The fifth life: Maret in Los Angeles

di kannuki
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Proiettili di vetro ***
Capitolo 2: *** Perdere la bussola ***
Capitolo 4: *** // ***
Capitolo 5: *** La cosa giusta al momento giusto ***
Capitolo 6: *** Proiettili di ghiaccio ***
Capitolo 7: *** Niente killer, niente mandante ***
Capitolo 8: *** Il santo in prigione ***
Capitolo 9: *** Teste che rotolano... ***
Capitolo 10: *** Te ne vai, vero? ***



Capitolo 1
*** Proiettili di vetro ***


Proiettili di vetro…difficili da trovare ma non impossibile

Proiettili di vetro…difficili da trovare ma non impossibile. Devo prenderlo a distanza ravvicinata.

 

Maret sgusciava fra la folla come un fantasma che cammina sulla terra, invisibile e fredda come solo la killer sa essere.

Guarda l’orologio e affretta il passo, entrando in un locale dalle luci basse e poco distante dalla strada principale.

Quel locale tanto carino e all’apparenza innocuo è uno dei tanti possedimenti di Lennie Darco, il boss per cui lei lavora.

È un brav’uomo che paga molto bene, non se ne può lamentare. La paga anche troppo per le sciocchezze che le chiede.

La gentaglia di cui si circonda non sarebbe capace di fare un lavoro pulito, gente presa dalla strada a cui è stata messa una pistola in mano senza un minimo di preparazione.

 

Maret invece è molto preparata: ha studiato, studiato e studiato.

Ha conoscenze informatiche, meccaniche, tecniche ed infermieristiche. MacMahon era serio e inappuntabile su certe cose, la invogliava a specializzarsi in tutti i campi che prediligeva, anche in quelli che non gradiva molto,perché tutto torna utile nella vita, tesoro, e non puoi farti cogliere impreparata’.

Tesoro...la chiamava così quando voleva farla arrabbiare e provocare in lei qualche reazione umana che puntualmente non avveniva.

Perché Maret non piange mai, non si lamenta mai e non parla mai. Non dice mai quello che vuole...lei allunga la mano e se lo prende.

 

I proiettili di vetro hanno poca potenza ma non lasciano le rigature, è impossibile risalire all’arma da cui sono stati sparati e si deformano nell’impatto. Pensò nuovamente mentre si muoveva nel locale che a quell’ora del giorno era chiuso e c’erano solamente i camerieri che pulivano e mettevano a posto i tavoli per prepararsi alla nuova serata.

Maret fissò una donna che riconobbe immediatamente e le si avvicinò in silenzio. Così tanto silenziosa che quando la vide, la ragazza trasalì “cazzo, mi hai fatto prendere un colpo!” gridò portandosi una mano sul cuore.

Maret non parlò, aspettò che la ragazza tornasse in se e la guardò senza aprire bocca. “Ti manda Lennie, vero?” le domandò dirigendosi verso il fondo del locale, nella zona privata, pomposamente denominata ‘privè’ da un elegante cartello sulla porta di legno povero che oltrepassarono.

“Questo è tutto quello che ci hai richiesto, ma i proiettili di vetro non li abbiamo trovati” le disse osservandola senza notare il minimo cenno di fastidio alla cosa o di sorpresa…o qualunque altro sentimento che la ragazza si sarebbe aspettata di vedere sul viso della donna bionda che le stava di fronte.

Maret aveva trovato un bel negozio che riforniva i teatranti in città e aveva acquistato qualcosa, tornando il più delle volte camuffata per non farsi riconoscere.

Un caschetto dorato, parrucche di tutti i tipi, anche afro e lenti a contatto di tutti i colori. Stava lavorando a quelle protesi facciali finte ma ancora doveva prenderci la mano perché sentiva il mento che dava cenni di volersi staccare.

 

I lineamenti vanno modificati, così è più difficile riconoscerti. Ricorda: ci sono conformazioni di base applicabili a gran parte della popolazione. Altezza, distanza ginocchia - caviglia, gomito - spalla. confondili, prendili in giro’

 

Si passò distrattamente una mano sul mento, come se fosse un gesto automatico e spinse di più la resina truccata dal fondotinta contro la pelle.

Senza dire una parola, prese la valigetta e la aprì controllando il resto. La richiuse pensando che poteva benissimo fabbricarseli da sola, quei benedetti proiettili, ma che non le andava di stare ore e ore china sul tavolo da lavoro che aveva allestito nell’appartamentino in cui viveva.

 

Voltò le spalle alla donna e aprì la porticina immettendosi nel locale, sorpassò un cameriere che stava pulendo in terra rischiando di scivolare sul detergente e uscì in strada, passando nuovamente una mano sul mento. Si aggiustò gli occhiali da vista con le lenti finte e la maglietta da adolescente con una scritta stupida che aveva scovato nel mercatino dell’usato poco distante.

 

Doveva tornarci in quel posto, c’era un negozio vintage che faceva proprio al caso suo.

 

Si recò in un negozio d’articoli sportivi e comprò una scatola di proiettili di plastica, scherzando col negoziante sul fatto che suo figlio avesse la passione per le armi e che si stava specializzando nel tirare giù le lattine con un’arma fintissima che suo padre gli aveva comprato - quel disgraziato, lo sa che odio le armi anche se sono di plasticaccia! Ma sa i bambini come sono a quell’età: vedono i film di Stallone e vogliono essere come lui - ridacchiò mentre pagava i proiettili del tiro a segno gialli canarino.

Il negoziante la ascoltò con la faccia immobile, accennando un sorriso perché non gli interessava nulla se quella tipa se li mangiava o li usava per ammazzare qualcuno. A lui bastava intascare quei 19,50 dollari e assicurarsi lo stipendio anche per quella settimana, poiché quello strozzino del padrone li pagava a percentuale.

 

Maret uscì dal negozio tornando immediatamente seria e si diresse verso l’appartamento, dopo aver fatto una magra spesa. Quella sera doveva lavorare alla radio, non aveva tempo di prepararsi grandi cenette.

 

Dopo il lavoro notturno alla stazione, si diresse sul luogo dell’appuntamento con un’automobile che le aveva procurato Lennie. La targa l’aveva sostituita lei, dopo averne svitate un paio da alcune macchine in un parcheggio fuori mano e molto distante dalla città.

 

La mattina e il pomeriggio girava come una trottola per procurarsi il necessario per lavorare e la sera alla radio, era abbastanza stanca e scazzata per rivolgersi col giusto tono ai suoi ascoltatori che la adoravano, da quanto dicevano le statistiche, e l’avevano eletta la voce più sexi dell’etere.

Quando gliel’avevano accennato, Maret aveva alzato le sopracciglia, bisbigliando ‘patetici idioti’ a mezza bocca che aveva raggelato i suoi colleghi radiofonici.

 

Era bella, era fredda ed era stronza: la donna perfetta e irraggiungibile che sogna l’intero universo maschile.

 

Il terrazzo sulla quale era salita, aveva una pista d’atterraggio per elicotteri, come molti palazzi lì a Los Angeles. La finestra che doveva centrare era esattamente di fronte a lei, nell’edificio accanto.

Si sedette con tutta calma, montando il fucile di precisione che aveva preso dopo una lunga contrattazione con quegli strozzini russi che avevano un capannone per gli ‘attrezzi’ fuori città e che erano fedeli solo ai soldi. Maret rischiava continuamente di farsi impallinare da Gleb ogni volta che metteva piede nel suo bar dove potevi richiedere fra i tanti tipi di caffè, anche un fucile di precisione a canna lunga e col mirino laser.

 

Simpatico Gleb, dovrei fargli un bel regalo, pensò prendendo la mira e restando un bel po’ con l’occhio premuto quasi contro il mirino.

Quanto ci metteva a togliersi di torno quella sciacquetta che si stava lavorando? Pensò leggermente irritata e un po’ assonnata.

Non era particolarmente divertente guardare quel tipo che doveva ammazzare, impegnato in una performance kamasutrica e Maret si stava annoiando ed eccitando al tempo stesso, perché erano mesi che non vedeva un uomo neanche di striscio.

Non le interessava averne uno ma il suo corpo richiedeva ‘attenzioni’ particolari. Strinse le labbra e mandando mentalmente a fanculo Lennie, sparò un paio di volte, centrandoli in pieno entrambi.   

 

Con tutta calma, rimise a posto l’attrezzatura e scese canticchiando l’ultima canzoncina che avevano passato in radio durante uno spot.

 

Pensava: quei proiettili di vetro mi servono assolutamente per il lavoro che mi ha richiesto Lennie.

Pensava: dovrò chiedergli molti più soldi per accontentare quel rompiscatole di Gleb.

Pensava: la prossima volta devo tenere la sinistra più ferma. Mi sono mossa leggermente, non l’ho preso dritto in fronte e gli ho spappolato la faccia.

 

Scese le scale senza prendere l’ascensore perchè non aveva mai tempo di andare in palestra e stava mettendo su ciccia. E lei odiava la cellulite.

 

Pensava: il negozio vintage ha quel vecchio modello di Chanel che è una gioia per gli occhi. 20.000 dollari sono tanti ma è un originale degli anni 50 e non posso farmelo scappare.

Pensava: devo distribuire i soldi sui nuovi conti che ho aperto fra Los Angeles e Santa Monica.

 

Camminava e pensava, non smetteva mai. Pensava tutto il giorno al lavoro, qualsiasi cosa facesse non si rilassava mai, anche sotto la doccia pensava a come poter trovare quei beati proiettili e a come riuscire a centrare il politico che infastidiva Lennie a distanza ravvicinata a quella benedetta festa che avrebbero dato a giorni.

L’invito ce l’aveva, falso ovviamente. Avrebbe accompagnato Lennie che l’avrebbe presentata come attuale fidanzata, ma si sarebbe scordato tenerezze e le altre cazzate che aveva in mente, perché - piuttosto che fare la sciacquetta con te, preferisco fare la prostituta in un locale di camionisti - gli aveva detto facendolo restare a bocca aperta e senza parole.

 

Lennie l’aveva guardata sbattendo gli occhi ed era rimasto in silenzio allungandole l’invito.

“Non devo chiederti di metterti elegante. Lo sei sempre” le aveva detto a mezza bocca senza alzare gli occhi su di lei.

Maret si era sentita presa in giro perché aveva un paio di jeans e una maglietta semplice che era tutto tranne che elegante e stava per rispondergli a tono, quando si era resa conto che le aveva voluto farle un complimento carino. Aveva richiuso la bocca e si era alzata senza dire una parola, uscendo dalla stanza senza fare rumore.

 

Lennie aveva alzato gli occhi celesti che aveva ereditato dalla madre irlandese ed era rimasto a guardare la porta con quel groppo in gola che gli si formava sempre quando parlava con lei…perchè Maret era la donna più bella che avesse mai visto e gli ricordava tanto la sua prima fidanzata non ufficiale, Anenka, un’oriunda polacca che viveva accanto a lui e che spiava sempre. Anenka era più grande di lui, era carina e aveva un fidanzato. Ma Lennie si era innamorato lo stesso e nella testa di un ragazzino di 11 anni era diventata la sua fidanzata.

 

Maret era la sua Anenka a 38 anni. Carina, col fidanzato sicuramente perché aveva un anello che lo testimoniava, sebbene lei non avesse mai accennato ad un uomo nella sua vita e lui non gliel’avesse chiesto espressamente.

 

Con Madeleine, il nome fittizio che gli aveva dato, non si facevano domande.

 

Madeleine si guardava da lontano; si poteva sospirare al suo passaggio, ma piano, perché se ti avesse sentito avresti fatto sicuramente una brutta fine e non si faceva gli spiritosi.

 

Madeleine era un Anenka particolarmente irritabile e pericolosa…ed era proprio per quello che piaceva a Lennie. 




Adesso vi spiego come mi è venuta l'idea: LSF si stava allungando troppo e rischiavo un pasticcio. ho deciso di estrapolare la vita di Maret in questo racconto per non confondervi le idee. potete leggerlo da solo o contemporaneamente a LSF. Ci saranno capitoli in cui comparirà Maret, senza togliere nulla alle due storie. spero vi piaccia. Ps ovviamente non sono così ferrata sulle stronzate che scrivo ma mi sono documentata parecchio. buona lettura

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Capitolo 2
*** Perdere la bussola ***


Rew

Rew

 

Sei molto bella

“Grazie”

 

Maret si sedette all’interno della limousine nera e guardò dritto davanti a se senza degnare di un’occhiata il suo elegante mandante che fece una smorfia pensando il termine ‘stronza’ era solo un delicato eufemismo applicato a lei: chi l’aveva inventato, non aveva mai incontrato una persona come Madeleine.

 

Mentre l’autista li accompagna alla festa organizzata dal politico che Maret deve uccidere, all’interno dell’abitacolo dai vetri scuriti per una maggiore privacy, nessuno dei due emette un fiato. Maret continua pensare ai proiettili che non è riuscita a fabbricare decentemente ma che saranno efficaci allo scopo e Lennie continua a chiedersi perché quella donna deve essere così acida tutte le sante volte. Ce l’ha con lui per qualcosa in particolare o è così naturalmente?

 

“Madeleine è un bel nome. Sei francese?” le domanda tanto per spezzare il silenzio che pesa sempre di più.

“Per metà” risponde telegraficamente tornando a guardare fuori del finestrino. “Se la prossima domanda è ‘da parte di madre o di padre’ ti lascio a sbrigare il lavoro da solo” mormora scandendo bene le parole, senza voltarsi neanche.

Accavalla l’altra gamba e la calza striscia delicatamente, accarezzando il silenzio che è piombato nuovamente sull’abitacolo.

 

Lennie è rimasto male da tanta scontrosità e si porta un dito al colletto che gli stringe stranamente la gola. “Sei la fidanzata non ufficiale più fredda che abbia mai avuto” borbotta notando che quel colletto gli stringe un po’ troppo. Come le sue mani attorno alla mia gola!

 

Maret si volta verso di lui e lo fissa mentre cerca di slacciarsi il bottoncino “dai qua” mormora avvicinandosi e sfiorandogli la pelle con le unghie fresche di estetista.

Lennie la osserva attentamente, perché da vicino è ancora più bella e non si rende conto che lei lo sta quasi fulminando. “Che hai da guardare?” gli domanda restando immobile con le mani ancora sul cravattino che lo sta strangolando.

