardare sì, ma non sono un granché nel volo e non mi piace molto fare qualcosa in cui non sono bravo, quindi non gioco. - Rispose. - So che invece lei era molto portato, signor Weasley. Ho visto qualche suo vecchio trofeo a scuola. - 

Charlie aggrottò la fronte e poi rise forte. - Dammi del tu e chiamami Charlie! - Esclamò allegro. - Sai, mi ricordi un po’ Percy alla tua età. Vero, Perce? Anche tu non giocavi perché non riuscivi ad essere il migliore sulla scopa, però il quidditch ti piaceva. -  

Janus assunse un’espressione che lo fece quasi apparire offeso e non rispose, mentre Percy lanciò un calcio al fratello da sotto il tavolo. 

- In realtà non giocavo perché ero troppo occupato con lo studio, non perché non ero bravo con il volo. - Si affrettò a dire. - Inoltre ho sempre pensato che praticare sport, babbano o magico che sia, fosse solo una perdita di tempo. -

Janus trovò il tono di voce usato dal mago irritante tanto quanto la sua argomentazione gli parve stupida. A lui piaceva lo sport babbano, gli piaceva soprattutto il football, anche se sua madre non gli permetteva più di giocarci, e non lo aveva mai ritenuto una perdita di tempo, ma non ebbe il coraggio di ribattere. 

Hazel gli mise davanti un piatto pieno di pollo, patate e cavoletti e poi si sedette alla sua destra, facendo un sorriso strano a Percy. 

Fu il pranzo più caotico e rumoroso a cui Janus avesse mai partecipato, ma in compenso i Weasley gli piacevano molto e riteneva che la Tana fosse uno tra i luoghi più magici e incantevoli in cui avesse mai messo piede: c’erano stoviglie che si pulivano da sole, maglioni che si stavano cucendo magicamente grazie allo sferragliare dei ferri, e poi gli innumerevoli oggetti strani provenienti dal negozio Tiri Vispi Weasley.

Dopo il dolce, che consisteva in una torta di pan di Spagna, Janus si ritrovò seduto a terra, davanti al camino acceso, intento a giocare a sparaschiocco insieme a Charlie, che sembrava un vero esperto, e Victoire, che invece non faceva altro che far crollare il castello di carte che lo zio stava tentando di creare. 

- Charlie, tu per caso ce l’hai una fidanzata? - Chiese Janus ad un certo punto, quando ormai aveva acquisito una certa confidenza. 

Charlie alzò un sopracciglio con fare sorpreso. - Perché me lo chiedi? - Domandò a sua volta. - Ti sei preso una cotta a Hogwarts e ora hai bisogno di un consiglio? - 

- No, no! - Chiarì subito il ragazzino, sentendosi arrossire quando la sua mente cadde su Faye. - Solo che… se non ce l’hai… perché non esci con mia mamma? - 

Charlie rise divertito e poi scosse la testa, prese due carte, le posizionò in cima al castello e subito quello si disgregò, accompagnando la caduta con un forte scoppio. - Non credo di essere adatto per Hazel, sai? - Disse bonario. - Insomma… potrebbe piacerle un altro. - 

- Tipo chi? - Chiese Janus, senza nascondere tutta la sua curiosità.

Charlie alzò le spalle, lasciandosi sfuggire un’occhiata verso Hazel e Percy, che parlavano tra loro, ancora seduti al tavolo a qualche metro da lì. - Magari qualcuno con cui ha qualcosa in comune, una persona seria e a modo… come Percy. - Buttò lì, con una invidiabile nonchalance. 

Janus aggrottò la fronte, per poi scoccare un’occhiata verso il diretto interessato. - No, non credo. - Disse, quando tornò a guardare Charlie. 

Charlie non se la sentì di ribattere, dunque decise di portare il discorso su qualcos’altro, chiedendo al giovane quale fosse la sua materia preferita. 

Nel frattempo, al tavolo alle sue spalle, Hazel lo guardava con un’espressione serena dipinta in volto. Quella si stava rivelando una bella giornata: quasi tutte le persone a cui teneva erano raggruppate in quella stanza e Janus sembrava andare d’accordo con i Weasley e, anzi, non sembrava minimamente intimidito, come gli capitava spesso con gli sconosciuti.  

- Quando hai intenzione di parlargli? - Domandò Percy, al suo fianco, facendola tornare bruscamente alla realtà. - Di noi due, intendo. - 

- Non lo so. - Rispose Hazel, senza guardarlo. - Non so neanche cosa dirgli. Tu come hai fatto con Molly e Lucy? - 

Percy esitò. - Be’... ecco… non è che io ci abbia proprio parlato. - 

Hazel si voltò nella sua direzione, guardandolo con due occhi ridotti a fessure. - Non ci hai parlato, dunque non sanno niente di noi. - Elaborò. - Però vorresti che io parlassi con mio figlio. Non credi che sia un po’ impari la questione? - 

- Loro sono troppo piccole per capire, lo hai detto anche tu. - Si giustificò Percy. - E poi lo direbbero ad Audrey… - 

- E quindi? - Chiese gelidamente Hazel. - Hai paura che venga a scoprire che non ti stai più struggendo per lei? - 

Lui rimase perplesso. - Sei per caso gelosa? - Le domandò tronfio. 

Hazel fece un verso sprezzante. - Non ho mica quindici anni, Percy. - Ribatté scoccandogli uno sguardo torvo. - Vado a prendere un po’ d’aria. - Aggiunse prima di alzarsi in piedi, allontanandosi fino a lasciare la cucina. 

Percy, dopo un attimo di esitazione, la seguì, raggiungendola all’ingresso. - Non c’è mica niente di male se lo sei. - Le disse, afferrandola per un polso così da fermarla. 

- Ma non lo sono, Percival. - Obiettò lei, alzando gli occhi al cielo. - Però, se pensare il contrario fa bene alla tua autostima, allora sì, lo sono. Lo sono perché lei è davvero bellissima e poi è una strega e soprattutto non è incasinata come lo sono io. - 

Percy sospirò. A contrario dei suoi fratelli, perfino a contrario di Ron che era riuscito a sposare la ragazza di cui era innamorato da sempre, lui non ci aveva mai saputo fare con le donne. Non le capiva, le trovava incoerenti, proprio come la frase che Hazel aveva appena pronunciato. Cosa voleva dire? Perché non parlava in modo chiaro? 

- È vero, lei è bella, è una strega e non è incasinata quanto te. - Ammise Percy, e Hazel lo fulminò con lo sguardo, furente.  

- Tu sei… sei… - 

- Completamente andato. - 

Hazel aggrottò la fronte. - Andato. Andato dove, scusa? - Gli chiese, infastidita. 

Percy sgranò gli occhi e arrossì, come se si fosse reso conto di aver detto qualcosa di molto strano e azzardato. - Intendevo dire che non devi preoccuparti di Audrey. - Disse, aggiustandosi nervosamente gli occhiali sul naso. 

- E perché no? Lo hai detto anche tu che è bella e senza tutti i miei stupidi problemi. - 

- Perché io sto bene così. - Dichiarò Percy. - Con te e i tuoi problemi. - 

Hazel non disse niente, ma prese a fissare il pavimento come se ci fosse qualcosa di molto interessante da vedere. Dopo qualche secondo di imbarazzante di silenzio alzò nuovamente lo sguardo puntandolo sul viso di lui. - Anche io. - Mormorò. 

- Che cosa? - 

- Sono completamente andata. - 

Percy sorrise compiaciuto e intenerito insieme, e poi fece un passo verso di lei, puntando gli occhi nei suoi. Non era mai stato un uomo di poche parole, in realtà lui adorava parlare, dire la sua, era un oratore mancato, ma in quel momento qualsiasi frase gli sembrava stupida. Così, semplicemente la baciò, proprio lì all’ingresso della Tana e, per la prima volta, a nessuno dei due parve importare di essere visti. 

Quando si divisero Hazel rise e poi si voltò per tornare in cucina. Fu quello il momento in cui entrambi notarono la presenza di un ragazzino dai capelli scuri che li fissava con gli occhi spalancati e la bocca aperta. 

Janus fece saettare lo sguardo tra i due, incredulo e scosso. Non aveva mai visto sua madre baciare qualcuno e si era appena reso conto che non voleva assolutamente che lo facesse. No, sua madre non poteva avere un fidanzato, ma se proprio doveva averlo sicuramente non poteva essere quel Berty… Percy! 

La vide prendere un breve respiro per poter dire qualcosa, ma non voleva ascoltare nemmeno una parola. 

- Scusate. - Disse anticipandola, poi si voltò e se ne andò.

- Jan, aspetta! - La voce di Hazel, alle sue spalle, era piena d’urgenza e di ansia, ma lui non si voltò, né si fermò, ma continuò ad attraversare la Tana con passo deciso, puntando verso la cucina. - Janus, per favore, fermati e ascoltami. - 

Il ragazzo sbuffò e obbedì, voltandosi verso sua madre, che lo aveva rincorso seguita da Percy, che in quel momento lo stava guardando come se temesse di essere ucciso da un momento all’altro. - Che c’è? Che devi dirmi? - Chiese Janus, con freddezza mortale. 

- Jan, mi dispiace! Non dovevi venirlo a sapere in questo modo. Io… te ne avrei parlato non appena avessi avuto l’occasione di farlo! - Esclamò sua madre, agitata. 

Il volto di Janus, inespressivo e impassibile come non mai, la fissò in silenzio per una manciata di secondi. Alla fine gli occhi grigi del giovane si posarono su Percy e poi di nuovo su di lei. - Non importa. - Disse. - Va bene così. - 

Hazel tirò un sospiro di sollievo. - Amore, sei sicuro? - Gli domandò ansiosa. 

Janus annuì. Era consapevole che fare una scenata lì, davanti a quel povero idiota, non avrebbe di certo giocato a suo favore, dunque si ricompose e sfoderò un più che credibile sorriso. - Certo, mamma. Sono solo un po’... sorpreso, tutto qui. - La rassicurò. 

Tutta l’angoscia che riempiva il petto di Hazel svanì e lei sembrò sgonfiarsi come un palloncino ormai vuoto. Si avvicinò al figlio e lo abbracciò, lasciando un bacio sulla sua fronte. - Scusa se non te l’ho detto fin da subito. - Gli disse. - Sono così fortunata… sei un bambino talmente maturo per la tua età. - 

Janus sospirò. Non era un dannato bambino, anche se lei si ostinava a trattarlo come tale. Si staccò da lei, facendo un passo indietro e la guardò negli occhi. - Possiamo parlare? - Chiese, e poi scoccò uno sguardo torvo a Percy. - Senza di lui intendo. - 

L’uomo sussultò. - Certo… me ne vado, vi lascio alle vostre cose. - Annuì, schizzando fuori dall’ingresso con una velocità tale che quasi sembrò essersi smaterializzato. 

Janus fissò sua madre a lungo e in silenzio, lasciando trapelare dal suo sguardo tutta la sua disapprovazione, e poi parlò: - Da quanto tu e quello lì… - 

- Da settembre. - Disse Hazel, rispondendo a quella domanda lasciata a metà. Voleva essere sincera con lui, per una volta. - Chiedimi quello che vuoi. - 

Il ragazzino sospirò con aria affranta. - Non ami più papà? - Domandò, andando dritto al punto. - Lo hai dimenticato? - 

Hazel socchiuse la bocca e aggrottò la fronte. - Jan, come ti viene in mente una cosa del genere? Io non posso dimenticare tuo padre, non voglio farlo. - Chiarì. - Lo sai che lui era la mia anima gemella, che lo amerò sempre. - 

- E Percy cos’è? - 

- Percy è un’opportunità. - 

Le labbra di Janus tremarono e si piegarono verso il basso, mentre i suoi occhi si fecero lucidi. - Quindi tu… t-tu sei contenta? Sei felice con lui? - Chiese, parlando con un nodo alla gola. - Gli vuoi bene? - 

Hazel annuì. - Sì, Jan, gli voglio bene, molto. - Ammise. - Ma se per te è troppo, se pensi che sia ancora troppo presto per accettare qualcuno nelle nostre vite, allora io farò un passo indietro, va bene? Tu sei più importante, sei il mio bambino. - 

- Non sono più un bambino. - La corresse lui, tirando su con il naso. 

Hazel sorrise. - Lo so, amore. Sei grande adesso. - Disse, abbracciandolo. 

Janus si strinse a lei come non faceva da parecchio, nel tentativo di riempire il vuoto che era nato nel suo petto. Sapeva che sua madre era giovane e razionalmente era consapevole che era giusto che lei concedesse una seconda possibilità all’amore, eppure non riusciva a far altro che sentirsi più triste di quanto non fosse mai stato. Doveva comportarsi bene, si ripeteva, non poteva metterle sulle spalle dell’altro inutile peso, lui doveva proteggerla e far si che stesse bene. Rimase fermo in quella posizione finché non si sentì un pochino meglio, poi si allontanò, ma quel tanto che bastava per poter guardare sua madre nuovamente negli occhi. - Non mi piace molto Percy. - La informò, sincero.

Hazel trattenne una piccola risata. - Lo so, fa sempre quest’effetto, all’inizio. - Disse. 

- Se però a te piace e sei felice, - continuò lui serio, come se sua madre non l'avesse interrotto, - allora va bene. Posso accettarlo, ma se ti tratta male… -  

- Non succederà. - Lo tranquillizzò Hazel. - Ma ci sarai tu a proteggermi, in tal caso. - 

Lui annuì deciso. - Mamma… - Mormorò poco dopo. - Se papà tornasse? Se un giorno io riuscissi a farlo tornare? -  

Il volto di Hazel si indurì. - Non può tornare, Jan. - Asserì amaramente. - Lui non c’è più, è andato… avanti. Adesso tocca a noi fare lo stesso. - 

- Io non ci voglio andare avanti. - Ribatté gelidamente il ragazzino. Poi si voltò, imboccò le scale e sparì dalla sua vista. 



 

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Capitolo 27. Sostituto ***


Capitolo 27

 

Verso sera, la Tana si era svuotata. Gli unici rimasti, a parte Janus e sua madre, erano i tre figli maggiori di Molly e Arthur: Bill e Fleur, con la loro prole al seguito, che vivevano in Francia e che sarebbero rimasti lì fino a capodanno, Charlie, che era tornato a casa per star vicino ai suoi genitori già da qualche anno, e Percy, insieme a Molly e Lucy, che non poteva di certo smaterializzarsi a Londra con due bambine di sette anni.

Janus era stato sistemato in una camera dalle pareti arancioni, che la signora Weasley gli aveva detto essere quella in cui, molti anni prima, aveva dormito Ron e, a fianco ad essa, c’era quella in cui avrebbe dormito sua madre. Il giovane non sapeva dove avrebbe dormito Percy, ma una cosa era certa: lui lo avrebbe tenuto d’occhio. 

Sì, Janus sarebbe rimasto sveglio tutta la notte, per controllare che non si avvicinasse nemmeno per sbaglio a sua madre, con le orecchie ben appizzate, pronte a captare ogni singolo passo fuori da quella stanza. 

Verso mezzanotte però, i suoi occhi avevano cominciato a farsi pesanti, così decise di mettersi a leggere, tanto per tenersi occupato. Lesse, cercando di concentrarsi sulla storia, finché alla fine non crollò con la faccia premuta sulle pagine del suo libro e, la mattina dopo, il giorno della vigilia di Natale, aprì gli occhi, confuso e ancor più stanco della sera precedente. 

Sdraiato nel letto una volta appartenuto a Ron, rimase fermo a fissare il soffitto arancione per qualche minuto, prima di voltarsi su un lato. Sotto la finestra chiusa, da cui però filtrava abbastanza luce da illuminare tutta la stanza, era stato abbandonato il suo baule, mentre su una sedia c’erano i vestiti che avrebbe indossato quel giorno. 

Dopo aver raccolto ogni briciola di forza di volontà che aveva in corpo, il giovane si mise a sedere, pur rimanendo a contemplare il vuoto per un’altra manciata di secondi.

Da fuori alla porta arrivavano i rumori della Tana che si svegliava: Janus sentì la voce di sua madre, alcuni passi e poi la voce di Percy, che gli provocò una dolorosa fitta allo stomaco. 

Lo odiava. 

Odiava tutto di lui, ma la sera prima aveva fatto del suo meglio per trattenersi dal gridargli contro ogni volta che apriva bocca. Odiava che avesse sempre le sembianze di uno che si aspettava un invito dal presidente degli Stati Uniti da un momento all’altro, anche mentre indossava il pigiama, odiava il suo modo di parlare e soprattutto odiava tutta quella complicità che aveva con sua madre. 

Percy lo aveva sostituito su tutti i fronti: Hazel andava con lui alle mostre o a teatro, guardava insieme a lui i suoi film preferiti e dal modo in cui si rivolgevano uno all’altra si poteva notare lontano un miglio il fatto che avessero ormai molta confidenza. Sua madre non era mai stata così con nessuno, mai. 

Chissà cosa avrebbe pensato suo padre se li avesse visti insieme… 

Come colto da un’illuminazione, Janus si alzò in piedi, raggiunse il baule, lo aprì e tirò fuori la vecchia scatola in cui conservava tutti i biglietti che Sirius aveva scritto per lui prima di andarsene. Ce n’era uno per ogni situazione, anche per la più strana o improbabile, dunque doveva aver scritto qualcosa anche nell’evenienza in cui Hazel si fosse rifatta una vita. 

Come previsto, infatti, Janus si ritrovò tra le mani una busta da lettera con su scritto “per quando conoscerai il nuovo fidanzato di tua madre”. La aprì con cura, ben attento a non strappare o stropicciare troppo la carta, posando gli occhi sulla calligrafia ormai conosciuta di suo padre. Come al solito si trattava di poche righe, quasi scritte di corsa: 

 

Quindi tua madre si è trovata un uomo, eh. In questo caso ho una sola parola da dirti: uccidilo (ovviamente sto scherzando, anche se… )  

Ad ogni modo, se stai odiando quest’uomo, se pensi che sia indegno e non abbastanza per lei, smettila subito. La tua mamma è giovane e bellissima, e si merita un po’ di felicità, anche se non insieme a me, soprattutto dopo tutto quello che ha passato. Tu assicurati solo che lui sia una brava persona, che la tratti bene e che la rispetti come merita e in tal caso cerca di dare una possibilità a questo povero coglione quest’uomo.

Comunque spero sia un mago, magari uno dei figli di Molly e Arthur, ad esempio Bill ma posso capire anche se dovesse scegliere Charlie (insomma, quello alleva draghi, anche io mi innamorerei di lui!). Ma se proprio devo fare il tifo per qualcuno allora direi che Remus è il primo della lista, anche se mi sembra improbabile dato che lui è pazzo di Tonks e lei lo considera come una sorta di padre. 

Comunque chiunque sarà l’uomo fortunato che le starà affianco sono certo che sarà una gran brava persona: mi fido di Hazel e anche tu devi fare lo stesso.  

Fai il bravo ragazzino, Jan, non farla arrabbiare troppo.

Mi manchi.

Papà. 

 

Janus sospirò, ripose il biglietto nella busta da lettera e poi rimise tutto in ordine nel suo baule. Dunque suo padre, più o meno, approvava il fatto che sua madre fosse andata avanti. Certo, Percy non era bello come Bill e nemmeno lontanamente interessante come Charlie, ma era pur sempre uno dei figli di Molly e Arthur. Janus non aveva ancora capito se fosse o meno una brava persona, ma decise che lo avrebbe scoperto presto. 

Si preparò con la solita cura, per poi scendere di sotto, ritrovandosi in una cucina meno affollata rispetto al giorno prima. Rimase fermo sulla soglia della porta per qualche secondo, osservando la scena da fuori: la signora Weasley e Ginny si stavano dilettando con i primi preparativi delle pietanze che avrebbe servito durante la cena della vigilia: in una pentola la zuppa di pesce si mescolava da sola, mentre alcune stoviglie sembravano avere vita propria e, dalla radio, arrivava la voce di Celestina Warbeck che cantava una struggente canzone d’amore. Nell’angolo vicino al camino, Charlie e Bill, che teneva in braccio Louise, si stavano intrattenendo con gli scacchi dei maghi mentre Percy osservava la scena con l’aria tronfia di chi era certo di poter chiudere la partita in due mosse.

Al tavolo di legno, invece, Hazel si stava nel frattempo occupando di sbucciare una montagna di patate con l’aiuto di Molly, Lucy, Victoire e Dominique. 

Delle quattro piccole Weasley, la più svglia era sicuramente Molly che, al contrario di sua sorella, non scappava via arrossendo ogni volta che lui gli rivolgeva la parola. Come previsto, infatti, quando il giovane si avvicinò, Lucy sgranò gli occhi, si alzò e corse fuori dalla cucina con la faccia rossa quanto i suoi capelli, abbandonando il pelapatate sul tavolo. 

Janus sbuffò, prendendo il suo posto. - Ma perché fa sempre così? - Borbottò infastidito.

- Non è ovvio? - Fece Molly saccente. - Lucy è innamorata di te. - 

Anche Hazel rise, adocchiando l’espressione del figlio, che rimase impassibile e del tutto disinteressato. - Sai, credo che Janus sia un po’ troppo grande per lei. - Commentò.

Molly annuì. - Sì e poi, dato che tu e papà state insieme, sarebbe… come dire… ah sì, sconveniente. - 

Hazel rimase perplessa, non tanto per il fatto che una bambina di sette anni conoscesse il significato della parola “sconveniente”, sapeva che Molly era una sorta di piccolo genio, ma più perché sembrava a conoscenza della relazione che legava lei e Percy. - Quindi tuo padre ha parlato a te e tua sorella? - Le domandò. 

La bambina scosse la testa. - No, ma io e Lucy lo abbiamo capito da sole, non siamo mica stupide, sai? - Spiegò con un che di altezzoso. - Comunque tu ci piaci molto, Hazel. Sei meglio del fidanzato di mia mamma. - 

- Oh. Ehm… grazie. Anche tu e Lucy mi piacete. - 

- Quindi adesso dobbiamo chiamarti zia? - Intervenne Dominique.

Hazel alzò un sopracciglio, fissandola. - No, perché dovresti? - Chiese a sua volta. 

Dominique alzò le spalle. - Perché tu e zio Percy state insieme. - Disse, come se ciò spiegasse tutto. 

- Be’, sì, stiamo insieme ma non siamo sposati... - 

- E non lo sarete mai. - Si mise in mezzo Janus. 

- E perché no? - Domandò Victoire, guardandolo male. - Secondo me invece sarebbe assolutamente splendido! Quando zia Herm e zio Ron si sono sposati, lo scorso anno, lei aveva un vestito tutto ricamato ed era semplicemente splendida! E anche zio Ron! - 

Janus ricambiò quell’occhiata torva in un modo talmente intenso che Hazel quasi temette di vedere la bambina prendere fuoco da un momento all'altro.

- Janus sa che io non ho mai apprezzato troppo i matrimoni. - Intervenne. - Non si può mai sapere ma ora è troppo presto per pensarci. - 

Prima che la bambina potesse dire altro, Ginny si lasciò cadere sfinita nel posto vuoto accanto a Hazel, facendo cadere quell’imbarazzantissima conversazione. Aveva i capelli rossi legati in una coda ed indossava un grembiule da cucina. - Non ne posso più. - Sbuffò con l’aria stremata. - Sono incinta di cinque mesi, ma sono in piedi dalle sette di questa mattina per aiutare mamma in cucina. Ma indovina un po’ chi invece è ancora in camera sua a dormire? - 

Nessuno parlò, in attesa che Ginny continuasse la sua invettiva, quando sulla soglia apparve la figura aggraziata e longilinea di Fleur Delacour in Weasley. 

- Bonjour. - Cinguettò, entrando in cucina e subito Hazel capì a chi Ginny si riferisse. 

Nonostante indossasse ancora il pigiama e fosse palese che si fosse svegliata da meno di dieci minuti, era talmente bella da oscurare qualsiasi cosa avesse attorno. A Janus non piaceva molto avere a che fare con lei, si sentiva strano ogni volta che Fleur gli rivolgeva la parola e c’era qualcosa in lei che gli faceva venire voglia di comportarsi in modo molto stupido. Fu per questo che, quando la donna si sedette proprio davanti a lui, dall’altra parte del tavolo, si sentì arrossire all’istante.

- Stai bene, Janù? - Gli domandò Fleur, con il suo accento francese molto marcato. 

Ginny alzò gli occhi al cielo e nello stesso momento il giovane sentì la sua gola farsi improvvisamente secca. - Ehm… io… non lo… io… - 

- Fleur, cara cognata. - Intervenne Charlie, raggiungendo il tavolo con aria disinvolta e divertita insieme. - Tu non hai idea del turbamento che puoi provocare in un ragazzino all’inizio della pubertà, vero? - 

Hazel aggrottò la fronte e poi rivolse uno sguardo perplesso al figlio, che effettivamente sembrava piuttosto scosso e confuso, mentre Fleur sorrise come un angioletto. - È solo un bombino, Charlì, di cosa parlì? - Obiettò, prima di rivolgersi a Janus. - No sei turbato, vero Janù? - Gli domandò zuccherosa. 

Lui, in tutta risposta, arrossì ancor di più e si affrettò a scuotere la testa, lasciando Hazel senza parole. Da quando il suo bambino era diventato una sorta di adolescente?

- A me sembra turbatissimo. - Osservò Charlie. 

- Dai, Charlie, lascialo stare. - Lo difese Percy, dall’altra parte della stanza. 

Janus si voltò in quella direzione, scambiando con l’uomo un’occhiata raggelante. Sempre in mezzo, quello, pensò. - Perché non ti fai gli affari tuoi?  - Si lasciò sfuggire, pieno di stizza. 

- Janus! - Lo rimproverò subito sua madre. - Chiedigli subito scusa! - 

Janus la guardò con la stessa durezza con cui aveva guardato Percy solo un momento prima. - No. È da quando vi ho visti mentre vi sbaciucchiavate che lui non fa altro che parlarmi e mettersi in mezzo nonostante io invece non faccia altro che ignorarlo! Tu hai sostituito papà, non io! Io non ci voglio parlare con lui! - Le disse con rabbia.

Hazel vide Percy, ancora dall’altra parte della stanza, boccheggiare imbarazzato e poi alzarsi goffamente dalla poltrona su cui era seduto, avvicinandosi a loro. - Non volevo che… - Tentò di dire, ma Janus non gli diede nemmeno il tempo di dire un’altra parola. 

- Non volevi cosa? Guarda che è inutile che ti sforzi di piacermi, perché tanto non mi piacerai mai. Chi ti credi di essere? Mettiti in quella testa che quando mio padre tornerà allora mamma ti lascerà per tornare con lui perché lei lo ama. Mamma non ti amerà mai, lo capisci? Amerà sempre lui, non te! Tu sei noioso… e sei… sei una cattiva persona! Dimmi, ne è valsa la pena lasciare la tua famiglia e far soffrire tanto tua madre per diventare uno dei tanti dipendenti anonimi del Ministero della Magia? - 

In quel preciso momento, mentre il silenzio stava cominciando a dilatarsi su tutta la cucina, Hazel desiderò sparire nel nulla o scappare via. Da quando in qua suo figlio si comportava in quel modo? Dov’era finito quel ragazzino educato che aveva visto partire il primo settembre? 

Percy, proprio come lei e tutti gli altri presenti, era rimasto senza parole davanti a tutta la rabbia di Janus, che in quel momento si alzò dalla sedia su cui era seduto, producendo il rumore sordo del legno che scivolava sulla pietra grezza del pavimento e poi, sotto gli occhi increduli di tutti i presenti, corse al piano di sopra.

Era consapevole di aver appena combinato un vero disastro: sua madre ora di sicuro lo odiava e magari lo avrebbe abbandonato per stare dalla parte di Percy; Molly e Arthur l’avrebbero cacciato via dalla Tana e tutti, dal primo all’ultimo Weasley, ce l’avrebbe avuta con lui. Solitamente era molto più bravo di così a reprimere o controllare le sue emozioni ma, di tanto in tanto, qualcosa gli esplodeva dentro, incontrollabile. Era come se un essere oscuro riuscisse a prendere il controllo del suo corpo e dei suoi pensieri, una creatura cattiva che desiderava solo far soffrire chi a sua volta lo stava facendo soffrire. Janus era sempre stato convinto che ci fosse qualcosa di sbagliato in lui, ma in quei momenti ne era certo. 

Tornò nella stanza una volta appartenuta a Ron, sbatté la porta e la sigillò con la magia, fregandosene della traccia, dato che in fin dei conti era circondato da maghi e da streghe. Si buttò sul letto, ancora tremante di rabbia, facendo dei lunghi e profondi respiri come sua madre gli aveva detto di fare quando aveva paura o era troppo agitato. Voleva andarsene di lì, voleva scappare via, sparire e non essere più costretto a guardare in faccia nessuna delle persone al piano di sotto. Forse sarebbe stato meglio così, sua madre sarebbe stata meglio dato che lui non aveva fatto altro che darle problemi fin dall’inizio. 

Sei un pessimo figlio, si ripeteva, quasi come a volersi punire.

Rimase lì, immobile su quel letto, per ore, senza fare un fiato, sperando che qualcuno venisse a bussare alla sua porta ma, allo stesso tempo, grato per il fatto che nessuno sembrasse averne intenzione. Arrivò l’ora di pranzo e nonostante si sentisse affamato non si azzardò ad uscire, domandandosi se Kreacher potesse portargli un panino.  

Qualche ora più tardi, al piano di sotto, nel silenzio sonnacchioso del primo pomeriggio, nella cucina vuota, Percy Weasley era seduto davanti al camino osservando il fuoco con aria meditabonda.

Non si aspettava di certo che Janus scoppiasse dalla gioia nello scoprire la relazione che legava lui e Hazel, ma sperava almeno che fosse abbastanza maturo da capire che era giusto che sua madre era ancora molto giovane e che non sarebbe di certo stato giusto farle passare l’intera vita da sola. In quei mesi, grazie ai racconti di Harry, Ginny, Ron e Hermione, Percy aveva immaginato Janus come un ragazzo educato, timido, piacevole e intelligente, mentre a lui era apparso come il bambino più egoista, cattivo e viziato che avesse mai conosciuto. Non era sicuro di desiderare che quel ragazzino stesse in contatto con le sue figlie. Insomma era pieno di problemi irrisolti dopotutto.

Hazel era piena di problemi irrisolti, a dirla tutta. 

In tutta probabilità Janus aveva ragione: se Sirius fosse tornato all’improvviso era certo lei non ci avrebbe impiegato più di una manciata di secondi per tornare da lui. 

Percy sospirò e nello stesso momento, sulla poltrona più vicina a camino, si sistemò Charlie. I due fratelli si guardarono senza dire una parola per qualche istante, beandosi di quel momento di rara calma.  

Ogni membro della sua famiglia, secondo il parere di Percy, che da sempre si considerava un ottimo osservatore, aveva una qualità spiccata che li caratterizzata: Bill, ad esempio, era bello; lui era ambizioso; Fred e George erano divertenti e Ron era un ottimo amico, mentre Ginny era forte e tenace più di chiunque altro. Charlie, invece, era un vero empatico e un grande ascoltatore, lo era stato fin da bambino. Era sempre stato in sintonia con tutto e tutti, riusciva a capire i sentimenti altrui solamente con uno sguardo, e questo lo aveva reso un ottimo capitano quando giocava a quidditch a scuola e, probabilmente, lo questo lo rendeva anche un ottimo allevatore di draghi. A contrario di lui, Percy non ci aveva mai saputo fare con le creature magiche, anzi, con le creature in generale, soprattutto se queste creature erano esseri umani.  

- Secondo me dovresti andare a parlarci. - Esordì il più grande, rompendo il silenzio. 

Percy staccò gli occhi dalle fiamme per posarli su suo fratello. - A chi ti riferisci? - 

- Devi parlare con Janus. - Si spiegò meglio Charlie. - Devi parlargli per due motivi: il primo è che quest’aria tesa non si adatta affatto al Natale, il secondo è perché sono certo che sia essenziale piacergli se vuoi continuare a frequentare Hazel. - 

Percy non rispose. Sospirò e poi tornò a guardare il fuoco. 

- A cosa stai pensando? - Insistette Charlie. 

- Non mi va di parlare. - 

- Questa sì che è una cosa molto strana detta da te. - Sogghignò l’altro. - Dai avanti, Perce, confidati con tuo fratello maggiore. - 

Percy sospirò di nuovo, poi unì le mani davanti a sé, poggiandole sulle ginocchia in una posa composta e un po’ tesa. - Sto riflettendo su ciò che ha detto Janus. - Ammise. - Il fatto che se Sirius dovesse uscire da quel velo allora lei tornerebbe da lui, il fatto che non mi amerà mai come ha amato lui. - 

- E con questo? - Fece Charlie, senza capire. - Sappiamo che purtroppo Sirius non uscirà mai di lì, inoltre nemmeno tu amerai mai Hazel come hai amato Audrey e per un motivo molto semplice: sono due donne completamente diverse, tu sei completamente diverso. - 

- Con Hazel è sempre tutto difficile. - Buttò fuori Percy, muovendosi a disagio su quel divano e con il tono di chi stava navigando nel senso di colpa. - Vive la nostra relazione con timore, delle volte mi sembra di fare un passo avanti e poi, dal nulla, si torna indietro. Inoltre tutti non fanno altro che chiamarla signora Black ogni volta che mette piede nel mondo magico, è così irritante! È come se io non esistessi. Forse Janus ha ragione, forse sono solo un sostituto… - 

- Di cosa parlate? - Intervenne Ginny, alle sue spalle, facendolo sussultare. 

- Percy è in crisi. A quanto pare si è accorto che Hazel è una persona a cui è difficile stare accanto. - Spiegò Charlie alla svelta, mentre la sorella si sedeva accanto all’altro. 

Ginny fulminò Percy con lo sguardo. - Sei un idiota. - Sentenziò dura. - Dimmi che non vuoi lasciarla solo perché le cose tra voi non sono facili e scontate come con Audrey. - 

- No che non voglio lasciarla ma… -  

- Ma pensa che Janus abbia ragione sul fatto che lei non lo amerà mai come ha amato Sirius, si lamenta che per tutti lei sia la signora Black e teme di essere solo un sostituto. - Concluse Charlie. 

- Che cosa ridicola. - Sentenziò Ginny.

- Quale parte? -

- Ogni cosa, ma soprattutto la parte del sostituto. - Rispose lei. - Tu e Sirius siete due persone totalmente opposte, Perce. Lui era meno controllato di te, più lunatico e decisamente molto più attraente, ora che mi ci fai pensare. - 

- Grazie, Ginny. Mi sento molto meglio adesso. - 

- Il sarcasmo non ti si addice affatto, un’altra cosa che ti differenzia da lui. - Continuò la ragazza. - Tutto questo per dirti che, se Hazel avesse voluto sostituire Sirius, non credi che avrebbe scelto uno più simile a lui? -  

Percy non rispose. Fare discorsi del genere con Ginny era faticoso per quella sua tendenza di andare sempre dritta al punto.  

- Se adesso tu vuoi chiudere con lei solo perché un bambino confuso e pieno di rabbia ti ha detto che Hazel non ti amerà mai, allora sei un coglione. -

- Ti ho detto che non voglio lasciarla. - 

- Allora devi parlare con Janus. - Ribatté Ginny. - Devi andare d’accordo con lui se vuoi continuare a vederla. È suo figlio, se c’è qualcuno di cui devi preoccuparti allora è lui, non Sirius che non c’è più. - 

Percy sbuffò e incrociò le braccia sul petto. - È un bambino maleducato e viziato! - Sbottò indispettito. - Anzi, è proprio cattivo! Avete sentito cosa ha detto? Io sono l’adulto e quindi è lui che deve venirmi a parlare per scusarsi. -

Charlie alzò gli occhi al cielo e poi scoccò un’occhiata alla sorella. - È lui l’adulto, dice. - Sospirò con sarcasmo, scuotendo la testa con disapprovazione. 

- Proprio perché sei tu l’adulto devi andarci a parlare. - Spiegò Ginny a Percy. - Sul serio non riesci a metterti nei suoi panni? Tu sei spuntato dal nulla quando per anni sua madre era stata solo per lui. Erano loro due contro tutto il resto del mondo, per non parlare del fatto che spera ancora di veder tornare suo padre. - 

- E io cosa posso farci, scusa? - Chiese Percy, infastidito. - Sono passati anni, possibile che non sia ancora arrivato a capire che è morto? - 

- Certo che ci è arrivato, non è per niente stupido. - Questa volta a parlare fu Charlie, più serio che mai. - Secondo me per lui ammettere che Sirius è morto equivale a scendere a patti con il fatto che suo padre lo ha lasciato. Si attacca alla speranza che Sirius, dall’altra parte di quel velo, stia lottando per tornare da lui, solo perché accettare la realtà lo farebbe sentire abbandonato e solo. - 

- Resta il fatto che io non so cosa dirgli, non so cosa fare. - 

- Innanzitutto comincia a smettere di sforzarti in quel modo patetico di piacergli. - Iniziò Ginny. - Vai su, bussa alla sua porta e parla con il cuore in mano. Sii te stesso. -  

- A nessuno piace quando sono me stesso. - Sostenne Percy. 

- Povero Percy l’incompreso. - Lo canzonò sua sorella. - Forza alza il culo da questo divano, togliti quell’espressione affranta dal viso e vai a parlare con lui. -

- No. - 

- Percy, vai a parlare con lui, adesso. - Replicò Ginny, coriacea. - Non farmi arrabbiare, ti ricordo che sono incinta e che il bambino prova tutto ciò che provo io. - 

Il mago sbuffò e si alzò in piedi. - E va bene, va bene! - Urlò infastidito. - Farò questa cosa stupida e insensata che non mi porterà a nulla. - 

- Mi raccomando, deve essere una chiacchierata a cuore aperto. - Gli ricordò Charlie. - Mostrati umano e pronto al dialogo, ma non cercare di fartelo amico. - 

- Sii te stesso! -

 

Seduto sul letto della camera di Ron, Janus aveva appena iniziato a mangiare un grosso panino che Kreacher gli aveva portato direttamente da Hogwarts, con gli occhi puntati su quell’elfo che, a sua volta, ricambiava intensamente il suo sguardo. 

- Il padrone desidera altro? - Gli domandò Kreacher, rompendo il silenzio con la sua voce gracchiante da rana.

Janus si prese tutto il tempo necessario per rispondere. Diede l’ennesimo morso al panino, masticò con calma e poi si alzò, abbandonando il piatto sul comodino per dirigersi verso il baule, aprendolo. - Ho una cosa per te. - Disse, tirando fuori il finto medaglione di Serpeverde appartenuto a Regulus.  

Quando lo mostrò all’elfo, Kreacher gemette addolorato e gli occhi iniettati di sangue gli diventarono lucidi. Perché quel ragazzino mezzosangue doveva essere così crudele con lui, mostrandogli ciò che gli aveva tolto? 

- Tieni. È per ringraziarti per avermi portato qualcosa da mangiare. - Disse il giovane, porgendoglielo. - Volevo tenerlo fino alla fine delle vacanze di Natale o buttarlo nel Lago obbligandoti a guardare mentre affondava ma… prendilo, prima che cambi idea. -  

Kreacher allungò la mano tremante verso il medaglione e, sebbene Janus avesse ancora la tentazione di tenerselo per farlo soffrire un altro po’, gli permise di afferrarlo. 

L’elfo guardò quell’oggetto con gli occhi pieni di lacrime e poi se lo infilò al collo come una medaglia e, un attimo prima che potesse aprire bocca, la porta alla loro sinistra bussò e la voce di Percy arrivò soffocata dall’altra parte della soglia.

- Che cosa vuoi? Vattene via! - Esplose Janus con sdegno. 

- Devo parlarti. - Disse Percy. - E poi avrai fame. Ti ho portato qualcosa da mangiare. - 

Janus esitò. A quanto pareva Percy non lo odiava, quindi, forse, nemmeno gli altri. Ma allora perché sua madre non l’aveva raggiunto in camera per consolarlo, come faceva ogni volta in cui si arrabbiava? 

- Dov’è mamma? - Domandò avvicinandosi alla soglia, ma senza aprirla. 

- Nel capanno con mio padre. - Rispose Percy. - Lì è pieno di tutti oggetti babbani molto strani e… c’è anche la moto di Sirius. Vorresti vederla? - 

- No. - Disse seccamente Janus. 

Percy sospirò, poggiando sconsolato la fronte sul materiale legnoso della porta. Perché quel ragazzino doveva essere così impenetrabile? Non sapeva cosa dire, cosa molto rara per lui, si sentiva in difficoltà. Devi parlare con il cuore aperto, gli ripeté la voce di Charlie nella sua testa, ma come poteva da dietro quella porta? 

- Senti… ti va di farmi entrare? - Gli chiese, dopo un sospiro.

- No. - Ripeté Janus, inflessibile. - Vattene via. - 

- Non me ne vado finché non mi apri. - 

Janus sbuffò, rivolse uno sguardo sfuggente a Kreacher e gli ordinò di andarsene via, e poi spalancò l’uscio, ritrovandosi davanti ad intimorito Percy Weasley, che teneva in mano un vassoio con sopra poggiati due piatti, uno con del pasticcio di carne e l’altro con una fetta di torta al cioccolato. 

L’uomo diede un’occhiata all’interno della stanza, constatando che il giovane aveva già mangiato. - Dove hai preso quel panino? - Gli domandò, curioso. 

- Me l’ha portato il mio elfo. - Rispose Janus in tono ovvio. - Kreacher era l’elfo della famiglia di mio padre. L’ho incontrato a Hogwarts, lunga storia, fatti gli affari tuoi. - 

Percy aggrottò le sopracciglia e poi sospirò. - Posso entrare? Giusto per posare il vassoio sulla scrivania. - 

Janus annuì meccanicamente e lo fece passare, scrutando attentamente tutti i suoi movimenti. - Allora? - Imbeccò poi, incrociando le braccia sul petto. - Che cosa vuoi? - 

L’uomo prese un lungo e profondo respiro, con tutta l’aria di chi si era preparato un elaborato discorso. - Mi dispiace, siamo partiti con il piede sbagliato e non doveva andare così. - Iniziò, sforzandosi di parlare con sincerità. - Volevo solo dirti che so che sei arrabbiato e lo capisco; se ce l’hai con me io posso comprenderlo. Ti manca tuo padre, pensi che tornerà e che dunque tua madre debba aspettarlo ma… lo so, te l’avranno detto già in tanti, questo non può accadere. Non pensi che se fosse possibile tirarlo fuori di lì qualcuno l’avrebbe già fatto? Sono passati nove anni... - 

- Smettila! - Ringhiò il ragazzo, folgorandolo con lo sguardo. - Tu dici così solo perché sai che mamma ti lascerebbe se ciò dovesse accadere! - 

- No, io dico così perché è la verità, per quanto orribile essa  sia. - Ribatté Percy. - Pensi che se fosse possibile riportarlo indietro allora Harry non l’avrebbe già fatto? Oppure il Ministro… erano amici, no? Per non parlare di Silente, che era ancora vivo quando tuo padre è venuto a mancare… sai perché nessuno ha fatto niente? Perché non si può. Non si può tirare nessuno fuori da quel velo. -    

Janus tacque, continuando a rivolgergli occhiate feroci. 

- È difficile, so che l’idea di arrenderti ti procura tanto dolore perché è come accettare il fatto che lui se ne sia andato per sempre, che non lo conoscerai mai, che ti chiederai per tutta la vita se ti amava o meno. - Tornò a parlare Percy. - Io non l’ho mai conosciuto, ma ho due figlie a cui darei la mia stessa vita, però non credo che avrei la forza necessaria per rinunciare a loro pur di proteggerle. Tuo padre ce l’ha avuta ed è stato molto coraggioso. Tutto quello che ha fatto l’ha fatto per te, per tenerti al sicuro e per permetterti di vivere in un mondo migliore di quello di allora. Credi che adesso vorrebbe vederti così, triste e arrabbiato come sei? - 

- Tu non sai un bel niente di quello che vorrebbe lui. - 

- Invece lo so, nessun genitore vorrebbe questo per i propri figli. - 

Janus strinse gli occhi, che si stavano facendo man mano sempre più umidi. No, non avrebbe mai pianto davanti a lui. - Vattene via, per favore. - Disse con voce spezzata, voltandosi per nascondere le lacrime. - Lasciami in pace. -

- No, non posso lasciarti qui da solo in lacrime. - Decise l’uomo, e poi si sedette sul letto. 

Janus non rispose, ma lo guardò in un modo un po’ strano e Percy ebbe l’impressione che volesse chiedergli qualcosa. Ci fu silenzio per almeno due o tre minuti, finché il ragazzo si sedette al suo fianco, ma ben distante, sospirò e poi guardò il vuoto. 

Janus si sentiva strano, come se il tappo che teneva chiuso il contenitore in cui custodiva ogni briciola del suo dolore fosse saltato, liberandolo da quel macigno di sofferenza. Meditò sulle parole di Percy a lungo e poi dovette ammettere a sé stesso che quel mago irritante aveva ragione praticamente su tutto. Erano passati nove anni da quando suo padre era caduto oltre quel velo e, in effetti, era strano che nessuno l’avesse ancora riportato indietro. Forse Percy aveva ragione, forse lui era… morto. Quel pensiero gli strizzò violentemente le viscere come se fosse dotato di una mano invisibile. 

- Vorrei tanto che ci fosse una tomba, anche se non abbiamo il suo corpo. - Mormorò quasi impercettibile. - So che è una cosa stupida. - 

- Ti farebbe sentire un po’ meglio? - 

Janus annuì, con le labbra piegate verso il basso. 

- Allora non è una cosa stupida. - Rispose Percy. - Secondo me si può fare. Magari puoi seppellire qualcosa di suo, qualcosa che te lo ricorda, al posto della sua salma. In molti lo hanno fatto dopo la guerra… tante persone scomparse in quei mesi, non sono mai state ritrovate ma i loro cari hanno trovato conforto facendo comunque un funerale. -  

Janus voltò il viso nella sua direzione. In quel momento quello strano ragazzino sembrava molto più grande della sua età, come se la tristezza lo avesse invecchiato di qualche anno. - E come… come si fa? Bisogna andare in un cimitero? Tu mi puoi aiutare? - Chiese arrossendo. 

Percy annuì e poi un piccolo sorriso piegò le sue labbra. Quelle domande potevano forse considerarsi una piccola crepa nella corazza che il giovane indossava? 

Seguì un altro lungo attimo di silenzio. C’era di nuovo la calma in quella stanza ma, al piano di sotto, si sentivano di nuovo le voci degli abitanti della Tana. 

Poi Janus sospirò e parlò di nuovo: - Che intenzioni hai con mia madre? - Domandò. 

- Intenzioni molto serie, te lo assicuro. - Chiarì Percy, sincero. 

- Sei innamorato di lei? - 

L’uomo sgranò gli occhi e esitò. Per un istante sentì le sue guance e le sue orecchie farsi molto più calde, sintomo del fatto che era arrossito. - Sì, credo di esserlo. - Rispose con sincerità. - Però fammi il favore di non dirglielo. - 

Janus mugugnò con disapprovazione. - Comunque… io credo di doverti delle scuse. - Disse alla fine. - Forse, in fondo, non è vero che sei solo un sostituto di papà. Insomma magari per qualche oscuro motivo mamma prova davvero qualcosa per te e poi… - E poi mio padre non tornerà più, si disse nella sua testa, ma non riuscì a pronunciare quelle parole ad alta voce. 

Faceva male, malissimo lasciare che un pensiero così lo sfiorasse. 

Janus sbuffò e si alzò in piedi; passò nervosamente la mano tra i capelli e poi scoccò a Percy uno sguardo indecifrabile. - Non è che le hai versato dell’amortentia nel tè? - Gli chiese a denti stretti. 

Percy aggrottò la fronte, incredulo. - Certo che no! - Esclamò sconvolto dal fatto di doverlo sottolineare. - Come ti viene in mente una cosa del genere? - 

- Allora hai la mia benedizione, anche se comunque preferivo Charlie. - 

L’uomo fu, se possibile, ancor più sorpreso. - Davvero? -  

Janus annuì come se gli costasse una gran fatica. - Ma se la farai soffrire… se la tradisci o la maltratti giuro che ti farò male, molto male! -  

Percy non stentò a crederci. C’era qualcosa di molto inquietante in quel ragazzino, nel suo sguardo torvo e in quel suo atteggiamento, ma in un certo senso gli faceva anche tenerezza. - Non la farò soffrire. - Assicurò. 

- Sarà meglio. - 

Seguì un lungo attimo di silenzio nel quale i due si limitarono a guardarsi negli occhi, con meno difese rispetto all’inizio della conversazione. E poi sulla soglia della porta apparve timidamente la figura di Hazel, attirando l’attenzione di entrambi. 

Janus la scrutò con apprensione, cercando di capire quanto fosse arrabbiata con lui ma, quando poi finalmente sua madre sorrise, il giovane tirò un sospiro di sollievo. 

- Mamma, scusa. - Sussurrò piano avvicinandosi. 

- Va bene così, Jan. - Gli disse, abbracciandolo. - Ma sei in punizione fino alla fine delle vacanze. - Aggiunse, guardandolo nuovamente negli occhi. 

Il ragazzino sbuffò ma non ribatté; di certo non voleva peggiorare la situazione.

- Che ne dici di scendere giù adesso? - Continuò sua madre. - È appena arrivato Teddy. - 

Janus annuì, guardò nuovamente Percy come se volesse dirgli qualcosa e poi uscì da quella stanza, lasciandoli da soli, anche se gli sembrava una pessima idea. 

- Abbiamo la sua benedizione. - Disse il mago, guardando Hazel. Aveva l’aria di uno che era appena sopravvissuto a una terribile battaglia. 

- Lo so, ho sentito. - 

- Stavi origliando? - Le domandò divertito e imbarazzato. - E che altro hai sentito? - 

Hazel sorrise e poi si morse il labbro inferiore. - Be’ sai… le tue intenzioni molto serie.

Percy avvampò. - Non intendevo dire che… - 

- Qualsiasi cosa tu intendessi dire mi sta bene. - Lo fermò lei, facendo un passo nella sua direzione. 

L’uomo tergiversò per una manciata di secondi prima di annullare la distanza che lo divideva da lei, premendo delicatamente le labbra su quelle di lei. Quando si staccarono, pochi secondi dopo, Percy la fissò e poi fece un passo indietro, sul suo viso era comparsa un’espressione molto seria. - Janus vorrebbe una tomba per Sirius. Mi ha detto che lo farebbe stare meglio. - Rivelò. 

Hazel apparve sorpresa. - Oh… sul serio ti ha detto questo? - Domandò piano. - Una tomba vorrebbe dire accettare che è morto… e lui non ci ha mai veramente creduto. -  

- Magari sta finalmente cominciando ad elaborare il lutto. - 

Hazel sospirò sonoramente e poi annuì accennando un sorriso e cercando di non far caso alla dolorosa fitta che la sua anima stava provando in quel momento. Se perfino Janus si stava arrendendo, allora forse era finita anche la speranza. - Va bene. - Sentenziò. - Sirius avrà una tomba. Potrebbe essere un modo per mettere un punto. -

- Lo penso anche io. Potrebbe aiutarvi a lasciarlo andare. - 

Hazel si limitò ad annuire ancora, mentre qualcosa dentro di lei gridava di non cedere, di tenersi stretta, aggrappata a quel briciolo di speranza e fede che aveva ancora nel vederlo tornare. 



 

Confesso che questo capitolo funzionava meglio nella mia testa che ma tutto sommato posso anche ritenerlo mezzo soddisfacente. Forse ci sarebbe stato bene un po’ più di dramma, non lo so, ditemi voi. Comunque… dal prossimo in poi ci sarà un “piccolo” salto temporale che potrebbe risultare fastidioso ma alla fine ho deciso di azzardare un po’, quindi preparatevi! 

A parte questo volevo dirvi che ho avuto una settimana di fuoco in cui mi sono dovuta sottoporre ad un esame medico piuttosto invasivo che mi ha costretta ad un ricovero che probabilmente durerà un po’ più del previsto, quindi perdonate gli eventuali errori di battitura/ortografia o sintassi, ma qui per me è impossibile concentrarmi. 

Grazie per l’attenzione e per essere arrivati fin qui,

J-

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Capitolo 28. Strani eventi all'Ufficio Misteri ***


Capitolo 28

 

Luglio 2010

 

Quando Isabela Figueroa aveva deciso che da grande sarebbe diventata un’indicibile, di sicuro non si aspettava che avrebbe speso il suo primo mese da apprendista a fissare un arco di pietra da cui pendeva dell’inquietante velo nero, senza poter far niente. Era solo quella la sua manzione: doveva stare seduta dietro un elaborato muro di incantesimi di protezione mentre altri, i suoi superiori, veri e propri indicibili, lavoravano da vicino con quella strana architettura. Non aveva nemmeno idea di cosa fosse, non sapeva cosa stessero combinando quei maghi e quelle streghe, ma il fatto che quella stanza venisse appallata anche con il nome di “Stanza della Morte” la rendeva terribilmente curiosa. 

Se già questo non bastasse a rendere lo stare in disparte molto frustrante, aveva notato che, circa una volta alla settimana, il signor Harry Potter varcava la soglia alle sue spalle e scambiava qualche segretissima parola con il capo dell’Ufficio Misteri, la signora Dalia Basharat, una strega sulla cinquantina dal viso sempre squisitamente rilassato e i capelli sempre coperti da un hijab di qualche colore pastello. 

Sebbene gli indicibili fossero per definizione persone molto riservate e attente a non lasciarsi sfuggire mai nulla, Isabela Figueroa, durante quel noiosissimo mese passato ad osservare l’arco senza capirne il senso, era riuscita ad origliare qualche rarissima conversazione scoprendo tanti succulenti dettagli. Sembrava che il signor Potter stesse finanziando, con la sua quantità quasi illimitata d’oro, le ricerche sul velo appeso all’arco da cinque anni ormai, con la speranza di riportare indietro il suo padrino, Sirius Black.
Isabela, che aveva finito la scuola solo a giugno, non ricordava quando Black era fuggito da Azkaban, ma aveva conosciuto suo figlio a Hogwarts. Era un tipo un po’ strano, due anni più piccolo di lei, che con il padre sembrava avere in comune solo l’aspetto e il cognome. Janus Black era… un po’ noioso, ecco, uno di quelli che trovava le regole rassicuranti, e infatti nessuno si era stupito quando l’anno prima era diventato prefetto di Grifondoro. Isabela era certa che, senza quell’aria da perfettino, sarebbe stato anche un gran bel ragazzo, ma ogni volta che l’aveva sentito aprir bocca per togliere punti a qualcuno, cosa che succedeva molto spesso, percepiva ogni attrattiva nei suoi confronti svanire. In compenso a sua sorella più piccola, Pilar, quel tipo invece piaceva, ma lui era troppo occupato a sgobbare sui libri o ad andarsene in giro con il suo gruppetto di amici per accorgersi di una piccola e anonima Tassorosso come lei.  

Ad ogni modo, quella calda mattina di luglio, Isabela Figueroa era felice di starsene lì a guardare l’arco perché almeno così poteva starsene al fresco. In casa sua non c’era l’aria condizionata, e i suoi genitori, entrambi babbani, non vedevano nemmeno troppo di buon occhio la magia, dunque non le era permesso fare nessun incantesimo per raffreddare l’ambiente. 

Davanti a lei, dietro l’invisibile barriera di incantesimi, la signora Basharat osservava l’arco mentre altri due indicibili - un uomo e una donna - borbottavano sottovoce strani incantesimi puntando le bacchette contro il velo, che si agitava come infastidito. 

Accanto a Isabela, invece, mollemente seduto sulla gradinata dell’anfiteatro, l’altro apprendista, Julian Miller. Si trattava di uno stronzetto americano appena uscito da Ilvermorny, che si era messo a parlare con un finto accento spagnolo non appena aveva sentito il suo cognome, per poi sottolineare che a lui gli ispanici piacevano anche se era texano e, infine, le aveva proposto di andare a pranzo con lui da Taco Bell. Sì, insomma, era un po’ un razzista, ma non era nemmeno la cosa più spiacevole di lui. Ad esempio era molto più spiacevole il fatto che fosse lì perché suo padre era il viceministro del M.A.C.U.S.A. più che per meriti personali.  

- Secondo te ci riusciranno mai? - Parlò improvvisamente il ragazzo, senza staccare gli occhi dall’arco. - Insomma qualsiasi cosa stiano tentando di fare sembra importante. - 

Isabela non rispose. 

- Tu sai qualcosa, mh? - Fece ancora Julian, voltando la testa per guardarla. 

- No. - Parlò finalmente lei, con il solito tono seccato. 

Julian fece una faccia scettica. - E nemmeno di quel Black che è sparito dietro al velo sai niente? - Sondò, lasciando intendere di sapere molto più del dovuto. 

Isabela sbuffò e si voltò per poterlo guardare in faccia, scontrandosi con gli occhi color cielo del ragazzo. - Black era il padrino del signor Potter. Ho motivo di pensare che stiano cercando di tirarlo fuori di lì. - Rivelò. 

Julian alzò le sopracciglia e poi tornò a guardare dritto davanti a sé. - Certo che lo parli bene l’inglese per essere colombiana. - 

- A parte che sono nata a Bristol. - Gli rispose gelida Isabela. - Inoltre, se proprio dobbiamo parlare delle mie origini, ti ho detto che sono cilena, non colombiana. - 

- Ah ora capisco. -

Lei gli lanciò uno sguardo inceneritore. - Ora capisci cosa? Ti sembrava strano che non fossi una trafficante di droga o una badante, brutto razzista idiota che non sei altro? - 

Julian sgranò gli occhi e alzò le mani sopra la testa. - No… è che… di solito i colombiani sono più pallidi di te. Insomma, Shakira è bionda. Senti, la smetti di darmi del razzista ogni volta che ti parlo? - 

- No, Miller. - Tagliò corto la ragazza. - Ora per favo… - 

Un’esplosione; violenta, improvvisa, assordante, e poi un boato: questo sovrastò la voce di Isabela che, quando si girò nuovamente verso l’arco si ritrovò davanti ad un paesaggio del tutto cambiato. Dove una volta c’era quell’antica struttura misteriosa, adesso c’era solo vuoto, polvere e macerie. La giovane strega sentì la voce di Dalia Basharat urlare come non mai e, d’istinto e contro ogni buon senso, fece un passo in avanti uscendo dalla barriera invisibile, ritrovandosi come nel bel mezzo di una sorta di tempesta di sabbia. Al suo fianco, Julian avanzava a tentoni, ben attento a dove mettere i piedi.  

- Che diamine è successo? - Chiese, confuso. 

- Se tu non mi avessi distratto adesso lo sapremmo! - Sbottò Isabela. 

Si mossero piano, alla cieca, seguendo le voci degli altri, finché lei non calpestò qualcosa, o meglio, qualcuno. Un uomo era steso ai suoi piedi tra i detriti, in modo scomposto, un uomo dai capelli scuri e lunghi, che indossava una comune veste da mago e non la divisa color prugna degli indicibili. Poteva mica essere… 

- Signor Black? - Lo chiamò, inchinandosi. - Mi sente? - 

Guardandolo da vicino, Isabela non ebbe dubbi: era lui, Sirius Black, ma non somigliava per niente alle foto da ricercato che lei aveva visto. Era pallido e un po’ provato, questo sì, ma era come se ogni segno che Azkaban gli aveva lasciato fosse sparito, mostrando la persona che era stata un tempo.

Julian si inginocchiò al suo fianco, poggiando due dita sul collo dell’uomo. - Cazzo… è morto. - Disse, alzando gli occhi sulla compagna. 

Ma poi il petto di Black ebbe un sussulto e lui spalancò gli occhi e aprì la bocca, emettendo un grido inumano di pura sofferenza. 

- Qualcuno chiami il Ministro e una squadra di curatori, presto! - Strillò una voce nella foschia. 

- Vado io! - Urlò Isabela scattando in piedi. 

- Vai, Figueroa, sbrigati! Non abbiamo molto tempo! - Sbottò Basharat, che intanto si era avvicinata al corpo di Black. 

Isabela annuì e poi corse verso l’uscita della Stanza della Morte come se raggiungere quella porta fosse la salvezza dell’intera razza umana, mentre Sirius Black, alle sue spalle, urlava e si dimenava come se stesse per prendere fuoco. 

 

°°°°°°

 

Janus spalancò le palpebre dopo qualche secondo di sonno, o almeno così gli parve. Quell’estate faceva caldo, molto caldo, e per quanto ogni tanto una brezza tiepida riuscisse ad entrare dalle finestre spalancate di camera sua, era da quando aveva lasciato Hogwarts che non riusciva a dormire bene. Di solito, in estate, lui, sua madre e Percy passavano qualche settimana in Scozia, dove anche in pieno agosto la temperatura non saliva mai oltre i trenta gradi. Ma quell’anno Percy doveva lavorare e sua madre aveva deciso che anche loro due sarebbero rimasti a Londra, a morire di caldo e di noia. 

Dopo un grosso sbadiglio, il ragazzo si portò le mani agli occhi stropicciandoli, prima di spostare lo sguardo sul suo telefono poggiato sul mobiletto accanto al letto. Lo afferrò e il display illuminato lo informò che erano esattamente le nove e mezza in punto della mattina del 3 luglio 2010. Era il giorno del trentasettesimo compleanno di sua madre e questo voleva dire che probabilmente non avrebbe potuto passare l’ennesima giornata rinchiuso in una fresca biblioteca babbana per fare i compiti delle vacanze. 

Con immensa fatica, Janus si mise a sedere e si stiracchiò con un lamento, rimanendo poi per qualche attimo a contemplare il vuoto e ad ascoltare i rumori che provenivano dal piano di sotto, che gli fecero capire presto che sua madre e Percy erano già svegli. 

La sua stanza, a contrario di tutto il resto della casa, non sembrava affatto una sterile camera d’albergo ma, anzi, lasciava trasparire molto della sua personalità: tutto era preciso e ordinato; i libri sui ripiani della libreria erano divisi per genere letterario, sulla scrivania, assieme al computer, erano raggruppate le lettere che i suoi amici gli avevano spedito in quelle prime due settimane di vacanza, la sua collezione di videogiochi era ordinata sotto il ripiano su cui era poggiata la playstation, un leggio pieno di spartiti era abbandonato in un angolo e ogni singolo oggetto sembrava avere un posto ben prestabilito.

Sulle pareti erano attaccati alcuni poster dei Linkin Park e alcuni dei New York Giants, e anche qualche fotografia incorniciata che lo raffigurava con sua madre o con Klaus, Annie e Faye, o anche da solo, magari in qualche posto che avevano visitato per le vacanze. Ce n’era solamente una in cui appariva anche Sirius: si trattava di una foto magica scattata il giorno del suo primo compleanno, a Grimmauld Place, davanti ad una torta fatta in casa dalla signora Weasley. Janus si alzò, attraversò con due passi lo spazio che lo separavano da quell’immagine per osservarla meglio, più da vicino. I suoi genitori sembravano felici, a vederli in quel modo nessuno si sarebbe immaginato la situazione in cui in realtà si trovavano. E anche lui sembrava contento, lì seduto sulle ginocchia di suo padre e con lo sguardo incuriosito dalla fiammella della candelina accesa. 

Gli anni erano passati in fretta da quando lui e sua madre si erano ricongiunti al mondo magico, e lui era cresciuto, e non solo fisicamente, si era evoluto e aveva accettato. 

Aveva accettato Percy nella sua vita e poi nella sua casa, aveva accettato che più passava il tempo più i rari ricordi che aveva di suo padre svanivano, aveva perfino accettato il fatto che sua madre non parlasse quasi mai di lui ormai. 

Era stato un percorso graduale, fatto di tantissimi pianti, un finto funerale e lui che gridava contro Percy ogni volta che l’uomo si avvicinava troppo. Poi, un giorno, qualche anno prima, si era reso conto che gli voleva bene e che non c’era niente di male in questo, che non avrebbe di certo tolto niente all’affetto che provava per suo padre. 

Janus spostò gli occhi sulla finestra e finalmente aprì le tende, inondando la stanza di luce. La sua immagina si rifletté sulle vetrate spalancate verso l’interno e lui si osservò per qualche secondo in silenzio. Ci aveva messo un po’ più di tempo degli altri per crescere ma adesso, a poche settimane dal suo sedicesimo compleanno, era ormai riuscito a liberarsi del quasi tutto di quel suo corpo da ragazzino gracile. Era successo all’improvviso: era diventato più alto, la sua voce si era abbassata e qualcosa nel suo viso era cambiato, anche se non riusciva a capire esattamente cosa. 

Anche se palesemente lo era, lui non riusciva a considerarsi nemmeno lontanamente carino e, nonostante fosse ancora molto giovane, aveva deciso di accettare la cosa: non avrebbe mai avuto nessun tipo di relazione romantica e in fondo non gli importava granché dato che questo gli avrebbe permesso di rimanere concentrato sui suoi obiettivi. Magari sarebbe diventato il più giovane Ministro della Magia della storia, oppure sarebbe riuscito a inventare un incantesimo capace di proteggere gli oggetti tecnologici a Hogwarts, diventato una sorta di Mark Zuckerberg, ma con la bacchetta.

Chissà quando arriveranno i risultati dei G.U.F.O., si domandò, pensando agli esami fatti in giugno e alle porte che potevano aprire o chiudere.

La risposta a quella domanda arrivò quasi nell’immediato, quando la porta alle sue spalle si spalancò, mostrando una ragazza dai lunghi capelli di un castano dorato, schiariti dal sole estivo quasi fino al punto di sembrare biondi, con indosso un abito prendisole molto corto, che si sventolava davanti al viso accaldato una busta da lettera con il sigillo di Hogwarts come se fossero un ventaglio. 

- Buongiorno. - Esordì allegramente. - Sono arrivati i risultati degli esami! Non hai idea… ho dovuto prendere la metropolitana per arrivare fin qui, ma come fanno i babb… - 

- Non puoi entrare così in camera mia, Faye! Te l’ho detto un milione di volte! - Sbottò subito Janus, interrompendo il suo avvincente racconto. - E se fossi stato nudo? - 

Faye spalancò gli occhi, socchiuse la bocca e poi si portò una mano al petto con aria falsamente turbata. - Sarei corsa giù pregando il signor Weasley di cancellare dalla mia mente il ricordo del tuo cazzetto minuscolo. - Disse, fingendosi affranta. 

Janus arrossì e poi alzò gli occhi al cielo. - A parte che le misure non contano… - 

- Lo sai che questo è esattamente ciò che direbbe uno che ce l’ha piccolo? - Lo fermò lei ghignando. 

Janus sbuffò e la guardò male, poi attraversò la stanza e gli strappò la lettera tra le mani. 

- Dov’è la mia? - Domandò, quando lesse il nome di Faye sulla busta. 

- Di sotto, il signor Weasley vuole che la apri mentre ci sono anche lui e tua madre. - Spiegò Faye, riprendendosela. 

Il ragazzo sbuffò. - Che palle. - Borbottò seccato, tornando a buttarsi sul letto. 

- Dai, è una cosa carina che voglia condividere il momento con te. - Lo riprese la ragazza, prima di sedersi al suo fianco. 

- Sì, è una cosa carina se ti piace il genere “Settimo Cielo”. - Obiettò Janus. 

Faye lo guardò male. - Oh, povero piccolo, ha una famiglia perfetta e felice e dunque non sa più a cosa attaccarsi per essere triste e lamentoso come al solito. - 

- Guarda che non è tutto così perfetto come può apparire da fuori. -  

- Vogliamo fare a cambio? - Sbraitò la ragazza, le mani sui fianchi e gli occhi puntati su di lui. - Credi forse che a mio padre importi qualcosa di quanti G.U.F.O. ho presto? Da quando è stato rilasciato, non ci ho avuto ancora una vera conversazione, mentre mia madre mi riconosce a giorni alterni da quando ne ho memoria. Quindi puoi smettere di fare lo stronzo? -

Janus ricambiò il suo sguardo con una punta dolorosa di senso di colpa nel petto. La situazione familiare di Faye lui la conosceva bene, e sapeva anche quanto lei soffrisse per essa. In compenso, Percy e sua madre l’avevano accolta in casa come una figlia, tenendo sempre la porta aperta per lei e un posto alla loro tavola, e Faye ne era grata. 

Osservandola, Janus notò che anche lei era cresciuta molto quell’estate. Era diversa dalla ragazzina che aveva conosciuto al Ghirigoro cinque anni prima, ma una cosa era di sicuro rimasta immutata: era bella, solo che lui non era più l’unico a notarlo ormai.  

Lei piaceva praticamente a chiunque e da qualche mese aveva un fidanzato, Ikaris Farley, prefetto di Serpeverde, cacciatore della squadra di quidditch della sua Casa di cui era anche il capitano, nonché ragazzo più popolare della scuola. 

Era perfetto

- Non faccio lo stronzo con Percy, solo che… lascia stare. - Buttò lì, muovendo una mano in aria come se volesse scacciare via una zanzare. - Piuttosto dimmi, come va con quel coglione di Farley? - 

La ragazza scrollò le spalle. - Come al solito. - Disse evasiva, abbassando lo sguardo sulla busta che teneva ancora stretta in mano. - Invece tu e la tipa con cui giochi a League of Legends? - 

Janus si sentì arrossire. - Considerando il fatto che riesco a parlarci solo quando sono a casa, che vive a chilometri da qui e che potrebbe potenzialmente avere l’età di mia madre… direi tutto bene. - Rispose con nonchalance. 

Faye sogghignò. - Sai chi è che ha più o meno l’età di tua madre? Fleur Weasley. Eppure con lei scommetto che tutti questi problemi non te li faresti. - Disse.

- Sul serio osi prendermi in giro? Proprio tu che hai una cotta per le fotografie di mio padre? - Rise Janus. 

- Ho una cotta per le fotografie di tuo padre alla nostra età, dato che era un gran figo. - Puntualizzò Faye. 

- Tutti dicono che gli somiglio. - Sottolineò lui.

Faye lo scrutò attentamente, poi sospirò e scosse la testa. - Sì, fisicamente vi somigliate parecchio, ma a te manca l’atteggiamento giusto. - Spiegò. - Sei un po’ troppo… non si arrabbiare, ma sei un po’ troppo come Percy. - 

Janus la guardò malissimo e non proferì parola, ma si alzò in piedi, raggiungendo la soglia della porta per scendere finalmente di sotto. 

- Comunque, dalla voce, la ragazza di League of Legend sembrava una della nostra età, non credi? - Riprese Faye, seguendolo lungo il corridoio. - E poi da ciò che dice sembra proprio il tuo tipo ideale. - 

- Non ce l’ho un tipo ideale. - 

Faye fece una faccia scettica. - Sì che ce l’hai. - Lo smentì. - Lei è una musicista… - 

- Suona l’ukulele, non è un vero strumento. - La interruppe Janus. 

- … passa tutto il suo tempo attaccata allo schermo di un computer esattamente come te, il suo film preferito è il primo capitolo di Matrix, adora i musical e guarda anche quegli strani cartoni animati cinesi. Direi che è proprio fatta apposta per te. - 

Janus sbuffò, cercando di trattenere un sorriso. - A parte che quelli che tu chiami “strani cartoni animati cinesi” sono anime e casomai è roba giapponese. - La corresse, raggiungendo le scale. - Comunque può darsi che sotto alcuni aspetti sia praticamente perfetta. Certo… pensa che la musica classica sia da vecchi e che Orwell abbia colto l’ispirazione per 1984 dal Grande Fratello e non il contrario, ma non importa, dato che non la conoscerò mai. È una babbana, è troppo complicato. - Disse, iniziando a scendere i gradini verso il piano di sotto. 

- Magari è una strega, frequenta Hogwarts e si sta facendo esattamente i tuoi stessi problemi. Pensaci, magari vi conoscete già. - Cercò di convincerlo Faye. 

- Come no. - Sospirò Janus, e poi scese l’ultimo scalino, ritrovandosi nell’ingresso, a pochi metri dalla cucina da cui arrivava un buon odore di bacon fritto. - Ho un nome poco comune e a scuola non passo quasi mai inosservato, quindi se frequentasse Hogwarts ci metterebbe due secondi per trovarmi, non credi? - 

- Forse è timida, si sente intimorita. - Tentò di spiegare Faye. - Secondo me vale la pena indagare un po’. Fatti mandare una foto, oppure una volta a scuola cerca il suo nome sulla Mappa. - 

Janus ci pensò su. Anche lei aveva un nome poco comune, in effetti, quindi se fosse stata una studentessa di Hogwarts non sarebbe stato affatto difficile trovarla. - In effetti non dovrebbero esserci troppe Pilar Figueroa al castello. - Convenne, varcando la soglia della cucina. 

Lì, sua madre era seduta su una delle sedie che circondavano la tavola apparecchiata per la colazione, gli occhi puntati sullo schermo illuminato del suo iPhone, mentre Percy, alle sue spalle cucinava senza l’aiuto della magia. - Ben svegliato. - Gli disse, facendo saltare la pancetta in padella con gran maestria, per poi abbandonarla sulla fiamma bassa. 

Hazel lasciò il telefono sul tavolo, con lo schermo girato verso il basso e alzò gli occhi sui due, che intanto avevano preso posto. - Buongiorno, amore. - Disse guardando suo figlio. 

- Mamma, potresti non essere imbarazzante per una volta? - Sbuffò lui, versandosi del tè nella tazza. - Auguri. - Aggiunse, cercando di addolcire il tono. 

- Grazie, stronzetto. - Borbottò Hazel guardandolo di sottecchi. - Io, alla tua età, avrei pagato per avere una madre imbarazzante come me. Per fortuna c’è Faye che è pronta ad accogliere tutto il mio affetto, perché se fosse per te e Percy... - E dicendo questo lanciò al  mago uno sguardo inceneritore.

Percy portò in tavola la pancetta ormai croccante e poi, con un sospiro, si sedette. - Ce l’avrai con me per tutto il giorno, non è così? - Chiese alterato.  

Hazel gli lanciò un altro sguardo torvo e dunque Janus si interessò: - Cosa hai fatto per farti odiare tanto? - Domandò, prendendo una fettina ben abbrustolita di bacon. 

Hazel, pronta ad inveire, aprì la bocca per parlare. - Si è dimenticato il mio compl… - 

- Non me lo sono dimenticato, pensavo che fosse domani! - La interruppe Percy, con tutta l’aria di chi aveva già fatto quella conversazione dieci volte da quando aveva aperto gli occhi. - Sono pieno di lavoro, dato che la gente che viaggia per la Coppa del Mondo di quidditch ha intasato la metropolvere, ci sono passaporte da approvare, gente che si spacca in ogni dove dopo materializzazioni azzardate e… - 

- Così ti verrà un infarto, Percy. - Lo fermò Janus con calma. - Rilassati, respira, e dammi subito la lettera con i risultati degli esami. - 

Percy alzò le sopracciglia, come se si fosse ricordato solo in quel momento della famosa busta. Gliela passò e lui la aprì senza esitare, dispiegando la pergamena e leggendo il contenuto che diceva: 

 

Janus Regulus Black ha conseguito:

Astronomia: O

Babbanologia: E

Divinazione: A

Cura delle Creature Magiche: A

Incantesimi: E

Difesa contro le Arti Oscure: E

Rune Antiche: E

Erbologia: A

Storia della Magia: E

Pozioni: S

Trasfigurazione: E

Aritmanzia: O

 

Sapeva che non sarebbe stato in grado di passare l’esame di pozioni, ma doveva ammettere che un po’ ci aveva sperato, soprattutto dopo tutte le ripetizioni che Faye gli aveva dato. Aveva studiato così tanto, ma era chiaro che riuscisse ad eccellere solo in ciò che gli piaceva davvero. 

- Poteva andare meglio. - Sospirò, abbandonando la pergamena sul tavolo, che venne prontamente afferrata da Percy:

- Undici G.U.F.O non sono male. - Commentò dopo averla letta tutta. - Sei stato bravo, in fondo. - Continuò cercando di non apparire troppo soddisfatto e fiero di tutti quegli “eccezionale”: come Janus non faceva altro che ricordargli quando gli girava male, lui non era suo padre e non doveva comportarsi come tale. 

- Frena l’entusiasmo, Weatherby. - Disse il ragazzo con gelido sarcasmo lanciandogli un’occhiata infastidita. - E tu, Faye? Come è andata? - Domandò dopo rivolto all’amica. 

La giovane gli passò la pergamena con fare disinteressato e Janus lesse: ovviamente aveva preso il massimo in pozioni, se l’era cavata bene in tutte le materie ed era stata promossa perfino in trasfigurazione, con una gloriosissima O. 

- Brava, Selwyn. - Le disse sorridendole. 

Il fatto che Faye fosse più intelligente e talentuosa di lui era una delle tante cose che più adorava di lei. Oltre al fatto che fosse bellissima e divertente e affascinante e… 

- Sei stato bravo, Jan. Percy fa solo il sostenuto, come al solito. - Intervenne Hazel, tirandolo fuori da quella spirale di pensieri pericolosi, strappandogli un imbarazzante bacio sulla guancia, prima di dare un’occhiata anche ai voti della Serpeverde. - E anche Faye è stata brava. In realtà… più brava di te, dodici G.U.F.O., complimenti! - 

- Grazie, signora Black. - Rispose Faye. 

Percy alzò gli occhi al cielo, lasciando trasparire tutta la disapprovazione che sentiva quando qualcuno appellava Hazel come la signora Black. Ma chissà, magari presto l’avrebbero chiamata signora Weasley. 

Dopo un sospiro, il mago si alzò da tavola, attraversò la cucina, per poi fermarsi sulla soglia della porta. - Janus, puoi venire un attimo di là con me, per favore? Ho bisogno di una mano con delle cose tecnologiche babbane. - 

Janus si voltò per poterlo guardare. Percy sembrava un po’ strano. Nel senso, sembrava più strano del solito. - Sì, eccomi. - Disse, prima di alzarsi, seguendolo fuori dalla cucina, in direzione del salotto.  

Una volta lì, Percy gli rivolse uno sguardo molto teso e poi si aggiustò nervosamente gli occhiali sul naso. 

- Stai bene? - Gli domandò Janus, notando che era anche un po’ pallido. - Che devi fare? Devi comprare qualcosa su Amazon? - 

Lui scosse la testa con fare sbrigativo, poi prese un solenne respiro profondo. - Cinque anni fa, quando ti ho conosciuto ho semp… - 

- No, no, no, Perce, no. - Lo fermò subito Janus unendo le mani davanti a sé, come in una supplica. - Io ti scongiuro, ti prego, vai dritto al sodo, mi stai già mettendo l’ansia. Stai per morire? Io preferisco che tu me lo dica senza troppi giri di parole se stai per morire. - 

- Non sto per morire, ma sono lieto di sapere che in tal caso ne soffriresti. - 

Janus alzò le sopracciglia e batté le palpebre, sempre più perplesso, ma anche un po’ divertito. - Questa frase ha molte cose sbagliate, ma facciamo finta di niente e torniamo a noi: che succede? - Domandò con ansia. - Cosa ti devo aiutare a fare? -

Percy tergiversò, portandosi di nuovo una mano agli occhiali, gesto che faceva solo in due occasioni: quando era molto nervoso o quando sapeva di aver ragione su qualcosa. 

Alla fine prese un altro grande respiro e parlò, stavolta andando dritto al punto: - Vorrei chiedere a tua madre di sposarmi ma necessito della tua approvazione. - 

Subito il viso di Janus mutò, diventando serio e sorpreso insieme, ma tentò di rimediare alzando i lati della bocca per sorridere. Di sicuro una cosa del genere non lo faceva scoppiare di gioia, ma d’altronde Percy e sua madre stavano insieme da anni, vivevano già sotto lo stesso tetto, quindi aveva ancora senso aspettare? Ma soprattutto aveva senso dire di no?

Chissà se suo padre approvava…

- Per te sarebbe un problema se glielo chiedessi? - Tornò a parlare Percy, teso. 

Il ragazzo strinse le labbra e poi scosse la testa. - No… io… non me lo aspettavo. - Mormorò sovrappensiero. - Insomma… sì, va bene! Hai la mia approvazione. Se ciò che vuoi è passare tutta la vita con lei ci sta che tu voglia sposarla. - Continuò, nascondendo tutte le sue perplessità dietro ad un sorriso incerto. - Molly e Lucy cosa ne pensano? Gliene hai parlato? - 

- A loro sta bene, anzi direi che ne sono entusiaste. - Assicurò Percy. - Lucy è felice del fatto che avrà un’occasione per indossare un bell’abito da cerimonia, pensa un po’. -  

Janus continuò a mantenere quel suo strano piccolo sorriso, e annuì. - Hai già preso un anello? Fammelo vedere. -

Percy tirò un sospiro di sollievo davvero molto lungo che lo fece sgonfiare come un palloncino e poi annuì e si infilò una mano nella tasca della giacca che indossava, tirando fuori una piccola scatoletta di velluto rossa dove all’interno brillava l’anello.

Janus lo guardò. - Scommetto che non l’hai scelto da solo, vero? -  

- In effetti sono andato a comprarlo insieme a Ginny e Fleur. - Ammise Percy. 

Il giovane rise piano. - Che strana accoppiata. - Commentò. - Ma come hai intenzione di chiederglielo? - 

- Pensavo stasera, alla Tana… -

- No. - Lo interruppe Janus, alzando gli occhi al cielo. - Devi fare un grande gesto. Mia madre si merita qualcosa di meglio di una proposta banale a casa dei tuoi il giorno del suo compleanno. - 

- E come dovrei farlo, sentiamo un po’? - Percy si infilò di nuovo la scatoletta in tasca, al sicuro da occhi indiscreti, e incrociò le braccia al petto. 

Janus scrollò le spalle. - Sei il capo dell’Ufficio Trasporti, no? Fai una passaporta, portala davanti una delle sette meraviglie del mondo o roba del genere, inginocchiati e chiediglielo. - Buttò lì, in tono ovvio. - Non puoi fare come hai fatto con Audrey. - 

- Con lei non c’è state nemmeno una vera proposta. - Lo contraddi. 

Janus sospirò. - Senti, fa come vuoi. - Disse alla svelta. - Ad ogni modo… va bene, fai ciò che devi e spera che dica di sì, ma non darlo per assodato. Mamma è strana. - 

- Sei sicuro? - Domandò Percy, serio come non mai, mettendogli una mano sulla spalla. 

Lui annuì. - Però non farti venire voglia di farci un bambino o roba del genere. - Intimò borbottando sommessamente. 

- Non credo che Hazel ne abbia intenzione. - Lo tranquillizzò Percy. - Ma comunque perché no? - 

- Già dover dividere di tanto in tanto i miei spazi con Molly e Lucy è devastante per me. - Rispose Janus. - Inoltre ti assicuro che il mondo non ha bisogno di altri Weasley. - 



 

Nota più che necessaria: 

Lo so, un salto di cinque anni è un grande azzardo, ma era necessario. Prima di tutto il rapporto tra Hazel e Percy doveva diventare più serio, e poi Janus undicenne mi stava irritando perché detesto i ragazzini di quell'età dunque non credo di saperli scrivere.

Spero che non sia risultato troppo azzardato: devo ammettere che la pubblicazione di questo capitolo mi provoca un po’ d’ansia perché all’inizio la storia non doveva andare così, Sirius doveva rimanere dietro il velo e tanti cari saluti, ma poi mi è presa una botta di presa bene e quindi… perché non far risorgere dal nulla il caro Black? 

Non lo so, raga, mi aspetto tantissime critiche stavolta. 

Spero che continuerete a seguirmi nonostante questa botta di matto che ho avuto e… niente, fatemi sapere se vi va. 

J. 


 

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Capitolo 29. Esprimi un desiderio ***


Capitolo 29


Il getto luminoso lo colpì in pieno petto e il colpo lo fece sussultare facendogli sgranare gli occhi in un'espressione di paura e stupore insieme. 

Erano state tante le volte in cui si era beccato uno schiantesimo durante la sua vita, ma impiegò qualche secondo per capire che qualcosa quella volta era andato storto. Superò il velo logoro appeso all’arco alle sue spalle e tutto il suo corpo venne attraversato da un fremito. Le sue palpebre si fecero improvvisamente molto pesanti e fu in quel momento che decise di lasciarsi andare al buio e al freddo che subito lo presero. Poi sentì il fischio di un treno in lontananza e, quando spalancò di nuovo le palpebre, notò che davanti a lui era apparso uno strano paesaggio. Si trovava in quello che sembrava un bosco innevato, circondato da altissime montagne, a pochi metri da una casa da cui saliva lenta una nuvoletta di fumo dal camino di pietra. 

Sirius si guardò intorno: era giorno, faceva freddo e lui indossava degli abiti diversi da quelli che portava all’Ufficio Misteri. Erano vestiti babbani quelli che indossava, adatti a temperature molto basse come quelle e perfino il suo corpo sembrava cambiato, era più robusto e forte, proprio come prima di Azkaban. 

Si avvicinò alla casa dove notò, oltre il vetro chiuso della finestra, un grosso albero di Natale addobbato. 

Senza un perché, ma con l’impressione che fosse proprio la cosa giusta da fare, Sirius mise la mano sulla maniglia della porta, spalancandola e ritrovandosi in un grazioso ingresso accogliente e caldo. Tutto intorno a lui l’aria aveva un che di onirico, come se si trattasse di un sogno, un gran bel sogno, di quelli che ti mettono pace e che ti fanno venir voglia di dormire per sempre. 

Da qualche parte, in fondo ad un corridoio, alcune voce allegre riempivano l'ambiente. Sirius si mosse, varcando la soglia di una cucina rustica ma ben arredata in cui, sedute una di fronte all’altra con due tazze da tè davanti, due donne stavano parlando amabilmente. La prima, con il volto rivolto verso la porta, era Hazel, ma molto più bella di come se la ricordava. I suoi capelli erano lucenti e setosi, la sua pelle era liscia e splendente come quella di una bambola di porcellana. Quando lo vide gli rivolse un sorriso enorme e si alzò in piedi. 

- Ciao, Sirius. - Gli disse, andandogli incontro. 

Lui rimase interdetto per una manciata di secondi, fermo e zitto sulla soglia, ma quando poi anche l’altra si voltò nella sua direzione per poco non gli venne un colpo. 

Si trattava di una donna bellissima, dai capelli scuri e gli occhi grigi, esattamente come i suoi, che indossava un abito da strega verde smeraldo e che ospitava in viso quei tratti aristocratici che tutti nella famiglia Black condividevano. 

- Ma che cazzo… - 

- Sirius! - Lo bacchettò subito Walburga. - Sei sempre così scurrile! - 

Sirius scoccò a Hazel uno sguardo preoccupato che sembrava completare la frase da lui solo accennata un attimo prima. La ragazza, in tutta risposta, sorrise ancora, come se fosse normale che Walburga Black fosse lì con loro in quel preciso momento. 

- È sempre stato così bello, molto più di Regulus. - Sospirò Walburga, guardandolo con uno sguardo che poche volte aveva usato con lui. 

Sirius cercò di trattenere senza successo una risata molto amara. - Sì, davvero molto divertente. - Disse, scuotendo la testa. - E io che pensavo di essere stato colpito solo da uno innocuo schiantesimo. Probabilmente sono caduto male. - 

Walburga trasalì. - Chi ti ha schiantato, bambino mio? - 

Sirius sgranò gli occhi, per poi spostare lo sguardo su Hazel. - Hazel, possiamo parlare? - 

La ragazza, seppur perplessa, annuì e poi lo seguì fuori dalla cucina. - Che ti prende? Che hai? - Gli chiese, scrutandolo preoccupata. 

- Qual è il tuo film preferito? - Domandò lui a sua volta, più serio che mai. 

- Ma cosa… - 

- Qual è il tuo film preferito. - Insistette Sirius. 

Hazel sbuffò e alzò gli occhi al cielo. - Io e Annie. - Rispose scocciata. - Adesso mi dic… - 

- Come hai scoperto che ero ricercato? - La interrogò lui. 

Hazel esitò, fissandolo con ancor più apprensione. - Stavamo guardando una partita, Scozia contro Portogallo, poi è partito il telegiornale e lì ho visto la tua foto. Mi sono spaventata, ho tentato di scappare, ma tu mi hai schiantata. - Raccontò.   

Sirius tirò quello che sembrava un sospiro di sollievo. - Sei veramente tu. - Disse piano, fissandola attentamente. Le era mancata così tanto e adesso lei era così vicina…  

- Chi pensavi che fossi? - Rise lei. 

Sirius si limitò a sorridere e a scuotere la testa, e poi fece un altro passo verso di lei, avvicinandosi tanto da poterla finalmente toccare. - Potrai mai perdonarmi? - Le chiese, accarezzandole una guancia. 

Hazel parve non capire. - Perdonarti? E per cosa? - Gli domandò. 

Sirius cercò di parlare, ma le parole faticarono a sgorgare dalla sua bocca. - Per tutto quanto. - Disse alla fine. 

Hazel, di nuovo, apparì confusa. - Sei molto strano oggi. - Commentò. 

- Perché tutto questo ti pare normale? - Ribatté lui, indicando tutto lo spazio intorno a loro. - Insomma c’è mia madre in cucina, e prima stavate bevendo del tè insieme. - 

- E quindi? Tua madre è simpatica. - 

Sirius rise sommessamente e annuì. - Certo, Hazel, certo. E scommetto che mio padre  è un uomo amorevole e presente, e che mio fratello in questo momento stia insegnando a Janus come volare bene su una scopa. - 

- Sì, effettivamente sì. - Hazel sorrise. - Guarda. - 

Lei tese il braccio davanti a sé e, senza nemmeno rendersene conto, Sirius si ritrovò in quello che sembrava l’enorme giardino ben curato della casa di campagna in cui la sua famiglia passava le vacanze estive quando lui era solo un bambino. Lì, nel bel mezzo di un immenso prato che sembrava essere stato falciato filo d’erba dopo filo d’erba, suo padre e suo fratello guardavano un bambinetto che sfrecciava rapido sulla sua scopa giocattolo a più o meno di un metro e mezzo da terra. 

Orion Black era proprio come se lo ricordava: i capelli scuri e ben ordinati, il viso sempre rasato con cura e con indosso una veste da mago estremamente pomposa ed eccentrica. Non si assomigliavano per niente nell’aspetto fisico, ma in molti gli avevano detto, nel corso della sua infanzia, quanto fosse simile a suo padre nel carattere, ma lui tutta questa somiglianza non l’aveva mai vista. 

Regulus, invece, non era più quel ragazzino diciottenne e magrolino che era scomparso molti anni prima ma, bensì, un uomo adulto. 

Sirius rimase a guardare i due da lontano, assaporando il retrogusto molto conosciuto del senso di colpa. 

- Perché non vai a parlarci? - Lo spronò Hazel. 

- Non credo che tutto questo sia reale. - Mormorò lui, continuando a guardare dritto davanti a sé. - Devo andare via… devo tornare indietro. - 

Si voltò e mosse qualche passò in direzione opposta, quando la voce di un bambino che lo chiamava lo fermò. Quando si voltò, vide che Janus stava correndo nella sua direzione. Era un po’ più grande rispetto all’ultima volta in cui l’aveva visto e anche molto più sveglio. Non è reale, si ripeteva Sirius, e così riuscì a resistere al bisogno di prenderlo in braccio. Poi alzò lo sguardo su suo fratello e suo padre che proprio come il bambino si erano avvicinati e adesso lo fissavano in modo strano. 

- Padre. Reg. - Fece, come per salutarli. - Vorrei dire che è un piacere rivedervi, ma non è affatto così… - 

Regulus si fece avanti e, semplicemente, abbracciò il fratello come se aspettasse quel momento da secoli, lasciando Sirius del tutto interdetto. - Dannato idiota, non ci posso credere che hai dato il mio nome a tuo figlio. - Disse, staccandosi da lui quel tanto che bastava per guardarlo. 

- Hazel voleva per Jan anche il nome di una stella, non c’è nessun motivo affettivo dietro questa scelta. - Obiettò Sirius, guardandolo male. - Devo andarmene da qui. - 

Orion e Regulus si scambiarono uno sguardo perplesso. - Non puoi andartene via. - Disse il signor Black. 

- Sì, me l’hai già detta una volta una cosa del genere, molto tempo fa. - Sirius non aggiunse altro, si voltò nuovamente, fece un passo in avanti e all’improvviso tutto si dissolse, per poi ricomporsi. 

Adesso era solo, davanti al cancello della villetta di Lily e James, che però non portava i segni di quello che era successo quella tragica notte del 1981. Aveva tutta l’aria invece di un posto abitato da persone felici. 

Sirius attraversò il vialetto con la sensazione di avere le gambe molli, varcò il portico di legno, mise mano sulla maniglia e spalancò la porta, entrando. Dentro era tutto intatto, tale e quale a come se lo ricordava: c’erano ancora le fotografie attaccate alle pareti e gli inutili soprammobili di Lily. 

Sirius seguì quella voce fino al soggiorno, dove James, Lily e Remus sembravano tornati ad essere di nuovo tre giovani Grifondoro nella Sala Comune.

- Felpato! - Esclamò James sorridendo, prima di alzarsi in piedi. - Ce l’hai fatta! - 

Sirius lo guardò avvicinarsi e poi, come aveva sognato tantissime volte, James lo stritolò in un forte abbraccio. Non riusciva a dire una parola, sentiva la gola chiusa in un nodo e gli occhi che gli si appannavano secondo dopo secondo. - James… - Mormorò con voce rotta. - Mi dispiace così tanto, Jim! Scusa… io non… Peter… - 

- Che hai combinato adesso al povero Coda? - Lo interruppe James, ridendo. 

Sirius boccheggiò e non riuscì a rispondere. James, Lily e Remus, a contrario di Regulus che era diventato adulto, erano tali e quali a com’erano durante la scuola. 

- Lui… ti ha tradito, James. Ha tradito te e Lily. - Tentò di spiegarsi. - Voi due siete morti per proteggere Harry, non vi ricordate? Diglielo, Lunastorta, digli cosa è successo! È colpa mia! Pensavo che… io pensavo che… - 

James e voltò verso Lily e Remus, che si scambiarono uno sguardo perplesso. 

- Chi è Harry? - Domandò Lily, facendosi avanti. 

- Come chi è. - Ribatté Sirius, alterato. - Harry, vostro figlio. - 

Lily e James si scambiarono un altro sguardo. - Come fai a sapere che sarà un maschio? - Domandò lei, mettendosi una mano sulla pancia. 

Sirius alzò le sopracciglia, sorpreso. - In che anno siamo? - Chiese a sua volta. 

Improvvisamente la mano di James scattò sulla sua, stringendola forte, e poi l’amico lo guardò molto intensamente. - Sirius, apri gli occhi. - Disse. 

E poi… il buio. 

 

Sirius, apri gli occhi. Apri gli occhi, avanti…

 

- Signor Black, apra gli occhi. - Una voce sconosciuta arrivò alle sue orecchie da vicino, come se chi avesse pronunciato quell’ordine si trovasse a pochi centimetri dal suo volto, mentre qualcuno gli stava dando tanti piccoli schiaffetti su una guancia, forse nel tentativo di fargli spalancare le palpebre. 

Sirius ci provò, tentò con tutto sé stesso di aprire gli occhi, ma non ne aveva le forze. Si sentiva così stanco… era immerso nel nulla. Lì c’era la pace, come se in quel luogo i mali del mondo non avessero accesso. Come gli sarebbe piaciuto lasciarsi andare a quell’oblio, lasciarsi trasportare da quella galassia di niente, eppure c’era una parte di lui ancora impigliata all’esistenza, come se la vita fosse una sorta di rete da pesca, una trappola che cercava di tenerlo a sé.  

Prese un respiro profondo, raccolse ogni briciola di buona volontà che trovò e si concentrò: doveva tornare indietro, doveva lasciare che quella rete lo pescasse, che quella trappola lo stringesse.

- Sirius? Puoi sentirmi? - Di nuovo una voce. Una voce conosciuta stavolta.  

Schiuse le labbra nel tentativo di parlare, ma produsse solo un lamento basso e roco che sembrava provenire dal fondo di un vecchio pozzo abbandonato. Poi finalmente spalancò le palpebre e la luce accecante sopra al suo letto gli fece lacrimare dolorosamente gli occhi. Voltò la testa verso sinistra, scontrandosi finalmente con le iridi verdi di Harry Potter. 

Tentò nuovamente di dire qualcosa, ma il ragazzo lo anticipò: - Non ti sforzare. - Gli disse, e Sirius sentì che gli stava stringendo forte una mano. 

Lo scrutò attentamente, e solo in quell’istante si rese conto che qualcosa non andava. Harry era diverso, era cresciuto: il suo volto, una volta liscio e fanciullesco, adesso ospitava una barbetta rada e scura di almeno qualche giorno, gli occhiali tondi erano stati sostituiti da una moderna montatura quadrata e i capelli, una volta molto ribelli, proprio come quelli di James, adesso apparivano più ordinati. 

Ma la cosa che sorprese di più Sirius fu l'abbigliamento del suo figlioccio, che consisteva in una giacca da mago color prugna, pantaloni scuri e mantello sul viola su cui era cucito lo stemma del Ministero della Magia: era chiaramente una divisa da auror, quella. 

- H… Harry… - Mormorò alla fine, con la gola in fiamme. 

- Signor Black, bentornato tra noi. - Parlò una donna, apparsa proprio al fianco del ragazzo. - Come si sente? Mi dica, in che anno siamo? - 

Sirius guardò anche lei con un certo interesse: era una curatrice del San Mungo, lo si poteva capire dalla divisa color verde acido che indossava. Aveva i capelli chiari e lunghi e due occhi scuri e spalancati che lo fissavano come se si trovasse davanti ad un miracolo. Poi Sirius fece scorrere lo sguardo su Harry, che non sembrava affatto preoccupato dal fatto che una persona che non faceva chiaramente parte dell’Ordine fosse lì con loro in quel momento. 

- È il 1996. - Rispose con fatica, e la donna scrisse qualcosa sulla cartella che aveva in mano. - Dove siamo? Che è successo? - 

- Lei si trova al San Mungo, signor Black. - Rispose la curatrice. Poi, davanti allo sguardo perplesso dell’uomo, aggiunse: - Non si preoccupi, non è più ricercato. Lei è libero. - 

Sirius aggrottò la fronte e rimase a fissare la donna e Harry per qualche secondo, nel tentativo di capire davvero la frase che era appena uscita dalla bocca della curatrice. Che voleva dire “libero”? Come poteva essere libero se fino a qualche ora fa era tra i maghi più ricercati al mondo? Forse Remus aveva ragione, ultimamente beveva troppo, non gli faceva bene, soprattutto ad uno con grossi traumi come lui. 

Harry ricambiò il suo sguardo, osservandolo attentamente. Il suo padrino era diverso da come se lo ricordava, ma non capiva bene il perché, dato che non era invecchiato nemmeno di un giorno. Aveva ancora i capelli neri e lunghi, gli occhi grigi e infossati, in quel momento pieni di dubbi, quel poco di barba che gli dava quell’aria trasandata che però un po’ gli donava… in quel momento, anche se era visibilmente provato, Sirius appariva molto più simile che mai alla persona che appariva nelle foto del matrimonio di Lily e James. 

- Sono successe tante cose. - Disse Harry. - Tu cosa ricordi? - 

Sirius sospirò, prendendosi tutto il tempo necessario per rispondere. Poi si mosse sotto lo sguardo preoccupato dei due, cercando faticosamente di mettersi seduto prima di guardarsi intorno. Era finito al San Mungo più volte durante la prima guerra magica e sarebbe stato capace di riconoscere quell’odore di disinfettante e quelle grosse stanze piene di letti ovunque, solo che, quella volta, il suo sembrava l’unico ad essere occupato.  

- La battaglia all’Ufficio Misteri… - Bofonchiò, ancora scosso. - Bellatrix mi ha colpito. - 

Harry annuì. - Hai superato quell’arcata vuota. Te lo ricordi? - Gli chiese. 

Altroché se se lo ricordava, pensò Sirius, mentre una valanga di strani ricordi senza alcun senso logico gli tornavano in mente. Ricordava la battaglia, le grida sguaiate e le risatine di quella pazza di sua cugina, la paura di perdere Harry, e alla fine Bellatrix e il suo schiantesimo e quello stranissimo sogno che aveva fatto. 

- Dov’è Remus? - Domandò di getto. - Devo parlare con lui. -  

La donna scrisse qualcos’altro sulla sua cartella e Harry deglutì con difficoltà e a occhi bassi. Mosse piano la testa, per dire di no, e Sirius sentì il suo cuore fermarsi per un secondo. 

- La guerra è finita. - Raccontò il ragazzo. - Abbiamo vinto, Voldemort è stato sconfitto, ma abbiamo avuto anche noi gravi perdite. Silente, Piton, Fred, Malocchio… e purtroppo anche Remus. - 

Il viso di Sirius si adombrò ancora di più e poi un pensiero terribile gli trapassò la mente, distraendolo dal dolore di quella ennesima perdita e facendogli mozzare il fiato. Se Silente, Piton e Remus non c’erano più e l’incantesimo di memoria che avevano fatto anni prima non era stato sciolto, allora forse nessuno sapeva dell’esistenza di Hazel e Janus. Alzò di nuovo gli occhi pieni di lacrime verso il giovane auror, tremando come una foglia. - Harry, tu non te lo puoi ricordare, ma ho una famiglia, un figlio… - Disse con voce spezzata. 

Harry annuì. - Lo so, l’incantesimo è stato sciolto anni fa. - Lo rassicurò. - Hazel e Janus stanno bene, li abbiamo ritrovati il giorno dell’undicesimo compleanno di Janus. Sono stato proprio io a portargli la lettera. Adesso ha quasi sedici anni, è un… - 

- Sedici? - Tuonò Sirius, sgranando gli occhi. - Come è possibile? Lui ha poco meno di due anni, Harry. Non sedici, due. Jan ha due anni, li farà ad agosto… - 

- È passato tanto tempo da quando hai passato quel velo. - Spiegò Harry. - Tu però adesso non devi stancarti, non è vero curatrice? Abbiamo tempo per parlare di questo. - 

Sirius vide la donna annuire e si lasciò scappare un verso sprezzante. - Scusi tanto, ma momentaneamente non me ne frega niente del suo parere. - La informò indignato, prima di tornare a guardare Harry. 

Lei parve non offendersi per niente e scrisse ancora qualcosa sulla cartellina. Sirius la trovò molto irritante. 

- Perché dici che Jan ha sedici anni? E perché tu sembri così… adulto? - Chiese a Harry, senza celare tutta la sua impazienza. 

Harry sospirò, lanciando di sfuggita un’occhiata alla curatrice, che annuì. - Dopo che sei stato colpito dall’incantesimo di Bellatrix sei caduto oltre il velo nella Stanza della Morte e tutti ti abbiamo creduto morto per anni. - Raccontò. 

- Quanti anni? - Domandò Sirius impaziente. 

Harry esitò per una manciata di secondi, come se stesse cercando di capire quale fosse la risposta giusta da dare. - Sei stato via per quattordici anni. - Rispose. - Stamattina alcuni indicibili sono riusciti a tirarti fuori. Vorrei sapere anche io come, ma come sai non possono uscire informazioni dall’Ufficio Misteri. -

Sirius trasalì, mentre la testa gli si affollava di domande e di dubbi che quasi gli tolsero la facoltà di parola. Quattordici anni, si disse dentro di sé, una vita intera, più di un decennio in cui non sono esistito. 

- L’abbiamo visitata e fisicamente lei sembra stare bene. - Intervenne la curatrice. - Ma sarebbe l'ideale tenerla sotto osservazione per qualche giorno. -  

- Io sto bene, non ce n’è bisogno. - Tagliò corto Sirius. - Mi dia quel foglio in cui c’è scritto che mi prendo tutte le responsabilità, voglio andare a casa. - 

- Purtroppo questo non è possibile. - Sospirò la donna. - Lei non ha una semplice lesione da incantesimo, lei è morto ed ora è di nuovo qui tra noi. Potrebbero sopraggiungere dei problemi, lo capisce questo? Non posso dimetterla, signor Black. Il primario è stato avvertito, sarà qui a momenti. A lui spetta prendere una decisione sul suo particolare caso. - Concluse e poi attraversò la stanza fino alla porta. - Ora vi lascio soli, avrete sicuramente molto di cui parlare. - Aggiunse, e poi uscì. 

Sirius, rimasto a bocca aperta nel tentativo di ribattere, sentì forte il bisogno di rincorrerla e urlarle contro, ma si trattenne, stringendo forte i pugni e prendendo un respiro molto profondo. Gli era appena venuto un forte mal di testa e, inoltre, uno strano senso di malessere lo aveva attanagliato non appena la porta di quella camera d’ospedale si era chiusa. Sembrava tutto così irreale, così finto, per un attimo si ritrovò a pensare persino che quella non fosse la realtà ma solo un altro stranissimo sogno. 

- Tu e Janus vi assomigliate tanto. - Disse Harry, tirandolo fuori dal flusso di pensieri circolari e paranoici in cui si stava infilando. - Credevamo tutti che fosse un nato babbano con un nome molto particolare, ma quando l’ho visto ho capito subito che aveva a che fare con te.  - 

- Lui è davvero a Hogwarts? - Domandò Sirius, ancora confuso. - In che Casa è? - 

- Grifondoro, naturalmente. Ci teneva tantissimo. - Sorrise Harry. - È un bravo ragazzo, si impegna molto a scuola. È addirittura prefetto, ha preso undici G.U.F.O. … - 

- E Hazel? Lei dov’è adesso? - Chiese Sirius con estrema urgenza. - Raccontami tutto. - 

- Lei e Janus hanno vissuto per molto tempo a New York, tornando in Gran Bretagna solo cinque anni fa, per aspettare l’arrivo della lettera da Hogwarts. - Iniziò a parlare Harry partendo proprio dall’inizio. - Adesso lei insegna qualcosa inerente all’arte in un'importante università e scrive libri di critica molto pomposi. Ha ritrovato suo padre, ha scoperto di avere un fratellastro, e ha avuto una vita bene o male felice. -  

- Si è sposata? - Domandò bruscamente Sirius. - Ha un altro uomo? - 

Harry sospirò. Sapeva che Sirius glielo avrebbe chiesto prima o poi. - Non è sposta, no… ma ha un compagno da ormai quasi cinque anni. - Svelò.

Una quantità innumerevole di emozioni passarono sul volto stanco di Sirius, che per un attimo sembrò quasi essere di nuovo quell’uomo dall’aria folle e spenta che Harry aveva conosciuto alla Stamberga Strillante. - Si tratta di un babbano come lei? - Chiese gelido. 

- No, è un mago. - 

- Lo conosco? -

- Non di persona. - Rispose Harry, e poi sospirò. - Si tratta di uno dei figli di Molly e Arthur… Percy. Te lo ricordi? Quello che lavorava come assistente del Ministro. -  

Sirius all’inizio non rispose, rapito dai suoi pensieri. Sono passati quattordici anni, è normale che sia andata avanti, si diceva nella sua testa, certo, ma con quell’idiota leccaculo del Ministro? 

- Possiamo andare da lei? Ho bisogno di parlarle. - Disse rompendo il silenzio. 

- No, Sirius. Non so neanche se sia o meno a casa in questo momento. - Disse Harry. - Oggi è il suo compleanno e stasera sicuramente la vedrò alla Tana, ma farei prendere un colpo a tutti se ti portassi lì all’improvviso. -

- Non me ne frega niente. - Ribatté lui, mettendosi seduto. - Devo vederla, devo vedere mio figlio, devono sapere che ci sono. - 

Gli girava la testa e si sentiva debole, ma era deciso a non rimanere in quell’ospedale nemmeno un secondo di più. 

- Dove sono i miei vestiti? - Domandò infastidito, quando si rese conto di indossare un camice azzurro senza nient’altro sotto. - Sul serio? Qualcuno mi ha spogliato? Harry, per favore, recupera per me dei vestiti e andiamo. - 

Harry sospirò. Sapeva quanto il suo padrino potesse essere ostinato, ma non poteva permettergli di andarsene via. - Sirius, ascoltami… - Iniziò fermamente, quasi come se stesse parlando con uno dei propri figli. - Facciamo così: adesso andrò da Hazel, le parlerò, parlerò con lei e con Janus, così sapranno che sei di nuovo tra noi. - 

- E li porterai qui. - 

- No, non puoi ricevere visite, non puoi stressarti, è già troppo che ci sia io qui con te, non li farebbero entrare. - Ribatté Harry, domandandosi se Sirius fosse sempre stato così seccante. - Quando verrai dimesso andremo subito da lei, te lo prometto. Però adesso è di vitale importanza che tu stia qui tranquillo. Devi avere solo un po’ di pazienza. - 

Sirius gli scoccò un’occhiataccia e poi sbuffò. Si sentiva sopraffatto, confuso… Hazel quel giorno faceva gli anni, ma quanti anni? Trentasei? Trentasette? Chissà com’era adesso, chissà se era ancora bella come se la ricordava, e chissà quante cose erano cambiate in quegli anni. 

- Sei un auror adesso? - Chiese a Harry, facendo un cenno verso la divisa che il ragazzo indossava. Il suo figlioccio annuì e basta. - E sei sposato? Ti sei sposato con Hermione? - 

Harry sorrise e scosse la testa. - Anche Hazel pensava che mi fossi sposato con Hermione. - Raccontò. - Ma io ho sposato Ginny. Abbiamo anche tre figli. - 

- Davvero? - Domandò Sirius, sgranando gli occhi. - Tre figli? -

- Sì; James Sirius, Albus Severus e Lil… - 

- Albus come? - Lo interruppe Sirius, certo di aver capito male. 

Harry esitò. - Albus… Seerus… Severus. Albus Severus, sì. - Balbettò in fine. Seguì qualche attimo di teso silenzio e poi aggiunse: - Ci sono tante cose che non sai su Piton. -

- So quanto basta. - Rispose seccamente Sirius. - Non ci posso credere che hai dato il nome di Mocciosus al nipote di James. Sul serio, Harry… sei impazzito? - 

- È una storia lunga… Piton era innamorato di mia madre, mi ha protetto per anni per lei! - Tentò di giustificarsi Harry. 

Sirius aggrottò la fronte e poi assunse uno sguardo pensieroso. Che Mocciosus avesse avuto una cotta per Lily ai tempi della scuola era palese, ma da qui a dire che ne fosse innamorato… 

- Credo che ci siano tante cose che devi dirmi. - Disse alla fine. - E comunque, al di là di Mocciosus, è proprio un nome di merda. - 

- Grazie, Sirius. - 

Lui, suo malgrado, quasi sorrise. - Figurati, sono qui per questo. Inoltre credo che James sarebbe d’accordo. - Annuì solenne. - Adesso possiamo andare? - 

- Sirius… - 

- Harry. Per favore. - Lo supplicò, guardandolo dritto negli occhi.  

L’auror sospirò. Sirius aveva passato metà della sua esistenza chiuso in quattro mura: prima l’infanzia a Grimmauld Place, poi Azkaban, e dopo di nuovo quella maledetta casa; non voleva privarlo della libertà ancora una volta. 

- Va bene, ti farò uscire da qui. - Decise. - Mando un messaggio a Ginny così che siano tutti preparati… ma prima passiamo a Grimmauld Place, lì ci sono ancora tutti i tuoi vestiti, così ti sistemi e poi… non so, vuoi fare altro prima di andare alla Tana, stasera? -  

Sirius esitò. - Davvero posso andarmene in giro senza essere arrestato? - Chiese.  

Harry annuì e sorrise. 

Sirius aveva pensato parecchie volte a quale sarebbe stata la prima cosa che avrebbe fatto una volta di nuovo libero. Probabilmente, in altre circostanze, sarebbe corso da Hazel e Janus, ma non sapeva nemmeno dove abitassero, quindi… - Esiste ancora McDonald’s? - 


°°°°°°


Nel tardo pomeriggio dello stesso giorno, seduto a terra nel giardino della Tana, Janus osservava in disparte la scena che gli si palesava davanti, dietro le lenti scure di un paio di occhiali da sole che aveva trovato a Grimmauld Place. Non sapeva con certezza a chi fossero appartenuti, se a suo padre o a suo zio, ma doveva ammettere che non riusciva proprio a immaginare Regulus con indosso un accessorio tanto babbano. 

Un’intera schiera di ragazzini e ragazzine stava svolazzando qua e là, improvvisando una partita di quidditch anche piuttosto avvincente, mentre gli adulti si occupavano di liberarsi degli gnomi o semplicemente si godevano gli ultimi raggi di sole di quella afosa giornata di agosto, che era stata più corta delle altre, come per avvertirli che l’estate stava finendo. 

In estate la Tana diventava più affollata e caotica che mai: i piccoli Weasley trovavano in quel grosso giardino una sorta di parco giochi, anche Ted passava lì la maggior parte del suo tempo, prendendosi la libertà di usare la sua scopa da corsa nuova di zecca lontano dagli occhi indiscreti dei babbani. 

A qualche metro da lui, intento a chiacchierare con Charlie, Percy appariva nervoso e sudato proprio come qualche ora prima, quando gli aveva chiesto il permesso di sposare sua madre. Probabilmente aveva l’anello per Hazel ancora in tasca, lo si poteva notare dal mondo in cui infilava sempre la mano destra nella giacca, come per accertarsi che ci fosse ancora, dunque era ovvio che non avesse seguito il suo consiglio, quello di fare una proposta in grande stile. 

Avrebbe chiesto a Hazel di sposarlo e lo avrebbe fatto lì, durante la cena per il compleanno di lei, davanti a tutti, da bravo e banalissimo mago perfettamente in linea con ogni tradizione. E Hazel, in tutta probabilità, avrebbe anche risposto di sì.

Per quanto quei due fossero diversi, - e per quanto fosse difficile ammetterlo, - Hazel e Percy sembravano proprio fatti per stare insieme. Ciò che mancava a uno ce l’aveva l’altra e viceversa: Percy aiutava Hazel a tenere i piedi ben saldi a terra, mentre Hazel aiutava Percy a guardare il mondo anche oltre le cose pratiche della vita quotidiana. 

Janus sospirò e nello stesso momento una figura di donna gli coprì la visuale, facendogli ombra. Ninfadora Tonks era in piedi davanti a lui, in controluce, i capelli neri e corti e uno sguardo indagatore negli occhi.

- Mia madre dice che sembri Sirius durante le cene di famiglia dei Black. - Esordì sorridendo, prima di sedersi al suo fianco. - Che succede? - 

Janus alzò le spalle e per qualche minuto non parlò, continuando a fissare Percy, che sembrava proprio non vedere l’ora di liberarsi dell’anello che aveva nella tasca. - Guarda Percy. - Disse poi a Ninfadora. - Dimmi… che cosa vedi? - 

Tonks strinse gli occhi luminosi verso l’uomo. - Un mago impettito, sui trentaquattro o trentacinque anni, che sta iniziando a stempiarsi in modo vergognoso. - Descrisse, riuscendo perfino a farlo sorridere. 

- Sei molto accurata. - Annuì il giovane. - Non noti altro? - 

Dora continuò a studiare Percy con molto interesse. - È un po’ strano, ora che me lo fai notare. - Ammise. - Ma in realtà oggi sono tutti un po’ strani. Ginny e Fleur sembrano diventate migliori amiche e non fanno altro che parlare di matrimoni e vestiti da sposa da ore e ho sentito Charlie dire a Percy che sarà lui il testimone. - 

Janus si portò gli occhiali da sole sulla punta del naso, e poi si voltò a guardarla. - Percy vuole chiedere a mia madre di sposarlo. - Svelò senza nessuna inflessione. - Mi ha praticamente chiesto il permesso stamattina. - 

Tonks si portò una mano alla bocca. - Davvero? - Chiese incredula e allegra. - Che carini. Io non avrei dato loro più di qualche mese e invece, cinque anni dopo, assisterò addirittura alla proposta! -

- Sì, molto carini. - Mugugnò Janus, senza preoccuparsi di nascondere il suo fastidio.  

Dora sorrise, comprensiva e amara allo stesso tempo. - Janus, se vuoi sentirti dire che lei era più felice con tuo padre, io posso farlo. - Gli disse. - Ma non sarebbe la verità. - 

- Ma lei era più felice con mio padre. - Contestò freddamente il giovane. 

