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Proiettili di vetro…difficili da trovare ma non impossibile
Proiettili di
vetro…difficili da trovare ma non impossibile. Devo prenderlo a distanza
ravvicinata.
Maret sgusciava fra la folla come un fantasma che cammina sulla terra, invisibile e fredda come solo la killer
sa essere.
Guarda l’orologio e affretta il passo, entrando in un locale
dalle luci basse e poco distante dalla strada principale.
Quel locale tanto carino e all’apparenza innocuo è uno dei
tanti possedimenti di Lennie Darco, il boss per cui lei lavora.
È un brav’uomo che paga molto bene, non se ne può lamentare.
La paga anche troppo per le sciocchezze che le chiede.
La gentaglia di cui si circonda non sarebbe capace di fare
un lavoro pulito, gente presa dalla strada a cui è stata messa una pistola in
mano senza un minimo di preparazione.
Maret invece è molto preparata: ha studiato, studiato e studiato.
Ha conoscenze informatiche, meccaniche, tecniche ed
infermieristiche. MacMahon era serio e inappuntabile su certe cose, la
invogliava a specializzarsi in tutti i campi che prediligeva, anche in quelli
che non gradiva molto, ‘perché tutto torna utile nella
vita, tesoro, e non puoi farti cogliere impreparata’.
Tesoro...la chiamava così quando voleva farla arrabbiare e
provocare in lei qualche reazione umana che puntualmente non avveniva.
Perché Maret non piange mai, non si
lamenta mai e non parla mai. Non dice mai quello che vuole...lei allunga la mano
e se lo prende.
I proiettili di vetro
hanno poca potenza ma non lasciano le rigature, è impossibile risalire all’arma
da cui sono stati sparati e si deformano nell’impatto. Pensò nuovamente
mentre si muoveva nel locale che a quell’ora del giorno era chiuso e c’erano
solamente i camerieri che pulivano e mettevano a posto i tavoli per prepararsi
alla nuova serata.
Maret fissò una donna che riconobbe immediatamente e le si avvicinò in silenzio. Così tanto silenziosa che quando
la vide, la ragazza trasalì “cazzo, mi hai fatto prendere un colpo!” gridò
portandosi una mano sul cuore.
Maret non parlò, aspettò che la ragazza tornasse in se e la
guardò senza aprire bocca. “Ti manda Lennie, vero?” le domandò dirigendosi
verso il fondo del locale, nella zona privata, pomposamente denominata ‘privè’ da un elegante cartello sulla porta di legno povero che
oltrepassarono.
“Questo è tutto quello che ci hai richiesto, ma i proiettili
di vetro non li abbiamo trovati” le disse osservandola senza notare il minimo
cenno di fastidio alla cosa o di sorpresa…o qualunque altro sentimento che la
ragazza si sarebbe aspettata di vedere sul viso della donna bionda che le stava
di fronte.
Maret aveva trovato un bel negozio che riforniva i teatranti
in città e aveva acquistato qualcosa, tornando il più delle
volte camuffata per non farsi riconoscere.
Un caschetto dorato, parrucche di tutti i
tipi, anche afro e lenti a contatto di tutti i colori. Stava lavorando a
quelle protesi facciali finte ma ancora doveva prenderci la mano perché sentiva
il mento che dava cenni di volersi staccare.
‘I lineamenti vanno modificati, così
è più difficile riconoscerti. Ricorda: ci sono conformazioni di base
applicabili a gran parte della popolazione. Altezza, distanza ginocchia -
caviglia, gomito - spalla. confondili, prendili in giro’
Si passò distrattamente una mano sul mento, come se fosse un
gesto automatico e spinse di più la resina truccata dal fondotinta contro la
pelle.
Senza dire una parola, prese la valigetta e la aprì controllando il resto. La richiuse pensando che poteva
benissimo fabbricarseli da sola, quei benedetti proiettili,
ma che non le andava di stare ore e ore china sul tavolo da lavoro che aveva
allestito nell’appartamentino in cui viveva.
Voltò le spalle alla donna e aprì la porticina immettendosi
nel locale, sorpassò un cameriere che stava pulendo in terra rischiando di
scivolare sul detergente e uscì in strada, passando nuovamente una mano sul
mento. Si aggiustò gli occhiali da vista con le lenti finte e la maglietta da
adolescente con una scritta stupida che aveva scovato nel mercatino dell’usato
poco distante.
Doveva tornarci in quel posto, c’era un negozio vintage che
faceva proprio al caso suo.
Si recò in un negozio d’articoli sportivi e comprò una
scatola di proiettili di plastica, scherzando col negoziante sul fatto che suo
figlio avesse la passione per le armi e che si stava specializzando nel tirare
giù le lattine con un’arma fintissima che suo padre gli aveva
comprato - quel disgraziato, lo sa che
odio le armi anche se sono di plasticaccia! Ma sa i
bambini come sono a quell’età: vedono i film di Stallone e vogliono essere come
lui - ridacchiò mentre pagava i proiettili del tiro a segno gialli
canarino.
Il negoziante la ascoltò con la faccia immobile, accennando
un sorriso perché non gli interessava nulla se quella tipa se li mangiava o li
usava per ammazzare qualcuno. A lui bastava intascare quei 19,50 dollari e
assicurarsi lo stipendio anche per quella settimana, poiché quello strozzino
del padrone li pagava a percentuale.
Maret uscì dal negozio tornando immediatamente seria e si
diresse verso l’appartamento, dopo aver fatto una magra spesa. Quella sera doveva lavorare alla radio, non aveva tempo di prepararsi
grandi cenette.
Dopo il lavoro notturno alla stazione, si diresse sul luogo
dell’appuntamento con un’automobile che le aveva procurato
Lennie. La targa l’aveva sostituita lei, dopo averne svitate un paio da alcune
macchine in un parcheggio fuori mano e molto distante dalla città.
La mattina e il pomeriggio girava come una trottola per
procurarsi il necessario per lavorare e la sera alla radio, era abbastanza stanca
e scazzata per rivolgersi col giusto tono ai suoi
ascoltatori che la adoravano, da quanto dicevano le statistiche, e l’avevano
eletta la voce più sexi dell’etere.
Quando gliel’avevano accennato,
Maret aveva alzato le sopracciglia, bisbigliando ‘patetici idioti’
a mezza bocca che aveva raggelato i suoi colleghi radiofonici.
Era bella, era fredda ed era stronza: la donna perfetta e
irraggiungibile che sogna l’intero universo maschile.
Il terrazzo sulla quale era salita, aveva una pista
d’atterraggio per elicotteri, come molti palazzi lì a Los Angeles. La finestra
che doveva centrare era esattamente di fronte a lei, nell’edificio accanto.
Si sedette con tutta calma, montando il fucile di precisione
che aveva preso dopo una lunga contrattazione con quegli strozzini russi che
avevano un capannone per gli ‘attrezzi’ fuori città e
che erano fedeli solo ai soldi. Maret rischiava continuamente di farsi
impallinare da Gleb ogni volta che metteva piede nel
suo bar dove potevi richiedere fra i tanti tipi di caffè, anche un fucile di
precisione a canna lunga e col mirino laser.
Simpatico Gleb, dovrei fargli un bel regalo, pensò prendendo la
mira e restando un bel po’ con l’occhio premuto quasi contro il mirino.
Quanto ci metteva a
togliersi di torno quella sciacquetta che si stava lavorando? Pensò leggermente
irritata e un po’ assonnata.
Non era particolarmente divertente guardare quel tipo che
doveva ammazzare, impegnato in una performance kamasutrica
e Maret si stava annoiando ed eccitando al tempo stesso, perché erano mesi che
non vedeva un uomo neanche di striscio.
Non le interessava averne uno ma il suo corpo richiedeva ‘attenzioni’ particolari. Strinse le labbra e mandando
mentalmente a fanculo Lennie, sparò un paio di volte, centrandoli in pieno
entrambi.
Con tutta calma, rimise a posto l’attrezzatura e scese
canticchiando l’ultima canzoncina che avevano passato in radio durante uno
spot.
Pensava: quei proiettili di vetro mi servono assolutamente
per il lavoro che mi ha richiesto Lennie.
Pensava: dovrò chiedergli molti più soldi per accontentare
quel rompiscatole di Gleb.
Pensava: la prossima volta devo tenere la sinistra più
ferma. Mi sono mossa leggermente, non l’ho preso dritto in fronte e gli ho
spappolato la faccia.
Scese le scale senza prendere l’ascensore perchè non aveva mai tempo di andare in palestra e stava mettendo su
ciccia. E lei odiava la cellulite.
Pensava: il negozio vintage ha quel vecchio modello di Chanel che è una gioia per gli occhi. 20.000 dollari sono
tanti ma è un originale degli anni 50 e non posso farmelo scappare.
Pensava: devo distribuire i soldi sui nuovi conti che ho
aperto fra Los Angeles e Santa Monica.
Camminava e pensava, non smetteva mai. Pensava tutto il
giorno al lavoro, qualsiasi cosa facesse non si
rilassava mai, anche sotto la doccia pensava a come poter trovare quei beati
proiettili e a come riuscire a centrare il politico che infastidiva Lennie a
distanza ravvicinata a quella benedetta festa che avrebbero dato a giorni.
L’invito ce l’aveva, falso
ovviamente. Avrebbe accompagnato Lennie che l’avrebbe presentata come attuale
fidanzata, ma si sarebbe scordato tenerezze e le altre cazzate che aveva in
mente, perché - piuttosto che fare la
sciacquetta con te, preferisco fare la prostituta in un locale di camionisti
- gli aveva detto facendolo restare a bocca aperta e
senza parole.
Lennie l’aveva guardata sbattendo gli occhi ed era rimasto
in silenzio allungandole l’invito.
“Non devo chiederti di metterti elegante. Lo sei sempre” le aveva detto a mezza bocca senza alzare gli
occhi su di lei.
Maret si era sentita presa in giro perché aveva un paio di
jeans e una maglietta semplice che era tutto tranne
che elegante e stava per rispondergli a tono, quando si era resa conto che le
aveva voluto farle un complimento carino. Aveva richiuso la bocca e si era alzata
senza dire una parola, uscendo dalla stanza senza fare rumore.
Lennie aveva alzato gli occhi celesti che aveva ereditato
dalla madre irlandese ed era rimasto a guardare la porta con quel groppo in
gola che gli si formava sempre quando parlava con lei…perchè Maret era la donna
più bella che avesse mai visto e gli ricordava tanto
la sua prima fidanzata non ufficiale, Anenka, un’oriunda
polacca che viveva accanto a lui e che spiava sempre. Anenka
era più grande di lui, era carina e aveva un fidanzato. Ma
Lennie si era innamorato lo stesso e nella testa di un ragazzino di 11 anni era
diventata la sua fidanzata.
Maret era la sua Anenka a 38 anni.
Carina, col fidanzato sicuramente perché aveva un anello che
lo testimoniava, sebbene lei non avesse mai accennato ad un uomo nella sua vita
e lui non gliel’avesse chiesto espressamente.
Con Madeleine, il nome fittizio che gli aveva dato, non si
facevano domande.
Madeleine si guardava da lontano; si poteva sospirare al suo
passaggio, ma piano, perché se ti avesse sentito avresti fatto sicuramente una
brutta fine e non si faceva gli spiritosi.
Madeleine era un Anenka
particolarmente irritabile e pericolosa…ed era proprio per quello che piaceva a
Lennie.
Adesso vi spiego come mi è venuta l'idea: LSF si stava allungando troppo e rischiavo un pasticcio. ho deciso di estrapolare la vita di Maret in questo racconto per non confondervi le idee. potete leggerlo da solo o contemporaneamente a LSF. Ci saranno capitoli in cui comparirà Maret, senza togliere nulla alle due storie. spero vi piaccia. Ps ovviamente non sono così ferrata sulle stronzate che scrivo ma mi sono documentata parecchio. buona lettura
Maret si sedette all’interno della limousine nera e guardò
dritto davanti a se senza degnare di un’occhiata il suo elegante mandante che fece
una smorfia pensando il termine ‘stronza’ era solo un delicato eufemismo applicato a lei: chi l’aveva
inventato, non aveva mai incontrato una persona come Madeleine.
Mentre l’autista li accompagna alla
festa organizzata dal politico che Maret deve uccidere, all’interno
dell’abitacolo dai vetri scuriti per una maggiore privacy, nessuno dei due
emette un fiato. Maret continua pensare ai proiettili che non è riuscita a fabbricare decentemente ma che saranno efficaci
allo scopo e Lennie continua a chiedersi perché quella donna deve essere così
acida tutte le sante volte. Ce l’ha con lui per
qualcosa in particolare o è così naturalmente?
“Madeleine è un bel nome. Sei francese?” le
domanda tanto per spezzare il silenzio che pesa sempre di più.
“Per metà” risponde telegraficamente tornando a guardare
fuori del finestrino. “Se la prossima domanda è ‘da parte di madre o di padre’ti
lascio a sbrigare il lavoro da solo” mormora scandendo bene le parole, senza
voltarsi neanche.
Accavalla l’altra gamba e la calza striscia delicatamente,
accarezzando il silenzio che è piombato nuovamente sull’abitacolo.
Lennie è rimasto male da tanta scontrosità e si porta un
dito al colletto che gli stringe stranamente la gola. “Sei la fidanzata non
ufficiale più fredda che abbia mai avuto” borbotta notando che quel colletto
gli stringe un po’ troppo. Come le sue
mani attorno alla mia gola!
Maret si volta verso di lui e lo fissa mentre cerca di
slacciarsi il bottoncino “dai qua” mormora avvicinandosi e sfiorandogli la
pelle con le unghie fresche di estetista.
Lennie la osserva attentamente, perché da vicino è ancora
più bella e non si rende conto che lei lo sta quasi fulminando. “Che hai da guardare?” gli domanda restando immobile con le
mani ancora sul cravattino che lo sta strangolando.
“Tu” risponde istintivamente facendole alzare un
sopracciglio.
Maret lo fissa scocciata e si
allontana, tornando a guardare il vetro oscurato e la strada che si dipana
sotto le ruote della macchina. “Che cosa vuol dire
fidanzata non ufficiale?”
Lennie la osserva di sottecchi e torna a guardare fuori, i
semafori che scattano sul verde, le macchine che sembrano non avere fretta
quella sera e lo intrappolano con un cobra vivente e più irraggiungibile
dell’oro di FortNox.
