Love in the dark

di Giulss_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. ***
Capitolo 3: *** 2. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO

Di nuovo. Di nuovo. L’aveva fatto di nuovo.
Mamma mia, se la sarebbe tagliata quella lingua, si sarebbe cucita le labbra, avesse potuto.
E il mondo avrebbe ringraziato, tra l’altro. 
Mannaggia a te, Immacolata, si disse, con l’ultimo barlume di lucidità.
Avrebbe tanto voluto odiarsi. Razionalmente, si odiava.
Ma sentiva le loro lingue scontrarsi, i capelli di Calogiuri morbidi tra le dita, la mano di lui che premeva sulla schiena per avvicinare i loro corpi, e non poteva odiarsi per quello.
Sentiva nel petto un’ondata di calore che la faceva sentire bene. Meglio. Felice.
Con le mani copriva ogni centimetro della schiena di Calogiuri.
Il battito terribilmente accelerato del cuore le riempiva le orecchie.
Per un attimo pensò di dirglielo. Poi tornò in sé.
Però sarebbe stato bello.
L’altra sera ti ho sentito. 
Non farmi rispondere, però ridillo.
Di nuovo.

 

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Capitolo 2
*** 1. ***


CAPITOLO 1

 

Non era mai più stata la stessa di prima. Viveva con un peso sul petto costante, tutto il giorno, tutti i giorni. Nemmeno durante la notte riusciva a sentirsi più leggera. Anzi, forse proprio la notte era il momento peggiore. Per mesi non era riuscita a dormire se non qualche mezz’ora qua e là, finché non ce l’aveva più fatta e aveva dovuto ricorrere alle pastiglie — lei, che aveva la febbre una volta ogni dieci anni, figurarsi se si metteva a prendere medicine. Però si era costretta a decidersi perché dormire era necessario: aveva Valentina a cui badare e non poteva farlo se non si reggeva nemmeno in piedi. Doveva prendersi cura di lei, anche se quello che era successo aveva incrinato forse irrimediabilmente il loro rapporto. Da una parte comprendeva il rancore della figlia, dall’altro sperava con tutte le sue forze che potesse, un giorno, rendersi conto che non era colpa sua, che se avesse potuto avrebbe dato la sua stessa vita per far andare diversamente le cose, che se non l’avessero fermata avrebbe ammazzato con le proprie mani chi le aveva tolto l’amore della sua vita e privato sua figlia del padre migliore del mondo. Ma Valentina aveva sempre visto tutto o bianco o nero, e s’era convinta che se sua madre si fosse fatta gli affari suoi, se non fosse stata la grandissima rompicoglioni che era a casa pure sul lavoro, se avesse messo per una volta la famiglia davanti al lavoro, sarebbe andato tutto diversamente. Se lo ripeteva spesso anche Imma, quando apriva gli occhi al mattino e il lato sinistro del letto era vuoto, così intatto da non avere nemmeno senso di esistere, ma aveva imparato a tirarsi fuori da quel buco nero. Le ci era voluto un po’ di tempo ma alla fine era riuscita a razionalizzare, se non tutto, se non altro che lei non aveva controllo sulle azioni degli altri ma solo sulle proprie e che mai avrebbe potuto impedire quanto successo. D’altronde, era anche per far sì che fatti del genere accadessero sempre meno spesso che aveva scelto quel mestiere. Era stufa dei silenzi, della corruzione, della violenza usata per ottenere potere. L’omicidio di Pietro era l’emblema di quello contro cui combatteva, avevano colpito lui per cercare di fermare lei, e anche se le costava uno sforzo immane non poteva permettere che ciò accadesse. Non poteva dargliela vinta così. Sapeva che Valentina lo capiva, e anzi probabilmente era proprio quello a peggiorare il tutto: era giusto così, certo, ma sarebbe stato bello nascere in un’altra famiglia, una in cui la madre non era un sostituto procuratore, una in cui il padre era ancora vivo, una in cui non bisognava scegliere tra cosa è giusto per la società e cosa è giusto per se stessi. L’unica cosa che Imma poteva fare era starle accanto, prendersi tutto l’odio che aveva da buttare fuori e sperare che presto Valentina la perdonasse. Lei, come un po’ tutti gli altri.

