Thanatophobia

di Severa Crouch
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


 

Note: Il pacchetto prevedeva: Hurt/Comfort 2 6 e mi erano usciti Barty/Alex, ho sostituito Barty con Rodolphus, giocandomi il bonus sostituzione a disposizione. 

Il gioco è in modalità pro con il prompt n. 6 “A confessa a B la sua più grande fobia. B lo/la aiuta ad affrontarla” e il titolo è gentilmente offerto da Flofly nell’ambito di “Un’etichetta per il tuo Firewhisky”. Era un titolo perfetto per questa storia.

A differenza delle storie contenute nella raccolta “Universi paralleli”, per questa challenge non credo che riuscirò a sviluppare più pacchetti, perché sono abbastanza presa da altri progetti, ma ho questa storia in testa e chi sono io per non fillare un prompt?

Alcuni termini che usa Alexandra sono volutamente utilizzati in modo improprio (ad esempio lavatoio al posto di lavandino), per sottolineare quanto lei non conosca il mondo Babbano.


 

Capitolo 1

 

30 ottobre 1981

 

“Reparo!” 

Un flebile bagliore bianco uscì dalle dita tremanti di Alexandra.

“Oh, dannazione! Dannazione!” 

Un sospiro deluso. 

“Coraggio… Reparo!”

Dalla sua sinistra arrivavano i gemiti di dolore di Rodolphus che la indussero a mettere da parte il suo lavoro. Frugò nella borsetta alla ricerca di una fiala, ma le capitò un Distillato della Morte vivente. 

“Dannazione, almeno tu potresti collaborare…” Se nemmeno la sua borsa da viaggio si rivelava utile, Alexandra avrebbe presto iniziato a perdere la pazienza. 

“Non voglio morire… non voglio morire,” Rodolphus gemeva spaventato con lo sguardo fisso sulle mani immobilizzate, le dita sporche di sangue e fango. Non le restò altra scelta che procedere in modo pragmatico. Spostò la sua borsa da viaggio sul tappeto e capovolse l’apertura, l’agitò fino a far uscire, una dopo l'altra, tutte le scorte di filtri che si era portata dietro. Tra il caos di fiale, scatoline, ampolle e boccette che ne fuoriusì, riuscì a ritrovare la pozione Rimpolpasangue e un filtro Ricostituente. Tornò da Rodolphus che tremava sul tappeto.

“Domattina andrò nei boschi e raccoglierò altri ingredienti, ma per il momento cerchiamo di farcele bastare. Non sarebbe male riuscire a tornare a casa,” gli disse mentre si inginocchiava accanto al suo corpo steso. Sollevò dolcemente la testa di Rodolphus e l’appoggiò sulle sue gambe. Aprì la fiala direttamente nella bocca di Rodolphus e, mentre lui mandava giù la pozione, lei si guardò intorno per capire dove diavolo fossero finiti. Quel capanno nel bosco era stata la loro salvezza, un riparo dal temporale che ancora stava imperversando, ma non aveva proprio idea di quale parte del mondo fosse finita. Si era limitata a prendere la Passaporta con Rodolphus dopo aver salutato Barty. La missione, dopo tutto, era top secret e lei non aveva accesso a molte informazioni.

“Non lasciarmi, Alex, non voglio morire.” 

Alexandra afferrò la mano di Rodolphus e la strinse tra le sue mani. Allungò le dita fino a tastargli il polso su cui risaltava il Marchio Nero. Sentì il battito accelerato, sembrava che Rodolphus, grande e grosso com'era, fosse nel bel mezzo di un attacco di panico. “Non ti lascio, Rod, non morirai. Fidati di me.” Cercò di sorridergli incoraggiante, ma lui le rispose con uno sguardo terrorizzato.

“L-la bacchetta?” le domandò con la bocca ancora sporca di sangue.

“Non ho buone notizie…” rispose con un sospiro che sapeva di sconfitta. “Entrambe le nostre bacchette si sono spezzate. Il nucleo è compromesso. Non riesco nemmeno ad usarne metà, ma non perdo le speranze di riuscire a ripararne almeno una. Devo pulirti le ferite prima di passare il Dittamo,” lo avvisò.

“Non mi lasciare, Alex, non voglio morire.”

“Non morirai, Rod. Non ti lascio, ma sono senza bacchetta e non posso Appellare niente. Vado a inumidire questo panno per pulirti le ferite, d’accordo?”

Rodolphus annuì. Alexandra gli sollevò delicatamente la testa e sostituì le sue gambe con un cuscino impolverato. Quel capanno sembrava essere stato attrezzato da qualche Babbano. 