“Niente…una cosa mia” le risponde lasciando cadere
l’argomento. Una donna normale si sarebbe impicciata a quella risposta così
evasiva e gli avrebbe fatto mille domande. Madeleine non è
così, a lei non interessanien…
“Visto che mi riguarda, insisto per
saperlo”
La frase secca di Maret gli ha interrotto il filo dei
pensieri. Toh, la curiosità è femmina davvero
allora, pensa schiarendosi la voce. “Mi piaceva una ragazza quando ero
piccolo…”
“Ok, basta così. È un racconto noioso” decide appoggiando il
gomito fra il vetro e la portiera, il mento sul dorso della mano.
Lennie la guarda disorientato. Non dice nulla e torna a
guardare fuori, maledicendo i chilometri che lo separano ancora dal luogo del
festeggiamento.
***
Bla, blabla…ma
quante chiacchiere inutili!
Maret si annoia a morte alla festa ma riesce a mantenere un
sorriso forzato e gelido che fa rabbrividire Lennie. Si annoia ma sta studiando
ogni più piccola uscita e finestra e qualsiasi cosa possa
aiutarla nel suo lavoro.
Se si arrabbiasse o almeno sbadigliasse, sembrerebbe un po’ più vera, pensa
guardandola di sottecchi.
Lennie non le capisce le donne, perché è troppo timido per avvicinarsi e mettersi li a studiarle.
Gli piace ammirarle da lontano ma non ha mai il coraggio di
farsi avanti soprattutto quando
lo colpisce qualcuna in
particolare.
È sempre stato troppo preso da altre faccende per fare
quello che fanno tutti i ragazzi; è bravo nel lavoro che fa, serio e
inappuntabile anche se spesso di sforza di fare la carogna che non è, perché se non mostri le palle in quel mondo, puoi star sicuro di
trovare qualcuno che prima o poi te le taglia.
Ha preso tutto il carattere di sua madre, timido e riservato
e neanche una briciola della potenza paterna che gli faceva venire le lacrime
agli occhi con un solo sguardo.
Quando Maret lo guarda in quel
modo, si ritrova di fronte a don Tommasino. Ma suo
padre alla fine lo abbracciava e gli faceva una carezza pesante e veloce, Maret
al
massimo, potrebbe dargli il calcio della pistola in testa!
Trova sempre una ragazza da portare alle feste mondane
perché non è malaccio e alle donne piace il suo modo di fare, un pò dolce e
imbranato, come se non sapesse mai da che parte cominciare. Non è raro che
arrossisca quando una donna gli rivolge un complimento, anche visibilmente
falso, prende cotte a ripetizione perchè ha la maturità sentimentale di un
adolescente che ha appena scoperto l’altra metà del cielo. Fortuna che sul
lavoro è tutta un’altra cosa.
Maret lo sta fissando con una velata minaccia negli occhi ed
eccolo là, nuovamente impacciato di fronte a lei, quando vorrebbe dare tutta
un’altra immagine di se “Mi sto annoiando” gli dice con il sorriso congelato
sul viso che le sta facendo dolere tutti i muscoli.
“Anche io, ma dobbiamo aspettare…”
Maret si stacca dal suo fianco e lo
fissa nervosa “tu indugi troppo per i miei gusti”
Lui la guarda e inclina leggermente la testa da una parte.
Maret ha notato che lo fa quando è seccato e non sa che pesci prendere; in
realtà lo fa perché sta pensando velocemente ad una soluzione che gli impedisca
di fare un’altra figuraccia. “Tra poco si riuniranno nella sala al terzo piano
per mettere giù una nuova strategia per la campagna elettorale. Se tu..”
“Ho capito tutto” borbotta guardandosi attorno.
Lennie non sopporta che gli tagli sempre i discorsi a metà:
già gli è difficile parlare con una donna normalmente, figurarsi con una come lei!
Maret ha già assunto una nuova espressione, una sorta di
velato compiacimento per quello che si accinge a fare.
Non per l’omicidio in se e per se, figuriamoci, ma perché così potrà
togliere i tacchi da quella festa noiosa, e soprattutto - getta uno sguardo al
suo mandante che sta parlando con un gruppo di affaristi
dall’aria losca - potrà togliersi dai piedi quel tipo che continua a fare il
gentile con lei e che avrebbe solo voglia di prendere a calci!
È troppo carino, Lennie, e Maret non lo
sopporta. Non lo sopporta perché le da fastidio che qualcuno le chieda ‘per favore’ le cose e le
da fastidio che le apra la porta ogni volta che entra in una stanza o le scosti
la sedia per farla accomodare. Per carità! Cosa sono
quelle stupidaggini romantiche che continua a propinarle?!
Ha studiato da
Monsignor della Casa? Senti tu come parla forbito!
Maret ridacchia sentendolo rivolgersi a delle signore,
probabilmente le mogli ignare dei tipi loschi di prima, con una gentilezza che
non gli fa difetto.
Si ritrova a studiarlo prima di rendersene conto. È carino
non può negarlo…ma sia chiaro: non è il tipo che piace
a lei!
Maret fa una smorfia quando lo vede chiacchierare
amabilmente continuando a sorridere con la sua faccia da angioletto. Deve
essere obiettiva per una volta e ammettere che quel ragazzo non è da buttare.
È grandicello per usare quel
termine, ma a Maret da l’idea di un poppante che è
stato buttato nella fossa dei leoni troppo presto e senza armi per difendersi.
Strano che non sia sempre circondato da donne: ha quella
faccetta da bravo ragazzo che attira le femmine con l’istinto materno piuttosto
sviluppato e le oche con tre neuroni a dir tanto, sempre a caccia di tipi
impaccati di soldi per farsi scorrazzare in limousine.
Avrà
doti nascoste,
pensa guardandolo intensamente...un bel po’ nascoste!
Non so perché, ma mi fa sempre venire i nervi!
Continua a farlo finchè non lo vede allontanarsi con un
sorrisetto da quelle vecchie citrulle che passano tutti i pomeriggi a farsi le
unghie e i capelli da Jean – Louis
– David sulla tredicesima avenue.
Quando si volta verso di lei, resta
piacevolmente sorpreso dall’attenzione che la donna gli sta rivolgendo - senza
rendersene conto probabilmente - perché continua ad avere l’occhio sinistro
leggermente socchiuso e le labbra appena aperte.
Maret continua a pensare che lo vedrebbe bene a scrivere
poesie d’amore sotto la luna, con un fiore in bocca e la penna d’oca, le mani
sporche d’inchiostro ma felice come un bambino per il sonetto che ha appena composto, strimpellando serenate all’amata che lo
ascolta dalla finestra….
…ci si vede quasi, nei panni della fanciulla
che gli getta un fiore o un fazzoletto profumato come pegno del proprio amore…
“Sono accettabile?” le domanda avvicinandosi con un
bicchiere di champagne in mano.
Maret si raddrizza, scuotendosi da quei pensieri assurdi e
romantici che ha sempre disprezzato e lo guarda con aria di sufficienza,
respingendo il bicchiere che le sta offrendo.
“E’ vero, stai lavorando” mormora
dispiaciuto per la nuova gaffe, posandolo su un tavolo ingombro di
bicchieri vuoti che i camerieri stanno togliendo velocemente.
“Io non bevo” afferma fredda e nervosa per la sciocchezza
che ha partorito la sua mente. Ok, era stanca e non vedeva l’ora di andarsene a
dormire! Quelle stupidaggini le pensa solo quando è molto stanca, non c’è altra
spiegazione.
Guarda l’orologio che porta al polso e poi lui, che continua
a toccarsi il colletto della camicia che gli va stretto. “Hai detto terzo
piano?” gli domanda mezza scocciata.
Lennie annuisce e la osserva muoversi fra il brusio della
folla come una visione angelica…no, un
angelo non ha quella lingua tagliente, pensa cercando di riprendendo il
bicchiere andando a vuoto. Guarda il tavolino sgombro della vetreria delicata e
sospira scuotendo la testa impercettibilmente.
Strano, quando non c’è lei, il colletto non stringe più in
quel modo soffocante.
Quando sta vicino a lei, Lennie perde
completamente la bussola.
Il corpo doveva aver fatto un bel volo, perché le membra
erano girate da angolazioni impossibili e il sangue
era schizzato fino alla strada, macchiando i vestiti dei passanti che stavano
passeggiando casualmente sotto il palazzo dove si svolgeva la festa e i taxi
fermi ad aspettare le chiamate.
Il corpo del defunto candidato Broden
era effettivamente caduto dalla bellezza di 300 piani, perché lì a Los Angeles
i grattacieli si sprecano e gli incidenti avvengono con una certa frequenza.
Anche gli omicidi.
“Opporcamiseria! Gesù mio!” continuava ad esclamare il portiere che aveva
chiamato il 911 quando se l’era visto crollare attraverso il tendone rosso,
direttamente all’entrata principale sui propri piedi.
“O madonna mia bella, un metro più in la e mi sarebbe caduto
addosso, sto guaglione” continuava a biascicare in
napoletano stretto alla polizia che aveva recintato la zona col nastro giallo e
teneva a distanza i curiosi e i necrofili che con quelle foto ci andavano a
nozze, perché le rivendevano su Internet.
“Sono già arrivati gli sciacalli!” sbottò il capitano di
turno indicando i giornalisti che si stavano accalcando e che rivendicavano la
libertà di stampa.
Fissò la squadra della scientifica che lavorava attorno al
corpo e gli rivolse la classica domanda che faceva sempre in quei casi “è stato
ucciso e si è buttato da solo?”
Il ragazzo che stava chinato a terra, alzò la testa con un
sorrisetto ironico e strafottente“ha le viscere
esplose nel corpo: secondo lei come facciamo a saperlo se prima non lo
esaminiamo per bene?!”
Il capitano lo guardò desiderando prenderlo a calci per
togliergli quel sorriso irriverente e fece un cenno annoiato “ho capito: anche
stanotte non si dorme!”
“Capitano, gli ospiti della festa sono tutte personalità di
spicco, c’è anche il cugino del sindaco…non possiamo trattenerli “ gli suggerì
a bassa voce l’agente Fernandez con la sua solita
parlata spagnola che al capitano piaceva molto perché gli ricordava la spiaggia
d’Ibiza sulla quale aveva passato un’estate fantastica da giovanotto.
Annuì grugnendo qualcosa fra i denti e le ordinò di farli
uscire dalla porta posteriore, poichè l’entrata principale era
stata recintata. “Ma prendi le generalità di
tutti gli invitati!”
“Ci potrebbe essere l’assassino la in mezzo” gli ricordò Migro sbattendo la penna su taccuino su quale aveva preso le
testimonianze delle persone che avevano visto volare il corpo. Poche e
fantasiose, in verità. Niente di nuovo in quel mestiere e in quella città.
Il capitano allargò le braccia impotente
“glielo spieghi tu al sindaco che gli abbiamo arrestato il cugino come presunto
omicida? Quello è capace di sbatterci a chiedere l’elemosina con i poveracci in
strada!”
***
“Signori, dovete darmi le vostre generalità; tutti, nessuno
escluso!”
Appena formulata quella frase, un coro di dissensi e di
minacce si levò contro la povera Fernandez che fece orecchie da mercante e il sorriso di quella che non gliene
fregava niente delle loro rimostranze.
Questa non ci voleva, pensò
Maret aggrottando le sopracciglia. Si staccò dalla presa di Lennie e si mosse
verso la strada senza farsi vedere dalla poliziotta accerchiata dalla folla dei
festeggianti impauriti e minacciosi.
“Dove stai andando?”
“Devo vedere una cosa…aspettami qui”
Sgusciò fra la folla, impigliando il vestito elegante che
teneva sollevato con una mano fra le gambe della gente che si accalcava sempre
di più attorno al nastro giallo.
“Signorina, che sta facendo?! Vada via di li” le urlò un poliziotto quando si fermò di fronte al corpo e lo
guardò prima impassibile e poi sempre più bianca.
“Madeleine!”
Lennie le era corso dietro temendo
una sua stranezza e ora si ritrovava a guardare un fantasma sempre più bianco e
traballante sulle gambe.
“Che hai, ti senti male?” le
domandò toccandola su un braccio e seguendo il suo sguardo fino alcorpo in terra. Lennie spalancò gli occhi e
cercò di non vomitare alla vista del sangue che arrivava fin quasi ai loro
piedi.
“Andiamo via” le ordinò tirandola per un braccio e
sentendola tremare sempre di più. La guardò senza capire finchè non gli si
afflosciò addosso e dovette quasi prenderla al volo per non farla cadere in
terra “Madeleine!” gridò preoccupato e senza riuscire a credere che la sua
algida killer, spietata e senza un minimo di cuore potesse svenire alla vista
del sangue.
“Signore!”
L’urlo del poliziotto che scavalcava la linea e accorreva
verso di loro, gli fece alzare gli occhi “che ha la sua signora, si sente male?”
“E’ svenuta..” Mormorò senza
crederci veramente.
“La porti via di qui e le tenga le
gambe sollevate. Non è un bello spettacolo neanche per noi, glielo posso
assicurare.”
Lennie annuì e prese in braccio Maret portandola di corsa
verso la limousine dove l’autista l’aspettava già col motore acceso e la
portiera aperta.
“E’ successo un casino” gridò quasi verso l’uomo di fiducia
che lo occhieggiava dal retrovisore.
“Che ha?” gli domandò vedendo la
donna pallida come un cencio.
“E’ svenuta”
L’uomo non parlò perché dirgli che era assurdo che
un’assassina a pagamento svenisse alla vista di un morto, era un concetto a cui
il suo padrone poteva benissimo arrivare da solo.
“Non ci posso credere! Ma come fa a
svenire una che questo lavoro lo fa dalla mattina alla sera?!” gli domandò
esterrefatto mentre la sdraiava su un fianco, sul sedile piuttosto capiente e
le tirava già la zip del vestito per farla respirare meglio.
“E’ pur sempre una donna” commentò alzando un sopracciglio
velocemente,
“Non farti sentire!” esclamò piuttosto divertito sentendola
mugolare.
Si chinò su di lei lasciandole tutto lo spazio possibile e
sventolandola con un depliant di viaggi che era
rimasto lì da chissà quando tempo “Madeleine…come ti senti?” gli domandò con
una vocetta carina che fece sgranare gli occhi all’autista che sorrise
malizioso.
