Eye on you

di LilithGrace
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Intro ***
Capitolo 2: *** Cap I ***
Capitolo 3: *** Cap II ***



Capitolo 1
*** Intro ***


Kaori Matsumoto, giovane kunoichi del villaggio della Sabbia, lavorava nei laboratori dell’ospedale di Suna per un progetto appoggiato dal capitano della divisione d’assalto della quarta guerra ninja, capitano della squadra antiterrorismo, stratega, braccio destro, guardia del corpo e fratello maggiore dell’attuale Kazekage.
L’idea era nata
quando Kankuro fu stato avvelenato da Sasori e, se non fosse stato per l’intervento repentino di Sakura Haruno, ninja medico del villaggio ella foglia, a quest’ora sarebbe parecchi, ma parecchi metro sottoterra.
Tra almeno una trentina di candidati, Kaori fu scelta personalmente dai tre fratelli del Deserto;
vantava di un ottimo curriculum accademico, specializzata in tossicologia e cito-istologia forense; il suo modo di lavorare era scrupoloso, non tralasciava nulla, lavorava sempre in silenzio, non amava parlare se non con Kankuro; lui, dal canto suo, amava formulare i suoi veleni per contro proprio, ma spesso chiedeva il suo parere essendo del mestiere, facendole continuamente domande su domande, su come potenziarli, come renderli più letali; spesso le richiedeva anche di formulare un antidoto per ognuno di loro, per non farsi cogliere impreparato come già era successo, ritrovandosi spesso a parlare fino a tarda notte.
Non era insolito, inoltre, che la ragazza si trovasse coinvolta nell’analisi di tessuti e sostanze di dubbia provenienza: aveva imparato a non porsi troppe domande ed assecondare ogni sua richiesta, tranne una.



Fin da piccola avevo coltivato la passione per la musica e, ad oggi, era l’unico passatempo che potevo concedermi nel mio unico giorno di riposo settimanale. Il koto riusciva a non farmi pensare al lavoro o a ciò che vedevo lì dentro che non sempre era piacevole.
Avevo un mio rito personale che facevo ogni volta prima di iniziare: indossai il mio kimono blu, scuro come la notte, con dei graziosi fiorellini color lilla e un obi color lavanda; presi il mio strumento e lo sistemai accuratamente nella piccola veranda, in modo tale da farmi rivolgere il viso verso il piccolo spazio interno e mi inginocchiai su di un cuscino sospirando alla ricerca di pace.
Lasciai scivolare le palpebre sui miei occhi, socchiusi le mie labbra e immaginai, desiderai, che la distesa di sabbia di fronte a me non fosse altro che un enorme giardino zen, con al centro un grande acero rosso: i colori autunnali erano i miei preferiti.
La musica riusciva a calmare ogni mia ansia e preoccupazione, mi aiutava a meditare; inspirai ed espirai pigramente almeno per un paio di volte prima di fissare delicatamente i tre plettri su pollice, indice e medio, iniziando a pizzicare le corde rimanendo in religioso silenzio.
Le note si libravano nell’aria, lasciandosi trasportare dal vento rovente del deserto a cui sostituivo, grazie alla mia immaginazione, una brezza marina del periodo autunnale: fresco, leggero e un po’ frizzante.
Le mie dita si muovevano leggere sulle corde, intonandosi perfettamente con il battito del mio cuore, ma le mie orecchie mi portarono ad udire un rumore di passi che mi fece distrarre, producendo un vibrato tutt’altro che piacevole.
“Kaori, ti richiedono al palazzo del Kazekage!”, esclamò mia madre con tono fin troppo calmo e pacato.
“Non ci sono, dici loro che sono scappata dalla finestra.. è il mio giorno libero, mamma”, ridacchiai furbamente.
“Eppure sei qui, ti vedo molto bene.”, una voce maschile si intromise nello scambio scherzoso di battute facendomi arrossire per l’imbarazzo; il tono di voce era inconfondibile e avevo capito chi fosse. Inspirai ed espirai lentamente e mi rialzai melliflua coprendomi il viso con le maniche del kimono, inchinandomi in segno di saluto e di scuse a Kankuro, venuto personalmente a chiamarmi: “Non era mia intenzione mancarle di rispetto, Signore… sono mortificata.”
“Non importa.” sospirò appena “Se non fosse stato importante, non sarei venuto a chiamarti personalmente…”
Per quanto potessimo definirci quasi colleghi, lui rimaneva il mio capo indiscusso e quando eravamo davanti ad altri, mi rivolgevo a lui con l’appellativo di Signore, in quanto shinobi di rango superiore e di famiglia nobile.
In occasioni informali, mi aveva chiesto esplicitamente di chiamarlo con il suo nome e di non venerarlo come facevano invece i suoi allievi. Anzi, cercava dialogo e confronto.