“Tu” risponde istintivamente facendole alzare un sopracciglio.

Maret lo fissa scocciata e si allontana, tornando a guardare il vetro oscurato e la strada che si dipana sotto le ruote della macchina. “Che cosa vuol dire fidanzata non ufficiale?”

 

Lennie la osserva di sottecchi e torna a guardare fuori, i semafori che scattano sul verde, le macchine che sembrano non avere fretta quella sera e lo intrappolano con un cobra vivente e più irraggiungibile dell’oro di Fort Nox.

“Niente…una cosa mia” le risponde lasciando cadere l’argomento. Una donna normale si sarebbe impicciata a quella risposta così evasiva e gli avrebbe fatto mille domande. Madeleine non è così, a lei non interessa nien

 

Visto che mi riguarda, insisto per saperlo”

 

La frase secca di Maret gli ha interrotto il filo dei pensieri. Toh, la curiosità è femmina davvero allora, pensa schiarendosi la voce. “Mi piaceva una ragazza quando ero piccolo…”

 

“Ok, basta così. È un racconto noioso” decide appoggiando il gomito fra il vetro e la portiera, il mento sul dorso della mano.

 

Lennie la guarda disorientato. Non dice nulla e torna a guardare fuori, maledicendo i chilometri che lo separano ancora dal luogo del festeggiamento.

 

***

 

Bla, bla bla…ma quante chiacchiere inutili!

Maret si annoia a morte alla festa ma riesce a mantenere un sorriso forzato e gelido che fa rabbrividire Lennie. Si annoia ma sta studiando ogni più piccola uscita e finestra e qualsiasi cosa possa aiutarla nel suo lavoro.

Se si arrabbiasse o almeno sbadigliasse, sembrerebbe un po’ più vera, pensa guardandola di sottecchi.

Lennie non le capisce le donne, perché è troppo timido per avvicinarsi e mettersi li a studiarle.

Gli piace ammirarle da lontano ma non ha mai il coraggio di farsi avanti soprattutto quando

lo colpisce qualcuna in particolare.

 

È sempre stato troppo preso da altre faccende per fare quello che fanno tutti i ragazzi; è bravo nel lavoro che fa, serio e inappuntabile anche se spesso di sforza di fare la carogna che non è, perché se non mostri le palle in quel mondo, puoi star sicuro di trovare qualcuno che prima o poi te le taglia.

Ha preso tutto il carattere di sua madre, timido e riservato e neanche una briciola della potenza paterna che gli faceva venire le lacrime agli occhi con un solo sguardo.

 

Quando Maret lo guarda in quel modo, si ritrova di fronte a don Tommasino. Ma suo padre alla fine lo abbracciava e gli faceva una carezza pesante e veloce, Maret al massimo, potrebbe dargli il calcio della pistola in testa!

 

Trova sempre una ragazza da portare alle feste mondane perché non è malaccio e alle donne piace il suo modo di fare, un pò dolce e imbranato, come se non sapesse mai da che parte cominciare. Non è raro che arrossisca quando una donna gli rivolge un complimento, anche visibilmente falso, prende cotte a ripetizione perchè ha la maturità sentimentale di un adolescente che ha appena scoperto l’altra metà del cielo. Fortuna che sul lavoro è tutta un’altra cosa.

 

Maret lo sta fissando con una velata minaccia negli occhi ed eccolo là, nuovamente impacciato di fronte a lei, quando vorrebbe dare tutta un’altra immagine di se “Mi sto annoiando” gli dice con il sorriso congelato sul viso che le sta facendo dolere tutti i muscoli.

Anche io, ma dobbiamo aspettare…”

Maret si stacca dal suo fianco e lo fissa nervosa “tu indugi troppo per i miei gusti”

 

Lui la guarda e inclina leggermente la testa da una parte. Maret ha notato che lo fa quando è seccato e non sa che pesci prendere; in realtà lo fa perché sta pensando velocemente ad una soluzione che gli impedisca di fare un’altra figuraccia. “Tra poco si riuniranno nella sala al terzo piano per mettere giù una nuova strategia per la campagna elettorale. Se tu..

“Ho capito tutto” borbotta guardandosi attorno.

 

Lennie non sopporta che gli tagli sempre i discorsi a metà: già gli è difficile parlare con una donna normalmente, figurarsi con una come lei!

Maret ha già assunto una nuova espressione, una sorta di velato compiacimento per quello che si accinge a fare.

Non per l’omicidio in se e per se, figuriamoci, ma perché così potrà togliere i tacchi da quella festa noiosa, e soprattutto - getta uno sguardo al suo mandante che sta parlando con un gruppo di affaristi dall’aria losca - potrà togliersi dai piedi quel tipo che continua a fare il gentile con lei e che avrebbe solo voglia di prendere a calci!

 

È troppo carino, Lennie, e Maret non lo sopporta. Non lo sopporta perché le da fastidio che qualcuno le chieda ‘per favore’ le cose e le da fastidio che le apra la porta ogni volta che entra in una stanza o le scosti la sedia per farla accomodare. Per carità! Cosa sono quelle stupidaggini romantiche che continua a propinarle?!

 

Ha studiato da Monsignor della Casa? Senti tu come parla forbito!

Maret ridacchia sentendolo rivolgersi a delle signore, probabilmente le mogli ignare dei tipi loschi di prima, con una gentilezza che non gli fa difetto.

Si ritrova a studiarlo prima di rendersene conto. È carino non può negarlo…ma sia chiaro: non è il tipo che piace a lei!

Maret fa una smorfia quando lo vede chiacchierare amabilmente continuando a sorridere con la sua faccia da angioletto. Deve essere obiettiva per una volta e ammettere che quel ragazzo non è da buttare.

È grandicello per usare quel termine, ma a Maret da l’idea di un poppante che è stato buttato nella fossa dei leoni troppo presto e senza armi per difendersi.

Strano che non sia sempre circondato da donne: ha quella faccetta da bravo ragazzo che attira le femmine con l’istinto materno piuttosto sviluppato e le oche con tre neuroni a dir tanto, sempre a caccia di tipi impaccati di soldi per farsi scorrazzare in limousine.

 

Avrà doti nascoste, pensa guardandolo intensamente...un bel po’ nascoste! Non so perché, ma mi fa sempre venire i nervi!     

Continua a farlo finchè non lo vede allontanarsi con un sorrisetto da quelle vecchie citrulle che passano tutti i pomeriggi a farsi le unghie e i capelli da JeanLouis – David sulla tredicesima avenue.

 

Quando si volta verso di lei, resta piacevolmente sorpreso dall’attenzione che la donna gli sta rivolgendo - senza rendersene conto probabilmente - perché continua ad avere l’occhio sinistro leggermente socchiuso e le labbra appena aperte.

 

Maret continua a pensare che lo vedrebbe bene a scrivere poesie d’amore sotto la luna, con un fiore in bocca e la penna d’oca, le mani sporche d’inchiostro ma felice come un bambino per il sonetto che ha appena composto, strimpellando serenate all’amata che lo ascolta dalla finestra….

…ci si vede quasi, nei panni della fanciulla che gli getta un fiore o un fazzoletto profumato come pegno del proprio amore…

 

“Sono accettabile?” le domanda avvicinandosi con un bicchiere di champagne in mano.

 

Maret si raddrizza, scuotendosi da quei pensieri assurdi e romantici che ha sempre disprezzato e lo guarda con aria di sufficienza, respingendo il bicchiere che le sta offrendo.

“E’ vero, stai lavorando” mormora dispiaciuto per la nuova gaffe, posandolo su un tavolo ingombro di bicchieri vuoti che i camerieri stanno togliendo velocemente.

“Io non bevo” afferma fredda e nervosa per la sciocchezza che ha partorito la sua mente. Ok, era stanca e non vedeva l’ora di andarsene a dormire! Quelle stupidaggini le pensa solo quando è molto stanca, non c’è altra spiegazione.

Guarda l’orologio che porta al polso e poi lui, che continua a toccarsi il colletto della camicia che gli va stretto. “Hai detto terzo piano?” gli domanda mezza scocciata.

 

Lennie annuisce e la osserva muoversi fra il brusio della folla come una visione angelica…no, un angelo non ha quella lingua tagliente, pensa cercando di riprendendo il bicchiere andando a vuoto. Guarda il tavolino sgombro della vetreria delicata e sospira scuotendo la testa impercettibilmente.

 

Strano, quando non c’è lei, il colletto non stringe più in quel modo soffocante.

 

Quando sta vicino a lei, Lennie perde completamente la bussola.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** // ***


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Il corpo doveva aver fatto un bel volo, perché le membra erano girate da angolazioni impossibili e il sangue era schizzato fino alla strada, macchiando i vestiti dei passanti che stavano passeggiando casualmente sotto il palazzo dove si svolgeva la festa e i taxi fermi ad aspettare le chiamate.

 

Il corpo del defunto candidato Broden era effettivamente caduto dalla bellezza di 300 piani, perché lì a Los Angeles i grattacieli si sprecano e gli incidenti avvengono con una certa frequenza.

 

Anche gli omicidi.

 

Opporcamiseria! Gesù mio!” continuava ad esclamare il portiere che aveva chiamato il 911 quando se l’era visto crollare attraverso il tendone rosso, direttamente all’entrata principale sui propri piedi.

“O madonna mia bella, un metro più in la e mi sarebbe caduto addosso, sto guaglione” continuava a biascicare in napoletano stretto alla polizia che aveva recintato la zona col nastro giallo e teneva a distanza i curiosi e i necrofili che con quelle foto ci andavano a nozze, perché le rivendevano su Internet.

“Sono già arrivati gli sciacalli!” sbottò il capitano di turno indicando i giornalisti che si stavano accalcando e che rivendicavano la libertà di stampa.

 

Fissò la squadra della scientifica che lavorava attorno al corpo e gli rivolse la classica domanda che faceva sempre in quei casi “è stato ucciso e si è buttato da solo?”

 

Il ragazzo che stava chinato a terra, alzò la testa con un sorrisetto ironico e strafottente“ha le viscere esplose nel corpo: secondo lei come facciamo a saperlo se prima non lo esaminiamo per bene?!”

 

Il capitano lo guardò desiderando prenderlo a calci per togliergli quel sorriso irriverente e fece un cenno annoiato “ho capito: anche stanotte non si dorme!”

 

“Capitano, gli ospiti della festa sono tutte personalità di spicco, c’è anche il cugino del sindaco…non possiamo trattenerli “ gli suggerì a bassa voce l’agente Fernandez con la sua solita parlata spagnola che al capitano piaceva molto perché gli ricordava la spiaggia d’Ibiza sulla quale aveva passato un’estate fantastica da giovanotto.

Annuì grugnendo qualcosa fra i denti e le ordinò di farli uscire dalla porta posteriore, poichè l’entrata principale era stata recintata. “Ma prendi le generalità di tutti gli invitati!”

“Ci potrebbe essere l’assassino la in mezzo” gli ricordò Migro sbattendo la penna su taccuino su quale aveva preso le testimonianze delle persone che avevano visto volare il corpo. Poche e fantasiose, in verità. Niente di nuovo in quel mestiere e in quella città.

 

Il capitano allargò le braccia impotente “glielo spieghi tu al sindaco che gli abbiamo arrestato il cugino come presunto omicida? Quello è capace di sbatterci a chiedere l’elemosina con i poveracci in strada!” 

 

***

 

“Signori, dovete darmi le vostre generalità; tutti, nessuno escluso!”

Appena formulata quella frase, un coro di dissensi e di minacce si levò contro la povera Fernandez che fece orecchie da mercante e il sorriso di quella che non gliene fregava niente delle loro rimostranze.

Questa non ci voleva, pensò Maret aggrottando le sopracciglia. Si staccò dalla presa di Lennie e si mosse verso la strada senza farsi vedere dalla poliziotta accerchiata dalla folla dei festeggianti impauriti e minacciosi. 

Dove stai andando?”

“Devo vedere una cosa…aspettami qui”

Sgusciò fra la folla, impigliando il vestito elegante che teneva sollevato con una mano fra le gambe della gente che si accalcava sempre di più attorno al nastro giallo. 

“Signorina, che sta facendo?! Vada via di li” le urlò un poliziotto quando si fermò di fronte al corpo e lo guardò prima impassibile e poi sempre più bianca.

 

“Madeleine!”

Lennie le era corso dietro temendo una sua stranezza e ora si ritrovava a guardare un fantasma sempre più bianco e traballante sulle gambe.

Che hai, ti senti male?” le domandò toccandola su un braccio e seguendo il suo sguardo fino al  corpo in terra. Lennie spalancò gli occhi e cercò di non vomitare alla vista del sangue che arrivava fin quasi ai loro piedi.

“Andiamo via” le ordinò tirandola per un braccio e sentendola tremare sempre di più. La guardò senza capire finchè non gli si afflosciò addosso e dovette quasi prenderla al volo per non farla cadere in terra “Madeleine!” gridò preoccupato e senza riuscire a credere che la sua algida killer, spietata e senza un minimo di cuore potesse svenire alla vista del sangue.

 

“Signore!”

 

L’urlo del poliziotto che scavalcava la linea e accorreva verso di loro, gli fece alzare gli occhi “che ha la sua signora, si sente male?”

“E’ svenuta..” Mormorò senza crederci veramente.

“La porti via di qui e le tenga le gambe sollevate. Non è un bello spettacolo neanche per noi, glielo posso assicurare.

Lennie annuì e prese in braccio Maret portandola di corsa verso la limousine dove l’autista l’aspettava già col motore acceso e la portiera aperta.

“E’ successo un casino” gridò quasi verso l’uomo di fiducia che lo occhieggiava dal retrovisore.

Che ha?” gli domandò vedendo la donna pallida come un cencio.

“E’ svenuta”

L’uomo non parlò perché dirgli che era assurdo che un’assassina a pagamento svenisse alla vista di un morto, era un concetto a cui il suo padrone poteva benissimo arrivare da solo.

“Non ci posso credere! Ma come fa a svenire una che questo lavoro lo fa dalla mattina alla sera?!” gli domandò esterrefatto mentre la sdraiava su un fianco, sul sedile piuttosto capiente e le tirava già la zip del vestito per farla respirare meglio.

“E’ pur sempre una donna” commentò alzando un sopracciglio velocemente,

“Non farti sentire!” esclamò piuttosto divertito sentendola mugolare.