Maret lo scostò da se con una certa stizza e si rimise
seduta toccandosi la testa e strappandogli il depliant di mano. “Bene, come
vuoi che stia!” sbottò innervosita e con un accenno di nausea “io ho fatto
casino e io ho rimediato”
“Che casino?” le domandò senza
capire e senza avvicinarsi.
“M’è toccato buttarlo di sotto, quel porco manolunga!” esclamò aprendo il finestrino e facendo entrare
l’aria fresca. Perché le veniva così tanto da
piangere?
“Non ho capito…” mormorò il suo mandante senza
raccapezzarsi.
Maret sbuffò e richiuse il finestrino, impedendo all’aria di
muoverle le ciocche che fino a quel momento avevano danzato attorno al suo viso
arrossato, attirando l’attenzione di Lennie che si era incantato a
guardarla.
“Credevi forse che il mio piano fosse quello di fargli fare un volo d’angelo senza paracadute?” gli domandò
esterrefatta.
Lui annuì aprendo una mano “perché, avevi altro in mente?”
Maret lo guardò incredula “questi metodi
camorristici, lasciali a qualcun altro! Io sono una killer seria! Volevo
fare un lavoretto pulito, ma quando il porco ha cominciato ad allungare le mani
non c’ho visto più e l’ho spinto di sotto. La finestra
era aperta, quindi non capiranno mai che è stato
gettato di sotto” mormorò continuando a sventolarsi con l’altra mano “non ho
pensato che ci avrebbero trattenuto all’interno dell’edificio e che ci
avrebbero preso le generalità…una mancanza da parte mia piuttosto
discutibile!”esclamò arrabbiata.
“L’hai fatto apposta..” Mormorò
sedendosi davanti a lei “non sopporti il sangue e hai pensato bene di inscenare
quel trucchetto per farci scappare senza problemi”
Maret sorrise appena, ancora rossa e
ansimante, la testa che le girava “bravo, sei sveglio”
Lennie la guardò ancora e fece una smorfia, chiudendo il
vetro separatore scuro e aprendo il mobiletto del bar. Tirò fuori una bottiglia
e un bicchiere e glielo riempì.
“Non bevo, lo sai” gli disse subito scorbutica.
“Neanche l’acqua?” le domandò restando con la mano sospesa
nel vuoto e un sorriso negli occhi.
Maret afferrò il bicchiere ma lo odorò prima. Quando fu convinta, ne mandò giù un piccolo sorso sentendosi
subito meglio. “Grazie” borbottò a mezza bocca notando con fastidio che era
rimasto del gloss sul vetro delicato. Lo tolse con il pollice e sobbalzò quando
sentì qualcosa di freddo che le veniva adagiato sulla
fronte.
“Che stai facendo?!” sbottò
allontanandogli la mano stretta attorno ad un fazzoletto umido.
“Ti soccorro” le spiegò posandole un’altra volta il
fazzoletto sulla fronte “sei svenuta come una pera e
mi hai fatto preoccupare. Per stasera il tuo lavoro l’hai fatto. Adesso
lasciami fare il mio”
Maret lo guardò per qualche istante imbufalita ma si
afflosciò sul sedile piuttosto sbattuta “e chi sei, un
medico?”
Lennie sorrise avvicinandosi un po’ per stare più comodo e
le toccò una guancia, rinfrescandola interamente “io curo
i miei affari e i miei collaboratori. Non vai da nessuna parte se non ti prendi
la briga di badare ai tuoi dipendenti”
Maret sollevò un angolo della bocca in quello che voleva
essere un sorriso sarcastico. Era troppo stanca per prenderlo
in giro così si limitò ad una frecciatina “scommetto che con uno di quei
bisonti che lavorano per te non l’avresti mai fatto”
Lennie ridacchiò accarezzandole l’altra guancia e sentendo
che il fazzoletto andava scaldandosi “No…non penso” ammise bagnandolo un’altra
volta e scendendo sul collo, facendole venire la pelle d’oca.
“E qual è la differenza fra me e
loro?” gli domandò vagamente a disagio. Gli bloccò la mano sentendo la
differenza fra le sue dita calde e il freddo dell’acqua e rabbrividì un’altra
volta.
“Loro non sono così carini”
Maret restò a fissarlo per qualche istante, la mano ancora
posata sulla sua e girò la testa tornando seria. “Sii gentile e riportami alla
mia macchina”
“Non vuoi che ti accompagni a casa?”
No, non voglio che mi
accompagni a casa. Non voglio che tu sia così gentile con me.
Quando scese dalla limousine, Maret si rese conto che aveva
il vestito aperto e lo guardò arrabbiata “Perché quella zip
non è chiusa?”
Lennie la fissò per un attimo e la girò su se stessa
tirandole su la zip con un moto di stizza. “La
prossima volta ti lascio sull’asfalto, strrga!” borbottò infuriato rientrando
in macchina e sbattendo la portiera.
“La prossima volta ti lascio sull’asfalto…pipipi” esclamò facendogli il verso. Cretino! Maret lo guardò come si farebbe con un ragazzino che sta
facendo capricci e bussò al vetro allungandogli uan busta porta documenti
gialla ocra, completamente anonima.
“Se per caso si cominciasse a parlare di omicidio…usa
queste”
L’uomo la prese con una certa curiosità e l’aprì lentamente,
infilando il naso dentro la busta. “Foto?”
Maret annuì annoiata “fotomontaggi per depistare
l’attenzione…sono perfetti” affermò soddisfatta appoggiandosi al tettino della limo.
Lennie la fissò per qualche secondo, gettando casualmente le
foto sul sedile accanto a se. “Sei fantastica, lo
sai?”
Maret stava per rispondergli acidamente ma restò bloccata
dallo sguardo di sincera ammirazione che leggeva nei suoi occhi.
“Mh” mugugnò titubante scostandosi dalla macchina.
Lennie la vide allontanarsi verso la propria e restò a
fissarla mentre scivolava dentro. Maret non mise in moto subito: restò a
guardare un punto indefinito davanti a se e quando avviò il motore, sempre con
l’aria distratta, alzò per una frazione di secondo gli occhi osservando il suo
mandante che le sorrideva alzando una mano in segno di saluto.
Lo fissò finchè il vetro brunito non lo escluse dalla sua
vista e restò per molto tempo a guardare la macchina che si allontanava,
scivolando come un lungo serpente nella strada illuminata di lampioni
arancioni.
Appoggiò la schiena al sedile stancamente e si fissò le
unghie che stavano grattando dolcemente un angolo del volante di pelle. Fantastica…già, come no.
Capitolo 5 *** La cosa giusta al momento giusto ***
Pizzicore alla guancia, un pizzicore…
Pizzicore alla guancia, un pizzicore…un solletico ritmico…
come uno sfregare insistente.
Maret balza a sedere sul letto, obnubilata dal sonno e con
la destra stretta attorno alla Glock.
Mossa sbagliata, dovevo usare la sinistra, pensa sentendo
quel pizzicore alla guancia che non è altro che lo strofinare insistente di un
dito sulla pelle.
“Ben svegliata Madeleine…dormi sempre con la pistola sotto il
cuscino? in Un po'scomodo! ”
“Sempre” mormora raddrizzando la mano e aprendola, lasciando
dondolare la pistola.
Lennie gliela toglie e continua a tenerle puntata la sua
alla tempia, sebbene sia scarica. Ma lei non lo sa,
perché dirglielo? Un secondo dopo anche lui la mette via e sospira.
Maret gira la testa verso di lui, un sorriso beffardo sulle
labbra e una piega d’irritazione che le corre fra le sopracciglia scure “come hai
fatto a trovarmi?”
Lennie sorride aspettandosi la domanda
“Madeleine, mi credi così stupido? Io curo i miei interessi, non dormo
certo da piedi!” esclama staccandosi dal comodino sul quale
è seduto e passeggiando tranquillamente fino ai piedi del letto. Infila le mani
in tasca e la guarda, avvolta in una sottoveste che mette ancora più in evidenza
la sua pelle abbronzata e bellissima.
Maret non fa nessun gesto di coprirsi. Resta a fissarlo
intensamente, seduta. Sbatte gli occhi cercando di non stropicciarseli e
attende che quel tipo strano parli. O ci provi con lei.
Dio ti prego,
dammi il pretesto per prenderlo a calci!
L’uomo inclina la testa e continua fissarla con aria pensierosa
“hanno mai ucciso per te, Madeleine?” le domanda con
voce seria e bassa.
L’accento irlandese si sente di più quando è agitato o
eccitato. Adesso parla senza fretta e ha una cadenza dolce e ipnotizzante.
Maret lo fissa non provando alcun sentimento. Solo fastidio
per essere stata svegliata per rispondere a stupide domande.
“No...non che io sappia”
Scruta da capo a piedi quella figura che non è proprio
malvagia, non gli manca nulla al suo datore di lavoro. È alto e ha un bel
fisico, leggermente curvo di spalle come quelli che sono
cresciuti tutto insieme, troppo in fretta per dare al corpo il tempo di
adeguarsi al passaggio dall’infanzia all’adolescenza. Gli occhi celesti in
perenne movimento, ora sono immobili sul suo viso leggermente magro e i capelli
castani scuri sempre perfettamente in ordine, sono scompigliati come se si fosse
passato le mani in mezzo più volte.
No, non è brutto Lennie.
Ma non è niente, è solo quello che le da
gli incarichi e scuce fior di dollari per le sue richieste spesso
assurde. “Hai un lavoro per me?”
“No”
“Allora cosa sei venuto a fare?”
Maret è perfettamente sveglia, sulla difensiva e sta
cercando la seconda pistola, piccola e maneggevole che tiene sotto il secondo
cuscino. Una vecchia abitudine che ha preso quando viveva con
MacMahon: spesso lui le faceva delle sorprese nel cuore della notte per
abituarla a non dormire troppo sugli allori, perché spesso non sei al sicuro
neanche a casa tua. Ho ricordato
di caricarla?
Lennie fa spallucce appoggiando un piede alla testiera “mi andava
di venderti. Una settimana è lunga”
La donna gira lo sguardo verso la sveglia e si accorge che è tardi. Sono le 11:30. Strano… lei
non dorme mai fino a tardi.
“E mi piombi in casa alle 11 di sabato
mattina perché ti manco?” domanda esterrefatta ficcando una mano sotto il
cuscino, casualmente.
Le fa una smorfia, senza parlare annuendo e continuando a
tenerle gli occhi fissi sul viso. Strano...Maret
si aspettava di essere slumata
dal maniaco, invece non ha fatto viaggiare lo sguardo più del dovuto.
“Volevo invitarti a pranzo”
“Non pranzo mai”
“E scommetto che neanche ceni”
“Bravo!”
Lennie la guarda grattandosi un labbro che porta una piccola
escoriazione dovuta al rasoio vecchio che ha usato quella mattina e fa
nuovamente quella smorfia che Maret ha notato già dal primo giorno: la faccia
di uno che sa che sarebbe andata a finire in quel modo ma che non demorde “ok”
borbotta allontanandosi di un passo. “Mi dispiace di averti svegliato”
Maret lo fissa in silenzio stringendo la piccola pistola e
non da cenni di volerlo scusare. La costringe a cambiare casa, in quel modo.
“Bell’anello di fidanzamento…toglimi una curiosità: che fine
ha fatto quello che te l’ha regalato?” le domanda
vedendola finalmente in difficoltà.
Dopo un iniziale smarrimento, Maret recupera tutto il suo
sangue freddo e lo guarda calcando bene sulle parole “è morto. L’ho ammazzato
perché faceva troppe domande” risponde restando ferma, aspettandosi una seconda
mossa da quell’inopportuno rompiscatole.
Lui alza le sopracciglia e annuisce più volte. “Mh…sei senza
scrupoli”
“Certo. È per quello che faccio bene il mio lavoro” afferma
rilassandosi e sdraiandosi senza degnarlo di una seconda occhiata.
Lennie la osserva mentre sprimaccia il cuscino “secondo me
sei solo una grande stronza e basta”
Maret alza un angolo della bocca e annuisce “bravo, l’hai
capito”
***
Ho trovato il pretesto
per prenderlo a ceffoni! Decide muovendo nervosamente il piede e attendendo
che Lennie faccia la sua apparizione nell’ufficio. L’hanno
fatta accomodare da quindici minuti perché ‘il signore
era in riunione’ ma ancora non si è fatto vedere.
Rigira fra le dita l’anello e guarda la scrivania ordinata di Lennie chiedendosi
di cosa si stia occupando in quel momento. Lancia uno sguardo
alla porta e si alza lentamente senza far strisciare la sedia sul pavimento.
Aggira la scrivania e si siede sulla poltrona con aria soddisfatta. Quanti bei cassetti, pensa aprendone uno
col dito e tirando fuori dei fascicoli che sfoglia incuriosita. Maret è ferrata
in matematica e capisce subito che qualsiasi affare stia trattando Lennie,
renderà un mucchio di soldi.
Lo chiude e rimette tutto a posto, cancellando l’impronta
con un fazzolettino. Se guadagnava così tanto poteva
permettersi anche di pagarla il doppio!
Ha appena formulato quel pensiero gratificante quando la
porta si spalanca e Lennie entra di corsa mezzo scapigliato e con l’aria
distrutta “scusa, mi hanno trattenuto…” mormora guardandola distrattamente. Resta immobile ad osservarla seduta al suo posto, col viso impassibile
e un groppo in gola.
Le occhiaie del suo capo le fanno pensare che abbia
trascorso più di una notte in bianco “che ci fai la dietro?” le
domanda avvicinandosi con aria nervosa.
“Provavo la sensazione di essere
ricca, mafiosa e a capo di una bella organizzazione privata.” Risponde
spiritosamente, alzandosi leggera e facendo girare la poltrona. “Per adesso ho
capito solo che hai la poltrona comoda.”
Lennie la osserva appoggiarsi sullo spigolo della scrivania
e attendere “allora? Mi sembra di averti aspettato anche troppo”
“Non ho incarichi da darti” afferma scrutandola da capo a
piedi.
Maret s’irrigidisce e torna a terra infuriata “cosa mi hai chiamato a fare, allora?!”
“Posso offrirti qualcosa? Un aperitivo, qualcosa da
sgranocchiare…scegli tu” le dice senza rispondere al suo tono aggressivo e
adocchiando il minibar rifornito “a già: tu non bevi e non mangi…” mormora
sentendo i suoi tacchi che si avvicinano. Qualche istante dopo si ritrova a
guardare una gelida Maret dritta negli occhi e lascia quasi cadere la bottiglia
che ha in mano.
