Enjoy the Silence

di ElderClaud
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sing from Hell ***
Capitolo 2: *** Fare quello che non si vuole fare ***
Capitolo 3: *** Scivolare Via ***
Capitolo 4: *** Scoprire L'Irritazione ***
Capitolo 5: *** Sentire l'Udienza ***
Capitolo 6: *** La placca della tentazione ***
Capitolo 7: *** Il Decaduto ***
Capitolo 8: *** Lode alla Bestia ***
Capitolo 9: *** Padre Padrone ***
Capitolo 10: *** Vergine Nera ***
Capitolo 11: *** Argo dai cento occhi ***
Capitolo 12: *** Nel budello della storia ***
Capitolo 13: *** Profumo ***
Capitolo 14: *** Fiori del Deserto ***
Capitolo 15: *** Verdugo ***



Capitolo 1
*** Sing from Hell ***


“Le promesse sono dette per essere spezzate.
I sentimenti sono intensi.
Le parole sono devianti.
I piaceri restano.
Così il dolore.
Le parole sono senza senso e dimenticabili”

[Scarabocchio a margine di un foglio nella biblioteca principale di Las Noches. Autore ignoto.]



Enjoy the Silence
sing from hell




Lo senti.
Lo percepisci.
È il nulla che ti avvolge.
Può essere bianco, può essere nero, può anche avere il sapore del sangue ma... È sempre di quell'essenza che stiamo parlando.
Il niente ti avvolge e ti divora, ti deturpa il cuore – se ce l'hai – e ti trasforma dentro. Come una cancrena risale dal tuo petto e ti infetta la mente.
Ti contagia i pensieri e ti rende cieco agli occhi degli altri.

“Words like violence
Break the silence
Come crashing in
Into my little world”

L'assaggi.
La gusti.
È la noia che ti circonda.
Non esiste attimo della tua vita – tanto lunga quanto corta – che tu non abbia provato cosa vuol dire la noia su questo mondo.
Sul tuo mondo.
Ti dona scompiglio – in quella tua testa malata – e ti porta lontano. Viaggi a senso unico in quella tua mente distante, ti fa cantare a squarciagola note di quelle che un tempo erano parole sensate.
Nel limbo di una notte senza fine, strisci i tuoi piedi mentre la bocca si muove da sola.
Da oltre un un cappuccio calato solo il nero ed una mascella che allegra si muove.

“Painful to me
Pierce right through me
Can't you understand
Oh my little girl”

Le note rimbombano in quelle mura marce, la tua voce si perde in un eco stridulo di un corridoio infinito e buio.
L'eco impazzisce e spaventa dal profondo.
Ma il tuo sorriso è grande – e perfido – che il nulla si piega al tuo volere.
Apre i suoi cancelli dai cardini arrugginiti, a te che avanzi con passo malandato.
A te che canti incurante di ciò che è presente sotto i tuoi piedi, fiumi di lava rossa il cui profumo emette morte come l'incenso.

“All I ever wanted
All I ever needed
Is here in my arms
Words are very unnecessary
They can only do harm...”

Le scale scendono, il respiro sale, le note aumentano di volume.
Il nero ti inghiotte mentre i tuoi passi sono come martelli che rompono il ghiaccio.
Ignora i cartelli che ti invitano a rallentare. Sono inutili se hai il nulla nella testa.
Superi il confine come si supera la linea nemica, continui a cantare e ignori che oltre gli ultimi gradini si estende l'abisso più nero.
Una porta magica – e tu lo sai – per uccidere la noia. Per annientare il vuoto che hai dentro.

Il gradino è superato, la canzone si è fermata. L'abisso ti inghiotte come un sasso lanciato in un burrone.
Nessun dolore, nessuna certezza. Solo la voglia di rompere il silenzio.
Di godere del silenzio.

E di vivere, anche se si è morti.


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Prima long fic che scrivo sull'universo di Bleach (sono masochista lo so).
Ammetto che questo prologo è assai corto, molto nosense e molto originale. È quasi il testo di una canzone si potrebbe dire. Ma è una cosa voluta, con il tempo capirete
Ad ogni modo, lasciate che vi spieghi fin da subito un paio di cose, la linea temporale in cui si svolgono gli eventi sarà durante la saga degli Arrancar. Prima o dopo l'avvento di pel di carota “bella coscia” non vi è dato saperlo.
Non c'è una vera coppia quanto una, chiamiamola pure, “duble centric” tra i due principali protagonisti.
Comunque sia, se proprio credete di vedere una SzayelOrihime in questa storia siete liberi di crederlo. Non nego nulla e non affermo nulla.

La canzone antecedente il titolo e quella nel testo è “Enjoy the Silence” dei Depeche Mode e da il titolo alla fanfic ù.ù
(dovrei aggiornare una volta a settimana se mi è possibile)

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Capitolo 2
*** Fare quello che non si vuole fare ***


La paura è ciò che sento
Non capendo quello che è reale...
Per ritrovarmi di nuovo
Le mie pareti si stanno accorciando
(senza un senso di confidenza,
 e sono convinto che  c’è troppa pressione da sopportare)
Mi sono già sentito così prima
Così insicuro”

[Nota dal taccuino di Aporro Grantz.
Pur sostenendo di non essere stato lui a scriverla]


Enjoy the Silence
Fare quello che non si vuole fare



Una bolla d'ossigeno.

Una piccola e insignificante sfera d'aria si separa dalle narici che l'hanno generata per salire pigra e delicata verso la superficie dell'acqua cristallina.
Lui la guardò solo dopo mezzo minuto che l'aveva espulsa dai polmoni. Aprì gli occhi d'ambra per ritrovarsi come disteso su un cuscino di alghe rosa.
I suoi capelli danzavano con eleganza in quel fluido solo in apparenza simile all'acqua potabile, veleno dall'intenso colore smeraldino invitante quanto letale.
Solo ad un arrancar era consentito immergersi in quel fluido tanto ambiguo quanto sostanzioso, e lui grazie al cielo era uno di essi.
Altrimenti un comune spirito banale come quello di uno shinigami si scioglierebbe come neve al sole. Garantito.
Un piccolo dettaglio che lo fa sorridere, lui che, nudo sul fondo di quella piscina, non risente minimamente degli effetti negativi ma solo dei benefici che potrebbe portare un bagno rilassante.
Alle volte staccare dalle proprie malsane abitudini serve.
Staccare la spina da tutto quel tan tan frenetico che spesso lo avvolgeva. Complice quel suo lavoro disgustoso qual era l'essere scienziati anche in terra di nessuno.
Una faccenda delicata perchè, ad ogni esperimento o analisi che conduceva, doveva dare tutto se stesso e prestare tutte le attenzioni necessari.
Pena il fallimento.
Chiuse gli occhi nuovamente dopo aver visto come quella bolla moriva sulla superficie piatta della piscina, compiaciuto di quel piccolo spettacolo di morte effimera.

È come fare l'amore vero?
Se non ti metti il preservativo sono cazzi... E poi bum!
Ci si sente Dio dopo aver raggiunto l'orgasmo vero Szayel? La tua lussuria non conosce limiti...

Dovette però riaprirli quasi subito.
Nella sua linea di pensiero silenzioso si era affacciata una voce che per lui, in quel preciso momento dato che era in un momento di solitudine, era totalmente aliena e indesiderata.
Si ritrovò quindi ad abbandonare la posizione rilassata assunta in precedenza, per puntare i piedi sul fondo piastrellato e fare leva su di essi per darsi la spinta necessaria a salire in superficie.
Guizzò veloce e agile come una anguilla in alto mare, non curandosi se poteva perdere gli occhiali che indossava o meno.
Non avrebbe potuto comunque dato che erano parte integrante di lui.

Colto da un moto di irritabilità quindi, si ritrovò a infrangere lo specchio d'acqua con un suono sordo.
La spinta dal basso verso l'alto fu consistente, e si ritrovò, per un paio di secondi, a mostrarsi nudo all'aria gelida quasi a torso completo.
Gli schizzi andarono in ogni dove. Fu come se un uovo fosse esploso e le scaglie fossero volate via per metri e metri.
Alcuni schizzi consistenti andarono infatti a bagnare il bordo di marmo della piscina, bagnando delicatamente gli stivali di colui che in ombra lo osservava.
In quella grande sala, la luce era offerta solo dall'acqua smeraldina e dalle grandi lampade circolari murate sul suo fondo.
Lo spettacolo di giochi fatti di luce ed ombra, nuotavano per quelle pareti semibuie come in un teatrino delle illusioni. Uno splendido spettacolo solo in apparenza naturale.
Una volta ritornato con almeno le spalle coperte dall'acqua, si portò una mano tra i capelli per spostarseli dal volto risentito per quella mancanza di rispetto. E solo allora lo vide.
Ilfort Grantz, suo fratello maggiore in linea di sangue ma di molto secondo a lui in forza, lo osservava quasi come se volesse fargli un dispetto.
I tratti somatici erano oscurati dall'ombra della sala, ma quel dannato sorriso glielo vedeva chiaro e tondo. Così irritante che si ritrovò a digrignare i denti lievemente.
Trattenne per sé uno sbuffo seccato ma aggrottò maggiormente le sopracciglia mentre in silenzio attendeva che lo specchio d'acqua  ritornasse sereno e che quello stolto iniziasse a parlare.
Ma quello stupido com'era, lasciava che solo il rumore delle piccole onde parlasse per lui.
“Ilfort...”
Sibilò seccato il minore.
Tutto quel silenzio era per lui quasi una sfida, suo fratello non gli portava rispetto neanche se aveva la carica di Octava Espada. Per lui evidentemente, un fratello minore rimane sempre un fratello minore dopotutto.
“Fratellino” rispose l'altro noncurante. Accennando persino un plateale inchino.
“Octava Espada per te... ricordalo!”
Con una bracciata decisa l'arrancar si spostò lateralmente facendo ondeggiare l'acqua attorno a se. Puntava lentamente alla scaletta metallica che lo avrebbe portato fuori da lì.
Poteva sentire perfettamente gli occhi del biondo fratello puntati sulla propria schiena come se si trattasse di un falco che puntava la preda, e ciò gli dava assai fastidio.
Irritante e denigrante per lui. Odiava avere un fratello così.
Odiava avere un inutile fratello in generale.
“Ad ogni modo che cosa sei venuto a fare qui?”
Il tono di voce non si sminuiva e rimaneva altezzoso e irritato al contempo, di tutta risposta l'altro se la rideva leggermente soddisfatto di quella sua reazione prevedibile.
Avvicinandosi anch'egli alla scaletta metallica, tenendosi le braccia ben intrecciate dietro la schiena e abbassando lo sguardo soddisfatto. Incurante delle occhiate di fuoco dell'Espada come se la penombra lo proteggesse da tutto.
Lanciò persino un candido asciugamano – preso da un ripiano lì vicino –  al fratello minore che era intento a risalire con calma su quella scaletta brillante come l'argento.
Szayel lo prese al volo emettendo un mezzo mugugno di rimprovero misto a sufficienza.
“Ebbene?”
Odiava ripetersi, e quel coglione era tardo di mente.
Mentre si asciugava velocemente i capelli delicati continuava a guardarlo dall'alto in basso come se si trovasse di fronte un comune sconosciuto anziché un consanguineo.
“Ehe, scusa se ho interrotto il tuo bagnetto Aporro, ma...”
“Vedi di giungere al punto senza troppi giri di parole Ilfort – interruppe l'Espada ora intento ad asciugarsi il resto del corpo con gesti seccati e veloci. Seppur eleganti – se ci riesci ovviamente!”
Aggiunse infine con nota denigratoria.
L'altro di tutta risposta sghignazzò con più forza per poi schioccare la lingua dietro gli incisivi. In un gesto un po' lascivo quanto derisorio.
“Ordini di Aizen sama fratello. Sennò non sarei qui ovviamente...”
“E cosa desidera Aizen sama di così importante da doverti scomodare?”
Ora si stava rivestendo degli abiti precedentemente riposti in una pensilina lì vicino. Si risistemò con cura l'hakama e la giacca attillata di tessuto sintetico, avendo premura di sistemarsi come si deve i guanti da laboratorio di medesimo tessuto.
Poi ebbe persino il tempo di pettinarsi con maggiore cura i capelli ancora umidi per sembrare più presentabile possibile.
Convinto che il fratello sarebbe rimasto in silenzio per tutto il tempo, giusto per infastidirlo ulteriormente, si sorprese tantissimo di sentirlo parlare con una certa schiettezza.
“Sua signoria desidera che sia tu ad occuparti da oggi stesso della donna”
Ebbe un attimo di blocco e per un momento avvertì uno strano formicolio al petto. Se avesse avuto un cuore, quasi sicuramente lo avrebbe sentito sobbalzare.
Si voltò verso quella voce molesta e questa volta lo fulminò con gli occhi. L'ambra che incastonava la nera pupilla sembrava scintillare di pura cattiveria repressa.
“Cosa? Stai scherzando spero! C'è già Ulquiorra a farle da balia. Non ho il tempo materiale per stare appresso alle bestie degli altri. Ho un mucchio di lavoro arretrato e...”
“... E preferisci startene rintanato in uno sgabuzzino a farti delle seghe mentali, anziché approfittare di una piacevole compagnia in carne ed ossa giusto?!”
Silenzio in sala.
Il tono strafottente di Ilfort lo lasciò incredibilmente stupefatto. Perchè dire che era solo irritato da tutta quella sua strafottenza era poco.
Di più... Szayel in quel momento era incazzato nero. E se avesse potuto, il suo solo reiatsu in quel momento avrebbe evaporato tutta l'acqua della piscina.
Si era concesso cinque minuti di pausa dal proprio lavoro – per quanto possa contare il tempo in un luogo come l'Hueco Mundo – ed erano finiti quasi tutti a puttane.
Dovette fare fondo al proprio autocontrollo fin in fondo per evitare di voler fare a pezzi il bastardo.
“Se hai finito col raccontare balle a tutto spiano caro fratello, avrei altro da fare ora”
Si sistemò con aggressiva eleganza gli occhiali sul naso e si avviò verso il portone d'uscita permettendosi persino di dare una spallata al parente odiato. Che incassò senza battere ciglio e tenendo saldo quel suo sorriso beffardo in volto.
Era un gioco un po' perverso quanto pericoloso quello di cercare di far arrabbiare un parente come lo era Szayel.
Forse... Era questa la parte più bella e interessante di questa storia. Il cercare sempre di toccare il limite e di distruggerlo tanto per soddisfare la propria sadica morale.
Attese ancora qualche secondo prima di rivelare qualcosa che al potente arrancar dava maggiormente fastidio. Vero motivo per cui aveva eclissato la femmina umana come “poco interessante” nella sua personalissima scala di valori.
“Sai fratellino... Lei somiglia molto ad Incubadora...”

Un moto d'ira che non si aspettava, e fu come se per lui si fosse bestemmiato sul nome della Sacra Vergine.
Dette un pugno alla superficie liscia del grande portone che stava aprendo, e lasciò che un ringhio selvaggio gli uscì dalla gola.
Con somma rabbia si voltò in contemporanea di scatto per sbranare quella voce blasfema ma, ancora una volta, dovette sostenere la sensazione di un pesante formicolio al petto per aver indirizzato il suo odio solo all'ambiente che lo circondava.
Ilfort Grantz, così come era apparso nel suo piccolo mondo, così era sparito.
Lasciando solo che il rumore dell'acqua che si muoveva placida riempisse quel suo mondo vuoto.
Quel formicolio che provava, era quello di un cuore che non esisteva che gli diceva di incazzarsi e spaccare tutto. Ma che lui comunque ignorò a fatica scaricando in parte la tensione ancora su quel portone provato.
Generando un suono cupo ma meno potente del precedente.
“Idiota... Perderai un arto prima o poi Ilfort! E non solo perchè usi il sonido dove non devi!”
Spostarsi ad alta velocità negli ambienti regali quali erano quelli di Las Noches equivaleva ad infrangere un regolamento di buone maniere. Ma per Szayel quello era l'ultimo dei problemi.
Un modo un po' stupido per cercare di stemperare la propria irritazione e sviarla da quello che era il vero problema.

Anche se sicuramente suo fratello era ora lontano, gli parve comunque di percepire la sua risata come se fosse stata da oltre un muro in cemento armato.


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Secondo capitolo di questo progetto ambizioso.
Il testo prima del titolo è una canzone tradotta dei Linkin Park ossia Crawling. Se non capite il motivo di tale scelta, lo capirete più avanti.
Stessa cosa per Incubadora (dallo spagnolo: incubatrice), capirete più avanti di cosa parlo.
Ringrazio infinitamente chi ha recensito lo scorso capitolo, ovvero  Taiga Aisaka (e ci avevi preso con la storia della claustrofobia eh XD) Squeeze e Hoshimi.
Mi spiace per le attese così lunghe ma il mio tempo è quello che è.

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Capitolo 3
*** Scivolare Via ***


Se hai dimenticato come si sorride
Ho da dirti questo
Ricordati che una volta,
Dieci anni prima del tuo io del passato,
Pregai per la tua felicità
Per favore non perdere la speranza”

[Scritta sul muro di una prigione. Da qualche parte nell'Hueco Mundo.]

Enjoy the Silence
Scivolare Via



Suo fratello da piccola le aveva insegnato un metodo efficace per contenere i sentimenti forti.

Rabbia, paura, invidia, ansia...
Per tutte queste emozioni negative, bastava contare fino a dieci e lasciare che esse scivolassero via dalla pelle come acqua dopo aver fatto una doccia.
Fino a quando non avvertivi che se ne erano andate via, dovevi contare anche fino all'infinito. E continuare a sorridere.
Da quando si trovava lì, Inoue Orihime aveva perso il conteggio più di una volta.
Riusciva ad arrivare anche a cinquanta ma poi inesorabilmente perdeva il conto e si ritrovava a sospirare esasperata. L'ansia più di ogni altra cosa, le impediva di concentrarsi e di contare con tranquillità.
Forse nel suo piccolo mondo mortale questo sistema poteva anche essere efficace. Una volta si era ritrovata persino a contare fino a cento – il suo massimo era sempre stato di settanta – ma comunque era sempre riuscita a mandare giù tutto. Qui invece, era tutto diverso.
Sorridendo sempre, facendo buon viso a cattiva sorte anche nei momenti più bui della sua vita.
Affidandosi a mani amiche che ora quasi rimpiangeva.
Si torse le dita con malcelato tremore a quegli infausti pensieri. Si era ripromessa di non pensare a nulla in quella terra senza dio e di non farsi sopraffare dal nervosismo.
Invano ovviamente.
Forse era stata l'ultima visita di quello chiamato Ulquiorra ad infastidirla di più di ogni altra cosa.
Entrato nella sua stanza – cella – senza bussare, si era messo a parlare in un modo che a lei non piacque affatto.
Ogni volta che quella creatura parlava, sentiva il sacrosanto bisogno di mettersi a contare perchè sennò, veniva colta dal nervosismo.
Ogni parola che sillabava con fredda autorità, pareva essere intrisa di malizia giusto quel tanto per farla esasperare ed innervosire.
Come a cercare di estrapolarle il maggior numero di emozioni.
Come quella sera.
Parola per parola, ricordava tutte le battute come in un copione teatrale.

Oggi stesso andrò in missione. Dove e perchè non sono tenuto a dirtelo. Per un po' di tempo quindi, ci sarà qualcun'altro ad occuparti di te donna”
Quella notizia la turbò come se avesse appreso che un suo caro amico fosse morto di morte orribile proprio in quel preciso istante. Improvvisa e fulminante.
Ebbe l'istinto di irrigidirsi nella postura eretta e di stringere con forza le mani conserte in grembo. Mentre il cuore nel petto le palpitava a mille.
Deglutì a fatica e riuscì solo a dire un “si” quasi rivolto a se stessa che a lui.
L'altro tuttavia non batteva ciglio oltre gli occhi verdi che si ritrovava. Prolungando il silenzio in maniera dovuta.
Potrebbe venire qualcuno molto più peggiore di me. Qualcuno che potrebbe non avere la mia stessa pazienza”
Ci stava girando attorno ma il concetto era quello. Era sempre e solo quello, e la cosa ormai la disgustava.
Dovette far forza sul proprio autocontrollo e cercare, anche inutilmente, di placare il cuore che non cessava di pompare sangue.
Hai paura donna?”
Alla fine della corsa era giunto dove voleva proprio arrivare.
Ad esprimere quella – patetica – domanda come se vivesse ogni giorno solo per potergliela proporre.
E quello che sentiva ormai più prossimo come sentimento, non era più semplice tensione ma bensì rabbia.
La rabbia che per lei era un sentimento praticamente alieno, ora come ora le sembrava di provarlo da sempre.
Ogni singolo secondo della sua vita lì, in quel purgatorio artificiale, era dilatato all'inverosimile e si percepiva sempre come la notte pareva eterna e il giorno effimero.
E viceversa notte e giorno si alternavano nella loro intensità. Così come le sue emozioni.
Socchiuse gli occhi e abbassò lo sguardo. Stanca di quel gioco ormai inutile.
No... Non ho paura”

Menzogna.
Era la cosa che ultimamente – sempre – le riusciva meglio.
Non riusciva a stare tranquilla e aveva accettato, nella credenza di essere nel giusto, di diventare un mero strumento nelle mani di qualcun'altro. Pensando così di combinare qualcosa di decente nella propria vita.

In realtà, con la scusa di difendere i tuoi amici, li hai condotti ad essere digeriti nello stomaco dell'inferno. Complimenti puttana”

Paura.
Si era detta mille e più volte che non avrebbe avuto paura ma questa volta l'avvertì forte e chiaro.
Ebbe un sussulto e lo stomaco le si rivoltò contro come se avesse avuto i topi che glielo stessero divorando dall'interno.
Spalancò le iridi argentate ed ebbe come il moto di lanciare un grido.
Aveva avvertito l'aria farsi più gelida nella sua stanza e quella voce pareva essere stata generata dallo stesso ambiente... Ma solo grazie alla volontà di Orihime stessa si era materializzata.
Pazzesco, perchè?
Era sfinita. Sfinita da quella situazione e sfinita dal perdere costantemente il conteggio di quello stupido gioco schifoso!
Lasciare che le emozioni scivolino via? Che stupidaggini!
Colta da un improvviso senso di impotenza e sconforto, si ritrovò a a portarsi le mani al volto con evidente disperazione.
Aveva voglia di piangere, ma quel dannato cuore umano che si ritrovava nel petto non cessava di battere forte e crudele. Ad avvertirla della sua presenza nella cassa toracica fin quasi ad andare a sbattere contro le ossa di quest'ultima.
Che cosa avrebbe dato... Che cosa avrebbe dato.

Quasi non avvertì la porta che si apriva alle sue spalle facendo scattare la serratura con un colpo netto.
L'avvertì solo quando si richiuse e avvertì alcuni passi che le si avvicinavano di spalle.
Solo allora abbandonò la postura sofferente e sussultò sorpresa.
Lasciò perdere lo spettacolo offerto dall'unica finestra presente in tutta la stanza – ormai era quasi un sostituto della televisione – si ritrovò a girarsi di scatto per accogliere chi era entrato senza bussare.
Cosa assai stupida pensare che lì qualcuno possa bussare.
Ciononostante, si ritrovò a rimembrare in automatico le parole che le aveva detto Ulquiorra qualche ora prima.
E ancora a quella domanda che trovarla irritante era poco.
Hai paura donna?”
E anche se la risposta era sempre in negativo, ora come ora avrebbe mentito a se stessa se avesse negato ancora una volta.

“Oh ma salve! Disturbo per caso?”
il tono di voce era mellifluo e già questo non le piacque per niente.
Aggiungendoci poi uno sguardo che dire insidioso era poco – la sua cara amica Tatsuki l'avrebbe definito da maniaco – e il gioco era fatto.
L'individuo appena entrato, accompagnato da un fedele servitore con tanto di vassoio alla mano, la guardava con intensità e non accennava a smettere di sorridere.
Quel sorriso non era vero ma sembrava essere fatto solo per deridere la gente e per reputarsi superiore a tutto, e questa sensazione le dette un brivido lungo la schiena.
“Ehm... L-lei è?”
Con sommo rammarico si era ritrovata a parlare con voce lievemente tremante. Completamente colta alla sprovvista da tutto quel contare – pensare – aveva fatto decisamente una pessima figura.
L'altro di tutto rispetto parve accorgersene e la cosa sembrò divertirlo ulteriormente. Ma sorvolò sulla faccenda raddrizzandosi gli occhiali e si presentò con le dovute maniere.
“Oh, perdona la mia maleducazione – accennò un piccolo inchino di scuse e poi continuò con la sua pagliacciata - sono Szayel Aporro Grantz. Octava Espada nell'ordine gerarchico... Ma dubito che la cosa possa minimamente interessarti”
Finì con una lieve risata divertita come se avesse appena fatto una battuta. Tuttavia però, aveva dannatamente ragione. Cosa gliene importava a lei dopotutto?
Ciò non tolse che quest'individuo era totalmente differente da Ulquiorra. Aveva un altro tipo di personalità ma non per questo la sua presunta pericolosità era sminuita. Anzi, ora come ora non avrebbe saputo dire se la presunta cordialità dell'Espada fosse buon segno o meno.
Approfittando di un rumore di stoviglie appoggiate ad un tavolo, osservò il fedele arrancar dagli abiti semplici sistemare quello che doveva essere la cena della sera.
Ad osservarla, sembrava persino qualcosa di molto più raffinato rispetto quella portata dal suo precedente carceriere.
Ciò non toglieva comunque che ancora una volta si sarebbe rifiutata di obbedire ad un simile trattamento.
Pur di prendere a schiaffi il nuovo arrivato si sarebbe opposta dato che di rabbia, purtroppo, ne aveva ancora molta in corpo.