Non avevo avuto neanche il tempo di cambiarmi d’abito e raggiungemmo in pochissimi minuti il palazzo dove trovai la sua squadra quasi al completo, tra cui il suo allievo migliore: Amagi.
Con un cenno, il Jonin mi chiese di avvicinarmi e di prelevare campioni direttamente dalla sua marionetta: quello era un degli spettacoli più rivoltanti che avessi mai visto. Un corpo totalmente fatto a pezzi, gli occhi spalancati di chi ha avuto paura di morire...quella visione mi aveva fatto contorcere lo stomaco provocandomi dei conati. Alzai lo sguardo sofferente verso di lui: “Chi era?”

Kankuro non rispose, lo fece al suo posto Amagi: “Probabilmente una spia che passava le informazioni del villaggio all’ennesimo gruppo di esaltati mitomani di Kajura.”
Kajura fu un terrorista arrestato dalla loro squadra in precedenza, non troppo tempo fa.
“Cosa volete che faccia?”, chiesi distogliendo lo sguardo dal quel corpo martoriato.
“Voleva farsi esplodere, ma non siamo riusciti a capire dove avesse l’esplosivo e neanche così si riesce a capire. Potresti analizzarlo?”
Potresti analizzarlo, non potevo credere alle mie orecchie.
I battiti del mio cuore accelerarono per l’agitazione e chiesi a Kankuro di parlargli gentilmente in privato. Ci discostammo dal gruppo per evitare occhi e orecchie indiscrete: “Tu lo sai che ti darò dei guanti e preleverai tu stesso ciò che occorre, vero?”, chiesi con una punta di acidità nei suoi confronti.
Il marionettista si mise sulla difensiva, mettendo le braccia conserte al petto: “Se ti ho chiamata, significa che mi serve il tuo aiuto.”
“Ok, ma è il mio unico giorno libero.”
“I ninja non hanno giorni liberi”, incalzò lasciandomi per qualche secondo nel più totale silenzio.
“Hai interrotto la mia meditazione, il suono del mio koto, non mi hai fatto neanche cambiare e mi hai fatto venire qui per cosa? Non mi sporgo nella tua marionetta, non mi fido.”
“Non si muove se non sono io a farlo, non ti pare?”
“Appunto.” sospirai: “Tu prendi ciò che ti serve, io analizzerò fino a notte fonda tutto quello che vorrai, ma ti prego di non farmi vedere ancora quella cosa perché non reggo quella vista”, la mia supplica non sembrava funzionare, ma alla fine aveva acconsentito e tirai un sospiro di sollievo.
Richiese comunque la mia presenza, volendo delle indicazioni su come muoversi con i diversi tipi di tessuto. Aprii il mio ventaglio nella speranza di coprire il mio viso provato da quello scenario e sventolandolo speravo di disperdere l’odore pungente del sangue fresco.
Non potendo più reggere a quella vista, sentenziai che avrei aspettato all’interno della struttura, facendomi guadagnare un’occhiataccia da parte di Kankuro.
Mi inchinai rispettosamente e mi dileguai sempre con il viso coperto.

Una volta nelle quattro mura del laboratorio, mi recai nel bagno: sciacquai il viso con acqua fresca asciugandolo con un panno di cotone; legai i miei lunghi capelli scuri con un elastico e tornai al mio bancone. Disinfettai tutto, preparai tutto ciò che poteva servirmi e attesi nervosamente il rientro del capo che non mi fece aspettare.
“Ecco a te”, Amagi mi porse svariati sacchetti con diversi campioni.
“Grazie e scusami per non essere stata presente, ma ho lo stomaco delicato.”, accennai un sorriso imbarazzato cercando di smorzare la tensione.
Non ricevendo alcuna risposta, decisi di mettermi subito a lavoro: vetrini, reagenti e sostanze capaci di scatenare reazioni di combustione… feci quei test più e più volte, fino a tarda notte, ma ognuno di essi portava allo stesso medesimo risultato: ma non c’era alcuna anomalia.
Quella persona aveva bluffato e ci erano cascati tutti, anche il Jonin più esperto del villaggio.

Uscii dalla stanza dopo ore di lavoro e mi avvicinai a Kankuro e la sua squadra. Mi inchinai scusandomi per l’attesa: “Mio Signore, la vittima non aveva nulla di esplosivo, né sui vestiti né sul corpo, nella pelle... Ha mentito, era innocente.”
Il gruppo si ammutolì.
“Rifai i test, rifalli da capo!”, mi ordinò Amagi preso dall’impeto della sua fallibilità.
Non mi scomposi aspettando un ordine, un’opinione, dal capo.
“Cosa ne pensi?”, mi chiese a bruciapelo.
“Non ho sufficiente esperienza e conoscenza per poter esprimere la mia opinione.” tentai di astenermi.
“Non importa l’esperienza, vorrei sapere cosa ne pensa qualcuno che non è coinvolto in prima persona”.
Acconsentii e mi schiarii la voce: “Secondo me era effetivamente la talpa. Sapeva che sarebbe dovuto morire, per questo ha avuto paura, ma allo stesso tempo non essendo esplicitamente un traditore, potrebbe sembrare quasi che l’abbia giustiziato ingiustamente. Credo gli fosse stato ordinato di distrarvi da un altro attacco, uno più grande...”, il mio ragionamento filava e Kankuro ascoltò ogni mia parola con attenzione, cercando di intuire dalla mia voce qualsiasi traccia di esitazione, vacillamento. Amagi mi guardò come fossi colpevole, come se sapessi troppo per essere una semplice chunin.