Tonks sospirò e scosse la testa. - No, era solo più innamorata, e fidati se ti dico che una parte di lei lo sarà per sempre. Non devi temere che lei lo dimentichi. - 

Lo sguardo di Janus si scurì. - Lei non parla più di lui. Non lo nomina mai. - Mormorò quasi impercettibile. - Delle volte sembra quasi che non sia mai esistito. - 

- Tu sei qui, quindi vuol dire che è esistito. - 

Lui scosse la testa, il volto deformato dalla tristezza. - Non lo so, Dora. Delle volte ho l'impressione che lui mi stia scivolando via dalla mente. So che è una cosa stupida. - 

- Non lo è. - Disse subito Tonks. - E comunque non è vero che tua madre non ne parla mai, con me lo fa spesso. Ogni volta che viene a trovarmi parliamo di lui e di Remus e di come sarebbe la vita se fossero ancora con noi. - 

Janus non rispose, ma si ritrovò ad immaginare un mondo in cui c’era anche suo padre. Come sarebbe stato? Sarebbe stato migliore? Lui sarebbe stato diverso? Erano quesiti inutili, lo sapeva, eppure spesso gli capitava di rinchiudersi in quelle fantasia, soprattutto quando si sentiva un po’ giù di morale, come in quel momento. 

Poi, all’ingresso della Tana, spuntò la signora Weasley, proprio come se fosse apparsa per tirarlo fuori da quei pensieri dolorosi e accoglienti allo stesso tempo. - Il tè è pronto, venite dentro a fare merenda! - Urlò, richiamando a sé i più piccoli. 

- Hai fame? Io un po’ sì. - Gli disse Tonks, alzandosi goffamente da terra. 

Janus scosse la testa. - Non molta… ma tu vai, non ti preoccupare per me. Credo che farò una passeggiata. - 

Dora indugiò per un secondo, ma poi decise di entrare, seguendo la mandria di piccoli Weasley all’interno della Tana, lasciandolo da solo in giardino. 

Quando fu certo di essere solo, Janus si alzò in piedi e fece una delle cose di cui andava più fiero in assoluto: si trasformò in un corvo imperiale nero e spiccò il volo, lasciandosi tutto alle spalle. Era riuscito a diventare un animagus solo da qualche mese, dopo anni di tentativi andati a vuoto, ma ormai trasformarsi gli veniva naturale. In pochissimi sapevano di questa sua particolare abilità, e non registrarsi era l’unico strappo alle regole che si era concesso di fare in tutta la sua vita. 

Essere un corvo gli piaceva talmente tanto che più di una volta aveva pensato di abbandonare per sempre la sua condizione di essere umano per rifugiarsi nel cielo e sui rami più alti degli alberi. Sotto quella forma tutto era più rilassante: la sua testa si svuotava, i pensieri diventavano meno articolati ma molto più chiari. 

Volò per circa una decina di chilometri, la distanza che divideva Ottery St Catchpole da Godric’s Hollow. Era lì che era stata sistemata la finta tomba di suo padre, vicino a quella in cui riposavano i resti di Lily e James, nel piccolo cimitero del villaggio. Di tanto in tanto, ma ultimamente sempre meno, Janus andava lì, si sedeva sull’erba, davanti a quella fredda lapide, e parlava al vuoto, come se quel nome scolpito nella pietra potesse ascoltarlo o dargli consigli. Razionalmente non aveva senso e lui ne era consapevole, ma gli dava conforto e dunque lo faceva lo stesso. 

Il corvo atterrò elegantemente appena oltre il cancello del cimitero, si accertò di non essere visto da nessuno, e poi tornò sé stesso. Davanti a sé, le pietre tombali spuntavano come strani funghi dal prato arido e rinsecchito, le cicale cantavano sulle cime dei cipressi e l’aria tutto intorno a lui sembrava polverosa e secca. Dopo un attimo di esitazione, Janus prese a camminare tranquillo tra quelle tombe ormai tanto familiari, passò accanto al monumento dedicato a Lily e James, notò i soliti cognomi conosciuti su alcune lapidi e poi si fermò davanti a quella dedicata a suo padre. La guardò in silenzio, rimanendo in piedi di fronte ad essa per qualche minuto, e chiedendosi perché fosse andato fin lì, quale fosse il senso. 

- Ciao. - Sussurrò alla fine dopo un sospiro, quasi impercettibile. - Percy vuole sposare mamma. - Aggiunse poi, dopo un breve attimo di esitazione. 

Come previsto, non ci fu nessuna risposta da parte di quel pezzo di marmo. 

- Lo so che non sei lì. - Continuò Janus. - Però mettiamo che tu possa sentirmi lo stesso… dimmi, che devo fare? Percy mi ha chiesto il permesso e io ho detto di sì, ma se tu mi dessi un segno, se tu mi facessi capire che ci sei ancora, allora io potrei fare in modo di… non lo so. - 

Nessun segno, ma solo silenzio.

Silenzio. Ancora. 

Non c’era stato neppure un giorno, durante tutta la sua esistenza, in cui Janus si era sentito arrabbiato con suo padre. Era stato arrabbiato con sua madre, con Percy, perfino con Harry, ma mai con Sirius. Eppure, in quel momento, se ce l’avesse avuto davanti, era certo che non si sarebbe risparmiato dal gridargli contro, anche se non sapeva quale fosse il motivo. 

Fece un lungo sospiro, gli occhi ancora fissi su quelle lettere nere incise sulla superficie bianca, e poi si trasformò nuovamente, spiccando il volo. Ripercorse la stessa strada all’indietro, passando sopra i tetti scoscesi delle case di Godric’s Hollow, fino ad raggiungere nuovamente Ottery St Catchpole. 

Il sole stava calando su tutto il Devonshire e dunque decise di godersi il crepuscolo camminando a piedi per la campagna fino alla Tana, giusto per ingannare il tempo. 

Quando finalmente varcò la porta della cucina di casa Weasley, si trovò di fronte a un’enorme tavolata di persone intente ad apparecchiare per la cena. 

C’erano quasi tutti, dal più grande al più piccolo: c’era Teddy, (che quella sera sfoggiava una capigliatura rosso Weasley, come per mimetizzarsi), insieme Tonks e Andromeda; c’erano Bill e Fleur e i loro figli, tornati in Inghilterra per le vacanze estive, Ron e Hermione, insieme a Rose e Hugo, George con Angelina, Fred e Roxanne, che era la più piccola di casa Weasley; poi Ginny e i tre piccoli Potter, ma senza Harry, che a quanto pare era occupato con un affare molto importante al Ministero e che li avrebbe raggiunti più tardi. Per ultime, ma non meno importanti, le due figlie di Percy, Molly e Lucy, sedute una accanto all’altra sul divano davanti al camino spento. 

Se con Percy ogni tanto le cose erano ancora difficili, l’affetto che legava Janus a quelle due ragazzine era proprio quello che un fratello poteva provare nei confronti di sorelline minori. Molly era decisamente la sua preferita: nonostante avesse solo dodici anni era tra le persone più intelligenti che avesse mai conosciuto, una Corvonero perfetta, piena di senso dell’umorismo e con una passione smisurata per le serie tv e i film babbani, tanto che spesso parlava per citazioni. Lucy, invece, era il suo esatto contrario: non riusciva a ridere nemmeno alle più esilaranti battute di George, si comportava come se fosse convinta di far parte della famiglia reale inglese, era sempre pronta a riprendere gli altri e come se già tutto questo non bastasse per renderla sgradevole, sembrava trarre un certo piacere nel vedere Molly finire nei guai. 

- Come è andata la tua passeggiata? - Fece la prima, lanciandogli un’occhiata complice. 

Se ne stava seduta sul divano senza far nulla, accanto a sua sorella che, invece, era tutta concentrata nella lettura di un grosso romanzo babbano.  

- Direi benissimo. - Rispose Janus con nonchalance, consapevole a cosa alludesse Molly, per poi sedersi al suo fianco. - Ti prego, dimmi che mi sono perso la proposta. - 

Lei sogghignò. - Ti piacerebbe. In realtà credo che papà stia aspettando che arrivi anche zio Harry per farla, quindi credo che ormai sia rimandata a dopo cena. -

- Ah sì? Ma che carino. - Rispose Janus, anche se sembrava voler dire tutt’altro. 
Solo in quel momento Lucy alzò gli occhi dal libro, fulminandolo con un’occhiata torva e altezzosa. - Perché devi usare sempre quel tono? - Lo riprese stizzita.

- E tu perché mi ascolti parlare se ti do tanto fastidio? - Ribatté lui.

- Purtroppo non ho scelta, visto che purtroppo sei qui. - 

Janus alzò gli occhi al cielo ma non ribatté, lasciando cadere quel battibecco nel vuoto. 

Quando la cena fu finalmente pronta, tutti alla Tana si riunirono attorno al tavolo al centro della cucina, gustando quel pasto che sembrava fatto apposta per Hazel. La signora Weasley aveva cucinato tutti i suoi piatti preferiti, proprio come faceva ad ogni compleanno, riempiendo le pance di tutti con pollo arrosto, patate al forno, sformati e, infine, una bella torta con tanto di candeline. 

- Adesso devi esprimere un desiderio! - Esclamò Tonks, quando Hazel le spense tutte in un colpo solo. 

Lei ci pensò su. Per la prima volta nella sua vita non c’era nulla che le mancasse: aveva un ottimo lavoro, un uomo che l’amava, una grande famiglia sempre pronta a sostenerla. Stava bene, era realizzata, ed era certa di vivere nel migliore dei mondi possibili. Ma poi si ritrovò a far scorrere lo sguardo su tutte le persone presenti in quella cucina: Molly e Arthur che ormai la trattavano come una figlia, Percy che le aveva mostrato che poteva essere ancora capace di amare, Ninfadora e Andromeda che erano ancora in piedi nonostante tutte le perdite che avevano avuto, e poi Janus… il suo bambino che ormai era quasi un uomo. 

In quel momento gli occhi di suo figlio la colpirono come uno schiaffo, riportando a galla quell’antico dolore, quel lontano sentimento di perdita. Se proprio doveva esprimere un desiderio allora voleva che Sirius tornasse, non perché lo amasse ancora ma, nel migliore dei mondi possibili, lui doveva esserci. Ma non poteva di certo dirlo ad alta voce, non dopo tutti quegli anni. 

- Lo hai espresso? - Le domandò Victoire, curiosa. 

- Sì, ma è un segreto. - Rispose sorridendo Hazel.

Molly tagliò la torta, facendo porzioni abbondanti per tutti. Janus si ritrovò dunque a mangiare la sua parte, guardando sua madre e Percy, seduti a qualche metro da lui, intenti a giocare con il piccolo Hugo Weasley, che rideva seduto sulle ginocchia di Hazel. 

Visti così sembravano già marito e moglie, mentre quel bambino di due anni dai capelli rossicci poteva sembrare, senza nemmeno troppo sforzo di immaginazione, figlio loro.

Quel pensiero terribile fece attorcigliare lo stomaco di Janus in modo doloroso: sentirsi fuori posto era sempre stata una sua grande specialità, ma in quel momento, in mezzo a quella grande e strana famiglia, ebbe l’impressione di essere veramente di troppo.

Si ripeté nella sua testa che le sue erano paure infondate, che in fin dei conti Percy viveva con lui e sua madre da ormai qualche anno, che un matrimonio non avrebbe cambiato le cose e che di certo sua madre e Percy non volevano altri figli. Ma allora perché le cose non potevano semplicemente, restare uguali, immutate nel tempo? 

Janus notò di sfuggita un’occhiata da parte di Percy, dunque si voltò per guardarlo e, di fronte l’esitazione dell’uomo, sorrise e poi annuì come per dargli di nuovo il permesso, anche se questo gli costò parecchia fatica. 

Lo vide alzarsi in piedi impettito, attirando gli sguardi curiosi di tutti e poi sedersi di nuovo, come se ci avesse ripensato. Ginny e Fleur sbuffarono in contemporanea e Percy le fulminò con un’occhiata torva entrambe. 

- Stai bene? - Mormorò Hazel, alzando gli occhi dal bambino che aveva in braccio per puntarli dritti su di lui. 

Percy non rispose. Teneva lo sguardo puntato su Ginny che, a sua volta, ricambiava l’occhiata del fratello maggiore come per dire “che aspetti?”. 

Alla fine Percy sospirò e si voltò verso Hazel, cercando di assumere un atteggiamento di nonchalance. - Da quanto stiamo insieme, io e te? - Le domandò, anche se conosceva già la risposta. 

- Qualche anno ormai. Perché? - Chiese lei a sua volta.

- Sono quasi cinque anni. - Precisò.  

Hazel fece un piccolo sorriso nella sua direzione, e poi lasciò andare Hugo, che raggiunse con passo incerto i genitori, dall’altra parte della tavolata. - Allora ormai siamo proprio una di quelle coppie noiose e consolidate. - Constatò con leggerezza. - La me stessa di una ventina d’anni fa non approverebbe affatto, lo sai? - 

- Il me stesso sedicenne invece ne sarebbe pienamente soddisfatto. - Ribatté Percy. 

- Secondo me invece non approverebbe il fatto che non ci siamo ancora sposati. -  

A quelle parole, Ginny quasi si strozzò con il succo di zucca, Fleur si sporse nella loro direzione smettendo addirittura di fingere di non origliare, mentre Percy boccheggiò. Poteva cogliere la palla al balzo, tirare fuori l’anello in quel momento, inginocchiarsi e farle la fatidica domanda, oppure poteva rimandare, seguire il consiglio di Janus, portare Hazel in un posto meraviglioso e chiederglielo lì. In entrambi i casi c’era solo una cosa che intimoriva Percy: un eventuale rifiuto. 

Certo, essere rifiutato davanti a tutta la famiglia poteva aprire davanti a lui uno scenario di mesi di prese in giro da parte dei suoi fratelli ma, d’altra parte, sapeva che sua madre sarebbe impazzita dalla gioia nell’assistere alla proposta, quindi forse valeva la pena correre il rischio. 

Si infilò una mano nella tasca e subito le sue dita sfiorarono il velluto che ricopriva la scatoletta che custodiva l’anello. La afferrò e la strinse forte nel tentativo di farsi coraggio. Si era preparato un discorso, ma in quel momento gli sembrava stupido e banale, per nientea all’altezza del momento, dunque decise: quella sarebbe stata una delle rare volte in cui avrebbe improvvisato. 

La mano ancora libera si andò a posare delicatamente su quella di lei, e Hazel alzò lo sguardo, guardandolo perplessa. Sapeva che Percy non amava molto il contatto fisico, ma che soprattutto non amava il contatto fisico in pubblico. 

- Sei sicuro di stare bene? - Gli domandò sussurrando. - Vuoi andare a casa? - 

Percy scosse la testa, l’espressione seria, ma non aprì bocca. 

- Per la barba di Merlino, Perce! Diglielo e basta! - Sbottò Ginny. 

Le orecchie di Percy diventarono rosse all'istante, e poi si voltò infastidito verso la sorella. - Ginny… di grazia, potresti non rovinare la… - 

- Che mi devi dire? - Lo interruppe Hazel. - Hai qualcosa che non va, non è vero? Stai male? Hai una malattia da mago come… il vaiolo di drago? - 

Ultimamente stava andando tutto fin troppo bene, lei era felice e soddisfatta della sua vita, ed era ovvio che quella quiete non fosse destinata a reggere per sempre. Se c’era una cosa che aveva imparato dalla innumerevole quantità di disgrazie che le erano capitate era la certezza che la catastrofe fosse sempre dietro l’angolo. 

Percy si affrettò a scuotere la testa, e quando poi si voltò nuovamente verso Ginny si rese conto che quasi tutti quelli che erano seduti a quel tavolo in quel momento tenevano lo sguardo rivolto nella loro direzione. Adesso o mai più, pensò, stringendo la scatoletta che aveva in tasca per l’ultima volta, prima di tirarla fuori. 

Alla vista di quel particolare oggetto, sul viso di Hazel apparve una palese espressione di sorpresa, poi dubbio e, infine, quando alzò lo sguardo su di lui, le sue labbra si piegarono in un sorriso incerto ma sincero. 

- Perce… - Mormorò un po’ imbarazzata e un po’ commossa. 

Anche lui sorride, le guance che gli erano diventate un poco più rosse del solito, poi si inginocchiò e aprì la scatoletta che aveva in mano, mostrando il contenuto. Aveva scritto un discorso, l’aveva provato e riprovato più volte fino a che non l’aveva imparato a memoria eppure, in quel momento, si sentiva come se qualcuno gli avesse lanciato un incantesimo di memoria, spazzando via dalla sua mente quelle inutili parole. - Ti amo. Amo tutto di te, soprattutto le cose che dovrei odiare. - Disse, parlando senza seguire schemi. - Ti amo perché disegni la lista della spesa invece di scriverla, ti amo perché ti interessi alla vita sentimentale dei tuoi studenti e ti amo perché hai sempre cieca fiducia nel prossimo nonostante tutto. So che non ne abbiamo mai veramente parlato ma… Hazel Rains, vuoi diventare mia moglie? - 

Hazel si portò le mani al volto, sorrise e arrossì vistosamente; poi lo fece alzare, lo abbracciò, e un piccolo applauso scattò dal resto della famiglia, accompagnato da commenti inteneriti e congratulazioni. 

- Allora, vuoi sposarmi? - Chiese ancora Percy, cercando di accertarsi di aver compreso davvero le sue intenzioni, staccandosi da lei quel poco che bastava per guardarla.

- Vuoi proprio sentirtelo dire, eh? - Fece lei ridendo. - Sì, voglio proprio sposarti! - 

Ci fu un lungo e intenerito “ooh” e, quando Hazel si girò sorridendo verso il resto della tavolata, poté notare il viso commosso della signora Weasley e l’entusiasmo negli occhi di tutti gli altri. Janus, seduto accanto all’altra Molly, le sorrise pur mantenendo quella sua tipica aria malinconica, e poi il signor Weasley appellò una bottiglia di idromele ancora sigillata, la stappò e invitò tutti a fare un brindisi. 

- Ma ci pensate? - Fece George ad un certo punto, senza rivolgersi a qualcuno in particolare. - A me sembrava già un miracolo che fosse riuscito a sposarsi una volta, e invece… chissà cosa ci trova lei in lui. - 

- Non essere cattivo, George. - Lo bacchettò Angelina, cercando di non ridere. 

- Sì, infatti, sono carini insieme. - Interloquì Hermione, guardandoli. - Sono felici. - 

E lo erano, lo erano davvero. 

Hazel si sentiva… leggera. Si sentiva protetta da tutti i mali del mondo, come se lì, in quella strana casa, nulla potesse toccarla. Stava bene, tutti stavano bene, ed era grata per questo e per tutto ciò che aveva ottenuto dalla vita nonostante lo svantaggio con cui era partita. Guardò Percy, che parlava con sua madre di una eventuale data per il matrimonio e cominciò a immaginare la vita che li attendeva, una vita fatta di cose semplici, di calma e routine, una vita in cui nessuno l’avrebbe mai più abbandonata. 

- Guardate, è arrivato Harry! - Esclamò improvvisamente Teddy, lo sguardo puntato verso la finestra. - Ma chi c’è insieme a lui? - 

Percy si voltò, e subito dopo fu imitato da tutti gli altri: Hazel si alzò per vedere meglio, constatando che c’era proprio Harry Potter che avanzava a grandi passi nel giardino buio verso la porta sul retro, e dietro di lui camminava un uomo dall’aria conosciuta ma con il viso nascosto dalla penombra. 

Ginny si portò una mano alla tasca in cui teneva il telefono e, quando lo tirò fuori per controllare se Harry avesse avvertito dell’arrivo di eventuali ospiti, si ritrovò davanti a una decina di messaggi in cui c’era scritta più o meno la stessa cosa: Sirius era vivo e stava arrivando insieme a lui alla Tana. 

Incredula e scossa, la ragazza abbandonò sul tavolo il telefono, si alzò in piedi e si precipitò alla porta sul retro, uscendo fuori, seguita da buona parte della famiglia. 

- Credo che zia Ginny sia appena impazzita. - Commentò Molly, disinteressata. 

- Chissà a quale burocrate leccherà il culo tuo padre stasera. - Sogghignò Janus. 

Molly rise, mentre Lucy lo fulminò con lo sguardo, ma nessuno dei tre lasciò il tavolo. 

- Ma che è successo? - Chiese invece Hazel, senza rivolgersi a nessuno in particolare, prima di alzarsi in piedi, avvicinandosi alla soglia, dove cui i Weasley si erano appena accalcati. Strani sguardi la attraversarono e poi uno strano silenzio cadde su tutti loro e, non appena varcò l’uscio, si pietrificò e spalancò gli occhi, incredula. 

Hazel aveva sognato per anni di ritrovarsi Sirius davanti, così, all’improvviso, ed era certa del fatto che, se mai questo fosse successo, lei gli sarebbe andata incontro e lo avrebbe abbracciato per almeno un giorno intero. Ma quando lì fuori, nel giardino buio della Tana, con gli occhi di tutti puntati contro, lo sguardo di lei incontrò quello di lui, tutto quello che Hazel riuscì a fare fu portarsi le mani alla bocca, mentre la sua testa si riempiva si svuotava completamente, togliendole del tutto la capacità di elaborare pensieri complessi. 

Sirius, invece, non fece niente, non si mosse e non parlò, ma si limitò a guardarla con uno degli sguardi più tristi che lei avesse mai visto comparire su quel volto, una volta tanto familiare, e che ora le appariva diverso, sebbene non fosse invecchiato nemmeno di un giorno da quando l’aveva lasciata. 

Fu forse in quel momento, molto più rispetto a quando aveva visto Harry invecchiato di quattordici anni e con indosso una divisa da auror invece che quella da giovane Grifondoro, che Sirius sentì il peso del tempo in cui non c’era stato. 

Era cambiato tutto. Era cambiato il taglio di capelli di Hazel, che adesso le ricadevano, ordinati e ben curati poco oltre le spalle, era cambiato il suo viso, che si era tramutato in quello di una donna bellissima e sicura di sé, era cambiato perfino il suo abbigliamento: sembrava aver abbandonato tutte quelle camicie a quadri, le magliette delle band e i jeans per sostituirli con dei vestiti decisamente molto più sobri, quasi eleganti, proprio come quel grazioso vestito estivo che indossava in quel momento. Ma la cosa che era cambiata di più era il modo in cui lei gli stava rivolgendo lo sguardo, come se avesse paura di lui e allo stesso tempo cercasse di non scoppiare in lacrime. 

Sirius pensò rapidamente a cosa sarebbe stato giusto fare in quella strana situazione: le avrebbe dovuto dire ciao? Si sarebbe dovuto avvicinare a lei o abbracciarla? 

Sembrava tutto così sbagliato e così innaturale. 

Hazel singhiozzò. Le girava la testa, sentiva le sue gambe deboli e stanche, ma trovò la forza di staccare gli occhi da lui per poterli puntare su Harry. - Come… - Mormorò scossa  e tremante. - Lui… Harry… come… - 

Harry si affrettò ad avvicinarsi, abbracciandola quasi come per sorreggerla e lanciando nel frattempo uno sguardo che sembrava quasi gridava “fa qualcosa” verso il suo padrino. Sirius però, di nuovo, non fece niente, rimase immobile e con lo sguardo vacuo. Si sentiva un perfetto idiota, impotente e stretto in una morsa di emozioni che lo stava completamente stritolando. Quando poi un uomo dai capelli rossi, che sicuramente doveva essere Percy Weasley, si avvicinò a Hazel, sentì il graffio della gelosia squarciare il suo petto, e solo a quel punto si riscosse.

- Vieni, torniamo dentro, sei sconvolta… - Disse quell’uomo, ma Hazel sembrò non averlo nemmeno sentito. 

Rimase in piedi, prese un respiro profondo e poi, molto pallida in volto, guardò nuovamente Sirius. Non riusciva a parlare: era come se la sua testa si fosse svuotata di tutto, come se il dolore di quegli anni fosse riuscito finalmente a sconfiggerla. 

- Hazel… - Mormorò a quel punto Sirius, facendo un timido passo nella sua direzione.  

Al suono di quella voce, che sembrò rimbombare a lungo nella sua testa, Hazel sussultò. - Non può essere… non puoi essere lui… -  

- Invece sì. - Rispose Sirius e poi, guardandola con gli occhi sempre più lucidi, cancellò la distanza che li divideva, prendendo il suo viso tra le mani. - Hazel, sono io. -  

Hazel singhiozzò ancora e scosse ancora la testa, per poi lasciarsi andare in un pianto disperato tra le braccia di lui. Quante volte aveva sognato di poterlo rivedere, quante volte aveva cercato di ricordare com’era essere abbracciata da lui. Pianse più di quanto non avesse mai fatto in tutta la sua vita, in preda al più feroce sconvolgimento che avesse mai vissuto. 

- Sei qui. - Mormorò tra un singhiozzo e l’altro, senza staccarsi da lui.  

Sirius annuì e poi cercò di fare un passo indietro, ma Hazel si tenne a lui come se quel contatto tenesse in vita oggi essere vivente presente sulla terra in quel preciso momento. - No, non ti muovere, non mi lasciare. - Lo supplicò. 

- Non ti lascerò mai più. - Assicurò lui, continuando a tenerla stretta. 

A qualche metro da loro, la signora Weasley piangeva come un rubinetto rotto, e lo stesso faceva Hermione e perfino Ginny, che si commuoveva molto di rado, aveva gli occhi più lucidi del solito. Erano felici, tutti quanti, tutti tranne Percy, che osservava la scena in disparte, con una dolorosa morsa allo stomaco. Erano di nuovo lì le parole che Janus gli aveva rivolto moltissimi anni prima, e con loro era arrivata la paura. Cosa sarebbe successo adesso? 

- Zio Ron, spostati, ci togli la visuale! - Esclamò la voce di una ragazzina dalla porta.

E poi sulla soglia apparvero due giovani identiche e un ragazzo, più grande di loro di qualche anno, che subito si pietrificarono alla vista di Sirius. 

Janus sentì i suoi occhi bruciare all’istante. Non sapeva come era possibile che suo padre fosse a pochi passi da lui, ma non gli importava: lui era lì, era vivo. 

- Sei… sei davvero tu? - Gli domandò. 

Sirius si limitò ad annuire, senza dire una parola, consapevole che se avesse emesso un solo suono sarebbe scoppiato in lacrime esattamente come Hazel. 

Il suo bambino era cresciuto, era praticamente un uomo adesso, ed era l’ennesima dimostrazione di tutte le cose che si era perso. Osservandolo per bene, si rese conto che Harry aveva ragione: si somigliavano tantissimo, era quasi come guardarsi in uno specchio che ringiovaniva di decenni. 

Dovette raccogliere ogni briciola di coraggio per potersi muovere, ma quando Janus fece a sua volta un passo indietro si fermò. Che stava cercando di fare? Quel ragazzo non lo conosceva nemmeno, non poteva semplicemente abbracciarlo come se avesse ancora due anni. Di nuovo, Sirius sentì l’impulso di scappare via, sparire, tornarsene in quello strano sogno in cui era tutto perfetto. 

Ora sì che iniziava la parte difficile. 



 

Lo so, lo so, questo capitolo è inutilmente lungo. Avevo pensato di dividerlo in due parti ma poi ho pensato che prolungare ancora le cose non avrebbe avuto senso. Insomma, ci abbiamo messo quasi trenta capitoli ad arrivare a questo punto dopotutto. 

Partiamo dall’inizio: so che quel mega trip che Sirius si fa mentre dorme è strano, ma sappiate che è in parte autobiografico. Qualche anno fa ho avuto una mezza specie di esperienza pre-morte in cui ho fatto un sogno assurdo simile a quello, da quel momento vivo nella speranza che la morte sia un piano dimensionale in cui tutto è esattamente come sarebbe dovuto sempre essere (sì, lo so che non ha un senso, ma ognuno esorcizza la cosa come meglio credere, dai). 

Per quanto riguarda la parte alla Tana… da una parte mi piace, dall’altra l’ho riletta così tante volte che mi fa cagare. Comunque per quanto riguarda la trama in generale direi che è tutto bello incasinato ormai quindi sono felice, perché da qui si possono aprire diversi scenari e io li trovo davvero tutti molto interessanti. Sarà molto difficile scegliere una sola strada, lo ammetto!

Grazie per essere arrivati in fondo a questo capitolo gigante, spero che almeno un po’ vi sia piaciuto. 

J.  


 

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Capitolo 30. Confusione ***


Non ho molto da dire su questo capitolo, ma voglio spendere comunque due parole per ringraziare tutte le persone che stanno leggendo questa storia e soprattutto a chi si prende un minuto per lasciare una recensione. Non avete idea di quanto questo mi aiuti a continuare questa mia piccola follia! Io vi adoro, davvero. 

Godetevi questo capitolo semi di passaggio, buona lettura! 



 

Capitolo 30


Era successo tutto troppo in fretta: si era ritrovato in una cucina cucina piena di gente e di parole che a stento riusciva a comprendere, Molly gli aveva messo davanti una fetta della torta di compleanno di Hazel, e Hazel, ancora sotto shock, aveva deciso di aiutare la signora Weasley a sparecchiare, dando l’impressione di non volergli stare troppo vicino. 

Lei infatti non gli aveva più rivolto la parola da quando quel loro abbraccio si era sciolto, a stento lo guardava e quando per sbaglio i loro sguardi si scontravano, gli occhi di lei le si riempivano di lacrime. 

Era ovvio che Hazel stesse soffrendo e Sirius non aveva idea di come poter rimediare. Desiderava di poterla sollevare da quel dolore, dirle che non l’avrebbe mai più lasciata, o che invece l’avrebbe fatto se davvero fosse stato quello il suo volere, ma nemmeno lui riusciva a guardarla per più di qualche secondo senza sentirsi enormemente a disagio. Se ne stava lì, immobile su quella sedia scomoda, seduto tra Harry e Bill, lo sguardo vacuo rivolto a quella porzione di tora ancora intonsa, con la sensazione di essere totalmente fuori posto. 

Qualche metro più a destra, ma dall’altra parte del tavolo, Hazel si lasciava trapassare dai discorsi degli altri, alzandosi di tanto in tanto per dare una mano a Molly, cosa che suggerì a Sirius che, probabilmente, lei alla Tana fosse di casa. Era davvero diversa da come se la ricordava: aveva perso quel suo buffo accento quasi del tutto, era molto più sicura di sé e, come se questo già non bastasse, adesso era capace di muoversi con insolita grazia, quasi come se avesse studiato per essere più elegante. 

Accanto a lei, Tonks appariva molto diversa da come se la ricordava: la giovane ragazza spumeggiante che rovesciava di continuo quell’orrendo portaombrelli a forma di zampa di troll era completamente sparita, e al suo posto c’era una donna dall’aspetto duro, molto simile ad Andromeda, che aveva mantenuto l’atteggiamento Black nonostante proprio come lui non facesse più parte della famiglia da diversi anni. E poi, insieme agli altri ragazzini c’era Teddy; e lui si che era una vista atroce per gli occhi di Sirius, che si sentiva spesso in difficoltà davanti a quel volto così dolorosamente conosciuto.

Tutto il gruppo era circondato da un’aria di quotidianità: erano uniti come una grande e strana famiglia e questo, per quanto fosse bellissimo, fece sentire Sirius come un ospite, gradito, certo, ma non parte di loro. Lui era più come una sorta di ingrediente inserito a forza in una ricetta in cui non era previsto.

Davanti a lui, seduto in modo un po’ troppo composto per un ragazzo della sua età, Janus lo fissava da quando si era seduto, come se fosse sempre in procinto di chiedergli qualcosa ma non trovasse il coraggio per farlo.

Era così diverso dal bambino che aveva dovuto lasciare tanti anni fa e Sirius sentiva terribilmente la mancanza di quella creaturina che sfrecciava con quella sua piccola scopa giocattolo in giro per Grimmauld Place. La consapevolezza di averlo perso per sempre era per lui dolorosa quasi quanto un lutto. 

Non avevano ancora avuto una vera conversazione e dopo tutto come potevano? In quella cucina ingombra non c’era stato un attimo in cui erano stati soli. 

Improvvisamente, sul davanzale esterno della finestra della cucina, planò un piccolo gufo scuro che portava con sé quella che sembrava un’edizione straordinaria della Gazzetta del Profeta. Il signor Weasley si alzò da tavola, aprì la vetrata, mise qualche galeone nella taschetta che il gufo aveva legata alla zampa e prese il giornale, gli occhi puntati sulla prima pagina mentre tornava indietro. 

- Che cosa dice? - Domandò Harry curioso, allungando il collo per dare un’occhiata quando il signor Weasley si sedette.

Arthur alzò lo sguardo su di lui e poi scoccò un’occhiata verso Sirius. - È un’edizione straordinaria, in prima pagina c’è la notizia del ritorno di Sirius. - Disse, come se il diretto interessato non fosse lì. - Certo che non hanno perso tempo. È probabile che per un po’ non si parlerà d’altro, la Skeeter metterà sicuramente il naso nella faccenda. - 

Sirius si sentì gli occhi di molti su di sé, dunque si sforzò a dire qualcosa: - Che lo faccia, prima o poi si stancherà. - Buttò lì. 

- Sì… ma credo che dovrai prepararti a un bel po’ di attenzione mediatica. - Sottolineò Harry. - E anche tu, Hazel. - Aggiunse, guardando la donna.

- Che c’entro io? - Sobbalzò lei, rivolgendo a Harry uno sguardo penetrante. 

- Rita potrebbe interessarsi anche a te, dato che sei pur sempre la sua famiglia. -

Hazel sospirò seccamente. - L’importante è che non si intrometta nella mia vita nel mondo babbano, per il resto può dire ciò che vuole su di me, lì su quel vostro giornale. - Dichiarò. - Spero però che questa Rita lasci fuori Janus dai suoi pettecolezzi. - 

Nessuno se la sentì di rispondere, se non per cambiare discorso. 

Sirius non riusciva a sopportare il fatto che stesse continuando a complicare la vita di Hazel; e chissà come sarebbe stato il ritorno a scuola di Janus, viste le premesse. La Skeeter avrebbe scritto articoli anche su di lui? 

Chiuse gli occhi per un secondo e sospirò. Attorno a lui i discorsi si stavano susseguendo rapidamente, facendogli venire un forte mal di testa. Quando spalancò di nuovo le palpebre scoccò uno sguardo fugace verso Hazel, e poi si alzò sperando di non farsi notare da nessuno. Aveva bisogno di un po’ d’aria, di fare due passi, di schiarirsi le idee o, magari, andare via, andare lontano, dove nessuno lo conosceva e dove non poteva far soffrire nessuno. 

Attraversò la casa a grandi passi, fino a varcare la porta d’uscita, ritrovandosi in quel giardino buio, completamente in balia di se stesso. Attorno a lui, finalmente, il silenzio. 

Sirius inspirò ed espirò un paio di volte, prima di incamminarsi dritto davanti a sé, immergendosi sempre di più in quella distesa di erba secca che gli si spalancava davanti.   

Perché era lì? Voleva sparire, andarsene, tornare in quel sogno, oppure semplicemente addormentarsi per sempre, così da far cessare quel dolore. Sarebbe stato tutto più semplice se non fosse mai tornato, soprattutto per Hazel, che si era ormai ricostruita quella vita che lui le aveva distrutto, e di cui ora non faceva più parte. 

Voleva essere lui a salvare lei per una volta, e l’unico modo per farlo era sparire dalla sua esistenza e da quella di Janus, anzi sparire proprio dal mondo, perché tanto non era il suo posto, dato che non era nemmeno tanto sicuro di essere vivo. 

Mentre camminava, allontanandosi sempre di più dalla Tana, Sirius dovette reprimere la voglia di mettersi ad urlare e poi, dalle sue spalle, una voce lontana lo chiamò. 

- Dove stai andando? - Gli chiese duramente Hazel, correndogli incontro. 

- Stavo facendo due passi. - Rispose lui, arrestandosi e abbozzando un sorriso forzato. 

Hazel lo raggiunse in pochi secondi, fermandosi davanti a lui con il fiato corto. Lo scrutò per un attimo con uno sguardo indagatore e poi parlò: - Non farlo. - 

- Cosa? - 

- Quello che stai pensando di fare, qualsiasi cosa sia. - Disse lei. 

Sirius alzò le sopracciglia con fare sorpreso. - Come fai a… - 

- Hai lo sguardo che hai sempre quando ti senti in colpa o arrabbiato. - Spiegò Hazel, rispondendo a quella domanda lasciata a metà. - E quando ti senti in colpa o arrabbiato fai cose stupide, non sei mai riuscito granché a gestire le emozioni negative. - 

Poi ci fu un attimo di silenzio in cui i due si guardarono e basta. Non c’erano più i segni che la vita aveva lasciato sul volto di lui, ma si poteva notare dal suo sguardo quanto avesse sofferto. 

Lo si poteva vedere anche dai suoi occhi infossati e sorretti da due profonde occhiaie, lo si poteva capire dal suo atteggiamento, che sembrava lo stesso di quando l'aveva incontrato per la prima volta. Lì nella sua cucina, Sirius era apparso a Hazel come un animale ferito, sia nella mente che nel corpo, una persona distrutta che lei aveva cercato in tutti i modi di far rifiorire ed ora sembrava essere tornato tutto proprio come durante quell’estate.

- Tu e Percy Weasley, eh. - Parlò lui, rompendo il silenzio. 

Hazel non sembrò rimanere sorpresa da quella frase, ma non disse nulla.

- Harry mi ha detto che avete state insieme da molti anni. - Continuò il mago, con la voce piatta e vuota. 

- Sì, è così. Dunque? - 

- Sì… lascia stare. - Disse freddamente Sirius. - Devo ammettere che non mi sarei mai aspettato di essere sostituito dal leccaculo del Ministero, ma a parte questo... - 

- Non sei stato sostituito, lui non è il tuo sostituto. - Replicò lei calcando bene quelle parole. - Dimmi, che cosa ti aspettavi? Che sarei rimasta sola a vita? -

- Non lo so, magari mi aspettavo che non finissi nel letto di quell’idiota solo perché ti ha dato un po’ di attenzioni, tanto per cominciare. - 

Hazel strinse gli occhi, lanciandogli uno sguardo che Sirius non aveva mai visto sul suo volto. Poi si voltò senza dire una parola nel tentativo di tornare alla Tana, quando lui le afferrò una mano, costringendola a girarsi nuovamente nella sua direzione. 

- Hazel, senti… - 

- Come ti permetti? - Sbottò lei, interrompendolo e liberandosi dalla sua presa. - Non parlarmi mai più, brutto stronzo, egoista, egoriferito, narcisista e… - 

Sirius sospirò. - Scusami. Hai ragione, sono uno stronzo, egoista, egoriferito e tutto il resto, lo sono sempre stato. - Disse, passandosi una mano sul volto. - Se non mi ami più io lo comprendo, e ti giuro che mi piacerebbe davvero che tu fossi felice e serena anche senza di me, ma l’idea di un altro che ti tocca mi fa impazzire. Non riesco a sopportarlo, e sapere che quello lì… scusa, sul serio. Vorrei solo riuscire a lasciarti andare una volta per tutte, ma non ci riesco. - 

Hazel sentì gli occhi pizzicare fastidiosamente, ma la sua espressione rimase impassibile. 

Non sapeva cosa provava per lui, non capiva se lo amava ancora, se amava solo il ricordo che aveva di loro due insieme, o se lo detestava con tutta sé stessa. L’unica cosa di cui però era certa era il fatto che le sarebbe piaciuto riuscire ad uscire finalmente fuori dalle macerie della loro relazione distrutta. 

- Tra noi è finita ancor prima del velo. - Gli disse. - Devi andare avanti con la tua vita. - 

- Non posso andare avanti con la mia vita se non ho una vita. - Ribatté lui. - Non ho una casa, non ho un lavoro, non ho degli amici; io non ho niente, Hazel, niente! Harry è sposato, ha dei figli, Janus va a Hogwarts, Remus è morto, mentre io ho quasi quarant’anni e non so niente di questo mondo. Non so come ricominciare da capo e tu vuoi cavartela con una scrollata di spalle, con un “devi andare avanti con la tua vita”. Non è così che funziona, lo capisci? Forse era meglio se rimanevo lì… -

- Lì dove?- 

- Lì, dietro quel velo! Era meglio se rimanevo morto! - Sbottò angosciato. - Ho fatto un sogno, mentre ero lì, sai? C’eri anche tu, c’era Janus… c’erano tutte le persone che sono state importanti per me, nel bene o nel male, c’erano perfino i miei genitori e Regulus, e tutto era come sarebbe dovuto essere se solo questo fosse un mondo perfetto. Tu trovavi mia madre simpatica, Reg insegnava a Janus come volare bene su una scopa e Lily e James erano vivi, così come erano vivi tutti gli altri, anche Remus. -   

- Era solo un’illusione, uno stupido sogno. - Ribatté lei. 

- Preferisco quello stupido sogno allora. - Disse bruscamente Sirius. 

Hazel sentì il suo cuore già ferito spezzarsi ancora, per l’ennesima volta. - Ti prego… no. - Mormorò. - Non dirlo nemmeno. - 

Sirius abbassò lo sguardo e sospirò. - Sono stanco. - Confessò parlando piano. - Avevo dei sogni prima di Azkaban, ma ero sceso a patti col fatto che non li avrei mai potuti realizzare. Poi ti ho incontrata, ho incontrato Harry, Janus è nato poco dopo, e allora ho pensato che forse c’era speranza, che forse potevo essere felice pure io, in qualche modo… ma poi è crollato tutto un’altra volta. Non ce la faccio più a vivere così, in attesa che mi capiti l’ennesima catastrofe. - 

- Non capiterà nulla stavolta. - Rispose lei dura, facendo un passo in avanti. - Sirius, adesso guardami. - 

Lui obbedì, alzando lo sguardo verso di lei, e la consapevolezza che la stava facendo soffrire ancora lo trapassò come una lama affilata. 

- Se farai qualcosa di stupido, se hai intenzione di farti fuori o chissà che altro… - Iniziò a dire, tremante di rabbia. - Io ti giuro che aspetterò di morire, ti raggiungerò ovunque finirai e ti prenderò a calci nel culo per tutta l’eternità senza darti nemmeno un attimo di pace! Io non ti perdonerò mai, mai! Non ti perdonerò se mi lasci di nuovo. Quindi ora smettila, stupido idiota che non sei altro e togliti da quella testa bacata l'idea di ucciderti! Non me ne frega niente se sei depresso, prendi della fluoxetina e piantala, proprio come fanno tutti gli altri! - 

- Che cos’è la fluo… - 

- Non è questo il punto! - Stillò Hazel, fuori di sé, mentre le prime lacrime sgorgavano dai suoi occhi scuri. - Ti prego… io non posso impedirti di fare nulla ma, per favore, non buttare via questa seconda possibilità che ti è stata data. Se non vuoi farlo per te allora fallo per Jan, lui ha bisogno di conoscerti. - 

- Lui non mi parla, mi fissa e basta. - 

- Come può parlarti, in mezzo a tutta questa gente? - Fece Hazel. - È timido, ma vedrai che come sarete soli sarà tutto diverso. - 

Sirius sospirò. Si sentiva davvero sfinito. - Non so un bel niente di lui. - Mugugnò. - Ha quasi sedici anni… mi sono perso tutto. - 

Hazel gli rivolse uno sguardo triste. - Vuoi vedere alcune foto di quando era piccolo? - Gli chiese, tirando fuori il suo telefono dalla tasca. 

Sirius guardò quel curioso apparecchio e poi annuì. 

- Adesso i telefoni sono fatti così. - Spiegò Hazel, lasciandosi scappare un piccolo sorriso, dopo aver notato lo sguardo perplesso di lui. - Fanno anche le fotografie… ecco. - 

Sirius prese quello strano apparecchio tra le mani e lo osservò interessato. - Dove sono i tasti? - Domandò perplesso. 

Stavolta Hazel rise sommessamente. - Non ci sono. - Rispose. - Anzi… diciamo che ci sono ma sono, come dire, incastonati nello schermo. Devi far scorrere il dito così. - 

Seguendo le indicazioni di Hazel, Sirius cominciò a scorrere la galleria. Quasi tutte quelle foto rappresentavano Janus e più le guardava, più si sentiva morire al pensiero di essersi perso tutto. Non c’era stato al suo primo saggio di violino, non c’era stato durante il suo primo giorno alla scuola babbana e nemmeno il primo settembre per la partenza per Hogwarts. Ad ogni modo, da quel che poteva vedere da quello schermo, capì che Hazel e Janus avevano avuto davvero una bella vita proprio come Harry gli aveva raccontato: alcune foto erano state scattate in luoghi esotici e lontani, altre invece in contesti più familiari, magari in compagnia di un vecchio signore che doveva essere probabilmente il padre di Hazel.

Sirius fece scorrere il dito sullo schermo e l’ennesima foto un po’ gli si palesò davanti. Ritraeva Hazel e Janus in compagnia di un uomo che lui non aveva mai visto e tutti e tre erano vestiti in modo strano e indossavano occhiali da sole seppur sullo sfondo era palese che fosse notte. Sirius si domandò chi fosse quell’uomo e dovette ammettere che era anche piuttosto carino, prestante, sicuro di sé.

- Quella è dell’anno prima della partenza per Hogwarts di Janus, era Halloween. - Lo informò, cogliendo lo sguardo pieno di interrogativi di Sirius. - Ci siamo vestiti come quelli di Matrix, il film preferito di Janus: lui faceva Neo, io facevo Trinity e mio fratello Chris faceva l’agente Smith. - 

- Quindi è solo tuo fratello. - Disse a bassa voce, prima di passare di nuovo il telefono a Hazel. - Sono felice che tu abbia ritrovato un pezzo della tua famiglia. Che tipo è? - 

- Un tipo particolare. - Spiegò Hazel. - Ha sposato una donna nobile e ricca, e ora vive in una tenuta in Scozia dove gestisce una distilleria come hobby, va a caccia di fagiani e cose del genere... nostro padre invece era un illustratore di libri per bambini, quindi a quanto pare ho preso da lui la passione per il disegno. - 

- Era? È morto? - Domandò Sirius. 

- Sì, è morto qualche anno fa. - Rispose. - Non era male per essere un ex tossico, e devo ammettere che mi ero anche affezionata parecchio a lui, anche se per il primo anno l’ho odiato con tutta me stessa per aver abbandonato me e mia madre. - 

- E poi? Cosa è cambiato? - Chiese lui, incuriosito. 

Hazel alzò le spalle. - Ho fatto tanta terapia, ho elaborato i traumi della mia infanzia e l’ho odiato un po’ meno. - Raccontò. 

Sirius non trovò nulla di intelligente da dire per un bel po’ di secondi, ma poi una domanda sgorgò dalla sua gola prima ancora che lui potesse fermarla. - Davvero non provi più niente per me? - 

Hazel si irrigidì. - Questo non è importante. - Ribatté.

- Per me lo è. - 

Lei sospirò e incrociò le braccia sul petto. - Non conta più niente ormai. - Gli disse coriacea. - Anche se ti amassi ancora non credo che tra noi potrebbe funzionare. - 

- Perché no? - 

- Perché sono una persona diversa, con una vita diversa. - Spiegò Hazel. - Probabilmente adesso mi troveresti insopportabile. - 

- Impossibile. - Asserì Sirius, accennando un sorriso. 

Anche lei tentò di sorridere, alzando goffamente i lati della bocca. - Se ci fossimo incontrati in un contesto normale non mi avresti mai notata, figurati se ti saresti innamorato di me. - Gli disse, come se questo spiegasse tutto.

- Non è vero, mi sarei innamorato di te in ogni caso. -  

- No, invece, e lo stesso vale per me. - Rivelò Hazel, scuotendo la testa. - Se non fossi stata una ragazzina sola, con una vita noiosa e disperatamente in cerca di qualcosa che mi facesse sentire viva credi davvero che ti avrei accolto in casa mia? Ti ho amato tantissimo e saremo sempre legati in qualche modo, e non solo perché abbiamo un figlio in comune. Ma l’amore non può bastare sempre. Non può bastare a questa età, non dopo tutto questo tempo e dopo tutto quello che è successo. Mi capisci, almeno un po’? - 

- No, Hazel, non ti capisco. - Ammise subito lui. - Ma non posso farci niente, non posso di certo costringerti ad amarmi. - 

- Potenzialmente puoi, questa è una delle cose che mi spaventa. - 

- Hai paura che ti metta dell’Amortentia nel té? - Sirius fece una risata amara, ma lei invece rimase seria.  

- Mi hai modificato la memoria e hai fatto di peggio con tutti gli altri. - Gli ricordò duramente. - Potresti fare qualsiasi cosa e io non me ne accorgerei nemmeno. - 

- Anche Percy potrebbe. - Contestò Sirius. 

- Potrebbe, è vero. Ma non lo farebbe mai. Lui mi rispetta, a contrario di te. - 

Sirius la guardò con gli occhi ridotti a due fessure, poi distolse lo sguardo, dirigendolo in un punto non meglio definito davanti a sé. - Già, com’è perfetto, lui. - Disse mellifluo. 

- Smettila. Non è di certo colpa sua se non mi fido più di te. - 

- Lo so, è colpa mia, infatti. - Disse Sirius e poi sospirò. - Comunque rifarei tutto quello che ho fatto, dato che questo è servito per tenere te e Janus in vita. Durante la guerra sareste stati troppo esposti. - 

- Perché, secondo te, quella pazza di tua cugina avrebbe preso un volo per New York per venire a far fuori me e Janus, vero? - Sibilò Hazel, dopo un verso sprezzante. 

Sirius sbuffò. - Ai maghi basta una passaporta per arrivare dall’altra parte del mondo in meno di un minuto, non abbiamo bisogno di aerei. - Replicò. - Dopo tutti questi anni non hai ancora capito quanto la situazione fosse pericolosa a quei tempi. Non ti è mai passato per quella mente geniale, ad esempio, che Voldemort avrebbe potuto usare il figlio del suo compianto padrino per attirarlo a sé, visto quanto sia comprovato il fatto che Harry tenda a fare l’eroe? - 

Hazel alzò gli occhi al cielo e incrociò le braccia sul petto. Anche se le sue parole avevano un senso per lei, non gli avrebbe dato ragione nemmeno sotto tortura. 

Rimasero lì, in silenzio in quel giardino per almeno cinque minuti, poi soffiò una brezza fresca e lui fu scosso da un brivido

- Hai freddo? Torniamo dentro? - Gli chiese subito lei. 

Sirius annuì sbrigativo e si mosse per primo, attraversando di nuovo il giardino, stavolta al fianco di lei, fino a raggiungere l’entrata della Tana. 

- Dov’è che starai, da stasera in poi? - Domandò Hazel, poco prima di varcare la soglia. 

- Starò da Harry per qualche settimana. Giusto il tempo di sistemare la casa in cui stavo prima di finire ad Azkaban. Sai, è rimasta chiusa per parecchi anni. - Rispose Sirius. - È a Londra e questo è un bene, così posso stare vicino a Janus. E a te. - Aggiunse. 

Hazel alzò i lati della bocca, ma il sorriso non raggiunse i suoi occhi. - Sì, puoi venire a trovarlo quando vuoi. - Disse distaccata. - Se a lui starà bene, ovviamente. - 

- Perché non dovrebbe stargli bene? - Pungolò Sirius con un tono raggelante. 

- Janus è un ragazzo particolare. Odia i cambiamenti e questo… - Hazel sospirò  e strinse le labbra con disappunto, - questo è un cambiamento bello grosso. Quindi non te la prendere se all’inizio vorrà stare sulle sue, anzi cerca di rispettarlo. Percy ci ha messo un anno solo per riuscire a parlarci senza litigarci. - 

- Weasley non è suo padre, io lo sono. - Puntualizzò il mago. - Con me sarà diverso. - 

Hazel non ribatté. Sapeva che Sirius aveva la tendenza a voler avere sempre ragione, dunque non aveva di certo senso mettersi a sindacare; avrebbe capito da solo, con il tempo, che si sbagliava. 

 

Nello stesso momento, nel giardino sul retro, Janus osservava il riflesso della luna che si specchiava nello stagno delle rane adiacente alla Tana, seduto con le gambe incrociate su l'erba rinsecchita. Lì fuori, oltre il gracidare dei rospi e il frinire delle cicale, riusciva anche a sentire le chiacchiere confuse che venivano dall’abitazione alle sue spalle, e più ascoltava quelle voci che si sovrastavano, più desiderava tornare a casa sua il prima possibile.

Erano successe così tante cose quella sera che quasi faceva fatica a pensare. 

Il suo desiderio di sempre si era avverato, ma lui non riusciva ad esserne contento. Era spaventato, confuso, teso, ma no, non era felice nemmeno un po’. 

- Stai cercando qualche orribile rettile con cui metterti a parlare? - La voce conosciuta di Molly jr lo fece sussultare e quando si voltò per guardarla, Janus notò che nemmeno lei sembrava più tanto allegra. 

La osservò avvicinarsi e, quando si sedette al suo fianco, Janus tornò a guardare lo specchio d’acqua che brillava sotto la luce della luna. - Che ti prende, Polly? - Le chiese. 

Molly lo guardò storto. Detestava quel soprannome, ma per una volta decise di lasciar correre. - Credi che tua madre lascerà mio padre, adesso? - Domandò a sua volta. 

Janus esitò e poi alzò le spalle. - Se lo lascia magari i tuoi tornano insieme. - Disse. 

- Guarda che mamma è sposata. - Obiettò Molly. - E con uno molto più figo di papà. - 

Il Grifondoro storse il naso con disappunto. - Gilbert non è più figo di Percy. - Ribatté, difendendolo a spada tratta. 

- Lo è eccome, gioca nella nazionale inglese di quidditch. - Gli ricordò. 

- Giocava. - La corresse lui. - Da quando ha smesso non ha nemmeno più un lavoro. -

- Non gli serve, dato che è pieno di soldi. - Sottolineò Molly. - Inoltre, Gilbert a parte, credo che sia mio padre quello che non tornerebbe mai con mia madre. - 

- Ti fa soffrire questa cosa? - Chiese Janus, serio e con un tono delicato. 

Molly scosse la testa. - Lo sai che non vado molto d’accordo con mia madre. Se fosse per me verrei a vivere con voi. - Rispose piano, facendo un sorriso triste. 

Janus si voltò per guardarla. Lei aveva ancora l’aspetto di una bambina, come era giusto che fosse, dato che aveva compiuto dodici anni giusto a giugno, ma la sua espressione le conferiva un’aria da adulta. Molly era davvero troppo intelligente per riuscire ad essere felice e spensierata come le altre ragazzine della sua età, e spesso Janus aveva colto su quel suo volto fanciullesco il peso di quella sua mente brillante. 

- Perché non ti trasferisci da noi allora? - Le chiese. 

- Noiose questioni di affido. - Disse Molly, stringendosi nelle spalle, poi sospirò. - Jan… ma se tua madre e mio padre si lasciano per davvero? Cosa succederà? - 

Janus si prese qualche secondo per pensarci. - Presumo che Percy tornerà nella sua vecchia casa. - Ipotizzò. - Ma tra noi due non cambierà niente, Polly. Lo sai che sei la mia Weasley preferita e che continuerò ad essere il tuo finto fratello per sempre. - 

Le labbra di Molly si piegarono verso il basso, dandole un aspetto da cucciolo ferito decisamente adorabile. - Tu sei il mio preferito in generale. - Confesso a voce bassissima. 

Janus invece sorrise. - Guarda che lo so che preferisci Teddy. - La prese in giro. - Come tutti del resto, ma come darvi torto? Dopotutto è lui quello simpatico. -

- E tu sei quello intelligente però. - Sorrise Molly. - Comunque credo che tuo padre lo adori. Quando sono uscita stavano parlando di quidditch e altre cose del genere. - 

Janus non rispose, dunque la ragazzina continuò: 

- Tu non credi che sia un po’ strano? - Gli domandò. - Sirius, intendo. - 

- Per essere uno che è appena resuscitato mi sembra fin troppo normale. - Obiettò Janus. 

- E perché allora non ci vuoi parlare? - 

Janus strinse gli occhi nella sua direzione, guardandola di sottecchi. - Non è che non ci voglio parlare. - Disse con un tono evasivo. - È che non so cosa dirgli, credo. - 

- Io invece credo che tu ce l’abbia con lui. - Obiettò Molly. 

Il ragazzo si accigliò. Era consapevole che Molly non avesse poi tutti i torti, ma non aveva nessuna voglia di ammetterlo. Era una sensazione troppo complicata e dolorosa per essere affrontata. - Perché dovrei essere arrabbiato con lui? - Disse infatti.  

- Perché ti ha abbandonato, ti ha fatto soffrire. - Spiegò la ragazzina, come se fosse ovvio.

- Non mi ha abbandonato, è solo morto. - Reagì duramente Janus. 

Molly lo studiò per un attimo. - Non ti ho mica detto che la tua rabbia debba essere per forza razionale. - Rispose pacatamente Molly. - Ma è bene che tu la riconosca. - 

Janus sbuffò. - Puoi fare la dodicenne, per una volta, Molly, o vuoi continuare a tentare di analizzarmi? - Le chiese irritato. 

- Lo sai che non ci riesco. - Rispose la ragazzina. 

Janus non rispose e da questo derivò un lungo momento di silenzio. In alcuni momenti la piccola Molly Weasley gli ricordava sé stesso alla sua età. Lei aveva la sua identica incapacità di stare al mondo, le sue stesse difficoltà ad essere solo una bambina. Non sapeva per quale motivo Molly fosse venuta su in quel modo, sapeva solo che era diversa da qualsiasi altra persona avesse mai conosciuto e che le sue particolarità non erano viste di buon occhio da Audrey e, almeno in parte, nemmeno da Percy. Veniva da una famiglia abituata a conformarsi, eppure lei non riusciva a fare lo stesso nemmeno se ci metteva tutta sé stessa. La sua personalità era più forte della sua voglia di piacere alla gente e come lui, infatti, non era molto popolare a scuola. 

- Qualsiasi cosa accadrà avrai sempre un posto in cui rifugiarti, quando vorrai scappare da tua madre, lo sai, Polly? - Dichiarò Janus, con gli occhi questa volta puntati verso il cielo stellato sopra di loro. 

- Lo so. - 



 

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** Capitolo 31. Una presenza ingombrante ***


Capitolo 31


Durante i giorni successivi, Sirius iniziò ad assaporare la sua ritrovata libertà: era strano poter camminare nuovamente tra la gente dopo aver passato metà della propria vita rinchiuso in quattro mura, ma erano ancor più strani gli sguardi che le persone gli scoccavano ogni volta che passeggiava per le vie di Diagon Alley. 

Erano curiosi, diceva Harry, ma lui li trovava solo irrispettosi e irritanti. Sirius cominciò così a frequentare molto più spesso la Londra dei babbani, concedendosi lunghe camminate nei parchi o in giro per la città, proprio come durante quella piccola fuga che lui, Hazel e Janus si erano concessi ai tempi di Grimmauld Place. 

Si sentiva quasi incapace di passare in casa anche solo una singola giornata e, sebbene non avesse quasi mai un vero motivo per uscire, trovava sempre una scusa per farlo. Riteneva che tenersi occupato fosse essenziale per lui, per non impazzire, per non pensare al fatto che per quattordici anni non era esistito, anche se il curatore che lo seguiva al San Mungo diceva che invece che era giunto il momento di iniziare realmente a fare i conti con tutto ciò che gli era capitato. Durante la visita, Sirius propinava al medimago una versione della sua vita in cui tutto andava magnificamente, si mostrava allegro e spensierato e poi, quando tornava a casa e si ritrovava da solo nel suo letto, sicuro che nessuno lo guardasse, si lasciava sprofondare nella tristezza, come schiacciato da un peso invisibile e senza nome.  

Il mondo tutto attorno a lui gli appariva come un universo nuovo, sconosciuto e a tratti terrificante. La tecnologia babbana si era insinuata nelle case dei maghi in un modo sorprendente, lasciandolo di stucco: adesso i telefoni si potevano portare in giro, facevano fotografie e inviavano messaggi che venivano scritti premendo tasti invisibili disegnati sugli schermi. Inoltre alcuni cellulari - così si chiamavano i telefoni portatili, - si collegavano a internet, che altro non era che un’enorme biblioteca in cui si potevano trovare le risposte per tutti i quesiti o quasi, oltre a fornire un intrattenimento illimitato: c’erano film, serie tv, musica e perfino libri, inoltre c’era anche un sito in cui la gente raccoglieva le foto e i momenti della propria vita come in un enorme album di fotografie digitali, che però potevano vedere tutti. Anche Hazel era su questi social network, e lì sopra sbatteva davanti ai suoi occhi quanto era stata felice senza di lui, insieme a quel Weasley, con cui aveva fatto tutte quelle cose che loro due non erano mai riusciti a fare. In quegli anni Hazel e Percy avevano viaggiato, erano andati a cena fuori, avevano visitato mostre e visto film al cinema, cose normali per persone normali, cose che con lui non erano nemmeno mai state immaginabili. 

Insomma, Sirius si sentiva un perfetto idiota oltre che un pesce fuor d’acqua.

Se solo fosse stato un uomo meno egoista probabilmente avrebbe avuto la forza di tirarsi di nuovo indietro, l’avrebbe lasciata alla sua vita perfetta, ma l’amava e aveva bisogno di lei, soprattutto in quel momento in cui il mondo gli si presentava irriconoscibile.

In compenso aveva cominciato a rimettere a nuovo la casa che aveva comprato con i soldi di zio Alphard, un appartamento babbanissimo che si trovava in pieno centro a Londra e in cui sperava di stabilirsi quanto prima. 

Era diventato il baby sitter ufficiale di James, Albus e Lily, e anche di Teddy, con cui era stato facilissimo costruire una certa complicità. Gli ricordava molto Remus nell’aspetto, ma era totalmente diverso da Lunastorta nel carattere: Teddy era un bambino felice, spensierato, allegro, non come Janus che invece spesso tendeva ad oscurarsi proprio come lui. Con dispiacere, Sirius si rese conto che suo figlio aveva ereditato dalla famiglia Black parecchia instabilità e un certo male di vivere che aveva caratterizzato sia lui che Regulus fin da bambini. 

Inoltre aveva l'impressione che suo figlio non nutrisse nessun particolare interesse nel volerlo conoscere: ogni volta che gli proponeva qualcosa, Janus lo liquidava dicendo che doveva fare i compiti o che aveva già un appuntamento con qualche suo amico o amica. 

Se era riuscito a parlarci qualche volta durante quelle prime settimane di luglio, era solo perché Hazel ci aveva messo moltissimo impegno a fare in modo che ciò accadesse. 

Con lei le cose avevano raggiunto un equilibrio, a tratti gelido, ma pur sempre un equilibrio. Hazel era molto brava a mettere dei paletti e, nonostante per un motivo o per l’altro si vedessero molto spesso, mai nulla di ambiguo era successo tra loro, anche perché c’era sempre quel dannato Weasley tra i piedi. 

Percy Weasley era dannatamente perfetto se ciò che si cercava era un mezzo borghese con la testa seppellita tra le scartoffie. Sirius non capiva cosa Hazel ci trovasse in un tipo del genere: non era bello, non era simpatico, Sirius non era nemmeno certo che fosse sufficientemente sveglio dato che tutto ciò che diceva sembrava averlo preso da un libro. Eppure stavano per sposarsi; lui glielo aveva chiesto, Hazel aveva risposto di sì, e ora un anello brillava sull’anulare sinistro di lei. 

Ogni tanto Sirius rimaneva a cena a casa loro giusto per autoinfliggersi un po’ di sana tortura. Stare a guardare mentre quei tre si comportavano come una vera famiglia era straziante, ma d’altra parte anche Percy mal sopportava quei momenti. Detestava infatti tutto l’impegno che Hazel metteva per far sentire Black a proprio agio.

- Quindi Sirius verrà a cena anche stasera? - Domandò Percy quella mattina, seduto al tavolo della cucina, da dietro la Gazzetta del Profeta. 

Hazel lo guardo di sottecchi. - Perce… - Sbuffò. 

- Non è che non voglio che venga. - Si affrettò a dire lui, chiudendo il giornale e abbandonandolo chiuso davanti a sé. - Solo che lui è sempre qui, Hazel; sempre. - 

- È sempre qui perché viene a trovare Janus, è un suo diritto vederlo. - Ribatté lei. 

- Ah, quindi è questo che ti dice lui. - 

Hazel alzò gli occhi dalla sua tazza di tè, scoccando a Percy un altro sguardo torvo; stava quasi per aprire la bocca così da poter rispondere, quando Janus varcò la soglia della porta, attirando la sua attenzione. Indossava una maglietta a maniche corte grigia e sotto aveva un costume da bagno di quelli a pantaloncino, sulle spalle invece uno zaino babbano, cosa che le suggerì che di sicuro era in procinto di uscire. 

- State ancora litigando per Sirius? - Chiese, abbandonando lo zaino a terra e sedendosi poi su una delle sedie che circondavano il tavolo quadrato della cucina. 

- Perché continui a chiamarlo per nome? - Domandò Hazel a sua volta. - E comunque non stavamo litigando, vero, Perce? - 

L’uomo annuì sbrigativo e non proferì parola, tornando a nascondersi dietro il giornale. 

Lì, in prima pagina, un titolo dai caratteri cubitali apriva l’ennesimo articolo di gossip che vedeva come protagonisti Sirius Black e Hazel Rains. 

Erano passati circa dodici giorni da quando Sirius era stato tirato fuori da quel velo e ormai Hazel si era quasi abituata alle attenzioni indesiderate e alla morbosa curiosità che molti avevano su di lei. Rita Skeeter la descriveva come una sorta di scalatrice sociale che prima aveva accalappiato l’ultimo ricchissimo Black e che poi era finita con il direttore di uno degli Uffici del Ministero della Magia, il Settimanale delle Streghe invece aveva deciso di puntare tutto sulla sua infanzia dolorosa e sul suo presunto riscatto sociale.

Come se già questo non bastasse per rendere imbarazzante ogni loro uscita pubblica, di tanto in tanto c’era anche qualche articolo dedicato a Janus, descritto come il misterioso e avvenente erede della Nobile e Antichissima Casata dei Black, insomma, uno su cui valeva la pena puntare lo sguardo, secondo il parere delle più esperte giornaliste di gossip e cronaca rosa. Ovviamente il giovane detestava con tutto sé stesso quelle attenzioni e dava tutta la colpa ad una sola persona: Sirius. 

Era colpa sua se andare a Diagon Alley era diventato insostenibile, e lui non voleva nemmeno pensare a come sarebbe stato tornare a scuola. Ma per fortuna il primo settembre era ancora parecchio lontano.   

- Dove stai andando? - Domandò ad un certo punto Hazel guardando suo figlio.

- Da Annie. - Rispose, prima di portarsi alla bocca un pezzo di pane tostato. 

- E perché il costume? - Lo interrogò ancora lei. - Sarete solamente tu e lei? -

Janus sospirò e alzò gli occhi al cielo. - I suoi hanno fatto mettere una piscina in giardino, e no, ci saranno anche Klaus e Faye. - Disse scocciato. - E comunque anche se fosse non hai nulla di cui preoccuparti dato che l’unica persona che mi trova attraente è quella vecchia di Rita Skeeter. - 

- In realtà lei ti trova “avvenente” o “misterioso”. - Lo corresse Percy, con il chiaro intento di prenderlo un po’ in giro, e sbirciando la sua espressione da dietro il giornale. 

- Be’, Weatherby… sempre meglio che essere “notevolmente invecchiato dalla battaglia di Hogwarts e a un passo dal diventare pelato”. - Rispose Janus con nonchalance. 

- Non essere insolente. - Lo rimproverò Hazel. - E comunque non è vero che solo la Skeeter ti trova carino. Io ti trovo bellissimo. - 

- Sei mia madre, queste sono cose che devi dire per forza. - Obiettò Janus alzando gli occhi al cielo. 

- A che ora torni? Sirius verrà a cena da noi stasera. - Parlò nuovamente sua madre.

- Di nuovo? - Chiese Janus perplesso, e Percy non poté fare a meno di sospirare da dietro il giornale, ponendosi la stessa e identica domanda. - Io stasera non ci sono. Devo fare… delle cose da adolescente. Proprio non posso. Tu salutalo tanto da parte mia. - 

Hazel lo fulminò con lo sguardo. - Curioso il fatto che ti venga voglia di fare delle “cose da adolescente” sempre quando ti dico che abbiamo tuo padre a cena. - Borbottò con un tono di rimprovero. - Ti voglio a casa alle sette e mezza. - 

Janus sbuffò e si lasciò sfuggire un verso sprezzante. 

- Dovresti essere più ben disposto nei suoi confronti. - Lo bacchettò sua madre. - Sirius si sta impegnando tanto per tentare di costruire un rapporto vero con te, ma così gli rendi le cose difficili, te ne rendi conto? Perché non vuoi parlarci? -

Janus sbuffò ancora e si alzò in piedi, raccolse lo zaino da terra e se lo mise sulle spalle con una certa stizza. -  Ora vado, mamma, ciao. - Le disse e la ignorò bellamente, mentre usciva dalla cucina. - Ciao, Perce, fate i bravi e non litigate. - 

- Janus, non puoi andartene mente t… -   

- Sì, ho capito, devo essere ben disposto nei confronti di Coso, tornare per le sette e mezza… se vieni a prendermi mi fai un piacere! Ciao! - Esclamò il giovane, e poi la porta d’ingresso si chiuse sbattendo e sulla casa cadde il silenzio. 

Hazel sospirò e poi si portò la tazza alla bocca, bevendo l’ultimo sorso di tè. 

- Secondo te lui e Annie stanno insieme? - Domandò pensierosa dopo un po’. 

Percy alzò gli occhi dall’ultima pagina della Gazzetta. - Non credo. Lucy è certa che lui abbia una cotta per Faye, ma che non sia una cosa ricambiata dato che lei sta con il ragazzo più bello e popolare della scuola. Ah, e poi c’è quella di internet. - Spiegò, con l’aria di chi la sapeva lunga. 

- Chi? - Face Hazel, aggrottando la fronte. 

- Una ragazza di Bristol con cui Janus gioca a quel videogioco… ci parla tutta la notte, possibile che non tu non te ne sia mai accorta? - 

Hazel rimase zitta per qualche secondo assumendo un’aria corrucciata. - Forse dovresti fargli quel discorso sulle ragazze. - Sospirò seria. 

Percy prima aggrottò le sopracciglia e dopo scosse la testa. - Non ci penso proprio. - Ribatté rigido. - A questo punto dovrebbe farlo Sirius, o sbaglio? Dato che è sempre qui potrebbe quantomeno rendersi utile e partecipare all’educazione di suo figlio invece di perdere il suo tempo a provarci con te. - 

- Non ci prova con me, Perce, basta con questa storia. - Sbottò Hazel. Poi afferrò la tazza, si alzò in piedi e la abbandonò nel lavabo alle sue spalle. 

Percy mugugnò scontento. - Sirius è sempre stato una presenza ingombrante nel nostro rapporto, fin dall'inizio. - Iniziò a dire, cupo. - Il fatto che per tutti, qui nel mondo magico, tu sia ancora la signora Black anche se non vi siete nemmeno mai sposati, il modo in cui parli di lui anche dopo tutti quegli anni… insomma non posso competere. Finché non c’era ho accettato di condividerti con il suo ricordo, ma lui ora è qui, è vivo. -

Hazel, sgranò gli occhi con sorpresa. - Ma cosa dici? - Chiese, mentre faceva il giro del tavolo per poterlo raggiungere. Si sedette sulla sedia al suo fianco e gli prese entrambe le mani. - Lui è una persona importante per me e io sono davvero felice che sia di nuovo qui. Non mi è del tutto indifferente, questo è vero, e penso che sia normale. - Continuò seria. - Ma ti amo, amo quello che abbiamo, non lo cambierei per nulla al mondo. Non mi devi condividere con nessuno, né ora, né mai. Non dovresti nemmeno pensarlo. - 

Percy sospirò, avvicinandosi a lei. Le scostò una ciocca di capelli dal viso, guardandola negli occhi e poi strinse più forte le sue mani. Aveva bisogno di sentirla al suo fianco più che mai. 

Non si era mai reputato un uomo insicuro; sapeva di essere “un buon partito”, la madre di Audrey glielo aveva ripetuto per anni eppure davanti a Sirius Black si era sentito un vermicolo. Ginny aveva ragione, Black era decisamente attraente e, almeno su quel piano, non sarebbe mai riuscito a competere contro di lui. Sirius era il primo amore di Hazel, ma non come Penelope era stato il suo: l’amore che aveva legato quei due era qualcosa di viscerale, quel tipo di sentimento capace anche di distruggerti. E altroché se Black aveva distrutto la sua Hazel, tanto tempo prima. 

Percy se la ricordava bene, ricordava i primi mesi con lei, le sue paure, ogni sua crisi. Lui aveva avuto pazienza, l’aveva presa per mano e aveva rispettato i suoi tempi, finché un giorno lei non l’aveva guardato dritto negli occhi per poi sussurrare piano che lo amava, senza sentirsi in colpa. Si era sentito così felice, così grato alla vita per avere quella donna meravigliosa al proprio fianco nonostante fosse certo di non meritarla affatto. Nessuno l’aveva mai accettato per quel che era, mai. Nessuno tranne Hazel. Lei lo aveva guardato e poi lo aveva scelto, accettando proprio tutto il pacchetto. Lei accettava ogni sua fissazione, lo ascoltava veramente quando parlava e non si lamentava mai della sua ambizione e del suo bisogno di eccellere sempre. 

Ma era certo che prima o poi Hazel avrebbe ceduto, sarebbe tornata da Sirius e più ci pensava e più una parte del suo cervello gli sussurrava di mettersi in salvo, di allontanarsi da lei prima che fosse troppo tardi. Ma come poteva farlo? L’amava; l’amava talmente tanto che era certo che sarebbe stato capace anche di perdonarla.

No, non poteva permettere a Black di rovinare tutto questo, non poteva permettergli di far soffrire Hazel ancora, di distruggerla di nuovo. 

- Anche io ti amo. - Le disse, vicino alla sua bocca. 

Lei sorrise e poi posò le labbra sulle sue in un bacio leggero e fugace. - Devo andare. - Sbuffò, quando tornò a guardarlo negli occhi. - Mi attende una giornata infernale di esami, poi ho l’appuntamento con l’editore del nuovo libro, quindi farò tardissimo. - 

- Intanto gli esami promuovi sempre tutti. - 

Hazel si morse un labbro con fare colpevole. - Mi fanno troppa tenerezza, non posso farci nulla. - Si giustificò, e poi si alzò in piedi. - Comunque se torni prima di me allora inizia a cucinare. Oppure potremmo ordinare cinese, a lui piaceva. -  

Percy alzò gli occhi al cielo. - Io detesto il cibo etnico, lo sai. - Ribatté. - A meno che… - 

- A meno che non si tratti di cibo italiano, lo so. - Lo anticipò lei. - Prendi la pizza allora, oppure scongela una di quelle lasagne preparate da tua madre e fingiamo di averla preparata con le nostre mani. Adesso però devo proprio scappare… -  

Catturò di nuovo le sue labbra in un rapido bacio e poi corse via, lasciandolo solo in quella cucina con il pensiero già alla cena. 

 

Qualche ora più tardi, ormai a pomeriggio inoltrato, nel giardino curatissimo di una graziosa villetta a schiera poco fuori Londra, Janus se ne stava seduto sul bordo della piscina di Annie, con i piedi ammollo nell’acqua e gli occhiali da sole sul naso. Davanti a lui, dall’altra parte dello specchio d’acqua, Faye stava prendendo il sole con indosso uno striminzito bikini verde, mentre Annie era seduta composta e totalmente vestita, con un’aria un po’ nervosa, su uno di quei lettini di tela, al fianco dell’amica. 

Ci avevano messo un bel po’ di tempo, quelle due, ad andare d’accordo. Janus ricordava molto bene tutti gli sguardi velenosi che Annie lanciava all’altra e il palese disinteresse di Faye, almeno finché un giorno, circa a metà del secondo anno, per un motivo che tutt’ora gli sfuggiva, avevano deciso che sarebbero diventate amiche. Erano praticamente inseparabili, ma nonostante ciò avevano due caratteri a dir poco opposti: Annie era ancora la ragazzina insicura e timida che Janus aveva incontrato sul treno anni prima, anche se aveva finalmente tolto l’apparecchio e cambiato montatura d’occhiali, mentre Faye sembrava invincibile, come se le critiche non potessero sfiorarla, e spesso dava l’impressione di vivere al di sopra degli altri, cosa che non la rendeva gradita proprio a tutti. Nonostante ciò, anche grazie al suo ragazzo a dir poco perfetto, era riuscita a guadagnarsi una certa posizione a scuola. 

- Se continui a fissarla così le darai fuoco. - Disse Klaus di botto, emergendo dall’acqua e sedendosi al suo fianco, sul bordo della piscina. 

Janus sobbalzò, come se fosse stato colto sul fatto di un orrendo crimine. - Cosa… - 

- Stai fissando Faye da quando è arrivata. - Gli fece notare l’amico, rispondendo a quella domanda lasciata a metà, con un tono pieno di disapprovazione. - Capisco che quel bel costumino minuscolo che indossa non aiuti, ma contieniti, per Godric! - 

Janus si sentì avvampare e poi rivolse all’amico uno sguardo torvo. 

Alto e prestante com’era, Klaus Hopper sarebbe stato un ottimo battitore se solo avesse avuto un po’ più di talento nel volo e, difatti, nonostante facesse il provino per entrare nella squadra di quidditch di Grifondoro da anni, non era mai riuscito ad ottenere buoni risultati. Era rimasto eccentrico e un po’ strano, ma a Janus non importava e, anzi, preferiva di gran lunga che fosse così, anche perché era certo che in caso contrario non sarebbero mai riusciti a diventare amici. 

Insomma, non erano per niente i ragazzi più popolari del Castello: Janus aveva un nome famoso e un po’ ingombrante, e nonostante fosse in linea di massima apprezzato dagli insegnanti, lo stesso non valeva per gli studenti, a cui appariva come uno sempre sulle sue e per nulla interessato a conoscere persone fuori dalla sua ristrettissima cerchia. Klaus invece era simpatico, una di quelle persone capaci di parlare anche con le pietre, il problema stava nel fatto che facesse molta fatica a rispettare i limiti altrui.

- Tu lo sai che, sulla scala Pazza-Gnocca, Faye si trova ben oltre la diagonale Vicky Mendoza*. - Disse Klaus con aria solenne. 

- Credo che maledirò per sempre il giorno in cui ti ho fatto vedere quella stupida serie. - Borbottò Janus. - Faye non è pazza, lei è solo gnocca… cioè, intendo dire bella. Molto bella, non gnocca. Niente termini sessisti. - 

Klaus lo guardò scettico. - Ti minaccia ancora di dire a tutti del serpentese se non le fai i compiti, Jan. - Gli ricordò. - Inoltre il suo fidanzato non può avere delle amiche donne. - 

Janus scrollò le spalle. - Questo non la rende pazza, la rende solo una tipa un po’... gelosa, credo. E comunque in realtà stavo guardando Annie. - Aggiunse, facendo un impercettibile un cenno verso la ragazza dai capelli rossi. - Che ha che non va oggi? Perché se ne sta lì, tutta vestita e afflitta? - 

Anche Klaus posò gli occhi sulla giovane. - Dice che è grassa, che non vuole mettersi il costume. - Spiegò, dispiaciuto - Forse ha ancora quella cotta per te e quindi si vergogna. - 

Janus arricciò il naso e scosse la testa. - Non credo, Faye dice che le è passata un secolo fa, per fortuna. - Rispose. - Secondo me è per te che ha un debole. - 

Lui alzò le spalle con disinteresse. 

Janus aveva sentito Klaus fare apprezzamenti alle ragazze molto di rado. Capitava solo ogni tanto, quando ad esempio consolava Annie dopo che qualcuno l’aveva presa in giro per qualcosa legato al suo aspetto, oppure si limitava a commenti del tutto innocenti usando parole come “carina” o “simpatica”, oppure diceva di volerci provare con Molly o con Lucy, ma giusto per farlo irritare un po’.

Janus non capiva se l’amico non si sentisse attratto dalle donne o se il problema fossero le persone in generale, ma non aveva mai messo in campo l’argomento, certo che in ogni caso sarebbe stato lo stesso Klaus a parlargliene di sua spontanea volontà. 

- Comunque Annie per me è come una sorella, al pari di Molly e Lucy. - Sottolineò. 

- Però Molly è molto carina. - 

Janus socchiuse gli occhi, fissandolo intensamente. - Guarda che ha dodici anni, credo sia illegale anche solo farci un pensiero. - Disse, con il solito tono di avvertimento, come ogni volta. - E poi Percy ti taglierebbe il cazzo, ne farebbe un amuleto e lo venderebbe a Nocturn Alley al migliore acquirente, tutto questo con il mio aiuto, naturalmente. - 

Klaus trattenne a stento una risatina sommessa. - Guarda che non volevo mica provarci. Non ora almeno, magari tra qualche ann… - 

Janus lo spinse in piscina, interrompendolo a metà. - Loro due sono vietate! - Esclamò, quando l’altro riemerse. 

- E dai, non ti arrabbiare! - Rise forte Klaus. - Vieni qui, Jan, facciamo pace. - Continuò poi costringendolo a raggiungere l’acqua e avvicinarsi a lui come per abbracciarlo. 

Se c’era una cosa che riusciva a mettere in imbarazzo Janus Black senza nessuna fatica allora si trattava proprio del contatto fisico, ma dopo tutti quegli anni si era abituato al fatto che Klaus tendesse ad essere un po’ invadente a volte. Dunque si lasciò stringere in quello strano abbraccio imbarazzante, maledicendosi quando incontrò lo sguardo divertito di Faye e Annie, che si erano appena avvicinate. 

- Sareste una coppia fantastica, lo sapete? - Fece Faye, sedendosi insieme all’altra sul bordo della piscina, in modo da poter stare più o meno all’altezza dello sguardo dei due. 

- Lo so, io mi ci metterei con lui. - Svelò Klaus, molto più serio di quanto avrebbe voluto. 

- Anche io con te, tesoro. - 

Le labbra di Klaus si piegarono in uno strano sorrisetto incerto e poi Annie domandò in fretta: - Come va con il signor Black? - Come se volesse cambiare discorso.

- Sì, non ci hai ancora raccontato niente, ed è passata ormai più di una settimana da quando è tornato. - Osservò Klaus. - Lui com’è? - 

Janus si strinse nelle spalle, di nuovo serio e un po’ cupo. - Lui… è difficile da spiegare. - Mormorò, muovendo le mani sulla superficie dell’acqua in cui era ancora immerso. - È come quando, dopo ore di fila per entrare al Museo del Louvre, sei finalmente davanti alla Monna Lisa e pensi “be’ allora, tutto qui?”. -  

I tre esitarono per qualche istante e poi Faye domandò: - Quindi… è una delusione? - 

Janus annuì e scosse la testa insieme. - Non è una vera e propria delusione. - Disse, pensieroso. - Ho passato tutta la vita mettendolo su un piedistallo, è normale che non sia all’altezza delle mie aspettative. Il fatto è che credo di non piacergli. - 

- E perché non dovresti piacergli, scusa? - Domandò Annie, perplessa. 

- Non lo so, è un’impressione. - Rispose lui. - Insomma, ho ottimi voti, sono un prefetto, sono finito in punizione una volta sola in cinque anni, ma lui sembra preferire mio cugino Teddy, che non ha regole e non fa altro che combinare guai. Inoltre mi tratta come se avessi cinque anni. Credo che lui mi trovi un po’ noioso, come tutti del resto. - 

All’inizio nessuno dei tre parlò e nella testa di Janus cominciarono a susseguirsi gli eventi accaduti in quegli ultimi giorni. Lui e suo padre non avevano parlato molto, ma ogni volta che l’avevano fatto era stata lampante la loro differenza. Sirius non era un vero adulto, anche se poteva sembrarlo. Sembrava essere rimasto un ragazzino dentro, mentre Janus aveva esattamente l’atteggiamento contrario: lui era serio, ligio al dovere e alle regole. 

Era certo che Sirius si aspettasse un ragazzo allegro, simpatico e un po’ ribelle, e chissà cosa aveva pensato invece quando aveva capito che lui non era nessuna di quelle tre cose. 

Inoltre non avevano niente da dirsi, nulla da condividere, e questo lo faceva sentire male, in difetto. Quando era davanti a lui, infatti, Janus si sentiva molto più sfigato di quanto in realtà non fosse. Come se questo non fosse già abbastanza, da quando suo padre era tornato, Janus si era reso conto di essere molto arrabbiato con lui, anche se non capiva il motivo. 

- Io non ti trovo per niente noioso. - Disse Faye all’improvviso, rompendo finalmente il silenzio che si era dilatato tra loro, con gli occhi puntati nei suoi. 

Janus alzò di nuovo i lati della bocca, nel tentativo di sorridere. - Non importa, so di esserlo… - Buttò lì, alzando le spalle. 

- Non lo sei. - Insistette lei, seria. - Delle volte sei un po’ troppo pignolo e rigido, questo è vero, ma cosa c’è di male? Sei tu, sei fatto così, e se tuo padre non riesce ad accettarti per quello che sei… allora è un suo problema. Io non cambierei nulla di te. - 

Ci fu un attimo di strano silenzio in cui Janus e Faye si guardarono e basta, poi dentro di lui fece capolino più del solito il desiderio di baciarla, proprio lì, davanti a Klaus e Annie. Alla fine però sospirò e si limitò a sorridere mentre arrossiva. 

- Probabilmente lui cambierebbe tutto, ma sì… è un suo problema. - Disse. - Dopotutto ho sempre mamma e Percy. Comunque stasera lui verrà a cena. Volete venire ad alleviare le mie pene? - 

- I miei tornano stasera dalle vacanze, non posso. - Rispose Annie, spiacente. 

- Io invece ho il compleanno di mia zia Clarette. - Sbuffò Klaus. 

Janus annuì e poi guardò Faye. 

- Io ci sono, se poi il signor Weasley mi riporta a casa. - Disse la Serpeverde. 

- Puoi dormire da me, abbiamo da recuperare un sacco di puntate di Grey’s Anatomy. - 

- Questa è in assoluto una delle cose meno eterosessuali che tu mi abbia mai detto. - 

Janus scrollò le spalle. - Che ci vuoi fare, Selwyn, alla fine tutti i migliori sono gay o quasi… come Bowie, Oscar Wilde, Abraham Lincoln, Michelangelo… Silente. - Disse con nonchalance. - Insomma, è un sillogismo. Inoltre nessuno è veramente eterosessuale. - 

Le due ragazze si scambiarono uno sguardo scettico, mentre Klaus spalancò le palpebre come se l’amico gli avesse appena confessato di aver commesso un omicidio.

- Quindi tu usciresti con un ragazzo? - Gli chiese di getto, senza alcuna cautela. 

Lui alzò le sopracciglia, sorpreso da quella domanda. - Sì, può darsi. - Ammise con tranquillità. - Ovviamente le ragazze sono più carine, ma non posso escludere la cosa a priori. Ad esempio se la ragazza con cui gioco a League of Legend fosse in realtà un ragazzo non mi importerebbe poi così tanto. Il vero problema sta nel fatto che di sicuro è una babbana, quindi ci sarebbero troppi segreti tra noi. - 

- Tu sei proprio strano. - Sentenziò Faye. 

- Almeno io non sono attratto dal tizio banale e popolare della scuola, come te. - Ribatté Janus, alzando gli occhi al cielo

- Quindi tu usciresti con un ragazzo. - Ripeté Klaus, più scosso di quanto fosse stato normale. 

- Tranquillo, non ci voglio mica provare con te. - Disse Janus sogghignando. - Anzi, ora che ci penso con nessuno in generale, dato che sono troppo occupato a studiare per diventare Ministro. - E dicendo questo schizzò Faye, giusto per infastidirla un po’, e poi nuovo dall’altra parte della piscina. 

- Black! - Urlò la ragazza, seguendolo in acqua.  

Klaus e Annie li guardarono giocare per qualche attimo, poi lei si voltò per guardare l’amico, che invece teneva lo sguardo fisso sugli altri due. - Glielo dirai mai? - Domandò Annie. 

Klaus scosse la testa. - L’hai sentito… è troppo occupato a studiare per diventare Ministro. - 



 

Note:

*per chi non lo sapesse, la diagonale Vicky Mendoza e la scala pazza-gnocca è una “complessa” teoria molto sessita di Barney Stinson, personaggio della serie tv How I Met Your Mother. 

Piccolo commento inutile: non ci sono grandi avvenimenti in questo capitolo, lo so, ma avevo paura che unirlo al prossimo capitolo avrebbe reso il tutto troppo pesate e lungo, quindi ho deciso di farne due separati. Comunque a mio parere c’è un bel po’ di introspezione, quindi spero che almeno non sia risultato troppo noioso e che i sentimenti di tutti i personaggi siano arrivati chiari. 

J. 

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** Capitolo 32. Signora quasi-Weasley ***


Capitolo 32

 

La casa di Hazel si trovava in uno dei quartieri più borghesi in cui Sirius avesse mai messo piede. Si ergeva accanto a tante altre graziose abitazioni, messe una dietro l’altra come a formare un lungo serpentone fatto di case quadrate, lungo una strada ben asfaltata e molto, troppo, pulita. Davanti ognuna di esse, inoltre, vi era un giardino; quello di Hazel, estremamente curato, aveva il prato ben falciato e verde e rigogliosi cespugli di peonie.

Sotto il portico alla fine del vialetto di ciottoli, c’era un tavolino di ferro circondato da sedie dello stesso materiale e un dondolo da giardino in legno mentre, davanti alla porta, la scritta sullo zerbino diceva “benvenuto”. 

Nulla in quel luogo sembrava rispettare lo stile di Hazel, almeno non della Hazel che aveva conosciuto lui. 

Sirius sospirò e poi abbassò lo sguardo, scontrandosi con gli occhietti curiosi e scuri del cagnolino che teneva in braccio. Si trattava di un meticcio di qualche mese, bianco e marrone, che probabilmente sarebbe rimasto di quella taglia minuscola per sempre, o almeno così gli aveva detto la ragazza del canile. Era un regalo per Janus, e Sirius era certo che gli sarebbe piaciuto: dopotutto a quale ragazzino non piacevano i cani? 

Ma se fosse stato un tipo da gatti? 

- Sono un idiota, vero? - Disse al cane, prima di tornare con lo sguardo sulla porta. 

Non sapeva per quale motivo, ma era certo che suo figlio lo detestasse. E, se proprio doveva essere sincero con sé stesso, doveva ammettere che nemmeno lui nutriva chissà che simpatia per quel ragazzo. Janus si comportava come se camminasse di continuo sopra una montagna di letame fumante e aveva sempre in viso quell’espressione altera tipicamente Black. Gli ricordava in un certo senso Regulus: come lui adorava la propria madre e avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di compiacerla, era educato e garbato, non era mai scatto e, cosa ancor più assurda, aveva un buon rapporto con Kreacher. 

Quel maledetto elfo obbediva a Janus senza fare un fiato, e Janus a sua volta si rivolgeva alla creatura dicendo “per favore” o “grazie”. 

Sarebbe stato tutto più semplice se solo suo figlio fosse stato un po’ più com’era Harry alla sua età, oppure un po’ più come Teddy, che sembrava adorare passare il tempo insieme a lui e che lo chiamava ”zio”. Janus, invece, lo chiamava per nome, ma quasi mai si rivolgeva direttamente a lui. Preferiva di gran lunga parlare con quel dannato Weasley, che aveva perfino una sorta di soprannome, “Weatherby”. 

Ad ogni modo Sirius non sapeva perché si ostinava tanto ad andare a cena da loro, dato che odiava ogni cosa di quella casa, compreso uno dei suoi abitanti, ma alla fine suonò il campanello e attese che la porta si spalancasse. Quando accadde, Sirius si ritrovò davanti ad un sorpreso Percy Weasley, che prima lo guardò perplesso, poi abbassò gli sul cane, e infine tornò su di lui. 

- Sei già qui… alle cinque del pomeriggio. - Constatò. - Con un cane. - 

- È per Janus. - Rispose freddamente Sirius. 

Percy si lasciò scappare un secco sospiro. - Lui non c’è in questo momento, e nemmeno Hazel. Credevamo che venissi per cena, non per l’ora del tè, ma vieni, accomodati pure. - Disse pomposamente, facendosi di lato per lasciarlo entrare. 

- Grazie. - 

Il loro scambio di battute era educato ma distante e il tono era quello tipicamente usato da due persone che si stavano sforzando di essere gentili uno con l’altro nonostante tra loro ci fosse un bel po’ di astio.  

Sirius varcò la porta, ritrovandosi nell’ingresso poco arredato della casa, talmente pulito e in ordine da sembrare finto, una sorta di set di un film. 

Percy fece strada verso la cucina e, quando entrambi varcarono la soglia, Sirius si sedette su una delle sedie che circondavano il tavolo sgombro al centro della stanza, poi lasciò andare il cane, che si sdraiò ai suoi piedi, e dopo Percy lo imitò, sistemandosi seduto dall’altra parte del tavolo. I due si guardarono senza dire una parola per diversi minuti; di tanto in tanto Percy alzava le labbra serrate in sorrisi che gli uscivano malissimo, e Sirius ricambiava quel gesto con diverse occhiatacce. 

- Di solito non teniamo animali in casa. - Esordì poi Weasley, dando uno sguardo di sfuggita al cane. - Però di tanto in tanto Janus fa evadere dei serpenti dagli zoo… dice che gli fanno tenerezza. Non so cosa ci trovi di tenero in animali come quelli, ma presumo che saperci parlare cambi le cose. Una volta ha portato a casa un cucciolo di anaconda che poi ha mangiato il topo di mia figlia Lucy. - 

Sirius rispose con un basso mugolio che poteva voler dire qualsiasi cosa.  

- Cosa fai ultimamente? - Continuò dunque a parlare Percy, pur di rompere il silenzio imbarazzante che altrimenti si sarebbe venuto a creare. - Hai già trovato un lavoro? -

- No. - Si limitò a dire Sirius. 

- Se vuoi posso informarmi, magari in qualche ufficio del Ministero cercano personale. - Propose Percy. - Ad esempio un posto all’Ufficio del Trasporto Magico, di cui per giunta sono il capo. Ma forse non sei abbastanza qualificato. Cosa hai fatto dopo Hogwarts? - 

Sirius lo fissò ad occhi stretti. - Azkaban. - Si limitò a dire. 

- Oh, sì sì, lo so… intendevo dire subito dopo la scuola. - 

- C’era la guerra, ero nell’Ordine della Fenice. - Ringhiò Sirius. - Ma cosa ne puoi sapere tu di quale sia la parte giusta in cui stare, eh, Weasley? - 

Percy si irrigidì e poi prese un lungo e profondo respiro. Era sempre stato così bravo a controllarsi, crescere tra gli scherzi di Fred e George l’aveva sicuramente forgiato, ma quella volta fu molto difficile per lui mantenere il controllo. - Hazel sarà qui a momenti. - Disse, ancora nel tentativo di non rimanere in silenzio, cercando anche di sviare il discorso su altro. - E anche Janus… lui è da una sua amica. - 

- Quindi ha degli amici. - Commentò Sirius, parlando più a sé stesso che a Percy. 

Janus sembrava talmente introverso che non faceva affatto fatica ad immaginarlo come Piton da giovane. 

- Certo che sì, qualcuno. - Rispose Percy. - Lui è un ragazzo molto particolare, non è uno di quelli che può piacere a tutti. Sotto certi aspetti mi ricorda un po’ me alla sua età. - 

Sirius gli lanciò uno sguardo feroce e non rispose, poi il campanello suonò e Percy tirò un sospiro di sollievo. Raggiunse la porta e quando la spalancò si ritrovò di fronte Hazel, accompagnata da Janus e Faye. 

- Grazie a Merlino… - Disse come se avesse appena scampato un enorme pericolo, prima che qualcuno potesse aprire bocca. - Sirius è in cucina. Con un cane. - 

Janus e Faye si scambiarono uno sguardo perplesso, mentre Hazel si lasciò sfuggire un piccolo sorriso entrando in casa. - Un cane, davvero? - Chiese allegramente.  

- Sì, un cane per Janus. - Chiarì Percy, con un’aria piuttosto afflitta. 

Il ragazzo fu, se possibile, ancor più sorpreso. - Io odio i cani, glielo hai detto? - 

- Janus, per favore, cerca di essere educato. - Lo rimproverò subito sua madre parlando a bassa voce. - Per stasera fingerai che ti piacciano. - 

- Ma perché un cane? Che senso ha? Non lo terremo, vero? - 

Hazel lo fulminò con lo sguardo e poi si mosse insieme agli altri tre lungo il corridoio verso la porta della cucina, da cui uscì un cagnolino che subito corse nella loro direzione. 

Faye si chinò per prenderlo in braccio e poi si voltò verso Janus. - Guardalo… non è carino? - Disse intenerita.

Janus assunse un’espressione scettica, ma non fece in tempo ad aprir bocca per rispondere che Sirius Black era già apparso sulla soglia della cucina, con un sorriso dipinto in volto. - Ciao. - Disse salutando Hazel e Janus, poi guardò Faye e la giovane si fece avanti. 

- Faye Selwyn. Vado a scuola con Janus, stesso anno, Case diverse. - Si presentò cortese, stringendo la mano dell’uomo. - È un piacere conoscerla, signor Black. - 

- Solo Sirius va bene. - Le rispose il mago continuando a sorridere. - Sei la sua ragazza? -  

Janus lo fulminò con lo sguardo e poi arrossì leggermente, Hazel e Percy si scambiarono un’occhiata complice, mentre Faye si limitò a scuotendo tranquillamente la testa.

- Lui è praticamente mio fratello. È il mio James Potter. - Spiegò Faye.

Hazel poté sentire chiaramente il suono del cuore di suo figlio che si spezzava, mentre Sirius sembrò molto incuriosito da quella curiosa affermazione. - Quindi sei scappata di casa e adesso vivi qui? - Domandò alla Serpeverde. 

- Oh, no no. Non ancora, almeno. - Rispose Faye in tono affabile. - Però il signor Weasley e la signora quasi-Weasley sono sempre molto gentili. - 

Sirius guardò prima Percy e poi Hazel, immaginando il giorno del loro matrimonio con una fitta al cuore. - La signora quasi-Weasley. - Ripeté, continuando a fissare la donna. 

Hazel arrossì e poi si rivolse ai due ragazzi. - Dovete darvi una bella ripulita. - Disse, nel tentativo di togliersi quell’attenzione di dosso. - Puzzate di cloro. -  

 

Mezz’ora più tardi, davanti allo specchio posto sopra il lavandino del bagno al primo piano, Janus guardava la sua immagine riflessa sulla superficie appannata, con l’occhio critico che solo un adolescente poco sicuro di sé poteva avere. 

Erano bastate poche ore in piscina per bruciare il suo viso, che adesso aveva un aspetto arrossato e irritato, come se avesse passato l’intera giornata sotto il sole. I suoi capelli, in quel momento bagnati, gli arrivavano all’altezza del mento e, quella sera, sembravano non avere nessuna intenzione di starsene al proprio posto. Non aveva mai dato troppa attenzione al suo aspetto, era certo di essere brutto e si faceva bastare essere sempre ordinato per stare bene con sé stesso, ma gli capitava spesso di sentirsi ancor più orrendo del solito quando era giù di morale. Come in quel momento. 

Non sapeva esattamente perché, ma la presenza di suo padre lo faceva sentire triste. Inoltre, come se questo già non bastasse, non riusciva a capire nemmeno come mai fosse tanto arrabbiato con lui o da quanto tempo provasse nei suoi confronti tanto rancore.  

Ma non aveva il coraggio di parlarne seriamente con qualcuno. Si sentiva un idiota: aveva desiderato di poterlo conoscere per così tanto tempo e, adesso che Sirius era finalmente di nuovo lì, desiderava solo tanersi a debita distanza. 

Erano passati troppi anni, erano cambiate troppe cose, e Janus non solo era certo di non essere all’altezza delle aspettative di suo padre, ma soprattutto non riusciva affatto a fidarsi di lui. Qualcosa nella sua testa gli ripeteva ininterrottamente da giorni che per un motivo o per un altro Sirius se ne sarebbe andato, avrebbe spezzato nuovamente il cuore di sua madre, distruggendo tutto ciò che erano riusciti a costruire in sua assenza. 

Janus voleva solo starsene in pace, avere vita normale e noiosa, con problemi normali e noiosi, e invece si ritrovava a dover avere a che fare con l’uomo che gli aveva rovinato l’infanzia e che adesso pretendeva di risolvere tutto regalandogli un cane.  

- Jan? - La voce di Faye arrivò soffocata dal corridoio, al di là della porta chiusa alle sue spalle. - Tua madre dice che è quasi pronta la cena, che ti devi dare una mossa. - 

Janus sospirò. - Sì, arrivo. - Disse seccamente. 

Ci fu qualche attimo di silenzio, ma il ragazzo era certo che Faye fosse ancora lì, dietro la soglia chiusa. - Che stai facendo? - Chiese infatti lei poco dopo. 

- Sono in bagno, secondo te cosa sto facendo? - Ribatté acidamente lui, continuando a tenere lo sguardo fisso sullo specchio.  

- Be’... tantissime cose. - Rispose lei. - Ti stai trastullando, ammettilo. - 

Il giovane prima si sentì arrossire, poi sbuffò e alzò gli occhi al soffitto. Alla fine si voltò e aprì finalmente la porta. - Sei imbarazzante. - Le disse guardandola male. 

Faye, che aveva di nuovo il cagnolino tra le braccia, fece un sorrisetto beffardo. - Guarda che è una cosa naturale, non c’è niente di male. Insomma, lo fanno tutti. - 

- Quindi anche tu. - Insinuò lui. - Lo fai pensando alle foto di Sirius da giovane o a tutte le volte in cui hai scopato con il tuo stupido ragazzo in quell’aula vuota nel sotterraneo? - 

Per la prima volta da quando la conosceva Janus vide le guance di Faye diventare rosse, cosa che gli mise un certo buon umore: era riuscito in ciò che aveva sempre creduto impossibile, ovvero metterla in imbarazzo. 

- Sei un cafone, Black. - Lo rimproverò. - E poi che ne sai che lo facciamo lì, scusa? - 

Il sorriso trionfante di Janus si spense all’istante. Ovviamente lì aveva visti sulla Mappa del Malandrino, i loro nomi praticamente uno sull’altro nel silenzio della notte e aveva sofferto al pensiero della mani di Ikaris Farley che sfioravano il corpo di Faye, mentre lui a stento si sentiva autorizzato ad abbracciarla di tanto in tanto. 

- Ho buttato a caso. - Mentì arrossendo, e poi si mosse per raggiungere le scale. 

Faye lo guardò storto ma non ribatté. Prese invece ad accarezzare la testa del cagnolino che aveva in braccio. - Come lo chiamerai? - Chiese. 

- In nessun modo, dato che non lo voglio. - Rispose subito lui. - Puoi tenerlo tu se vuoi. - 

- Non credo che mio padre e mio zio lo accetterebbero. - Suppose la ragazza. - Che ne dici di Neo, come quello del film? - 

Janus gettò un’occhiata verso il cucciolo. - Non ha la faccia da eletto. - Commentò. 

- Secondo me invece gli sta molto bene. - Ribatté Faye, mentre raggiungevano il piano di sotto. - È un bel nome per un cane, mi piace. - 

- Però Matrix non ti è piaciuto. - Obiettò Janus. 

- Era troppo complicato per una che non aveva mai visto un telefono in vita sua. - Rise sommessamente lei. - Dovremmo guardarlo di nuovo, magari stasera, al posto di Grey’s Anatomy che, per inciso, è proprio una serie di merda. -  

Janus arricciò il naso con disappunto. - Come puoi dire che è una serie di merda? Ha tutto, proprio tutto. - Disse sospirando. - C’è il dramma, le questioni morali, l’amore… - 

- Il dottor Shepherd… - 

- Io mi farei aprire volentieri il cranio dal dottor Shepherd. - Convenne Janus annuendo. 

- Io mi farei aprire volentieri anche altro dal dottor Shepherd. - Ribatté Faye.

Janus assunse un’espressione perplessa e pensierosa. - In effetti è un neurochirurgo, può anche operare la colonna vertebrale e i nervi periferici. - Osservò. 

Lei si voltò a guarlo, tentando di trattenere una risatina. Di solito un ragazzino sedicenne non avrebbe fatto fatica a cogliere al volo quel doppio senso, ma non Janus. La sua ingenuità era tale che Faye era sicura che lui fosse addirittura immune da certi istinti. Era certa che si sarebbe potuta spogliare davanti ai suoi occhi e che probabilmente il ragazzo non avrebbe fatto una piega. 

- Spero che Sirius se ne vada presto, stasera. - Mormorò il giovane, cambiando in modo radicale il tono della conversazione. 

Faye si fermò, lasciò andare il cane e poi alzò nuovamente lo sguardo sull’amico. - Perché sei tanto arrabbiato con lui da quando è tornato? - Gli chiese seria ma curiosa. 

Janus esitò e poi si abbassò, sedendosi sull’ultimo gradino della rampa, cosa che fece intendere alla giovane che lui avesse molto da dire e che tanto valeva mettersi comodi. Dunque, un secondo più tardi, anche lei lo imitò, sistemandosi al suo fianco. 

- Credo di essere sempre stato arrabbiato con lui, solo che mi sentivo anche in colpa. Dopotutto lui era morto. - Spiegò Janus, a bassa voce. - Continuo a pensare che la mia vita sarebbe stata completamente diversa, migliore, se solo lui non avesse fatto ciò che ha fatto. Se n’è fregato di me e mamma, per lui era più importante fare l’eroe. - 

Faye tacque, in attesa che il Grifondoro parlasse di nuovo. 

- È colpa sua se mamma era sempre triste, è colpa sua se mi sento fuori luogo ovunque e sempre, se non mi sento mai a casa. E adesso vuole risolvere tutto portandomi uno stupido cane e facendo il simpatico. - Continuò infatti Janus. - Lui dovrebbe avere il coraggio di guardarmi negli occhi e ammettere di aver fatto degli errori invece di fare finta di nulla. Dovrebbe prendersi la briga di conoscermi invece di dar per scontato che mi piacciano i cani o il quidditch o altre cose stupide. Inoltre mamma e Percy non fanno altro che litigare per colpa sua, e dato che vivo con loro la cosa mi infastidisce. - 

- Perché litigano? - 

- Perché Percy pensa che Sirius ci provi con mamma. -  Rispose Janus, alzando gli occhi. 

- In realtà anche lei che ci prova con lui. - Controbatté Faye, pentendosene all’istante. 

Janus infatti la guardò scettico e anche un po’ infastidito. - In che senso scusa? - 

La Serpeverde indugiò e poi sospirò. - Il modo in cui tua madre sorride ogni volta che lui pronuncia il suo nome e poi non perdono mai l’occasione di sfiorarsi uno con l’altra, proprio come se non potessero stare lontani. - Tentò di spiegare. - Sembrano ancora così innamorati che proprio non capisco perché non stiano di nuovo insieme. - 

- Non sono innamorati, e poi mia mamma deve stare con uno che se la meriti e la rispetti proprio come Percy, non con lui che non ha fatto altro che farla soffrire da quando la conosce. - Contestò Janus. 

- Qualche anno fa non avresti detto così. - 

- Qualche anno fa ero un bambino stupido che credeva a tutto ciò che gli dicevano su suo padre solo perché accettare che fosse una persona di merda era troppo doloroso. - Reagì il ragazzo. - Ma oggi l’ho conosciuto, so che è un idiota infantile non tanto diverso dalla persona che era dai tempi in cui prendeva in giro Piton a scuola. - 

- Dici così perché sei arrabbiato. - 

- No, dico così perché è vero. È un bullo arrogante che rovina tutto ciò che tocca e prima o poi anche mia madre lo capirà. Ma adesso basta, non ne voglio più parlare. - Janus si alzò e, senza nemmeno aspettarla, raggiunse la cucina in cui sua madre e suo padre stavano cucinando, mentre Percy li guardava lugubre seduto su una delle sedie che circondavano il tavolo. 

- Avete fame? - Chiese allegramente Hazel quando entrambi varcarono la soglia. - Ha cucinato Sirius, una volta ci sapeva fare ai fornelli, sapete? - 

- Che bravo. - Sibilò Janus, mentre si sedeva. - Ma non dovevamo prendere la pizza? - 

- Non ti farà male mangiare qualcosa che non proviene dal take away, per una volta. Sono giorni che non facciamo altro che ordinare da asporto. - Disse sua madre, portando in tavola una grossa pentola bollente. 

- Se lui non venisse a cena qui un giorno sì e un no il problema non si porrebbe. - Ribatté Janus, facendo un cenno sprezzante verso il padre. 

Anche Hazel guardò Sirius, lanciando verso di lui un’occhiata imbarazzata. 

- Forse è meglio se mangiamo. - Disse il mago, con un tono tranquillo e conciliante. 

Nonostante dirlo ad alta voce sicuramente gli sarebbe costato molta fatica, alla fine della cena Janus dovette ammettere che ogni pietanza preparata da suo padre era davvero ben riuscita. Non sapeva dove Sirius avesse imparato a cucinare, ma sicuramente non da Hazel, che ai fornelli era un vero disastro e che aveva cresciuto suo figlio a forza di cherkes e scatolette di tonno. Per fortuna, da cinque anni a quella parte, la signora Weasley riempiva il loro frigorifero di ottimi piatti già pronti. 

Attorno a quel tavolo rettangolare, Percy sembrava desiderare di essere altrove, mentre Faye guardava con occhi inteneriti nella direzione di Hazel e Sirius, che parlavano di alcuni loro vecchi aneddoti. Janus, invece, seduto davanti a sua madre e suo padre, ascoltava in silenzio i racconti dei due e di tanto in tanto, seppur inconsciamente, si ritrovava a sorridere, per poi ricomporsi non appena se ne rendeva conto. 

Sua madre non parlava quasi mai dei loro mesi a Grimmauld Place, e il fatto che Sirius lo stesse facendo in quel momento gli faceva piacere, ma non aveva nessuna intenzione di darlo a vedere. Voleva, anzi doveva, tenersi a distanza da lui, doveva proteggersi. 

- Odiavo quel posto. Metteva malumore a tutti tranne che a te, Jan. Tu sembravi felice anche in quella casa infernale. - Stava dicendo Sirius, con nostalgia nella voce. 

- Se ci pensi a lui non mancava proprio niente a Grimmauld Place. - Rispose Hazel. - Aveva la mamma e il papà vicini, tantissime persone che lo coccolavano e lo amavano… ti ricordi quando si metteva a piangere ogni volta che vedeva Piton? - 

Sirius annuì e rise. - Sfido qualsiasi bambino a non spaventarsi alla vista di Mocciosus. - 

- A me piace il professor Piton. - Lo gelò Janus, guardandolo di sottecchi. - Ogni volta che a scuola incrocio il suo quadro mi becco qualche insulto per colpa tua, ma a parte questo è stato un grande mago, questo non puoi di certo negarlo. Inoltre ci ha salvati tutti, non credi che meriti un po’ di rispetto, almeno adesso che è morto? - 

Sirius parve infastidito da quelle parole, ma decise di mantenere un atteggiamento positivo. Insomma, Janus gli stava parlando, era un grande passo avanti. - Era un mago decente, sì, e ha fatto decisamente la sua parte, come tutti noi del resto. - 

- Già, qualcuno più di altri. - Mormorò il ragazzo. - Perché tu e James lo prendevate in giro? - Aggiunse a bruciapelo. 

Sirius indugiò, sorpreso da quella domanda. - Eravamo dei ragazzini. - Si giustificò. 

- Avevate più o meno la mia età. - 

- Sono errori che si fanno e ti assicuro che non ne vado fiero. - Disse Sirius in fretta. - A scuola io e James venivamo considerati da tutti come i migliori in assoluto, ci sentivamo i padroni incontrastati del castello e ogni tanto finivamo per esagerare, soprattutto con Piton, che era il nostro esatto contrario. Inoltre era immerso fino al collo nelle Arti Oscure e credimi se ti dico che io e James odiavamo certe cose. - 

Quella spiegazione non sembrò soddisfare appieno Janus, ma non ribatté. 

- E comunque anche Malocchio ti faceva un po’ paura, all’inizio. - Si mise in mezzo Hazel, nel tentativo di allentare la tensione che si era venuta a creare. 

- Lui faceva più paura a te che a Janus. - Le ricordò Sirius, sorridendole. 

- Sfido chiunque a guardare in faccia Alastor Moody senza rabbrividire. La prima volta l’ho visto l’ho scambiato per un maniaco. Però era una brava persona. - Disse lei. 

Seduto a capotavola, Percy stava ascoltando quella conversazione in silenzio e con un’espressione cupa in volto, immaginando come sarebbe stato conoscere Hazel a quei tempi. Chissà se si sarebbe comunque innamorata di lui. Probabilmente no, visto il modo in cui guardava Sirius. 

Continuarono a parlare fino a tardi, finché Percy non si alzò da tavola. Lanciò uno sguardo torvo a Sirius, poi annunciò che per lui era arrivata l’ora di ritirarsi. - Io ho un lavoro, delle responsabilità, non posso permettermi di bighellonare. - Disse, guardando Black con aria sprezzante. 

- Chissà come farebbe il mondo magico a sopravvivere senza di te, Weasley. - Sospirò Sirius, una serietà tale che Hazel non riuscì a capire se lo stesse prendendo in giro o meno. 

Poco dopo Percy, anche Janus e Faye sparirono al piano di sopra, lasciando Hazel da sola in quella cucina con Sirius.

I due si guardarono senza dire una parola per qualche istante. Era ancora così strano per lei trovarsi accanto a lui nonostante fossero passati parecchi giorni da quando avevano potuto riabbracciarsi. C’erano momenti in cui lei temeva ancora di vederlo scomparire, altri in cui il ricordo di tutto ciò che lui le aveva fatto si faceva sentire portando con sé rabbia e rancore e altri ancora in cui tutto ciò che desiderava era stargli vicino, così, anche senza dire o fare nulla. 

Da quando era uscito da quel maledetto velo, Sirius era in qualche modo… più bello, un po’ come se non fosse mai stato ad Azkaban, anche se il suo numero da prigioniero era ancora lì, tatuato sul suo collo, a ricordare tutto ciò che aveva passato. Hazel ricordava bene tutte le volte in cui l’aveva baciato in quel punto in particolare, come per fargli capire che amava ogni segno e ogni cicatrice che aveva in corpo. 

- Forse è meglio se vado. - Esordì Sirius, facendola tornare al presente. 

- Ti accompagno alla porta. - Disse lei, alzandosi in piedi. 

Lasciarono la cucina, attraversarono il corridoio e poi si ritrovarono all’ingresso. Hazel aprì la porta, facendo entrare una tiepida brezza, ma entrambi esitarono. Era ovvio che nessuno dei due voleva lasciare andare l’altro. 

- Allora… ciao. - Mormorò lui, ormai fuori dalla porta. 

- Ciao. - Rispose Hazel. 

Sirius indugiò ancora. - Hazel… - Disse in un sussurro, a occhi bassi. - Sai, dopo essere stato a cena qui da te è molto più difficile non sentire la tua mancanza. - 

- Quando Janus tornerà a scuola potrai fare a meno di queste visite. - Rispose subito lei. 

- Già… - Bofonchiò Sirius. - Sarà sicuramente un sollievo per lui, dato che mi detesta. - 

Hazel lo guardò un po’ accigliata. - Non ti detesta… -

- No, infatti. Mi odia, a dire il vero. - Disse Sirius, e poi produsse una risata priva di ogni allegria. - Non so cosa fare. Io ci provo, ma è davvero impenetrabile. - 

- Magari la prossima volta potresti provare a uscire da solo con lui, portarlo da qualche parte e parlare di ciò che provi. - Propose Hazel. - Lo so che ci stai provando, anche se in un modo un po’ strano. Insomma, come ti è venuto in mente di prendergli un cane? - Aggiunse ridendo piano. 

Anche lui rise, stavolta per davvero. - Scusa, è stata una di quelle mie cose impulsive, se non volete tenerlo lo capisco. - Disse imbarazzato. 

- Lo terremo, non ti preoccupare. - Assicurò Hazel. - Dopotutto ho ospitato animali peggiori in questa casa; ad esempio un cucciolo di anaconda, un paio di boa e anche un augurey davvero brutto da vedere. E poi quando cantava… una volta ho creduto di essere morta solo perché si è messo a cantare durante un giorno particolarmente piovoso, ho pianto per tre giorni. Comunque sì, terremo il cane… scusa, sto straparlando.  - 

Arrossì e a Sirius parve quasi di vedere di nuovo la ragazza di cui si era innamorato. 

- Forse è meglio se adesso vai. - Parlò ancora Hazel. - Mandami un messaggio quando arrivi a casa, così so che sei sano e salvo. - 

Sirius alzò gli occhi al cielo. - Lo sai che non so usare quell’affare tecnologico che mi hai comprato. - Le disse. - Si è spento all’improvviso e non si accende più. -  

- Forse devi metterlo in carica. - Ipotizzò lei. 