Si chinò su di lei lasciandole tutto lo spazio possibile e sventolandola con un depliant di viaggi che era rimasto lì da chissà quando tempo “Madeleine…come ti senti?” gli domandò con una vocetta carina che fece sgranare gli occhi all’autista che sorrise malizioso. 

 

Maret lo scostò da se con una certa stizza e si rimise seduta toccandosi la testa e strappandogli il depliant di mano. “Bene, come vuoi che stia!” sbottò innervosita e con un accenno di nausea “io ho fatto casino e io ho rimediato”

Che casino?” le domandò senza capire e senza avvicinarsi.

“M’è toccato buttarlo di sotto, quel porco manolunga!” esclamò aprendo il finestrino e facendo entrare l’aria fresca. Perché le veniva così tanto da piangere?

“Non ho capito…” mormorò il suo mandante senza raccapezzarsi.

Maret sbuffò e richiuse il finestrino, impedendo all’aria di muoverle le ciocche che fino a quel momento avevano danzato attorno al suo viso arrossato, attirando l’attenzione di Lennie che si era incantato a guardarla. 

“Credevi forse che il mio piano fosse quello di fargli fare un volo d’angelo senza paracadute?” gli domandò esterrefatta.

Lui annuì aprendo una mano “perché, avevi altro in mente?”

 

Maret lo guardò incredula “questi metodi camorristici, lasciali a qualcun altro! Io sono una killer seria! Volevo fare un lavoretto pulito, ma quando il porco ha cominciato ad allungare le mani non c’ho visto più e l’ho spinto di sotto. La finestra era aperta, quindi non capiranno mai che è stato gettato di sotto” mormorò continuando a sventolarsi con l’altra mano “non ho pensato che ci avrebbero trattenuto all’interno dell’edificio e che ci avrebbero preso le generalità…una mancanza da parte mia piuttosto discutibile!”esclamò arrabbiata.

“L’hai fatto apposta..” Mormorò sedendosi davanti a lei “non sopporti il sangue e hai pensato bene di inscenare quel trucchetto per farci scappare senza problemi”

Maret sorrise appena, ancora rossa e ansimante, la testa che le girava “bravo, sei sveglio

 

Lennie la guardò ancora e fece una smorfia, chiudendo il vetro separatore scuro e aprendo il mobiletto del bar. Tirò fuori una bottiglia e un bicchiere e glielo riempì.

“Non bevo, lo sai” gli disse subito scorbutica.

“Neanche l’acqua?” le domandò restando con la mano sospesa nel vuoto e un sorriso negli occhi.

 

Maret afferrò il bicchiere ma lo odorò prima. Quando fu convinta, ne mandò giù un piccolo sorso sentendosi subito meglio. “Grazie” borbottò a mezza bocca notando con fastidio che era rimasto del gloss sul vetro delicato. Lo tolse con il pollice e sobbalzò quando sentì qualcosa di freddo che le veniva adagiato sulla fronte.

Che stai facendo?!” sbottò allontanandogli la mano stretta attorno ad un fazzoletto umido.

 

“Ti soccorro” le spiegò posandole un’altra volta il fazzoletto sulla fronte “sei svenuta come una pera e mi hai fatto preoccupare. Per stasera il tuo lavoro l’hai fatto. Adesso lasciami fare il mio”

Maret lo guardò per qualche istante imbufalita ma si afflosciò sul sedile piuttosto sbattuta “e chi sei, un medico?”

Lennie sorrise avvicinandosi un po’ per stare più comodo e le toccò una guancia, rinfrescandola interamente “io curo i miei affari e i miei collaboratori. Non vai da nessuna parte se non ti prendi la briga di badare ai tuoi dipendenti”

Maret sollevò un angolo della bocca in quello che voleva essere un sorriso sarcastico. Era troppo stanca per prenderlo in giro così si limitò ad una frecciatina “scommetto che con uno di quei bisonti che lavorano per te non l’avresti mai fatto”

Lennie ridacchiò accarezzandole l’altra guancia e sentendo che il fazzoletto andava scaldandosi “No…non penso” ammise bagnandolo un’altra volta e scendendo sul collo, facendole venire la pelle d’oca.

E qual è la differenza fra me e loro?” gli domandò vagamente a disagio. Gli bloccò la mano sentendo la differenza fra le sue dita calde e il freddo dell’acqua e rabbrividì un’altra volta.

 

“Loro non sono così carini”

 

Maret restò a fissarlo per qualche istante, la mano ancora posata sulla sua e girò la testa tornando seria. “Sii gentile e riportami alla mia macchina”

“Non vuoi che ti accompagni a casa?”

 

No, non voglio che mi accompagni a casa. Non voglio che tu sia così gentile con me.

“No grazie. Preferisco andare da sola” rispose fredda facendolo restare male.

 

Quando scese dalla limousine, Maret si rese conto che aveva il vestito aperto e lo guardò arrabbiata “Perché quella zip non è chiusa?”

Lennie la fissò per un attimo e la girò su se stessa tirandole su la zip con un moto di stizza. “La prossima volta ti lascio sull’asfalto, strrga!” borbottò infuriato rientrando in macchina e sbattendo la portiera.

“La prossima volta ti lascio sull’asfalto…pipipi” esclamò facendogli il verso. Cretino! Maret lo guardò come si farebbe con un ragazzino che sta facendo capricci e bussò al vetro allungandogli uan busta porta documenti gialla ocra, completamente anonima.

“Se per caso si cominciasse a parlare di omicidio…usa queste”

 

L’uomo la prese con una certa curiosità e l’aprì lentamente, infilando il naso dentro la busta. “Foto?”

Maret annuì annoiata “fotomontaggi per depistare l’attenzione…sono perfetti” affermò soddisfatta appoggiandosi al tettino della limo. 

 

Lennie la fissò per qualche secondo, gettando casualmente le foto sul sedile accanto a se. “Sei fantastica, lo sai?”

 

Maret stava per rispondergli acidamente ma restò bloccata dallo sguardo di sincera ammirazione che leggeva nei suoi occhi.

“Mh” mugugnò titubante scostandosi dalla macchina.

 

Lennie la vide allontanarsi verso la propria e restò a fissarla mentre scivolava dentro. Maret non mise in moto subito: restò a guardare un punto indefinito davanti a se e quando avviò il motore, sempre con l’aria distratta, alzò per una frazione di secondo gli occhi osservando il suo mandante che le sorrideva alzando una mano in segno di saluto.

Lo fissò finchè il vetro brunito non lo escluse dalla sua vista e restò per molto tempo a guardare la macchina che si allontanava, scivolando come un lungo serpente nella strada illuminata di lampioni arancioni.

Appoggiò la schiena al sedile stancamente e si fissò le unghie che stavano grattando dolcemente un angolo del volante di pelle. Fantastica…già, come no.

 

 

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Capitolo 5
*** La cosa giusta al momento giusto ***


Pizzicore alla guancia, un pizzicore…

Pizzicore alla guancia, un pizzicore…un solletico ritmico… come uno sfregare insistente.

 

Maret balza a sedere sul letto, obnubilata dal sonno e con la destra stretta attorno alla Glock.

Mossa sbagliata, dovevo usare la sinistra, pensa sentendo quel pizzicore alla guancia che non è altro che lo strofinare insistente di un dito sulla pelle.

“Ben svegliata Madeleine…dormi sempre con la pistola sotto il cuscino? in Un po'scomodo! ”

“Sempre” mormora raddrizzando la mano e aprendola, lasciando dondolare la pistola.

Lennie gliela toglie e continua a tenerle puntata la sua alla tempia, sebbene sia scarica. Ma lei non lo sa, perché dirglielo? Un secondo dopo anche lui la mette via e sospira.

Maret gira la testa verso di lui, un sorriso beffardo sulle labbra e una piega d’irritazione che le corre fra le sopracciglia scure “come hai fatto a trovarmi?”

Lennie sorride aspettandosi la domanda “Madeleine, mi credi così stupido? Io curo i miei interessi, non dormo certo da piedi!” esclama staccandosi dal comodino sul quale è seduto e passeggiando tranquillamente fino ai piedi del letto. Infila le mani in tasca e la guarda, avvolta in una sottoveste che mette ancora più in evidenza la sua pelle abbronzata e bellissima.

Maret non fa nessun gesto di coprirsi. Resta a fissarlo intensamente, seduta. Sbatte gli occhi cercando di non stropicciarseli e attende che quel tipo strano parli. O ci provi con lei. Dio ti prego, dammi il pretesto per prenderlo a calci!

 

L’uomo inclina la testa e continua fissarla con aria pensierosa “hanno mai ucciso per te, Madeleine?” le domanda con voce seria e bassa.

L’accento irlandese si sente di più quando è agitato o eccitato. Adesso parla senza fretta e ha una cadenza dolce e ipnotizzante.

Maret lo fissa non provando alcun sentimento. Solo fastidio per essere stata svegliata per rispondere a stupide domande.

“No...non che io sappia”

Scruta da capo a piedi quella figura che non è proprio malvagia, non gli manca nulla al suo datore di lavoro. È alto e ha un bel fisico, leggermente curvo di spalle come quelli che sono cresciuti tutto insieme, troppo in fretta per dare al corpo il tempo di adeguarsi al passaggio dall’infanzia all’adolescenza. Gli occhi celesti in perenne movimento, ora sono immobili sul suo viso leggermente magro e i capelli castani scuri sempre perfettamente in ordine, sono scompigliati come se si fosse passato le mani in mezzo più volte.

No, non è brutto Lennie.

Ma non è niente, è solo quello che le da gli incarichi e scuce fior di dollari per le sue richieste spesso assurde. “Hai un lavoro per me?”

“No”

“Allora cosa sei venuto a fare?”

Maret è perfettamente sveglia, sulla difensiva e sta cercando la seconda pistola, piccola e maneggevole che tiene sotto il secondo cuscino. Una vecchia abitudine che ha preso quando viveva con MacMahon: spesso lui le faceva delle sorprese nel cuore della notte per abituarla a non dormire troppo sugli allori, perché spesso non sei al sicuro neanche a casa tua. Ho ricordato di caricarla?

 

Lennie fa spallucce appoggiando un piede alla testiera “mi andava di venderti. Una settimana è lunga”

La donna gira lo sguardo verso la sveglia e si accorge che è tardi. Sono le 11:30. Strano… lei non dorme mai fino a tardi.

E mi piombi in casa alle 11 di sabato mattina perché ti manco?” domanda esterrefatta ficcando una mano sotto il cuscino, casualmente.

Le fa una smorfia, senza parlare annuendo e continuando a tenerle gli occhi fissi sul viso. Strano...Maret si aspettava di essere slumata dal maniaco, invece non ha fatto viaggiare lo sguardo più del dovuto.

“Volevo invitarti a pranzo”

“Non pranzo mai”

E scommetto che neanche ceni”

“Bravo!”

Lennie la guarda grattandosi un labbro che porta una piccola escoriazione dovuta al rasoio vecchio che ha usato quella mattina e fa nuovamente quella smorfia che Maret ha notato già dal primo giorno: la faccia di uno che sa che sarebbe andata a finire in quel modo ma che non demorde “ok” borbotta allontanandosi di un passo. “Mi dispiace di averti svegliato”

Maret lo fissa in silenzio stringendo la piccola pistola e non da cenni di volerlo scusare. La costringe a cambiare casa, in quel modo.

“Bell’anello di fidanzamento…toglimi una curiosità: che fine ha fatto quello che te l’ha regalato?” le domanda vedendola finalmente in difficoltà.

Dopo un iniziale smarrimento, Maret recupera tutto il suo sangue freddo e lo guarda calcando bene sulle parole “è morto. L’ho ammazzato perché faceva troppe domande” risponde restando ferma, aspettandosi una seconda mossa da quell’inopportuno rompiscatole.  

Lui alza le sopracciglia e annuisce più volte. “Mh…sei senza scrupoli”

“Certo. È per quello che faccio bene il mio lavoro” afferma rilassandosi e sdraiandosi senza degnarlo di una seconda occhiata.

Lennie la osserva mentre sprimaccia il cuscino “secondo me sei solo una grande stronza e basta”

Maret alza un angolo della bocca e annuisce “bravo, l’hai capito”

 

***

 

Ho trovato il pretesto per prenderlo a ceffoni! Decide muovendo nervosamente il piede e attendendo che Lennie faccia la sua apparizione nell’ufficio. L’hanno fatta accomodare da quindici minuti perché il signore era in riunione’ ma ancora non si è fatto vedere. Rigira fra le dita l’anello e guarda la scrivania ordinata di Lennie chiedendosi di cosa si stia occupando in quel momento. Lancia uno sguardo alla porta e si alza lentamente senza far strisciare la sedia sul pavimento. Aggira la scrivania e si siede sulla poltrona con aria soddisfatta. Quanti bei cassetti, pensa aprendone uno col dito e tirando fuori dei fascicoli che sfoglia incuriosita. Maret è ferrata in matematica e capisce subito che qualsiasi affare stia trattando Lennie, renderà un mucchio di soldi.

Lo chiude e rimette tutto a posto, cancellando l’impronta con un fazzolettino. Se guadagnava così tanto poteva permettersi anche di pagarla il doppio!

Ha appena formulato quel pensiero gratificante quando la porta si spalanca e Lennie entra di corsa mezzo scapigliato e con l’aria distrutta “scusa, mi hanno trattenuto…” mormora guardandola distrattamente. Resta immobile ad osservarla seduta al suo posto, col viso impassibile e un groppo in gola.

Le occhiaie del suo capo le fanno pensare che abbia trascorso più di una notte in bianco “che ci fai la dietro?” le domanda avvicinandosi con aria nervosa.

“Provavo la sensazione di essere ricca, mafiosa e a capo di una bella organizzazione privata.” Risponde spiritosamente, alzandosi leggera e facendo girare la poltrona. “Per adesso ho capito solo che hai la poltrona comoda.

 

Lennie la osserva appoggiarsi sullo spigolo della scrivania e attendere “allora? Mi sembra di averti aspettato anche troppo”

“Non ho incarichi da darti” afferma scrutandola da capo a piedi.

Maret s’irrigidisce e torna a terra infuriata “cosa mi hai chiamato a fare, allora?!”