Era notte fonda ed io ero tra i pochi fortunati che aveva avuto il permesso di rientrare a casa a riposare un po’: da lì a poche ore ci saremmo dovuti recare nuovamente
Mi congedai, ma fui fermata da Amagi: “Kankuro-san mi ha chiesto di riaccompagnarti a casa”, mi disse inchinandosi leggermente verso di me. Sorrisi e mi coprii il volto con il mio ventaglio: “Non preoccuparti, Amagi. Abito a pochi mentre da qui, posso tornare a casa da sola.” lo rassicurai benché si insinuò in me una sensazione spiacevole. Perché aveva ordinato ad Amagi di seguirmi? Perché quello gli aveva ordinato... Amagi non sembrava provare una gran simpatia per me; mi aveva studiata fin dal primo giorno e credo che mi trovasse sospetta e Kankuro, avendo ascoltato impassibile le mie parole senza esprimersi aveva come confermato l’opinione del suo sottoposto. Brutto segno.
Un moto di sconforto mi assalì: perché sospettavano di me? Avevo giurato fedeltà alla Sabbia, al Kazekage, non avevo mai voltato le spalle al mio villaggio, neanche nei momenti più bui.

Mia mamma mi diceva sempre che mai mi sarei dovuta esporre con le mie opinioni, soprattutto ai piani alti. Mi ero messa nei guai per obbedire ad un ordine.
Il pensiero che l’indomani mattina mi sarei potuta trovare un plotone d’esecuzione fuori la porta di casa e mettere in pericolo tutta la mia famiglia... non l’avrei permesso.
Salii silenziosamente nella mia stanza prendendo lo stretto necessario per il viaggio; mi cambiai d’abito indossandone di scuri, adatti agli spostamenti al buio, presi dei soldi e mi misi alla mia scrivania, scrivendo una lettera ai miei genitori, specificando di non cercarmi e di mostrare questa mia lettera in caso le guardie del kazekage fossero venuti a cercarmi.
Scesi al piano di sotto e poggiai il rotolo con le mie parole sul tavolo, lasciando accanto ad esso il mio coprifronte, segno di appartenenza e lealtà.









 


Nota dell'autrice:
Ciao a tutti!
Era da un po' di tempo che non pubblicavo su EFP e ho deciso di tornare su nuovo fandom, con una storia incentrata sul mio OC Kaori Matsumoto e Kankuro (pg prefe della vita) del manga "Naruto": ho voluto inserire una storia d'amore, sebbene sia consapevole che Kankuro è il tipico personaggio che sta bene da solo, indipendente e ligio al proprio lavoro, ma ho voluto comunque azzardare.
Ammetto di essere un po' arrugginita, ma spero sia comunque di vostro gradimento. 
Premessa doverosa: la storia è ambientata dopo la Grande Guerra Ninja, quindi alla fine del manga; sono inseriti anche riferimenti al libro incentrato su Gaara, ovvero "Gaara Hiden: miraggio in una tempesta di Sabbia". 

Un abbraccio,
Grace 

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Capitolo 2
*** Cap I ***


Da circa un mese avevo trovato posto in una piccola okiya.
Un’okiya era una casa di geisha, gestita da una madre, una okasan, che ne era la direttrice e si premurava di addestrare ed ospitare le future geisha.
Ero ormai troppo grande per potermi affacciare a quel mondo, ma avendo chiesto asilo e sapendo suonare il koto, trovarono comunque utile la mia presenza, assegnandomi come accompagnatrice all’unica maiko di quella casa, Aoi.

Aoi era una ragazza meravigliosa con dei capelli neri che le sfioravano i fianchi.
Aveva dei rari occhi color del ghiaccio, trasparenti, che la rendevano una delle ragazze più richieste della zona e dintorni.

I kimono che indossava alle feste dove li aveva ereditati dalla sua okasan: erano fatti della seta di gelso, la seta più pregiata dell’Oriente; erano finemente decorati dalle più raffinati pittori e intarsiati con fili d’oro e d’argento dalle più abili ricamatrici; i colori variavano, dal rosa pastello, al rosso, fino al viola, quelli più costosi, sebbene quelli che preferiva indossare, erano quelli i cui colori ricordava il mare, il cielo e le nuvole, quelle sfumature che facevano risaltare i suoi occhi dando loro ogni volta una connotazione differente facendoli sembrare ogni volta diversi. Più i suoi occhi sembravano diversi, più era richiesta: volevano sapere sempre di più di lei e la loro sete di conoscenza non finiva mai.
Io, invece, indossavo sempre un kimono di seta nero, semplice; in tal modo si permetteva al pubblico di ammirare la danza apprezzando la musica con il solo uso dell’udito senza interferire con la danza.