Ciò che stemperò la sua volontà però, fu quella voce melliflua e insidiosa che ora le parve più vicina che mai.
Allora, vogliamo cenare...”
Contro tutte le sue aspettative, nei pochi secondi in cui aveva voltato lo sguardo verso l'umile servitore silenzioso, si era ritrovata quel tizio a pochi centimetri di distanza che la scrutava con una certa curiosità.
Emettendo un piccolo sobbalzo per la seconda sorpresa ricevuta in pochi minuti.
...Miss Inoue Orihime?”
Completò la frase precedente con voce bassa mentre completava il teatrino della sceneggiata catturandole delicato una mano lasciata libera lungo un fianco, e portandosela vicino alle labbra senza però, toccarne il dorso. In un perfetto baciamano francese.
Quell'individuo, benchè si stesse divertendo a fare il seduttore, aveva un nervosismo dentro di se, che paragonarlo a quello di lei era quasi stupido.
L'arrancar maschio che si ritrovava a fronteggiare era decisamente più esasperato di lei da quello che gli toccava fare. Questo era quasi sicuro dato che in un certo senso quasi lo avvertiva.
Si staccò da quella presa – apparentemente – gentile, e distolse lo sguardo altrove imbarazzata.

Per quanto in vita sua avesse sempre sognato le galanterie e i principi azzurri, ora le trovava futili e insopportabili.
Perchè totalmente assurdi per il mondo i cui ora si trovava, dato che niente faceva per sminuire la propria natura di dolore.
E anche una semplice cena per lei, equivaleva alla rottura di quell'equilibrio.


E tieni ben in mente questo Orihime. Tienilo sempre ben a mente.


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Capitoli un po' strani questi, se non lo si nota. Ma è una cosa ben voluta tenetelo sempre presente ù_ù (il mio primo esperimento di storia nosense, portate pazienza)
ad ogni modo, la canzone prima del titolo è
Letter from the Lost Days da Silent Hill 3 ed è cantata da Melissa Williamson.
Ringrazio di cuore Yoko-kun e raxilia_running per aver recensito XD.
Sì, Szayel è un personaggio a mio avviso decisamente interessante per questa storia. Tra tutti, mi sembrava il più adatto (e non che gli altri non facciano la loro parte eh!). Ad ogni modo, perdonate il ritardo, ma ho un'altra vita oltre il pc.
Grazie ancora per l'attenzione, e ditemi cosa ne pensate anche di questo capitolo!

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Capitolo 4
*** Scoprire L'Irritazione ***


Le cose preziose e fragili
Hanno bisogno di essere maneggiate con cura
Mio Dio, cosa Ti abbiamo fatto?

[Una voce di donna, portata dal vento del deserto. Con tutta probabilità urlata dall'inferno.]


Enjoy the Silence
Scoprire l'Irritazione



Irritazione.


Era al primo posto della categoria delle peggio sensazioni che provava quando c'era qualcosa che non andava affatto.
Era come un prurito che ti partiva dal cervello e poi si diramava in tutto il corpo. Un'onda simile a quella di un sasso lanciato in un un laghetto solitario e silenzioso.
L'aveva provata dall'inizio alla fine quell'assurda sensazione.
Prima suo fratello – che già di suo era di natura irritante – poi la conferma delle sue parole di fronte ad Aizen sama, ed infine questo. Accettare di fare la balia.
Senza contare che dinnanzi a sua signoria aveva fatto una peggio figura come non mai prima d'ora.


Il silenzio era prolungato e si stavano toccando delle note imbarazzanti.
Szayel si maledì più e più volte per aver contraddetto Aizen con la sua frase “Ma non può occuparsene qualcun'altro?”, e per averlo detto con tono innocente e contrariato.
Ora il suo sguardo era basso e le pupille si indirizzavano in ogni dove su quel pavimento lucido che, però, non rifletteva la sua immagine.
Mordendosi il labbro inferiore come un bambino beccato con le mani nella marmellata.
Atteggiamento infantile che quasi sicuramente suscitava ilarità nel potente padrone.
Che comodamente seduto sul suo scarno trono si gustava appieno la scena del sottoposto umiliato.

Tu mi sembri il più adatto allo scopo Szayel Aporro – il suo tono era pacato e quasi premuroso. Un bastardo nato – dato che desidero una tua analisi sul soggetto in questione, intesi?”
Sapeva che non ammetteva repliche.
Sapeva che godeva nel vederlo umiliato e inginocchiato a terra, e sapeva che gli stava dando lavoro disgustoso e incoerente con il mestiere che faceva.
Non era lavoro di uno scienziato occuparsi di leggende... Ma era oltremodo divertente osservarne gli sviluppi.


Eppure era ciò che si ritrovava fare controvoglia.
Come un fiume in piena l'irritazione sembrava non volerlo abbandonare mai. A tratti avvertì un sollievo dopo aver lasciato le stanze di Aizen sama, ma poi più nulla.
A testimonianza di ciò, ci fu pure il tragitto per arrivare alla donna fatto con le braccia dietro la schiena, che, rigide come tronchi, lasciavano che le mani stringessero con forza una povera cartellina per gli appunti mentre veniva sbattuta con nevrosi su un fianco dell'uomo.
Il servitore che lo seguiva silenzioso e paziente con tra le mani un vassoio pieno di vivande, era sicuro che il padrone avesse persino borbottato a ripetizione diversi “maledizione!” e via dicendo.
Stemperò quel sentimento quando poi si trovò di fronte la femmina, ma a quanto pare non era una stupida.
E di conseguenza preferì tenersi il più vicino alla porta d'uscita nel caso l'Espada andasse giù di matto.
Già il fatto di essersi fiondato nelle cucine del castello utilizzando il sonido, vietatissima abilità da usare solo nei casi urgenti, la diceva lunga sul suo stato d'animo.
Si era poi messo a dare ordini con tono autoritario e altezzoso su come cucinare un piatto ad una signora – ignorando volutamente le parole di chi gli diceva che lord Ulquiorra aveva già provveduto, e bollando quell'individuo con un “lui non sa farci con una femmina” - e aveva preteso che fosse portato su un vassoio d'argento anziché un comune carrellino.
Un vassoio d'argento signori. Roba che veniva usata solo per sua eccellenza Sosuke Aizen.
In definitiva però, la giovane donna non sembrava impressionata da tale servizio.
E ciò lo si poteva notare dalla postura rigida e da come si sedette sullo scanno che fungeva da sedia.
Era contrariata nonché seccata da quella visita, Inoue avrebbe volentieri tirato in faccia tutto quel ben di dio al nuovo seccatore se ciò sarebbe davvero servito a sistemarle la confusione che aveva in testa.
Il suo sguardo era irritante e oltremodo borioso.
Le stava di lato con le braccia dietro la schiena come intento ad osservare una scimmia ammaestrata. Anche a costo di subire minacce e di sentire il peso della fame che la dilaniava, non avrebbe mangiato.
Di conseguenza i secondi passavano così pure il silenzio prolungato. Si era contata tutte le combinazioni di cibo che formavano le varie decorazioni dei suoi piatti e alcune sembravano anche essere buone, ma ciò che le interessava maggiormente era che quel sorriso fossilizzato di quell'individuo scomparisse.

“Uhm, suppongo che tu non abbia fame dato che non hai ancora toccato nulla”
La voce dell'Espada fu l'unico suono dopo un minuto buono di silenzio a riempire quella stanza.
L'espressione che aveva sul viso era un misto tra preoccupazione e dispiacere infantile. Un sentimento così falso che la fece sdegnare in silenzio. Anche se avrebbe voluto dirgli – urlargli – in faccia “falso”, rimase zitta e ferma e si limitò a conficcare le unghie nelle ginocchia.
“No infatti, non ho fame e desidero essere lasciata sola”
“Stai mentendo – lo disse con tono quasi divertito, mentre si riaggiustava gli occhiali sul naso – e ho il dubbio che tu sia molto orgogliosa”
“No si sbaglia, non ho fame”
“Puoi darmi del tu, non mi arrabbio mica sai...”
“Non ho fame le dico!”
Alla fine un po' la voce l'aveva alzata, e con suo sommo rammarico dovette pure notare che era persino tremolante di nervosismo e rabbia nascosta.
Non era un comportamento degno di lei, ma in quel luogo non poteva fare a meno di essere così.
E l'altro di tutta risposta, chinò il volto divertito, mentre con finto imbarazzo si portava una mano tra i capelli per riaggiustarseli.
Girando attorno al tavolo, così come si gira intorno ad un argomento, non era disposto a dargliela vinta come aveva fatto il suo predecessore.
“Beh... Se la metti così allora farò portare via tutto. E ordinerò agli altri arrancar di non portarti nulla perchè tu non desideri mangiare. Bizzarra questa cosa”
“Cosa intende dire?”
Accantonò momentaneamente la rabbia e fece spazio ad una preoccupazione nella voce non indifferente. Quell'uomo, se così lo si poteva definire, sembrava divertirsi a girarle intorno lentamente così come una mosca gira su un vasetto di miele.
E quello che disse in seguito poco ci mancò che la facesse piangere.
“Ecco vedi, se tu ora dici che non hai fame... Poi non ti verrà più portato altro cibo per tutti gli altri giorni a venire. Dopotutto tieni presente che noi non necessitiamo di mangiare cibi solidi per vivere – sorrise con astuzia guardandola dritta negli occhi – verrebbe quindi dimenticato questo tuo bisogno naturale e moriresti lentamente di fame...”
Sembrava oltremodo felice di spaventarla così. Che godesse nel vedere come gli occhi argentati che si ritrovava, si annacquassero di lacrime che a stento riusciva a trattenere.
“Ah ma ci pensi mia cara? Riusciresti a sopravvivere massimo tre giorni e patiresti le pene dell'inferno! E in più... – le si avvicinò quel tanto da poterle sussurrare lascivo ad un orecchio – la tua pelle si raggrinzerebbe e diventerebbe secca come la sabbia di questo deserto. Un vero attentato alla tua bellezza non trovi?”
Aggiunse infine, separandosi da lei a cambiando tono di voce. Da basso e roco, a vivace e allegro in meno di due secondi.
E tanto bastava a farle andare le palpitazioni a mille dalla preoccupazione.
Conscia che quel tizio stava facendo sul serio, forse era il caso di assecondare il suo volere e accontentare i brontolii di uno stomaco lasciato per troppo tempo senza cibo.
Strinse ancora, e con forza, il tessuto della gonna alla base delle ginocchia che si ritrovava, e poi si decise a staccare le mani tremanti per raccogliere coltello e forchetta e a imboccarsi a forza.
Affondò la posata d'argento in quella che sembrava carne di maiale, fin quasi a trafiggere il piatto stesso fatto del medesimo materiale della forchetta impugnata. Masticando veloce una volta che il boccone fu in bocca.
Era saporito, ed era una vera prelibatezza per il suo palato.
Le verdure non erano da meno, e quasi le dispiacque di distruggere le composizioni simili a fiori che guarnivano il piatto. Le mangiò, e anche di quello ne fu sazia.
E l'acqua... Dio, solo da bambina si ricordava di un'acqua così pura e fresca.
Un vago ricordo riaffiorò nella sua mente quando si portò il calice alle labbra. Ovvero quello di lei e di suo fratello, che, durante una gita in montagna, riempirono le loro borracce da una cascatella che traboccava quello splendido liquido.

Finì di mangiare tutto con sommo piacere del suo tutore.
Per tutto il tempo che lei aveva tagliato e trangugiato, lui aveva annotato tutto nella sua cartellina con tanto di orari e note personali.
E una volta che la giovane femmina si deterse le labbra con l'apposita salvietta, mise fine anche lui alla scrittura con un sorriso che arrivava sino alle orecchie.
“Ottimo... veramente ottimo! Visto che ad usare le buone maniere si ottiene sempre tutto?”
Quella battuta sembrava quasi derisoria, e a momenti non guastò la serenità che Inoue si era costruita nel mentre che stava mangiando.
Si era isolata dal mondo rifugiandosi solo tra i propri sensi, e di quello che provava ogni volta che ingoiava un boccone. Quasi le sembrasse di sentire il proprio stomaco dirle “grazie” per averlo riempito.
Anche se a dirla tutta, da un po' di tempo a questa parte non voleva semplicemente isolarsi dal mondo e basta.


Orihime, avrebbe volentieri gradito di scomparire totalmente da questo mondo e di non lasciare traccia alcuna.




La canzone prima del titolo è Precious dei Depeche Mode. Ma non sempre mostrerò canzoni nelle mie piccole citazioni.
Ad ogni modo, un grazie di cuore a raxilia_running per aver commentato il capitolo scorso!
In effetti hai ragione, attualmente questa storia non è molto nosense! Vedremo se riuscirò a renderla tale più avanti...
E poi sì, nonostante tutte le critiche che le vengono appioppate, Orihime è pur sempre un essere umano. E credo che più il manga va avanti, e più matura e lascia da parte il suo lato infantile.
Comunque, se avete letto, fatemi sapere cosa ne pensate anche di questo capitolo!

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Capitolo 5
*** Sentire l'Udienza ***


Che cosa vorresti fare? Tu sei pazzo!
Vorresti portare Dio qui?
Questo è un tuo piano
Non mettermi in mezzo ogni volta!”

[Atto vandalico nella biblioteca principale. Qualcuno ha scritto ciò con del petrolio(?) nel posto a sedere preferito di Sosuke Aizen]


Enjoy the Silence
Sentire l'Udienza



Se senti l'impulso di urlare, non assecondarlo.

Se senti la rabbia eruttare dalle tue labbra, perchè celarla?
Ti stai comportando da stupido, oh mio caro fratello! Questo non è il paradiso, quindi non essere ipocrita.
Avanza nella nebbia, così come avanzi nel tuo stesso peccato.
Sii prudente anche se nessuno è qui per giudicarti. Siamo figli di un unico corpo, perchè punirti?

Fratello, se hai tempo da perdere, concediti un istante di riflessione.
Odi la nostra voce come il canto delle sirene. Schiantati verso gli scogli come i marinai incauti.
Sii felice della nostra gloria, poiché è anche la tua. Quindi perchè la fuggi? Non sei felice di ciò che sei?

E come darti torto per essere diventato l'ombra che sei sempre stato?

Oh fratello.
In questa sala riccamente ornata di bronzo e di carne, attendiamo il tuo ritorno. Oltre la volta nera che ci ricopre, noi attendiamo l'avvento della tua fine.
Drappi rossi come fiumi di sangue, calano su di noi come un sudario di velluto. Oltre di essa i suoni sono effimeri, ma confidiamo nella buona sorte per udire la tua voce.
Le tue urla.
Il tuo pianto disperato di bambino mai nato.

Il tuo grido è come un monito ad un mondo che non ti conosce.

Candide braccia sottili come giunchi, trattengono il sipario in attesa che noi riapriamo gli occhi per te.
In attesa di un tuo ritorno, noi affileremo le nostre lame. Per poterle spezzare sul tuo spirito prepotente. Di pelle coriacea e di odio velenoso.

E una volta morto – si perchè sarai morto – il tuo numero sarà sette.

- - - - - - - -

Chiuse il libro quasi seccato, e uno sbuffo di polvere fuoriuscì da quelle vecchie pagine ingiallite.

Quel tomo valeva una fortuna, ma a quanto pare agli arrancar presenti a Las Noches, pareva non importare più di tanto.
Lo aveva trovato su uno dei tanti tavolini presenti nella grande biblioteca del castello, e sembrava che qualcuno avesse stuprato quelle pagine da tanto che erano stropicciate.
Le sue lunghe dita sottili, sfiorarono delicatamente quella rigida copertina fatta di pregiato velluto rosso come a volerla accarezzare. E quasi si commosse al pensiero di quanto fosse prezioso quell'oggetto.
Di quanto fossero preziosi tutti i libri presenti.
Era un sapere a disposizione di tutti gli abitanti del castello, ma a suo dire solo lui poteva beneficiarne appieno.
Tutti lì a disprezzare quei preziosi volumi. Quei tomi inestimabili sottratti ad una umanità stolta o scritti di proprio pugno da arrancar dai forti sentimenti.
Alla faccia di chi dice che siamo solo delle bestie.
Nonostante tutto, l'ignoranza la faceva da padrona in quel luogo, e sembrava che solo la prepotenza sembrasse contrastarla.
La prepotenza di
Aaroniero Arruruerie era storica nonché famigerata. Di conseguenza oltre a essere ritenuto un individuo strano, era tenuto il più in disparte possibile da tutti.
Complice forse il fatto di essere la Novena Espada, e di essere lì quasi per divertire Aizen sama, ma quando si trovava in quel luogo le cose cambiavano.
Quella biblioteca era sua, e tutti i libri presenti erano suoi e di nessun altro.
Era lui che si occupava di quei piccoli tesori – dei suoi preziosissimi bambini – e un tale scempio per lui era una autentica bestemmia.
Prese quindi sottobraccio quel libro prezioso, e aiutandosi con la luce di una lampada ad olio, si fece strada dal tavolino sino al luogo in cui riporlo con cura.
La luce artificiale della grande sala in cui erano custoditi tutti quei volumi, a suo dire danneggiava – o aveva il potere di rovinare – quei reperti importanti.
Di conseguenza, essendosi lui auto proclamatosi “bibliotecario di Las Noches”, aveva ridotto l'uso della luce a sole determinate fasce orarie, e comunque chi poi abbandonava la sala era pregato di spegnere gli interruttori per limitare i danni.
E lui che di luce non ne aveva quasi bisogno, dato che conosceva il luogo a memoria, preferiva spostarsi solo al lume di una effimera lampada ad olio. O di qualche occasionale candela se proprio non c'era il grasso di qualche hollow da bruciare.
Tanto, i danni erano limitati di molto nel fare quelle semplici operazioni. E il suo tesoro quindi, era preservato.

Una volta arrivato nella sezione giusta, alzò verso l'alto la lampada metallica e quella cigolò piano per il semplice gesto.
Il fascio di luce ambrato illuminava alla perfezione il buco mancante di quella collezione variopinta ed eterna. Di seguito, in automatico si cinse a riporre l'oggetto nella propria culla.
E fu proprio in quell'atto, proprio nel gesto di rimettere in ordine il manoscritto, che avvertì un cambiamento nella solita quiete che caratterizzava il luogo.
Bloccò le dita sottili ed ebbe quasi l'impulso di ritirarle velocemente come se un viscido mostro le stesse per mangiare.
Perchè qualcosa di viscido, ma incorporeo, c'era in quell'angolo sperduto.
E per quanto fosse insignificante, nel silenzio attutito di quel suo mondo prezioso riusciva a sentirlo.
Un respiro.
Un mugugno.
Come se qualcuno stesse vivendo all'interno dello scaffale. Come se uno dei suoi libri stesse respirando come un bambino vero.
E ciò non era possibile dato che tutti i suoi tesori erano oggetti inanimati e privi dell'ovvio uso della parola.
Ripose il libro e ritrasse le dita con calma. Fece il meno rumore possibile e cercò di avvicinarsi al freddo mobilio per avvertirne ancora una volta il respiro insolito.
Portò la maschera a pochi centimetri di distanza come un investigatore scrupoloso. Attento persino ai granelli di polvere illuminati dalla sua debole luce, come sospettoso che essi potessero muoversi al respiro del mostro.
Nulla.
Questa volta non avvertì assolutamente nulla e di ciò ne fu quasi deluso.
Si ritrasse sospirando piano, quasi seccato di quella sua paranoia che aveva nei confronti di quel luogo. Andando quasi a dare ragione a tutti quegli individui che lo guardavano storto e lo ripudiavano. Ma per fortuna, fu solo un attimo in quella sua testa contorta.
Fece quindi per allontanarsi da quel luogo di enigmi tornandosene da dove era venuto, volgendo il fascio di luce verso il corridoio per raggiungere la reception.

Ma nell'esatto momento in cui si voltò, dovette abbandonare la lampada per attingere all'elsa della propria spada.
Facendo cadere l'oggetto a terra e frantumando il vetro soffiato in mille pezzi. E dando un ultimo respiro alla fiamma che, feroce per quella morte precoce, avvampò rabbiosa illuminando per un istante l'ambiente circostante e in particolare un determinato elemento.
Oltre la sua maschera di ceramica, il respiro si fece intenso e la sorpresa – paura – crebbe.
Le dita di Aaroniero strinsero con violenza l'impugnatura della spada golosa senza però decidersi ad astrarla. Mentre la fiamma bruciava l'olio rimanente a terra e moriva lentamente.
Permettendogli di inquadrare tra la rabbia e la sorpresa, ciò che lo aveva per un istante terrorizzato.
Sul muro adiacente che stava osservando con sempre più sdegno, c'era una scritta che – con tutta probabilità – quando era passato un momento prima manco c'era.
Una sola scritta che era riuscita a fargli quasi estrarre la spada dalla paura.
E questo per lui era una condizione decisamente troppo umiliante. Più dell'essere l'ultimo nella scala sociale di quel mondo – apparentemente – impuro.
Ignorando quindi quello che c'era scritto su quel fetente muro, ed esasperato per l'ennesimo scempio avvenuto nel suo luogo sacro, urlò gonfio di rabbia e di follia.
Urlando.
Urlando come il mostro che cercava.
Meditando – e giurando – vendetta ai teppisti che si erano permessi di fare ciò sporcando le sacre mura della biblioteca.
Deturpandole con una frase, che guarda caso, appartenevano al tomo che aveva appena sfogliato.


E una volta morto, il tuo numero sarà sette”



Ritornata con un nuovo capitolo! Stavolta è tutto dedicato ad Aaroniero che tra l'altro è uno tra i miei espada preferiti (e sì, lo preferisco quando NON ha la faccia di Kaien).
Mi spiace che sia molto corto, ma l'ispirazione è quella che è, tuttavia come al solito, ringrazio Yoko_kun e raxilia_running!
Non è facile essere originali lo ammetto, così come non è semplice creare delle introspezioni! Io ci provo, e spero di non fallire tutto qui.
La canzone prima del titolo è tratta da “Shot Down in Flames” ed è cantata da Melissa Williamson per la colonna sonora di Silent Hill Origins (e devo dire che la colonna sonora di tale videogame è per me fonte di ispirazione continua!)

ps: il sette se non lo sapete, è il numero di Dio...

pps: il libro maltrattato trovato da Aaroniero non vi dice nulla? Se avete letto la mia oneshot "Maybe Interesting" allora dovreste riuscire a fare due più due! (un piccolo riferimento)

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Capitolo 6
*** La placca della tentazione ***


Sette mari
Sette sigilli
Sette colli
Sette meraviglie
Sette cieli
Sette peccati...
Allora, il numero sette non ti dice niente?”

Sì, ma credo che non abbia nulla a che fare con noi”

[Estratto da un racconto popolare molto in voga tra gli arrancar di basso livello]


Enjoy the Silence
la placca della tentazione


"Di la verità, è carina vero?"
"Uhm"
"Sì, è carina..."
"E come fai a dirlo se non l'ho detto?"

Per quanto l'irritazione e la noia giungano sempre in momenti inopportuni, non ci si stanca mai di ripeterselo.
Avere un fratello è la cosa più noiosa e controproducente su questo mondo. E lo stava appurando a proprie spese anche in quel momento privato.
Ove nessun'altro essere vivente osava mettere piede per paura di divenire preda del suo divertimento, Ilfort Grantz si spingeva oltre e andava a toccare corde delicate. Pizzicandole in modo sbagliato.
Il laboratorio del fratello era un luogo sacro per lui, un luogo di perdizione e devozione dove semplicemente la moralità non esisteva.
Un luogo dove il tuo corpo, o mio caro straniero, era solo uno strumento di interesse relativo e di piacere provvisorio. Diventare preda di orridi esperimenti lì, era come finire nella colla topicida.
Semplice ma al contempo letale.

Szayel osservava lo scocciatore di turno dall'alto della sua cattedra, con occhio decisamente critico.
Con i gomiti appoggiati sul freddo marmo bianco, e le mani intrecciate di fronte il viso, scrutava con sguardo indagatore il consanguineo in ombra.
Come in attesa di un suo passo falso per fargli il culo.
E l'altro, forse intuendo le intenzioni malevoli del fratello, preferiva restarsene all'ombra di uno dei tanti macchinari che affollavano il grande laboratorio dell'Ottava Espada. Sorridendo enigmatico di fronte al dottore imperscrutabile.
Se era venuto a rompere le scatole, Aporro gli avrebbe dato sicuramente una lezione in merito. Ad ogni modo, a quanto pare, ancora una volta doveva congratularsi con lui per la sfacciataggine che mostrava.
I lineamenti delicati del volto, erano messi pesantemente in ombra da una grande pompa idraulica posta proprio dietro le sue eleganti spalle, e questa cosa dava un senso di “schiacciamento” alla visione che aveva di Ilfort.
Sospirò quasi rassegnato a quella presenza insidiosa, e chinò la testa verso il basso come a marcare di più la propria esasperazione.
“Vuoi sapere se l'ho violentata, pettegolo d'un fratello?”
“Sarebbe precoce al primo appuntamento. E poi a te piace giocarci con il topo prima”
Verissima questa cosa, ma in questo caso non c'era nessun gioco di mezzo. C'era solo la voglia di piantarla il prima possibile.
Il fatto di aver trattenuto un sorriso forzato per tutto il tempo della cena – e la femmina di questo se ne era accorta – lo aveva stressato e innervosito ancora di più.
Non era adatto al mestiere di bambinaia seppur fatto per scopi pseudo scientifici. Ma a quanto pare, di questo Aizen sama e fratello parevano fregarsene altamente. Entrambi interessati di più ai retroscena possibilmente interessanti e scabrosi.
“Beh mi spiace deluderti Ilfort, ma non ho altri interessi verso quella bestia se non gli ordini che mi sono stati dati... Comprendi?”
Trillò quell'ultima frase come a volerlo prendere per i fondelli. Con tutta la falsa allegria che aveva in corpo. Che gli rimaneva in corpo – precisiamo – dopo una serata spesa assai male.
L'altro tuttavia chinò la testa divertito, e per un attimo il volto fu esposto alla fredda luce della sala.
Un gesto troppo repentino perchè si potesse scorgere qualcosa di reale, qualche lineamento di quel volto fin troppo simile al suo.
Anche se, ad essere sinceri, la sensazione che il dottore ebbe nell'osservarlo fu di un gelo momentaneo.
Come se all'improvviso gli fosse passato davanti un fantasma e lo avesse toccato con il suo gelido tocco.
Morto e sepolto, ma vivo nelle parole successive

“E se gli ordini diventassero più diretti Szayel? Tu cosa faresti?”