“Posso offrirti qualcosa? Un aperitivo, qualcosa da sgranocchiare…scegli tu” le dice senza rispondere al suo tono aggressivo e adocchiando il minibar rifornito “a già: tu non bevi e non mangi…” mormora sentendo i suoi tacchi che si avvicinano. Qualche istante dopo si ritrova a guardare una gelida Maret dritta negli occhi e lascia quasi cadere la bottiglia che ha in mano.

“Stammi a sentire, idiota!” sibila con aria cattiva “non devi MAI e poi MAI, disturbarmi quando non hai incarichi da darmi. Non devi MAI più presentarti in casa mia e non devi provare a scherzare con me neanche da lontano”

“Mi stai urlando in faccia”

E allora?”

“Non è educato”

 

Maret resta a fissarlo ammutolendo e rendendosi conto di aver gridato come una portinaia al mercato rionale della domenica. Si ricompone silenziosamente e continua a fissarlo: quell’arietta tranquilla non le piace per niente, perché non ha paura di lei e la cosa la manda in bestia.

Lennie la guarda visibilmente colpito dalla sua bellezza e non passa neanche un secondo da quando le sue braccia si chiudono attorno alla vita di Maret e le sue labbra si posano su quelle della donna che resta immobile e non lo ricambia.

Quando la lascia, Maret lo fissa con aria sprezzante e un labbro che sembra stia tremando. Ma non è sicuro perché è un movimento troppo repentino da registrare.

“Adesso sei contento?” Mormora allontanandosi di un passo.

Mica tanto” risponde rendendosi conto di aver fatto una cazzata. E vede ancora quel labbro tremolare; stavolta lo vede ma sembra che la bellissima proprietaria non se ne sia accorta.

“Ma che fai, piangi?” le domanda avvicinandosi alla donna che indietreggia ancora, fino a toccare lo spigolo della libreria con la schiena. 

“No, perché dovrei?” risponde percependo vagamente una sensazione di bagnato sul viso. Alza una mano e tocca la guancia, stupita di ritrarla umida. Sfiora più volte il viso e non capisce come mai siano bagnate, come mai stia piangendo e Lennie la osserva, frugandosi in una tasca alla ricerca di un fazzoletto da porgerle, come il vero gentiluomo che non è, perché è solo un poveraccio che sta cercando di farsi da solo ed è arrivato dove è arrivato leccando le persone giuste ed eliminando quelle fastidiose e scomode. Le avvicina la sedia e Maret ci crolla sopra con le gambe improvvisamente pesanti perché erano mesi che nessuno la baciava ed erano mesi che nessuno era così carino con lei.

Un bicchiere d’acqua fresca le viene porto in silenzio e lei lo prende e lo tiene fra le mani, guardando le bollicine dell’anidride carbonica che salgono in superficie ed esplodono una dopo l’altra. Ne beve un sorso solo, pensando alla magra figura che sta facendo di fronte al suo ricco mandante che si è seduto silenziosamente accanto a lei e aspetta che abbia finito di fare la pazza isterica anche per quel giorno.

“Dubito che sia stata colpa mia.” Afferma osservando la sua figura di tre quarti da quella prospettiva.

Maret non risponde, perchè non lo sa neppure lei il motivo di quella reazione ma avverte dentro di se un certo pizzicore che le gratta i polmoni e il cuore, una nostalgia che le fa così male da lasciarla senza fiato. Resta in silenzio perché anche emettere una singola vocale le costa una fatica tremenda.

“Ti lascio un po’ da sola” mormora alzandosi, vedendola girare la testa per escludere il viso dalla sua vista. Per una frazione di secondo ha potuto vedere lo stesso la guancia nuovamente bagnata.

 

Si muove verso la porta, senza guardarsi indietro “resta quanto vuoi, prenditi il tempo che ti serve per risistemarti. Le dice restando con la mano sulla manopola d’ottone cromato e lo sguardo fisso sulla fessura che si sta aprendo di fronte a lui.

 

“Grazie” mormora a bassa voce fermandolo “mi dispiace d’avere urlato”

 

Lui sorride appena e ci prova nuovamente perché è quello che ha sempre fatto con le ragazze di cui s’innamorava da ragazzino “Non importa. Tu vieni a cena con me ed io ti perdono

Aspetta per qualche secondo di sentire un risolino beffardo o unno’ deciso, lo sguardo tranquillo rivolto allo stipite della porta.  

 

“Va bene”

 

Lennie guarda il corridoio davanti a se e muove la testa da una parte...sarà stato il bicchiere d’acqua a convincerla o il fazzoletto che le aveva dato?

 

***

 

Il bicchiere d’acqua o il fazzoletto? Si domanda ancora mentre si veste per andare a cena con quella modella scontrosa che scoppia a piangere quando viene baciata maldestramente come aveva fatto lui nell’ufficio.

Non si stupirebbe di non vederla apparire. Ha tutta l’aria di una che fa il vento alla minima difficoltà.

 

Siede al tavolo del ristorante che ha scelto, non troppo romantico ma lussuoso quel tanto che basta per far colpo su una donna. Su quelle che frequentava funzionava sempre, con Madeleine non ne era poi tanto sicuro.

Lennie ha 38 anni e una vita disastrosa alle spalle. Il padre era un mafioso italiano pentito, emigrato in Irlanda per scappare dalla stessa gente che fino a qualche giorno prima gli aveva stretto la mano e dato pacche sulle spalle chiamandolo ‘amico’.

Gli ‘amici’ gli hanno massacrato la famiglia quando ha aperto bocca e Don Tommasino si è dato alla macchia, facendosi una nuova identità e una nuova famiglia in Irlanda. Gli ‘amici’ l’hanno trovato e l’hanno fatto fuori in un agguato camorristico in piena regola, facendo cadere la colpa sui facinorosi dell’Ira e scatenando un vespaio.

A lui non l’hanno ammazzato perché il padre ha pensato bene di farsi una famiglia si, ma non legalmente. Un figlio illegittimo che don Tommasino andava a trovare ogni settimana e cercava di rispondere a tutte le domande che gli faceva “ma perché non vivi con noi, papà?”

“Un giorno capirai, figlio”

“Io voglio capire adesso!”

“Hai lo stesso carattere testardo di tua madre”

 

Lennie l’aveva capito quando aveva 12 anni e si era ritrovato orfano di padre, con la madre quasi impazzita dal dolore. Si erano stabiliti a Los Angeles, nella terra delle grandi speranze, facendo mille lavori per sbarcare il lunario, finchè Lennie non aveva trovato un boss potente a cui appoggiarsi che non ne sapeva niente di mafia italiana e che non aveva alcun interesse a stringere rapporti con loro.

Lennie era cresciuto sbattendosi in mille modi, per conquistare un minimo di potere in quell’organizzazione tutta omertà e regole non scritte e quando i tre l boss era stirato e l’aveva disegnato successore aveva pensato: e adesso?

Aveva pensato: come mi vendico?

Aveva pensato: come ci arrivo a don Antonio e a tutti gli altri?

Aveva pensato: ho bisogno di gente con le palle, che faccia i peggiori lavori e di professionisti seri e puliti che non domandino ma agiscano.

 

E poi aveva conosciuto Maret…

 

Guarda l’orologio notando che era in ritardo già di un quarto d’ora.

 

Spera: starà parcheggiando.

Pensa: mi ha rifilato il bidone!

 

Dieci minuti dopo si alza con sguardo eloquente, aggiustandosi la giacca che si è sgualcita da un angolo e fissando la sedia vuota davanti a se.

 

“Scusa…ho avuto un problema alla macchina”

 

Lennie abbassa gli occhi su una donna raffinata come la seta pura e vestita elegantemente, le mani sporche di grasso che non riesce a mandare via con quel fazzolettino delicato e pressoché inutile.

 

In silenzio e cercando di essere il più galante possibile, le prende la giacca e le sposta la sedia invitandola a sedersi.

 

Maret lo guarda e accenna un sorriso “ordina anche per me mentre vado in bagno a lavarmi le mani nuovamente.

 

“Non so cosa ti piace” mormora con quella cadenza ipnotizzante e dolce ancora più accentuata dal groppo in gola che gli si è formato da quando ha visto la sua schiena seminuda e i capelli che le accarezzavano le spalline del vestito

 

“Andrà bene qualsiasi cosa”

 

L’uomo la guarda un’altra volta e annuisce osservandola allontanarsi verso la toilette delle signore.

 

È quel silenzio al momento giusto che le ha fatto accettare il suo invito. Quel restare in silenzio quando ce n’è bisogno e il dire la cosa giusta al momento giusto quando ha bisogno di sentirla.

 

E Lennie si risiede e continua a pensare: il bicchiere o il fazzoletto?  

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Capitolo 6
*** Proiettili di ghiaccio ***


Striscia lenta, non ti fermare…continua piano piano

Striscia lenta, non ti fermare…continua piano piano...non farti sentire. Un passo alla volta, sposta il gomito e poi il ginocchio… avanza cauta e spera che i proiettili non si squaglino del ghiaccio. Sai che risate? Arrivi davanti alla vittima e i proiettili sono evaporati!

Maret sorride al pensiero e continua ad avanzare nel tubo dell’aerazione che corre come un serpente metallico fra le costole del palazzo in cui soggiorna la sua vittima.

 

Rew

Don Vincenzo è una vecchia spina nel fianco di Lennie. Quando il suo mandante aveva saputo che era appena giunto in città, l’aveva mandata a chiamare dimenticandosi tutta la timidezza che provava nei suoi confronti e l’aveva accolta con uno sguardo freddo e deciso che Maret aveva apprezzato seriamente per qualche istante, dimenticando di disprezzarlo. Le aveva promesso un guadagno niente male per liberarsi di quel sorcio traditore e lei aveva sollevato le spalle fregandosene dei perché e dei percome lo volesse morto, poichè Lennie aveva pronunciato la parolina magica che a Maret piace tanto: fai tu! 

 

“Un omicidio anonimo o qualche vaga traccia del mandante?” gli aveva chiesto mentre l’uomo avvampava di rabbia guardando la foto del vecchio.

“Anonimo, per adesso” le aveva detto sbattendo una mano sulla scrivania, il fuoco della vendetta che lo divorava dentro “prima lui, poi tutti gli altri…e sono tanti, Madeleine”

 

Lennie aveva aggirato la scrivania rovesciando quasi lo schedario nero che Maret guardava sempre incuriosito perché era da lì che tirava fuori i suoi incarichi.

Stava seduta sulla sedia di fronte a lui, quando l’aveva visto chinarsi e si era istintivamente spostata all’indietro per la sorpresa e un po’ di batticuore che doveva essere analizzato con calma e in solitudine.

Sono tanti, il che vuol dire tanti soldi nelle tue tasche!” aveva sibilato perdendo per qualche momento la sua faccetta da bravo ragazzo. Maret stava ammirando quel lato del suo carattere che non conosceva quando Lennie si era spostato, schiarendosi la voce e passandosi una mano fra i capelli, nuovamente impacciato. “Scusa, mi sono lasciato trasportare”aveva mormorato girando un po’ a vuoto e facendola sorridere internamente. Ma poco.

“Per quando lo vuoi il lavoro?”

“Il più presto possibile”

“Stasera va bene?”

Lennie l’aveva guardata stentando a credere alle sue orecchie e aveva annuito un pò titubante.

“Pensavo ad una cosa veloce e raffinata. Si deve vedere la mano dell’esperto” aveva biascicato sottovoce sedendosi sullo spigolo della scrivania “so che da te posso aspettarmi questo e altro”

Maret aveva sorriso al complimento perché si reputava una delle migliori assassine a pagamento sul mercato e si era alzata con una certa soddisfazione negli occhi “continua così e andremo d’accordo, tu ed io” aveva dichiarato avviandosi verso la porta chiusa.

Stava uscendo quando qualcosa l’aveva fermata. Si era girata verso di lui, richiudendo la porta e camminando soprappensiero verso la figura statica del suo mandante. 

“Mi sei piaciuto, prima. Tutta quella foga che hai messo nel discorso, non era male” aveva borbottato alzando un sopracciglio e inclinando la testa a sinistra.

Poi gli aveva quasi fatto prendere un colpo quando gli aveva appoggiato le mani sulle spalle battendone una “hai del potenziale.

 

Lennie l’aveva guardata con uno sguardo strano che Maret non era riuscita ad identificare ed era rimasto immobile “per fare cosa? Tenere comizi in piazza?” aveva domandato con voce vagamente bassa e morbida, scendendo dallo spigolo e costringendola ad alzare la testa per guardarlo.

 

Maret aveva sospirato enigmatica, tanto che Lennie non aveva capito se stava dicendo sul serio o lo prendesse in giro.

“Hai le palle, peccato che non le tiri mai fuori”

Quella frase l’aveva fatto incazzare notevolmente e Maret aveva potuto vedere un nuovo aspetto del suo mandante, il secondo della giornata, che l’aveva stupita parecchio.

 

“Madeleine, certe volte rimpiango che tu sia una donna.”

Perché? Ti sei arrabbiato e vorresti picchiarmi?” l’aveva stuzzicato continuando a sorridere maliziosa.

“Si, quindi vattene e fai quello che devi fare” aveva borbottato spostandosi da lei “e non toccarmi”

 

Maret era rimasto a fissarlo per qualche istante buono, perché quell’ultima frase le aveva dato abbastanza fastidio e non riusciva neanche lei a spiegarsi il motivo. S’incupì e il sorrisetto sparì dalle sue labbra rosate che si strinsero l’una contro l’altra.

Era uscita in silenzio e Lennie era rimasto a guadare la porta pensieroso, ammettendo dentro di se che quella donna non aveva tutti i torti ma che era stato un vero stronzo ad arrabbiarsi con lei.

 

Perché quel niente che c’era fra loro, si era incrinato e adesso sarebbe stato ancora più difficile ricostruirlo.

 

******

 

Stronzo! ’Non toccarmi..’ ma chi ti tocca! Cretino! Borbottava dentro di se mentre scivolava leggera nel condotto dell’areazione e si affacciava alla griglia metallica.

Lo trovò immediatamente l’appartamento del don e restò a lungo ad osservare la stanza.

Il salotto era gradevole…e desolatamente vuoto.

La sua vittima doveva essere in giro con le guardie del corpo perché era assurdo che non ci fosse nessuno…a meno che non avesse sbagliato appartamento, in quel caso si sarebbe sparata da sola, solo per tutta la strada che aveva fatto per arrivare fino laggiù.