Che non aveva un bel carattere era un’informazione di dominio pubblico, ma come aveva reagito dopo la morte di Pietro era troppo pure per chi le aveva sempre voluto bene. Non si era mai aspettata di poter provare un dolore simile, anzi aveva sempre cercato di evitare emozioni troppo forti in generale, perché non le piaceva non avere il pieno controllo del proprio corpo. Quindi, si era trovata completamente impreparata. A quasi un anno dai fatti, si rendeva conto di che muro aveva messo tra lei e le persone che le volevano bene, di quanto le avesse allontanate, di quanto poco si fosse preoccupata di loro. Nella sua testa, gli altri rappresentavano uno spazio colorato, un mondo di unicorni e fiorellini, e lei un puntino nero, cupo, piccolo, che si aggirava attorno a loro e lasciava terra bruciata ovunque. Un po’ si era sempre considerata così, sempre diversa, sempre volutamente solitaria, ma negli ultimi mesi si sentiva marcia. Pensava soprattutto a Diana e Calogiuri. Loro due per primi si erano mossi per aiutarla, non l’avevano mai lasciata sola e si erano presi il peggio che aveva da offrire. Non si trattava di sbalzi d’umore, pianti, urla - quelli, lo sapeva, non li avevano nemmeno presi in considerazione; a loro due soprattutto aveva riservato odio e rancore. Inconsciamente - o, almeno, così si diceva - se l’era presa con loro, con la loro vita ancora intatta, con il loro perbenismo nel volerla aiutare, nel dirle che la capivano, che loro c’erano. Certo, loro c’erano, ma questo non le ridava indietro Pietro, la sua famiglia, la sua casa. Così, quando avevano ottenuto una confessione da Romaniello, dopo aver messo su un processo inattaccabile sotto ogni punto di vista, dopo averle concesso un po’ di sollievo con la verità, avevano fatto quello che era giusto per loro: prendere le distanze. Un po’ le stavano semplicemente dando spazio, ma sentiva che c’era qualcosa in più. Non avevano passato nemmeno loro un periodo facile, quel caso gli aveva tolto sonno, tempo e forze, e a quello si sommavano anche i problemi personali che tutti, nel grande e nel piccolo, hanno ma che lei non riusciva più a contemplare. Per tanto tempo aveva pensato di star soffrendo solo lei, che tutto quello che non era morte era comunque sopportabile, che gli altri non avessero veramente dei problemi. Ora si rendeva conto di quanto egoista fosse stata. Non se ne faceva veramente una colpa, però capiva il loro bisogno di allontanarsi da lei e le dispiaceva, perché erano le due persone di cui si fidava di più al mondo. Col tempo, sperava, sarebbe riuscita a sistemare le cose con loro.

Con Diana era più facile, era Calogiuri a preoccuparla. Avevano così tante cose in sospeso che non sapeva nemmeno da che parte girarsi per iniziare. Non aveva mai dimenticato quel momento in macchina, quando lui le aveva detto di essersi innamorato. Si era detta a lungo che gliene avrebbe parlato, invece era più di un anno che quella confessione restava lì, a riempire tutto quello che facevano. Era passato talmente tanto tempo che era certa lui avesse cambiato idea, e proprio per questo aveva paura di affrontare l’argomento. Si sentiva stupida pensando di chiedergli se ancora provasse le stesse cose per magari sentirsi dire di no, però aveva sinceramente voglia di sentire quello che lui aveva da dirle, di capire come stava. Al dopo non ci pensava mai. Aveva accantonato qualsiasi sentimento oltre al lutto per quasi un anno e non era pronta a provare qualcosa di diverso. Si ricordava benissimo quello che provava per Calogiuri prima che succedesse tutto e qualche muscolo del suo corpo ancora conservava quel sentimento, ne era dolorosamente consapevole, ma si vergognava solo a pensarci. Non contemplava l’idea di tornare a stare bene, figurarsi tornare ad amare. Aveva i conati di vomito anche solo pronunciando quel verbo nella sua testa. Non era giusto. La psicologa poteva dire quello che voleva, non era giusto e basta. Su quello non transigeva. Sì, perché aveva capito che ci sono pesi troppo grandi da poter portare da sola, quindi anche una come Immacolata Tataranni aveva dovuto rivolgersi altrove per un aiuto. Ed era proprio dalla dottoressa Bellini che si trovava in quel momento.