Io ed Aoi eravamo diventate amiche fin da subito.
Mi aveva raccontato la sua storia e di come fosse finita lì: veniva dal Villaggio della Pioggia, da una famiglia povera finendo per essere costretta dai genitori a rubare per poter sopravvivere. Fin quando, nel suo villaggio, non incontrò una distinta signora sulla cinquantina, elegante, gentile e si perse nell’osservare la leggiadria con cui si muoveva, dai modi garbati e mai altezzosi.
La piccola non passò inosservata facendosi notare per la sua bellezza; sarebbe stato un peccato lasciarla lì e la gentile signora con una breve trattativa e un bel po’ di soldi acquistò Aoi.
Già, come un oggetto.
L’intento era quello di toglierla dalla strada e darle una casa, un’istruzione, renderla una vera opera d’arte in movimento.
Ichimaru, quello era il nome della sua salvatrice, era stata una celebre geisha ormai in pensione: si era ritirata da qualche anno, ma nei suoi anni d’oro era capace di incantare chiunque con la sua grazia e la sua arte, e decise di passare il suo sapere a quella bambina sventurata che sarebbe poi diventata la sua unica apprendista. Aoi si fece presto un nome, richiamando l’attenzione e la concorrenza non solo dai paesi limitrofi, ma anche da terre più lontane.

Quella sera era previsto un incontro con alcune personalità di spicco di paesi confinanti, ma non ci fu specificato chi: ci aveva detto solo di dare il meglio di noi.
Il fatto che non ci fosse stato detto chi ci aveva richieste, mi fece balenare l’idea che ci potessero essere anche loro. Sentii l’ansia salire e travolgermi così feci un bel respiro e decisi di ignorare qusti pensieri e di andare avanti.
Iniziammo i nostri preparativi nel primo pomeriggio: una maiko ci metteva ore per vestirsi, truccarsi e pettinarsi ed io, da brava amica e assistente, avevo iniziato a prepararmi con lei, tenendole compagnia con qualche chiacchiera.
«Sei nervosa?», era una domanda di routine, ormai per noi.
«Un po’…» e, come consueto, mi rispose come faceva di solito.
«E tu?» mi chiese mentre con maestria si dipingeva le labbra di un color rosso scarlatto vivo.
«Come sempre…» ormai il nostro era un copione scritto e ripetuto innumerevoli volte.
Mi sorrise dallo specchio capendo che fossi preoccupata: “Non hai nulla da temere, ci sono io.»

Lei conosceva la mia storia, sapeva chi ero, da dove venivo e cosa facevo prima di arrivare lì.
Le avevo raccontato di Kankuro, di quanto lo ammirassi e quanto fosse stato per me un onore essere scelta tra tanti per lavorare con lui e di quanto tutto mi crollò addosso nel momento in cui avevo notato che semplicemente mi ero data la zappa sui piedi.
“Quando sarà il momento di scappare, fammi un cenno, ok?”, scherzò lasciandosi scappare una risata cristallina.


Arrivammo alla locanda a bordo di una tipica carrozza e fummo presentate agli invitati come Mai e Teruha; scrutai velocemente la folla e, a primo impatto, non notai alcun viso noto e tirai un sospiro di sollievo.
«Signori, a voi l’esibizione della meravigliosa Mai sulle note della sua suonatrice», fummo accolte da applausi composti degni delle figure che rappresentavano: il mio koto era già posizionato di lato al palchetto dove si sarebbe esibita Aoi. Mi accomodai garbatamente inginocchiandomi sul cuscino di seta e iniziai a pizzicare le corde, guardandomi di tanto in tanto intorno;
Nella folla notai un ragazzo che somigliava terribilmente ad Amagi: il mio cuore accelerò suscitandomi uno stato d’ansia; sentii il mio corpo irrigidirsi, le mie dita non rispondevano più ai miei comandi confusi, erano così tese da farmi sbagliare almeno tre note di fila, ma per fortuna nessuno dei presenti aveva notato i miei errori.
Con uno sguardo fugace fui rassicurata da Aoi e continuai senza mai fermami fino alla fine della sua performance;
A fine danza, mi invitò accanto a lei con un cenno della mano e la raggiunsi inchinandomi al pubblico e no, non mi ero sbagliata. Tra loro c’era effettivamente Amagi, non mi ero sbagliata, accompagnato dalla sua squadra.
«Sei pronta a scappare?», chiesi sottovoce alla mia amica che rispose con una risatina composta e coprendosi il viso con il ventaglio variopinto.
«Come sempre.»