- Non ci avevo pensato. - Disse il mago. - Allora buonanotte. - 

- Buonanotte. - 

Si guardarono un’ultima volta e poi lei schiuse la porta. In casa il silenzio era diventato improvvisamente talmente presente da schiacciarla. Hazel salì lentamente le scale, passò davanti alla camera di suo figlio, affacciandosi per dare un’occhiata. 

Janus era ancora sveglio e guardava le ultime scene di Matrix, mentre Faye dormiva appoggiata a lui. - Se ne è andato? - Mormorò il giovane. 

Hazel annuì. - Tu e Faye non potete dormire insieme. - Disse severa. 

Lui alzò le sopracciglia, sorpreso. Era la prima volta che sua madre gli diceva una cosa del genere. - Perché no? - Chiese. - Dorme sempre in camera con me quando resta qui. - 

- Ormai siete grandi, non è più opportuno che dormiate nella stessa stanza, Jan. - Ribadì sua madre. - Vai nella stanza degli ospiti o mandaci lei. - 

Non aggiunse altro e dunque tornò a camminare lungo il corridoio, fino alla porta della sua camera da letto. Lì, Percy stava leggendo accanto alla abat jour poggiata su uno dei due comodini e, non appena la vide, chiuse il libro, si tolse gli occhiali e si mise a braccia conserte, un’espressione algida dipinta in volto. 

- È passata la mezzanotte. - Le disse. 

- Non sapevo di avere il coprifuoco. - Replicò Hazel, iniziando a spogliarsi per indossare il pigiama. - Ancora con questa storia della gelosia? - 

Percy fece un secco sospiro irritato. - Non sono geloso, Hazel. Sono infastidito. - Chiarì. 

- Infastidito da cosa? - Chiese lei, mentre si infilava nel letto. 

- Da lui, da come ti parla, da come ti guarda. - Rispose Percy. - E non mi piace nemmeno il modo in cui lo guardi tu. -

Hazel sbuffò, poi si sistemò seduta con la schiena contro la spalliera e incrociando le braccia al petto. - E come lo guarderei, sentiamo? - Domandò piccata. 

- Lo guardi come dovresti guardare me. - Asserì dolorosamente il mago. - Sono stanco di litigare con te per lui, non facciamo altro da quando è tornato, quindi adesso devi farmi capire che intenzioni hai. - 

Lei lo guardò di sottecchi. - Cosa intendi dire, scusa? - Lo interrogò confusa. 

- Intendo dire che se non metti dei confini tra te e lui, allora io me ne vado. - Decretò Percy. - Non me ne starò qui a guardare mentre finisci nuovamente tra le sue braccia. - 

Hazel trasalì come se fosse stata appena colpita da uno schiantesimo, ma non rispose. Poi, dopo una manciata di secondi di silenzio, Percy spense la luce proveniente dalla abat jour e si sdraiò dandole la schiena. 

Nella quiete di quella buia camera da letto, Hazel si avvicinò a lui e lo abbracciò forte, concedendosi quell’intimo contatto dopo giorni in cui si era sentita distante. Percy aveva ragione, il loro rapporto aveva risentito molto degli eventi accaduti in quelle ultime settimane. - Scusa. - Mormorò, impercettibile. - Farò in modo che ci siano dei confini ben definiti, te lo prometto. - 

Percy non rispose, ma intrecciò una mano nella sua. 

- L’ultima settimana di luglio per me iniziano le vacanze. - Continuò a parlare lei. - Che ne dici se andiamo qualche giorno in Scozia? Possiamo andare a trovare mio fratello. - 

- Devo lavorare. - Ribatté Percy. 

- Puoi sempre smaterializzarti al Ministero o usare il camino. - Gli ricordò Hazel. - Ma la verità è che tu odi la Scozia e anche Chris. - 

- Non odio la Scozia e nemmeno tuo fratello. Però odio la campagna, lo sai. - Borbottò lui. - Soprattutto odio quando Chris tenta di coinvolgermi in quelle attività da fare all’aria aperta, come tagliare la legna o andare a caccia di faggiani. -

- In realtà le mie intenzioni erano quelle di lasciare Janus a Londra e partire con te per passare moltissimo tempo da soli e poi magari andare a cena da lui una volta. - 

- Molly e Lucy staranno con me per tutto agosto, lo sai. - Le ricordò Percy, e finalmente si voltò verso di lei, osservandola nell’oscurità. - Non posso lasciarle a Londra. - 

Hazel sospirò ma annuì, poi si strinse ancora un po’ a lui, senza dire niente. Percepì le dita di Percy sulla sua schiena, sotto il tessuto leggero della canottiera che indossava e si lasciò accarezzare avvolta nel silenzio e nel buio. 

- Hazel. - La chiamò lui in un sussurro. - Se dovesse succedere qualcosa tra te e Sirius, me lo dirai? - 

Hazel si staccò da lui quel tanto che bastava per rivolgergli lo sguardo. - Non succederà. - 

- Me lo dirai? - Insistette lui.  

Lei sospirò. - Te lo dirò. -




 

Sì, probabilmente potevo unire questo capitolo a quello precedente, ma poi sarebbe venuto fuori davvero troppo lungo quindi… ecco qui. Questa parte si sta rivelando bella difficile: ci sono tanti punti di vista diversi da gestire ma in compenso devo ammettere che il risultato mi appare piuttosto soddisfacente. 

Comunque fatemi sapere voi, se vi va!

Grazie per aver letto,

J.

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** Capitolo 33. Non mi arrenderò mai con te ***


Un capitolo un po’ inutile di cui potevate fare a meno, ma dato che sono una persona fatta proprio per allungare il brodo… ve lo beccate, mi dispiace. Comunque, spero che vi piaccia lo stesso e vi assicuro che dal prossimo qualcosa accadrà!

Buona lettura. 

J.




 

Capitolo 33

 

Con lo scorrere di quelle caldissime giornate estive, Hazel fece esattamente ciò che aveva promesso a Percy: tracciò dei confini netti tra lei e Sirius, cosa che contribuì a far tornare le cose alla normalità. O almeno così poteva sembrare.

Mentre da fuori appariva come la stessa di sempre, dentro di lei cominciavano a farsi strada diversi sentimenti contrastanti. C’erano giorni in cui sentiva forte la mancanza di Sirius, proprio come quando aveva dovuto lasciare Grimmauld Place tanti anni prima, cosa che le provocava una montagna di sensi di colpa nei confronti di Percy, che era sempre lì per lei, paziente e rispettoso. Contro ogni aspettativa la realizzazione del desiderio che aveva espresso spegnendo le candeline il giorno del suo compleanno si stava rivelando deleterio per quel fragile equilibrio che era stata capace di costruire nel corso di quegli ultimi anni, e verso la fine di luglio Hazel si ritrovò in fondo a un abisso in cui si era ritrovata tantissime volte nel corso della sua vita adulta. 

La sua terapeuta li chiamava “episodi depressivi”, mentre Percy semplicemente “momenti”. Era questo ciò che diceva quando lei non se la sentiva di uscire di casa per andare a pranzo alla Tana la domenica: “Hazel è in uno dei suoi momenti”. 

Questo procurava sempre molta preoccupazione in famiglia. Hazel si sentiva in colpa quando Percy tornava da quei pranzi a casa dei suoi portando con sé enormi porzioni di formato che la signora Weasley aveva preparato solo per lei, per tirarla su, ma quel senso di disagio che la attanagliava diventava ancor più acuto e doloroso quando era Janus a prendersi cura di lei, proprio come lei si era presa cura di sua madre durante l’infanzia. Si sentiva dunque il peggior genitore al mondo e una pessima compagna per Percy. 

Ogni tanto Hazel aveva l’impressione che tutta la sintonia che l’aveva legata a Percy fosse improvvisamente sparita nel nulla, proprio come era sparita tutta l’intimità che erano riusciti a costruire in quegli anni, tanto che spesso perfino parlargli le risultava faticoso.

Ad agosto, forse spinto dalla preoccupazione, Percy decise di prendere finalmente il mese di ferie che gli spettava. Partirono così per la Scozia, portandosi dietro anche Janus, Lucy, Molly e il cane Neo, in modo da poter passare quelle ultime settimane estive lontani dal caos cittadino e, soprattutto, lontani da Sirius.

Era vero, Percy Weasley odiava con tutto se stesso quelle loro vacanze al nord. Detestava tutto quel verde e la natura incontaminata, detestava la fredda nebbia marina che si alzava dalla costa e avvolgeva tutto, rimanendo immobile per almeno un giorno intero e, sopra ogni cosa, odiava il fratello di Hazel. Ma tutto questo doveva rimanere un segreto: Hazel aveva bisogno, di tanto in tanto, di tornare a casa e visto il momento tutt’altro che sereno non gli sembrava affatto il caso di lamentarsi, come invece faceva di solito. 

Sarebbero tornati a Londra solo dopo il compleanno di Janus, cosa che avrebbe permesso al ragazzo di evitare il padre anche quel giorno. 

Proprio come Percy, nemmeno Janus amava la vita di campagna. Nonostante ciò, sapeva che era proprio in quei luoghi che i suoi genitori si erano innamorati e per quanto ce l’avesse con suo padre non riusciva a smettere di immaginare sé stesso insieme a loro su quelle spiagge, proprio come in tutte quelle fotografie e in quei video che sua madre gli aveva mostrato nel corso della sua vita. 

C’era stato un tempo in cui loro tre erano stati uniti, momenti in cui suo padre si era preso cura di lui, ma di cui non aveva ormai più nessun ricordo. Tutto ciò che gli era rimasto in mente era invece il dolore che quell’uomo aveva causato, la tristezza di sua madre, la solitudine che li aveva fatti aggrappare uno all’altra nella speranza che, prima o poi, sarebbero tornati a casa. 

Per Hazel però non era la stessa cosa: per lei quel cottage sperduto in campagna non era solo il luogo in cui aveva visto sua madre morire, non era solo il posto in cui aveva pianto tanto quando aveva perso Sirius, ma era soprattutto la casa in cui era sbocciato il suo primo amore e in cui Janus aveva mosso i primi passi, pronunciato le sue prime parole e fatto i suoi primi incantesimi. 

C’era stato tanto dolore nella sua vita, molto di esso provocato da Sirius, ma allo stesso tempo lui le aveva regalato anche tantissimi momenti meravigliosi. Quei ricordi erano ancora tutti rinchiusi lì, tra quelle vecchie mura. Attaccate al frigorifero con qualche calamita, c’erano ancora le fotografie che la ritraevano insieme a lui e a Janus appena nato, nell’armadio in camera da letto c’erano ancora alcuni vestiti di Sirius e ogni angolo di quella casa custodiva un momento felice. E poi c’erano i quadri, i disegni, i suoi vecchi pennelli, la sua passione di sempre che sembrava essere morta insieme a Sirius tanti anni prima e che, da quando era tornata in quel luogo, qualche settimana prima, sembrava essere tornata ad accenderle qualcosa dentro.

Una giorno qualunque, di ritorno dalla città, Hazel si era fermata in un negozio d’arte e aveva comprato delle tele tele, dei pennelli nuovi e un bel po’ di colori a tempera e poi, una volta a casa, quasi con le lacrime agli occhi, si era messa a dipingere. Quando però Percy era tornato dal Ministero, non si era lasciato entusiasmare per niente dalla cosa. 

- È una cosa bella che tu abbia ripreso questo tuo vecchio hobby. - Le disse la mattina del compleanno di Janus, mentre si preparava per il lavoro. 

- Hobby? - Rispose lei lugubre, ancora sdraiata sul letto. - Mi deprime che sia solo un hobby. - 

Percy la guardò e poi sospirò. - Non vorrai mica lasciare il tuo stabile, ben pagato e vero posto di lavoro per metterti a fare la pittrice, spero. - Disse continuando a scrutarla, per poi tornare ad abbottonare per bene la camicia del completo. 

- Guarda che anche l’arte è un lavoro vero e spesso ben pagato. - Ribatté Hazel piccata.

Percy sospirò ancora e giunse la mani davanti a sé, assumendo l’atteggiamento di uno che non vedeva l’ora di farti una bella ramanzina. - Non puoi iniziare a fare l’artista a trentasette anni, Hazel. - Sentenziò, stringendo le labbra. - Io capisco che stai passando un brutto momento e che sei confusa, ma hai un’ottima posizione lavorativa, sei molto apprezzata nel tuo ambiente, non puoi pensare di buttar via tutto ciò che hai costruito fino a ora per un vecchio sogno che avevi in gioventù. - 

- Non ho mica detto che voglio lasciare l’insegnamento. - Lo rassicurò Hazel, e la sua voce uscì fuori più distaccata del previsto. 

Il mago continuò a mantenere quell’espressione arcigna in volto mentre si faceva il nodo alla cravatta e non rispose. 

Hazel invece incrociò le braccia sul petto. - Neanche fossi decrepita! - Esclamò indispettita. - Le migliori opere di Picasso sono quelle che ha prodotto in tarda età, Van Gogh ha dipinto la sua famosissima Notte Stellata a trentasei anni, mentre Grandma Moses ha iniziato a dipingere a settantotto! Dovresti essere felice per il fatto che sto cercando di non precipitare, ho ritrovato un po’ di ispirazione dopo tutti questi anni e tu non riesci a far altro che smontare tutto senza alcuna pietà! - 

A quel punto Percy capì di essersi infilato in una conversazione molto delicata. Indugiò un attimo, poi si sedette sul letto al suo fianco e la guardò. - Hazel, abbiamo bisogno di stabilità, soprattutto ora che stiamo per sposarci. - Spiegò paziente. - Secondo me sei un po’ scossa dagli eventi dell’ultimo periodo, magari ti sono tornati in mente tanti vecchi ricordi, ti senti spinta indietro nel tempo… - 

- Lascia stare, non credo che tu possa capire davvero certe cose. - Lo interruppe lei scostante, prima di alzarsi in piedi. 

Raggiunse la finestra e, pur di non rivolgere lo sguardo verso il mago, guardò fuori. Era una bellissima e caldissima giornata estiva, il sole splendeva alto in un cielo limpido e l’aria era satura dell’odore del mare. 

- Puoi andare a prendere tu la torta per Janus, quando torni? Compra anche delle candeline. - Parlò di nuovo Hazel, senza nemmeno voltarsi verso di lui. 

- Sì, ci penso io. - Rispose Percy, usando lo stesso tono distaccato. Alla fine sospirò e attraversò la stanza con pochi passi, avvicinandosi a lei. - Adesso vado. In ufficio siamo in pochi, mi aspetta una lunga giornata. - Disse abbracciandola da dietro. 

Hazel annuì. - Ci vediamo stasera. - 

- Tu cosa farai oggi? - Le domandò, sinceramente interessato. 

- Non so… forse andrò in spiaggia insieme a Janus, Molly e Lucy o farò una passeggiata con il cane in paese. - Buttò lì Hazel. 

O magari dipingerò, pensò, ma non lo disse. 

- Va bene, a stasera allora. - Percy la baciò di fretta e poi uscì senza aggiungere altro. 

Hazel rimase per qualche minuto ferma davanti alla finestra spalancata, da cui prese ad entrare una fresca brezza marina, poi sospirò, attraversò la stanza e uscì, ritrovandosi nel corridoio. Dal piano di sotto sentì la voce di suo figlio e quelle di Molly e Lucy, e annusando l’aria percepì anche un dolce odore di pancake appena cotti. Decise così di indossare un sorriso più che credibile e scese l’unica rampa di scale della casa, raggiungendo subito la cucina. Lì, i tre giovani erano tutti intenti ad organizzare la loro giornata, mentre Neo si aggirava sotto il tavolo nella speranza di ottenere qualche boccone. 

- … non puoi metterti a studiare oggi, è il tuo compleanno, Janus… buongiorno! - Esclamò allegramente Lucy quando la vide, prima di portare in tavola un piatto pieno zeppo di pancake dorati e caldi. 

- Buongiorno. - Sorrise Hazel, prima di sedersi accanto suo figlio. Lo fissò per qualche secondo. - Buon compleanno, piccolo mio. - Aggiunse poi, lasciandogli un sonoro bacio sulla guancia e abbracciandolo forte. - Sedici anni fa, a questa stessa ora, eri già nato, lo sai? Eri così carino, minuscolo e con tutti quei capelli… - 

- Mamma… contatto fisico… no…. - Provò a ribellarsi lui. 

Hazel alzò gli occhi al cielo e si allontanò risentita. - Quando eri piccolo non potevo nemmeno andare in bagno senza di te, mi stavi sempre appiccicato e piangevi ogni mattina, quando ti portavo a scuola. Invece adesso fai tutto il sostenuto… una volta mi volevi bene. - Obiettò risentita. 

Janus sospirò, infilzò un pancake e lo mise nel piatto di Hazel. - Ti voglio bene anche ora, ma te lo dimostro in altri modi, vedi? - Le disse, e poi lanciò un’occhiataccia a Molly e Lucy, tutte intente a ridacchiare tra loro. - C’era anche Sirius, quando sono nato? - 

Quella domanda spiazzò Hazel. - No… era in fuga. Arrivò due giorni dopo, correndo un grosso rischio, per giunta. Però con noi c’era Remus. - 

Janus annuì in fretta e non rispose, dunque Hazel continuò, domandando ai due ragazzi cosa avrebbero fatto quel giorno. 

- Janus vuole stare a casa a leggere i libri extra per la scuola. - La informò Lucy, annoiata. - Noi volevamo andare al mare, ma non c’è verso di convincerlo. - 

- Il fatto che compio gli anni non significa che devo mettermi a oziare. - Si difese lui. - La scuola ricomincerà a breve e io devo essere pronto. E poi non voglio lasciarti da sola. - 

- Guarda che sto bene. - Gli assicurò Hazel. - Vai, goditi il sole. - 

- Potresti venire con noi. - Propose Molly. 

Hazel scosse la testa ma sorrise. - No, andate voi. - Rispose tranquilla. - Devo correggere alcuni articoli e forse mi metterò a dipingere un po’. - 

- Ho visto il quadro che stavi dipingendo ieri, è davvero bellissimo! - Si complimentò Molly. - Secondo me dovresti fare una mostra o cose così. - 

Hazel sorrise timidamente. - Magari fosse così semplice. - Disse spiacente. - Ormai credo che ormai quel treno per me sia passato. - 

Janus aggrottò le sopracciglia. - Stai scherzando, spero. - Tuonò sconcertato. - Dovresti approfittare del fatto che ti sia finalmente tornata la voglia di dipingere. Secondo me dovresti chiamare quella tua amica che organizza mostre e proporle qualche tuo lavoro. - 

Hazel abbassò lo sguardo sul suo bicchiere pieno di succo di zucca e non rispose, divisa in due tra ciò che le sarebbe piaciuto fare e ciò che secondo lei, anzi, secondo Percy, era giusto. Da una parte c’era il sogno di una vita che per tanto tempo aveva chiuso in un cassetto, dall’altra il suo lavoro, la stabilità, la normalità di sempre.  

Dopo la colazione, Janus si convinse a uscire con le due gemelle Weasley e il cagnolino, lasciandola da sola in quella casa piena di ricordi, a meditare su ciò che aveva fatto nella vita. Chissà se la sé stessa bambina che scarabocchiava in quel salotto sarebbe stata contenta della donna che era diventata. Sicuramente la sé stessa adolescente sarebbe rimasta disgustata nel vederla ridotta al ruolo di seria borghese e perfetta quasi moglie. 

Dal divano, con gli occhi puntati sul cavalletto su cui era poggiata la tela, Hazel sospirò e poi si alzò, avvicinandosi al quadro. Lì accanto, appoggiati su un mobiletto di legno sporco di vecchia pittura, erano abbandonati i pennelli e le matite, la tavolozza, i colori e la spatola appuntita con cui li mischiava.  

Con gli occhi puntati sul quadro, Hazel si sentì improvvisamente ancor più demotivata del solito. Il giorno prima era stato così facile e naturale muovere il pennello su quello spazio eppure, a distanza di poche ore, si sentiva nuovamente bloccata. In un impeto di stizza, afferrò la spatola e bucò la tela, come se fosse la causa d'ogni male e, nello stesso preciso istante, il campanello suonò, facendola sobbalzare. 

Hazel sbuffò, abbandonò lo strumento sul vecchio mobile di legno e si precipitò alla porta, spalancandola. Lì davanti a lei, fermo sull’uscio, Sirius ricambiò il suo sguardo sorpreso e sorrise. Probabilmente si era impegnato per avere un aspetto più babbano possibile, ma il risultato lo faceva apparire come uno appena uscito da una rivista di moda dell’inizio degli anni ‘80, cosa che comunque a Hazel non dispiaceva.  

- Cosa… - 

- È il compleanno di Jan, sono venuto a portargli il regalo. - Spiegò allegramente lui, rispondendo a quella domanda lasciata a metò e facendo un cenno verso un grosso passo poggiato a terra, talmente incartato male da rivelarne il contenuto. - È una scopa da corsa… in realtà non una scopa da corsa qualunque ma la migliore in assoluto. È in commercio da sole due settimane ed è stata sponsorizzata anche dalla nazionale inglese di quidditch durante la coppa del mondo di quest’anno. - 

Hazel sospirò. - Lo sai che lui non gioca a quidditch, vero? - Gli ricordò. 

- Sì, lo so, ma qualsiasi ragazzino vorrebbe una scopa così, anche se non gioca. - Ribatté Sirius. - Posso entrare, così gliela do e gli faccio gli auguri? - 

- In questo momento non c’è, torna più tardi. - Rispose gelidamente Hazel, mentre nella sua testa si ripeteva l’importanza di stabilire dei confini. 

Il viso di Sirius si incupì. - Va bene. - Disse, con enorme sforzo, facedo un passo indietro. 

Quasi all’istante, Hazel si sentì in colpa. - Senti… entra. - Si affrettò a dire, facendosi di lato per farlo passare. - Puoi aspettarlo qui, tornerà di sicuro per l’ora di pranzo. - 

Il mago sorrise, prese la scopa da terra e varcò la soglia, notando che quella casa non sembrava poi cambiata più di tanto. Il salotto era ancora un po’ ingombro, ma tutto sommato ordinato: il divano era ancora davanti al camino spento, c’era ancora lo stesso stereo da cui Hazel gli aveva fatto ascoltare le sue tanto amate band babbane degli anni novanta e c’erano ancora tantissimi libri e quadri. 

Uno lo colpì particolarmente. Era poggiato sul cavalletto e la tela era lacerata. 

- Cerchi di imitare Fontana? - Sogghignò, guardandolo. 

Hazel, a pochi passi da lui, aggrottò la fronte, sorpresa, ma non rispose. 

- Lucio Fontana, dai… quello che tagliava le tele, me lo hai raccontato tu. - Insistette lui. 

- Sì, lo so chi è Lucio Fontana, granzie tante. - Sbottò lei, incrociando le braccia al petto. - Non mi aspettavo che ti ricordassi una cosa che ti ho detto più di un decennio fa. - 

- Per me sono passati solo pochi mesi. - Obiettò lui. 

- Ma per me no. - Sottolineò Hazel. 

Seguì un attimo di pesante silenzio e poi Sirius domandò dove fosse Percy. 

- È a lavoro, torna stasera. - Rispose lei, con una voce piccola piccola. - Siamo soli. - 

Soli. Quella parola sembrò echeggiare per qualche secondo in quella stanza. Non rimanevano completamente soli in una casa dai tempi di Grimmauld Place.

 - Se vuoi me ne vado. - Sospirò Sirius, a occhi bassi. 

- No. - Si limitò a dire lei. - Faccio del té, va bene? Tu siediti pure… ci metto un attimo. - 

Sirius non poté far altro che obbedire docilmente. Si accomodò sul divano e attese quello che gli parve un tempo infinito, finché Hazel non riapparve con un vassoio tra le mani, su cui erano state poggiate due tazze e una teiera. Si domandò perché tanta formalità, ma ormai si era abituato al fatto che lei non fosse più la ragazzina scapestrata di un tempo. 

- Ci vuoi del latte nel té? - Domandò Hazel, quando si sedette al suo fianco, poggiando il vassoio sul tavolino sistemato davanti al divano. 

- No. - 

- Di solito ce lo mettevi. - Commentò sottovoce lei. - Prendo dei biscotti? - 

Sirius scosse la testa. - Hazel, perché sei agitata? - Le domandò a sua volta. - Se ti senti così a disagio a stare sola in casa con me allora, davvero, me ne vado. - 

Ti prego, dimmi di restare, pensò disperatamente lui, guardandola negli occhi. 

Hazel esitò. - No, va tutto bene. - Decise alla fine. - Scusa, è questa casa… tanti ricordi. - 

- Lo so. - Annuì lui, facendo un sorriso amaro. 

Lei non proferì parola, ma prese la teiera, riempì entrambe le tazze e poi si portò la sua alle labbra con una certa grazia. Sirius rimase zitto e la osservò mentre beveva per qualche istante, fino a che non si decise a rompere il silenzio: 

- Posso farti una domanda? - Le chiese.

- Certo, dimmi pure. - Accettò Hazel, posando nuovamente la tazza sul tavolino. 

- Perché sei così… così… - Sirius indugiò e mosse la mani nella sua direzione, come per indicarla. - Così educata… perfetta. Non hai più l’accento scozzese e sembri appena uscita da una lezione di bon ton con la Regina. - 

Hazel lo guardò con esitazione e un po’ di imbarazzo. - Se te lo dico devi giurarmi che non mi prenderai in giro. - Contrattò. 

- Lo giuro solennemente! - Esclamò lui, mettendosi una mano al cuore. 

- È tutta colpa dell’ex di Percy, Audrey. - Iniziò Hazel, con l’aria di una che stava per narrare di una lunga vicenda. - Lei è l’incarnazione della perfezione, dico davvero: bella, ricca, aggraziata… una mezza specie di nobildonna, dico sul serio. Peccato che sia anche una stronza della peggior specie, una di quelle persone che ti guarda dall’alto in basso, come se tu fossi un sacco pieno zeppo di spazzatura. Si riferiva a me come “quella povera campagnola scozzese”... ad ogni modo, io dovevo essere migliore di lei, quindi ho fatto un corso di buone maniere e uno di dizione, ed eccomi qui. Quindi adesso, grazie a lei, prendo il tè con te seduta sul divano di casa mia come se fossi a Buckingham Palace, alla presenza di sua altezza reale… e pensa che una volta provavo antipatia i ricconi che se la tiravano, mentre adesso mi comporto esattamente come una di loro… - 

Sirius la guardò senza dire niente per qualche secondo e poi scoppiò a ridere, beccandosi un’occhiataccia. 

- Avevi detto che non mi avresti preso in giro! - Protestò Hazel, arrossendo. 

- Va bene, va bene, scusa! - Esclamò lui. - Ma dimmi, riesci anche a tornare te stessa di tanto in tanto o ormai quei tempi sono finiti? - 

- Ma io sono me stessa, solo che sono la versione migliorata, ecco. - Ribatté Hazel. 

Sirius la guardò scettico. - A me piaceva com’eri prima. Se fossi stato Percy avrei detto a quella lì di farsi gli affari suoi, che eri perfetta così com’eri. - 

- Lui sa che so difendermi da sola. - Spiegò Hazel. - Quando la incontriamo a Diagon Alley o a qualche noiosissima cena ministeriale, la batto a colpi di galateo. - 

Sirius dovette trattenere di nuovo una risata. - Credo che darei davvero qualsiasi cosa per guardarti mentre ti destreggi in certi ambienti sfavillanti di mondanità. Sul serio, non ti annoi? Percy non ti annoia? - 

Hazel scosse la testa. - So che per uno come te dev’essere difficile da capire, ma una vita tranquilla e una sana routine non è poi così difficile da tollerare. Inoltre lui è una brava persona. - 

Sirius rimase alzò le sopracciglia, sorpreso. - Tutto qui? - Le domandò perplesso.  

- Che cosa? - 

- Voi due state per sposarvi e tutto ciò che riesci a dire di lui è che è una brava persona. Non mi sembra il massimo, ma di certo è un mio problema. Sono un tipo romantico dopotutto. - Fece Sirius, scrollando le spalle. - Ad ogni modo, sono certo che sotto tutte quelle sovrastrutture che ti sei messa addosso ci sia ancora una parte di te che vuole divertirsi, indossare le magliette delle band, andare ai concerti dei Nirvana o degli Oasis e mangiare il pollo con le mani. - Aggiunse, tornando al discorso di poco prima. 

- Hai nominato due gruppi che si sono sciolti. - Lo informò Hazel. 

Lui aggrottò la fronte. - Sul serio, anche gli Oasis? Che ascoltate voi babbani adesso? - Chiese perplesso. - Insomma, non è rimasto più nessuno. - 

Hazel annuì, dandogli ragione, poi tirò fuori il telefono dalla tasca, mostrandolo al mago, e nel frattempo poggiò il dito sull’icona di Youtube. - Qui puoi trovare tutta la musica di oggi che vuoi e anche un sacco di video stupidi, come quelli in cui ci sono gatti che fanno cose. I gatti vanno forte su internet. - Spiegò. 

- Sì… i figli di Harry sono sempre attaccati a qualche schermo e ogni tanto mi fanno vedere qualcosa. - Disse Sirius. - Ma io proprio non riesco a imparare. Troppe funzioni. - 

- Ma come… e il tuo M.A.G.O. in babbanologia? - Lo prese in giro lei. 

Sirius alzò le spalle e sorrise. - Queste vostre nuove tecnologie sono roba di tutt’altro livello. - Rispose. - Preferisco i cari vecchi dischi per sentire la musica. - 

Hazel spostò gli occhi da lui allo stereo appoggiato su un piccolo mobile a qualche metro da loro. Si alzò, lo raggiunse e poi fece scorrere lo sguardo sulla lunga fila di cd sistemati sulla mensola lì accanto. - Il cd e i dischi ormai non li compra quasi più nessuno, ma qui ho qualcosa. Tipo questi qua… i Linkin Park, che sono il gruppo preferito di Janus, oppure i Coldplay, quando vuoi deprimerti ascoltando del pop molto pretenzioso. Ah e poi un sacco di raccolte da musical. Janus adora i musical, mentre io li trovo irritanti. - 

- E cosa sarebbero? - Domandò Sirius. 

Hazel si voltò verso di lui per guardarlo. - Si tratta di spettacoli o film in cui i personaggi alternano i dialoghi con delle canzoni e balli. - 

- Come Grease? - 

- Esattamente. - 

Sirius aggrottò la fronte ma sorrise. - Non è il sogno di tutti svegliarsi in un mondo in cui la gente risolve tutto cantando una canzone e facendo un balletto? - 

Anche Hazel sorrise. - Dovresti dire cose del genere quando c’è Janus, guadagneresti punti. - Commentò ridendo. - E comunque no, per me sarebbe un incubo, dico davvero! - 

- Sarebbe fantastico. - Insistette lui.  

- Ti giuro che mi ucciderei pur di sopportare una tale tortura. - Ribatté Hazel. 

Sirius alzò gli occhi al cielo continuando però a mantenere un sorriso sulle labbra, ma non disse niente, facendo piombare il salotto nel silenzio. Per un attimo si erano dimenticati entrambi degli anni che li avevano divisi. Ma nulla in realtà era come allora e quel silenzio pensante lo dimostrava: c’era stato un tempo in cui rimanere zitti non creava loro alcun disagio, anzi, Hazel era sempre stata convinta che i silenzi di Sirius dicessero molto di più della cascata di parole con cui spesso lui si riempiva la bocca. 

Il dolore la trapassò di nuovo e pur di frantumare quella fastidiosa quiete, Hazel si voltò, afferrò uno dei tanti cd e lo mise nello stereo, facendo partire una canzone. 

Pessima idea. 

Lui, ancora seduto sul divano, fissava in silenzio la schiena di lei, pensando che sarebbe stato facile alzarsi, attraversare quella stanza e stringere a sé quel corpo minuto. Ma non si mosse, bloccato dal fatto che non aveva idea di quale fosse lo stato d’animo di Hazel in quel preciso istante. Quando poi lei si voltò finalmente nella sua direzione, Sirius capì: era triste, molto. Lo si poteva notare dalle labbra serrate e gli occhi un po’ più lucidi del solito, dal modo in cui teneva strette le mani una dentro l’altra. 

Quando quella canzone tremendamente triste terminò, Sirius si alzò in piedi e si avvicinò a lei, che rimase ferma. Erano vicini, talmente vicini che gli sarebbe bastato chinarsi un po’ sul suo volto per poterla baciare. 

- Il tè si raffredda. - Disse Hazel, facendolo tornare alla realtà. 

Sirius annuì, leggendo tra le righe di quella frase: Hazel non voleva averlo troppo vicino e lui decise di rispettarla, facendosi indietro. 

- Janus arriverà tra poco. - Tornò a parlare lei, sedendosi nuovamente sul divano. - Ti va di restare per pranzo? - 

- Certamente. - 

Il resto della mattinata fu caratterizzata da un clima di gelido ma educato distacco. A quanto pareva questo era l’unico modo per Hazel di mantenere dei confini ben definiti. Non poteva lasciare che Sirius si avvicinasse a lei, né fisicamente né emotivamente, soprattutto perché anche solo il fatto di trovarsi da sola con lui in casa le procurava un forte senso di colpa. Pensava a Percy, al fatto che era certa che non avrebbe affatto approvato di trovarla lì con lui, e quando finalmente il campanello suonò, poco prima dell’ora di pranzo, Hazel si sentì sollevata. 

Sulla porta, Janus, Molly e Lucy ricambiarono il suo sguardo come se avessero letto sul suo volto tutto il suo disagio. - Sirius è in cucina, con il regalo per il tuo compleanno. - Spiegò guardando suo figlio e rispondendo alla loro silenziosa domanda. 

- E cosa mi ha regalato stavolta, un altro essere vivente? - Domandò il giovane, entrando in casa seguita dalle altre due e dal cagnolino. 

- In realtà una scopa da corsa. La migliore, a suo dire. - 

Janus non rispose, ma la sua espressione fu molto eloquente, dunque Hazel aggiunse un sussurrato “sii gentile”, mentre varcavano insieme la soglia della cucina. 

Lui era lì, intento a preparare il pranzo come se quella fosse casa sua, e non appena lo vide abbandonò sui fornelli la padella che aveva in mano e si avvicinò sorridendogli. 

- Eccoti, finalmente! - Esclamò allegro. - Buon compleanno! - 

Janus alzò i lati della bocca tenendo le labbra serrate. - Ti ringrazio. - Rispose, più freddo e rigido di quanto avesse volto. 

L’espressione di Sirius si increspò, come accadeva tutte le volte in cui si trovava davanti al muro che suo figlio aveva costruito per tenerlo lontano. Era così difficile. 

- Ti ho portato un regalo. - Gli disse, facendo un cenno verso la scopa male incartata poggiata al muro accanto alla porta. - È una Firebolt 3000, il manico di scopa usato dalla nostra nazionale. -  

Molly e Lucy, ad un passo dietro di lui, sgranarono gli occhi e si scambiarono uno sguardo estasiato, mentre Janus rimase impassibile. - Grazie. - Si limitò a dire. 

- Vuoi… vuoi provarla? - Tentò Sirius. - Qui intorno non dovrebbe vederti nessuno. - 

Lo stomaco di Janus si contorse. Non faceva un giro su una scopa dai tempi delle prime lezioni di volo a Hogwarts e nemmeno a quei tempi era un granché in quella disciplina. Poteva ammettere di non saper fare qualcosa, oppure trovare una scusa per aggirare la questione. Decise per la seconda: - Ho da studiare, ora proprio non posso. - Disse. - E comunque io non sono Harry. - 

- Lo so chi sei. - Assicurò Sirius.

- Non si direbbe. -  

- Perché dici così? - 

- Perché dai per scontato che ci piacciano le stesse cose, ad esempio. - Rispose il ragazzo in fretta. - Adesso scusa, ma devo proprio andare di sopra. - 

Non aspettò neppure una risposta, ma girò i tacchi e uscì dalla cucina, sparendo oltre la porta, lasciando Hazel, Sirius, Molly e Lucy alle sue spalle. 

Sirius, ancora in piedi vicino ai fornelli, indugiò qualche secondo e poi si mosse verso la porta, come se le sue gambe si fossero mosse da sole.   

- Dove vai? - Lo fermò Hazel ansiosa, poco prima che varcasse la soglia. 

- A parlarci, dove vuoi che vada? - Sbottò il mago, uscendo dalla cucina senza voltarsi. 

Attraversò il corridoio e poi salì le scale, facendosi attraversare dai ricordi che quella casa gli stava provocando da quando ci aveva rimesso piede. Gli sembrava quasi di poter rivedere sé stesso salire quelle stesse scale, esattamente come stava facendo in quel momento, Hazel che gli sorrideva dalla soglia della camera da letto, oppure Janus da piccolo, che gattonava in giro. 

Arrivò davanti alla porta chiusa della cameretta di suo figlio quasi senza rendersene conto, con la consapevolezza che nemmeno lui sapeva esattamente cosa dire. Che cosa doveva fare? Sgridarlo perché si comportava da stronzo, per caso? 

Alla fine, semplicemente, bussò. 

Silenzio. Nessuna risposta. 

- Jan? - Lo chiamò, attraverso la porta. Seguì quasi un lungo minuto di silenzio e poi Sirius sospirò, cercando di calmare un subdolo moto di rabbia che gli stava pian piano nascendo dentro. - Senti, credi che per me sia facile? Pensi che sia piacevole per me tutto questo? Io ci sto provando, ci sto provando con tutto me stesso, ma tu prima non avevi nemmeno due anni, eri un bambino dolce e simpatico e allegro, mentre adesso sei sempre così freddo e distaccato e incazzato… perché sei così incazzato, eh? Che cosa ti ho fatto? Pensi davvero che volessi sparire dietro quel velo per tutti questi anni? - 

Dall’altra parte della porta, di nuovo, nessuno risposte. 

- Sappi che non mi arrenderò mai con te. - Parlò ancora Sirius. 

E nemmeno con Hazel, pensò, ma non si azzardò a dirlo ad alta voce. 

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** Capitolo 34. Faccia a faccia ***


Capitolo 34

 

La mattina del primo settembre, Hazel aprì gli occhi più stanca di quanto non fosse stata la sera prima, ritrovandosi nella sua camera da letto, ma senza il corpo di Percy steso al suo fianco, cosa che le ricordò per quale motivo avesse dormito così male. 

Ormai lo sapeva bene: ogni volta che Percy partiva per questioni lavorative passando una o più notti fuori, o quando partiva lei per lo stesso motivo, riposare diventava più faticoso del solito. E pensare che per anni aveva dormito da sola senza sentire la necessità di nessuno che la stringesse forte quando faceva un brutto sogno, cosa che ultimamente le accadeva molto spesso, proprio come durante quegli anni di guerra. 

Percy c’era sempre, durante quelle sue crisi notturne: c’era quando vedeva di nuovo il corpo di sua madre steso sul pavimento, c’era quando Bellatrix arrivava per uccidere suo figlio, c’era quando gli auror arrestavano Sirius per portarlo di nuovo ad Azkaban, lontano da lei e dal loro bambino, che in quei sogni era ancora un innocente neonato.  Lei ovviamente c’era per lui, quando si svegliava con gli occhi pieni del terrore della battaglia e il cuore gonfio di sensi di colpa per la morte di Fred. 

Hazel si stiracchiò e poi si voltò verso il telefono abbandonato sul comodino accanto a letto. Lo afferrò e guardò l’ora. Erano le otto in punto. 

Si alzò dal letto con un piccolo lamento sommesso, attraversò la stanza e uscì, ritrovandosi nella penombra del corridoio silenzioso. Proprio davanti a lei, la porta della cameretta di suo figlio era appena accostata. Hazel la aprì silenziosamente del tutto e poi rimase ferma sulla soglia, osservando Janus che dormiva ancora, tutto raggomitolato nel lenzuolo leggero. Sembrava di nuovo un bambino quando dormiva, con quell’espressione insolitamente rilassata e i capelli scuri e spettinati che gli ricadevano sulla fronte. 

Hazel detestava ogni dannatissimo primo settembre da quando Janus aveva iniziato la scuola, perché voleva dire che il suo bambino andava via per tre lunghissimi mesi e lei sentiva ogni anno la sua mancanza, senza mai farci l’abitudine. 

Silenziosamente, si avvicinò al letto del ragazzo, sedendosi sul materasso. 

In quello stesso momento, Janus aprì gli occhi. - Mamma… - Mormorò assonnato. 

- Scusa, amore, non volevo svegliarti. - Sussurrò Hazel. - Dimentico sempre che hai il sonno leggero come tuo padre. - 

Janus sbadigliò e si mise seduto. - Che c’è, non riesci a dormire senza Percy? - Chiese.

- Anche, sì… - Ammise Hazel. - Ma sono le otto. Dobbiamo iniziare a prepararci. - 

Il giovane annuì, scrutando l’espressione triste della madre. - Mamma, guarda che torno per Natale, come tutti gli anni. - Le ricordò, come se le avesse letto la mente.  

- Lo so, ma è comunque difficile lasciarti andare, lo sai. - 

- Stanotte vai a dormire alla Tana, non restare qui da sola, che ti deprimi. - Disse Janus, alzandosi dal letto. - Oppure perché non chiedi a Dora di uscire? - 

- Sì, probabilmente lo farò. Non preoccuparti. - Lo rassicurò Hazel. - Comunque, a proposito di quando tornerai, immagino che Sirius vorrà passare le feste con te. - 

Lui, ancora confuso dal sonno, la guardò come se sua madre avesse parlato in un’altra lingua. - Non ci penso nemmeno. - Tagliò corto. - Se mi costringerai ad andare da lui giuro che quest’anno rimango a scuola. - 

- Ne parleremo poi, ho capito. - Sospirò Hazel. - Forza, alzati, andiamo a fare colazione. - 

Al piano di sotto, Neo stava dormendo beatamente sul divano, ormai a suo agio con i suoi nuovi padroni. Janus gli diede un rapido buffetto sulla testa e poi raggiunse la cucina.

- Verrà anche Sirius in stazione stamattina? - Domandò con disinteresse a sua madre, mentre riempiva il bollitore per il tè. 

- Sì, ci tiene molto ad accompagnarti. - Rispose Hazel, che intanto si era messa a tostare alcune fette di pane in cassetta. - Ti prego, almeno oggi, cerca di comportarti bene. - 

Janus mugugnò scontento, gli occhi sul bollitore e una tazza in mano, e poi sbuffò. - Ma che viene a fare? Ci guarderanno tutti! - Sbottò. 

- E tu lasciali guardare. Prima o poi si stancheranno. - Ribatté Hazel. 

- Il problema è che lui ha le manie di protagonismo, adora sentirsi coinvolto. - Obiettò Janus, infastidito. - Non si stancheranno mai se lui continuerà a dagli ciò che vogliono. -

Detestava tutte quelle attenzioni, ma almeno durante l’estate era riuscito a evitarle. Sirius, invece, sembrava sempre a proprio agio davanti a tutti quegli occhi: se ne fregava degli sguardi indiscreti che si beccava a Diagon Alley e aveva perfino rilasciato qualche intervista. 

Poi c’era Hazel, che come Janus aveva deciso di tenersi ben lontana dai luoghi di aggregazione della società dei maghi, imbarazzata per quel che dicevano su di lei. 

- Magari rispondere alle loro domande e farsi vedere in giro normalizzerà la cosa. - Cercò di convincerlo Hazel, sedendosi davanti al ragazzo. - Andrà bene, vedrai. - 

Janus sospirò, stringendo la tazza bollente tra le mani. - L’unica cosa che mi consola è che da domani in poi potrò stargli lontano per tre mesi. - Borbottò, beccandosi un’occhiataccia. - Che c’è? Mica deve starmi simpatico per forza. - 

- Potresti almeno provarci però. - Ribatté Hazel. 

- Anche se ne avessi voglia non saprei da dove cominciare dato che non abbiamo niente in comune. E meno male, aggiungerei. Se fossi come lui probabilmente mi ucciderei. - 

Hazel lo guardò di nuovo malissimo, poi abbassò lo sguardo sulla sua fetta di pane tostato, iniziando a spalmarci sopra con cura un po’ di marmellata. - In realtà qualcosa in comune ce l’avete. - Rispose con nonchalance. - Lo sai che gli piacciono i musical? - 

- Avrà guardato Grease una volta nel 1978. - Rispose Janus.  

- Be’ vi piace la musica babbana in generale. - Buttò lì Hazel, in un palese tentativo di arrampicarsi sugli specchi. - E anche i film, gli piaceva… guardarli. - 

Janus alzò gli occhi al cielo. - Gli piaceva guardarli, un vero intenditore… mamma, davvero, come hai fatto a innamorarti di lui? È stupido, un superficiale! - 

- Il fatto che lui non sia una persona che ti sbatte in faccia quante cose sa, come tra l’altro fa Percy, non vuol dire che sia uno stupido superficiale. - Protestò Hazel. - Lui è divertente, spontaneo, intelligente, ha un grande spirito di adattamento, è molto avventuroso… e poi è leale, molto leale. Ricorda sempre le date importanti; con lui puoi star sicuro: non dimenticherà nemmeno un compleanno, nemmeno la più stupida ricorrenza. È un ottimo amico, il migliore che io abbia mai avuto, e mi faceva sentire come se tutto fosse stato possibile. Per questo mi sono innamorata di lui tempo fa. - 

Janus non disse niente, ma continuò a osservare sua madre con interesse. Poi il campanello suonò e si lasciò sfuggire un sospiro sconsolato. 

- Dev’essere lui. - Disse Hazel prima di alzarsi per andare ad aprire. - Mi raccomando, sii gentile. Non ti deve piacere per forza, ma devi rispettarlo. - 

Il giovane non rispose, ma si portò la tazza alla bocca e attese di veder tornare sua madre insieme a suo padre, cosa che accadde giusto qualche secondo dopo. 

- Buongiorno! - Esclamò allegramente Sirius. 

Janus prese un respiro profondo, indossò un sorriso un po’ troppo tirato e poi si voltò verso la porta da cui suo padre era appena entrato seguito da Hazel. - Buongiorno. - Ricambiò educatamente il saluto. 

- Siediti, Sirius, fa colazione con noi. - Disse Hazel, invitandolo ad accomodarsi. 

L’uomo apparve per un attimo interdetto, ma obbedì e si sedette accanto a lei, per poi guardarsi intorno. - Dov’è Percy? - Domandò con un tono speranzoso. 

- È via per lavoro, tornerà tra due giorni. - Spiegò Hazel in fretta. - Tè? - 

- Sì, grazie, Hazel. - Rispose lui, e poi posò lo sguardo sul ragazzo seduto davanti a sé, dall’altra parte del tavolo. - Allora… sesto anno, eh. - 

- Sì. - 

- È un bell’anno. - 

- Già. - 

Sirius strinse le labbra e annuì, e nel frattempo Hazel gli mise una tazza davanti e si sedette di nuovo al suo fianco. 

- Studierai molte cose interessanti, ma non è un anno difficile. E poi pare che tu sia molto portato per lo studio. - Continuò l’uomo. 

Janus annuì in fretta e non proferì parola, cosa che permise a Hazel di intervenire: - È bravo anche con le materie babbane. - Disse. 

Sirius la guardò sorpreso. - Perché, studia anche materie babbane? - Chiese. 

- Mamma dice che può tornarmi utile avere anche un diploma babbano, quindi studio per conto mio durante tutto l’anno e poi faccio un esame ridicolo in una scuola privata a giugno, quando torno da Hogwarts. - Rispose Janus. 

- È una cosa buona. - Commentò Sirius. - Io non sapevo molto sulla cultura babbana prima di incontrare Hazel. Avevo studiato babbanologia a scuola, ma insegnata da una professoressa con dei poteri magici, su libri scritti per maghi, non era come avere a che fare per davvero con le cose dei babbani. - 

- Per lui era entusiasmante usare il telefono fisso che avevo in casa. - Disse Hazel. - Per non parlare di tutti gli elettrodomestici che ha rotto nel tentativo di incantarli. - 

- Lo facevo perché volevo semplificarti la vita. - Ribatté Sirius, sogghignando. 

- Oh no, non ci provare, lo facevi perché ti piace sperimentare! - Rise lei; poi, come se si fosse ricordata di non dargli tutta quella confidenza, diede un’occhiata all’orologio appeso sopra la porta, aggiunse: - Forse è meglio se iniziamo a prepararci. Si sta facendo tardi. -  


Qualche ora più dopo, davanti al treno scarlatto e circondato dagli sguardi indiscreti delle persone che riempivano il binario 9 e ¾, Sirius si rese conto che accompagnare Janus al binario era stata una pessima idea. Sapeva bene ciò che i giornali di gossip scrivevano su di lui e su Hazel, era consapevole dell’attenzione mediatica che si trascinava addosso ovunque andasse e si domandò se forse sarebbe stato meglio salutare suo figlio lontano da tutti quegli sguardi.

Se quando passeggiava a Diagon Alley, si sentiva osservato dai passanti che si aggiravano tra le vetrine dei negozi, lì in stazione riusciva a notare ogni occhiata che la folla gli stava lanciando, e anche a percepire ogni sussurro che usciva dalle loro bocche velenose.

Mentre avanzava tra il vapore che usciva dalla locomotiva, Sirius lanciò uno sguardo di sfuggita verso Hazel. Lei appariva calma e impassibile, a suo agio: probabilmente il fatto di essere un’insegnante le aveva tolto di dosso molta della sua timidezza, ma era davvero sorpreso di come tutte quelle occhiate sembrassero scivolarle addosso con così tanta facilità. 

Dietro di loro, Janus si trascinava a passo di lumaca e con gli occhi puntati a terra, come se nelle sue scarpe ci fosse qualcosa di molto interessante da guardare. Avrebbe dato qualsiasi cosa per diventare invisibile in quel preciso momento, tornare ad essere solo uno dei tanti che in quel momento partiva per iniziare l’anno scolastico.

Di tanto in tanto, Hazel si voltava verso di lui, come per controllare che suo figlio ci fosse ancora, rivolgendogli degli sguardi che sembravano quasi dire “tieni duro, finirà presto”.

Quando finalmente tutti e tre giunsero più vicini al treno, Janus si sentì un po’ meglio, consapevole che di lì a poco sarebbe partito, lasciandosi alle spalle tutte quelle attenzioni indesiderate. 

Con un sospiro sconsolato, il ragazzo alzò finalmente la testa, lasciando che il suo sguardo si perdesse tra la folla. Visi conosciuti e sconosciuti si accalcavano sulla banchina, i genitori abbracciavano i figli, gli amici si riunivano dopo l’estate e alcuni gatti si strusciavano sulle gambe dei propri padroni, mentre le civette e i gufi si chiamavano tra loro a gran voce dalle gabbie. 

Qualche scompartimento più a destra, intenti a salire sulla locomotiva scarlatta, Janus notò la presenza di Faye e del suo fidanzato, Ikaris. Si trattava di un bel ragazzo dai capelli biondi, alto e decisamente atletico, gli occhi verdi e lucenti su un viso liscio e pallido come porcellana che gli dava un’aria irritante da principe azzurro. Ma non era solo bello; no, Ikaris Farley era talentuoso nel quidditch e abbastanza costante nello studio da risultare uno studente meritevole, piaceva alle ragazze e, come se non bastasse, tutti lo consideravano simpatico e divertente. Insomma, Janus non poteva competere. 

Quando lo vide, Faye gli sorrise e lo salutò con una mano, e lui ricambiò con lo stesso gesto. Poi Ikaris la baciò, quasi come a voler sottolineare che era solo sua, e Janus sentì la familiare fitta allo stomaco che provava ogni volta che li vedeva lasciarsi andare a qualche tenerezza.

- Non ci credo, la tua amica ha un fidanzato. - Disse all’improvviso Sirius alle sue spalle. 

Janus si voltò per guardarlo, rivolgendogli uno sguardo infastidito, ma non rispose. 

- Secondo me con lei sbagli approccio con lei. - Continuò l’uomo. 

- Non so di cosa tu stia parlando. - Rispose freddamente Janus. 

Sirius lo guardò scettico e sogghignò. - Del fatto che muori dietro a quella ragazza, è così palese. - Spiegò leggero. - Peccato che tu per lei sia solo un amico. Com’è che ha detto l’altra volta? Ah, sì, sei il suo James Potter. Dev’essere dura da digerire. - 

Sul volto di Janus apparve un’espressione di sdegno e Sirius pensò che almeno, per una volta, suo figlio non lo stava ignorando totalmente. Il ragazzo aprì la bocca per parlare, ma il padre lo anticipò: - Il fatto è che credo che sappia che hai una bella cotta per lei, e probabilmente anche a lei piaci, solo che non lo sa ancora. - Disse. 

Janus si lasciò sfuggire un verso sprezzante e incrociò le braccia sul petto, ma non si mosse, quasi come se fosse in qualche modo interessato a ciò che l’altro aveva da dire. 

- Senti, è complicato da spiegare, ma fidati di me: devi ignorarla se vuoi che si accorga di te in quel senso, capisci? Esci con un’altra e magari sottolinea anche il fatto che te le scoperesti tutte; tutte ma non lei. La prenderà sul personale. - 

Janus sgranò gli occhi e socchiuse la bocca, incredulo e un po’ imbarazzato da quella conversazione surreale. Come era possibile che un tipo del genere avesse contribuito a crearlo? Decise di non fare polemiche e si limitò ad annuire, poi finalmente il treno fischiò per la prima volta e Hazel li raggiunse, salvandolo.  

- Eccovi qui, vi avevo perso nella folla. Sei pronto, Jan? -  

Janus, che mai fu più felice di vedere sua madre, annuì e Hazel lo abbracciò e lo baciò nonostante le proteste, proprio come tutti gli anni, mentre Sirius lo salutò un po’ goffamente dandogli una pacca sulla spalla. 

Il ragazzo salì a bordo e subito sparì lungo il corridoio pieno di studenti, dopo un minuto le porte si chiusero e la locomotiva partì. 

Hazel guardò il treno finché non svoltò l’angolo e quando anche l’ultimo sbuffo di fumo si diradò fino a scomparire contro il cielo grigio, percepì la solita spiacevole sensazione. Era così difficile lasciarlo andare. 

Si voltò verso Sirius e lo guardò. Adesso che Janus era partito non c’era più motivo per loro due di incontrarsi e la cosa la rendeva un po’ triste. - Allora… ci vediamo. - Disse dopo un sospiro. 

Lui annuì e basta e poi insieme cominciarono a dirigersi verso la barriera che divideva il binario dal mondo babbano. - Ho finito di sistemare casa mia. - La informò lui ad un certo punto. - Stasera… se vuoi potresti venire a cena. Così vedi dove abito e il resto. -  

Hazel si fermò di botto e aggrottò la fronte. - Solamente io e te? - Chiese cauta. 

Sirius ghignò. - Hai paura di non riuscire a resistermi, ammettilo. - 

- Non essere sciocco. - Ribatté lei, tornando a camminare. - Non posso, ho delle cose da fare… magari quando Percy tornerà possiamo organizzare qualcosa. - 

- È come dico io, hai paura. - Rimarcò Sirius. - Io voglio essere tuo amico, voglio avere un rapporto anche con te, non solo con Janus. - 

- Noi siamo già amici, Sirius. - 

Lui sbuffò e si fermò, obbligando lei a fare lo stesso. - Hazel. - Disse, guardandola dritta negli occhi. - Per favore, è solo una cena. Non ci proverò con te, te lo assicuro. Insomma, stai pur sempre per sposarti. - 

Lei arrossì senza un vero motivo e poi sospirò. - Va bene, verrò a cena da te. - Si arrese alla fine. - Mandami l’indirizzo. -

- Davvero? - Chiese lui, entusiasta. 

Hazel, suo malgrado, sorrise e poi annuì. - Ci vediamo stasera. - Assicurò. - Hai già fatto la spesa o prendo io qualcosa da asporto? Magari qualcosa che non hai mai provato. - 

Sirius annuì. - Sì, scegli tu, lo sai che mi piace tutto. - 

Lei annuì. - Allora a dopo. - Disse. 

Poi si allontanò e sparì dietro alla barriera. 

 

°°°°°°

 

Tutto, in casa sua, era rimasto più o meno com’era nel 1981. C’era ancora il suo divano rosso davanti al camino, le fotografie della sua gioventù erano tutte attaccate alle pareti, - salvo quelle in cui appariva anche Peter, - il giradischi era appoggiato su un piccolo mobiletto di legno che aveva raccattato in un mercatino in cui Lily e James lo avevano trascinato secoli prima, e anche quel basso elettrico che aveva comprato a quindici anni giusto per far irritare i suoi genitori, e mai realmente suonato, era ancora abbandonato in un angolo del salotto. Era come ritrovarsi in una capsula del tempo e questo lo turbava e lo faceva sentire bene allo stesso tempo: da una parte si sentiva male perché quella casa gli ricordava la sua vita sprecata ad Azkaban, dall’altra era felice per il fatto che, almeno lì, si sentisse proprio nel suo elemento. 

Seduto sul divano scarlatto, con una bottiglia di burrobirra portata da Tonks in una mano e lo sguardo rivolto al camino spento, Sirius sentiva sua cugina che parlava di qualcosa che riguardava Teddy senza però darle troppa attenzione. 

- … e alla fine Ted è riuscito a far tornare la sua faccia come al solito… Sirius? Mi stai ascoltando o no? - Lo richiamò Tonks, facendolo sobbalzare. 

- Sì, sì, Teddy e le sue trasformazioni. - Rispose annuendo e poi prese un respiro profondo. - Senti, Dora… ma Hazel e Percy secondo te fanno sul serio? - Domandò. 

Tonks aggrottò le sopracciglia, turbata e perplessa insieme. - Stanno insieme da cinque anni, che razza di domanda è? - Sbottò, sconcertata. 

- Sì ma… che ci trova lei in lui? Che hanno in comune? - Sondò il mago, prima di portarsi la bottiglia alle labbra. - Lui è così… diverso dal suo tipo ideale. - 

- Diverso dal suo tipo ideale di quando aveva una ventina d’anni. - Lo corresse Dora, e poi anche lei bevve. - In realtà sono carini insieme, a modo loro ovviamente. - 

- Che cosa intendi dire? - 

Tonks mosse una mano in aria con sconclusionato. - Hanno molte cose in comune, tipo tutti quei libri che leggono insieme. Lei lo porta alle mostre... - Tentò di spiegare. - E poi parlano con parole inventate da loro di argomenti che nessuno può capire. Insomma, vanno molto d’accordo, molto più di te e lei quando stavate ancora insieme. Lui è un’altra persona da quando c’è Hazel, e Hazel è molto più in pace da quando c’è Percy. - 

Sirius rimase in silenzio, bevve un goccio di burrobirra e poi posò la bottiglia a terra, unendo le mani davanti a sé, lo sguardo su Dora. - Tu quindi credi che Hazel sia felice con quel coglione? - Domandò, serio. - Più felice di com’era insieme a me? - 

- Non credo che sia possibile fare un vero paragone, la vostra situazione è molto strana. - Rispose Tonks. - Vi amavate e questo era chiaro, ma adesso… senti, non lo so. - 

- Dora, devi dirmi se faccio bene a mettermi tra lei e quello lì o meno. - Insistette Sirius, poi sbuffò e si passò una mano sul volto stanco. - Ho bisogno di Remus, di certo saprebbe come risolvere la questione. - 

Ninfadora accennò un sorriso triste. - Remus credeva tanto in voi. - Svelò. 

- Lo so, se non ci fosse stato lui probabilmente lei mi avrebbe lasciato subito dopo la nascita di Janus, e avrebbe fatto bene. - Mormorò Sirius. - E comunque anche io e Hazel credevamo in voi due. Non ci posso credere che mi sono perso il vostro matrimonio. - 

- È stata una cerimonia molto intima, in una locanda a nord. - Raccontò Tonks. 

Sirius osservò sua cugina. C’era qualcosa sul suo volto che faceva capire chiaramente quanto fosse ancora rotta dentro. 

- Ad ogni modo, secondo me, non dovresti metterti in mezzo tra Hazel e Percy. - Parlò di nuovo Dora. - Sono innamorati, so che è difficile da accettare, ma è la verità. Devi andare avanti, magari potresti trovarti una distrazione, uscire con qualcuno. - 

Sirius sospirò. - Non esco con una donna dall’inizio degli anni ottanta. - Disse sconfitto e affranto. - Non saprei da dove cominciare, né come comportarmi. - 

- Prima di tutto devi scaricare Tinder. - Asserì Tonks. 

Sirius aggrottò la fronte. - E cosa vuol dire? - Chiese perplesso. 

- È un’applicazione per conoscere persone nuove. - Spiegò Dora, tirando fuori il suo telefono dalla tasca e mostrandogli di cosa si trattava. - La possibilità di incontrare un mago o una strega è bassissima, quindi nessuno uscirà con te solo per conoscere il tizio che è resuscitato. Bastano un paio di foto in cui sei venuto bene, una descrizione in cui dici ciò che vogliono sentirsi dire e secondo me non avrai difficoltà. - 

Sirius batté le palpebre, incredulo. - Quindi è una sorta di catalogo ma per le relazioni? I babbani sono pazzi, fuori di testa. - Sentenziò. - E funziona? Insomma, tu hai conosciuto qualcuno? - 

- Sì, qualcuno sì. - Fece Tonks, e poi gli mostrò il profilo di un tale. - Ad esempio sono uscita con questo qui qualche sabato fa. Siamo andati a cena in un ristorante in centro a Londra e poi a casa sua per “guardare un film”. - Dicendo questo, la strega disegnò due virgolette immaginarie con le dita.  

Lui sembrò ancora interdetto. 

- Senti, non ti sto dicendo che devi metterti a cercare l’amore della tua vita, Sirius. - Continuò Dora. - Insomma, non è tutto bianco o tutto nero, nel mezzo c’è un’infinità di altri colori. Devi solo provare a distrarti un po’, uscire, fare tutte quelle cose che non hai mai potuto fare, e poi… chissà. -

- Non sono convinto. - Borbottò lui, incrociando le braccia sul petto. - Comunque oggi Hazel verrà a cena. - Rivelò. 

Tonks alzò le sopracciglia. - E perché sei ancora qui, su questo divano insieme a me e con quella orribile e vecchissima maglietta addosso? - 

- Perché me l’ha regalata James, l’ho trovata in un armadio poco fa, e mi fa star meglio. - Spiegò senza paura di sembrare un sentimentale. - Cosa dovrei mettermi, scusa? - 

- Qualcosa che possa renderti almeno più carino di Percy, magari? - 

Sirius fece un verso sprezzante. - Non è che ci voglia tanto. - Ribatté. 

- Non è così male. - Obiettò Dora. - Se ti piace il genere può riscuotere un certo fascino. - 

Il mago mugugnò qualcosa di incomprensibile e affondò ancor di più nel cuscino scarlatto del divano. - Dici che dovrei darmi una sistemata? - Domandò poi. 

- Sì, almeno fatti la barba. - Consigliò Tonks. 

- Ma a lei piaceva così. - Rispose Sirius, toccandosi il volto. 

Dora alzò gli occhi al cielo. - Aveva vent’anni e la sua cotta era Kurt Cobain, adesso ne ha trentasette e sta per sposare il signor Perfettini, ma fai un po’ tu, cugino. - Disse, prima di alzarsi in piedi. - Sono quasi le otto, è meglio che vada visto che hai questo appuntamento galante. - 

- Sì, come no, appuntamento galante… probabilmente lei verrà in pigiama. - Ipotizzò Sirius, accompagnando Dora alla porta. 

- Non credo che abbia dei pigiami, secondo me indossa uno dei suoi abitini costosi da donna in carriera anche mentre dorme. - Sogghignò Tonks. - E Percy ovviamente farà lo stesso. Sai che non l’ho mai visto senza cravatta? - 

- Che uomo irritante. - Convenne Sirius. - Comunque, salutami Andromeda. Anzi, perché tu e lei non venite a pranzo? Così inauguriamo la casa. - 

- Quando vuoi mandami un gufo. - Disse Tonks, mettendogli una mano sulla spalla. - Cerca di non fare niente di stupido o azzardato, non rovinare anche il rapporto che tu e Hazel avete ora, intesi? - 

Sirius annuì e Ninfadora varcò la soglia. - Non ti preoccupare. -

- Domani mattina passo per sapere com'è andata. - Aggiunse Ninfadora e poi si smaterializzò lasciandolo solo sull’uscio.

Sirius tornò sul divano e attese per un tempo che gli parve un'eternità prima che il campanello suonasse. 

Diede un’occhiata all’orologio, rendendosi conto che Hazel era arrivata con un’ora di ritardo. Si alzò, raggiunse l’entrata, dandosi prima un rapido sguardo disgustato allo specchio, e poi spalancò finalmente la porta, ritrovandosela davanti. 

Hazel non indossava il pigiama ma bensì un vestito di maglia color salmone sotto una giacca leggera adatta all’inizio dell’autunno, mentre le sue gambe erano coperte da un paio di calze decorate a pois. Inoltre si era truccata, cosa che faceva solo in occasioni particolari. Tra le mani teneva un sacchetto che probabilmente conteneva la cena. 

Sirius la fissò per qualche secondo e la trovò bellissima, ma si sentì un perfetto idiota con indosso quella vecchia maglietta risalente al 1976. 

- Perdona il ritardo, c’era tanta fila al ristorante giapponese in cui ho preso il sushi. - Disse lei, facendo un sorriso di scuse e mostrando il sacchetto che aveva in mano. - Mi fai entrare o vuoi mangiare qui al freddo? - 

Lui si affrettò a farsi di lato, lasciandola passare, ma senza staccarle gli occhi di dosso.

Hazel si tolse la giacca e poi seguì Sirius verso il soggiorno, guardandosi attorno. - Bella casa, molto vintage. - Commentò. 

- Sì, i mobili sono gli stessi di molti anni fa. È bastato pulire tutto, trattare un paio di mollicci ed ecco qui. Per fortuna non era infestata come Grimmauld Place, altrimenti sarei dovuto rimanere da Harry per qualche altra settimana. -  

Sirius si lasciò cadere sul divano e Hazel fece lo stesso, tirando fuori dalla busta la cena e una bottiglia contenente del liquido trasparente, dei limoni e un pacco di sale.

- Perché il sale e il limone? - Domandò Sirius, perplesso. 

- Per la tequila, si beve con il limone e il sale. - Rispose lei, passando al mago un paio di bacchette e poi, davanti all’espressione perplessa di lui, aggiunse: - Si tratta di un alcolico babbano che di solito si beve con il sale e il limone. Non so se potrebbe piacerti, ma secondo me sta bene con il pesce. Avevo pensato di prendere del sakè, ma lo trovo davvero terrificante. Certo, sarebbe stato più tradizionale… - 

- Non ho idea di cosa sia il sakè, ma se è terrificante mi fido. - Disse Sirius, osservando con interesse quelle strane fettine di pesce crudo messe su mucchietti di riso. 

Alla fine della cena, Sirius decise che il sushi gli piaceva, ma che per lui le bacchette sarebbero rimaste quelle con cui si lanciavano gli incantesimi. 

Nonostante fosse già successo in Scozia solo poche settimane prima, era ancora strano ritrovarsi in casa da solo con lei. Ad ogni modo, più tardi, la tequila li aiutò a sciogliersi un po’ e presto si ritrovarono a ridere insieme, senza più ritrarsi se si sfioravano per sbaglio. Hazel si era liberata delle calze e delle scarpe, e adesso se ne stava appollaiata al suo fianco, con quell’espressione spensierata che aveva durante quelle prime sere che avevano passato insieme, ormai una vita fa. Sembrava più giovane ora che si era tolta di dosso quella maschera da donna adulta e responsabile e, ogni volta che la sua risata riempiva l’aria, Sirius doveva trattenere l’impulso di baciarla.

- Ho dato consigli sulle ragazze a Jan, oggi in stazione. - Disse Sirius, ad un certo punto, con un pigro sorrisetto dipinto in volto. - Stava lì, che fissava quella sua amica… Faye. La fissava mentre stava con il fidanzato. Quindi gli ho spiegato come fare per conquistarla. - 

- Cosa gli hai detto? - Domandò Hazel, preoccupata e divertita insieme. 

- Di ignorarla e uscire con un’altra. - Rispose Sirius, annuendo convinto. - Poi deve farle capire che non se la farebbe mai, che se le scoperebbe tutte tranne lei. - 

- Guarda che il mio bambino non fa certi pensieri impuri e perversi. - Biascicò Hazel, guardandolo male. - È un angioletto senza impulsi. - 

Sirius rise e scosse la testa. - Ha sedici anni, la sua vita gira tutta intorno agli impulsi. - Spiegò. - Conquisterà la sua amica e sarà merito mio. Vedrai, comincerò a piacergli. - 

Hazel sospirò e alzò gli occhi al cielo, ma sorrise. - Pensa quanto sarebbe facile cercare semplicemente di conoscerlo. - Disse, paziente. 

- Se lui fosse un po’ più disponibile nei miei confronti lo farei volentieri. - Rispose Sirius, un po’ accigliato. - Cosa gli piace? Quali sono i suoi argomenti preferiti? -  

Hazel ci pensò su, prese il bicchiere poggiato sul tavolino e bevve, prendendosi tutto il tempo necessario per rispondere. - Gli piacciono i videogiochi, la cultura giapponese, i romanzi considerati da intellettuali e lo stesso vale per i film, ma guarda anche molte serie tv. E poi ovviamente la musica, più che ascoltarla preferisce suonarla… ho cresciuto un vero egocentrico. - Disse pensierosa. - Poi ama parlare di filosofia e di arte, ma solo perché gli piace mettersi un po’ in mostra, far capire quanto è sveglio… ah, poi la politica, ma quella gli piace sul serio. -  

- È come te sulla politica? - Domandò Sirius.

Lei aggrottò la fronte, sorpresa da quella domanda. - In che senso? - Chiese a sua volta. 

- Un comunista. - 

Hazel lo guardò prima molto seria e poi scoppiò a ridere. - Direi di sì, ma in modo molto più moderato rispetto a com’ero io, che alla sua età avevo un poster di Che Guevara attaccato in camera mia e un criceto di nome Lenin. - Disse, e poi pian piano il suo sorriso si spense. - Ma poi il passare degli anni ti disillude e la fiamma della rivoluzione che ti ardeva dentro si spegne e tu finisci per sposare un conservatore e a odiare le manifestazioni perché bloccano il traffico. - 

- È così deprimente detta così. - Bofonchiò Sirius, versandosi un po’ di tequila. 

- Lo è, ma è la vita, tovarisc, è la vita. - Sospirò lei, porgendogli il bicchiere. - Dovremmo brindare alle fiamme che si spengono, ai sogni infranti e alla speranza che prima o poi il Regno Unito diventi una repubblica… cazzo, avrei dovuto portare della vodka. - 

- Sei ubriaca. - Osservò Sirius sogghignando. - Dici cose del genere quando lo sei. - 

- Però ho ragione. - Ribatté Hazel, e poi buttò giù. 

- Quindi è questo che ti hanno insegnato al college? - Fece lui, subito dopo. - Come ubriacarsi senza farlo sembrare deprimente? - 

Hazel annuì. - Non che io sia stata a chissà quante feste universitarie. - Si affrettò a chiarire. - Janus era piccolo, ma in realtà ero io che non avevo voglia di uscire di casa. Mi mancavi, ero depressa, insomma, niente di nuovo. -  

- Anche tu mi mancavi. - Disse lui, dopo qualche secondo di silenzio. - Quei mesi senza di te sono stati terrificanti. - 

L’espressione rilassata di Hazel si increspò. - Be’, l’hai voluto tu, se non sbaglio. Sì, insomma, dopotutto non mi amavi, per te ero solo una sorta di rifugio. - 

Sirius si sentì gelare. D’un tratto il tono della conversazione era cambiato. - Hazel, lo sai che non dicevo sul serio, lo sai. - Le disse. 

- No, non lo so. - Sbottò lei. - Come faccio a saperlo? Io non so niente. - 

- Vuoi seriamente parlare di questo adesso? - Chiese Sirius. - Che ti prende? - 

Sul viso di Hazel apparve una chiara espressione di rabbia e si lasciò andare ad un verso sprezzante. All’improvviso la temperatura in quella stanza sembrò essere calata sotto lo zero. 

- Prima o poi dovremmo farlo, non credi? O vuoi sentirti dire solo che mi sei mancato? - Gli domandò lei gelidamente. - È questo che vuoi? Sentirti dire che mi sei mancato così tanto da farmi male fisicamente? Mi sei mancato ogni singolo giorno, ma questo non conta niente, perché non cancella ciò che hai fatto. - 

Sirius rimase zitto e fermo, consapevole di essersi infilato in una conversazione difficile e di non essere abbastanza lucido per affrontarla. - Mi dispiace tanto. - Si limitò a dire. 

Lei rise senza nessuna allegria. - Ti dispiace tanto. Ti dispiace… non hai idea di ciò che abbiamo passato io e Janus. - Disse. - Sei riuscito a rovinare tutto quello che avevamo e ora te ne stai lì, che mi guardi con quella faccia da cane bastonato, come se fossi tu quello che sta soffrendo. -

- Mi pare di essere io quello che è morto, o mi sbaglio? - 

Gli occhi di Hazel si ridussero a due strette fessure. - Tu pensi sul serio che io abbia avuto una vita, durante tutti questi anni? - Lo interrogò, improvvisamente tremante e furiosa, scattando in piedi. 

- Bé sì, hai un buon lavoro, una bella casa, degli amici, ti stai per sposare… mi sembra che ce tu l’abbia avuta un vita e anche una gran bella vita. - 

- Tutto quello che ho fatto è stato sopravvivere in funzione di nostro figlio, cercare di gestire i suoi poteri al meglio delle mie capacità, cercare di farlo star bene e tentare di dargli la vita agiata che io non ho mai avuto. - Sbottò Hazel con forza. - Quindi, per una volta nella tua esistenza, accetta il fatto che non si tratti di te, che non sei tu ad essere al centro della questione. Si tratta di me, si tratta del nostro figlio, un ragazzo a cui tu hai tolto ogni possibilità di avere un’infanzia serena! Io… ti detesto, Sirius, ti detesto e preferirei di gran lunga non averti mai conosciuto! - 

Il silenzio aleggiò nuovamente su tutta la casa come una densa cortina di fumo nero e denso. Sirius rimase immobile a guardare Hazel che riprendeva fiato dopo che gli aveva gridato contro, tacque consapevole che ogni parola sarebbe stata vana. Non l’aveva mai vista così arrabbiata, anzi non la credeva minimamente capace di tale furia sebbene fosse consapevole che tra loro non fosse tutto come prima. Ma se prima era certo che lei lo avrebbe perdonato, adesso la paura del contrario iniziava a farsi strada nella sua mente. 

Sirius non aveva messo in conto lo scorrere del tempo, gli anni che avevano reso Hazel dura e fredda come la più antica delle rocce: si era innamorato di una ragazzina appena ventenne dal cuore talmente puro e ingenuo da aiutare un totale sconosciuto e adesso si ritrovava davanti ad una donna adulta che di quella persona non possedeva più nulla. 

- Io me ne vado. - Disse Hazel, afferrando le calze e infilandosi rapidamente le scarpe, prima di muoversi verso l’uscita del salotto.

- Hazel, per favore… ti prego, almeno parliamone. - La supplicò lui, andandole dietro. 

Le afferrò una mano e solo in quel momento Hazel si voltò di nuovo nella sua direzione, fermandosi. Lo fissò piena di rabbia per una manciata di secondi, quasi come se stesse cercando di memorizzare ogni dettaglio della sua faccia, poi allungò una mano incerta verso il viso di lui, accarezzandogli una guancia ruvida.

- Non riesco a perdonarti. - Confesso Hazel tristemente. - È più forte di me, non ci riesco. Ci ho provato e riprovato ma non ci riesco. Forse non ti amo abbastanza. - 

- Però mi ami? - Sirius posò una mano sulla sua e la strinse come se da quel contatto dipendesse la sopravvivenza di ogni essere umano sulla faccia della terra.  

Lei scosse la testa. - No. - Ripose, la voce soffocata nella sua gola. - Non credo, c’è troppa rabbia, troppo rancore. Ma so che non riuscirò nemmeno ad essere solo una tua semplice amica. - 

- Perché no? - Chiese lui. 

- Perché sono attratta da te. - Svelò Hazel. - Non posso andare avanti con la mia vita se tu mi inviti a cena a casa tua e poi mi fissi in quel modo per tutto il tempo, non posso passare ogni momento in tua compagnia tentando di reprimere o ignorare il fatto che tutto quello che vorrei fare è spogliarti… e credo di essere un po’ brilla, quindi so che se rimango qui finirò a letto con te e io non voglio. Non voglio farlo e non posso farlo, perché io a contrario di te sono una brava persona. Sono una persona matura e responsabile, e Percy… non posso… - 

Sirius spalancò gli occhi e socchiuse la bocca per poter parlare, ma nessuna parola riuscì a sgorgare dalla sua gola improvvisamente secca. Gli girava la testa, era annebbiato e dunque decise che forse non c’era poi così tanto bisogno di parole: fece un passo nella sua direzione, cancellando una volta per tutte la distanza che li divideva e premette bruscamente le labbra su quelle di lei. La sentì irrigidirsi tra le sue braccia ma, dopo quell’attimo di totale sgomento, Hazel rispose a quel contatto con inaspettato impeto. 

Sirius fece scorrere le mani su tutto il suo corpo di lei, scendendo intanto con la bocca fino a baciarle il collo e spingendola delicatamente verso la porta d’ingresso. La sentì gemere sommessamente mentre la stringeva e quel suono delicato e caldo gli rimbalzò in testa e lo incitò a infilare una mano sotto il vestito di lei, accarezzando la pelle nuda delle sue gambe. 

Fu quello il momento in cui lei si riscosse: lo spinse indietro, il fiato corto e gli occhi spalancati.  

- Non posso. - Mormorò a voce talmente bassa da essere appena percettibile. 

Sirius la guardò confuso. - Non puoi o non vuoi? - Le chiese. 

Le labbra di Hazel tremarono e i suoi occhi si inumidirono. - Non posso. Non posso fare una cosa del genere. - Disse con la voce soffocata.

- È per quello lì, non è vero? Quell’idiota. - Intuì Sirius con rabbia. 

- Se ti riferisci a Percy, sì, è per lui che non mi sembra il caso di venire a letto con te. - 

Lo sguardo di Sirius di indurì. - Non ci posso credere, sei davvero innamorata di lui allora. - Disse, prima di scoppiare a ridere come se questo fosse un fatto molto divertente, lasciandola di stucco. 

- Ma che… cos’hai diamine hai da ridere, eh? - Sbraitò Hazel.   

Sirius prese un respiro profondo, cercando di tornare serio con scarso successo. - Scusa, solo che non ci posso credere... - Rispose, continuando a sorridere amaramente. - Tu non sei la mia Hazel. La ragazza che ho conosciuto e di cui mi sono innamorato si sarebbe fatta uccidere piuttosto che finire con un noioso burocrata come Percy Weasley. Davvero quello che vuoi è svegliarti tutte le mattine nella tua graziosa villetta in periferia, accanto ad un uomo che durante la colazione ti parlerà della regolamentazione dei manici di scopa mentre legge la Gazzetta del Profeta, per poi passare l’ennesima giornata vuota a fare esattamente le stesse cose di quella precedente? Vuoi davvero una vita da perfetta borghese, Hazel? -  

- Voglio una vita stabile. - Lo corresse lei, piccata. - Con te è evidente che io non possa averla. Non sei fatto per queste cose e io non posso di certo fartene una colpa. - 

- Nemmeno tu sei fatta per queste cose. - 

- Invece sì. - Asserì Hazel. - Avrei dato qualsiasi cosa per non vederti sparire nel nulla per mesi. Quando eravamo a Grimmauld Place io facevo di tutto per cercare un contatto con te, ma tu eri disponibile solo ogni tanto, quando ti girava bene. Non ho fatto altro che ricalcare gli schemi con cui ho imparato ad amare: dovevo prendermi cura di te esattamente come dovevo prendermi cura di mia madre, poco importava il resto. E me ne stavo lì, ad elemosinare le tue attenzioni, a pensare che se fossi stata abbastanza buona, abbastanza gentile, allora forse ti saresti degnato di guardami di tanto in tanto! - 

- Parli come se stare con me fosse stato un inferno! - Ringhiò lui.  

- Lo è stato eccome! - Urlò Hazel. - Prima di incontrarti io avevo talento, una vita, dei sogni… dopo di te invece solo dolore e sofferenza. Non voglio tutto questo, io voglio una vita noiosa, in una casa di periferia, insieme a qualcuno che non se ne andrà da un momento all’altro. - 

Ci fu silenzio, e quando Hazel capì che Sirius non aveva più niente da dire si voltò verso la porta, spalancandola. - Stammi lontano. - Disse, prima di uscire, sbattendosela alle spalle.




 

Questo capitolo mi ha fatto penare, ve lo giuro. Ho scritto tantissime versioni diverse e questa mi è sembrata quella più soddisfacente.

Purtroppo ciclicamente ho dei piccoli blocchi creativi, nel senso che so esattamente cosa deve accadere ma è come se perdessi la capacità di scrivere, è come se mi distaccassi dalla storia. Mi sta venendo difficile anche scrivere questo piccolo commento, figuratevi. Comunque spero che passerà come al solito e al massimo allenterò un po’ la cadenza con cui pubblico i capitoli. 

Fatemi sapere cosa ne pensate! 

J. 

Ritorna all'indice


Capitolo 36
*** Capitolo 35. Ritorno a scuola ***


Capitolo 35


Se qualcuno avesse chiesto a Janus di descrivere il suo rientro a scuola con una sola parola, era certo che avrebbe riposto dicendo “terrificante” senza esitare un momento. 

Era ormai consapevole del fatto che il ritorno in vita di suo padre aveva attirato tanta attenzione e ovviamente non solo sul diretto interessato, ma anche su sua madre e su di lui che, fin da quando aveva passato la barriera del binario 9 e ¾, si era beccato più di qualche occhiata curiosa. 

Durante quei primi anni a Hogwarts nessuno si era disturbato di dargli più attenzioni del dovuto, anzi, nonostante fosse tra i migliori studenti della scuola, il ragazzo si reputava piuttosto insignificante. Ora, invece, ovunque andasse poteva sentire i sussurri degli altri studenti e i loro sguardi che lo toccavano come se fossero delle mani, e nonostante la cosa lo irritasse enormemente, Janus decise di fare ciò che da sempre gli usciva meglio: ignorare totalmente la cosa, per quanto possibile. 

Insomma, era certo che prima o poi avrebbero smesso, anche se ogni volta che su quei giornaletti da quattro soldi compariva il suo nome, la fine di quella tortura appariva lontana anni luce.

Anche se tutte quelle attenzioni indesiderate lo facessero sentire molto a disagio, Janus era comunque felice di essere tornato a scuola, visto che questo voleva dire poter stare finalmente lontano dall’uomo che tutto quel caos l’aveva provocato. 

Quella mattina di metà settembre, il soffitto della Sala Grande era di un azzurro sereno, macchiato da nubi a ciuffi, proprio come i rettangoli di cielo visibili oltre le alte finestre. Janus, seduto al tavolo dei Grifondoro con indosso la sua impeccabile divisa su cui aveva appuntato il distintivo da prefetto, stava facendo colazione, gli occhi puntati nella direzione del tavolo dei Serpeverde in cui Faye era seduta. 

Sapeva bene che, una volta iniziata la scuola, il tempo che passava con la ragazza si dimezzava drasticamente. Ikaris non gradiva molto che Faye fosse tanto legata a lui e fin dall’inizio aveva fatto del suo meglio per allontanarli, senza però riuscirci mai del tutto. Ad ogni modo, Janus sentiva la mancanza delle feste del Lumaclub a cui andavano insieme, delle mattine domenicali passate sulla riva del Lago Nero e delle gite a Hogsmeade che aveva passato in sua compagnia in quegli anni, ma si sentiva anche un idiota, perché spesso aveva l’impressione che a lei non importasse poi così tanto della loro amicizia. Così, anche se gli sembrava una pessima idea, aveva iniziato a seguire quello stupido consiglio che Sirius gli aveva dato in stazione: la stava ignorando, o almeno ci stava provando. Era così difficile per lui dirle di no e tirarsi indietro quando gli proponeva di fare qualcosa.

Seduto al suo fianco, Klaus era invece rivolto verso il tavolo dei Tassorosso: - Una tipa strana ti sta fissando. - Lo informò all’improvviso, mentre si ingozzava di porridge.  

- Tutti mi stanno fissano. - Gli ricordò Janus, con aria annoiata. 

- Lei lo fa in modo diverso e inquietante. - Insistette Klaus, dandogli una gomitata di incitamento. - Dai, guarda. - 

Janus sbuffò e finalmente si voltò nella direzione indicata dall’amico. Lì, tra tanti altri studenti di Tassorosso, una ragazzina paffuta, dai capelli neri e lucidi che gli incorniciavano il viso dalla carnagione scura, ricambiò il suo sguardo timidamente prima di distoglierlo imbarazzata. Non era particolarmente carina, eppure qualcosa scatenò una strana curiosità in lui, che ebbe l’impressione di conoscerla già. 

Dopo un attimo di esitazione, la giovane si alzò, inciampò scatenando qualche risatina da parte dei suoi compagni di Casa e poi uscì zoppicando fuori dalla Sala Grande guardando a terra, piena di imbarazzo. 

- Poverina. - Disse Annie, appena arrivata al tavolo, facendosi spazio tra i due amici sulla lunga panca di legno. Anche lei portava lo stesso distintivo di Janus sulla divisa. - Non fanno altro che prenderla in giro per quel problema che ha alla gamba. -

- Che ha alla gamba? - Domandò Klaus. 

Annie scrollò le spalle. - Non lo so, però zoppica, quindi qualcosa avrà, immagino. - Rispose, versandosi del succo di zucca. 

- Ma perché, la conosci? - Chiese Janus, insolitamente curioso. 

Lei scosse la testa. - No… cioè, la conosco di vista. Non so nemmeno il suo nome. - 

La questione scivolò via dalla mente di Janus quando un gufetto tutto spennacchiato e scuro atterrò proprio davanti a lui, con una lettera legata alla zampetta. Lo riconobbe subito, era il gufo di suo padre e quella busta che portava con sé era chiaramente l’ennesima lettera da parte dell’uomo a cui non avrebbe risposto. Nonostante questo la slegò dalla zampa dell’uccello, che volò via con un rapido sbattere d’ali. 

- Certo che ne ha di cose da dirti tuo padre. - Commentò Klaus, guardando la busta tra le mani dell’amico. - Ti ha scritto più lui in due settimane che tua madre in cinque anni. - 

- Magari potresti rispondergli, di tanto in tanto. - Suggerì Annie. 

- Piuttosto mi uccido. - Rispose Janus, infilando distrattamente la lettera in tasca. 

- Quanto sei melodrammatico. - Sbuffò Annie, alzando gli occhi al cielo. - Non potrai ignorare la cosa per sempre. È un comportamento deleterio oltre che infantile. - 

Janus non rispose, ma si concentrò sul piatto pieno di uova strapazzate che aveva sotto il naso, come per far capire all’amica che non aveva nessuna intenzione di continuare quella conversazione che si ripeteva sempre uguale, ogni mattina, da quando la scuola era ricominciata.

Poi un ragazzino dai capelli turchesi e la cravatta nera e gialla da Tassorosso, allentata attorno al collo, si sedette davanti ai tre, dall’altra parte della tavolata, attirando la loro attenzione. Anche lui aveva una lettera tra le mani, la sua però era aperta, pronta per essere letta: - Zio Sirius dice perché non rispondi alle sue lettere. - Disse Teddy Lupin, guardando Janus. 

- È tuo cugino, non tuo zio, idiota. - Lo corresse gelidamente il Grifondoro. 

I capelli di Teddy assunsero una tenue sfumatura di rosso. - Che gli devo dire? - Chiese. 

- Che ho da fare, che non ho tempo di rispondere alle sue stupide lettere e che potrebbe anche smettere di scrivermi. - Rispose Janus in fretta. - E sistemati quella cravatta, o ti tolgo dei punti. - 

Teddy lo guardò male, ma obbedì. - Dice anche se ti va di vederlo quando ci sarà la prima gita a Hogsmeade. - Aggiunse, guardando il foglio di pergamena che aveva poggiato sul tavolo. - Oppure se esci dalla scuola di nascosto così potete vedervi. - 

Janus si lasciò sfuggire un verso sprezzante. - Non ci penso nemmeno. Non posso uscire dal castello di nascosto solo perché vuole vedermi. - Disse indignato. - Per la gita a Hogsmeade… non è fatta per vedere i genitori. Trasformati in me e vacci tu. - 

Teddy sgranò gli occhi. - Davvero posso? - Chiese, sorpreso ed esaltato. 

- Certo che no, Ted, ho una reputazione da mantenere e so che combineresti un sacco di guai. - Sbuffò Janus, alzando gli occhi al cielo. - Inventati una scusa, digli che odio Hogsmeade, che devo restare al castello per qualche motivo o cose del genere. - 

Teddy si accigliò. - Però non dovresti trattarlo così. - Disse duramente. 

- Pensa agli affari tuoi. - Tagliò corto Janus, prima di alzarsi in piedi, mettendosi lo zaino in spalla. - Che lezioni avete adesso, vuoi due? - Domandò rivolgendosi a Klaus e Annie. 

- Io e te abbiamo due ore buche, tu, Annie? - Fece lui.

- Divinazione. - Rispose la ragazza. 

 Janus e Klaus si scambiarono un’occhiata eloquente. Erano a conoscenza dal terzo anno del fatto che la loro amica avesse quella strana passione per la divinazione, e per quanto ci avessero provato, era più forte di loro, non sarebbero riusciti a prendere sul serio quella materia nemmeno tra un milione di anni. Nonostante questo, Janus trovava la professoressa Cooman estremamente divertente. 

- Se venissimo con te? - Propose sogghignando. 

- Fate come volete, ma tenete a bada la vostra energia negativa: annebbia il mio occhio interiore. - Borbottò Annie. 

Tutti e tre salutarono Teddy in fretta e si avviarono verso l’uscita della Sala Grande. 

- Comunque tuo cugino ha ragione. - Ricominciò Annie dopo un po’. - Pensa a come deve sentirsi, povero Teddy: suo padre è morto per davvero e tu tratti il tuo in questo modo. - 

Janus alzò gli occhi al cielo e liquidò la questione con un pigro gesto della mano, come se fosse un insetto fastidioso. - Proverai a entrare nella squadra di quidditch anche quest’anno, Klaus? - Chiese all’amico, cambiando discorso. 

Klaus arrossì. - No, quest’anno voglio evitare di rendermi ridicolo. È il sesto anno, mio padre dice che devo impegnarmi di più nello studio e lasciar perdere certi sogni che non mi porteranno mai da nessuna parte. - Rispose cupamente. 

- Be’, però quest’anno hai una firebolt 3000. - 

Lui lo guardò senza capire. - Non ho una scopa del genere, tu ce l’hai. - Obiettò. 

- Io non ci faccio niente, è tua se la vuoi… hey, tu, ragazzino! - Esclamò Janus, bloccando uno studente più piccolo che cercava di superarlo con un affare di legno rosso fuoco stretto in mano. - I boomerang rimbalzatutto sono proibiti, dammelo. Meno cinque punti a Corvonero. - 

Il ragazzino lo guardò male, ma consegnò lo stesso l’oggetto incriminato, allontanandosi poi velocemente. 

- Non si corre nei corridoi! Guarda che ti faccio un richiamo! -

Annie, alle sue spalle, sospirò. - Merlino… tu fai davvero paura. - Disse seria. 

- Sei tu che non prendi sul serio il tuo ruolo. - Ribatté Janus, guardando il boomerang. 

- Davvero vuoi regalarmi la scopa che ti ha regalato tuo padre? - Si accertò Klaus. 

Janus annuì. - Certo, è più utile a te che a me. - Asserì sorridendogli. - Probabilmente Molly ci rimarrà male, dato che la voleva lei, ma vorrei evitare di rendere forti le squadre delle altre Case; Grifondoro non vince la coppa del quidditch dai tempi di Harry. - 

- Potresti chiedere a sua moglie se viene ad allenarci qualche volta. - Propose Klaus. - Non giocava nelle Holyhead Harpies? - 

Camminarono verso la Torre Nord per almeno dieci minuti, parlando di quidditch e cercando di farsi scivolare addosso gli sguardi che gli studenti lanciavano verso Janus, che a sua volta guardava male chiunque si soffermasse un po’ troppo a fissarlo. 

- Ma di che ti lamenti? - Fece Annie, col fiato corto mentre salivano le scale verso l’aula di divinazione. - Cinque anni a lamentarti della tua mancanza di popolarità, e adesso che finalmente qualcuno ti nota vivi la cosa come se ti desse fastidio. - 

- Non sono io a essere popolare, ma Sirius. - Le ricordò Janus. 

Salirono gli ultimi gradini e sbucarono sul piccolo pianerottolo, e poi ancor più su, lungo la scalinata che li portò direttamente nella classe della professoressa Cooman. 

Faceva caldo e il fuoco che ardeva nel camino scoppiettava attorno ad un grosso bollitore di rame emanava un profumo intenso malsano. Gli scaffali che arredavano le pareti erano stipati di oggetti polverosi, candele a mozziconi e tantissime sfere di cristallo, alcuni dei tavolini rotondi erano già occupati da una ventina di studenti seduti a gruppi da tre sulle poltroncine foderate che li circondavano. C’erano parecchi Corvonero, qualche Tassorosso e tre Serpeverde, tra cui Faye, che li salutò con la mano sorridendo. 

In altre circostanze, Janus si sarebbe avvicinato a lei, dato che non c’era traccia del suo fidanzato perfetto, ma la stava ignorando, dunque si sedette tra Klaus e Annie su una di quelle seggioline imbottire. 

- Ultimamente passate poco tempo insieme tu e Faye. - Osservò Klaus, sotto voce. 

Janus scrollò le spalle, e prima che potesse rispondere, la professoressa Cooman fece il suo ingresso in aula. Come al solito era avvolta in più strati di scialle, al collo indossava una lunga collana di perle e le sue braccia erano ricoperte di braccialetti che tintinnavano ad ogni sua mossa. 

Guardò tutti gli studenti, uno ad uno, attraverso le spesse lenti degli occhiali che la facevano quasi sembrare una mosca rinsecchita. - Buongiorno, cari ragazzi, bentornati a divinazione. - Disse la professoressa, con quella sua soffice voce sognante. - Sono felice di ritrovarvi a Hogwarts tutti sani e salvi… e sono lieta di vedere che anche i più insospettabili vogliono prendere un M.A.G.O. nella mia materia. Accetto nella mia classe chiunque abbia voglia di esplorare il proprio occhio interiore, per tanto per me non conta affatto il voto che avete preso agli esami dello scorso anno. - E dicendo ciò guardò Janus e Klaus, che a loro volta tacquero cercando di rimanere seri. - Oh… caro ragazzo. - Continuò la Cooman; adesso i suoi grossi occhi da insetto erano puntati e fissi solo su Janus. - Durante tutta l’estate ho osservato da questa torre ogni evento e ora ciò che vede il mio occhio interiore è la tua anima inquieta e tormentata proprio come sospettavo che fosse. - Poi fece un passo indietro e, finalmente, tornò a rivolgersi alla classe. - Oggi, cari ragazzi, affronteremo la nobile arte della chiromanzia. Il vostro destino e chiuso nei palmi delle vostre mani, quindi dividetevi in coppie e con l’aiuto del libro cercate di leggervi la mano a vicenda. - 

Ci fu un basso chiacchiericcio. Gli studenti tirarono fuori i propri manuali e seguendo le indicazioni della professoressa si divisero in coppie. 

- Noi facciamo coppia a tre. - Sogghignò Janus, mentre Annie leggeva tutta concentrata il capitolo sulla chiromanzia. - Chi comincia? - 

- Faccio io. - Disse Klaus, e gli prese una mano, assumendo intanto un atteggiamento che scimmiottava quello della Cooman. - Mio caro ragazzo! Ti attende una tragica sorte, una morte orribile a ventisette anni, come tutti quei cantanti famosi babbani… - 

- Ma piantala. - Borbottò Annie, dando un’occhiata al palmo pallido di Janus. - Io vedo una lunga vita, un matrimonio felice con una donna più giovane e quattro figli. Però prima… una delusione d’amore. Eh sì, qualcuno ti spezzerà il cuore, caro mio… - 

Janus alzò gli occhi al cielo. - Fortunatamente mia madre dice che la grande arte nasce dal dolore. - Buttò lì con disinteresse. - Adesso tocca a me. - 

Continuarono così per molto: nel palmo di Annie, Janus vide una brillante carriera da veggente per babbani, una casa piena di gatti e una profonda crisi d’indentità a quarant’anni, mentre in quello di Klaus un brillante futuro da allenatore di quidditch, una frattura con la sua famiglia di origine ma un matrimonio felice. 

- Magari litigherai con tuo padre perché non vuoi fare lo storico come lui. - Immaginò Janus. - Comunque sono tutte scemenze. -

- Come dici, caro? - Si avvicinò la Cooman. - Vieni, dammi la mano… oh sì… vedo tante cose irrisolte, mio caro, ma come potrebbe essere il contrario? Ho visto nelle mie sfere ciò che è accaduto, quell’inaspettato ritorno… stai soffrendo, caro ragazzo. -  

- Nelle sue sfere, eh? Bastava aprire la Gazzetta del Profeta, ma questo lei già lo sa. - Ribatté il ragazzo con un tono insolitamente arrogante. 

Annie e Klaus gli rivolsero uno sguardo perplesso. Sapevano bene che non fosse affatto da lui rispondere ad un’insegnante in quel modo, eppure lo aveva fatto e non sembrava nemmeno voler rimediare. 

La Cooman lo fissò, ma decise di non rispondere. 

Una volta suonata la campanella, tutti e tre si diressero verso l’aula di trasfigurazione. La mattinata passò con sorprendente rapidità e dopo un pranzo altrettanto veloce, Janus si rifugiò nella quiete della biblioteca.

Nella sua tasca c’era ancora la lettera di suo padre, intatta e chiusa, proprio come erano intatte e chiuse tutte quelle che Sirius gli aveva spedito durante quelle prime settimane di lezioni. Janus le aveva conservate tutte, ma l’orgoglio che gli scorreva dentro gli impediva di aprirle e leggerle. 

Con un secco sospiro, il ragazzo si infilò la mano in tasca, tirando fuori la busta. Sembrava che dentro ci fosse giusto un foglietto, e quando la aprì, Janus si rese conto che era proprio così. La calligrafia di suo padre era chiara e raffinata, molto diversa da quella caotica di sua madre o da quella precisissima di Percy, e riempiva giusto un quarto di pergamena. 

Janus lesse quelle poche righe in cui Sirius gli raccontava ciò che faceva durante quelle prime giornate autunnali, gli domandava come se la passasse a scuola e poi, alla fine, gli chiedeva se potevano vedersi quel giorno stesso a Hogsmeade verso le sei. 

Uno strano senso di tristezza e disagio invase il cuore del giovane. Si sentiva combattuto: da un lato il fatto che suo padre sembrasse tenere tanto a lui gli faceva piacere ma, dall’altro, lo spaventava a morte. Lasciare entrare Sirius nella sua vita voleva dire fare un grande atto di fiducia, cosa che non gli apparteneva affatto. Janus non era come sua madre, lui non nutriva grande speranza nell’umanità e a stento si fidava di sé stesso, figuriamoci di Sirius Black, che non era di certo conosciuto per essere un tipo affidabile. 

Sospirando di nuovo, lasciò andare il foglio di pergamena e alzò lo sguardo davanti a sé dove notò, seduta in un tavolo a qualche metro dal suo, la ragazza di Tassorosso che era inciampata in Sala Grande qualche ora prima. Senza sapere per quale motivo, Janus le sorrise e lei ricambiò timidamente, quella volta senza distogliere lo sguardo. 

Cosa doveva fare? Doveva alzarsi e andare a parlarle? Si sentiva un tale imbranato.

Poi l’espressione della ragazza mutò e, nello stesso istante, Faye si lasciò cadere sulla sedia al fianco del Grifondoro. 

- Cazzo, hai rimorchiato. - Sogghignò la Serpeverde, tirando fuori dalla sua vecchia borsa di pelle marrone il manuale di trasfigurazione. 

Janus si sentì arrossire ma rimase impassibile, ripetendosi in testa che doveva ignorarla. - Hai tutta la biblioteca a disposizione, devi sederti proprio qui? - Sbottò infastidito.

Faye parve perplessa da quella reazione. - Mmh… sì, direi di sì. - Rispose poi. - Che c’è, hai forse paura che la tua spasimante possa pensare che stiamo insieme? - 

Janus fece un verso sprezzante. - Ma figurati. E non è la mia spasimante. - 

- Fidati, secondo me questo è proprio il tuo anno. - Insistette Faye, sicura, iniziando a sfogliare il manuale di trasfigurazione. - E sai chi devi ringraziare? La Skeeter, che ti sta rendendo desiderabile agli occhi di tutti. - 

- Non ha senso. - Borbottò Janus, puntando lo sguardo sulla lettera di suo padre, ancora abbandonata lì davanti a lui, sul tavolo.

- Ne ha invece. - Rimarcò la giovane. - Prima avevi l’etichetta dello sfigato secchione, rompicoglioni e pure perfettino, adesso invece sei l’avvenente e misterioso erede dei Black, direi che è un bel salto di qualità, tu non trovi? - 

- Già, una vera fortuna essere notato perché sono l’ultimo discendente di una famiglia di pazzi razzisti incestuosi. - Mugugnò lui scontento. 

Faye alzò gli occhi al cielo. - Ma non è solo per questo che adesso le ragazze ti notano. - Disse, facendo un sorrisetto beffardo. - Stamattina in Sala Comune una mia amica ha detto che quest’estate sei “cresciuto proprio bene” e che vorrebbe chiederti di uscire. - 

- Ah sì? - Domandò Janus, adesso incuriosito. - E chi è questa tua amica? - 

- Clara Pritchard, settimo anno. - Rispose Faye. - Io le ho detto che non sei interessato. - 

Janus aggrottò la sopracciglia. - Ma… cosa… perché?

- Lei è una tipa molto fisica, se capisci cosa intendo. - Spiegò Faye. - Tu sei un romantico, non potevo lasciarti nelle grinfie di una che è interessata solo al tuo corpo. - 

Janus gli lanciò uno sguardo torvo. - Che gesto gentile. - Sibilò con sarcasmo, per poi tornare a osservare la lettera ancora aperta che teneva davanti.  

- Chi ti scrive? - Gli chiese dunque lei, dando un’occhiata alla pergamena abbandonata sul tavolo davanti a lui. 

- Secondo te? Sirius, come al solito. - Rispose lui, lugubre. - È pazzo, vorrebbe che oggi uscissi dalla scuola di nascosto per fare una passeggiata a Hogsmeade con lui. - 

Faye sorrise. - Io adoro il signor Black. È come se avesse la nostra età, ma è un adulto. - 

- Guarda che non è mica una cosa buona. - Puntualizzò Janus. 

- Per te che sei noioso non è una cosa buona. Per noi persone normali è fantastico. - Ribatté lei con nonchalance. - Davvero, secondo me è arrivato il momento che tu gli dia una possibilità. È davvero questo il rapporto che vuoi con tuo padre per il resto della tua vita? - 

Janus sospirò. Ovvio che non era ciò che lui voleva, ma era troppo orgoglioso, o troppo stupido, anche solo per ammetterlo. E poi, come se questo non fosse già abbastanza per rendergli le cose difficili, l’insicurezza e la paura di essere ferito erano forti dentro di lui, troppo forti per essere combattute. Si stava sforzando di non provare niente per paura di provare poi cose spiacevoli. Lo faceva di continuo, da quando ne aveva memoria, si rifugiava dietro uno spesso vetro immaginario e da lì, al sicuro, osservava gli altri mettersi in gioco.

- Non voglio uscire da solo con lui. - Disse. - Non saprei di cosa parlare. - 

- Puoi far parlare lui, sembra uno abbastanza loquace. - Suggerì Faye. - Fino ad ora vi siete visti sempre in mezzo ad altre persone e non è andato un granché. Magari, faccia a faccia, soli voi due… potresti scoprire che non è poi così male come ti appare. - 

- Sì, magari è peggio. - 

- Può darsi, sì. - Ammise la ragazza. - O magari no. Forse è proprio figo come sembra. Ora che lo conosco capisco perché mia madre era praticamente pazza di lui da giovane! - 

Janus fece una faccia scettica, ma poi, suo malgrado, si lasciò scappare un piccolo sorriso. - Chissà se sono mai usciti insieme o cose del genere. - Disse. - Magari anche a lui piaceva lei. Tu e tua madre vi somigliate e tu sei così… -

- Così come? - Rimbeccò la Serpeverde, davanti all’esitazione del ragazzo. 

Janus deglutì a fatica e la sensazione che ebbe fu quella di avere la gola ricoperta di spilli incandescenti. - Tu non sei così male da vedere, in fin dei conti. - Buttò lì, ricordandosi di sembrare disinteressato. - Però non ci proverei mai con te, nemmeno se fossi l’ultima ragazza sulla faccia della terra; a qualcuno potresti anche piacere, ma non a me. -

Dopo una manciata di secondi di esitazione, lei alzò entrambe le sopracciglia, assumendo uno sguardo sorpreso che venne sostituito poi da uno sguardo torvo. - Quanto sei stronzo, cazzo. - Disse, con una certa animosità. - Ultimamente mi chiedo perché siamo amici: mi ignori per la maggior parte del tempo, e quando sono io a venire da te, tu non fai altro che ripetermi quanto ti faccio schifo, come se fossi repellente. Mi spieghi che problemi hai? - 

Janus si sentì un po’ in colpa, ma si limitò a scrollare le spalle. 

- Dico davvero, che ti succede? - Riprese lei, e la sua voce rimbombò nella biblioteca silenziosa, attirando l’attenzione. 

Il ragazzo sbuffò e unì le mani davanti a sé, assumendo una posa calma e rilassata, anche se dentro di lui stava sorridendo. Forse quel consiglio di suo padre stava dando i suoi frutti dopotutto, e anche se così non fosse stato, doveva ammettere che era piacevole che fosse lei ad elemosinare un po’ di attenzioni, una volta tanto. 

- Perché hai bisogno che io ti dica che sei carina, scusa? Dopotutto hai già Ikaris… - 

- Senti, lasciamo stare. - Ribatté lei con un tono contrito. - Tu non capisci mai niente. - 

Janus la osservò in silenzio per qualche secondo. Le avrebbe voluto dire che la trovava tutt’altro che repellente, che la trovava meravigliosa e che adorava il modo in cui i suoi capelli si illuminavano d’oro, colpiti dai raggi del sole che in quel momento stavano trapassando le vetrate delle grandi finestre della biblioteca. Ma ovviamente non lo fece. 

- Anche tu non capisci mai niente, se è per questo. - Le disse invece. - Dimmi, va tutto bene tra te e Ikaris? Perché pare che tu abbia bisogno di attenzioni. - Aggiunse poi.  

- Non è affar tuo. - Tagliò corto a Faye, senza nemmeno degnarsi di alzare lo sguardo dal manuale di trasfigurazione. 

- E poi sarei io lo stronzo. - Mormorò Janus tra sé e sé. 

Faye gli lanciò uno sguardo talmente brutto che avrebbe potuto ucciderlo, chiuse il libro, si alzò e raccolse il suo zaino da terra. - Sì, sei tu lo stronzo. - Ripeté gelidamente. 

Poi, senza aggiungere altro, girò i tacchi e si allontanò, lasciandolo di stucco. 

Janus sospirò. Era abituato all’umore un po’ volubile di Faye, dopotutto non era mai stata una persona controllata come invece era lui ma, solitamente, quando lei dava di matto Janus la rincorreva e faceva di tutto per risolvere subito le cose. Non quella volta però. 

Abbassò di nuovo lo sguardo sulla lettera di suo padre, poi la piegò e se la mise di nuovo in tasca. Forse Faye aveva ragione, forse era giunto il momento di dare a quell’uomo una possibilità. 



 

Nel tardo pomeriggio dello stesso giorno, da dietro il bancone dei Tre Manici di Scopa, Talitha Davis, la barista che lavorava in quella piccola locanda da poco meno di un mese, osservava con interesse Sirius Black. L’uomo se ne stava seduto a un tavolo un po’ appartato, con il volto rivolto verso l’entrata, come se stesse aspettando qualcuno di molto importante, ma con l’aria arresa di chi era consapevole che nessuno si sarebbe in realtà mai presentato. 

Talitha non sapeva per quale motivo, ma da circa due settimane, più o meno da quando il castello di Hogwarts si era ripopolato di studenti e studentesse, il signor Black era diventato un cliente abituale: arrivava alla stessa ora, ogni singolo pomeriggio, si sedeva nello stesso e identico tavolo e semplicemente aspettava. Ogni tanto, come per ingannare il tempo, il mago ordinava qualcosa da bere o da mangiare, scambiava quattro chiacchiere con il resto della clientela, (che a quell’ora era sempre poca e spesso mal disposta) o con il personale, e poi se ne andava via quando il sole tramontava dietro alle alte montagne che circondavano il villaggio, volando via sulla moto volante parcheggiata proprio davanti all'entrata del pub. 

Nessuno aveva capito chi il signor Black stesse aspettando con tanta fiducia, ma ognuno aveva le proprie teorie: Madama Rosmerta, ad esempio, era certa che l’uomo non aspettasse proprio nessuno, ma che andasse lì perché sentiva nostalgia dei tempi in cui, da giovane, si era seduto a quel tavolo insieme ai suoi amici; Francis, il cuoco, sperava di veder entrare Harry Potter da un momento all’altro, mentre la moglie, Jenny, era sicura che il signor Black stesse aspettando quella donna babbana di cui parlavano i giornali. 

- Ve lo dico io, - diceva sempre, tutta alterata, - aspetta quella lì… la babbana, Hazel Rains. Sì, sì, proprio quella che lo ha lasciato per quel Weasley… - 

- Pover’uomo, dopo tutto quello che ha passato. - Commentava allora Rosmerta. - Se penso che una volta a quel tavolo sedeva insieme a James Potter, Remus Lupin e quella canaglia di Minus… era così allegro, spensierato, e adesso sembra tutt’altra persona. E che bel ragazzo era ai tempi! Non che ora non lo sia più… - 

In effetti il signor Black era decisamente un bell’uomo, ma Talitha aveva l’impressione che fosse una di quelle persone la cui tristezza inficiava molto sull’aspetto esteriore. Insomma, Black non se la passava benissimo e lo si poteva capire dal fatto che, più passavano i giorni, e più sembrava uno che non sembrava guardasi molto allo specchio. 

Quel pomeriggio, seduto su quella sedia di legno davanti a una bottiglia di burrobirra vuota, l’uomo indossava gli stessi vestiti del giorno precedente, due profonde occhiaie sormontavano i suoi occhi grigi e penetranti, i capelli scuri gli ricadevano sul viso non rasato in modo disordinato e l'impazienza gli faceva muovere nervosamente una gamba sotto il tavolo.  

- Che tenerezza che mi fa. - Mugugnò Jenny, la moglie del cuoco, nonché cameriera, ad un certo punto, facendo uscire Talitha dal suo flusso di pensieri dopo aver rivolto un’occhiata di sfuggita al mago. - Se fossi giovane e carina come te, non ci penserei due volte e ci andrei io a consolarlo, al posto di quella babbana. - 

Talitha trattenne a stento una risata e scosse la testa, divertita. - Per tutti i fondatori, Jenny! - Esclamò scandalizzata. - Cosa direbbe Francis se ti sentisse? - 

- Ma cosa deve dire, quello lì! - Esclamò l’anziana strega, facendo un gesto stizzito con la mano nodosa. - E tu non essere pudica e piuttosto goditi questi ultimi anni di giovinezza che ti sono rimasti. - 

Talitha sorrise e annuì, anche se quell’ultima frase le aveva fatto tornare in mente il fatto che, tra meno di sei mesi, avrebbe compiuto trent’anni. Poi lanciò uno sguardo fugace verso il signor Black. - Non faccio quella pudica. È che in realtà lui mi fa un po’ paura. - Spiegò, storcendo il naso. - Rita Skeeter dice che è impazzito dopo tutto quello che ha passato. Forse è per questo che viene qui così spesso, è pazzo. - 

- Rita dice tante cose, bambina mia. - Le ricordò Jenny. - Sai io cosa vedo quando lo guardo? Un gran bel pezzo di figliolo. E non è solo bello, no no, è pure ricco! - 

Talitha era sempre più sconcertata. - Jen, ascolta: io sono davvero felice che ti preoccupi della mia vita sentimentale. - La fermò, sospirando. - Il signor Black è un cliente, non potrei approcciarmi a lui in quel senso nemmeno se volessi. - 

- Però lui approccia a te. - Sogghignò Jenny. 

- Che intendi dire? - 

- Francis mi ha detto che vi vede sempre chiacchierare dalla cucina, quando ormai qui non c’è più nessuno. - Spiegò la vecchia strega.  

- Abbiamo parlato ogni tanto, è vero. - Ammise Talitha. - Ma in modo innocente. Lui è stato solo per così tanto tempo, è normale che abbia voglia di chiacchierare. - 

Gli occhi di Jenny brillarono. - E cosa ti ha detto? - Domandò impaziente. 

- Niente di che. - Talitha si strinse nelle spalle. - Credo che abbia dei problemi con la sua ex… sai, la babbana. Ho motivo di pensare che sia ancora innamorato di lei. - 

- Ah! Lo sapevo che c’entrava quella lì! - Esclamò Jenny. - E non è meno così carina, o almeno così sembra dalle foto. Sai cosa penso? Che quando l’ha incontrata era appena uscito da Azkaban, si è fatto andare bene ciò che ha trovato. - 

Talitha sbuffò. Solitamente Janny era una brava donna, ma il gossip la infiammava e la sua lingua tagliava e cuciva come le dita agili di Madama McClan. - Be’, comunque è un tipo strano, e il suo sguardo è inquietante. - Disse. 

- Anche il tuo sguardo sarebbe inquietante se avessi passato dodici anni ad Azkaban. - Disse Jenny, rabbrividendo. - Te la ricordi la foto segnaletica di quando scappò? Quel viso scarno… terribile, veramente terribile. Quanti anni avevi all’epoca tu? - 

- Appena dodici, era il mio secondo anno a Hogwarts. - Rispose Talitha. 

Jenny sospirò ripensando a quel lontano 1993 e poi sentì la porta del pub aprirsi con uno scampanellio, facendo entrare una frizzante brezza autunnale. Sulla soglia era appena apparso un ragazzo dall’aria seria, di sicuro ancora in età da Hogwarts, con indosso vestiti talmente babbani da poter sembrare uno di loro senza nessun problema. Rimase a lungo fermo, con gli occhi sul signor Black, e fu quello il momento in cui Jenny notò quanto quei due si somigliassero. 

Il ragazzo si mosse e Sirius si alzò dalla sedia su cui sedeva, guardandolo avvicinarsi con un’espressione molto sorpresa dipinta in volto. - Sei venuto. - Gli disse. 

Janus annuì e poi si sedette davanti a lui, dall’altra parte del tavolo senza dire niente. 

Anche Sirius si lasciò cadere nuovamente sulla sedia di legno e per qualche secondo ci fu silenzio. - Vuoi qualcosa da bere? - Domandò alla fine. 

Il ragazzo scosse la testa. 

- Hai fame? - Tentò ancora.

- No. - Rispose Janus. 

Sirius esitò, chiedendosi se ci fosse davvero qualcosa di sbagliato in suo figlio. Quel ragazzo era come una fortezza inespugnabile e questo lo spaventava, lo faceva sentire impotente e inutile. - Stai bene? - Gli chiese. - Ti serve qualcosa? - 

- Guarda che sei tu ad avermi chiesto di venire. - Sbottò Janus, incrociando le braccia sul petto. - Ho infranto decine di regole per essere qui. - 

- A proposito, come sei arrivato? Hai usato uno dei passaggi segreti sulla Mappa? - Domandò Sirius, e stavolta non riuscì a fare a meno di farsi scappare un sorriso. 

Janus scosse la testa. - Ho volato. - Disse. 

- Con la scopa che ti ho regalato? - 

- No. - Si limitò a dire il giovane. - La scopa l’ho data ad un mio amico, io non me ne facevo nulla dato che non gioco a quidditch e non ho intenzione di iniziare a farlo. - 

Sirius strinse le labbra e lo sguardo gli si indurì. - Ti comporti sempre da stronzo o sono l’unico ad avere l’onore di questo trattamento? - Scattò, irritato. 