 

“Non crede che suo marito avrebbe voluto per lei un po’ di felicità, dopotutto?”, le stava appunto chiedendo. Certo che lo pensava, le stava dicendo nella sua testa, ma non con Calogiuri, non con uno che aveva vent’anni in meno di lei, non con uno con cui lo aveva tradito, non con uno che si sognava la notte quando lui, suo marito, era ancora in vita e accanto a lei nel letto. Ancora se lo ricordava quando era tornata da Roma e si era fiondata su Pietro, presa dal senso di colpa per quello che aveva sperato accadesse la sera prima. Si sentiva così sporca! Dubitava avrebbe mai trovato qualcuno con la stessa pazienza che aveva avuto Pietro nell’amarla e nell’accettarla nonostante i suoi infiniti difetti, ma anche fosse esistito non avrebbe mai permesso che fosse Calogiuri.

“Lei sta allontanando quel ragazzo perché si sente in colpa per qualcosa che non è successo. Non sto parlando di quello che può aver sognato o sperato, né di quello che ha effettivamente fatto… lei si sente in colpa perché se suo marito non fosse morto, forse, un giorno avrebbe anche potuto prendere la decisione di vedere dove le cose tra di voi sarebbero andate a parare. Non ne ha avuto l’occasione e ora l’idea di scegliere Calogiuri senza avere un reale confronto con Pietro la sta logorando. Sbaglio?”

Imma scosse la testa, finalmente degnandosi di dare un feedback alla donna dall’altra parte del tavolo. Avevano trovato un ritmo un po’ particolare, non era nemmeno certa che fosse prassi, ma quando non aveva voglia di parlare lasciava che fosse lei a dirle come si sentiva, così poi poteva dirle semplicemente di sì, oppure sbottare che no, non aveva capito, e solo allora cercava di spiegarsi. Su tante cose, soprattutto su Valentina, doveva spesso sforzarsi di mostrarle il suo punto di vista, perché sembrava essere molto distante dalle loro dinamiche, ma su Calogiuri le stava dando una grossa mano a mettere in ordine i sentimenti senza doverli per forza ammettere ad alta voce lei per prima. Era esattamente così che si sentiva. 

“Quella volta che vi siete bac-”

“Quelle” la corresse. Sentì un battito del cuore saltare, la voce incrinata, una voglia incontenibile di piangere. Non l’aveva mai ammesso ad alta voce.

“Ne vuole parlare?”

Imma annuì, passandosi una mano tra i capelli. Con calma iniziò a raccontare: “Il giorno che Pietro… che è successo… io e Calogiuri eravamo nella casa di una collega, che era la sua ragazza, all’epoca… e già prima che iniziassimo c’era una certa tensione. Era un periodo un po’ complicato, lui era tornato dal Sud America e io l’avevo allontanato per paura di fare danni, però mi era difficile sul lavoro, perché è tra le poche persone di cui mi fido veramente, e sa farlo benissimo il suo lavoro, mi segue sempre, sa sempre dove voglio andare a parare… e, insomma, per un po’ non abbiamo proprio lavorato fianco a fianco, però poi nel momento del bisogno ero tornata da lui, e che quella sera fossimo lì lo sapevamo solo noi due. In più, qualche giorno prima lui mi aveva detto quella cosa.”

“Che era innamorato?”

“Sì, sì. Che era innamorato” ripetè, soppesando le parole. Quante volte se le era ripetute, eppure ogni volta le suonavano così nuove e strane! “Io lo guardavo sapendolo e… mi mancava il fiato. Eh, niente, ero così carica di adrenalina per quello che stava accadendo… per il caso, dico… che quando abbiamo finito mi sono trattenuta un attimo per ringraziarlo, però…” si fermò, le mani tra i capelli. Aveva rivissuto quella scena infinite volte, aveva mescolato prima, dopo e durante per cercare di tirarsene fuori, si era chiesta infinite volte cosa sarebbe successo se, però non si poteva cambiare il passato. “Mentre mio marito rientrava a casa pensando che io l’avessi tradito - perché lui era lì, ci aveva seguito, ci aveva visti entrare in quella casa, - mentre perdeva il controllo dell’auto, mentre si schiantava, io ero lì, a baciare un altro uomo, e lei mi dice che mio marito vorrebbe che io fossi felice proprio con quel uomo? Io non credo.”