Spingersi così oltre... Perchè?
Perchè rischiare di far innervosire qualcuno, lui in questo caso, che non si sarebbe mai fatto scrupolo di staccarti la testa a bruciapelo? Di renderti un pezzo di carne da macellare sul posto?
Dio mio, perchè avere un fratello così?
La saliva scese giù veloce in gola, facendo muovere il pomo d'Adamo in un gesto di deglutizione. Mentre gli occhi si riducevano a due fessure nell'atto di chiedere, a chi gli stava davanti, una domanda fondamentale.
Dopo aver lasciato per più di un minuto buono, che il solo e unico rumore della polvere parlasse al posto della sua dolce voce.

Mi stai forse sfidando Ilfort?”

Il tono di voce assunse connotati quasi cupi nel timbro insolitamente severo.
La domanda venne fatta da Szayel al fratello che ancora sghignazzava per la risposta di prima. Bruciapelo e diretta.
E per sua somma soddisfazione, l'Octava Espada dovette constatare di essere riuscito a prendere momentaneamente alla sprovvista quel buffone biondo.
Guardando compiaciuto il breve stupore negli occhi messi in ombra di Ilfort, e vedendo come la sfacciataggine per un momento scemava.
Ma tuttavia, con grande disprezzo che conservava nel petto, dovette pure constatare che la malizia non aveva mai fine.
Osservando attento e guardingo, il cambiamento d'espressione nell'interpellato che improvvisamente si fece quasi più perfido. Il tutto intravedendo un lampo di follia in quegli occhi non così differenti dai suoi. Solo lievemente più scuri e quasi anonimi rispetto all'ambra accesa che possedeva lui.

“No fratellino... Ti stavo solo tentando

Parole melliflue influenzate da un altrettanto amabile sorriso maligno. Una strana perversione che nel maggiore dei Grantz era poco consona. Roba troppo raffinata per uno che era pronto a buttarsi alla cieca sul nemico.
Tentarlo? Lui? E perchè?
Queste erano alcune di quelle stranezze che, come scienziato, affatto capiva. Non capiva quel tono di voce resosi improvvisamente basso, e non comprendeva quello sguardo diretto.
Per l'eterna notte dell'Hueco Mundo... Ma perchè lo aveva fatto entrare?
Non per gesto magnanimo questo era ovvio, non conosceva generosità alcuna nemmeno nel caso di dare una morte indolore verso un nemico.
Sentimenti fraterni? Sinceramente, sospettava di non averne mai avuti per lui da essere umano anche se non ricordava affatto, quindi figurarsi ora.
Un dubbio però, lo trapassò come un fulmine a ciel sereno.
Ma non è che era già dentro, quando lui era andato alla porta per sapere chi è che bussava?
No, assurdo e poco probabile. Stronzata unica pensare ciò.
Anche se gli era apparso alle spalle una volta aperta la porta, sapeva bene che amava farsi beffe del regolamento usando il sonido ovunque.
Si portò quindi il pollice e l'indice appena sopra le sottili sopracciglia, per massaggiarsi le tempie doloranti e cercare così di stemperare il nervosismo.
“Tentare... Sì certo, come no – borbottò l'affranto Espada quasi disperato per quella patetica presenza – abbiamo finito per oggi, oppure vuoi che ti aggiorni ad ogni puntata?”
“Penso di essere soddisfatto così fratellino... - Ilfort si spostò dall'angolo in ombra e si avviò verso l'uscita - Ma prima che tu mi sbatta giustamente fuori dalla porta, posso farti un'ultima domanda? Posso sì?”
Quel tono di voce sembrava non volere sentire quasi obiezioni. Più che una domanda pareva una imposizione bella e buona.
Ma dato che il grande scienziato di Las Noches non aveva intenzione alcuna di polemizzare con il fratello, lo lasciò chiedere. Anche se questo quasi gli costò la perdita totale della pazienza.
“E sia, chiedi pure!”
“Bene allora – si schiarì la gola con un secco e teatrale colpo di tosse – se in un bosco un albero secolare cade, ma nessuno è lì presente per ascoltarlo, ha davvero fatto rumore?!”
Sembrava la domanda più innocente di questo mondo, oltre che la più stupida e idiota sempre di tale mondo.
Cosa doveva fare un albero caduto lontano dalle orecchie di tutti? Mettersi a cantare?
Seriamente, a cosa stava pensando quella puttana di sua madre quando stava concependo quell'idiota di Ilfort?

“Che domanda stupida...”
Sì era stupida. Molto stupida e molto infantile.
Persino un bambino avrebbe saputo dare una risposta logica a tale quesito! Ovvero che un albero, a prescindere dove cade, fa sempre e comunque rumore. Che ci sia qualcuno ad ascoltare oppure no.
Il demente invece rideva quasi con sincerità, mentre si portava alla porta e scompariva dietro di essa.
Fiducioso della sua protezione fatta di bronzo e di acciaio. Un elemento così solido e così massiccio, che dava anch'esso un senso di schiacciamento a tutto l'ambiente circostante.

Un elemento decorativo che, oltre ad essere meramente funzionale, era un oggetto perfetto per soffocare le parole.
E quando il fratello stolto chiuse alle proprie spalle quel possente portone, la risposta divertita che gli arrivò alle orecchie fu come se fosse giunta dal fondo dell'oceano.


Sì è stupida... Ma sai, trovo noioso non trovarci risposta!”



Finalmente il nuovo capitolo! Si ritorna a parlare di Szayel e di Ilfort (ancora).
Come avrete notato, il testo prima del titolo non è una canzone, ma una mia semplice creazione, ma sempre comunque legata ad un qualcosa di specifico se non lo avete notato!
Ringrazio di cuore raxilia che ha la pazienza di seguirmi XD, e sì, ho avuto la tua stessa intuizione riguardo Aaroniero. Ce lo vedo proprio come bibliotecario!
Spero che abbiate gradito anche questo capitolo!

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Capitolo 7
*** Il Decaduto ***


E Dio disse a Gabriele:
Fa quindi ciò che ti dico
Prendi la mia spada, e donala alle anime pie.
Prendi la mia anima, e dalla a chi è penitente.
Infine, getta il mio corpo ormai vuoto nell'Abisso”

[Dalla Genesi Oscura. Biblioteca di Las Noches. Sala dei manoscritti eretici]

Enjoy the Silence
il decaduto



Una volta era stato al mare.

Lei ce lo aveva portato – mano nella mano – in una afosa giornata di agosto inoltrato.
Per quanto il tempo fosse sempre bello e soleggiato dentro la Soul Society, vi erano giorni e periodi in cui proprio non riuscivi a sopportare gli sbalzi di temperatura.
Il tragitto per questo fu lungo e faticoso, e non privo anche di pericoli.
Il sentiero sterrato che si spingeva a sud, passava per luoghi decisamente malfamati, e spesso la mano femminile che lo guidava si stringeva alla sua per improvvisi moti di paura.
Ma ne era valsa la pena. Eccome se ne era valsa la pena.
A distanza di anni, egli avvertiva ancora la sensazione della sabbia bagnata che scivolava via da sotto i suoi piedi.
Come a volergli sfuggire, si andava a ritirare tra le onde schiumose immergendosi negli abissi più neri. Accompagnata dal rumore sordo dell'acqua e dal canto dei gabbiani.
Lei gli chiese che cosa stesse provando e come si immaginasse tale luogo, e lui le dette una risposta che la lasciò senza parole.
Il mare, la spiaggia e il vento che sapeva di salsedine, avevano per lui un aspetto fumoso e bianco.
Un burrascoso temporale celeste, che si infrangeva sulla terra distruggendola e rendendola polvere – la sabbia – e ti avvolgeva col suo vento freddo e umido.

Il mare.

Quello era il mare per Kaname Tousen.
E da allora, a distanza di più di un secolo, o forse anche di più , aveva come l'impressione di essersi inabissato assieme a quella sabbia che un tempo scivolava via da lui.
Di aver raggiunto le profondità più remote di quel luogo bianco e fumoso, e di essere arrivato sino all'Hueco Mundo. Fino all'abisso dei cieli celesti e densi di nuvole.
Anche quello fu un viaggio lungo e non privo di pericoli, forse molto più di quella improvvisata scampagnata al mare, ma ciò rappresentava la sua totale maturità.
Il ragazzo mite e gentile di un tempo, aveva lasciato il posto a colui che aveva visto la luce. Che aveva compreso le macchinazioni di un mondo vuoto e dello sporco che intaccava il suo bianco.
Mutando come muta una stagione. Dall'estate all'inverno senza passare per le mezze stagioni.

Ora, in quel momento mentre osservava gli schermi della sala di sorveglianza del palazzo sacro, aveva una nuova ragione per rimuginare su suo ruolo in tutta la faccenda.
Tousen non era uno stupido.
Tousen, era un uomo che a suo malgrado aveva visto ciò che forse era meglio non avesse mai visto.
Ma che il destino di suo, ha voluto che accadesse l'incontrario.
Le luci dei vari pannelli intrisi di diverse immagini e colori, si stagliavano sul suo volto impassibile e imperscrutabile, mostrandogli scene di vita quotidiana.
Immobile nella sua ieratica postura, osservava a suo modo le tante formiche che popolavano il grande formicaio.
Esaminandone una per una alla ricerca del più piccolo particolare fuori posto.
Arrancar ed Espada non avevano segreti per lui, così come la loro gerarchia così cruda ma al contempo così pulita.
Gli avevano insegnato a considerare tali bestie creature sbandate da portare sulla retta via, senza eccezione alcuna.

Dopotutto, bisogna mantenere l'ordine per contenere un degno equilibrio.

Ma se non comprendi l'Hueco Mundo sino in fondo, se non capisci cosa significa quella sua sabbia e quella sua volta celeste priva di stelle, allora non capisci dove sta il punto di rottura di tale equilibrio.

Lui non era più semplicemente Kaname Tousen, del Gotei tredici. Lui ora era la giustizia, o perlomeno il suo portavoce ufficiale.
Come l'Arcangelo Gabriele, spada alla mano difendeva i fondamentali principi che Dio gli dettava.
In suo nome avrebbe abbattuto i nemici e le anime stolte che non avevano compreso la sua parola, e nell'ingiustizia di essere annientate, avrebbero compreso la giustizia dell'atto.
Passò ancora in rassegna quegli schermi variopinti e significativi, stando ben attento alle vibrazioni elettriche che i vari impianti mandavano silenziosi.
Per lui, più della vista contavano tutti gli altri sensi. In particolare la percezione di eventi solo in apparenza significativi come il volo di una zanzara.
Bastò solo un momentaneo disturbo ad uno dei monitor quindi, solo un breve sfrigolamento come se mancasse per un momento il segnale, che bastò per attirare la sua attenzione.
Il volto severo si portò in modo impercettibile verso quella piccola e insignificante anomalia, e la esaminò con il suo modo di fare unico e infallibile.
Aizen non lo aveva reclutato a se solo perchè la sua tecnica illusoria non aveva sortito alcun effetto, ma lo aveva scelto per quella sua anima pura e inattaccabile.
Conscia del marcio che la circondava. E di essere in grado di comprenderne a che livello era.

Per questo, proprio per questa sua incedibile abilità, fece qualcosa che reputò giusto fare.
Si portò lontano con lo sguardo da quegli strumenti di luce, e portò il volto verso il buio della stanza.
In particolar modo in un angolo sperduto dove persino un occhio attento avrebbe fatto fatica a vedere. Parlando con voce atona alla creatura che dimorava in quell'anfratto.
Wonderwice?”
Dall'angolo in ombra, un sottile mugugno si levò assieme ai lineamenti facciali di quello che era un semplice ragazzino, e due occhi ametista – in apparenza apatici – si posarono sulla rigida figura.
Creatura dotata di vista a differenza dell'ex capitano, ma praticamente incapace di comunicare vocalmente con qualcuno. Se non a modo suo proprio come l'Arcangelo che aveva di fronte ovviamente.
“Gradirei che d'ora in avanti, tu cercassi di passare il più inosservato possibile, intesi?”
Uno strano ordine che, però, il giovane ragazzino rannicchiato atterra accolse con medesimo entusiasmo.
Emettendo un altro lamento disinteressato, e posando lo sguardo altrove in quella perenne oscurità.
Ma comunque perfettamente consapevole delle parole dettate.
Avrebbe eseguito gli ordini, anche se non comprendeva affatto quello che il padrone intendeva dire con “passare inosservato”.

O meglio, forse non capiva...

Perchè se non comprendi quel purgatorio senza Dio fino in fondo, se non ne comprendi la sua reale esistenza, allora non hai capito proprio nulla.



A sorpresa vado a parlare di Kaname Tousen.
E credo di essere una delle poche persone ad apprezzare questo personaggio anche dopo il suo tradimento alla Soul Society.
Non capisco il motivo di tanto odio nei suoi confronti, ma come ho già spiegato Tousen non è uno sbandato, ma ha i suoi validi motivi per le scelte fatte.
Ringrazio di cuore ancora una volta raxilia_running e Yoko_kun mie fedeli lettrici ^^
(purtroppo vado di fretta, ma la citazione prima del titolo, è sempre una mia creazione. Tenetela a mente per il futuro)

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Capitolo 8
*** Lode alla Bestia ***


Morite tutti!
Maledetti umani!”

[Un essere umano rivolto ai suoi simili durante una guerra]

Enjoy the Silence
Lode alla bestia.


Sapeva che al mondo migliaia di persone erano morte per la libertà.

Sapeva tra l'altro, che la sua decisione era quasi un pugno in faccia a tutte quelle povere vittime.
Ma Orihime, ora come adesso, provava un certo astio verso quella abusatissima parola.
Per quanto l'agognata libertà che attendeva con impazienza fosse arrivata a portata di mano, il fatto che fosse stata decretata dai suoi carcerieri non le andava a genio.
Di più, Aizen stesso l'aveva convocata nelle proprie stanze per discutere di questa bizzarra decisione.
Invitandola a prendere un tè caldo come tra vecchi amici, le aveva esposto la proposta come se nulla fosse.
Inoue, se desideri lasciare le tue stanze basta solo chiederlo”
Aggiunse lui, portandosi alle labbra la superficie liscia della tazza di ceramica, assaporando come un professionista il liquido al suo interno.
Lasciandola interdetta e congelata nella sua postura. Era sicura che la spina dorsale le si fosse pietrificata dentro le carni. Che il sangue avesse messo di fluire nelle sue vene, paralizzandola dal freddo.
Come una lucertola incapace di raggiungere l'ardente sole, e di rimanere così ferma nell'ombra.
Non vuoi assaporare un po' di libertà Orihime?”
Il tono era tranquillo e allo stesso tempo pericoloso.
Sapeva alla perfezione ormai, che quell'uomo era tutto fuorché gentile. Che quel sorriso equivaleva ad una menzogna, e che per tale motivo era fuori posto in quel luogo.
Non c'era posto all'ipocrisia e alle maschere in un posto come lo era il mondo vuoto.
Per lei, Aizen, era come la bestia dentro la cattedrale.
Era un eretico che predicava ai fedeli, che li conduceva ove le anime pie non osavano andare.
Un gran sacerdote che praticamente le aveva imposto di poter gironzolare per il castello. Di osservarne la vita e di osservare come le formiche al suo interno vivevano.
E alla sua domanda innocente – tra l'altro anche molto impulsiva – lui si limitò a fare un qualcosa che stranamente la terrorizzò nel profondo.
Non si preoccupa che io possa scappare?”
A quelle semplici parole di Inoue, solo il silenzio attutito della sala giunse come risposta.
Assieme al sorriso del padrone di casa, mentre si limitava semplicemente a a posare la tazza sul tavolo lucido.
Provocando un rumore freddo e distaccato. L'equivalente di un “no” secco.

Si era spaventata, e forse fu questo a renderla disgustata da quella – chiamiamola così – proposta.
Aveva detestato le mura grigiastre della sua umile stanza, ma ora si doveva ricredere ed incominciare ad amarle.
Strana la vita, ti accorgi sempre quando ormai è troppo tardi di aver perso qualcosa di importante...
Ma tra i tanti pensieri che affollavano la sua testa, era decisamente il caso che pensasse solo a se stessa. Perchè se avesse davvero iniziato a pensare, sarebbe di certo impazzita e il gioco della conta sarebbe andato a puttane. Come già altre volte si era ampliamene detta.
Ripetersi era noioso, ma non ci si stancava mai.
A costo di apparire spregevole agli occhi del mondo, sarebbe diventata egoista come mai lo era stata prima.
E neppure il tizio che le stava davanti avrebbe potuto farci niente.
Come ciliegina sulla torta infatti, ad esasperarle quel nuovo giorno ci aveva pensato l'Espada di nome Szayel Aporro.
Che per nulla intimorito dall'egoismo della giovane, se ne rimaneva seduto sullo scanno a guardarla falsamente divertito.
Con le gambe incrociate, e le mani che tamburellavano sulla sua cartellina di plastica lucida, la guardava quasi in tono derisorio.
Proprio lei che, stesa come una matrona sul suo triclinio, se ne rimaneva comoda e zitta sul proprio divano.
Scrutandolo ferma come una padrona di casa con il servo.
Un braccio appoggiato su di un bracciolo, e l'altro disteso su un fianco rilassato, la faceva apparire quasi ad una divinità greca da tanto che era austera e severa.
Tuttavia, lo scocciatore non sembrava per nulla intimorito da quella visione, ne tanto meno dalla sua patetica decisione.
Ossia quella di non uscire da lì, neppure di due centimetri fuori dalla porta.
Gli ordini di Aizen sama, per lui – e per tutti sia chiaro – venivano prima di qualunque altra cosa. Prima della cocciutaggine di una ragazzina viziata.
Quella femmina doveva andarsene fuori da lì. Doveva uscire da quelle quattro mura opache e opprimenti, e respirare dell'aria più pura che non fosse quella viziata che inalava lui ora.
Un misto di polvere sottile e di colazione consumata in fretta. Dell'odore della sua pelle fattosi abbastanza intenso per non essersi cambiata d'abito alla mattina, rimanendo con quello della sera precedente.
Ciò non era sgradevole per le sue narici, dato che lui non emetteva odore a prescindere, poiché quello che sentiva era profumo di vita umana. Profumo di nostalgia.
Di fottuta e inutile vita umana.

Di vita che scorre sotto quella pelle, di sangue caldo che si muove costante pompato da un cuore forte e giovane.
Nascosto – celato – da centimetri di stoffa sintetica, e da due tette enormi e soffici. Che si alzano e si abbassano ogni qual volta inspira ed espira.
Tentandolo, di un sentimento alquanto noioso.
Noioso, quanto le parole di suo fratello Ilfort. Che insidiose e viscide, gli ritornavano in mente proprio in quel preciso istante di pensieri confusi.
“Ti sto solo tentando fratellino” o qualcosa di simile a tale frase aveva detto.
La tentazione in un pensiero malsano, gli equivale il smorzare un sorriso falso e di renderlo quasi un ghigno perplesso.
Che si tramuta quasi in sconcerto quando avverte uno strano gelo sul lato sinistro di dove è seduto, e per un momento congiunge quel freddo al fratello lontano.
Strano che pensi a lui in quel preciso momento, strano che uno scienziato abbia un attimo di dubbio e quasi di smarrimento. Che seppur effimero quasi lo manda nel panico.
Gli pare persino di avvertire la voce di Ilfort, mentre ancora una volta gli sussurra all'orecchio quella frase fatta. Quelle parole dettati da una oscura ignoranza.
Poi quella voce fredda, si sostituisce a qualcosa di ben diverso e più agghiacciante se possibile da spiegare. Qualcosa come due dita che, lentamente, e sinuose, si infilavano nel suo orecchio sinistro con estrema facilità.
Superando il timpano, superando le ossa fino ad andargli ad intaccare il cervello come un pensiero sporco.
Sporco e cattivo. Freddo e poco piacevole.
Un lato decisamente irritante ed influenzabile della sua personalità.

Scacciò quelle nere sensazioni e il ricordo dell'odiato fratello, con un movimento delle spalle che solo appena era la dimostrazione di un effimero – ma grande – disagio.
Riscosso anche dalle tiepide parole della femmina umana che, dimostrando ancora una certa fermezza, non voleva mettere in atto gli ordini imposti.
Quasi andando, per giunta, a ringraziarla personalmente di aver bloccato il suo sudore freddo.
“Glielo dico ancora, non ho intenzione di lasciare la mia stanza. Preferisco rimanere qui”
Pacata ma seria, aveva tutta l'idea di volersene rimanere lì a vegetare per tutta la giornata.
Quelli però, non erano i programmi della giornata, e lui aveva altro lavoro da svolgere oltre che starsene seduto su quella scomoda pietra a far finta di essere felice.
Di tutta risposta quindi, fece schioccare le labbra per scandire meglio il suo ammonimento.
“Sei davvero sicura di ciò che dici? Sai... potresti anche rimpiangerlo”
“Ah sì? E se non accetto che mi succede?”
Stava diventando arrogante pur di nascondere la propria paura, un particolare che non lo lasciò indifferente.
“Beh... Se non accetti, potrei violentarti

Più che la parola in se, fu il modo in cui la pronunciò che lasciò Orihime interdetta.
Le iridi d'argento si spalancarono improvvise, e il respiro si bloccò nel petto procurandole dolore.
In una parola era spaventata. Ora era spaventata a morte.
Il tono di voce dell'individuo, era ancora una volta allegro e – in apparenza – naturale. E fu proprio per la naturalità con cui disse quelle terrificanti parole, che la lasciò di pietra.
Lei non... non può...”
A malincuore si ritrovava a balbettare, mentre il volto le si faceva scuro tra l'indignazione e la paura che reprimeva a stento.
Ma come risposta non ricevette altre frasi ingiuriose, ne tanto meno sorrisi beffardi. Solo un silenzio prolungato e l'espressione di lui che si faceva seria e truce. Scolpita nel marmo dalla cattiveria.
Le fischiavano le orecchie da tanto che c'era silenzio. E più si prolungava, più la gola le si seccava e il cuore le andava in panne.
“Calmati” si disse mentalmente, ma poco ci mancò che si mise pure ad urlare.
Inavvertitamente infatti, l'Espada, cogliendola di sorpresa, si era alzato in piedi dal semplice scanno di pietra con sorprendente velocità.
Con indosso uno sguardo deciso simile a quello di un macellaio che recide il collo al vitello.
Non fece neppure un passo verso di lei, non l'additò, e nemmeno protese le braccia come a volersi fiondare per acciuffarla.
L'istinto si mosse prima di ogni altra cosa nella femmina, e abbandonata la postura rilassata assunta in precedenza, era scattata in piedi come ad un ordine.
Scattò in avanti con un'agilità che nemmeno sapeva di possedere, portandosi dietro il bracciolo a mo di protezione. Stringendo tra le dita quel tessuto bianco e ignorando i muscoli doloranti per lo sforzo improvviso.
Complice un'adrenalina da far invidia ad un atleta.
“Che vuole fare?!!”
Ora la voce le tremava e i muscoli delle gambe tremavano da tanto che erano duri. Sentiva la paura andare a mille, ma non voleva mostrarla in nessun modo a quell'essere immondo.
Che ancora la osservava come un assassino con la vittima.
Scuro in volto.
Occhi d'agata luminosi e folli oltre quelle lenti eleganti.
Un sorriso, che scemò la tensione che aveva imposto.

Un cambiamento improvviso che lei di principio non capì.
Le labbra che gli si arricciavano fino a mostrare i bianchi denti, e lo sguardo che tornava languido e strafottente come prima.
Solo quando lo vide passarsi la lingua sui denti, capì che cosa volesse realmente da lei.
Visto Orihime, che con le buone si ottiene sempre tutto?”
Una farsa...
una fottuta farsa e lei ci era cascata in pieno.
Ci era caduta come una bamboccia delle medie, e questo le dette fastidio non poco. Perchè essere presa in giro in quel modo, in quella condizione poco umana in cui viveva di persona e di pensiero, era oltremodo umiliante e ingiusta.


Uno scherzo che tuttavia, ancora non lo sapeva, l'avrebbe portata fuori dalla sua gabbia.



Ritorno con il capitolo otto, e una piccolissima citazione.
La frase detta lassù, benchè sia molto comune in tanti libri, film ed ecc, mi è giunta questa volta dal film District9. E benchè venga urlata in un momento di concitazione, è interessante chi l'abbia urlata.
Per il resto, ancora grazie a Yoko_kun e raxilia_running.
In effetti Tousen è molto criticato per il concetto che ha di giustizia, ma io l'ho apprezzo perchè comunque non mi sembra “ipocrita”.
È abbastanza complesso come personaggio, e purtroppo molto sottovalutato a mio avviso.

Ci si sente al prossimo aggiornamento gente! Spero abbiate apprezzato pure questo capitolo!

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Capitolo 9
*** Padre Padrone ***


Qualcuno potrebbe dire
Desidero avere indietro i miei giorni
Non è possibile
E se è questo il prezzo da pagare
Qualcuno dirà
Domani è un altro giorno
Resta. Posso anche pagare

[Frase scritta sulla parete di una grotta da Nnoitra Jilga, le motivazioni restano ignote]

Enjoy the Silence
Padre Padrone



Parole.

Questo sconosciuto.

Gli esseri umani erano nati con il dono della parola ma, a quanto pare, non sapevano fare un buon uso di questo preziosissimo dono.
Per loro, era solo un mezzo di comunicazione come tanti, un espediente per raggiungere i propri obbiettivi naturali.
Cambiano le basi, ma i fabbisogni bisogna pur raggiungerli in qualche modo.
Riproduzione, nutrizione, bisogni fisici e anche comunicativi quando se ne ha bisogno.
Il brutto della “parola” è che ci puoi scatenare una guerra se non la sai dosare bene.
E lui, Nnoitra Jilga, di parole usate a sproposito ne sapeva qualcosa.
La sua lunga lingua tatuata – recante oggigiorno il numero cinque, a simboleggiare il suo rango tra gli Espada – era spesso più tagliente e letale della sua falce a mezzaluna.
Ma una falce può mozzare una testa, mentre la lingua, con annessa parola, solo l'orgoglio ed eventuali sentimenti.
Forse da vivo, doveva aver spezzato il cuore a molte giovani fanciulle. Forse in vita, aveva deluso un genitore.
Infamando e infamandosi.
Riempiendosi la bocca di sabbia e lasciandola seccare al sole pur di non ammettere nulla. Volendo piuttosto una morte che non arrivava mai.