Janus rimase impassibile. Che ci faceva lì? Come gli era venuto in mente di uscire di nascosto dal castello per incontrare quel povero idiota di suo padre? Era stato così ingenuo nel pensare di poter trovare con lui un punto d’incontro. 

- Io me ne torno al castello. - Disse, alzandosi in piedi. 

- No. - Lo fermò Sirius. - Scusa, è che davvero sei stronzo. Sei insopportabile, cazzo. - 

Sul volto di Janus apparve un’espressione truce e sorpresa insieme. Si sedette di nuovo, senza staccargli gli occhi di dosso, poi giunse la mani poggiate sul tavolo davanti a sé e prese un lungo e profondo respiro. Aveva infranto un milione di regole, forse valeva la pena rendere quell’incontro costruttivo. 

Aprì bocca con l’intenzione di dire qualcosa di meno pungente del solito, quando notò che sul volto di Sirius era apparsa un’espressione tesa, gli occhi puntati su un punto non meglio specifico alle sue spalle. 

- No, no, non ti girare! - Gli intimò a bassa voce, quando il giovane, curioso, tentò di dare un’occhiata all’entrata proprio dietro di lui. 

Janus si sentì gelare. - Che succede? - Chiese, in ansia. 

Sirius sogghignò, adesso sembrava quasi divertito. - È appena entrato il professor Lumacorno, caspita quanto è invecchiato… comunque non ti preoccupa… - 

Ma non ebbe il tempo di finire la frase: ci fu un bagliore che gli fece socchiudere gli occhi, accompagnato da un suono che Sirius aveva sentito parecchie volte in vita sua. Quando spalancò nuovamente le palpebre, un millesimo di secondo dopo, si rese conto con sorpresa che un corvo aveva appena preso il posto di suo figlio. 

L’uccello gracchiò scontento contro di lui e con grazia spiccò il volo, sfrecciando al di sopra della testa di Lumacorno e poi fuori dal locale. 

Sirius, ancora a bocca aperta per quell’inaspettata sorpresa, non si accorse nemmeno che il vecchio professore di pozioni si era avvicinato al suo tavolo: 

- Per la barba di Merlino! Guarda un po’ chi abbiamo qui! - Esclamò Lumacorno, con la stessa aria gioviale con cui, ai tempi della scuola, aveva tentato tante volte di invitarlo nel suo Lumaclub. - Che piacere… avevo intenzione di scriver… - 

- Hem… sì! È vero un piacere rivederla, professore. - Lo interruppe Sirius, alzandosi in piedi. - Ma adesso devo proprio andare, mi scusi tanto, mi mandi un gufo, nel caso… - 

Si precipitò fuori dal pub, ritrovandosi nel mezzo della strada principale, che era un po’ più vuota e un po’ più buia rispetto a qualche ora prima. Si guardò intorno con ansia, alzò lo sguardo e fu lì che lo vide, sul cornicione del tetto della casa di fronte. Il corvo prese il volo e lui lo seguì di corsa, fino a raggiungere un vicolo un po’ più appartato in cui Janus tornò subito sé stesso. 

- Non ci posso credere, sei un animagus! - Esclamò Sirius ridendo. 

- Dimmi la verità, vuoi per caso rovinarmi la vita? - Inveì il giovane, furioso e tremante, camminando verso di lui e spegnendo ogni sorta di entusiasmo. - Ti sembra divertente? - 

- Sinceramente sì. - Ammise Sirius, continuando a sogghignare. - Scommetto che non sei nemmeno registrato, altrimenti Hazel me lo avrebbe detto. Fai tanto il noioso ligio alle regole, e invece… non sei perfetto come vuoi far sembrare, vero? - 

- Almeno non sono un fallito su tutta la linea come te. - 

Quella frase fu per Sirius come una secchiata d’acqua ghiacciata dritta in faccia, capace di farlo riscuotere all’improvviso. - Come hai detto? - Scandì, fissandolo con furia.

- Che sei un fallito. - Ripeté Janus. - Sei solo una piaga, una maledizione nella vita delle persone. Tu non pensi prima di agire, no… ogni scelta di merda che hai preso durante la tua patetica esistenza non ha fatto altro che portare distruzione e dolore nelle vite altrui: è stato così con mia madre, ed è stato così anche con i genitori di Harry. E io ti odio. Ti odio così tanto che preferirei che tu morissi di nuovo! - 

Sirius sfoderò la bacchetta così in fretta che Janus non fece nemmeno in tempo a pensare di sfoderare la sua: ci fu un lampo scarlatto e uno scoppiò, poi si sentì spingere all’indietro, finendo a terra senza nemmeno accorgersene. 

Pieno di rabbia si alzò in piedi ed estrasse la bacchetta, puntandola verso suo padre. - Mi hai schiantato! - Sbottò, incredulo e furioso insieme.  

- Non ti conviene puntarmi la bacchetta contro. - Ribatté l’uomo, gelido. 

Janus alzò i lati della bocca in un ghigno. - A te non conviene, fidati di me. - Obiettò, facendo un passo in avanti. - Chissà che cosa penserebbe mamma del fatto che mi hai attaccato. Conoscendola ti impedirebbe di vedermi con ogni suo mezzo, ti taglierebbe completamente fuori dalle nostre vite e io non aspetto altro. -  

L’espressione di Sirius cambiò radicalmente e, in un attimo di confusione ed esitazione, abbassò di poco la bacchetta. 

Il ragazzo è furbo, dopotutto. 

Fu in quel momento che Janus attaccò, cogliendolo di sorpresa: - Expelliarmus! - Gridò, pieno di collera, ma Sirius riuscì a parare l’incantesimo. - Stupeficium! Impedimenta!

Ci fu un rapido e serrato duello in cui uno attaccava e l’altro incassava i colpi con facilità, poi Sirius sbuffò, mosse rapidamente la mano armata contro il ragazzo e lo disarmò. 

- Se ti agiti tanto non riuscirai mai a vincere un duello. - Disse Sirius, prima di chinarsi a raccogliere la bacchetta del figlio, finita ai suoi piedi. - Mi aspettavo di meglio da te, un così bravo studente… ma pessimo nella pratica a quanto pare. - 

- Anche io mi aspettavo di meglio da te. - Rispose freddamente Janus, poi si mosse a grandi passi verso di lui, riprendendosi la bacchetta. - Avevo così tante aspettative su di te e tu non ne hai rispettata nemmeno una. Non riesci ad ammettere di aver sbagliato tutto, non riesci a parlarmi in modo sincero, cerchi solo di piacermi facendo l’amicone e regalandomi cose. Io non voglio essere tuo amico, non voglio delle cose, non voglio niente da te, lo vuoi capire questo o no? Voglio solo che mi stai lontano e che la smetti di scrivermi. - 

Sirius non disse niente, ma lo guardò come se lo vedesse per la prima volta. Riconobbe negli occhi di suo figlio lo stesso sguardo con cui lui stesso aveva guardato suo padre per l’ultima volta, tanti anni prima, prima di andare via di casa. Pensò alle parole che Orion Black non era riuscito a pronunciare in quel frangente, al fatto che non aveva nemmeno tentato di fermarlo, troppo orgoglioso per farlo. 

Prese un lungo respiro profondo, chiuse gli occhi e poi, semplicemente, mormorò quasi impercettibile: - Scusa. - Come se gli costasse un’enorme fatica, spalancando di nuovo le palpebre. - Per tutto quanto. Mi dispiace se sono stato una delusione per te. Ma sappi che tu non lo sei affatto per me. - 

Il volto di Janus sembrò quasi accartocciarsi come una foglia secca: le sue labbra si piegarono verso il basso, le sue sopracciglia si aggrottarono e i suoi occhi si strinsero come colpiti da un bagliore improvviso. Un singhiozzo gli uscì fuori dalla gola prima ancora che se ne potesse accorgere e si maledì per questo. 

- Scusa, Jan. Scusa. - Disse di nuovo Sirius, mettendogli una mano sulla spalla. - Ti meritavi di meglio, ma ciò che ho fatto l’ho fatto sempre e solo per te, per proteggerti. Se ho allontanato te e tua madre è stato solo per tenervi al sicuro. Ma ora sono qui, ci sono, hai capito? Ci sono e non ti lascerò mai più da solo. - 

Il ragazzo scosse la testa e singhiozzò di nuovo. Non doveva cedere, non gli avrebbe mai dato il permesso di entrare, né ora né mai. - I-io ti odio. Non voglio… n-non voglio averti intorno! - Balbettò con voce rotta, ma non si mosse di lì. - Devi starmi lontano… devi stare lontano anche da mia madre, altrimenti ti ucciderò! Se ti azzardi ad avvicinarti a lei… se ti metti tra lei e Percy… - 

- Ti capisco, vuoi proteggerla. - Lo interruppe Sirius. - Ma ti posso assicurare che non succederà, che non mi metterò tra lei e Weasley. - 

Per un attimo, pensò alla cena di due settimane prima, a quel bacio che gli aveva letteralmente strappato via le viscere e alle ultime parole che Hazel gli aveva rivolto prima di lasciare casa sua. “Stammi lontano”, questo aveva detto, e lui aveva deciso all’istante che, almeno in questo, l’avrebbe rispettata. 

Janus lo fissò per molto tempo senza dire nulla e poi annuì. Era solo un ragazzino, ma in quel momento era così triste e così arrabbiato da sembrare molto più vecchio. - Tu pensi che io non sia abbastanza. - Asserì serio. 

- Non è vero, sei molto più che abbastanza. - Si affrettò a dire Sirius. - Non ero sicuro di volere dei figli prima di te, ma da quando sei nato non sono più riuscito nemmeno a immaginare un mondo in cui non esistevi. Quindi, per favore, non tagliarmi fuori, dammi l’opportunità di conoscerti davvero e di farmi conoscere. - 

Janus sospirò e scosse la testa. Si sentiva così scarico… odiare era così stancante. - Non lo so. - Disse stancamente. - Tra qualche giorno… magari ci vediamo tra qualche giorno, non lo so. - 

- Sì, va bene. - Disse Sirius. - Posso chiedere alla McGranitt il permesso di venirti a trovare a scuola, se uscire dal castello per te è troppo. - 

- No. - Tagliò corto Janus.  

Non aggiunse nient’altro, ma si trasformò e spiccò il volo, lasciando Sirius da solo in quel vicoletto buio del villaggio di Hogsmeade con una grande speranza nel cuore: erano finalmente sulla buona strada. 



 

Eccomi qua! 

Ci ho messo meno del previsto a correggere questo capitolo, il problema è che non mi soddisfa molto, soprattutto la seconda parte. Ma quanto è complicato gestire i litigi? Comunque spero che non faccia troppo schifo e che non sia troppo banale, ma comunque fatemi sapere voi! 

J.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 37
*** Capitolo 36. Normalità ***


Capitolo 36 

 

L’inverno si fece notare con prepotenza verso la fine di ottobre, quando il cielo si fece improvvisamente grigio. Janus, che già di per sé non amava la vita all’aria aperta, si ritrovò dunque a passare quasi tutto il suo tempo al chiuso, cercando riparo dalle intemperie dietro le mura solide della scuola. 

Gli unici momenti in cui metteva il naso fuori dal castello era per andare a far visita a Hagrid o per vedere suo padre, di solito sul tardi, per evitare di incontrare qualche professore desideroso di consumare una buona burrobirra ai Tre Manici di Scopa. Quelle sere si trasformava in corvo e volava giù dalla Torre di Grifondoro fino al villaggio di Hogsmeade. Lì Sirius lo aspettava, delle volte nel famoso pub, altre alla Stamberga Strillante, e di tanto in tanto si offriva di insegnargli qualche incantesimo di livello avanzato. Dopo circa un mese di incontri clandestini, Janus aveva imparato a evocare un patronus corporeo (un bel corvo imperiale, come la sua forma da animagus), a duellare con più efficacia e tantissime fatture che aveva provato di nascosto sul povero Gazza. 

Sirius era una fonte inesauribile di storie, consigli e massime sulla vita, e anche se di tanto in tanto Janus si sentiva ancora triste e un po’ inadatto in sua presenza, si ritrovò un giorno a provare simpatia nei suoi confronti. Insomma, era una persona divertente, doveva dargliene atto, anche se era totalmente diverso da Percy, tanto che Janus che si chiese come fosse stato possibile per sua madre innamorarsi di due persone tante diverse tra loro. 

Ad ogni modo, anche se quegli incontri si stavano facendo man mano sempre più piacevoli, uscire dal castello di nascosto gli procurava ancora tantissima ansia. Aveva così tanta paura di essere scoperto che l’unica persona a cui aveva detto di quelle sue piccole fughe notturne era Molly, ma solo perché l’aveva visto volare giù dalla Torre di Grifondoro dalla finestra del suo dormitorio, nella Torre di Corvonero, ma dopotutto di lei si fidava ciecamente. 

Ad ogni modo sia Klaus che Annie ci avevano messo poco a capire che il loro amico stava combinando qualcosa, sia perché avevano notato spesso le sue assenze in Sala Comune, sia perché la mattina dopo Janus aveva tutta l’aria di uno che non aveva dormito molto.  

- Ammettilo, hai una ragazza e passi tutta la notte appartato con lei in qualche aula vuota. - Disse Klaus, la mattina della prima gita a Hogsmeade, mentre tutti e tre facevano colazione in Sala Grande. - È la Tassorosso che ti gira intorno, vero? -

Janus assunse un’espressione perplessa. - Figurati, non riesco nemmeno a parlarci con quella lì, non so nemmeno il suo nome. - Gli ricordo, e poi spostò lo sguardo verso il tavolo dei Tassorosso, fissando la schiena della diretta interessata. - E comunque se gli interessassi davvero magari sarebbe lei a fare il primo passo, no? - 

- Sei tu il maschio, quindi tocca a te. - Lo corresse Annie, versandosi il succo di zucca. 

- E perché, scusa? Questa cosa che tocca sempre a noi è sessista. - 

Annie alzò gli occhi al cielo. - Senti, io l’ho osservata per bene e mi sono resa conto che non parla quasi mai con nessuno. Lei non si avvicinerà mai, quindi devi farlo tu. Prendi in mano la situazione e vai a parlarci, è facile. - 

- E cosa dovrei fare, andare lì e dirle ciao? - Chiese Janus, sbuffando.

- Potresti invitarla a venire a Hogsmeade con te stamattina. - Suggerì Annie. 

- Secondo me è una pessima idea. - Si mise in mezzo Klaus. - Le gite a Hogsmeade sono poche e uscendo con lei rischi di rovinarti uno dei rari momenti in cui siamo fuori dal castello. E se fosse antipatica o noiosa? - 

Janus assunse un’espressione pensierosa. - Non hai tutti i torti in effetti. Magari dice di sì ma poi rimanere in silenzio per tutto il tempo, sarebbe imbarazzante. Inoltre non voglio lasciarti andare da solo, visto che già Annie ci ha abbandonati per andare a un'uscita a quattro con Faye. - Disse storcendo il naso. - Ah, inoltre mio padre dice che se voglio piacere a qualcuna devo ignorarla e fingermi disinteressato. - 

Annie alzò le sopracciglia con fare sorpreso, mentre Klaus lo fissò come se avesse detto qualcosa di molto strano. - Tu e il signor Black parlate di ragazze? - Le domandò lei. 

- Tu e il signor Black parlate, in generale? - Ribatté Klaus. - Da quando in qua? - 

Janus mosse una mano in aria con nonchalance. - Be’, sapete come vanno certe cose… ad ogni modo, sono certo che prima o poi sarà lei a venire da me se continuo a ignorarla. - 

- Tuo padre si sbaglia sulle ragazze, dammi retta, sono una di loro. - Obiettò Annie.

- Allora dimmi, qual è il giusto metodo? - La spronò Janus.

Annie alzò gli occhi al cielo come se la risposta fosse ovvia. - Dipende, ogni persona è diversa. In questo caso credo che lei abbia bisogno di una spintarella. - Spiegò paziente. 

- Be’, non so come fare. Io… mi vergogno. - Disse Janus arrossendo. 

- Oh… ti vergogni, poverino. Dimmi, quanti anni hai, dodici? Per fino Teddy è più intraprendente di te. - Lo canzonò Annie. - Secondo me tentar non nuoce, con quella lì. Al massimo ti dice di no e tanti saluti. -  

- Gran bella botta per la mia autostima sarebbe. - Borbottò Janus. 

Annie sbuffò. - Janus, caro, so che in America ti bullizzavano e che hai vissuto la finta morte di tuo padre come un abbandono e che tutto questo ti ha portato a sviluppare uno schema di attaccamento evitante, ma devi risolvere la cosa, altrimenti ti rovinerà la vita, non riuscirai mai a stringere relazioni profonde con gli altri e morirai da solo. - 

Lui la guardò male. - Io ho relazioni molto profonde con gli altri. - Controbattè. 

- Mhmh sì, e con chi, sentiamo? - Domandò Annie, incrociando le braccia sul petto. 

- Be’, con voi due, prima di tutto! - Esclamò Janus, indignato. - E anche con Faye e con Molly! E poi… con mia madre! - 

- Tua madre non conta. - Lo ammonì Annie. - Per quanto riguarda gli altri… siamo noi ad avere una relazione profonda con te, non tu con noi. Tu non ci dici mai nulla. - 

- Non è vero. - 

- Allora dove vai di notte? - Lo mise con le spalle al muro Klaus. 

Janus sospirò con aria arresa e poi si guardò intorno per accertarsi di non essere ascoltato. - Vado a Hogsmeade per vedere mio padre. - Rivelò alzando gli occhi al cielo. - Non mi hanno mai beccato perché volo fin lì dalla nostra torre, ma ho comunque molta paura di essere scoperto, per questo non ve l’ho detto. - 

- Ecco, vedi? Non ti fidi di noi, tipico comportamento di chi ha uno schema evitante. - Sbottò Annie. 

- Quindi ci stai dicendo che tu infrangi da settimane decine di regole? - Fece Klaus, sorpreso. 

Janus annuì. - Sì, ma se non ve l’ho detto non è perché non mi fido di voi. Ho solo pensato che sarebbe stato più sicuro tenere la cosa per me. Mi dispiace… - Disse contrariato. - E non ho quella cosa evitante, Annie! Sono una persona equilibrata. - 

Annie gli diede una pacca sulla spalla, come per dire “certo, come no”, e poi si alzò in piedi. - Sei in equilibrio come un troll cieco sul bordo di un cornicione durante una tormenta. - Gli disse dopo un sospiro. - Adesso scusa, ma dobbiamo rimandare la seduta di psicoterapia a un altro momento: Faye, Ikaris e l’amico di lui mi aspettano da Madame Piediburro tra mezz’ora. - 

- Merlino… quel posto è un colpo a un occhio. - Commentò Klaus. 

- Credo che sarai tu ad aver bisogno di una seduta alla fine della gita. - 

Annie alzò gli occhi al cielo, ma si tradì col piccolo sorrisetto che le piegò le labbra. - Ci vediamo a Hogsmeade, ragazzi. - Disse, prima di allontanarsi verso l’uscita della Sala. 

Poco dopo anche Janus e Klaus lasciarono il castello. La passeggiata verso il villaggio non fu però molto piacevole: faceva freddo, il viale alberato che collegava la scuola a Hogsmeade era fangoso, tirava un forte vento e il cielo sopra le loro teste era grigio come poco prima di una forte tempesta. 

Erano tante le cose che Janus detestava del Regno Unito e tra queste, subito dopo la cucina e l’accento dei suoi abitanti, c’era di sicuro il tempo; per questo se ne lamentò un po’ giusto per rompere quello strano silenzio che si era venuto a creare. Non sapeva per quale motivo, ma da qualche mese aveva l’impressione che Klaus avesse qualcosa che non andasse. Di solito era un ragazzo felice e spensierato, talmente allegro da sfociare nel grottesco, eppure da qualche tempo sembrava un po’... spento. Aveva abbandonato le sue sgargianti vesti da mago in cambio di un abbigliamento più sobrio e scuro, e spesso lo aveva visto chiudersi in sé stesso come se fosse diventato d’un tratto introverso. Come se questo non bastasse, il suo rendimento scolastico dall’inizio dell’anno era calato in modo vertiginoso. Janus aveva pensato spesso di chiedergli se ci fosse qualcosa che non andasse, ma aveva sempre rinunciato fermato da chissà quali timori. Forse Annie aveva ragione su di lui: era pessimo con i rapporti umani, e cercava in tutti i modi di mantenerli solo su un piano di superficialità. 

Quando arrivarono al villaggio tutto attorno a loro si percepiva un forte odore di pioggia, ma le strade erano comunque piene di studenti. Camminarono lungo High Street per molto tempo e poi, quando le prime gocce di pioggia cominciarono a cadere, Klaus indicò i Tre Manici di Scopa e Janus lo seguì all’interno, dove occuparono uno dei pochissimi tavoli liberi. Il locale era affollato di facce conosciute: Janus vide Talitha la cameriera accennare un saluto nella loro direzione dal bancone e, lì vicino, notò anche la figura minuscola della Tassorosso senza nome, che stava facendo la fila per ordinare. 

- Vado a prendere qualcosa da bere. - Annunciò Janus, alzandosi. 

Attraversò il locale facendosi faticosamente spazio tra la calca, e la testa gli si affollò immediatamente di pensieri. Era davvero una buona idea farsi avanti così, senza un piano? Cosa doveva dire? Ma soprattutto perché aveva l’impressione di essersi appena dimenticato come si camminasse? 

A pochi passi dal bancone ebbe un ripensamento ma nello stesso istante la Tassorosso senza nome si voltò nella sua direzione. Si guardarono senza dire nulla per qualche imbarazzante secondo e Janus si rese conto che non erano mai stati così vicini prima d’ora. Era davvero piccola di statura e se ne stava tutta infagottata in un largo maglione di lana indossato sopra un paio di jeans, aveva i capelli scompigliati come se si fosse appena tolta un cappello e tra le mani teneva due bicchieri ricolmi di burrobirra. 

- Ehm… ciao. - Fece Janus, accennando un sorriso timido. 

Lei spalancò gli occhi color ossidiana e rispose: - Ciao. - E la sua voce arrivò alle orecchie del ragazzo come una canzone che aveva già sentito ma di cui non ricordava il titolo. 

- Scusa… cioè, piacere. Sono Janus. - 

- Sì, lo so chi sei. - Rispose lei. - Lo sanno tutti ormai. - 

Janus si sentì avvampare ma fece del suo meglio per mantenere un’espressione rilassata e neutra. - E tu come ti chiami? - Le domandò. 

La ragazza esitò a lungo prima di rispondere: - Pilar. - Disse. 

E poi, senza nemmeno curarsi della reazione del Grifondoro, si mosse facendosi spazio tra gli altri clienti, ben attenta a non rovesciare la burrobirra. 

Lui, dopo un attimo di interdizione, la seguì, fermandola. - Senti, tu per caso giochi a League of Legends ogni tanto? - Chiese con una forte urgenza. - Sei tu, vero? - 

Pilar si voltò di nuovo verso di lui, lo guardò e aggrottò le sopracciglia, cosa che le diede un’aria da cucciolo smarrito, poi annuì senza proferire parola. 

- Ah. - Si limitò a dire invece Janus, confuso e sorpreso insieme.

C’era solo una parola per descrivere quella situazione: surreale. 

Era stato così facile parlare con lei quando non poteva guardarla negli occhi, mentre ora si sentiva… paralizzato. Eppure aveva così tante domande da farle. 

- Ora penserai che sono una mezza specie di stalker. - Disse la ragazza, abbassando lo sguardo sui due bicchieri pieni di burrobirra che teneva in mano. - Ho capito che tu eri tu lo scorso anno, solo che… non… - 

- Non fa niente! - Si affrettò a dire lui. - Io sono qui con un mio amico, ti va di sederti con noi? - 

Lei fece un piccolo sorriso di scuse, poi lanciò un’occhiata di tralice verso un tavolo poco più a destra, dove sedeva un’altra ragazza che le somigliava parecchio. - Sono qui con mia sorella, scusa. - Spiegò spiacente. - Però domani pomeriggio se ti va potremmo andare a fare una passeggiata a lago. -

Janus considerò l’idea di fare un po’ il sostenuto, ma un sì gli sgorgò fuori dalle labbra prima che potesse fermarlo. 

- Allora a domani. - Fece lei. 

Gli sorrise per l’ultima volta e poi si allontanò zoppicando, lasciandolo lì.


°°°°°°

 

La vita stava lentamente tornando alla normalità. Per quanto normale potesse essere il fatto che Sirius Black fosse tornato dalla morte solo qualche mese prima, scombinando di nuovo la sua esistenza. 

Dopo la sera del primo settembre, dopo quel bacio, Hazel aveva fatto finta di niente: era tornata a casa, si era messa il pigiama e poi era caduta in un sonno agitato non appena aveva toccato il letto. Quando poi Percy era tornato dal suo viaggio di lavoro, qualche giorno più tardi, l’idea di informarlo di ciò che era accaduto in sua assenza non la sfiorò nemmeno per un istante. Per Hazel non aveva senso farlo, quel bacio era stato uno stupido errore che non si sarebbe mai più ripetuto, eppure la punta incandescente del senso di colpa sembrava non volerle dare tregua. Fu così che. per distrarsi, Hazel si buttò a capofitto sui preparativi per il matrimonio. 

Si sarebbe celebrato in estate, con il ritorno dei ragazzi da scuola e il bel tempo, ma se scegliere una data era stato facile, scegliere una location si stava rivelando un’impresa ardua. Lei e Percy non potevano di certo sposarsi alla Tana, come tutti gli altri Weasley, c’erano troppi invitati babbani e quella casa… be’, quella casa era una casa magica e questo lo si poteva notare lontano un miglio. Alla fine, con grande tristezza di Molly, i due scelsero un luogo adatto anche ai babbani che sarebbero stati invitati quel giorno. 

E poi fu la volta del vestito. Hazel provò in tutti i modi a convincere la signora Weasley, Ginny, Tonks e Fleur che gli atelier babbani fossero all’altezza dell’occasione, ma non ci fu verso. Un ventoso pomeriggio di fine settembre Hazel fece nuovamente il suo ingresso a Diagon Alley, dopo parecchi mesi in cui aveva evitato come la peste i luoghi in cui c’era quel brulicare di streghe e maghi. 

La gente si chiedeva ancora chi fosse Hazel Rains, come avesse conosciuto Sirius, che vita avesse avuto fino a quel momento, e più lei cercava di tenere un profilo basso per passare inosservata, più qualche giornalista andava ad indagare nel suo passato tirando fuori cose che lei avrebbe preferito di gran lunga far tornare sotto il tappeto. Come se questo non bastasse, la notizia del matrimonio tra la sconosciuta babbana e la noiosa pecora nera dei Weasley era venuta alla luce, puntando i riflettori perfino su Percy che probabilmente avrebbe adorato leggere il suo nome su un giornale in altre circostanze, ma che in quel momento trovava quelle attenzioni non adatte alla sua posizione. 

- Questo vestito ti sta d’inconto, chérie. - Cinguettò Fleur quel pomeriggio, sistemando con entusiasmo la gonna dell’abito che Hazel stava provando in quel momento.

Si trovavano da madama McClan e il vestito che a detta di Fleur le stava un incanto era color perla e in tulle, troppo voluminoso per i suoi gusti. - Sembro una meringa. - Disse infatti Hazel, guardandosi allo specchio.

Alle sue spalle arrivò un basso e scontento lamento da parte di Ginny, che alzò gli occhi al cielo sconsolata, mentre Tonks si lasciò affondare ancora un po’ nello schienale imbottito. 

- Sul serio, non sembro una meringa? - Chiese Hazel, voltandosi verso le due. 

- Sembri sull’orlo di un esaurimento nervoso, ecco cosa sembri. - Ribatté Ginny. - Siamo qui da almeno tre ore e non sei riuscita a fartene piacere nemmeno uno. - 

Hazel piegò le labbra verso il basso e sospirò, tornando a guardarsi nello specchio con occhio molto critico. 

Pessima idea. Era davvero una pessima, pessima idea guardarsi allo specchio quando Fleur Weasley era al tuo fianco, pensò lanciando uno sguardo di sfuggita alla donna stupenda in piedi vicino a lei. 

- Forse mi starebbe meglio una linea più semplice… qualcosa di più babbano. O almeno qualcosa che non mi faccia sentire enorme e goffa. - 

Dal retrobottega, una sconsolata Madama McClan si avvicinò a lei con l’ennesimo abito tra le mani. - Prova questo, mia cara. - Disse, porgendogli un vestito color champagne. 

Hazel lo afferrò e scese goffamente dallo sgabello su cui si trovava, trascinandosi verso il camerino, seguita subito da Dora che esclamò: - Vengo con te! - Prima che Fleur potesse fare lo stesso. 

Entrarono alla svelta e una volta che Tonks chiuse la porta alle loro spalle, Hazel gli diede la schiena e la strega iniziò ad aprire l’abito, tirando fuori ogni bottone dall’asola. Il viso di Hazel, rivolto verso lo specchio, sembrava cupo e stanco.  

- Sembravi per davvero una meringa con quest’abito. - Disse la strega, sorridendole attraverso lo specchio. - Probabilmente Fleur pensa che anche a noi comuni mortali possa star bene qualsiasi cosa, proprio come a lei. - 

Hazel si sfilò l’abito, ben attenta a non inciampare in tutto quel tulle. - Hai visto Sirius, ultimamente? - Domandò all’amica dopo qualche attimo di silenzio. 

Tonks si sentì presa alla sprovvista da quella domanda, ma fece del suo meglio per non farlo trasparire. Hazel non nominava mai Sirius, a contrario di Sirius, che invece non faceva altro che chiederle di Hazel. - Sì. - Rispose. - Se la passa discretamente e si sta riprendendo a poco a poco. Di tanto in tanto va anche a trovare Janus, sai? -  

Hazel aggrottò la fronte, sorpresa. - No, Jan non mi ha detto niente. - Rispose. 

- Pare che le cose tra loro vadano meglio. Ovviamente Janus è ancora un po’ diffidente, ma Sirius si sta impegnando parecchio. - Spiegò Tonks gioviale, aiutandola ad abbottonarsi il vestito. - Ha comprato un sacco di quei fumetti che si leggono al contrario e sta guardando un sacco di musical solo per avere qualcosa di cui parlare con lui, ma credo che si stia addirittura appassionando ad entrambe le cose. - 

Hazel non poté fare a meno che sorridere. - Si sta appassionando? - Fece, divertita. 

- Sì, dico davvero! - Esclamò Tonks ridendo. - Ad esempio da quando ha visto Mamma Mia non fa altro che cantare gli Abba. - 

- Sono felice che stia bene, davvero. - Si limitò a rispondere Hazel, accennando un sorriso incerto.

Tonks esitò, osservandola attentamente. - Ti va di dirmi cosa è successo tra voi? - Chiese. 

Lei si irrigidì e subito la sua espressione mutò. - Lui cosa ti ha detto? - Domandò a sua volta, tesa e sulla difensiva.  

- Mi ha detto che ha fatto uno sbaglio, nulla di più. - Disse Tonks, facendola voltare per sistemare meglio il vestito. - Che è successo? Vi siete baciati… o peggio? - 

Hazel arrossì. - Ci siamo baciati, sì. Solo baciati. - Ammise, liberandosi da quel peso che si portava dietro da un bel po’ di settimane. - Però, Dora… promettimi che questa cosa rimarrà tra noi. Non ho detto niente a Percy e non deve assolutamente venirlo a sapere. - 

- Ho la bocca cucita, figurati. - Le assicurò Tonks. 

- Davvero Sirius ha detto davvero che ha fatto uno sbaglio? - Si accertò Hazel. 

Dora gli rivolse uno sguardo apprensivo, annuì e tacque, con l’impressione che l’amica avesse altro da dirle. 

- Ci ho provato a essere amica sua, ma non ci riesco, non posso. - Tornò infatti a parlare Hazel, abbassando gli occhi. - Lui è come una calamita, ma non ne vale la pena. Non posso rovinare tutto, anche perché non tornerei mai con lui, non voglio farlo. - 

Dora assunse un’aria scettica. - Non ci torneresti mai, eh? - 

- Non è la persona adatta a me. - 

- Ma lo ami ancora? - 

Hazel alzò le sopracciglia e serrò le labbra. - Amo quello che saremmo potuti essere in un mondo ideale, questo sì. Ma tornare da lui, avere a che fare con quel suo carattere di  merda di nuovo… questa è tutt’altra storia. Inoltre non riesco a perdonarlo, quindi non avrebbe senso. - Tentò di spiegare. - E poi c’è Percy. Insomma, Dora, guardami, sto indossando un vestito da sposa. Non posso cedere all’impulsività. - 

- E di Percy sei innamorata? - Domandò Tonks. 

- Certo che sono innamorata di lui. - Si affrettò a dire Hazel. - Magari non sarà un sentimento travolgente come con Sirius, ma a quei tempi avevo vent’anni, ero giovane, idealista e grande lettrice di Jane Austen. Con Percy è diverso… è una cosa più adulta, ecco. E poi non riesco a dormire senza di lui, figurati se riesco a lasciarlo. - 

- Credo che spezzeresti il cuore della sua intera famiglia, in caso contrario. - Convenne Tonks. - Molly e Arthur ti adorano. - 

- Per Arthur mi adora solo per il fatto di essere babbana, Molly invece ce l’ha con me perché le ho detto che non avrà altri nipoti grazie al mio utero. -

- Se io avessi una relazione stabile come la vostra, non ci penserei due volte a farne un altro. - Rivelò Dora. - Sarebbe tutto diverso, siamo in tempo di pace, ecco. - 

Hazel assunse sospirò e il suo sguardo si perse. Tonks non lo sapeva, nessuno lo sapeva, ma in realtà lei ci aveva pensato parecchio all’eventualità di avere un altro figlio, durante quegli ultimi anni. Era vero, se fosse rimasta incinta sarebbe stato tutto diverso, perché in tal caso non se la sarebbe dovuta cavare da sola e ci sarebbe stato qualcuno a tenerle la mano e ad aiutarla. Inoltre Percy era un padre fantastico. 

Per un attimo, nella mente di Hazel passò l’immagine di una bambina dai capelli rossi e gli occhi scuri come i suoi incorniciati da un paio di occhiali come quelli di Percy. Le sarebbe piaciuto chiamarla Daisy, come sua madre, ma se invece fosse stato un maschio l’avrebbe chiamato Arthur, come il signor Weasley… 

- Sono troppo vecchia. - Disse di botto, tirandosi fuori da quei pensieri dissennati. 

- Be’, comunque vedrai che prima o poi Molly accetterà la cosa. - Rispose Tonks. - Almeno non ce l’ha con te perché non hai nessuna intenzione di metterti con uno dei suoi figli. Non fa altro che tessere le lodi di Charlie quando la vedo. - Aggiunse. 

- Però sarebbe davvero bellissimo se tu e Charlie vi metteste insieme. - Sospirò Hazel.

- A Charlie non piacciono le persone e io d'altra parte preferisco di gran lunga avere relazioni poco impegnative con i babbani che incontro su Tinder. - Spiegò Dora con nonchalance. - Sai, ho consigliato a Sirius di scaricare l’app. - 

- Oh. - Si limitò a dire Hazel, improvvisamente a disagio. - Oh... bene. - 

- Peccato per la sua strana avversione per la tecnologia. Eppure gli piaceva, una volt… - 

- È uscito con qualcuna, che tu sappia? - La interruppe Hazel, parlandole sopra. 

- No, te l’ho detto, è totalmente incapace, non lo sa usare il telefono. Mi scrive ancora tramite gufo. Però so che esce molto spesso e che non è mai in casa. - 

Hazel sentì una strana sensazione. Era come se una mano invisibile le fosse entrata dentro, stritolando dolorosamente il suo stomaco. - Spero che un giorno possa trovare anche lui qualcuno di cui innamorarsi. - Disse, senza preoccuparsi nemmeno di sembrare credibile.  

Tonks la scrutò da capo a piedi e poi le mise una mano sulla spalla, come a confortarla, poi la fece voltare verso lo specchio. - Stai benissimo. - Sorrise. 

Anche Hazel si guardò attraverso l’immagine riflessa nello specchio, notando con piacere che non somigliava per niente a una meringa. Il vestito le scivolava addosso con grazia, come se fosse stato cucito per lei e il colore della stoffa le donava al punto da far risaltare il suo incarnato. 

- Anzi, se vogliamo dirla alla Fleur… lo sai che questo vestito ti sta proprio d’inconto, chéri? - Aggiunse, facendo l’accento francese e accennando le movenze di Fleur. 

Hazel scoppiò a ridere e ringraziò di avere un'amica come lei. 

 

I mesi si susseguirono in una incessante danza di giorni, che si facevano via via sempre più freddi e bui. Ogni mattina, Hazel si alzava presto e per mezz’ora andava a correre nel parco sotto casa, come aveva l’abitudine di fare molti anni prima in Scozia, poi tornava a casa, si lavava e si vestiva con cura, salutava Percy alla svelta e usciva di casa per andare a lavoro, dove passava gran parte del resto del tempo. Le sue giornate erano scandite da una comoda routine capace di rassicurarla sul fatto che nulla era realmente cambiato nonostante il ritorno di Sirius. Lei era ancora lei e la sua vita era ancora la sua vita, si sarebbe sposata con l’uomo che amava da cinque lunghissimi anni, eppure non si sentiva felice. 

Si sentiva vuota. Il dolore per la morte di Sirius era scomparso, ma al suo posto era rimasto solo un buco oscuro, inoltre aveva ricominciato a provare di nuovo quella strana sensazione di non essere del tutto presente a sé stessa. Il suo terapeuta parlava di disturbo d’ansia generalizzato, di depersonalizzazione o derealizzazione, di episodi depressivi e farmaci, e più il tempo passava, più Hazel si convinceva che ci fosse qualcosa di profondamente sbagliato in lei. Forse i geni di sua madre avevano avuto la meglio alla fine, sarebbe diventata pazza anche lei, certo, magari non sarebbe morta con un ago in un braccio, ma avrebbe dato di matto, ne era certa, e lei non poteva permetterselo. 

Ma mentre Hazel affogava in quella che all’apparenza poteva sembrare una vita perfetta, Sirius stava pian piano tornando a vivere. Gli piaceva dare una mano a Harry e Ginny con i bambini e ogni tanto si concedeva qualche uscita serale con Tonks, che lo portava in pub babbani in cui nessuno conosceva le loro storie, dove erano solo due persone qualunque. Per quanto sua cugina fingesse di aver superato la morte del marito, Sirius vedeva in lei ancora tanto dolore. A volte parlavano di Remus per ore; Sirius gli raccontava qualche aneddoto sulla loro amicizia, mentre Tonks raccontava del loro breve matrimonio e della nascita di Ted. Ninfadora era l’unica amica che gli era rimasta e lui era davvero grato per questo, anche perché era proprio lei che spesso lo tirava fuori da quegli attacchi di broncio in cui purtroppo cadeva ancora. Certo, nella sua vita c’era anche Harry, ma più passava del tempo insieme a lui, più Sirius si rendeva conto di quanto fosse diverso da James, inoltre non voleva essergli di peso, adesso che finalmente anche lui era felice. 

Verso la fine di ottobre la noia iniziò a farsi sentire. Doveva trovarsi un’occupazione, magari un lavoro, peccato che nessuno nel mondo dei maghi avesse intenzione di assumere una persona che, come lui, attirava tutte quelle attenzioni. Tra i babbani invece era proprio impossibile trovare un impiego: prima di tutto non aveva alcun tipo di documento, non aveva la patente, non aveva nessuna esperienza in nessun campo, inoltre il mondo era cambiato un bel po’ e ormai qualsiasi impiego o quasi necessitava l’uso di qualche affare tecnologico. 

- Puoi trovarti un hobby, una passione. - Gli disse Ninfadora la sera del 31 ottobre, seduta al tavolo di legno di un pub del centro di Londra. - Cosa ti piaceva fare prima di essere arrestato? - 

Sirius ci pensò su. Non era mai stato appassionato di nulla in particolare. Da giovane, quando non era occupato con gli affari dell’Ordine, gli piaceva uscire, andare al cinema e occuparsi della sua moto, ma non era abbastanza. Lui aveva bisogno di un vero e proprio impegno. - Non lo so, Dora. - Rispose di cattivo umore. - Perché non posso fare l’auror? Ho esperienza nella lotta contro la magia oscura dopotutto. - 

- Sei troppo vecchio per fare l’auror, Sirius. L’accesso al corso è consentito solo fino ai venticinque anni, te l’ho già detto. Però potresti aiutare mia madre con la gestione di Grimmauld Place. - Propose Tonks. 

Sirius spalancò gli occhi e scosse la testa in fretta. - Non metterei di nuovo piede lì dentro nemmeno se farlo rappresentasse l’unica speranza per salvare l’umanità! - Esclamò. 

Dora alzò gli occhi al cielo. - Non è più come una volta. - Rispose. - Adesso è più come un albergo, ma se proprio non te la senti… c’è sempre il Ministero. Magari se chiedi a Kingsley riesce a trovarti un posto in qualche ufficio. - 

Sirius la guardò male. - Preferisco continuare a guardare anime tutto il giorno pensando a quanto l’universo sia stato crudele con me piuttosto che diventare un Percy. - 

- Ma non diventerai per forza un Percy. - Lo rassicurò Dora, ridendo. 

Lui sospirò, improvvisamente si sentiva un po’ svuotato e triste. Forse non era stata un’ottima idea uscire la sera di Halloween, visto ciò che rappresentava per lui, pensò guardandosi intorno. Il pub in cui si trovavano era pieno di babbani e babbane in maschera, che bevevano e si divertivano, felici e spensierati. 

Quando si trovava in luoghi affollati, Sirius finiva sempre per osservare con curiosità le persone che aveva attorno. La moda era cambiata, il modo di interagire era cambiato, e lui si sentiva come una sorta di viaggiatore nel tempo che, nonostante avesse tantissima voglia di integrarsi, non ci riusciva.  

- Hai bisogno di uscire dal torpore, cugino. - Proseguì Tonks. - E non per forza trovando un lavoro, dato che non ne hai particolare necessità. Potresti, che so, trovarti un passatempo… magari uscire con qualche mia collega, oppure seguire il mio consiglio e scaricare quell’app. -  

- Per quanto mi piacerebbe toccare di nuovo un paio di tette, non credo che una donna sia ciò di cui ho bisogno adesso. E poi non necessito di quei mezzucci per scopare, io. - Si indignò Sirius. - Ci metto un’ora solo per scrivere una frase, figuriamoci sostenere un'intera conversazione. - 

- Meglio se ci metti tanto a rispondere, sembrerai un tipo occupato, adesso dammi il telefono, forza. - Ordinò Tonks, allungando la mano verso di lui. 

Sirius scosse la testa. - Ti dimostrerò che il mio caro vecchio e normale metodo di rimorchio funziona ancora, Dora, e lo farò qui e ora. - Decise. 

- Va bene, vediamo se ciò che Remus diceva su di te era vero. - Sogghignò Tonks. 

- E cosa diceva Lunastorta? - 

Lei scrollò le spalle. - Parlava di tantissimi cuori infranti. Era perfino convinto che mi piacessi tu, all’inizio. - Spiegò divertita. - Diceva “Sirius piace sempre alle donne”. - 

- Perché è vero, io piaccio sempre alle donne, sempre. - Ghignò Sirius. - E ora, cara cugina, te lo dimostrerò. Guarda e impara come si fa. - 

- Accomodati. - Lo spronò Tonks. - Ti consiglio di puntare quella lì, dietro di te, vestita da… cos’è, un’infermiera zombie? -  

Sirius si voltò nella direzione indicata dalla strega, puntando gli occhi su una ragazza dai capelli biondi con indosso, per l’appunto, una divisa striminzita da infermiera, sporca di sangue finto. - Quando ero giovane io, le donne non erano mai così svestite. - Osservò con un tono compiaciuto. - Adoro il ventunesimo secolo. Se avessi l’età di Jan sai cosa farei? Cambierei una ragazza a settimana. Invece indovina cosa vuole fare lui con quella che gli piace? Lui vuole tenerla per mano. - 

- Cammina, idiota, vai a parlare con la zombie-infermiera, prima che lo faccia qualcun altro. - Lo spronò Dora, alzando gli occhi al cielo. 

Sirius annuì. - Va bene, vado. - Disse deciso, alzandosi in piedi.

- Vai, vai, io starò qui a godermi lo spettacolo del tuo fallimento. - 

Lui la guardò di sottecchi, ma poi si voltò e si incamminò verso il bancone, dove la zombie-infermiera era seduta da sola. Sirius si domandò se lei stesse aspettando qualcuno, magari un qualche fidanzato o fidanzata, o se magari fosse lì con quello sguardo perso nel bicchiere vuoto che teneva in mano tanto per passare il tempo. Ad ogni modo non aveva senso prepararsi in anticipo un approccio, non l’aveva mai fatto dunque, anche quella volta, avrebbe improvvisato. 

- Ciao. - Esordì, quando si sedette sullo sgabello accanto a quello di lei. 

La ragazza alzò gli occhi dal bicchiere e indugiò per qualche secondo prima di rispondere: - Che strano costume. - Osservando per bene la sua veste da mago.  

- Sono vestito da mago. - Spiegò Sirius. - Ho anche la bacchetta. La vuoi vedere? - 

La ragazza aggrottò la fronte. - Che schifo. - Rispose, lasciandolo di stucco. 

- C… cosa? Perché? - 

- Non voglio vedere la tua “bacchetta”. - Sibilò la ragazza con rabbia, disegnando due virgolette in aria con le dita. - Depravato! - 

Sirius dovette trattenere una risata. - Intendevo una bacchetta da mago. - Chiarì, tirandola fuori. - Ecco, vedi? Legno di truciolo, piuma di fenice, dodici pollici, elastica. - 

La zombie-infermiera non disse una parola, ma si alzò abbandonando il bicchiere lì sul bancone e se ne andò senza nemmeno dargli il tempo di dire altro. Poi, alle sue spalle, Sirius sentì una risata molto divertita. Quando si voltò, notò che alla sua sinistra era seduta un’altra ragazza, più grande di quella precedente, che indossava un vestito da strega veramente molto credibile. 

- Non ci posso credere. Sirius Black che tenta di rimorchiare una ragazza babbana in un pub chiedendole se vuole vedere la sua “bacchetta”. - Disse la sconosciuta, continuando a ridere. - Rita Skeeter ci potrebbe scrivere sopra davvero un bell’articolo. - 

- Vuoi dirmi che sei una vera strega? - Domandò Sirius, scrutandola dalla testa ai piedi. 

Aveva lunghi capelli neri e lisci sciolti sulle spalle, occhi scuri che brillavano su due zigomi alti e affilati. Era molto bella, ma non aveva l’aspetto di una persona accogliente e gentile come Hazel. 

- Eh sì, sono una strega. Una Serpeverde, per esattezza. - Rispose la donna. 

Sirius si accigliò teatralmente. - Quando racconterai questa storia a Rita Skeeter puoi dire almeno che sono riuscito a rimorchiarla, la ragazza zombie-infermiera? - Chiese in finto tono di supplica. 

Lei rise. - Non dirò niente, tranquillo. Però tu in cambio potresti… sdebitarti con uno di questi strani drink babbani dai nomi altisonanti. - Disse.

- Sì, perché no. - Approvò Sirius. - Come ti chiami? - 

- Kamilah. Ma puoi chiamarmi solo Kami, se vuoi. - 

- Hai uno strano nome. Molto particolare. - Commentò Sirius. 

Lei alzò un sopracciglio con sorpresa. - Senti chi parla. - Ribatté facendo un sorriso beffardo. - L’ha scelto mia madre, ha un’origine araba, significa perfetta, ma nulla a che vedere con il nome della stella più luminosa del cielo. - 

- A essere sincero avrei preferito di gran lunga un nome normale. - Rispose lui. - E come fai di cognome, Kamilah? - Domandò poi interessato. 

- Burke. - 

- Come il proprietario di Magie Sinister. - Osservò Sirius stringendo le labbra. 

Kamilah sogghignò. - Hai paura di offrire da bere ad una qualche ex mangiamorte? Sì, io e il proprietario di Magie Sinister siamo imparentati, ma non vedo mio zio da molti anni ormai. - Spiegò tranquillamente. - Comunque è davvero strano che uno come te abbia pregiudizi su un cognome: i Black sono conosciuti per essere ricchi, molto belli e molto vicini a pratiche molto oscure e moralmente discutibili. Non eravate voi quelli che decapitavano gli elfi domestici quando diventavano troppo vecchi? - 

Sirius rimase in silenzio per un po’, guardandola di sottecchi. - Vuoi questo drink babbano o no? - Chiese poi, burbero. 

Quell’incontro segnò una bella svolta nella vita di Sirius, che adesso aveva finalmente qualcosa di non troppo deprimente a cui pensare durante le sue giornate vuote. Dopo circa un mese di appuntamenti, di Kamilah Burke aveva capito molte cose: prima di tutto, era diversa da Hazel almeno quanto lui era diverso da Percy. 

Se da una parte Hazel viveva di idee e di strampalate teorie sulla vita, Kamilah era una grande amante delle cose pratiche, proprio come lui; Kamilah non sapeva niente di letteratura e tantomeno di arte o filosofia, ma amava il quidditch, ed era una grandissima fan dei Puddlemere United. 

Ma Sirius riscontrò la differenza più sostanziale quando, circa una settimana dopo averla conosciuta in quel pub, non finirono finalmente nello stesso letto. Mentre Hazel era sempre stata un po’ timida, restia dal lasciarsi andare del tutto, e le cose tra loro si fossero raffreddate con la nascita di Janus, Kamilah era un’esplosione di audacia e di lussuria che, a dir la verità, le prime volte lo aveva messo un po’ in soggezione. Durante le loro notti di passione, Sirius rinchiudeva il pensiero di Hazel e la nostalgia che sentiva di lei in un angolo della sua mente e si concentrava solo sul corpo dell’altra, apprezzandolo in ogni dettaglio. Era bella, davvero bellissima, ma quando poi quel loro amplesso perfetto terminava, il mago si ritrovava puntualmente a fissare il soffitto con aria assente e turbata, e la realtà gli crollava addosso nuovamente: Hazel di non voleva saperne un bel niente di lui, si sarebbe sposata e non poteva far altro che farsene una ragione. Ma faceva male, troppo male. 

- Hai sempre un’espressione strana, dopo. - Disse lei quella sera, sdraiata al suo fianco. 

Si trovavano nella disordinata camera da letto di lui, rimasta tale e quale al 1981, tanto da sembrare quasi la stanza di un adolescente. Sulle pareti erano appesi poster vintage di band babbane e vecchie fotografie ingiallite, una collezione di vinili impolverati era in bella mostra su una mensola e sul comodino di sinistra c’era l’unico oggetto che sembrava provenire dal ventunesimo secolo. Si trattava di un libro che si intitolava “l’arte contemporanea spiegata a un mago” e Kamilah non capiva per quale motivo Sirius Black leggesse quello che sembrava una sorta di strano saggio su dei quadri babbani che sembravano essere stati dipinti da un bambino con pochissimo talento, ma poi una sera notò sulla copertina il nome dell’autore, anzi, dell’autrice: Hazel Rains. 

Sirius non parlava spesso di quella donna babbana, eppure aveva quel libro poggiato sul comodino, come una sorta di strana reliquia.

Il mago staccò gli occhi dal soffitto per posarli su di Kamilah. Era ancora nuda e non se ne vergognava affatto ma, anzi, sembrava quasi compiacersi di essere guardata da lui. - Di che espressione parli? - Le domandò. 

Kamilah lo indicò con eloquenza. - Sei tutto pensieroso. - 

- Sì, stavo pensando al Natale. Qualche giorno fa mio figlio mi ha detto che vuole passare le feste con la madre a casa dei Weasley. Devo ammettere che speravo di passare qualche giorno con lui, ma pazienza. - Spiegò Sirius, e poi sospirò. - Delle volte ho l’impressione che mi odi ancora, spesso si comporta come se volesse punirmi. - 

- Perché lo pensi? - Gli chiese Kamilah. 

Sirius alzò le spalle e non parlò. 

- Non puoi stare anche tu dai Weasley? - Domandò dunque la strega.

Lui scosse la testa e riprese a fissare il soffitto. - Harry me lo ha proposto, ma non muoio dalla voglia di vedere Hazel. - Sospirò. - Tu cosa farai a Natale? - 

- Sono musulmana, quindi niente. - Rispose Kamilah. - Ma dato che avrò le ferie, forse andrò a trovare mia madre a York. Se non sai dove andare puoi venire anche tu. -

Sirius alzò le sopracciglia. - Vuoi farmi conoscere tua madre? - Domandò perplesso. 

- Solo perché mi sembri un’anima in pena. - Si affrettò a chiarire lei. 

Sirius sospirò, e di nuovo non proferì parola. Certo, passare il Natale in compagnia del pensiero di Hazel e Janus che si divertivano con la loro nuova famiglia non lo faceva scoppiare di gioia, ma andare a York e conoscere la madre della donna con cui si limitava ad avere dei rapporti sessuali sorprendentemente appaganti lo faceva sentire un po’ a disagio. In quel momento, Sirius si rese conto di non sapere quasi niente di Kamilah, nonostante uscisse con lei da ormai più di un mese. 

- Che lavoro fai esattamente al Ministero? - Le chiese quindi, voltandosi a guardandola. 

- Sono all’Ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale. - Affermò Kamilah. - In sostanza faccio un lavoro di diplomazia. -  

- Qual è il tuo colore preferito? - La interrogò ancora Sirius. 

- Il nero. - 

Il mago le lanciò un’occhiata di traverso e sogghignò. - Film preferito? - Proseguì. 

- Mai visto un film in vita mia, ma sono curiosa. - Ammise Kamilah. - A mia discolpa posso dire che sono cresciuta in una famiglia purosangue, con amici purosangue e che non ho mai parlato con un babbano in trent’anni di esistenza. - 

Sirius trasalì, sconvolto. - Io adoro il cinema, è una delle mie cose babbane preferite! - Esclamò. - Ti presterò la lista di film da vedere assolutamente che mi ha fatto mio figlio, lui ha ottimi gusti, ha ripreso da sua madre. - 

Kamilah sentì una punta di fastidio in fondo allo stomaco. Quella babbana, almeno da ciò che diceva Sirius di lei, sembrava perfetta. Era intelligente e acculturata ma da quel che aveva visto sul giornale, e una volta di sfuggita a Diagon Alley, non era bella, anche se probabilmente lui la considerava tale. Certo doveva ammettere che avesse un certo fascino, un certo… carisma. Si muoveva con sicurezza, ma allo stesso tempo sembrava orribilmente gentile con tutti. Sì, lei era una di quelle persone che sorrideva agli sconosciuti e Kamilah la trovava semplicemente irritante. 

- La ami ancora molto? - Domandò a Sirius.

Lui indugiò a lungo prima di rispondere: - Sì, ma non come prima. - Disse. - Lei mi odia e non posso darle torto. Quando sono uscito dal velo ero sicuro che sarebbe tornata da me prima o poi, mi dicevo che Percy non era la persona adatta a lei, che lo avrebbe lasciato per stare con me, ne ero certo. Poi Hazel mi ha detto espressamente che dovevo starle lontano e a quel punto ho capito che era veramente finita. -  

- Ma se tornasse? - Chiese Kamilah, stendendosi su un lato per poterlo guardare meglio.

- Non lo so. - Disse lui. - Non so quasi più niente della sua vita, non so più cosa le piace, non so come passa le sue giornate. Forse ci uscirei insieme per fare tutte quelle cose che non abbiamo mai potuto fare, come andare a cena fuori o in vacanza. Chissà, magari poi scoprirei che ha ragione lei, che è passato troppo tempo. - 

Kamilah non disse niente, ma si limitò a osservarlo. Non capiva se fosse effettivamente bello o se fosse il suo atteggiamento a renderlo tale. Ad ogni modo, Kamilah sapeva che si stava infatuando e questo non le piaceva affatto, soprattutto perché il cuore del mago era occupato da una presenza molto ingombrante. Certo, Hazel Rains si stava per sposare, inoltre era una babbana e, dal punto di vista dell’educazione da purosangue che Kamilah aveva ricevuto, Hazel era di gran lunga inferiore rispetto a lei, che invece aveva un sangue puro quasi quanto quello dei Black. 

- Vado a casa, si sta facendo tardi. - Disse Kamilah, rompendo il silenzio che si era venuto a creare tutto attorno a loro. 

- Puoi dormire qui, se vuoi. - Rispose Sirius.  

Kamilah sembrò piacevolmente sorpresa. - Davvero? - Domandò speranzosa. 

- Certo, fa freddo fuori, è buio. Resta. - Annuì lui. - Io dormirò nella stanza qui accanto. - 

- Oh. - L’espressione sul volto di lei cambiò radicalmente. - Certo, d’accordo… - 

- Bene. Domani quando ti svegli fai pure colazione, non fare complimenti. - Disse Sirius alzandosi in piedi. - Buonanotte. - 

Non attese nemmeno una risposta, ma uscì da quella camera da letto chiudendosi la porta alle spalle e lasciando la donna da sola e nuda su quel letto vuoto. 



 

Non so come definire questo capitolo. È da ritenersi un capitolo di passaggio? Non lo so, alla fine qualcosa succede, quindi magari diciamo che è un capitolo di preparazione? Comunque io soffro di scarsa autostima cronica quindi per me fa solo schifo. 

Fatemi sapere cosa ne pensate, arrivati a questo punto ho davvero tanto bisogno delle vostre preziose opinioni perché non manca troppo alla fine e la storia è cambiata, si è evoluta, dunque ditemi un po’ come vi pare. 

Adesso vi saluto, ma grazie per aver letto fin qui!

J. 


 

Ritorna all'indice


Capitolo 38
*** Capitolo 37. Guanti di lana verdi ***


Capitolo 37


Quando Janus si svegliò, la domenica mattina che seguì il giorno della gita a Hogsmeade, si rese conto che in dormitorio non c’era nessuno e che fuori, in via del tutto eccezionale, era spuntato un bellissimo sole. Nonostante questo, la sua voglia di lasciare quel letto caldo, accogliente e sicuro era pari a zero. 

Non gli capitava spesso ma, di tanto in tanto, si sentiva un po’ giù di morale senza un apparente motivo, soprattutto di mattina e, quando ciò accadeva, poteva star certo di una cosa: la giornata sarebbe stata un inferno. 

Raccogliendo tutta la buona volontà del mondo, Janus si mise faticosamente a sedere e si guardò intorno. Divideva quella stanza con Klaus e altri due ragazzi del loro stesso anno, due gemelli, Noah e Nolan Duncan, che contribuivano di sicuro più Klaus a rendere la camera un vero disastro. C’erano vestiti ammucchiati sulle sedie, letti sfatti, alcuni libri a terra e un posacenere pieno di mozziconi abbandonato sul davanzale. Nolan, che aveva un talento naturale per l’erbologia, aveva trasformato uno degli armadi in una piccola serra in cui coltivava una rigogliosa piantagione di Marjuana, cosa che ovviamente Janus non approvava ma che non aveva mai denunciato perché in fondo quei due gli piacevano. O almeno questa era la versione che aveva raccontato a Klaus. 

In realtà manteneva quel segreto, violando così il suo dovere da prefetto impeccabile, perché Nolan comprava il suo silenzio regalandogli dell’erba, che però poi lasciava fumare solo a Faye, dato che lui, tutte le volte in cui ci aveva provato, era finito per odiare ogni singola sensazione che aveva provato. 

Con un altro sforzo di volontà, Janus si alzò finalmente dal letto e si diresse in bagno, dove la vista della sua faccia riflessa nello specchio gli fece prendere una decisione: non poteva uscire con Pilar quel giorno, si sentiva depresso e questo comportava sempre un drastico calo della sua autostima. Era certo che, se fosse finalmente uscito con quella ragazza, lei lo avrebbe poi trovato noioso e per nulla simile al tipo spigliato con cui aveva giocato moltissime volte online. 

Così, dopo un ultimo rapido sguardo allo specchio, decise di tornarsene a letto e si mise a leggere finché, verso le dieci, la porta del dormitorio non si spalancò. 

- Che fai ancora qui? - Chiese Annie, entrata subito dopo Klaus. 

Solo a quel punto Janus alzò gli occhi dal libro. - Ehm… ci vivo? Questa è camera mia. - Rispose. - Piuttosto tu che fai? Guarda che è il dormitorio dei maschi. - 

Annie mosse la mano in aria, come a scacciare un insetto. - Lo so… io e Klaus dovevamo fare delle cose che non ti riguardano. Tu piuttosto non avevi un appuntamento con la Tassorosso? - Lo interrogò lei, scrutandolo con uno sguardo di rimprovero. 

- Sì, infatti, non dovevi uscire con la zoppa? - Domandò Klaus, lasciandosi cadere sul proprio letto. 

- Non chiamarla così. - Lo ammonì Janus. - E comunque no… mi sono reso conto che devo finire di leggere questo libro di più di mille pagine per la scuola babbana. Il dovere chiama. Pilar aspetterà. Prima o poi ci uscirò. - 

Annie fece una faccia scettica, attraversò la stanza e in fretta gli strappò il libro tra le mani, leggendo il titolo. - Quindi la scuola babbana ti fa leggere Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco. - Osservò stizzita. 

Janus annuì, stringendo le labbra. 

- Senti, Jon Snow, lo so che vorresti stare tutto il giorno qui a fare il nerd pur di evitare il mondo reale e l’interazione con le persone reali, ma io non lo permetterò. - Decise la giovane, abbandonando il grosso tomo sul comodino. - Quindi adesso alza il culo e vattene. A me e Klaus serve questa stanza, dato che lui non può entrare nella mia. - 

Janus aggrottò la fronte. Guardò prima lui, seduto sul letto accanto al suo, e poi lei, che aveva le mani sui fianchi in una sorta di caricatura della signora Weasley. - Che dovete fare? - Domandò perplesso. 

Dopo un attimo di smarrimento, Annie rispose: - Secondo te? Cosa vuoi che facciano un ragazzo e una ragazza da soli in dormitorio? Dobbiamo fare certe cose, quindi devi uscire. - Aggiunge tutto d’un fiato, ma con un tono tutt’altro che credibile. 

Janus sgranò gli occhi e spalancò la bocca. Non era da Annie essere così diretta. - Be’, wow. Congratulazioni? - Tentò di dire, sorpreso e imbarazzato insieme. - Ma quando… non importa. Sapete una cosa? Aspetterò davanti alla porta e non farò entrare nessuno. Così voi potete fare le vostre cose e io potrò finire questo libro gigante prima dell’uscita della serie t… - 

- No, no, no, non puoi stare qui fuori. - Insistette Annie, facendolo alzare in piedi. - Tu ora ti fai una doccia, ti dai una sistemata, magari prendi qualcosa di decente dall’armadio di Klaus ed esci con Pilar. -

Janus esitò e di nuovo guardò prima uno e poi l’altra. - Voi due siete molto strani. Molto, molto strani. - Decretò pensieroso. - Klaus, amico, sei sicuro che Annie non ti abbia messo dell’amortentia nel tè, stamattina? Guarda che lei è brava in pozioni. -  

- Sono abbastanza certo di non aver bevuto filtri d’amore, stamattina, Jan. Stai pure tranquillo. - Lo rassicurò Klaus. - Piuttosto tu, sei proprio sicuro che valga la pena uscire con una che ti ha osservato da lontano per mesi senza farsi mai avanti? - 

Annie lanciò a Klaus uno di quegli sguardi omicidi che solitamente riservava solo a Janus. - Non ti ci mettere anche tu. - Sbottò alla svelta. 

- Anche io l’ho osservata senza farmi avanti per un po’. - Ribatté Janus. - Comunque questa cosa tra voi è davvero inaspettata. Però sono contento, in fondo, dico davvero… anche se temo un po’ per le dinamiche del gruppo. -

- Allora mettiti con Pilar, così avrai compagnia, su. - Disse Annie in fretta, spingendolo rudemente verso il bagno. - Muoviti, sei già in ritardo. - 

Mezz’ora più tardi, con indosso una di quelle eccentriche camicie da mago di velluto di Klaus, Janus uscì dalla Sala Comune di Grifondoro ritrovandosi a passeggiare nei corridoi deserti in direzione dell’entrata del castello; in testa una sola domanda: come aveva fatto a non rendersi conto che i suoi due migliori amici erano innamorati l'uno dell’altra? Era sempre stato certo che Annie preferisse lui, dopotutto quando aveva undici anni era cotta di lui, mentre Klaus… be’, lui non si era mai interessato a nessuna, non era neppure del tutto certo che le ragazze gli piacessero, anzi, che le persone gli piacessero. 

È proprio vero, pensò, l’amore opera in modi misteriosi. 

Quando arrivò nei pressi della Sala d’Ingresso, notò che Pilar lo stava già aspettando sotto il grosso portone di quercia. Janus la guardò da lontano. Lei indossava vestiti babbani dall’aria un po’ vissuta: un paio di jeans che avevano sicuramente visto tempi migliori e un maglioncino rosso di filo che le stava un po’ lungo sulle maniche, ma tutto sommato lui la trovava carina, anche se non poteva competere con l’eleganza innata di Faye. Pilar somigliava un po’ a un folletto della Cornovaglia, ma Janus decise che non glielo avrebbe mai detto. 

Quando lo scorse, la ragazza gli andò incontro. - Ciao! - Esclamò allegramente. 

- Ehm… ciao. - Ricambiò lui, mantenendo un po’ del solito distacco. - Bene… allora, dimmi, dove ti va di andare? - 

- Non saprei. Decidi tu. - Lo spronò lei. 

- No, davvero, scegli tu. - Insistette lui, pensando di compiere un gesto galante.

Pilar sembrò in difficoltà. - Io non… non saprei. Fuori c’è bel tempo, ma… - 

- Potremmo andare da Hagrid a prendere un tè. - Propose Janus, rendendosi conto nello stesso momento in cui aveva pronunciato quelle parole di quanto fossero assurde. 

- Hagrid il professore di cura delle creature magiche? - Fece infatti lei, perplessa. 

- Lui è una sorta di amico di famiglia. - Spiegò Janus. - Però se non ti va… - 

- Andrà benissimo. - Annuì lei in fretta. 

Nonostante il sole che splendeva nel cielo limpido, tirava un vento freddo e tagliente; forse un bel tè caldo a casa del guardiacaccia era proprio ciò che ci voleva. 

Durante il tragitto dal castello alla capanna di Hagrid, Janus e Pilar non parlarono molto, scambiandosi solo qualche frase di circostanza o considerazioni sulle lezioni. Lei gli disse che stava frequentando il quinto anno, che i G.U.F.O. la terrorizzavano, soprattutto perché sua sorella ne aveva presi ben dodici e che due anni dopo era uscita da scuola con altri dodici M.A.G.O.. Poi Pilar gli chiese di Sirius, così, a bruciapelo, e Janus fu lieto di vedere la capanna spuntare all’orizzonte. 

- No, non è uno zombie come è scritto nel Cavillo. - Disse un po’ scocciato. - Ti piace il quidditch? - Chiese poi, nel disperato tentativo di cambiare argomento. 

- Sì, ma non posso giocare. - Rispose lei. - Sai… la mia gamba. - 

Lui valutò se farle una domanda a riguardo oppure no, e alla fine si limitò ad annuire. 

Una volta davanti alla porta di legno della casa di Hagrid, Janus bussò e rimase in attesa per almeno un minuto prima di rendersi conto con orrore che il guardiacaccia non c’era. 

- Mi dispiace… siamo arrivati fin qui… - 

- Non fa niente! Insomma, c’è il sole, è bel tempo, mi piace l’aria aperta. - 

Ci fu un attimo di silenzio imbarazzante e poi a Janus venne un’idea: - Vuoi conoscere il mio ippogrifo? - 

In lei si accese dell’interesse. - Hai un ippogrifo? - Domandò curiosa. 

- Non è proprio mio, è di mio padre. - Spiegò Janus. - Lo ha aiutato a fuggire quando era ricercato e quando è morto è tornato qui a Hogwarts, sotto le cure di Hagrid. Ad ogni modo io e lui siamo amici, quindi può darsi che ci permetterà di fare un giro sulla sua groppa. Sempre se non hai paura dell’altezza. - 

- Nessuna paura, anzi! - Esclamò lei facendogli il primo vero sorriso. 

I due aggirarono la capanna e poi Janus la guidò verso il recinto in cui Fierobecco viveva con gli altri ippogrifi. Appena lo vide, la bestia gli andò incontro, poi Janus si inchinò e Fierobecco fece lo stesso. 

- Ecco qui. - Annunciò il ragazzo, portando l’ippogrifo fuori dal recinto. - Sai come si fa, no? Devi inchinarti e il resto. - 

Lei annuì con uno sguardo che Janus aveva visto solo negli occhi di Charlie quando si prendeva cura di qualche bestiolina. - Come si chiama? - Chiese accarezzandolo, quando poté avvicinarsi. 

- Fierobecco. - 

Pilar sorrise ancora e Janus pensò che forse quell’appuntamento aveva il potenziale per tirare su il tono dell’intera giornata. 

Salirono entrambi sulla groppa dell’ippogrifo e subito dopo Fierobecco prese il volo, librandosi nel cielo terso sopra alla foresta proibita. Lì su, col vento che lo colpiva in pieno il volto e gli scompigliava i capelli, Janus si fece riempire dalla conosciuta sensazione di libertà che provava quando era in volo, e per quanto il freddo pungesse si sentì bene. Percepiva le mani di Pilar strette sulle sue spalle, minuscole ma forti, e qualcosa di strano si mosse nel suo stomaco. Era lei, era la ragazza che passava l’estate a giocare con lui online, quella che conosceva a memoria le battute di Ritorno Al Futuro e che non considerava i musical stupidi. Janus si convinse che doveva solo sciogliersi un po’, essere spigliato e sicuro di sé come era da dietro uno schermo e di certo avrebbero ritrovato l’intimità che aveva provato durante le loro interminabili conversazioni notturne. 

Sotto di loro la Foresta Proibita era fitta e il castello, alle loro spalle, era ormai talmente lontano da mostrarsi in tutta la sua maestosità, arroccato sulla cima di quella montagna. Fierobecco si fermò a mezz’aria e sia Janus che Pilar si presero qualche secondo per ammirare il paesaggio. Dall’alto, il mondo sembrava sempre un posto migliore. 

Quando tornarono a terra, lei era a dir poco raggiante e perfino lui le sorrise, dato che si sentiva un po’ meglio rispetto a quando si era svegliato avvolto in quel suo denso strato di cattivo umore. Passeggiarono nel parco della scuola senza smettere nemmeno un momento di parlare e poi, poco prima dell’ora di pranzo, tornarono al castello. 

Una volta davanti all’entrata della Sala Comune di Tassorosso, Janus si domandò quale fosse a quel punto il modo migliore per salutarla. Doveva dire qualcosa di specifico oppure poteva bastare un semplice “ciao”? Chissà… forse doveva baciarla. Anzi no, meglio di no. Dopotutto non c’erano i segnali, lei se ne stava semplicemente lì, in piedi davanti a lui come se non avesse nessuna voglia di varcare la soglia della sua Sala Comune, come se si aspettasse qualcosa, ma cosa? 

- Eccoci qui. - Disse Pilar, sorridendo un po’ incerta. 

Janus si limitò ad annuire.

- Allora… ci vediamo. - Parlò di nuovo lei. 

- Frequentiamo la stessa scuola, quindi immagino di sì. - Asserì il Grifondoro. 

Il sorriso di lei si appiattì un po’, smorzato da quella frase un po’ distante. - È stato davvero bello il giro sull’ippogrifo. - Disse mantenendo comunque un tono allegro. - Ci porti tutte le ragazze con cui esci, ammettilo. - 

Lui rise nervosamente. - No, no, di solito non esco con le ragazze, sono praticamente invisibile ai vostri occhi. - Rispose, pentendosene all’istante. 

- A me sembri piuttosto visibile, a dire il vero. - Obiettò Pilar. - Sei l’unica persona in tutta la scuola che quando dico “campagna di Dungeons & Dragons” non pensa che si tratti di un luogo in Galles o cose del genere. -  

- Be’, tu hai chiamato il tuo gatto Kaworu. - Rispose Janus sorridendo. 

- Grande anime Evangelion. - 

- Sì, con tutti quei riferimenti teologici e filosofici. Se ci pensi l’opera ha una profonda impronta freudiana, ad un certo punto cita addirittura Schopenhauer e alla fine riprende un concetto caro all’idealismo di Fichte… - 

Pilar aggrottò la fronte con fare confuso, dunque Janus aggiunse: 

- E poi ci sono i combattimenti. Quella è la parte bella. - Come a voler far tornare la conversazione su un piano meno impegnativo. 

Seguì un attimo di silenzio imbarazzante in cui entrambi si guardarono con uno sguardo che sembrava quasi dire “e adesso?”. Poi Pilar fece un passo in avanti e Janus, di riflesso, ne fece uno indietro, facendo comparire un’espressione di imbarazzo sul volto di lei.  

- Forse è meglio se vado. - Disse sconsolata. 

- Sì… - Rispose Janus indugiando. - Se vuoi possiamo uscire di nuovo però. - 

Pilar sembrò sorpresa. - Davvero? - Domandò.

- Se vuoi. - Ripeté lui. 

La Tassorosso annuì. - Sì. Sì, sì, va bene. - Si affrettò a rispondere. - Allora ciao! - 

Janus ricambiò il saluto e quando la vide sparire dietro la porta della sua Sala Comune si incamminò verso la Torre di Grifondoro. Si sentiva un po’ strano, come se avesse sbagliato qualcosa, dunque nella sua testa prese a ripercorrere l’intera mattinata. 

Arrivò davanti al quadro della Signora Grassa quasi senza accorgersene, varcò la soglia e si ritrovò immediatamente avvolto nel calore accogliente della Sala Comune, che quella domenica era meno affollata e rumorosa del solito. Il camino era acceso, alcuni bambinetti del primo anno stavano facendo i compiti tutti raggruppati attorno ad uno dei tavoli, un altro gruppo si stava sfidando a Sparaschiocco, mentre Klaus e Annie erano seduti sul solito divano, abbastanza vicino al fuoco da scaldarsi. 

- Come è andata? - Chiese lei, non appena lo vide. 

- Questa domanda dovrei farla io a voi. - Disse Janus, sorridendo beffardo mentre si faceva spazio tra loro per sedersi.  

- Guarda che non è successo nulla di ciò che pensi. - Spiegò Klaus, incredulo di doverlo sottolineare. - Annie te lo ha detto solo per farti uscire, pensavo fosse scontato. - 

- Oh. Peccato. - Fece Janus, un po’ deluso. 

- A te la parola. - Lo incitò Annie, con un gesto teatrale. 

Janus esitò per un istante. - Da una parte meglio così, non avevo molta voglia di fare il terzo incomodo del gruppo. - Disse tra sé e sé. - Comunque, ecco… è andata. - 

Annie si portò entrambe le mani alla bocca. - Vi siete baciati? - Domandò incredula. 

- No, ovvio che no. - Rispose subito Janus. - Lei ad un certo punto si è avvicinata, non so se volesse baciarmi o meno, ma ho fatto un passo indietro. - 

- Sei il solito idiota. - Commentò lei. 

- Perché ti sei allontanato? - Chiese invece Klaus. 

Il ragazzo ci pensò su. Era una balla domanda, eppure non riusciva a trovare una risposta abbastanza soddisfacente. Era stata una cosa istintiva, quella di fare quel passo indietro, come se una vocina l’avesse messo in guardia su un eventuale pericolo, come togliere la mano da un calderone bollente. - Non mi sembrava il momento adatto. - Disse invece. - Devi esserci la giusta atmosfera e poi mi sembrava troppo presto. - 

- Ma se parlate da mesi. - Obiettò Annie. 

- Io ho bisogno di un forte coinvolgimento emotivo. - 

- Che tradotto significa che hai avuto un po’ di paura, è normale. - 

Janus sbuffò e incrociò le braccia sul petto. - Sì, un po’ forse è vero. - Ammise, guardandola male. - Secondo me devo solo fare pratica con un’altra, una che non mi interessi. Ad esempio potresti… -

Annie lo guardò di sottecchi. - No. - Disse interrompendolo. - Toglitelo dalla testa. - 

- Dai, Annie! - 

- Non ci penso proprio! Preferirei leccare ogni centimetro della metropolitana di Londra piuttosto che baciarti. - Esclamò sbigottita. - Non te la prendere. È che ti vedo più come un paziente che come un ragazzo. Quindi frena il tuo transfert. - 

- Lo sai che non sei una vera psicologa, vero? Comunque va bene, capisco che baciarmi possa risvegliare in te vecchie fiamme. - Sogghignò Janus, e Annie alzò gli occhi al cielo. 

- Ti piacerebbe. - Gli disse. - Usa Klaus come cavia. Sono quasi del tutto sicura che non si opporrà. -

Klaus fece una risatina nervosa e il suo viso diventò un po’ più rosso del solito. - Se è proprio necessario posso sacrificarmi per la causa. - Disse annuendo. - L’importante è che non ti innamori, poi. - Proseguì e, nonostante il tono sarcastico, Janus non capì se l’amico stesse scherzando o meno.  

Ad ogni modo ci pensò su, rendendosi conto che, per quanto si considerasse da sempre una persona di larghe vedute e nonostante avesse ormai accettato da un pezzo di non disdegnare affatto i ragazzi, sarebbe stato molto difficile per lui accettare di essersi innamorato di un uomo. 

Era certo che a sua madre non sarebbe importato niente, ma al resto della famiglia? Ad esempio cosa avrebbe pensato Percy? Anzi, cosa avrebbe pensato suo padre? 

Quel pensiero gli accartocciò le viscere e per la prima volta nella sua vita sentì di essere sbagliato, di aver qualcosa da nascondere. 

- Non credo che potrei mai innamorarmi di un ragazzo. - Disse arrossendo. 

Klaus fece di nuovo quella risata nervosa, che però si spense come la fiamma d'una candela consumata. - Io sì. - Svelò, di botto.

Annie non sembrò affatto sorpresa, ma guardò Klaus con un misto di orgoglio e ammirazione, mentre Janus con ansia. 

Janus, a sua volta, rimase zitto a lungo prima di rispondere, guardando l’amico dritto in faccia. Non che non se lo aspettasse, eppure non aveva idea di quali fossero le parole giuste da usare in quel frangente. Dopo una manciata di secondi di attesa, Janus scrollò le spalle. - Okay. - Si limitò a dire. 

- Okay? - Ripeté Klaus, sorpreso. - Tutto qui? - 

- Be’, sì… ma grazie per avermelo detto. - Aggiunse Janus, sorridendogli. 

Klaus rimase di stucco. - Quindi a te sta bene? - Domandò serio. - Siamo ancora amici? -

L’altro annuì. - Per quel che mi riguarda puoi essere attratto anche dalle tazze di tè. - Lo rassicurò. - Adesso andiamo a mangiare? - 


Qualche settimana prima dell’inizio delle vacanze, Janus iniziò quella che ormai era diventata per lui una tradizione: creare a maglia, rigorosamente a mano e senza magia, cappelli, sciarpe e guanti di lana per chi considerava meritevole di ricevere da lui un regalo per Natale. 

Era stata la signora Weasley a insegnargli a lavorare a maglia, durante il secondo anno passato alla Tana, e per quanto Klaus lo prendesse in giro dicendo che era un passatempo da vecchia nonnina, a lui piaceva davvero molto, era rilassante e gli trasmetteva una rasserenante sensazione di casa. 

Qualche giorno prima della fine del trimestre, Janus si svegliò e, dopo una rapida occhiata fuori dalla finestra del dormitorio di Grifondoro, notò che il castello era ormai seppellito sotto almeno un metro di neve, mentre il lago era diventato una spessa lastra di ghiaccio su cui i più temerari improvvisavano delle pattinate. Quella mattina stessa Annie fece il primo pupazzo di neve dell’inverno e mentre se ne stava nell’accogliente e calda Sala Comune di Grifondoro, seduto davanti al camino acceso, Janus si rese conto di una cosa sorprendente: si sentiva… bene. 

Il suo nome, e quello dei suoi genitori, stava lentamente scomparendo dalle pagine dei giornali di gossip, la scuola andava meglio del solito anche grazie a quegli incontri in cui Sirius gli insegnava tutto ciò che sapeva e la squadra di quidditch di Grifondoro aveva addirittura vinto l’ultima partita per merito di Klaus, che aveva steso il cercatore di Corvonero con un bel colpo di bolide. Insomma, per la prima volta nella sua vita, Janus si sentiva un adolescente normale con preoccupazioni normali.

E poi c’era Pilar. 

Finalmente c’era qualcuno a parte Molly con cui parlare di ciò che lo appassionava, qualcuno che capiva ogni suo riferimento alla cultura pop babbana e che leggeva insieme a lui durante le ore buche tra una lezione e l’altra. L’unica cosa negativa del loro rapporto stava nel fatto che Janus era certo che passare del tempo con lei l’avrebbe istupidito: Pilar si era presa quasi tutta la sua attenzione e ne era rimasta ben poca per il resto. 

Ogni tanto, ad esempio mentre studiava o mentre assisteva ad una lezione di storia della magia particolarmente noiosa, la sua mente vagava fino a fermarsi su pensieri che gli facevano sperare che nessuno lì intorno fosse bravo in legilimanzia. 

Ma più passava il tempo, più lei diventava molto più di una piacevole distrazione. 

Era una persona buona e un po’ ingenua, e forse per questo la prendevano in giro praticamente per tutto, ma soprattutto per il modo strano in cui camminava. Un pomeriggio, mentre se ne stavano da soli in un’aula vuota del terzo piano, Janus le domandò per quale motivo zoppicasse in quel modo. Lei, in tutta risposta, si tirò su la gonna quel tanto che bastava per mostrargli alcune cicatrici che solcavano la coscia della gamba interessata. Janus si sentì arrossire, ma cercò di far finta di niente e rimase in silenzio, in attesa che fosse lei a dire qualcosa. 

- Sono nata con una malformazione al femore, hanno cercato di risolverla con degli interventi chirurgici, ma non è andata granché. - Raccontò Pilar, dopo qualche secondo di esitazione. - Lo so, è brutta da vedere. Per questo gli altri mi prendono in giro. - 

Lui si affrettò a scuotere la testa. - Sono solo cicatrici. - Disse. - Anzi, secondo me sono carine e se le altre persone ti prendono in giro è un problema loro, non tuo. - 

- Però tu non devi difendermi per forza quando lo fanno. - Disse lei, sistemandosi nuovamente la divisa.

- Ma io non lo faccio per forza. - Obiettò Janus. 

Aveva tentato in tutti i modi di ignorare la cosa. Di solito quella era la sua modalità preferita per affrontare i conflitti, ma in quegli ultimi tempi gli risultava a dir poco impossibile. Fu così che tutta la scuola venne a conoscenza del fatto che Black uscisse con la strana tipa zoppa di Tassorosso. Quando poi lui, all’inizio di dicembre, dopo un'infinità di tempo passato con lei, finalmente si decise di baciarla, si scatenarono molte reazioni differenti: Annie era contenta (“finalmente ti sei deciso a darti una mossa!) mentre Klaus e Faye non vedevano affatto Pilar di buon occhio, (“non fanno altro che sbaciucchiarsi!”, “che ci troverà lui in lei?”). Molly, Lucy e Teddy, che come unica ragione di vita avevano quella di metterlo in imbarazzo, invece si affrettarono a fare le presentazioni di rito, (“io e Lucy siamo le figlie del fidanzato di sua madre, mentre Teddy è suo cugino, perché Sirius e la madre della madre di Ted sono cugini di primo grado…”, “ah, sai chi è nostro zio? È Harry Potter!”, “che è il mio padrino!”).

Quella mattina in Sala Grande faceva freddo nonostante nel camino stesse bruciando un bel fuoco arzillo. Il cielo incantato sopra le loro teste era color opalino e una finta neve incantata veniva giù per poi sparire prima di toccare terra. Anche quell’anno, gli addobbi avevano reso la scuola ancor più magica: c’erano gli alberi di Natale, il vischio che vorticava e appariva nei luoghi più impensabili e ghirlande che decoravano le scale. 

- Ecco qui. - Disse Janus, sistemando attorno al collo di Klaus la sciarpa arancione che aveva fatto per lui. - Si intona perfettamente ai tuoi occhi. - 

- Tu credi? - Fece l’altro, aprendoli per bene. 

Dopo quello che gli aveva rivelato, giusto qualche settimana prima, il loro rapporto non era cambiato, anche se Klaus era tornato finalmente a essere il ragazzo eccentrico di un tempo prima. Janus era venuto a conoscenza del fatto che la comunità gay magica non se la passasse gran che bene e che, anzi, parlare di certi temi tra i maghi era ancora un grande tabù. Molti erano convinti che le coppie omosessuali rappresentassero una reale minaccia al futuro del mondo magico: la magia veniva passata dai genitori ai figli e, dato che i nati babbani non erano molto comuni, i più conservatori temevano una qualche sorta di crollo demografico. 

I genitori di Klaus, purtroppo, erano tra quei conservatori. 

- Non lo so, non sono un grande esperto di colori. - Disse Janus, guardandolo ancora, per poi voltarsi verso il tavolo dei Tassorosso alle sue spalle. - Teddy? Vieni qui! - Urlò nella direzione del cugino. 

Teddy Lupin sgranò gli occhi e per qualche secondo non si mosse. Sapeva che Janus si rivolgeva a lui per un solo motivo, cioè sgridarlo. Alla fine sospirò, si alzò e si avvicinò al tavolo dei Grifondoro come un condannato a morte si avvicina al patibolo.

- Che c’è? - Domandò dopo essersi sistemato meglio la divisa. 

Janus afferrò lo zaino abbandonato a terra, lo aprì e tirò fuori un berretto giallo che porse verso il ragazzino. - È per te, per Natale. - Lo informò, quando lo vide esitare. 

Il giovane Tassorosso aggrottò la fronte, perplesso. Aveva visto Janus fare regali del genere a Molly e Lucy per anni ma mai, neppure una volta, lui aveva ricevuto qualcosa. Si era domandato tante volte perché il cugino sembrasse detestarlo tanto, soprattutto perché all’inizio le cose tra loro non erano affatto così, c’era stato un tempo in cui erano stati addirittura amici. Poi Janus era cresciuto e aveva smesso di trovarlo interessante. 

- Grazie. - Disse Teddy, afferrando il cappello di lana. 

- È ancora il tuo colore preferito il giallo, vero? - 

Il ragazzino divenne ancor più sorpreso e i suoi capelli assunsero una strana sfumatura color porpora. Dopo un attimo di interdizione, annuì e poi, spinto da un moto di commozione, lo abbracciò. O almeno ci provò.

- No… niente… contatto… fisico… Ted! - Lo spinse via Janus. - Adesso torna a posto, su. - 

Teddy, tutto sorridente, si infilò il cappello e obbedì, tornando al suo tavolo. 

Annie, seduta dall’altra parte del tavolo con una sciarpa simile a quella di Klaus attorno al collo, sospirò sognante. - Ah… il potere della figa… - Disse, teatrale.

- Che intendi dire? - Domandò Janus.

- Intendo dire che fare sesso ti sta rendendo una persona migliore. - Chiarì la ragazza.

Klaus fece una faccia schifata, mentre Janus alzò gli occhi al soffitto al cielo e arrossì vistosamente. - Guarda che io e Pilar non lo facciamo. - Rispose in imbarazzo. - Ogni tanto facciamo… altro, ma non quella cosa. -

- Ad esempio? - Imbeccò Klaus. 

- Be’, sai… quelle cose che fanno tutti. - Buttò lì Janus. - Soprattutto leggiamo insieme, oppure lei suona l’ukulele e io la sto a sentire. E poi ci baciamo. -  

- Oh, sì, questo purtroppo lo sappiamo fin troppo bene. - Si indignò l’amico. 

Annie rise. - E dai, lascialo stare… per una volta che si comporta da persona normale! - Esclamò, divertita. - Lei mi piace un sacco, secondo me siete proprio fatti l'uno per l’altra. Amate entrambi tutte quelle cose strane da nerd, tu la proteggi dai bulli a colpi di punti tolti e finalmente hai smesso di stare dietro a Faye. - 

Janus lanciò all’amica uno sguardo torvo. - Non ci stavo dietro. - Replicò.

- Invece sì, eri patetico. - Sottolineò Klaus. - Sempre lì a dire quanto fosse bella… - 

- … e quanto fosse intelligente e talentuosa. Veramente patetico, Klaus ha ragione. - 

Janus sospirò. - Va bene, un po’ mi piaceva. - Ammise. - Ma non mi ha mai voluto, quindi me la sono fatta passare. Se preferisce quell’idiota di Ikaris, tutto muscoli e zero cervello, non posso farci niente. Io non sarò di certo il nuovo Piton. -

- Lei e Ikaris sono in pausa. - Lo infornò Annie. - Come hai fatto a non accorgertene? - 

- Probabilmente era troppo occupato a sbaciucchiare Pilar. - Suppose Klaus. 

Janus sentì qualcosa prendere vita dentro di lui, ma fece del suo meglio per apparire impassibile. - Perché sono in pausa? Che è successo? - Domandò sforzandosi talmente tanto di sembrare disinteressato che la sua voce uscì piatta e senza inflessioni. 

- Durante l’uscita a Hogsmeade l’amico di lui che ha fatto dei commenti spiacevoli sui miei genitori babbani, Faye si è arrabbiata e Ikaris le ha dato della pazza perché secondo lui sono solo battute innocenti. - Spiegò Annie tutto d’un fiato. - Non hanno più smesso di litigare da quel giorno, finché lei non l’ha messo in pausa la settimana scorsa. Ma sai una cosa? Doveva farlo molto tempo fa, anzi, dovrebbe lasciarlo e basta. - 

- Vero? È uno stupido e non è nemmeno tanto bello come dicono tutte! - 

Klaus inarcò le sopracciglia, come se l’amico avesse appena detto qualcosa di sconcertante. - Non puoi dire che non sia bello. Non sarà una cima, questo è vero, ma è indubbiamente un gran figo. - 

- Ma lui è… biondo! Mai fidarsi di un biondo, mai! - Esclamò Janus. 

- Ikaris fa schifo, non sindacare. - Rincarò la dose Annie. 

Continuarono a parlare fino al suono della campanella che segnò l’inizio dell’ennesima giornata di lezioni. Verso le otto e mezza del mattino, tutti e tre varcarono la soglia della classe di difesa contro le arti oscure. Si trattava di una stanza quadrata e piena di banchi che quel giorno erano stati tutti spinti lungo le quattro pareti. La cattedra era in fondo, c’era una lavagna e un proiettore funzionante a magia. Appese ai muri, e incorniciate da graziose cornici colorate, c’erano tante frasi motivazionali che Janus trovava da sempre molto imbarazzanti (“credi in te stesso”, “è dura fallire, ma è ancor peggio non aver mai provato ad avere successo”, “per ogni minuto che rimani arrabbiato perdi sessanta secondi di felicità”), ma tutto era perfettamente in linea con la professoressa Gemma Burton.

Si trattava di una giovane donna dai capelli bruni e lisci che le incorniciavano un viso che conservava ancora benissimo tutti i suoi tratti infantili. Amava i vestiti vaporosi e il lilla, colore che indossava sempre, che la faceva sembrare una sorta di fatina, ma aveva fatto la guerra ed era stata un’auror, di quelli bravi anche, a detta di Tonks. Era solita premiare durante le sue lezioni gli studenti più partecipativi e preparati con dolciumi o regalini dei Tiri Vispi Weasley; una volta Janus aveva vinto un pacchetto di gomme bolle bollenti, mentre un’altra una di quelle bacchette trabocchetto ideate da George. 

Un’altra cosa particolare di Gemma Burton era il suo interesse per le questioni di cuore dei suoi studenti: amava far sedere vicini quelli che secondo lei sarebbero stati benissimo insieme e più di una volta aveva organizzato lavori di coppia nella speranza di vedere formarsi delle vere coppie. 

La professoressa accettava nella classe da M.A.G.O. chiunque avesse un po’ di buona volontà, anche con un “accettabile” nei G.U.F.O. e quella mattina infatti c’erano un bel po’ di Serpeverde, compresa Faye e il suo ormai ex ragazzo idiota, qualche Corvonero, pochi Tassorosso e molti Grifondoro.

- Buongiorno, miei cari ragazzi. - Esordì la professoressa, guardandoli con espressione sognante mentre si raggruppavano davanti alla cattedra. - Ho letto i vostri temi sull'incanto patronus, siete stati bravissimi e dunque, con vostra somma gioia, almeno spero, oggi faremo una lezione pratica. Avanti, fuori le bacchette! In palio una bella scatola piena di cioccorane a chi riesce ad evocare un patronus per primo! - 

Di solito Janus non si divertiva come gli altri durante le lezioni pratiche, preferiva di gran lunga studiare le cose sui libri, quello si che gli veniva sempre bene, ma quel giorno era tranquillo dato aveva già provato quell’incantesimo tantissime volte insieme a suo padre. 

- Scommetto che tu lo sai già fare, vero? - Disse Klaus, sorridendo con fare beffardo. - Te lo ha insegnato il signor Black? - 

Janus annuì. - Sì, l’ho imparato a ottobre. - Rispose sottovoce. - Credo proprio che quelle cioccorane saranno mie, solo che devo prima fingere un po’ di non saperlo fare, non credi? Sarebbe molto più credibile. - 

- In effetti sì, anche se è un po’ come barare. Però chi se ne importa, farai guadagnare un sacco di punti a Grifondoro. - Convenne Klaus. - A cosa pensi quando lo evochi? - 

- Non te lo dirò nemmeno sotto tortura! -

Nel frattempo, tutto intorno a loro, gli altri gli altri studenti avevano iniziato i loro tentativi di evocare un patronus. Qualche minuto più tardi dalle bacchette di qualcuno uscivano dei delicati sbuffi di vapore argenteo, altri invece, nonostante la formula gridata con tanto ardore, non vedevano nemmeno l’ombra dell’incanto. E tra loro, stranamente, c’era anche Faye.

- Professoressa? Professoressa, guardi! - Esclamò Ikaris a un certo punto, la bacchetta puntata in aria da cui usciva un bel getto d’argento. 

- Bene, Farley, dieci punti a Serpeverde! - Disse la professoressa Burton con fierezza, seduta sulla cattedra e con gli occhi vispi puntati sulla classe. 

Janus guardò Ikaris con un’occhiata di tralice. Forse era giunto il momento di sbattere in faccia a coglione quanto fosse di gran lunga migliore di lui. 

Chiuse gli occhi e si concentrò. L’aveva già fatto, sapeva di esserne capace, doveva soltanto mantenere la sua attenzione su un pensiero o un ricordo felice, non doveva lasciarsi distrarre dal fatto di trovarsi in pubblico. Sospirò e spalancò di nuovo le palpebre, guardandosi attorno; adesso in molti stavano tirando fuori dalla punta delle proprie bacchette quella nebbiolina. 

Eccola lì, la stretta familiare dell’ansia che lo attanagliava. 

No, pensieri felici, si disse con fermezza. 

Puntò la bacchetta in aria e mormorò debolmente la formula. Niente.

Concentrati… pensò, concentrati… 

- Expecto Patronum! - Esclamò, stavolta con più forza, e subito il corvo argenteo schizzò fuori dalla punta, fiero ed elegante, iniziando a svolazzare per tutta l’aula e attirando l’attenzione di tutti i presenti. 

Ci fu un attimo di silenzio e poi dei mormorii sorpresi si levarono tra gli studenti. 

- Per tutti i fondatori, Black! Bravo! - Esclamò la professoressa Burton, andandogli incontro. - Trenta meritatissimi punti a Grifondoro. Un patronus corporeo al primo tentativo è davvero notevole… o l’avevi già fatto prima? - 

- No, mai. - Mentì spudoratamente Janus. 

- Ottimo, davvero ottimo. - Si congratulò ancora la professoressa, tirando fuori da sotto la cattedra il premio. - Ovviamente evocare un patronus davanti a un dissennatore è nettamente più difficile rispetto a farlo in un ambiente sicuro come la nostra classe, tu lo saprai meglio di tutti. - 

Janus si domandò a cosa si riferisse, e poi la professoressa aggiunse: - Tuo padre te ne avrà parlato immagino. - 

- Oh… sì. - Buttò lì il giovane anche se non era vero. 

- Forza, continuate, ragazzi! - Esclamò la Burton. - Tu, Black, se vuoi puoi dare una mano agli altri. - 

Circa un’ora più tardi alcuni studenti erano riusciti ad evocare un vero e proprio patronus; quello di Klaus, ad esempio, aveva la forma di un beagle, mentre quello di Annie un grazioso procione che si era messo a correre tra le gambe di tutti. Perfino Ikaris, che per quanto si impegnasse nello studio rimaneva comunque molto più bravo sulla scopa che con la bacchetta in mano, aveva evocato un cavallo dalla fluente criniera. Poco prima della fine della seconda ora, l’unica che ancora non aveva prodotto nemmeno uno sbuffo argenteo era Faye, che fissava la sua bacchetta come se fosse certa che avesse smesso di funzionare, sul viso l’espressione contrita di chi falliva per la prima volta. 

- Bene, ragazzi. Siete stati tutti bravissimi. - Esordì la professoressa Burton. - L’incanto patronus è un incantesimo di livello molto avanzato che necessita una buona padronanza delle emozioni nonché un enorme sforzo mentale, quindi non scoraggiatevi se non vi è riuscito, d’accordo? - 

La campanella suonò e gli studenti si mossero verso la porta. Faye fu la prima ad uscire, come se non vedesse l’ora di allontanarsi da lì.

- Che lezione abbiamo ora? - Domandò Klaus, una volta raggiunto il corridoio affollato di studenti e studentesse occupati come loro a dirigersi verso l’aula successiva. 

- Incantesimi. - Rispose Janus alla svelta. - Ci vediamo lì. Io ho una cosa da fare. - 

Non aggiunse altro, ma inseguì Faye lungo il corridoio facendosi spazio tra la folla rumorosa, e poi su per le scale, fino a ritrovarsi davanti alla porta chiusa del bagno delle ragazze in cui lei si era rifugiata. 

Con la mano sulla maniglia, Janus indugiò per qualche attimo, incerto sul da farsi, poi si guardò intorno, si fece coraggio ed entrò, ritrovandosi davanti una fila di porte da un lato e alcuni lavelli dall’altro. Lì, davanti a uno degli specchi appesi sopra ad ogni lavandino, c’era Faye che si voltò di scatto verso di lui, guardandolo come se fosse arrabbiata.

- Che c’è? - Gli domandò con stizza. 

- Stai bene?  - Rispose lui. - Non te la sarai presa perché non ti è venuto l’incantesimo… - 

Faye scosse la testa e poi sbuffò. - Perché ti interessa? Ultimamente sei così preso da altro… - Disse, tornando a guardare il suo riflesso nello specchio. 

- Mica sarai gelosa. - Ribatté lui, scrutandola. 

Faye si limitò a fare un verso sprezzante.

- Mi interessa perché siamo amici. - Spiegò Janus, avvicinandosi a lei. - E tu sei la strega più talentuosa che io abbia mai conosciuto, so che non sbagli mai. - 

- Stavolta a quanto pare sì. - Obiettò acidamente lei. Poi sospirò. - Credo di non avere ricordi abbastanza felici da poter evocare un patronus. Non è uscito proprio niente dalla bacchetta, nemmeno uno sbuffo di fumo, niente. - Proseguì a bassa voce. 

- Non deve essere per forza un ricordo vero e proprio. - Disse Janus. - Può essere anche un pensiero felice. L’importante è che dentro di te scateni qualcosa di forte. - 

Faye si voltò per poterlo guardare. - Qual è il tuo pensiero felice? - Gli domandò. 

- Sono cose private. - 

- Qual è? - Insistette lei. 

Janus sospirò. - C’è questo video di quando ero praticamente un neonato... l’ho visto tantissime volte. - Iniziò a raccontare, con un po’ di vergogna. - Ci siamo io, mia madre e mio padre, sulla spiaggia in Scozia. Lui mi tiene in braccio e dietro la videocamera c’è mia madre che riprende la scena. Poi lui si volta verso di lei, la guarda, le sorride e le dice che la ama, che ama la nostra famiglia. Vedi, non è un vero ricordo, però è a questo che penso per evocare un patronus. Penso che al mondo c’è qualcuno che mi ama talmente tanto da morire per me, qualcuno per cui sono la persona più importante di tutte. Non importa quante volte mi comporterò da stronzo, mia madre e mio padre saranno sempre lì. Anche se questo vale soprattutto per mia madre, a dire il vero. - 

Le labbra di Faye si piegarono verso il basso e le sue sopracciglia si aggrottarono in un’espressione triste. - Non c’è nessuno che mi ama in questo modo. Io non ho nessun pensiero del genere. - Mormorò con voce soffocata. - Io sono sola, perfino quest’anno che mio padre è a casa dovrò passare le feste a scuola, dato che lui non mi vuole attorno. - 

Sembrava sull’orlo delle lacrime, e Janus non aveva idea di quale fosse la cosa giusta da fare in situazioni come quella. 

- Non è vero che nessuno ti ama e non è vero che sei sola. - Disse infine. - Perché non vieni da me a Natale? Andremo alla Tana come ogni anno, mangeremo un sacco di tacchino e la signora Weasley ti farà un maglione. Possiamo anche andare a trovare tua madre al San Mungo, se vuoi. - 

Faye gli rivolse uno sguardo difficile da decifrare, gli occhi color miele erano lucidi e arrossati. - Hai invitato anche quella lì, per caso? - Chiese mordace. 

Janus alzò gli occhi al cielo. - Certo che no. - Rispose, mantenendosi paziente. - I suoi sono iperprotettivi e grandi fan del Natale come festa religiosa, quindi non credo che sarebbe potuta venire. Però mi ha chiesto di andare in chiesa con lei il 24. - 

- Sul serio? - Domandò Faye, aggrottando la fronte. - E tu cosa le hai detto? - 

- Che non avevo nessuna intenzione di arrivare fino a Bristol per andare in chiesa quando potevo starmene alla Tana a giocare a spara schiocco per tutta la notte. - Rispose il giovane. - Poi le ho detto che c’è la possibilità che purtroppo Dio non esista e ho citato Marx; Die Religion ist das Opium des Volkes, la religione è l'oppio del popolo. Non mi ha parlato per tre giorni. - 

Faye prima lo guardò male, poi trattenne senza successo una breve risata. - Sei un fidanzato di merda, cazzo. - Gli disse ridendo. 

- Non sono il suo fidanzato. - Si affrettò a dire lui. - Vieni o no a Natale? - 

Lei si prese tutto il tempo necessario per rispondere, scegliendo di stare in silenzio per qualche secondo. - La signora Weasley lo fa buono il tacchino? - Domandò a sua volta alla fine.

- Oh, quel tacchino non ha eguali, te lo assicuro. - Sentenziò Janus. 

- Allora forse potrei farci un pensierino. - Disse Faye con nonchalance. - Sempre se alla tua non fidanzata non da fastidio, ovviamente. Altrimenti me ne vado da Annie. -

- Che coraggio. Io non ce la farei mai a passare più di dieci minuti nella stessa stanza con i genitori di Annie. Ho sempre paura che mi leggano nel pensiero con qualche tattica da psicoterapeuti. - 

- Forse ha qualcosa da nascondere. - Suppose la Serpeverde. - Sei così diverso ultimamente. - 

- Perché? - Chiese lui con interesse. 

- Sembri molto più sicuro di te. Poco fa hai alzato la bacchetta in aria e hai evocato un patronus così, su due piedi, senza battere ciglio. - 

Janus valutò se fosse il caso o meno di dirle la verità, cioè che non era la prima volta che eseguiva quell’incantesimo, ma alla fine si limitò a scrollare le spalle e per sminuire la faccenda e per fingere un po’ di modestia. - Non era nemmeno così potente, inoltre immagino che davanti un dissennatore sia tutt’altra cosa. - 

Faye scosse la testa. - La modestia non ti si addice. - Gli disse. 

- Hai ragione. In effetti era un grande incantesimo! - Convenne lui ridendo. 

Lei alzò gli occhi al cielo ma sorrise senza dire niente.

- Ti ho fatto un paio di guanti per Natale, te li do prima che me ne dimentichi. - Disse Janus, rompendo il silenzio e aprendo nel frattempo goffamente il suo zaino per tirarli fuori. - So che hai le mani sempre fredde in inverno quindi… guanti di lana verdi. Sì. Perché sei una Serpeverde. Ecco. - 

- Oh, grazie. Quelli dello scorso anno li ho bucati per sbaglio durante l’ora di pozioni. - Raccontò Faye, infilandosene uno. 

Janus percepì qualcosa di strano nell’aria, come… elettricità

Sarebbe bastato un solo passo per avvicinarsi, per poterla baciare, o magari poteva aprire semplicemente il suo cuore e dirglielo, dirgli quello che pensava da sempre. Le avrebbe detto che non era vero che nessuno l’amava, perché c’era lui e, fino alla fine, era certo che l’avrebbe amata. 

Janus si sentì avvampare e quando Faye gli lanciò uno sguardo perplesso fu sicuro di essere arrossito. Lei aprì la bocca per poter dire qualcosa, quando la porta alle spalle di lui la interruppe. Quando Janus si voltò, si ritrovò davanti a Molly e Lucy, una con la divisa da Corvonero, l’altra con i colori di Grifondoro, ma entrambe un po’ sorprese di trovarlo lì. 

- Sei nel bagno delle femmine. - Gli fece notare Lucy, incrociando le braccia sul petto, con il suo immancabile atteggiamento alla Percy. - Che stai facendo? Guarda che lo dico a Hazel che fai le cose strane con le ragazze. - 

- Non faccio le cose strane con le ragazze. - Sbottò Janus che arrossì ancora di più.

Sia Faye che Molly ridacchiarono. 

- Cioè, in realtà… le faccio. - Ritrattò il ragazzo. - Ma non con Faye, lei è solo un’amica. -

Lucy fece una faccia scettica, mentre Molly un piccolo sghembo. 

- Quest’anno starà da noi a Natale. - Proseguì Janus, per distogliere l’attenzione da quello scottante argomento. - Quindi presumo che voi tre avrete molto tempo per prendermi in giro! - 

 

°°°°°°

 

Qualche sera più tardi, Sirius stava aspettando suo figlio ai Tre Manici di Scopa. 

Nel pub non c’era ormai quasi più nessuno a eccezione di lui, due vecchie streghe raggrinzite sedute al tavolo accanto al grosso albero di Natale, e uno stregone dall’aria losca accomodato al bancone oltre cui Talitha e madama Rosmerta gli stavano servendo da bere. Dalla radio posta sopra il camino, Celestina Warbeck stava cantando una canzone natalizia che secondo Sirius ricordava un po’ "All I want for Christmas is you” di Mariah Carey, e questo gli procurò una dolorosa fitta al cuore. Sembrava passato così poco tempo dal Natale del 1994, quando quella canzone suonava spesso dalla televisione di Hazel, e Janus aveva solo quattro mesi. Il Natale 2010, invece, si prospettava come uno dei peggiori di sempre e questo era tutto dire. 

Nel migliore dei casi sarebbe finito a mangiare falafel a casa della madre di Kamilah, nel peggiore sarebbe rimasto a casa a ubriacarsi e a guardare uno dei tanti film che Janus gli aveva detto di recuperare. Per ora dalla lista aveva sbarrato un bel po’ di titoli tra cui la trilogia di Matrix (che a dir la verità non aveva capito per niente, ma che aveva apprezzato lo stesso per le scene d’azione), Schindler's List (che l’aveva fatto piangere dall’inizio alla fine), Eternal Sunshine of the Spotless Mind (che invece lo aveva fatto sentire depresso per un paio di giorni) e il Favoloso Mondo di Amelie (che si era meritato un voto sufficiente solo perché la protagonista era molto carina). Probabilmente il 25 dicembre si sarebbe messo a guardare qualcosa di estremamente triste, magari uno di quei film sugli animali domestici che alla fine tirano le cuoia. Era certo che ci fosse un titolo del genere sulla lista che Janus gli aveva dato. 

Quando la porta d’ingresso del locale si aprì facendo entrare il vento gelido, Sirius ringraziò silenziosamente suo figlio, appena apparso lì sulla soglia, per aver interrotto con la sua presenza quel circolo di pensieri tetri. 

Tra i capelli aveva qualche fiocco di neve e anche i suoi soliti vestiti e lo zaino che aveva sulle spalle erano umidi per colpa della tempesta che si stava consumando fuori dal pub.

- Ciao. - Disse Janus, togliendosi la giacca e abbandonando la borsa prima di sedersi proprio davanti a lui con aria sfatta. - Si muore di freddo… è così anche a Londra? - 

Sirius si lasciò scappare un piccolo sorrisetto. Era una cosa molto inglese, quella di esordire parlando del tempo, e Janus era uno di quelli che ne parlava spesso quando non sapeva come rompere il ghiaccio, anche se non era cresciuto lì. - Sì, anche a Londra fa freddo. - Rispose Sirius alla svelta. - Hai già mangiato? - 

Janus annuì ma non disse niente. 

Nonostante ultimamente le cose tra loro fossero sulla buona strada, c’era sempre un po’ di quella freddezza tipica dei rapporti in cui c’era ancora qualcosa di irrisolto. In quei mesi aveva capito che Janus era un po’ come una sorta di campo minato, sarebbe bastato un solo passo falso per distruggere tutti i progressi che aveva fatto con lui. Sirius si chiedeva spesso se mai sarebbe riuscito a costruire con lui un rapporto più vero, più sincero, ma d’altra parte era grato per ciò che già possedeva. 

- Dato che purtroppo a Natale non ci vedremo, ti ho portato il regalo. - Gli disse, tirando fuori da sotto il tavolo un pacchetto ben avvolto in carta da regalo molto festosa. 

Janus esitò per qualche istante, gli occhi puntati sui piccoli babbi natali disegnati sulla superficie della carta da regalo. - Anche io ho una cosa per te. - Rispose poi, aprendo il suo zaino per tirare fuori una lunga sciarpa nera. - Non sapevo quale fosse il tuo colore preferito, quindi alla fine l’ho fatta così. Forse è un po’ banale, lo so. - 

Sirius aggrottò la fronte. - Vorresti dire che l’hai cucita tu? - Domandò sorpreso. 

- Sì. - Annuì il ragazzo, imbarazzato. - Lo so, è una cosa un po’ strana, però mi piace farlo. Mi ha insegnato la signora Weasley durante un Natale di qualche anno fa. Penso sia molto rilassante, il che è strano, perché io non mi rilasso mai. - 

- Questo lo so bene. - Rise Sirius, apprezzando nel frattempo la morbidezza del tessuto della sciarpa. - È davvero bella, grazie. Non mi aspettavo che tu mi facessi un regalo. Vuoi… aprire il tuo? - 

Janus rimase qualche secondo zitto con aria pensierosa e gli occhi puntati sul pacchetto. Poi alzò lo sguardo verso il padre. - Senti, perché non vieni anche tu alla Tana quest’anno? Insomma… immagino che Harry ti abbia invitato, o no? - Gli chiese. 

- Sì, mi ha invitato. - Ammise Sirius. - Ma mi sentirei di troppo, inoltre non credo che tua madre mi voglia lì, quindi… non preoccuparti per me. - 

- Perché dici che mamma non ti vuole lì? Voi due andate d’accordo, lei ti adora. - Janus lo scrutò attentamente e con aria alterata, come alla ricerca di un indizio per incastrarlo o di una scusa per tornare a odiarlo. - Avete litigato? Che le hai fatto? - Domandò. 

Sirius sembrò quasi trattenere il fiato e si ripeté che quello che aveva davanti era suo figlio, non un suo amico, e che non poteva di certo rispondere sinceramente. - No, non abbiamo litigato. - Mentì. - Non sono cose che ti riguardano, queste. - 

- Sì che mi riguardano. - Obiettò gelidamente Janus. - Allora? Che hai combinato? - 

- Non ho combinato niente! - Sbottò Sirius, alzando gli occhi al cielo. - Preferisco di gran lunga stare a casa da solo piuttosto che passare il giorno di Natale a osservare la vita che avrei potuto avere se quel giorno non fossi finito dietro quel velo. Se vuoi venire a casa mia sei il benvenuto, ma non metterò piede alla Tana, mi dispiace, Jan. - 

Janus lo fissò in silenzio per qualche secondo prima di rispondere con un freddo e distaccato: - Fa’ come vuoi. - Buttato lì senza nessuna particolare inflessione nella voce.

- Bene, immagino che adesso tu ce l’abbia con me. - Asserì Sirius, abbandonandosi sconsolato allo schienale della sedia su cui sedeva. - Come al solito del resto. - 

Il giovane gli lanciò uno sguardo infastidito. - Non ce l’ho con te. - Disse poi, stringendosi nelle spalle. - Però sarebbe stato bello stare tutti insieme, per una volta. Ma se non ti va non fa niente. - 

- Non è vero che non mi va, ti sto dicendo che… - 

- Non fa niente. - Ripeté Janus, interrompendolo. - Sarà solo l’ennesimo Natale in cui non ci sarai, non mi cambia niente ora che ci penso. - 

- Potresti stare da me alla vigilia e da tua madre a Natale. - Propose Sirius

- Ci sarà anche Faye quest’anno. - Rispose Janus in fretta. - Non posso lasciarla da sola alla Tana per stare con te a Londra. -

- Porta anche lei. - 

Janus alzò gli occhi al cielo e poi, dopo un lungo respiro profondo, unì le mani davanti a sé, appoggiate sul tavolo, e lo guardò. - Non so cosa hai combinato con mamma, ma non puoi evitarla per sempre. - Disse lentamente. 

Sirius sospirò. Non vedeva Hazel da mesi e, per quanto spesso sentisse ancora molto forte la sua mancanza, era certo che tenersi alla larga da lei fosse la cosa migliore da fare per dimenticarla, inoltre lei gli aveva chiesto esplicitamente di starle lontano. 

Tuttavia gli sembrava così strano: ami profondamente una persona, pensi di non saper più vivere senza di lei e poi, quando quell’amore finisce, nel migliore dei casi si torna a essere due sconosciuti e nel peggiore si finisce per odiarsi per il resto della vita, e lui non voleva che ciò potesse accadere anche a lui e Hazel. 

Ma come poteva evitarlo se lei non voleva nemmeno averlo intorno? Certo, accettare quell’invito poteva essere un’ottima occasione per chiarire, le avrebbe detto che quel bacio che si erano scambiati mesi prima era stato un grave errore, che stava andando avanti con la sua vita. Le voleva sbattere in faccia il fatto che usciva con un’altra donna, che non aveva nessun bisogno di lei, che non voleva quella vita perfetta e noiosa che si era costruita insieme a quel dannato Weasley…

- Va bene, verrò. - Decise Sirius infine.

Janus annuì nonostante non fosse del tutto certo di credergli. Aveva l’impressione che quello sarebbe stato uno strano Natale. 



 

Odio questo capitolo. Lo detesto. Lo detesto perché ci ho messo una vita a scriverlo e l’ho letto così tante volte che ho la nausea. So che in quanto a trama non succede granché, ma era necessario per gettare le basi per ciò che arriverà dopo, quindi spero che non sia stato troppo noioso. 

Non ho molto altro da dire… oltre al fatto che ODIO QUESTO CAPITOLO. 

Comunque vi prometto che il prossimo sarà un po’ meglio. 

Grazie per aver letto fin qui, circa ottomila parole di nulla, davvero vi apprezzo. 

Alla prossima, 

J. 

Ritorna all'indice


Capitolo 39
*** Capitolo 38. Gelosia ***


Capitolo 38


Una lunga locomotiva rossa si muoveva lenta in direzione di Londra, facendosi strada nella tormenta. Fuori dal treno le campagne dello Yorkshire apparivano infatti talmente innevate da sembrare un unico e immenso spazio bianco privo di qualsiasi punto di riferimento. Janus guardava fuori da uno dei finestrini appannati lungo il corridoio, davanti dal suo scompartimento, cercando di non sembrare troppo disinteressato a ciò che Pilar aveva da dirgli:  

- Quindi lei verrà a stare da te per tutta la durata delle feste e per questo non puoi venirmi a trovare a Bristol? - Gli chiese per l’ennesima volta, le braccia conserte e il viso contratto in un’espressione furente. 