I gomiti e le ginocchia le facevano male, ma non poteva mettersi delle ginocchiere gommate perché le avrebbero impedito di sentire il contatto con il pavimento metallico e lei aveva bisogno della massima sensibilità disponibile.

Inguainata in una lunga tuta nera che non usava da parecchio tempo e con una mascherina con i filtri per non respirare la polvere, Maret aspettava, cercando di non addormentarsi e nel frattempo preparava la sua arma decidendo di tirare fuori i proiettili all’ultimo, per evitare che si sciogliessero prima del tempo, sebbene la dentro facesse un freddo cane.

Si sarebbe presa un raffreddore per colpa di quello stupido che si offendeva per nulla!

 

Perché se la sarà presa, poi! Ho detto solo la verità! Pensò sistemando la canna della pistola lunga fra le sbarrette grigie della griglia.

Guardò l’orologio e aspettò…aspettò così tanto che le dita si stavano stancando e i gomiti le facevano sempre più male.

 

‘Non toccarmi’

 

Maret scuotè la testa e sbattè gli occhi sentendoli pieni di sabbia, tirò fuori gli occhiali protettivi decidendo di toglierli nel momento in cui il vecchio si sarebbe presentato, per non alterare la mira.

 

Era quasi l’alba quando si svegliò di soprassalto.

 

Cazzo, cazzo! Mi sono addormentata! Pensò disperata sentendo i muscoli che le tiravano e i gomiti divorati da migliaia di formichine sottopelle. 

Guardò attraverso la grata e lo vide, finalmente: il vecchio era seduto e stava facendo colazione con il giornale davanti al viso. Brutto disgraziato, pensò tirandogli un accidente, abbassa quel giornale che devo prenderti per bene!

Restò immobile gemendo fra i denti per la scomodità e lo osservò allungare una mano per prendere la tazza del caffè.

Quando non la trovò e spostò il foglio stampato cercandola, Maret sparò usando il suo proiettile speciale che fortunatamente non si era sciolto nella protezione in cui l’aveva posto. 

 

L’idea le era venuta preparandosi un cocktail, una sera. Il ghiaccio era tagliente e lei si era graffiata quasi a sangue. Era rimasta a guardare la scaglia che si era squagliata immediatamente sotto le sue dita e aveva alzato gli occhi verso la finestra con un’idea che strillava per essere messa a punto.

 

Proiettili di ghiaccio: efficaci e letali, non lasciano segni, nessuna rigatura e si sciolgono nel corpo.

 

La testa di don Vincenzo restò per qualche attimo immobile e poi si afflosciò sul petto, come se il vecchio si fosse appisolato dopo un pasto abbondante.

 

Meglio di così non poteva andare, pensò strisciando via 

 

***

 

Lennie ascoltò la notizia dell’omicidio dell’uomo con poca curiosità, perchè sapeva che Madeleine era infallibile; a lui interessava la tecnica che aveva usato e alzò il volume col telecomando, quando dichiararono che il defunto era morto in circostanze misteriose e che l’arma non era stata ancora trovata.

L’omicidio risaliva a qualche ora prima e l’uomo restò piuttosto stupido guardando le lancette: era mezzogiorno e lei gli aveva promesso di occuparsi dell’ormai ex don Vincenzo - spero che tu possa sprofondare all’inferno, schifosa bestia mal cresciuta – durante la nottata.

Pensò che qualcosa non doveva essere andata per il verso giusto e si preoccupò immediatamente per Madeleine, sentendo un sudore freddo che scendeva lungo la schiena.  

 

Al telefono non rispondeva e lui era sempre più inquieto. Aspettò un’altra ora e poi, col cuore che batteva il timore che le fosse successo qualcosa, si diresse verso l’appartamento sperando di trovarla intera, in forze e magari anche arrabbiata… altrimenti non sarebbe stata la sua solita Madeleine.

 

***

 

Maret si alzò a fatica dal letto, distrutta dalla nottata e ancora formicolante, mezza congelata per il freddo che aveva preso e la testa che chiedeva pietà e un'aspirina al più presto. Afferrò la prima vestaglietta che trovò, se la gettò addosso senza badare che fosse al dritto e barcollò verso la porta, quel fastidiosissimo din - don che continuava e le apriva il cervello senza pietà.

Ma chi è?” borbottò aprendo la porta con rabbia. Restò a guardare il suo datore di lavoro che la osservava da capo a piedi e sospirò esausta “che cavolo vuoi? Sono appena tornata, ho sonno, il lavoro l’ho fatto! Vattene e lasciami dormire!” esclamò cercando di sbattergli la porta in faccia senza riuscirci. “Togli quel piede di mezzo” borbottò distrutta e con poca voglia di litigare.

 

“Stai bene, meno male!” lo sentì sospirare con voce alleggerita dalla tensione.

 

“Certo che sto be..

Maret s’interruppe sentendo un corpo caldo e piuttosto ben costruito che l’abbracciava. Restò immobile senza credere che stesse succedendo veramente, investita da un calore intenso che la scaldò completamente in un attimo.

Lennie l’abbracciava senza pensare di star rischiando la vita e la virilità e la stringeva con trasporto “ho sentito dell’omicidio alla televisione e mi sono preoccupato perché diceva che era successo poche ore fa. Credevo che ti fosse capitato qualcosa di male e mi sono precipitato. Tu non rispondevi al cellulare…che dovevo pensare?” le chiese lasciandola andare e rimettendola a terra perché nella foga dell’abbraccio l’aveva sollevata sulle punte dei piedi.

 

“Madeleine...stai bene, si?”  le domandò scrutando il suo volto che era rimasto congelato in un’espressione di sorpresa.

Maret si riscosse sentendo il freddo del pavimento sotto i piedi e lo guardò stranita e imbarazzata “Certo che sto bene…” mormorò scostandosi di qualche passo, la mano sulla manopola della porta “adesso torno a dormire” borbottò di nuovo, più a se stessa che all’uomo che la guardava incuriosito. “Hai la vestaglia al contrario” le disse vedendo le cuciture al rovescio.

Maret annuì e gli chiuse la porta in faccia senza aver capito un accidenti di quello che gli aveva detto…sì, la vestaglia al rovescio…certo, ora la giro, pensò sedendosi sul letto e tirando le gambe sotto di se.

Si sdraiò con l’aria ancora stupita e restò a fissare il buio per un po’, finchè il sonno non la ghermì  nuovamente e la trascinò in un posto caldo che con profumava vagamente di Lennie.

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** Niente killer, niente mandante ***


L’omicidio di don Vincenzo aveva scatenato un vespaio nella lontana Italia

L’omicidio di don Vincenzo aveva scatenato un vespaio nella lontana Italia. Si parlava di un regolamento di conti interno, dei cugini d’oltreoceano che si erano intromessi negli affari di famiglia e tante altre supposizioni che non trovano riscontro, alimentavano gli animi già piuttosto tesi. Nessuno aveva preso in considerazione l’operato sotterraneo e oscuro di Lennie Darco che si muoveva strisciando fra di loro, deciso a sterminarli tutti uno per uno.

 

Nessun ricordava l’esistenza di un tale Lennie Darco, e nessuno l’associava alla figura di don Tommasino, pentito e fetuso traditore.

C’era un Darco tanto tempo fa, ma non potevano certo essere parenti, perché per gli ‘amici’ don Tommaso era crepato in autostrada, saltando insieme a cinque chili di tritolo, etto più etto meno - ma chi li conta, l’importante è il botto finale - ben 26 anni fa e donna Giulia, con i piccirilli che ancora non andavano all’asilo, era sottoterra da tempo. 

 

Per cui Lennie era al riparo da ogni congettura: per gli ‘amici’, è solo unpiccoletto’ con una banda di poveracci locali che estorceva il pizzo ai commercianti e si atteggiava a gran signore - quello scugnizzo senza ne arte ne parte nella vita.  

 

Immaginate quanto faceva piacere al mandante di Maret una tale definizione. Aveva il vantaggio della sorpresa dalla sua e intendeva approfittarne fino all’ultima briciola.

 

***

 

“Ce la fai a farmene fuori due in una sera, Madeleine?”

 

La donna alza lo sguardo dalle foto dei due un po’ titubante: dovrà sbrigarsi se vuole riuscire a conciliare il lavoro in radio e le richieste di Lennie. Due...non ci riuscirà mai in così poco tempo!

 

Non accetta di non svolgere un lavoro così semplice e stringe le labbra, indurendo le guance. “Certo che ce la faccio!” esclama muovendo la bocca senza che il cervello le abbia dato il consenso di farlo. “Ma avrò bisogno di una macchina veloce e di un autista muto e fidato” 

 

Lui acconsente e Maret lo guarda ancora una volta dritto negli occhi. Quando è così deciso è tutta un’altra persona!

“Perfetto! Devo andarmi a preparare. Fammi venire a prendere alle due sotto il palazzo della Compaq. Sbotta alzandosi in fretta e facendo i calcoli a mente…dovrà essere veloce.. “raffinato?”

 

Lennie le fa un gesto annoiato con la mano “falli crepare nel modo peggiore che ritieni possibile”

 

Maret lo guarda stupita perché non l’ha mai visto così arrabbiato ma non dice nulla. Esce quasi correndo sperando che gli zigomi di resina siano pronti …e che quella macchina sia dannatamente veloce!

 

Alle due di notte, una scassatissima Ford si ferma sotto il palazzo. Maret è imbufalita e quando sale aggredisce il conducente, lo stesso della limousine.

“Questa vola” borbotta senza darle tanto peso, perché è esattamente quello che gli ha detto di fare il suo padrone e perché la giudica abbastanza insopportabile da prenderla a ceffoni.

“Fermati qui” gli ordina facendolo parcheggiare in una stradina buia.

Quando scende il conducente resta a guardarla...ma che cavolo…”sei la stessa rompicoglioni di prima?” le domanda stentando a riconoscerla dopo quella trasformazione.

“Si, stronzo!” sbotta semioffesa. “Spegni il motore e riaccendilo fra 3 minuti esatti!”

 

Primo omicidio: Bowling Treballs, ore 2:15

 

Testimonianza di Peter Cress, ore 2: 23 a.m.

 

‘Si, si...una  piccola afro americana. Si vi dico, quante volte ve lo devo ripetere? È entrata da sola e non aveva niente in mano, neanche la borsetta e mi è sembrato strano perché le ragazze di solito escono con la borsetta, cascasse il mondo.

Doveva avere un genitore bianco…quel naso non è propriamente negroide, era sottile, però era una bella figliola.

 

Testimonianza di Joeffrey Smith, ore 2: 33 a.m.

 

‘Già proprio una bella ragazzona! Bel seno, una terza abbondante su cui dormire sogni d’oro...ah, non vi interessa, scusate. Si, era nera e carina, sembrava una di quelle modelle dei cartelloni sugli autobus. Qualcosa di particolare? Boh, io ho visto solo quelle gran tette! E credetemi, le so riconoscere quelle al silicone! Quella era roba genuina al 100% !’

 

Secondo omicidio : Pizza Hut, ore 2:30

 

Testimonianza di Helen Parker, ore 2: 42 a.m.

 

“Il più bel ragazzo che abbia mai visto! Un po’ androgino, ho pensato subito che fosse un gay. Accidenti era così bello che non sono riuscita a rivolgergli la parola. Si, mi ha sorriso chiedendomi del bagno …si ,aveva un dente un po’ storto ma con un viso come quello chi ci fa caso? Altezza? Mah, non lo so…più alto di me. Io sono un metro e 50, quindi sono tutti più alti di me!

 

Testimonianza di Andrew  MacConagh ore 2: 45 a.m.

 

‘Non l’ho neanche visto.’

 

Maret tirò un respiro di sollievo quando entrò nella macchina strappandosi la parrucca dal taglio maschile che aveva indosso “andiamocene di corsa”

La sua voce era quasi una supplica e l’autista restò sorpreso vedendola rannicchiata sul sedile posteriore. “Sta bene?” domandò mettendo in moto e tenendo un regime basso.

“Come ti chiami?” gli domandò tenendosi il braccio.

Lee

“Bene Lee, fammi un favore. Parcheggia dove ti pare, al buio sarebbe meglio, poi..

La voce di Maret era affaticata e ansimava un pò dolorante. “Portami al pronto soccorso, poi prendi tutta questa roba e scaricala da Lennie. Tra un’ora ti chiamerò e tu ti presenterai come mio nonno” Maret lo guardò meglio e vide che non era poi così anziano “anzi, come il mio adorato papà tanto in pena per la sua figliola che non è rientrata dal lavoro al Caleb bar o un qualsiasi altro possedimento di Lennie.

Lee annuì gettandole un’occhiata dal lunotto posteriore “sarebbe meglio che mi fermassi prima. Ce la fa a fare la strada da sola? Due o trecento metri, non di più” 

“Che vuoi che siano..”sospirò esausta. “Non dire niente a Lennie, non voglio che si precipiti di corsa all’ospedale vanificando i miei sforzi”

“Dubito che riuscirei a tirarlo giù dal letto..Buttò lì per verificare le sue reazioni “aveva un appuntamento, stasera. Uno di quelli che un uomo non può fare a meno di accettare”

 

Maret restò in silenzio e dopo qualche momento parlò con voce atona “fermati qui”

Ma è lontano”

“Non importa, mi piace camminare”

 

Scese dalla macchina tenendosi il braccio che quell’ultimo testa di cazzo le aveva afferrato e stretto fino quasi a spezzarlo.

Camminò con la testa vuota ma allo stesso tempo pesante e quando arrivò all’ospedale, l’infermiere che la soccorse non mise minimamente in dubbio la sua versione dei fatti, perché quella povera ragazza che piangeva come una fontana, senza riuscire a smettere, non poteva certamente mentire affermando di essere stata scippata per strada da un tipo che aveva cercato di violentarla e le aveva quasi rotto il braccio.  

Maret piangeva a dirotto, non sapeva neanche lei il perchè ma continuava a farlo, scusandosi con l’infermiere che le sorrideva rassicurante e le passava l’ennesimo fazzoletto asciutto.

 

***

 

Perché le hai detto quella bugia?”

Perché no? Quando l’ho riaccompagnata a casa aveva gli occhi come due zampironi accesi… ti ho mai detto cazzate? Quella non piange a comando: stava piangendo sul serio!”

“Forse..”