Cercammo riparo nel retro del locale, chiedendo di richiamare la nostra carrozza che non tardò ad arrivare.
Una mano con un guanto nero con le dita tagliate ci aiutò a salire all’interno dell’abitacolo.
Quella mano la conoscevo fin troppo bene, mi stavo dando mentalmente della stupida: non potevo opporre resistenza, non potevo scappare, non potevo fare mosse azzardate perché ci sarebbe andata di mezzo anche Aoi.
«Fanno servizio completo qui, anche le guardie del corpo», cercò di sdrammatizzare la mia compagna, riconoscendo il coprifronte.
La sua affermazione fu ignorata.
«Hai anche cambiato identità?», mi chiese Kankuro.
Aoi si intromise, cercando dispratamente un modo per distogliere la sua attenzione da me: «Una maiko usa un nome d’arte.» asserì.
Piombò di nuovo un silenzio imbarazzante.
La ragazza cercò di darmi manforte: «Il musico non parla se non è la maiko ad ordinarlo. Le sue domande sono rivolte a lei? La prego di identificarsi, prima, o non le farò proferir parola.» affermò aprendo violentemente il suo ventaglio nascondendo il viso.
Questa regola non esisteva, l’aveva inventata di sana pianta per proteggermi, ma stava giocando con la persona sbagliata.
Kankuro, seduto davanti a noi, stava perdendo la pazienza, ma seguì le regole imposte dalla giovane.
«Sono Kankuro del villaggio della Sabbia, guardia del corpo del kazekage e sì, sto rivolgendo le mie domande alla sua accompagnatrice.»
Aoi trovava divertente l’idea di giocare con lo shinobi, la sua posizione era effettivamente di vantaggio e in più ci trovavamo in territorio neutrale.
«Teruha, puoi rispondere al signore truccato da teatro kabuki.»
Spalancai gli occhi e la guardai “Ma come le è venuto in mente?”, pensai.
«La ringrazio, mia Signora.», la canzonai.
Mi schiarii la voce: «Non puoi farmi nulla, né qui dentro, né in questo villaggio.»
Rimase in silenzio, come se aspettasse che rispondessi alle domande fatte da lui in precedenza. Sospirai e presi coraggio: «Anche i musici, come le maiko, hanno un nome d’arte. Altro da chiedere?»
«Sei ricercata, lo sai?»
«Per cosa, esattamente?»
«Perché sei scappata dal villaggio. Amagi dice che sei sospetta.»
«Ho giurato fedeltà al mio paese, al kazekage e a te. Ho solo risposto ad una tua domanda e Amagi...» risi amara «Lui non mi ha mai vista di buon occhio. Tu, piuttosto, perché hai voluto che mi accompagnasse a casa? Hai sospettato di me?»
Rimase in silenzio.
Aoi notò a tensione e decise di intervenire: «Fai silenzio, Kaori. Questa conversazione finisce qui.»
«Non ho mai ordinato ad Amagi di riaccompagnarti.»
Non risposi.
«Cosa ti ha detto?»
Non risposi di nuovo.
« Se vuole colloquiare con la mia» e sottolineò mia «suonatrice, dovrà richiedere un appuntamento alla mia okiya e sa, costerà dei soldi.»
Detto questo, fece scendere lo shinobi e fece ripartire la carrozza.
Mi abbracciò, mi abbracciò forte.

«Grazie» le sussurrai.
Alloggiavamo nella stessa stanza, ma il mio futon si trovava su un soppalco.
«Non si fermerà e devi ringraziare che sia un gentiluomo e che sia anche paziente»
«E’ stato divertente però» ammise ridacchiando sottovoce.
«Ho notato, ma non giocare troppo. È una persona rispettabile.»
«Lui ti affascina, non è così?»
«Già, ma non solo dal punto di vista militare… È premuroso, leale. Si capisce quando qualcosa non gli quadra, assume un’espressione particolare… non so descrivertela, ma si capisce.»
«Devi averla fatta grossa se è venuto a prenderti personalmente.», scherzò «Domattina credo verrà qui e l’okasan ci butterà giù dal letto sbraitando.»
«Per me c’è Amagi già qui fuori ad ascoltare quello che stiamo dicendo.»
«Ligio al dovere e davvero molto annoiato per interessarsi a quello che diciamo»
«Mi dispiace coinvolgerti… ti assicuro che non ho fatto nulla e che non sono una criminale... Amagi ha trovato sospetto che io mi sia pietrificata davanti al cadavere di una spia, ha trovato sospetto anche che io abbia azzardato un’ipotesi di diversivo… per lui sapevo troppe cose giuste, pur non avendo esperienza quando per me era logico, semplicemente.» mi affacciai per vedere il viso di Aoi: «Sono scappata perché ho avuto paura, per me e per la mia famiglia…»
«Lo so…» sbadigliò «Ne riparliamo domani. Tanto sai che richiederà udienza alla somma madre. Immagina la sua faccia quando sentirà del teatrino che abbiamo messo su» rise sottovoce per non farsi sentire.
«Hai ragione… a domani e ti prego, dammi l’ordine di parlare, mi raccomando.»