Ora, che in quel momento non stava facendo nulla di interessante nel proprio regno, si limitava a starsene su quel bianco sasso – trovato quasi per caso nel suo girovagare – seduto come una lucertola a prendere il sole.
Fermo e immobile, teneva la bocca aperta lasciando che il secco vento del deserto gli disidratasse la gola e le tonsille.
Come a desiderare di non volere più che le parole uscissero dalla sua bocca sporca.
La lingua a tratti, la tirava fuori e la articolava come il tentacolo di una piovra. Cercando di catturare e saggiare l'aria anormale di quel luogo.
Un deserto di norma doveva essere bollente di giorno, e freddo la sera. Ma lì le parti si invertivano, e ti ritrovavi a rabbrividire il giorno e ad ansimare per il troppo caldo la sera.
Di un gelo fine che, però, era più interno che esterno. Di una calura allucinante che era generata più dal proprio buco, e non dalle sabbie riarse dal sole.
Ma qui appunto le cose erano quasi invertite, oppure erano semplicemente difficili da spiegare.
Ciò che accadeva nel mondo vuoto infatti, non era fatto per essere capito. Era così e basta, punto.
Ed esattamente come il mondo che calpestava con i suoi rigidi calzari, lo stesso Jilga non era fatto per essere capito.
O lo si odiava, oppure lo si rincuorava come si poteva.
Ma in entrambi i casi, si sarebbe incontrata un'ostica resistenza e parecchi “vaffanculo”.
A quel pensiero schietto e sporco quanto lui, l'occhio buono si spostò automaticamente verso la destra.
Ove un artificiale rumore di sabbie smosse, attirava pigramente la sua attenzione.
Scattò la mascella con un colpo secco, e fece schioccare all'interno del palato la lingua apparentemente lunghissima. Osservando senza reale interesse, chi stava disturbando la sua meditazione.
Poco più in là da dove si trovava lui adesso infatti, un Tesla frustrato e annoiato, dava calci ad una sabbia grigia e inespressiva. Fredda e sterile come i pensieri del suo attuale signore.
Scaricando in tal modo pensieri onesti per gesti ricevuti tutt'altro che gentili.
Ora che Nnoitra ci pensava, la Tercea Espada tempo addietro, gli aveva suggerito che forse era il caso di portare un po' più di rispetto verso il proprio fedele servitore. Che forse non era propriamente giusto rimproverarlo per ogni singola azione che compiva.
Lui l'aveva mandata bellamente a cagare e lei se ne era rimasta zitta.
Un rapporto tra Espada e Fracctiòn, è come quello tra un padre e un figlio. Non va disturbato in nessun modo, a meno che non sia Dio stesso a dire “fermati”.
E dato che al dio dell'Hueco Mundo non importava nulla di ciò che i suoi figli acquisiti compivano, lui se ne infischiava bellamente dei diritti di un servo.

Doveva ammetterlo però, se il ragazzo si stava sfogando in modo così brutale verso quella povera sabbia, era solo per colpa sua e per il suo caratteraccio.
Poco prima di dover assistere a quella scenata quasi infantile, aveva fermato sul nascere un passatempo genuino di quel povero coglione.
Rimembrando quel piccolo fatto avvenuto poco prima, gli venne naturale schioccare la lingua per il disgusto e l'indignazione provata.

[…]

Quella mattina il sole del deserto splendeva più feroce e freddo del solito.
L'aria secca era insolitamente tiepida anziché gelida, e questo poteva presagire che si sarebbe vista una tempesta di sabbia da li a poche ore.
Tuttavia, quell'oscuro presagio, non faceva demordere il giovane arrancar che – seduto su di un bianco sasso – si gustava la lettura di un'opera impegnata.
Era un giovane che forse, contando il suo aspetto, non doveva andare oltre le venti stagioni di vita. Ma chi era più avvezzo nell'incontrare spiriti e simili, gli avrebbe dato molti più anni.
Tuttavia, il peso degli anni non aggravavano sulle sue spalle, e il suo occhio attento – l'altro era coperto da una inutile benda – scrutava le fitte righe di quelle vecchie pagine stampate.
Era un tomo prezioso e di inestimabile valore, ed era riuscito a sottrarlo alla biblioteca del castello con tutte le raccomandazioni del caso.
La Novena Espada, visti i recenti atti di vandalismo, fu un po' reticente a darglielo. Ma non era tanto la sfiducia che riponeva nella giovane Fracctiòn, quanto per il suo sire sbandato. Capace di tutto.
Tesla comunque, ebbe la meglio e ora si godeva un libro che da sempre lo attirava.
Guerra e Pace.
Un classico tra i classici della letteratura umana, ma che possedeva comunque un suo fascino particolare e che a lui interessava.
Tesla non aveva molto tempo libero a sua disposizione, e quel poco che aveva se lo sfruttava così. Leggendo anziché andare a caccia di hollow di bassa lega. Un atteggiamento consono a pochi arrancar che riuscivano a reprimere istinti omicidi.
Nnoitra sama era uno di quegli individui che mal sopportavano leggere o starsene tranquilli.
E guarda la beffa del destino, l'ombra del suo signore si stagliò improvvisa e maligna sul libro che stava leggendo.
Alzò di scatto lo sguardo, e voltandosi verso la propria destra incontrò l'allampanata figura del suo sire.
La Quinta Espada lo osservava con sguardo apatico e senza una reale emozione che lo dominasse. In quel momento era come se stesse guardando una formica solitaria, anziché il proprio servitore.
Tale considerazione tuttavia, non passò per l'anticamera del cervello del ragazzo, dato che si ritrovò presto in lieve imbarazzo a causa della roca domanda di Nnoitra.
“Che cosa stai facendo?!”
Non c'era reale emozione nella domanda fatta, e deglutendo, il giovane servitore rispose.
“Ecco io... – sorrise timidamente mostrandogli la copertina del libro – stavo leggendo questo nell'attesa di nuovi ordini e...”
Perchè?”
La nuova domanda dell'Espada, anche se fatta ancora una volta con tono piatto e sguardo inespressivo, bloccò per un attimo il ragazzo.
Che imbarazzato cercò di stemperare la tensione con un altro sorriso.
“Ecco, la trovo una cosa interessante! Un buon libro aiuta a tenere la mente allenata, a sfruttare l'immaginazione e...”
Una improvvisa folata di vento, gli strappò letteralmente di mano quel tomo prezioso.
Facendolo cadere a un metro e mezzo da lui su quella sabbia riarsa e crudele. Lasciandolo totalmente sconvolto e e sorpreso da ciò che era successo.
Senza dire una parola, e senza neppure lasciarlo finire di parlare, Jilga aveva dato un calcio a quel “rotolo di carta igienica ammuffito” strappandolo letteralmente di mano alla propria Fracctiòn.
Il libro andò quasi ad inabissarsi nelle sabbie grigiastre, riempiendo le pagine di sabbia e forse anche rovinandolo del tutto.
E nel silenzio teso di quel gesto – apparentemente – cattivo, l'Espada colse il nervosismo crescente del giovane Tesla. Indispettito per quell'ennesimo gesto prepotente fatto senza emozione alcuna.
Un nervosismo che trapelava alla perfezione dalle parole successive a quei lunghi secondi di silenzio.
“Perchè lo ha fatto?”
Teneva lo sguardo verso il libro, e non osservava il proprio sire come in realtà avrebbe dovuto fare.
La domanda venne tenuta a tono basso, ma questo non toglieva che fosse deluso ancora una volta da lui.
Nnoitra con tutta sincerità, fece una lieve smorfia facciale e si allontanò pigramente da lui. Portandosi verso la falce a mezza luna piantata in una duna li vicino, e sbadigliando cavernosamente. Tanto sapeva alla perfezione che quel coglione non avrebbe mosso un dito verso di lui.
Quella sua fottuta lealtà lo portava ad ubbidirgli nonostante atteggiamenti del genere. Ma ciononostante non si era mai approfittato della situazione.
Preferendo lasciarlo fare dato che era sempre e comunque un ragazzo. Bacchettarlo sì, ma non accanirsi.
Di conseguenza, una volta riappropriatosi della propria arma immersa nella sabbia, biascicò la sua risposta definitiva. Senza neppure degnarsi di guardarlo in volto.
“I libri sono roba da checche”

[…]

Ora che ci pensava, Tesla aveva lanciato anche una seconda obiezione.
Più che altro una mezza supplica sul fatto che, Aaroniero, lo avrebbe fatto sicuramente a pezzi se non avesse riportato indietro quel prezioso libro.
Lui aveva ancora una volta ignorato quelle parole pacate – ma tese – e aveva dato il suo giudizio.
Non è affar mio”
Poche semplici parole per porre fine alla polemica. E se il fanciullo non voleva beccarsi uno sberlone dal padre padrone, era meglio se se ne rimanesse zitto.
Quindi ecco che i ruoli si erano scambiati.
Ecco che ora era lui a sedersi su quel bianco masso levigato da secoli di intemperie, e il fedele vassallo intento a distrarsi come poteva.
Il libro sempre lì in bella vista come a ricordargli come i gesti siano più rozzi delle parole.
Un piccolo oggetto inanimato che però, lo stava fortemente irritando. Lo stava giudicando in silenzio, e pareva dirgli “poverino” per tutta la disperazione che si portava.
Che si fotta quel libro, e che si fotta pure chi prova compassione per lui.
Stanco quindi di quella situazione noiosa, decise di alzarsi in piedi facendo solo leva sulle lunghe gambe.
Stiracchiandosi e borbottando per la pigrizia che aveva in corpo.
Stavolta si voltò per bene verso lo schiavo stolto, e lo osservò chiaramente calciare sabbia e sassolini in un gioco che prevedeva, in apparenza, di vedere quale cadesse più lontano da tutti.
I piccoli frammenti di calcare bianco, rotolavano via leggeri per le venature della sabbia come a voler sfuggire da quei colpi tremendi.
Una mera conseguenza di un uso totalmente sbagliato della parola.

Ehi tu!”
Stavolta non utilizzò un tono di voce roca, ma quello suo solito e deciso. Autoritario che non ammetteva repliche.
E come volevasi dimostrare, Tesla smise in un attimo di svagarsi in un gioco inutile, per portarsi ad osservare l'Espada con sguardo interrogativo, ma prudente al contempo.
Parole?
Gentilezza?
Cose sconosciute nel vocabolario di Nnoitra Jilga.
Per lui esistevano solo la cruda realtà dei fatti e i gesti manuali. Le parole erano devianti ed erano spesso armi a doppio taglio. Impossibile anche solo chiedere “scusa” con una parola, poiché si rischia di apparire falsi e ipocriti.
Il servitore in fin dei conti sapeva anche di questa sua opinione, anche se era difficile da capire alle volte. Ma ciò non tolse, che seguì anche quei nuovi ordini senza fiatare.
Perchè la lealtà verso una persona disperata, è un indiscutibile credo.
“Dai vieni... Andiamo a caccia. Almeno diventi virile e non fai la donnicciola”


Parole, questo sconosciuto.



Capitolo tutto dedicato a Nnoitra Jilga, e alla sua Fracctiòn Tesla. E al rapporto che c'è tra i due.
Diciamoci la verità, sono entrambi dei personaggi bistrattati dal fandom di mezzo mondo o quasi.
Preda di pregiudizi e cliché che li vogliono uno un bastardo senza motivo, l'altro fanatico e alla stregua di un uke masochista.
Niente di più sbagliato a mio avviso, ciò che lega Tesla al proprio sire, è la lealtà e l'onore. Aggravata anche dalla mistificazione di morte che lo simboleggia, ossia la disperazione.
Va bene, ho parlato anche troppo. Spero abbiate apprezzato anche questo capitolo!
Alla prossima.
Ps: La canzone prima del titolo è dei Police, ed il titolo è Walking on the Moon.

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Capitolo 10
*** Vergine Nera ***


Ma quella chi è?”
Quella è Lilith”
Chi?!”
La prima moglie di Adamo.
Sta in guardia dai suoi bei capelli, da quello splendore che è solo la veste.
Fai che abbia avvinto un giovane con quelli.
E ce ne vuole prima che lo lasci.”

[Una delle tante descrizioni di Incubadora, in un racconto popolare trascritto su carta.
Biblioteca di Las Noches]

Enjoy the Silence
Vergine Nera



L'indifferenza.

Una delle armi peggiori creati dalla umanità.
Un istinto primordiale infallibile, che ti porta in automatico ad ignorare l'esistenza di un determinato elemento o fatto.
Inoue Orihime aveva sempre trovato l'indifferenza come una piaga sociale.
Un qualcosa di squallido che era nato con lo scopo di evitare il prossimo. Se tale prossimo avesse portato degli aspetti e atteggiamenti diversi da quelli di buona parte dell'umanità.
Una reazione istintiva che si perdeva nei primordi del genere umano.
Che per sopravvivere, spesso si ignorava il compagno morente e si proseguiva oltre.
A discapito di quello che avrebbero pensato i suoi amici, ora lei cercava di sfruttare la tanto odiata indifferenza.
Un po' se ne vergognava, ma dopo quell'ennesima dimostrazione avvenuta nelle sue stanze, quell'uomo le faceva ancora più schifo.
L'aveva indotta con una subdola minaccia, a lasciare la poltrona per andare in giro per mezzo castello. E quelle parole dettate con tanta tranquillità, le davano ancora i brividi e la nausea contemporaneamente.
Di conseguenza cercava di tenere le distanze da lui il più possibile.
Cercando di camminare prima lentamente per stargli dietro – ma poi lui si fermava per aspettarla, con tanto di sorriso beffardo – a cercare di distanziarlo in orizzontale, ma anche in questi casi era tutto perfettamente inutile.
Se provava ad allontanarsi, lui tornava a trotterellarle vicino con un modo di fare che le dava la nausea.
La sua angoscia era misurabile come il rumore dei passi che li precedevano per quegli ambienti vuoti ed enormi.
Rombi di tuono che si perdevano in un abisso apparentemente eterno, ti inghiottivano con le loro fauci nere e ti lasciavano il freddo addosso.
Non pensando a questi particolari comunque, doveva ammettere un paio di cose.
Non si sarebbe mai aspettata un castello così ben organizzato. Aveva pensato che fosse composto da grandi sale spoglie e lunghi corridoi semi bui, ma si sbagliava.
A modo suo la reggia era viva e ricca di ambienti.
Le vennero mostrate le cucine, che benché non fossero colme di confusione come quelle della Terra, non erano abbandonate a loro stesse. E almeno un paio di inservienti pulivano e facevano bollire strani intrugli.
I bagni, di uno splendore immacolato e freddo. A parte qualche basso sgabello di legno messo in modo ordinato negli angoli, e qualche mensola con sapone, l'ambiente era vuoto eccezion fatta per dei tubi flessibili in ghisa che corrispondevano alle docce.
La privacy tra di loro, almeno per l'igiene personale, non esisteva.
Sorprendente tra l'altro di vedere qualche servo intento a pulire i corridoi e le stanze che si affacciavano su di essi. Devoti alle loro faccende, smettevano di passare lo straccio solo quando li vedevano passare.
Inchinandosi profondamente davanti all'Octava Espada, che gli ignorava bellamente.
Continuando a camminare avanti e sorridendo con scherno alla fanciulla. Solo a lei indirizzava il suo sguardo ambrato, e lo faceva con somma soddisfazione.
Quindi Orihime, si sentì quasi in obbligo a salutare velocemente lei quei poveri paria.
Piegando rigidamente il capo quasi con imbarazzo, nell'atto di ricambiare l'inchino di ogni servitore che incontrava. Suscitando in loro una silenziosa perplessità.
Da parte di Szayel Aporro Grantz, solo appunti da trascrivere sul suo taccuino di plastica rigida. E sorriderle vizioso per nascondere una certa ilarità.

Questa poi... Non me l'aspettavo!”
Impressionata? Beh, te lo concedo. Nessuno può rimanere indifferente a questa visione”
E in effetti era vero, per una volta quella viscida creatura aveva ragione.
Perchè una volta superati gli infiniti corridoi e stanze di quel palazzo dimenticato, si giungeva in un posto altrettanto grande ma colmo di... Libri!
Proprio di questo si trattavano, di libri riposti in un vasto numero di scaffali, in una biblioteca altrettanto grande e maestosa.
La grande sala principale era da mozzare il fiato, quando il suo accompagnatore aveva aperto – apparentemente senza sforzo – il grande portone di metallo, fu quasi come aprire le porte del paradiso.
Gli ambienti erano incredibilmente bianchi e puri, il pavimento era così lucido che ci si poteva persino specchiare. Così perfetto che non sembrava neppure composto da piastrelle, ma bensì da un unico blocco di marmo bianco.
Osservandolo meglio inoltre, l'ambiente era suddiviso in due piani. Il primo al piano terra componeva la grande hall di ingresso, dall'aspetto circolare idealizzato anche dalla disposizione degli scaffali.
Il secondo invece, lo si raggiungeva attraverso due rampe di scale in marmo, che si univano alla fine al ballatoio principale.
Ballatoio che seguiva in un abbraccio bianco tutta la sala, e in quel muro perfetto, in ogni sua nicchia erano presenti libri e libri.
Al centro del ballatoio poi, addossato contro il muro, ad Inoue parve di intravedere la tela di un grande quadro. Ma essendo molto in alto, stando da terra non riusciva che a vedere solo la cornice dorata dall'inconfondibile stile barocco.
Se avesse voluto osservare meglio quel dipinto, avrebbe dovuto avvicinarsi meglio.
Intanto Aporro, lasciando che per almeno i primi secondi la femmina si gustasse quell'ambiente davvero niente male, ritornò alla carica riportandola alla realtà.
Il tour del castello non era ancora finito, c'era ben altro da vedere.
Le sfiorò quindi, con gesto sfacciato, i lunghi capelli lasciati liberi sulle spalle. In un gesto teatrale che trasudava malizia.
Riportandola in men che non si dica alla realtà.
Il volto della femmina parlava chiaro, era stata colta alla sprovvista e il suo sguardo era un misto tra sorpresa e rabbia. Anche se quest'ultima emozione era in forma assai repressa.
“Dobbiamo andare mia cara...”
fece lui con voce bassa. Voleva convincerla a tutti i costi, e per farlo c'era solo il metodo delle minacce. Velate, ma pur sempre minacce.
Con somma soddisfazione la vide deglutire e irrigidirsi maggiormente.
Vide come il grosso seno che aveva davanti al torace, smettesse per un breve attimo di alzarsi ed abbassarsi, per poi tornare a riprendere a respirare con più calma.
Quello che non calcolò purtroppo, fu l'inattesa risposta della ragazza.
“N-no... Voglio restare ancora un po' qua”
Era quasi un filo di voce, ma era un filo di voce dallo sguardo deciso, cosa che lo meravigliò tantissimo.
Cosa?!”
Il suo tono di voce rasentava quello di un uomo perplesso e divertito al contempo.
Il suo sguardo si fece allegramente indagatore, mentre dentro il proprio essere spegneva un moto di grandissima irritazione.
Aveva programmato quella giornata con calcoli matematici ben precisi, non dovevano sgarrare sulla tabella di marcia, dato che lui aveva il suo vero lavoro da sbrigare.
Tuttavia quella dannata stupida, sembrava intenzionata a rimanere. E benché fosse evidente che si sarebbe mangiata le dita per quell'improvvisa cocciutaggine, si allontanò da lui con passi incerti verso una delle rampe di scale presenti.
“Io... Voglio vedere questo luogo”
Disse lei con tono incerto, rivolgendosi di scorcio all'uomo il cui sorriso beffardo moriva lentamente sul volto. Continuando comunque a camminare, verso le scale di marmo, ed iniziare a risalirle come a volersi distanziare da un mostro sanguinario.
Non si voltò neppure una volta mentre saliva quella rampa maestosa, non voleva ritrovarsi a sussultare dalla paura per avercelo magari a due centimetri di distanza.
Aveva la possibilità di un'ora “d'aria” e la voleva sfruttare tutta. A partire dal deliziarsi del rumore dei propri passi su quella superficie perfetta. Un rumore decisamente più delicato rispetto a quello che li precedevano nei corridoi del castello. Più tranquillo ecco.
Poi arrivata in cima, quasi prendendo lo slancio finale, si ritrovò finalmente al piano superiore. Che altri non era che una seconda versione dell'atrio, ma senza rampe di scale in fondo alla sala.
A sostituire le scale gloriose, vi era un quadro altrettanto maestoso.
Strano, quando era al piano di sotto le era parso che la sala soprastante non fosse così larga, dato che comunque una parte del dipinto riusciva a vederla.
Mentre ora, era decisamente troppo lontano anche solo per essere intravisto dal portone di ingresso. Almeno in teoria.
Dopo una breve perplessità iniziale, si ricordò come la simmetria e la prospettiva nell'Hueco Mundo spesso cambiava. E ciò che ti appariva vicino, in realtà era lontano. In un continuo miraggio che il più delle volte era letale.
Questa volta però, sembrava che non ci fosse nessun gioco di prospettiva, e il grande quadro era li che attendeva di essere visto.
L'Octava Espada non le aveva detto che si trovavano dei dipinti in quel luogo, ne tanto meno lei si immaginava potessero esserci. Non si immaginava neppure la biblioteca se era per questo.
Dava per scontato molte cose, come quello che gli Arrancar non potessero avere una cultura loro. Ma a quanto pare doveva ricredersi, e doveva ricredersi anche sul gusto dell'arte.
Forse.
Perchè più si avvicinava a quel dipinto, quasi attirata da una calamita come se la creatura rappresentata la stesse chiamando, e più scorgeva dettagli assurdi.
Che potevano sfociare nel grottesco e nel cupo.
Davanti ai suoi occhi dilatati, dopo aver camminato su di un lungo tappeto rosso che portava sino a li – come un fiume di sangue rosso generato da quel dipinto – che Inoue vide la fonte di quel cupo sussurro che la incitava ad avvicinarsi.

Una donna.
Una donna dalle fattezze incredibilmente femminili ed umane, troneggiava superba e leggiadra in un cupo paesaggio.
La pelle lattea e glabra, resa ancora più luminosa dalla volontà del pittore di irradiarla (o quasi) di luce divina, le donava un aspetto angelico nonostante la sua palese nudità totale.
Il corpo era rilassato in un atteggiamento leggiadro nell'atto di camminare sul sentiero cupo e sporco, e le braccia protese in un accennato “abbraccio” come a simboleggiare maggiormente il senso di beatitudine che doveva dare.
Beatitudine espressa anche da un volto sereno e rilassato, il cui enigmatico sorriso faceva riflettere.
Il volto inclinato leggermente di lato come una Madonna in preghiera, nell'atto comunque di volersi lanciare nel vuoto, era un qualcosa di assurdo da descrivere.
E i lunghi capelli rossi, cupi, che aleggiavano delicati e dolci come se fossero stati in acqua, ricordavano tanto i suoi. Tanto che in automatico, si portò la mano ad una ciocca come a rassicurarsi che si stesse sbagliando. Un gesto che trasudava inquietudine, per non dire di paura vera.
Perchè le pennellate decise ma comunque dettagliate, persino nel mostrare le ciglia rosse della sacra vergine nera, parevano essere state fatte con lo scopo di mettere paura.
Tutto quel senso di beatitudine però, ad Inoue dava quasi il voltastomaco dalla paura appunto.
Poiché oltre quella donna apparentemente pura, vi era un paesaggio fatto di cupe colline e di cieli plumbei.
Dalle pennellate grezze che sembravano quasi incisioni su pietra, e dai colori così cupi che solo guardandoci attentamente si riuscivano a scorgere i più significativi dettagli.
Orihime trasalì, e sentì l'impulso di stringere le mani nella stoffa della gonna.
Quelle colline... Quelle colline erano fatte di cadaveri purulenti.
Di Hollow massacrati e sventrati, e poi accatastati in colline di un colore così cupo che a stento si riusciva ad intravedere il rosso del sangue.
Pallidi occhi che avevano conosciuto solo la morte, si spegnevano al passaggio di quel demone dall'aspetto gentile.
Ma chi...Chi è costei?”

Una voce lapidaria e un sussulto smorzato. E il cuore di Inoue si fermò per cinque secondi esatti per lo spavento provato.
Quella è Incubadora...”
L'istinto la portò in automatico ad abbandonare quell'analisi sofferta del dipinto, e voltarsi velocemente verso chi aveva parlato spezzando l'attutito silenzio di quel luogo enorme.
Ciò che vide la lasciò senza parole.
Non vi era l'uomo chiamato Aporro ad osservarla con il suo solito ghigno, ma una creatura – se possibile – più inquietante e strana.
Forse la più strana che avesse incontrato a palazzo.
Le dita lunghe e sottili dell'individuo, tenevano ben salde un libro antico e dallo spessore notevole.
Le sue vesti parevano quelle di un principe vanitoso, e oltre la lunga maschera calata sul viso, non riusciva a scorgere nulla.
Ma era sicura, che la sua voce più che essere camuffata da quell'ingombrante elmo di ceramica, sembrava provenire dalle remote profondità dell'oceano.
Raccapricciante.
“Ehm... Come scusi?”
La domanda venne fatta con educazione nonostante la voce sottile e quasi spaventata, ma quello non ci fece caso e lasciò che il silenzio si antepose a lui mentre si avvicinava cauto alla creatura femminile. Prima di affiancarla ed osservare assieme a lei il sacro dipinto.
“La femmina che vedi raffigurata in questo dipinto, è chiamata da tutti noi con l'appellativo di Incubadora. E per quanto rasenti il fantastico, la sua storia ha dell'incredibile”
Aveva una voce piatta e apparentemente cupa. Tuttavia era sicura che quell'individuo poco prima, avesse avuto una voce leggermente diversa. Forse si sbagliava, stava magari diventando paranoica, ma tutto quello che riuscì a dire a quell'essere, fu solo un cenno del capo per invitarlo a proseguire nella narrazione.
Un desiderio non reale certo, ma meglio che starsene zitta con lo sguardo da pesce lesso e fare una figura di merda.
“Sai, si dice che in tempi remoti ella fu la prima Hollow a raggiungere l'Hueco Mundo. E fu anche la prima creatura ad evolversi in Gillian ed Adjucas in seguito. Diventando una Arrancar gloriosa e potente...”
Pareva ammirato nel descrivere quelle sue ipotetiche gesta. Come se stesse parlando del primo essere umano ad aver camminato sulla terra.
Tanto che persino Inoue, perplessa, voltò il capo verso il dipinto per osservarlo meglio.
“A... allora perché si chiama con quel nome?”
un silenzio prima, e una cupa risata divertita poi la raggiunsero a risposta.
L'elmo bianco si girò appena verso di lei, quasi come se la volesse deridere, prima di ritornare a fissare estasiato e a parlare.
“Vedi... Quando iniziarono a sopraggiungere in questo luogo altri Hollow, lei in automatico li divorava tutti – si fermò un istante per osservare la reazione della femmina e poi continuò soddisfatto – uno ad uno, persino le creature più potenti, finivano nel suo ventre mai sazio. Ed ella crebbe e fu temuta in ogni dimensione esistente. Tuttavia...”
“Tuttavia...?” incalzò lei esasperata dal silenzio crescente.
E la risposta venne data lapidaria e crudele.
“... Tuttavia, il suo ventre fu la causa della sua caduta. Ella infatti, scoppiò sotto il peso delle tante anime divorate – scrutò attentamente lo sguardo dell'umana prima di tornare a parlare – e da quel parto mostruoso, la leggenda vuole che nacquero i primi Vasto Lorde. In pratica, quella creatura fu l'incubatrice di qualcosa di ben più raffinato di un semplice Hollow o di un altrettanto stupido Menos Grande. Per molti di noi insomma, è paragonabile ad una Santa Madre...
Raccapricciante.
Decisamente raccapricciante.
Come potessero queste creature paragonare una creatura così terrificante ad un qualcosa di divino, Orihime non se ne capacitava.
Questa Incubadora non aveva nulla di sacro. Nulla che riconducesse a qualcosa di etereo o divino che sia.
Era solo una bestia che aveva manipolato gli eventi e la vita di molte povere creature. O meglio, aveva negato loro un'esistenza già disgraziata. Inglobandoli con il proprio essere, fino ad essere punita per la propria ingordigia.