- Sì. - Si limitò a dire lui, dopo un sospiro sconsolato. - Te l’ho già detto un milione di volte, non posso lasciarla a casa con mia mamma e Percy mentre vengo a trovarti, anche se è solo per un giorno. Non è un comportamento educato. - 

- Quindi dormirà a casa tua. - Proseguì Pilar, indignata. - Nella tua stessa stanza. - 

Janus non riuscì a trattenersi dall’alzare gli occhi al cielo. - No, mamma pensa che non sia più adeguato, quindi Faye dormirà con Molly e Lucy. - Rispose - Mi spieghi di che ti preoccupi? Io e lei siamo amici dal primo anno e non è mai successo niente, mai, quindi perché dovrebbe accadere proprio ora che ci sei tu? - 

- Perché lei è una stronza narcisista che ti vuole sotto il suo controllo. - Decretò Pilar. 

- Pilar, ti prego… - Implorò Janus. - Lo so, lei può risultare spiacevole ogni tanto, nemmeno a me piace ciò che ti dice, ma devi capire che ha avuto un’infanzia difficile. - 

- Sai chi ha avuto un’infanzia di gran lunga più difficile? Tom Riddle. Eppure nessuno giustifica Voldemort, mi pare. - Obiettò lei.

- Voldemort ammazzava la gente, Faye no. - Puntualizzò Janus.

- Faye mi chiama Nachos. È razzista! - 

Janus dovette fare del suo meglio per non mettersi a ridere. - Ma perché te la prendi? I nachos non sono neppure un piatto cileno, insomma… che te ne frega? -

- È questo il punto, Jan! Davvero non ci arrivi? - Sbottò Pilar, stizzita. 

- Ma non è razzista, dai… - 

- Non venire a dire a me cosa è razzista e cosa no, tu sei bianco! - Esclamò la ragazza.

- Sempre meglio di come ti chiamava prima però. - Borbottò Janus.

Pilar gli lanciò uno sguardo talmente brutto da farlo preoccupare. - Sì, proprio un grande miglioramento ora che ci penso… è passata dal chiamarmi storpia al chiamarmi come un piatto messicano, quella stronza. - Disse furiosa. - Deve smetterla. - 

- Glielo farò presente. - La rassicurò lui, e poi la prese per mano. - Senti, dato che non posso venirti a trovare… che ne dici di passare con noi il capodanno? Staremo a casa di Klaus, vive in una specie di castello, e i suoi non ci saranno. - 

- I miei non mi ci manderanno senza prima conoscerti. - Sospirò lei. 

- Ti verrò a prendere, così mi vedranno, capiranno che sono un bravo ragazzo e che con me sei al sicuro. - Propose Janus. - Io piaccio sempre ai genitori, lo sai? - 

Pilar sospirò di nuovo. Non era certa che ai suoi genitori potesse piacere un tipo come Janus, con quell’aspetto da ricco ben educato e l’aria di uno che aveva un manico di scopa ben piantato dove non batteva il sole. - Ci sarà anche Faye, vero? - Gli domandò. -  Se non vengo rimarrai da solo con lei in un castello la notte di capodanno, annebbiato dai fumi dall’alcol? - 

Janus rise e scosse la testa. - Lo sai che non bevo, e poi ci saranno anche Klaus e Annie. Perché ti preoccupi tanto? - 

Lei gli lanciò uno sguardo eloquente. - Forse perché ti senti attratto da lei? - 

Janus ebbe un attimo di smarrimento. - Non mi sento attratto da lei! - Obiettò, con voce insoliamente acuta. - È indubbiamente bellissima ma… cioè, insomma, nemmeno tanto se la si guarda bene. - Si affrettò a ritrattare. 

- Invece lo è. - Asserì Pilar, con aria ferita. - Non è come me, non ha il mio problema. - 

- Se è alla tua gamba che ti stai riferendo, ti ho già detto che non mi interessa. - Le ricordò lui. - Ma poi chi decide cosa è bello e cosa no? Può darsi che lei sia bella oggettivamente, te ne do atto, ma con ciò? Lei è come una scultura di Canova, la guardi e sai che è perfetta, mentre tu sei come un’opera di Picasso. - 

- Picasso. - Sibilò lei, togliendo la mano da quella di lui. - Quello che disegnava male. - 

Janus aggrottò la fronte. - In realtà era un pittore molto abile, una sorta di prodigio, ma non era interessato a nessun tipo di realismo. - La corresse saccente. 

- Isabela ha ragione, sei uno stronzo. - Ribatté lei. 

Poi si voltò e si incamminò claudicante lungo il corridoio del treno, seguita un attimo dopo da lui, che le afferrò di nuovo la mano, fermandola. - Quello che sto cercando di dirti è che anche tu sei bella. - Tentò di spiegarsi. - E non solo sei bella, ma sei anche ricca di significato. - 

Lei fece un verso sprezzante e gli rivolse uno sguardo infastidito. - Se la baci o peggio… - 

- Non succederà. - 

- Sì ma… - 

- Non succederà. - Ripeté lui. - Te lo prometto, non succederà. Ti scriverò per tutto il tempo se questo può farti stare più tranquilla, e ti chiamerò spesso. - 

Pilar lo guardò scettica e infastidita, poi incrociò le braccia sul petto e non rispose. Non le piaceva per niente quella situazione. 

C’erano tante voci che circolavano su Faye Selwyn e non tutte erano buone. Era la più bella della scuola e una studentessa degna di nota, ma era anche quella che aveva la collezione più vasta di cuori spezzati alle spalle. Alcuni ragazzi, dopo essere stati scaricati da lei, usavano dei termini poco carini per descriverla e si mettevano a raccontare in giro ciò che lei si era lasciata fare da loro mentre stavano insieme. Insomma, era pericolosa, molto pericolosa, Pilar era certa che nessuna ragazza sarebbe stata tranquilla nel sapere che una così sarebbe rimasta a dormire a casa del proprio quasi fidanzato per giorni. 

- Io e te stiamo insieme? - Domandò all’improvviso la giovane. 

Janus scrollò le spalle. - Non lo so. Non ho idea di come funziona in certi casi. - Rispose disinteressato. Solitamente le etichette gli piacevano e lo facevano stare più tranquillo, tuttavia questa volta non ne sentiva particolarmente il bisogno. 

- Di solito ci si mette insieme, dopo un po’. - Spiegò Pilar. 

- Se questo ti fa stare più tranquilla allora va bene, stiamo insieme. - Le concesse Janus. 

Lei annuì talmente in fretta da dare l’impressione che non vedesse l’ora di sentir dire da lui una cosa del genere. 

- Adesso possiamo tornare a sederci? - Domandò Janus, facendo un cenno verso la porta dello scompartimento a loro fianco. - Non manca poco a Londra. - 

- No, scusa ma non ci tengo a rivedere la brutta faccia di Faye. - Rispose acidamente Pilar. - Perché non vieni tu nello scompartimento delle mie amiche? - 

Perché sono strane, avrebbe voluto rispondere lui, ma invece disse: - Ho delle cose da prefetto da fare. - Nella speranza che lei ci credesse. 

Pilar annuì, anche se la sua espressione era molto scettica. - Va bene, allora ci vediamo una volta a Londra. - Disse.  

- Sì, però… una volta lì ci saranno mia madre e Percy, quindi forse è meglio se facciamo finta di essere solo amici. Non perché io mi vergogni di te! - Si affrettò ad aggiungere, in imbarazzo. - Solo che mia mamma è un po’ imbarazzante, ti farebbe tante domande invadenti, mentre lui… be’, anche Percy è imbarazzante, solo che in modo diverso. - 

- Sì, non ti preoccupare. - Annuì lei con fare comprensivo. 

Janus la guardò e non disse nulla per qualche attimo. Non riusciva a capire bene cosa provasse per lei: c’erano giorni in cui gli sembrava davvero molto carina e in cui era certo che prima o poi si sarebbe innamorato di lei, altri in cui invece tutta quell’insicurezza che Pilar si portava dietro lo infastidiva. A ogni modo era sicuro che un po’ avrebbe sentito la sua mancanza durante le vacanze e decise che poteva concedersi di ammetterlo: 

- Mi mancherai in questi giorni. - Le disse, continuando a guardarla negli occhi. 

- Anche tu. - Rispose lei e poi, in punta di piedi, lo baciò alla svelta. - Fai il bravo. - 

Janus alzò gli occhi al cielo e annuì. 

La salutò in fretta e quando la vide sparire dietro la porta che divideva il vagone da quello successivo, si infilò nello scompartimento in cui aveva lasciato Annie, Klaus e Faye. Janus li guardò e loro ricambiarono il suo sguardo, poi il giovane si lasciò cadere accanto all’amico con un piccolo sospiro. 

- Cosa voleva Nachos? - Domandò la Serpeverde, seduta proprio davanti a lui. 

Janus sbuffò e la guardò male. - Puoi non chiamarla così, per favore? Dice che è una cosa razzista. - Rispose infastidito. 

- E perché? Io mica mi offenderei se qualcuno mi chiamasse pudding. - Ribatté Faye. 

Janus annuì dandole ragione. - Lei dice che non posso capire perché sono bianco. -

- Però lei di sicuro non è nera. - Interloquì Klaus. - Direi piuttosto che è marroncina. - 

- Infatti! Ho visto italiani più scuri di lei. - Asserì Janus. 

Annie guardò i tre con un’espressione sconcertata dipinta in volto. - Siete orribili, sul serio. - Sentenziò. - È nata a Bristol, è cresciuta in Inghilterra, dunque è molto più inglese di te, Jan, che vivi qui da sì e no sei anni e chiami i biscotti "cookies", con quell’accento terrificante. Eppure non mi pare che qualcuno ti abbia mai chiamato… non lo so, dimmi un piatto tipico degli Stati Uniti! - 

- Il tacchino del ringraziamento? - 

- Ecco. Nessuno ti chiama Tacchino del Ringraziamento, o sbaglio? E poi i nachos non sono nemmeno un piatto tipico cileno! - 

Faye fece una faccia infastidita. - Che carina che sei Annie, vedo che ora hai una nuova migliore amica. - La punzecchiò tagliente. - Qual è un piatto tipico cileno, comunque? - 

Janus ci pensò su. - Le empanadas, credo. - Rispose poi. - Sono dei saccottini di carne. - 

- Bene, da oggi in poi la chiamerò Empanadas. - Decise Faye. - Anche lei è un saccottino ripieno di carne, dopotutto. Forse un po’ troppo ripieno, ma sono gusti. - 

- Piantala. - 

- Di fare cosa? - 

- Di parlare di lei in questo modo. Devi smetterla. - Disse il ragazzo. - Mi spieghi perché devi essere sempre così spiacevole? Che problemi hai? - 

Faye rimase interdetta per qualche secondo, sorpresa da quella reazione da parte di lui. Poi sogghignò divertita. - Ti sei innamorato? - Lo prese in giro, parlando con una dolce vocetta. - E io che pensavo che stessi con lei per una qualche sorta di gesto caritatevole. - 

Janus lanciò verso di lei uno sguardo inferocito e poi si alzò in piedi. - Mi hai stancato. - Sbottò pieno di fastidio, e senza aggiungere altro si voltò e lasciò lo scompartimento sbattendosi la porta alle spalle. 

Dopo qualche attimo di teso silenzio, Annie si voltò verso l’amica. - Forse devi andare a scusarti. - Consigliò in tono conciliante. 

Faye sbuffò, ma non se lo fece ripetere due volte. Non aveva nessuna voglia di litigare con lui, soprattutto in vista delle feste che avrebbero dovuto passare insieme. Quando uscì anche lei dallo scompartimento, lo trovò nel bel mezzo del corridoio del treno, lo sguardo rivolto al di là del finestrino appannato, perso nella campagna innevata. 

Quando Janus percepì la presenza della ragazza alle sue spalle si voltò, rivolgendole uno sguardo pieno di disappunto. - Che vuoi? - Domandò brusco. 

- Scusa. - Buttò lì Faye, come se fosse stata costretta, incrociando le braccia sul petto. - È che quella proprio non riesco a sopportarla. -

- Perché? - 

Lei sbuffò. Non ne aveva la più pallida idea, sapeva solo che la detestava. - Non lo so, va bene? La trovo irritante, con quell’aria da santarellina pura e indifesa. - 

- Senti, non me ne frega niente. - Tagliò corto lui. - Smetti di comportarti da stronza. - 

La Serpeverde strinse le labbra e annuì anche se le costava molta fatica. - Va bene… scusa. - Ripeté cercando di sembrare convincente. - Adesso però la smetti di odiarmi? - 

Janus pensò che non sarebbe riuscito a odiarla in nessun caso, ma che era meglio tenersi la cosa per sé. - Siamo quasi arrivati. - Disse, ignorando totalmente quella domanda. - Torniamo da Annie e Klaus. - 

Quando le passò accanto per raggiungere lo scompartimento, Faye sentì una spiacevole sensazione, come una sorta di sfarfallio nello stomaco. Probabilmente la colazione quella mattina le aveva fatto male. 



 

Quando Percy aprì gli occhi, quella fredda mattina di dicembre, si ritrovò, come ogni giorno da più o meno cinque anni, sdraiato con il viso rivolto verso Hazel, che dormiva ancora tutta raggomitolata su sé stessa. Oltre le tende tirate appese alla finestra, un pallido raggio di sole illuminava la stanza con luce fioca e, a giudicare dal silenzio che si sentiva dalla strada, Percy era certo che anche quella notte avesse nevicato molto. Da giorni infatti tutti il paese stava facendo i conti con una delle peggiori perturbazioni della storia.

Percy rimase fermo per un tempo indefinito, gli occhi che scrutavano il viso di lei nella penombra quasi come a voler incidere nella sua mente ogni centimetro di ciò che vedeva. Gli piaceva osservarla quando dormiva, e Percy sapeva che questo poteva risultare un po’ strano per gli altri, ma quando Hazel aveva gli occhi chiusi il suo volto si rilassava e perdeva ogni traccia che quella vita dolorosa le aveva lasciato addosso. Sembrava più fragile, forse anche più bella. 

Percy avrebbe dato qualsiasi cosa per farle dimenticare tutte le cose brutte che le erano capitate nel corso del tempo. Gli sarebbe piaciuto estirpare da dentro di lei tutto ciò che la tormentava, così da farle avere quel viso rilassato anche da sveglia, ma delle volte aveva l’impressione che per una persona come lei la felicità non fosse del tutto contemplata. Hazel sorrideva spesso, ma allo stesso tempo cadeva in quei suoi momenti no con molta facilità. 

Ad ogni modo, nelle ultime settimane sembrava stare un po’ meglio del solito. Si stava riprendendo da quei mesi infernali, finalmente non aveva più gli occhi del mondo magico puntati contro e questo di sicuro stava contribuendo in positivo. Inoltre entrambi stavano preparando il matrimonio nei minimi dettagli.

Questo faceva sentire Percy speranzoso: forse si erano finalmente buttati alle spalle tutta quella faccenda di Sirius e, anche se si sentiva un vero egoista nel pensarlo e non avrebbe mai avuto il coraggio di dirlo ad alta voce, era contento che Janus detestasse suo padre: avere Black intorno durante le feste come durante l’estate sarebbe stato davvero troppo da sopportare. 

Improvvisamente Hazel mugugnò assonnata e senza neppure aprire gli occhi si avvicinò a lui, abbracciandolo. 

- Buongiorno. - Bisbigliò Percy, e poi iniziò ad accarezzare la schiena di lei oltre il tessuto leggero della maglietta che indossava. 

Hazel si lamentò. - Quando mi fissi mi sveglio, lo sai. - Brontolò scontenta. 

- Questo non è possibile. - Replicò il mago dopo una breve risata sommessa.

- Invece sì. - Protestò Hazel aprendo finalmente gli occhi. - Vedi? Sono sveglia adesso. - 

Percy fece una faccia scettica. - Non posso svegliarti con lo sguardo, Hazel. - Ribatté.

- Invece sì. - Insistette lei sbadigliando, e poi si voltò verso il comodino alla sua sinistra, su cui era appoggiato il suo telefono. Lo afferrò e guardò l’ora sul display illuminato: - Sono le nove e mezza. - Lo informò.

Il mago sbuffò. - È già tardi... - Disse lugubre.

- Il treno arriva alle undici. - Gli ricordò Hazel. - Tra poche ore avremo nuovamente la casa invasa da adolescenti, dovremmo approfittare di quest’ultimo momento di pace. - 

Percy ci pensò su e alla fine annuì. Si avvicinò a lei, la baciò piano e dolcemente come al solito, e poi si staccò come se gli fosse appena venuto in mente qualcosa di spiacevole. - Credi che Sirius si farà vedere in questi giorni? - Domandò. 

Hazel aggrottò la fronte, sorpresa da quella domanda a bruciapelo. - Ginny mi ha detto che lo ha invitato alla Tana per Natale, ma non so se verrà o meno, anche se suppongo di sì. - Rispose. - Janus starà con noi durante le vacanze quindi… - 

- Quindi figurati se Sirius non vorrà mettersi in mezzo come al solito. - La anticipò Percy. 

- È suo padre, è normale che voglia “mettersi in mezzo”. - Obiettò Hazel, guardandolo di sottecchi. - Sai, pare che tra loro le cose stiano andando meglio. - 

Percy aggrottò la fronte. - Quindi adesso vanno… d’accordo? - Domandò cauto. 

- A quanto pare sì. - Disse Hazel. - È una buona notizia, no? - 

- Certo, un’ottima notizia. Ne sono molto felice. - Fece Percy, senza inflessioni. - Spero solo che non lo metta in qualche guaio, visto il tipo scapestrato che è. Ah… e anche che non ci rovini il Natale venendo alla Tana. -

Hazel alzò gli occhi al cielo. - È strano. - Disse poi sogghignando. - Non sei mai stato un tipo geloso prima di qualche mese fa. - 

- Non sono geloso, ma direi che mi infastidisce il suo atteggiamento. - La corresse Percy con aria pomposa. - È invadente, irrispettoso, privo di ogni tatto. Potrei quasi azzardare a dire che sia quasi peggio di Audrey. Insomma, almeno lei non si è mai presentata a casa nostra un giorno sì e uno no, portando con sé un cane. - 

- Ma come? Credevo adorassi Neo! - Esclamò Hazel.

- Io detesto quel cane. Detesto i cani, in generale, a dire il vero. - Protestò Percy. 

- A me invece piacciono. - 

Lui fece un verso sprezzante. - E ti pareva… - Disse, lanciandole una non troppo velata frecciatina. 

Hazel a quel punto sospirò. - Perce, ti prego. -

- Io mi fido ciecamente di te e non sono geloso. - Sottolineò lui. - So che non mi tradiresti mai, che non ho nulla di cui preoccuparmi. Inoltre se dovesse capitare sono certo che me lo diresti subito. - 

Hazel sentì l’ormai famigliare morsa del senso di colpa attanagliare le sue viscere. Pensò a quel bacio che lei e Sirius si erano scambiati mesi prima e considerò per l’ennesima volta l’idea di confessare tutto. Ma come poteva farlo, dopo tutto quel tempo? Che scusa poteva inventare per giustificarsi? Non poteva farlo, non poteva far soffrire Percy per scaricarsi la coscienza. 

- Me lo diresti, no? - Ripeté l’uomo ad un certo punto, facendola sobbalzare. 

- C… certo, Perce. - Lo rassicurò lei annuendo e sforzandosi di sorridere.

Anche Percy sorrise, e poi posò nuovamente le labbra su quelle di lei in un bacio leggero e fugace. - Be’, comunque al Ministero gira voce che si sia trovato una donna. - Raccontò poi, usando il tono di chi la sapeva lunga.

- Di chi parli? - Domandò Hazel.

- Di Sirius, stiamo parlando di lui. - Rispose il mago alla svelta, come se non vedesse l’ora di scendere in dettagli. - Pare che si stia frequentando assiduamente con una dipendente dell’Ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale, tale Kamilah Burke. Pare che il mio assistente li abbia visti insieme nella caffetteria babbana davanti al Ministero. - 

Hazel rimase zitta e immobile per un po’, assaporando il retrogusto acido e pungente della gelosia. Dunque alla fine Sirius ci era riuscito, era andato avanti, proprio come gli aveva consigliato di fare lei, e per giunta non aveva perso tempo. 

- Bene, sono felice per lui. Anzi, direi meglio così, almeno la smetterai di essere geloso di lui. - Rispose ostentando disinteresse. - Tu la conosci questa Kamilah Burke? - 

Percy annuì. - Sì, di vista; il suo Ufficio ha collaborato con il mio durante la Coppa del Mondo di quidditch di quest’anno. - Spiegò. 

Hazel, di nuovo, rimase in silenzio. Moriva dalla voglia di chiedere a Percy altre informazioni sulla presunta donna che usciva con Sirius, ma non voleva assolutamente apparire troppo interessata. La sua testa però era piena di domande; Kamilah Burke era molto più carina di lei? Quanti anni aveva? 

Hazel se la immagino giovane e bellissima, accanto a lui che la faceva ridere fino alle lacrime e che poi la baciava come aveva fatto tante volte con lei e si sentì morire. Sirius l'aveva dimenticata nel giro di qualche mese, mentre lei ci aveva messo anni solo per riuscire a farsi toccare da un uomo che non fosse lui senza scoppiare in lacrime; non riusciva ad accettarlo, non voleva farlo.

Hazel percepì un nodo in gola, ma si costrinse a mantenersi calma e stoica come ormai era capace di essere. Non le importava, si ripeteva nel tentativo di reprimere tutto, Sirius non contava nulla per lei. Prese un respiro profondo e poi si rivolse a Percy: - Forse è meglio se ci alziamo. È tardi in effetti. - 

Lui inarcò un sopracciglio con aria sorpresa. - Ma come, non volevi approfittare di quest’ultimo momento di pace? - Le domandò allusivo. 

- Sì, ma poi tu hai nominato Sirius mentre mi stavi baciando e mi è passata la voglia. - Rispose Hazel, più freddamente di quanto avesse desiderato, mentre si alzava dal letto.

- Mi rincuora sapere che un nome abbia tutto questo effetto su di te. - 

Hazel gli lanciò un'occhiataccia. - Sentì chi parla. - Sibilò tagliente. - Tu chiami ancora Voldemort “tu-sai-chi”. - 

- Questo non c’entra niente. - Obiettò Percy. - Sei gelosa di lui, è così? -

Hazel sospirò e poi si voltò nuovamente per poter guardare Percy negli occhi. - Ti prego, non litighiamo ancora per lui. - Disse in tono di supplica. 

Il mago la fissò in silenzio per qualche secondo e alla fine annuì stancamente. Poi, ancora seduto sul letto, allungò una mano verso di lei. - Vieni qui. - Mormorò.

Hazel non si fece attendere e lo raggiunse. - Lo vuoi capire che ti amo? - Gli disse, prendendo il suo viso tra le mani per guardarlo dritto negli occhi. - Ti amo e non hai nulla da temere. Stiamo per sposarci, te lo ricordi? - 

- Me lo ricordo, certo che me lo ricordo. - Assicurò Percy, accennando un sorriso. Poi afferrò la mano sinistra di lei, dove sull’anulare si faceva notare l’anello. 

Mancavano circa sei mesi alla data del loro matrimonio e Percy non riusciva ancora a crederci: dopo cinque lunghi anni pieni di avversità l'avrebbe finalmente sposata, le avrebbe messo l’anello al dito e da lì, per tutti, Hazel sarebbe diventata ufficialmente la signora Weasley. In fin dei conti il loro rapporto era sopravvissuto a tutto: aveva resistito all’instabilità di lei, ai tentativi di Janus di dividerli, alle differenze culturali che c’erano tra loro in quanto figli di due mondi diversissimi. Da un lato Percy era convinto che Sirius non poteva nulla contro il loro amore, che Hazel era sua e sarebbe stato così per sempre, ma dall’altro c’era sempre la paura che gli sussurrava di continuo in un orecchio che prima o poi l’avrebbe persa.

Quando Percy posò le labbra su quelle di Hazel, lei rispose a quel contatto con veemenza, incrociando le braccia dietro al suo collo, per poi finire entrambi di nuovo sdraiati. 

Erano tante le cose che amava di lui; amava il colore dei suoi capelli e tutte quelle lentiggini che gli puntellavano il corpo come le stelle sul manto notturno, amava il suo tono di voce quando parlava di qualcosa che lo appassionava, amava le lunghe dita affusolate che la accarezzavano in quei momenti di intimità. Fare l’amore con Percy era come essere avvolta in una coperta calda durante una fredda e buia giornata di gennaio, lui la faceva sentire amata ogni singola volta, la faceva sentire bella e glielo ripeteva di continuo, d'altronde non era mai stato un uomo di poche parole. 

No, lui non era come Sirius, e Hazel ne era felice e triste insieme: da un lato c’era la certezza che lui non l’avrebbe mai abbandonata, che non l'avrebbe mai fatta soffrire, e questo la rendeva tranquilla, la faceva sentire al sicuro, eppure, di tanto in tanto, Hazel guardava Percy e si domandava se davvero fosse tutto lì. 

Era abbastanza il sentimento che provava per lui? Poteva chiamarsi amore anche se non era intenso come quello che aveva provato in passato? Perché non sentiva più l’entusiasmo e il trasporto che aveva provato di un tempo? 

Stava per sposarsi e tutto ciò che sentiva era stanchezza, noia e anche un po’ di rassegnazione. Forse tutto quello che aveva passato l’aveva rovinata per sempre, forse non sarebbe stata più capace di amare incondizionatamente come un tempo.

E poi era arrabbiata. Era arrabbiata con Sirius perché le aveva letteralmente rubato la vita, lo odiava perché l’aveva trascinata in cose che una come lei non avrebbe dovuto nemmeno sfiorare, e lo detestava perché ci aveva messo solo qualche mese per sostituirla, mentre lei non aveva mai smesso del tutto di piangere per la sua dipartita. 

Percy sospirò mentre si spingeva dentro di lei per l’ultima volta e, quando si staccò dal suo corpo, Hazel sentì una conosciuta sensazione di apatia. Perché aveva l’impressione che fosse tutto estremamente sbagliato?

Ritorna all'indice


Capitolo 40
*** Capitolo 39. Vacanze di Natale (parte uno) ***


Capitolo 39


Nonostante Faye Selwyn frequentasse assiduamente la casa di Janus da parecchi anni, non si rese conto di quanto la famiglia di lui fosse particolare fino a che non ci si ritrovò dentro, durante quel dicembre del 2010. 

Era interessante per lei, nata e cresciuta in una famiglia di soli maghi, vedere come il mondo magico e quello babbano interagivano tra dietro la porta di quella casa che da fuori aveva un aspetto tanto anonimo e banale. Tra quei corridoi si poteva assistere a gare su scopa da corsa tra Molly e Lucy, ai compiti di trasfigurazione di Janus che trasformava Neo in una cassettiera e viceversa, e alle apparizioni improvvise di Percy che, di ritorno dal Ministero, si materializzava direttamente in casa facendo prendere un puntualmente un colpo a Hazel. 

I primi giorni a seguito dell’inizio delle vacanze passarono in un’atmosfera familiare e decisamente molto natalizia. Ciò che diceva Janus era vero: il Natale a casa sua era una cosa seria e questo traspariva chiaramente dalla quantità di decorazioni che avevano riempito l’intera abitazione. C’era l’albero posizionato accanto al camino da cui penzolavano alcune calze cucite a maglia, vischio appeso sopra la porta d’ingresso e ghirlande che decoravano le scale che portavano al piano di sopra e, mentre dalla radio arrivava di tanto in tanto la nuova canzone natalizia di Celestina Warbeck, la televisione mandava un film a tema feste ogni sera. 

A completare quel quadro di spensieratezza c’era il fatto che, dopo una intera estate passata a litigare, Hazel e Percy sembravano aver ritrovato un equilibrio. Sembravano nuovamente molto innamorati l’uno dell’altra, si scambiavano gesti affettuosi che Janus, Molly e Lucy trovavano imbarazzanti ma che Faye invece trovava enormemente dolci. Insomma, quei due stavano insieme da quasi sei anni e lui non usciva di casa per andare a lavoro se prima non l’aveva baciata, cosa c’era di più romantico di una cosa del genere?

Certo, erano piuttosto male assortiti, se ci si fermava ad osservarli a lungo: ad esempio Percy non si sbottonava mai e agiva tutto il tempo come se qualcuno lo stesse osservando per poi giudicarlo, mentre Hazel aveva tantissima energia e viveva tutto con estrema passione, si commuoveva davanti ai classici Disney e di tanto in tanto buttava via la maschera della perfetta donna in carriera per farsi prendere un po’ dalla leggerezza. 

Nonostante ciò, purtroppo, c’erano giorni in cui Hazel si spegneva, e mentre Percy faceva finta di niente o riduceva il tutto dando la colpa a quegli ormai conosciuti “momenti”, c’era Janus che rimaneva vicino alla madre e se ne prendeva cura quasi come se fosse lui il genitore.  

Questo mostrò a Faye un lato di lui che non aveva mai visto, da cui però si sentì piuttosto attratta: era abituata al fatto che Janus fosse piuttosto disinteressato, o forse solo distratto, davanti ai malesseri altrui; non brillava di certo di empatia, eppure quando Hazel si sentiva giù di morale lui lo percepiva e rimaneva al suo fianco finché non tornava la stessa di sempre. 

Il giorno prima della vigilia di Natale, Janus aprì gli occhi come se qualcuno gli avesse urlato in un orecchio, ritrovandosi come di consueto nel suo letto al buio, in una casa piuttosto silenziosa, sebbene dal piano di sotto arrivassero le voci degli altri, come un segnale del fatto che tutti in casa fossero ormai svegli.

L’indomani sarebbero partiti per la Tana e per quanto Janus adorasse quel luogo, doveva ammettere che era molto faticoso per lui ritrovarsi immerso in tutto quel caos, dunque si prese del tempo per assaporare quell’ultimo calmo risveglio.

Alla fine si stiracchiò e si stropicciò gli occhi con aria assonnata, per poi allungare una mano verso il comodino. Afferrò il telefono e diede un’occhiata all’ora: erano circa le nove e Pilar gli aveva scritto già una decina di irritanti messaggi pieni zeppi di faccine. 

Janus si lasciò sfuggire un sospiro e poi si costrinse a dare un’occhiata alle anteprime senza visualizzare; erano tutti più o meno uguali: “buongiorno”, “che fai?”, “come va?”, insomma due sole parole gli vennero in mente mentre leggendo: che noia. 

Che noia!

Aveva l’impressione che Pilar vivesse solo per scrivergli messaggi irritanti. Non c’era un attimo di tregue, riusciva a studiare a stento senza farsi distrarre ogni cinque secondi dal continuo vibrare del suo telefono e come se non bastasse lei non aveva mai o quasi mai nulla di interessante da dirgli. Janus aveva l’impressione che lei volesse controllarlo e lui, che non voleva starla a sentire mente si lamentava di cose assurde come il fatto che secondo lei la stesse trascurando o tradendo, stava al suo gioco, rispondendo alla velocità della luce. Era così irritato dalla sua presenza virtuale che aveva creato un altro account su League of Legend solo per giocare senza che lei se ne rendesse conto. 

Dopo qualche altro momento di silenziosa contemplazione, il ragazzo si alzò dal letto e si trascinò al piano di sotto rispondendo nel frattempo svogliatamente a quella marea di stupide domande con un generico e sbrigativo “buongiorno”. Quando finalmente varcò la soglia della cucina, si ritrovò davanti lo stesso spettacolo di sempre: sua madre e Percy già vestiti e pronti per l’ultimo giorno di lavoro, Molly, Lucy e Faye ancora in pigiama e intente a fare colazione. 

- Ce l’hai fatta ad alzarti. - Gli disse Faye non appena lo vide. - Oggi dobbiamo andare al San Mungo, ti ricordi? - 

- Avete bisogno di un passaggio? - Domandò Hazel.

Janus si sedette lugubre accanto alla compagna di classe, proprio di fronte alle due Weasley e abbandonò il telefono sul tavolo come se volesse liberarsene; quello, in tutta risposta, vibrò tre volte, una dietro l’altra. - No, mamma, non preoccuparti. - Sospirò il giovane in risposta, fissando lo schermo illuminato con aria affranta.

- Ma dai, sta nevicando. Avanti andate a prepara… ma chi ti scrive? - Indagò Hazel, sospettosa davanti a tutto quel vibrare del dispositivo di suo figlio. 

- Sarà sicuramente Pilar, la sua fidanzata. - A rispondere fu Lucy, con un ghigno divertito dipinto in volto. 

Faye fece una faccia schifata, mentre Molly ridacchiò insieme alla sorella. Hazel e Percy, invece, assunsero un’espressione molto interessata. - Hai una fidanzata? - Gli chiese lei.

- Una mezza specie. - Tagliò corto Janus alla svelta, prima di rivolgersi a Molly. - Senti Polly, quanto vuoi per fingerti me rispondendo ai messaggi che mi manda Pilar… tipo per sempre? - Le domandò irritato. 

- Dieci galeoni. - 

- E sia. - 

- Dieci galeoni al giorno. - Precisò la ragazzina. 

Janus la guardò male e sbuffò, ma gli cedette il telefono senza storie. - Divertiti. - Disse. 

Molly fece uno sguardo furbo e subito iniziò il suo compito, sotto lo sguardo incredulo di Percy e Hazel. - Se questa Pilar non ti interessa perché non la lasci? - Domandò il mago. 

Faye fece un verso sprezzante e lanciò al Grifondoro un’occhiataccia. - Probabilmente perché poi non saprebbe con chi pomiciare. - Spiegò al posto dell’amico. 

Hazel sentì il suo stomaco attorcigliarsi. Il suo bambino pomiciava?

- Sei spiacevole, Faye. - Obiettò Janus, altezzoso. - E poi… sul serio, parli tu? - 

- Be’, almeno Ikaris è bello. - Si mise in mezzo Lucy, diventando tutta rossa.

- Ti ricordo che hai dodici anni. - La rimproverò Percy, prima di alzarsi in piedi. - Ad ogni modo, rimarrei volentieri qui con voi per assistere a questa conversazione interessante, ma ahimè devo andare a lavoro. - Poi si chinò per baciare Hazel alla svelta. 

- Potete evitare di fare questa cosa schifosa ogni dannata mattina, per favore? - Sbottò Janus, indignato. 

Percy alzò gli occhi al cielo. - Tu puoi pomiciare senza ritegno con la tua fidanzata e io non posso baciare in modo innocente la mia futura moglie? - Gli chiese, e poi senza aspettare risposta sparì con il tipico suono che accompagnava la smaterializzazione. 

Janus sospirò e subito dopo iniziò finalmente a fare colazione, versandosi un po’ di tè. Quando alzò gli occhi, notò che Molly stava guardando lo schermo del suo telefono con un’espressione piuttosto perplessa dipinta in volto. - Che dice Pilar? - Domandò incuriosito, prima di portarsi la tazza alle labbra. 

- Mh? Ah… sì, ti ha mandato una… foto delle tette. Guarda! - 

A Janus andò per traverso il tè, e furono dunque Hazel e Faye a esclamare in contemporanea e con molta disapprovazione: - Che cosa? - 

- Fa vedere. - Ordinò il ragazzo, che nel frattempo era arrossito come non mai prima d’ora, tossicchiante e quasi senza voce. 

- No! Non c’è niente da vedere! - Lo fermò Hazel, sul volto un'espressione sbigottita. - Questa ragazza non mi piace per niente, proprio per niente! - 

- Ah, se è per questo nemmeno a me. - Faye le diede manforte. 

- Scommetto che è una vera sgualdrina. - 

- Mamma! - La richiamò Janus, sgranando gli occhi. - E tu saresti una femminista? - 

Hazel gli scoccò uno sguardo alterato. - Be’, è una molestatrice, mi sembra. -

Janus alzò gli occhi al cielo, si allungò per strappare il telefono dalle mani di Molly e si alzò. - Sì, mi sento proprio molestato, non hai idea. - Disse sarcastico, muovendosi verso la porta. 

- Se la metti incinta ti spedisco a vivere da tuo padre! - Urlò Hazel poco prima che il figlio lasciasse la cucina. 

- Magari! Almeno lui non mi stressa di continuo come fai tu! - 

Mentre saliva le scale, al suono della voce soave di sua madre borbottare qualcosa come “cattiva influenza” e “pessimo padre”, Janus diede finalmente un’occhiata alla foto incriminata e, improvvisamente, trovò Pilar meno irritante del solito. 

Più tardi, dopo un lungo viaggio in metropolitana durante il quale Faye lo fissò con astio e senza dire una parola per tutto il tempo, Janus varcò per la prima volta la soglia dell’ospedale magico San Mungo, ritrovandosi subito in quella che sembrava un’ampia sala per l'accettazione, arredata da sedie di legno traballanti su cui sedevano maghi e streghe in attesa di essere visitati, mentre altri vestiti di verde andavano su e giù frenetici, chiamando a gran voce i pazienti per nome. Nell’aria c’era il tipico odore di disinfettante che il giovane aveva sentito negli ospedali babbani, ma in tutto l’ambiente aveva un aspetto piuttosto festoso: i globi di cristallo che facevano da lampadari erano stati trasformati in grosse decorazioni natalizie, dell’agrifoglio vorticava sopra le porte e qua e là c’era un albero di Natale coperto da neve finta.

- Vieni, di qua. - Lo spronò Faye, varcando una porta che li introdusse subito in un lungo corridoio in cui erano appesi alcuni ritratti di guaritori famosi e poi su per delle scale. 

Janus la seguì in silenzio, senza sapere esattamente cosa aspettarsi. Faye non parlava quasi mai di sua madre, nessuno sapeva con esattezza cosa fosse successo alla signora Selwyn, anche se giravano alcune voci inquietanti a riguardo. Klaus diceva che era stata torturata fino a perdere il senno da Lord Voldemort per punire il padre di Faye, che era molto vicino al Signore Oscuro, altri dicevano che era semplicemente impazzita quando aveva saputo della morte del figlio maggiore, anche lui invischiato nelle arti oscure. C’era anche chi diceva che la famiglia di Faye fosse colpita da un’orribile maledizione che portava chi ne fosse colpito a dimenticarsi pian piano di sé. Janus non aveva mai avuto il coraggio di chiedere nulla a Faye, dopotutto sapeva che lei non parlava con piacere della sua infanzia e non voleva di certo intristirla, eppure, mentre saliva le scale verso il reparto di lunga degenza, desiderò di averlo fatto.  

- Faye, senti… - La fermò, una volta arrivati nei pressi della porta del reparto. - Tua madre… tu credi che sia il caso di… - 

Lei fece uno sguardo un po’ infastidito. - Se non te la senti puoi anche rimanere qui fuori, non preoccuparti. - Lo interruppe. 

- No, no. - Si affrettò a dire Janus. - Ti accompagno, solo che vorrei sapere cosa devo aspettarmi. Insomma tu non ne parli mai, quindi… - 

- Solitamente lei dorme e quando è sveglia vive in un mondo tutto suo. - Spiegò Faye. Il suo tono era insolitamente calmo e pacato, come se non fosse di sua madre che stesse parlando. - Ogni tanto ha dei momenti di lucidità, ma sono rari e fugaci. - 

Janus annuì e improvvisamente si sentì un po’ triste. 

- Andiamo? - Fece lei. 

- Sì. - 

Faye si voltò verso la porta, la spalancò e insieme varcarono la soglia che dava su un lungo corridoio piuttosto silenzioso rispetto al resto dell’ospedale. 

Janus seguì l’amica e iniziò a guardarsi attorno: man mano che sfilava davanti a quella fila di camere poste sul lato sinistro del corridoio, il giovane colse tutte le caratterisiche di una sorta di casa di cura. Ogni paziente aveva arredato la stanza con i propri oggetti personali, ma tutti indossavano lo stesso identico camicie grigio. Qualcuno di loro passeggiava con aria assente; in un angolo c’era un uomo tutto intento a parlare con il muro in una lingua che sembrava inventata, una strega invece era ferma sulla propria soglia e sembrava capace di comunicare solo attraverso dei miagolii.

- Oh, Faye, mia cara. Come stai? - Una strega con indosso la divisa verde acido da curatrice, appena spuntata da una delle camere, si avvicinò loro con un sorriso accogliente in volto. - Non ti aspettavamo per le feste. -  

- Lo so, di solito non torno mai da scuola a Natale. - Spiegò Faye. - Possiamo entrare, vero? - 

La guaritrice guardò prima Janus e poi Faye per qualche breve istante prima di domandare: - Chi è questo bel giovanotto? Il tuo fidanzato? - 

Lui aprì la bocca per rispondere, quando lei lo anticipò: - Sì. - Rispose seria, lasciandolo di stucco. - Volevo farglielo conoscere, sai… - 

- Oh, piccola, sei così dolce! - Sospirò la donna. - Avanti, vai… prima che cambi idea. - 

- Grazie Maureen. Passa buone feste. - 

I due ripresero a camminare lungo il corridoio lasciandosi la guaritrice alle spalle e, dopo qualche metro, Faye imboccò in una delle ultime stanze. Era una camera singola arredata da un armadio, un paio di sedie e un letto posto tra un comodino di legno e una poltrona su cui sedeva una donna che rivolse loro uno sguardo assente non appena lì sentì arrivare. Aveva i capelli di un castano dorato, proprio come quelli di Faye, ma ingrigiti dal tempo e afflosciati lungo un viso tremendamente smunto. Come tutti gli altri pazienti, anche lei indossava un camice grigio. 

- Ciao, mamma. - Esordì Faye, facendosi avanti. 

La donna chinò la testa da un lato, osservandola per bene. - Ciao. - Rispose poi, con la voce di chi probabilmente non parlava da un po’. 

Mentre Faye si sistemava con una delle sedie accanto a sua madre, Janus osservò una fotografia incorniciata appoggiata sulla superficie del comodino. Ritraeva un ragazzo che non doveva essere poi tanto più grande di lui, capelli castani abbastanza lunghi da incorniciare il volto florido e un sorrisetto beffardo dipinto sulle labbra, che teneva sulle ginocchia una bambina che Janus non faticò a riconoscere; era Faye e in quella foto probabilmente non aveva più di due anni. Il ragazzo che la teneva in braccio doveva essere sicuramente suo fratello.  

- Harpie? - Fece la madre di Faye ad un certo punto. - Sei tu? - 

Janus si voltò, notando che gli occhi della donna erano puntati nella sua direzione. 

- No, mamma, non è Harper. - Rispose Faye, con pazienza. - Lui è un mio compagno di scuola… Janus. Janus Black. Andavi a scuola con suo padre, ricordi? - 

La signora Selwyn continuò a fissarlo e poi nuovamente disse: - Harpie? - 

- Chi è Harpie? - Domandò il giovane, un po’ imbarazzato. 

- Mio fratello Harper. Forse glielo ricordi per i capelli. - Spiegò Faye alla svelta, prima di tornare a guardare sua madre. - Siamo fortunati, oggi almeno si ricorda di aver avuto dei figli. Anzi, un figlio. Di me non si ricorda quasi mai. - Aggiunse, lasciando trasparire un po’ di fastidio e di rabbia.

Janus si sentì improvvisamente molto a disagio. Non sapeva cosa fare né cosa dire. 

- Per lei è più facile ricordare le cose lontane nel tempo. - Proseguì Faye, per tappare il silenzio. - Ogni tanto pensa di essere ancora a scuola, pensa un po’, per questo credevo che si ricordasse di tuo padre o di qualche altro Black. Comunque non è sempre stata così, è peggiorata negli ultimi anni. - 

La signora Selwyn alzò il viso verso il soffitto e iniziò a fissarlo come se ci fosse appena comparso un bellissimo affresco. Era assente, lontana, intoccabile. 

Janus si domandò se c’era il rischio che anche Faye finisse in quelle condizioni da adulta, e decise che nel caso non gli sarebbe importato, che si sarebbe preso cura di lei e non l’avrebbe mai lasciata da sola in un ospedale. 

Rimasero lì per l’intera mattinata, alla ricerca di un bagliore negli occhi di quella donna spenta. Di tanto in tanto, la signora Selwyn si voltava verso la figlia e le sorrideva cordiale, come se la riconoscesse, altre invece parlava dicendo cose senza senso e poi si a rivolgersi a Janus chiamandolo Harpie. Una volta usciti da quella stanza, Faye sembrava in qualche modo invecchiata, mentre Janus si sentiva un po’ appesantito. All’esterno dal San Mungo, nel frattempo, non aveva smesso di nevicare nemmeno per un istante.

- Faye. - La chiamò lui ad un certo punto, mentre in silenzio si dirigevano nuovamente verso la fermata della metropolitana. - Che cosa… che cosa è successo a tua mamma? - Domandò, dopo aver raccolto il coraggio. 

- È matta, no? - Rispose lei, continuando a camminare. 

- Sì, ma perché? - Insistette il giovane, tenendo il passo. 

- Ha subito delle lesioni da incantesimo, non serve un diploma in medimagia. - 

- Sì, be’, ma non mi dire. - Borbottò lui. 

Faye si fermò fermò all’improvviso, arrestando la sua marcia. Poi si voltò verso l’amico con una certa stizza. - Non ne voglio parlare, lo sai. - Disse duramente. - Non adesso almeno, al gelo, in mezzo alla tormenta. - 

Lui annuì; in effetti non era stato un colpo di genio introdurre il discorso in quel momento, in mezzo alla strada e dopo una mattinata dura. Guardandola in faccia notò che le sue guance si erano fatte rosse dal freddo e che tra i capelli erano caduti parecchi fiocchi di neve. - Non fa poi così freddo. - Commentò.

- Sarà il sangue scozzese che ti scorre nelle vene. - Buttò lì la giovane. 

Janus sorrise beffardo e poi si tolse la sciarpa per metterla attorno al collo di lei. - O magari mi ha temprato il vento gelido che tirava a New York. - Ribatté. - Dai, andiamo, altrimenti ti prenderà qualche malanno e non mi sembra il caso, dato che saremo costretti a vivere sotto lo stesso tetto fino alla fine delle vacanze. - 

- Sarà una vera tortura. - Commentò lei. 

Janus sogghignò. - Non mi ci far pensare. - Disse divertito.

Faye si ritrovò a sorridere senza sapere il perché, dopotutto non era mai una che lo faceva spesso, poi si ritrovò a fissare Janus come se lo vedesse per la prima volta. Era così diverso dal bambino strano che aveva conosciuto al Ghirigoro quasi sei anni prima, ma anche dal ragazzo impacciato e ombroso di qualche mese fa. Lo guardò negli occhi, scoprendosi a pensare che fossero davvero i più begli occhi che avesse mai visto, poi posò lo sguardo sulle labbra, immaginando come doveva sentirsi Pilar quando le baciava. 

Quel pensiero la fece sentire profondamente infastidita. 

- Che c’è? - Domandò Janus, davanti all’espressione assorta di lei.

Lei gli scoccò un’occhiataccia. - Tu e Pilar scopate? - Domandò furente e a bruciapelo. 

Janus aggrottò la fronte, perplesso. - No. - Rispose come se fosse scontato. 

- Però fate tutto il resto. - Obiettò Faye, incrociando le braccia sul petto. 

- No, certo che no! - Giurò lui, sconcertato e arrossendo un po’. - Cioè sì, qualcosa… ma lei è un po’... senti, ma che te ne frega, scusa? Questa conversazione è imbarazzante. - 

- Tu sei imbarazzante! - Ribatté lei piccata, guardandolo come se si trovasse dinanzi a qualcosa di orribilmente repellente. - Anzi, sei disgustoso! - 

- Ma che… che ho fatto? - 

Faye fece un verso sprezzante e poi, più furiosa che mai, si incamminò nuovamente verso la stazione della metropolitana. 

Janus, sebbene fosse abituato agli sbalzi d’umore e agli eccessi della Serpeverde, rimase interdetto per qualche attimo prima di inseguirla. - E dai, Faye. - La fermò, afferrandola per la manica del cappotto color caramello che indossava. - Mi spieghi che ho fatto? - 

Lei si liberò da quella presa con un gesto pieno di stizza. - Sei come tutti gli altri, pensi solo al sesso! - Lo accusò indignata. 

Il giovane alzò le sopracciglia con fare sorpreso e poi rise amaramente. - Tu sei andata a letto con tutta la scuola, manca solo che ti scopi Gazza, e poi sarei io quello disgustoso? - 

Faye sobbalzò a quelle parole come se lui l’avesse appena colpita con uno schiaffo. Fece un passo indietro e lo guardò, il volto stravolto dalla delusione. - Come ti permetti? - Gli chiese fredda.

- No, tu come ti permetti. - Ribatté duramente lui. - Sei intrattabile, te ne rendi conto? Finalmente c’è una ragazza che non mi considera uno sfigato e tu ti comporti come se fosse il simbolo di ogni male! Perché fai così? - 

- Perché mi da fastidio! - Sbottò lei a voce alta. - Mi da fastidio e non so nemmeno io il perché. So solo che la detesto, detesto quella sua aria da brava ragazza, detesto tutte quelle cose che avete in comune; non la sopporto perché so che lei è una persona migliore di quanto io potrò mai essere, perché lei è una per bene, la adorate tutti, mentre io… be’ lo hai appena detto ciò che pensi di me, no? Tu pensi ciò che pensano tutti, che sono una troia. - 

A quel punto, Janus sentì la morsa dolorosa del senso di colpa che lo attanagliava. - Non ho mai detto né pensato nulla del genere. - Disse in fretta. - Io penso che tu sia meravigliosa, solo che non riesco più a capirti, Faye. Che cosa pretendi da me? Perché se credi che io rimarrò per sempre qui ad aspettarti ti sbagli di grosso. - 

Lei assunse l’espressione di chi aveva appena avuto una rivelazione. Aveva sempre immaginato che Janus avesse un debole per lei, dopotutto Annie glielo ripeteva da anni eppure, nemmeno una volta, lui si era spinto così in avanti da farglielo capire in modo chiaro. Se dunque prima era solo una sensazione, adesso Faye poteva esserne quasi del tutto certa: forse il suo migliore amico aveva per davvero una cotta per lei e questo poteva portare a esiti disastrosi. 

- Non devi aspettarmi. - Gli disse, pronta a mantenere le distanze. - Perché intanto io non ti voglio, non ti vorrò mai. -

Faye si voltò e senza aggiungere altro si mosse verso l’entrata della metro, senza curarsi del cuore dell’altro che, fermo su quel marciapiede deserto, sentì il suo cuore spezzarsi in tanti affilati pezzetti. 

 

°°°°°°

Quell’anno alla Tana non si sarebbe visto il solito vasto gruppo di ospiti ad affollarla, in quanto, con gran dispiacere di Molly e Arthur, la maggior parte dei loro figli avevano deciso di passare le feste altrove. Ron e Hermione, ad esempio, sarebbero rimasti a Londra dai coniugi Granger, e lo stesso valeva per Bill e Fleur, che quell’anno preferirono rimanere in Francia per tenere compagnia alla madre di lei che da poco aveva perso il marito. Perfino George, dopo anni di insistenza da parte della famiglia di Angelina, aveva ceduto, decidendo così di passare il suo primo Natale lontano da casa. 

La sera della vigilia, in pochi affollavano quella cucina ingombra, che comunque si era riempita come ogni anno di addobbi, ghirlande e vischio. 

C’erano Harry e Ginny, con James, Albus e Lily, c’era Charlie, c’era Ninfadora assieme ad Andromeda e Ted, e poi c’era Hazel, che in quel momento stava osservando la scena, mentre si occupava di tagliare in due i cavoletti, seduta al tavolo, mentre alle sue spalle la signora Weasley preparava le pietanze per la cena assieme ad Andromeda. 

Dritto davanti a lei, proprio di fronte al camino acceso, Percy stava parlando con Harry che, con un’espressione vuota dipinta in viso, pareva si stesse annoiando parecchio. A terra, vicino al divano, Janus stava giocando a scacchi dei maghi contro il cugino, con Molly e Lucy che facevano il tifo per uno o per l’altro, mentre Faye intratteneva una appassionante conversazione sul quidditch con Ginny e Charlie.

Hazel fece scorrere lo sguardo dalla giovane Serpeverde a suo figlio, scrutandoli entrambi. Era successo qualcosa tra loro, anche se non capiva bene cosa, dato che si parlavano a stento ma, ogni volta che lo facevano, si rivolgevano uno all’altra con gelido garbo, come se volessero far pace dopo un litigio ma fossero entrambi troppo orgogliosi per chiarire del tutto.

Hazel pensò a Sirius e al fatto che neppure loro avevano chiarito dopo quel bacio che si erano scambiati il primo settembre, e si ritrovò a domandarsi come avrebbe fatto a superare due giorni in sua compagnia senza dare di matto. 

Con un sospiro sconsolato, la donna diede un’occhiata all’ora, scoprendo che erano ormai quasi le sette. Magari Sirius non si sarebbe presentato, magari aveva da fare con quella Camilla, Kamilah… o come diamine si chiamava quella lì. Probabilmente l’unico a dispiacersi veramente della sua assenza sarebbe stato Harry, dopotutto Janus aveva espressamente detto che preferiva star lì con loro durante le feste, quindi forse non gli interessava poi così tanto avere a che fare con il padre, no?

- Ho vinto. - Disse il ragazzo per l’ennesima volta con aria annoiata dopo aver mangiato la regina. - Con te non c’è gusto, Ted, sei pessimo. - 

Ted fece una faccia mortificata e i suoi capelli si tinsero di un per niente sobrio rosso fuoco. - Scusa. - Mugugnò dispiaciuto. 

- Non ti preoccupare, sei sicuramente bravo in altro. - Tentò di rimediare Janus. 

Il Tassorosso si lasciò sfuggire un piccolo sorriso. Era davvero felice del fatto che finalmente le cose tra lui e il cugino stessero andando meglio. Certo, spesso Janus era ancora un po’ stronzo, ma almeno adesso non lo ignorava totalmente come se fosse una specie di appestato. 

- Harry ma quando arriva Sirius? - Fece a un certo punto Janus, riscuotendo Harry dal torpore che lo aveva assalito come conseguenza del lunghissimo discorso a cui Percy lo stava sottoponendo. - A me ha detto che verrà, quindi verrà, no? - 

Hazel sentì il suo cuore stringersi nel petto. Non si aspettava che il rapporto tra Janus e suo padre si fosse evoluto a tal punto da far sembrare il giovane impaziente di vederlo; questo la intenerì e allo stesso tempo la preoccupò. Sirius non era di certo una persona affidabile in fin dei conti.

- Sì che verrà. Non preoccuparti. - Lo tranquillizzò Harry.

Percy, al fianco dell’auror, si lasciò sfuggire un sospiro sconsolato e poi si voltò a guardare Hazel. Se fino a qualche giorno prima era stato certo che lei stesse meglio, quella sera non ne era poi più tanto sicuro. Sembrava triste, spenta e anche un po’ preoccupata, e Percy sapeva di chi era la colpa: Sirius Black, c’era sempre lui di mezzo quando Hazel si adombrava.  

- Magari si è dimenticato, dopotutto è quasi ora di cena. - Buttò lì Weasley, puntando nuovamente lo sguardo su Janus. 

Harry gli scoccò un’occhiata infastidita, mentre il giovane tornò a fissare la scacchiera che aveva davanti con l’espressione di chi cercava di togliersi dalla mente un pensiero spiacevole. Forse Percy aveva ragione, pensò, dopotutto Sirius nemmeno voleva venire alla Tana per Natale. 

- Se ti ha detto che sarebbe venuto allora stanne certo che verrà. - Asserì Harry.

Janus annuì pensieroso, ma poi scrollò le spalle, tornando ad un atteggiamento di gelido distacco. - Sì, certo… - Disse, fingendosi disinteressato.

C’era una cosa che aveva imparato durante quei suoi sedici anni di vita, e cioè che era sempre meglio non aspettarsi niente dagli altri. Alla fine le persone non facevano altro che deluderlo o fargli del male, si ripeté mentre il suo sguardo finiva su Faye, che stava continuando a parlare con Ginny  e Charlie a qualche metro di distanza da lui. 

- Comunque se non dovesse arrivare per un motivo o per l’altro, - insistette Percy, - non fartene una pena. Insomma, alla fine lo sanno tutti che è un po’ inaffidabile. - 

Harry lanciò una seconda occhiataccia verso il cognato ma, prima che potesse aprir bocca per difendere il padrino, Hazel si mise in mezzo: - Perce, posso parlarti un secondo? - Domandò con garbo, avvicinandosi ai due. 

Percy annuì e poi la seguì fuori dalla cucina fino al piccolo ingresso, a pochi passi dalla porta d’entrata. 

Quando si ritrovarono faccia a faccia, Hazel lo fissò per qualche istante e poi incrociò le braccia sul petto. - Puoi smetterla, per favore? - Gli chiese, tutta alterata. 

Percy aggrottò la fronte. - Di fare cosa? - Domandò a sua volta. 

- Di mettere Sirius in cattiva luce davanti a Janus. - Rispose Hazel con severità. - Il loro rapporto è già abbastanza fragile senza che ti ci metta anche tu, quindi piantala. - 

- Non intendevo affatto mettere Sirius in cattiva luce. - Obiettò Percy, senza preoccuparsi troppo di sembrare credibile. - Tuttavia converrai con me che non sempre è stato un padre presente e attento, pertanto mettere in guardia Janus sull’eventualità che lui non si presenti mi sembrava il minimo. - 

- Non è compito tuo. - Sottolineò Hazel. - Lo so che gli vuoi molto bene e non vuoi che soffra, so anche che Sirius non ti va molto a genio, ma non devi immischiarsi. - 

L’espressione di Percy si tese e le rivolse uno sguardo di incredulità. Era la prima volta che Hazel gli chiedeva di non immischiarsi in qualcosa che riguardava Janus. 

Per sei anni aveva trattato quel ragazzino come un figlio, aveva sopportato la sua rabbia, lo aveva amato e si era sentito fiero di lui per i suoi successi scolastici, lo aveva anche rimproverato quando ce n’era bisogno e adesso Hazel gli stava chiedendo di fare un passo indietro per lasciar spazio a quell’uomo che aveva procurato in Janus solo tanto dolore. 

Non riusciva ad accettarlo, non voleva accettarlo, ma si costrinse ad annuire. 

- Lo farà soffrire. - Disse però, nell’ultimo tentativo di farla ragionare. - Non mi fido di lui, Hazel. - 

- Io sì, mi fido. - Replicò lei. - Tu non lo conosci. Sirius ha tanti difetti, ma si farebbe in quattro per le persone che ama e questo l’ho sempre visto nel rapporto con Harry. - 

- È incredibile, dopo tutto quello che ti ha fatto passare lo difendi ancora. - Commentò freddamente Percy. - Ti ha rovinato la vita, vi ha abbandonati per giocare all’eroe... - 

Hazel ridusse gli occhi a due fessure. - Lui ha agito nell’interesse di nostro figlio. - Disse con sdegno. - Ma che ne vuoi sapere tu? Se Voldemort avesse vinto non avrebbe torto un capello a Molly e Lucy, visto che sono due bambine purosangue e con i genitori fedeli al Ministero anche durante il dominio dei Mangiamorte. Ma cosa pensi che avrebbe fatto a Janus? Cosa avrebbe fatto a un mezzosangue con il padre nell’Ordine, eh? - 

- E cosa avrebbero fatto al resto della mia famiglia? - Chiese lui rabbioso. 

- Be’, a quei tempi non te ne importava molto, o mi sbaglio? - Si lasciò sfuggire lei, pentendosene nell’immediato. 

Percy sussultò. Hazel l’aveva colpito proprio nel punto giusto. - Non posso credere che tu mi abbia appena detto una cosa del genere. - Disse amareggiato. 

- Perce… lo so, mi dispiace. - Rispose lei in fretta, visibilmente mortificata, lo sguardo basso. - Scusa, sono davvero… - 

La porta alle loro spalle bussò e Hazel si interruppe a metà. 

- Forse è meglio se vai ad aprire, sarà lui. - Disse Percy sprezzante, prima di allontanarsi verso la cucina, sparendo dalla sua vista. 

Hazel prese un respiro profondo, cercando di scrollarsi di dosso quell’improvviso senso di colpa. Raggiunse la porta e la spalancò, ritrovandosi davanti, proprio come previsto da Percy, un Sirius Black tutto infreddolito e infagottato in un pesante mantello scuro, che teneva in mano due bottiglie di vino elfico. Hazel lo fissò a lungo senza dire nulla, scrutandolo per bene. Sirius aveva i capelli più corti dell’ultima volta, il suo viso era florido e rasato e, a parte l’espressione sorpresa e quasi intimorita davanti a lei, aveva un bell’aspetto, l’aspetto di una persona felice. Già, probabilmente quella Kamilah Burke gli faceva bene, pensò tristemente Hazel, e in un certo senso era vero.


In quelle ultime settimane il rapporto tra Sirius e Kamilah si era evoluto in qualcosa di più di una passionale frequentazione di letto. Era successo inaspettatamente una mattina, quando Sirius se la ritrovò in cucina mezza nuda e intenta a preparare la colazione per entrambi. L’aveva guardata in silenzio dalla soglia della porta e aveva pensato che non sarebbe stato poi tanto male uscire con lei e imparare a conoscerla per davvero. 

Da quel giorno si erano susseguiti parecchi appuntamenti in cui lui e Kamilah erano rimasti completamente vestiti e, sebbene Sirius preferisse di gran lunga quelli in cui stavano nudi a casa sua, non disdegnava portarla a cena fuori o al cinema di tanto in tanto. Con lei si sentiva bene, era svincolato da ogni tipo di legame romantico, come quando da giovane usciva con le ragazze senza troppo impegno, consapevole di non essere fatto per la vita familiare come James, ma nemmeno per la solitudine come Remus. 

Di tanto in tanto però, quando meno se lo aspettava, nella sua testa faceva capolino il pensiero di Hazel. Succedeva soprattutto quando si sentiva giù di morale o quando invece gli capitava una cosa abbastanza bella da meritare di essere raccontata a qualcuno. Anzi, non a qualcuno, a lei

Provava per Hazel quel tipo di mancanza che sentiva anche per James e per Remus; certo lei era ancora viva, ma non era la stessa persona di un tempo, dunque nel suo cuore si stava consumando una sorta di lutto a metà. Hazel era la madre di suo figlio e per forza di cose non sarebbe mai sparita del tutto dalla sua vita e questo lo faceva sentire sollevato e preoccupato nello stesso momento. Sarebbe stato più semplice buttarsela alle spalle senza doverla vedere mai più, ma non riusciva a farla uscire dalla sua testa. 

Non si vedevano da più di tre mesi e lui aveva pensato a lei molto spesso, aveva immaginato di parlarle tantissime volte, eppure non riusciva a dire nulla, bloccato lì su quella soglia, al gelo. 

- Ciao. - Esordì lei, rompendo il silenzio dopo qualche secondo. - Vieni, entra. - 

Hazel si fece da parte e Sirius varcò l'uscio, chiudendosi la porta alle spalle. Si fissarono ancora e questa volta fu lui a studiare lei. Notò che era nervosa,  lo capì dal modo in cui si tormentava le mani e dallo sguardo sfuggente, ma era impeccabile come al solito, con indosso un grazioso abito in tartan molto scozzese e i capelli sciolti sulle spalle. 

La trovò bellissima. 

- Stai… bene. - Disse il mago, senza un perché. 

L’espressione impassibile di Hazel si piegò un po’ all’imbarazzo. - Grazie. -

- Sono felice di vederti. - Ammise Sirius insolitamente cordiale.

Anche io, avrebbe voluto rispondere lei, ma si sarebbe fatta volentieri uccidere piuttosto che ammettere di aver sentito la sua mancanza. Ormai nulla di ciò che provava per lui aveva un senso, stavano vivendo due vite diverse; in quel momento si trovavano faccia a faccia ma nonostante ciò sembrava esserci un invalicabile muro di parole non dette a dividerli. Per la prima volta dopo tre mesi, Hazel sentì forte e chiaro qualcosa farsi largo nella sua apatia. Rabbia, passione, immotivata speranza di poter tornare quella di una volta… o forse desiderio. Furioso desiderio di poter abbattere quella barriera, scavalcare le macerie della loro relazione e incontrare di nuovo l’anima di lui, come tanti anni prima, e fare pace con essa per poter andare finalmente avanti.

- Anche io sono felice di vederti. - Sussurrò alla fine, arrendendosi. 

Sirius non poté fare a meno di sorridere. - Andiamo di là? - Domandò, dopo qualche altro attimo di silenzio. 

- Andiamo. - 

Mentre faceva strada, Hazel lanciò a Sirius un ultimo sguardo di sfuggita. Era strano averlo di nuovo vicino, ma era al contempo piacevole. Chissà, magari quella volta le cose sarebbero andate nel verso giusto. Ma quando varcarono la soglia della cucina, Hazel incontrò gli occhi chiari di Percy e la sua espressione ancora arrabbiata e delusa, e subito cambiò idea: nulla sarebbe andato nel verso giusto quella sera. 

- Sirius, ce l’hai fatta! - Esclamò la signora Weasley, asciugandosi le mani sul grembiule mentre gli andava incontro. - Forza, a tavola! Ormai è quasi pronto. - 

Nel frattempo, da vicino al camino, Harry guardò prima Percy e poi Janus. - Te l’avevo detto che sarebbe venuto. - Disse al più giovane, sorridendo. 



 

Heilà, come va? 

Io sono in un mood un po’ giù di morale: adoro l’autunno, ma la mia salute mentale peggiora sempre in questo periodo. Comunque ieri ho avuto una seduta particolarmente produttiva con la psicologa, quindi dopo giorni di presa a malissimo sto tornando a vedere la luce! Vabbe, torniamo alle cose interessanti. 

So che può sembrare che le cose in questa storia non si smuovono mai, se tutta questa introspezione vi ha rotto le palle lo capisco, ma fatemi sapere voi cosa ne pensate! 

Ultimamente ho perso un po’ di motivazione, probabilmente colpa del fatto che sto pubblicando la stessa storia su wattpad e lì non mi si fila nessuno, proprio nessuno nessuno, ma come è possibile? Vedo altre fan fiction con tantissime visualizzazioni, cascate di stelline eccetera, e poi ci sono io, con 70 anime in tutto che si sono degnate di visualizzare la storia. Per fortuna prediliggo efp altrimenti altro che poca motivazione ahahah. 

Va bene, vi ho annoiato abbastanza. Grazie per aver letto fin qui e vi ricordo che le recensioni sono sempre molto gradite! Fate felice na povera autrice wannabe con problemi di autostima. 

Alla prossima, 

J. 


 

Ritorna all'indice


Capitolo 41
*** Capitolo 40. Vacanze di Natale (parte due) ***


Capitolo 40


Mentre fuori una tempesta di neve impazzava, all’interno della Tana c’era una accogliente aria di festa. Lungo il vecchio tavolo di legno, quell’anno non troppo affollato, gli ospiti ormai sazi cominciarono ad abbandonarsi sfiniti contro lo schienale delle sedie su cui sedevano, come vinti dalla quantità industriale di cibo che avevano ingurgitato. 

Mentre tutti attorno a lui si intrattenevano in conversazioni serrate o in partite a spara schiocco, Janus si ritrovò a guardare sua madre e suo padre, che chiacchieravano. Erano seduti alle estremità opposte del divano come se non volessero stare troppo vicini l'uno all’altra, i volti rilassati, illuminati dal fuoco che scoppiettava nel camino, e Ninfadora nel mezzo, come una sorta di ago della bilancia. Hazel sorrideva timidamente mentre Sirius parlava, si toccava i capelli e di tanto in tanto abbassava nervosamente lo sguardo. 

E meno male che Sirius pensava che lei non lo volesse lì, pensò Janus, perplesso ma sollevato dal fatto che tra loro le cose andassero ancora bene. 

Qualche sedia più a destra rispetto a lui, anche Percy guardava nella sua stessa direzione, ma con l’espressione di chi sembrava non aver digerito la cena. Janus non si dovette sforzare troppo per capire ciò che passava per la testa del mago, era chiaro, ce l’aveva scritto sul volto: era geloso e soffriva a stare a guardare mentre la sua futura moglie rideva alle battute di un altro uomo. 

Janus lo capiva; tante volte aveva guardato Faye e il ragazzo di turno, - puntualmente più bello e interessante di lui, - con lo stesso sguardo. 

Con un sospiro, il ragazzo cercò con lo sguardo l’amica, che stava giocando a terra assieme a Lily, quasi come se fosse sua figlia. 

Non avevano parlato della discussione avvenuta il giorno prima fuori dal San Mungo, anzi non avevano parlato affatto. Nella mente di lui però rimbombava di continuo quella frase che lei gli aveva rivolto, quel rifiuto tagliente e indelicato, difficile da elaborare per uno come lui. Lei non lo voleva, né ora né mai, doveva accettarlo, farsene una ragione, magari costringersi a innamorarsi di Pilar, che moriva dalla voglia di compiacerlo. 

- Pene d’amore, eh? - Disse la piccola Molly Weasley, mentre si sedeva al suo fianco. 

Janus le scoccò uno sguardo metà divertito e metà infastidito e non disse niente. 

- Mi dici che è successo tra di voi? - Insistette la ragazzina. - Si vede lontano un miglio che c’è qualcosa che non va. Avete litigato? - 

- Diciamo che è lei che ha litigato con me. - Spiegò Janus, scrollando le spalle. - Ha dato di matto per me e Pilar e due secondi dopo mi ha guardato come se fossi un cumulo di spazzatura e mi ha detto che non mi vuole e che non mi vorrà mai. Io non la capisco. - 

Molly fissò Faye a lungo, senza dire niente. Non la conosceva bene, ma era di dominio pubblico che fosse un po’... instabile. Certo, era molto bella, ma Molly proprio non capiva cosa Janus ci trovasse in lei. 

- Secondo me dovresti concentrarti su Pilar. Lei mi piace. - Gli disse, annuendo. 

- Anche a me piace. Ogni tanto. - Rispose Janus. - Insomma, sì… apprezza molte delle cose che mi piacciono, ma non basta questo. Con lei non riesco a fare discorsi profondi. - 

- Che genere di discorsi profondi intendi? - 

- Tipo quelli che facciamo io e te. - Tentò di spiegare lui. - Sul senso della vita, sul perché delle cose, su ciò che è bene e ciò che è male. Ecco lei non ce la fa. Non voglio fargliene una colpa, ma non mi basta che una sia un po’ nerd per farmi innamorare. -  

- Secondo questo tuo discorso allora dovresti essere innamorato di me, a questo punto. - Obiettò Molly, sogghignando. 

- Tu hai dodici anni. - Ribatté lui, arricciando il naso. - Sarebbe contro natura. - 

- Ma mica avrò dodici anni per sempre. - 

Janus alzò le sopracciglia e sgranò gli occhi. - Ti conosco da quando ne avevi sette, è comunque una cosa strana e poi i nostri genitori si stanno per sposare, quindi siamo praticamente parenti, sarebbe davvero inopportuno se… - 

Molly rise interrompendolo. - Datti una calmata! - Esclamò divertita. - Non dicevo sul serio, lo so che siamo parenti e che sarebbe davvero troppo strano. Sarebbe un po’ come mettersi con Ted. - Aggiunse, facendo una faccia schifata. 

Janus tirò un sospiro di sollievo. 

- Tuttavia. - Proseguì la giovane, con molta più serietà di quanto sarebbe stato normale vedere sul volto di una dodicenne. - Se a trentacinque anni dovessimo essere ancora soli perché troppo intelligenti e profondi per questa società superficiale… sì, probabilmente mi ci metterei con te. Una matrimonio per non morire da sola. - 

- Davvero romantico. - Commentò Janus, scuotendo la testa. - Ma sappi che voglio almeno quattro o cinque figli. Non per forza tutti naturali, anche adottivi vanno bene. - 

- Bene, affare fatto. - Decise Molly, sogghignando divertita. - Comunque spero di trovare qualcuno da amare per davvero, prima o poi. E spero che accada lo stesso pure a te. - 

Janus esitò per un attimo e il suo sguardo si posò di nuovo su sua madre e suo padre. Parlavano ancora, stavano bene, ma quanti danni aveva creato l’amore nel loro caso? L’amore aveva distrutto la vita di sua madre e in un certo senso aveva condizionato anche la sua. 

Janus ricordava il dolore di Hazel come se lo avesse provato sulla propria pelle, aveva visto sua madre piangere per anni, era rimasto a guardare senza poter fare niente tutte le volte in cui era caduta in quei suoi momenti, aveva sentito il peso della solitudine per anni e anche adesso, anche a distanza di tempo, percepiva ancora un forte senso di vuoto dentro di sé. Non voleva soffrire come aveva sofferto sua madre, lui si sarebbe protetto. 

Mentre li guardava, Janus immaginò un'esistenza alternativa in cui i suoi genitori erano tornati a stare insieme. Probabilmente Sirius sarebbe venuto a vivere da loro, magari sarebbero tornati in Scozia o magari ci sarebbero tornati tutti gli anni durante le vacanze estive. Sarebbe stato bello, davvero molto bello… d’altra parte, Janus sapeva che tale eventualità avrebbe provocato varie criticità. Si sentiva a casa ogni volta che si trovava alla Tana, ma se sua madre avesse lasciato Percy le cose sarebbero di sicuro cambiate. 

E lui, ovviamente, non voleva che ciò accadesse. 

Doveva tenere sua madre e suo padre lontani, quella sarebbe stata la sua missione per quel Natale. 

Poco dopo la mezzanotte, la Tana iniziò a svuotarsi e a farsi pian piano sempre più silenziosa. Harry, Ginny e i bambini tornarono a casa per primi, Charlie salutò tutti e salì in camera sua e poco dopo Percy fece lo stesso, scoccando a Hazel e Sirius uno sguardo di puro sdegno. Ben presto gli unici rimasti davanti al camino acceso furono proprio loro due, anche se ben sorvegliati da Janus, che si era sistemato sulla poltrona sformata più vicina al fuoco con un grosso libro aperto tra le mani. 

- Di che cosa parla? - Gli chiese Sirius ad un certo punto, quando Hazel si alzò per preparare un po’ di tè così da scaldarsi un po’ durante quella tempestosa notte di Natale. 

- È complicato. - Rispose Janus, senza staccare gli occhi dalla pagina. 

- Avanti. - 

Il giovane sbuffò, chiuse il libro con un tonfo sordo e finalmente alzò lo sguardo. - Il sovrano di un regno geograficamente molto simile alla Gran Bretagna va a nord per chiedere a un suo vecchio amico se vuole diventare il primo cavaliere del Re dopo la sospettosa morte dell’ultimo. Lui accetta ma viene decapitato alla fine del primo libro perché scopre che gli eredi al trono in realtà sono i figli incestuosi della regina che scopa con il fratello gemello e così ha inizio una guerra. In tutto questo, mentre a est c’è una strafiga con dei draghi, oltre una barriera di ghiaccio a nord ci sono degli zombie. - Narrò nel tentativo di farla breve. - Comunque forse è meglio se lo leggi, anche perché tra poco esce la serie tv. -

Sirius, un po’ perplesso e un po’ divertito, sorrise. - Tu hai gusti proprio strani. - Osservò. 

- Nell’ottica di un mago immagino di sì. - Ammise Janus. 

- Anche tu sei un mago. - 

- Sì, ma sono cresciuto tra i babbani. Pensa che per un periodo ho addirittura creduto che Hogwarts non esistesse e che tutto ciò che mamma mi aveva raccontato fosse una bugia per farmi sentire un po’ meno solo al mondo. - Disse, fissando la copertina del libro con aria assorta. 

L’espressione allegra sul volto di Sirius si spense piano piano. Erano rare le volte in cui suo figlio parlava apertamente del passato, anche Hazel lo faceva poco, e questo gli diede l’impressione che i loro anni negli Stati Uniti non fossero stati un granché felici. In effetti però gli sarebbe piaciuto saperne di più. - Non avevi degli amici a New York? - Domandò dunque, cercando di usare un tono leggero e neutro. 

Janus ci pensò su. - Non molti, no. - Confessò alzando i lati della bocca in un sorriso triste. - Gli altri bambini avevano paura di me, di quello che sapevo fare, mentre le loro madri non vedevano di buon occhio la mia, così giovane, sola e un po’ stralunata. La gente sa essere molto cattiva quando vuole. - 

Davanti a quelle parole, Sirius sentì un altro po’ di amarezza cadergli addosso. Subito dopo Hazel si sedette nuovamente al suo fianco, mettendogli tra le mani una tazza bollente di tè e distraendolo da quella sensazione spiacevole.  

- Che sono queste facce tristi? Che mi sono persa? - Domandò facendo rimbalzare lo sguardo da Sirius a Janus e viceversa. 

Sirius abbozzò un sorriso e si scosse la testa. - Parlavamo di… cose da uomini. - Disse con nonchalance. 

- Oh, bene. Ottimo. - Annuì Hazel. - Allora di sicuro saprai che tuo figlio ha una fidanzata perversa e molestatrice che gli invia foto di nudo non richieste. - 

- Mamma! - Esclamò Janus, imbarazzato. - Ancora con questa storia! - 

Sirius aggrottò la fronte. - Che storia? - Chiese divertito e curioso. 

- Niente, lascia stare, è una cosa imbarazzante di cui non voglio parlare! - Si affrettò a rispondere il ragazzo, mentre si alzava in piedi. - Vado a dormire, prima che questa conversazione degeneri del tutto. Buonanotte, mamma. Sirius, in quanto a te sappi che ogni cosa che lei ti dirà sarà gonfiata a sproposito, quindi non crederle. A domani. - 

- Sì, sì, scappa via! - Rise Hazel mentre Janus spariva su per le scale. - E comunque non è vero che la faccio più grossa di quel che è. - Borbottò tornando a guardare Sirius. 

- A no? - Sogghignò il mago.

- No, ovvio che no! - Esclamò lei. - Sono le ragazzine di oggi che non hanno pudore. Ma sai qual è la cosa più triste? Che fino a qualche anno fa Janus era un bambino dolce e innocente che dormiva con me quando faceva qualche incubo e che si lasciava abbracciare senza far storie, mentre adesso invece si chiude a chiave in bagno, ha una fidanzata pervertita che gli invia foto di tette e pensa che sono imbarazzante. -  

Sirius continuò a ghignare divertito. 

- Il fatto è che mi manca un po’ quel bambino. - Proseguì Hazel. - O forse mi manca non essere più l’unica persona della sua vita. Secondo te sono egoista? - 

Lui scosse la testa. - No, no… ti capisco. - Affermò annuendo. - Mi sarebbe piaciuto tanto conoscere quel bambino di cui parli. - 

Hazel assunse un’espressione mortificata. - Scusa, lamentarmi con te di certe cose è indelicato. - Disse dispiaciuta. 

Sirius scrollò le spalle, ma non disse niente, limitandosi a guardarla. Hazel si comportava proprio come se quegli ultimi tre mesi di silenzio non ci fossero mai stati, come se quel loro bacio non ci fosse mai stato, e lui non sapeva esattamente come comportarsi. Avevano parlato tutta la sera come due vecchi amici che non si vedevano da molto e in quel momento, da soli in quella cucina deserta, Sirius iniziò a sentirsi un po’ a disagio. Lui, al contrario di lei, proprio non riusciva a ignorare tutto quello che era successo. 

- Hazel… quel bacio… - Tentò di dire, raccogliendo il coraggio. 

- No, non ne voglio parlare. - Lo fermò immediatamente lei, che improvvisamente era tornata ad essere dura e lontana. - Non è mai successo. Io sto per sposarmi e tu… ho saputo che esci con una donna ultimamente. - 

Di colpo la temperatura di quella stanza crollò. Non c’era più leggerezza nel tono di lei e Sirius ebbe l’impressione di trovarsi nel bel mezzo di un campo minato. Ogni passo poteva costargli la vita, ma non poteva neppure star fermi, immobile e zitto. 

Alla fine sospirò e rispose: - Sì, di tanto in tanto mi vedo con una persona, è vero. - 

Hazel annuì, lo sguardo vacuo rivolto al fuoco ancora acceso nel camino e le mani unite attorno alla sua tazza. - Bene, ne sono felice. - Mormorò, per poi voltarsi timidamente verso di lui. - E lei… com’è? - Le domanda le uscì dalla labbra prima che potesse fermarla, spinta dalla curiosità o forse dal malsano desiderio di farsi del male. 

- Non è te. - Rispose Sirius. 

- È meglio? Peggio? - Lo sollecitò Hazel. 

- Semplicemente non è te. - Disse di nuovo lui. 

Hazel tentò di sorridere, ma ciò che si disegnò sulle sue labbra fu più simile ad una triste smorfia. - Perché non venire entrambi al matrimonio? Così me la fai conoscere. - 

Sirius si sentì gelare. Non moriva dalla voglia di vederla vestita da sposa mentre andava incontro a un altro uomo, ma d’altra parte poteva essere un ottimo modo per mettere un punto a tutta la loro storia. Lei non lo amava più ma amava un altro a tal punto da voler passare con lui il resto della sua vita. Era finita e lui se ne doveva fare una ragione. 

- Sì, glielo chiederò di sicuro. - Rispose rigidamente, prima di alzarsi in piedi. - Penso che ora sia meglio che io me ne vada. Londra è a due ore di distanza e si sta facendo tardi. - 

- Ma come, non dormi qui? - Domandò lei delusa. 

Sirius scosse la testa in fretta. - No… torno a casa. - Asserì evasivo. - Ho voglia di volare un po’, prendere un po’ d’aria, sai… ma ci vediamo domani per pranzo. - 

- Oh. - Fece Hazel, e poi anche lei si alzò. - Allora ti accompagno alla porta. - 

Il mago annuì e senza dire niente raggiunsero la porta d’ingresso. 

- Buonanotte. - Lo salutò lei, una volta sulla soglia della porta. 

Lui si limitò a fare uno di quei suoi sorrisi amari che Hazel conosceva bene e poi, nello stesso momento, il vischio incantato appeso sopra le loro teste cominciò a vorticare. 

- Scommetto che tu non voglia rispettare la tradizione. - Fece lui con leggerezza. 

Hazel ridacchiò imbarazzata e poi si alzò sulla punta dei piedi lasciando un rapido bacio sulla guancia dell’uomo, lasciandolo di stucco. 

- Stai attenta, ragazzina: non vorrai mica farmi credere che tu stia flirtando con me. - Disse, cercando di smorzare la tensione. 

Hazel alzò gli occhi al cielo ma sorrise. - Abbiamo la stessa età adesso, Sirius. Anzi, io sono addirittura più grande di te di qualche mese. - Gli ricordò. 

L’uomo fece un gesto sconclusionato con la mano, come per dire “sì, come no”, e poi sorrise, 'stavolta per davvero. - Buonanotte, Hazel. - Disse, e uscì per poi avviarsi verso la moto, abbandonata tra la neve poco più in là.

Hazel lo guardò allontanarsi per qualche secondo e poi chiuse la porta, ritrovandosi da sola nel buio corridoio silenzioso. 

Era stata una serata così strana, eppure Hazel stava bene, come se tutto si fosse improvvisamente sistemato. Lei e Sirius potevano essere amici, era possibile, e questo la faceva sentire in pace, più felice. Teneva troppo a lui per tagliarlo davvero fuori dalla sua vita, forse per questo durante quegli ultimi tre mesi aveva sentito forte la sua mancanza. 

Hazel raggiunse le scale, salì al piano di sopra e, una volta arrivata davanti alla porta della stanza di Percy, percepì tutta quella leggerezza svanire nel nulla. Lì dietro probabilmente Percy la stava aspettando sveglio e arrabbiato per la discussione che avevano avuto poco prima in cui lei si era comportata da vera stronza. 

Alla fine Hazel prese un respiro profondo, prese coraggio e spalancò la soglia, ritrovandosi avvolta dal buio. Camminò a tentoni verso il letto, si spogliò e indossò il pigiama cercando di non fare rumore e quando si sedette sul materasso sentì Percy sbuffare. 

- Se ne sono andati tutti? - Domandò freddamente il mago. 

- Sì. - Sussurrò Hazel, e poi si sdraiò. - Sei arrabbiato con me, vero? - 

Percy si prese una manciata di secondi prima di rispondere, come se volesse tenerla sulle spine. - Un po’ lo sono. - Ammise alla fine. - Però ci ho pensato su e hai ragione, non sono il padre di Janus, anche se per me lui è davvero come un figlio, quindi è il caso che io mi faccia da parte. Non devi immischiarmi, o almeno ci proverò. - 

Hazel si avvicinò un po’ a lui, stringendosi in quel letto non molto adatto a ospitare due persone. - Sono fortunata ad averti. - 

Percy mugugnò scettico. - Eppure hai parlato con Sirius per tutta la sera. - Disse con un tono accusatorio. - Ti faceva ridere. Non ridi mai così con me. - 

- Be’, lo sai che è un tipo divertente, in fondo. Bisogna dargliene atto. - Ribatté Hazel, non del tutto sicura che fosse la cosa giusta da dire. 

- Mh, certo. - Si limitò a dire Percy. - Lui è divertente, bello, pieno di talento, con un Ordine di Merlino alla memoria e lo amano tutti… manca solo che diventi Ministro. - 

Hazel dovette trattenere una risata. - Perce, l’Ordine di Merlino alla memoria, sul serio? Insomma, glielo hanno dato perché è morto, non perché ha fatto qualcosa di importante. Insomma non se l’è guadagnato, non puoi essere geloso anche di questo. - 

- Come non si è guadagnato il fatto di essere così irritantemente affascinante. - 

‘Stavolta Hazel rise senza alcun ritegno. - Non è che alla fine qui sei tu quello che ha una cotta per Sirius? - Domandò divertita. 

Percy arrossì nella penombra e non disse niente. 

- In ogni caso… l’ho invitato al matrimonio. Lui e la tipa con cui esce. - Proseguì Hazel.

- Pensi che sia una scelta saggia? - Chiese Percy.

- Audrey l’hai invitata, quindi non vedo perché no. - Rispose lei. 

- L’ho invitata perché lei ci ha invitato al suo di matrimonio anni fa, non perché tengo alla sua presenza. - Spiegò il mago. - Comunque d’accordo, tanto ormai è fatta. - 

- Adesso che so che pensi che Sirius sia affascinante ho quasi paura che scapperai via con lui, quel giorno. - Lo prese in giro Hazel. - Comunque io sono contenta che verrà anche Audrey. -

- E perché? - 

- Perché sarò una gran gnocca quel giorno e voglio sbatterglielo in faccia. - 

Percy sospirò e alzò gli occhi al cielo, ma sorrise anche se nell’oscurità lei non poteva vederlo. 

In quello stesso momento, in una delle stanze al piano di sopra, Janus era ancora sveglio e se ne stava in piedi davanti alla finestra, a osservare i fari della motocicletta volante di suo padre che si allontanavano. Aveva finalmente smesso di nevicare, le nuvole erano state spazzate via dal vento e il cielo era tornato a essere puntellato di stelle. In un angolo, invece, uno spicchietto di luna illuminava le campagne che circondavano la Tana. Era una notte perfetta e Janus sentiva una strana nostalgia, anche se neppure lui sapeva esattamente di cosa. 

Vedere i suoi genitori insieme quella sera lo aveva turbato, probabilmente perché Sirius gli aveva fatto credere che tra loro le cose non fossero più come durante l’estate. Per la prima volta da quando suo padre era tornato, Janus si era ritrovato a fantasticare sulla possibilità di vederlo di nuovo assieme a sua madre e questo lo aveva fatto sentire diviso in due: da una parte ovviamente c’era Sirius, suo padre, l’uomo che aveva cercato nei racconti degli altri per tutta la vita, ma dall’altra c’era Percy, quello che si era beccato tutta la sua rabbia, che si era guadagnato la sua fiducia pian piano e che alla fine era diventato quasi un modello per lui. 

Certo, magari Percy non era simpatico e carismatico come Sirius, Percy non era suo padre, ma lo aveva cresciuto e diamine quante gliene aveva fatte passare a quell’uomo… eppure qualcosa stava pregando Janus di schierarsi dalla parte di Sirius, magari aiutarlo a conquistare nuovamente Hazel.

Si sentiva in colpa; si sentiva in colpa perché sapeva che, nel profondo del suo cuore, era tornato a sperare che Percy e sua madre si lasciassero. 

Sospirò e, dopo un’ultima occhiata oltre le vetrate chiuse, si lasciò cadere sul letto. Pochi secondi dopo qualcuno bussò alla porta facendolo sobbalzare, ma non fece nemmeno in tempo a dire “avanti” che quella si spalancò. Sulla soglia, con un’aria timida che non le si addiceva per niente, c’era Faye con indosso un pigiama di pile color carta da zucchero che la faceva sembrare più piccola.

- Che cosa c’è? - Chiese gelidamente lui, incrociando le braccia sul petto assumendo un completo atteggiamento di chiusura. - Stavo per andare a dormire. - 

- Io non ci riesco. - Lo informò lei.

- La signora Weasley prende la pozione soporifera quando non ci riesce, ne puoi trovare un po’ sulla mensola in bagno. - Disse Janus. 

- Posso dormire qui con te stanotte? - Domandò invece Faye. 

Lui alzò le sopracciglia, allibito. - No. - Rispose brusco. - Certo che no. - 

- Allora posso restare solo per un po’? - Insistette lei. 

- No, Faye, vattene. Lasciami in pace! - Reagì Janus, alzandosi in piedi. - Non voglio averti intorno, lo capisci questo oppure no? - 

Faye fece un passo indietro, presa alla sprovvista. Molte volte lo aveva visto arrabbiato, ma mai Janus aveva rivolto quella rabbia verso di lei. - Dobbiamo parlare. - Decise la giovane. Poi si chiuse la porta alle spalle e si avvicinò a lui. Adesso erano faccia a faccia.

- Ma io non ti voglio ascoltare. - Disse fermamente Janus. - Lo so già, tu non mi vuoi, non mi vorrai mai, e sai una cosa? Non me ne frega niente. Tu sei instabile e io non ti capirò mai. Sei stressante, irritante, scorretta e io non ti sopporto! Posso avere di gran lunga di meglio, anzi, ho già di meglio! - 

- Certo, Nachos è talmente perfetta che pur di non parlarle paghi Molly per farlo al posto tuo. - Sul volto di Faye comparve un sorriso sardonico. 

- Non chiamarla così! - 

- Io la chiamo come mi pare! - Esclamò lei, facendo prepotentemente un passo in avanti. 

- Perché sei così ossessionata da lei se non mi vuoi? Perché, eh? - 

Le labbra di Faye si piegarono verso il basso, in un misto di rabbia e tristezza. - Perché non è vero! - Sbottò furiosa. - Non è vero che non ti voglio, ma non posso, lo capisci? Tu sei la mia famiglia. Delle volte mi metto a fantasticare e fingo che tua madre sia anche la mia; probabilmente lei e Percy sono gli unici adulti che non mi considerano un peso, ma se noi ci mettiamo insieme io finirò per rovinare tutto, lo so già. Quindi non ti voglio, non posso… - 

- Invece puoi. - Mormorò lui, dopo un breve attimo di silenzio, avvicinandosi a tal punto da poter sentire il profumo della pelle di lei. 

- No. Io non posso, non voglio… rovinerò tutto come al solito. - Tentò di dire lei, più avvilita che mai. - Rovino tutto ciò che tocco, Jan. Tutto. - 

Lui si limitò a scuotere la testa, consapevole che nessuna parola in quel momento poteva avere il potere di cambiare le cose. La guardò a lungo, godendosi la visione del viso di lei che mai era stato così vicino al suo, gli occhi di lei, più ambrati, caldi e lucidi che mai, ricambiarono quello sguardo con la stessa intensità. 

E poi semplicemente accadde; le loro labbra si sfiorarono come se fossero state create per essere unite e mentre Janus la stringeva e Faye di rimando si ancorava alle sue spalle, fu come se il mondo attorno a loro avesse perso d’importanza. C’erano solo loro due, non c’erano ostacoli, non c’erano paure, e solo a quel punto Janus capì che era proprio così che doveva essere un bacio: naturale e spontaneo, ma anche abbastanza potente da lasciarti letteralmente senza fiato. 

Quando si divisero, dopo pochi secondi o forse dopo mezz’ora, Janus guardò Faye come se avesse perso la capacità di proferire parola. Poi lei accennò un sorriso incerto, sembrava combattuta ma Janus decise di non farci caso. 

- Sei arrossito. - Gli fece notare Faye dopo un po’. 

Janus ovviamente se lo immaginava, visto il calore che percepiva sulle sue guance. 

- E baci anche di merda, quanti anni hai, undici? - Proseguì lei, le mani sui fianchi con l’atteggiamento di chi sembrava avere a che fare con una causa persa. 

- Scusa. - Rispose il giovane, probabilmente avvampando ancor di più.

Lei alzò gli occhi al cielo. Si stava sforzando per apparire disinteressata e più spiacevole del solito, proprio come faceva ogni qualvolta che qualcuno le dimostrava di volerle bene o di tenere a lei. - Be’, te lo insegnerò io. - Borbottò, andandosi a sedere sul letto. - E ti insegnerò anche tutto il resto. - 

- Tutto il resto? - Domandò lui, allarmato. 

Faye annuì. - Quando te la sentirai. - Rispose. - Adesso posso dormire con te? -

Il ragazzo esitò; si sentiva un po’ teso ma poi acconsentì, ritrovandosi un momento dopo sdraiato accanto a lei. Quando la luce si spense, nel buio di quella stanza, Janus si sentì in un’altra dimensione. 


Heeey, buon Halloween! 

Capitolo cortino, lo so, ma almeno l’ho pubblicato alla svelta, dai. Inoltre se lo avessi unito al prossimo probabilmente sarebbe venuta fuori una roba lunghissima e interminabile. Non lo trovo un granché, so che la storia procede lentamente e che sembra sempre che non succeda mai niente, delle volte ho l’impressione che l’andamento della trama sia quasi impercettibile perché si basa tutto sul cambiamento dei personaggi, ma ditemi voi cosa ne pensate! 

Alla prossima, 

J.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 42
*** Capitolo 41. Kamilah ***


Capitolo 41

 

Nei giorni successivi alle vacanze di Natale, la vita di Hazel prese una piega strana. Da un lato le cose procedevano come sempre: il lavoro occupava gran parte del suo tempo, proprio come l’organizzazione del matrimonio ormai sempre più vicino; la mattina Hazel si alzava all’alba, correva per mezz’ora e dopo una doccia veloce filava a Oxford senza prendersi nemmeno il tempo per pensare. Il pomeriggio, invece, era solita vedere Sirius, che la raggiungeva per prendere un caffè con lei nel discutibilissimo bar della facoltà. 

Era davvero strano avere a che fare con lui in quel modo, alla luce del sole, presentarlo a qualche collega come il padre di suo figlio, senza più nascondersi e senza più avere paura, ed era una delle sensazioni migliori che Hazel avesse mai provato. C’erano le basi per poter costruire finalmente un rapporto di amicizia sincero che non aveva spazio per la malinconia o la mancanza di ciò che erano stati. 

Proprio perché Hazel si sentiva ancora molto attratta da lui, si assicurava di incontrarlo sempre in luoghi pubblici e si affrettava a cancellare presto ogni pensiero riguardante loro due di nuovo insieme come coppia. Sirius d'altro canto faceva esattamente la stessa cosa, mantenendo sempre un passo indietro, all’erta, e ritrovandosi spesso a usare inconsciamente Kamilah come una sorta di surrogato di Hazel. Non se ne rendeva conto, ma percepiva ogni volta qualcosa di sbagliato quando era in compagnia di quella ragazza bellissima che però lui quasi non riusciva davvero a vedere. 

Però vedeva Hazel. Oh sì, lei la vedeva bene. 

Con il passare delle settimane Sirius si era reso conto che la ragazzina scapestrata che aveva conosciuto anni prima c’era ancora, solo che era seppellita sotto i vestiti da donna in carriera che Hazel si ostinava a indossare per darsi un tono. Un pomeriggio particolarmente freddo di metà gennaio, quando fuori dall’ufficio di lei nevicava forte, Hazel gli aveva confessato timidamente di aver affittato un posto in cui era tornata nuovamente a dipingere, lontana dallo sguardo giudicante di Percy. 

- Non gliel’ho detto per evitare di sentirmi dire per l’ennesima volta che l’arte non è un lavoro vero e che ciò di cui abbiamo bisogno è stabilità. - Spiegò Hazel, mostrando a Sirius quel suo piccolo angolo segreto. 

Si trattava di una minuscola mansarda in cima ad un vecchio palazzo del centro di Londra, il tetto fatto di travi di legno, arredato da un divano rosso posto accanto al camino e da tantissime tele che Hazel aveva dipinto negli ultimi mesi. Nonostante Sirius non ci capisse granché di arte, notò che lo stile pittorico di Hazel era cambiato negli anni, era maturato, ma era anche rimasto tremendamente inquietante. Ogni tela era una finestra sul dolore di lei, ogni pennellata era come una lama affilata nella carne di chi guardava e per l’ennesima volta il mago capì quanto dolore le aveva provocato negli anni. 

Iniziarono così a passare in quel posto molto più tempo di quanto sarebbe stato lecito, ma senza mai sfiorarsi, nemmeno per sbaglio. Ogni tanto Sirius posava per lei oppure si dilettava anche lui nella pittura, con pessimi ma esilaranti risultati. 

- Le tue opere sarebbero perfette per il MOBA*! - Rideva sempre lei, ogni volta che Sirius le mostrava un suo lavoro. 

Sirius aveva lo straordinario potere di farla tornare un po’ bambina; ogni volta che la porta di quella mansarda si chiudeva lasciando il mondo fuori da quelle mura, per Hazel era come una terapia: c’era lei, c’era Sirius, c’era l’arte, ma non c’era più dolore, né cattiveria, né lutto. 

Ma, quando la porta si apriva di nuovo, la magia terminava, Sirius volava via su quella sua moto volante e lei tornava a casa, dove c’era Percy ad aspettarla. 

- Come è andata oggi? - Gli chiedeva ogni volta l’uomo. 

Hazel allora indossava un sorriso e mentiva, raccontava di una ordinaria giornata di lavoro, sorvolando del tutto sul fatto che lei e Sirius avevano passato un intero pomeriggio da soli in una mansarda ingombra a pasticciare con dei colori a tempera. 

Dopo cena, Hazel si metteva a letto e una sola domanda iniziava a tormentarla: stava per caso tradendo Percy? Dopotutto lo stava riempiendo di bugie e di certo Percy non se lo meritava. 

Sentiva di star vivendo due vite differenti: quella con Percy, in cui manteneva il ruolo di quasi moglie perfetta, di impeccabile docente universitaria e di madre affettuosa e attenta, e quella con Sirius, che tirava fuori dal fondo del suo cuore la creatività e la passione che per anni era scomparsa sotto montagne di dolore. Le sarebbe piaciuto poter unire queste due cose, essere perfetta ma concedersi anche il lusso di essere allo stesso tempo fragile come solo con Sirius riusciva a mostrarsi. 

Poi un giorno lui le aveva proposto di conoscere Kamilah e lei aveva accettato di buon grado, sia perché era curiosa di conoscere la donna che l’aveva sostituita, sia perché voleva l’ennesima conferma che non ci fosse più un futuro per loro. 

Così Hazel si ritrovò seduta in un pub, in attesa di essere raggiunta da Sirius e Kamilah, accanto a Ninfadora, venuta in suo soccorso al posto di Percy, che in quei giorni si stava occupando di un importante questione ministeriale, questione di vita o di morte, che lo obbligava a restare fuori casa fino a notte inoltrata. Comunque a lei non dispiaceva: sarebbe stato molto più facile affrontare quell’uscita senza i sussurri dei sensi di colpa che ultimamente la assalivano ogni volta che il suo quasi marito le stava accanto. 

Il pub aveva un aspetto un po’ trasandato: il bancone di legno tarlato era abbandonato in un angolo con alle spalle tante bottiglie impolverate, i tavoli - anche quelli di legno - affollavano la sala e l’aria aveva un odore pungente di alcol e polvere. Da qualche parte una radio suonava una cover annacquata di One Way Or Another, ma il chiacchiericcio della clientela la sovrastava. Insomma quel posto non era molto il genere di Hazel, a dirla tutta lei preferiva di gran lunga i luoghi puliti e silenziosi in cui poter leggere o magari scrivere o disegnare un po’, con poche persone e buon cibo, ma era invece uno di quei pub che di sicuro potevano piacere a Sirius. 

- Siamo qui da almeno mezz’ora e di loro nessuna traccia. - Si lamentò Hazel, dando l’ennesima occhiata ansiosa alla porta. 

- Non pensavo che fossi impaziente di conoscere Kamilah. - Disse Tonks, osservandola con interesse. 

- Non sono impaziente, ma trovo irrispettosa tutta questa attesa. - Ribatté la babbana. 

Ninfadora la guardò scettica ma non ribatté, convinta che il suo sguardo eloquente parlasse per lei. 

- Be’, tu l’hai già conosciuta, no? Com’è? - La interrogò allora Hazel.

Tonks scrollò le spalle. - Praticamente il tuo esatto contrario, però non è male. Certo, è talmente consapevole di essere una gran gnocca che ogni tanto vorrei prenderla a sberle, ma a parte questo a Sirius piace, quindi… ecco, in verità non impazzisco per lei. - 

Hazel strinse le labbra, assaporando quell’ormai conosciuto senso di gelosia. Poi, una manciata di secondi più tardi, la porta d’ingresso del pub si spalancò facendo entrare l’aria gelida. 

Hazel scoccò uno sguardo in quella direzione, notando che una giovane donna dai fluenti capelli corvini aveva appena fatto il suo ingresso, seguita subito dopo proprio da Sirius che alzò una mano nella loro direzione in segno di saluto prima di avvicinarsi. 

- Scusate il ritardo! - Disse allegramente sedendosi, ma Hazel sembrò non averlo nemmeno sentito, troppo occupata a fissare Kamilah che, nel frattempo, si era sistemata proprio davanti a lei, al fianco di Sirius. 

I suoi capelli, che da lontano le erano sembrati semplicemente neri, da quella distanza erano lucenti, molto curati e lunghi, le incorniciavano infatti un volto che sembrava essere appena stato scolpito nel marmo. Portava abiti babbani molto alla moda, ma Hazel ebbe l’impressione che la strega non fosse solita indossare vestiti del genere. 

Gli occhi di Kamilah, scuri anche quelli e posizionati come due gemme preziose sugli zigomi pronunciati, ricambiarono il suo sguardo con una certa arroganza. - Kamilah, molto piacere. - Si presentò informale, porgendole la mano affusolata. 

Hazel la strinse con una presa molto salda. - Hazel. - Disse distaccata. 

L’altra alzò i lati della bocca in un sorriso più finto di una banconota da tre sterline e Hazel ricambiò: d’improvviso l’aria attorno a quel tavolo si era fatta pesante. 

Nessuno disse una parola per qualche interminabile e teso istante, poi Kamilah tossicchiò così da schiarirsi la voce e esordì: - Ehm… allora… - Bofonchiò nel tentativo di intraprendere una conversazione, rivolgendosi proprio a Hazel. - Sirius mi ha detto che sei un insegnante ma che volevi fare l’artista, una volta. Un vero peccato. - 

Ninfadora, accanto a lei, trattenne rumorosamente il fiato: sapeva che c’era solo una cosa da fare se ciò che si desiderava era farsi Hazel come nemica, bastava alludere alla sua mancata carriera artistica. 

Nonostante ciò Hazel rimase rilassata, anzi, quasi sorrise. - Parlate molto di me quando siete insieme? - Chiese melliflua. 

- Sì, in effetti lui parla molto spesso di te. -  Disse Kamilah, quasi come se se ne fosse resa conto solo in quel momento. 

- Oh, davvero? - Disse Hazel, continuando a mantenere quel tono sardonico. - Invece di te non ne parla mai, infatti di te non so quasi niente: dimmi, che lavoro fai? - 

- Anche se te lo dicessi temo che non potresti capire, dopotutto sei solo una babbana. -

Davanti a quel tono vagamente sprezzante, Ninfadora sgranò gli occhi e Sirius prese a tamburellare con le dita sulla superficie del tavolo attorno a cui erano riuniti, mentre Hazel, di nuovo, non fece una piega. 

- I babbani hanno inventato l’elettricità, il penicillina, il motore, internet… siamo andati sulla luna, sbaglio o voi maghi viete ancora nel 1700? Senza offesa, ragazzi. - Aggiunse, guardando Tonks e Sirius. 

- Noi maghi e streghe non ne abbiamo bisogno. - Ribatté Kamilah. 

- Però io adoro l’elettricità, i motori e internet. - Si mise in mezzo Sirius, nel tentativo di calmare gli animi. - Non so cosa sia la penicillina ma presumo che sia qualcosa di molto divertente e utile, come il resto delle cose che fanno i babbani, che per inciso io adoro. - 

- Sì, il tuo interesse per quelli come lei è universalmente noto, Sirius. - Disse freddamente Kamilah. - Forse è meglio se andiamo a ordinare, vieni con me? - 

- Tra poco dovrebbe arrivare il cameriere. - Rispose l’uomo. 

- Senti, vieni con me e basta. - Ribatté la strega, poi si alzò, lo afferrò per un braccio e lo trascinò verso il bancone lanciando a Hazel uno sguardo di puro sdegno. 

Le due rimaste al tavolo si scambiarono uno sguardo molto esplicito. 

- Credo di odiarla. - Confessò poco dopo Hazel, mentre guardava Kamilah e Sirius che discutevano a qualche metro da lì. 



 

- È così odiosa, proprio non so cosa ci trovi lui in lei. - Sbottò Hazel a Percy quando tornò a casa quella sera, mentre si sfilava le calze e il vestito per indossare il pigiama. - È bella, questo sì… ma solo perché è molto appariscente. Comunque è proprio il suo tipo, Sirius è così prevedibile… io sono l’unica con un po’ di intelletto con cui lui sia mai stato. - 

Ovviamente Kamilah non era il mostro demoniaco che Hazel descriveva, ma era esattamente quel tipo di donna che facilmente risultava antipatica agli occhi delle altre: era vero, non solo molto era bella, ma era anche molto sicura di sé. 

Insomma era proprio il contrario di Hazel, che sicuramente l’avrebbe detestata anche se non ci fosse stato Sirius di mezzo. Se le ricordava quelle come Kamilah, quando andava a scuola, perfette, con le loro vite perfette, i corpi perfetti e i vestiti di marca, sempre pronte a guardare tutti dall’alto al basso. Non era gelosa, si ripeteva, è che quella Kamilah era davvero una stronza di prima categoria! 

- In realtà Kamilah Burke è tra gli impiegati più promettenti del Ministero. - La informò Percy. - È molto preparata, non è solo bella. - 

Hazel lo fulminò con lo sguardo e poi lasciò cadere sul letto. - Quindi tu pensi che lei sia bella? - Chiese tutta alterata, incrociando le braccia sul petto. - Più di me? - 

Percy aprì e chiuse la bocca un paio di volte, alla ricerca della risposta giusta. - Dipende da cosa intendi per bella. In fin dei conti che cos’è la bellezza? Se con bellezza intendi la capacità di appagare il mio animo allora tu sei la più bella donna del mondo, se invece intendi bellezza oggettiva… allora sì, lei rispecchia i canoni odierni. - Spiegò, come se si trattasse di un esame. - Ma sei tu l’esperta di quesiti come questo, professoressa Rains. - 

- Quindi pensi che lei sia oggettivamente bella. - Riassunse Hazel, ignorando tutto il resto. 

Percy sospirò, arreso. - No, cara, ora che mi ci fai pensare devo dirti che la trovo bruttina, e sono convinto che sia anche antipatica e stupida come dici tu. - La assecondò.

- Ah, non ne hai idea! È davvero orribile, te lo garantisco. Sai cosa ha fatto? L’ha baciato davanti a me per tutta la sera, come per marcare il territorio! Non lo sa che io glielo lascio volentieri! È veramente patetica e imbarazzante, una sorta di adolescente troppo cresciuta; anche se in effetti dovevo aspettarmelo, da una che si chiama Camilla. - 

- In realtà è un nome diverso. - Puntualizzò Percy, beccandosi un’occhiata torva. - Ma ad ogni modo che cos’hai contro quelle che si chiamano Camilla? Ho sempre pensato che fosse un bel nome. - 

- Mi ricorda Camilla Parker Bowles, che è anche il terzo incomodo per antonomasia. - Spiegò Hazel, alzando gli occhi al cielo. 

Percy aggrottò la fronte. - In tutta sincerità io credo che qui sia tu la Camilla Parker Bowles della situazione. - Obiettò, incassando l’ennesimo sguardo assassino da parte di Hazel. - Pensaci: tu e Sirius vi conoscete da molti anni e avete bel un trascorso alle spalle, mentre lei è la nuova arrivata che tutti considerano più bella di te, ed è anche più giovane. Dovrebbe essere lei a darti del terzo incomodo. - 

- Quindi lei sarebbe la giovane e graziosa Lady D e io la vecchia e sgradevole Camilla. -

Il mago alzò le sopracciglia e sospirò. Proprio non capiva perché Hazel provasse tutta quella antipatia per Kamilah Burke. Certo, non aveva l’aria di essere una simpaticona, anzi se la ricordava a scuola come una Serpeverde piuttosto altezzosa, ma era passato talmente tanto di quel tempo. Tuttavia anche lui all’inizio aveva odiato quello che in seguito sarebbe diventato il nuovo marito di Audrey.

Ripensando a quel triste periodo della sua vita, Percy si sentì accartocciare le viscere. Già una volta era stato lasciato e poi sostituito, ma stavolta le cose sarebbero state diverse, si sarebbe preso cura della sua relazione, avrebbe battuto quell’idiota ad ogni costo. 

Lui era migliore di Sirius Black, se lo ripeteva di continuo, soprattutto da quando Black e Hazel si erano nuovamente riavvicinati. Se l’era ripetuto così intensamente negli ultimi giorni che quasi aveva iniziato a crederci.

In fin dei conti Sirius si comportava come un ragazzino la maggior parte delle volte, non era una persona matura e con la testa sulle spalle come lui; non aveva un lavoro, non aveva prospettive né ambizioni, a stento sapeva badare a sé stesso, figuriamoci prendersi cura di un'intera famiglia, figuriamoci prendersi cura di una persona fragile come Hazel. Percy si diceva che non aveva nulla da temere, non importava quanto l’altro fosse bello o intraprendente, perché lui, Percival Ignatius Weasley, era proprio ciò di cui Hazel aveva bisogno: un uomo serio, responsabile e rispettoso. 

- Questo è un paragone che non ha né capo né coda per innumerevoli motivi, come il fatto che Sirius non è l’erede al trono britannico. - Disse Percy. - Sei proprio sicura che la vuoi al nostro matrimonio? - 

- Più sicura che mai. - Assicurò Hazel. - Anche se probabilmente sarà oggettivamente molto più bella di me anche quel giorno, quindi guarderai lei anziché la tua sposa. - 

- Impossibile. - Sorrise il mago. - Non vedo l’ora che arrivi quel giorno.  

Hazel alzò i lati della bocca in un sorriso incerto, come se fosse stata colta alla sprovvista dalla frase di lui. - Sì… manca pochissimo. - Rispose, sdraiandosi finalmente al fianco dell’uomo. - Mancano sei mesi, un altro po’ di pazienza e ce l’avremo fatta. Però se penso a quante cose ci sono ancora da sistemare mi prende lo sconforto. - 

- Il ristorante è stato prenotato e il vestito l’hai già scelto, quindi direi che la parte più difficile è stata fatta. - Disse Percy, stringendosi dolcemente a lei. - Ginny dice che sei bellissima con quell’abito. - 

Hazel sorrise timidamente. - E lei non ha visto ciò che indosserò sotto. - Mormorò maliziosa. 

 

°°°°°°

 

Molto più a nord rispetto a Londra, tra le mura del castello di Hogwarts, Janus stava vivendo un periodo particolare, ancora diviso tra il desiderio di riavere la sua famiglia unita e il senso di colpa nei confronti di Percy. 

Nonostante ciò, il giovane Black era felice di come stavano andando le cose attorno a lui: i suoi genitori entrambi molto presenti nella sua vita anche se non stavano più insieme e in più c’era Percy che sopperiva a tutte le mancanze di Sirius: mentre uno faceva la parte del rigido e inflessibile padre tradizionalista che imponeva un coprifuoco e altre regole spesso assurde, l’altro si comportava più come una sottospecie di fratello pronto a propinare consigli su come farsi passare la sbornia o cose del genere. 

Durante le vacanze, quando Sirius aveva scoperto che suo figlio ce l’aveva fatta, che era riuscito nella missione impossibile di scalfire il cuore di pietra di Faye, si era mostrato molto ben disposto a lasciare loro gli spazi adatti per poter passare un po’ di tempo da soli. 

- Se volete c’è casa mia, io mi faccio un giro per qualche ora così voi potete fare le vostre cose in tranquillità. - Aveva detto loro una mattina, sogghignando. 

Janus, più rosso di un pomodoro bello maturo, si era affrettato a scuotere la testa, mentre Faye, che trovava Sirius davvero molto divertente, si era messa a ridere, per nulla toccata dall’imbarazzo. 

- È completamente pazzo! - Si lamentava il giovane con la fidanzata ogni volta che Sirius faceva un'imbarazzante uscita del genere. - È troppo presto! - 

Ma Faye non la pensava affatto così e, anzi, si sentiva anche un po’ sorpresa dal fatto che lui non volesse ancora andare oltre a qualche bacio timido con lei. Il sesso per lei era una cosa talmente naturale e quasi scontata che proprio non riusciva a capire come mai invece Janus risultasse tanto rigido sull’argomento. 

Ad ogni modo c’era anche un’altra questione su cui Sirius aveva dato il suo inestimabile e saggio parere, cioè su come poteva Janus lasciare Pilar senza apparire come uno stronzo senza cuore:

- Secondo me dovresti solo ignorarla, magari piangerà un po’, ma almeno non dovrai affrontare la faccenda rischiando di dire qualcosa di sbagliato. - Gli aveva detto, contento che suo figlio chiedesse aiuto proprio a lui. - Oppure ti fai coraggio e le dici tutte quelle frasi di circostanza come “non sei tu, sono io”. - 

Ma era ormai passato più di un mese dal ritorno a scuola, e Janus non era ancora riuscito a chiudere con la Tassorosso: ogni volta che tentava di farlo, Pilar a sua volta faceva qualcosa che lo faceva sentire un vermicolo davanti alla prospettiva di spezzarle il cuore lì, su due piedi. 

La prima volta, sul treno, gli era praticamente corsa incontro dicendogli quanto gli fosse mancato durante quelle settimane di vacanze, la seconda lo aveva interrotto per dirgli che gli aveva scritto una canzone, mentre la terza l’aveva guardato negli occhi e gli aveva rivelato che l’amava e, in quella circostanza, Janus era rimasto zitto per almeno una decina di secondi per poi rispondere con un sussurrato e imbarazzato “ah, va bene”. 

Così, qualche giorno prima di San Valentino, Faye gli diede un ultimatum: o lasciava Pilar senza farsi fermare dalla pietà o sarebbe stata lei a chiudere con lui. 

Dunque quella sera a cena Janus l’aveva fatto, era andato dritto al punto, e Pilar era scoppiata in lacrime davanti a tutta la Sala Grande. 

- Sei stato orrendo. - Ripeté Annie per l’ennesima volta, mentre varcavano la soglia della Sala Comune. - Orrendo, senza cuore, un vero bastardo. - 

Janus alzò gli occhi al cielo. - Pensavo che fossi felice per me e Faye. - Ribatté scocciato. 

- Ma lo sono! - Esclamò Annie. - Ma ciò non toglie che mi dispiaccia per Pilar. - 

- Per me ha fatto bene. - Commentò Klaus con nonchalance, mentre si sedeva sul solito divano rosso davanti al camino. - Stava diventando difficile sopportare tutti quegli slinguazzamenti. Che schifo. - 

- Vedrai che adesso inizierà a farlo con Faye. - Fece Annie disgustata, sistemandosi tra i due amici. - Anzi no, dato che lui a stento riesce a farle dei bacini casti e innocenti. - 

Janus si sentì arrossire. - E te lo ha detto lei? - Domandò. - Insomma, se ne lamenta? - 

La ragazza scrollò. - Non se ne lamenta, ma le fa strano che tu non voglia fare sesso con lei, dato che praticamente chiunque a scuola vuole scoparsela, compresa me, quando sono un po’ ubriaca. - Disse. - Comunque perché non vuoi farlo? Hai dei… problemi? - 

- In che senso? - Si allarmò Janus. 

Annie agitò una mano in aria con leggerezza. - Qualche disturbo della sfera sessuale, qualche strana e inconfessabile parafilia, ansia da prestazione… magari pensi di averlo piccolo e questo ti blocca, che ne so. - Elencò con noncuranza. - In ogni caso ti posso aiutare io, ho letto un sacco di libri di sessuologia. - 

- No, grazie. - Si affrettò a rispondere lui. - Ma ci tengo a precisare che lì sotto è tutto perfettamente nella media. - 

- Posso confermare, ha un cazzo straordinariamente ordinario. - Annuì Klaus. 