 

Nota dell'autrice:
Alcune caratteristiche del personaggio di Aoi sono ispirate a Chiyo/Sayuri del romanzo "Memorie di una Geisha".
I nomi Teruha, Ichimaru e Mai sono nomi di geisha molto famose e realmente esistite in Giappone a cavallo tra Ottocento e Noveceneto, dello scorso Millennio. 
Kaori indossa un kimono di seta nero come i secondi e terzi marionettisti del teatro bunraku che sono, appunto, vestiti completamente di nero, da capo a piedi, per potersi mimetizzare con lo sfondo dello scenario, permettendo così a chi guarda lo spettacolo di non distogliere l'attenzione dalla marionetta; questa è anche la ragione per cui Kankuro, nel manga e nell'anime, viene rappresentato vestito di nero, mentre il trucco è ispirato alle maschere kabuki. Utilizza il colore viola perché il viola è, in Giappone, un colore utilizzato dalle caste nobili.

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Capitolo 3
*** Cap II ***


La sveglia non fu proprio delle migliori.
Una madre infuriata ci venne a svegliare ancor prima del canto del gallo: «Che cosa avete combinato? Ma dico io, siete impazzite? Provocare Sunagakure? Siamo in un villaggio neutrale, non possiamo permetterci un incidente diplomatico per di più con loro per colpa dei vostri giochetti!» era su tutte le furie, come darle torto?
Una risatina scappò dalle labbra di Aoi, facendole guadagnare un’occhiataccia dalla madre.
«Kaori, ti ho accolta qui perché non sapevi dove altro andare e tu hai ripagato la mia gentilezza con la sincerità e te ne sono grata. Quando ho accettato di darti riparo, un letto e un piatto caldo, l’ho fatto in buona fede… non ripagarmi con un’offesa alla Sabbia perché a quel punto sarei costretta a riconsegnarti a loro senza opporre resistenza. Chiaro?»
Mi inchinai scusandomi per il trambusto e le giurai che non sarebbe più accaduto.

Mi preparai e raggiunsi il tavolo della colazione nel giardino interno in compagnia dell’okasan: Kankuro era già seduto al piccolo tavolo ed aspettava pazientemente che almeno una di noi si palesasse per poter parlare e discutere dell’accaduto.
Lo salutai inchinandomi col capo e mi accomodai difronte a lui, mentre la Madre rimase in piedi accanto a me.
«Potremmo parlare in privato, io e la suonatrice? Sempre se le concederà il permesso, Signora Ichimaru» chiese con tono gentile, ma ironico, alla madre che, ormai, aveva metabolizzato l’idea che avevamo messo su un bel teatrino. Rispose semplicemente: «Kaori, sii gentile con questi signori.» prima di lasciarci soli.
«Gradite del tè, Signore?» chiesi prendendo la teiera e accostandomi alla sua tazza. Annuì , lasciando che gli versassi il liquido intriso delle foglie di tè nero.

Ruppi il silenzio che era calato tra di noi: «Ripeto» iniziai «Ho giurato fedeltà al kazekage.»
«Lo so. Perché sei scappata?»
«Perché sospetti di me.»
«Chi te l’ha detto?» mi domandò curioso.
«I tuoi uomini mi hanno guardata male da quando ho aperto bocca… Non ti saresti scomodato a venirmi ad arrestare di persona, sono un pesce piccolo. Avevi altro da fare, così hai incaricato Amagi.»
Parlavamo sottovoce, nessuno poteva sentirci.
Ascoltava in silenzio e non sapevo decifrare la sua espressione, se mi stesse prendendo seriamente o meno.
Rispondevo sempre con il sorriso, in modo da non far allarmare nessuno dell’okiya.
«Sai che Gaara è stato invitato qui e lo stesso locale di ieri ha richiesto la vostra presenza? Il proprietario vi ha definite all’altezza di una persona importante come il Kazekage.»
«Non oseresti trascinarmi da lui, non puoi farmi questo...» impallidii all’idea di dover incontrare Gaara.
«Sono una disertrice per lui, non puoi farmi questo, ti prego… ho lavorato sempre per te, per lui, per tutti ed ora non puoi farmi giustiziare perché ho avuto paura e sono andata via. Ho sbagliato, lo so, ma se vi avessi parlato dei miei dubbi, sarei sembrata ancora più colpevole. Non sapevo che fare, so solo che non merito di morire per questo.» lasciai la teiera sul tavolo e mi alzai di scatto puntandogli un dito contro.
«Suona per lui stasera.» mi disse perentorio. Non ammetteva repliche.
Rimasi in silenzio.
Si alzò dal suo posto e mi salutò, salutando garbatamente anche la mia amica e la padrona di casa.
Rimasi imbambolata, pietrificata come fossi una mal capitata che per errore aveva incrociato lo sguardo di Medusa, la gorgone che trasformava in pietra chiunque la guardasse nelle iridi.