Len, sei un bravo ragazzo ma non pò tonto con le donne.

 

Lennie lo guarda un pò titubante ammettendo la sua incapacità. “Ma stava bene?”

L’autista sospira divertito perché quel ragazzo che potrebbe essere suo figlio, si è già preso un’altra cotta spaziale per un’altra tipa irraggiungibile. “Si…un po’ depressa. Niente che non si possa risolvere con due coccole

“Quella è capace di spararmi, altro che coccole” mugugna pensando che quel disgraziato l’ha messo nei guai, dicendole quella fregnaccia.

 

La sera stessa suona alla sua porta e aspetta. Il testamento l’ho preparato? Dopo cinque minuti si stacca dalla porta, chiedendosi se non sia in casa o non voglia rispondergli di proposito. Non ha sentito il rumore dello spioncino spostato…potrebbe anche essere uscita.

Scende le scale lentamente, le mani in tasca e più sbuffante di un mantice. Quando arriva sul pianerottolo apre il portone ad una signora in evidente difficoltà.

Una vecchietta, pensa sfoderando un bel sorriso da bravo ragazzo e ritrovandosi di fronte una stupitissima Maret col braccio al collo e la spesa nell’altro.

Che cavolo ci fai tu qui?!” gli domanda arrabbiata  “che stress, non riesco mai a stare in pace! Sei il capo più rompicoglioni che abbia mai avuto!”

Lennie la lascia passare in silenzio vedendola dirigersi verso le scale “ero venuto ..

Sta parlando a vuoto perchè Maret è già salita di un piano. Quando se ne accorge, alza gli occhi al cielo per la sua scaltrezza e la capacità di intrattenere le donne e le corre dietro.

 

La fortuna vuole che le chiavi non entrino nella porta e al contempo la busta si laceri, facendo crollare l’esiguo contenuto a terra. Maret guarda il barattolo che rotola, con fare indifferente e la mano di Lennie che lo ferma e lo raccoglie al volo.

 

La guarda con un sorrisetto malizioso e Maret lo fulmina...o almeno ci prova. Con un sospiro e uno sbuffo d’irritazione lo lascia entrare in silenzio, dirigendosi verso la cucina. Gli toglie la lattina e fa un’altra smorfia verso di lui che sorride divertito.

Lo fissa per qualche istante…solo qualche secondo che basta a farle tornare la testa pesante e lo spinge verso la porta con decisione “hai visto che sto bene, fuori dai piedi”

“Perché non vieni a cena con me, stasera?”le domanda gentilmente sfuggendo alla sua presa.

“Ho appena fatto la spesa”

“Il pasto per il canarino?”

Maret lo guarda malissimo un’altra volta e irrigidisce la schiena “Non prenderti eccessive libertà con me”

Lei solleva gli occhi facendo finta di pensare e poi sorride “perché no?”

Perché se lo fai, non avrai più una killer a tua disposizione...e io non avrò più un mandante…mi hai capito bene?”

Maret non sta scherzando e lo fissa con una luce pericolosa negli occhi. “Hai capito, Lennie?”

 

L’uomo la guarda incupito. Abbassa la testa la fissa dritta negli occhi anche se gli costa fatica “mi stai minacciando?”

 

Maret ha un’espressione eloquente e sorride sarcastica.

 

Lennie volge lo sguardo altrove cercando di dirle qualcosa “Madeleine..” S’interrompe quando vede una penna poggiata su un blocchetto bianco. La prende con due dita e gliel’allunga. “Sei una killer, quindi sei capace di uccidermi con qualsiasi cosa, no? Anche con questa?”

“Certo” afferma “vuoi una dimostrazione della mia bravura?” sghignazza facendo scattare la biro.

 

Lennie la fissa e avanza di un passo “vediamo quando sei brava”

“Non mi tentare” sibila inviperita “non ci metto niente a piantartela in gola”

 

Nella cucina si sente solo il ticchettio dell’orologio e i rumori della strada, una macchina che parte e si allontana, la figlia della vicina del piano di sopra con lo stereo troppo alto e il cinguettio di un passerotto che si ferma per un attimo sul davanzale e ripicca il volo immediatamente.

 

Maret lo guarda freddamente mentre Lennie aspetta la sua mossa. “Forza, sto aspettando” la incita avvicinandosi di un altro passo, fin quasi a toccarla. Un tremolio nelle ciglia di Maret lo distrae e si accorge solo in quel momento del buon profumo che hanno i suoi vestiti e i suoi capelli che devono essere appena stati lavati perché sembrano così leggeri e gli fanno venire voglia di toccarli.  

 

Quello sfrigolio nel cervello, come tante api sotto vetro, i suoi pensieri accatastati alla rifusa, senza un ordine preciso la distraggono e non la fanno concentrare. La mano stringe ancora la penna ma non c’è nessun intento omicida dentro di lei in quel momento …solo…tristezza… che non sa spiegarsi…

“Vattene via, Lennie. I passatempi stupidi non fanno per me” borbotta abbassando la testa e gettando via la penna con un gesto rassegnato.

Gli volta le spalle aprendo il frigo per mettere a posto i surgelati che si stanno squagliando inesorabilmente sul tavolo e resta bloccata a metà, quando la stringe contro di se, allacciandole le braccia davanti al seno e dandole un bacio tenero sui capelli così intenso da farla tremare.

 

Le terminazioni nervose saltano all’improvviso, incendiandola da capo a piedi. Resta paralizzata col cuore che batte troppo forte…e non è normale, da quando in qua si permette di pulsare in quel modo sconsiderato?!

Le sembra di essere sdraiata su una graticola accesa perché la schiena le sta andando a fuoco e ovunque la tocchi, sente un rogo ardere sottopelle.

 

Si libera di lui trattenendo il singhiozzo che sente provenire dalla gola e lo spinge via, lontano da se, attraversando la cucina a grandi passi e rinchiudendosi in camera sua. Resta li, ferma e immobile, guardando il vuoto e riprende a respirare solo quando sente la porta blindata chiudersi con un tonfo leggero.

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Capitolo 8
*** Il santo in prigione ***


‘Posso venire da te

‘Posso venire da te?’

 

Lennie guardò il cellulare pensando di aver capito male e istintivamente si mise seduto, in silenzio.

 

‘Posso venire da te?’ 

 

Si, aveva capito bene “certo” mormorò cauto e a bassa voce restando a guardare il nulla con quel groppo in gola che si formava sempre quando parla con Maret.

 

Mezz’ora dopo Maret suonò alla sua porta con gli occhi lucidi; si vedeva che aveva pianto e il suo dolore era quasi palpabile.

Lennie la fece entrare in silenzio e lei neanche lo guardò, continuando a dirsi che aveva fatto un tragico errore a venire lì e sbagliava ad abbracciarlo in quel modo e sbagliava a baciarlo. Sbagliava e sbagliava, non faceva altro che sbagliare.

 

Ma le sue carezze erano così dolci e baciava così bene che non pensò più a nulla, quando la portò nella sua stanza….

 

“Madeleine, che hai? Che ti è successo?”

 

Maret continua a stringerlo ma Lennie non si lascia andare così facilmente, perché affidare il proprio cuore nelle mani di quella donna significa ritrovarselo stritolato.

 

La lascia sfogare per un po’ finchè non la sente smettere di tremare e di tirare su col naso.

Lennie tace perché non sa che dirle e non sa cosa fare per consolarla. Comincia a passarle delicatamente una mano fra i capelli, l’altra stretta attorno alla sua schiena e la culla contro di se sentendo che lo ricambia nell’abbraccio. 

 

Ha un buon profumo, la sua gelida modella che in quel momento lo sta usando per dimenticare qualcuno ma il suo orgoglio maschile è l’unica cosa di cui non deve preoccuparsi al momento, perchè Maret gli sta baciando il collo e continua a stringerlo, schiacciandogli il seno addosso.

Gira la testa e riesce a baciarla e stavolta è un bacio come si deve e lei lo ricambia con foga, facendogli quasi male.

La stacca da se e la guarda nella penombra della stanza sentendo che ha il respiro pesante e il viso è caldo perché ha pianto. Ingoia a fatica cercando di capire perché sia venuta lì da lui.

“Lennie..” Mormora bassa voce alzando il viso verso le sue labbra umide del precedente bacio “per favore…”

Cosa? Cosa per favore? Che deve fare?!

Gli si presenta in casa e gli salta addosso e sembra così disperata e che diavolo deve fare lui con quella pazza che in qual momento comincia a slacciarsi il soprabito che porta ancora indosso?!

 

Lo lascia cadere sul pavimento e lo guarda per un attimo negli occhi, scendendo lungo il corpo: stava dormendo, perché ha le occhiaie da sonno interrotto e indossa una maglietta che ha l’aria troppo stirata perché sia usata come eventuale pigiama. Dorme in boxer e basta, decide all’istante sentendo un profumo fresco che proviene da lui e non vi è traccia del suo odore sulla maglietta che si è bagnata con le sue lacrime.

All’improvviso si accorge di quanto si stia rendendo ridicola e si alza di scatto spingendolo via, vergognandosi per aver ceduto in quel modo alla disperazione e al suo mandante che la sta guardando senza capire.  

 

“Scusami” sussurra afferrando il soprabito e dirigendosi verso la porta in tutta fretta. Lennie la guarda e dopo un secondo schizza verso di lei fermandola e facendole scappare un sussulto per la sorpresa.

“Resta qua, non te ne andare” le sussurra continuando a fissare i suoi occhi arrossati dal pianto prolungato.

Maret lo lascia fare per qualche attimo, poi scuote la testa e cerca di spingerlo via. “No, non lo so che mi è preso, non dovevo venire.

“Ormai ci sei. Resta” mormora continuando a stringerla “sei mia ospite a tempo indeterminato”

 

La sente resistere per qualche secondo buono, poi si scioglie e annuisce “hai una camera degli ospiti?”

Lui annuisce e le indica una porta accanto alla sua con un gesto della mano “fa come se fossi a casa tua.

No, pensa Maret mentre s’infila nella stanza, casa mia è meglio lasciarla dov’è. Ora sono a casa tua e mi sento spaesata e mi vergogno di quella scenetta patetica..

Siede sul letto e si guarda attorno, aspettando di sentire i passi di Lennie allontanarsi. Lo sa cosa sta facendo, sta fermo dietro la sua porta ad ascoltare come lei qualche rumore straniero per immaginare cosa farà una volta da solo.

Si getterà sul letto con gli occhi spalancati cercando di riprendere sonno e di non pensare a lei, dall’altra parte del muro.

 

Lennie ha la mente in bianco. Sta succhiando il labbro inferiore che lei ha morso con troppa violenza, pensando che se fosse stato un altro e se ne fosse stato capace, a quest’ora la sua gelida Madeleine sarebbe nel suo letto. Si stacca dalla parete e torna nella propria stanca, a passi lenti, pensieroso e col sonno che preme. Chiude gli occhi e pensa ancora una volta a Madeleine…chissà se sta piangendo nuovamente…

 

Sta albeggiando quando Maret sente il lenzuolo scostato e qualcosa di profumato la sovrasta, inondandole i sensi di un odore sconosciuto. Apre gli occhi con espressione vacua, sentendo un solletico piacevole alla guancia. “Lennie…che stai facendo?” sussurra sentendo le sue mani che le corrono addosso. Un secondo dopo due labbra calde premono sulle sue, svegliandola quasi del tutto.

“Mi prendo cura della mia ospite” gli risponde con voce inesistente, le labbra che continuano a  sfiorarla e le strappano qualche gemito sommesso.

Si sdraia su di lei sentendola sospirare…è bello quel sospiro, sembra quasi felice. 

 

Insiste a coccolarla mentre la conquista lentamente. Maret non è abituata ad un’esplosione del genere d’affetto e resta quasi annichilita da quanto può essere dolce un uomo se gli si lascia la possibilità di esprimersi…

 

Si lascia spogliare senza protestare, perché le piace che la tocchi in quel modo, come se potesse rompersi da un momento all’altro e le piace il modo con cui la bacia, le piace tutto quello che fa…

Quando la gira sullo stomaco e continua a baciarla sulla schiena, Maret sorride, il pensiero di Jesus che la odia lontano e quel piacere che cresce troppo velocemente e violentemente per essere sopportabile.

“Basta Lennie… basta, ti prego” mormora con un fil di voce mentre la accarezza e le strappa gemiti uno dopo all’altro. Non ricordava che si poteva perdere la ragione così facilmente.

“Non ti piace?” le domanda con la voce rotta pensando che l’ultima cosa che può chiedergli in quel momento è di fermarsi. 

“No...si, mi piace…” risponde cercando di sgusciare via da lui “non posso per favore, vattene”

L’uomo la guarda cercando di calmarsi e di non fissare quel corpo bellissimo che gli sta sfuggendo dalle mani “non c’è niente di cui aver paura” mormora avvicinandosi un’altra volta e intrappolandola contro il cuscino “...non posso..” Sussurra sentendo che il suo corpo reagisce prontamente a quella presenza fin troppo gradita.

Lui la guarda negli occhi che stanno cercando in tutti i modi di sfuggirgli, ma ha capito benissimo che non centra niente il tipo dell’anello in quel frangente “ho sbagliato a venire da te?”

Maret lo fissa ancora annebbiata dal piacere balbettando qualcosa che sembrerebbe un “no...no, sono io..

“Non ti piaccio?” le domanda con un sorriso dolce che la porta istintivamente a baciarlo.

“No...mi piaci…e tanto..” Sussurra facendolo saltare internamente “è una storia di tanto tempo fa….

 

Maret non lo guarda mentre racconta, sentendo la sua stretta che si accentua nelle parti più brutte e disperate o quando scoppia un’altra volta a piangere per via del bimbo. 

Poi si rende conto che ha parlato per quasi un’ora e gli ha raccontato tutto nei minimi dettagli e istintivamente tace.

“Stai meglio adesso?”

“Si”

Lennie continua ad accarezzarla senza pensare a niente, il suo lato protettivo è salito ai livelli di allerta. “Potrai avere altri figli?”

“Si”

Maret lo guarda di sottecchi la testa ancora appoggiata sul suo torace, ascoltando il cuore che batte veloce.

“Hai paura che ti piaccia?”