Janus fece una faccia sconvolta e divertita insieme. - Ammettilo, hai scoperto grazie a me di essere gay, sono il centro delle tue fantasie da sempre. - 

Klaus avvampò, ma mantenne lo stesso un certo inusuale contegno. - Ti piacerebbe, eh. - 

- Sarebbe una gran bella botta alla mia autostima, quindi sì. - Convenne Janus e poi si alzò in piedi. - Rimarrei volentieri ancora un po’ qui con voi a parlare di certe cose per nulla imbarazzanti, ma ho un appuntamento con Sirius a Hogsmeade. - Annunciò. 

- Sì, sì, scappa via! - Esclamò Annie. 

Janus prima la guardò storta e dopo rise, poi salì su per le scale senza aggiungere altro, pronto a volare via dalla finestra del dormitorio fino al villaggio. 

Fuori faceva ancora molto freddo, ma la neve si stava sciogliendo, lasciando intravedere i primi fili d’erba che facevano capolino nella distesa color opalino. In cielo, invece, non c’erano parecchie nuvole illuminate dal chiarore argenteo della luna che brillava per metà in un angolo del manto oscuro. 

Quando Janus arrivò ai Tre Manici di Scopa notò che come al solito Sirius era già lì, seduto al solito tavolo, che parlava con Talitha e Rosmerta come se stesse tenendo banco. Il giovane osservò suo padre per una manciata di secondi prima di avvicinarsi pensando a quanto sarebbe più semplice la propria vita se solo fosse un po’ più spigliato, proprio come Sirius, invece di sentirsi inadatto e troppo timido anche solo per sfiorare la propria fidanzata. Si sentiva proprio un povero idiota ed era ormai certo di una cosa: probabilmente Faye l’avrebbe lasciato se non si sarebbe sciolto un po’. 

Quando le due locandiere lo videro arrivare si mossero, allontanandosi verso il bancone, e Janus si lasciò cadere dall’altra parte del tavolo, davanti all’uomo. 

- Ciao. - Esordì allegramente Sirius. 

- Mi spieghi come fai? - Domandò il ragazzo, a bruciapelo. 

Sirius aggrottò la fronte. - A fare cosa? - Chiese a sua volta, perplesso. 

Janus lanciò un’occhiata eloquente verso il bancone, nella direzione delle due locandiere. - Sei sempre così sicuro di te. - Chiarì dopo un sospiro. - Credo che Talitha sia cotta persa, per non parlare di Rosmerta. - 

Sirius rise di cuore. - Sì, io e madama Rosmerta abbiamo dei trascorsi risalenti a quando avevo più o meno la tua età. - Svelò divertito. - Ah… tempi d’oro, quelli. Se avessi sedici anni come te di sicuro non perderei il mio tempo con una ragazza fissa come stai facendo tu, senza offesa, eh. In realtà Faye mi piace, sembra una tipa sveglia. - 

- Già… fin troppo sotto certi aspetti. - Borbottò Janus, più a sé stesso che al padre. 

Sirius lo fissò con interesse. - Cosa intendi dire? - Domandò interessato. 

Il giovane esitò. - Lei è così… be’... lei è… - Balbettò con indecisione. - Senti, lascia stare, davvero, è imbarazzante. - 

- È molto difficile mettermi in imbarazzo, ragazzo. - 

- È imbarazzante per me, infatti. - Spiegò Janus. - Parliamo di te. Mamma dice che hai una fidanzata, una tale Kamilah. Dice che gliel’hai fatta conoscere settimane fa e che è una vera stronza. - 

Sirius sussultò, ma poi si sporse un po’ verso suo figlio, lasciando trapelare un bel po’ di interesse per la piega che stava prendendo quella conversazione. - Che altro ti ha detto? - 

- Solo questo. - Rispose Janus alla svelta. - Pensavo che fossi ancora innamorato di lei, ma come non detto. - Aggiunse, parlando in tono deluso. 

Sirius fece una risatina impacciata, poi prese a dondolarsi sulla sedia guardando altrove senza ribattere nulla; sembrava nervoso. 

- Allora? - Lo incitò Janus, impaziente e improvvisamente distante com’era solo all’inizio. - Sei riuscito ad andare avanti o questa Kamilah è solo un ripiego per tentare di distogliere la tua attenzione dal fatto che mamma sposerà Percy tra sei mesi? - 

La sedia di Sirius tornò con tutte e quattro le gambe di legno ben piantate a terra e poi l’uomo alzò lo sguardo verso il proprio figlio con un’espressione amareggiata dipinta in volto. - Io e tua madre siamo solo buoni amici ormai. - Disse. 

- Be’, non mi sembra che tu ti stia sforzando tanto per riconquistarla. - Insinuò Janus. 

Sirius alzò le sopracciglia e socchiuse la bocca sorpreso. - Che stai cercando di dirmi? - 

- Che hai gettato la spugna troppo presto e non mi sembra una cosa molto da te, anche se dopotutto non ti conosco bene. - Spiegò il giovane, vagamente accusatorio. 

- E cos’altro dovrei fare? Lei non mi vuole, tu pensi che io debba starle lontano… - 

- Non lo pensò più. - Lo interruppe Janus, ammettendolo a fatica. - Non so se lei ti voglia o meno, ma vi ho osservati a Natale e secondo me non dovresti darlo per scontato… e mi odio per il fatto che io te lo stia venendo a dire. - 

- Ti odi? Perché? - 

- Per Percy, ovviamente. - Sbuffò Janus. - Lui mi ha cresciuto negli ultimi sei anni, è stato sempre presente, sempre attento alle mie necessità, anche quando non lo volevo vicino. Ne ha sopportate tante e adesso io lo sto pugnalando alle spalle, sono pessimo. - 

- Lui ti avrà anche cresciuto come dici tu, ma sono io tuo padre. - Gli ricordò gelidamente Sirius. - Quindi è normale che tu stia dalla mia parte. - 

Janus strinse le labbra con disapprovazione e poi scosse la testa. - Percy ha ragione, sei proprio infantile. - Disse tagliente.

Sirius strinse gli occhi, fulminandolo con lo sguardo. - Come ti permetti? - 

- Che c’è, vuoi mettermi in punizione adesso? Fidati, non sei nella posizione adatta. - 

Sirius sospirò stancamente e unì le mani davanti a sé, senza dire niente. Eccolo lì, il risentimento e la rabbia di Janus contro cui non riusciva a lottare nemmeno adesso che usciva fuori solo di tanto in tanto. 

- Io voglio solo aiutarti. Ma devi capire che mi costa fatica. - Continuò il ragazzo. 

- E come potresti aiutarmi, sentiamo un po’? - Domandò allora Sirius. 

Janus assunse un’espressione meditabonda. - Ancora non ci ho pensato. - Borbottò dopo, incrociando le braccia sul petto.

Sirius lo fissò tristemente. - Tra me e lei è finita, Jan. Forse è meglio se te ne fai una ragione anche tu. - Disse.

E Janus ebbe l’impressione che suo padre, in realtà, stesse cercando di convincere sé stesso. 



 

*per chi non lo sapesse il MOBA (Museum of Bad Art) è un museo privato che si propone di "celebrare la fatica di artisti il cui lavoro non potrà venir apprezzato in nessun'altra tribuna". 

 

eccomi qui dopo una settimana infernale in cui non ho avuto il tempo nemmeno per dormire. Probabilmente il capitolo non sarà granché, ma viste le condizioni in cui l’ho scritto in fondo devo dire che quasi mi soddisfa, anche perché ne ho scritte mille versioni diverse, tutte essenzialmente orrende. 

Fatemi sapere cosa ne pensate! 

J.

Ritorna all'indice


Capitolo 43
*** Capitolo 42. Slipping through my fingers ***


Capitolo 42

 

Le settimane cominciarono a rincorrersi veloci e nel giro di poco le temperature salirono e il sole iniziò a farsi vedere molto più spesso anche nel cielo solitamente grigio di Londra. La primavera esplose già all’inizio marzo: i prati dei parchi della città tornarono al loro solito verde brillante sporcato da tantissimi fiori colorati e le persone iniziarono ad uscire più spesso di casa per godersi le belle giornate. 

La prima settimana di aprile, per combattere la noia o forse per cercare di distogliere i propri pensieri dal fatto che mancasse sempre meno al matrimonio di Hazel, Sirius decise che era giunta l’ora di trovarsi un lavoro. Il problema era sempre lo stesso: nessuno nel mondo magico era disposto ad assumerlo. Attirava troppo l'attenzione e, inoltre era troppo vecchio e troppo poco qualificato per qualsiasi impiego e lo stesso valeva anche per i babbani, che si ritrovavano davanti un uomo che non aveva frequentato neppure la scuola dell’obbligo. 

Sirius si sentiva insoddisfatto e inutile proprio come ai tempi del secondo Ordine della Fenice, quando tutto quello che poteva fare era stare a casa e tentare di passare il tempo come poteva. 

Tutti attorno a lui erano andati avanti dopo la guerra, si erano ricostruiti una vita nonostante le perdite che avevano subito: Harry aveva una meravigliosa famiglia, Tonks una splendida carriera come auror e Hazel si stava per sposare un uomo che ultimamente gli sembrava davvero migliore di lui che invece si ritrovava a vivere tutte le sue giornate attendendo l’ora in cui avrebbe rivista.

- Potresti farti assumere in qualche ufficio del Ministero, ad esempio nel mio. - Gli diceva sempre Kamilah, facendogli salire una gran tristezza. - Un bel lavoro d’ufficio, lontano dal pubblico, così da poter passare il tempo. - 

Sirius, che piuttosto che lavorare d’ufficio si sarebbe fatto rinchiudere di nuovo ad Azkaban, in quei momenti annuiva e stava zitto, sorpreso del fatto che, nonostante lui e Kamilah si frequentassero ormai da mesi, lei ancora non lo conoscesse affatto. 

Questo lo deprimeva parecchio: Hazel si stava avvicinando sempre di più all’altare e lui nel frattempo continuava a frequentare una donna con cui non sentiva ormai più nessuna connessione che non fosse prettamente fisica. 

Cominciò così a vedere Kamilah sempre meno spesso e solo quando aveva voglia di andare a letto con qualcuno, cosa che però alla donna non sfuggì affatto. Kamilah sapeva che Sirius e Hazel passavano molto tempo insieme, che si vedevano quasi ogni giorno e che si scambiavano quegli stupidi messaggini tramite quegli affari tecnologici babbani, ma per quanto la cosa la infastidisse era troppo orgogliosa per ammetterlo. 

Più ci pensava più non riusciva a capire cosa avesse quella donna di tanto speciale. Hazel aveva un aspetto banale, con quei capelli castani e gli occhi dello stesso colore e, per quanto ogni tanto dicesse cose un po’ strane che solo Sirius sembrava riuscire a capire, anche la sua personalità sembrava non avere nulla di eccezionale. Insomma, a suo parere Hazel era vuota oltre che bruttina, e Kamilah non era infatti per niente sorpresa del fatto che stesse per sposare Percy Weasley, conosciuto in tutto il Ministero per essere un uomo pedante e noioso. 

Mentre l’interesse di Sirius per Kamilah Burke calava di giorno in giorno, il mago si rese conto che l’unica possibilità di avere un impiego capace di distrarlo era lavorare a Grimmauld Place insieme ad Andromeda. 

- Non ci posso credere di essere di nuovo qui. - Disse Sirius dopo un sospiro, quando si ritrovò davanti alla porta nera di casa sua. - No, non credo di farcela. - 

- Per Salazar, Sirius… borbotti come un calderone! - Esclamò Andromeda, esasperata, prima di colpire con la bacchetta la serratura di quell’uscio. 

Sirius avvertì il conosciuto rumore di catenacci e lucchetti e poi la porta si spalancò su un corridoio che della vecchia Grimmauld Place aveva ben poco. La carta da parati era stata staccata e adesso le pareti erano state rivestite da pannelli di legno, i lampadari anneriti erano di nuovo splendenti come un tempo e gran parte dei quadri erano spariti. Solo uno era rimasto, cioè quello di sua madre, che gli diede subito il bentornato con una serie di insulti: 

- Vergogna della mia carne, sei tornato a insudiciare la casa dei tuoi padri insieme a quella sgualdrina traditrice del proprio sangue di tua cugina! - Tuonò appena lo vide entrare. - Sottoprodotti di luridume… feccia… mostri… - 

- Lascia stare. - Mormorò Andromeda quando lo vide esitare, prima di prenderlo per un braccio, trascinandolo lungo il corridoio, alla fine del quale girarono a sinistra. 

Lì, dove una volta c’era il tetro soggiorno che ospitava l’arazzo con l’albero genealogico della famiglia Black, si aprì davanti a lui una sorta di reception. C’erano un paio di poltrone, un bancone di legno con sopra del grossi faldoni simili a registri, piume e inchiostro, solo il vecchio pianoforte era stato tenuto, sistemato proprio accanto al camino. Dell’arazzo, invece, non c’era più nessuna traccia. 

- È tutto così… -

- Diverso, lo so. - Lo anticipò Andromeda, con una certa fierezza. - Dopo la guerra Harry voleva vendere la casa, ma poi ha pensato che sarebbe stato un vero peccato non sfruttare questo spazio in qualche modo, un modo che poteva renderti felice. E così è nato questo rifugio per maghi e streghe in difficoltà. - 

- E come funziona? - Domandò Sirius. 

- Chi alloggia qui può lasciare un’offerta, ma è il Ministero che finanzia la maggior parte delle spese. - Rispose Andromeda. - Il tuo compito sarà quello di registrare gli ospiti, accoglierli, essere disponibile in caso avessero delle necessità… un po’ come Tom del Paiolo Magico. Di solito in inverno non abbiamo molta affluenza, ma durante le vacanze estive questo posto si riempie di ragazzini che non hanno una casa senza Hogwarts. - 

Sirius annuì e poi tornò a guardarsi intorno, provando un insieme di strane sensazioni. In quella casa aveva sofferto tanto, eppure era anche il luogo in cui suo figlio aveva mosso i primi passi, il luogo in cui aveva mostrato a Hazel la parte peggiore di sé e dove si erano amati nonostante tutto. Ma era anche il luogo in cui lui le aveva spezzato il cuore, perdendola per sempre. E in quell’istante, Sirius si rese conto di non aver ancora mai avuto un suo ufficale perdono. 

Con il passare del tempo Sirius scoprì che lavorare a Grimmauld Place non era poi un incubo come si aspettava e che, anzi, addirittura gli piaceva. In quella casa passavano soggetti davvero strani, una clientela talmente variegata da riuscire a ravvivare un po’ le sue giornate.

Quella non era di certo la vita che aveva immaginato di vivere da ragazzino, ma era pur sempre qualcosa di meglio di ciò che sembrava essere il suo destino durante quei dodici anni ad Azkaban. Nemmeno una cosa era andata secondo i piani: non era diventato un auror, non aveva visto crescere Harry, non sarebbe mai invecchiato assieme a James e aveva avuto un figlio, nonostante le sue intenzioni fossero quelle di tagliare di netto quel ramo di quel tanto odiato albero genealogico. 

Durante quelle prime settimane di lavoro lui e Andromeda si ritrovavano nella vecchia cucina di Grimmauld Place - l’unica stanza della casa rimasta esattamente uguale all’originale - per parlare dei vecchi tempi e di quella loro complicata famiglia.

- L’arazzo se l’è preso Narcissa, ma fosse stato per me l’avrei gettato via insieme a tutto il resto. - Raccontava Andromeda. - Dopo la guerra abbiamo cercato di riavvicinarci, io e Cissy, ma nonostante siano passati molti anni c’è ancora troppo dolore; inoltre lei conserva ancora tutte le sue convinzioni sulla purezza di sangue. Quando ha saputo di Janus è rimasta disgustata: un mezzosangue come erede dei Black, una vergogna. -

- Se Narcissa lo conoscesse probabilmente si renderebbe conto di quanto purtroppo lui sia all’altezza del cognome che porta. - Rispondeva Sirius. 

Janus voleva sempre soddisfare le aspettative degli altri, soprattutto quelle di sua madre e di Percy, che erano sicuri che fosse destinato ad avere un gran successo nella vita, e questo lo rendeva tremendamente simile a Regulus, cosa che a Sirius non piaceva affatto.

A qualche mese dalla fine della scuola il giovane cominciò a percepire la cocente ansia che lo assaliva ogni volta che l'anno scolastico era agli sgoccioli. Doveva studiare per gli esami di fine anno a Hogwarts e anche per quelli della scuola babbana, doveva seguire le lezioni, adempiere a tutti i suoi doveri da prefetto e ritagliarsi in fine del tempo libero da passare con i propri amici. Janus iniziò dunque a passare molto più tempo del solito in biblioteca a fare conti con grossi libri di incantesimi e trasfigurazione e allo stesso tempo cercando di capire come si risolvessero le equazioni di secondo grado e altre inutilità che però Hazel teneva tanto che suo figlio imparasse. 

Alle vacanze di Pasqua mancava meno di una settimana, doveva solo tenere duro un altro po’ e poi si sarebbe potuto finalmente rilassare per qualche giorno. Chissà, magari con la scuola meno affollata del solito sarebbe stato meno imbarazzante passare del tempo da solo con Faye in qualche angolo un po’ più appartato del castello. 

Quella prospettiva, da un lato particolarmente particolarmente piacevole, in quel momento gli provocò un forte senso di disagio: per quanto lo desiderasse non era capace di lasciarsi andare, si vergognava e fino ad ora era sempre riuscito a evitare quei momenti di intimità, ma con l’arrivo delle vacanze potevano non esserci più scuse.

Non era mai tornato a casa per Pasqua, erano solo pochi giorni e non ne valeva la pena, ma adesso che ci pensava bene forse quell’anno avrebbe fatto un’eccezione.

O magari potresti comportarti in modo normale, una volta tanto, pensò angosciato, mentre fissava la pergamena su cui stava scrivendo un saggio per erbologia. 

Non fece in tempo a finire di formulare quel pensiero che una ragazzina dai capelli rossi con indosso una divisa da Corvonero gli si sedette proprio davanti, tenendo tra le mani una pergamena un po’ stropicciata. 

- Mio padre e tua madre dicono che quest’anno dobbiamo tornare a casa per Pasqua. - Esordì Molly, abbandonando sul tavolo la lettera che Percy e Hazel avevano spedito a lei e sua sorella. - Dobbiamo scegliere i vestiti per il matrimonio. -

Quelle parole fecero sgranare gli occhi del giovane. - Davvero? - Chiese incredulo.

Molly alzò un sopracciglio. - Sì. Noto che la cosa ti rende allegro. - Commentò perplessa. 

- Non sai quanto, Polly, non sai quanto. - Annuì lui. 

- Hazel dice che puoi far venire anche Faye. - Lo informò la ragazzina. 

- Al matrimonio? - 

- Sì, anche. Ma io intendevo dire a Pasqua. - 

Janus sospirò e poi tornò a guardare la pergamena su cui stava scrivendo il saggio di erbologia. - È meglio di no. - Mormorò. 

Molly lo scrutò attentamente. - Vi siete lasciati? - Domandò a bruciapelo. 

- No. -  

- Allora perché pensi che sia meglio di no? Vi state per lasciare? - Lo torchiò Molly, sempre più curiosa. - Tutta la scuola pensa che tra voi non durerà ancora per molto. - 

Janus alzò nuovamente lo sguardo. - Tutta la scuola? Ad esempio chi? -

Lei si strinse nelle spalle. - Be’... praticamente chiunque. - Rispose. - Dicono che lei sia un po’ troppo per te, ma io credo il contrario visto quanto è incasinata. - 

- Non è così incasinata. - 

- Perché non vuoi che stia con noi a Pasqua? - Tornò a insistere Molly. 

Janus esitò. Per quanto lei fosse matura per la sua età aveva pur sempre dodici anni e gli faceva strano parlare con lei di questioni di cuore o, come in quel caso, di cose molto più spinose. - È complicato da spiegare. - Si limitò a dire.

Molly sbuffò, poi unì le mani davanti a sé in una posa da piccola adulta e attese che lui continuasse a parlare. 

- Il punto è che Faye è davvero molto esperta in fatto di relazioni. - Proseguì poco dopo Janus, proprio come previsto. - Ha avuto tantissimi ragazzi e ovviamente tutti di gran lunga migliori di me, tutti belli e popolari. E poi ci sono io. Insomma che ci fa con uno come me? Guardami, io… faccio schifo. - 

Molly rimase ancora in silenzio per una manciata di secondi, fissandolo con una strana espressione in volto, un misto tra tristezza e sorpresa insieme. - Tu non fai schifo. - Gli disse. - Il tuo problema è che credi ancora di essere il ragazzino strano di sei anni fa. - 

- Ma sono ancora strano. - 

- Sì, ma la tua stranezza mi piace e, fidati di me, piace anche a Faye. - Assicurò Molly, decisa. - Altrimenti non starebbe con te. Lei può avere chi vuole e ha scelto te, non uno bello e popolare, te, proprio te. E poi anche tu sei bello. -

Janus corrugò le sopracciglia. - Probabilmente sei l’unica a pensarlo. -  

Molly scosse la testa. - Oh no, in realtà lo pensa anche Rita Skeeter. L’estate scorsa ho letto un sacco di articoli su quanto sei avvenente. - Sogghignò. 

- Avvenente e misterioso, mia cara, avvenente e misterioso. - La corresse Janus sorridendo. - Che periodo imbarazzante quello. - 

- E poi c’è anche mia nonna che lo pensa. - Continuò la giovane. - Secondo me nutre il desiderio segreto che tu ti metta con una di noi Weasley in futuro. - 

- Per ora siete tutte troppo piccole, ma noi due abbiamo pur sempre il nostro accordo. - Buttò lì Janus alzando le spalle con un sorrisetto beffardo in volto. - Entrerei a far parte della famiglia in modo ufficiale. - 

- Sei già parte della famiglia. - Sottolineò Molly. - Sei mio fratello molto più si quanto lo sia Lucy, quella stronza. - 

- Molly, linguaggio. - La rimproverò, alzando gli occhi al cielo. - Comunque che ha fatto quella piccola stronza di Lucy? - 

 

Janus riuscì così a scampare alle grinfie di Faye per l’ennesima volta, dando tutta la colpa a Hazel e Percy che reclamavano la sua presenza a casa per alcune questioni riguardanti l’organizzazione del matrimonio. 

Durante la settimana di Pasqua, Janus riuscì ad assaporare nuovamente una ormai quasi dimenticata calma, scandita dai compiti per le vacanze e da una vita familiare inaspettatamente tranquilla. Probabilmente sua madre e Percy non erano mai andati più d’accordo di così prima d’ora e mentre li osservava a pranzo e a cena si sentiva se possibile ancor più in colpa di desiderare di vedere di nuovo i suoi genitori uniti. Insomma, quei due stavano alla grande e lui, da bravo egoista, aveva tentato di dare dei consigli a Sirius per dividerli. 

Inoltre era Hazel quella che sembrava che se la stesse passando meglio. Aveva l’aspetto di una che aveva ricevuto una bella notizia o una ventata d’aria fresca nella propria vita, un cambiamento. Perfino Percy, che non era l’essere più attento ed empatico del mondo, si era reso conto che c’era qualcosa di nuovo, anche se non sapeva esattamente cosa. 

Il suo cambiamento era così sospetto che una mattina, qualche giorno dopo la fine delle vacanze di pasqua, Percy diede un’occhiata al computer di lei, scoprendo che aveva ripreso seriamente a dipingere e che, a quanto pareva, un paio di suoi quadri erano esposti in una galleria gestita da un collettivo di artisti. 

- Non mi ha detto niente, nemmeno una parola a riguardo. - Disse Percy a bassa voce per non farsi sentire dagli altri, seduto tra Charlie e Ginny sul divano sformato della Tana, in attesa che la cena fosse pronta. - Stiamo per sposarci, per Godric! Ma lei sembra vivere una vita parallela in cui dipinge e chissà cos’altro! - 

- Quanto sei esagerato. - Rispose Ginny, alzando gli occhi al cielo. - Lo sai benissimo perché ti tiene all’oscuro di certe cose. - 

- Invece non lo so, ma illuminami, Ginny, prego. - La spronò pomposamente il fratello. 

Di nuovo Ginny alzò gli occhi verso il soffitto. Le capitava davvero tante volte quando aveva a che fare con Percy. - Percy il perfetto che non sa qualcosa, che assurdità. - Lo prese in giro, beccandosi un’occhiataccia. - Tu non la sostieni mai quando si tratta di certe cose. - Concluse alla fine.

- Non è del tutto vero. - Obiettò Percy. - Semplicemente non voglio che ci rimanga male quando capirà per l’ennesima volta che quel treno per lei è passato. Dovrebbe concentrarsi su ambizioni più realistiche, come l’insegnamento e la scrittura, sta già costruendo una brillante carriera come critica, non può volere tutto. Insomma cosa succederà se mai dovessimo avere dei figli? Non può giocare a fare l’artista per sempre. Prima o poi nella vita si cresce ma lei non sembra avere intenzione di farlo. - 

Ginny e Charlie rimasero in silenzio a osservare il fratello per un po’. 

- Questa è una delle cose più tristi che tu abbia mai detto. - Sentenziò poi Ginny. 

- Merlino, Perce, sei senza cuore. - Aggiunse Charlie. 

- Inoltre Hazel non vuole altri figli, questo te lo posso assicurare. - 

- Con Sirius ne voleva. - La smentì Percy. 

Ginny si trattenne da alzare gli occhi al cielo per la terza volta. - Janus era piccolo, è normale che ci abbia pensato qualche volta di fargli un fratellino o una sorellina. Inoltre a quei tempi era più giovane e… - 

- E più innamorata. - La anticipò tristemente Percy. - Lei non mi ama come amava lui, questo è ovvio. A lui non nascondeva mai nulla mi sembra. - 

- Ancora con questa storia? - Fece Charlie, quasi esasperato. - Abbiamo fatto questa conversazione decine di volte negli ultimi sei anni. - 

- Lo so, ma Sirius non c’era a quei tempi, quindi non era poi una così grande minaccia, dato che era morto. - Disse Percy. - Ma adesso lui è vivo e tutti voi lo adorate come una divinità. - 

Stavolta fu Charlie ad alzare gli occhi al cielo. - Tu sei pazzo. - 

- Non darmi del pazzo! - Sbottò Percy. - Nostro padre passa un sacco di tempo nel capanno insieme a lui a trafficare con quelle diavolerie babbane, nostra madre lo tratta come se fosse fatto di vetro e Ginny… tu pensi che sia “un gran figo”. - Continuò, enfatizzando le ultime tre parole con una vocetta irritante e disegnando due virgolette immaginarie in aria. 

Ginny trattenne una risata. - Be’, forse perché lo è? Adesso che ai miei occhi non è più un vecchio burbero non ho problemi ad ammettere che sia un gran bel pezzo di figliolo. - 

Charlie fece una faccia schifata e Percy mugugnò scontento. 

- Comunque, ne hai parlato con lei, del fatto della galleria? - Tornò a parlare Ginny. 

- Ovviamente no, sarebbe come ammettere di aver guardato nel suo computer. - Rispose Percy, con un tono ovvio. - Una chiara violazione della sua privacy di cui non vado fiero, ma pensavo che mi stesse tradendo, è troppo felice ultimamente. Invece lei dipinge, tutto qui. Ma non me lo dice. - 

- Di che state parlando? - Ron si unì alla discussione, sedendosi prepotentemente in mezzo a Charlie e Percy con un vassoio pieno di tartine tra le mani. 

- Di niente. - Rispose Percy. 

- Percy ha guardato nel computer di Hazel perché pensava che lei lo stesse tradendo, ma ha scoperto solo che è tornata a dipingere. - Riassunse Ginny. 

Ron annuì meditabondo, rivolgendo il suo sguardo nella direzione di Hazel, che parlava con Hermione accanto ai fornelli, tenendo il telefono in mano. - E il cellulare glielo hai controllato? - Domandò, tornando a guardare il fratello. 

- Certo che no! - Si indignò lui. - È sbagliato! Sono già andato oltre guardando tra le sue email, non cadrò ancor più in basso, nossignore! - 

Ron prese una delle tartine dal vassoio che adesso teneva sulle ginocchia e se la portò alla bocca. - Be’, lo ha sempre in mano e scrive messaggi in continuazione. Se ti tradisce la risposta è lì, no? - 

- Ron, e dai! - Sbottò Ginny. - Adesso non mettergli il doxi nell’orecchio! - 

Ron alzò le mani in segno di difesa. - Miseriaccia, era solo per dire! - Esclamò. 

- Non avrebbe senso fare una cosa del genere. - Interloquì Charlie, con serietà. - Se ci fosse qualcosa da nascondere allora lo farebbe. Lei è una babbana, non puoi competere nel campo della tecnologia contro di lei, Perce. Puoi solo fidarti. - 

Percy sospirò e poi si voltò per poter guardare Hazel. Subito nella sua testa rimbombò una domanda: quante altre cose gli stava nascondendo la sua futura moglie?

Quel quesito lo tenne sveglio per gran parte della notte. 

Percy aveva preso sonno solo da qualche ora quando la luce del sole cominciò a farsi strada tra le tende, ridestandolo. Al suo fianco, tutta raggomitolata e con il volto rivolto nella sua direzione, Hazel dormiva ancora profondamente. Percy la fissò nella penombra della stanza per qualche minuto senza fare un fiato e senza muoversi di un millimetro, poi si fece rotolare finendo con il volto rivolto verso il soffitto, sospirò e si passò una mano sul volto assonnato. 

Forse per la mancanza di sonno, o forse per tutto quel rimuginare delle ultime ore, ma l’impressione che ci fosse qualcosa che non andava quella mattina sembrava una vera e propria certezza. Si mise a sedere e i suoi occhi finirono come attratti sul comodino di Hazel, su cui era appoggiato il telefono della donna. Sarebbe bastato poco, poteva allungare semplicemente la mano, afferrare quell'aggeggio e porre fine a quei suoi dilanianti dubbi. Ma non poteva, anzi, non voleva. 

E poi qualcosa accadde: il telefono vibrò e lo schermo si illuminò per un secondo prima di tornare scuro. Fu in quel momento che la curiosità di Percy esplose. 

Dopo un breve attimo di indecisione il mago cedette, ritrovandosi il telefono di Hazel in mano quasi come se non fosse stato lui a prenderlo. Inserì la password alla svelta e puntò subito tutte le sue attenzioni sull’app che Hazel utilizzava per inviare e ricevere messaggi. Sembrava tutto nella norma: Tonks le aveva raccontato dell’ultimo appuntamento che aveva avuto con un babbano che di mestiere faceva il chirurgo, Ginny le aveva mandato una buffa foto di Lily che pasticciava con dei colori a tempera, qualche sua collega le inviava articoli e locandine di mostre e uno di quegli artisti da strapazzo della galleria faceva palesemente lo scemo con lei ricevendo in cambio qualche risposta gelata di tanto in tanto. 

Percy fece scorrere il dito fino a un nome in particolare, quello di Sirius, con cui a quanto pareva aveva parlato proprio il giorno prima. 

No, ti prego… pensò con il cuore che gli batteva fortissimo nel petto, pronto ad aprire quella conversazione. 

- Che stai facendo? - Tuonò la voce di Hazel, svegli ma assonnata, che lo fissava confusa dalla sua parte di letto. 

Percy sobbalzò. Era stato colto sul fatto. - Ti è arrivato un messaggio. - Disse teso. 

Hazel si mise seduta e lo scrutò attentamente. - Oh. E cosa dice? - Domandò, lasciandosi sfuggire un tono un po’ passivo-aggressivo. - Non è che mi stavi controllando? - Aggiunse ridacchiando nervosamente.

Percy esitò, valutando per bene quale fosse la risposta migliore da dare. - No, certo che no. - Disse, abbandonando il telefono sul materasso e sforzandosi così tanto di apparire naturale che la sua voce uscì piatta e vuota. - Tanto tu non mi nasconderesti mai nulla. - 

Hazel annuì con incertezza. Percy solitamente era piuttosto bravo a mentire, eppure in quel momento sembrava palese che ci fosse qualcosa sotto. 

- Tu e Sirius vi vedete ultimamente? - Il mago si lasciò sfuggire quella domanda prima ancora di pensare se fosse la mossa giusta chiedere una cosa del genere a Hazel. 

Lei, a sua volta, sembrò irrigidirsi come colpita da un petrificus totalus ma tentare di fare il possibile per non darlo a vedere. - Di tanto in tanto. - Ammise. - Perché? - 

- Nessun motivo in particolare. - Disse Percy con leggerezza. - Dimmi, oggi fai qualcosa di interessante? Ti aspetta una bella giornata? - 

- Le solite cose. - Rispose Hazel evasiva, mentre si alzava in piedi per prepararsi alla giornata che la attendeva. - Starò tutta la mattina a Oxford, nel pomeriggio invece voglio visitare la mostra di un mio ex studente. Tu invece, cosa farai? - 

- Ho un paio di relazioni da firmare e qualche regolamentazione da rivedere, nulla di così importante dopotutto. - Raccontò Percy, lasciandola perplessa: di solito Percy gonfiava qualsiasi cosa facesse come se dalla riuscita del suo operato ne valesse il futuro della razza umana. - Vai a una mostra in una galleria gestita da un collettivo di artisti? - 

Hazel, che in quel momento era di spalle, con il volto rivolto verso l’armadio spalancato, si sentì di nuovo raggelare. - In verità è una mostra in un centro sociale. - 

- Ci vai con qualcuno? - Chiese Percy, molto interessato.

- No. Non vorrai mica venire con me. -

- Be’, perché no? - 

- Perché so che non è il tuo genere. - Chiarì lei, chiudendo l’armadio dopo aver scelto un vestito dalle fantasie geometriche. 

- A me piace l’arte, lo sai. - Ribatté Percy. 

- Sì, quando si tratta di rinascimento o neoclassicismo. - Obiettò Hazel. - In questo caso si tratta della mostra di un ventenne che usa l’arte per urlare al mondo il suo dissenzo per il fatto che la sua generazione non avrà un futuro per colpa dell’odierna classe dirigente che sta prosciugando il mondo, non è come andare a vedere Caravaggio agli Uffizi. E poi è in un centro sociale, Perce, l’ultima volta che siamo stati a un simile evento insieme tu hai calpestato un’installazione. - 

- Sembrava un tappeto! - Esclamò Percy, e le sue orecchie diventarono un po’ più rosse. 

Hazel sorrise e poi si sedette sul letto. - Hai ragione, sembrava un po’ un tappeto. Ma oggi ci saranno cose molto più strane, non voglio che ti annoi. - 

Percy rimase in silenzio e la fissò con uno sguardo davvero difficile da leggere. Sembrava triste, appesantito da qualcosa di doloroso. - In realtà ora che ci penso direi che non posso nemmeno oggi. - Disse annuendo. - Nel pomeriggio ho una riunione con il capo dell’Ufficio per la Cooperazione Magica per parlare di passaporte internazionali, a quanto pare è in corso un significativo traffico di merce illegale che noi del trasporto dobbiamo tenere sotto controllo. - 

- Un vero spasso. - Commentò Hazel 

- È molto importante per la sicurezza del mondo magico e anche di quello babbano tenere a sotto controllo certi movimenti. - Sottolineò il mago. 

Lei annuì, poi afferrò il telefono ancora abbandonato sul letto e si alzò nuovamente. - Vado a fare una doccia, sono già in ritardo. - Annunciò, prima di lasciare quella stanza, avvolta in una strana sensazione di disagio. 

Quella mattinata passò in un soffio grazie agli impegni che riuscirono a tenere la mente di Hazel lontana dal pensare a Percy. All’ora di pranzo però, ormai da sola nel suo ufficio, Hazel non riuscì a fare a meno di rimuginare sulla strana conversazione che aveva avuto con il suo futuro marito solo poche ore prima. Aveva l’impressione che Percy sapesse molto più di quanto non avesse ammesso e, per quanto si sentisse arrabbiata con lui per probabilmente violato la sua privacy, era molto più forte il senso di colpa per avergli nascosto parecchie cose in quegli ultimi mesi. Forse Percy le stava dando la possibilità di redimersi così da tornare sulla giusta via e lei non voleva sprecare quell’occasione, non voleva rovinare tutto. 

Hazel sospirò, salvò il documento su cui stava lavorando da computer e chiuse la schermata, ritrovandosi faccia a faccia con la foto dello sfondo. Ritraeva cinque persone: lei, Percy, Janus, Molly e Lucy, e risaliva alla loro prima vacanza insieme come famiglia, almeno quattro o cinque anni prima. 

Era passato tanto di quel tempo, avevano fatto tanta di quella strada insieme, e Hazel sentiva che tutto quell’amore le sarebbe sfuggito di mano se avesse continuato a fare errori. Percy le aveva dato stabilità e sicurezza, due cose che lei non aveva mai avuto prima di incontrarlo. Doveva proteggere ciò che aveva da sé stessa. E da Sirius. 

Hazel fece appena in tempo a finire di formulare quel pensiero quando all’improvviso la porta dell’ufficio si spalancò. Proprio come se l'avesse appena evocato, Sirius Black varcò quella soglia. 

- Che ci fai qui? - Gli chiese, perplessa. 

Sirius apparve sorpreso da quella domanda. - È venerdì, di solito pranziamo insieme. - Rispose, mostrandole il sacchetto che teneva in mano, prima di voltarsi per chiudere la porta. - Stai bene? Sembri strana. - Aggiunse, sedendosi sulla sedia dall’altra parte della scrivania con molta naturalezza. 

- Sì, sto bene. - Tagliò corto lei. 

- Ottimo. - Disse allegramente Sirius, tirando fuori il pranzo dal sacchetto. - Oggi il bar dell'università offriva la solita triste scelta di panini ammuffiti, mi dispiace. - 

- Non ti preoccupare, in realtà non ho molta fame. - Rispose Hazel. 

Sirius la scrutò con sospetto per qualche secondo. - Hazel, te lo chiederò di nuovo: stai bene? - 

Lei posò gli occhi sullo schermo ancora acceso del suo computer per guardare la fotografia e subito il viso di Percy ricambiò il suo sguardo. - Credo che Percy mi spii. - Disse, andando dritta al punto.

- In che senso? -

- Nel senso che stamattina l’ho beccato a curiosare nel mio telefono, inoltre sono quasi del tutto certa che sappia che ho ripreso seriamente a dipingere. - Raccontò cupamente Hazel. - Forse ha letto anche i nostri messaggi. - 

- Quale sarebbe stato il problema? - Domandò Sirius senza capire.

Solo a quel punto Hazel staccò lo sguardo dallo schermo, rivolgendolo verso il mago. - Ci vediamo quasi tutti i giorni e lui non ne sa niente. - Gli ricordò amareggiata. 

- E quindi? Non facciamo niente di male quando siamo insieme. - Controbatté Sirius. 

Quella conversazione stava prendendo una strana piena.

- Io sarei molto infastidita se lui facesse lo stesso con Audrey. - Spiegò lei. - Spesso mi sento come se lo stessi tradendo e mi sento uno schifo. - 

Sirius rimase in silenzio. Era faticoso essere amico di Hazel, averla accanto per tutto il tempo senza poterla nemmeno sfiorare, guardare mentre amava un altro uomo e si preoccupava per uno che non era lui, ma sarebbe stato molto peggio non averla affatto accanto. Aveva bisogno di lei, dei loro momenti in cui tutto sembrava come una volta e la vita tornava ad avere un vero senso. 

- Forse dovresti solo lasciarlo. - Asserì bruscamente il mago.

Hazel aggrottò la fronte. - Ma cosa dici? - Sbottò sulla difensiva. 

- Perché ti ostini a stare con lui, Hazel? - Insistette Sirius. 

- Secondo te? Perché lo amo! - Esclamò la donna, incredula di doverlo sottolineare. - Lui è la mia famiglia, i Weasley sono la mia famiglia: Janus è legato a Molly e Lucy come se fossero le sue sorelle, Molly e Arthur sono come dei nonni per lui e come dei genitori per me! Non posso lasciarlo. - 

- Quindi sei innamorata della sua famiglia, non di lui. - Insinuò Sirius. 

Hazel si irrigidì. - Per te è sempre tutto o bianco o nero. - Affermò freddamente. - Ma è più complicato di così; l’amore è complicato in generale e io non devo di certo darti delle spiegazioni riguardo i motivi che mi spingono a stare con Percy. - 

- Invece dovresti farlo, dato che si nota lontano un miglio quanto tu sia infelice e annoiata con lui. - Ribatté Sirius. - Percy non ti rispetta. - 

Hazel guardò Sirius con incredulità e poi sulle sue labbra apparve un piccolo sorriso amaro, privo di ogni allegria e molto più simile a una smorfia. - Tu mi hai modificato la memoria e poi sarebbe lui quello che non mi rispetta? - Domandò tagliente. - Tu pensi che io sia infelice e annoiata, quando in realtà sono al sicuro, sono tranquilla. Con te era come vivere continuamente sull’orlo di un precipizio e non è in tutta sincerità ciò che voglio. Quel tipo di rapporto mi stava logorando. -

Sirius percepì la punta arroventata del senso di colpa conficcarsi nel suo stomaco in un modo che non accadeva da molto tempo. Aveva rovinato così tante esistenze, aveva fatto così tanti errori, e spesso Hazel glielo ricordava proprio come se fosse ancora molto arrabbiata con lui. 

- Mi perdonerai mai per ciò che ti ho fatto? - Le chiese.

- Ti ho già perdonato da un pezzo. - Assicurò Hazel, anche se il tono sembrava dire il contrario. - Ti ho perdonato, ma non ho dimenticato. - 

Sirius scosse la testa. - Non riuscirai mai più a fidarti di me come un tempo, lo so. - Disse. - Ma in fin dei conti è colpa mia, quindi non posso far altro che accettarlo. - 

- Adesso ti stai autocommiserando. - Commentò Hazel. 

- Ma è la verità. Rovino tutto ciò che tocco da sempre, la mia esistenza è un flagello. - 

Lei scosse la testa, fissandolo con un’espressione dura dipinta in volto. - Piantala. - Ordinò duramente. - Non credo che sarei la persona che sono oggi se non ti avessi incontrato. È stato doloroso, questo lo sappiamo entrambi, ma non cambierei nulla, anzi ti incontrerei di nuovo un altro milione di volte. Quindi piantala, perché un mondo senza di te ti assicuro che è un posto ben peggiore. - 

Lui abbozzò un sorriso anche se dentro sembrava essere tornato il gelo tagliente dei dissennatori. 

- Ci ho pensato e forse è il caso di allentare un po’ questa cosa tra noi. - Continuò a parlare Hazel, e subito l’espressione di lui mutò radicalmente, stravolta dalla preoccupazione. 

Sirius aveva la sensazione che Hazel gli stesse scivolando tra le dita, era ormai certo che un giorno le loro vite si sarebbero divise per sempre senza nemmeno dargli il tempo di rendersene conto. - Che vuol dire? - Domandò l’uomo. 

Hazel esitò. - Non lo so… credo che continuare a vederci con questa frequenza sia un po’ deleterio per entrambi. Percy potrebbe scoprirlo e io non voglio rovinare tutto, mentre tu… insomma a Kamilah non importa? - 

- Io e lei non abbiamo quel tipo di rapporto. - Rispose Sirius alla svelta. - Inoltre tu sei più importante di lei, se mi chiedesse di scegliere io non esiterei un momento a scegliere te. Peccato che per te non sia lo stesso. - 

- Questo è un discorso infantile. - Lo criticò Hazel. - Tu sei… - 

- Uno con cui sei stata tantissimo tempo fa per qualche anno e con cui per sbaglio hai fatto un figlio. - La interruppe gelidamente Sirius. - Mentre Weasley… be’ lui è il tuo futuro marito perfetto. - 

Hazel sbuffò. - Senti, non ho nessuna voglia di mettermi a litigare con te adesso. - 

- Nemmeno io. - 

- Allora piantala di usare quel tono e per una volta rispetta una mia decisione. - 

- Non so se voglio venire al tuo matrimonio. - Disse Sirius. 

Lei annuì. - Vorrei che tu ci fossi, ma ti capisco se preferirai non venire. - 

Crollò il silenzio su quell’ufficio per qualche secondo e per entrambi fu come veder sfumare sotto il loro occhi i progressi degli ultimi mesi. Eppure Hazel ne era certa, stava facendo la scelta giusta. 

- Ho comprato uno dei tuoi quadri. - Disse d’improvviso lui, quasi come se non riuscisse più a sopportare il silenzio. 

- Lo so, sospettavo che fossi tu. Non dovevi. - 

- Volevo solo farti sapere che ti sostengo. Sempre. - 

Hazel gli sorrise e basta, poi distolse lo sguardo, posandolo nuovamente sullo schermo del computer, mentre gli occhi di Sirius erano inchiodati sul suo volto, come se quella fosse l’ultima possibilità di poterla guardare. 




 

So che lo dico ogni volta ma questo è il capitolo peggiore che io abbia mai scritto. Non mi veniva proprio, non so cosa mi sia preso, ma ci sono stata dietro nelle ultime due settimane e niente… è uscito fuori abominevole e quindi ve lo beccate così, altrimenti rischio proprio di non finirla questa storia. Vi prometto che il prossimo migliorerà (spero), e che di sicuro arriverà molto più velocemente rispetto a questo dato che metà l’ho già scritta. Non vedo l’ora di togliermi ‘sti ultimi capitoli di passaggio, mi fanno proprio diventare matta.

Comunque il titolo del capitolo è quello della canzone degli Abba “slipping through my fingers”, che vuol dire proprio “scivolando tra le dita” e che secondo me è super azzeccata come mood (vabbé, informazione non richiesta).

Grazie se avete resistito a leggere fin qui, per me significa molto.

J. 

Ritorna all'indice


Capitolo 44
*** Capitolo 43. Something in the way ***


Capitolo 43

 

In seguito a quel pomeriggio passato nell’ufficio di lei, Sirius ebbe l’impressione che Hazel avesse cominciato a evitarlo come una variante tremendamente contagiosa e letale di vaiolo di drago. L’aveva chiamata molte volte nei giorni successivi e le aveva spedito un gran numero di messaggi e video di animali buffi che facevano cose divertenti, ma lei non aveva mai risposto, neppure una volta, nemmeno con una di quelle faccine a forma di papera che utilizzava ogni qual volta non aveva niente da dire o quando voleva chiudere una conversazione. Non c’era traccia di lei nemmeno tra la posta via gufo e, come se ciò non bastasse, Hazel aveva smesso di farsi trovare perfino a lavoro. 

Fu così che Sirius scese a patti con un fatto doloroso: Hazel non voleva più avere niente a che fare con lui, l’aveva completamente tagliato fuori. 

Lui aveva perso mentre Weasley aveva vinto su tutta la linea, quel dannato rosso l’aveva battuto e lui non poteva farci un bel niente. 

Era finita, adesso l’aveva finalmente capito, eppure quella sconfitta bruciava. 

Sirius detestava non sapere più nulla di lei, lo detestava perché nella sua testa lei era molto più felice quando era lontana. Si sentiva un vero egoista ma doveva ammettere che accettava a fatica che lei fosse riuscita davvero ad andare avanti alla fine. Insomma, lui era lì, era tornato, le aveva fatto capire che l’amava ancora, eppure lei rimaneva ferma dov’era, rimaneva con Percy e non voleva sentir ragioni. Chissà, magari quei due si amavano davvero in un certo senso, forse doveva solo lasciarli in pace come Andromeda e Tonks non facevano altro che ripetergli da tempo. Ma non ci riusciva, non riusciva ad accettare che la sua Hazel si fosse trasformata in una borghese impettita innamorata di uno più borghese e impettito di lei. 

Sparendo da un momento all’altro dalla sua vita, Hazel aveva lasciato degli enormi spazi vuoti nelle sue giornate. Erano due le cose che gli permettevano di non morire di solitudine: una era il lavoro a Grimmauld Place, che si stava rivelando davvero piacevole, e l’altra erano quegli incontri con Janus in cui Sirius si lasciava trascinare dall’illusione di poter fare almeno il genitore. Ma la verità era che Sirius aveva bisogno di suo figlio più di quanto Janus avesse bisogno di un padre. In fin dei conti Janus era un ragazzino indipendente, con la testa talmente ben piantata sulle spalle da risultare a tratti noioso. Insomma, non era come lui e nemmeno come Harry, che invece sembrava una sorta di calamita per i guai persino ora che era un uomo adulto.

Con l’avvicinarsi di giugno, Sirius fu vittima di un brusco peggioramento della sua salute mentale. L’anniversario della sua scomparsa si avvicinava con aria minacciosa e più il tempo passava, più lui si sentiva man mano trascinato verso quel buco nero che aveva caratterizzato le sue ultime settimane prima del velo. Si ritrovò in questo modo a passare molto più tempo del solito a rimuginare su tutti gli errori che aveva fatto nel corso della sua esistenza, fissando il liquido ambrato che riempiva il suo bicchiere e, di tanto in tanto, giusto per assecondare la sua pulsione di autodistruzione, dopo il lavoro rimaneva a dormire a Grimmauld Place e si lasciava seppellire del tutto dalla tristezza. 

Chissà quando era stata l’ultima volta in cui si era sentito davvero felice, era questo che si domandava mentre fissava il soffitto della sua vecchia camera di adolescente, e la risposta era probabilmente mai. Certo, da ragazzo era stato contento, i suoi anni a Hogwarts erano stati i migliori in assoluto, ma la felicità… be’, come si può essere davvero felici se non si è amati incondizionatamente nemmeno da chi ci ha messo al mondo? 

Durante quelle notti insonni, Sirius rimuginava e si torturava fino alle prime luci dell’alba, e alla fine, quando il sonno lo coglieva ma il sole stava già sorgendo, si chiedeva se i dissennatori avessero procurato alla sua mente un danno irreversibile e se sarebbe mai riuscito a tornare davvero quello di un tempo. Certo, era tornato a essere l’uomo attraente di una volta, il suo corpo era guarito, ma dentro di lui… dentro di lui spesso c’era ancora il gelo di mille dissennatori, soprattutto in quei momenti in cui non c’era nessuno a dargli una ragione per sentirsi meglio. Era in quei momenti che il bisogno di sentire la voce di Hazel si faceva talmente forte da spingerlo a fare l’errore di chiamarla. Lei, però, non rispondeva mai e questo non faceva altro che buttarlo ancora più giù.

Quando Sirius aprì gli occhi, quella mattina dal sapore estivo, si rese conto di due cose: la prima era l’enorme macigno che sembrava premere contro le sue tempie causandogli un forte mal di testa, la seconda era il fatto che questo mal di testa fosse causato da qualcuno che stava bussando furiosamente alla sua porta. 

- Sirius? Stupido canide, spero che tu sia vestito perché sto per entrare! - Esclamò la voce alterata di Andromeda Tonks. 

Sirius si portò una mano agli occhi, sbuffò sonoramente e si mise a sedere, ritrovandosi come ormai di consueto nella sua vecchia stanza tappezzata di poster e, un secondo più tardi, la porta di legno si aprì scricchiolando. Sulla soglia, con indosso uno dei suoi soliti abiti da strega, i capelli castani acconciati in modo ordinato e l’aspetto di una persona che era sveglia già da diverse ore, Andromeda lo guardò con la solita aria giudicante prima di entrare. 

- Per tutti i gargoyle, ti sei dato alla pazza gioia anche stanotte, vedo. - Commentò spazientita, guardandosi attorno. - C’è chi accanto a letto ci tiene una tazza di tisana rilassante alla melissa e chi, come te, preferisce una bella bottiglia di whisky incendiario del 1979. Mi ricordi sempre di più zio Orion, Sirius. - 

Sirius mugugnò scontento. - È sempre stupendo parlare con te, Dromeda. - 

- Non essere permaloso. - Ribatté la strega, facendogli un sorriso. - In fin dei conti lo zio Orion era un uomo affascinante, con quell’aria un po’ Bohemien, tale e quale alla tua; tutto il contrario di zia Walburga, che invece era una vera vipera. -

- Se mi paragoni ancora una volta a lui giuro che è la volta buona che mi faccio fuori. - 

Andromeda alzò gli occhi al soffitto e incrociò le braccia al petto. - Oggi sembri depresso. Nel senso più del solito. - Osservò annoiata. - Che ti prende? - 

Lui si strinse nelle spalle. - Non ne ho idea. Forse è solo un periodo no. - 

- Sarà che oggi è il tuo complemorte. - 

- Spero che tu mi abbia fatto una torta. - Borbottò Sirius, il tono lugubre. - Quindici anni senza la mia presenza… il mondo ne avrebbe certamente sofferto. - 

- Altroché. -  

Sirius rise amaramente. - Certo, come no. Per Hazel sicuramente non è così. - Disse. 

- Se tu l’avessi vista mentre non c’eri non diresti questo. Quando l’ho conosciuta, sei anni fa, mi ha riempita di domande su di te da bambino. Le mancavi molto. Ti assicuro che quel tipo di sofferenza non si dimentica mai del tutto. - 

Sirius ebbe l’impressione che in un certo senso Andromeda stesse parlando di Ted, ma non se la sentì di indagare. Immaginò però Hazel e si figurò per l’ennesima volta nella mente tutto ciò che quella ragazzina aveva dovuto sopportare a causa sua. Non solo le aveva stravolto l’esistenza, ma le aveva anche spezzato irrimediabilmente il cuore. 

- Anche io sento la sua mancanza, adesso che non c’è. - Ammise Sirius, quasi come una continuazione dei suoi pensieri. - Non riesco a sopportare che mi abbia tagliato completamente fuori senza spiegazioni dopo tutto quello che abbiamo passato insieme. - 

Andromeda sospirò e poi si sedette con grazia sul materasso, al fianco del cugino. - Non so se te lo ricordi, ma anche per me era stato organizzato un matrimonio, proprio come per Bellatrix e Narcissa. - Iniziò a dire, unendo le mani in grembo. 

- Sì che me lo ricordo. Ricordo che sei scappata un mese prima di arrivare all’altare. - 

Andromeda annuì. - Devi sapere che all’inizio non era quella la mia intenzione. Non sono una Grifondoro, avevo paura, e per quanto amassi già Ted, erano anni che eravamo invischiati nella nostra relazione segreta, mi sembrava più sicuro per entrambi piegare la testa e sottostare al volere della famiglia. - Proseguì solennemente. - L’ho tagliato fuori, proprio come sta facendo Hazel con te. Ho smesso di rispondere alle sue lettere, ho smesso di farmi vedere in giro; non volevo metterlo in pericolo e non volevo soffrire ancora per quello che per tutte le persone che mi stavano attorno era un amore abominevole. - 

- Non è la stessa cosa. E poi tu sei scappata. - 

- Sì, sono scappata. O meglio, Ted mi ha dato il coraggio necessario per farlo. - Concluse Andromeda.

Seguì un attimo di silenzio in cui Sirius fissò sua cugina con un’espressione piuttosto confusa dipinta in volto. - Qual è il tuo suggerimento? - Le domandò poi. - No mi starai mica consigliando di… - 

- Nessun suggerimento, sono pur sempre la madre della damigella d’onore, non posso aiutarti a rovinare il matrimonio, Sirius. - Lo interruppe lei. - Ma sei un po’ arrendevole, non credi? Non è una cosa molto da Sirius Black, questa. - 

- Non sono arrendevole, sono solo stanco. - Confessò Sirius. - Non ne posso più di dover lottare sempre per tutto. Forse deve semplicemente finire così, dopotutto non mi merito niente, visto ciò che ho fatto e visti i danni che ho creato. - 

Andromeda si lasciò sfuggire uno sguardo afflitto e appoggiò una mano su quella del cugino. - Sirius, suvvia. - Gli disse, il tono dolce ma deciso.

- No, Andromeda, non tentare di consolarmi. - Sbottò bruscamente lui. - Con le mie idee di merda ho condannato a morte Lily e James, ho devastato la vita della donna che amo e rovinato l’infanzia di mio figlio. Non posso perdonarmi per tutto questo. - 

- E invece è ora che tu lo faccia. - Ribatté fermamente Andromeda.

- Anche se fosse… non credo di essere capace di vivere serenamente ormai. - Rispose Sirius. - Ho perso troppi anni. - 

- Ma ne hai ancora tantissimi davanti. - Lo tranquillizzò Andromeda. - Passare quegli anni dietro quel velo ti ha congelato nel tempo, dunque in verità non hai perso niente. Quanti anni dovresti avere adesso? - 

- Non saprei… cinquantadue? Cinquantatré? Per Godric, sono vecchio! - 

Andromeda rise. - Tuttavia ne dimostri di sicuro meno di quaranta. - Disse. - Non hai perso niente, hai una vita davanti a te. - 

Sirius non rispose, ma si rese conto che in quel modo le cose sembravano un po’ meno deprimenti. 

Poi Andromeda si alzò in piedi. - Forza, datti una ripulita e inizia a lavorare. Altrimenti ti licenzio. - Disse.

- Non puoi licenziarmi da casa mia, Dromeda. - 

- Ma questa non è più casa tua, cugino caro. Questa è una locanda e c’è molto lavoro da fare. - Rimarcò Andromeda, tornando alla porta. - Inoltre giù c’è l’ennesima lettera per te da parte del professor Lumacorno. Forse è il caso di accettare almeno uno dei suoi inviti, non credi? Magari se ci vai puoi trovare una donna che sia… come dire, meno sciacquetta di Kamilah. Ho sentito dire che la professoressa di difesa contro le arti oscure non sia affatto male, anzi forse è proprio il tuo tipo; stralunata, come piacciono a te. - 

- Kamilah va benissimo, svolge perfettamente e magnificamente le sue mansioni, ma grazie dell’interessamento. - 

- Certo, le mansioni che potrebbe svolgere tranquillamente anche la tua mano destra. - 

Sirius fece una faccia teatralmente sconvolta e poi rise. - A parte che sono mancino ma… Andromeda, sei una vera serpe stamattina! Chissà cosa direbbe zia Druella se ti sentisse fare riferimento a certe disdicevoli pratiche! -

- Probabilmente le stesse cose che dice il quadro di Walburga ogni volta che ti vede passare. - Buttò lì lei. - Pensa a ciò che ti ho detto. - Aggiunse.

- Intendi dire quel tuo per nulla velato consiglio di sabotare il matrimonio di Hazel? Sai, arrivato a questo punto temo forse quel Weasley sia in realtà ciò che vuole. - Disse Sirius, lasciando trapelare un po’ di risentimento. 

Andromeda scrollò le spalle. - Se lo dici tu. - 

 

Con il tempo le giornate diventarono sempre più calde e soleggiate, tanto che a una settimana dalla fine dell’anno scolastico era già impossibile riuscire a non pensare alle vacanze estive che sarebbero cominciate di lì a poco. 

La sera dell’ultimo giorno era in programma una festa in onore del professor Lumacorno che, all’età di ben centotredici anni (seppur portati divinamente, ci mancherebbe altro), aveva deciso finalmente di andare in pensione. Si sarebbe svolta in Sala Grande e non solo era aperta a tutti, ma si vociferava che fossero attesi grandi ospiti, come il celebre Harry Potter, le ancora molto acclamate Sorelle Stravagarie e tanti altri nomi illustri.

- Non sarà come una delle cene del Lumaclub, ma meglio di niente. - Disse Janus il pomeriggio precedente alla festa, seduto su uno dei rigogliosi prati che circondavano il castello, il volto rivolto verso il Lago Nero preso letteralmente d’assalto.

Era una giornata meravigliosa, le lezioni erano finite da qualche ora e attorno a loro si respirava un’aria di fervente emozione per l’evento di quella sera. 

- Fosse per Lumacorno tu rimarresti in dormitorio, fidati. - Svelò Faye, spiacente. 

Il ragazzo sospirò. - Mi dite perché ce l’ha tanto con me? - 

- I primi anni era perché facevi schifo in pozioni. - Iniziò Annie.

- Ma dopo ha maturato l’idea che tu abbia una qualche fascinazione per le Arti Oscure. - Continuò Klaus. - Sai, per via di quella volta che hai detto davanti a tutta la classe che anche magia come quella dovrebbe essere studiata invece che censurata. - 

- Perché è vero. - Disse fermamente Janus. - Alla scuola babbana studiamo tantisisme atrocità, come il nazismo, il colonialismo e la schiavitù. Le studiamo per riconoscerle e prevenirle, ma ti assicuro che non mi è mai venuto in mente di emulare Hitler. Quando diventerò Ministro della Magia farò una bella riforma della scuola, anche se devo dire che ultimamente la carica del Primo Ministro babbano mi attira di più: in quel caso avrei molte più persone su cui governare e magari potrei anche migliorare le cose. - 

Annie cercò di trattenere senza successo una risatina vagamente canzonatoria, mentre Klaus lo fissò pensieroso. - Non devi andare all’università per fare il primo ministro dei babbani? - Gli domandò. 

- È consigliato, sì. Ma comunque ci devo andare in ogni caso, dato che mia madre mi costringerà. - Spiegò cupamente Janus. - Però credo che ne varrà la pena… avrei un bel po’ di potere decisionale. - 

- Dai, Percy… - Lo interruppe Faye, sogghignando divertita. 

Janus arrossì, ma tentò di rimanere indomito. - Tra qualche anno ti saluterò dal numero 10 di Downing Street, mia cara, oppure dal castello di Balmoral, dove sarò ospite della regina in persona. O dal re, se nel frattempo la vecchia avrà tirato le cuoia. - 

- Quindi io sarò la first lady, no? - Buttò lì lei. 

- Selwyn, questa è per caso una dichiarazione d’amore a lungo termine, per caso? - 

La ragazza alzò le spalle e dopo sorrise. - Chi lo sa, Black, chi lo sa. - 

Quando lui si avvicinò per poter lasciare un piccolo bacio sulle sue labbra, gli altri due si esibirono nei soliti versi disgustati. 

- Come siete esagerati! - Esclamò Janus, alzando gli occhi al cielo. - Ad ogni modo, immagino che voi due ci andate insieme alla festa stasera, vero? - 

Klaus lanciò uno sguardo ad Annie, che a sua volta sospirò. - Annie ci va con il prefetto di Tassorosso. - Disse il primo di pessimo umore. 

- Oh, bene, così puoi invitare qualcuno che ti interessa davvero, una volta tanto. - 

Klaus lo guardò con scetticismo. - Sono l’unico gay dell’intera scuola. - Ribatté. 

Janus mosse la mano in aria, quasi ad allontanare quella frase come un insetto. - C’è quello del quarto anno di Corvonero… Andrew Cuddy. Adora Lady Gaga, cura in modo maniacale i suoi capelli e si muove come se fosse una ballerina. - 

- Ti rendi conto che sono stereotipi? - 

- E poi c’è Philip Bell, Grifondoro del nostro anno. - Continuò Janus, come se l’amico non l’avesse mai interrotto. - Lui in effetti non sprizza omosessualità da tutti i pori, ma è l’unico in tutta la scuola che adora sentirti parlare di storia e si complimenta con te dopo ogni singola partita di quidditch, lo fa anche quando rimani in panchina. Secondo me potresti provarci. - 

Klaus alzò gli occhi al cielo e scosse la testa. - Senti, anche se fosse sai benissimo che non posso farlo. Se mio padre lo venisse a sapere mi diserederebbe. - Gli ricordò. 

- Ma non lo scoprirà mai, avanti! - Lo spronò Janus. - E poi in tal caso puoi sempre trasferirti a Grimmauld Place. - 

- Che si fotta tuo padre, hai diritto anche tu ad avere una vita amorosa. - Rimarcò Annie. 

- Dai, prima o poi dovrai sbloccare la situazione. Sai una cosa? Ti farò da spalla! - Esclamò lui. - Sì, sarò il tuo Barney e tu il mio Ted! - 

- Tu casomai puoi essere Marshall, Jan. - Lo prese in giro Annie. - Ma comunque hai ragione. - 

Klaus non sembrò intenzionato a rispondere e nel frattempo il volto di Faye si adombrò come se un pensiero molto spiacevole le avesse invaso la mente; nessuno però parve rendersene conto. - Per voi due è sempre tutto semplice. - Disse la ragazza a Janus e Annie. - Se mio padre e mio zio venissero a sapere di me e te, Jan, probabilmente tenterebbero di farti fuori, viste le tue origini babbane. - 

Janus scrollò le spalle con disinteresse. - Ho sempre sognato di battermi in un duello all’ultimo sangue per avere la mano di una dolce donzella. - 

Faye gli scoccò un’occhiata molto torva e poi si alzò in piedi. - Spera che non lo vengano mai a sapere, idiota. - Disse sprezzante. - Adesso è meglio che vada, devo prepararmi. - 

- Ma sono le cinque del pomeriggio. - Disse Klaus con sconcerto. - Mancano tre. - 

- Appunto. - Tagliò corto Faye. - Ci vediamo dopo. Jan, ti prego, vestiti decentemente. - 

I tre Grifondoro la guardarono allontanarsi in direzione del castello e, dopo un paio di secondi di silenzio, Klaus si rivolse all’amico: - E se invitassi una delle due ragazzine Weasley? - Domandò, come a chiedergli il permesso. 

- Fa’ pure, tanto ormai lo so che sei innocuo. - Acconsentì Janus. - Ma sappi che la mia proposta di farti da spalla è sempre valida. - 

Quando il sole iniziò a calare dietro alle montagne che circondavano la scuola, i tre Grifondoro tornarono alla Torre, dove si respirava una febbricitante eccitazione. 

- Chissà se ci sarà anche tuo padre stasera tra gli ospiti di Lumacorno. - Disse Klaus, mentre si sistemava per bene la camicia davanti allo specchio. 

- Spero di no. - Rispose Janus, che intanto se ne stava mollemente accomodato sul suo letto alle spalle dell’amico. - Sarebbe imbarazzante e strano, ci guarderebbero tutti. - 

Klaus annuì e poi si voltò verso di lui. - Come sto? - Domandò, sfoggiando i suoi abiti da mago come al solito piuttosto estrosi. 

- Meraviglioso. - Approvò Janus. 

- Grazie. Lo so. - Fece l’altro. - Dovresti vestirti anche tu, dato che manca poco. - 

Janus indugiò, abbassando lo sguardo sui suoi vestiti: un paio di jeans, una camicia a maniche corte di un orribile color cachi, un paio di Converse nere ai piedi. 

- Sono già vestito. - 

Klaus scosse la testa. - È l’americano sciatto che è in te che parla. - Disse melodrammatico. - Sembri un babbano appena uscito dal reparto basic di h&m e questo non va bene: tra poco la tua ragazza si presenterà davanti a te con indosso uno di quei suoi vestitini succinti e tu ti sentirai un vermicolo. - 

- Faye non indossa vestiti succinti. - 

- Amico, non posso fare a meno di guardarle le tette ogni volta che la incontro, e a me nemmeno piacciono, le tette. - Esplicitò teatralmente Klaus. 

Janus assunse un’espressione scandalizzata. - Io di solito guardo altro in una persona. - 

- Ad esempio? - 

Lui scrollò le spalle e poi si lasciò cadere sul materasso, iniziando a fissare le tende rosse del letto a baldacchino. - Non lo so… la faccia, credo. Di lei mi piacciono i suoi occhi: sono come due piccoli quadri dipinti da un impressionista che aveva a disposizione solo il color ambra. Mi piace anche il profumo dei suoi capelli e il modo in cui parla, la sua voce, ecco. - Raccontò, sorridendo imbarazzato. - Ma comunque se proprio dovessi scegliere direi che preferisco di gran lunga il culo alle tette. - 

Fu il turno di Klaus di essere sconcertato. - Hai appena rovinato una delle cose più romantiche che io ti abbia mai sentito dire, complimenti. - Rise. 

Anche Janus sogghignò, per poi tornare serio un secondo dopo. - Tu credi che lo facciano anche gli altri ragazzi? Guardarla, intendo. - Domandò lugubre all’amico.

- Certo che sì, ma non per colpa dei suoi vestiti poco casti. - Rispose Klaus. - Sono certo che attirerebbe le attenzioni degli altri anche con indosso le vesti della McGranitt. Se volevi una ragazza invisibile agli occhi degli altri tanto valeva restare con Pilar. - 

- Ammettilo, anche tu pensi che lei sia un troppo per me. - Sospirò Janus.

Klaus si stese al suo fianco, nella medesima posizione. - Sì, in un certo senso sì. Siete totalmente agli opposti sulla piramide sociale del castello: tu sei il tipo strano e un po’ secchione, mentre lei è la reginetta della scuola, il fatto che state insieme da sei mesi è un po’ come una rivincita per noi sfigati. - Spiegò senza filtri. - Tuttavia sei anche il migliore tra quelli con cui è stata. Ti ricordi il suo primo fidanzato, quello di Serpeverde, molto più grande di lei? A quanto pare è stato arrestato per un traffico illegale di sangue di unicorno. Poi c’è quello con cui stava tre anni fa… come si chiamava? - 

- Jeff Crowley, gioca nella nazionale gallese di quidditch. - 

- Non più, è stato espulso, usava la felix felicis a ogni partita. - Ribatté Klaus. - Dopo di lui Faye ha avuto una tresca con quello che ha mostrato a tutta la scuola le foto in cui era nuda, poi c’è stato il babbano chitarrista drogato di qualche estate fa, poi Ikaris Farley, che per quanto sia un gran bel pezzo di ragazzo è comunque un mezzo nostalgico di tu-sai-chi, e infine tu. Direi che è un bel miglioramento. - 

Janus si limitò a emettere un basso mugolio di assenso non troppo convincente e poi con un sospiro si alzò a sedere senza dire niente. 

- Jan, ma perché ti piace tanto lei? Cos’ha di speciale? - Domandò allora Klaus.

- Potrei darti tantissime ragioni, come il fatto che è bella, intelligente e piena di talento, ma è qualcosa di più profondo di questo. - Mormorò lui stringendosi nelle spalle. - È una cosa che sento dentro di me, non te lo saprei spiegare. -

Klaus serrò forte gli occhi, come se gli fosse appena venuto un gran mal di testa. - Quindi sei innamorato. - Affermò.

Janus annuì. - Sì, credo proprio di sì. - Svelò, lasciando trapelare l’imbarazzo. - Anche se delle volte mi fa sentire un po’ a disagio stare con lei, soprattutto ultimamente. - Si lasciò sfuggire, pentendosene all’istante.

- E perché? - 

Janus prese un lungo e profondo respiro. - Faye vuole portare la nostra relazione a un altro livello, diciamo così, mentre io no. Cioè in verità sì, ma il solo pensiero di farlo mi mette una certa ansia. - 

L’altro sembrò non capire. - Dovete sposarvi o roba del genere? - Domandò.

Janus aggrottò la fronte e si ricordò per quale motivo di certe cose preferiva parlarne con Annie anziché con Klaus. - No, nel senso che vuole fare sesso. - Disse bruscamente, sorpreso di doverlo sottolineare. - Certo che non sei per nulla capace a leggere tra le righe, eh. - 

Klaus si tirò su, facendo leva sui gomiti e guardò l’amico con un’espressione molto sorpresa. - Non l’avete ancora fatto? - Chiese curioso.

- Be’ no, lo saresti venuto a sapere in tal caso, non credi? - Fece a sua volta il giovane Black, diventando tutto rosso. - Non so come comportarmi, non so come funziona. O meglio, lo so, ma solo in teoria. Io voglio che le piaccia, ma le ragazze sono complicate, non sono come noi. - 

- Immagino di sì. - Si limitò a rispondere Klaus, e poi si alzò in piedi nel tentativo di combattere una improvvisa sensazione di disagio. - Comunque lei saprà di sicuro come funziona, quindi lasciati guidare e andrà bene. - Concluse in fretta. Non sarebbe stato di certo lui a dare consigli a Janus su come portarsi a letto una ragazza, dato che anche solo l’idea lo infastidiva oltremodo. 

- Ma è questo il problema; lei mi mette in soggezione. - Continuò il giovane.

- Sì, ho capito, ma non so cosa dirti. - Tagliò corto Klaus. - Comunque vuoi davvero venire alla festa vestito in questo modo improponibile? - Domandò, nel disperato tentativo di cambiare discorso. 

Janus alzò gli occhi al cielo. - Hai qualche altra proposta? - 

Quaranta minuti più tardi, e dopo almeno una decina di cambi, Janus riuscì finalmente a lasciare il dormitorio alla volta della Sala Grande con indosso un completo da mago piuttosto elegante, ma decisamente adatto al contesto dato il tono della festa. 

Il vecchio professor Lumacorno aveva fatto le cose in grande: tutta la Sala era stata addobbata come mai prima d’ora: i quattro lunghi tavoli erano spariti, sostituiti da tanti altri piccoli tavoli rotondi sistemati tra la pista da ballo e un lungo tavolo pieno zeppo di cibo. In fondo, dove solitamente c’era il tavolo dei professori, era stato piazzato un bel palco su cui stavano già suonando e il cielo incantato sopra le loro teste era un manto scuro ma cosparso di stelle, proprio come quello che si poteva ammirare fuori dalle alte finestre. 

Visti in quel contesto festoso perfino i professori erano irriconoscibili. Il professor Paciock, ad esempio, stava ballando con la moglie proprio al centro della pista, la preside parlava annoiata con la professoressa Cooman, che per l’occasione si era riempita di gioielli più del solito, mentre Gazza borbottava qualcosa parlando con Hagrid, che invece stava esibendo uno gilet peloso che sembrava un tutt’uno con la barba. E poi c’erano gli studenti, che avevano abbandonato le divise a favore di abiti colorati, tra cui Lumacorno che si aggirava tra loro come una sorta di strano predatore, con indosso un completo azzurro con tanto di cappello a punta. 

Ancora fermo sulla soglia della grande porta di legno di quercia della Sala Grande, Janus posò lo sguardo su ognuno di loro, alla ricerca di facce conosciute. Vide Lucy che chiacchierava con aria di sufficienza con un ragazzino del suo anno, Teddy che teneva banco con le sue trasformazioni in mezzo al suo gruppo di amici e infine Molly, che aveva accettato l’invito di Klaus con un certo preoccupante entusiasmo, e che non appena l’aveva visto l’aveva trascinato verso la pista da ballo. Janus fece appena in tempo a chiedersi dove fosse Faye quando lei comparve sulla cima delle scale che portavano ai sotterranei. Indossava un vestito rosa quarzo dalle spalline strette e dal taglio semplice, che però le scivolava addosso quasi come una seconda pelle, lasciando ben poco spazio all’immaginazione, aveva acconciato i capelli in modo che non fossero né sciolti né totalmente raccolti e il suo volto era illuminato da un po’ di trucco. 

- Merlino… che faccia da pesce lesso che hai. - Disse una voce al suo fianco. 

Janus voltò la testa di scatto. - Oh no. - Gemette. - Perché sei qui? - 

- Gran bella accoglienza stai dando all’uomo che ha contribuito per metterti al mondo. Hazel ha ragione, sei davvero un ingrato. - Sogghignò Sirius. 

Janus incrociò le braccia sul petto, palesemente infastidito. - Perché sei qui? - Ripeté. 

- Era da tempo che volevo fare una capatina a Hogwarts da uomo libero, quindi ho colto al volo l'invito di Lumacorno. E poi c’è il buffet, ho passato troppi anni affamato per perdermelo. - Spiegò Sirius, anche se la verità era che Andromeda lo aveva praticamente costretto a uscire di casa. - Spero non ti dispiaccia. - 

- In realtà sì che mi dispiace dato che ci stanno già fissando tutti. - Sbuffò Janus. 

E in effetti era vero, tutti tra la Sala d’Ingresso e la Sala Grande avevano iniziato a lanciare occhiate incuriosite nella loro direzione. 

- Non ti preoccupare, ragazzo, quando arriverà Harry fisseranno lui. - Lo rassicurò Sirius, guardandosi attorno con fare rilassato. Per l’ennesima volta Janus invidiò la sfacciataggine di suo padre. - Perché non mi presenti i tuoi amici, nel frattempo? Ad esempio… chi è quella che ti sta guardando come se volesse ucciderti dolorosamente? - 

Il ragazzo seguì con lo sguardo la direzione indicata da suo padre, incontrando gli occhi scuri di una ragazzina paffuta vestita di giallo. - Pilar. Mi guarda in quel modo da sei mesi ormai, ci ho fatto l’abitudine. - Rispose accigliato. 

- Perché le hai spezzato il cuore, poverina. - Spiegò Sirius, come se non fosse già abbastanza ovvio. - È così carina, sembra un cucciolo… oh, guarda un po’ chi c’è lì. Ehilà, Faye! Siamo qui! - Aggiunse muovendo la mano in aria verso la giovane. 

Janus alzò gli occhi al cielo e nel frattempo Faye li raggiunse sorridendo. - Ciao! - Esclamò salutando entrambi. - Signor Black! Per Salazar, sta davvero benissimo vestito da mago. - 

- Davvero? Io ho sempre creduto il contrario. - Fece allegramente l’uomo. 

- Sì, sì, va bene. - Lo interruppe Janus, spazientito. - Noi adesso andiamo, dato che ci stanno davvero fissando tutti tutti arrivati a questo punto. - 

Sirius sembrò deluso, ma poi annuì. - Va bene, ragazzi. Allora divertitevi... - Disse. - Fa’ come se non ci fossi, Jan. Nel senso che io non sono come tua madre, puoi anche bere del whisky incendiario e fare l’adolescente, se vuoi, eh… però senza esagerare!  - 

Janus lo liquidò muovendo la testa per dire sì, poi prese Faye per mano, varcò la soglia della Sala Grande a passo spedito e con una sola missione: cercare di evitare suo padre per tutta la sera. Chissà se Harry lo avrebbe aiutato in questo o se anche lui trovava Sirius imbarazzante. 

Ovviamente non fu facile, se non impossibile, tenere Sirius a debita distanza.

C’era una cosa che Janus aveva imparato di suo padre durante quell’anno: Sirius era una persona rumorosa, era uno che faticava a rispettare i confini altrui e che dunque tendeva a superarli con una nonchalance tale che nessuno se ne rendeva conto, all’inizio.

Insomma, in poche parole era un tipo estroverso, e della peggior specie, per giunta. E poi sapeva divertirsi. Adorava parlare con la gente e già solo a metà serata riuscì a fare amicizia con tutti gli amici del figlio, che però ancora una volta immaginò come sarebbe stato tutto più semplice nella sua vita se solo fosse stato un po’ più come lui e un po’ meno come Percy. 

- Dovresti chiederle di ballare. - Gli disse Sirius ad un certo punto, guardando Faye che parlava con Annie a qualche metro da lì. 

- Non ci penso proprio. -

- Io e tua madre lo facevamo spesso ai tempi della Scozia. - Rivelò Sirius, senza un reale motivo, parlando con un piccolo sorrisetto nostalgico dipinto sulle labbra. - Ballavamo sulle note di quella canzone… quella che parla del tipo che vive sotto un ponte e mangia i pesci perché non hanno sentimenti. -  

Janus alzò un sopracciglio con fare perplesso. - Something In The Way dei Nirvana? - 

- Quella, sì. - 

- Deprimente. - Commentò il ragazzo. 

- Non ho mai capito di cosa parlasse, quindi non ti saprei dire. - 

- È chiaramente una canzone che parla di solitudine, ma secondo me c’è anche una bella dose di nichilismo. - Spiegò Janus, alzando le spalle. - Ci sono diverse interpretazioni. - 

Sirius si ritrovò a guardare suo figlio come tante volte aveva guardato Hazel, diviso tra il voler sapere chi fosse questo “nichilismo” e il desiderio di non sembrare il solito mago ignorante. Fu in quel momento che una punta di nostalgia lo trapassò fastidiosamente. Nonostante vedesse Hazel quasi tutti i giorni, Sirius sentiva comunque la mancanza dei loro giorni felici, quando poteva stringerla tra le sue braccia mentre quelle canzoni babbane suonavano alla radio. 

- Nichilismo è un’altra band grunge? - Domandò, cercando di distrarsi da quei pensieri. 

Janus guardò Sirius con un’espressione piena di interrogativi, e poi cercò di trattenersi dallo scoppiare a ridere. - Per una volta hai fatto una battuta che ho trovato divertente, complimenti. - Disse.  

- Il tuo senso dell’umorismo è stato chiaramente corrotto da Percy Weasley, per questo non capisci le mie battute. - 

- Percy ha un grande senso dell’umorismo, solo che si prende un po’ troppo sul serio. - 

Sirius all’inizio rimase zitto. Odiava quando suo figlio prendeva le difese di quello lì. - Secondo te perché Hazel si è innamorata di lui? - Gli domandò poi. - Lui… la corteggia? - 

- Corteggiarla? In un certo senso. - Rispose Janus. - Percy non è uno da grandi gesti, è più un tipo pratico: le assicura stabilità, le risolve ogni problema e la fa sentire molto al sicuro. Credo che sia quello di cui lei abbia bisogno, in fondo, anche se ogni tanto si lamenta che lui non gli regala mai dei fuori o cose del genere. - 

- Praticamente è suo padre. - Asserì bruscamente Sirius. 

Janus gli rivolse uno sguardo diffidente. - Tu di sicuro non mi dai stabilità, non mi risolvi problemi, anzi, casomai me li crei, e spesso più che al sicuro mi hai messo in pericolo, come tutte le volte in cui sono uscito dalla scuola per incontrarti. - 

L’uomo fece un gesto sbrigativo con la mano. - Hai capito cosa intendo. - Tagliò corto con fare irritato. - Tua madre e quell’idiota di Weasley sono così diversi: non capisco cos’abbiano in comune. Come si sono messi insieme? - 

- Mamma gli ha consigliato dei libri di filosofia ed entrambi hanno capito di detestare Schopenhauer. - Buttò lì Janus. - Come da lì si siano messi insieme… purtroppo non l’ho mai capito neppure io. - 

- Schopenhauer sembra il nome di una pietanza tedesca. - 

- ‘Stasera stai dando davvero il meglio di te, Sirius. - 

- Scusa se non so tutto come il marito di tua madre. - 

- Non sono ancora sposati. - Gli ricordò Janus, e poi, dopo un attimo di esitazione, si alzò in piedi. - Mancano diverse settimane, sei ancora in tempo. - Aggiunse prima di allontanarsi per raggiungere Faye dall’altra parte della Sala Grande.  

Sirius, rimasto di stucco, rimase immobile e pensieroso per qualche secondo. Aveva la vaga impressione che nessuno realmente stesse morendo dalla voglia di vedere Hazel e Percy sposati. 

Poco prima di mezzanotte le Sorelle Stravagarie smisero di suonare per qualche minuto per lasciare il palco al professor Lumacorno, che era ansioso di fare una sorta di discorso d’addio all’insegnamento. 

- Che ne dici se ce ne andiamo? - Sussurrò Faye al giovane Grifondoro, mentre il professore di pozioni raccontava un interessante aneddoto di quando anche lui era stato studente. 

- Andare dove? - Chiese a sua volta Janus. 

Lei scrollò le spalle e gli rivolse un sorriso piuttosto seducente, prima di voltarsi e iniziare a camminare verso l’uscita della Sala Grande. 

Janus esitò, domandandosi se fosse o meno una buona idea seguirla. Non potevano di certo andarsene in giro indisturbati per il castello. 

Tuttavia tutti gli insegnanti e perfino Gazza erano lì, quindi forse nessuno li avrebbe beccati se avessero fatto due passi. 

Dopo un bel po’ di ansiosa riflessione il ragazzo si fece spazio tra la folla, uscì dalla Sala Grande, attraversò la Sala d’Ingresso e poi svoltò a destra, ritrovandosi in un corridoio deserto in cui Faye lo stava aspettando. 

- Che cosa… - Tentò di dire Janus, ma lei lo fermò premendo di getto le labbra contro quelle di lui, che rispose a quel contatto inaspettato con la solita timidezza. 

Conosceva quell’impeto con cui Faye lo stava baciando, le mani di lei che si infilavano tra i suoi capelli come al solito, quel corpo che si ancorava al suo con foga, senza lasciargli scampo. Janus si era ritrovato in situazioni del genere moltissime volte durante quei sei mesi ma aveva sempre trovato una scusa per allontanarsi, eppure, in quel momento, non ne trovava nemmeno una che fosse quantomeno plausibile.

Erano soli, non c’era nessuno, era praticamente in trappola.

- Faye… forse è meglio se adesso… - Balbettò, facendo un passo indietro. - Non possiamo stare qui, se qualcuno ci vedesse… questa estate avremo tempo per certe cose. - 

Faye lo guardò truce. - Tu non mi vuoi. - Asserì risentita.  

- Cosa? No, certo che no… - Farfugliò lui, pieno di imbarazzo. 

Si sentiva uno stupido incapace, si sentiva… sbagliato. 

- Invece è così. - Insistette lei, con le labbra piegate verso il basso. - Tu non mi vuoi, non mi desideri! Perché non puoi essere come tutti gli altri? - 

L’espressione di Janus mutò come se Faye l’avesse appena schiaffeggiato. - Come tutti gli altri? - Chiese tremante di rabbia. - Quelli che ti hanno sempre trattata male, usata e umiliata? Vuoi questo da me? Vuoi che ti tratti male? È questo che vuoi? - 

- Voglio che tu mi faccia capire se provi qualcosa per me o meno, solo questo! - Esclamò lei. - Sei sempre così rigido, sei freddo e sembra quasi che io ti faccia schifo. Con Pilar non eri così, stavate sempre appiccicati, appartati in ogni angolo del castello, perché allora con me no? Cerchi scuse ogni volta che mi avvicino. - 

- Perché io ti amo! - Gridò Janus, con talmente tanta forza da farla sobbalzare. - Ti amo e ho continuamente paura di non essere abbastanza. Se pensi che io non ti desideri allora ti sbagli alla grande dato che non hai idea di quanto in realtà io sia attratto da te, solo che non sono come gli altri, lo hai detto anche tu, sono strano e mi dispiace… quindi forse è meglio che stai con uno normale e la finiamo qui. - 

Faye rimase ferma e in silenzio a lungo, gli occhi fissi in quelli di lui, la bocca socchiusa dalla sorpresa. - No. - Disse infine, muovendo un passo nella sua direzione. - Scusa, non volevo dirti quella cosa. - 

- Però è vera, non sono come tutti gli altri. - 

- Non mi importa. - 

- Invece sì. - 

- Ti ho detto che non mi importa. - Ripeté fermamente lei. - Non me ne frega niente che sei strano, anzi, sono felice che tu lo sia. Sei diverso da qualsiasi altra persona che io abbia mai conosciuto. -

Lui la guardò deluso e scosse la testa. - Lascia stare. - Disse.

Poi fece un passo indietro, la guardò per un’ultima volta e si voltò, iniziando a percorrere il corridoio a grandi falcate, diretto verso la Torre di Grifondoro. 

Klaus aveva ragione, in verità tutti avevano ragione: lui e Faye erano agli opposti della piramide sociale di quella scuola. Lui non era abbastanza, era un dato di fatto, non importava quanto si impegnasse per essere un buon fidanzato, tutti i suoi sforzi per essere la versione migliore di sé stesso erano inutili, perché lei gli avrebbe sempre rinfacciato di non essere come tutti gli altri. 

Janus non si era mai sentito normale, nemmeno da bambino. Negli anni aveva fatto del suo meglio per essere più normale possibile, soprattutto prima di Hogwarts, quando in classe era sempre il più piccolo, il più fragile e il più silenzioso di tutti, poi finalmente quella lettera era arrivata, si era convinto che al castello avrebbe finalmente trovato il suo posto, ma anche in quel frangente i primi anni lo avevano preso in giro. Era ovvio che fosse lui il problema. 

Non era come gli altri e si odiava per questo, si odiava nonostante sua madre lo avesse cresciuto ripetendogli di continuo che essere diversi fosse una risorsa e non una mancanza. Si odiava e forse lasciare Faye voleva dire farle un favore. 

Alle sue spalle sentì i passi svelti e la voce della Serpeverde che lo chiamava, e poi le braccia di lei che lo intrappolavano in un abbraccio. Janus rimase fermo, scosso ma anche un po’ sollevato di averla così vicina anche dopo averle urlato letteralmente contro che l’amava. 

- Dai, per favore. - Lo supplicò Faye, costringendolo prepotentemente a voltarsi nella sua direzione. 

Lui sbuffò e distolse lo sguardo. - Sul serio, lascia stare. Sono stanco e voglio tornare in dormitorio. - Disse di nuovo, pronto a riprendere la sua marcia. 

- Per davvero mi ami? - Chiese Faye di botto, quasi parlandogli sopra. 

- Sì. - Rispose stancamente Janus. 

- E mi vuoi anche? - 

Stavolta lui si limitò ad annuire. Non aveva più senso fingere di non avere degli impulsi. Per tutta la vita aveva tentato di elevarsi al di sopra della debolezza umana, mantenendo un gelido contegno, una distanza di sicurezza tra sé e gli altri che gli assicurava la protezione necessaria dal fallimento. Ma adesso era lì, aveva ammesso di amarla e di desiderarla, era esposto e fragile. 

- Anche io. - Mormorò Faye. 

- Che cosa? - 

- Entrambe le cose. - Disse la ragazza, prendendolo per mano. - Di cosa hai paura? - 

Quella domanda lo fece sentire terribilmente in imbarazzo oltre che combattuto sul dire o meno la verità. - Ho paura di non reggere il confronto con gli altri. - Ammise. 

Faye fece un piccolo sorriso. - Be’, anche io. - Disse, beccandosi un’occhiata scettica. 

- Lo sai che non c’è mai stata nessun’altra prima di te. - 

- Però avrai delle aspettative, il che può essere ancora peggio se ci pensi. - Obiettò lei avvicinandosi. - Inoltre prima di me c’è stata quella lì. - 

- Io e Pilar siamo stati insieme sì e no per tre settimane durante le quali per giunta non è successo niente o quasi. - Le ricordò Janus. 

- Niente o quasi. - Sottolineò lei. - Che vuol dire o quasi? -

Il Grifondoro alzò gli occhi al cielo, anche se in un certo senso gli faceva piacere che lei fosse gelosa, lo faceva sentire un po’ meno stupido e insicuro. - Sai come vanno certe cose. Le aule vuote… la curiosità… - Snocciolò sogghignando. 

Faye gli scoccò un’occhiata assassina e si lasciò scappare un verso sprezzante. - Quel tempo è passato ormai. - 

- Assolutamente sì. - Confermò lui. 

- Vuoi davvero tornare in dormitorio? - Domandò Faye, dopo qualche secondo.

Janus ci pensò prima di rispondere. - Sì. - Disse, e poi sorrise. - Vuoi… venire con me? - 

- E infrangere un’infinità di regole a te tanto care? - 

- È l’ultima sera e sono tutti alla festa, direi che il rischio di essere scoperti è basso. E poi se proprio devo prendermi una punizione preferisco rispettare le tradizioni e beccarmela per colpa tua, come ai vecchi tempi. - 


Heey, persone!
Avete presente quando ho detto che questo capitolo sarebbe arrivato alla svelta perché era già mezzo scritto? Ecco, ho dato di matto e l’ho riscritto tutto da capo. So che è un po’ inutile, solo che odio fare salti temporali troppo netti e mi sembrava brutto buttare tutto “in caciara”, come si dice dalle mie parti, e andare subito al punto. Inoltre c’erano un paio di cosette che secondo me valeva la pena raccontare, quindi… niente, ve lo siete beccati così, spero non vi sia dispiaciuto troppo. 

Anche ‘stavolta il titolo è ispirato a una canzone (ultimamente fantasia zero), ma comunque si riferisce al fatto che Sirius si sente un po’ “qualcosa in mezzo alla via” (non lo so, ragazz, è una canzone con diverse interpretazioni), ad ogni modo chi è nati prima degli anni ‘90 sicuramente la conoscerà, se siete più giovani mi fate paura ma vi invidio anche. 

Alla prossima!

J. 

Ritorna all'indice


Capitolo 45
*** Capitolo 44. L'ultima notte ***


Capitolo 44

 

Il ritorno a casa fu per Janus molto traumatico, tra i preparativi del matrimonio sempre più vicino e un mare di imprevisti che sembravano essere stati messi lì dal destino che, a quanto pareva, non approvava affatto l’unione tra Hazel e Percy: Neo, il cane di famiglia, aveva rosicchiato tutto l’orlo del vestito di Hazel che era dovuta correre di nuovo da Madama McClan per comprarne un altro; l’arpista che avrebbe dovuto suonare alla cerimonia si era rotta entrambe le mani per colpa di uno sfortunato incidente in bicicletta e, come se già solo questo non fosse abbastanza, c’erano ancora i tavoli da fare, stando ovviamente ben attenti a dividere i babbani dai maghi per non incappare in problemi con lo statuto di segretezza. 

In casa inoltre c’era sempre gente e chiasso: improvvisamente quella graziosa e ordinata villetta di periferia si era trasformata in qualcosa di più simile alla caotica e rumorosa Tana e per questo Janus aveva deciso che, per preservare la sua salute mentale, era necessario trasferirsi a casa di suo padre. 

Janus pensava che la casa di Sirius piuttosto accogliente, molto più della sua: gli piaceva molto com’era arredata, trovava affascinante quel tocco di vintage, tutti quei colori e quei soprammobili che gli ricordavano vagamente lo stile del cottage in Scozia. C’erano anche molte foto, sia magiche che babbane, che raffiguravano suo padre da giovane insieme ai suoi amici e insieme a Harry da piccolo, e ce n’era anche qualcuna in cui appariva proprio lui. Probabilmente era stata Hazel a fornirgliele. 

Inoltre in quella casa Janus poteva fare proprio qualsiasi cosa volesse. Non c’era nessun coprifuoco da rispettare, poteva mangiare tutto il cibo spazzatura che volesse, nessuno gli ricordava di fare i compiti o di studiare per la scuola babbana, poteva usare la magia e poteva addirittura dormire con Faye nello stesso letto e con la porta chiusa. Insomma, Sirius era un po’ come un coinquilino. Certo, non era discreto e tantomeno silenzioso, ma era molto più sopportabile di sua madre che urlava continuamente contro Percy o contro la wedding planner perché qualcosa stava andando storto.

Vivendo insieme a lui, Janus si era man mano reso conto di quanto suo padre fosse strano. Prima di tutto non dormiva mai e, quelle poche volte in cui lo faceva, spesso aveva degli incubi spaventosi e Janus lo sentiva urlare dalla stanza affianco alla sua. Aveva anche uno strano rapporto con il cibo, quel tipo di rapporto di chi era quasi morto di fame e che dunque detestava sprecare risorse. Janus aveva l’impressione che Sirius fosse in un certo senso ancora all’erta, come se inconsciamente si aspettasse ancora di essere arrestato e questa cosa, insieme agli incubi e ai momenti in cui il mago cadeva in quei suoi proverbiali attacchi di broncio, gli fecero capire davvero per la prima volta quanto veramente suo padre avesse sofferto. 

Quella mattina di inizio luglio, Janus si svegliò tutto in una volta, come se qualcuno l’avesse scosso forte. Doveva essere ancora molto presto dato che la luce che entrava dalla finestra spalancata era fioca e non c’erano rumori provenienti dalla strada sottostante. Ancora assonnato e un po’ di cattivo umore, come gli capitava ogni mattina, si mise a sedere e si guardò attorno a occhi stretti. 

Sirius aveva fatto del suo meglio per arredare quella stanza a misura di adolescente; aveva comprato un letto ampio e comodo, una scrivania per studiare, un armadio e persino un computer, totalmente inutile in una casa in cui mancava la linea internet. A terra, vicino al baule, erano stati abbandonati degli abiti da ragazza e, in piedi accanto alla finestra, una giovane era intenta a indossarli nuovamente. 

Janus la guardò nella penombra e, non appena lei si voltò nella sua direzione, sorrise. Ne era certo, non aveva mai visto creatura più meravigliosa. - Buongiorno. - Le disse. 

- Vado a casa, sono già in ritardo e non voglio farmi beccare. - Lo informò subito Faye, infilandosi il suo vestito da strega. - Mi tiri su la chiusura lampo? - 

- Assolutamente no. - Rispose lui sogghignando divertito. 

- Piantala, dai. - Lo bacchettò lei, e poi si sedette al suo fianco dandogli la schiena. 

Janus guardò quella porzione di pelle scoperta e sospirò, prima di tirare su la zip tutto d’un botto. Doveva essere sincero con sé stesso e ammettere che ultimamente la preferiva di gran lunga senza niente addosso. 

- Grazie. - Disse lei sorridendo dopo un rapido bacio, prima di alzarsi nuovamente in piedi. - Mi accompagni a trovare mia madre nel pomeriggio? - 

- Non posso, mi dispiace. Domani ci sarà il matrimonio e inoltre oggi festeggiamo il compleanno di Molly e Lucy, quindi pranziamo tutti insieme alla Tana. - Si scusò Janus. 

Faye annuì e nel frattempo tentò anche di sorridere di nuovo, fallendo miseramente. 

Quelle due ragazzine Weasley non le piacevano molto, soprattutto Molly, a dir la verità e, nelle ultime settimane, da quando la scuola era terminata e da quando dunque aveva avuto l’occasione di frequentarla di più, si era resa conto che neppure lei piaceva molto a quella sgradevole bambinetta. 

- Molly mi detesta? - Chiese Faye, quasi senza accorgersene.

- Molly non ti detesta, non ha mai detestato nessuno in vita sua. - Ribatté Janus, e poi si alzò dal letto per rivestirsi anche lui. - Perché dovrebbe farlo, scusa? - 

- Perché ha una cotta per te grossa come un erumpent adulto e imbizzarrito, ecco perché, ma tu sei troppo ingenuo per notarlo; non te ne accorgi mai quando piaci a una ragazza. - 

- Non ha una cotta per me, ma anche se fosse non credo che la mia sorellina dodicenne sia una grande minaccia per la nostra relazione. - Sospirò il ragazzo, mentre si infilava distrattamente i pantaloni del pigiama. 

- Ormai tredicenne e non è veramente tua sorella. - Lo corresse Faye alla svelta. - So perfettamente che non è una minaccia, non sono mica stupida, ma si comporta comunque da piccola stronza impertinente. Sarebbe carino se tu le dicessi qualcosa a riguardo. -

- Va bene, le parlerò. - Acconsentì Janus con aria annoiata. - Tu però cerca di sforzarti almeno un po’ di piacere a quelle due. Sai quanto voglio bene a entrambe. Cerca di fare meno… ecco… meno la purosangue ricca e altezzosa. - 

Faye inarcò le sopracciglia. - Senti chi parla. - Borbottò, incrociando le braccia. 

- Guarda che mia mamma è babbana. - Le ricordò lui, con un sorrisetto beffardo dipinto sulle labbra. 

- Janus Regulus Black-Rains, questo c’è scritto sulla tua carta d’identità babbana, quindi hai più nomi che amici, guardi tutti dall’alto in basso, prendi il tè come se fossi sempre al cospetto della regina e sei ricco, schifosamente ricco! - Sbottò Faye. - Il tuo albero genealogico risale al medioevo, tuo padre ha il sangue talmente puro che probabilmente contiene il segreto stesso della magia e poi sarei io la purosangue ricca e altezzosa! - 

- Hem… sì? - 

- Ma la smetti? - 

Janus prese un respiro profondo nel tentativo di non scoppiare a ridere. - Be’, sei tu quella che vive in un castello nascosto agli occhi dei babbani, o sbaglio? E comunque a me piace la tua regalità! - Esclamò divertito, avvicinandosi a lei. 

La ragazza mugugnò scontenta e lo spinse via. - Non ci provare! - Disse furibonda. 

- In realtà mi piace proprio tutto di te. - Proseguì Janus, come se lei non l’avesse mai interrotto. - Ma soprattutto mi piace un sacco questa cosa che pensi che io possa piacere praticamente a tutte quelle che conosco, da una gran bella botta alla mia autostima. -

- Te l’avrò detto mille volte, tu piaci molto alle ragazze. - Sottolineò Faye. 

- Certo, piaccio così tanto che tu ci hai messo sei anni ad accorgerti di me. - 

- Ti ho sempre trovato carino ma eri un po’ indietro con lo sviluppo. - Si giustificò Faye, e poi gli rivolse uno sguardo compiaciuto. - Per fortuna che sei cresciuto, alla fine. Certo, sei ancora un po’... gracilino, ma direi che la pubertà con te sta facendo suo dovere. - Proseguì avvicinandosi abbastanza da poterlo toccare. 

Janus come al solito si sentì arrossire e non sapendo cosa dire rimase zitto per qualche istante prima di cambiare discorso: - Comunque non devi preoccuparti di Molly, davvero. Insomma, ha tredici anni e poi mi ricorda Percy. - 

- Ma se non si somigliano per niente. - 

- Però i colori sono quelli, dai. E, ti ripeto, ha tredici anni! - 

- Io alla sua età stavo con uno dell’ultimo anno. - Obiettò Faye. 

- Ma Molly non è così, lei è ancora una bambina piccola, non ci pensa a queste cose. - Replicò lui, alzando gli occhi al cielo. - Ma anche se avesse la nostra età e fosse una veela strafiga pur mantenendo il suo quoziente intellettivo nettamente superiore alla media, ti assicuro che io non la guarderei comunque perché sono innamorato di te, tantissimo. -

- “Quoziente intellettivo nettamente superiore alla media”. - Gli fece il verso lei. 

- Ti ho appena detto che ti amo e tu vai a estrapolare e a decontestualizzare solo un punto specifico della frase. - Sbuffò Janus. - E a pensare che credevo di essere io quello insicuro dei due. - 

Le lo guardò male e non ribatté a quella frecciatina. - È meglio che io vada, mi imbarazza imbattermi in tuo padre dopo che ho dormito qui. - Disse invece. 

Janus aggrottò la fronte. - Ti… imbarazza Sirius? - Chiese incredulo. Sapeva che erano davvero poche le cose capaci di creare dell’imbarazzo in Faye Selwyn. - Ti imbarazza Sirius e non mia mamma? Eppure è lei il genitore severo tra i due. - 

- Hazel ti vede come un angioletto casto e innocente e probabilmente di me pensa la stessa cosa, mentre Sirius fa sempre quella faccia ogni volta che scendiamo in cucina… sai, quell’espressione che sembra quasi dire “so cosa avete fatto, piccoli maniaci!” - 

Janus scoppiò a ridere e scosse la testa. - Secondo me te lo immagini. - 

- Jan, ha riempito di preservativi il cassetto del tuo comodino! - 

- Sì, be’, gli ho spiegato che non c’era bisogno dato che prendi quella pozione… ma a ogni modo, che importa? Lo so che dall’aspetto può sembrare un adulto, ma non lo è. Non devi vederlo come mio padre ma più come un mio amico… un po’ come Klaus, ecco. - 

- Be’, non ci riesco. - Rimarcò Faye. - Quindi ora è meglio che vada. Vorrei anche evitare di farmi beccare fuori dal letto dal mio di padre, e anche da mio zio. - 

- Come vanno le cose a casa tua? - 

Lei scrollò le spalle. - Al solito. - Si limitò a dire, e tra le righe di quella risposta secca c’erano molte più informazioni di quanto lei desiderasse rivelare. - Quando la scuola finirà troverò subito un lavoro e me ne andrò, devo solo tenere duro un altro po’. -

- Oppure potresti andartene ora e trasferirti da me. - Buttò lì il giovane. - O a Grimmauld Place, se proprio non mi vuoi sempre tra i piedi. - Aggiunse, quando si rese conto di aver fatto una proposta piuttosto impegnativa. 

- Non posso andarmene senza prima trovare un lavoro. - Asserì lei. - Io non ho uno zio ricco che non vede l’ora di lasciarmi tutta la sua eredità come tuo padre. - 

- Però hai me. - 

- Non voglio dipendere da nessuno se non da me stessa. - 

Janus annuì e non ribatté, consapevole che non sarebbe mai riuscito a farle cambiare idea. - Allora ci vediamo domani? - Le chiese solamente. 

- Sì, ci vediamo direttamente alla cerimonia. - Annuì lei. - Mi accompagni giù? - 

Fuori da quella stanza, la casa era avvolta nel sonnacchioso silenzio del mattino presto. Probabilmente Sirius si stava concedendo le sue quattro ore di sonno quotidiane, pensò Janus mentre scendeva le scale, ma quando passò davanti alla cucina dovette ricredersi. 

- Ehilà, ragazzi. - Disse, mentre si dondolava su una delle sedie attorno al tavolo. - Che ci fate già fuori dal letto a quest’ora? - 

- Faye deve tornare a casa. - Rispose Janus. 

- Non fai colazione con noi, ragazza? - Domandò Sirius, rivolgendosi direttamente a lei. 

- Devo proprio scappare, signor Black. - 

Sirius fece un verso di assenso e poi si alzò in piedi. - Tu hai fame, Jan? Preparo qualcosa per colazione… uova e pancetta e tè? - 

- Magari qualcosa di un po’ meno inglese. - Replicò il giovane, prima di accompagnare la ragazza alla porta. 

- Arrivederci, signor Black! - 

- Ciao, Faye. - Ricambiò il mago alla svelta, alzandosi dalla sedia per cercare di mettere insieme una colazione “meno inglese”. 

Quando un minuto dopo Janus varcò la soglia della cucina, sul tavolo trovò una tazza di caffé e un pacco di biscotti di produzione industriale, ma era comunque meglio che mangiare di nuovo quelle stramaledette uova strapazzate. 

- Che facciamo nel pomeriggio? - Gli chiese Sirius. 

- Devo tornare a casa stamattina. - Janus smorzò l’entusiasmo del padre senza alcuna pietà. - Devo andare a pranzo alla Tana, giorni fa è stato il compleanno delle figlie di Percy ma erano da Audrey quindi festeggiamo in ritardo, e poi domani c’è il matrimonio, quindi… a proposito, tu ci vieni, sì? - 

- No, non credo proprio. - Rispose subito Sirius.

Janus aggrottò la fronte e lo fissò attentamente. - Perché no? - 

- Ho da fare. Hazel capirà. - 

- Mh, e cos’hai da fare di tanto importante? - Domandò il giovane, scettico. - Illustrami i tuoi piani, forza, dato che tutti quelli che conosci saranno alla cerimonia. - 

Pensavo a un po’ di autocommiserazione, sai com’è, pensò Sirius, che invece rispose con un distaccato: - Non è affar tuo. -  

Janus sbuffò seccamente, guardò suo padre con il peggiore dei suoi sguardi taglienti e unì le mani sul tavolo, assumendo una posizione rigida. - Ti facevo più combattivo. - 

- Una volta, forse. - Disse amaramente l’uomo. - Tutti mi rinfacciano di continuo quanto io sia immaturo, adesso sto semplicemente facendo l’adulto. Ho fatto del mio meglio per riprendermela, ma non ci sono riuscito, quindi basta. Tua madre ha fatto la sua scelta. - 

Janus non disse niente, ma abbassò gli occhi sulla tazza, puntandoli sul liquido nero che c’era all’interno. Gli dava una strana sensazione il fatto che tra sua madre e suo padre fosse davvero finita, sebbene non avesse avuto il tempo di viverli mentre erano ancora insieme. Per un attimo ci aveva sperato, aveva immaginato chiaramente come sarebbe stato vivere tutti insieme come una volta e per quanto da una parte adorasse Percy… be’, quella era tutt’altra cosa. In quelle sue fantasie non si sentiva mai di troppo come invece ogni tanto accadeva nella realtà. 

- Guarda che non ho detto mica che devi venire al matrimonio per sabotarlo. - Asserì il giovane. - Anche se in effetti sarebbe davvero epico assistere a una scena in perfetto stile commedia romantica americana in cui ti alzi, fai un discorso struggente davanti a tutti e poi te la porti via sotto lo sguardo allibito dei presenti. Sì, sono un fautore dei grandi gesti. - Aggiunse, quando Sirius aprì la bocca per ribattere. - Il punto è che non ci hai nemmeno provato, tu dici di aver fatto del tuo meglio, ma secondo me non è così. - 

- E dimmi, ragazzino, cosa avrei dovuto fare? - Domandò Sirius con fare altero. 

- Che vuoi che ne sappia io? Ho una ragazza da circa sei mesi e nemmeno so come effettivamente sia successo! - Fece Janus a sua volta, esasperato. - Senti, forse hai ragione, ormai è tardi per riaverla con te. Ma non mi piace il pensiero che domani te ne starai qui tutto solo a deprimerti, quindi non hai scelta: verrai a quel matrimonio che ti piaccia o meno. - 

- E che vuoi fare, incantarmi, per caso? - Sogghignò Sirius, visibilmente divertito. 

Janus alzò le spalle. - Se sarà necessario allora sì. - Buttò lì. - Ma so che non vuoi che la bacchetta del tuo adorato figlio venga profanata con la magia oscura della maledizione imperius, quindi domani sarai tra gli invitati, e questo è quanto. - 

Sirius lo guardò male. - Il Cappello Parlante doveva smistarti in Serpeverde. - 

- In verità ci ha provato. - Ammise il giovane. 

Alla fine di quella scarna colazione Janus si alzò in piedi, posò la tazza nel lavandino e salutò il padre. 

- Vuoi un passaggio? - Gli chiese Sirius. 

- Non c’è bisogno, ci metto un attimo in volo. - Rispose lui.

- A proposito del tuo piccolo segreto fatto di piume… - Bofonchiò Sirius, rivolgendo a suo figlio uno sguardo insolitamente severo. - Devi registrarti come animagus. - 

Janus alzò gli occhi al soffitto. - Un po’ ipocrita da parte tua, non trovi? - Osservò, prima di trasformarsi nel solito corvo nero, sfrecciando fuori dalla finestra. 

Non fu un volo facile quello. Nonostante fosse luglio a Londra faceva freddo e c’era una fitta nebbia che si aggirava tra i tetti, dando alla città un’aria spettrale. Janus atterrò come al solito all’inizio della strada in cui c’era casa sua, si trasformò furtivamente e poi percorse il resto del percorso a piedi. Quando arrivò davanti alla porta suonò il campanello e dopo pochissimi secondi quella si spalancò. 

- Buongiorno. - Disse Lucy, scoccandogli uno dei suoi soliti sguardi sufficienti. 

- Lucy, luce dei miei occhi. - Rispose lui, entrando. - Buon compleanno. - 

- Era una settimana fa. - Ribatté la ragazzina, il tono annoiato, mentre camminavano insieme lungo l’ingresso

- Sì, ma tu e Molly eravate da vostra madre quindi… Polly! - Esclamò Janus, quando varcò la soglia della cucina in cui Hazel, Percy e Molly erano riuniti. - Questi tredici anni ti donano su sacco! - 

La Corvonero ridacchio. - Quanto sei scemo, Jan! - 

Lui sorrise e poi posò lo sguardo su Hazel e Percy. - Mamma, Percival… voi due invece avete un aspetto orrendo. - Osservò, ed effettivamente era proprio così. - Che succede? - 

- Sarà un disastro, un vero disastro! Io me lo sento! - Borbottò Hazel in risposta, spalmando nervosamente della marmellata su una fetta di pane tostato. - Non troveremo mai un sostituto dell’arpista entro domani, quindi nessuno suonerà durante la cerimonia, che sarà triste e sterile, la peggiore della storia. Come se questo non bastasse non sappiamo ancora dove far sedere zia Muriel, dato che non la sopporta nessuno! Per quale diamine di motivo abbiamo dovuto invitarla, eh, Perce? -  

- Bill, Ron, George e Ginny l’hanno invitata e anche io l’ho fatto, la prima volta. - Rispose Percy in automatico. - Quindi non potevo esimermi. - 

Hazel sbuffò e non rispose, quasi come se ce l’avesse con lui.

- Perché non suoni tu alla cerimonia, Janus? - Fece Percy, guardando il ragazzo. 

Hazel sussultò, colta da un’illuminazione. - Come ho fatto a non pensarci prima? - Disse, fissando anche lei il giovane. - Sarebbe fantastico, Jan, davvero fantastico. - 

Janus aggrottò la fronte e fece saettare lo sguardo da sua madre a Percy. - Non ci penso proprio. Non suonerò mai da solo davanti a tutta quella gente. - Chiarì. 

Hazel lo guardò stringendo gli occhi, poi prese un respiro profondo e unì le mani sul tavolo. - Janus, hai preso per anni lezioni private dai migliori e più costosi insegnanti in circolazione, sei bravo e ne sei anche consapevole, quindi, ti prego, non metterti a sindacare: suonerai al  mio matrimonio, altrimenti giuro che non metterai piede fuori da questa casa per tutta l’estate. - 

Janus si lasciò sfuggire uno sguardo sprezzante, poi incrociò le braccia sul petto. - Va bene. - Sbuffò. - Però niente marcia nuziale e dimenticatevi che mi metta a suonare quella schifezza del canone di Pachelbel. - Chiarì. 

- A me piace molto Pachelbel. - Obiettò Percy. - Spero che tu non voglia deliziarci con quell’esagitato di Paganini. - Si accertò, guardando il ragazzo di sottecchi.

- Sei indegno di avere delle orecchie funzionanti, Weatherby. - Rispose Janus. - Ad ogni modo no: quell’esagitato, come lo chiami tu, è fuori dalla mia portata oltre che per nulla adatto a un matrimonio noioso e tradizionale come il vostro. In verità stavo pensando a qualcosa di pop, come… Falling Slowly, dato che è la vostra canzone. - 

- I don't know you but I want you, all the more… for that…

- Words fall through me and always fool me, and I can't… react. - 

- Sì, però ora non cominciate che sennò vi trovate un altro violinista. - Li fermò lui. 

- Potete suonarla insieme tu e Faye. - Propose Hazel.

- Quindi davvero verrà anche lei al matrimonio? - Domandò Molly, le labbra arricciate in un chiaro segno di disapprovazione. 

- Chissà se si vestirà da meretrice anche domani. Secondo me sì. - Proseguì Lucy, velenosa come al solito. 

Janus le rivolse uno sguardo molto torvo. - Vuoi provare a ripeterlo, Lucy? - 

- Be’, è vero, si veste da poco di buono. - 

- Dateci un taglio, tutti e due. - Si mise in mezzo Percy, per poi rivolgersi direttamente a sua figlia. - Non dovresti dire cose del genere sulle altre ragazze, lo sai? - 

- E perché no? È la verità. - 

- Come è andata la festa di Lumacorno, eh, Lucy? Teddy mi ha dato notizie interessanti su di te e il tipo con cui ci sei stata. - Mentì Janus. - Vi siete baciati, vero? - 

- Non è vero! - Urlò la ragazzina, furibonda. - Piuttosto tu! Guarda che lo sanno tutti che hai fatto entrare Faye nel nostro dormitorio! E lei è una Serpeverde, è il nemico! Hai infranto un mucchio di regole solo per fare tu sai cosa con il nemico! - 

- Giuro che se non taci ti schianto! - 

- Perché l’hai fatta entrare nel vostro dormitorio? E che cos’è “tu sai cosa”? - Chiese candidamente Molly, guardando Janus con uno sguardo che era un misto tra perplessità e incertezza. 

Percy, Hazel e Janus esitarono, mentre Lucy si lasciò sfuggire un sorrisetto vittorioso. 

- Faye aveva… aveva male alle scarpe e non aveva voglia di arrivare fino alla sua Sala Comune. - Rispose poi il giovane. - I sotterranei sono lontani dalla Sala Grande. - 

- E per arrivare alla Torre di Grifondoro ci sono moltissime scale. - Ribatté Molly. 

- Sì, be’... sai come vanno certe cose. - Buttò lì lui imbarazzato, senza il coraggio di alzare lo sguardo su Percy e Hazel. - La Sala Comune dei Serpeverde è molto umida e… - 

Pessimo paragone, Janus, pessimo paragone. 

- Sentite, ma li volete i vostri regali di compleanno o no? - 

Janus riuscì così a salvarsi per un pelo e, una volta al piano di sopra, rimuginò un po’ su quali potessero essere i motivi per il quale Molly e Lucy detestassero tanto la sua fidanzata. 

La conversazione appena avvenuta  era stata inoltre una delle più imbarazzanti della sua vita e adesso si aspettava come minimo un discorso altrettanto imbarazzante da parte di sua madre in cui lo metteva in guardia sulle gravidanze indesiderate e le malattie veneree. 

Proprio mentre si trovava seduto sul letto a immaginarsi le parole esatte con cui Hazel lo avrebbe torturato, la porta della sua stanza bussò. 

- Avanti. - Bofonchiò irritato, aspettandosi di vedere spuntare sua madre sulla soglia. 

Ma quando essa si aprì, fu Molly a palesarsi di fronte a lui. - Non dirmi che lo stai fabbricando, il regalo. - Gli disse. - Sei qui da almeno dieci minuti. - 

Janus scosse la testa. - Libreria, terza mensola… c’è un pacchetto. - Spiegò. 