“Stammi a sentire, idiota!” sibila
con aria cattiva “non devi MAI e poi MAI, disturbarmi quando non hai incarichi
da darmi. Non devi MAI più presentarti in casa mia e non devi provare a
scherzare con me neanche da lontano”
“Mi stai urlando in faccia”
“E allora?”
“Non è educato”
Maret resta a fissarlo ammutolendo e rendendosi conto di
aver gridato come una portinaia al mercato rionale della domenica. Si ricompone
silenziosamente e continua a fissarlo: quell’arietta tranquilla non le piace
per niente, perché non ha paura di lei e la cosa la manda in bestia.
Lennie la guarda visibilmente colpito dalla sua bellezza e
non passa neanche un secondo da quando le sue braccia si chiudono attorno alla
vita di Maret e le sue labbra si posano su quelle della donna che resta
immobile e non lo ricambia.
Quando la lascia, Maret lo fissa
con aria sprezzante e un labbro che sembra stia tremando. Ma
non è sicuro perché è un movimento troppo repentino da registrare.
“Adesso sei contento?” Mormora allontanandosi di un passo.
“Mica tanto” risponde rendendosi
conto di aver fatto una cazzata. E vede ancora quel
labbro tremolare; stavolta lo vede ma sembra che la bellissima proprietaria non
se ne sia accorta.
“Ma che fai, piangi?” le domanda
avvicinandosi alla donna che indietreggia ancora, fino a toccare lo spigolo
della libreria con la schiena.
“No, perché dovrei?” risponde percependo vagamente una
sensazione di bagnato sul viso. Alza una mano e tocca la guancia, stupita di
ritrarla umida. Sfiora più volte il viso e non capisce come mai siano bagnate,
come mai stia piangendo e Lennie la osserva, frugandosi in una tasca alla
ricerca di un fazzoletto da porgerle, come il vero gentiluomo che non è, perché
è solo un poveraccio che sta cercando di farsi da solo ed è arrivato dove è
arrivato leccando le persone giuste ed eliminando quelle fastidiose e scomode. Le
avvicina la sedia e Maret ci crolla sopra con le gambe improvvisamente pesanti
perché erano mesi che nessuno la baciava ed erano mesi che nessuno era così
carino con lei.
Un bicchiere d’acqua fresca le viene
porto in silenzio e lei lo prende e lo tiene fra le mani, guardando le
bollicine dell’anidride carbonica che salgono in superficie ed esplodono una
dopo l’altra. Ne beve un sorso solo, pensando alla magra figura che sta facendo
di fronte al suo ricco mandante che si è seduto silenziosamente accanto a lei e
aspetta che abbia finito di fare la pazza isterica anche per quel giorno.
“Dubito che sia stata colpa mia.” Afferma osservando la sua
figura di tre quarti da quella prospettiva.
Maret non risponde, perchè non lo sa neppure lei il motivo
di quella reazione ma avverte dentro di se un certo pizzicore che le gratta i
polmoni e il cuore, una nostalgia che le fa così male da lasciarla senza fiato.
Resta in silenzio perché anche emettere una singola vocale le
costa una fatica tremenda.
“Ti lascio un po’ da sola” mormora alzandosi, vedendola
girare la testa per escludere il viso dalla sua vista. Per una frazione di
secondo ha potuto vedere lo stesso la guancia nuovamente bagnata.
Si muove verso la porta, senza guardarsi indietro “resta
quanto vuoi, prenditi il tempo che ti serve per risistemarti.”
Le dice restando con la mano sulla manopola d’ottone cromato e lo sguardo fisso
sulla fessura che si sta aprendo di fronte a lui.
“Grazie” mormora a bassa voce fermandolo “mi dispiace
d’avere urlato”
Lui sorride appena e ci prova nuovamente perché è quello che
ha sempre fatto con le ragazze di cui s’innamorava da ragazzino “Non importa.
Tu vieni a cena con me ed io ti perdono”
Aspetta per qualche secondo di sentire un risolino beffardo
o un ‘no’ deciso, lo sguardo
tranquillo rivolto allo stipite della porta.
“Va bene”
Lennie guarda il corridoio davanti a se e muove la testa da
una parte...sarà stato il bicchiere d’acqua a
convincerla o il fazzoletto che le aveva dato?
***
Il bicchiere d’acqua o il fazzoletto? Si domanda ancora
mentre si veste per andare a cena con quella modella scontrosa che scoppia a
piangere quando viene baciata maldestramente come
aveva fatto lui nell’ufficio.
Non si stupirebbe di non vederla apparire. Ha tutta l’aria
di una che fa il vento alla minima difficoltà.
Siede al tavolo del ristorante che ha scelto, non troppo
romantico ma lussuoso quel tanto che basta per far colpo su una donna. Su
quelle che frequentava funzionava sempre, con Madeleine non ne
era poi tanto sicuro.
Lennie ha 38 anni e una vita disastrosa alle spalle. Il
padre era un mafioso italiano pentito, emigrato in Irlanda per scappare dalla
stessa gente che fino a qualche giorno prima gli aveva stretto la mano e dato
pacche sulle spalle chiamandolo ‘amico’.
Gli ‘amici’ gli hanno massacrato
la famiglia quando ha aperto bocca e Don Tommasino si è dato alla macchia,
facendosi una nuova identità e una nuova famiglia in Irlanda. Gli ‘amici’ l’hanno trovato e l’hanno fatto fuori in un agguato
camorristico in piena regola, facendo cadere la colpa sui facinorosi dell’Ira e
scatenando un vespaio.
A lui non l’hanno ammazzato perché il padre ha pensato bene
di farsi una famiglia si, ma non legalmente. Un figlio illegittimo che don
Tommasino andava a trovare ogni settimana e cercava di rispondere a tutte le
domande che gli faceva “ma perché non vivi con noi,
papà?”
“Un giorno capirai, figlio”
“Io voglio capire adesso!”
“Hai lo stesso carattere testardo di tua madre”
Lennie l’aveva capito quando aveva 12 anni e si era
ritrovato orfano di padre, con la madre quasi impazzita dal dolore. Si erano
stabiliti a Los Angeles, nella terra delle grandi speranze, facendo mille
lavori per sbarcare il lunario, finchè Lennie non aveva trovato un boss potente
a cui appoggiarsi che non ne sapeva niente di mafia italiana e che non aveva
alcun interesse a stringere rapporti con loro.
Lennie era cresciuto sbattendosi in mille modi, per
conquistare un minimo di potere in quell’organizzazione tutta omertà e regole
non scritte e quando i tre l boss era stirato e
l’aveva disegnato successore aveva pensato: e adesso?
Aveva pensato: come mi vendico?
Aveva pensato: come ci arrivo a don Antonio e a tutti gli
altri?
Aveva pensato: ho bisogno di gente con le palle, che faccia
i peggiori lavori e di professionisti seri e puliti che non domandino ma agiscano.
E poi aveva conosciuto Maret…
Guarda l’orologio notando che era in ritardo già di un
quarto d’ora.
Spera: starà parcheggiando.
Pensa: mi ha rifilato il bidone!
Dieci minuti dopo si alza con sguardo eloquente,
aggiustandosi la giacca che si è sgualcita da un angolo e fissando la sedia
vuota davanti a se.
“Scusa…ho avuto un problema alla macchina”
Lennie abbassa gli occhi su una donna raffinata come la seta
pura e vestita elegantemente, le mani sporche di grasso che non riesce a
mandare via con quel fazzolettino delicato e pressoché inutile.
In silenzio e cercando di essere il più galante possibile,
le prende la giacca e le sposta la sedia invitandola a sedersi.
Maret lo guarda e accenna un sorriso “ordina anche per me
mentre vado in bagno a lavarmi le mani nuovamente.”
“Non so cosa ti piace” mormora con quella cadenza ipnotizzante
e dolce ancora più accentuata dal groppo in gola che gli si è formato da quando
ha visto la sua schiena seminuda e i capelli che le accarezzavano le spalline
del vestito
“Andrà bene qualsiasi cosa”
L’uomo la guarda un’altra volta e annuisce osservandola
allontanarsi verso la toilette delle signore.
È quel silenzio al momento giusto che le ha fatto accettare
il suo invito. Quel restare in silenzio quando ce n’è bisogno e il dire la cosa
giusta al momento giusto quando ha bisogno di sentirla.
E Lennie si risiede e continua a pensare:
il bicchiere o il fazzoletto?
Striscia lenta, non ti fermare…continua piano piano
Striscia lenta, non ti
fermare…continua piano piano...non farti sentire. Un
passo alla volta, sposta il gomito e poi il ginocchio… avanza cauta e spera che
i proiettili non si squaglino del ghiaccio. Sai che risate? Arrivi davanti alla
vittima e i proiettili sono evaporati!
Maret sorride al pensiero e continua ad avanzare nel tubo
dell’aerazione che corre come un serpente metallico fra le costole del palazzo
in cui soggiorna la sua vittima.
Rew
Don Vincenzo è una vecchia spina nel fianco di Lennie. Quando
il suo mandante aveva saputo che era appena giunto in città, l’aveva mandata a
chiamare dimenticandosi tutta la timidezza che provava nei suoi confronti e
l’aveva accolta con uno sguardo freddo e deciso che Maret aveva apprezzato
seriamente per qualche istante, dimenticando di disprezzarlo. Le aveva promesso
un guadagno niente male per liberarsi di quel sorcio traditore e lei aveva
sollevato le spalle fregandosene dei perché e dei percome lo volesse
morto, poichè Lennie aveva pronunciato la parolina magica che a Maret piace
tanto: fai tu!
“Un omicidio anonimo o qualche vaga traccia del mandante?”
gli aveva chiesto mentre l’uomo avvampava di rabbia guardando la foto del
vecchio.
“Anonimo, per adesso” le aveva detto
sbattendo una mano sulla scrivania, il fuoco della vendetta che lo divorava
dentro “prima lui, poi tutti gli altri…e sono tanti, Madeleine”
Lennie aveva aggirato la scrivania rovesciando quasi lo
schedario nero che Maret guardava sempre incuriosito perché era da lì che
tirava fuori i suoi incarichi.
Stava seduta sulla sedia di fronte a lui, quando l’aveva
visto chinarsi e si era istintivamente spostata all’indietro per la sorpresa e
un po’ di batticuore che doveva essere analizzato con calma e in solitudine.
“Sono tanti, il che vuol dire tanti
soldi nelle tue tasche!” aveva sibilato perdendo per qualche momento la sua
faccetta da bravo ragazzo. Maret stava ammirando quel lato del suo carattere
che non conosceva quando Lennie si era spostato, schiarendosi la voce e
passandosi una mano fra i capelli, nuovamente impacciato. “Scusa, mi sono
lasciato trasportare”aveva mormorato girando un po’ a vuoto e facendola
sorridere internamente. Ma poco.
“Per quando lo vuoi il lavoro?”
“Il più presto possibile”
“Stasera va bene?”
Lennie l’aveva guardata stentando a credere alle sue
orecchie e aveva annuito un pò titubante.
“Pensavo ad una cosa veloce e raffinata. Si deve vedere la
mano dell’esperto” aveva biascicato sottovoce sedendosi sullo spigolo della
scrivania “so che da te posso aspettarmi questo e altro”
Maret aveva sorriso al complimento perché si reputava una delle
migliori assassine a pagamento sul mercato e si era alzata con una certa
soddisfazione negli occhi “continua così e andremo d’accordo, tu ed io” aveva
dichiarato avviandosi verso la porta chiusa.
Stava uscendo quando qualcosa l’aveva fermata. Si era girata
verso di lui, richiudendo la porta e camminando soprappensiero verso la figura statica del suo mandante.
“Mi sei piaciuto, prima. Tutta quella foga che hai messo nel
discorso, non era male” aveva borbottato alzando un sopracciglio e inclinando
la testa a sinistra.
Poi gli aveva quasi fatto prendere un colpo quando gli aveva
appoggiato le mani sulle spalle battendone una “hai del potenziale.”
Lennie l’aveva guardata con uno sguardo strano che Maret non
era riuscita ad identificare ed era rimasto immobile “per fare cosa? Tenere
comizi in piazza?” aveva domandato con voce vagamente bassa e morbida,
scendendo dallo spigolo e costringendola ad alzare la testa per guardarlo.
Maret aveva sospirato enigmatica, tanto che Lennie non aveva
capito se stava dicendo sul serio o lo prendesse in giro.
“Hai le palle, peccato che non le tiri
mai fuori”
Quella frase l’aveva fatto incazzare notevolmente e Maret
aveva potuto vedere un nuovo aspetto del suo mandante, il secondo della
giornata, che l’aveva stupita parecchio.
“Madeleine, certe volte rimpiango che tu sia
una donna.”
“Perché? Ti sei arrabbiato e vorresti picchiarmi?” l’aveva stuzzicato continuando a
sorridere maliziosa.
“Si, quindi vattene e fai quello che devi fare” aveva
borbottato spostandosi da lei “e non toccarmi”
Maret era rimasto a fissarlo per qualche istante buono,
perché quell’ultima frase le aveva dato abbastanza
fastidio e non riusciva neanche lei a spiegarsi il motivo. S’incupì e il
sorrisetto sparì dalle sue labbra rosate che si strinsero l’una contro l’altra.
Era uscita in silenzio e Lennie era rimasto a guadare la porta pensieroso, ammettendo dentro di se che quella
donna non aveva tutti i torti ma che era stato un vero stronzo ad arrabbiarsi
con lei.
Perché quel niente che c’era fra
loro, si era incrinato e adesso sarebbe stato ancora più difficile ricostruirlo.
******
Stronzo! ’Non toccarmi..’ ma chi ti tocca! Cretino! Borbottava dentro di se
mentre scivolava leggera nel condotto dell’areazione e si affacciava alla
griglia metallica.
Lo trovò immediatamente l’appartamento del don e restò a
lungo ad osservare la stanza.
Il salotto era gradevole…e desolatamente vuoto.
La sua vittima doveva essere in giro con le guardie del
corpo perché era assurdo che non ci fosse nessuno…a meno che non avesse sbagliato appartamento, in quel caso si sarebbe
sparata da sola, solo per tutta la strada che aveva fatto per arrivare fino
laggiù.
I gomiti e le ginocchia le facevano male, ma non poteva
mettersi delle ginocchiere gommate perché le avrebbero impedito
di sentire il contatto con il pavimento metallico e lei aveva bisogno della
massima sensibilità disponibile.