“No…”

Lennie inspira profondamente, tentando di calmarsi, perché ha capito il suo timore vero. “E’ passato troppo tempo” mormora usando un tono dolce e teso allo stesso tempo. Teso? Lui teso? Un eufemismo!  “Hai paura di questo, vero?”

 

Maret non risponde a quelle domande imbarazzanti continuando ad abbracciarlo morbidamente. La scosta da se, accarezzandole i capelli e le guance calde, una carezza dolce che la fa tremare “io mi ricordo benissimo come va svolta la faccenda. Sai quelle cose che una volta imparate non dimentichi più?” le sussurra strappandole prima un sorriso e poi una risata.

E’ la prima volta che la sente ridere e ne resta colpito. La osserva come se non vedesse tesoro più bello e Maret resta a guardarlo a sua volta “mi ricordo io…per tutti e due…” bisbiglia dandole un bacio lungo e dolce, così dolce da annientarla un’altra volta.

 

E’ un sonno lungo dieci miglia e profondo come il mare, quello che li avvolge alla fine.

Lennie la studia mentre giace sullo stomaco, le braccia infilate sotto il cuscino e le guance lucide di lacrime che hanno ripreso a sgorgare per il troppo piacere che non si aspettava e che l’aveva sconvolta.

Quando la ritrovi un’altra donna del genere? È unica, pensa accarezzandola leggero per non svegliarla. Sente le palpebre pesanti e pensa che fra qualche ora deve andare a lavorare perché il padrone della baracca non si riposa mai, arriva prima di tutti e va via dopo di tutti.

 

Vorrei essere un impiegato delle poste e darmi malato certe volte, sospira sdraiandosi accanto a lei.

Chissà se ci sarà ancora domattina…

 

La sveglia che suona disturba Maret che allunga il braccio per spegnerla e va a vuoto. Chi l’ha spostata? Si domanda aprendo gli occhi e cercandola sul comodino…che non è il suo!

Ci mette un attimo di troppo a ricordare che non è a casa sua e che quello che sta dormendo accanto a lei non è…

Un’ondata di tenerezza e di timidezza la avvolge mentre lo guarda dormire placidamente, il respiro regolare e l’aria innocente di un bambino.

Dio, quanto è strano farlo con qualcuno che non sia…strano e allo stesso tempo eccitante, perché non sai cosa aspettarti, non conosci la sua prossima mossa e non sai come si muoverà su di te…o dentro di te.

Maret arrossisce voltando la testa dall’altra parte, lontano da quel corpo nudo che giace profondamente addormentato in uno stato di totale beatitudine. Si mette a sedere sul letto guardandolo di sottecchi un’altra volta. Non l’aveva mai fatto così…dolce…delicato…sembrava che sapesse esattamente cosa fare con lei, quando baciarla, quando toccarla.

Un sottile gemito le sfugge dalle labbra al ricordo della nottata intensa che ha appena vissuto.

 

Osserva distrattamente i diplay della radiosveglia e poi abbassa gli occhi sull’uomo: se c’è una sveglia puntata ci sarà un motivo.

Allunga una mano senza pensarci e lo scrolla delicatamente “Lennie, svegliati..” Sussurra accucciandosi vicina a lui e sfiorandolo con due dita. È carino, è veramente carino…pensa deponendogli un bacio leggero sulle labbra.

I capelli che gli fanno il solletico, lo fanno sorridere e quando si volta verso di lei e la guarda sbattendo più volte gli occhi, Maret si sente stranamente inchiodata al letto.

“Ciao..”sussurra allungando una mano per tirarla contro di se “pensavo che te ne fossi già andata”

Maret non gli rispose perché non si è mai sentita così prima d’ora: la voglia di restare preme e non la fa muovere. Si costringe a mettere insieme due parole che suonano piuttosto tristi “Se vuoi vado via”

“No, che dici! Resta” si affretta a biasciare ancora mezzo assonnato “oddio…sono io che devo andarmene” borbotta quando afferra la radiosveglia con aria distrutta e la guarda sgranando gli occhi con un mugolio di dolore.

Maret tace e lo osserva perché è fantastico vedere quel tipo con l’aria stravolta che borbotta annaspando per uscire dal letto. Sembra che non abbia dormito un solo minuto. Comincia a ridacchiare a bassa voce e lui la guarda con un sorriso dolce, gattonando fino a lei e stampandole un bacio lungo sulle labbra “mi piace sentirti ridere..”mormora mentre Maret lo guarda seria...ma come fa ad essere sempre così carino con lei? Lo bacia di nuovo eccitata e si sdraia su di lui, con quello sguardo che Lennie non conosce ma che gli sembra un pò pericoloso “Madeleine…mi stai facendo paura” sussurra facendola ridere di nuovo.

“Smettila di chiamarmi Madeleine…non è il mio vero nome” mormora sedendogli a cavalcioni sullo stomaco.

“Lo sospettavo. Ci metti sempre un secondo di troppo a rispondere, quando ti chiamano per nome…come se dovessi pensarci su”

Maret inclina la testa pensando che il ragazzo è parecchio sveglio “sei bravo” ammette scendendo di qualche centimetro, rendendosi conto che è eccitato. “Lennie..” Mormora con voce carezzevole e ammonitrice.

“E’ colpa tua, sei troppo bella” ribatte tirandola verso di se e guardandola, stavolta serio. “ Allora, come ti chiami?”

“Maret”

Le sorride e scuote la testa “è bello…molto bello”

 

La sua voce si è ridotta ad un mormorio e quando la vede chiudere gli occhi, affonda una mano fra   i capelli e la bacia con una certa urgenza. “Torna anche stasera…” la supplica continuando a baciarla. Lei annuisce più volte e lo stringe per non farlo andare via. “Dopo la trasmissione…vengo dopo la trasmissione” sussurra con decisione e una tremenda nostalgia nel doverlo già lasciare.

“Trasmissione?” le domanda incuriosito “lavori in tv?”

“Radio”

Lui sorride e la bacia un’altra volta maledicendosi per non poter dare buca a quella riunione in cui si decide il tutto per tutto “allora ti ascolterò tutte le sere…”

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Capitolo 9
*** Teste che rotolano... ***


Lennie li ascoltava senza capire un accidente di quello che stavano dicendo, la mente ancora rivolta a Mad

Lennie li ascoltava senza capire un accidente di quello che stavano dicendo, la mente ancora rivolta a Mad...a Maret…che bel nome, scivola dalle labbra così facilmente…è bello come lei..

 

Si costrinse a reagire a quella pacatezza che l’aveva inchiodato alla sedia probabilmente con un uno sguardo stupido e guardò i suoi collaboratori che si aspettavano qualcosa da lui perché lo stavano fissando tutti. Gli avevano letto nel pensiero?

“Da capo, voglio capire per bene” borbottò gettando la prima frase che gli sembrava in tono e socialmente accettabile ascoltandoli mentre quelli parlavano di bruciare un paio di locali dei boss minori e agire col pugno di ferro contro chi aveva ‘sputato’ sulla protezione offerta a suo tempo.

 

“Sono tutte cazzate!”sbottò d’un tratto sorprendendoli, perchè Lennie è la serenità fatta persona. “Puntare in altro, gente…in alto!”

Si alzò dalla sedia e cominciò a passeggiare su e giù, concentrato al massimo “sono tutte stupidaggini, cose che può fare anche un bambino nei ritagli di tempo! Bisogna puntare in alto e decapitare teste!” esplose armato di furore vendicativo. Si appoggiò alla scrivania circolare e li guardò tutti uno per uno “don Antonio e don Luciano…la cara Silvietta Cuticchiu e il suo harem di coppole nere…questo ci vuole, signori: far rotolare le teste coronate!”

 

“Don Antonio? Stai scherzando?!”

Lennie fulminò il tipo alla sua destra con un’occhiata rovente, degna di Maret “ti sembra che stia scherzando? Tagli il capo, il corpo muore!”

“Vuoi ucciderli tutti?”

 

Lennie li guardò sorridendo e fece quasi paura perché non credevano che fosse così spietato “Tutti. Dal primo all’ultimo. Non mi chiamo Darco per niente!”

 

Un tipo che non aveva mai parlato fino a quel momento, lo guardò annuendo e protendendo le labbra come se la cosa gli piacesse parecchio. “Darco…conoscevo un Tommaso Darco, tanti anni fa”

Lennie sorrise “mio padre. Sono stati molto carini ad ammazzarmelo quando avevo solo 12 anni, Fabrizio… non li ringrazierò mai abbastanza”

 

Il vecchio Fabrizio Reggiani lo studiò dall’alto in basso. Studiò la figura solida e ben piantata davanti a lui, il vestito su misura che portava e restò a fissare quelle fiammelle di vendetta che gli vedeva danzare selvaggiamente negli occhi chiari e brillanti “C’era una certa somiglianza, ma non pensavo che fossi proprio figlio di don Masino”

 

Lennie lo fulminò con un’occhiata, registrando mentalmente quella strana luce che balenava dallo sguardo del vecchio “Ti crea problemi, per caso? Ne possiamo discutere”

 

Fabrizio alzò una mano scuotendo la testa e protendendo un’altra volta le labbra in una smorfia annoiata. “Per carità. Per me va bene. Ne traiamo tutti un bel po’ di profitti”

Si alzò stirando la giacca e la cravatta che ficcò nei pantaloni e incrociò le mani dietro la schiena “Allora siamo d’accordo”

 

Lennie lo fissò ancora una volta. Si mossero all’unisono fino a restare l’uno davanti all’altro. Fabrizio allungò una mano e lo abbracciò paternamente “bravo figliolo, tuo padre ne sarebbe fiero”

 

C’era qualcosa di stonato nel modo in cui lo disse, perché essere figlio di un mafioso pentito non è cosa di cui andare fiero, in quell’ambiente.

 

“Bene” esordì il vecchio allacciandosi la giacca che gli andava leggermente stretta, ma solo un pochino “siamo tutti d’accordo nell’aiutare questo bravo giovanotto, allora”

Il vecchio li guardò e nessun osò fiatare.

 

Lennie lo guardò e pensò che da un giorno all’altro poteva ritrovarsi un coltello fra le scapole.

 

***

 

Maret spense il monitor nella saletta e ripensò alle parole che aveva sentito provenire da quel vecchio bacucco. Se non ci arrivava da solo, Lennie è un vero tonto.

“Grazie” mormorò a Lee che la salutò con un cenno del dito. “Dovere”

 

La donna sorrise appena, ma senza farsi vedere dal vecchio autista che le aveva telefonato, affermando di volerle mostrare qualcosa di parecchio interessante.

La sua curiosità era stata pienamente stimolata: Lennie stava per cadere in una trappola tesa di quel vecchio pancione, probabilmente in combutta con le teste coronate che il suo uomo voleva far volare.

 

Il mio uomo?! Maret si arrestò violentemente nel corridoio e sgranò gli occhi, ammettendo che la telefonata di Lee era stata più che gradita perché le aveva permesso di rivederlo prima di sera.

Oddio mio, pensò sempre più impaurita…che mi sta succedendo?!

 

Scuotè la testa per schiarirsela e imboccò il corridoio da cui sentiva provenire voci maschili. Aprì la porta di un ufficio e ci si nascose dentro, lasciando un minuscolo spiraglio aperto.

 

Li vide passare tutti uno per uno in una pausa ristoratrice; in mezzo a quella combriccola d’incravattati, Lennie si confondeva, però quando era con lei…no, allora era lui...ed era ..solo lui. Mosse la bocca che si era asciugata improvvisamente e restò per qualche secondo con gli occhi chiusi, il cuore che batteva stranamente e una dolcezza stordente che le invadeva le membra.

Trattenne il respiro quando sentì una voce bassa e anziana che parlava al cellulare.

 

“E’ lui, come avevate sospettato….è stato sicuramente lui a farli fuori. Deve aver ingaggiato un professionista, basta solo trovarlo e pagarlo il doppio per ribaltare la situazione”

 

Maret lo ascoltava prendendo appunti mentalmente.

 

“No, non che mi risulti. No, non penso che abbia una donna di cui…quella della festa? Sarà stata un’accompagnatrice”

 

Maret si morse la lingua e le labbra per non uscire fuori e farlo secco all’istante.

 

Ascoltò il resto della telefonata con interesse, ma ormai quello che doveva sapere l’aveva saputo.

 

Aspettò che il vecchio si fosse allontanato e tornò sui propri passi, nella saletta in cui Lee riprendeva l’incontro per ordine di Lennie.

“Dimenticato qualcosa?”

Maret lo guardò fisso negli occhi “di te mi posso fidare”decise indicando gli schermi “ora io entrerò la dentro e tu dovrai fissarti su quel vecchio e riprendere attentamente tutti i suoi gesti” gli ordinò inquieta.

Il vecchio la guardò con un sorrisetto “è come dico io. Vogliono fargli il culo a strisce”

Maret alzò un sopracciglio e un angolo della bocca piuttosto divertita “glielo faremo noi”

 

Si mosse sul piede di guerra e arrivò di fronte al segretario che la guardò senza capire cosa ci facesse lì a quell’ora e in quel giorno particolarissimo.

Maret si chinò su di lui cercando di non respirare l’odore di tabacco che emanava quel tipo e il fiato metifico che si ritrovava, colpa di una cattiva digestione. “Annunciami”

Ma è in riunione!” sbottò un po’ impaurito da lei.

Maret sorrise e lo terrorizzò ancora di più “annunciami e calca bene sulla parola ‘fidanzata’

 

Il segretario la fissò con espressione ebete e si leccò più volte le labbra spingendo un pulsantino dell’interfono “signore, c’è la sua…fidanzata

“Potevi calcare meglio” lo rimproverò la donna muovendosi verso la porta.

 

Lennie ascoltò quella chiamata pensando che fosse uno scherzo “Chi?” domandò senza capirci un accidente.

Un secondo dopo, la porta si spalancò e una donna bellissima, con un sorriso affascinante, fece il suo smagliante ingresso, interrompendo la conversazione. Tutti gli uomini attorno al tavolo si girarono a guardarla e la cosa le fece dannatamente piacere perché sbavavano tutti per averla, gli si leggeva in accia.

“Ciao amore, scusa se mi presento così”

Che ci fai qui?” le domandò a stento ingoiando la saliva che si era formata in quantità industriale fra i denti e rischiava di farlo strozzare.

“Avevo voglia di vederti” miagolò con un tono che non aveva neanche bisogno di contraffare perché le usciva naturale.