Ingordigia? Sai, si chiama solitudine in realtà, e non ti è poi tanto differente questa... “bestia”.

Inoue captò una voce.
La sentì, e i suoi occhi si sbarrarono di sorpresa mista a terrore viscerale. Le pupille le si dilatarono dallo spavento, e il sangue gelò nelle vene, a quella voce che pareva venirle nella testa ma che in realtà, non era stata generata da essa.
Questa era follia, ne era certa. E il gesto di portarsi una mano verso il volto, come a voler capire se era ancora nel mondo dei vivi, non passò inosservato al misterioso bibliotecario.
Che la osservò curioso e guardingo per quello strano comportamento.
Tuttavia, prima ancora che potesse poggiare una mano sulla spalla della fanciulla, per riscuoterla da quel torpore fuori stagione, una voce ben conosciuta lo bloccò sul nascere.
Aaroniero Arruruerie suppongo...”
La voce dalla cadenza melliflua era nota a tutti, non di meno a lui. E voltando lievemente il capo, si accorse della presenza di un Arrancar nei pressi delle scale.
Supponi bene, Szayel Aporro Grantz”
Non vi era sentimento alcuno da parte della Novena Espada, nel pronunciare il nome di un suo commilitone superiore a lui di un solo posto.
Ma lo sguardo dell'Octava Espada rimaneva severo e rigido, mentre con tono autoritario richiamava a se la femmina umana.
Che senza neppure pensarci due volte, abbandonò quella macabra visione ancora parzialmente sconvolta. E deglutendo porse un lieve inchino al tutore in segno di scuse.
Nessuna parola da parte del Grantz.
Ne verso la giovane femmina indisciplinata – cui cinse delicatamente le spalle con un braccio come ad invitarla a scendere – ne tanto meno al bibliotecario bizzarro. Che ricevette una semplice occhiata severa da parte dello scienziato mentre si allontanava con la sua pupilla.
Tuttavia Aaroniero conosceva bene quello che passava per la testa di Aporro, e sapeva bene che considerava una simile leggenda un mare di “spazzatura incoerente”.

Ma questo suo pensiero, invece di farlo imbestialire, non fece altro che farlo sorridere cupamente. Mentre deliziato tornava ad osservare la chicca della sua biblioteca.


Sembra che abbiamo fatto colpo, eh mia cara?”



Ritornata con il decimo capitolo! Persino più lungo del solito XD!
Comunque, il pezzo prima del titolo non è un testo di una canzone, ma un estratto da un libro.
Ossia il “Faust” di Goethe.
Dovete tra l'altro sapere, che Lilith, secondo le antiche leggende, sarebbe stata la prima moglie di Adamo. Che ripudiò il marito perché categoricamente si rifiutava di essere soggiogata a lui, rifugiandosi sulle rive del Mar Rosso dando origine ad una infinita stirpe di demoni, dopo essersi accoppiata con altrettante creature demoniache.
È anche rappresentata come il demone principale delle tempeste e dei venti. Seduttrice e divoratrice di uomini. Solo agli inizi del novecento è stata rivalutata e diventò, in seguito, l'icona femminista della donna indipendente.
Ringrazio vivamente Yoko_kun e raxilia_running per le loro recensioni e il loro appoggio ^^
Spero abbiate apprezzato anche questo capitolo!

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Capitolo 11
*** Argo dai cento occhi ***


La sabbia del deserto è fastidiosa.
Per favore, tienimi dentro la prossima volta!”

[Una strana nota presente sulla copertina del libro “Guerra e Pace”,
rinvenuto da Aaroniero Arruruerie sopra la propria scrivania.
Non è la grafia di Tesla]

Enjoy the Silence
Argo dai cento occhi



Zommari Leroux non era un individuo che amava parlare molto.

Preferiva starsene zitto, ed osservare il mondo che continuava a girargli intorno. E vedere come gli altri individui reagivano alle stimolazioni e ai discorsi.
In pratica, lo si poteva benissimo classificare come un buon osservatore.
Il miglior pregio di una creatura in vita, e arma vincente per coloro che in vita non sono più.
Aveva infatti, speso molti dei suoi anni di creatura rinnegata ad osservare il mondo che lo circondava.
Il volto delle persone che amò – e divorò – misto con la sabbia che andava dritta negli occhi, continuavano a perseguitarlo anche in quella nuova atroce esistenza. Arrivando a toccare a tratti il suo pensiero, senza però in apparenza scalfirlo.
Erano come un granello per ogni occhio che possedeva, e invece di perdere gradi, la sua vista aumentava.
Egli era come l'Argo dai cento occhi di cui leggeva le gesta descritte su di un antico libro ingiallito – che stava leggendo in quell'istante preciso – e per ogni occhio che possedeva, osservava attento il mondo che lo circondava.
Non vi era un suo solo occhio d'agata che non scrutasse attento ciò che accadeva nella grande sala, e benché stesse osservando una scena piuttosto interessante e chiassosa, il libro che aveva in mano era comunque osservato con attenzione. Anche se i suoi due freddi occhi non erano puntati su quelle pagine datate.
La leggenda dell'Argo dai cento occhi, creatura favorita dalla dea Era, si ripeteva per l'ennesima volta su quelle pagine che sapevano di antico.
Di lettere scritte in un stampatello così fitto, che non sembravano neppure leggibili.
Pagine che si muovevano da sole come mosse dalla gelida brezza creatasi tra le grandi colonne della biblioteca, sembravano non suscitare interesse in lui, il cui freddo sguardo era posato ben oltre quelle antiche parole.
Ma lui le leggeva tutte, così come leggeva le labbra e gesti di chi nella hall, stava profanando un luogo sacro. Incubadora dall'alto del suo antro, osservava anch'essa la misteriosa entrata in scena di chi, per un amaro scherzo del destino, portava con se il peso di numeri pesanti e bizzarri.
Il sei che se ne rimaneva ai piedi delle scale, guardava il sette con un certo rammarico, mentre a passi leggeri varcava la soglia dell'inferno.
Lui in tutte queste complicate letture, sapeva vedere una linea ben precisa.
Vedeva cose nello sguardo spaventato della femmina, che neppure l'egoista bibliotecario che ora l'affiancava sapeva vedere. Così attaccato agli oggetti materiali, da non comprendere l'importanza delle anime che tali cose possedevano.
Poi ancora, ai suoi occhi impassibili tocca decifrare una nuova visione.
Il sette teme la visione di chi è caduto, di chi si è autodistrutto nel tempo, il sei invece – raggiunta la creatura – reclama il suo ritorno di senno. Attendendo ai piedi del fiume rosso fatto di morbido velluto, che una fanciulla spaurita ritorni all'ovile.
È come essere ad un teatro dove gli attori, in abiti bianchi e semplici, mimano i gesti anziché descriverli. E invece di portare maschere finte fatte di porcellana, ne portano di vere e profonde.
Di quasi umane si poteva aggiungere.

Un rumore cupo di libri caduti tuttavia, lo portò a spostare gli occhi fissi sulla scena, di lato a dove il suono era stato prodotto.
Tanto che girò impercettibilmente il volto scuro verso sinistra, sapendo già che la fonte del suono proveniva dalle proprie spalle.
“Oops... Mi spiace”
Una voce sottile e androgina di fanciullo, lo raggiunse con riservatezza e rammarico per la propria sbadataggine. Mentre chinandosi a terra, raccoglieva i libri scivolati giù dallo scaffale che visionava con maldestra mano.
Hans era un ragazzino un po' distratto e sognatore, ma era la sua fidata Fracctiòn nonché l'unica che possedeva.
Anche se più che di padrone e servo, era lecito additarli come maestro e allievo.
Zommari non amava avere tra i piedi stupidi servitori, e quel ragazzino dai capelli cortissimi e avvolto in un largo poncho bianco, poneva più domande di quante se ne vedeva ricevere.
Dalle più profonde domande sull'animo umano, ai quesiti più semplici in assoluto, la Septima Espada rispondeva all'allievo con altrettante domande. Che avevano l'obbligo di farlo ragionare e aiutarlo a trovare la risposta da solo.
Proprio come lui aveva fatto per tutti quegli anni di noioso purgatorio.
Il fanciullo una volta raccattati e sistemati i volumi caduti, si scusò con il proprio sire inchinandosi profondamente dispiaciuto.
Scusandosi ancora per quell'interruzione involontaria di riflessioni, mormorando questa volta un rammaricato “Lord Zommari”.
Al sire tuttavia, le scuse non importavano affatto. Conscio ormai che aveva speso sin troppo tempo in quel tempio del sapere, era ormai giunto il momento di allontanarsi da li.
Ciò che aveva osservato con tanta analisi profonda e contorta, era ormai alle battute finali della sua pantomima.
Ora il sette e il sei, avvolti nei loro candidi abiti teatrali, si allontanavano guardinghi dalla figura spettrale incantatrice di falsi miti.
Un usurpatore che si beava di leggende infamanti verso chi ancora non aveva concluso la propria storia, spacciandole per cruda realtà. Creatura che non aveva ancora terminato il proprio circolo vitale.
Deciso infine ad allontanarsi da quel luogo, porse una sola domanda al proprio timido e fedele servo.
“Trovato nulla di interessante?”
Alla cupa domanda dell'Espada, la giovane Fracctiòn si irrigidì ulteriormente, estraendo dal largo poncho entrambe le mani, con l'intento di mostrare il piccolo libro che aveva deciso di prendere con se.
Se questo è un uomo.
Un libro di recente creazione, e non si trattava del commento sul libro stampato in se – prima copia del libro – ma degli avvenimenti storici che lo riguardavano.
“Sei sicuro?” Volle ancora sapere.
Conoscendo il fanciullo, doveva sospettare che non era una scelta banale quella che aveva effettuato. E questo lo constatò in un barlume di sicurezza nei suoi grandi occhi castani.
“Sicurissimo signore”
Osservò con sguardo di ghiaccio la timida determinazione del giovane, e si disse che anche per quel giorno, era arrivato il momento di porre fine all'ennesima dipartita dell'Argo infallibile.
Morto ormai per cento volte di seguito da tante che erano le volte che aveva letto di quel mito.
Un mostro maestoso che seppur morto, venne innalzato dalla dea Madre a sua fedele creatura simbolica.
E lui esattamente come quella creatura, di occhi ne possedeva tanti.
Molto bene, andiamocene via”

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

Assonnato da quella lunga giornata piena di imprevisti, Aporro Grantz riusciva a stento a tenere gli occhi aperti.
Nella pesante ombra della stanza della femmina, sbadigliava cavernosamente, ed era costretto a massaggiarsi gli occhi gonfi di continuo per cercare di mantenere la mente lucida.
Avevano fatto un bel tour lui e lei... Ma non avevano visto nulla del castello, da tanto che era ampio e pieno di sorprese.
È vero, la biblioteca era vasta, ed era tutta da esplorare, ma lo avrebbero fatto in un secondo tempo. Lo avrebbero fatto con calma.
Non che quella cretina si allontanasse da lui per capriccio, e si ritrovasse in mani meno raccomandabili.
Quasi sicuramente Aaroniero l'aveva spaventata raccontandogli la favola di quell'inutile creatura. E lei come una scema a caderci come una mosca nel miele!
Sbuffò seccato, e accavallò ancora una volta le gambe sullo scomodo scanno di pietra su cui sedeva.
Era assurda tutta questa situazione. Era assurdo che lui dovesse fare da balia ad una così. Era assurdo – ripeto – che si credesse a fantasie prive di fondamento concreto.
Era assurdo che Orihime, assomigliasse vagamente a Incubadora.

Ma se le somiglia tanto perchè gliene fai una colpa? Si chiamano coincidenze queste cose”

Una voce improvvisa in quella stanza buia e carica di silenzio, fece a momenti perdere la cartella di mano all'Octava Espada per la sorpresa provata.
Si ritrovò a sussultare, e per una frazione di secondo il suo pensiero andò alla spada nel fodero.
Poi si rilassò immediatamente, capendo che a parlare era stato quell'idiota di suo fratello.
Si rilassò visibilmente e le pupille ritornarono a dilatarsi nel buio della stanza, susseguite poi da un sospiro che pareva uno sbuffo seccato.
“Sei stanco mio caro fratello?”
Ilfort dalla porta di ingresso, contemplava le spalle dell'Espada – intento ad osservare il comodo divano in stoffa bianca che aveva dinnanzi – che parve come al solito indisposto ad accontentare le domande del fratello minore.
“Non sto neanche li a risponderti Ilfort. Mi seccherei inutilmente la gola”
Il dottore si sarebbe aspettato quantomeno una risata divertita e ingenua da parte del consanguineo, ma tale risata o tal risposta sprezzante non giunse alle sue orecchie stanche.
Ciò che giunse invece, furono i rumori di passi leggeri ma decisi, che si avvicinavano a lui piuttosto velocemente.
Szayel maledì quell'entrata in scena improvvisa, e roteò gli occhi per l'ennesima seccatura che doveva sopportare. Rivolgendogli una mera occhiata di scorcio quando se lo trovò di lato.
Era seccante anche solo dover alzare lo sguardo per potergli vedere... La faccia coperta da una mano?
Il dottore battè le palpebre perplesso vedendo come il fratello si tenesse il lato destro del volto, impedendogli così di vedergli il viso.
Quello tuttavia, ignorò l'occhiata indagatrice dell'Octava Espada continuando a fissare il candido giacilo improvvisato, e l'ospite che comodamente intratteneva.
“Sta dormendo vero?”
La femmina dopo quel tour stressante, aveva espresso la volontà di mettersi a stendere per rilassarsi un po' gli occhi. E Aporro dato che ancora non aveva ancora finito il tempo a disposizione per starle dietro – rigido come il ghiaccio di fronte alle proprie tappe – decise di rimanere anche lui in attesa che passasse anche l'ultima ora. Prima di ritirarsi nel laboratorio a compilare il rapporto.
“Si... sta dormendo, abbassa la voce! E poi... Ehi! Dammi retta! Che hai fatto alla faccia?”
Non ottenne immediata risposta, ma vide come le dita della sua mano, vibrarono lievemente sulla fronte, come profondamente innervosito da ciò che gli era successo.
“Che carina... Sembra più serena così addormentata”
“Ilfort... Vuoi rispondermi o no?!”
Un gelo improvviso riempì la stanza e il suo immediato silenzio dopo le parole dell'Espada. Dopo che la sua lingua – spesso lasciva – aveva articolato quelle dure frasi bisbigliate ad un parente fin troppo distante.
Ci impiegò trenta secondi esatti Ilfort, a rispondere ad un fratello il cui pensiero sempre più nervoso, stava correndo velocemente alla spada.
A costo di vedere quella faccia – oh si – avrebbe amputato quella mano incollata al viso.
“Una caccia andata un po' male fratello... Ho un graffio ancora fresco sulla guancia destra, e non voglio che tu lo veda”
Sennò magari ti avrei rimproverato, pensò bene o male Szayel.
Di certo comunque, doveva essere stato un incidente che aveva nel profondo ferito il suo lato narcisista, e per questo doveva avere i nervi a fior di pelle.
Ma quello non era ne il luogo, ne il posto giusto per iniziare a fare frecciatine, quindi era il caso che se ne andasse.
“Senti Ilfort... – Aporro sbuffò per l'ennesima volta spazientito prima di parlare ancora – se hai quel graffio allora vai in infermeria a fartelo curare! A meno che tu non debba dirmi qualcosa di importante. Il che lo dubito”
Il suo tono era velenoso anche a causa di una spossante stanchezza, doveva stendere il rapporto e poi consegnarlo ad Aizen sama. E come riposo aveva giusto qualche ora.
Decisamente troppo poco anche per uno scienziato del suo calibro.
Pertanto, intuendo che effettivamente il fratello era giunto li per dare noie – magari per molestare un po' entrambi – sospirando sincero Ilfort si allontanò da li.
Allontanandosi a passi più lenti verso l'uscita della stanza, senza essere seguito dallo sguardo stanco e acido del fratello minore.
Purtroppo per Aporro, il suo consanguineo si lasciò scappare un commento proprio sull'uscio della porta, esattamente poco prima di sparire sfruttando il sonido.
“Ah... Comunque se hai intenzione di portarla fuori domani, evita di allontanarti troppo. Gli Hollow negli ultimi tempi, sono decisamente in fermento”
Poi si chiuse le porte alle spalle quasi con malinconia.
Le chiuse, senza tenere conto della mezza protesta dell'Espada che non fece neppure in tempo di dirgli “fermati”. Perchè le sue parole furono sin da subito poco chiare e sibilline.
Ritrovandosi quindi a digrignare i denti dal nervoso e tornare a fissare la bella addormentata che, ignara di tutto, continuava a dormire beata sognando di essere libera.



Come faceva a sapere quel cretino, che l'indomani l'avrebbe portata fuori?



Dopo tanto ritorno con l'undicesimo capitolo.
È stata dura a causa di Zommari che trovo assai difficile da gestire.
Ingiustamente bistrattato dal fandom, e poco considerato perchè “poco ffaigo” come direbbero alcune.
La frase prima del titolo non è una citazione, quindi non devo lasciare crediti. La fracctiòn che si vede con Zommari invece, è un mio personaggio originale. Niente di più, niente di meno.
Via con lo spazio recensioni!

raxilia_running: Carissima! Sai che mi fa sempre piacere ricevere le tue recensioni. Sempre così dettagliate che è un piacere leggerle. Ci hai preso con la fonte del dipinto. È un misto tra gli impressionisti, le vergini pre-raffaelite e anche art neavu. E pensa che la base per la posa di Incubadora, era di una fanart di Orihime decisamente inquietante...

Senboo: non mi aspettavo che la mia storia ti avesse coinvolto in tal modo, ma non sei l'unica a cui piacciono i libri come filo conduttore (e nel mio caso, amo anche le opere artistiche come filo conduttore)! Felicissima di averti fatto rivalutare Nnoitra, un personaggio che a mio avviso è maltratto e trattato superficialmente, proprio come Aporro e Aaroniero (che come avrai notato NON sopporto con la faccia di Kaien). Poi si, sono sicura che tanto bestie gli arrancar non lo sono. E per tale motivo ho creato loro una cultura un po' plausibile.

Yoko_kun: ancora una volta grazie ^^, sono contenta che la storia ti coinvolga così. Per le recensioni purtroppo c'è poco da fare XD. Ma mi accontento delle vostre, che sono intelligenti e non mi fanno venire i brividi ù_ù

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Capitolo 12
*** Nel budello della storia ***


Dalla messa primordiale
Lascia che il caos prezioso si sfoghi
La carne sacra immersa nella fornicazione
Amata da Set
Possano i venti raccoglierla insieme
Dai segreti degli uomini
Dopo migliaia di anni di terrificante silenzio
Lei arriva di nuovo

[Una antica profezia pagana sul presunto ritorno in terra di Ershigal.
Nient'altro che una leggenda trascritta su carta]

Enjoy the Silence
Nel budello della storia



Gli uomini valorosi non combattono per loro stessi.

Essi scolpiscono nelle loro anime il nome della lealtà, e si spingono fino nelle viscere della terra in cerca di vera fede.
Occhi divini, e cuori di pietra, che in nome del vero credo avanzo nel budello di metallo degli inferi, in cerca di tesoro nero e leggiadro.
Dolci farfalle di anima cupa, nascevano – scherzo del destino – in fondo all'abisso delle anime reiette.
Putride creature portate all'inferno per espiare le loro pene, a cui loro – saggi Shinigami – dovevano guardarsi dal disturbare inavvertitamente.
I neri soldati, avanzavano nella ruggine e nel sudiciume di una passerella larga due piedi, tenendo solide nelle loro mani di ferma tenuta, le casse per la raccolta delle creature tanto care a loro.
Recipienti in vimini intrecciato, di raffinati gambi di grano proveniente dall'est del Rokungai rozzo e contadino. Il capitano che giungeva dal Seritei e gloriosa guida dell'undicesima divisone – prode guerriero di primo sangue – guidava i suoi uomini alla cattura dei fragili messaggeri, affinché...

Saltò velocemente un paio di pagine, interrompendo improvvisamente la lettura e con essa anche una noia evidente.
Quel libro Kaname Tousen lo aveva sempre odiato, troppo pomposo e troppo complicato nella lettura. E la versione che stava leggendo ora in biblioteca, era la più semplice e riadattata che esistesse.
Le sue dita scorrevano sui solchi incisi nella carta pergamena di ogni pagina, decifrando così il codice braille e scoprendo ogni frase e lettere che ne arricchiva il contenuto.
Ciò che gli interessava non era nella descrizione dei cunicoli infernali in cui i soldati camminavano.
Delle grate metalliche che sotto i loro passi cigolavano paurosamente, e di come sotto di esse ci fosse il prodotto di scarto della lavorazione dei dannati.
Oscuri umori pergolati dalle pareti lisce e inclinate, che finivano poi dritti sotto quei corridoi infiniti e corrotti.
Si, conosceva già quella parte. Forse il viaggio agli inferi per rifornirsi di farfalle infernali, era il pezzo più interessante di tutta quell'epopea lagnosa e paradossale.
Nonché l'unica che rispecchiasse la realtà delle cose.
Quello che leggeva alla fine, era un piccolo pezzo di storia della Soul Society. Di come da secoli – se non da sempre – quelli dell'undicesima e tredicesima divisione, in drappelli di otto soldati e due luogotenenti (o in questo caso addirittura un capitano), si apprestavano ogni anno ad addentrarsi nel regno oscuro e raccogliere i suoi strani frutti.
Cosa strana era che leggiadre bestiole venissero da un ventre ignobile.
Un patto tra inferno e paradiso, ed uno dei pochi che quei bifolchi rispettavano. Nella quasi eterna caccia agli Hollow, spesso gli Akuma se ne guardavano altamente di contribuire alla cattura. Limitandosi ad aspettare che altri facessero quel lavoro sporco, ben indaffarati a pensare alle anime che giungevano nei budelli infernali per dar retta all'arroganza dei celestiali soldati.
Arroganza contro arroganza, in un unico sentimento umano che accomunava le due fazioni.
Sfogliò ancora quelle vecchie pagine che sembravano essere state realizzate solo per lui, e dopo poco trovò il pezzo che gli interessava.
La scena della “sala del Buddha felice”, che era forse il vademecum più ricco e soddisfacente – ma non totalitario – sull'inferno e sugli abitanti di quel regno.

E giunsero infine nel regno del Buddha felice.
Tosto il luogotenente accanto al suo capitano, decretò come quel luogo fosse blasfemo e tutt'altro che felice.
Di gioia non ve ne era alcuna, non vi erano fanciulle pronte ad accoglierli con ghirlande di rose e di grano intrecciato. Neppure musici che intonassero loro qualche motivetto allegro.
Vi era quiete serena in un ambiente che riecheggiava di un suono graffiato.

Tousen ad una rapida conclusione tratta dal codice, trasse tutta la descrizione del luogo in quella noiosa trasposizione su carta.
Gli Shinigami giunsero infine, dopo aver risalito scale infinite e corridoi purulenti, nell'unico ambiente a loro consentito di raggiungere di tutto l'inferno.
Oltre le titaniche porte raffiguranti un ancestrale demone infernale, oltre ai loro sguardi ormai sfiniti, si aprì un luogo totalmente diverso da come se lo aspettavano. Almeno per quanto riguardava chi era nuovo di quei viaggi, il capitano dell'undicesima, era già stato in quei luoghi.
La sala era di proporzioni titaniche. Di pianta circolare, era ricavata dalla roccia scolpita in modo fine ed elaborato.
L'ampio tetto a cupola, finiva con un foro circolare enorme. Grande quanto quello presente a terra, da cui filtrava una timida luce lunare che donava serenità in quel luogo che sapeva di... Sogno nostalgico e nebbioso, se si prendeva la descrizione letterale del testo.
Una sala che somigliava molto al Pantheon per quanto riguardava la sua struttura architettonica, eccezion fatta per quel medesimo foro circolare intagliato nella pietra, da cui proveniva un olezzo nauseabondo e raccapricciante.
Era come se tutti gli umori e le interiora presenti sotto forma di fluido nero nei corridoi, fosse giunto fino a li grazie ad un sistema di irrigazione scavato direttamente nella roccia.
Come tante ramificazioni di vasi sanguigni, i piccoli canali di scolo solcavano quel pavimento fino a riversare i loro contenuti innominabili nel grande calderone oscuro.
Il cui fondo era ignoto, e l'oscurità era prospera.
L'ambiente, oltre ad essere saturo del puzzo di interiora e sangue, echeggiava di una musica malinconica proveniente da un grammofono posto sul ciglio del calderone, assieme ad una discreta catasta di vecchi dischi in vinile.
Tousen lesse attentamente ogni complicata parola incisa nella carta, e dedusse cosa potesse essere tale musica.
Era il suono di una tromba malinconica quello, un po' sgraziata dal tempo, ma che dava uno strano fascino a quella sala che di eretico possedeva il nome e tutto l'ambiente.
All'ex capitano della Soul Society, sinceramente gli andava poco di complicarsi la vita con quelle difficili descrizioni. Per questo preferiva semplificarsi la vita con quelle semplicistiche traduzioni.