Molly si voltò verso la direzione da lui indicata, individuando un piccolo pacchetto rettangolare ben incartato in carta verde. - Posso aprirlo? - Domandò. 

- Certo, è per te. - Rispose lui, sorridendole. - Avanti, aprilo. - 

La ragazzina obbedì e strappò l’incarto, ritrovandosi tra le mani un grazioso diario in pelle con la copertina decorata da inserti dorati molto raffinati. 

- So che ultimamente scrivi molto. - Spiegò Janus. - La copertina è graziosa e la carta è riciclata ma bella spessa come piace a te, quindi… - 

Molly sorrise. - Grazie, Jan. - 

Lui ricambiò il sorriso e poi gli fece cenno di sedersi al suo fianco. - Polly, mi dici come mai tu e tua sorella ultimamente ce l’avete un po’ con Faye? - Le domandò, andando dritto al punto, ma sinceramente intenzionato a capirne di più. - Credevo che lei ti piacesse. - 

Subito l’espressione di lei mutò, ma rimase zitta a lungo, come alla ricerca delle parole giuste da usare. Il problema stava nel fatto che neppure lei sapesse cosa fosse cambiato. Certo, Faye era spocchiosa, arrogante, fin troppo sicura di sé e bella in un modo quasi irritante; a dir la verità a Molly ricordava un po’ sua cugina Victoire e infatti per entrambe nutriva una certa diffidenza. Anzi, probabilmente se a settembre Victoire fosse stata smistata in Corvonero, allora come minimo Molly si sarebbe gettata dalla Torre per la disperazione di dover avere a che fare con lei potenzialmente a tutte le ore.

Ad ogni modo la cosa che più la irritava di Faye Selwyn era il fatto che non sembrasse innamorata di Janus quanto lui lo era di lei, o almeno questa era la sua impressione.

- Non è che non mi piace… solo che adesso che la sto conoscendo per davvero mi sta trasmettendo delle brutte sensazioni. - Tentò di spiegare Molly, dopo quell'attimo di silenzio, anche se ad alta voce le sue parole sembravano non avere nessun senso. - Credo seriamente che prima o poi ti spezzerà il cuore. - 

Janus sorrise ancora, stavolta intenerito. - Non devi preoccuparti di questo. - Le disse, mettendole una mano sulla spalla. - Lo so, lei può sembrare un po’ strana e antipatica delle volte, in verità nemmeno a me piaceva all’inizio, sai? -

- E poi che è successo? - 

- Lei mi ha costretto a essere suo amico minacciando di dire a tutta la scuola del serpentese, quindi abbiamo iniziato a passare del tempo insieme. - Disse Janus. - Ho imparato a conoscerla e all’inizio del secondo anno ero già cotto. - 

Molly arricciò il naso, come se il giovane avesse appena raccontato qualcosa di orribile, ma non rispose. 

- Ci tengo tantissimo a lei, per questo mi piacerebbe che voi tre andaste davvero d’accordo. - Continuò lui. - Semmai poi lei mi dovesse spezzare il cuore… allora userò la mia disperazione per, che ne so, scrivere una poesia o roba del genere. - 

- O un concerto struggente per violino. - Buttò lì Molly

- Magari, darei finalmente un po’ di lustro alla musica inglese dato che non abbiamo mai avuto grandi compositori. Inoltre, dopo i Beatles e gli One Direction, ci vorrebbe proprio uno che ne capisca un po’ di più di certe cose... dannate Boy Band. - 

- A me piacciono gli One Direction. - Rivelò Molly, e quando Janus fece una faccia contrariata aggiunse: - Tu hai lo stesso taglio di capelli di Harry Styles. - 

- Ottimo, un motivo in più per farli ricrescere come quando avevo la tua età. - 

- Eri carino. - Annuì Molly. - Ma sembravi un po’ una femmina. - 

- Non mi era ancora spuntata questa ridicola barbetta adolescenziale a dimostrazione del fatto che sono effettivamente un maschio. - Rispose Janus, toccandosi il viso. 

Molly fece una faccia che Janus non riuscì affatto a interpretare e poi arrossì un poco, ma prima che potesse aprir bocca spuntò dal corridoio la testa di Lucy.  

- Hazel e papà dicono che dovete prepararvi alla svelta, dato che ci tocca andare in macchina fino alla Tana. - Li informò scocciata. - Ah… e poi dov’è il mio regalo, Janus? -  

- Il mio regalo è che non ti ho schiantata prima a colazione, stronzetta. - Rispose acidamente il ragazzo. - Accontentati. - 

- A me invece lo ha fatto. - Ribadì Molly, mostrando alla sorella il diario. 

Lucy guardò male entrambi e poi se ne andò via borbottando. 

Solo qualche secondo dopo Molly si alzò dal letto, obbedendo ai comandi della gemella. 

- Polly, aspetta un attimo. - La fermò Janus, poco prima che lei potesse uscire. 

- Dimmi, Jan. - Molly sorrise, voltandosi nuovamente nella sua direzione. 

- Non è che hai una cottarella per me, vero? - 

La giovane Corvonero sgranò gli occhi come se lui l’avesse appena schiaffeggiata molto forte in pieno volto. - Cosa… come ti viene in mente una cosa così? - Chiese sorpresa e un po’ perplessa, mentre le sue orecchie diventavano rosse. - No, certo che no. Sarebbe del tutto sconveniente! - 

Janus scrollò le spalle. - La mia era solo una curiosità. - Spiegò tranquillo. - Non ci sarebbe nulla di male, in tal caso. Io ho avuto una cotta per Hermione, una volta. E anche per Fleur, ora che ci penso. Quello si che era sconveniente! - 

- Sì ma… no! Ovvio che no. - Disse, lasciandosi sfuggire una risatina nervosa. - A me in verità piace il tuo amico Klaus. - 

Janus spalancò la bocca, totalmente colto alla sprovvista. - Oh… wow. Bene. - Annuì, cercando di mantenersi naturale. - Solo che a lui non piacciono le ragazze... con i capelli rossi. Già. Non illuderti, d’accordo? - 

Molly alzò le spalle. - Però mi ha invitata alla festa di Lumacorno, quindi magari… - 

- Tu non illuderti. - Tagliò corto Janus.  

- D’accordo, non preoccuparti. - Lo accontentò lei. - Però, davvero, io non ho nessuna cotta per te. - Ribadì convincente, prima di lasciare quella stanza quasi di corsa. 

 

Quel giorno la Tana era particolarmente caotica. 

La signora Weasley, che aveva organizzato uno dei suoi ormai leggendari pranzi, nutrendo così una ciurma di scalmanati Weasley al gran completo, aveva inizialmente posizionato il lungo tavolo in giardino, quando un violento temporale decise di abbattersi su tutto il Devon. Il gruppo si era dovuto così stipare tutto nella cucina ingombra: c’era chi era seduto attorno al tavolo, chi aveva preso posto sul divano e sulla poltrona, e chi addirittura stava in piedi e chiacchierava accanto alla finestra aperta da cui entrava l’aria estiva profumata di pioggia. 

C’erano proprio tutti quel giorno, dai figli di Molly e Arthur a zia Muriel, che era partita un giorno prima da York solo per venire a curiosare (giudicare) un po’. 

- Certo, è carina, ma è così Scozzese. Non è come Audrey, parliamoci chiaro. - Aveva detto a una Hermione troppo educata per risponderle a tono. - Ma il vero problema è il figlio, un ragazzino arrogante… si rifiuta di chiamarmi zia! - 

- Forse perché non sei davvero mia zia. - Aveva ribattuto Janus, quando l’aveva sentita, beccandosi un'occhiata ammirata da parte di Hermione. 

Seduta tra Charlie e Ginny su una delle sedie che circondavano il tavolo, Hazel si stava sventolando annoiata con una copia del Settimanale delle Streghe, mentre ascoltava con il cervello spento il discorso che la prozia del suo futuro marito le stava facendo sulle tradizioni dei matrimoni dei maghi. 

Dall’altra parte della tavolata, invece, ben lontano da zia Muriel, come per mettersi in salvo, Percy e Janus stavano chiacchierando tra loro. 

Hazel sorrise, ripensando a quanto quei due fossero partiti male quel Natale di molti anni prima, mentre adesso sembravano quasi assomigliarsi: entrambi erano sempre ordinati ma senza dare alcuna attenzione alla moda, entrambi si applicavano sempre in ciò che facevano e infine entrambi si prendevano sempre molto sul serio. Probabilmente se Janus avesse avuto i capelli rossi e un atteggiamento un po’ meno aristocratico sarebbe stato scambiato con facilità per il figlio di Percy. 

- Percival, mio caro. - Fece ad un certo punto zia Muriel, attirando l’attenzione della maggior parte dei presenti. - Dormirai qui stanotte, non è vero? - 

- Perché dovrei dormire qui? - Chiese a sua volta il mago. 

- Non vorrete mica dormire insieme persino la notte prima del vostro matrimonio. - Disse la vecchia strega, facendo saltare lo sguardo dal nipote a Hazel e viceversa.

I due, a loro volta, si scambiarono un’occhiata perplessa, e anche gli altri tutti attorno al tavolo fecero esattamente la stessa cosa. - Zia, io e Hazel conviviamo da almeno quattro anni. - Ricordò Percy. - So che probabilmente non approvi, ma certe tradizioni possono avere un senso solo nel caso in cui un rapporto non sia stato ancora, ehm, come dire… consumato. Mentre il nostro… be’, ecco… immagino che tu capisca che… - 

- Merlino, Weatherby; ti scongiuro, non continuare. - Lo fermò Janus, assumendo un’espressione schifata. 

Charlie, Ginny e Hazel cercarono di trattenersi dallo scoppiare a ridere, mentre zia Muriel assunse un’espressione alterata. - Lo so che non siete proprio una coppia di giovani sposini appena usciti da Hogwarts. - Disse, con un bel po’ di disappunto. - Ma è una tradizione, Percival. - 

Solitamente Percy adorava le tradizioni; gli piaceva fare le cose come si erano sempre fatte, avere un filo a fargli da guida e questo lo faceva sentire tranquillo, ma in quel caso gli sembrava solo una stupida perdita di tempo. 

- Domani mattina Hazel dovrà prepararsi, avrà molto da fare e sarà molto agitata, te lo assicuro. - Continuò Muriel nel tentativo di convincerlo. - È meglio che tu non le stia tra i piedi, anzi forse sarebbe meglio se anche il ragazzo restasse qui alla Tana stasera, non è vero, Molly? - 

- Zia Muriel ha ragione, Perce. - Interloquì la signora Weasley, portando in tavola un vassoio di biscotti di frolla decorati da tanti zuccherini. - Sarebbe bello se almeno una tra le tante tradizioni venisse rispettata, non credete? - 

Hazel si ritrovò ad aggrottare la fronte con fare perplesso, e anche Percy rimase per un attimo di stucco. 

- Abbiamo tutta la vita per dormire insieme, in fin dei conti. - Fece alla fine lei, che non aveva nessuna voglia di mettersi a sindacare in quel momento. - Una notte senza sentirti russare può solo che farmi bene. - 

- A parte che non russo… - 

- Oh, sì che russi, Weatherby. - Obiettò Janus. - Ogni volta che Faye viene a dormire da noi deve lanciare uno di quegli incantesimi imperturbabili sulla sua stanza per riuscire a chiudere occhio. - 

- Sai benissimo per quale motivo la tua fidanzata ha incantato la porta della propria camera da letto e di sicuro non è per il mio presunto russare. - Ribatté Percy, allusivo. 

- Non so di cosa parli. - Disse Janus, facendo un sorrisetto innocente. 

- Sì, sì, ma a chi vuoi darla a bere? Guarda che anche io ho avuto sedici anni. - 

- Purtroppo è vero, anche il perfetto prefetto ha avuto un'adolescenza e dell’interesse per l’altro sesso. - Intervenne Ginny, sogghignando divertita. - Non potrò mai dimenticare il giorno in cui lo beccai tutto avvinghiato a Penelope Light in un’aula vuota. - 

- Ah, la cara Penny… una brava ragazza. - Fece Percy, annuendo solennemente. - Anche piuttosto carina, se devo dirla tutta, e molto preparata; ero molto fiero del fatto che fosse la mia fidanzata. - 

Hazel gli fece il verso, lanciandogli un’occhiataccia. 

- Ma nessuna è equiparabile alla mia stupenda consorte qui presente. - Proseguì pomposamente Percy. - Lei ha una laurea, è una cosa bella per i babbani. - 

- Sei proprio un ruffiano, Percy. - Lo bacchettò Hazel.

- Attento, fratello, Hazel potrebbe pur sempre cambiare idea! - Scherzò Charlie ridendo, dall’altra parte del tavolo.

- Penso che ormai sia un po’ tardi per questo ormai. - Obiettò Percy. 

Hazel alzò i lati della bocca cercando di apparire spensierata come tutti gli altri. 

Percy aveva ragione, ormai era un tardi per tornare indietro e adesso, anche nel caso avesse cambiato idea, non c’era più una via di scampo e questo le metteva addosso una grande angoscia. L’unica cosa che la consolava e la faceva stare tranquilla era il fatto di esser certa che tra lei e Percy non sarebbe poi cambiato molto. Dopotutto stavano insieme da molti anni, vivevano nella stessa casa da almeno quattro di essi e tra loro le cose andavano… be’, andavano, dai.

- Ti assicuro che nessuno ti biasimerebbe, Hazel! - Continuò Charlie, distraendola dal suo flusso di pensieri e salvandola da un improvviso senso di soffocamento che aveva cercato di attanagliare il suo petto.

- Non credo che Percy corra il pericolo di non vedermi all’altare domani. - Assicurò Hazel, tentando di convincere anche sé stessa.

Sì, lei avrebbe fatto la scelta giusta, era quello ciò che voleva. Voleva le giornate alla Tana, voleva le feste natalizie in famiglia, voleva annoiarsi a casa il sabato sera e non avere mai paura di essere abbandonata. Voleva la calma, la tranquillità, voleva quella routine che ogni tanto la faceva sentire imprigionata ma che in realtà la stava proteggendo dalla durezza del mondo. 

Certo, magari non amava Percy come avrebbe dovuto, ma amava la vita che aveva con lui, quindi sì, voleva quella vita e non avrebbe permesso a nessuno, nemmeno a sé stessa, di ostacolarla. 

Poco prima che il sole sparisse del tutto dietro le colline che circondavano Ottery St Catchpole, Hazel salutò tutti e partì da sola vero Londra, lasciandosi alle spalle sia Percy che Janus, che aveva accettato di buon grado l’invito della signora Weasley di rimanere alla Tana per la notte così da lasciare tranquilla la futura sposa l’indomani mattina.

Hazel arrivò casa che era più o meno per l’ora di cena. 

Non passava una serata in completa solitudine da molto tempo e per quanto quel silenzio inizialmente le mise un po’ di strana inquietudine addosso, si rese presto conto che in verità non le dispiaceva affatto. Ordinò cibo da asporto, si prese la libertà di ballare e cantare a squarciagola nel bel mezzo del salotto e per poi finire sul divano a guardare una commedia romantica, presa da un’improvvisa nostalgia. 

Sentiva forte il bisogno di essere triste, tirare le somme della sua vita e magari piangere un po’, dato che per una volta non l’avrebbe vista nessuno. Così, guidata dalla voglia di farsi male, recuperò la vecchia scatola dal fondo del suo armadio, in cui custodiva gran parte dei ricordi accumulati nel corso della sua esistenza. C’erano le sue foto da bambina, le foto di sua madre, quelle di Janus e quelle risalenti a quei miseri tre anni in cui la sua vita si era intrecciata a quella di Sirius Black. 

Tre anni.

Erano bastati solo tre anni per sconvolgere del tutto il suo mondo, eppure lei non faceva altro che far finta che quel tempo non fosse mai esistito. Si era sforzata così tanto di andare avanti, si era sforzata così tanto di non provare niente che la vita aveva un po’ perso colore. In quelle foto però c’era ancora, il colore. Quei ricordi erano la prova che persino lei era stata felice un tempo e quindi, perché no, magari un giorno sarebbe tornata ad esserlo di nuovo. 

Probabilmente quella sarebbe stata una notte lunghissima e forse, con il senno di poi, non era stata una grande idea passarla da sola. 

Aveva bisogno di riscuotersi, di parlare con qualcuno… anzi no con qualcuno, aveva bisogno di parlare con lui, con Sirius.

Poteva chiamarlo, o magari andare direttamente a casa sua, ma Hazel sapeva quanto una cosa del genere in quel momento poteva essere pericolosa. 

Eppure… be’, non si vedevano da un bel po’ e quella era l’ultima notte in cui fare degli errori poteva essere ancora più o meno lecito. Era l’ultima notte e forse serviva per mettere un punto e lasciare andare davvero il passato.

Prese un respiro profondo e chiuse gli occhi, lasciò cadere la fotografia che aveva in mano nuovamente nella scatola. Poi ripose tutto nell’armadio e chiuse l’anta, cercando di combattere contro quell’improvvisa voglia di fare qualcosa di molto stupido e molto irrazionale.

Quando tornò in salotto, il silenzio che le aleggiava tutto intorno iniziò a gravarle addosso come un insostenibile macigno. Si sentiva improvvisamente persa. 

C’era quella vocina dentro la sua mente, qualcosa che le sussurrava che sposarsi voleva dire non essere del tutto fedele a sé stessa, che non era affatto da lei, che si stava arrendendo a una convenzione che aveva sempre guardato con diffidenza. 

Hazel si lasciò cadere nuovamente sul divano e afferrò il suo telefono. Era lì che erano conservati tutti i messaggi che Sirius le aveva mandato negli ultimi mesi, messaggi a cui lei aveva scelto di non rispondere, ma che aveva letto e riletto tantissime volte. 

Era stato complicato ignorarlo; complicato, sì, ma necessario: questo era ciò che Hazel si era ripetuta da quando aveva deciso di tagliarlo fuori dalla sua vita.

Tuttavia doveva ammetterlo, sentiva la sua mancanza. Anzi, sentiva terribilmente la sua mancanza, quella sera più che mai.

Hazel sospirò e dopo un breve attimo di esitazione si alzò in piedi. Non si preoccupò nemmeno di essere presentabile, si infilò un paio di scarpe e dopo aver afferrato le chiavi dell’auto uscì di casa. 

Stava facendo un errore? Poteva darsi. 

Se ne sarebbe pentita? Sicuramente, ma decise di reprimere ogni tipo di razionalità in un angolo ben appartato della sua mente. 

Guidò con il cuore in gola per quindici minuti e quando scese dall’auto si ritrovò davanti alla porta dell’appartamento di Sirius consapevole che se avesse suonato il campanello non sarebbe più tornata indietro. 

Chissà cosa stava facendo in quel momento Sirius. Forse stava dormendo, magari era uscito, o peggio era in compagnia di Kamilah, ma Hazel decise che non era importante: raccolse il coraggio, premette con decisione il dito sul campanello e attese. Passò quasi un minuto prima che la porta si spalancasse. 

- Ciao. - Gli disse subito lei, tormentandosi nervosamente le mani. 

Lui, assonnato e palesemente sorpreso, rimase interdetto per qualche secondo, lì fermo sulla soglia. - Che… ci fai qui? - Domandò, allontanandosi distrattamente una ciocca di capelli neri dal viso. - Stai bene? È successo qualcosa? - 

Hazel scosse la testa e lo fissò con uno sguardo confuso, un po’ come se nemmeno lei sapesse realmente il motivo per il quale si trovasse lì in quel momento. - Posso entrare? - Si limitò a domandare a sua volta. 

Sirius non indugiò nemmeno un secondo, si fece di lato per farla passare, si chiuse la porta alle spalle e si voltò verso di lei, per poterla nuovamente guardare. Hazel indossava un pigiama estivo composto da una canottiera dalle spalline strette e un paio di pantaloncini di cotone su cui erano disegnati quelli che sembravano tanti piccoli unicorni stilizzati. I suoi capelli color cioccolato erano sciolti e selvaggi come un tempo, probabilmente l’umidità di quella sera non aiutava, ma Sirius pensò che fosse molto più bella così, totalmente al naturale, rispetto a quando si impegnava tanto per apparire perfetta. 

- Che ci fai qui? - Le chiese di nuovo.

- Scusa… - Mormorò lei imbarazzata. - Questa è l’ultima notte. Volevo dirti addio. - 

- Vuoi dirmi addio. - Rimarcò Sirius, cercando di leggere tra le righe. 

Hazel annuì e ricambiò il suo sguardo con quei suoi enormi occhi color nocciola, uno sguardo duro e furioso ma allo stesso tempo gentile e rassicurante, annuì. - Sei da solo? - Domandò di getto.

- Sì. Stavo dormendo. - 

- Ti ho svegliato? - 

- Non ti preoccupare. - Rispose alla svelta il mago. Sembrava tutto così strano in quel momento, lei sembrava strana. - Vuoi… una tazza di tè? - 

- No. - Disse bruscamente Hazel, e poi si mosse nella sua direzione, fermandosi molto più vicina di quanto fosse conveniente. 

Le mani di lui allora scattarono sulle sue spalle, quasi come a volerla allontanare e allo stesso tempo tenerla ferma lì di fronte a lui, ma a una distanza di sicurezza. - Domani c’è il tuo matrimonio. - Le ricordò parlando a bassa voce. 

- Lo so. - Ribatté Hazel, stizzita come se non volesse sentirne parlare. - È che ho bisogno di te, ho bisogno di lasciarti andare altrimenti non potrò mai farcela domani. -

Sirius esitò. 

Ma che diamine vuol dire? Perché doveva essere sempre così contorta?

Aveva bisogno di lui, ma anche di lasciarlo andare, era lì in piedi nel suo ingresso, ma era anche a un passo dall’altare. 

Accadde tutto troppo in fretta: lei si avvicinò ancora, si alzò sulle punte dei piedi, prese il suo viso tra le mani e semplicemente lo baciò come se non avesse mai smesso di farlo. 


Hey, persone!

Lo so, lo so, interrompere il capitolo così è una cattiveria, ma nella mia testa ha un senso. Inoltre rileggendo mi sono resa conto che stava uscendo davvero super lungo e forse un po’ pesante quindi dovrete aspettare qualche altro giorno per scoprire cosa sta realmente succedendo. 

Siamo praticamente agli sgoccioli e devo ammettere che un po’ mi dispiace… ma tutto finisce e poi posso sempre scrivere altro. 

Adesso vi saluto, fatemi sapere la vostra opinione se vi va!

J. 

Ritorna all'indice


Capitolo 46
*** Capitolo 45. Andiamo a casa ***


Attenzione! 

Nella prima parte del capitolo sono presenti scene più o meno esplicite di due adulti consenzienti che fanno cose da adulti, il tutto condito da una valanga di paranoie da parte di entrambi. 

Non so scrivere scene di questo tipo dato che non ho mai letto quelli che oggi vengono chiamati romanzi spicy, quindi abbiate pietà! 

(Ovviamente se leggere certe cose vi infastidisce cominciate dopo il primo paragrafo). 


Capitolo 45


Sirius impiegò qualche secondo per capire cosa stesse succedendo. Percepì prima di tutto le labbra di Hazel premute disperatamente alle sue, poi una delle mani minuscole di lei infiltra tra i suoi capelli mentre l’altra era ancora sul suo viso e, infine, quel corpo minuto talmente vicino al proprio da farlo star male. 

Stava succedendo davvero? Lei era davvero lì o quello era solo un sogno? L’aveva desiderata così tanto, aveva passato l’ultimo anno a sognarla e a fantasticare su momenti del genere, e adesso stava capitando, stava capitando per davvero. 

Sirius la sentì sospirare e poi staccarsi dalle sue labbra, e fu solo in quel momento che si decise ad approfondire quel contatto, come guidato da una forza primordiale che per troppo tempo era rimasta assopita. 

Non ci fu il tempo per la dolcezza, quello si trasformò subito in un bacio duro e sgraziato, violento e pieno di impeto. In un secondo Hazel si ritrovò a percorrere la strada che l’avrebbe portata nel letto di lui mentre si svestiva e quando finalmente varcarono la soglia di quella stanza presero entrambi a osservarsi attentamente.  

In piedi uno di fronte all’altra, accanto al letto sfatto e alla luce fioca di una abat jour, Hazel posò una mano sul petto di lui, più o meno all’altezza del cuore, notando che i segni della prigionia, della fame e della disperazione erano del tutto spariti: Sirius non era più magro e malridotto come un tempo, adesso il suo corpo era forte e robusto come era giusto che fosse il corpo di un uomo giovane e in salute. Era bello, non c’era una parola più azzeccata per descriverlo in quel momento, Sirius era bello e consapevole di esserlo, e se non fosse stato per quel numero inciso a sinistra sul suo collo nessuno guardandolo avrebbe potuto pensare che avesse passato dodici anni ad Azkaban. 

Hazel fece scorrere le dita fino a quel punto specifico in cui quel tatuaggio dava mostra di sé e all’istante la mano di lui scattò verso l’alto, fermandola come un riflesso involontario.  

- Scusa. - Le disse subito dopo, lasciandola andare.

Lei annuì in fretta. Erano tanti i punti in cui Sirius detestava essere toccato, ma erano passati così tanti anni dall’ultima volta in cui si erano ritrovati in una situazione del genere che Hazel se n’era quasi dimenticata. 

- Sei diverso. - Commentò guardandolo e lasciandosi scappare un tono compiaciuto. 

Sirius fece uno di quei suoi sorrisi sbilenchi. - Anche tu lo sei. - Rispose con voce roca, e poi fece scorrere una mano lungo la schiena di lei fino ad afferrare con forza una natica. 

Hazel si sentì arrossire come una sciocca ragazzina. - Io sono solo più vecchia. - Disse.

Sirius scosse la testa. - Sei meravigliosa. - 

Hazel rimase zitta e immobile, incapace di trovare qualcosa di sensato da dire o da fare e lui colse l’occasione per guidarla delicatamente verso il letto.

Una volta sdraiata di schiena sul materasso, Hazel si sentì immediatamente trasportata indietro nel tempo. 

Percepiva le labbra di lui sul suo collo: avevano iniziato una lenta e dolce tortura mentre con le mani la accarezzava sotto la maglietta del pigiama, oltre cui non c’era nient’altro che pelle. 

Hazel sospirò e infilò le dita tra i capelli di lui, un gesto che Sirius interpretò come un invito a darle di più. Voleva baciarla ovunque, voleva sentirla ansimare mentre invocava il suo nome e voleva che scegliesse lui, solo lui. 

- Non sono più come tanti anni fa. - Disse Hazel, quando percepì che le labbra di lui erano arrivate molto vicine all'elastico dei suoi slip. - Non sono più giovane e bella come un tempo. - 

Lui alzò lo sguardo su di lei e poi si avvicinò nuovamente al suo viso. - Hazel… non lo senti quanto ti voglio? - Le chiese sussurrando, strusciandosi contro il suo bacino. 

Hazel si sentì mozzare il fiato. - Sì. - Riuscì a dire a malapena. - Però non… non… - 

Sirius la zittì baciandola, lasciando trasparire un bel po’ di impazienza. Fu allora che Hazel capì che non voleva lasciargli il controllo. 

La situazione si ribaltò e in un attimo fu lei a sovrastarlo, finendo a cavalcioni su di lui, liberandosi un momento dopo anche della maglietta del pigiama che ancora indossava.

Colto alla sprovvista da quella intraprendenza, Sirius si lasciò sfuggire un verso sorpreso e sgranò gli occhi: Hazel non era mai stata una tipa spigliata, lui se la ricordava timida e docile come un agnellino, ma si fidava di lui ciecamente e questo gli aveva permesso di bearsi di quel corpo in ogni modo. Ma adesso lei lo stava fissando con sguardo deciso e non sembrava per nulla intenzionata a lasciargli il comando.

In fondo l’aveva detto lei stessa, non era più come tanti anni fa. 

La bocca di Sirius cercò quella di Hazel, che però lo respinse bruscamente, bloccandolo per i polsi. 

- Non ti conviene, ragazzina. - Le disse lui, ancor più sorpreso di un attimo prima, ma anche piuttosto incuriosito.

Lei sogghignò. - Non sono più una ragazzina da un pezzo. - Rispose suadente. 

Iniziò così una vera e propria lotta per il potere, una danza di seduzione e controllo che terminò quando suo malgrado Hazel si ritrovò bloccata sul letto mentre lui alle sue spalle si faceva strada dentro di lei. 

Sirius aveva vinto e lei aveva perso. Aveva perso perché lo stava letteralmente pregando di non fermarsi, perché lo amava ancora e ne era consapevole, e perché gli aveva permesso di prendersi tutto di lei, il suo corpo, ma soprattutto la sua giovinezza, la sua anima, la sua intera vita. 

Aveva vinto lui e adesso lei tremava sotto il suo tocco e ansimava mentre pronunciava il suo nome proprio come lui desiderava.

Sirius sapeva essere un amante perfetto, Hazel non poteva fare a meno di pensarlo mentre assecondava ogni sua spinta, nonstante si odiasse per ciò che stava facendo.

Si odiava, Hazel si detestava, ma d’altro canto il resto delle sensazioni che stava provando in quel momento erano quelle che negli anni aveva sempre cercato in altri uomini, che aveva cercato anche in Percy, senza mai alcun successo.  

Percy… 

Percy, così metodico, ma così poco istintivo. 

Percy, che faceva l’amore con lei come se si trattasse di pura meccanica, che faceva le cose esattamente come ci si aspettava, sempre uguali ma efficaci. 

Percy, che non era una continua scoperta, ma che la faceva sentire come se la cattiveria e il brutto del mondo non potessero più toccarla. 

Ma dall’altra parte - anzi, dietro di lei, in quel caso - c’era Sirius, che in quel momento la stava amando, ma che probabilmente tra qualche giorno si sarebbe lasciato trascinare ancora dalla sua voglia di distruggersi e si sarebbe spento come un fiammifero consumato. Sirius, a contrario di Percy, gli ricordava continuamente che la sofferenza esisteva, che lì fuori il mondo era un posto oscuro e pericoloso, che le persone potevano sempre pugnalarla alle spalle, esattamente come aveva fatto lui anni prima.

Lo amava, ma forse non abbastanza da avere il coraggio di buttarsi, di uscire da quella caverna in cui era al sicuro, ma anche prigioniera. 

Il piacere la invase all’improvviso, cancellando come un’onda ogni doloroso e intrusivo pensiero, e poco dopo per lui fece lo stesso, abbandonandosi stanco sul suo lato del letto, il fiato corto e il volto imperlato di sudore. 

Hazel invece rimase ferma e zitta, il viso rivolto dalla parte opposta rispetto a lui, con la consapevolezza che, se si fosse mossa o se anche solo avesse provato a parlare, probabilmente sarebbe scoppiata a piangere. 

Si sentiva strana, come se dentro di lei ci fossero due persone completamente diverse, una che gridava dalla gioia perché si sentiva finalmente a casa e l’altra che si disperava e chiedeva perdono per l’errore che aveva appena commesso.

Sentì il senso di colpa fare capolino dentro di lei ma quasi immediatamente quella sensazione pungente venne spazzata via dall’ormai conosciuto senso di vuoto che aveva caratterizzato tanti momenti dolorosi della sua esistenza. Era come essere risucchiata in un buco nero, come cadere all’inifinito in una voragine senza fondo in cui non c’era luce, né suono né pensiero. Non provava niente, non le importava più di niente, a stento riusciva ad avere coscienza di sé stessa quando le capitava, e in quel momento si sentiva quasi un tutt’uno con il materasso e il lenzuolo leggero con cui Sirius l’aveva appena coperta. 

- Stai bene? - Le domandò lui cauto, prendendola tra le braccia.

Hazel annuì senza nemmeno voltarsi a guardarlo. Non aveva nessuna voglia di parlare e nemmeno di starlo a sentire, e Sirius se ne rese immediatamente conto, limitandosi a rimanere lì, immobile al suo fianco. 

Era stato sempre così tra loro, non c’era mai stata la reale necessità di riempire il silenzio con parole inutili e vuote. 

Rimasero in quella posizione per un’eternità, stretti l’uno all’altra e sospesi in una dimensione senza tempo, in cui non esisteva nient’altro che loro due. 

Hazel aveva deciso di godere solo delle sensazioni fisiche e fugaci che percepiva lì tra le braccia di lui, perché sapeva che quel momento non si sarebbe mai potuto ripetere. E lui, Hazel lo sapeva, ne era perfettamente consapevole. Lo si capiva dal modo in cui non aveva smesso un momento di accarezzarla, dagli occhi che la scrutavano attentamente e dal piccolo sorriso triste che spuntava sulle sue labbra quando lei ricambiava lo sguardo.

- Che cosa succederà adesso? - Domandò Sirius, ormai a tarda notte, osservando il soffitto attraverso l’oscurità di quella stanza. 

- Niente. - Fu la risposta sussurrata che fornì Hazel. 

- Già. Lo sospettavo. In effetti Weasley rimane la scelta più sensata, visto ciò che desideri. Un matrimonio tradizionale, una famiglia tradizionale, una vita tranquilla e la tua tanto adorata stabilità… con me tutto questo non sarebbe possibile. - 

Hazel non rispose, ancora vittima del suo vuoto e senza la forza di ribattere. 

Lui allora sospirò. Improvvisamente la tristezza lo aveva attanagliato. - Spero che lui possa renderti felice come non ho saputo fare io, Hazel. Lo spero davvero. - 

- Lo spero anche io. - 

 

°°°°°°

 

Il giorno del suo matrimonio Percy Weasley si svegliò di botto, ritrovandosi steso nel suo vecchio letto, nella sua vecchia stanza. Aveva fatto un sogno strano, anzi, un sogno catastrofico, probabilmente dettato dall’agitazione per l’evento del giorno, o forse dall’alcol che aveva bevuto la sera prima, quando i suoi fratelli l’avevano praticamente trascinato nell’unico lurido pub del paese. 

Aveva sognato di danzare con Hazel al centro di una pista da ballo molto affollata. Intorno a loro c’erano tutte le persone che Percy aveva conosciuto nel corso della sua vita, tutti li stavano guardando mentre da qualche parte arrivava una musica che si faceva via via sempre più fioca. Danzavano e poi, all’improvviso, il corpo di Hazel si sgretolò tra le sue braccia come se fosse fatto di sabbia, scomparendo nel nulla. 

Percy sbuffò, si portò le mani agli occhi e si stropicciò il viso prima di alzarsi a sedere, e poi si guardò attorno. Camera sua era rimasta più o meno uguale a quando l’aveva lasciata: c’era ancora la libreria dove erano fieramente esposti i libri più importanti e complicati che aveva letto durante l’adolescenza, c’era ancora la scrivania che l’aveva visto studiare per ore e ore durante le vacanze e le pareti erano ancora tappezzate da quella vecchia carta da parati verde, il suo colore preferito. Era ancora tutto molto ordinato e preciso, forse solo un po’ più polveroso rispetto a molti anni prima. 

Al di là della porta chiusa, Percy sentì la voce di Lucy che gridava contro Janus per chissà quale motivo e questo gli fece capire che forse non era poi tanto presto come pensava. Decise così di alzarsi e lasciare la sua camera da letto per dirigersi prima di tutto verso il bagno. 

Lì una rapida occhiata allo specchio gli fece capire che c’era un bel po’ di lavoro da fare se voleva rendersi presentabile. 

Anche se di primo acchito poteva sembrare di no, Percy Weasley teneva molto al suo aspetto. Gli piaceva essere sempre in ordine e pulito, adorava che i suoi completi fossero sempre impeccabili e le sue camicie sempre perfettamente stirate. Non gli importava un bel niente di essere alla moda, — a contrario di Hazel, che invece vedeva in essa un’altra forma d’arte e che dunque spendeva un sacco di soldi in vestiti, — ma essere ordinato per lui era come un imperativo categorico. Quel giorno non avrebbe di certo fatto eccezione, dopotutto era il giorno del suo matrimonio e voleva essere all’altezza dell’evento. 

Decise così di farsi una lunghissima doccia rigenerante, di radersi e di pettinarsi, prima di scendere in cucina, dove si rese conto che in verità era l’unico, a parte Janus, a essere già fuori dal proprio letto. 

Il ragazzo era in piedi davanti ai fornelli, in attesa che l’acqua per il tè fosse pronta per essere versata. Indossava gli stessi vestiti del giorno prima e teneva la bacchetta infilata nella tasca posteriore dei pantaloni. 

Percy lo fissò per un po’, fermo sulla soglia della cucina, con lo stesso sguardo con cui fissava le sue figlie. Gli voleva bene e sapeva che anche per lui era lo stesso, sapeva che Janus lo stimava e ogni tanto Percy aveva l’impressione che quel ragazzino fosse l’unico che lo trovasse interessante. Percy non era lo zio preferito di nessuno dei figli dei suoi fratelli, non poteva di certo competere con Charlie, George o Bill, ma nemmeno con Ron che era piuttosto bravo con i bambini, ma con Janus era diverso. Certo, ci avevano messo un bel po’ per costruire un rapporto, ma ora eccolo lì, che preparava un tè come se la Tana fosse anche casa sua. 

Quando il bollitore fischiò, il giovane versò l’acqua e fece infondere la bustina, poi tirò fuori la bacchetta, la puntò contro la tazza e… 

- Stai usando la magia fuori dalla scuola, per caso? - Lo interruppe Percy, facendolo sobbalzare. 

Janus si voltò, la bacchetta in una mano, la tazza nell’altra. - Ehm… può darsi? -  

- Lo sai che non puoi farlo, sono le regole. - Lo bacchettò Percy, avvicinandosi. - Manca poco al tuo compleanno, ma hai ancora la traccia addosso. - 

- Sirius dice che è una regola stupida. - 

E ti pareva che Black non avesse un pessimo ascendente sul proprio figlio, pensò Percy. - Che sia stupida o meno va rispettata. - Asserì il rosso con decisione. - Cosa volevi fare? - 

Janus si infilò nuovamente la bacchetta nella tasca posteriore dei pantaloni e poi guardò la tazza. - Non c’è il caffè, quindi pensavo di trasfigurare il tè. - Spiegò. 

- Il caffè è nella dispensa, terzo scaffale… e togli la bacchetta da lì, può essere molto pericoloso. - Gli intimò Percy. - Conosco un mago che si è seduto per sbaglio proprio sulla sua bacchetta. Adesso il suo fondoschiena è ridotto a un colabrodo. Non ti dico il modo in cui è costretto a fare i suoi bisogni adesso. - 

- Come sei catastrofista, Weatherby. - Sogghignò Janus, abbandonando la tazza che aveva in mano sul tavolo e dirigendosi verso la dispensa. - Dimmi, sei emozionato per oggi? - Domandò poi, dopo aver trovato il caffé sullo scaffale. 

Percy ci pensò su per qualche istante, scoprendo che no, in effetti non si sentiva affatto emozionato. Si sentiva però molto felice, quel tipo di gioia che poche volte nella sua vita era riuscito a sperimentare. Si ritrovò a pensare a Hazel, al tortuoso percorso che avevano fatto insieme negli ultimi sette anni, alla malinconia che avevano combattuto insieme e al meritatissimo futuro che li attendeva; se la immaginò vestita da sposa, che gli veniva incontro lungo una navata piena di fiori e di riflesso un sorriso gli incurvò le labbra. 

- Allora? Sei emozionato o no? - Ripeté Janus, sedendosi davanti a lui, con un’altra tazza piena di caffè fumante tra le mani. 

Percy si riscosse. - In verità no. - Rispose tranquillo.

- Ottimo. - Annuì il giovane. - Però quando la vedrai fingi un po’ di esserlo. Lo sai che si lamenta sempre del fatto che sei poco emotivo. - 

- Non è mancanza di emotività la mia. Mi piace semplicemente mantenere un certo contegno, soprattutto davanti agli altri. - Obiettò Percy, e poi si portò la tazza di tè precedentemente abbandonata da Janus alle labbra. - Hazel è il mio esatto contrario in questo, ma se fossimo entrambi inclini alle lacrime ed emotivi come lo è lei allora il nostro rapporto sarebbe un vero e proprio delirio. -

- Sì, come ti pare. - Lo liquidò Janus in fretta, facendo un gesto sbrigativo con la mano. - Tu fingi comunque di essere emozionato, almeno un po’, almeno per oggi. - 

- Non ho alcuna intenzione di fingere il giorno del mio matrimonio. - Replicò lui. - La tua mamma è troppo intelligente, impiegherebbe pochi secondi a rendersene conto. - 

Janus scrollò le spalle con nonchalance. - Il mio era solo un consiglio spassionato. - Buttò lì, fingendo disinteresse. Poi il suo sguardo si posò sul liquido scuro che fumava ancora all’interno della sua tazza. - Vorrei che mamma fosse felice. - 

Percy aggrottò la fronte e poi si tirò su gli occhiali sul naso, un gesto che faceva spesso quando si innervosiva o agitava. - Pensi che non lo sia? - Domandò. 

- Be’, non saprei. Ultimamente l’ho vista un po’ sotto pressione. - Rispose Janus. - Anzi, direi un po’ sotto tono. Un po’ giù di morale, ecco. - 

- Devi sapere che organizzare un matrimonio non è affatto semplice. - Spiegò Percy. 

Janus si limitò ad annuire, poi si portò la tazza alle labbra e bevve. - Sono successe così tante cose nell’ultimo anno. - Disse, senza un reale motivo. - In realtà sono successe tante cose negli ultimi anni. Sembra una vita fa quando eravamo solamente io e lei, mentre adesso… insomma, vi sposerete. - 

- Non dirmi che ho perso la tua benedizione. - 

Janus alzò lo sguardo dalla tazza. - Ma no. - Lo tranquillizzò, come se fosse scontato. - Perce, tu sei quasi come un padre per me e sono felice per voi, davvero. Solo che ogni tanto è difficile, mi sento un po’... fuori luogo. - 

Percy rimase zitto per una bella manciata di secondi, l’espressione illeggibile e lo sguardo fisso su quel ragazzo che, a sua volta, ricambiava quell’occhiata un po’ preoccupato. 

Janus non poteva definirsi propriamente un tipo affettuoso: non si lasciava andare a smancerie, odiava gli abbracci e il suo modo di dimostrare affetto era contorto, difficile da capire, per non parlare del fatto che raramente dava modo a qualcuno di guardargli dentro.

- Non sei fuori luogo. - Ribatté Percy, mantenendo un rigido ritegno pur di nascondere il fatto che si sentiva piuttosto toccato dalle parole del giovane. - Io sarò come un padre per te, ma ti assicuro che tu sei davvero come un figlio per me. Sono molto fiero dell’uomo che stai diventando. Sei un bravo ragazzo. - 

Janus sorrise. - Sì, però adesso sta diventando tutto un po’ strano. - Disse con tono beffardo, prima di alzarsi in piedi. 

Percy arrossì. - E sarei io quello poco emotivo? - Borbottò indignato. - Ti dico che ti voglio bene e tu in tutta risposta te ne scappi! - 

- Mamma dice che ci somigliamo, Perce. - Sottolineò Janus. 

L’uomo aprì la bocca per parlare quando una voce sovrastò ogni suo tentativo di ribattere: 

- Buongiorno! - Urlò allegramente Charlie, appena entrato in cucina e andando dritto verso il fratello. - Ecco qui che arriva il testimone! Sei pronto per sposarti, eh, Perce? Sei pronto? - 

- Chissà se questa volta riuscirai a tenertela una moglie, caro prefetto. - Rimarcò George, varcando la soglia seguito subito dopo da Bill e Ron. 

- Cosa ci abbia trovato Hazel in te è tutt’oggi un mistero. - Disse il primo.

- E perché Audrey? Miseriaccia, è incredibile che Percy abbia tutto questo successo con le donne! - Rincarò la dose Ron

Percy alzò gli occhi al cielo, mentre Janus sogghignò divertito, certo che quella sarebbe stata una mattinata molto interessante. 

 

Qualche ora più tardi la casa di Hazel si era piena di gente, ma lei si era rifugiata in camera sua, seduta sul letto in silenzio, proprio davanti allo specchio che faceva da anta all’armadio. Stava fissando il suo riflesso da qualche minuto, studiando attentamente il suo viso ben truccato che le faceva risaltare la profondità dei suoi grandissimi occhi scuri, la sua acconciatura da sposa che le raccoglieva i capelli color cioccolato in uno chignon morbido e adornato da una sorta di fermaglio di perline. 

Al suo fianco, abbandonato sul letto, il suo abito era pronto per essere indossato, proprio come le scarpe, ben sistemate in un angolo della stanza. 

Hazel sospirò e dopo essersi fatta coraggio si alzò in piedi. Si spogliò con lentezza e di nuovo si guardò allo specchio. Non si era mai sentita bella, mai, neppure una volta in vita sua. Era sempre stata troppo bassa, il suo corpo non era mai stato particolarmente atletico nonostante le corse che faceva ogni singola mattina, inoltre la gravidanza le aveva lasciato una montagna di smagliature e inestetismi. Ma era il suo viso il problema: i suoi occhi erano troppo grandi, il suo naso troppo piccolo, inoltre non le piaceva per niente il suo sorriso, lo riteneva troppo proponente per stare sulla sua faccia. 

Sapeva che Percy si era innamorato di lei per il suo cervello, per la sua personalità, ma aveva sempre avuto il sospetto che in realtà lui non la trovasse un granché attraente. La loro relazione era nata tra le pagine dei libri di filosofia, era cresciuta nelle gallerie d’arte, ma Hazel non aveva mai percepito tra loro quella scoppiettante fiamma fatta di desiderio e passione. Percy non l’aveva mai guardata come la guardava Sirius, neppure all’inizio.

Hazel fece scorrere le dita lungo il suo collo fino a un punto preciso sul seno destro, dove un segno violaceo gridava al mondo ciò che era successo la notte prima. 

Dannato idiota, pensò, mentre riviveva nella sua testa quel disperato amplesso. Aveva dimenticato quel lato di lui, quei marchi che Sirius le lasciava sulla pelle come un monito per gli altri; “lei è mia” sembravano gridare. 

Ma non era sua. Lei non era di nessuno se non di sé stessa, o almeno era questo ciò che si ripeteva. 

Quando si era svegliata nel letto di Sirius, qualche ora prima, si era resa immediatamente conto della persistenza del suo senso di vuoto, quella conosciuta sensazione di non essere del tutto presente a sé stessa. Le capitava spesso quando ciò che le accadeva attorno non le piaceva, ma anche quando la vita diventava troppo per lei. 

Si era rivestita senza fare rumore, lo aveva guardato nella penombra di quella camera da letto per qualche minuto, aveva posato piano le labbra sulla sua guancia per l’ultima volta e poi aveva lasciato quella casa senza provare nulla. 

Nulla, ecco cosa provava anche in quel momento. Non c’era tristezza, non c’era felicità, non c’era neppure il senso di colpa. Nulla. E a lei andava bene così, visto che non provare nulla l’aveva aiutata a sopravvivere parecchie volte.

La porta alle sue spalle si aprì all’improvviso facendola sobbalzare, e Ninfadora Tonks apparve sulla soglia nel suo abito da damigella rosa perla, che le stava talmente bene da sembrare disegnato solo per lei. I suoi capelli erano castani e il suo aspetto in generale era insolitamente ordinato. - Hai bisogno di una mano con l’abito? - Domandò la strega, sorpresa di vederla ancora svestita. 

Hazel si limitò ad annuire e Tonks allora entrò e si chiuse la porta alle spalle. 

- Sai, non mi aspettavo che fare da damigella fosse così stancante, ma è anche molto più divertente di quanto immaginassi! - Disse, tirando su l’abito di Hazel dal letto. 

Hazel nuovamente non rispose. Non aveva molta voglia di parlare in quel momento, era troppo faticoso scavalcare la barriera emotiva dietro cui si era rifugiata. 

Si infilò in quel vestito color champagne dalla linea semplice ed essenziale e ancora una volta rivolse lo sguardo allo specchio. 

- Ecco qui. - Fece Dora tutta soddisfatta, dopo aver abbottonato per bene tutta la fila di piccolissimi bottoni perlati sulla schiena. Quando dopo alzò lo sguardo sullo specchio, incrociando gli occhi di Hazel, sorrise. - Sei bellissima. - 

Le labbra di Hazel si strinsero in una smorfia un po’ insoddisfatta. Non si sentiva affatto bella, in realtà, mascherata in quel modo, si sentiva un po’ come un’attrice in attesa di esordire su un importante palcoscenico. Si sentiva la protagonista di un grande inganno, di una stupida falsa. 

Hazel si lasciò sfuggire un sospiro sconsolato e Dora, alle sue spalle, adocchiò il riflesso del suo viso con uno sguardo indagatore. - Se hai cambiato idea è questo il momento per dirlo, lo sai questo, vero? - Disse all’amica, facendole un sorriso. 

- Lo so. - Si limitò a rispondere Hazel, atona. - Ma non ho cambiato idea. - 

- Bene. Meglio. - Annuì Tonks. - Sono passata alla Tana poco fa. C’è un caos… Percy è tranquillo, ma vuole che sia tutto perfetto. Molly invece è molto felice del fatto che l’ennesimo dei suoi figli si stia finalmente per sistemare come lei desidera, di sicuro le prenderebbe un colpo se tu abbandonassi il suo Perce all’altare. - 

Già, non mi ci far pensare, Dora, pensò Hazel, percependo per la prima volta una vaga sensazione di disagio afferrarle le viscere. Scappare via in quel momento non solo avrebbe fatto soffrire Percy, ma anche i signori Weasley, mentre probabilmente Ginny e gli altri non l’avrebbero mai più guardata in faccia. Per non parlare di Janus… che cosa avrebbe pensato suo figlio se avesse scoperto ciò che aveva combinato la sera prima? 

Hazel rabbrividì e subito si affrettò a distaccarsi da quei pensieri.

- Adesso manca solo Charlie. - Disse nel tentativo di distrarsi e parlando con fare piuttosto allusivo.

Dora si limitò a ridacchiare. 

- Avanti, Dora, perché non gli dai una possibilità? Una sola, piccola piccola? - La spinse Hazel, voltandosi verso la strega. - Charlie è un figo, avete già un trascorso e, come se ciò ancora non bastasse, Teddy lo adora. Cosa ti frena? - 

- Tantissime cose. - Buttò lì Tonks. - Ad esempio il fatto che sarebbe un vero e proprio cliché: io sono la damigella e lui il testimone dello sposo. - 

- Appunto! È un destino segnato il vostro! - Rise Hazel. - Sareste adorabili insieme. - 

Dora alzò gli occhi al cielo e scosse la testa. - È che Charlie non è proprio il mio tipo. - Disse storcendo il naso. - Se proprio devo uscire con qualcuno allora sceglierei quel tuo collega… quello che insegna filosofia morale, hai presente? - 

- Certo, il professor Wallace, quello che somiglia a Remus. - Insinuò Hazel. - Anche io sono uscita con uno che somigliava a Sirius, molti anni fa. L’ho detestato. - 

- Non somiglia affatto a Remus! - Esclamò Tonks. - Devi sapere che gli insegnanti mi hanno sempre colpito molto. Credo di aver avuto perfino una cotta per Piton, ad un certo punto, mentre ero a scuola… non giudicarmi! - 

Hazel rise. - Mi dispiace ma io tifo per Charlie, scusa. Non sarà un insegnante, ma alleva draghi, e poi è pur sempre il mio futuro cognato. - 

Tonks sbuffò. - Per Tosca… sei peggio di mia madre e Molly messe assieme, Hazel. - Borbottò, fingendosi infastidita, prima di aprire il suo viso a un gran sorriso divertito.

Anche Hazel sorrise per un attimo, prima di tornare a lasciarsi prendere dall’apatia che aveva caratterizzato le ultime ore. - È ora, non è vero? - Chiese all’amica. 

Tonks annuì. - Sì… sembra che pioverà, quindi ci sarà un bel po’ di traffico: vale la pena uscire un po’ prima. - Spiegò. 

- Dannata Gran Bretagna, guarda te se deve piovere in pieno luglio, proprio il giorno del mio matrimonio. -

 

Sebbene non ci fossero iconografie né simboli sacri, la sala in cui si sarebbe svolto il matrimonio sembrava proprio una chiesa. Si trattava di un ampio spazio rettangolare, dai tetti alti e dal pavimento di marmo, in cui erano state sistemate due lunghe file di panche. Lì, nel mezzo, un tappeto bianco portava a una sorta di altare posto in fondo insieme a due sedie ben decorate da un immacolato tessuto bianco. 

Anche se il tempo si era più o meno ripreso rispetto all’inizio della mattinata, quel giorno di luglio decisamente non si presentava agli invitati come una tipica giornata estiva; e meno male, pensava Janus, che con la giacca, la camicia e la cravatta stava morendo di caldo, mentre si sventolava con lo spartito spiegazzato della canzone che avrebbe dovuto suonare di lì a poco. 

Quasi tutti gli invitati erano arrivati: Janus riconobbe suo zio Chris con la moglie Rosemary e il loro figlio di due anni di nome Archie, un paio di amiche babbane di sua madre e un’infinità di facce poco note. In mezzo a quel gruppo variegato, i maghi potevano essere riconosciuti lontani un miglio, dato che si sforzavano così tanto di apparire normali da sembrare strani. La signora Weasley, ad esempio, che aveva fatto del suo meglio per comprare un abito da cerimonia che fosse in linea con la moda babbana, indossava un tailleur giallo canarino, con tanto di cappellino, che la faceva sembrare una parodia della regina Elisabetta; il signor Weasley, invece, che per fortuna si era affidato completamente al gusto estetico di Hazel, passava più inosservato nonostante la sua volontà di parlare con più babbani possibili. Una che si faceva decisamente notare era invece Fleur, che era seduta insieme a Bill e al resto della famiglia Weasley nella fila di destra, attirando decine di sguardi anche grazie allo stupendo abito color oro che aveva scelto di indossare per l’occasione. 

E poi, ovviamente, c’era Percy, molto in tiro quel giorno, con i capelli rossi più folti di quanto non fossero mai stati da quando Janus l’aveva conosciuto, probabilmente grazie a  un qualche incantesimo o a quale elaborata pozione, e vestito di tutto punto. Camminava avanti e indietro guardando insistentemente l’orologio che Charlie portava al polso, e borbottando di tanto in tanto una cosa come “è in ritardo” o “ma quando arriva?”.

- Credo che mi sono innamorato. - Disse improvvisamente Teddy, sedendosi accanto al cugino e tenendo lo sguardo dritto verso i Weasley. 

Janus gli scoccò lo sguardo di tralice. - E di chi? - Chiese, senza capire. 

- Ma come di chi? Guardala! - Esclamò il ragazzino, e i suoi capelli presero una vaga sfumatura rossastra. - Victoire è bellissima! - 

- Preferisco Fleur. - Commentò il Grifondoro. 

- Fleur? Ma è vecchia. - Ribatté Teddy, facendo una faccia scettica. - Mentre Vic… spero così tanto che venga smistata in Tassorosso a settembre! - 

- Non credo, le manca l’umiltà per essere una Tassorosso. - Rispose Janus. - Credo che finirà banalmente in Grifondoro come ogni Weasley che si rispetti, a parte Molly. - 

Dicendo questo, lo sguardo di Janus si posò proprio sulla giovane Corvonero, che se ne stava seduta tra i suoi familiari indossando un grazioso vestito verde pastello che le donava parecchio e che la faceva sembrare molto più carina del solito. Janus pensò che probabilmente Ted era pazzo se preferiva Victoire a una come Molly. 

- Come faccio a conquistarla? Come faccio a conquistare Vic, secondo te? - Gli chiese ragazzino, teatralmente disperato. 

- Non ne ho la più pallida idea. - Rispose lui. 

- Tu come hai fatto con Faye? - 

Janus cercò tra la folla la giovane Serpeverde e quando la trovò, un po’ in disparte in un angolo della grande sala, gli venne spontaneo di sorridere, pensando che quella di Ted era proprio una bella domanda. - Dovresti chiedere consigli del genere a Harry, non a me. - Rispose infine. - Anzi no, forse dovresti chiedere a Sirius. Lui è un grande esperto di donne. - 

Teddy aggrottò la fronte. - Tu dici? - Fece, scettico. 

- Sì, ti assicuro che è bravo in queste cose. - Annuì Janus. - Mi ha detto di ignorare Faye e di mettermi con un’altra e qualche mese dopo… -

- E oggi, che tu sappia, Sirius verrà? - 

Prima che Janus potesse aprir bocca per dire qualcosa, la risposta a quella domanda si palesò a qualche metro da loro e il ragazzo fece un cenno verso la porta d’ingresso di quella grande sala. Sirius Black aveva appena varcato quella soglia con l’espressione di uno che si era proprio costretto a essere lì. 

Janus vide suo padre salutare il resto degli invitati velocemente e un po’ controvoglia, poi Sirius diede una pacca sulla spalla a Harry, che a sua volta scambiò con il padrino uno sguardo di vicinanza, e dopo si avvicinò a lui e Ted.

- Alla fine sei venuto. - Osservò Janus, con un fare soddisfatto. 

- Già. La mia tendenza a torturarmi è ormai universalmente nota, quindi sì. - Borbottò l’uomo, lasciandosi cadere tra i due giovani. 

- Non vuoi che Hazel e Percy si sposino? - Chiese innocentemente Teddy. 

Sirius guardò il piccolo Lupin con uno sguardo di perplessità mista a sorpresa. - Vuoi sapere la verità? - Disse un istante dopo, parlando a bassa voce come se si trattasse di un segreto. - Sono qui solo per portarla via nel caso cambiasse idea. -

- Quindi niente discorso in stile commedia americana? - Domandò Janus.

- Direi di no. Almeno nulla di preparato. - Buttò lì Sirius, scrollando le spalle. - In tutta sincerità, ragazzo, non so nemmeno cosa ci faccio qui. - 

Janus si lasciò scappare un’espressione apprensiva, ma non fece in tempo a consolarlo: 

- Sta arrivando! - Esclamò la voce eccitata di Ginny, attraversando la navata per andarsi a sedere accanto al marito e ai tre figli. 

Sirius sospirò e, più lugubre che mai, raggiunse il resto degli invitati, sedendosi assieme a Teddy, Andromeda e Faye sulla fila di destra. 

In fondo alla sala, dietro il piccolo altare, si palesò una donna di mezza età che diede a Janus il segnale per iniziare a suonare e poco dopo la porta si spalancò e Hazel apparve sulla soglia, con il suo bell’abito color champagne indosso. 

Non era come ci si aspettava che fosse una sposa, non era radiosa ne tantomeno tesa, era però aggraziata e veramente molto bella. Avanzò lungo il tappeto bianco senza guardarsi attorno, mentre Percy la osservava talmente estasiato che Janus, mentre suonava quella canzone romantica, si sentì ancor più in colpa per aver più volte suggerito a suo padre di sabotare quel matrimonio. Dopotutto se una persona ti guarda in quel modo vuol dire solo una cosa, cioè che ti ama, ed era questo ciò che lui voleva per sua madre: voleva solo che fosse amata. Forse era giusto così, era giusto che quei due stessero insieme, in fin dei conti Percy aveva ragione, si compensavano. 

Sì, quel matrimonio doveva essere celebrato.

Quando Hazel arrivò all’altare rivolse un sorriso allo sposo, Janus invece posò il violino nella custodia e poi raggiunse la panca in cui sedeva suo padre che guardava verso i due come se stesse per assistere a un'esecuzione capitale. 

La celebrante iniziò il rito parlando di Hazel e Percy, di quanto due individui così affini si fossero trovati e amati nonostante le difficoltà delle loro esistenze, nonostante i loro dolori, per poi terminare il discorso parlando di quanto importante, solenne e impegnativa fosse la promessa di stare insieme per tutta la vita. 

Sirius sospirò e Janus lo guardò in ansia, chiedendosi cosa diamine avrebbe dovuto fare nel caso in cui suo padre si fosse davvero alzato per interrompere quel matrimonio. Avrebbe forse dovuto lasciarglielo fare? Sarebbe stato un vero e proprio disastro, anche se… no, no, no, nessun “anche se”! Tua madre è felice così, quindi tu devi accettarlo, stupido idiota che non sei altro!

- … e adesso è il momento dello scambio delle promesse. Percy… - 

Percy si infilò prontamente una mano nella tasca interna della giacca e tirò fuori un foglio di pergamena su cui sembrava aver scritto un vero e proprio poema, strinse la mano di Hazel, prese un respiro profondo e iniziò a leggere con tono solenne:

- Sono passati quasi sette anni dalla sera in cui ci siamo conosciuti. - Iniziò, la voce inclinata dall’emozione e tenendo gli occhi fissi sul foglio. - Sono passati sette anni, ma io ricordo tutto. Ricordo che indossavi un grazioso abito dai colori autunnali che ti arrivava all’altezza delle ginocchia e che riprendeva deliziosamente la sfumatura ambrata della tua carnagione, ricordo che sono rimasto subito affascinato da te, dal modo in cui parlavi di ciò che ti appassionava, ma soprattutto ricordo che nei giorni successivi al nostro primo incontro non ho fatto altro che pensare a te. Ricordo di aver pensato che tu fossi la persona più interessante che io avessi mai conosciuto e quando poi abbiamo iniziato a uscire insieme mi sono detto fin da subito: “eccola, è proprio Lei”. Tu mi hai sollevato dagli anni più orrendi della mia vita, hai riempito la tela della mia esistenza con i colori più belli del mondo, ma da una come te non potevo aspettarmi altro, no? Tu sei la mia artista preferita ma lo saresti anche se non dipingessi, perché hai reso la mia vita un vero e proprio capolavoro. - Percy prese un attimo di pausa, alzò gli occhi dal foglio e di sfuggita rivolse un’occhiata ai suoi familiari, — notando che sua madre si stava asciugando le lacrime, commossa, — e poi guardò Hazel, che a sua volta gli restituì lo sguardo. 

Gli sembrava un po’ strana, Hazel, come se fosse… distratta. Ad ogni modo Percy decise che forse era solo un po’ emozionata e riprese a leggere: 

- Adesso potrei dirti che spero che sia per sempre, che spero di invecchiare con te, ma non avrebbe senso. Non avrebbe senso perché io so che sarà così. - 

- Che marea di stronzate. - Sussurrò intanto Sirius tra sé e sé. 

Janus gli rivolse un’occhiata terrorizzata, ma non ebbe il coraggio di contraddirlo.

- … tu mi hai insegnato l’importanza della flessibilità, mi hai ridato quella spensieratezza che forse non ho mai avuto e per questo ti amo. Grazie di essere mia, Hazel. Spero di essere all’altezza dell’amore che meriti. - 

Ci fu una sorta di sospiro sognante generale accompagnato da un lungo “oooh” da parte della maggior parte degli invitati, ma Hazel rimase impassibile, come se non avesse sentito una singola parola tra quelle pronunciate da Percy. 

Rimase ferma e zitta per una manciata di secondi, solo quando poi la celebrante le passò il microfono sembrò riscuotersi. Si voltò verso gli invitati, guardò i signori Weasley, entrambi commossi e felici, Ginny e Charlie, che ormai erano i suoi fratelli acquisiti, guardò Janus, e infine i suoi occhi si posarono delicatamente sul volto di Sirius, che scosse la testa in un movimento impercettibile nella sua direzione.

Percy le aveva rivolto parole meravigliose e tutto ciò a cui lei riusciva a pensare era il fatto che quel sentimento lei lo provava per un altro uomo, che per giunta era lì, era vivo e vero. Quando tornò a guardare Percy capì che non poteva ingannarlo oltre, che non avrebbe retto quella falsa per tutta la vita.

- Non posso. - Si limitò a dire in un filo di voce. - Mi dispiace, Perce. - Poi proseguì, rivolgendosi stavolta agli invitati: - Non ci sarà nessun matrimonio. - 

Nel tumulto generale che aveva appena provocato, Hazel si allontanò dall’altare e si mosse verso Sirius quasi correndo. 

Guardò prima Janus, che le sorrise di rimando come mai aveva fatto prima d’ora e solo in quel momento Hazel capì che in realtà quella era sempre stata quella la scelta giusta. 

- Andiamo. - Ordinò a Sirius, con il fiato corto, prendendolo per mano. 

Lui non se lo fece ripetere due volte, la seguì come se non avesse atteso altro e a nessuno dei due importò cosa stesse accadendo alle loro spalle. Semplicemente lasciarono quella sala ben addobbata e per la prima volta dopo tanto tempo Hazel sentì tutto. Fu come se tutto ciò che aveva assopito per anni, la tristezza, la rabbia, la gioia e il sentimento smisurato che provava per Sirius le fosse finalmente scoppiato nel petto. 

- Allora, dove andiamo? - Le domandò lui, una volta raggiunta la moto. 

- Scozia. Andiamo a casa. - Rispose rapidamente lei. - Avanti, parti! Su, parti, parti, parti, prima che cambi idea! - Esclamò, quando la folla degli invitati li raggiunse all’esterno. 

- E Scozia sia. - Annuì Sirius. - Tieniti forte, se cadi da qui sarà complicato recuperarti viva. - 

Spiccarono il volo e Hazel rise e gridò spaventata allo stesso tempo. Si strinse al corpo di lui e una volta presa un po’ di quota il vento spettinò i suoi capelli e la liberò dal velo, che cadde nel bel mezzo dello spiazzo sotto di loro, ai piedi di un affranto Percy Weasley. 



 

Ciao persone, ben ritrovate. 

Teoricamente questi dovevano essere due capitoli, ma dato che sono praticamente la Queen dei capitoli di passaggio ho deciso di unirli per non allungare ulteriormente le cose, spero che non vi sia dispiaciuto. 

Ad ogni modo manca sempre meno (a dire la verità manca un capitolo e l’epilogo, che credo dovrò dividere in due parti, ma non lo so dato che non l’ho ancora scritto) e poi ci saluteremo, anche se credo che mi rivedrete presto su efp con qualcosa di nuovo o magari con qualche one shot, dato che di sicuro sentirò nostalgia di questa storia. 

Fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo o della storia in generale,

J. 

Ritorna all'indice


Capitolo 47
*** Capitolo 46. La lista ***


Capitolo 46

 

Che Janus Black si sentisse facilmente in imbarazzo era ormai un fatto conclamato. Peccato che quel pomeriggio, mentre tutti alla tana si stavano occupando di consolare (o prendere in giro, dipendeva dal caso) Percy, il ragazzo non poté far altro che sentirsi totalmente fuori luogo. 

Si era scatenato un vero e proprio caos da quando sua madre aveva deciso di volare via sulla motocicletta di Sirius: i babbani presenti alla cerimonia, nel panico per aver visto con i loro occhi una vera e propria magia, erano stati trattenuti fino all’arrivo e al successivo intervento di una vasta squadra di obliviatori, gli altri invitati, scossi e increduli, avevano iniziato a rivolgere a Janus sguardi davvero molto difficili da decifrare, mentre la famiglia Weasley si era ritrovata a dover badare al figlio della donna che aveva spezzato il cuore di uno di loro. Janus così aveva rimandato Faye a casa e si era limitato, seppur a malincuore, a obbedire agli ordini di Percy, che lo aveva riportato alla Tana insieme agli altri. 

In quel momento, in quella casa, c’era una strana atmosfera, un’aria che Janus non aveva mai respirato prima tra quelle mura. Nessuno sembrava avere una gran voglia di parlare, ma di sicuro nessuno sembrava avere il coraggio di parlare proprio di ciò che era successo solo poche ore prima. Se ne stavano semplicemente tutti lì, una massa di capelli rossi e lentiggini, riuniti attorno al vecchio tavolo sgangherato mentre Janus li osservava in disparte dalla poltrona accanto al camino, riempiendo il silenzio con argomenti frivoli come il quidditch o l’ultimo album delle Sorelle Stravagarie. 

Janus voleva andare a casa, dar loro lo spazio necessario per parlare male di Hazel, dato che nessuno si era ancora azzardato a farlo, ma Percy aveva tagliato corto dicendo che non aveva nessuna intenzione di lasciarlo da solo a Londra mentre sua madre e suo padre erano chissà dove. 

Peccato che stare lì in quel momento si stava rivelando per Janus molto più complicato del previsto.

Aveva sempre sentito nel profondo del suo cuore di non essere davvero parte di loro, non importava quanti maglioni Weasley avesse a casa, lui non era parte di loro e forse per questo non era mai riuscito a essere del tutto contento del matrimonio tra Percy e sua madre. Eppure la reale consapevolezza di essere un estraneo gli stava letteralmente spezzando il cuore. 

Chissà quante cose sarebbero cambiate da quel giorno in poi, si ritrovò a pensare Janus quando il suo sguardo finì su Molly e Lucy, vicine e stranamente unite nella malinconia di quel pomeriggio. 

Detestava i cambiamenti. 

Percy invece se ne stava poco distante dalle due figlie, seduto tra Charlie e Bill, gli occhi su una fetta di torta di melassa ancora intatta pur di non incontrare quelli dei suoi familiari. Doveva sentirsi così umiliato… 

Janus avrebbe voluto davvero dirgli qualcosa, ci aveva persino provato qualche ora prima, ma aveva l’impressione che ogni parola sarebbe stata vana. Inoltre sarebbe stato davvero un po’ ipocrita da parte sua dire che gli dispiaceva, dato che aveva più volte consigliato e spinto suo padre verso sua madre, eppure era così, gli dispiaceva.

- Janus, caro, vuoi una fetta di torta? - Gli domandò cordialmente la signora Weasley, riportandolo alla realtà. 

- No, grazie, signora Weasley. - Si affrettò a rispondere lui, sentendosi ancora peggio. 

Perché era ancora lì? Non poteva crederci che sua madre lo avesse lasciato in quella situazione ambigua senza nemmeno preoccuparsi di scrivergli un messaggio. Non aveva idea di dove fosse, non poteva neppure controllare che stesse bene dato che non poteva andarla a cercare. O forse poteva? Gli sarebbe bastato uscire e poi volare fino a Londra, controllare se Hazel e Sirius fossero a casa, rimanere con loro. Ma questo voleva dire scappare via, non seguire gli ordini di Percy, forse farlo anche preoccupare. 

- Credete che uscirà qualcosa sulla Gazzetta del Profeta, domani? - Chiese Percy, con gran sorpresa di tutti, dato che non aveva aperto bocca da quando avevano raggiunto la Tana qualche ora prima. 

Nessuno parlò per qualche secondo, ma Janus notò degli sguardi sfuggenti nella sua direzione, come se la sua sola presenza in quella stanza limitasse la libertà di esprimersi di tutti gli altri. 

- Già immagino i titoli… è così umiliante. - Proseguì Percy, prendendosi la testa tra le mani. - Non so come ho fatto a non capire tutto, era così ovvio, sono uno stupido! - 

- Non è colpa tua Perce. - Disse Charlie, cercando di consolarlo. 

- Infatti è tutta colpa di Hazel. - Si mise in mezzo Ron, beccandosi un calcio da sotto il tavolo da parte di Ginny e un’occhiataccia da Hermione. - Che c’è? È la verità! - 

- Puoi smetterla, Ron? - Sbottò Hermione, prima di lanciare uno sguardo eloquente verso Janus. - Non è il caso di parlarne adesso, non credi? -

Ron borbottò qualcosa sottovoce e incrociò le braccia sul petto. Di nuovo su tutta la Tana cadde il silenzio. 

Janus sospirò e poi il suo sguardo finì su Harry, anche lui in disparte e chiaramente a disagio. Era chiaro quanto anche per lui quella situazione fosse complicata, dopotutto Sirius era il suo padrino, ma i Weasley erano la sua vera famiglia. Harry non voleva schierarsi e nemmeno Janus voleva farlo. 

- Vado a prendere un po’ d’aria. - Li informò il giovane, cercando di mantenere un tono rilassato, alzandosi in piedi. 

Non poteva rimanere lì, era troppo imbarazzante e anche un po’ doloroso. Non voleva salutarli, ma sapeva che probabilmente non avrebbe mai più rimesso piede in quel posto. Era tutto finito, non avrebbe più partecipato a nessuno dei prossimi compleanni di Molly e Lucy, non avrebbe più festeggiato il Natale mangiando i biscotti  della signora Weasley e non avrebbe mai più aiutato il signor Weasley con la tecnologia. 

Janus fece appena in tempo a mettere piede fuori dalla Tana quando una voce squillante e chiara lo fermò. Quando si voltò notò la presenza di Molly. 

- Stai andando via, vero? - Domandò la ragazzina, raggiungendolo nel cortile. 

Janus annuì. Non aveva voglia di mentire, non a lei. - È troppo strano rimanere qui. - 

- E te ne saresti andato senza dirmi nemmeno ciao? - 

Ti prego, Polly, non farmi questo. 

- Ma noi due ci vediamo a scuola a settembre. - Rispose Janus, sorridendole, o almeno tentando di farlo. - Non ce la faccio a restare qui, mi sento fuori luogo. - Ammise. 

Molly lo guardò con apprensione. - Perché, Jan? Sei a casa. - Disse. 

Lui scosse la testa. - Non sono a casa. - Ribatté. - Non sono uno di voi e non sono davvero tuo fratello. È tutto troppo strano, voglio andare a casa mia. - 

- Oh. - Mormorò Molly, facendo un passo indietro. Sembrava un po’ turbata dalle parole di lui, ma Janus ebbe l’impressione che la ragazzina non volesse darlo a vedere. - Noi due… non ci vedremo mai più. - 

Janus so lasciò scappare un piccolo sorriso intenerito. - A settembre ricomincia la scuola, te l’ho detto. Non cambierà nulla. - La tranquillizzò, mettendole una mano sulla spalla. 

- Ma è il tuo ultimo anno. - Gli ricordò lei. - Dopo tu andrai al college come vuole Hazel, troverai un lavoro al Ministero e non ci vedremo mai più, lo so. -  

- Ti verrò a trovare durante le uscite a Hogsmeade. - Decise Janus. - Almeno finché non preferirai uscire con qualche bel ragazzo invece che con me. - Aggiunse sorridendo. 

- Non credo che ciò succederà mai. - Obiettò Molly. - I ragazzi sono cattivi con me, e preferiscono tutti Lucy, lo sai. Lei è quella bella. - 

- A parte che siete praticamente identiche; certo a parte gli occhi, che poi sono meglio i tuoi dato che i suoi sono banalmente azzurri. Ma se fossi uno dei tuoi compagni di classe io sceglierei te senza doverci pensare un secondo. - Rispose Janus. 

- Tu sei completamente folle, lo sappiamo ormai. - 

- Ne parleremo tra qualche anno, quando sarai piena di pretendenti. - Sogghignò lui. 

Molly abbozzò un sorriso un po’ imbarazzato e poi prese a guardare a terra, come se nelle sue scarpe laccate comprate proprio per il matrimonio ci fosse qualcosa di molto interessante. Non aveva molti amici, in verità si trovava male con la maggior parte dei suoi coetanei, mentre le altre persone le parlavano come se fosse solo una bambina, ma con Janus era sempre stato diverso. Lui l’aveva sempre trattata come una sua pari, fin da subito. Era il suo unico vero amico e a lei non importava ciò che era successo tra i loro genitori, semplicemente non voleva perderlo. 

- Adesso è meglio che vada. - Parlò lui guardandola dritto negli occhi, rompendo quel silenzio che si era venuto a creare. - Ci vediamo il primo settembre, ma se hai bisogno di me scrivimi, d’accordo? - 

Molly annuì e le sue labbra si piegarono verso il basso. 

- Ti voglio bene, Polly. Tanto. - Aggiunse Janus, prima di abbracciarla forte. 

Lei sgranò gli occhi. Non si aspettava quel contatto e questo la fece sentire un po’ strana, anche se non riusciva a spiegarsi il perché e questo la infastidì: lei sapeva sempre il perché delle cose, era il suo piccolo superpotere. 

- Di’ a Percy che mi dispiace. - Riprese Janus, quando fece un passo indietro. - E che… che mi mancherà. Mi mancherete tutti, persino Lucy. - 

Si fissarono per qualche altro secondo e poi lui si trasformò e prese il volo, lasciandola sola nel mezzo del giardino della Tana. 

 

Volò senza mai fermarsi almeno per due ore prima di riuscire ad atterrare sul davanzale di una delle finestre di casa sua, prima di accorgersi che lì non sembrava esserci né traccia di sua madre, né traccia di Sirius. Janus pensò così che i due potessero trovarsi a casa di lui ma non li trovò neppure lì. 

Era ormai quasi sera, il sole stava calando e, dopo aver vagato per un po’ senza nessuna meta in giro per Londra, Janus si trasformò di nuovo in un corvo e si lasciò guidare dalle proprie ali fino all’inoltrata campagna a nord della città. Si sentiva strano, aveva bisogno di un posto in cui stare e, nonostante sarebbe stato facile aprire la porta di casa sua con un incantesimo, non voleva essere da solo; per questo fu felice quando riuscì finalmente a trovare casa di Faye. Non era mai stato lì, ma per fortuna tutte le lettere che negli anni si erano scritti gli avevano permesso di imparare a memoria l’indirizzo. 

La famiglia Selwyn viveva in vecchio maniero dall’aria dimessa, ma che un tempo doveva essere stato molto sfarzoso. L’edera si arrampicava fitta su una delle possenti mura, il giardino era trascurato e pieno di erbacce e la fontana proprio davanti all’entrata principale era vuota e piena di foglie secche trasportate lì dal vento. Sembrava un posto infinitamente triste, oscuro e anche un po’ malinconico, parole che Hazel aveva usato spesso per descrivere Grimmauld Place al proprio bambino, quando Janus faceva domande su suo padre e sulla vecchia casa in cui aveva passato vissuto insieme. 

Janus volò intorno a quella massiccia struttura, cercando di capire quale di quelle tante finestre fosse quella della camera di Faye. Scoprì che al piano di sotto c’era sia il padre, sia lo zio della ragazza, due uomini che erano uno l’opposto dell’altro nell’aspetto, ma che in comune avevano un’espressione piuttosto minacciosa. Il primo, suo padre, aveva i capelli radi di un castano molto scuro che gli ricadevano flosci su que spalle, la fronte alta e un naso largo e storto, come se qualcuno glielo avesse rotto, suo zio materno, l’uomo che si era preso cura di lei mentre suo padre era ad Azkaban, era invece di bell’aspetto, biondo e curato, il viso rasato che richiamava i tratti della Serpeverde. Janus sapeva che era lui il più crudele dei due, quindi forse non era il caso di suonare il campanello e chiedere di Faye, come avrebbe fatto in circostanze normali. Probabilmente, se solo sua madre non fosse stata una babbana, ma una strega purosangue, allora i parenti di Faye sarebbero stati molto entusiasti della loro relazione. 

La camera della ragazza si trovava al secondo piano, nell’ala ovest di quello che era quasi un castello. Janus volò fin lì e, quando atterrò sul davanzale della finestra spalancata, lei impiegò un solo istante per riconoscerlo. 

- Che ti salta in mente? - Sbottò, un attimo prima che lui tornasse sé stesso. - Vuoi forse fatti ammazzare o peggio? - 

- C’è qualcosa di peggio di morire ammazzati? - Ribatté lui, facendo un sorrisetto beffardo. - Comunque non credo che sarà tuo zio o tuo padre a farmi fuori, ma più tosto questa tua strana sottoveste succinta che stai indossando in questo momento, dato che non c’è bisogno nemmeno che mi metta a immaginare cosa c’è sotto. - 

- È il mio pigiama, idiota pervertito che non sei altro! - Sbottò lei, avvicinandosi con aria minacciosa. 

- Sei davvero incontentabile, lo sai? Prima ti lamenti perché mi comporto come se non fossi attratto da te e adesso mi dai del pervertito. - 

Faye incrociò le braccia sul petto. - Janus, dico davvero, te ne devi andare. - Asserì lei, seria. - Se qualcuno ti vedesse mi metteresti in un sacco di guai. - 

- Ma non mi vedrà nessuno. - Cercò di tranquillizzarla lui. - Se sentiamo che qualcuno bussa alla porta tornerò a fare il corvo, non preoccuparti. - 

- Nessuno bussa alla porta in casa mia. - Ribatté lei, prima di affrettarsi ad afferrare la bacchetta per bloccare e imperturbato l’entrata di quella stanza. 

Solo in quel momento lui ebbe il tempo per guardarsi un po’ attorno. La camera da letto di Faye era arredata da un ampio letto a baldacchino dalle tende di un verde scuro, posto tra due comodini di legno: su uno c’era appoggiata una candela mezza consumata, mentre sull’altra una foto magica incorniciata di lei da piccola assieme a sua madre e suo fratello. C’era anche un armadio e scrittoio su cui forse lei era solita fare i compiti delle vacanze, il baule era invece abbandonato in un lato della stanza assieme al violoncello e al baule di lei. A terra, invece, a coprire il vecchio pavimento scricchiolante, c’era un grosso tappeto. Non sembrava affatto la stanza di una adolescente, almeno non di una adolescente del ventunesimo secolo. 

Lei si abbandonò sul letto, la schiena contro la spalliera, lo fissò severamente per qualche secondo e poi gli fece cenno di raggiungerla. - Cosa è successo? - Gli domandò, quando Janus si sdraiò al suo fianco. - Non eri alla Tana? - 

Lui annuì. - Sì, ma mi sentivo troppo a disagio, così sono scappato. - Rispose dopo un sospiro. - Volevo cercare mia madre e mio padre, ma non li ho trovati da nessuna parte. -

- Tua madre non ti ha ancora chiamato? - 

- No. - Disse Janus. - Chissà, magari è scappata via anche da me. 

Faye fece una faccia scettica e scosse la testa. - Ma piantala, avrà semplicemente lasciato il telefono da qualche parte. Ti ricordo che è scappata dal suo matrimonio, non ha avuto molto tempo per organizzare le cose. - 

Janus non disse niente, ma si avvicinò ancora un po’ a lei. Si sentiva un po’ solo e un po’ perso in quel momento, odiava ammetterlo ma aveva bisogno di lei. 

- Oppure se ne è andata e a quest’ora è… che ne so, in Italia. In Italia a bere dello Spritz mentre guarda i piccioni affollare Piazza San Marco. - 

- Non si può arrivare fin là con una moto volante. - Rispose Faye. - È più probabile che siano in Francia a mangiare croissant. O forse sono solo in Scozia, c’è casa vostra lì. - 

Janus ci pensò su. In effetti aveva senso: era in quel cottage che si erano conosciuti i suoi genitori, inoltre era abbastanza lontano da Londra da non essere il primo posto in cui una persona andrebbe a guardare. 

Forse doveva andare a dare un’occhiata e questo voleva dire che lo attendevano diverse ore di volo, anche se forse poteva semplicemente prendere il Nottetempo. In ogni caso non aveva molta voglia di muoversi da lì in quel momento, dato che l’angoscia di essere stato abbandonato da sua madre si stava facendo sentire molto forte. 

- Cosa farò se invece se ne sono andati per davvero? - Chiese, lasciandosi sfuggire un tono un po’ infantile. 

Faye scrollò le spalle. - Provvederai a te stesso con la quantità quasi illimitata di oro che tuo padre ti ha lasciato in eredità. - Rispose tranquilla. - Oppure sarà Percy a occuparsi di te, secondo me ti adotterebbe volentieri. - 

Il giovane scosse la testa. - Non credo che Percy mi adotterebbe. - Disse. - Me ne sono andato senza salutare nessuno di loro, come un vero codardo. - 

- E Molly? - 

Janus fu colto alla sprovvista da quella domanda strana. - Molly cosa? - 

- Lei l’hai salutata? - Chiese gelidamente Faye. 

- Lei sì. - Rispose Janus, per poi rendersi conto che quella era chiaramente una domanda trabocchetto per il quale probabilmente sarebbero finiti per litigare. - Ma solo perché lei mi ha seguito fuori… mi ha visto mentre me ne andavo, ecco. - Aggiunse in fretta. 

Faye lo fulminò con lo sguardo e poi si allontanò immediatamente da lui. - Ti pareva che proprio lei ti abbia visto. -

Janus alzò gli occhi al cielo. - Questa faccenda sta iniziando a diventare ridicola. - Disse. 

- Sì, è davvero ridicolo che quella ragazzina ti stia sempre intorno. - Sottolineò lei. - Le stai dando false speranze, come fai a non capirlo? - 

- Guarda che non è mica stupida, lo sa che ci sei tu, lo sa che ti amo. Ma tu invece sembra di no, sembra che tu non lo sappia, dato che ti senti minacciata da una ragazzina di tredici anni. - 

- Forse dovresti dimostrarmelo di più, non credi? - 

Janus sospirò. Non capiva per quale motivo Faye avesse continuamente il bisogno di dimostrazioni. Stare con lei spesso era davvero stressante. - Che cosa devo fare per dimostrartelo, allora? - Le chiese esasperato. 

- Smetti di parlare con lei. - 

Janus aggrottò la fronte e la fissò senza dire una parola. Stava forse scherzando? 

- Ormai i vostri genitori non stanno più insieme, non c’è più motivo per il quale dovreste farlo, no? - Proseguì Faye. - Ma se parlare con quella ragazzina è più importante che stare con me allora è meglio se la finiamo qui. - 

Janus esitò ancora e poi scosse la testa. - Perché non ti fidi di me? - Le chiese, ferito. 

- Perché no. - Si limitò a rispondere duramente lei. 

- Questa non è una risposta. -

- Non posso fidarmi e basta. - Ribatté Faye. - Non posso, non ci riesco. Tu mi fai sentire in modo strano e non mi piace. - 

- In modo strano? Come? - 

- Come… come se morissi nel caso tu mi lasciassi. - Confessò lei con stizza. - Ho più bisogno io di te che tu di me, questo mi fa sentire in pericolo. - 

Janus la fissò con incredulità. Faye non gli era mai sembrata bisognosa di niente. Lei era forte, indipendente e consapevole di essere un’ottima strega oltre che una ragazza bellissima, mentre lui… be’, lui era quel che era: un ragazzino impacciato che arrossiva ancora e che per lei avrebbe fatto davvero qualsiasi cosa. 

- Vorrei stare con te per sempre, quindi credo di essere io quello in pericolo qui. - Disse, guardandola fosso. 

Lei alzò gli occhi al cielo. 

- Che c’è, non ci credi? - Domandò Janus, sorridendole. 

Faye rispose a quel quesito con un'alzata di spalle. - Rimarresti con me anche se un giorno dovessi diventare come mia madre? Anche se impazzissi? - Chiese poi.

- Perché dovresti impazzire, scusa? - Domandò a sua volta lui. - Tua madre ha una lesione da incantesimo, no? Non è diventata così dal nulla. - 

Faye fece sì con la testa, liquidando quella domanda alla svelta. - Rimarresti anche in quel caso? - Ripeté. - Se un giorno dovessi dare di matto o se una mattina mi svegliassi senza sapere chi sono e chi sei, rimarresti comunque? - 

- Rimarrei in tutti i casi. - Affermò Janus. - Non ti lascerei mai da sola al San Mungo, mi prenderei cura di te fino alla fine e farei di tutto per trovare il medimago più bravo del mondo per poterti curare. - 

Faye si limitò a produrre un breve e basso mugolio. 

- Ma perché me lo chiedi? Tu non puoi diventare come lei, o no? - Chiese ancora Janus.

- No… però ho sempre paura di diventare pazza, prima o poi. Mio zio dice che ce l’abbiamo nel sangue la follia, che lei era un po’ fuori di senno anche prima e che è solo peggiorata dopo che quella maledizione l’ha colpita. - Raccontò Faye. - Il punto è che forse ha ragione, dato che non ho nessun ricordo in cui lei era normale. Era sempre triste e spenta oppure felice in modo inquietante. Non aveva vie di mezzo e io la odiavo. - Fece una lunga pausa in cui Janus non si azzardò ad aprir bocca, dato che lei non si era mai aperta fino a quel punto. - Sai qual è la cosa che mi preoccupa di più? Il fatto che anche mia nonna, sua madre, aveva dei problemi mentali. È morta suicida. Forse davvero ce l’ho nel sangue. - 

- Secondo questa logica anche tuo zio ce l’ha nel sangue, dato che è il fratello di tua madre. - Disse Janus. 

Faye lo guardò come se la frase appena pronunciata da lui fosse la confutazione della sua tesi. - Lui infatti è un pazzo, un sadico. - Replicò duramente. - Odio questa casa. - 

A quel punto Janus sospirò. Gli sarebbe piaciuto portarla via di là per sempre, regalarle finalmente un posto tranquillo e sicuro in cui vivere, ma non era neppure più del tutto certo che quel luogo esistesse per lui, dato che sua madre era sparita. Inoltre Faye aveva ancora troppa paura per andarsene da lì. 

- Lo sai che puoi sempre venire a vivere da me. - Le ricordò. - Soprattutto se mia madre e mio padre non dovessero più tornare. Avrei ben due case enormi in cui finirei per vivere da solo, sarebbe triste perfino per i miei standard. - 

- Jan, saranno in Scozia, te l’ho detto. - Rispose pazientemente lei. - Dovresti andare a controllare. - 

Janus sbuffò e si avvicinò a lei abbastanza da poterla abbracciare. - Vuoi cacciarmi via, ammettilo. - Sussurrò, dopo averla baciata piano. 

- Certo che no, ma non puoi rimanere qui a lungo. - Disse lei. - Tra poco l’elfa domestica verrà a chiamarmi per la cena e se ti trovasse qui si scatenerebbe un putiferio. - 

- Quanto manca alla cena? - 

- Circa un’ora. - 

- Allora abbiamo un bel po’ di tempo davanti. - Mormorò Janus, stringendola a sé. 

Faye sospirò ma non ribatté. Probabilmente Janus aveva davvero paura di essere stato lasciato dai suoi genitori e in un certo senso capiva il suo bisogno di contatto, dato che lo aveva sentito lei stessa quando suo padre era stato arrestato e sua madre rinchiusa. A quei tempi nessuno l’aveva abbracciata e ne aveva sofferto tanto, non voleva che per Janus fosse lo stesso. 

- Sai… quando mi dici che mi ami… - Fece Faye ad un certo punto, esitante. 

Janus la incitò alzando lo sguardo nella sua direzione. 

- Volevo dirti che anche io. - Proseguì lei. 

- Non me l’avevi mai detto. - Rispose Janus. 

- Però lo sai. - 

Lui annuì. - Lo so. - 

 

 

La moto volante di Sirius atterrò nel giardino del cottage di Hazel quando il cielo si stava già dipingendo di quell’arancione così tipico dell’imbrunire. 

Non aveva piovuto alla fine, ma era stato comunque un volo complicato, se non l’esperienza più strana della vita di Hazel. Aveva già volato su una scopa, era successo qualche estate prima, si era ancorata forte alle spalle di Charlie e aveva urlato con tutto il fiato che aveva nel petto quando lui aveva accennato una Finta Wronski, ma quella moto… quella moto era il pericolo su ruote, o forse era Sirius a essere troppo spericolato alla guida. 

- Visto? Sei arrivata sana e salva. - Disse il mago, dandole una mano a scendere dalla sella con quell’ingombrante vestito da sposa che ancora indossava. 

Hazel lo guardò alterata e poi si diresse verso il portico. - Non ho le chiavi. - Lo informò, una volta davanti alla porta. 

- Per fortuna abbiamo una bacchetta. - Rispose lui tirandola fuori e puntandola verso la toppa. - Alohomora! - 

La serratura scattò e Hazel fece strada verso l’interno, accendendo la luce dell’ingresso e guardandosi intorno. Non entrava in quella casa dalla scorsa estate e tutto era proprio come l’aveva lasciato mesi prima: ingombro e molto disordinato. 

- È così che sei entrato quella notte? - Domandò Hazel, voltandosi a guardare Sirius. 

Lui scosse la testa. - No, sono entrato dalla finestra della cucina. Era aperta. - Spiegò. 

Hazel non disse nulla, ma si mosse verso il soggiorno e Sirius non poté far altro che seguirla. Era strano ritrovarsi in quella casa da soli, con lei vestita da sposa e con l’odore di acquazzone estivo che si faceva sempre più prepotente, sembrava quasi uno di quegli strani sogni capaci di turbare e sollevare allo stesso tempo. 

- Andiamo su, devi aiutarmi a togliermi questo stupido vestito di dosso. - Disse Hazel, e poi raggiunse le scale senza neppure aspettare una risposta da parte di lui. 

Una volta arrivati in camera da letto fu Sirius a guardarsi intorno, notando che, come per tutto il resto della casa, non sembrava esserci tracce del passaggio di Percy Weasley nemmeno in quella stanza. Quel cottage non era ordinato e impeccabile come la casa in cui Hazel viveva a Londra, non aveva affatto quello stile minimalista e quasi gelido che Sirius proprio non riusciva a capire. Era come se tra quelle mura Hazel avesse protetto un piccolo angolo di mondo solo per sé, un luogo in cui poter essere imperfetta, attaccare quadri alle pareti e coprire con lenzuola colorate i letti. 

- Ci sono ancora tutte le tue cose nell’armadio, se vuoi toglierti quel completo, che per giunta non è per nulla da te. - Disse lei, aprendo le due ante centrali. - Remus mi ha riportato alcune delle tue cose quando sei morto. - 

Sirius si avvicinò per dare un’occhiata. I vecchi vestiti anni novanta che Hazel aveva comprato per lui quando non aveva niente erano tutti lì, piegati per bene o appesi a delle stampelle. - Hai davvero tenuto tutto quanto? - Chiese, sorpreso. 

- Tutto quanto. - Annuì lei, senza voltarsi a guardarlo. - Spesso dormivo con qualcosa di tuo. So che è una cosa stupida, ma indossare i tuoi panni mi faceva sentire meno sola. - 

Sirius rimase zitto per qualche secondo. Non sapeva mai cosa dire quando Hazel gli sbatteva in fatto tutto il dolore che lui le aveva causato. - Come si apre il vestito? - Domandò alla fine, quando il silenzio stava per farsi insostenibile. 

- Ci sono dei piccoli bottoni, sembrano delle perline. - Spiegò Hazel. 

Sirius seguì quelle indicazioni rimanendo in silenzio — sembrava che lo stilista di quell’abito si fosse impegnato per rendere l’apertura complicata — e dopo più tempo del previsto il vestito scivolò ai piedi di lei, che rimase con indosso dell’intimo in pizzo. 

- Perché non indossavi mai cose del genere quando stavamo insieme? - Sussurrò Sirius all’orecchio di lei, accarezzandole piano un fianco. 

Hazel si voltò e lo fissò infastidita. - Soddisfare i tuoi desideri perversi non era tra le mie priorità. - Rispose. - Dovevo pensare a studiare, lavorare, crescere un bambino… non potevo farlo indossando delle mutande scomode come queste. Inoltre stavo combattendo la mia personale battaglia contro i reggiseni, a quei tempi. - 

- Oh sì, ricordo benissimo quella tua interessante scelta di stile. - 

- Era una scelta politica. - Lo corresse lei.

- Una scelta che condividevo e che trovavo davvero azzeccata. Soprattutto quando indossavi quelle canottiere striminzite. - 

Hazel lo guardò di sottecchi, poi scavalcò il vestito e si diresse verso la porta. - Vado a fare una doccia. -

- Vengo con te! - Esclamò subito Sirius. 

- No. - Lo fermò lei. - Ho bisogno di stare da sola… e pensare a quello che è successo. - 

Sirius alzò le spalle. - Peggio per te. - Buttò lì con nonchalance. 

Hazel gli scoccò l’ennesimo sguardo di fuoco e poi varcò la soglia per dirigersi verso il bagno. 

Ci mise almeno cinque minuti per togliersi dalla testa le forcine che erano rimaste tra i suoi capelli ben laccati, ma alla fine aprì l’acqua della vasca e la riempì quasi fino all’orlo prima di immergersi. Fuori aveva iniziato finalmente a piovere, c’erano i lampi e i tuoni, e tutto sembrava rispecchiare lo stato d’animo di Hazel in quel momento, che aveva dentro una vera e propria tempesta emotiva. 

Non aveva idea di dove avesse trovato il coraggio e la forza di andarsene via, aveva abbandonato finalmente quel porto sicuro e adesso era completamente terrorizzata. Cosa ne sarebbe stato di lei da ora in poi? 

Percy l’aveva riempita d’amore e di attenzioni per anni ma d’altra parte le aveva tolto un bel po’ di indipendenza, anche se senza volerlo. Non sapeva se fosse ancora capace di fare le cose senza di lui, non aveva idea di chi o cosa avrebbe potuto riempire il vuoto gigantesco lasciato da tutta la famiglia Weasley, che ora probabilmente la odiava. 

Aveva paura di essere di nuovo sola, aveva paura di tutto quello che gli altri avrebbero potuto dire su di lei, aveva paura di fidarsi di Sirius, perché adesso lui era lì, era al suo fianco, ma l’esperienza le aveva insegnato che non sarebbe rimasto. In verità le persone che amava davvero non rimanevano mai molto a lungo. Era stato così con sua madre, con suo padre, con Sirius… l’esistenza di Hazel era totalmente caratterizzata dalla perdita. Solo una persona era stata una certezza per lei negli ultimi anni: Percy. E lei gli aveva spezzato il cuore senza pietà. 

Chissà se si sarebbe mai ripreso… dopotutto Audrey l’aveva tradito dopo pochi anni di matrimonio, lei invece non solo l’aveva tradito la sera prima di convolare a nozze, ma lo aveva anche abbandonato all’altare davanti a tantissimi spettatori increduli. 

I giornali l’avrebbero demolita, questo Hazel lo sapeva e già poteva immaginare i toni di quegli articoli. Lei sarebbe stata dipinta come la cattiva senza cuore di turno, una specie di sgualdrina e chissà quante cose avrebbero inventato per avvalorare quelle loro tesi, Percy invece avrebbe preso il ruolo della povera vittima. Per quanto riguardava Sirius… be’, di lui si diceva ancora che Azkaban l’avesse reso pazzo, quindi chissà cosa avrebbero scritto su di lui. 

Hazel era certa di essere stata molto impulsiva e adesso, ne era sicura, ne avrebbe pagato le conseguenze. Tuttavia era certa che lei e Sirius fossero uniti da qualcosa di più di un semplice sentimento ma da qualcosa che andava al di sopra della percezione umana. Qualcosa lo aveva guidato verso di lei, lo aveva spinto a scegliere proprio casa sua, tra tutte quelle non lontane dalla costa, e lei di rimando aveva sentito fin da subito che poteva fidarsi di quello sconosciuto. Poi lei si era innamorata e Sirius aveva iniziato a provare esattamente le stesse cose, e si erano amati, tanto, intensamente e senza nessuna riserva. Perfino dopo il velo, perfino dopo tutti quegli anni, il sentimento che provava per lui era rimasto immutato e custodito nel suo cuore.

Hazel rimase ammollo nell’acqua finché non diventò fredda, si asciugò, raccattò un vecchio pigiama dall’armadio e dopo averlo indossato scese al piano di sotto. Lì, sul divano, Sirius la stava aspettando senza far nulla. Anche lui si era liberato del suo abito da cerimonia, sostituendolo con qualcosa di più comodo.

- Vuoi parlare? - Le chiese, non appena la vide arrivare. 

Lei si limitò a scuotere la testa prima di raggiungerlo, sedendosi al suo fianco. Quando poi si poggiò delicatamente alla sua spalla, Sirius si mosse per fare in modo di poterla abbracciare. 

- Che cosa succederà adesso? - Sussurrò Hazel stringendosi forte a Sirius. 

- Non lo so. - Rispose il mago. - So solo che sono felice che tu abbia scelto me alla fine. - 

Hazel alzò la testa quel tanto che bastava per poterlo guardare negli occhi. - Chi dice che ho scelto te? Magari non ho scelto nessuno dei due. - Ribatté. 

L’espressione di Sirius divenne tesa. 

Hazel lo guardò in silenzio a lungo, prima di sorridere, anche se lasciando trapassare un po’ di malinconia. - È ovvio che ho scelto te, stupido che non sei altro. Siamo scappati via dalla cerimonia insieme, ricordi? - 

Lui si rilassò di colpo, tirando un vero e proprio sospiro di sollievo. 

- Però dobbiamo stabilire alcune regole stavola. - Continuò Hazel, più seria che mai, staccandosi definitivamente da quell’abbraccio. 

- Ad esempio? - Chiese lui.

- Non dovrai fare nulla per metterti in pericolo, mai più. - Iniziò duramente lei. - Dovrai essere presente e starmi vicino. Ho bisogno di essere al primo posto per te. Giuro che se mi abbandoni di nuovo, se mi lasci o mi tradisci… se ti azzardi a usare nuovamente la magia contro di me… giuro che… Sirius, giuro che non mi vedrai mai più, avrai chiuso per sempre. -

- Non succederà nulla di tutto ciò. - Assicurò lui. 

- Devi promettermelo, ho bisogno della tua parola. - Rimarcò duramente Hazel. 

Sirius la guardò intensamente negli occhi, le prese le mani e le strinse. - Ti do la mia parola che non farò mai nulla per farti del male, che non ti ti abbandonerò, non ti lascerò e non ti tradirò mai. - Asserì. - E non userò mai più la magia contro di te, ma se dovesse succedere qualcosa, un’altra guerra o altre cose di questo genere, io non starò con le mani in mano, quindi non posso prometterti che non mi metterò in pericolo. - 

- Tu pensi che possa succedere di nuovo? - Domandò lei.

- Non posso escluderlo. Tu credi che possa scoppiare un’altra guerra mondiale? Nessuno può prevedere certe cose. - Rispose Sirius. - Ma se dovesse accadere, se un mago o una strega dovesse di nuovo gettare il mondo magico nel caos, allora io combatterò. - 

Hazel sospirò. Confidava nel fatto che non sarebbe mai più nato un altro Lord Voldemort, ma sapere che Sirius non sarebbe scappato via con lei in caso contrario la faceva sentire angosciata. - Non userai mai più la magia contro di me? - Si accertò. 

- Mai più. Cercherò altri modi per tenerti al sicuro nel caso in cui dovesse accadere qualcosa. - 

- Posso tenermi al sicuro da sola, ce l’ho fatta per anni. - Ribatté Hazel. 

- Non puoi difenderti da dei maghi, lo sai benissimo. - Gli ricordò lui. - Io ti prometto che non tradirò mai più la tua fiducia, mai più. Ma ho anche io delle condizioni. - 

Hazel aggrottò la fronte. 

Lui aveva delle condizioni? Lui?

- E quali sarebbero? - Domandò alterata. 

- Non voglio la vita che avevi con Percy. Non voglio vivere come un noioso borghese di mezza età, non voglio svegliarmi da dieci anni e rendermi conto di non aver recuperato nemmeno un pezzetto di tutto il tempo che ho perso. - Disse Sirius, lasciando trapelare tutta la sua necessità di avere finalmente una vita. - A me sta bene avere una famiglia, davvero, però voglio anche viaggiare, fare tutte quelle cose che non ho mai potuto fare, divertirmi. Se ci pensi io e te non siamo mai veramente usciti insieme. Io voglio recuperare tutto, tutto quanto. - 

Hazel esitò pensierosa. - Tutto qui? - Chiese dopo.

- Tutto qui. - 

Lei annuì e poi si alzò in piedi. - Va bene. - Disse. - Aspetta un minuto. - 

Sirius la guardò perplesso. - Dove vai? - Chiese, ma lei era già corsa fuori dal salotto, tornando poco dopo con carta e penna in mano e un piccolo sorriso sulle labbra. 

- Facciamo una lista. - Decise, sedendosi nuovamente al suo fianco. - Voglio che tu mi dica tutte le cose che non hai mai potuto fare e che faresti. -  

Il mago rimase interdetto. Non ci aveva mai pensato, forse perché farlo lo faceva sentire un po’ triste, gli ricordava quanto aveva perso. Forse però fare una lista poteva voler dire iniziare a recuperare. - Non ho mai preso un aereo. - Disse, accennando un sorriso davanti all’entusiasmo di lei. Sembrava quasi tornata a essere la ragazzina spumeggiante di un tempo. - Vorrei andare a un concerto babbano, quelli con tantissima gente. - 

- Quindi aereo e un concerto… d’accordo. - Fece Hazel, iniziando a scrivere i primi punti della lista. - Un concerto di qualcuno in particolare? - 

Sirius scosse la testa. - No, tutte le band che mi piacevano si sono sciolte o i membri sono morti. - Sospirò con disappunto. - Poi mi piacerebbe fumare una di quelle sigarette babbane che ti rendono allegro e con gli occhi rossi. - 

Hazel tirò su un sopracciglio e rise. - Questo è un desiderio piuttosto adolescenziale, ma va bene. Fumeremo dell’erba. - Decise, e poi di nuovo scrisse. - Altro? - 

- Andare in un parco di divertimento con le montagne russe e il resto. - 

Lei fece una faccia perplessa, ma scrisse ancora. - Secondo me puoi puntare molto più in alto. - Disse, tornando con gli occhi su di lui. 

Sirius pensò che Hazel avesse ragione, ma d’altra parte conosceva così poco del mondo che non sapeva del tutto cosa significasse puntare molto più in alto in quel caso. 

- Tu cosa metteresti? - Domandò.

Lei scrollò le spalle. - Un viaggio on the road, magari. Oppure vivere in un paese molto diverso dal nostro per un po’. - Buttò lì. 

- Possiamo farlo quando a settembre Janus tornerà a Hogwarts. - 

L’espressione rilassata di lei mutò all’improvviso come se le fosse appena tornato in mente un pensiero spiacevole. - Oh no… Jan. - Gemette. - Hai il telefono con te? Devo chiamarlo, devo sapere se sta bene e devo dirgli che siamo qui. - 

- No, dimentico sempre di portare con me quell’affare. - Rispose Sirius. - Non puoi chiamarlo con il telefono che c’è qui in casa? - 

- Ho fatto staccare quella linea tempo fa, era inutile tenerla ormai, dato che veniamo qui solo in vacanza. - Spiegò Hazel in fretta. - Non puoi inviargli un patronus? - 

- No. - Rispose rigidamente Sirius. - Ho dei problemi con quel tipo di incanto. -

- Cioè? Non sei capace? - Chiese bruscamente lei. 

- Non ci riesco più da quando… Azkaban… lo sai. - Bofonchiò Sirius. 

Hazel si sentì improvvisamente un po’ in colpa per aver fatto quella domanda. Sapeva che lui non parlava mai volentieri di quegli anni e dei danni che quella prigionia gli aveva riportato, così si limitò a prenderlo per mano. - Va bene, non preoccuparti. - Disse in tono conciliante. - Domani mattina però torniamo subito a Londra. Non posso lasciarlo da solo così a lungo. - 

- Ha diciassette anni. -

- Appunto, ha ancora bisogno di me. - Obiettò Hazel. - E poi forse è meglio se affronto tutto subito; sai, il fatto che Percy vive da me e il resto… non so proprio come farò a guardarlo negli occhi quando lo rivedrò. - 

- Hazel, non hai fatto niente di male. - Sottolineò lui, accarezzandole piano il viso. - Non potevi sposarlo, non sarebbe stato giusto né per te né per lui. - 

- Lo so. Ma resta il fatto che gli ho spezzato il cuore e che lui non se lo meritava. - Sospirò Hazel, assaporando in pieno il retrogusto acido del senso di colpa. - Credo che dovrò tenermi lontana dal mondo magico per un po’. - 

- Già. Forse è meglio, sì. - Approvò Sirius. - Le riviste di gossip andranno a nozze con questa storia. - 

Hazel alzò gli occhi al cielo. - Che pessima battuta. - Borbottò. 

- In effetti mi è uscita proprio male, è vero. - Rise lui, e Hazel si rese conto per l’ennesima volta che adorava quella sua strana risata così poco contenuta e così tanto spontanea. 

- E poi non dovresti lamentarti. - Proseguì Sirius. - Dato che sei stata per anni con uno che ha il senso dell’umorismo di un vermicolo deceduto. - 

- Magari non sarà un tipo divertente, ma ti assicuro che ha delle qualità. - Ribatté Hazel. 

Sirius assunse un’espressione scettica. - Ad esempio? - 

- Ad esempio è decisamente molto affidabile. - Iniziò Hazel. - Ordinato, preciso, organizzato, rispettoso… è praticamente il contrario di te, ora che mi ci fai pensare. - 

- Eppure sei qui. - 

Hazel lo guardò e annuì. - Sono qui. - Ripeté. - Sono qui perché ti amo. - Quelle due parole sgorgarono all’improvviso e con un violento impeto dalle labbra di lei prima che potesse fermarle, ma non importava: adesso poteva dirlo, poteva gridarlo e soprattutto poteva ammetterlo a sé stessa. 

Sirius la guardò a sua volta con uno di quei suoi sguardi penetranti, come se volesse affogare nel calore che gli trasmettevano gli occhi color nocciola di Hazel. - Anche io ti amo. - Rispose semplicemente, prima di avvicinarsi al viso di lei per baciarla. Non poteva crederci di poter sfiorare le sue labbra ogni volta che desiderava. - Punto numero cinque: vedere l’aurora boreale in Alaska insieme a te. - Disse piano, quando si staccarono, guardando il foglio e la penna che Hazel teneva ancora in mano.

Lei corrucciò le sopracciglia e strinse le labbra. Non sapeva per quale motivo, ma le veniva da piangere, anzi, era strano per lei che non fosse scoppiata in lacrime prima. Era così felice che le si era annodata la gola: erano insieme, lui era libero e vivo, era tutto finito e avrebbero potuto davvero fare quel viaggio adesso. 

Continuarono a stilare quella lista per almeno un’ora e, quando conclusero, Hazel si ritrovò davanti ad una lista di circa cinquanta punti. 

- Abbiamo un bel po’ da fare per i prossimi anni. - Osservò soddisfatta alla fine, con gli occhi ancora sul foglio.

Sirius annuì e sorrise. Non vedeva l’ora di iniziare a cancellare punti da quella lista. Magari avrebbero iniziato dalle cose più normali, come avere con lei un vero e proprio appuntamento, — avevano un figlio e non erano nemmeno mai usciti davvero insieme. 

- Dimmi, hai per caso ancora indosso quel bel completino di lingerie sotto il pigiama? - Le domandò con nonchalance, mentre la guardava.

Hazel rise e scosse la testa. - No, mi spiace. - Rispose. - Temo che dovrai accontentarti del mio solito intimo imbarazzante e da vecchia. - 

Sirius sogghignò prima di avvicinarsi. Subito dopo Hazel non si ritrovò schiacciata tra il divano e il corpo di lui. Si accarezzarono e si strinsero l'uno all’altra, incapaci di stare lontani e pronti a lasciarsi prendere dalla passione, si lasciarono trasportare dai loro sospiro e poi all’improvviso il suono del campanello li fece sobbalzare entrambi.

Hazel e Sirius si scambiarono uno sguardo perplesso, poi lui si alzò, afferrò la bacchetta e senza dire niente si affrettò a raggiungere la porta senza sapere cosa aspettarsi. Poteva forse essere Percy? No, non ce lo vedeva affatto, tuttavia in caso contrario era più che pronto ad affrontarlo, anzi probabilmente sottolineare il fatto che Hazel era solo sua gli avrebbe provocato di sicuro un certo compiacimento. 

Ma quando spalancò la soglia, bacchetta alla mano, non fu affatto Percy Weasley a ricambiare il suo sguardo, ma bensì Janus. 

- Vi ho cercato ovunque! - Sbottò il giovane, entrando in casa. - Per fortuna siete qui, ho volato per ore… mamma! - Esclamò non appena la vide in soggiorno. 

- Jan? Come sei arrivato fin qui? - Chiese subito Hazel, perplessa e sorpresa insieme.

- Ehm… in treno. Sì, sono appena arrivato. - Rispose Janus in fretta. - Stai bene? State bene? Che stavate facendo? Anzi, no, non voglio saperlo. -  

- Stiamo bene. - Asserì Hazel. - E tu? Non sei arrabbiato con me, vero? E… Percy? - 

Janus sospirò e si sedette sul divano, stanco dopo ore di volo. - No, non sono arrabbiato, non ti preoccupare. - La tranquillizzò. - Per quanto riguarda Percy… ero alla Tana fino a poche ore fa e non tirava una bella aria, ma credo che tu possa immaginarlo. - 

Di nuovo il senso di colpa colpì Hazel come un forte schiantesimo. Aveva distrutto i sentimenti di un'intera famiglia, la sua famiglia. Non l’avrebbero mai perdonata, questo era certo, e in realtà era giusto così, se lo meritava.  

- Qualcuno ti ha trattato male? - Chiese Sirius, ancora in piedi davanti al divano. 

- No, certo che no, sono pur sempre i Weasley. - Chiarì il giovane, prima di afferrare il foglio su cui era scritta la lista di Sirius. - Che cos’è? - Domandò.

- La lista di tutte le cose che non ho mai fatto e che vorrei fare. - Spiegò il mago. 

Janus aggrottò la fronte rendendosi conto guardando quei punti che suo padre nella vita non aveva fatto niente o quasi. - “Passare una serata normale con Hazel e Janus”? - Lesse. - La parola “normale” non fa proprio del tutto al caso nostro, non credi? Tu sei resuscitato, io parlo con i serpenti, mentre mamma… dai, lei è un'artista, e da che mondo è mondo gli artisti sono strani. Comunque voi non avete fame? - 

Sirius sorrise e annuì, poi incrociò lo sguardo di Hazel. 

Forse “passare una serata normale con Hazel e Janus” sarebbe stato il primo punto a essere cancellato via dalla lista. 



 

Heilà, persone!

Questo capitolo 46 è stato particolarmente difficile da scrivere, volevo che fosse all’altezza e che nulla fosse buttato a caso e che anzi preparasse le basi per l’epilogo, che sta venendo un po’ troppo lunghetto e quindi forse dovrò dividerlo in due parti (starete altre due settimane assieme a me, non siete felici?). Comunque rimanderò tutte le mie considerazioni finali quando la storia sarà davvero terminata e per adesso vi auguro un felice Natale a chi lo festeggia e delle buone vacanze a tutti gli altri. 

Grazie per aver letto fin qui!

J. 

Ritorna all'indice


Capitolo 48
*** Epilogo - Parte Iª ***


Epilogo

Parte Iª

Ritornare.


Giugno 2023

 

Erano le sette e mezza in punto, eppure, lì steso nel letto di casa sua, gli occhi spalancati nella penombra tipica del primo mattino, Janus stava morendo di caldo. Odiava l’estate, ma soprattutto odiava quelle lenzuola di poliestere, che lo facevano sudare molto più di quanto potesse essere sopportabile. 

Erano le sette e mezza in punto e lui non aveva quasi chiuso occhio quella notte, anche se in verità erano quasi due anni che non riposava più come si deve, da quando Faye se ne era andata, portandosi dietro perfino il loro gatto. 

Lei se ne era andata, ma in quella stanza le tracce che aveva lasciato erano ancora ben visibili, anche se Janus tentava disperatamente di non farci caso. C’erano ancora le loro fotografie incorniciate e appese alle pareti, i regali che lei gli aveva fatto nel corso degli anni che avevano passato insieme e perfino qualche suo abito, sepolto tra quelli di lui in fondo a qualche armadio. Solo una cosa non c’era più, una cosa di cui Janus sentiva fortissimo la mancanza: non c’era più nessuna traccia d’amore nella sua vita da quando lei aveva lasciato quella casa. 

Non era più innamorato di lei, ma non si era mai più innamorato di nessun altro ed era certo che non gli sarebbe mai più capitato. Aveva già avuto il suo grande amore, dunque l’universo con lui aveva chiuso, fine della storia, sarebbe morto da solo.

Un rumore improvviso al di là della sua porta chiusa lo fece riscuotere dai suoi pensieri: era decisamente ora di alzarsi se non voleva fare tardi. 

Così, dopo un sospiro molto sconsolato, Janus si tirò su a sedere e si stiracchiò prima di alzarsi in piedi. Raggiunse le finestre e spalancò le persiane, inondando la stanza di luce. 

Cercando di rimediare a quell’improvvisa angoscia che lo aveva attanagliato, il giovane decise di lasciare quella stanza e, una volta raggiunta la cucina al piano di sotto, si rese conto di non essere l’unico sveglio in quella casa. In piedi vicino ai fornelli, due ragazzi erano infatti intenti a fare colazione. Uno aveva capelli ispidi e castani, spalle forti tipiche di un battitore e un sorriso genuino sul volto, mentre l’altro era un ragazzo dai capelli biondi e incolti, il volto squadrato e dal fisico asciutto. Il primo indossava ancora il pigiama e l’altro era già vestito di tutto punto. 

- Buongiorno! - Lo salutò allegramente il biondo, non appena si voltò verso la porta. 

- Ciao, Lucas. - Si limitò a mugugnare Janus, raggiungendo la credenza per prepararsi del tè. Detestava parlare la mattina presto, ma Lucas, il fidanzato di Klaus da qualche mese, nonché attore di teatro babbano molto spesso logorroico, non sembrava averlo ancora capito. 