“Lei si vedrebbe felice con un altro uomo?”

“No” aveva risposto Imma, di getto. Non le erano mai interessati altri uomini, aveva amato solo Pietro, era il suo primo ragazzo, l’uomo che aveva sposato, il padre di sua figlia, il suo migliore amico, e nessuno aveva mai messo in crisi quello che provava, prima di Calogiuri. Ed era certa che non ci sarebbe stato nessuno dopo. Non le interessava, semplicemente.

“Quindi, o Calogiuri o niente?”

A sentirlo dire così, ad Imma venne da ridere. Non sapeva nemmeno bene cosa ci trovasse di comico in quell’affermazione, non c’era niente di comico, però scoppiò in una risata che presto, per l’ennesima volta, si trasformò in pianto. Non era facile da amare e non aveva mai amato facilmente, non aveva tanti legami stretti né le importava averne, eppure a Calogiuri si era affezionata e si sarebbe volentieri presa a schiaffi per quello. 




Eccomi!
Era necessario? No, di certo. 
Sarò costante? Non credo proprio.
Però ne avevo voglia, quindi ve la lascio qui. Non so cosa è uscito ne cosa uscirà, ma mi mancano quindi qualcosa mi devo inventare. 
E mi fa sempre piacere se lasciate una recensione o mi dite in privato cosa ne pensate, cuoricioni.

 

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Capitolo 3
*** 2. ***


CAPITOLO 2
 

Credo. Io credo di essermi innamorato di te.
Credo? Eh, magari. Sarebbe tutto più facile, se non ne fossi sicuro. Però lo sono.
Sono sicuro.
Quante volte avrei voluto dirtelo in questi mesi.
Quante volte ti ho vista soffrire e avrei voluto prendermi io tutto il dolore. Quante volte ho sperato che ti aprissi piuttosto che allontanarmi sempre un po’ di più. Quante volte ho incassato tutto quello che avevi da tirare fuori. Quante volte avrei voluto curare tutto con una carezza, con un bacio.
Quanto tempo è passato? Mesi. Quasi un anno.
È quasi un anno da quel giorno.
Vorrei dire “maledetto” — per te sicuramente lo è, ma io pagherei per tornare a quel momento.
Non ne abbiamo mai più parlato. Certo, non era il caso, ma la verità è che io e te non abbiamo mai parlato di niente che riguardasse noi.
Perché io lo so che c’è, un noi. È lì, qui, da qualche parte in mezzo a tutto questo casino, e aspetta solo che qualcuno lo liberi.
Era lì, quella sera.
Una volta, va bene, può essere un errore, ma due? No, due no. E poi tu sei la dottoressa Tataranni e non sbagli mai, figuriamoci per due volte. No, quella sera c’era qualcosa nell’aria. Dovevamo baciarci. Non poteva andare altrimenti.
Forse è egoista pensarlo, da parte mia, ma non ho dubbi.
Non era più successo nulla tra noi, avevo fatto come mi avevi chiesto, ero stato al gioco dei tuoi tira e molla, e poi mi hai baciato proprio quella sera?
Non so se credo in Dio, credo poco nel destino, però credo fermamente che non poteva succedere che quel giorno.
Chissà. Per qualche piano malefico di qualche entità che ci guarda e ride.
Che mi guarda e ride.
Ce lo vedo, o forse ce la vedo, a dire ai suoi amici: “guardate, quello sfigato di Ippazio si bacia la sua dottoressa senza sapere che masso enorme sta per cadere in testa a tutti loro”; e ancora: “ma pensa te che scemo, questo Calogiuri, dopo tutto questo tempo ancora perde tempo a pensare alla Tataranni”. E io lo capisco. Riderei anche io, temo.
Quella notte si dev’essere divertito particolarmente.
Dal paradiso all’inferno in pochi secondi, senza darci il tempo di passare per il purgatorio.
Un momento ti stringevo fra le braccia, mentre poco tempo dopo mi arrivava la chiamata.
Sapevo che non ti avrei mai strappata a quel dolore. Sapevo che niente sarebbe più stato lo stesso.
E adesso temo che non riuscirò più a dirtelo che ti amo. 

 

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