Pertanto, preferì descrivere quell'ambiente con parole proprie, deducendo che in quell'ambiente, vi fossero particolari quasi fuori luogo per l'epoca in cui era stata trascritta l'opera.
Oppure l'autore aveva uno stile troppo ricercato.
Oltre al grande pozzo centrale, l'autore si perdeva in descrizioni minuziose e complesse per quanto riguardava la statua del Buddha felice, che dava il nome a tutta la sala.
L'altare era qualcosa di innominabile. La pietra era distrutta e della struttura originaria si vedeva ben poco.
Molti detriti di grigia pietra erano rovinati a terra come se a spaccarli fosse stato il pugno di un gigante.
In realtà, era più la statua del Buddha stesso ad essere stata scagliata a forte velocità verso quell'altare di pietra.
Essa infatti, come lanciata giù dalla collera di Dio, accoglieva i nuovi venuti a testa in giù, mentre le gambe rimanevano incrociate in grembo e le mani giunte a benedizione.
Della testa nessun segno, se non qualche scheggia a terra recanti una sua espressione beata.
Incastrato tra quelle rovine che lo bloccavano in una stretta morsa, la sua illuminazione si rispecchiava in quei tenui raggi lunari.
E nel leggiadro danzar delle falene che ignoravano la spudoratezza di tanta cattiveria.
Senza ombra di dubbio, era una immagine forte, che andava a sbattere con il fetore delle interiore umane che scivolavano giù nel fosso.
Nella danza delle farfalle silenziose.
E in quella musica triste e malinconica che sembrava voler consolare il divino illuminato.

Era uno spettacolo decisamente surreale quello che le due divisioni dovevano per forza di cosa assistere.
Una grande sala ampia quanto due campi da calcio, il cui suono prodotto si disperdeva come un sottile eco – quasi attutito – dove nonostante la musica malinconica e un po' graffiata, si poteva fantasticamente sentire lo svolazzare delle nere falene. Un qualcosa che gli Shinigami si ritrovarono sgomenti e al contempo incantati.
Tranne il capitano dell'undicesima, che tosto si avviò verso due individui seduti ai piedi della fossa.
Oltre alla catasta di vinili e al grammofono arrugginito, vi erano due creature dall'esile aspetto e con indosso abiti di pelle scura.

Larghi camici da macellai, erano fatti di spesso cuoio come il camice di un fabbro. Così come i guanti e gli stivali militari. In aggiunta ai loro volti mascherati di maschere oscure e inquietanti.
Fori circolari di rosso riflesso, guardavano senza reale interesse i prodi guerrieri. Ben intenti a a bighellonare, e posandosi mani sulle nude spalle – di carne pallida e di orride cicatrici – in segno di conforto.

I due individui Tousen aveva ben capito chi fossero.
Erano paria degli inferi, e quelle che indossavano sui volti erano maschere antigas. Questo per proteggersi dai letali fetori che emanavano i dannati, e dagli acidi infernali. Stessa funzione avevano i camici di pelle e tutti gli altri accessori. Ove la pelle era esposta, spesso si potevano scorgere cicatrici causate da ustioni da acidi e ferite causate durante le colluttazioni.

E il capitano dell'undicesima disse:
Chi siete voi anime dannate? Mostri su cui le nostre spade cozzeranno forse?”
Spada alla mano, il prode guerriero mostrò loro lo scintillare della sua lama, posta sotto i raggi lunari e di poco fuori dalla federa.
I mostri non si scomposero, continuando ad armeggiare quei vecchi arnesi.
Disse quindi, il mostro che consolava il compagno avvilito:

Non temete mio signore. Qui di mostri c'è solo l'olezzo delle budella. Siamo umili paria che vagano per i regni degli inferi. Anime senza peccato che servono i giudici infernali nei loro compiti infami”
E il capitano – sgomento a quelle parole gracchiate – disse al mostro:

Anime senza peccato?! Questo non è possibile. Se voi siete stati portati nei regni dei cieli allora dovreste ben conoscere che li il peccato è solo una burla. Voi quindi avete raggiunto questi lidi per aver peccato in paradiso?”
Non ricevette risposta dal cane infedele, che portando una mano sulla nuda schiena del compagno, lo rassicurò di docili pacche all'altezza delle reni. Che preda di forti singhiozzi, rimaneva con le ginocchia conserte al petto.
Disse quindi il prode Shinigami:

Cosa tormenta il tuo compagno, da non prestare orecchio al tuo signore?”
Disse quindi il servo:

Ah mio signore, la vita di un paria non è cosa semplice.
Dite voi, che il peccato è una burla nel paradiso. Ma io questo paradiso non l'ho mai visto, mai misi piede perchè mai venni censito.
Qui il mio compagno che piange la morte di un suo amico, causata da uno dei vostri Akuma, lui si ha visto il paradiso! Ha visto campi di grano dorato, cieli sconfinati, cervi massacrati da cani.
Ha visto, e per questo è stato bandito! Noi tutti siamo scappati, e siamo stati accolti dal grembo materno dell'inferno. Ma siamo reietti in una terra che ci è aliena.
Rapiamo i perduti nel regno della Nebbia.
Squartiamo i dannati in nome della giustizia. Li tramutiamo in mostri e ci divertiamo a farli soffrire.
Suoniamo infine, per il loro ultimo stadio evolutivo. Di violini e trombe ci armiamo, e cantiamo per loro affinchè non sentano il tormento, e ci lascino in pace.
Ah mio signore! Non è cosa buona incontrare un demone per di qua. Essi hanno aspetto umano a differenza di quando erano dannati e mutilati, simili al loro primordiale stato di perduti, e di empio piacere traggono nell'ingannare il prossimo.”

Quell'assurdo omino – come gli avevano insegnato in accademia – doveva essere quasi alla stregua di un folle.
Ma Tousen era attento, e sapeva di cosa stava parlando.
Il fatto che alcune anime non venissero censite – e quindi senza la possibilità di entrare nella Soul Society – c'era eccome. Questo accadeva per intoppi burocratici e per mala gestione, e quindi molte anime di innocenti poi si riversavano negli inferi, finendo a svolgere lavori umilianti e pericolosi.
Poi c'era chi, come l'altra figura piangente, nel paradiso c'era stato, ma poi era dovuto fuggire perchè perseguitato dalla legge.
In compenso, in quella discussione era descritta la casta evolutiva dei demoni – o Akuma – che si evolvevano secondo i capricci degli otto giudici presenti negli altrettanti otto regni infernali. Tutti divisi in livelli. Tutti che scendono verso “il basso” e con la possibilità di non vedere mai più la luce del sole.
Il fatto che l'anima di un peccatore raggiungesse il primo livello, non implica la sua immediata trattazione da parte dei giudici.

Il regno della Nebbia sarebbe quello più simile ad un mondo normale, ed è il luogo in cui arrivano i peccatori privati della memoria. E il perchè la perdessero era presto detto.
Il loro compito – se così si può definire un tormento – è riacquistarla con dolorose esperienze, un pezzo alla volta fino a capire il perchè si è giunti sin li.
E solo a quel punto della punizione divina i paria giungono per prelevare i peccatori, e portarli più in basso.
Poi la conoscenza di Tousen si ferma li. Ma sa – almeno testuale leggenda – che vengono letteralmente fatti a pezzi ed ogni supplizio reincarna il loro peccato e tormento.
Divenendo come mostri di aspetto orrido e di disperata esistenza.
Tutto il resto appunto è sola leggenda, per quanto riguardano gli abitanti degli inferi e i loro poteri. Solo leggende trascritte su carta e mai confermate. Come antiche profezie, il cui valore si disperde nelle sabbie del tempo.

E lo Shinigami disse al mostro:
Non temo ne morte, ne tormento. Affronterò quei demoni quanto è vero che questa mia spada è viva e pulsante di petto e coraggio”
E il mostro disse al celeste soldato:

Oh mio signore, è si vero che i vostri Akuma non hanno spade, ma è altre sì vero che possiedono un corpo e sanno usarlo assai bene.
Hanno solo quello, e una volta evoluti alla forma finale sfoggiano tecniche degne di un vostro capitano!
Se poi ne riuscite a far soccombere qualcuno, ben venga allora, ma quelli hanno scorza dura peggio di un'armatura di cuoio. Quelli crepano come uomini, e risorgono come fenici.
Datemi retta, che vederne uno bruciare e poi tornare – dopo sofferenza su sofferenza – di nuovo nei suoi regni, è cosa aberrante assai”

Questa sembrava essere pura fantasia. Ma era pur vero che i demoni mandavano in avanscoperta i loro servi, anziché presentarsi loro a svolgere determinate azioni. E spesso si rivelavano inaffidabili nei loro vaneggiamenti.
Decisamente, in molto impazzivano, oppure si adeguavano.
Oppure ancora meglio, lasciavano che fossero gli Shinigami a svolgere i lavori più sporchi.
Oltre queste mere leggende, per quanto affascinanti fossero, erano troppo favoleggiate per essere ritenute vere. Di conseguenza, si potevano solo fare ipotesi per risolvere il suo dubbio ancestrale – che lo aveva spinto ad andare a compiere ricerche in biblioteca – e sperare che il seguito della lettura mostrasse più segni plausibili e convincenti.

Uhm, Tousen? Che cosa stai facendo di bello?”
Normalmente, chiunque avrebbe sussultato per una voce improvvisa che sopraggiungeva alle proprie spalle. Se poi era così melliflua da mettere sull'allerta, c'era anche da prendere spada alla mano.
Cosa che lui non fece in nessun modo, dato che ben conosceva il suo misterioso interlocutore, e per giunta lo aveva già sentito arrivare dal portone di entrata. Gin Ichimaru, era tutto questo e anche oltre.
“Ti muovi con l'eleganza di un elefante in un negozio di cristalli, Gin...”
L'altro rise divertito prima di avvicinarsi ancora un po', ed osservare cosa stesse combinando il compagno d'armi.
“Davvero? Beh, sembra proprio che nessuno possa coglierti alla sprovvista mio buon Tousen! e... Ehi! Che cosa stai leggendo?”
Incuriosito, l'ex capitano allungò il collo e la vista oltre le spalle del compagno seduto, per vedere solo un ammasso di fogli ingialliti e bucherellati. Quasi deluso per la scoperta del codice braille, emise dalle labbra un suono leggermente corrucciato, prima di attendere che lo stesso Tousen si alzasse in piedi, per dare una occhiata lui stesso a quegli antichi scritti.
Kaname sembrava quasi infastidito dalla presenza di Ichimaru. Che tosto si alzò dal tavolo di lettura, quasi irritato dall'essere stato pizzicato a leggere quelle antiche scritture che parlavano di...
“...L'epopea di Ichigo Kurosaki? Ma dai! Perchè ti sei messo a leggere questo vecchio mattone?”
Il suo tono di voce era tra il sorpreso quanto derisorio, e nonostante la domanda fatta, sapeva bene cosa stesse ricercando il buon compagno.
“Non mi dire... Sei andato a guardarti questa roba per...”
“Tutto è possibile, e la prudenza non è mai troppa Gin. Dovresti ben saperlo”
Le parole di Tousen bloccarono nell'immediato quelle strafottenti dello Shinigami, ed un intenso e teso minuto di silenzio calò in quel bianco immacolato. Solo la polvere danzava innocua, e le orecchie quasi fischiavano per quel silenzio così dannatamente pesante.
“Sei davvero convinto che ci sia qualcuno qui?”
La voce di Gin – che sembrò come una fiamma in mezzo alla quiete del ghiaccio – era misteriosamente tranquilla, benché il suo sorriso non sminuisse dal suo volto magro e ovale. Androgino e perfetto.
Ed era oltremodo strano come la sua domanda non si disperdesse in un eco in mezzo a quell'ambiente enorme.
“Sono semplicemente sicuro che la prudenza non è mai troppa. E di questo lo sai alla perfezione”
Così come ben sai che non amo ripetermi, avrebbe volentieri aggiunto.
Ma rimase zitto, ben consapevole che lui avrebbe anche aggiunto che tutti i disordini avvenuti sino ad ora, potrebbero anche essere stati semplici – anzi senza potrebbero, lo sono – atti di comune vandalismo.
Tuttavia, persino Gin avvolto dal suo candido abito di tessuto sintetico, si ritrovò a parlare di altro che non fosse quella discussione che da un po' li “divideva” in fatto di opinioni.
Sollevò lo spesso tomo verso il proprio volto, e ridendo sottile e perfido ne uscì con una battuta non tanto insolita.
“Ichigo Kurosaki... che bizzarria chiamare con questo nome il proprio figlio. Non credi pure tu, Tousen?”
Un piccolo dettaglio che allo Shinigami dalla pelle scura non era comunque passato in osservato. Ma che detta dallo stesso Ichimaru, aveva parvenza di cosa ridicola alquanto.
Forse era una cosa stupida, o forse era una cosa totalmente antiquata nel commemorare un eroe immaginario, ma questo non toglieva, che era l'ultimo dei loro problemi.


“Le motivazioni di un padre non vanno mai giudicate, Gin...”



Ci ho messo un bel po' ma alla fine ho ultimato questo capitolo. Che a mio avviso è piuttosto noiosetto.
Tuttavia si parla ancora una volta di libri, e proprio per questo ho voluto dare agli Shinigami un mattone che somigliasse – in quanto a contenuti – all'Iliade o all'Odissea.
Il fatto che l'eroe di questa opera si chiami niente meno che come il protagonista del manga, consideratelo quasi un omaggio oppure uno “scherzo”.
C'è chi mi ha chiesto qual è il significato di tutta questa storia, beh posso dire che essendo una nosense, è più incentrata sui pensieri, ma se si può dare un tema principale, è il significato di Dio visto attraverso gli occhi di Arrancar e Shinigami.
Ringrazio tantissimo Exodus, raxilia_running, Yoko_kun, Senboo, JunJun e Sakura Sun per avermi commentato!
Ps: la lirica prima del testo, è The Principle Of Evil Made Flesh Ershigal dei Cradle of filth
Ershigal per chi non lo sapesse, è la dea sumera dell'oltretomba. Regina degli inferi, rappresenta la rabbia primordiale e l'assoluta distruzione. Tuttavia non si tratta di rabbia cieca, ma bensì ben calcolata e lucida. Rappresenta la certezza della morte, l'abisso, e la rinascita.
È il lato oscuro della luna, sorella di Inanna dea della terra e del lato luminoso della luna. Entrambe sono collegate ai cicli vitali della natura.

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Capitolo 13
*** Profumo ***


Lui dà le carte come una meditazione
E quelle che gioca non sospettano mai
Che non gioca per vincere soldi
Che non gioca per il rispetto
usa le carte per trovare la risposta
la geometria sacra del destino
la legge nascosta del possibile risultato
i numeri che conducono la danza

[Parole dette da qualcuno vicino a Sosuke Aizen. Sempre e comunque nell'Hueco Mundo]


Enjoy the Silence
Profumo


L'Octava Espada quella mattina era stato ben chiaro.

Sarebbero usciti anche all'esterno del palazzo, e per tale motivo doveva darsi una sistemata.
Per questo la condusse agli scarni bagni visitati il giorno prima, ordinandole con falso tono gentile di farsi una doccia.
In effetti, Orihime stessa desiderava quanto prima di fare un bel bagno caldo, o in consolazione una doccia rinfrescante. Sentiva i capelli ormai sporchi, e nel bagno della sua camera erano presenti solo servizi igenici essenziali. Non una vasca in cui immergersi, e neppure una cabina, e di detergenti per il corpo neanche l'ombra.
Non che nella grande stanza quadrata, bianca e fredda, ci fosse qualcosa di così raffinato come sali da bagno o profumi costosi. Anzi, da una mensola poco distante dall'entrata, c'erano solo dei barattoli di – presumibilmente – sapone liquido che sapeva di disinfettante. Solo uno sapeva di viole, e doveva essere un prodotto proveniente dal mondo mortale. Cioè il suo.
Il flacone recava scritte in una lingua a lei sconosciuta – forse era greco per quanto ne sapesse – e sembrava essere stato messo li unicamente per lei. L'unica parola che comprese, fu l'internazionale “shampoo”, con tutta probabilità messo li per lei.
E probabilmente i disinfettanti, servivano per lavarsi di dosso il sangue e le ferite delle battaglie.
Sospirando, la giovane fanciulla decise di obbedire a quei nuovi ordini, e di farsi una doccia rinfrescante.
Si avvicinò ad uno dei tubi flessibili in acciaio, e ci portò vicino uno di quei bassi sgabelli di legno da bagno.
Poi si avvicinò ad un ripiano – grande quanto un tavolo – posto nei paraggi, e li iniziò a spogliarsi. Posando parte dopo parte, tutte le componenti della sua divisa di Arrancar.
Gli stivali sotto il ripiano, e l'intimo ben ripiegato in un angolo della lucida superficie di marmo.
Infine, nuda come un verme, cercando di “proteggersi” da quel freddo pungente presente nel locale, raccolse le braccia attorno al petto e si portò nella posizione scelta.

Ma non fece in tempo a sedersi, non fece in tempo neppure ad aprire uno dei rubinetti cromati, che un brivido freddo le attraversò la schiena.
E ancor prima delle parole, uno sguardo che dire insidioso era poco, sicuramente le osservava il profilo delle spalle e delle gambe.
Per un istante, l'istinto di Orihime le fece bloccare il respiro in corpo, e le disse a gran voce – quasi urlando nel suo cervello – di voltarsi verso la porta e di scappare quanto più velocemente possibile le gambe glielo permettessero.
Vattene, vattene, vattene!
Come in un incubo si ritrovò a deglutire, sperando per davvero di essere preda di una semplice paranoia, anziché di un dubbio concreto.
Vana speranza era quella. Due occhi d'ambra avevano sostituito lo scenario desolante, una volta che girò capo e corpo verso chi li dentro non doveva stare.
Nuda e inerme si sentì improvvisamente ancor più piccola, verso chi la squadrava con naturale malizia, senza tener conto dell'ordine che lei gli aveva imposto.
Perchè lei gli aveva detto giustamente – come nella migliore educazione di civiltà – che doveva attendere fuori i suoi comodi. Che poteva stare dietro la porta di bronzo anche per delle ore, se questo l'avesse lasciata respirare un po'.
Invece Aporro Grantz, volontariamente sordo a quella richiesta piccata, se ne rimaneva con le braccia dietro la schiena con sguardo così ovvio, che assolutamente non si poteva descrivere.
Vattene, vattene, esci di li!
“Mmma... – allungò la consonante in evidente stato d'allarme – ...che ci fa lei qui?!”
facile che la voce le tremasse in quel momento, facile impazzire e non saper descrivere tutto quello che correva in testa.
Ancor più grottesca era quella scena, con la presenza di Fracctiòn dall'aspetto così goffo e inumano, da sembrare due palle gonfiabili accostate ad un rigido pilone bianco. Munite di braccia e gambe sottili come giunchi, tanto alieni che persino gli occhi simili a bottoni, li mostravano assolutamente inquietanti anziché buffi.
L'Octava Espada le aveva accennato che possedeva dei servitori, ma non si sarebbe mai aspettata qualcosa di così... Grottesco.
Che aggiungeva ancor più tensione alla situazione, e la incitava ad urlare nonostante si ritrovasse con la gola perfettamente secca.
Ma tornando alla domanda fatta – che costò ad Inoue uno sforzo grandissimo – lo scienziato si ritrovò ancora una volta a sorridere astuto, e a risponderle con apparente ironia.
“Mi sembra ovvio... Non dobbiamo lavarci i capelli?”

[…]

Mai come in quel giorno, Orihime desiderò scappare da quel posto e e nascondersi in un angolo remoto della terra.
Mai come quel giorno, arrivò quasi a rimpiangere la decisione presa di andar li, con la scusa di proteggere chi le era caro.
Mai come quel giorno.
Sentire quelle fredde dita accarezzarle la cute e i capelli, insaponarle piano i fili ramati della sua capigliatura, le dava il disgusto e una forte disperazione di mettersi a piangere con forza.
Vattene, vattene via, mostro!
Con occhi gonfi di lacrima amara, e labbra in procinto di schiudersi ed urlargli addosso le peggio cose, la giovane donna si limitava a guardare il pavimento piastrellato colmo di bianca schiuma di sapone dall'intenso profumo di viole, e cercare di restare calma. Invidiando l'acqua che scorreva via verso il tombino di scarico, sognando di sfuggire via a quelle carezze e di scorrere nelle fogne sudice.
Dalla sua gola fuoriuscivano solo mugugni strozzati mentre le dita delle mani, si conficcavano con forza nella pelle delle spalle, come intenzionata a proteggersi da chi non le stava facendo nessun male, se non a livello psicologico.
A tratti lanciava occhiate laterali alle due goffe creature dello scienziato, che ignorando lei e quello che stava combinando quel suo aguzzino, continuavano a giocare con i suoi vestiti mettendoglieli in disordine totale. Ma quello era decisamente il lato minore della tensione che stava vivendo.
“M-ma c'era per forza bisogno...?” riuscì quasi a piangere alla fine.
“Assolutamente si, dato che non avresti svolto un buon lavoro” replicò l'altro piccato e stizzito.
Mentre con il dorso della mano destra, sgombro del solito guanto e di schiuma, si risistemò gli occhiali sul naso in un gesto automatico.
Massaggiò con decisione la cute sotto la nuca, provocandole del solletico non desiderato, che ella smorzò con fatica data l'isteria crescente.
Stringendosi ancora di più n quel rigido abbraccio, trattenuto a stento da un sottile vibrare che potevano essere brividi quanto la viscerale paura. Una paura che non riusciva a tenerla perfettamente ferma sullo sgabello.
Ovviamente, il sorriso di lui tradiva un certo dispetto. Oltre che una sana dose di precisione, che lo avevano spinto a violare la sua intimità occupandosi persino di faccende come quelle.
Perchè lui all'ordine ci teneva, e voleva che quei lunghi capelli della femmina, rimanessero setosi e lucenti anche nei prossimi giorni.
Nelle sue mani si plasmavano come creta, e scivolavano via come anguille da tanto che erano colmi di sapone profumato. Ed era intenso quel profumo, che misto alla paura della femmina, raggiungeva qualcosa di sublime.
Sublime perfezione, pari solo alla fastidiosa tentazione che ancora una volta si insinuava nella sua testa. Avente ancora una volta la voce di suo fratello.
Seccante come dettaglio, ma vero e limpido quando parlava, tanto bastava a fargli mordere il labbro inferiore mentre gli occhi – sempre e comunque – erano concentrati a lavare e detergere.
Vero come le mani che toccavano e volevano toccare. Ancora e ancora, desiderose di proseguire oltre quel tappeto ramato e toccare le spalle bagnate di tiepida acqua e soffice schiuma.
Vero come la vista che si allungava, si districava con le sue iridi d'ambra, e scivolava giù per quella bianca schiena, seguendo il lento scivolar della schiuma per tutta la linea della schiena.
E perdersi in torbide fantasie quando la linea delle vertebre finiva, stemperando inconsciamente quel pensiero passandosi la lingua sulle labbra.
Troppo, davvero troppo facile con lei bloccata dal terrore.
Odiato d'un fratello, ma decisamente cristallino nei suoi pensieri ad alta voce.
“Si... bene... – tossicchiò per stemperare il silenzioso imbarazzo calato tra loro prima di continuare – ...direi che ci siamo trattenuti fin troppo a lungo, non credi Inoue?”
Parlò così mentre toglieva le nude braccia da quei capelli ormai lavati del loro sporco, prendendo da terra il tubo flessibile e riempiendo d'acqua un secchio d'acciaio posto ai suoi piedi.
A quelle parole la femmina umana parve allarmarsi un poco, e voltandosi per vedere cosa stesse facendo riuscì a mormorare solo una domanda di sorpresa, che una immediata secchiata d'acqua tiepida le arrivò in faccia cogliendola impreparata.
Facendola tremare dallo spavento, e lanciare l'unico grido terrorizzato che era comunque nulla in confronto a ciò che aveva dentro.
“Il bagno è finito Inoue, ora rivestiamoci”

[…]

Ora che era tutto finito, si doveva unicamente concentrare su altro.
Ed era quello che Orihime cercava di fare, mentre camminavano per quella lunga e gigantesca navata, che altro non era che l'ennesimo corridoio che però, portava in un luogo speciale.
Ora che si era rivestita ed era perfettamente asciugata, sentiva sempre più la tentazione di picchiare chi le stava accanto con aria indifferente e ambigua.
Se non poteva essere lontano chilometri da lui, che quantomeno avesse la possibilità di menarlo per ciò che aveva fatto. Ma neppure quello era acconsentito, e ormai la donna stava iniziando a capire quali erano i suoi limiti invisibili.
Si ritrovò quindi a stringere forte le braccia attorno al petto, e conficcare le dita nella stoffa sintetica, mentre il rancore scivolava giù per la gola provocandole sonori mal di pancia.
Atteggiamento che non lasciò indifferente lo sfacciato scienziato, e nonostante il silenzio rotto solo dai loro passi simili a zoccolate sul marmo, volle aggiungere qualcosa di suo.
“Uhm, vedo che abbiamo un po' di occhiaie addosso! Hai forse dormito poco mia cara?”
Per quanto fosse una battuta detta con tono innocente, fu proprio per quel suo modo falso e ipocrita che la femmina reagì di conseguenza.
Non contenta di subire ancora frecciatine e soprusi, dalla bocca fuoriuscì una sorta di lamento simile ad un ringhio strozzato, e con tutto il coraggio di quel mondo – tutta la disperazione che possedeva – si voltò di scatto verso il proprio interlocutore per stampargli in volto un sonoro schiaffo.
Orihime reagì mossa da una rabbia così grande che a momenti sentì le ossa sciogliersi per il troppo tremare, e pregando mentalmente tutti i suoi antenati, colpì il lato destro di quel volto arrogante con tutta la forza che aveva in corpo. Lo colpì così forte, che ella stessa si procurò un certo dolore alla mano, che ben chiuse in un pugno per smorzare le piccole scosse elettriche generate dai nervi doloranti.
Colpito.
Si, lei lo aveva colpito lasciandolo per un istante incredibilmente sconcertato. Con un segno rosso che andava via, via a formarsi sulla sua guancia ove era stato colpito, mentre gli occhi rimanevano sgranati e sorpresi.
Quando si osa toccare il limite, ecco ciò che succedeva, ma se la giovane si aspettava una reazione come quella di Ulquiorra si sbagliava di grosso. Quello con cui aveva a che fare, era qualcosa di possibilmente peggiore e senza scrupoli.
Lo stupore infatti, negli occhi dell'uomo si dileguò ben presto, lasciando spazio ad un'ira feroce e malcelata. Ad una pupilla che si assottigliava sempre di più divenendo folle di rabbia repressa, forse, per molto tempo.
Le labbra si arricciarono in un lieve ghigno, ed Inoue ebbe paura, tanto che provò ad allontanarsi dalla belva ma senza successo. Dato che lui fu più veloce, e le agguantò la mano colpevole stringendo forte il fragile polso.