Inguainata in una lunga tuta nera che non usava da parecchio
tempo e con una mascherina con i filtri per non respirare la polvere, Maret
aspettava, cercando di non addormentarsi e nel frattempo preparava la sua arma decidendo
di tirare fuori i proiettili all’ultimo, per evitare che si sciogliessero prima
del tempo, sebbene la dentro facesse un freddo cane.
Si sarebbe presa un raffreddore per colpa di quello stupido
che si offendeva per nulla!
Perché se la sarà presa, poi! Ho detto solo la
verità! Pensò sistemando la canna della pistola lunga fra le sbarrette
grigie della griglia.
Guardò l’orologio e aspettò…aspettò così tanto che le dita si
stavano stancando e i gomiti le facevano sempre più
male.
‘Non toccarmi’
Maret scuotè la testa e sbattè gli occhi sentendoli pieni di
sabbia, tirò fuori gli occhiali protettivi decidendo di toglierli nel momento
in cui il vecchio si sarebbe presentato, per non alterare la mira.
Era quasi l’alba quando si svegliò di soprassalto.
Cazzo, cazzo! Mi sono
addormentata! Pensò disperata sentendo i muscoli che le tiravano e i gomiti
divorati da migliaia di formichine sottopelle.
Guardò attraverso la grata e lo vide, finalmente: il vecchio
era seduto e stava facendo colazione con il giornale davanti al viso. Brutto disgraziato, pensò tirandogli un
accidente, abbassa quel giornale che devo
prenderti per bene!
Restò immobile gemendo fra i denti per la scomodità e lo
osservò allungare una mano per prendere la tazza del caffè.
Quando non la trovò e spostò il
foglio stampato cercandola, Maret sparò usando il suo proiettile speciale che
fortunatamente non si era sciolto nella protezione in cui l’aveva posto.
L’idea le era venuta preparandosi
un cocktail, una sera. Il ghiaccio era tagliente e lei si era graffiata quasi a
sangue. Era rimasta a guardare la scaglia che si era squagliata immediatamente
sotto le sue dita e aveva alzato gli occhi verso la finestra con un’idea che
strillava per essere messa a punto.
Proiettili di ghiaccio: efficaci e letali, non lasciano
segni, nessuna rigatura e si sciolgono nel corpo.
La testa di don Vincenzo restò per qualche attimo immobile e
poi si afflosciò sul petto, come se il vecchio si fosse appisolato dopo un
pasto abbondante.
Meglio di così non poteva andare, pensò
strisciando via
***
Lennie ascoltò la notizia dell’omicidio dell’uomo con poca
curiosità, perchè sapeva che Madeleine era infallibile; a lui interessava la
tecnica che aveva usato e alzò il volume col telecomando, quando dichiararono
che il defunto era morto in circostanze misteriose e che l’arma non era stata
ancora trovata.
L’omicidio risaliva a qualche ora prima e l’uomo restò
piuttosto stupido guardando le lancette: era mezzogiorno e lei gli aveva
promesso di occuparsi dell’ormai ex don Vincenzo - spero che tu possa sprofondare
all’inferno, schifosa bestia mal cresciuta– durante la nottata.
Pensò che qualcosa non doveva
essere andata per il verso giusto e si preoccupò immediatamente per Madeleine,
sentendo un sudore freddo che scendeva lungo la schiena.
Al telefono non rispondeva e lui era sempre più inquieto.
Aspettò un’altra ora e poi, col cuore che batteva il timore che le fosse
successo qualcosa, si diresse verso l’appartamento sperando di trovarla intera,
in forze e magari anche arrabbiata… altrimenti non sarebbe stata la sua solita
Madeleine.
***
Maret si alzò a fatica dal letto, distrutta dalla nottata e
ancora formicolante, mezza congelata per il freddo che aveva preso e la testa
che chiedeva pietà e un'aspirina al più presto. Afferrò la prima vestaglietta
che trovò, se la gettò addosso senza badare che fosse al dritto e barcollò
verso la porta, quel fastidiosissimo din - don che continuava e le apriva il
cervello senza pietà.
“Ma chi è?” borbottò aprendo la
porta con rabbia. Restò a guardare il suo datore di lavoro che la osservava da
capo a piedi e sospirò esausta “che cavolo vuoi? Sono
appena tornata, ho sonno, il lavoro l’ho fatto! Vattene e lasciami dormire!” esclamò cercando di sbattergli la porta in faccia senza
riuscirci. “Togli quel piede di mezzo” borbottò distrutta e con poca voglia di
litigare.
“Stai bene, meno male!” lo sentì sospirare con voce
alleggerita dalla tensione.
“Certo che sto be..”
Maret s’interruppe sentendo un corpo caldo e piuttosto ben
costruito che l’abbracciava. Restò immobile senza credere che stesse succedendo
veramente, investita da un calore intenso che la scaldò completamente in un
attimo.
Lennie l’abbracciava senza pensare di star rischiando la
vita e la virilità e la stringeva con trasporto “ho sentito dell’omicidio alla
televisione e mi sono preoccupato perché diceva che era successo poche ore fa.
Credevo che ti fosse capitato qualcosa di male e mi sono
precipitato. Tu non rispondevi al cellulare…che dovevo pensare?” le
chiese lasciandola andare e rimettendola a terra perché nella foga
dell’abbraccio l’aveva sollevata sulle punte dei piedi.
“Madeleine...stai bene, si?”le domandò scrutando il suo volto che era
rimasto congelato in un’espressione di sorpresa.
Maret si riscosse sentendo il freddo del pavimento sotto i
piedi e lo guardò stranita e imbarazzata “Certo che sto bene…” mormorò
scostandosi di qualche passo, la mano sulla manopola della porta “adesso torno
a dormire” borbottò di nuovo, più a se stessa che all’uomo che la guardava
incuriosito. “Hai la vestaglia al contrario” le
disse vedendo le cuciture al rovescio.
Maret annuì e gli chiuse la porta in faccia senza aver
capito un accidenti di quello che gli aveva detto…sì, la vestaglia al rovescio…certo, ora la giro,
pensò sedendosi sul letto e tirando le gambe sotto di se.
Si sdraiò con l’aria ancora stupita e restò a fissare il
buio per un po’, finchè il sonno non la ghermìnuovamente e la trascinò in un posto caldo che con profumava
vagamente di Lennie.
L’omicidio di don Vincenzo aveva scatenato un vespaio nella lontana
Italia
L’omicidio di don Vincenzo aveva scatenato un vespaio nella
lontana Italia. Si parlava di un regolamento di conti interno, dei cugini
d’oltreoceano che si erano intromessi negli affari di famiglia e tante altre
supposizioni che non trovano riscontro, alimentavano gli animi già piuttosto
tesi. Nessuno aveva preso in considerazione l’operato
sotterraneo e oscuro di Lennie Darco che si muoveva strisciando fra di loro,
deciso a sterminarli tutti uno per uno.
Nessun ricordava l’esistenza di un tale Lennie Darco, e
nessuno l’associava alla figura di don Tommasino, pentito e ‘fetuso’ traditore.
C’era un Darco tanto tempo fa, ma non potevano certo essere
parenti, perché per gli ‘amici’ don Tommaso era
crepato in autostrada, saltando insieme a cinque chili di tritolo, etto più
etto meno - ma chi li conta, l’importante è il botto finale - ben 26 anni fa e
donna Giulia, con i piccirilli che ancora non
andavano all’asilo, era sottoterra da tempo.
Per cui Lennie era al riparo da ogni congettura: per gli ‘amici’, è solo un ‘piccoletto’ con una banda di poveracci locali che estorceva
il pizzo ai commercianti e si atteggiava a gran signore - quello scugnizzo senza ne arte ne parte nella vita.
Immaginate quanto faceva piacere al mandante di Maret una
tale definizione. Aveva il vantaggio della sorpresa dalla sua e intendeva
approfittarne fino all’ultima briciola.
***
“Ce la fai a farmene fuori due in una sera, Madeleine?”
La donna alza lo sguardo dalle foto dei due un po’
titubante: dovrà sbrigarsi se vuole riuscire a conciliare il lavoro in radio e
le richieste di Lennie. Due...non ci riuscirà mai in così poco tempo!
Non accetta di non svolgere un lavoro così semplice e
stringe le labbra, indurendo le guance. “Certo che ce la faccio!” esclama
muovendo la bocca senza che il cervello le abbia dato
il consenso di farlo. “Ma avrò bisogno di una macchina
veloce e di un autista muto e fidato”
Lui acconsente e Maret lo guarda ancora una
volta dritto negli occhi. Quando è così deciso
è tutta un’altra persona!
“Perfetto! Devo andarmi a preparare. Fammi venire a prendere
alle due sotto il palazzo della Compaq.” Sbotta alzandosi in fretta e facendo i calcoli a
mente…dovrà essere veloce.. “raffinato?”
Lennie le fa un gesto annoiato con la mano “falli crepare
nel modo peggiore che ritieni possibile”
Maret lo guarda stupita perché non l’ha mai visto così
arrabbiato ma non dice nulla. Esce quasi correndo sperando che gli zigomi di
resina siano pronti …e che quella macchina sia dannatamente veloce!
Alle due di notte, una scassatissimaFord si ferma sotto il palazzo. Maret è imbufalita e
quando sale aggredisce il conducente, lo stesso della limousine.
“Questa vola” borbotta senza darle tanto peso, perché è esattamente
quello che gli ha detto di fare il suo padrone e perché la giudica abbastanza
insopportabile da prenderla a ceffoni.
“Fermati qui” gli ordina facendolo parcheggiare in una
stradina buia.
Quando scende il conducente resta a guardarla...ma che cavolo…”sei la stessa
rompicoglioni di prima?” le domanda stentando a
riconoscerla dopo quella trasformazione.
“Si, stronzo!” sbotta semioffesa. “Spegni il motore e
riaccendilo fra 3 minuti esatti!”
Primo omicidio: Bowling Treballs, ore 2:15
Testimonianza di PeterCress, ore 2: 23 a.m.
‘Si, si...unapiccola afro americana. Si vi dico, quante
volte ve lo devo ripetere? È entrata da sola e non aveva niente in mano,
neanche la borsetta e mi è sembrato strano perché le
ragazze di solito escono con la borsetta, cascasse il mondo.
Doveva avere un genitore
bianco…quel naso non è propriamente negroide, era sottile, però era una bella
figliola.’
Testimonianza di JoeffreySmith, ore 2: 33 a.m.
‘Già proprio una bella ragazzona! Bel seno, una terza
abbondante su cui dormire sogni d’oro...ah, non vi interessa,
scusate. Si, era nera e carina, sembrava una di quelle modelle dei cartelloni
sugli autobus. Qualcosa di particolare? Boh, io ho
visto solo quelle gran tette! E credetemi, le so riconoscere quelle al silicone! Quella era roba genuina al 100% !’
Secondo omicidio : Pizza Hut,
ore 2:30
Testimonianza di HelenParker, ore 2: 42 a.m.
“Il più bel ragazzo che
abbia mai visto! Un po’ androgino, ho pensato subito che fosse un gay.
Accidenti era così bello che non sono riuscita a
rivolgergli la parola. Si, mi ha sorriso chiedendomi del bagno …si ,aveva un dente un po’ storto ma con un viso come quello
chi ci fa caso? Altezza? Mah, non lo so…più alto di me. Io sono un metro e 50,
quindi sono tutti più alti di me!’
Testimonianza di AndrewMacConagh ore 2: 45 a.m.
‘Non l’ho neanche visto.’
Maret tirò un respiro di sollievo quando entrò nella
macchina strappandosi la parrucca dal taglio maschile che aveva indosso
“andiamocene di corsa”
La sua voce era quasi una supplica e l’autista restò
sorpreso vedendola rannicchiata sul sedile posteriore. “Sta bene?” domandò
mettendo in moto e tenendo un regime basso.
“Come ti chiami?” gli domandò tenendosi il braccio.
“Lee”
“Bene Lee, fammi un favore.
Parcheggia dove ti pare, al buio sarebbe meglio, poi..”
La voce di Maret era affaticata e ansimava un pò dolorante.
“Portami al pronto soccorso, poi prendi tutta questa roba e scaricala da Lennie.
Tra un’ora ti chiamerò e tu ti presenterai come mio nonno” Maret lo guardò
meglio e vide che non era poi così anziano “anzi, come il mio adorato papà tanto
in pena per la sua figliola che non è rientrata dal lavoro al Caleb bar o un qualsiasi altro possedimento di Lennie.”
Lee annuì gettandole un’occhiata
dal lunotto posteriore “sarebbe meglio che mi fermassi
prima. Ce la fa a fare la strada da sola? Due o trecento metri, non di
più”
“Che vuoi che siano..”sospirò esausta.
“Non dire niente a Lennie, non voglio che si precipiti di corsa all’ospedale
vanificando i miei sforzi”
“Dubito che riuscirei a tirarlo giù dal letto..” Buttò lì per verificare le sue reazioni
“aveva un appuntamento, stasera. Uno di quelli che un uomo non può fare
a meno di accettare”
Maret restò in silenzio e dopo qualche momento parlò con
voce atona “fermati qui”
“Ma è lontano”
“Non importa, mi piace camminare”
Scese dalla macchina tenendosi il braccio che quell’ultimo testa di cazzo le aveva afferrato e stretto
fino quasi a spezzarlo.
Camminò con la testa vuota ma allo stesso tempo pesante e
quando arrivò all’ospedale, l’infermiere che la soccorse
non mise minimamente in dubbio la sua versione dei fatti, perché quella povera
ragazza che piangeva come una fontana, senza riuscire a smettere, non poteva
certamente mentire affermando di essere stata scippata per strada da un tipo
che aveva cercato di violentarla e le aveva quasi rotto il braccio.
Maret piangeva a dirotto, non sapeva neanche lei il perchè
ma continuava a farlo, scusandosi con l’infermiere che le sorrideva
rassicurante e le passava l’ennesimo fazzoletto asciutto.
***
“Perché le hai detto quella bugia?”
“Perché no? Quando l’ho
riaccompagnata a casa aveva gli occhi come due zampironi accesi… ti ho mai detto cazzate? Quella non piange a comando: stava
piangendo sul serio!”
“Forse..”
“Len, sei un bravo ragazzo ma non
pò tonto con le donne.”