Passai qualche minuto in questo stato trance prima di accorgermi che ormai era andato via da un pezzo. Mi sbloccai all’improvviso e mi incamminai con passo veloce, deciso e furioso verso la mia stanza: iniziavo a stancarmi della situazione; era poco più di un mese che non ricevevano mie notizie, non avevo fatto nulla di illegale e per di più erano tra i ninja più forti che conoscessi e solo ora si erano ricordati della mia esistenza? Qualcosa continuava a non quadrarmi e quando non capivo qualcosa, sapevo fare solo una cosa, ovvero arrabbiarmi.

Arrivammo puntuali al locale e entrammo, sia io che Aoi, a testa alta e fiere.
Quella sera avrebbe assistito anche la Madre, non sopportava l’idea di lasciarci alla mercé di un paese potente come quello della Sabbia. Era seduta al tavolo accanto Gaara e Kankuro, in modo da non dare le spalle al palco, ed erano presenti anche Amagi e il suo collega da cui non si separava mai, Mitsuo. Mitsuo era sempre stato presente, fin dall’inizio, ma non si era mai espresso nei miei riguardi. Eseguiva solo gli ordini ed affiancava Amagi.

Aoi aveva scelto per l’occasione un kimono di seta Tastumura bianco con delle onde, alla base, dipinte di un color petrolio, che increspavano la superficie del mare; mi vestii a mia volta di bianco, raccogliendo i capelli in uno chignon acconciato dall’Okasan in persona.
Ci esibimmo in uno spettacolo che avevamo eseguito poche volte, solo per gli ospiti di un certo livello; Aoi era concentrata, grintosa, decisa ed elegante, ma io non ero da meno, suonai lasciandomi trascinare dall’adrenalina, ogni nota era impeccabile ed armoniosa.
Tutti ci applaudirono.
Nessuno escluso.

Scendemmo dal piccolo palchetto e ci avvicinammo al tavolo con i rappresentanti del mio villaggio: mi inchinai a Gaara, a Kankuro, ad Amagi, ma notai che, in quel momento, mancava Mitsuo.
Mi guardai intorno, nervosa, studiavo ogni dettaglio in quella stanza.
Avevano ordinato del tè e i miei pensieri furono interrotti dall’arrivo di una cameriera che non avevo mai visto da quelle parti, ma non ci diedi peso. Dopo pochi istanti ricomparve Mitsuo, dicendo all’orecchio del suo compagno che il suo giro di perlustrazione era andato a buon fine.

«Mai, voi essere così gentile da servire il the al Kazeage?» chiese la madre.
Aoi era un’intrattenitrice nata, si inginocchiò tra Gaara e Kankuro, cercando di intavolare una chiacchiera frivola col ragazzo dai capelli rossi, mentre gli sorrideva garbatamente.
Qualcosa non quadrava, provavo una strana sensazione: mi guardai ancora attorno e avvertii uno strano odore nell’aria, un odore dolciastro; la mia attenzione fu attirata dal vassoio su cui era stata portata la teiera e su cui era presente anche una piccola ciotolina con delle ciliege.
Sorrisi a mia volta e alzai una mano chiamando la cameriera che ci aveva servito:
«Mi scusi, potrei sapere che bacche sono, quelle?»
«Sono ciliege, Signora.»
«Non è periodo di ciliege e credo che un infuso con quelle non sarebbe di gradimento ai nostri ospiti. Sarebbe più opportuno portare al kazekage qualcosa di tipico. Se il Kazekage permette, vorrei proporre del Bai Hao Yin Zhen.»
Mi voltai compiaciuta verso il tavolo, notando facce tutt’altro che felici del gesto.
«Che occhio attento.» ironizzò Amagi. «Chissà come ha fatto a capirlo» diede manforte Mitsuo.
«Kankuro.» disse Gaara senza scomporsi.
Il maggiore dei due fratelli si alzò e mi intimò di seguirlo fuori.
Rimasi seduta al mio posto.
«Disertrice...» sussurrò Mitsuo facendo ben attenzione a non attirare l’attenzione degli altri ospiti, ma facendosi sentire chiaramente da Gaara.
«Basta così, Kazekage. Faccia rimettere a posto il marionettista.» l’Okasan lo fissò e si alzò con calma.
«Lei capirà se cercherò di riportare una disertrice nel mio paese per prendere i giusti provvedimenti.»
«Siamo in un villaggio neutrale, qui è una libera cittadina e mia suonatrice. Non ha fatto nulla per meritarsi un arresto immediato.»
«O magari, aveva in mente di assassinare il Kazekage fin dall’inizio, ma essendoci presenti troppi shinobi, ha preferito desistere e fingersi un’eroina» disse Mitsuo.
«Tu...» lo guardai con disprezzo.
«Hai accesso a tutti i veleni della Sabbia, hai formulato ogni antidoto… guarda il caso, non abbiamo la Belladonna a Sunagakure, non le sembra strano, Kankuro?» Amagi si stava divertendo ad infierire, a sottolineare quanto io fossi senza alcuna via d’uscita.
Mitsuo era divertito, glielo leggevo in faccia e questo mi faceva rabbia.
La sentivo crescere dentro di me.