“Ma come siamo audaci eh?”
Era un sibilo che si perdeva in eco lieve a differenza dei loro passi precedenti e del sonoro schiaffo.
“Mi lasci!”
Un qualcosa che aumentava la paura che a nulla serviva nascondere in una maschera di determinazione. La donna era spaventata nonostante cercasse debolmente di stemperare l'emozione, lui era furioso e lo voleva mostrare a tutti il mondo.
Rabbia velenosa come il suo passarsi la lingua sui denti, mentre la strattonava con malagrazia verso di se, facendola gridare dalla frustrazione e dalla sorpresa. Così vicino che a momenti le rispettive fronti si toccavano.
Il disgusto della fanciulla era tanto, ma dovette deglutire per cercare di mantenere i nervi saldi per non scoppiare a piangere davanti al suo sguardo folle, e alla sua voce aggressiva.
“Non t'azzardare più a farlo, o la prossima volta non mi limiterò ad alzare i tacchi e ad andarmene come Ulquiorra!”
Era una minaccia bella e buona ma che sembrò non sortire l'effetto desiderato.
Quella cretina non si calmò, ne allentò la resistenza al braccio. Ma anzi, mugugnando un altro “lasciami” spezzato dai singhiozzi crescenti, strattonò quella ferrea presa e alla fine se ne liberò.
Nonostante quasi sicuramente si fosse procurata un livido sicuro oltre la manica.

La vide correre via da lui, e andare incontro alla fine del corridoio per raggiungere la luce dell'esterno del palazzo, senza provare minimamente a fermarla.
I passi veloci rimbombavano per quella grande navata, e quasi andavano a soffocare i suoi singhiozzi.
Seccato e irritato da quella poca educazione a cui era stato sottoposto, si massaggiò la guancia colpita nonostante il dolore era pari ad un buffetto.
La sua tempre era solida, ma era l'orgoglio ad essere stato ferito, benché in parte, comprendeva che forse aveva esagerato anche con lei. Se magari fosse stato un contesto differente.
“Piccola... Stupida... Umana”
Sibilò piano quelle parole, scandendole una ad una mentre ritornava a camminare con calma rispetto alla giovane figura piangente. Questa davvero non se l'aspettava, e lo aveva irritato ancor di più.
Szayel poi, non era tipo da lasciarla passare franca a nessuno, ed era noto come preparasse le sue vendette con una certa meticolosità.


Quella sera stessa si promise, l'avrebbe violentata così da far contento anche suo fratello.



Mi sa che questo capitolo lo divido in due parti, perchè seriamente sono un po' troppo pigra per scriverne uno più lungo.
E oltre questo non voglio tediarvi troppo, è già una storia complicata di suo, quindi più i capitoli sono corti e più è passabile a mio avviso.
In effetti il capitolo scorso è stato molto nosense, per questo i prossimi magari, proverò a farli meno “complessi” nella lettura.
Un infinito grazie a raxilia_running e Serenity per aver recensito il capitolo scorso!
Ps: la canzone prima del titolo è “shape of my heart” di Sting.

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Capitolo 14
*** Fiori del Deserto ***


Ma che c'è scritto qui?”
Tu Fui, Ego Eris”
Cosa?!”
C'è scritto mio signore, che quello che tu sei, io lo ero.
Quello che io sono, tu lo sarai.
Ossia che tu sei vivo e io lo ero. Io son morto, e tu lo sarai.
Non esiste regno che non rechi tale dicitura nelle sue porte”

[Dall'Epopea di Ichigo Kurosaki. Capitoli infernali. Biblioteca di Las Noches]


Enjoy the Silence
Fiori del Deserto



Lasciarsi alle spalle una opprimente oscurità, è spesso la cosa che reca più sollievo in una persona.

Inoue non era da meno, e una volta che si ritrovò fuori dal portone che divideva il corridoio dal profumo di libertà, tirò un sofferto sospiro di sollievo.
Una sferzata di vento insolitamente freddo le scompigliò i capelli e le vesti, ma invece di turbarla si ritrovò a bearsi di un vento e di un sole che le erano stati reclusi per troppo tempo. Davanti a lei si estendeva una terrazza semi circolare, che finiva poi in gradini che portavano verso la sabbia e li affondavano. Un paesaggio incredibilmente bianco, interrotto solo da enormi colonne che si ergevano dalla sabbia, e si univano in ramificazioni alla fine della loro corsa verso il cielo.
Forse era tutto ciò che rimaneva di una navata dalle volte a crociera.
Tuttavia, la sabbia non copriva del tutto quel luogo, e molto era il pavimento che poteva osservare. Il marmo opaco era intagliato in grandi piastrelle, e tutte erano rovinate dalla furia degli elementi e dalla incuria del tempo. Ma anche se questi due elementi avevano fortemente colpito quel luogo, era affascinante notare come se ne rimanesse in piedi quasi con nobiltà, e non cedesse il passo a strutture più moderne.
Si sentiva affascinata da quel luogo, questo era vero, e se al posto del silenzio ci fosse stato qualche ramo di pesco o il cinguettio dei passeri, sarebbe stato ancora più interessante.
Ma il vento alle sue orecchie portava solo silenzio, e questo le lasciò un po' di nostalgia in fondo al cuore.
Questo pensiero tuttavia, non ebbe il potere di distrarla da chi la stava raggiungendo con calma, rimanendosene comunque a debita distanza quasi offeso per il piccolo episodio nel corridoio.
La camminata di Aporro Grantz era già solo quella di una arroganza estrema. Tanto che la stessa Orihime si ritrovò a contrarre il volto in una espressione disgustata quando avvertì quei passi dietro di lei.
Si tenne lontano dalla femmina giusto due piedi, lasciando che scorresse il vento tra loro, a marcare ancora di più quel loro teso silenzio.
Anche se le lacrime e i singhiozzi se ne erano andati via dal corpo della fanciulla una volta arrivata all'esterno, un orribile senso di frustrazione la colpì come una frustata appena la fonte dei suoi dolori sgusciò fuori dall'opprimente oscurità.
Rovinandole la serenità riacquistata, con parole insolitamente neutre, che non mancavano tuttavia di lieve risentimento.

Questa che vedi è la sala della grande Ipostele”
la voce era tagliente in quel silenzio tranquillo e severo. Ma questo non la distolse a sorprendersi della risposta data. Aveva praticamente accantonato l'episodio di prima, e sembrava ora intenzionato a continuare con il suo tour.
Senza neppure volerlo, si ritrovò a girare il capo verso di lui con fare interrogativo. Ma lui non si scompose, e dalla sua posizione continuò a parlare.

Le rovine che vedi, sono ciò che resta di un grande tempio antico. Di che epoca fosse, nessuno lo sa, ma era già in rovina dai tempi dell'ultimo re dell'Hueco Mundo... – fece dei piccoli passi verso di lei, scandendo così il silenzio con marcato rumore – ...questo è ciò che rimane della vecchia sala del trono. E dove siamo noi ora... Beh, sedeva il re stesso!”
Sembrava esserci della beffardaggine gratuita ma velata in quelle sue parole. E quella sua voce odiosamente melliflua rendeva quella sensazione ancor più marcata.

Oh...! e vedi quelle dune la in fondo? Oltre quel muro naturale si estende tutto il deserto. E a meno che tu non sa un Arrancar come noi, dubito che sopravviveresti a lungo!”
Come a dirle: Se provi a fuggire dalle mie mani, sei morta in partenza.
Decisamente esplicito nonostante stesse girando attorno alla portata offerta, e questo invece di spaventarla in modo sottile, la disgustò facendole voltare il capo verso le dune. Tentando così di ignorare quello sguardo così intenso e così poco desiderato. Stringendosi le braccia al petto, come intimorita dal sottile vento gelido, voleva semplicemente stargli il più lontana possibile.

Posso perlustrare le rovine?”
Certamente che puoi...”
Anche se dava le spalle al mostro, sapeva perfettamente che stava sorridendo beffardo. Che la stava denigrando guardandola dall'alto in basso. E forse, magari, sentendosi quasi onorato di aver tolto il privilegio ad altri maschi più umani di lui di osservarla nuda e impaurita.
Questo in effetti era avvilente, e più ci pensava, più la pancia tornava a farle male. Come pugnalate che scandivano i suoi passi sul marmo rovinato, mentre scendeva con calma quei gradini di pietra per andare incontro alla sabbia e ad un – quasi – profumo di libertà che le era proibito.
Fitte dolorosissime di un umore fatto a pezzi, le torcevano un volto che era prossimo ad altre lacrime se non si fosse allontanata da lui il più possibile.
A parte suo fratello, nessun altro l'aveva scorta senza veli nei suoi anni di solitudine, e lei non si era mai relazionata con qualche ragazzo in modo sufficientemente intenso anche solo per una piccola confidenza.
Solo per il fatto che lui avesse sfondato tutte quelle barriere pudiche e morali, la faceva ribollire di rabbia e disperazione.
Passo dopo passo, il marmo cedette il passo alla prima sabbia, che l'accolse con morbidezza come se si fosse trovata in spiaggia. Solo questo ebbe il potere di distrarla un poco, ma fu solo quando iniziò ad avvicinarsi alla prima – e maestosa – colonna bianca, che riuscì a distrarsi e a ritrovare in parte la serenità perduta. Ora era semplicemente fuori dal palazzo, era fuori dalla sua prigione che sapeva di chiuso e di polvere, ed era ora in un mondo pieno di aria fresca e di silenzio.
Era sorprendente per lei, come nonostante il vento e l'ambiente fosse freddo, al tocco della sua mano quella candida colonna era piacevolmente calda. Scaldata forse dal pallido sole di quel deserto senza fine, era un elemento alieno almeno a suo modesto parere.

Ci si sarebbe persa volentieri in quel giardino diroccato e senza fiori, se non fosse stato che un paio di voci distrassero lei e il suo accompagnatore che ancora presidiava il piccolo piazzale.
Voltando entrambi i loro sguardi verso le dune, due individui vestiti di bianco scivolavano agilmente sulla sabbia in una dolce discesa, gridando loro parole sconnesse portate via dal vento incessante.
Inoue scrutò le due nuove figure con espressione interrogativa e grave, e preoccupata si voltò verso l'Octava Espada anch'egli sorpreso da quella visita. Oltre i suoi occhiali, si leggeva una nota un po' preoccupata, ma non per questo allarmata.

È tutto a posto Orihime, ma tieniti comunque lontano”
La voce era severa, e la sfacciataggine era scomparsa. I due individui che si stavano avvicinando a loro superando tutte le colonne, con tranquillità apparente, dovevano essere persone di un certo calibro e potenza. O quantomeno ad osservarli, l'individuo che avanzava per primo – incredibilmente alto e con in pugno una alabarda gigantesca – era piuttosto inquietante.
La giovane tuttavia, decise di assecondare l'ordine impartitole, e titubante prese le distanze da coloro che si avvicinavano, “rifugiandosi” verso un'altra colonna in parte crollata. Senza togliere lo sguardo sulle due figure guerriere, si ritrovò malauguratamente ad incrociare l'unica pupilla di quello che sembrava essere il capo.
Appena quel volto affilato e magro si spostò su di lei, Inoue avvertì il sangue nelle vene congelarsi all'istante.
Si congelò quando vide quel – forse – perenne ghigno allungarsi in un inquietante sorriso nell'incrociare il suo sguardo, e questo la distolse in parte a continuare a guardarlo. Controllandosi momentaneamente i calzari sporchi di sabbia, in un gesto che trasudava paura e lieve imbarazzo.
E le parve per giunta di sentire la voce di quello che si chiamava Grantz, richiamare a se un certo “Nnoitra” che indugiava troppo accanto alle prime colonne. Con tutta probabilità, stava richiamando all'ordine quello con la benda sull'occhio e il sorriso poco raccomandabile.
Quando si decise ad alzare lo sguardo dal suolo, vide che il tizio a cui era stato imposto il richiamo, parlottava a bassa voce rivolto a quello dietro di lui, che in silenzio e rigido sull'attenti, ascoltava come se stesse prendendo ordini.
Non riusciva a distinguere bene cosa gli stesse dicendo, e purtroppo lei non sapeva affatto leggere le labbra.

Si sorprese però – con all'inizio una nota allarmata – quando vide il giovane distanziarsi dal suo signore per andarle incontro, mentre l'alto rideva sfacciato ad un Aporro che, senza comunque muoversi di li, gli chiese a gran voce che cosa intendesse fare.

Sta tranquillo amico mio – biascicò la Quinta Espada andandogli incontro lentamente – Ci baderà Tesla alla tua femmina, mentre noi due ci facciamo una bella chiacchierata, ti va?”
No, non che a Szayel andava. Affatto per giunta.
E la smorfia che si dipinse sul volto elegante del folle scienziato, la diceva lunga sui sentimenti di sufficienza che nutriva verso il proprio collega. Che seppur era maggiormente superiore a lui in scala gerarchica, non approvava i suoi modi così diretti e poco raffinati.

Non sono in vena di chiacchierare Nnoitra. Non abbiamo il tempo per simili sciocchezze e...”
Sai che ho notato una cosa interessante del tuo nome?”
Aporro detestava i babbei, ma ciò che detestava maggiormente era essere interrotto bruscamente. E quello che il suo interlocutore aveva appena fatto, ebbe il potere di rabbuiarlo in volto.
Già dal corridoio i nervi si erano fatti fragili, in più ci si metteva quell'idiota con discorsi totalmente differenti. Non capiva ormai, quale compagnia fosse peggio. Se la femmina mortale, o l'Espada.

E sentiamo, caro mio... – trattenne un lungo sospiro di rimprovero per se e continuò la domanda – cosa c'è di interessante nel mio nome?”
Nnoitra abbassò per un breve momento il capo verso terra, quasi divertito dalla collera trattenuta a stento dal povero Octava. Girò persino un po' in circolo attorno al proprio interlocutore, con passi eleganti e un poco teatrali. Giusto quel tanto per riuscire a far irritare ancora di più quel povero sfigato.

Ho notato – altro mezzo secondo di silenzio – che tutti e tre i tuoi nomi, ossia Szayel Aporro Grantz, sono perfettamente composti da sei lettere ciascuno...”
E questo dovrebbe interessarmi secondo la tua logica?”
Magari si... Se involontariamente porti il numero del diavolo!”
In effetti non ci aveva mai fatto caso, e ora che glielo faceva notare, si ritrovò a sbattere le palpebre perplesso.
Il numero seicentosessantasei era strettamente legato alla bestia, e in quanto scienziato, era un nemico naturale di Dio. Il fatto che portasse addosso una simile stranezza comunque, avrebbe anche potuto renderlo un po' onorato, se non fosse stato che la giornata era partita malissimo.

E... Prova ad indovinare di quante cifre è formato il nome della ragazza?”
Il gioco però continuava, senza tener conto delle deduzioni del dottore. Prendendolo alla sprovvista, e distraendolo dai propri pensieri. Irritandolo ancora e non poco.

A parte essere formato da sette cifre, non vedo co...”
Si fermò stupito una volta capito il poco simpatico giochetto, mentre l'ennesima folata di vento scompigliò i suoi capelli delicati. Se era un quesito posto per passarsi il tempo, era davvero di pessimo gusto, e quasi sicuramente era stato creato per girare attorno alla portata principale del piatto.
Il numero di lettere con con cui era composto il nome di Orihime, equivaleva all'esoterico sette. Il numero di Dio.

Molto... Molto divertente Nnoitra. Complimenti”
Non era affatto un complimento, e gli occhi ancora spalancati per il ragionamento fatto, lasciavano intendere una certa nota stizzita nei confronti del molesto e allampanato interlocutore.

Aha, grazie! E dimmi... – l'Espada si fece improvvisamente più vicino a lui con fare complice – è davvero una fanciulla divina la tua?”
Se solo non avesse avuto una tabella di impegni da rispettare, avrebbe volentieri impalato la gola di quel buffone giusto per farlo stare zitto un paio d'ore.
Tuttavia invece, decise di cambiare decisamente argomento che non scadesse per forza di cose nello scabroso, puntandosi unicamente su come si fosse passato la serata l'Arrancar guerriero.

Piuttosto, sei stato a caccia in queste ultime notti... Giusto?”
Uhu, e con questo?!” volle sapere un Nnoitra velatamente annoiato per quel cambio di programma.
Trovato niente di interessante tra le dune?”
La domanda che Grantz voleva dare si allacciava principalmente allo status di suo fratello. Il fatto che gli Hollow fossero in agitazione, poteva presagire che gli Shinigami erano ormai entrati in guerra, e di conseguenza era bene tenersi pronti.
Ad ogni modo, la risposta che Jilga rilasciò a quella noiosa domanda, fu a dir poco sconcertante.

Bah! Non abbiamo trovato nessuna preda nel raggio di chilometri! Ci è semplicemente parso di sentire delle voci verso sud-ovest, ma nulla di più... Veramente una cosa assurda!”
La delusione in quella voce guerriera era tanta, mista ad una rabbia quasi infantile. Ma ciò che lasciò ammutolito e pensieroso Szayel, fu il fatto che ora come ora Nnoitra smentiva i fatti descritti da Yylfort. Rendendolo perplesso e, per sua sfortuna, un poco preoccupato.

Capisco... Un magro bottino insomma”
Ma se non era stato un combattimento a deturpare il volto di suo fratello maggiore, chi altri era stato?

- - - - - - - - - -

Inoue non sapeva esattamente cosa fare.
All'improvviso si era ritrovata il ragazzo di fronte, ma lui non sembrava particolarmente interessato alla sua reale presenza. Continuava a restarsene sull'attenti, e a guardarla con l'unico occhio che possedeva – l'altro era coperto da una benda nera – con tranquillità apparente. Quasi con noia avrebbe aggiunto.
Il silenzio che correva tra i due la stava improvvisamente mettendo in ridicolo imbarazzo, e nel cercare di spezzarlo, le uscirono dalla gola solo dei mugugni strozzati. Cosa che il nuovo arrivato, se ne accorse.

Non sono qui per farti del male”
Lo disse in modo schietto ma comunque gentile, se così si poteva definire il tono morbido usato. E nonostante la sorpresa della risposta ricevuta, strano ma vero la fanciulla si calmò un poco.
Rimanendosene comunque diffidente e tenendosi lontana da lui di un paio di passi.

Capisco” mormorò lei, quasi disilludendosi di poter ricevere in quel luogo, un po' di gentilezza genuina. Portandosi ancora alla sabbia, ma questa volta solo per poterla esaminare meglio. Chinandosi a terra, e posando le dita su quei granelli bianchi delicati e caldi. Anche se li dove si trovavano i due c'era la leggera ombra della colonna a coprire quel tratto di sabbia, la superficie rimaneva comunque calda grazie ai lontani raggi solari.
Scavando leggermente con le dita quella superficie così friabile, le parve persino da andare a toccare la zoccolatura della grande colonna distrutta. Cosa avesse portato quel luogo alla distruzione, lei non poteva saperlo, ma fu forse spinta da sentimenti nostalgici per quel posto – e per se stessa – che iniziò a tracciare sul terreno malleabile quelli che erano autentici fiori stilizzati.
Non era mai stata brava con il disegno Orihime, ma le piaceva lo stesso disegnare. Anche cose che non c'entravano nulla con il tema o l'ambientazione in cui creava.
Anche sotto lo sguardo vigile e neutrale di chi iniziò ad osservarla con velata curiosità, senza comunque spiccare una parola.
Le geometrie contorte ed infantili che Inoue tracciava sulla sabbia, recavano fiori che comunque nella realtà esistevano. Erano margherite dalla corolla gigantesca, tulipani dalla campana più grande del gambo, e le calle erano sproporzionate rispetto al resto della composizione.
Certo, non erano i fiori più belli del mondo, ma erano comunque dei fiori nati in un luogo dove non dovevano stare. Partoriti dalla sua immaginazione sincera, si immerse in quel prato immaginario, e in un gesto di pura inventiva, si accinse a cogliere uno ad uno i gambi invisibili dei fiori.
Uno a uno il coglieva a farne un mazzo maestoso, che però nella realtà di quel mondo vuoto si perdeva come il vento. Portandoseli a tratti al naso, per sentirne una fragranza che le sembrava non sentire più da secoli.
Questo gesto quasi assurdo e infantile per come poteva apparire ad alcuni, non le fece dimenticare che accanto a lei, ancora in piedi e con le braccia incrociate dietro la schiena, vi era quel giovane Arrancar di guardia ai suoi giochi.
Si voltò appena per scrutarlo, ma constatò che su quel giovane volto non c'era nessuna espressione contrita dal disgusto o dalla perplessità, vedendola comportarsi quasi come una matta. Ma solo uno sguardo lievemente incuriosito e nulla più.

Ne vuoi uno?”
Le parole le uscirono di bocca improvvise, così come il gesto di allungare il braccio verso di lui, e porgli il fiore immaginario appena colto.
Quello giustamente, la guardò un po' stupito per quella strana offerta. Mentre il braccio della fanciulla continuava ad essere proteso verso di lui in un gesto cortese e un po' triste.
Triste come il suo sorriso.

Come scusa?”
Era lievemente perplesso, ma non per questo shoccato da quel comportamento assurdo e apparentemente folle. Ma la buona fede non bastò con il timido approccio della femmina, che accortasi forse di essere stata troppo sognatrice, decise di ritirare il braccio imbarazzata.

No... niente. Perdona se...”
No aspetta, lo prendo volentieri”
Si rese conto del gesto della ragazza, delle sue reali motivazioni, solo quando stava per subentrare la ragione di aver commesso un atto a dir poco stupido. Era puro istinto quello che gli diceva di provare a portare – un poco e comunque rimanendo istintivamente distaccato – un po' di serenità ad una femmina che sembrava, effettivamente, non aver passato una bella giornata. Così come quasi sicuramente la permanenza a Las Noches non doveva essere il massimo per una umana.
Prese il “fiore” dalle mani della ragazza con una certa attenzione, per poi portarselo al volto e sentirne la fragranza invisibile.

Ha un buon profumo, davvero”
Il primo gesto gentile che Inoue ricevette da quando si trovava li, venne da un ragazzo poco più grande di lei – per dirla in termini spicci, dato che forse contava qualche secolo – che stette a quel gioco infantile accennando persino un timido sorriso.
Sorriso che lei accolse con uno di rimando però fortemente imbarazzato quanto stanco.

Ti ringrazio...”

- - - - - - - - - -

Che cosa stanno facendo quei due...?”
Gli Occhi ambrati del Grantz, si spostarono allarmati oltre la magra figura della Quinta Espada, nell'atto di osservare i due soggetti accanto ad una colonna crollata, allontanarsi da essa e sparire dietro la parte caduta a terra.
La giovane femmina umana stava seguendo la Fracctiòn di Nnoitra, disobbedendo così agli ordini di rimanere sempre in vista. Di quella faccenda se ne accorse pure il sire del giovane servo, che guardò in direzione della colonna crollata osservandone la scena.

Massì... Sono ragazzi Aporro! Lascia che si divertano un po'!”
Il malizioso umorismo dell'Arrancar non era una buona giustificazione a ciò che stava accadendo. Quella stupida era sotto la sua responsabilità, e se le fosse accaduto qualcosa che l'avrebbe portata magari a farsi davvero molto male, ci sarebbe andato di mezzo lui.
Senza contare quindi Nnoitra che cercava – ridendo – di dissuaderlo dall'andare a interrompere i due, si affrettò a passi veloci a scendere la gradinata e raggiungere il luogo in rovina.
Non era semplicemente una giornata iniziata male, ma ad irritarlo maggiormente, c'erano i segreti che suo fratello teneva per se a tormentarlo di irritazione. Quasi lo facesse apposta a raccontargli balle.

Una volta arrivato a destinazione, svoltando il candido angolo della colonna spezzata – e levigato da secoli di intemperie, vide i due giovani disubbidienti chini a terra e intenti a delineare sulla sabbia disegni della più svariata natura.
Le dita tese sulla superficie piatta e friabile, si fermarono di punto in bianco alla vista di quello sguardo cupo e inquietante. Entrambi lo squadrano con sguardo sorpreso, e negli occhi della femmina non mancò una certa nota preoccupata.
Erano giochi innocenti i loro, fatti solo per passarsi il tempo e nulla più. Ben lontani da pensieri poco ortodossi che riempivano la testa ad individui ben più grandi di loro.
Ma l'anima dell'Octava Espada era nera, e il suo unico ordine non andò affatto commentato da nessuno dei due.


Il tour per quest'oggi è finito, Orihime”



Un modo un po' brusco per interrompere il capitolo, lo so! Ma avevo scarse idee, e per giunta la mia ispirazione è andata un po' scemando mentre scrivevo tale episodio. Tuttavia ce l'ho fatta a finirlo, anche se mi ha dato un po' di problemi nella descrizione del luogo.
La Sala della grande Ipostele per chi non lo sapesse, esiste veramente e si trova in Egitto. A Karnak.
Un tempio decisamente vasto famoso per la sua sala piena di colonne.
Mentre per l resto del capitolo, alcuni di voi avranno finalmente decifrato il perchè Zommari parlava dei numeri sei e sette. Mentre la citazione prima del titolo, è una mia inventiva. Ma la spiegazione data alla frase in latino è vera, significa proprio quello che c'è scritto.
Oltre a questo volevo ringraziare chi mi ha recensito!