Lennie lo guarda un pò titubante ammettendo la sua
incapacità. “Ma stava bene?”
L’autista sospira divertito perché quel ragazzo che potrebbe
essere suo figlio, si è già preso un’altra cotta spaziale per un’altra tipa
irraggiungibile. “Si…un po’ depressa. Niente che non si possa
risolvere con due coccole”
“Quella è capace di spararmi, altro che coccole” mugugna
pensando che quel disgraziato l’ha messo nei guai,
dicendole quella fregnaccia.
La sera stessa suona alla sua porta e aspetta. Il testamento l’ho preparato? Dopo
cinque minuti si stacca dalla porta, chiedendosi se non sia
in casa o non voglia rispondergli di proposito. Non ha
sentito il rumore dello spioncino spostato…potrebbe anche essere uscita.
Scende le scale lentamente, le mani in tasca e più sbuffante
di un mantice. Quando arriva sul pianerottolo apre il
portone ad una signora in evidente difficoltà.
Una vecchietta,
pensa sfoderando un bel sorriso da bravo ragazzo e ritrovandosi di fronte una
stupitissima Maret col braccio al collo e la spesa nell’altro.
“Che cavolo ci fai tu qui?!” gli
domanda arrabbiata“che stress, non
riesco mai a stare in pace! Sei il capo più rompicoglioni che abbia mai avuto!”
Lennie la lascia passare in silenzio vedendola dirigersi
verso le scale “ero venuto ..”
Sta parlando a vuoto perchè Maret è
già salita di un piano. Quando se ne accorge, alza gli
occhi al cielo per la sua scaltrezza e la capacità di intrattenere le donne e
le corre dietro.
La fortuna vuole che le chiavi non entrino nella porta e al
contempo la busta si laceri, facendo crollare l’esiguo
contenuto a terra. Maret guarda il barattolo che rotola, con fare indifferente
e la mano di Lennie che lo ferma e lo raccoglie al volo.
La guarda con un sorrisetto malizioso e Maret lo fulmina...o
almeno ci prova. Con un sospiro e uno sbuffo d’irritazione lo lascia entrare in
silenzio, dirigendosi verso la cucina. Gli toglie la lattina e fa un’altra
smorfia verso di lui che sorride divertito.
Lo fissa per qualche istante…solo qualche secondo che basta
a farle tornare la testa pesante e lo spinge verso la porta con decisione “hai
visto che sto bene, fuori dai piedi”
“Perché non vieni a cena con me, stasera?”le
domanda gentilmente sfuggendo alla sua presa.
“Ho appena fatto la spesa”
“Il pasto per il canarino?”
Maret lo guarda malissimo un’altra volta e irrigidisce la
schiena “Non prenderti eccessive libertà con me”
Lei solleva gli occhi facendo finta di pensare e poi sorride
“perché no?”
“Perché se lo fai, non avrai più
una killer a tua disposizione...e io non avrò più un mandante…mi hai capito
bene?”
Maret non sta scherzando e lo fissa con una luce pericolosa
negli occhi. “Hai capito, Lennie?”
L’uomo la guarda incupito. Abbassa la testa la fissa dritta
negli occhi anche se gli costa fatica “mi stai
minacciando?”
Maret ha un’espressione eloquente e sorride sarcastica.
Lennie volge lo sguardo altrove cercando di dirle qualcosa
“Madeleine..” S’interrompe quando vede una penna
poggiata su un blocchetto bianco. La prende con due dita e gliel’allunga. “Sei
una killer, quindi sei capace di uccidermi con
qualsiasi cosa, no? Anche con questa?”
“Certo” afferma “vuoi una dimostrazione
della mia bravura?” sghignazza facendo scattare la biro.
Lennie la fissa e avanza di un passo “vediamo quando sei
brava”
“Non mi tentare” sibila inviperita “non ci metto niente a
piantartela in gola”
Nella cucina si sente solo il ticchettio dell’orologio e i
rumori della strada, una macchina che parte e si allontana, la figlia della
vicina del piano di sopra con lo stereo troppo alto e
il cinguettio di un passerotto che si ferma per un attimo sul davanzale e
ripicca il volo immediatamente.
Maret lo guarda freddamente mentre Lennie aspetta la sua
mossa. “Forza, sto aspettando” la incita avvicinandosi di un altro passo, fin
quasi a toccarla. Un tremolio nelle ciglia di Maret lo distrae e si accorge
solo in quel momento del buon profumo che hanno i suoi
vestiti e i suoi capelli che devono essere appena stati lavati perché sembrano
così leggeri e gli fanno venire voglia di toccarli.
Quello sfrigolio nel cervello, come tante api sotto vetro, i
suoi pensieri accatastati alla rifusa, senza un ordine preciso la distraggono e
non la fanno concentrare. La mano stringe ancora la penna ma non c’è nessun
intento omicida dentro di lei in quel momento …solo…tristezza… che non sa
spiegarsi…
“Vattene via, Lennie. I passatempi stupidi non fanno per me” borbotta abbassando la testa e gettando via la
penna con un gesto rassegnato.
Gli volta le spalle aprendo il frigo per mettere a posto i
surgelati che si stanno squagliando inesorabilmente sul tavolo e resta bloccata
a metà, quando la stringe contro di se, allacciandole le braccia davanti al
seno e dandole un bacio tenero sui capelli così intenso da farla tremare.
Le terminazioni nervose saltano all’improvviso,
incendiandola da capo a piedi. Resta paralizzata col cuore che batte troppo
forte…e non è normale, da quando in qua si permette di pulsare in quel modo
sconsiderato?!
Le sembra di essere sdraiata su una graticola accesa perché
la schiena le sta andando a fuoco e ovunque la tocchi, sente un rogo ardere
sottopelle.
Si libera di lui trattenendo il singhiozzo che sente
provenire dalla gola e lo spinge via, lontano da se, attraversando la cucina a
grandi passi e rinchiudendosi in camera sua. Resta li, ferma e immobile,
guardando il vuoto e riprende a respirare solo quando sente la porta blindata
chiudersi con un tonfo leggero.
Lennie guardò il cellulare pensando di aver capito male e
istintivamente si mise seduto, in silenzio.
‘Posso venire da te?’
Si, aveva capito bene “certo”
mormorò cauto e a bassa voce restando a guardare il nulla con quel groppo in
gola che si formava sempre quando parla con Maret.
Mezz’ora dopo Maret suonò alla sua porta con gli occhi
lucidi; si vedeva che aveva pianto e il suo dolore era quasi palpabile.
Lennie la fece entrare in silenzio e lei neanche lo guardò,
continuando a dirsi che aveva fatto un tragico errore a venire lì e sbagliava
ad abbracciarlo in quel modo e sbagliava a baciarlo. Sbagliava e sbagliava, non
faceva altro che sbagliare.
Ma le sue carezze erano così dolci
e baciava così bene che non pensò più a nulla, quando la portò nella sua
stanza….
“Madeleine, che hai? Che ti è successo?”
Maret continua a stringerlo ma Lennie non si lascia andare
così facilmente, perché affidare il proprio cuore nelle mani di quella donna
significa ritrovarselo stritolato.
La lascia sfogare per un po’ finchè non la
sente smettere di tremare e di tirare su col naso.
Lennie tace perché non sa che dirle e non sa cosa fare per
consolarla. Comincia a passarle delicatamente una mano fra i capelli, l’altra
stretta attorno alla sua schiena e la culla contro di se sentendo che lo
ricambia nell’abbraccio.
Ha un buon profumo, la sua gelida modella che in quel
momento lo sta usando per dimenticare qualcuno ma il suo orgoglio maschile è
l’unica cosa di cui non deve preoccuparsi al momento, perchè Maret gli sta
baciando il collo e continua a stringerlo, schiacciandogli il seno addosso.
Gira la testa e riesce a baciarla e stavolta è un bacio come
si deve e lei lo ricambia con foga, facendogli quasi male.
La stacca da se e la guarda nella penombra della stanza
sentendo che ha il respiro pesante e il viso è caldo perché ha pianto. Ingoia a
fatica cercando di capire perché sia venuta lì da lui.
“Lennie..” Mormora bassa voce alzando il viso verso le sue
labbra umide del precedente bacio “per favore…”
Cosa? Cosa
per favore? Che deve fare?!
Gli si presenta in casa e gli salta addosso e sembra così
disperata e che diavolo deve fare lui con quella pazza che in qual momento
comincia a slacciarsi il soprabito che porta ancora indosso?!
Lo lascia cadere sul pavimento e lo guarda per un attimo
negli occhi, scendendo lungo il corpo: stava dormendo, perché ha le occhiaie da
sonno interrotto e indossa una maglietta che ha l’aria troppo stirata perché
sia usata come eventuale pigiama. Dorme
in boxer e basta, decide all’istante sentendo un profumo fresco che
proviene da lui e non vi è traccia del suo odore sulla maglietta che si è
bagnata con le sue lacrime.
All’improvviso si accorge di quanto si stia rendendo
ridicola e si alza di scatto spingendolo via, vergognandosi per aver ceduto in
quel modo alla disperazione e al suo mandante che la sta guardando senza
capire.
“Scusami” sussurra afferrando il soprabito e dirigendosi
verso la porta in tutta fretta. Lennie la guarda e dopo un secondo schizza
verso di lei fermandola e facendole scappare un sussulto per la sorpresa.
“Resta qua, non te ne andare” le
sussurra continuando a fissare i suoi occhi arrossati dal pianto prolungato.
Maret lo lascia fare per qualche attimo, poi scuote la testa
e cerca di spingerlo via. “No, non lo so che mi è preso, non dovevo venire.”
“Ormai ci sei. Resta” mormora continuando a stringerla “sei mia ospite a tempo indeterminato”
La sente resistere per qualche secondo buono, poi si
scioglie e annuisce “hai una camera degli ospiti?”
Lui annuisce e le indica una porta accanto alla sua con un
gesto della mano “fa come se fossi a casa tua.”
No, pensa Maret
mentre s’infila nella stanza, casa mia è
meglio lasciarla dov’è. Ora sono a casa tua e mi sento spaesata e mi vergogno
di quella scenetta patetica..
Siede sul letto e si guarda attorno, aspettando di sentire i
passi di Lennie allontanarsi. Lo sa cosa sta facendo, sta fermo dietro la sua
porta ad ascoltare come lei qualche rumore straniero per immaginare cosa farà
una volta da solo.
Si getterà sul letto con gli occhi spalancati cercando di
riprendere sonno e di non pensare a lei, dall’altra parte del muro.
Lennie ha la mente in bianco. Sta succhiando il labbro
inferiore che lei ha morso con troppa violenza, pensando che se fosse stato un altro e se ne fosse stato capace, a quest’ora
la sua gelida Madeleine sarebbe nel suo letto. Si stacca dalla parete e torna
nella propria stanca, a passi lenti, pensieroso e col sonno che preme. Chiude
gli occhi e pensa ancora una volta a Madeleine…chissà se sta piangendo nuovamente…
Sta albeggiando quando Maret sente il lenzuolo scostato e
qualcosa di profumato la sovrasta, inondandole i sensi di un odore sconosciuto.
Apre gli occhi con espressione vacua, sentendo un solletico piacevole alla
guancia. “Lennie…che stai facendo?” sussurra sentendo le sue mani che le
corrono addosso. Un secondo dopo due labbra calde premono sulle sue, svegliandola
quasi del tutto.
“Mi prendo cura della mia ospite” gli risponde con voce
inesistente, le labbra che continuano asfiorarla e le strappano qualche gemito sommesso.
Si sdraia su di lei sentendola sospirare…è bello quel sospiro, sembra quasi felice.
Insiste a coccolarla mentre la conquista lentamente. Maret
non è abituata ad un’esplosione del genere d’affetto e resta quasi annichilita
da quanto può essere dolce un uomo se gli si lascia la possibilità di
esprimersi…
Si lascia spogliare senza protestare, perché le piace che la
tocchi in quel modo, come se potesse rompersi da un momento all’altro e le piace
il modo con cui la bacia, le piace tutto quello che fa…
Quando la gira sullo stomaco e
continua a baciarla sulla schiena, Maret sorride, il pensiero di Jesus che la
odia lontano e quel piacere che cresce troppo velocemente e violentemente per
essere sopportabile.
“Basta Lennie… basta, ti prego” mormora con un fil di voce
mentre la accarezza e le strappa gemiti uno dopo all’altro. Non ricordava che
si poteva perdere la ragione così facilmente.
“Non ti piace?” le domanda con la
voce rotta pensando che l’ultima cosa che può chiedergli in quel momento è di
fermarsi.
“No...si, mi piace…” risponde cercando di sgusciare via da
lui “non posso per favore, vattene”
L’uomo la guarda cercando di calmarsi e di non fissare quel
corpo bellissimo che gli sta sfuggendo dalle mani “non c’è niente di cui aver
paura” mormora avvicinandosi un’altra volta e intrappolandola contro il cuscino
“...non posso..” Sussurra sentendo che il suo corpo
reagisce prontamente a quella presenza fin troppo gradita.
Lui la guarda negli occhi che stanno cercando in tutti i modi
di sfuggirgli, ma ha capito benissimo che non centra niente il tipo dell’anello
in quel frangente “ho sbagliato a venire da te?”
Maret lo fissa ancora annebbiata dal piacere balbettando
qualcosa che sembrerebbe un “no...no, sono io..”
“Non ti piaccio?” le domanda con un
sorriso dolce che la porta istintivamente a baciarlo.
“No...mi piaci…e tanto..” Sussurra
facendolo saltare internamente “è una storia di tanto tempo fa….”
Maret non lo guarda mentre racconta, sentendo la sua stretta
che si accentua nelle parti più brutte e disperate o quando scoppia un’altra
volta a piangere per via del bimbo.
Poi si rende conto che ha parlato per quasi un’ora e gli ha
raccontato tutto nei minimi dettagli e istintivamente tace.
“Stai meglio adesso?”
“Si”
Lennie continua ad accarezzarla senza
pensare a niente, il suo lato protettivo è salito ai livelli di allerta.
“Potrai avere altri figli?”
“Si”
Maret lo guarda di sottecchi la testa ancora appoggiata sul
suo torace, ascoltando il cuore che batte veloce.
“Hai paura che ti piaccia?”
“No…”
Lennie inspira profondamente, tentando di calmarsi, perché
ha capito il suo timore vero. “E’ passato troppo tempo” mormora usando un tono
dolce e teso allo stesso tempo. Teso? Lui
teso? Un eufemismo!“Hai paura di
questo, vero?”