La Madre non seppe cosa dire, mi guardò in difficoltà: ricambiai lo sguardo e le presi le mani sussurrandole un “grazie” strozzato dalle lacrime che volevano solo uscire fuori.
Mi alzai e con me Kankuro.
Andammo fuori il locale dal retro e l’unica cosa che riuscì a sussurrare fu un “mi dispiace”: evocò Kuroari e mi chiese di entrarci dentro senza opporre resistenza ed io lo feci.
Mi accovacciai e lasciai che mi chiudesse dentro e solo allora scoppiai a piangere e lasciai che le mie lacrime bagnassero le mie guance e sciogliessero il mio trucco nero intorno agli occhi.
Sentii solo un dolore acuto al collo, niente di più poi… buio.


Riaprii gli occhi, intontita.
Pensavo seriamente di essere morta e invece mi trovai all’okiya, stesa sul letto della mia amica con Kankuro accanto intento a leggere dei rotoli.
«Ti sei svegliata...» lo guardai non capendo. Cosa stava succedendo?
«Sei confusa, lo so, lasciami spiegare.»
Ero arrabbiata, ma il mal di testa era più forte. Gli feci cenno di continuare a parlare.
«Gaara non ha alcuna intenzione di giustiziarti, né di arrestarti. Sapevamo entrambi che non eri tu la talpa, ma abbiamo fatto in modo di far ricadere tutti i sospetti su di te.»
Lo guardai incredula. Come aveva potuto farmi questo?
Alzò le mani in segno di resa: «Amagi è solo vittima del nostro piano. Non ti odia come pensi, anzi ti stimava molto, ma la storia del’imboscata l’ha fatto ricredere perché sono stato io in primo a fingere di non essere convinto. È ancora troppo giovane e per quanto pensi con la sua testa, si fida ciecamente di me e di Gaara e se qualcosa non quadra a noi, non quadrerà neanche a lui di conseguenza.»
«E tu mi hai fatto credere di morire… tu hai fatto credere alla madre e ad Aoi che io sia una persona orribile.» increspai le labbra in una smorfia dolorante: «Perché io?» chiesi sofferente «Perché il piano dei daimyo di prendere il potere fingendo di nominare me Kazekage al posto di Gaara non aveva funzionato così hanno deciso di demolirci dall’interno, in modo subdolo. Sanno quanto io ti stimi come persona e come collega, ma sei un anello debole in quanto forza militare, quindi la vittima perfetta.» concluse sospirando.
«Se fosse riuscito ad uccidere Gaara in mia presenza, allora era logico che sarebbe stata colpa mia...» scoppiai a piangere in un pianto disperato e liberatorio.
La situazione non era delle migliori, ma sapere di non aver perso la stima e la fiducia del kazekage mi fece stare meglio.
Kankuro prese posto vicino a me e mi abbracciò, gesto inconsueto da parte sua, ma che apprezzai: era un capo molto premuroso, attento alle esigenze di chiunque e aperto al dialogo.
Lo guardai per ringraziarlo e i nostri sguardi si incatenarono reciprocamente l’uno all’altro.
In questo momento, il tempo sembrava essersi fermato e senza accorgercene, le nostre labbra si incontrarono in un bacio, ma non uno di quelli famelici e passionali, un bacio casto e leggero come quello di due adolescenti alle prime armi nascosti dietro un cespuglio per non farsi scoprire dai genitori. Gli accarezzai timidamente una guancia e la piccola porzione di collo scoperta sorridendo leggermente imbarazzata, mentre mi stringevo tra le sue braccia.
Questo momento perfetto, però, fu interrotto da un piccolo terremoto chiamato Aoi, che entrando non si stupì neanche di trovarci l’uno abbracciato all’altro: «Kaori-chan, sono così contenta di rivederti. Sanno recitare davvero bene, io e Okasan ci eravamo quasi spaventate.»
«Cosa?»
«Noi sapevamo tutto, ce l’aveva detto Kankuro-sama prima di andar via… ci ha lasciato un bigliettino per spiegarci ogni cosa.»
Sorrisi alla mia amica, abbracciandola di nuovo, felice di sapere che in fin dei conti né lei né la Madre si erano preoccupate troppo per me e che, anzi, stavano lavorando per me, per togliermi da quel pasticcio.
Mi voltai verso Kankuro e gli strinsi la mano più forte che potevo: «Ora dobbiamo solo incastrare il responsabile, giusto? E poi… poi che ne sarà di me?»








 

Angolo dell’autrice:
Buonasera!
La storia sta volgendo al termine e spero che anche questo capitolo sia di vostro gradimento.
Piccola precisazione: la bacca di Belladonna viene anche chiamata ciliegia della pazzie per i forti effetti allucinogeni, per questo durante la Seconda Guerra Mondiale veniva utilizzata come metodo di confessione. Nella storia, ho voluto associare la sua somiglianza ad una ciliegia con un tè,come se fosse stato un tè ai frutti rossi, Il tè che, invece, richiede Kaori è il tè bianco più pregiato al mondo.

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