Exodus: i congiuntivi sono il mio peggior nemico! Scherzi a parte, ti ringrazio della segnalazione. Cercherò di stare più attenta. Per la mitologia Hollow ti dirò, è la parte della storia che mi diverte di più. Certo però, la vera sfida sta nell'inventarsi un mito, senza andare troppo fuori l'ambientazione originale del manga. Spero apprezzerai i miei futuri tentativi, intanto grazie XD

Serenity: Si è vero, Szayel non è esattamente la persona più “solare” di questo mondo, quindi non c'è da stupirsi se Orihime non se la passi un granché bene (anche se forse manco con Ulquiorra era a suo agio mi sa...). Non stupiamoci dei pensieri che lui fa, poi se ti chiedi se attuerà o meno il suo diabolico piano, è tutto da scoprire. Ti lascio nel dubbio... Esattamente come dici tu, “tutto è da scoprire”

raxilia_running: Posso ben immaginare cosa stavi provando nel leggere il capitolo! Mi è poi piaciuto come lo hai definito, cioè affilato come un bisturi. Sinceramente, credo che sia un termine azzeccato per un personaggio come quello di Aporro che, con l'aggravante di essere uno scienziato, è privo di scrupoli. Ti ringrazio ancora che ancora una volta ti mostri una fidata lettrice ^^

Ps: Mi ero ripromessa di non aprire altre longfic oltre questa, invece l'ho fatto eccome! “Enjoy the Silence” mi sta riservando parecchie sorprese, quindi tanti spin off in parte (o velatamente) legati a tale storia ci saranno. Niente di così “pesante” da andare a collegarsi strettamente con la trama principale, ma solo episodi che riguarderanno personaggi differenti. Anche della Soul Society.
Il primo spinoff che mi sono concessa è
Stirb nicht vor mir”, e non dovrebbe andare oltre i sette capitoli.

Per il resto mi auguro abbiate fatto buona lettura!

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Capitolo 15
*** Verdugo ***


Scagli la pietra chi è senza peccato,
Scagliala tu perchè io ho tutto sbagliato”

[Proverbio molto popolare tra gli Inferi. O almeno questo è ciò che si dice]

Enjoy the Silence
Verdugo



La paura.
Il più antico istinto che gli esseri viventi provano.

Spesso striscia famelica tra le ombre più ignote, colpendo insidiosa anche la psiche più forte. Riducendo ad un pivello persino la mente più astuta.
Spesso si aggrappa ai nervi del cervello e genera violenti brividi che degenerano, quando la situazione è critica, in scosse elettriche che portano il panico. La paura insomma, e questo e null'altro.
Iceringer questo lo sapeva. Lo sapeva alla perfezione dato il lavoro che faceva.
Non era un individuo adatto a sfilare per le vie del palazzo regale, e tanto meno aveva possibilità a stare con gli altri suoi simili. Era uno squallido reietto proprio come il suo collega Demoura, che in quel preciso momento di riflessioni, se ne stava a due livelli più in basso a dove si trovava lui.
Iceringer conosceva alla perfezione il dedalo di vie e cunicoli, che caratterizzavano l'ingresso ufficiale all'Hueco Mundo. Vi ci era stato relegato assieme a quel demente di Demoura, dato che di creature deformi e quasi inefficienti Aizen non ne aveva bisogno.
No, non erano esattamente due scherzi della natura, ma erano comunque considerati due casi anomali dai loro stessi simili. E pertanto, meno li si vedeva in giro a palazzo, meglio era.
Un basso lamento simile ad un muggito, gli giunse alle orecchie chiaramente e ciò lo fece lievemente sbuffare. Muovendosi appena sul cilindro bianco su cui si era precedentemente appollaiato, il guardiano parlò.
“Che c'è mio buon amico? Anche questa storia ti angustia?”
un leggero sfogliare di pagine si sostituì a breve alle parole dell'Arrancar, con un suono secco e deciso che rimbombò per tuta la grande sala circolare.
Iceringer stava leggendo un libro in una delle sale più remote e profonde del labirinto di ingresso, e lo stava facendo unicamente per passarsi il tempo e rallegrare un po' il buon Demoura.
La sala era immensa, e finiva con un una grande cupola forata nel centro. E da sotto il pavimento, immensi piloni bianchi sorgevano come alberi, scontrandosi tra loro in una sorta di lotta per raggiungere l'unica fonte di luce del luogo.
Dal foro posto sul tetto della grande cupola, pioveva acqua a gran quantità data una perdita secolare delle tubature fognarie. Ma nonostante l'orrido olezzo che circondava l'ambiente, nulla toglieva alla maestosità poetica del luogo.
Da sotto intanto, un altro lamento arrivò alle orecchie del guardiano, ma questa volta ancor più indecifrabile del primo.
L'avvoltoio sospirò chiudendo di scatto il libro a quelle proteste mugugnanti. Bisognava portare pazienza con quel gigante, ma era comunque un suo amico – l'unico – e non c'era motivo di accanirsi troppo verso quella creatura afflitta da demenza.
Il volume che stava leggendo non era molto corposo a dire il vero, era un vecchio libro di poche pagine se paragonati ad altri ben più voluminosi presenti in biblioteca – uno dei pochi posti dove non fosse guardato dall'alto in basso – e il titolo in copertina citava lapidariamente “Verdugo”.

Una storiella piuttosto paradossale, e per molti la versione arcana de “L'epopea di Ichigo Kurosaki”. Narrava la storia di un Hollow piuttosto potente, tale Verdugo, che spesso si ritrovava a vivere avventure al limite del rischioso in tutti i sensi a causa della propria arroganza.
Spadroneggiava in lungo e in largo per tutto l'Hueco Mundo, sempre in cerca di sfide e avversari con cui confrontarsi, fino a quando la propria spavalderia non fu causa della sua stessa rovina.
Tale sventura arrivò quando Verdugo incontrò un uomo nel deserto, decidendo stupidamente di molestarne il pellegrinaggio.
Il tale che aveva deciso di tormentare pur di ottenere un duello, era un servo degli inferi, che gli propose una “sfida” particolare pur di scollarselo di dosso.
Ma proprio come accadeva nel libro degli Shinigami, anche il povero Verdugo andò in contro ad una cocente sconfitta e ad un finale che aveva la sua amara spiegazione morale.
In pratica, l'omino pallido e vestito di semplici abiti di pelle, suonando un motivetto malinconico con il proprio strumento, sfidò l'Hollow a cantare a tempo la canzone legata al motivetto.
Verdugo letteralmente fu tratto in inganno come un allocco, e camminando per il deserto concentrato unicamente nella sua sfida, non si accorse che il paria lo condusse all'inferno senza poter più far ritorno a casa.
Una fine decisamente angosciante, ma che stranamente strappava parecchie risate sguaiate agli Hollow, poco consci del significato nascosto di tale storiella.

Le dita sottili – decisamente troppo sottili per impugnare una spada – chiusero di scatto il libro quando i lamenti di Demoura divennero più forti e stentorei in una maniera assai preoccupante.
Iceringer di istinto nascose il volume sotto le pieghe del poncho, fiondandosi come una saetta verso i piani inferiori di quella foresta intricata per raggiungere il più velocemente possibile, un compagno che pareva letteralmente terrorizzato. Accarezzando letteralmente le pareti lisce dei cilindri con i propri calzari, lo storpio avvoltoio volò fino in basso con una agilità a dir poco sorprendente.
Appena toccato il suolo del livello più basso, un leggero rumore d'acqua smossa accolse il suo arrivo, soppiantato poi da un rumore ben più strano.
“Demoura! Dove sei finito?! Rispondi!”
Un grido lontano si perse in un eco senza fine tra le pareti di quei bui corridoi claustrofobici, accompagnato con sempre più insistenza da quelle che sembravano le note malinconiche di uno strumento a corda. E data l'armoniosità della musica, lo strumento che accompagnava le grida del suo compare doveva essere un violino.
“Demoura...?!”
Confuso, l'Arrancar dalle fattezze simili a quelle di un corvo, sbatté le palpebre confuso in direzione di un corridoio dal cupo mantello di tenebra, cercando di capire se davvero ciò che sentiva era il suono di uno strumento musicale, oppure solo le gocce d'acqua di mille e più tubature rotte che cadevano al suolo rimpinzando le già corpose pozzanghere presenti sul pavimento.
Nulla.
Solo l'eco della sua voce che si perse attutita lungo quei corridoi stretti e scuri, gli giunse a risposta. Spaesato per tutta quella improvvisa confusione, Iceringer provò ancora una volta a chiamare il compagno disperso, ma questa volta mettendoci ancora più tono nell'urlo autoritario.
Nulla.
Ancora una volta la sua voce si perse per le pareti piastrellate di freddo cemento armato dei corridoi, fino a scomparire del tutto lasciandolo ancora una volta da solo.
Era come se Demoura fosse letteralmente scomparso nel nulla, e la cosa non gli garbava neanche un po'.
Continuò quindi quel suo giro di perlustrazione praticamente a vuoto, sfruttando il sonido in momenti alterni durante il suo girovagare per quei corridoi bui e fetenti come il ventre di un bue sventrato, senza però trovare tracce dell'Arrancar assente. Per quanto conoscesse come le logore tasche della propria mantella quell'umido posto, non riusciva a trovarlo da nessuna parte.
Volatilizzato come quel dannato suono armonioso che lo aveva accolto nella sua precedente caduta nell'abisso.
“Cazzo... Dove sei finito, dannato demente?!”
Il panico gli stava sconquassando le budella con sempre più costanza fin quasi a dargli il nervoso. Non era da lui perdere le staffe in quel modo, ma la situazione era critica. Se quel pazzo fosse caduto in un fossato, poi con chi avrebbe parlato Iceringer?

Poi ecco, dopo giri a vuoto in quel dedalo di vie e cunicoli, il misterioso suono si fece risentire alle orecchie dell'Arrancar guardiano.
Per tal motivo dovette fermarsi con il fiato in gola, esaminando attentamente ogni suono e rumore naturale, concentrandosi unicamente sulle note musicali, e separando le gocce d'acqua che inquinavano l'atmosfera.
“Che io sia maledetto...” bisbigliò alla fine.
Riuscendo a captare una fonte sicura alla propria destra, in un corridoio immerso nell'oscurità e nel fetore più assoluto.
Ci si immerse ancora in quel buio conosciuto, questa volta però a passo d'uomo e non più correndo come un folle.
Il perchè non lo sapeva neppure lui, ma in quel cunicolo stretto, la musica si faceva sempre più insistente, e ora era davvero riconducibile a quella di un delizioso violino. Assurdo ma vero, qualche pazzo furioso stava suonando in quel luogo dimenticato da Dio – e molto più simile ad una discesa negli inferi – e non era frutto dell'immaginazione.
Per tale motivo Iceringer avanzò piano verso la fonte del suono, con circospezione e tenendosi costantemente sulla difensiva.
Un passo, e iniziava a scorgere una sagoma asessuata in mezzo a quella notte viva e purulenta.
Ancora un altro passo, e improvvisamente si accorse di come il fiato gli si condensasse all'interno della maschera a forma di becco. Era caldo respiro che andava a sbattere contro l'ossatura interna bianca e liscia, ed era incredibilmente rumoroso dentro quella maschera maledetta.
Non solo, ma più si avvicinava a quella... Quella cosa, più avvertiva il cuore che stranamente pompava sangue e quasi gridava dentro petto.
Ne scorgeva sempre più i dettagli sconvolgenti, di quello che immerso nella notte suonava imperterrito, e dava l'idea di non essere un Arrancar come lui.
Immersa nella tenebra riconosceva a stento le pieghe di una schiena nuda e candida, deturpata da quelle che sembravano cicatrici o corrosioni dovute al fuoco assassino, dalla restante silhouette avvolta in abiti scuri e presumibilmente di pelle.
A stento riusciva a vedergli le agili dita che, come tentacoli, si districavano in quel nero per muovere l'asta dello strumento, e sempre con poca chiarezza vedeva dei fugaci lampi rossi riconducibili agli occhi.
Quegli occhi... Così poco umani da sembrare solo delle sfere rosse come il fuoco degli inferi, dettero un freno definitivo al confuso e spaventato guardiano, portandolo a fermarsi davanti a quella visione a dir poco assurda.
“Chi sei?!” volle sapere a bruciapelo lui.
Bloccando quel suono melodioso con le proprie – tese – parole, e arrestandone l'esecuzione dell'artista maledetto.
L'individuo che a stento riusciva a vedere, bloccò le membra in un gesto che trasudava poca naturalità, somigliante ad un gesto meccanico come quello di un vecchio burattino.
Persino il voltare la testa in modo impercettibile verso chi aveva fatto domanda, parve ad Iceringer di sentire il cigolio delle vertebre che si spostavano.
Spaventoso, a dir poco spaventoso quello di non sapere cosa si guardava in quel preciso momento.
“Chi sono...?!” fece in risposta la misteriosa figura.
Con una voce strana come camuffata da tanti stracci che coprivano il volto di un individuo, tanto da risultare a dir poco soffocata.
“Si esatto – l'Arrancar prese coraggio per quella mezza domanda idiota – dimmi chi sei e che cosa hai fatto a Demoura!”
“E... Sapere il mio nome risolverà il destino di.... Demoura?”
La voce giungeva lontana e di difficile comprensorio in mezzo a quel silenzio assordante. Piccolo particolare portatore di nuovo nervosismo al guardiano, visto che si stava temporeggiando e forse quella era tutta una trappola ordita dagli Shinigami. Ma per uno strano motivo la sua gola era incredibilmente secca e poco disposta a pronunciare verbo, e mai Iceringer si era sentito così alle strette come in quel momento. Neppure con Aizen sama.
“Ad ogni modo, mi chiamo Malikai Flammer... Lieto di conoscerti, guardiano Iceringer...
Le parole cupe e soffocate giunsero lapidarie alle orecchie dello sventurato corvo, che per un motivo noto solo a lui si ritrovò con il sangue gelarsi all'improvviso nelle vene. E non era solo per il fatto che quel bastardo conoscesse il suo nome.
No.
Mentiva.
Era un fottuto pazzo maledetto che stava mentendo. Un autentico cazzone che gli aveva portato via l'unica compagnia che avesse, e ora per sbeffeggiarlo ulteriormente, aveva ripreso a suonare quel suo dannato strumento e ad allontanarsi lentamente da li.
“Tu menti... Tu sei pazzo... ! Dimmi dov'è Demoura, ora!!”
Non era da lui toccare lievi note isteriche partorite dalla paura più buia e nera che conoscesse, ma lui trovava ridicolo che quella cosa portasse lo stesso nome di quello presente nel libro posto sotto il suo poncho.

Malikai Flammer, paria leggendario degli inferi, che condusse il malvagio Verdugo all'inferno con il suono del proprio violino, era apparso davanti ai suoi occhi sconcertati. La stessa enigmatica creatura che aveva sfidato il pericoloso Hollow a cantare stando al ritmo del suo violino, portandolo sempre più negli oscuri budelli della terra.
Lo stesso Malikai che ora era letteralmente sparito dalla sua vista ad un batter di ciglia, lasciandolo ancora una volta solo e confuso. Oltre che scosso da così tante emozioni, che provare ad urlarle tutte era pressoché impossibile.
No.
Non era vero.
Era stata una allucinazione dovuta alla troppa suggestione che quel luogo portava ai visitatori. Doveva essere così, sennò non si poteva spiegare l'improvvisa emicrania che lo colse, portandolo a massaggiarsi le tempie al limite della frustrazione.
Cosa... Cosa sta succedendo?!”
Mai in tanti anni di servizio in quel luogo per reietti, si sarebbe aspettato di impazzire per la solitudine. Proprio lui che di solitudine ci aveva quasi fatto una filosofia di vita, ora era al limite della confusione dal retrogusto amaro della pazzia.
Solo qualche secondo dopo quelle amare riflessioni, un altro suono più acuto e agghiacciante gli giunse alle orecchie, risultando a dir poco fastidioso all'interno della sua maschera di Hollow.
Un grido che si perdeva tra i corridoi del dedalo oscuro si fece risentire più forte di prima e quasi con rabbia, appartenendo ad una creatura che il guardiano conosceva fin troppo bene.
Demoura!!”
E con i nervi devastati dall'ennesima scossa di adrenalina, Iceringer scattò nella direzione da dove era giunto in precedenza per soccorrere un compagno disperso.
Abbandonandosi finalmente quel budello ignoto alle spalle.

[…]

Sabbia.

Sempre e solo sabbia in ogni dove.

Ci stava facendo l'abitudine a tutta quella roba bianca come il latte, ma se non altro era un luogo così noioso che le cattive compagnie scarseggiavano di brutto.
Starrk sbuffò annoiato dinnanzi a tutta quella monotonia, che purtroppo caratterizzava ogni centimetro del suo regno fino ai confini dei territori degli altri.
Niente rovine antiche, pochi speroni rocciosi, ma in compenso tante dune di sabbia da far venire la nausea. L'unica cosa davvero degna di nota in quelle lande così noiose, erano le due oasi di acqua cristallina presenti in mezzo a quel nulla.
Una era verso ovest, ed era situata all'interno di un piccolo canyon dell'unica formazione rocciosa del suo regno. L'altra era un'oasi vera e propria circondata da palme fossilizzate, se così si potevano chiamare quei grotteschi alberi di calcare, ma andando verso sud e verso l'interno di quel mare di dune.
“Lilynette... Non correre!”
Sbadigliò quell'ordine ad una vivace bambina che scorrazzava per tutta la piana ancor più annoiata di lui. La sua giovane Fracctiòn, dall'apparente età di una bambina dodicenne, non amava starsene ferma molto a lungo, e quelle passeggiate di perlustrazione erano qualcosa di a dir poco tedioso.
“Ma sta zitto...” brontolò di giusta risposta lei.
Scalciando la sabbia e snidando così dei piccoli scarafaggi bianchi. Piccole e insignificanti creature dall'effimera esistenza, che catturarono la curiosità della bimba annoiata al limite della frustrazione.
Incuriosita da quelle semplici forme di vita, ignorò la voce del Primera Espada che le imponeva di non allontanarsi troppo, dato che era il crepuscolo e il tetto del cielo si era fatto ormai nero. Eccetto il rosso bagliore sangue del sole stagliato all'orizzonte, ormai una nuova notte stava calando nel purgatorio.
“Guarda che è tardi! È il caso di ritornare a palazzo”
Niente da fare, Starrk non riusciva a portare l'ordine verso quella piccola scalmanata ormai del tutto concentrata a pensare ad altro.
Quando Lilynette osservava qualcosa che le suscitava interesse, seppur minimo, non c'era modo di scollarla da li.
Per questo un po' per stanchezza personale, e un po' perchè decisamente non aveva voglia di polemizzare, sbuffò seccato incamminandosi lentamente verso il castello.
“I cuscini non ti scappano via...”
la giovane borbottò quelle parole quasi a bassa voce e distrattamente, mentre osservava i piccoli insetti scalare una duna di sabbia piuttosto alta, facendo fatica nel muovere le sottili zampette su quella sabbia friabile e resa rossa dai raggi del sole.
I piccoli granelli di sabbia che trotterellavano giù ad ogni loro movimento, sembravano gocce di sangue che scivolavano giù delicate ed effimere.
Una visione affascinante anche se così non era, ma quello era uno dei pochi passatempi che poteva permettersi. In pratica, senza neppure accorgersi dello sforzo di scalare quella ripida duna di sabbia, seguì tutto il percorso di quelle creature fino a giungere in cima.
Ove i raggi del sole erano più vivi, e le sferzate di vento che prima minimamente non la toccavano, ora si fecero sentire con il gelo portato dalla notte, e il fetore di qualcosa di ben più strano e anomalo.
Lilynette per questo, confusa per quella misteriosa stranezza, si alzò in piedi e lasciò momentaneamente perdere quelle creature insignificanti, cercando di scrutare l'orizzonte coperto dai suoi capelli sbarazzini.
“Ma che cavolo succede?!”
Seccata per quelle folate di vento gelido che le scompigliavano i capelli, e per quella puzza che sapeva di morte, si portò una mano in fronte spostandosi i capelli e osservando in tal modo un paesaggio a dir poco agghiacciante.
Un tetro spettacolo che la portò a sgranare gli occhi dal terrore, trovandosi con la gola secca e faticando – incredibile ma vero – a trovare la forza di urlare il nome del proprio compagno.
Solo un roco balbettio che nasceva in gola, recante il nome di Starrk che nasceva sulle labbra, venne partorito in seguito in un urlo disperato.

- - - - - - - - - - - - - - - -

“Che seccatrice... Ma non può per una volta darmi retta?”
L'Espada in quel momento stava parlando da solo.
Non era propriamente arrabbiato con quella piccola canaglia, ma se non c'era nulla da fare c'era poco da perseverare per quel luogo dimenticato da Dio.
Bisognava starsene nei propri appartamenti e basta, e diamine, un po' gli dispiaceva comunque che Lilynette si annoiasse così.
Ma altro non poteva fare che brontolare ad una sabbia silenziosa che non gli rispondeva, e camminare piano così da permettere alla bimba di raggiungerlo senza troppi sforzi.

Ma ciò che raggiunse Starrk in quel momento, non fu una bambina scalmanata. Ne epiteti volgari che spesso lei gli indirizzava.
Ci fu un grido a tormentare il deserto in quel momento, un grido acuto e terribile fin troppo femminile e fin troppo conosciuto.
Uno strillo che portò nel guerriero una espressione facciale di stupore mista a preoccupazione, e uno strano sentimento che dentro il petto gli faceva male.
Anzi, più che male. Era lacerante.
Lilynette!!”
Non ci pensò due volte a voltarsi per abbandonare la strada di casa, e raggiungere il luogo in cui quella stupida si era fermata.
Non ci pensò due volte ad usare il sonido per spostarsi velocemente smuovendo sabbia in gran quantità al suo passaggio, mosso unicamente da quelle grida che non smettevano un momento di cessare. Doveva raggiungerla e basta, mai si sarebbe perdonato se le fosse successo qualcosa. Qualunque cosa fosse successa in quel preciso istante.
Persino la duna di sabbia scalata a fatica dalla bambina, per lui fu come superare un semplice sasso, arrivando teso come un fusto alla creatura improvvisamente zittita, trovandola totalmente sconvolta.
“Lilynette... Cosa è successo?! Che hai?!”
il giovane uomo tentò di scrutare in ogni dettaglio una bambina rigida nella sua postura, e intenta in rigoroso silenzio ad osservare l'orizzonte sempre più scuro e invisibile. Risultandogli a dir poco sibillina per quell'atteggiamento improvviso e preoccupante.
“Ma insomma, co...”
Gli ci volle un po' a Starrk per realizzare cosa realmente avesse spaventato a morte la piccola Fracctiòn. E quando se ne accorse, lo stupore si impadronì nuovamente del suo volto impassibile.
Ancor prima di voltare lo sguardo verso il sole morente, il gelido vento della notte gli pizzicò il naso a causa del forte odore di morte che si trascinava addosso.
Un fetore indescrivibile, di centinaia e centinaia di corpi sbudellati senza pietà, che ricoprivano l'intera valle con il loro sangue e il loro terribile fetore. Una macabra visione che il vento contrario a loro aveva nascosto sino a quel momento.
“Dio... Cosa diavolo è successo qui...?!”
Sconvolto il Primera Espada osservava un autentico campo di battaglia che per lo più, sembrava un mattatoio alla pubblica luce del sole per tanto che era raccapricciante tale visione.
Gillian, Adjucas, Menos Grande, semplici Hollow... Il tappeto degli orrori era immenso.
Corpi mutilati e straziati che arrivavano sino all'orizzonte morente, simbolo efficace di una mattanza avvenuta da poche ore, si stagliavano pietosi agli occhi dei due Vasto Lorde.
“Starrk... È terribile! Chi... Chi è stato?!” piagnucolò la bimba.
Stringendogli con forza un lembo della giacca del guerriero, attirandosi così la sua attenzione non più catalizzata in quell'orrore.
Per tale orrore si protese a distogliere la fanciulla da quello spettacolo di morte, coprendole il viso con un braccio nell'atto di stringersela forte a se, tentando di riguadagnare la solita quiete.
Deglutendo, Coyote Starrk tentò di tirare le somme di cosa fosse successo sotto di loro, e cosa avesse macellato tutti quei loro fratelli con efferata ferocia.
“E così... A quanto pare ci siamo...”
In quel preciso istante, l'unica cosa che passava per la mente del guerriero, era che l'Hueco Mundo era con tutta probabilità entrato nuovamente in guerra. Ancora una volta, dopo mille anni dalla titanomachia che aveva coinvolto i suoi fratelli predecessori, si appresta ad essere versato altro sangue.
Quale somma gioia per le orecchie di Aizen sama, sapere magari di quella probabile possibilità di battaglia imminente.
Gli Shinigami avevano finalmente dichiarato guerra al mondo vuoto, a quanto pare...


Ce l'ho fatta ad aggiornare, dopo due mesi di silenzio.
Vabbè, mi ero presa una pausa da questa storia, ma è anche giusto portarla avanti. Inoltre, questa storia l'ho inserita nella serie “hole in the sky” (dal titolo provvisorio).
Che dire di questo capitolo? Ancora una volta mi sono occupata di personaggi bistrattati. Iceringer e Demoura sono i due guardiani che la compagnia di Ichigo affrontano appena entrati nell'Hueco Mundo.
Col fatto che si sono visti ben poco, non so se sono andata totalmente ooc, se è così perdonatemi! Ma da quel poco che si è visto, Iceringer mi è parso che si preoccupasse per il proprio compagno. In più, il personaggio di Malikai è una mia creazione, per questa figura spettrale ho voluto usare un nome che suonasse malevolo e ricordasse le fiamme.
Comunque, la parola Verdugo viene dallo spagnolo, e significa “boia”. La canzone prima del titolo invece, è dei Negramaro ossia “mentre tutto scorre”.
Ringrazio infine Serenity e Yoko_kun per aver recensito lo scorso capitolo! Vi ringrazio davvero e sono felice che abbiate apprezzato il capitolo.

Spero abbiate apprezzato la lettura!

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