Maret non risponde a quelle domande imbarazzanti continuando
ad abbracciarlo morbidamente. La scosta da se, accarezzandole i capelli e le
guance calde, una carezza dolce che la fa tremare “io mi ricordo benissimo come
va svolta la faccenda. Sai quelle cose che una volta imparate non dimentichi
più?” le sussurra strappandole prima un sorriso e poi
una risata.
E’ la prima volta che la sente ridere e ne resta colpito. La
osserva come se non vedesse tesoro più bello e Maret resta a guardarlo a sua
volta “mi ricordo io…per tutti e due…” bisbiglia
dandole un bacio lungo e dolce, così dolce da annientarla un’altra volta.
E’ un sonno lungo dieci miglia e profondo come il mare,
quello che li avvolge alla fine.
Lennie la studia mentre giace sullo stomaco, le braccia
infilate sotto il cuscino e le guance lucide di lacrime che hanno ripreso a
sgorgare per il troppo piacere che non si aspettava e che l’aveva sconvolta.
Quando la ritrovi un’altra donna del genere? È unica, pensa
accarezzandola leggero per non svegliarla. Sente le palpebre pesanti e pensa
che fra qualche ora deve andare a lavorare perché il padrone della baracca non
si riposa mai, arriva prima di tutti e va via dopo di tutti.
Vorrei essere un
impiegato delle poste e darmi malato certe volte, sospira
sdraiandosi accanto a lei.
Chissà se ci sarà
ancora domattina…
La sveglia che suona disturba Maret che allunga il braccio
per spegnerla e va a vuoto. Chi l’ha
spostata? Si domanda aprendo gli occhi e cercandola sul comodino…che non è
il suo!
Ci mette un attimo di troppo a ricordare che non è a casa
sua e che quello che sta dormendo accanto a lei non è…
Un’ondata di tenerezza e di timidezza la avvolge mentre lo
guarda dormire placidamente, il respiro regolare e l’aria innocente di un
bambino.
Dio, quanto è strano
farlo con qualcuno che non sia…strano e allo stesso tempo eccitante,
perché non sai cosa aspettarti, non conosci la sua prossima mossa e non sai
come si muoverà su di te…o dentro di te.
Maret arrossisce voltando la testa dall’altra parte, lontano
da quel corpo nudo che giace profondamente addormentato in uno stato di totale
beatitudine. Si mette a sedere sul letto guardandolo di sottecchi un’altra
volta. Non l’aveva mai fatto così…dolce…delicato…sembrava che sapesse
esattamente cosa fare con lei, quando baciarla, quando toccarla.
Un sottile gemito le sfugge dalle labbra al ricordo della
nottata intensa che ha appena vissuto.
Osserva distrattamente i diplay della radiosveglia e poi
abbassa gli occhi sull’uomo: se c’è una
sveglia puntata ci sarà un motivo.
Allunga una mano senza pensarci e lo scrolla delicatamente
“Lennie, svegliati..” Sussurra accucciandosi vicina a lui
e sfiorandolo con due dita. È carino, è veramente
carino…pensa deponendogli un bacio leggero sulle labbra.
I capelli che gli fanno il solletico, lo fanno sorridere e
quando si volta verso di lei e la guarda sbattendo più volte gli occhi, Maret
si sente stranamente inchiodata al letto.
“Ciao..”sussurra allungando una
mano per tirarla contro di se “pensavo che te ne fossi già andata”
Maret non gli rispose perché non si è mai
sentita così prima d’ora: la voglia di restare preme e non la fa
muovere. Si costringe a mettere insieme due parole che suonano piuttosto tristi
“Se vuoi vado via”
“No, che dici! Resta” si affretta a biasciare ancora mezzo
assonnato “oddio…sono io che devo andarmene” borbotta quando afferra la radiosveglia
con aria distrutta e la guarda sgranando gli occhi con un mugolio di dolore.
Maret tace e lo osserva perché è fantastico vedere quel tipo
con l’aria stravolta che borbotta annaspando per uscire dal letto. Sembra che
non abbia dormito un solo minuto. Comincia a ridacchiare a bassa voce e lui la
guarda con un sorriso dolce, gattonando fino a lei e stampandole un bacio lungo
sulle labbra “mi piace sentirti ridere..”mormora
mentre Maret lo guarda seria...ma come fa ad essere sempre così carino con lei?
Lo bacia di nuovo eccitata e si sdraia su di lui, con
quello sguardo che Lennie non conosce ma che gli sembra un pò pericoloso
“Madeleine…mi stai facendo paura” sussurra facendola ridere di nuovo.
“Smettila di chiamarmi Madeleine…non è il mio vero nome”
mormora sedendogli a cavalcioni sullo stomaco.
“Lo sospettavo. Ci metti sempre un secondo di troppo a
rispondere, quando ti chiamano per nome…come se dovessi pensarci su”
Maret inclina la testa pensando che il ragazzo è parecchio
sveglio “sei bravo” ammette scendendo di qualche centimetro, rendendosi conto
che è eccitato. “Lennie..” Mormora con voce carezzevole e ammonitrice.
“E’ colpa tua, sei troppo bella” ribatte tirandola verso di
se e guardandola, stavolta serio. “ Allora, come ti chiami?”
“Maret”
Le sorride e scuote la testa “è bello…molto bello”
La sua voce si è ridotta ad un mormorio e quando la vede
chiudere gli occhi, affonda una mano frai capelli e la bacia con una certa urgenza. “Torna anche stasera…” la
supplica continuando a baciarla. Lei annuisce più volte e lo stringe per non
farlo andare via. “Dopo la trasmissione…vengo dopo la trasmissione” sussurra
con decisione e una tremenda nostalgia nel doverlo già lasciare.
“Trasmissione?” le domanda incuriosito “lavori in tv?”
“Radio”
Lui sorride e la bacia un’altra volta maledicendosi per non
poter dare buca a quella riunione in cui si decide il tutto per tutto “allora
ti ascolterò tutte le sere…”
Lennie li ascoltava senza capire un accidente di quello che stavano
dicendo, la mente ancora rivolta a Mad
Lennie li ascoltava senza capire un accidente di quello che
stavano dicendo, la mente ancora rivolta a Mad...a
Maret…che bel nome, scivola dalle labbra
così facilmente…è bello come lei..
Si costrinse a reagire a quella pacatezza che l’aveva
inchiodato alla sedia probabilmente con un uno sguardo stupido e guardò i suoi
collaboratori che si aspettavano qualcosa da lui perché lo stavano fissando tutti.
Gli avevano letto nel pensiero?
“Da capo, voglio capire per bene” borbottò gettando la prima
frase che gli sembrava in tono e socialmente accettabile ascoltandoli mentre
quelli parlavano di bruciare un paio di locali dei boss minori e agire col
pugno di ferro contro chi aveva ‘sputato’
sulla protezione offerta a suo tempo.
“Sono tutte cazzate!”sbottò d’un tratto
sorprendendoli, perchè Lennie è la serenità fatta persona. “Puntare in
altro, gente…in alto!”
Si alzò dalla sedia e cominciò a passeggiare su e giù,
concentrato al massimo “sono tutte stupidaggini, cose che può
fare anche un bambino nei ritagli di tempo! Bisogna puntare in alto e
decapitare teste!” esplose armato di furore
vendicativo. Si appoggiò alla scrivania circolare e li guardò tutti uno per uno
“don Antonio e don Luciano…la cara SilviettaCuticchiu e il suo harem di coppole nere…questo ci vuole, signori: far rotolare le teste coronate!”
“Don Antonio? Stai scherzando?!”
Lennie fulminò il tipo alla sua destra con un’occhiata
rovente, degna di Maret “ti sembra che stia
scherzando? Tagli il capo, il corpo muore!”
“Vuoi ucciderli tutti?”
Lennie li guardò sorridendo e fece quasi paura perché non
credevano che fosse così spietato “Tutti. Dal primo all’ultimo. Non mi chiamo Darco per niente!”
Un tipo che non aveva mai parlato fino a quel momento, lo
guardò annuendo e protendendo le labbra come se la cosa gli piacesse parecchio.
“Darco…conoscevo un Tommaso Darco,
tanti anni fa”
Lennie sorrise “mio padre. Sono stati molto carini ad
ammazzarmelo quando avevo solo 12 anni, Fabrizio… non li ringrazierò mai
abbastanza”
Il vecchio Fabrizio Reggiani lo studiò
dall’alto in basso. Studiò la figura solida e ben piantata davanti a lui, il
vestito su misura che portava e restò a fissare quelle fiammelle di vendetta
che gli vedeva danzare selvaggiamente negli occhi chiari e brillanti “C’era una
certa somiglianza, ma non pensavo che fossi proprio figlio di don Masino”
Lennie lo fulminò con un’occhiata, registrando mentalmente
quella strana luce che balenava dallo sguardo del vecchio “Ti crea problemi, per caso? Ne possiamo discutere”
Fabrizio alzò una mano scuotendo la testa e protendendo
un’altra volta le labbra in una smorfia annoiata. “Per carità. Per me va bene.
Ne traiamo tutti un bel po’ di profitti”
Si alzò stirando la giacca e la cravatta che ficcò nei
pantaloni e incrociò le mani dietro la schiena “Allora siamo d’accordo”
Lennie lo fissò ancora una volta. Si mossero all’unisono
fino a restare l’uno davanti all’altro. Fabrizio allungò una mano e lo
abbracciò paternamente “bravo figliolo, tuo padre ne sarebbe fiero”
C’era qualcosa di stonato nel modo in cui lo disse, perché
essere figlio di un mafioso pentito non è cosa di cui andare fiero, in
quell’ambiente.
“Bene” esordì il vecchio allacciandosi la giacca che gli
andava leggermente stretta, ma solo un pochino “siamo tutti d’accordo
nell’aiutare questo bravo giovanotto, allora”
Il vecchio li guardò e nessun osò fiatare.
Lennie lo guardò e pensò che da un giorno all’altro poteva ritrovarsi un coltello fra le scapole.
***
Maret spense il monitor nella saletta e ripensò alle parole
che aveva sentito provenire da quel vecchio bacucco. Se
non ci arrivava da solo, Lennie è un vero tonto.
“Grazie” mormorò a Lee che la
salutò con un cenno del dito. “Dovere”
La donna sorrise appena, ma senza
farsi vedere dal vecchio autista che le aveva telefonato, affermando di volerle
mostrare qualcosa di parecchio interessante.
La sua curiosità era stata pienamente stimolata: Lennie
stava per cadere in una trappola tesa di quel vecchio pancione, probabilmente
in combutta con le teste coronate che il suo uomo voleva far volare.
Il mio uomo?!
Maret si arrestò violentemente nel corridoio e sgranò gli occhi, ammettendo che
la telefonata di Leeera stata
più che gradita perché le aveva permesso di rivederlo prima di sera.
Oddio mio, pensò
sempre più impaurita…che mi sta succedendo?!
Scuotè la testa per schiarirsela e imboccò il corridoio da
cui sentiva provenire voci maschili. Aprì la porta di un ufficio e ci si
nascose dentro, lasciando un minuscolo spiraglio aperto.
Li vide passare tutti uno per uno in una pausa ristoratrice;
in mezzo a quella combriccola d’incravattati, Lennie
si confondeva, però quando era con lei…no,
allora era lui...ed era ..solo lui. Mosse la bocca
che si era asciugata improvvisamente e restò per qualche secondo con gli occhi
chiusi, il cuore che batteva stranamente e una dolcezza stordente che le
invadeva le membra.
Trattenne il respiro quando sentì una voce bassa e anziana
che parlava al cellulare.
“E’ lui, come avevate sospettato….è stato sicuramente lui a
farli fuori. Deve aver ingaggiato un professionista, basta solo trovarlo e
pagarlo il doppio per ribaltare la situazione”
Maret lo ascoltava prendendo appunti mentalmente.
“No, non che mi risulti. No, non penso che abbia una donna
di cui…quella della festa? Sarà stata un’accompagnatrice”
Maret si morse la lingua e le labbra per non uscire fuori e
farlo secco all’istante.
Ascoltò il resto della telefonata con interesse, ma ormai
quello che doveva sapere l’aveva saputo.
Aspettò che il vecchio si fosse allontanato e tornò sui propri passi, nella saletta in cui Lee riprendeva l’incontro per ordine di Lennie.
“Dimenticato qualcosa?”
Maret lo guardò fisso negli occhi “di te
mi posso fidare”decise indicando gli schermi “ora io entrerò la dentro e tu
dovrai fissarti su quel vecchio e riprendere attentamente tutti i suoi gesti”
gli ordinò inquieta.
Il vecchio la guardò con un sorrisetto “è
come dico io. Vogliono fargli il culo a strisce”
Maret alzò un sopracciglio e un angolo della bocca piuttosto
divertita “glielo faremo noi”
Si mosse sul piede di guerra e arrivò di fronte al
segretario che la guardò senza capire cosa ci facesse lì a quell’ora e in quel
giorno particolarissimo.
Maret si chinò su di lui cercando di non respirare l’odore
di tabacco che emanava quel tipo e il fiato metifico che si ritrovava, colpa di
una cattiva digestione. “Annunciami”
“Ma è in riunione!” sbottò un po’
impaurito da lei.
Maret sorrise e lo terrorizzò ancora di più “annunciami e
calca bene sulla parola ‘fidanzata’”
Il segretario la fissò con espressione ebete e si leccò più
volte le labbra spingendo un pulsantino dell’interfono “signore, c’è la sua…fidanzata”
“Potevi calcare meglio” lo rimproverò la donna muovendosi
verso la porta.
Lennie ascoltò quella chiamata pensando che fosse uno
scherzo “Chi?” domandò senza capirci un accidente.
Un secondo dopo, la porta si spalancò e una donna bellissima,
con un sorriso affascinante, fece il suo smagliante ingresso, interrompendo la
conversazione. Tutti gli uomini attorno al tavolo si girarono a guardarla e la
cosa le fece dannatamente piacere perché sbavavano tutti per averla, gli si leggeva
in accia.
“Ciao amore, scusa se mi presento così”
“Che ci fai qui?” le domandò a
stento ingoiando la saliva che si era formata in quantità industriale fra i denti
e rischiava di farlo strozzare.
“Avevo voglia di vederti” miagolò con un tono che non aveva neanche
bisogno di contraffare perché le usciva naturale.