 

“Hai una gran bella fidanzata, Lennie.  Ce la tenevi nascosta, eh?” sghignazzò il vecchio Fabrizio facendo passare un lampo di soddisfazione negli occhi di Maret “è una cosa recente” miagolò nuovamente sbattendo le ciglia come una gatta.

L’uomo si alzò e le baciò il dorso della mano credendo di fare il galante con lei che lo guardò con la voglia di strangolarlo “bellissima, non c’è che dire. Il nostro ragazzo ha gusti ottimi”

 

“No, sono io che ho avuto il buon gusto nel prendermelo” ridacchiò facendo sgranare gli occhi a Lennie che la guardò allibito senza capirci niente.

“Velo posso rubare un attimo? Un attimino solo?” sussurrò con un broncetto che li fece arrapare tutti indistintamente.

“Prego”

Maret sorrise e gli lanciò un’occhiata adorante. Quando furono lontani dalla saletta, Maret fece due cose: prima lo baciò, a lungo e quando si fu stancata, col viso leggermente rosso e la voce ridotta ad un sussurro gli chiese di mantenere il gioco.

Perché? Mad…Maret non ti capisco” balbettò parecchio confuso

“Continua a chiamarmi Madeleine di fronte a loro e organizza una cena per domani sera, una di quelle robe di rappresentanza pallossissime che a voi uomini d’affari piacciono tanti”

“Veramente sono noiose da morire anche per me” borbottò abbracciandola “non mi vuoi dire nulla?”

“No. Invitali a casa tua e mobilita i tuoi uomini…tutti, non badare a spese”

“Non lo faccio se posso.” Le rispose un’altra volta attratto dalle sue labbra “meno male che sei passata…mi stavi facendo morire di nostalgia.”

Lennie le sorrise e Maret sprofondò nel paradiso degli innamorati stupidi.

 

“Ehm”

 

I due si girarono verso la fonte di quel tossicchiare discreto e Maret guardò il vecchio Fabrizio con un sorrisetto. Quel brutto bastardo voleva vedere se era vero che loro due stavano insieme: li aveva sicuramente guardati… vecchio pervertito, ti faccio pagare anche questa! Pensò riscendendo a terra e strizzandogli l’occhio birichina, dandosi mentalmente della cretina. Quando si allontanò, sentendo un ridacchiare cameratesco, avvampò di rabbia.

“La tua ragazza deve aver il fuoco nelle vene!” esclamò il vecchio battendogli la spalla e mettendolo in difficoltà

“Eh...si”borbottò pensando seriamente di mollare tutto per correrle dietro.

 

 

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Capitolo 10
*** Te ne vai, vero? ***


Si alza in peidi ma Natt l orisbate a sedere mentre mollo la pistola a Jesus e ne tengo solo una in mano

“Perchè mi hai costretto a cambiare il luogo dell’appuntamento? Casa mai non andava più bene?”

Lennie la fissa da un buon quarto d’ora e non riesce a spiegarsi il sorriso soddisfatto di Maret.

“No, caro. Sarebbe stato seccante dover ripulire tutto dopo” sussurrò graziosamente facendogli quasi accapponare la pelle.

Se lo dici tu” convenne per nulla intenzionato a discutere con lei. La fissò intensamente perchè quella sera era ancora più bella e dovette convenire che era stato parecchio fortunato a poterla avere almeno per una notte…per quanto ancora sarebbe durata la sua fortuna? Una mattina si sarebbe svegliato e non l’avrebbe trovata accanto a se.

“Perchè mi guardi così? Non hai nulla da temere.” Gli disse senza capire il suo sguardo malinconico.

Lennie scosse la testa scostandosi di qualche centimetro. Prese una coppa di vino e ne bevve un sorso solo. “Hai già deciso di andartene dopo questa sera, vero? E’ per quello che ieri sera non sei venuta”

Maret sobbalzò internamente e abbassò lo sguardo sulle varie armi che aveva preparato “scusami, ero molto stanca” mentì in mezzo ai denti. “I tuoi ospiti ti aspettano, vai da loro” gli ordinò senza guardarlo. Sentì una carezza leggera sul braccio e quando lo vide allontanarsi con passo lento, quel balzo al cuore la fece sentire una schifezza. “Aspetta un attimo” sussurrò andandogli incontro. Gli diede un bacio veloce e gli sorrise teneramente. “Tu stammi dietro, non fare l’eroe e non farti uccidere. L’assegno non l’hai ancora firmato” scherzò abbracciandolo.

“Sei un po’ pochino venale” ridacchiò affondando nel suo profumo buono e ricominciando a baciarla.

Maret lo scostò da se perché tutta quella dolcezza era troppa da sopportare “sai che ti dico? Tieniti i tuoi soldi, per stavolta lavoro gratis” mormorò ricambiando un bacio “te lo devo.

“Non mi devi niente”

“Si, invece. Sono riuscita a fare del male anche a te” rispose con aria triste.

 

La festa è elegante ma c’è un clima strano…lo sentono nell’aria che stanno per morire tutti? Si domandò Maret sorridendo amabilmente al vecchio Fabrizio.

La killer si concesse addirittura un ballo con lui, quando glielo propose, dopo essere stata tutta la serata attaccata al braccio di Lennie che continuava ad essere parecchio nervoso “rilassati, stai andando benissimo, sei nato per comandare” lo prese in giro amabilmente.

“Dici, eh? Me la sto facendo letteralmente sotto, non so cosa aspettarti da te”

Maret sorrise e gli indicò le porte del locale. “Fra poco lo vedrai…e quando sparo non metterti sulla traiettoria, capito?”

“Vedrò di fare del mio meglio..” Lo sentì sospirare con voce tesa. 

 

Tre minuti fa, ho tirato fuori il cellulare e ho chiamato Lee. Tra poco una squadra ben addestrata entrerà qua dentro e li farà secchi tutti.

 

Esco dal bagno dopo essermi risistemata il trucco - mi piace essere in forma quando devo darci dentro - e vedo il vecchio che si dirige verso una saletta appartata da cui sento provenire risatine e battutine sarcastiche sulle donne della festa. Molte poche in verità.

Mi guardo attorno e intravedo Lee all’entrata del locale. Mi si avvicina con fare casuale a passo lento, come se fosse un altro invitato. Gli sta bene lo smoking “tutto a posto.” 

E gli altri?” domando sorridendo agli ospiti di Lennie che mi lanciano occhiate curiose.

“Sono ovunque e ben preparati” mi dice fregandomi la sigaretta e facendosi un tiro che la finisce.  “Ottima marca!”

 

La festa è al culmine. Sono tutti abbastanza ubriachi e fuori di testa. Sul fondo della stanza. Reggiani continua a guardarmi e fa un cenno col bicchiere. Te lo ficcherei di traverso in gola, vecchio porco!

Ci credete che c’è un’ottima musichina che farà da sottofondo alla strage che sto per compiere?

Sunshine

Bellissima melodia…

Un’ottima marcia funebre.

Lee mi fa un cenno. Sono tutti in posizione. Vedo Lennie col suo sorrisetto di convenienza stampato proprio dietro il vecchio e gli faccio cenno di rimanere li.

 

Un secondo dopo, le porte si spalancano e il silenzio allibito degli ospiti viene sostituito con li suono ritmico e amico delle raffiche di mitra. Cavolo, ci vanno pesanti. Questi hanno visto davvero troppi film!

Lennie è bianco e se non si toglie di li, prenderà una revolverata in pieno sterno.

 

I miei ex colleghi hanno una mira da fare invida, ma mi piace parecchio lo stile demolitore e catastrofico di questa gente. Americani doc: sparano a nastro per beccare tutto ciò che si muove, anche la foglia del Benjamin nell’angolo.

Faccio una smorfia un po’ disgustata: i professionisti sono tutta un’altra cosa.

 

La sigaretta di Lee non si è bruciata di un millimetro. E’ successo tutto troppo rapidamente.

In un silenzio che definire mortale è un eufemismo, abbassiamo le braccia, un po’ stanchi. Reggiani è rimasto esterrefatto e non riesce a credere di essere ancora vivo. Dietro di lui Lennie è visibilmente scosso.

Mi avvicino con un sorrisino dolce e sbattendo le ciglia. “Piaciuta la sorpresa, vecchio stronzone?”

“Brutta …”

Alzo un dito e glielo appoggio sulle labbra delicatamente “no, no no…non darmi della puttana, non è gentile.

Il vecchio tace mentre mi pulisco l’indice sulla sua giacca e sento delle belle ondate di incazzatura provenire da lui “questo è per dimostrarti che facciamo sul serio. Prova a tirargli qualche fregatura e torno personalmente ad ucciderti.

 

“Lo lasciamo andare?!”

La voce stupefatta di Lennie mi fa roteare un attimo gli occhi verso di lui “certo! Deve parlare con gli altri e convincerli a rinunciare ai loro giochetti. Torno a guardarlo e sorrido incoraggiante e sarcastica “vero che lo farai, tesoro?”

“Vedremo” sibila credendo di essere nella giusta posizione per contrattare.

 

Gli sparo due volte su un piede. Questo l’ho letto su un libro. Il vecchio urla e cade a terra tenendosi la scarpa elegante che ormai è da buttare.

 

“C’ era bisogno di sparargli due volte?” mi domanda Lennie un po’ sconvolto.

Annuisco rimettendolo in piedi a forza. Ci pensano gli scagnozzi di Lee a darmi una mano.

 

Bravi ragazzi, non fatemi spezzare un’unghia o il sangue scorrerà davvero.

 

“La prima per attirare la sua attenzione e la seconda per fargli capire che faccio sul serio” mormoro velocemente mentre i suoi uomini esibivano un sorrisetto di ammirazione.

“Vero che hai capito?”

Il vecchio annuisce più volte. E io sorrido nuovamente.

 

“Però…..mi mancavano i bei vecchi tempi!” affermo mentre lo portano via e lo ficcano nella sua macchina. Non potrà guidare molto con quel piede, ma sono cazzi suoi in fondo..

Lennie mi guarda esterrefatta “tu fai sempre di queste cose?”

 

“Le ho fatte. Una volta abbiamo massacrato…” mormoro tacendo subito e calciando via un cadavere.

Le parole di Rowan  mi risuonano nuovamente  in testa. Ho fatto un macello stavolta…non penso che le mie scuse basteranno a rimediare.

“Con lui, vero?”  mi domanda dirigendomi verso l’uscita mentre i suoi uomini ripuliscono il casino.

“Si…e un tipo troppo stupido che è riuscito a mettere incinta la mia unica amica…speriamo non vengano su come lui” ridacchio a voce bassa accomodandomi in macchina.

 

Lennie tace per qualche istante e mi guarda appena“preferisci stare sola, immagino”

Annuisco col cuore che mi esplode “si...mi sa tanto di si…scusa, Lennie” borbotto con una vocina tenera che mal si addice al mio aspetto.

“Figurati. Gli amici ci sono per questo” sospira mettendo in moto.

“Ti sei autoproclamato mio amico?” gli domando senza capire.

Lui solleva le spalle con un sorriso dolce “ti sei licenziata, stasera. Non sei più una mia dipendente e non mi vuoi come fidanzato…”

 

“Amico..” Mormoro incredula…mi viene da ridere. “Io non ho molti amici”

“Strano…” sussurra sarcastico rimediandosi un’occhiataccia dalla sottoscritta. “Un po’ più aperta e un po’ meno stronza…saresti una vera bomba, ragazza”

“Già  lo sono” affermo sorridendo

Lui si ferma e mi guarda…ed è tremendamente serio “lo sei, è vero.

 

Mentre guida lo vedo trasalire “merda, ho dimenticato una cosa in ufficio. Ti dispiace venire con me? Tanto siamo di strada”

“Figurati.”

 

Mentre siamo nell’ufficio prendo la mia decisione. Non posso restare qui e farlo soffrire ancora.

 

“Lennie…”

Lui alza gli occhi e posa quello che ha in mano con un gesto rassegnato. Ne dubitava ancora?

 

“Te ne vai, vero?”

“Si…mi dispiace”

 

Lennie la guardò con affetto e le strinse la mano che aveva appoggiato sul suo braccio “lo sapevo…”

Maret lo fissò e dopo un secondo gli si strinse addosso sussurrando unnon ti dimenticherò mai’ che lui incamerò con un sorriso. Prima di lasciarla andare la strinse un’ultima volta e parlò a bassa voce nel suo orecchio facendola commuovere “torna quando vuoi…io ti aspetterò”

“No, non lo farai.”

Lei scosse la testa e sorrise ancora una volta e gli costava tanto farlo, Maret glielo leggeva negli occhi.

“Non sottovalutarmi”

“Non l’ho mai fatto”

 

Si staccò con decisione perché se fosse rimasta ancora abbracciata a lui forse non sarebbe più partita. Forse.

 

Il telefono che squillò all’improvviso ruppe quel momento. Maret lo vide incupirsi sempre di più e lei rimase a guardarlo con una strana inquietudine.

“Una retata della polizia! Via, presto!”le gridò afferrando la pistola nel cassetto mentre Maret metteva mano alla sua. “Non la sai usare! Stammi dietro e vedrai che ne usciamo puliti e vivi!” gli gridò aprendo la porta dell’ufficio e correndo, sentendo i suoi dipendenti che rumoreggiavano e si stavano dando alla fuga veloce. 

 

All’esterno, Beatrix aspettava e comandava mentre gli uomini s’introducevano negli uffici di Lennie.

“Sono ancora dentro?” le domandò l’uomo alla sua sinistra, seduto sul cofano della macchina.

Lei annuì e strinse gli occhi pensando che quell’azione le avrebbe fatto scalare la vetta.

“Non è uscito nessuno” rispose sentendo lo sfrigolio di una sigaretta che si accendeva e il rumore di un’arma che veniva caricata.

Lo vide scendere dal cofano con aria rilassata, come se stessa andando ad un pic-nic e quando sorpassò gli agenti con un fucile a pompa in mano e due pistole nella fondina di pelle color cuoio,

Beatrix lo fissò pensando che un amico così Natt non poteva averlo e che quel tipo aveva le palle che gli fumavo! E che aveva un gran bel culo.

 

Jesus camminava tranquillo e pacato per i corridoi, osservando la gente che scappava da tutti i lati e i poliziotti che li arrestavano.

Lui voleva il pezzo grosso.

E voleva lei.

 

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