- Abbiamo già fatto il tè, se vuoi. - Lo informò Klaus. - Dev’essere ancora caldo. - 

- Ottimo. - Rispose seccamente Janus, prendendo così solo una tazza. La sua tazza, quella su cui era stampata una fotografia di lui e Faye in vacanza in Francia anni prima. 

Si versò un po’ di tè e si accomodò a tavola senza aggiungere altro. 

- Io vado. - Annunciò Lucas parlando a nessuno in particolare e abbandonando la tazza che aveva in mano nel lavandino. - Tra meno di un’ora ho le prove. - 

- A che ora mi faccio trovare pronto per la cena a casa dei tuoi?  - Domandò Klaus.  

- Ti passo a prendere per le sette. - Rispose velocemente l’altro. - Non ti preoccupare, ti adoreranno. - Poi lo baciò e filò fuori salutando alla svelta anche Janus. 

Quando i due maghi sentirono la porta d’ingresso chiudersi, Klaus sospirò sonoramente, lasciandosi cadere sulla sedia accanto all’amico. 

- Ti porta a cena dai suoi genitori, eh? - Fece Janus, sorridendo con una certa soddisfazione. Era felice che finalmente il suo migliore amico si fosse sciolto un po’ in fatto di uomini rispetto a quando andavano a scuola. - La cosa si fa sempre più seria. - 

Klaus annuì, rivolgendogli uno sguardo lugubre. - Già. - Disse. - In compenso io non gli ho ancora detto nulla sulla magia e nemmeno sul fatto che i miei mi hanno cacciato di casa dieci anni fa. - 

- È una vita di coming out. - Commentò Janus, portandosi la tazza alle labbra. 

- Lascia stare. Sarebbe tutto più semplice se fossi solo un babbano, proprio come lui. - 

- Come babbano sei molto credibile. - Constatò il giovane Black. - Vivi tra loro, lavori tra loro… non so quand’è l’ultima volta che ti ho visto fare un incantesimo. - 

Klaus scrollò le spalle. - Il mondo dei maghi mi ripudia, mentre tra i babbani posso sposarmi, adottare un bambino, camminare per strada tenendo Lucas per mano… è tutto diverso. - Disse, come a giustificarsi. 

- Prima o poi le cose cambieranno anche nel nostro mondo. - Assicurò Janus. - Il problema sta nel fatto che il nostro governo è costituito soprattutto da ex auror, non da politici. Comunque se hai bisogno di una famiglia fittizia da far conoscere a Lucas ci sono sempre i miei, dato che tornano oggi. - 

L’altro rise di cuore. - Sarebbe bello essere il figlio di quei due hippie dei tuoi genitori, questo devo ammetterlo. A proposito, come stanno? Stavolta tornano per restare? - 

- Sì, Aurora inizierà la scuola il prossimo anno e alla fine hanno deciso di mandarla a Hogwarts invece che a Ilvermorny. - Spiegò Janus. - Inoltre tra due settimane c’è il matrimonio di Ted, quindi hanno deciso di cogliere l’occasione per trasferirsi. - 

Klaus sgranò gli occhi. - Ted? Ted Lupin? Teddy? - Domandò incredulo. - Tuo cugino Teddy si sposa? Ma non ha tipo… sedici anni anni? - 

- Ne ha venticinque. - Chiarì Janus. - Mi toccherà rivedere tutti, ogni singolo Weasley, dato che quella canaglia di Ted si è beccato Victoire. - 

- La ragazzina mezza veela? Caspita, mi viene quasi da pensare che sia Ted quello con più successo con le donne, tra voi due. - Sogghignò Klaus. 

Janus annuì con un’espressione melodrammatica in volto. - Diciamo che l’ultimo anno e mezzo non è stato affatto facile per la mia vita sentimentale, sì. - Disse, guardando la faccia di Feye stampata sulla superficie della tazza. 

- Lo so, bello. - Annuì Klaus, dandogli una pacca sulla spalla. - Faye ha fatto la stronza ma credo che sia giunto il momento che tu ti dia una mossa. Non ti fa male vedere il suo viso sulla tazza che usi ogni singola mattina? - 

Lui alzò le spalle e poi bevve. In realtà aveva smesso di soffrire per lei già da mesi. L’unica cosa che lo faceva stare male era la convinzione di non poter più provare un sentimento tanto intenso come quello che aveva provato per Faye. 

- Dovresti goderti la vita. Sei stato solo con lei, per tutti i gargoyle! - Proseguì Klaus. 

Janus sbuffò. - Sembri mio padre. - Disse, alzando gli occhi al cielo. - Anche lui pensa che dovrei “godermi la vita”. E comunque non sono stato solo con lei. - 

Klaus rispose facendo una faccia diffidente. - Me lo avresti detto, quindi penso che tu mi stia mentendo spudoratamente. - 

- Non ti dico mica tutto ciò che faccio con il mio corpo, Klaus. - Sbottò Janus. - Tuttavia hai ragione, lo ammetto: sono il povero sfigato che è andato a letto con una sola ragazza in tutta la sua vita. O un romantico, decidi tu. - 

Klaus sospirò intenerito. - Certo che sei un romantico, Jan. - Disse. - Esageratamente romantico, aggiungerei, ma… ma quindi tu non scopi da quanto? Tipo un anno? - Chiese perplesso, parlando come se la cosa lo turbasse parecchio.  

- Oh Merlino. Ricordami perché siamo amici, ti prego. - 

- La mia era solo curiosità! - Rise Klaus. - Senti, torniamo al punto: davvero Teddy si sposa con la ragazzina veela? - 

Janus annuì. - Sai, hai ragione tu, Ted è quello che piace alle donne, non io. Dunque adesso mi trovo costretto ad andare al suo fottuto matrimonio e a interaggire con persone che probabilmente odiano me e il resto della mia famiglia. - 

Erano passati dodici anni da quando Hazel aveva lasciato Percy sull’altare e da molti di essi Janus non aveva più avuto a che fare con nessuno che facesse di cognome Weasley a parte Ginny che, per amore di Harry, aveva deciso di mantenere un rapporto civile con Hazel e Sirius. 

- Merlino… sarà imbarazzante, soprattutto per tua madre. - Disse Klaus. 

- Già. Sarà davvero strano. - Fece Janus. - Non ho idea di come abbia fatto mio padre a convincerla ad andarci. - 

- Chissà, magari l’ha incantata di nuovo. - Suppose l’amico.

- Conoscendolo direi che non è poi così improbabile. - Ribadì Janus, poi mandò giù un ultimo sorso di tè e si alzò in piedi. - Sarà una delle giornate peggiori di sempre. Anzi, credo che anche oggi lo sarà, dato che mia madre mi riempirà di domande su Faye non appena scenderà da quell’aereo. A proposito, sono anche in ritardo… mi tocca andare a prenderli in aeroporto. Non ti serve il bagno, vero? - 

- No, va’ pure. - Disse alla svelta Klaus. - Però non essere sempre così negativo, Jan. Che ne sai, magari incontrerai la donna della tua vita al matrimonio. Una cosa alla How I Met Your Mother. - Aggiunse con convinzione.

Janus fece una faccia scettica e poi rise sommessamente. - Oh, certo, come no. - Disse salace, uscendo dalla cucina. - Con la fortuna che ho, va a finire che questa fantomatica donna della mia vita fa la fine di Tracy. - 

- Abbi fede! - Urlò Klaus, quando ormai l’amico era sparito dalla sua vita. - E poi, se le cose andranno male, quando torni a casa ci mettiamo a guardare uno di quei programmi di true crime che ti piacciono tanto. - 

- Ho sempre pensato che saresti la fidanzata perfetta, Klaus! - Rispose l’altro dal bagno. 

Klaus rise. - Ormai quel treno per te è passato, amico mio! - 

Janus passò la successiva mezz’ora sotto la doccia, lasciandosi trasportare dalla piacevole sensazione dell’acqua calda che abbracciava il suo corpo. Sarebbe volentieri rimasto lì per sempre e dovette dunque usare una bella dose di forza di volontà per lasciare quell’angolo accogliente.

Una volta fuori, indossò il suo accappatoio di spugna e poi passò una mano sulla superficie appannata dello specchio, scontrandosi con l’immagine tanto detestata di sé stesso: un giovane uomo a un passo dal compiere ventinove anni, bagnato e con un bel po’ di capelli umidi e scuri in testa, tutti appiccicati sul suo volto malinconico.

Detestava quella faccia, o forse detestava sé stesso, dato che si stava avvicinando sempre più pericolosamente ai trent’anni e non aveva ancora ottenuto nulla di ciò che sperava dalla vita. Non si era sposato, non aveva avuto nemmeno uno dei quattro figli che desiderava, non era il Ministro della Magia e nemmeno quello dei babbani. Certo, aveva accontentato sua madre prendendosi una laurea in giurisprudenza, e in seguito aveva intrapreso la stessa strada anche nel mondo dei maghi, non aveva abbandonato le sue aspirazioni politiche ed era più o meno rispettato nel suo ambiente, ma aveva lo stesso l’impressione di essere terribilmente indietro rispetto a tutti gli altri. 

Annie, ad esempio, lavorava come insegnante di divinazione a Hogwarts, aveva incontrato un mago americano e aveva avuto da lui una bambina di nome Catherine, mentre Klaus aveva giocato per un paio di anni nel Tutshill Tornados come aveva sempre sognato, finché un infortunio non l’aveva costretto ad appendere la scopa al chiodo, e infine, proprio quel giorno, Teddy avrebbe finalmente sposato la sua Victoire a soli venticinque anni e con una bella carriera da medimago pronta a spiccare il volo. 

E tu vivi ancora con il tuo migliore amico come se fossi appena uscito da Hogwarts, non sai approcciarti a una donna senza fare figuracce e ti occupi di cause che il più delle volte nemmeno ti appassionano. Sei proprio un coglione. 

Janus era sicuro di una sola cosa: il sé stesso sedicenne avrebbe odiato l’adulto quasi senza sogni che era diventato. 

Dopo essersi asciugato e vestito, Janus afferrò le chiavi dell’auto, salutò in fretta Klaus e uscì, ritrovandosi subito imbottigliato nel traffico. Sebbene facesse piuttosto caldo per essere in Inghilterra, quella non era affatto una bella giornata. Il sole brillava pallido in un cielo nuvoloso che prometteva pioggia, l’umidità era tanta e sicuramente sua sorella e suo fratello avrebbero notato parecchio la differenza climatica tra la Florida, dove avevano passato gran parte della loro breve vita, e Londra. 

Una volta arrivato, Janus parcheggiò nel solito posto che occupava ogni volta che i suoi genitori tornavano nel Regno Unito per andarlo a trovare, e attese di veder uscire la sua famiglia dall’aeroporto, osservando intanto gli altri viaggiatori che andavano e venivano veloci. Non capiva perché i babbani avessero sempre così tanta fretta. 

Almeno un’ora più tardi, nel viavai generale, Janus riuscì a scorgere il viso di sua madre e subito dopo anche quello di suo padre e di due ragazzini, una femmina e un maschio. Lei molto alta per la sua età, era mora e aveva un bel viso su cui albergava un’espressione imbronciata e due grandi occhi color nocciola come quelli di Hazel, mentre lui aveva i capelli castani, era magrolino, pallido e con un paio di occhiali da vista ampi, rotondi e rossi davanti agli occhi grigi. Come al solito non avevano bagagli, a parte uno zainetto che Sirius teneva sulle spalle, incantato per fare in modo da contenere tutte le loro cose.

Non appena li vide, Janus uscì dalla macchina e alzò un braccio muovendolo nella loro direzione. Dall’altra parte della strada, Hazel ricambiò il saluto e poi tutti e quattro iniziarono a incamminarsi verso di lui. 

Guardandoli, Janus pensò per l’ennesima volta a tutte le cose che erano cambiate negli ultimi dodici anni: sua madre adesso viveva solo di arte, era riuscita a diventata una pittrice molto apprezzata e a vedere finalmente l’aurora boreale in Alaska e, quando era rimasta incinta la prima volta, fu proprio Aurora il nome che lei e Sirius decisero di dare della loro bambina, perché lei rappresentava l’alba di qualcosa di nuovo. Poi, due anni dopo, questa volta cercato e desiderato, era nato Halley.

- Ehilà! - Esclamò Janus, quando tutti e quattro lo raggiunsero. - Bentornati! - 

In tutta risposta, Aurora e Halley lo guardarono come se non fossero affatto felici di trovarsi lì, mentre Hazel lo strinse in uno dei suoi soliti calorosi abbracci. - Mi sei mancato così tanto! Davvero tanto tanto! - Disse, sebbene si fossero visti solo sei mesi prima, per le vacanze di Natale. - Stai mangiando sano, vero? Sei pallido, Jan. Stai bene? - Aggiunse, scrutandolo dalla testa ai piedi. 

Janus aprì la bocca per lanciarsi nelle solite frasi di circostanza che usava per tranquillizzarla, ma fu Sirius a rispondere al suo posto. - Non stressarlo, su. - Disse in tono leggero mentre apriva uno degli sportelli dell’auto del figlio per buttarci dentro lo zaino che aveva sulle spalle. - Sta alla grande, non vedi? - 

- Mai quanto te. - Fece Janus. - Sei abbronzato o sbaglio? E siamo solo all’inizio di giugno! - 

- Il bello di non vivere in Inghilterra, ragazzo. - Ribatté Sirius, dandogli una pacca sulla spalla, prima di alzare lo sguardo al cielo grigio sopra di loro. 

- Ma almeno qui non ci sono gli uragani, le sparatorie nelle scuole e il più alto tasso di serial killer al mondo. - Sottolineò Janus, entrando in macchina. - E poi qui abbiamo Hogwarts. Non sei contenta, eh, Aurora? Non sei contenta di iniziare finalmente la scuola il prossimo anno? - Domandò, voltandosi verso la sorella, abbandonata con aria imbronciata su uno dei sedili posteriori, tra sua madre e suo fratello. 

- No. - Tagliò corto la ragazzina.

Janus si sentì un po’ turbato dalla mancanza di entusiasmo di Aurora, ma non disse niente e mise in moto l’auto.

- Lei avrebbe preferito iscriversi a Ilvermorny. - Spiegò Hazel. - E in realtà anche io avrei preferito restare negli Stati Uniti, visto che è lì che lavoro. - 

Quando Sirius sbuffò, Janus si rese subito conto di una cosa: probabilmente i suoi genitori avevano passato gli ultimi mesi a litigare per quel trasferimento. L’avevano rimandato per anni per colpa dell’angoscia che Hazel provava nello scontrarsi di nuovo contro tutto ciò da cui era scappata molto tempo prima, come quegli articoli di giornale in cui l’avevano descritta come la persona peggiore del mondo per aver spezzato il cuore di un uomo all’altare. 

- Tu dipingi, Hazel, puoi lavorare ovunque. - Le ricordò Sirius, e il tono usato non fece altro che confermare i sospetti di Janus. 

- Sì, lascia stare. Tanto è inutile che mi metta a spiegare per l’ennesima volta che non è così semplice. - Controbattè Hazel. 

- Vedrai che ti piacerà Hogwarts. - Buttò lì Janus, guardando Aurora dallo specchietto retrovisore, nel tentativo di interrompere quel battibecco.

- Non credo proprio. - Ribadì la ragazzina. 

Il viaggio verso casa fu caratterizzato da un silenzio pesante e difficile da sopportare e quando finalmente Janus parcheggiò davanti alla porta dell’appartamento che i suoi genitori occupavano quando erano a Londra (quello che una volta era stato solo di Sirius), si sentì quasi sollevato di non dover avere a che fare con loro ancora a lungo. 

Lì le cose erano rimaste invariate nel tempo. Quella casa aveva mantenuto il solito stile vintage parecchio particolare. Alle foto della gioventù di Sirius si erano aggiunte quelle degli ultimi anni, scattate in giro per il mondo e in cui spesso comparivano Aurora e Halley molto sorridenti e felici. Ma se la casa era rimasta più o meno uguale, non si poteva dire lo stesso di tutto il resto: la voglia di essere perfetta di Hazel era sparita, facendola tornare la persona di un tempo, lei e Sirius avevano viaggiato, avevano esplorato il mondo e sbarrato ogni singolo punto della lista che avevano stilato molti anni prima e che ora era stata incorniciata e appesa a una delle pareti assieme alle foto, come ricordo di tutto quello che avevano passato insieme. 

L’avevano lasciata lì a Londra quando si erano trasferiti e, adesso che la guardava, Hazel si sentiva un po’ schiacciata dallo scorrere del tempo. Anche se adesso era molto arrabbiata con Sirius, non riusciva a fare a meno di pensare a che vita meravigliosa avessero avuto insieme alla fine.

Hazel sospirò e poi si voltò nella direzione di Sirius, che intanto stava iniziando a tirare fuori da quel minuscolo zaino una montagna di bagagli e scatole tipiche di un trasloco, dando indicazioni a Halley e Aurora per le loro stanze al piano di sopra. Quell’immagine le fece venire voglia di sorridere, ma tentò in tutti i modi di mantenere quell’espressione alterata che si portava dietro da qualche giorno. Sì, era davvero molto arrabbiata con lui, ma era anche ancora molto innamorata e amare, spesso, voleva dire scendere a compromessi e lui per lei l’aveva fatto per molto tempo. Hazel sapeva quanto Sirius avesse sentito la mancanza di Harry, ma anche di Andromeda, di Tonks e di Teddy in tutti quegli anni, sapeva che gli mancava avere a che fare con altri maghi. Forse era davvero arrivato il tempo di tornare a casa, anche se odiava ciò che questo poteva significare. Tra qualche giorno ci sarebbe stato il matrimonio di Teddy e Victoire, tutti loro erano stati invitati e stavolta non avevano scuse per non andare. Avrebbero rivisto Percy, avrebbero rivisto ogni singolo Weasley e lei non sapeva proprio cosa aspettarsi. 

- Cos’è quello sguardo vacuo? - Le chiese all’improvviso Sirius, facendola tornare alla realtà. - Sei ancora arrabbiata con me? - 

- No. Stavo solo pensando. - Rispose Hazel tranquilla. 

- E a che cosa in particolare? - La interrogò ancora lui, prima di abbandonare lo zaino a terra per avvicinarsi. 

- A tutto. - Buttò lì Hazel. - Ma soprattutto al matrimonio di Ted. So che Tonks è stata piuttosto categorica: “se non venite non vi parlerò mai più!”, ma  continuo a credere che non sia una buona idea andarci. - 

Sirius sospirò. Non capiva quali fossero i timori di Hazel. Erano passati così tanti anni che sarebbe stato molto strano se Percy e gli altri Weasley non avessero ancora seppellito l’ascia di guerra. - Qual è la cosa più grave che può succedere? - Le domandò. 

Hazel si strinse nelle spalle. - Non lo so. Però so che ci guarderanno tutti. - Rispose. 

- Può darsi, in fin dei conti manchiamo dal mondo magico da un po’. - Disse Sirius. - Ma qual è il problema? Capiranno presto che siamo una famiglia come tante altre e passeranno oltre per concentrarsi su altro, magari su Harry. Lo sai che è lui la vera calamita per le attenzioni. - 

- Già, come se tu non lo fossi invece. Sei sfuggito alla morte e a una prigione di massima sicurezza. - Gli ricordò Hazel. - Continuo a pensare che sia una pessima idea. - 

- Io invece sono fermamente convinto che il matrimonio sarà un’ottima occasione per riappacificare finalmente gli animi. - Asserì Sirius. - Weasley si è rifatto una vita, ha una moglie e un figlio dell’età di Halley, è andato avanti. - 

- Conoscendolo credo che tenterà di sbatterci in faccia quanto la sua vita sia perfetta, lo faceva sempre quando incontravamo Audrey… e adesso io sono la nuova Audrey. -

- E noi, di rimando, gli sbatteremo in faccia il fatto che non abbiamo una vita perfetta ma che almeno siamo molto felici. - Ribatté Sirius, attirandola a sé. - Però se ti fisserà troppo credo proprio che dovrò ucciderlo. - Aggiunse, dopo averla guardata per qualche secondo, facendo un sospiro melodrammatico. 

Hazel alzò gli occhi al cielo. 

- Va bene, forse non lo ucciderò. - Ritrattò allora Sirius. - Però credo proprio che dovrò fargli capire in un modo o nell’altro che deve continuare a starti molto lontano. - 

- Be’, lo hai detto tu: si è rifatto una vita, è andato avanti. - Rispose Hazel. - Quindi non credo che ci sarà bisogno che tu ti metti a marcare il territorio. - 

- Hazel… Hazel… Hazel… - Disse solennemente Sirius. - Tu non puoi capire; quello lì ti ha vista nuda per più di sei anni, magari ogni tanto usa ancora quei ricordi per chissà quali losche e perverse attività. Ora che ci penso forse non dovrei farlo fuori ma cancellargli la memoria, sì. - 

Hazel aggrottò la fronte. - Sappiamo tutti che hai un certo talento per questo tipo di incantesimi. - 

Sirius sorvolò sulla frecciatina che Hazel gli aveva appena scoccato e sogghignò. - Quindi mi stai dando il permesso? - Domandò con nonchalance. 

Lei lo guardò male e incrociò le braccia sul petto senza dire niente. 

- Va bene, lo prendo come un no. - Disse il mago. Dopo fece un altro piccolo passo in avanti per avvicinarsi a Hazel abbastanza da poterla abbracciare. - Sicura che non sei arrabbiata per il fatto che siamo tornati a Londra? - Le domandò piano, facendosi tutto d’un tratto molto serio. - Gli ultimi mesi sono stati duri. - 

Hazel appoggiò la testa sul suo petto lasciandosi stringere e per qualche secondo non parlò. Dire che quegli ultimi mesi erano stati duri era un vero e proprio eufemismo: avevano litigato come non mai e Sirius aveva perfino passato qualche notte sul divano prima di riuscire a convincere Hazel a partire.

- Odio litigare con te. - Mormorò lei, godendosi quel contatto che non si concedevano da un po’. - E non sono poi così arrabbiata. - 

- Ma avresti preferito rimanere in Florida. - Affermò Sirius.

Hazel alzò lo sguardo per poterlo guardare nuovamente negli occhi. - Lì mi piaceva molto, sì. - Ammise. - Però so che ti mancava Harry e la vita da mago che lì non potevi avere. Inoltre, per quanto Ilvermorny fosse una scelta valida per i ragazzi… mandarli a Hogwarts mi fa stare più tranquilla. - 

- Per me è lo stesso. - Annuì Sirius. - E poi stiamo parlando di Hogwarts, la scuola migliore al mondo. Adesso Aurora sta facendo la ragazzina ribelle e imbronciata, ma vedrai che le piacerà da morire stare lì alla fine. - 

- Ribelle e imbronciata; chissà da chi ha ripreso. - Sorrise Hazel. 

 

Nello stesso momento, al piano di sopra, Janus stava aiutando sua sorella a sistemare le cose in quella che una volta era la sua vecchia stanza. Era lì che aveva dormito con Faye tantissime volte, quando lei aveva definitivamente tagliato i ponti con la sua famiglia alla fine del loro settimo anno. Anche lì, proprio come a casa sua, c’erano pezzi di lei sparsi ovunque: c’era il suo vecchio libro di pozioni pieno di appunti e annotazioni su uno scaffale della libreria insieme a uno dei romanzi babbani che lui le aveva regalato, c’era una sua sciarpa nell’armadio e c’era anche una foto stropicciata che li raffigurava insieme il giorno del diciassettesimo compleanno di Janus. 

Il ragazzo sospirò e, senza farsi notare da Aurora, piego quella fotografia e se la infilò in tasca, cosa che lo fece sentire stupido. 

Alle sue spalle, seduta sul letto appena fatto, anche Aurora tirò un sospiro colmo di nostalgia. Le mancava la sua cameretta, le mancava casa sua; lì era tutto troppo diverso. - Non mi piace questo posto. - Disse di getto. 

Janus si voltò verso di lei. - Che cosa in particolare non ti piace? - Le domandò, sedendosi al suo fianco. 

Aurora alzò le spalle. - Non conosco nessuno. - 

- Be’, sì, per adesso non conosci nessuno. - Fece Janus. - Ma a Hogwarts conoscerai tante persone e alcune di esse rimarranno nella tua vita per sempre, te lo assicuro. Io non avevo nessun amico quando sono arrivato a Londra, proprio nessuno. Poi al castello ho conosciuto Klaus e Annie e tutto è cambiato. Devi capire che Hogwarts non è solo una scuola, è più come… una casa. - 

Aurora fece una faccia scettica. Janus parlava di quella scuola esattamente come ne parlava suo padre.

- Secondo me dovresti vederla per crederci. - Ipotizzò lui. - Vuoi fare un giro turistico in anticipo? - 

All’improvviso l’interesse della bambina si accese. - Si può fare? - Chiese sorpresa. 

- Certo. - Annuì Janus, con un sorrisetto dipinto in volto. - La mia amica Annie ha iniziato a insegnare divinazione a Hogwarts all’inizio dell’anno, ma nonostante questa sia l’ultima settimana di scuola non sono ancora andato a trovarla come le avevo promesso di fare. Potremmo approfittane, che ne dici? Non posso stare a guardare mentre hai quella faccia abbattuta per i prossimi tre mesi. - 

Aurora ci pensò su. Lasciare sua madre, suo padre e Halley a sistemare tutte le loro cose mentre lei visitava in anticipo la sua futura scuola le sembrava un’ottima idea. - D’accordo. - Accettò, nascondendo naturalmente quel neonato entusiasmo dietro alla sua classica espressione annoiata. - Lo dico a mamma e papà… - 

- No, lascia stare, altrimenti di sicuro vorrà venire anche lui e lo sai quanto nostro padre sia una calamita per i guai. - La fermò Janus. - Sarà la nostra piccola avventura. - 

- Allora che scusa ci inventiamo? - 

Janus scrollò le spalle. - Che andiamo a mangiare fish & chips. - Buttò lì.

- Molto britannico. - Commentò Aurora. 

Lui sorrise. - Esattamente come Hogwarts. - Disse. - Adesso indossa qualcosa di più pesante: andiamo a nord! - 

 

 

Fu un viaggio piuttosto movimentato, d’altronde usare il Nottetempo regalava sempre una bella dose di adrenalina ma, una volta arrivati a Hogsmeade e in seguito al castello, Janus fu certo che Hogwarts avesse fatto colpo. Al suo fianco, Aurora non riusciva a staccare lo sguardo dell'imponente struttura che si ergeva arroccata tra quelle montagne, con le alte torri che ferivano il cielo tempestoso e l’immenso parco a circondarla. Dopotutto anche lui aveva avuto sicuramente quello sguardo la sera in cui era arrivato in quella scuola e di sicuro sia Annie che Feye, — entrambe sedute davanti a lui quando aveva preso la barca ormai una vita fa — lo avevano avuto. 

- Allora, che te ne pare? - Domandò alla sorella, sorridendo vittorioso. 

Lei batté le palpebre, come per riscuotersi da un sogno meraviglioso. - È il posto più bello che io abbia mai visto. - Disse. 

- E aspetta di vedere l’interno allora. - Rispose allegramente lui, iniziando a camminare verso l’entrata principale.

Janus non metteva piede a Hogwarts da tempo, da quando Faye lo aveva lasciato. La ragazza aveva iniziato a insegnare pozioni al castello dopo appena quattro anni dal diploma e loro due avevano pensato spesso di trasferirsi lì, in uno degli alloggi per gli insegnanti, magari far crescere quelli che sarebbero potuti essere i loro figli totalmente immersi nella magia. Ma poi tra loro era finita, lei si era licenziata ed era sparita, lasciando nel cuore di Janus un vuoto dilaniante e il fantasma della vita che avrebbero potuto avere insieme. 

Janus odiava che qualsiasi cosa e qualsiasi luogo al mondo le ricordasse sempre e solo lei, e lì a Hogwarts… be’, lì era peggio, dato ogni angolo di quel castello si portava dietro il ricordo di tutto ciò che erano stati. 

Camminando verso la torre di divinazione, Janus riuscì quasi a rivedere sé stesso mentre calcava quei corridoi insieme a lei, un Grifondoro e una Serpeverde, due individui nati ai poli opposti della vita e che in qualche modo si erano trovati e amati per molto tempo. 

Era una giornata come un’altra al castello: gli studenti affollavano i corridoi nelle loro divise scure e i fantasmi si aggiravano volando a mezz’aria, illuminati dal loro chiarore spettrale. Janus era pronto a imbattersi in uno dei figli di Harry, che frequentavano rispettivamente il settimo, il sesto e il quarto anno, ma quando arrivò davanti alla porta spalancata dell’aula di divinazione, in cima a quella infinita torre, fu lieto di non aver incontrato nessuno: era pur sempre un tipo introverso dopotutto. 

- Professoressa Carter. - Esordì quando entrò, notando che Annie era abbandonata sulla poltrona lasciata lì dalla Cooman quando era andata in pensione, i capelli rossi e increspati dall'umidità che da sempre aveva caratterizzato quella classe, i soliti occhiali spessi sul naso e l'abbigliamento che ricalcava un po’ quello dell’ex insegnante di divinazione.

- Ah… Janus. - Fece lei con aria distratta, come se l’amico l’avesse appena riscossa da un sogno molto profondo. - Non ti aspettavo. -

Poi rivolse il suo sguardo verso la ragazzina che l’amico si stava portando dietro e ci mise un istante a capire che si trattava di Aurora, — anche se l’ultima volta che l’aveva vista era praticamente appena nata, — visto che somigliava molto al fratello. 

Lei, esattamente come Janus, aveva un aspetto molto aristocratico e, nonostante gli occhi di Aurora fossero scuri come quelli di Hazel, manteneva un certo gelo nello sguardo. 

- Sei venuto a farmi conoscere in anticipo una mia futura studente? - Chiese Annie sorridendo e continuando a guardare la ragazzina. 

- Una cosa del genere, sì. - Rispose Janus. - Aurora non è molto entusiasta di iniziare Hogwarts il prossimo anno, così le ho proposto un giro turistico per farle cambiare idea. - 

- E sta funzionando? - Domandò Annie direttamente a lei. 

Aurora arricciò il naso, mantenendo un atteggiamento distaccato. In realtà stava funzionando eccome, ma era troppo orgogliosa per ammettere che suo fratello aveva ragione: quel castello aveva davvero qualcosa di magico. 

- Ho giusto un’ora libera, metto a fare del tè. - Decise Annie, e dopo appellò una vecchia teiera ammaccata e solo due tazze. - Perché non chiedi a Kreacher di portare Aurora a fare un giro per il castello? Ho paura che qui possa annoiarsi. - 

Janus esitò. Aveva l’impressione che Annie volesse parlargli di qualcosa di importante, dunque seguì il suo consiglio: chiamò il vecchio elfo domestico della famiglia Black e gli ordinò di occuparsi di Aurora per un’oretta, non badando alle proteste della ragazzina, che trovava Kracher piuttosto disgustoso. 

- Lo dirò a papà! - Gridò indignata, prima di sparire dalla sua vista insieme all’elfo.

Quando si ritrovò da solo con Annie in quella classe satura di odore d’incenso e umidità, seduto su una delle tante poltroncine con la tazza calda tra le mani, Janus lesse nello sguardo dell’amica una certa afflizione. 

- Allora, che c’è? - Domandò andando dritto al punto. 

Annie prese un respiro profondo e parlò: - Faye mi ha scritto. - Disse tutto d’un fiato. 

- Ah. - Si limitò a dire bruscamente lui. 

Nessuno aveva più avuto notizie di Faye Selwyn da quando era andata via, nessuno sapeva dove fosse o cosa stesse facendo e c’erano notti in cui Janus si lasciava trasportare dall’angoscia di non sapere se stesse bene o meno. 

- A quanto pare adesso vive a Leeds, mi ha detto che ha conosciuto un tale, che è felice. - Raccontò Annie. 

Janus tacque e si mise a fissare la tazza che aveva in mano come se fosse diventata d’un tratto molto interessante. - Sono contento per lei. - Disse distaccato, dopo almeno un minuto di religioso silenzio. 

Annie lo fissò con uno sguardo pieno di scetticismo e poi unì le mani davanti a sé e si sporse un po’ nella sua direzione, come faceva sempre quando si calava nei panni della perfetta terapeuta. - Se la cosa ti fa soffrire è normale. - Disse con comprensione. 

- Ma non mi fa soffrire. - Rimarcò Janus. - L’ultimo anno che abbiamo passato insieme è stato infernale, lo sai, probabilmente alla fine mi detestava. Quindi se adesso ha trovato qualcuno che può farla stare meglio non posso far altro che essere felice per lei. - 

- Non ti detestava. - Obiettò Annie. - Faye era solo un po’ instabile in quel periodo, tutto qui. -

- Lei è instabile da quando la conosco. - Mugugnò Janus. - Senti, Ann, possiamo non parlare mai più di lei, per favore? - 

Annie alzò gli occhi al cielo. - Va bene, continua pure con questo tuo patologico evitamento, se pensi che sia la giusta strategia per guarire da questa cosa. - Concesse sbuffando. - Ma, a proposito di Faye, mi sono dimenticata di dirti chi ha preso il suo posto come insegnante di pozioni quest’anno. - 

- Chi? - 

- Una tua vecchia conoscenza, nonché nemica giurata di Faye. - Sogghignò Annie. 

- Faye aveva un mucchio di nemiche giurate, dato che detestava tutte le donne tranne te e mia madre. - Ribatté Janus. - Se poi erano anche mie amiche allora era peggio, dovresti stringere un po’ il campo se vuoi farmi indovinare. -  

Annie aprì la bocca ma, prima che potesse emettere qualsiasi suono, la porta dell’aula si spalancò e sulla soglia si palesò una strega che Janus guardò appena, dato che la sua attenzione ricadde subito su sua sorella che, spinta nell’aula quasi a forza, ricambiò il suo sguardo con l’aria di una che aveva combinato qualche guaio. 

- Professoressa Carter, scusi l’interruzione, ma c’è qui questa bambina… l’ho trovata che si aggirava nei corridoi da sola, dice che suo fratello… Janus? - 

Solo in quel momento Janus staccò gli occhi da sua sorella per puntarli sulla sconosciuta. Si trattava di una giovane donna dai capelli rossi e ricci che le arrivavano poco sopra alle spalle e che le incorniciavano un bel viso tondo e con qualche lentiggine sparsa qui e là sugli zigomi alti e sul naso, su cui erano poggiati un paio di occhiali da vista. Indossava un vestito da strega e Janus ci mise un po’ per riconoscerla e poi per riordinare i pensieri. Alla fine scambiò un’occhiata con Annie e capì a chi l’amica si stesse riferendo poco prima: 

- Molly? - Chiese per accertarsi che fosse proprio lei, alzandosi talmente goffamente dalla poltroncina su cui sedeva che si rovesciò metà tazza di tè addosso. 

Quando a quella scena Aurora ridacchiò, Janus si sentì immediatamente seppellito sotto una montagna di imbarazzo. Ricordava benissimo per quale motivo lui e Molly non si vedevano né si sentivano da più di dieci anni e questo motivo aveva un nome e un cognome: Faye Selwyn. 

E adesso lui non sapeva che dire e se ne stava lì, con la maglietta che indossava bagnata di tè e con sua sorella minore che lo prendeva in giro. 

- Ciao. - Disse Molly, accennando un sorriso tra tutta la sorpresa che albergava sul suo volto in quel momento. - Quindi… lei è tua sorella? Hai una sorella. - 

- Due… cioè, no, in realtà una. Un sorella e un fratello. - Fece Janus, prima di rivolgersi ad Aurora. - Dov’è Kreacher? - 

- L’ho fatto tornare in cucina, camminava lento e poi puzza. - Rispose la bambina. 

- Ha seicento anni, certo che cammina lento. - Sottolineò Janus. - Potevi perderti o imbatterti in qualcosa di pericoloso. - 

- Rilassati, sei peggio di mamma. - Sbuffò Aurora, prima di raggiungere una poltroncina, per poi sedercisi sopra. Fissò prima Janus e poi Molly con sospetto e poi chiese: - Perché voi due vi conoscete? - 

- Molly è una vecchia amica di famiglia. - Spiegò alla svelta Janus. 

- E perché non l’ho mai vista? - 

- Perché abbiamo perso i contatti. - Tagliò corto lui. - Grazie per avermela riportata, Molly, riconosco che affidarla a un elfo decrepito non sia stata una grande idea. - 

- No, non preoccuparti! - Esclamò Molly in tono incerto. - In realtà sono contenta di vederti. Come… come stai? E Hazel come sta? Lei e tuo padre sono tornati o… - 

- Sì, sono tornati dato che Aurora inizierà la scuola tra un anno. - La anticipò Janus. - E poi tra due settimane ci sarà il matrimonio di Teddy. Scommetto che ci sarai anche tu. - 

Molly annuì. - Tu e Faye ci sarete? - Domandò a sua volta. 

- Ci sarò solo io. -

- Si sono lasciati. - Si mise in mezzo Annie, senza riuscire a trattenersi.

- Oh… mi dispiace tanto. - Disse Molly, sforzandosi di apparire credibile.

Janus, che non sapeva mai cosa rispondere quando gli altri gli dicevano cose del genere, si limitò ad annuire e poi cercò alla svelta una alternativa a quel discorso: - Quindi tu insegni qui? - Chiese a Molly. 

- Insegno pozioni, esatto. Ma è solo temporaneo, per mettere qualche soldo da parte, anche se mio padre è davvero contento che io abbia finalmente un impiego stabile come piace a lui. - Spiegò la giovane. - In realtà vorrei fare la scrittrice. - 

- Quindi scrivi ancora. - Osservò Janus, sorridendo al ricordo di quel quadernino che le aveva regalato tantissimo tempo prima. Chissà se davvero le era servito di ispirazione. 

- Sì, ultimamente scrivo soprattutto poesie. Ho stampato una piccola raccolta ma non ha avuto ancora il successo sperato. - 

- Dovresti farmi leggere qualcosa. - Asserì Janus e non lo disse solo per gentilezza: era davvero curioso. 

Molly indugiò prima di rispondere. Nessuno tra tutti quelli che aveva intorno si era mai dimostrato interessato davvero alla sua scrittura, in realtà la maggior parte dei suoi cugini e delle sue cugine la prendevano addirittura un po’ in giro per questo. 

- Sì, va bene. - Approvò alla fine, decisa a superare l’angoscia di ricevere critiche. - Al matrimonio potrei regalarti una delle tantissime copie che sono rimaste. - 

Janus annuì. Improvvisamente l’idea di andare a quel matrimonio gli sembrava meno spaventosa rispetto a qualche ora fa: Molly era una Weasley e a quanto pareva non lo odiava, quindi forse nemmeno Percy e tutti gli altri lo odiavano. 

Si prese qualche secondo per guardarla, rendendosi conto che era davvero molto diversa da come se la ricordava. Era cresciuta e, a suo parere, anche molto bene. Anzi secondo lui era diventata davvero molto carina, ma non fece in tempo a terminare di formulare quel pensiero che si costrinse a cancellarlo dalla sua mente. 

- Quindi suppongo che ci vedremo tra due settimane. - Fece Molly, pronta a lasciare la classe di divinazione. 

- Certo, sì. Ci vediamo al matrimonio. - Disse lui. 

- Bene… allora ciao. - Molly sorrise e accompagnò quel saluto con un piccolo gesto della mano e poi uscì, richiudendosi la porta alle spalle quando anche lui, Annie e la piccola Black ricambiarono, lasciando i tre nuovamente da soli in cima alla torre. 

Alle spalle di Janus, Annie sorrise vittoriosa. La sua idea iniziale era stata quella di farli incontrare e ovviamente non casualmente, ma aveva l’impressione che le cose fossero andate bene anche così. 

 

Continua…



 

Ciao persone. 

Avete passato delle feste piacevoli? Io non tanto, odio il Natale con tutta me stessa e probabilmente se la prima parte del capitolo è così deprimente è anche grazie a questa tristezza natalizia che mi ha colpita fortissimo quest’anno.

Comunque fatemi sapere cosa ne pensate. 

Saluti,

J.

Ritorna all'indice


Capitolo 49
*** Epilogo - Parte IIª ***


Epilogo 

Parte IIª

Il vero matrimonio.

 

Sirius Black non era un grande amante della mattina presto. Aveva sempre fatto fatica a lasciare il letto, forse per il fatto che da sempre soffriva d'insonnia, persino prima di Azkaban il suo sonno era disturbato e irregolare. C’erano notti, quando era ancora uno studente spensierato di Grifondoro, in cui rimaneva a fissare le tende del letto a baldacchino del suo dormitorio per ore, lasciandosi cullare dal respiro regolare di James, le parole biascicate di Remus che parlava nel sonno, o dal russare sommesso di Peter. 

Poi era arrivata Hazel, la prima e unica persona con cui aveva diviso il letto e che spesso per lui era quasi come un sonnifero. Averla affianco lo faceva sentire rilassato fin dai tempi in cui erano si conoscevano appena, quando lei si sdraiava al suo fianco per consolarlo dopo l’ennesimo incubo. 

Sirius amava il fatto che lei fosse sempre lì per lui di notte, che poteva svegliarla anche alle tre del mattino se solo aveva bisogno di parlare e adorava che per lei fosse lo stesso. Ma soprattutto Sirius amava aprire gli occhi al mattino e poter posare subito lo sguardo sul volto rilassato di Hazel, che dormiva sempre con la faccia rivolta nella sua direzione. 

Il giorno del matrimonio di Teddy e Victoire, Sirius si svegliò prima di Hazel, infastidito da quei primi raggi di sole che erano riusciti a trapassare tra le tende. Lei, ancora profondamente addormentata, se ne stava sdraiata al suo fianco, tutta raggomitolata contro di lui, i folti capelli color cioccolato sparati da tutte le parti e un pigiama estivo di cotone rosa e bianco indosso. 

Sirius trovava stupefacente il fatto che la trovasse ancora bellissima, nonostante fossero passati dodici anni da quando erano tornati insieme e ben trenta da quando si erano conosciuti, — sebbene per lui fossero molti meno. 

Da ragazzo la prospettiva di passare l’intera vita con una sola donna lo faceva sentire un po’ ingabbiato: non riusciva a capacitarsi di come fosse possibile riuscire a non stancarsi mai di svegliarsi accanto alla stessa persona per sempre e quando James aveva chiesto a Lily di sposarlo, Sirius era rimasto totalmente di stucco. 

“Quando ti innamorerai per davvero allora capirai”, gli aveva detto James quando l’amico aveva espresso tutti i suoi dubbi e, a distanza di decenni, Sirius avrebbe tanto voluto rispondergli che aveva ragione, ma che a quei tempi le cose erano diverse, lui era diverso: aveva vent’anni, c’era una guerra, e tutto ciò che desiderava era vivere qui e ora. In fin dei conti il futuro non era mai stato troppo interessante per Sirius Black, almeno finché non si era innamorato di Hazel. 

Hazel d’altra parte era convinta che qualcosa di più alto li avesse uniti, il destino, il fato, una forza dal nome sconosciuto. Erano nati a chilometri di distanza, a quattordici anni di distanza, in due mondi totalmente opposti: lui il primogenito di una famiglia ricca di maghi purosangue, lei una babbana figlia di nessuno; eppure erano lì, si erano incontrati e si erano amati. 

Cosa sarebbe successo se Sirius fosse entrato in una delle tante altre case vuote sulla costa? Questa domanda lo terrorizzava, perché non riusciva a immaginare un mondo in cui loro due non si erano conosciuti, un mondo in cui i loro figli non esistevano. 

Hazel aprì gli occhi all’improvviso, come se l’insistente sguardo di lui avesse turbato il suo riposo, e accennò un piccolo sorriso, il viso ancora molto assonnato. - Buongiorno. - Biascicò stiracchiandosi. - Che ore sono? - 

- Presto. - Si limitò a dire lui, parlando a bassa voce e avvicinandosi ancora un po’ a lei.  

Hazel lo abbracciò, poggiando la testa alla sua spalla e chiudendo nuovamente gli occhi. Per un paio di secondi era riuscita a non pensare al fatto che quello era il fatidico giorno in cui si sarebbe dovuta scontrare con ogni membro della famiglia Weasley, Percy compreso, e si era sentita un po’ meno in ansia rispetto a ogni momento delle due settimane appena trascorsa. 

Erano stati quindici giorni intensi, quelli. La casa era ancora un vero disastro, con scatoloni ovunque e qualche molliccio nascosto qui e là; c’era perfino un ghoul in soffitta e, per quanto la cosa la terrorizzasse, Sirius le aveva detto che era innocuo, che anzi si occupava di tenere gli insetti lontani, e dunque non se l’era sentita di sfrattarlo da lì. Inoltre Halley ci aveva fatto amicizia cosa che fatta da qualsiasi altro bambino poteva suonare strana, ma che nella loro famiglia passava piuttosto inosservata: dopotutto Janus a otto anni parlava con i rettili, dunque avere un ghoul per amico rientrava perfettamente nei loro standard. 

Erano andati a cena da Harry due in quelle due settimane, e per quanto avere a che fare con Ginny fosse sempre un po’ strano per Hazel, era stato bello vedere di nuovo  Sirius contento insieme al suo figlioccio. Inoltre, se con Ginny c’era ancora un bel po’ di freddezza, James, Albus e Lily sembravano sempre molto contenti di vedere Hazel e Sirius, mentre erano piuttosto abituati ad avere a che fare con Janus, dato che il ragazzo capitava spesso a casa Potter. 

Quel matrimonio imminente però non sarebbe stato per niente come dividere la tavola con Ginny, Harry e i loro figli, per questo Hazel si sentiva terribilmente a disagio all’idea di doversi presentare alla Tana di lì a poco.

- Sei ancora sicuro di volerci andare, oggi? - Mormorò Hazel, senza aprire gli occhi. 

- Tu sei ancora sicura che sia una pessima idea? - Le girò la domanda lui. 

- Assolutamente sì. - Rispose subito Hazel. 

Sirius sospirò e iniziò ad accarezzare lentamente la schiena di lei, quasi come per consolarla. - È il matrimonio di Ted. - Disse. - Ho già perso quello di Harry e un’infinità di altre cose. Vorrei smettere di perdermi gli eventi importanti delle persone che amo. - 

Hazel aprì finalmente gli occhi, puntando lo sguardo sul volto del mago, che a sua volta guardava dritto davanti a sé con l’espressione che assumeva quando gli veniva in mente qualcosa di spiacevole. - Pensi a Remus? - Gli domandò.

Sirius annuì. - Penso a tutto. Non solo alle cose tristi. - Spiegò, anche se il tono sembrava piuttosto angustiato. Gli capitava spesso di sentirsi un po’ giù di morale all’improvviso e senza una vera e propria motivazione. - Mentre dormivi ho pensato a noi due, alla vita che abbiamo e a quanto ti amo. - Aggiunse. 

Hazel aggrottò la fronte. Sirius non era affatto quel tipo d’uomo che diceva ogni giorno alla propria compagna che l’amava. Solitamente era Hazel quella che usava di più quelle due parole, e a quel punto lui la guardava, le sorrideva e le rispondeva semplicemente “anche io”. Lui non lo diceva quasi mai, ma in compenso glielo faceva spesso. Lui la appoggiava sempre e soprattutto non giudicava mai, come spesso invece Percy aveva fatto, le sue stranezze o quelle strampalate performance artistiche in cui si cimentava, anche se lui a stento riusciva a capirle. 

Lui era la sua musa, era la sua musa soprattutto quando sul suo viso calava l’ombra della malinconia, come in quel momento. 

Hazel avrebbe tanto voluto ritrarlo, ma d’altra parte non aveva nessuna intenzione di allontanarsi da lui, anche se probabilmente di lì a poco sarebbe stata costretta ad alzarsi. 

- Sei così bello. - Disse piano, continuando a fissarlo. 

Sirius fece una faccia perplessa e divertita insieme e scosse la testa. 

- Non fare il finto modesto, sei completamente consapevole di esserlo! - Esclamò lei. 

- Pensa che se non fossi morto per quattordici anni a quest’ora sarei uno di quei vecchi decrepiti tutt’altro che belli. - Disse Sirius. - E sai cosa avrebbero detto tutti quanti, vedendoci insieme? - 

- Che cosa? - 

- Si sarebbero chiesti cosa ci faceva una donna come te con un vecchietto come me. - 

Hazel alzò le spalle e poi si mosse finendo a cavalcioni su di lui. - E io avrei risposto che sto con te perché sei ricco. - Disse sogghignando. 

- E io che pensavo che fosse perché sono un magnifico amante. - 

- Quello è ovviamente la ragione numero due. - Rispose Hazel, prima di chinarsi per poter poggiare teneramente le labbra su quelle di lui. 

Un po’ troppo teneramente, pensò Sirius, e questo lo spinse a ribaltare immediatamente la posizione in cui si trovavano, sovrastandola. La baciò con veemenza, come a dirle “ecco, questo è un bacio vero” e quando lei ricambiò con lo stesso entusiasmo, Sirius allungò una mano verso il comodino, afferrando la bacchetta. - Chiudo la porta. - Disse parlando a bassa voce. 

- Aurora e Halley potrebbero essere svegli. - Lo fermò subito Hazel. 

- Allora chiudo e silenzio la porta. - Ribatté Sirius alla svelta.

Lei aggrottò le sopracciglia e arricciando le labbra scosse la testa. - Sono troppo in ansia per oggi per riuscire a… pensare ad altro. - Si giustificò. - Temo davvero che sarà un disastro. - 

Sirius sospirò e poi tornò nuovamente dalla sua parte del letto, abbracciandola. - Qual è la cosa peggiore che può succedere a questo matrimonio? - Le domandò tranquillo. 

- Non lo so. - Sbuffò Hazel. - È questo il problema, non so cosa aspettarmi. E non so neanche cosa mettermi. - 

- Questo sì che è un problema insormontabile. - Scherzò lui, ridendo. 

Hazel alzò la testa, scoccandogli un’occhiata nervosa. - Lo è. - Obiettò. 

- Sei una babbana, Hazel; puoi indossare qualsiasi cosa e spacciarla per alta moda. - Disse Sirius, alzando gli occhi al cielo. - Per quanto riguarda me… credo proprio che dovrò affidarmi ai miei vecchi abiti da mago. - Aggiunse annuendo. 

Hazel lo guardò senza dire niente per qualche istante e poi sorrise divertita. - Quindi abbandonerai per un giorno questa tua aria da surfista babbano della Florida per tornare nei panni di Sirius Black, l’erede della Nobile e Antichissima casata dei Black, Toujours Pur eccetera eccetera? - Chiese.

Sirius si limitò a scrollare le spalle. 

- Walburga sarebbe davvero fiera. - Fece Hazel. 

- Certo che sì, davvero fiera. - Sogghignò Sirius. - Soprattutto dei nostri tre figli mezzosangue. Anche se di Janus e Aurora magari lo sarebbe davvero, loro sono così Black. Soprattutto lei a dire il vero; non mi sorprenderei se il Capello Parlante la mettesse in Serpeverde il prossimo anno. Sarebbe comunque un colpo al mio povero cuore ma me lo aspetto. - 

Le alzò gli occhi al cielo e scosse la testa, ma sorrise. 

- Sai qual è la cosa più assurda? - Continuò Sirius, voltandosi verso di lei. - Che nonostante lei sia così simile a loro rimane comunque la mia preferita. - 

- Hey! Non dovremmo avere dei preferiti! - Si indignò Hazel. 

- Anche tu ce l’hai, non farmi la morale. - 

- Io non ce l’ho! - 

Sirius fece una faccia scettica. - Halley è chiaramente il tuo preferito. - Insinuò. 

- Ma certo che no! Per me sono tutti uguali! - Esclamò Hazel. - Ma lui è il più piccolo, quello che ha più bisogno di me, lo sai che è un bambino sensibile che ha bisogno di essere guidato… senza contare il fatto che per concepirlo abbiamo dovuto faticare parecchio, mentre gli altri due ci sono capitati tra capo e collo. - 

- È il tuo preferito. - Insistette Sirius.

Hazel sbuffò e si mise seduta, incrociando le braccia sul petto. - Va bene, lo è. - Ammise dopo un lungo attimo di esitazione. - Ma non dirlo a Jan. - 

- Lui è un adulto, che vuoi che gliene importi di certe cose? - 

- Lo so che è un adulto… però ultimamente mi preoccupa, a te no? Da quando Faye l’ha lasciato non l’ho più visto davvero felice. - 

Sirius sospirò e poi anche lui si sedette, la schiena appoggiata alla spalliera del letto. Se era preoccupato? Lo era eccome, ma preferiva di gran lunga non pensare al fatto che probabilmente suo figlio era depresso. Sei mesi prima, durante le vacanze di Natale, Sirius aveva tentato di parlargli, si era seduto e gli aveva chiesto senza filtri come si sentisse, se sentisse la mancanza di Faye, e Janus in tutta risposta aveva scrollato le spalle e si era limitato a rispondere con un generico “va tutto bene”. 

- Si riprenderà prima o poi. - Assicurò Sirius, tentando di essere convincente. - D’amore non si muore mica. - 

Hazel non rispose. 

D’amore non si muore, almeno non fisicamente, si disse, mentre le tornavano in mente tutte le volte in cui la mancanza del suo di amore l’aveva quasi portata alla pazzia. Sapeva che Janus aveva molta paura dell’abbandono esattamente come lei, quindi conosceva esattamente quel tipo di dolore. 

Hazel aprì la bocca per poter dire qualcosa, quando al piano di sotto il campanello suonò. 

- Vai a svegliare Aurora e Halley? - Fece lei, scalciando il lenzuolo leggero in cui erano avvolti, così da alzarsi in piedi. 

Sirius annuì e un attimo dopo lei era uscita dalla loro camera da letto. 

In casa c’era un insolito silenzio; Hazel non aveva idea di che ore fossero, ma era ovvio che fosse piuttosto presto. Scese le scale e quando raggiunse l’ingresso spalancò la porta, ritrovandosi davanti al suo figlio maggiore. Janus aveva un’espressione insolitamente gioviale dipinta in volto quella mattina, sembrava quasi… contento, sembrava di buon umore.

- Buongiorno. - Esclamò il giovane, entrando in casa. 

- Janus, è prestissimo. - Disse Hazel, scrutandolo attentamente. - Che ci fai già qui? -

- Tra cinque ore dobbiamo stare alla Tana, non è così presto se ci metti il fatto che andremo in macchina. - Spiegò lui, camminando verso la cucina. 

- Ma saranno sì e no le sette! - Rimarcò Hazel, sempre più perplessa. 

- Se vi ho svegliato mi dispiace, ma non voglio arrivare in ritardo. - Ribadì Janus. 

Hazel aggrottò le sopracciglia e una volta in cucina si avvicinò subito ai fornelli. - Hai già fatto colazione? - Domandò. 

- No, ma non ho fame. - Rispose Janus. - Dov’è papà? Dovresti svegliarlo. - 

- Eccomi, ragazzo, eccomi. - Esordì Sirius, entrando in cucina tenendo Halley, ancora molto assonnato, in braccio e seguito subito dopo da una creatura simile a un piccolo orco, viscido, calvo e dai denti sporgenti, che Janus riconobbe subito essere un ghoul.

- No, no, no, porta subito quella cosa lontano da me! - Strillò Hazel, puntando il dito verso la creatura. 

- Ma mamma! Timothy dice che in soffitta si sente solo e che ha anche fame! - Protesto Halley, lasciando le braccia del padre. 

- Timothy? Quindi adesso quella cosa ha un nome. - Sbottò Hazel. 

Halley annuì e Sirius fece una faccia un po’ troppo divertita per i gusti di lei, che a sua volta lo incenerì con lo sguardo. 

Janus rise. - Dai, mamma, hai vissuto per mesi dividendo la casa con Kreacher, che era molto più brutto e pericoloso di… Timothy. - Buttò lì. - Persino il demone assassino che c’era in uno dei bagni a Grimmauld Place ti faceva tenerezza, perché lui no? - 

Hazel sbuffò e poi si rivolse a Sirius. - Dai a Timothy qualcosa da mangiare e poi rispediscilo in soffitta. - Sentenziò prima di spostare lo sguardo sul bambino. - Halley, potrai andarlo a trovare quando vuoi ma, ti prego, non farlo uscire di lì mai più. - 

Il piccolo demone sembrò offeso e si lasciò sfuggire un basso lamento mentre la fissava con i suoi piccoli occhietti acquosi e lucenti. 

- Può almeno venire al matrimonio di Teddy? - Chiese Halley speranzoso. 

- Ma sei pazzo? - Urlò Aurora, varcando come una furia la porta della cucina, i lunghi capelli neri legati in una traccia e indosso una camicia da notte che la faceva sembrare una piccola principessa. - Già non conosciamo nessuno qui, se portiamo anche quel coso schifoso saremo come degli appestati. Buongiorno, Jan. - Aggiunse, sedendosi accanto al fratello maggiore. 

- Non è vero che non conoscete nessuno. - Obiettò Sirius, dopo aver consegnato un pacco di merendine a Timothy, che subito dopo filò al piano di sopra. - Ci saranno anche James, Albus e Lily. - 

Aurora alzò le sopracciglia e sgranò gli occhi, come se le fosse appena venuto in mente qualcosa di molto importante. - Sapete chi ho visto a Hogwarts, l’altra volta? - Chiese, guardando i genitori — e per un attimo Janus temette davvero che sua sorella si mettesse a parlare di quell’imbarazzante primo incontro con Molly nell’aula di divinazione. - Ho visto Al… e sapete cosa stava facendo? - 

- Che cosa? - La incitò Sirius, mentre nel frattempo stava aiutando Hazel a preparare qualcosa per colazione. 

Aurora sogghignò e attese qualche secondo prima di rispondere, nel tentativo di creare un po’ di sana attesa. Se c’era una cosa che adorava, allora quella era la teatralità. - Si stava baciando in un’aula vuota con uno di Serpeverde, un ragazzo biondo e pallido! - Spifferò tutto d’un fiato con fare melodrammatico. 

Hazel sogghignò, quasi come se lo sapesse già, mentre Sirius e Janus rimasero perplessi. 

- Baciava un ragazzo? - Chiese bruscamente il primo. - Un maschio? - 

- Un ragazzo biondo, pallido e di Serpeverde? - Rimarcò l’altro, pensieroso. - Oh Godric… Albus esce con il figlio dei Malfoy? A Harry prenderà un colpo. - 

- Per il fatto che suo figlio sta con un ragazzo? - Domandò Hazel.

- No, non per quello. - Si affrettò a chiarire Janus. - Però… insomma, il padre e il nonno di Scorpius sono due ex mangiamorte. - 

- Proprio come i genitori di Faye. - Disse Sirius. - A proposito, si è fatta sentire? - 

- Che cosa sono i mangiamorte? - Chiese candidamente Halley, salvando in modo del tutto inconsapevole il fratello da quella domanda scomoda. 

Janus rivolse ai suoi genitori uno sguardo perplesso. Possibile che i suoi fratelli non sapessero niente della guerra? 

- Quelli che volevano ammazzare mamma e Janus. - Rispose Aurora, dandosi l’aria di chi ne sapeva molto dell’argomento. 

- In realtà volevano far fuori Harry, era solo nostra zia Bellatrix che voleva uccidere me e mamma. - Spiegò meglio Janus. 

- E perché? - 

- Perché era pazza, odiava i babbani... ha anche ucciso nostro padre. - 

I due bambini si girarono verso Sirius, come per assicurarsi che fosse vivo. 

- È una storia complessa. - Dichiarò il mago davanti a quegli sguardi perplessi. 

Non aveva mai parlato in dettaglio ai suoi figli più piccoli della famiglia Black e neppure della guerra e non perché avesse dimenticato tutto ciò che aveva passato. Hazel era dell’opinione che raccontare tutto a dei bambini così piccoli poteva essere deleterio, lo aveva fatto con Janus e a suo parere quello era stato uno sbaglio. Non voleva che Aurora e Halley scoprissero da subito quanto il mondo potesse essere orribile.

- Perché odiava i babbani? - Sondò Halley, che evidentemente era nel pieno svolgimento di quell’irritante “fase del perché” tipica dei bambini della sua età. 

- Alcuni maghi pensano che i babbani e maghi figli di babbani siano in qualche modo inferiori rispetto ai maghi purosangue. - Spiegò Hazel, portando finalmente in tavola un piatto pieno di uova strapazzate un paio di tazze.

- Ma non è così. - Proseguì Sirius, che nel frattempo si era seduto accanto al figlio più piccolo. 

- Zia Bellatrix vuole ancora uccidere mamma e Jan? - Domandò il bambino, fissandolo con intensità e con un po’ di angoscia negli occhi. 

- È morta, e non è vostra zia. - Lo ammonì Sirius. 

- Nessuno vuole più farci del male, ragazzi. - Li tranquillizzò dolcemente Hazel. - Adesso mangiate e non pensate a certe cose, forza. - 

- Sì, infatti, che siamo già in ritardo. - Sottolineò Janus, dando un’occhiata all’orologio appeso sopra la porta della cucina, che in quel momento segnava le otto in punto. 

- Mi spieghi perché hai tutta quest’ansia di andare al matrimonio? - Gli chiese sua madre. - Credevo che fossimo d’accordo sul fatto che sarà orribile. - 

Janus alzò le spalle. - Mi manca il cibo della signora Weasley. - Buttò lì. 

- A quanto pare gli elfi di Hogwarts si sono occupati del buffet. - Obiettò Sirius. 

- Fa lo stesso. - 

- Ci sarà anche una sua amica al matrimonio, per questo non vede l’ora di andarci. - Svelò Aurora, piegando le labbra in un sorriso da malandrina e beccandosi subito un’occhiata torva da parte del fratello. 

Hazel e Sirius si lanciarono uno sguardo sfuggente e bastò questo per accordarsi sul fatto che non avrebbero fatto al più grande dei loro figli nessuna domanda: Janus era sempre stato un tipo piuttosto riservato e di certo non volevano metterlo in imbarazzo se finalmente stava iniziando ad andare avanti dopo Faye. 

- Be’, chiunque sia questa tua amica, ti chiedo di non farmela conoscere almeno finché non decidiate di sposarvi. - Decise Hazel. - Che poi se vi lasciate ci rimango nuovamente male. - 

- Non c’è nessuna amica, mamma. - 

- E poi possono sempre divorziare. - Sottolineò Aurora. 

- Comunque Ninfadora ha detto che sarà una festa in grande stile, con una cosa come duecento invitati. - Sviò il discorso Sirius.

- Un’ottima occasione per vestirsi bene. - Annuì Hazel. 

- L’ultima volta che sono stato a un matrimonio la sposa è scappata. Spero che non accada di nuovo. - 

 

La Tana aveva ospitato parecchi matrimoni da quando il signor Septimus Weasley l’aveva tirata su per andarci a vivere con sua moglie Cedrella. C’era stato il matrimonio di Arthur e Molly e in seguito quello dei loro figli, ma mai quel luogo era stato tanto sfarzoso come quel giorno di fine agosto: il giardino, insolitamente curato e libero da gnomi e altre creature, ospitava per l’occasione un grande tendone festoso, una piccola orchestra suonava in un angolo canzoni tipiche del mondo dei maghi e il buffet era ricco, proprio come il tavolo delle bevande, dove i bicchieri non facevano altro che riempirsi da soli per la gioia degli ospiti, che per l’occasione sfoggiavano le più eccentriche vesti. 

La cerimonia era finita da poco e Teddy e Victoire stavano ballando un lento al centro della pista mentre i molti invitati li guardavano. Erano innamorati e felici, lo si poteva notare lontano un miglio: lei era bellissima nel suo abito da sposa argenteo, i capelli biondi raccolti come quelli di una vera principessa e gli occhi appena truccati che non riuscivano a staccarsi dal volto di Ted, che nemmeno per quell’occasione aveva deciso di abbandonare la sua solita chioma turchese. 

Ma Hazel, in piedi e impacciata in un angolo, faticava a tenere gli occhi puntati su di loro, perché questo voleva dire incrociare le occhiate che di tanto in tanto qualche invitato lanciava nella sua direzione. 

- Pessima idea… pessima idea. - Disse per l’ennesima volta. - È stata una pessima idea venire qui oggi. - 

- Non hai tutti i torti. - Annuì Janus.

Sirius, fermo tra loro a braccia conserte, sospirò. Sì, era stata una pessima idea, ne era consapevole, ma non l’avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura. - Voi dovete solo guardare la cosa da un’altra prospettiva, va bene? - 

Sia Hazel che Janus si voltarono per poterlo guardare. Per poterlo guardare male. - E quale sarebbe questa altra prospettiva? - Domandò lei, piccata. 

Sirius si strinse nelle spalle. - Aurora e Halley possono avere finalmente un contatto reale con il mondo magico, dato che non hanno nemmeno mai messo piede a Diagon Alley. Sono praticamente come due nati babbani. -

- Loro hanno già un contatto reale con il mondo magico. - Obiettò Hazel. - Tu sei un mago, il loro fratello maggiore è un mago, Harry, i suoi figli, Dora, Andromeda e Ted hanno dei poteri. Siamo circondati da maghi e streghe, Sirius. D’altra parte conosciamo pochissimi babbani. -

- Solo perché tu non sei una persona socievole. -

- Oh no, sei tu che hai paura della solitudine. - 

- E allora tu… - 

- Potete smetterla di battibeccare come due bambini? - Sbottò Janus, esasperato. 

Il lento su cui i novelli sposi avevano fatto il loro primo ballo era appena terminato e la musica fu subito seguita da uno scrosciante applauso. Janus vide il cugino raggiungere il tavolo in cui erano riuniti gran parte dei parenti più giovani di Victoire e subito il giovane Black prese a cercare tra quella folla il volto di Molly, senza però riuscire a trovarlo. Chissà, magari non era venuta. 

Questo pensiero lo intristì, ma fece del suo meglio per distaccarsene. 

- Voi due attirate davvero troppe attenzioni indesiderate. - Dichiarò sbuffando. - Vado a cercare Al, voglio proprio chiedergli cosa ci trova in Malfoy. - 

- Non metterlo in imbarazzo! - Esclamò Hazel, prima che il figlio si muovesse. 

- Oh no, è proprio quello che ho intenzione di fare! - Rise Janus. - Insomma… Malfoy. Albus deve essere messo in imbarazzo se sta con un piccolo Malfoy. - 

Sirius pensò che suo figlio non aveva poi tutti i torti, mentre Hazel scoccò a Janus un’occhiataccia. Quando poi il giovane sparì dalla loro vista, lei si fece coraggio e alzò lo sguardo verso la pista da ballo. 

Lì Aurora giocava insieme agli altri bambini, mentre Halley se ne stava in disparte come al solito, totalmente disinteressato, proprio come era Janus alla sua età. Al di là della pista da ballo, Hazel riuscì a scorgere per la prima volta il tavolo attorno cui si era raggruppata gran parte della famiglia Weasley: c’erano i signori Weasley, invecchiati ma con indosso quelli che dovevano essere gli abiti migliori del loro intero armadio; Ron e Hermione, lui ingrassato e lei dall’aria molto seria; Charlie e infine Percy, che sedeva accanto a una donna dall’aspetto molto curato, i capelli biondi, lisci e ordinati, tagliati a a caschetto. 

Sì, quella dev’essere sua moglie, è proprio il suo tipo, pensò Hazel mentre li guardava.

In quello stesso istante, come se il mago avesse avvertito che qualcuno lo stava fissando, volse lo sguardo nella direzione di Hazel, che accennò un piccolo sorriso nervoso di rimando. Percy a quel punto, dopo un attimo di esitazione, alzò la mano e la salutò con fare incerto.

- Percy ci ha visti. - Disse Hazel, parlando a denti stretti, afferrando la mano di Sirius. 

Anche lui puntò lo sguardo verso il tavolo dei Weasley. - Che gioia per gli occhi che è. - Sogghignò guardando proprio Percy. - Soprattutto ora che ha perso gran parte dei pochi capelli che gli rimanevano. -

- Dai, piantala. - Borbottò Hazel. - Io l’ho sempre trovato carino. - 

- Se non fosse per il fatto che sei innamorata di me da trent’anni ti direi che hai pessimi gusti. - 

Hazel non ribatté, ma notò che Percy stava dicendo qualcosa alla donna che doveva essere sua moglie, poi li vide alzarsi e camminare proprio verso di loro. 

- Oh no. Stanno venendo qui. - Sussurrò, lanciando a Sirius uno sguardo ansioso. 

- Vuoi parlarci o ce la filiamo? - 

Hazel cercò di valutare entrambe le opzioni ma man mano Percy e quella donna si avvicinavano, la sua mente si faceva sempre più vuota. Scappare sarebbe stato facile, ma poteva farlo per tutto il giorno? Magari doveva semplicemente affrontare la cosa, prima o poi sarebbe dovuto accadere, no? 

- Ci parleremo. - Decise alla fine, sentendosi stringere immediatamente in una morsa di imbarazzo. - Saremo molto gentili e rilassati. Possiamo farcela. - 

Sirius fece una faccia contrariata che però fu subito spodestata da un sorriso tirato quando i due furono abbastanza vicini. 

- Salve, cara. - Cinguettò dolcemente la donna, scrutando Hazel da cima a fondo. 

Hazel aggrottò la fronte. Guardò prima lei e poi lui, e Sirius fece esattamente la stessa cosa. Erano entrambi un po’ impettiti: era come se quella donna avesse nuovamente tirato fuori il vecchio e pomposo Percy Weasley. Lei indossava una veste da strega molto tradizionale e festosa, mentre lui non era troppo diverso dal solito, con quel completo verde bottiglia, gli occhiali di corno sul naso e gli sguardi di superiorità che ogni tanto saettavano dai suoi occhi color cielo verso Sirius. 

- Perce, wow… che piacere rivederti. - Disse Hazel, tesa come non mai. - Sei davvero… in gran forma. - 

Percy la fissò come se lei lo avesse appena preso in giro. Insomma, era ancora alto e allampanato, non aveva capelli e somigliava un po’ troppo a suo padre per sentirsi in gran forma. - Sei molto gentile, Hazel. - Rispose in tono solenne, come se si trovasse davanti ad una totale sconosciuta.

- Cara, ho sentito tanto parlare di te. - Riprese la donna, con la stessa vocina melliflua di poco prima.

Sirius si trattenne dallo scoppiare a ridere e Hazel gli scoccò un’occhiataccia di tralice. 

- Sono la moglie di Percy, cara. - Spiegò, quando scoprì che non era poi così tanto ovvio. 

- Oh, ma certo, cara. - Annuì l’altra. Adesso anche a lei veniva un po’ da ridere. - Certo, sei… hem… sì, sei… hem… - 

- Penelope. - Imbeccò Percy. 

- Penelope! Oh, ma certo. Chi lo avrebbe mai detto. - Fece Hazel. - Sono davvero felice che voi vi siate ritrovati dopo tanto tempo. È davvero romantico. - 

- Sì, ci siamo incontrati casualmente per le vie di Diagon Alley e da quel momento non ci siamo mai più lasciati. - Sospirò Penelope con fare talmente sognante da risultare parecchio strana. - Ci siamo sposati pochi mesi più tardi e abbiamo anche avuto un bambino, il nostro piccolo Arthur. - 

- Oh sì, l’ho saputo. Quanti anni ha adesso? - 

- Ha otto anni. È un bambino tanto intelligente, riesce già a controllare perfettamente la sua magia e vedessi come vola! - 

- Davvero delizioso. - Commentò Sirius. 

- So che anche tu hai dei figli. - Si mise rigidamente in mezzo Percy, rivolgendosi solo a Hazel. - Due, mi sembra di aver capito. -

Anche se stava tentando di non darlo a vedere, Percy Weasley sapeva tutto di Hazel Rains e della sua vita. Gli era capitato di dare un’occhiata ai profili social della donna più volte di quanto avesse realmente voluto, diventando così spettatore silenzioso di tutto ciò che lui non era stato capace di darle. In quelle foto Hazel rideva in posa davanti ai monumenti più belli del mondo o con paesaggi meravigliosi sullo sfondo, rideva mentre nel cielo sopra di lei danzavano le luci dell’aurora, circondata da neve e tutta infagottata in un ingombrante piumino. Quando poi Percy aveva scoperto proprio tramite quelle foto che Hazel era incinta, si era sentito morire: lei era sempre stata categorica, niente figli, mai, eppure questo non valeva con Sirius. 

- Quando stavi con me non ne volevi. - Si lasciò sfuggire, come un pensiero detto ad alta voce per sbaglio, per poi tradire l’imbarazzo con una risatina acuta e nervosa.

Anche Hazel ridacchiò e dopo guardò Sirius, lanciandogli una silenziosa richiesta di aiuto. 

- Sì… Aurora, la più grande, è arrivata per puro caso. - Spiegò Black. - Eravamo in Alaska, si vedeva proprio l’aurora fuori dalla finestra del posto in cui alloggiavamo. Sai come vanno certe cose, Weasley… - 

- L’abbiamo chiamata così perché lei rappresenta l’alba di qualcosa di nuovo. - Lo fermò Hazel. - Mentre Halley… il suo nome deriva dalla cometa. - 

- La cometa di Halley. Lui è stato programmato, anche se sembra un po’ strano da dire, visto che si tratta di un bambino. - 

Penny fece un piccolo versetto intenerito. - Oh, e quanti anni ha il piccolino? - Chiese.

- Ha fatto otto anni qualche mese fa. - Rispose Hazel. 

- Che dolce! Allora frequenterà Hogwarts nello stesso anno del mio Artie! - Trillò con entusiasmo l’altra. - Sarebbe bellissimo se diventassero amici, non è vero, cara? - 

Hazel e Sirius annuirono in contemporanea. 

Per le mutande di Merlino, speriamo di no! Pensò però lui. 

- Sì, ehm… Halley è quello con i capelli castani e gli occhiali. Mentre la bambina mora con la frangetta e l’atteggiamento da piccola diva è Aurora. - Spiegò Hazel, indicando i due bambini.

Percy li guardò, notando che effettivamente lei aveva davvero l’atteggiamento di una che aveva una gran puzza sotto al naso, lo stesso modo di fare che aveva Janus da piccolo, mentre il bambino era talmente uguale a Hazel da sembrare quasi una femmina. Probabilmente anche lui dipingeva e amava tutte quelle stramberie tanto care alla madre. 

- Lui ti somiglia molto, Hazel. - Osservò Percy.

- Sì, ma ha gli occhi di Sirius. - Rispose lei, facendo un piccolo sorriso. - Mentre Aurora è tutta suo padre anche nel carattere. Ma dimmi, Arthur qual è? - 

- Eccolo lì, il bambino che sta giocando con Charlie. - Lo indicò Penelope, parlando con grande orgoglio.

Arthur era una versione di Percy con i capelli biondi e senza occhiali e aveva in linea generale l’aspetto di un bambino un po’ viziato, uno di quelli venerati dai propri genitori. 

- Janus dov’è? Mi è sembrato di averlo visto poco fa, durante la cerimonia. - Disse Percy, guardandosi attorno. - So che il Ministero ha tentato di assumerlo parecchie volte, ma che lui ha sempre declinato l’offerta per continuare a lavorare in proprio. - 

- È un ragazzo intelligente, sarebbe sprecato in un ufficio a fare il burocrata, Weasley. - Spiegò Sirius, che tradotto voleva dire “sarebbe sprecato se finisse come te”. 

Percy lo guardò con una certa animosità. Lo detestava. - Sarebbe sprecato se per vivere usasse l’eredità dei propri genitori o i soldi che guadagna sua moglie. - Rispose, scoprendo i denti in un ghigno trionfante. 

Hazel vide il volto di Sirius infiammarsi. 

Aveva fatto di tutto in quegli anni per tentare di dare al mago una vita felice e appagante nonostante tutte le difficoltà che aveva tutt’ora. Sirius ogni tanto faticava ancora a capire quel mondo tanto diverso da quello che aveva lasciato quando era sparito dietro a quel velo, ogni tanto si sentiva ancora depresso, inutile, in frantumi, come se avesse perso tantissimi pezzi di sé stesso durante tutti quegli anni dolorosi passati ad Azkaban. 

Sirius percepì la mano di Hazel afferrare e stringere la sua, un chiaro invito a stare calmo. Probabilmente, se non ci fosse stata lei, non si sarebbe fatto tanti scrupoli a sfoderare la bacchetta. 

Stava quasi per aprire la bocca per ribattere, quando Penelope gli parlò sopra: - Vi siete sposati anche voi, cara? - Domandò rivolgendosi a Hazel, guardando di soppiatto la mano sinistra di lei, stretta a quella di Sirius, dove non c’era alcun anello. 

- No, cara. - Ribatté Hazel. 

Perché i maghi erano così ossessionati dai matrimoni? 

- Almeno non tradizionalmente, cara. - Aggiunse Sirius. - Una mezza specie di sciamano babbano ha celebrato una sorta di matrimonio quando siamo stati in Sud America, qualche anno fa. Era una cosa simbolica, sai, Weasley, quelle cose spirituali che piacciono tanto a Hazel, ma è comunque valido. - 

Hazel sorrise. - Era più un sommo sacerdote che uno sciamano, ma non sapevo avesse proprio una valenza legale. - 

- Ce l’aveva. - Assicurò Sirius, deciso. - Comunque niente di tradizionale. Non volevamo replicare il vostro quasi matrimonio, Weasley. Certo, probabilmente con me non sarebbe mai scappata via, ma meglio non rischiare, no? - 

Stavolta fu il turno di Percy di arrossire dalla rabbia. Guardò Sirius molto intensamente, uno sguardo talmente truce che Hazel temette seriamente di vederlo sfoderare la bacchetta.

- Forza, Percival, era una battuta. - Sospirò Sirius con leggerezza, dandogli una forte pacca sulla spalla. - Nessun rancore, dico bene? - 

Percy alzò i lati della bocca e ciò che uscì fu una smorfia piena di sdegno e freddezza.

- Dovreste venire a cena da noi, una sera di queste, cari. - Disse Penelope. 

Neanche morta, cara, si ritrovò a pensare Hazel, ma sorrise e annuì comunque in un modo molto credibile. - Certo, quando vuoi, cara. - Disse. 

- Credo che Arthur stia reclamando la nostra presenza, Penny. - Fece Percy, lanciando uno sguardo fugace verso il figlio, ma era palese che quello fosse un chiaro tentativo di fuga. - È stato un piacere rivederti, Hazel. - Proseguì, ignorando totalmente Sirius. - Ah…! Mi sono imbattuto in un articolo su di te su un giornale babbano trovato a casa di Penny, sai i suoi genitori sono babbani. Un articolo sui tuoi quadri… sei famosa. - 

- Oh no, non sono affatto famosa! - Replicò Hazel. - Riesco a vivere di quello adesso, ma non credo che finirò su un manuale di storia dell’arte, ecco. - 

- In realtà lo è. - Obiettò Sirius. - La prima volta che qualcuno ci ha fermati per strada per chiedere se “Hazel Rains l’artista” fosse lei ha pianto, adesso invece è abituata. - 

- Confesso che quello è stato il giorno più bello della mia vita. - Annuì lei, ridendo. - Ma non sono famosa. Lo sono solo se ti interessi di certe cose. - 

- Hai fatto bene ad insistere. Volevo dirti questo. - Tagliò corto Percy.

Hazel fece un sorriso incerto. Una parte di lei stava gongolando parecchio al pensiero che proprio lui, proprio Percy, che aveva sempre cercato di indirizzarla verso qualcosa di più sicuro, si stesse praticamente complimentando con lei. - Grazie. - Disse alla fine. 

- Mia madre e mio padre ti salutano tanto, Hazel. - Proseguì Percy. - Non farti problemi se vuoi andare a parlarci. - 

- La signora Weasley parla ancora così bene di te. - La informò Penny, e nella sua voce venne fuori un bel po’ di contrarietà. 

Hazel si sentì sollevata nel sapere che forse Molly e Arthur non la odiavano e si affrettò ad annuire. - Sì, se non è inappropriato mi piacerebbe tanto salutarli. - Disse. 

Percy la guardò e poi si lasciò sfuggire il primo vero sorriso da quando quella conversazione era iniziata. Avrebbe voluto dirle che nessuno la odiava e che, anzi, la sua famiglia era stata piuttosto comprensiva dopo i primi momenti di confusione in seguito a quel matrimonio annullato. Avrebbe voluto dirle che in realtà per anni era mancata a tutti loro, ma sapeva che una cosa del genere Penny non gliela avrebbe mai perdonata. 

- A loro farebbe molto piacere. - Disse invece. - Allora… buon proseguimento. - Aggiunse, per congedarsi. 

- Divertitevi, cari. - Cinguettò Penny.

- Contaci, cara. -  

- Addio, Weasley. - 

Quando Penelope e Percy si allontanarono, Sirius si voltò nella direzione di Hazel, che teneva lo sguardo puntato ancora verso il tavolo dei Weasley. - Non è andata così male, no, cara? - Le domandò, passandole un braccio sulla spalla.

- Sei fortunato che Percy non ti abbia schiantato, caro. - Rispose lei. 

- No, cara, è lui quello fortunato dato che ad un certo punto mi era venuta un’improvvisa voglio di picchiarlo alla maniera dei babbani. -  

- Resti comunque un bulletto arrogante. - Mugugnò Hazel.

- Ma almeno non sono pelato né sposato con una donna che usa la parola “caro” o “cara” come intercalare, cara. - 

Hazel posò lo sguardo su di lui e davanti a quell’espressione beffarda non poté fare a meno di ridere. - In effetti hai ancora un sacco di capelli, sì. - Disse. - Ma ti ricordi che quel matrimonio celebrato da quella specie di santone in Sud America non era un vero matrimonio con valenza legale, vero? - Gli chiese divertita. 

- Certo che me lo ricordo, ma lasciamo che Percy lo creda. - 

Hazel alzò gli occhi al cielo e scosse la testa, mantenendo però quel sorriso sul volto. - Va bene… allora da adesso siamo sposati. - 

- Decisamente molto sposati, sì. - Affermò Sirius con decisione, stringendola in un breve abbraccio. - Vuoi andare a salutare Molly e Arthur? Te la senti? - Le domandò poco dopo. 

Hazel ci pensò su e poi annuì, voltandosi a guardare nuovamente nella direzione della famiglia Weasley. - Andiamo. - Disse, prendendolo per mano. 

Insieme a lui, ne era certa, sarebbe riuscita ad affrontare qualsiasi cosa. 

 


- Quindi… tu e Malfoy, eh. - 

Albus per poco non si strozzò con l’acquaviola che stava bevendo in quel momento, e si voltò verso Janus rivolgendogli uno sguardo a dir poco terrorizzato. 

- Me l’ha detto Aurora. - Spiegò Black, sorridendo un po’ divertito davanti alla faccia del più giovane. - Non ti preoccupare, nessuno di noi ha intenzione di dirlo in giro, tranquillo. Però… Scorpius? Sul serio? Insomma, lui è… - 

- Un ragazzo. - Mormorò Al, abbassando lo sguardo sul bicchiere che aveva in mano. 

- Stavo per dire che è un Malfoy. Il fatto che sia anche un ragazzo non è così importante come credi. - Obiettò Janus. - Scorpius è… biondo e pallido, sembra appena uscito da Azkaban per quanto è magrolino. Hai dei gusti davvero di merda, Al. - 

Albus, di nuovo, rimase zitto, stringendo il bicchiere con talmente tanta forza da far diventare bianche le sue falangi. Quasi nessuno sapeva il suo grande segreto, ma proprio nessuno ne aveva mai parlato con così tanta leggerezza, come se fosse… normale. 

- Senti, Al, so che sei cresciuto in un mondo in cui l’unico amore ritenuto lecito è quello tra un uomo e una donna, ma non è così. - Proseguì Janus, stavolta usando un tono molto serio. - Comunque se hai bisogno di parlare io sono qui, non voglio forzarti. - 

Albus esitò, batté le palpebre un paio di volte come se volesse togliersi da davanti un’immagine che non gli piaceva e poi si girò verso Janus, osservandolo. Janus era molto più grande di lui, ma Al poteva anche azzardare a dire che fossero amici. Dopotutto erano entrambi considerati un po’ strani e entrambi in quel momento erano tra i pochi che non avevano voglia di ballare o stare in mezzo alla folla di persone; se ne stavano in disparte, in un angolo di quell’enorme tendone, a osservare gli altri. 

- Io non volevo essere così. - Confessò amaramente Albus. - Volevo essere come James. - 

- Lo capisco, anche io volevo essere com’è James quando avevo la tua età. - 

- Ma tu lo eri. - Ribatté Albus. 

Janus aggrottò la fronte e lo fissò come se avesse appena detto la più grande baggianata del secolo. - Cosa? - 

- Sì, be’... prima prefetto, poi caposcuola, avevi voti alti in tutte le materie, amici e una fidanzata. Eri esattamente come James. - Spiegò il giovane. - Mentre io fatico in tutto. - 

Janus sospirò e poi scosse la testa. - Non devi farti ingannare da certe cose, Al. Va bene, ero prefetto, caposcuola, andavo bene in quasi tutte le materie ma non perché ero particolarmente portato per la magia: semplicemente studiavo un sacco, in verità non mi veniva facile quasi nulla. Per quanto riguarda gli amici… ne avevo solo due e poi c’era Faye. Mi sarebbe piaciuto davvero tanto essere come James, essere un gran figo, bravo nel quidditch, sempre circondato da ragazze che gli sbavano dietro, ma io ero… ero un po’ più come te. I primi anni mi prendevano in giro, mentre l’ultimo è stato un vero inferno vista la situazione tra mia madre, mio padre e Percy. Quindi no, non ero affatto come tuo fratello. -  

- Però almeno non eri… non eri come me. - 

- Intendi dire gay? - 

Albus sobbalzò. Non aveva mai pronunciato quella parola e nemmeno Scorpius l’aveva mai fatto. - Non dirlo ad alta voce. - Sussurrò allarmato, guardandosi intorno. 

- Guarda che non è una parolaccia, è solo una delle tante cose che fanno la persona che sei e di cui dovresti essere orgoglioso. - Disse Janus. - Conosco un ragazzo “come te”, un mago per giunta, è il mio migliore amico. Non ti nascondo che forse come lui avrai una vita complicata dato che il nostro mondo ha una posizione molto bigotta su certi argomenti, ma tu, a contrario di lui, potresti sfruttare il tuo privilegio per fare qualcosa. - 

- Che privilegio? - Domandò Albus, alzando un sopracciglio con aria scettica. 

- Il privilegio di avere due genitori che in tutta probabilità non ti cacceranno di casa e quello di avere un padre che ha salvato il mondo magico. La voce della vostra famiglia ha un certo peso, lo sai, se Harry dicesse che essere g… che essere “come te” va bene, allora le cose potrebbero davvero iniziare a cambiare. Potresti essere un attivista. - 

Albus guardò Janus mantenendo la stessa espressione diffidente prima. - Un attivista. - Ripeté. - Come zia Hermione con il C.R.E.P.A.? - 

- Sì, ma molto meglio. - Disse Janus. - Già me lo immagino il pride a Diagon Alley; riesco a vedere le facce di quei vecchi stregoni omofobi e decrepiti sbiancare. Certo, capisco se adesso ancora non te la senti di esporti. Mi sembra di aver capito che nessuno conoscesse questo tuo piccolo segreto fino ad ora. - 

- In verità l’ho detto a Hazel due estati fa. - Svelò Albus. 

Janus aggrottò la fronte. - Davvero? Perché a lei sì e a me no? - 

- Tua madre ha quella faccia… ispira fiducia, lo sai. - Si giustificò il giovane. 

- In effetti non ci ha detto nemmeno una parola. - Annuì Janus. - Ma torniamo al motivo per il quale stiamo parlando… Scorpius Malfoy? Sul serio ti piacciono biondi, pallidi e magrolini? Certo, riconosco che c’è una sorta di fascino del vietato dietro, una cosa alla Romeo e Giulietta, visto i trascorsi di suo padre e tuo padre, ma… ti prego, raccontami tutto, ho bisogno di un po’ di sano gossip per superare questa giornata! - 

Albus esitò, poi sul suo viso si disegnò un timido sorriso divertito e da lì iniziò a raccontare. 

 

Nello stesso momento, seduta a uno dei tanti tavoli che circondavano la pista da ballo ormai affollata, la giovane Dominique Weasley, con indosso il suo vestito da damigella d’onore color porpora lungo fino ai piedi che la faceva apparire ancor più statuaria, stava osservando con un certo interesse suo cugino Albus che parlava con un giovane dall’aria affascinante, arricciandosi attorno a un dito una ciocca di setosi capelli biondi sistemati in una raffinata acconciatura. 

Lei ne era certa, non aveva mai visto quel ragazzo, era sicura che uno come lui se lo sarebbe ricordato. Inoltre lei sotto quel tendone conosceva tutti. 

Ma allora chi era quel giovane che da almeno dieci minuti stava parlando con suo cugino? 

Dominique sospirò seccamente e poi staccò finalmente lo sguardo da quello sconosciuto, per passarlo sui visi delle persone che la circondavano: alla sua destra sua cugina Lily si stava ingozzando di tartine in un modo che avrebbe probabilmente reso fiero zio Ron, mentre a sinistra si era appena seduta sua sorella assieme al neo marito, entrambi già un po’ brilli. Dall’altra parte del tavolo, invece, diversissime nello stile sebbene fossero gemelle, erano accomodate Molly e Lucy. 

- Vic. - Esordì di botto Dominique, afferrando il braccio della sorella maggiore per attirare la sua attenzione. - Vic, chi è il tipo che parla con Al? - Domandò, indicando Janus con un cenno del capo. 

Victoire fece un sorrisetto pigro e malizioso allo stesso tempo. - È Janus. Janus di zio Percy; non te lo ricordi? - 

Lei alzò le sopracciglia e schiuse la bocca in un’espressione sorpresa. - Cazzo, è venuto su bene, eh? - Disse alla sorella. 

Victoire rise. - È carino, sì. - Le concesse. - E per tua informazione non ha una ragazza. - 

- Di chi state parlando? - Si mise in mezzo Ted, sporgendosi verso di loro e attirando anche l’attenzione di Lily, Molly e Lucy. 

- Di Janus. Dominique pensa che sia “venuto su bene”. - Spiegò Victoire, guardando il proprio marito con una certa eloquenza prima di fare un cenno verso il giovane Black. 

- Oh, è già arrivato? - Sussultò Molly, cercandolo nella folla. - È qui? - 

- Per le mutande di Merlino, calmati, Molly. - La schernì la gemella. - Non avrai mica ancora una cotta per lui come quando avevi quattordici anni. - 

Molly si sentì arrossire, ma la sua espressione rimase impassibile e il suo atteggiamento tranquillo. - Non ho mai avuto una cotta per lui. - Ribatté gelidamente.

- Eppure quando ha smesso di scriverti hai pianto per mesi. - Rimbeccò Lucy. - Come facevi a sapere che sarebbe venuto, oggi? - 

Molly esitò, chiedendosi se fosse il caso o meno di dire la verità: dopo quell’incontro inaspettato nell’aula di divinazione, Janus era capitato a Hogwarts molto spesso. Andava a trovare Annie, diceva, e tanto che c’era passava a dare un saluto anche a lei. 

Avevano iniziato in questo modo a vedersi spesso, a passeggiare per il parco della scuola e a concedersi lunghissime chiacchierate caratterizzate spesso da discorsi sulle poesie che lei scriveva, comportandosi uno con l’altra come se il tempo non fosse mai trascorso.  

- Qualche settimana fa ci siamo incontrati per caso a Hogwarts e me l’ha detto. - Disse alla fine la ragazza, concedendo una mezza verità. 

Il gruppetto la guardò con le sopracciglia aggrottate e l’espressione scettica, attendendo da lei ulteriori delucidazioni. 

- Una sua amica è l’insegnante di divinazione, quindi quando la va a trovare viene a salutarmi, tutto qui, ragazzi. - Proseguì dunque Molly, alzando gli occhi al cielo. - Ecco… passeggiamo nel parco e cose del genere, una volta siamo anche andati ai Tre Manici di Scopa. -

- Quindi tu e Janus uscite insieme? - Domandò bruscamente Lucy, arricciando il naso con disapprovazione. - Dopo tutto quello che è successo con Hazel e nostro padre? - 

- No no! - Assicurò Molly. - Siamo amici! Solo amici! Quasi due anni fa Faye lo ha lasciato e lui si sente ancora parecchio triste. Ma, al di là di questo, non credo di interessargli in quel senso. - 

- Senti, Molly: lui ti piace o posso provarci io? - Domandò Dominique, andando dritta al punto quando notò che Albus si era appena allontanato da Janus, che in quel momento si guardava intorno come se non sapesse esattamente dove andare. 

Molly percepì una sensazione spiacevole, come se un piccolo mostriciattolo molto agitato le fosse appena nato nello stomaco, ma decise di non farci caso. Dopotutto lei e Janus si erano visti parecchio nelle ultime due settimane e lui non aveva mai dato alcun segnale di provare per lei dell’interesse. Certo, c’era da dire che lei aveva fatto esattamente lo stesso, costringendo sé stessa a non azzardarsi nemmeno minimamente a far rinascere dentro il suo cuore quel sentimento che aveva caratterizzato i primi deprimenti anni della sua adolescenza.

Erano amici, Janus la vedeva ancora come una ragazzina, non aveva nessuna speranza con lui, mentre Dominique… be’, lei aveva speranza praticamente con chiunque.

- Fa’ pure, Domi. - Disse sorridendo tranquilla. 

- Lily, tu che lo conosci bene, hai qualche consiglio? - Fece Dominique, rivolgendosi alla più piccola del gruppo. 

Lily scrollò le spalle. - Punta sulle cose da intellettuali o da nerd. - Buttò lì. 

- Fingerò di essere una grande fan di quegli orrendi film Marvel o di qualche scrittore russo babbano. - Decise Dominique. - Che lavoro fa? - 

- Il magiavvocato. Ha anche preso una laurea babbana in una di quelle importanti università americane, ma solo perché Hazel tra i babbani è famosa e quindi l’ha raccomandato. - Spiegò Lily con nonchalance. - Sarà anche bello a primo impatto, ma è un tipo noioso che se la tira. Un po’ come zio Percy, ma più deprimente. - 

- Lily non ha poi tutti i torti. - Mormorò Ted, beccandosi un’occhiata di fuoco da parte della moglie. - Guardatelo: se ne sta lì tutto d’un pezzo, con quell’aria di uno che si sente troppo dannato per potersi divertire come le persone normali… -

- Non dar retta a questi due, Dominique. - Lo interruppe fermamente Victoire. - Sarebbe così bello se vi mettesse insieme! Lui è un bravo ragazzo, magari potrebbe riuscire a farti mettere finalmente la testa a posto. - 

Dominique alzò gli occhi al cielo; aveva vent’anni e nessuna intenzione di “mettere la testa a posto”. - Sì, aspetta e spera, Vic. - Borbottò, alzandosi in piedi. - Adesso, se permettete, vado a scoprire chi di voi tre ha ragione. - 

Molly, che aveva assistito alla scena in silenzio fino a quel momento, guardò sua cugina allontanarsi senza dire una parola, sebbene dentro di sé quel mostriciattolo gridava a squarciagola di essere liberato. 

Dominique, a sua volta, avvicinandosi passo dopo passo a lui, si rese conto che era davvero come appariva da lontano. Certo, magari il suo atteggiamento non era dei più sicuri — in realtà se ne stava lì tutto impacciato, gli occhi dispersi tra gli invitati come se stesse cercando qualcosa — ma, a parte questo, Janus Black era proprio ciò che ci si poteva immaginare quando si parlava di un bel ragazzo. 

- Ciao. - Lo salutò allegramente, una volta che l’ebbe raggiunto. 

Janus voltò la testa per poterla guardare e non disse niente. 

La osservò; capelli biondi, occhi chiari, pelle che sembrava di porcellana e un fascino viscerale: quella era sicuramente imparentata con Victoire, ipotizzò.

Dominique gli restituì lo sguardo con un po’ di sorpresa e poi parlò nuovamente: - Sono Dominique. - Spiegò, quando si rese conto che lui non sembrava avere intenzione di dire niente. - Ti ricordi di me? - 

A quel punto lui annuì. - Sì. Ciao. - Disse sorpreso. - E tu ti ricordi di me? Avevi una cosa come… otto o nove anni l’ultima volta che ci siamo visti. - 

- Lo so. Infatti non abbiamo mai avuto modo di parlare, tu ed io. - Annuì lei, facendo un seducente sorriso. 

Janus alzò un sopracciglio. - Ehm… okay? - 

Dominique continuò a fissarlo con fare perplesso. 

Okay? Tutto qui? Quella non era affatto la risposta che si aspettava. Forse Lily aveva ragione, Janus era un tipo strano. 

- Ti va dell’idromele? - Gli chiese incerta. 

Di solito erano i ragazzi a porgere a lei quella domanda. 

- Non bevo cose alcoliche, scusa. - Rispose Janus, spiecente. - Per caso hai visto Molly? La sto cercando ma non la vedo. Sai dov’è? - Domandò poi, guardandosi attorno.

Dominique fu, se possibile, ancor più sorpresa. Non le era mai capitato che un ragazzo sembrasse così poco interessato a lei, ma la cosa ancor più sconcertante per lei stava nel fatto che il ragazzo in questione avesse appena chiesto di Molly. Sebbene non fosse brutta, la cugina non aveva mai riscosso particolare successo tra gli uomini, neppure ai tempi della scuola. Per quel che ne sapevano tutti, Molly non aveva avuto neppure un ragazzo, nemmeno una volta, a stento aveva avuto qualche sporadico appuntamento e, insieme a Albus, era considerata la tipa strana della famiglia. 

- Sì, è seduta lì, insieme a Victoire, Ted, Lily e Lucy. - Rispose incerta, e dicendo questo Dominique indicò il tavolo a cui gli altri sedevano. 

Janus seguì il dito della giovane e, quando finalmente scorse Molly, sorrise e mosse la mano in aria per salutarla, prima di incamminarsi per raggiungerla, lasciando l’altra alle sue spalle e a bocca aperta. 

- Ciao. - Disse ai due sposini, a Lily e a Lucy, una volta aver raggiunto il tavolo, prima di rivolgersi proprio a Molly. - Ciao, Polly. - 

Lucy alzò gli occhi al cielo, Ted e Lily si scambiarono uno sguardo perplesso e Victoire sorrise sognante, Molly invece arrossì leggermente. 

- Ciao. - Ricambiò, imbarazzata.

Janus accennò un sorriso incerto e poi spostò fugacemente lo sguardo sugli altri, notando che tenevano a loro volta gli occhi puntati su di lui e Molly. 

Forse era meglio togliersi di torno, prima che il resto di quella piccola combriccola si lasciasse scappare qualcosa di strano. 

- Fa caldo… andiamo in giardino? - 

- Forse è meglio, sì. - Annuì Molly alla svelta, alzandosi in piedi. 

Janus si limitò ad annuire. Salutò alla svelta gli altri e seguì Molly fuori da quel tendone affollato, ritrovandosi sotto il sole cocente di quella che era una calda giornata tipicamente estiva, circondati dal verde e con il chiacchiericcio degli invitati di sottofondo che faceva da coro ai canti delle cicale. 

- Ciao. - Disse nuovamente lui, sentendosi molto più imbranato del solito. 

Quando si trovava davanti a lei aveva l’impressione di tornare a essere il ragazzino timido di un tempo e sperava con tutto sé stesso che Molly non se ne fosse resa conto. 

Si guardarono senza dire niente, limitandosi a scambiarsi dei piccoli sorrisi. 

Gli occhi scuri di lei avevano assunto una sfumatura dorata sotto quella luce, mentre i suoi capelli ricordavano a Janus il fuoco accogliente che bruciava nel camino della Sala Comune di Grifondoro. 

La trovava carina anche nella penombra dell’aula di pozioni, con i capelli increspati dall’umidità del sotterraneo e con indosso quegli abiti da strega un po’ all’antica, ma quella mattina nel giardino della Tana gli apparve bellissima. 

Janus si sentiva un po’ strano a fare pensieri del genere: quella era Molly, si conoscevano da quando lei aveva sette anni, non poteva trovarla attraente. Eppure quelle due settimane insieme a lei erano state le migliori dell’ultimo anno e mezzo. 

Molly era in qualche modo la stessa di un tempo; c’era ancora purezza nel suo sguardo e il suo viso sembrava quello di una persona che non poteva essere capace di far soffrire volontariamente un altro essere umano. Non era come Faye, Molly non lo faceva sentire in soggezione e per quanto a volte si sentisse un po’ in imbarazzo, davanti a lei non si era mai sentito inadatto, neppure una volta da quanto l’aveva ritrovata. 

Da quando poi Janus aveva letto le poesie che Molly scriveva, era come se il possente muro che circondava il suo cuore avesse iniziato a cedere, cosa che da un lato lo spaventava e che dall’altro lo incuriosiva. 

- Quindi… Dominique ci ha provato con te? - Gli chiese ad un certo punto la ragazza. 

Janus aggrottò la fronte. - Cosa? No, ovvio che no. - Rispose confuso. 

- Oh, invece sì. - Rise Molly. - Ha chiesto a Victoire chi fossi e quando ha capito che eri tu ha detto che sei “venuto su bene”. - 

- Sono davvero lusingato, non capita tutti i giorni di piacere a una quasi veela. - Buttò lì Janus. - Ma evidentemente Dominique ha un debole per gli sfigati. - 

Molly alzò gli occhi al cielo. - Lei esce solo con quelli più alti di un metro e ottanta, di bell’aspetto e con un buon lavoro. Direi che tu sei pienamente nei suoi standard. - Ribatté, iniziando a passeggiare per il giardino alla ricerca di un po’ d’ombra.

- Be’, lei non è nei miei. - Ribadì Janus. - Non credo che lei sia il mio tipo. - 

- Lei è il tipo di tutti. - 

- Non il mio. - 

Finirono così seduti sul prato rigoglioso nei pressi dell’entrata della Tana, il chiasso della festa talmente lontano da sembrare solo un ronzio. Rimasero in silenzio per almeno un minuto, senza sentire alcun bisogno di riempire l’aria di parole inutili. Era così bello per Janus non dover parlare di continuo, non dover dimostrare di continuo di non essere noioso. 

- Ho intravisto la nuova moglie di tuo padre, prima. - Disse ad un certo punto, voltandosi a guardarla. - Una sorta di matrigna cattiva o è più tipo mia madre? - 

- Matrigna cattiva, assolutamente matrigna cattiva. - Affermò Molly con leggerezza, ridendo piano. - In realtà non proprio… solo che Penelope è un po’ particolare. Non fa altro che chiamare chiunque “cara” o “caro”, con vocetta fastidiosa, è molto attaccata alle apparenze, esattamente come mio padre e inoltre fa spesso dei commenti un po’ spiacevoli sul mio aspetto. - 

Lui aggrottò la fronte. - Cosa avrebbe da ridire? Sentiamo. - La incitò curioso.

Molly si strinse nelle spalle. - Dice che i miei vestiti sono da vecchia. - Iniziò lugubre, accarezzando il tessuto della lunga gonna che indossava in quel momento. - Che dovrei truccarmi di più, sorridere di più, farmi crescere i capelli e stare più attenta a ciò che mangio, altrimenti ingrasserò come nonna Molly e nessuno mi vorrà mai. - 

Janus rimase zitto e si limitò a fissarla per una manciata di secondi pensando che quella Penelope fosse del tutto fuori di senno. - Credo che Penelope sia pazza. - Disse infatti, con una serietà tale da far scoppiare a ridere Molly. - Dico davvero! I tuoi vestiti non sono da vecchia, hai solo un tuo stile particolare. E poi perché dovresti truccarti, scusa? Mia madre dice che l’industria della cosmetica sfrutta la pressione che la mentalità patriarcale fa sull’aspetto delle donne per fare più soldi, ma che nessuna ha davvero bisogno di truccarsi. Sul resto non mi esprimo nemmeno, dato che sei abbastanza sveglia da capire da sola che sono un mucchio di stronzate. - 

Molly scosse la testa, mantenendo però quell'espressione divertita. - Sai essere piuttosto convincente, lo sai? - Disse sorridendo.

- Sono un avvocato, che ti aspettavi? - Ribatté allegramente lui. - Certo, mi occupo quasi esclusivamente di maghi che si mettono nei guai con la legge babbana, ma non posso lamentarmi, è un lavoro fin troppo tranquillo. -

- Però non è quello che sognavi di fare da bambino. - Obiettò Molly. - Ricordi quando eri fissato con l’idea di diventare Ministro della Magia? - 

Janus annuì. - Già. Volevo cambiare il mondo, una volta. - Ammise, con un sorriso triste. 

- E poi cosa ti è successo? - 

Eh, bella domanda, pensò Janus. Non aveva idea di quando la sua voglia di inseguire quel sogno si fosse estinta, sapeva solo che a un certo punto della sua esistenza aveva deciso di accontentarsi. Poi quando Faye lo aveva lasciato le cose erano peggiorate, aveva perso interesse per tutto, aveva cominciato a sentirsi come un guscio vuoto. 

- Non lo so. - Disse, guardando il cielo sgombro sopra di loro. - Forse sono solo cresciuto; spesso quando si cresce si diventa disillusi. Ma comunque il mio lavoro mi piace, anche se essere un avvocato nel mondo magico in tempi di pace è un po’ noioso. Non succede mai niente degno di nota. Ad ogni modo ormai è tardi per i sogni. - 

Molly corrucciò la fronte. - Hai ventinove anni, Jan. - Sottolineò perplessa. 

- Appunto, dovrei essere già realizzato, invece vivo con il mio migliore amico nella casa che dividevo con la mia ex, i miei genitori hanno una vita più entusiasmante della mia e faccio un lavoro che mi annoia, ma che almeno paga bene, dai… - 

- Io ne ho venticinque, nessun editore vuole pubblicare le mie poesie e per sopravvivere insegno la materia più noiosa del mondo in una piccola aula umida e buia che, pensa un po’, è adiacente al mio alloggio, che è piccolo, umido e buio anch’esso. - Rispose Molly. - Come se ciò non bastasse, mentre mia cugina si sposa e mia sorella ha un fidanzato da almeno sei o sette anni, la mia vita sentimentale è ferma ai tempi della relazione di tre mesi avuta con lo sfigato della scuola durante l’ultimo anno. Ogni tanto mi sento fuori tempo anche io, ma non è importante, perché è solo un’impressione. - 

Janus sospirò. - Forse noi due siamo davvero troppo per questo mondo. - Disse con solennità. 

- Forse alla fine ricorreremo davvero al nostro accordo. - Sorrise Molly. - Te lo ricordi? Quello in cui abbiamo deciso che ci saremmo messi insieme a ridosso dei trent’anni. - 

Lui annuì e sorrise, ma la sua espressione si spense quasi nell’immediato. - Non te l’ho detto ma… mi dispiace di essere sparito per tutti questi anni. - Confessò. - Avevo promesso che sarei rimasto sempre con te anche al di là dell’unione dei nostri genitori… ma Faye non voleva che ti scrivessi e io non volevo ferirla, non volevo che si preoccupasse. -

- Lo so, lo capisco. - Lo tranquillizzò Molly. - Stavi costruendo una vita con lei, e io ero solo la stramba ragazzina che aveva una cotta per te. - 

- Cosa? - Sussultò Janus, voltandosi di scatto per guardarla. 

- Stavi costruendo una vita con… - 

- No, no… l’altra cosa. - Si affrettò a dire lui. - Tu avevi una cotta per me? - 

Molly alzò un sopracciglio con aria sorpresa. - Davvero non te ne sei mai accorto? - 

Janus scosse la testa. - No, mai. - Giurò sinceramente. - Allora forse Faye non era del tutto fuori di testa, adesso che ci penso. - Aggiunse, parlando più a sé stesso che a lei.

- Sei stato il primo ragazzo a spezzare il mio cuore, Janus Black. - Rivelò Molly, facendo un piccolo sorriso piazzato lì per coprire l’amarezza. - Quando hai smesso di rispondere alle mie lettere mi sono sentita una povera scema illusa. Non so cosa mi aspettassi. - 

- Scusa se non me ne sono accorto. Mi rendo conto solo adesso di quanto io sia stato indelicato. Dovresti detestarmi, lo capisco se è così. - 

- Non fa niente. - Lo rassicurò di nuovo Molly, appoggiando una mano su quella di lui. - Eravamo due bambini, o almeno io lo ero. - 

- Sì, ma mi dispiace lo stesso. - Replicò lui, assecondando quel semplice ma piacevole contatto. La mano di Molly era minuscola e calda, le sue unghie erano dipinte di rosa pastello. - Non capisco mai se qualcuno prova qualcosa per me o meno. Sono un troll quando si tratta di certe cose. - 

- Anche adesso? - 

- Soprattutto adesso. - Rispose Janus. - Non sono mai stato un tipo particolarmente empatico, lo sai. - 

Lei gli sorrise e annuì, e Janus ebbe la sensazione che il suo cuore avesse appena preso a battere in modo strano. 

Si sentiva proprio come un adolescente alle prese con la sua prima cotta e questo probabilmente lo faceva sembrare ancor più rigido. Detestava quel groviglio di sentimenti che gli aveva occupato lo stomaco, ma d’altra parte era felice di riuscire di nuovo ad assaporare quel tipo di cose che era certo di aver ormai dimenticato. Chissà cosa avrebbe provato a posare le labbra su quelle di lei… 

Fallo e lo scoprirai, pensò dentro di sé — e la voce nella sua testa suonò esattamente come quella di suo padre. 

Sì, forse doveva farlo davvero. Sarebbe stato così facile: gli sarebbe bastato sporsi solo un po’ verso di lei, chiudere gli occhi e… 

La porta della Tana alla loro destra si spalancò all’improvviso facendoli sobbalzare entrambi e prima che Janus potesse rendersi conto che lui e Molly si stavano ancora tenendo per mano, Percy varcò quella soglia insieme a un bambino dai capelli biondi. 

Ci fu un attimo di palpabile tensione, poi sia Molly che Janus scattarono in piedi. 

- Ehm… ciao, Perce. - Fece il ragazzo. 

Percy lo fissò attentamente con uno sguardo indagatore. Dopo tutti quegli anni e così da vicino, Janus somigliava così tanto al padre che Percy sentì quasi l’insana voglia di schiantarlo. - Ciao, Janus. - Disse invece, mantenendo un tono affabile.

Non aveva nulla contro di lui, ma stava tenendo per mano sua figlia fino a un attimo fa e, per quanto Janus fosse un bravo ragazzo, Percy non si sentiva affatto entusiasta all’idea di imparentarsi in qualche modo con qualcuno che facesse di cognome Black. 

- Che state facendo qui da soli? - Domandò bruscamente. - Molly, tua cugina si è appena sposata, dovresti essere lì con lei non qui fuori. - Non qui fuori con lui!

Molly diventò subito più rossa dei suoi capelli e anche Janus si sentì immediatamente a disagio. - Stavamo giusto per tornare. - Disse lei. 

- Bene, ti aspetto lì. - Dichiarò severamente Percy. 

Lanciò uno sguardo coriaceo nella direzione di Janus e si allontanò assieme al bambino, facendo crollare nuovamente sui due una cappa di imbarazzante silenzio. 

Janus rimase fermo a guardare il mago che si allontanava. Probabilmente Percy lo detestava e questo lo faceva sentire addolorato, dato che lui non aveva mai smesso davvero di provare affetto e stima nei suoi confronti. 

- Forse è meglio se torniamo di là davvero. - Esordì Molly, interrompendo sul nascere il flusso dei suoi pensieri. - Mi dispiace se mio padre… il fatto è che ha sofferto molto dopo che tua madre se ne è andata. Per un periodo è anche tornato a casa di nonno e nonna perché era parecchio giù di morale. - 

- Lo so, posso immaginare. - Sospirò Janus. - Allora… andiamo? - 

Molly si limitò ad annuire. 

Iniziarono ad attraversare di nuovo il giardino senza dire una parola, finché, una volta sull’entrata di quell’enorme e affollato tendone, Molly non si fermò di scatto. 

- Adesso che la scuola è finita non puoi più venire a trovarmi lì. - Disse, come se le fosse venuto in mente solo adesso. 

Lui all’inizio non proferì parola, ma la guardò cercando di capire cosa questo comportasse. Avrebbe forse dovuto aspettare l’arrivo di settembre per vederla di nuovo? 

- Che fai domani? - Quella domanda sfuggì violentemente dalle labbra di lui ancora prima che riuscisse solo a pensare di pronunciarla.

- Niente. - Rispose immediatamente lei. - Perché? - 

- Se vuoi possiamo fare qualcosa. - Buttò lì Janus. - Qualcosa da amici. - 

Molly socchiuse la bocca e batté le palpebre un paio di volte con fare pensieroso. - Sì. Possiamo fare qualcosa da amici. - Decise alla fine, accennando un sorriso incerto. 

- Ci vediamo davanti al Paiolo Magico, diciamo per le quattro? - 

- Va bene. Decidiamo una volta lì cosa fare. - 

Janus annuì alla svelta e non si mosse. Lei a sua volta esitò per un istante, sorrise nuovamente e poi si allontanò senza aggiungere altro, camminando verso il tavolo attorno cui sedevano ancora Ted, Victoire, Lucy e Lily, che da lì sembrarono accoglierla con tantissime domande. 

Dopo un attimo di smarrimento, Janus fece scorrere il suo sguardo tra gli invitati, scorgendo Hazel e Sirius, che se ne stavano lì, a qualche metro da lui, in piedi accanto alla pista da ballo.  

Iniziò a osservarli da lontano, e subito le sue labbra si piegarono in un sorriso intenerito. Sua madre e suo padre si amavano, questo lo si poteva notare lontano un miglio. Lo si capiva dal modo in cui lei rideva a ogni battuta di lui, dal modo in cui lui la guardava e da come si toccavano l’un l’altra, con quella chimica e quell’affiatamento che raramente Janus aveva colto in altre persone. 

Quando dalla folla che riempiva la pista spuntarono Aurora e Halley, che di corsa raggiunsero i propri genitori, Janus sentì invece il suo cuore stringersi. Quando aveva l’età dei suoi due fratelli avrebbe dato qualsiasi cosa per avere una famiglia come quella che adesso gli si palesava davanti. 

Sapeva che i suoi genitori lo amavano, eppure spesso si sentiva di troppo quando si trovava insieme a loro, come qualcosa di esterno, un lontano parente che appariva solo a Natale e di tanto in tanto durante l’estate, e questo, anche se non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce, faceva male, molto male. 

Janus sospirò e dopo essersi scrollato quel pensiero di dosso decise di muoversi per tornare da sua madre, suo padre e i due bambini. 

- Eccoti qui, dove ti eri cacciato? - Gli domandò sua madre, quando lo vide arrivare. 

- Secondo me ha incontrato qualche cugina veela di Victoire. - Sogghignò Sirius.

Janus alzò gli occhi al cielo, trattenendo un sorrisetto. In effetti c’entrava una cugina di Victoire, ma era meglio tenerselo per sé, almeno per ora. 

Guardò i suoi genitori e poi i suoi due fratelli, riuscendo a vedere un pezzetto di sé stesso in ognuno di loro. 

Si somigliavano. 

Forse Janus non si sarebbe mai sentito davvero parte di nulla ma, anche se non riusciva a vederlo, era chiaro che fosse parte di loro.




 

AAAAAH

È FINITA!

Questa storia è venuta fuori per puro caso, l’ho scritta senza alcuna pretesa e penso sia stata questa la chiave per viverla bene. Spesso sono così tanto critica con me stessa che anche quando si tratta di semplici hobby mi lascio incatenare dalla voglia di essere perfetta. Adesso che questa piccola avventura è giunta a termine ho tantissime altre idee che a me ovviamente sembrano delle cagate pazzesche, ma chissà, chissà…

Voglio ringraziare tutti quelli che hanno letto questa storia, chi l’ha messa tra le storie seguite, preferite e ricordate, e soprattutto a chi ha recensito questa fan fiction, perché mi hanno dato una grande mano a non abbandonarla. Un ringraziamento super speciale va a @starlight1205 (vi invito a leggere la sua fanfiction sempre sul mondo di Harry Potter perché merita moltissimo soprattutto per la trama molto avvincente) e @GYHoggy2020, che ha letto e commentato fin dall’inizio e un saluto anche a Autumn Wind (spero tu ci sia ancora), che tifava per Percy e che sta anche scrivendo una fanfiction pazzesca proprio su di lui.

Lo so, questo è praticamente un mezzo finale aperto ma so per certo che non ci sarà nessun seguito. Forse ogni tanto però potrei uscirmene con qualche one shot, chi può saperlo. 

Alla prossima,

J. 


 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4015457