“Hai una gran bella fidanzata, Lennie.Ce la tenevi nascosta, eh?”
sghignazzò il vecchio Fabrizio facendo passare un lampo di soddisfazione negli
occhi di Maret “è una cosa recente” miagolò nuovamente sbattendo le
ciglia come una gatta.
L’uomo si alzò e le baciò il dorso della mano credendo di
fare il galante con lei che lo guardò con la voglia di strangolarlo “bellissima,
non c’è che dire. Il nostro ragazzo ha gusti ottimi”
“No, sono io che ho avuto il buon gusto nel prendermelo”
ridacchiò facendo sgranare gli occhi a Lennie che la guardò allibito senza
capirci niente.
“Velo posso rubare un attimo? Un attimino solo?” sussurrò con un broncetto che li fece
arrapare tutti indistintamente.
“Prego”
Maret sorrise e gli lanciò un’occhiata adorante. Quando
furono lontani dalla saletta, Maret fece due cose: prima lo baciò, a lungo e
quando si fu stancata, col viso leggermente rosso e la voce ridotta ad un
sussurro gli chiese di mantenere il gioco.
“Perché? Mad…Maret
non ti capisco” balbettò parecchio confuso
“Continua a chiamarmi Madeleine di fronte a loro e organizza
una cena per domani sera, una di quelle robe di rappresentanza pallossissime
che a voi uomini d’affari piacciono tanti”
“Veramente sono noiose da morire anche per me” borbottò abbracciandola “non mi vuoi dire nulla?”
“No. Invitali a casa tua e mobilita i tuoi uomini…tutti, non
badare a spese”
“Non lo faccio se posso.” Le rispose un’altra
volta attratto dalle sue labbra “meno male che sei passata…mi stavi
facendo morire di nostalgia.”
Lennie le sorrise e Maret sprofondò
nel paradiso degli innamorati stupidi.
“Ehm”
I due si girarono verso la fonte di quel tossicchiare
discreto e Maret guardò il vecchio Fabrizio con un sorrisetto. Quel brutto bastardo
voleva vedere se era vero che loro due stavano insieme: li aveva sicuramente
guardati… vecchio pervertito, ti faccio
pagare anche questa! Pensò riscendendo a terra e strizzandogli l’occhio birichina, dandosi mentalmente della cretina. Quando si allontanò, sentendo un ridacchiare cameratesco, avvampò
di rabbia.
“La tua ragazza deve aver il fuoco nelle vene!” esclamò il vecchio
battendogli la spalla e mettendolo in difficoltà
“Eh...si”borbottò pensando seriamente di mollare tutto per
correrle dietro.
Si alza in peidi ma Natt l orisbate a sedere mentre mollo la pistola a
Jesus e ne tengo solo una in mano
“Perchè mi hai costretto a cambiare il luogo
dell’appuntamento? Casa mai non andava più bene?”
Lennie la fissa da un buon quarto d’ora e non riesce a
spiegarsi il sorriso soddisfatto di Maret.
“No, caro. Sarebbe stato seccante dover
ripulire tutto dopo” sussurrò graziosamente facendogli quasi accapponare
la pelle.
“Se lo dici tu” convenne per nulla
intenzionato a discutere con lei. La fissò intensamente perchè quella sera era
ancora più bella e dovette convenire che era stato
parecchio fortunato a poterla avere almeno per una notte…per quanto ancora
sarebbe durata la sua fortuna? Una mattina si sarebbe svegliato e non l’avrebbe
trovata accanto a se.
“Perchè mi guardi così? Non hai nulla da temere.” Gli disse
senza capire il suo sguardo malinconico.
Lennie scosse la testa scostandosi di qualche centimetro.
Prese una coppa di vino e ne bevve un sorso solo. “Hai già deciso di andartene
dopo questa sera, vero? E’ per quello che ieri sera non sei venuta”
Maret sobbalzò internamente e abbassò lo sguardo sulle varie
armi che aveva preparato “scusami, ero molto stanca” mentì in mezzo ai denti.
“I tuoi ospiti ti aspettano, vai da loro” gli ordinò senza guardarlo. Sentì una
carezza leggera sul braccio e quando lo vide allontanarsi con passo lento, quel
balzo al cuore la fece sentire una schifezza. “Aspetta un attimo” sussurrò
andandogli incontro. Gli diede un bacio veloce e gli sorrise
teneramente. “Tu stammi dietro, non fare l’eroe e non farti uccidere. L’assegno
non l’hai ancora firmato” scherzò abbracciandolo.
“Sei un po’ pochino venale” ridacchiò affondando nel suo profumo
buono e ricominciando a baciarla.
Maret lo scostò da se perché tutta quella dolcezza era
troppa da sopportare “sai che ti dico? Tieniti i tuoi
soldi, per stavolta lavoro gratis” mormorò ricambiando un bacio “te lo devo.”
“Non mi devi niente”
“Si, invece. Sono riuscita a fare del male
anche a te” rispose con aria triste.
La festa è elegante ma c’è un clima strano…lo sentono nell’aria che stanno
per morire tutti? Si domandò Maret sorridendo amabilmente al vecchio
Fabrizio.
La killer si concesse addirittura un ballo con lui, quando
glielo propose, dopo essere stata tutta la serata attaccata al braccio di Lennie
che continuava ad essere parecchio nervoso “rilassati, stai andando benissimo, sei
nato per comandare” lo prese in giro amabilmente.
“Dici, eh? Me la sto facendo letteralmente
sotto, non so cosa aspettarti da te”
Maret sorrise e gli indicò le porte del locale. “Fra poco lo
vedrai…e quando sparo non metterti sulla traiettoria, capito?”
“Vedrò di fare del mio meglio..” Lo
sentì sospirare con voce tesa.
Tre minuti fa, ho tirato fuori il cellulare e ho chiamato Lee. Tra poco una squadra ben addestrata entrerà qua dentro
e li farà secchi tutti.
Esco dal bagno dopo essermi risistemata il trucco - mi piace
essere in forma quando devo darci dentro - e vedo il vecchio che si dirige
verso una saletta appartata da cui sento provenire risatine e battutine sarcastiche
sulle donne della festa. Molte poche in verità.
Mi guardo attorno e intravedo Lee
all’entrata del locale. Mi si avvicina con fare casuale a passo lento, come se
fosse un altro invitato. Gli sta bene lo smoking “tutto a posto.”
“E gli altri?” domando sorridendo agli
ospiti di Lennie che mi lanciano occhiate curiose.
“Sono ovunque e ben preparati” mi dice fregandomi la
sigaretta e facendosi un tiro che la finisce. “Ottima marca!”
La festa è al culmine. Sono tutti abbastanza ubriachi e fuori di testa. Sul fondo della stanza. Reggiani
continua a guardarmi e fa un cenno col bicchiere. Te lo ficcherei di traverso in gola, vecchio porco!
Ci credete che c’è un’ottima musichina
che farà da sottofondo alla strage che sto per
compiere?
‘Sunshine’
Bellissima melodia…
Un’ottima marcia funebre.
Lee mi fa un cenno. Sono tutti in
posizione. Vedo Lennie col suo sorrisetto di convenienza stampato proprio dietro
il vecchio e gli faccio cenno di rimanere li.
Un secondo dopo, le porte si spalancano e il silenzio
allibito degli ospiti viene sostituito con li suono
ritmico e amico delle raffiche di mitra. Cavolo, ci vanno pesanti. Questi hanno
visto davvero troppi film!
Lennie è bianco e se non si toglie di li, prenderà una
revolverata in pieno sterno.
I miei ex colleghi hanno una mira da fare invida, ma mi piace
parecchio lo stile demolitore e catastrofico di questa gente. Americani doc: sparano a nastro per beccare tutto ciò che si muove,
anche la foglia del Benjamin nell’angolo.
Faccio una smorfia un po’ disgustata: i professionisti
sono tutta un’altra cosa.
La sigaretta di Lee non si è bruciata
di un millimetro. E’ successo tutto troppo rapidamente.
In un silenzio che definire mortale è un eufemismo,
abbassiamo le braccia, un po’ stanchi. Reggiani è
rimasto esterrefatto e non riesce a credere di essere ancora vivo. Dietro di
lui Lennie è visibilmente scosso.
Mi avvicino con un sorrisino dolce e sbattendo le ciglia. “Piaciuta
la sorpresa, vecchio stronzone?”
“Brutta …”
Alzo un dito e glielo appoggio sulle labbra delicatamente
“no, no no…non darmi della puttana, non è gentile.”
Il vecchio tace mentre mi pulisco l’indice sulla sua giacca
e sento delle belle ondate di incazzatura provenire da
lui “questo è per dimostrarti che facciamo sul serio. Prova a tirargli qualche
fregatura e torno personalmente ad ucciderti.
“Lo lasciamo andare?!”
La voce stupefatta di Lennie mi fa roteare un attimo gli
occhi verso di lui “certo! Deve parlare con gli altri e convincerli a
rinunciare ai loro giochetti.” Torno a guardarlo e
sorrido incoraggiante e sarcastica “vero che lo farai, tesoro?”
“Vedremo” sibila credendo di essere nella giusta posizione
per contrattare.
Gli sparo due volte su un piede.
Questo l’ho letto su un libro. Il vecchio urla e cade
a terra tenendosi la scarpa elegante che ormai è da buttare.
“C’ era bisogno di sparargli due volte?” mi domanda Lennie un
po’ sconvolto.
Annuisco rimettendolo in piedi a forza. Ci pensano gli
scagnozzi di Lee a darmi una mano.
Bravi ragazzi, non fatemi spezzare un’unghia o il sangue
scorrerà davvero.
“La prima per attirare la sua attenzione e la seconda per
fargli capire che faccio sul serio” mormoro velocemente mentre i suoi uomini
esibivano un sorrisetto di ammirazione.
“Vero che hai capito?”
Il vecchio annuisce più volte. E io
sorrido nuovamente.
“Però…..mi mancavano i bei vecchi
tempi!” affermo mentre lo portano via e lo ficcano nella sua macchina. Non potrà
guidare molto con quel piede, ma sono cazzi suoi in fondo..
Lennie mi guarda esterrefatta “tu fai
sempre di queste cose?”
“Le ho fatte. Una volta abbiamo massacrato…” mormoro tacendo
subito e calciando via un cadavere.
Le parole di Rowanmi
risuonano nuovamentein testa. Ho fatto
un macello stavolta…non penso che le mie scuse basteranno a rimediare.
“Con lui, vero?”mi
domanda dirigendomi verso l’uscita mentre i suoi uomini ripuliscono il casino.
“Si…e un tipo troppo stupido che è riuscito a mettere
incinta la mia unica amica…speriamo non vengano su come lui” ridacchio a voce
bassa accomodandomi in macchina.
Lennie tace per qualche istante e mi guarda appena“preferisci
stare sola, immagino”
Annuisco col cuore che mi esplode “si...mi sa tanto di si…scusa, Lennie” borbotto con una vocina tenera che mal si
addice al mio aspetto.
“Figurati. Gli amici ci sono per questo”
sospira mettendo in moto.
“Ti sei autoproclamato mio amico?”
gli domando senza capire.
Lui solleva le spalle con un sorriso dolce
“ti sei licenziata, stasera. Non sei più una mia dipendente e non mi
vuoi come fidanzato…”
“Amico..” Mormoro incredula…mi viene
da ridere. “Io non ho molti amici”
“Strano…” sussurra sarcastico rimediandosi un’occhiataccia
dalla sottoscritta. “Un po’ più aperta e un po’ meno stronza…saresti una vera
bomba, ragazza”
“Giàlo sono” affermo
sorridendo
Lui si ferma e mi guarda…ed è tremendamente serio “lo sei, è
vero.”
Mentre guida lo vedo trasalire
“merda, ho dimenticato una cosa in ufficio. Ti dispiace venire con me? Tanto
siamo di strada”
“Figurati.”
Mentre siamo nell’ufficio prendo la
mia decisione. Non posso restare qui e farlo soffrire ancora.
“Lennie…”
Lui alza gli occhi e posa quello che ha in mano con un gesto
rassegnato. Ne dubitava ancora?
“Te ne vai, vero?”
“Si…mi dispiace”
Lennie la guardò con affetto e le strinse la mano che aveva
appoggiato sul suo braccio “lo sapevo…”
Maret lo fissò e dopo un secondo gli si strinse addosso
sussurrando un ‘non ti dimenticherò mai’ che lui incamerò con un sorriso. Prima di lasciarla
andare la strinse un’ultima volta e parlò a bassa voce nel suo orecchio
facendola commuovere “torna quando vuoi…io ti aspetterò”
“No, non lo farai.”
Lei scosse la testa e sorrise ancora una volta e gli costava
tanto farlo, Maret glielo leggeva negli occhi.
“Non sottovalutarmi”
“Non l’ho mai fatto”
Si staccò con decisione perché se fosse rimasta ancora
abbracciata a lui forse non sarebbe più partita. Forse.
Il telefono che squillò all’improvviso ruppe quel momento.
Maret lo vide incupirsi sempre di più e lei rimase a guardarlo con una strana
inquietudine.
“Una retata della polizia! Via, presto!”le gridò afferrando
la pistola nel cassetto mentre Maret metteva mano alla sua. “Non la sai usare! Stammi dietro e vedrai che ne usciamo puliti e
vivi!” gli gridò aprendo la porta dell’ufficio e
correndo, sentendo i suoi dipendenti che rumoreggiavano e si stavano dando alla
fuga veloce.
All’esterno, Beatrix aspettava e comandava mentre gli uomini
s’introducevano negli uffici di Lennie.
“Sono ancora dentro?” le domandò l’uomo alla sua sinistra,
seduto sul cofano della macchina.
Lei annuì e strinse gli occhi pensando che quell’azione le
avrebbe fatto scalare la vetta.
“Non è uscito nessuno” rispose sentendo lo sfrigolio di una
sigaretta che si accendeva e il rumore di un’arma che veniva
caricata.
Lo vide scendere dal cofano con aria rilassata, come se
stessa andando ad un pic-nic e quando sorpassò gli agenti con un fucile a pompa
in mano e due pistole nella fondina di pelle color cuoio,
Beatrix lo fissò pensando che un amico così Natt non poteva averlo e che quel tipo aveva le palle che gli fumavo!
E che aveva un gran bel culo.
Jesus camminava tranquillo e pacato
per i corridoi, osservando la gente che scappava da tutti i lati e i poliziotti
che li arrestavano.