Un brivido di paura le corse lungo la schiena al pensiero che potesse appartenere a qualcuno dei loro aggressori. Si avvicinò cauta al lavatoio, girò la manopola e l’acqua iniziò a sgorgare pulita. Nella sua borsa da viaggio c’erano anche garze e bende, doveva recuperare l’Essenza di Dittamo, ma prima di tutto, doveva sistemare Rodolphus e pulirgli le ferite.

Avevano appena incontrato un meraviglioso esemplare di Demiguise, lei era riuscita persino ad avvicinarlo e, se non fosse stato per quegli stupidi Babbani, lo avrebbero catturato. Erano arrivati all’improvviso con le loro motociclette rumorose e avevano spaventato la creatura.

Strizzò il panno dall’eccesso d’acqua. Trovò una bacinella e la riempì d’acqua per poter sciacquare il panno dai residui di fango e sangue che avrebbe tolto. Osservava l’acqua scorrere mentre si domandava cosa avesse visto quel Demiguise con la sua vista nel futuro per afferrare al volo le loro bacchette e spezzarle in due. Forse voleva impedire a Rodolphus di uccidere i Babbani?

Le conseguenze, tuttavia, erano state tremende. 

Indifesi, erano stati aggrediti. Alexandra tremò al ricordo dei loro occhi famelici quando si erano resi conto che lei e Rodolphus erano da soli. In quattro, avevano cercato di approfittare di lei. Si strinse i polsi per accertarsi che quelle mani non la afferrassero più. Rodolphus l’aveva difesa ed era riuscito a metterli in fuga. Se non era stata contaminata da quei mostri, era tutto merito suo. A Rodolphus doveva la vita e la sua integrità come Purosangue.

Prese la bacinella e il panno e tornò accanto a Rodolphus. Pulì il viso, sporco di terra, sudore, sangue, tra i capelli aveva qualche ago di pino. 

Si erano allontanati dai sentieri e avevano camminato a lungo in quella foresta. Non avevano smesso nemmeno quando aveva iniziato a diluviare così forte da far perdere loro il senso dell’orientamento. Quel capanno era spuntato dal nulla ed era stato la loro salvezza, aveva offerto accoglienza a due viandanti zuppi e feriti. Non aveva idea di cosa avrebbe detto ai Babbani proprietari del posto se, tornando nel capanno, li avessero sorpresi nella loro proprietà. Alexandra sperava solo che si rendessero conto che Rodolphus aveva bisogno di aiuto.

“Dovresti cambiarti, Alex, sei tutta zuppa, prenderai freddo.”

“Anche tu, Rod. Ti sta salendo la febbre.” 

Accanto a loro c’era un caminetto. Alexandra sistemò dei ceppi al suo interno e prese la bacchetta nella speranza che riuscisse a svolgere un semplice incantesimo come accendere una fiamma. Fu in grado di ottenere un fumo leggero che fuoriusciva dal legno. Ringraziò mentalmente di essersi applicata a Babbanologia e di essere fresca di M.A.G.O. in modo da riuscire ad accendere un fuoco, anche senza l’uso della magia. Trovò una scatola di fiammiferi e preparò un po’ di carta per creare una fiamma viva e dare modo ai legnetti e ai ceppi di iniziare a bruciare. Rodolphus la guardava interessato e sembrò che per qualche istante si dimenticò della paura che lo aveva divorato.

“Vado a vedere se ci sono dei vestiti asciutti,” gli disse avventurandosi nell’altra stanzetta dove c’era un letto, un armadio e una cassettiera. L’arredamento era in legno vecchio e sembrava che i mobili, di scarsa qualità, avessero visto giorni migliori, anche se, al di là dell’odore di muffa e polvere, non c’erano segni di tarme. Nei cassetti trovò dei pigiami di flanella che sembravano poter stare a Rodolphus. 

Lo ritrovò intento a fissare la sua veste da mago senza riuscire a muovere le mani. Quei maledetti gli avevano rotto le dita di entrambe le mani.

“Non preoccuparti, ti aiuto io,” gli disse. “Sei fortunato ad essere finito in missione con la migliore Guaritrice che i Mangiamorte possano permettersi,” scherzò. “Posso spogliarti?”

“Di solito sono io a chiederlo alle ragazze.”

Alexandra alzò gli occhi al cielo. “Questa battuta è così… da Rabastan… Non è proprio da te.”

“Solo perché non sai quanto il mio corteggiamento possa essere… imbarazzante.”

“Siamo entrambi sposati, Rod, suvvia. E soprattutto, in questo momento non saresti in grado di fare molto. Spero tu non voglia finire insieme ad Avery tra chi promette molto e realizza nulla.”

“Non mi provocare, Alex.” 

Scherzavano mentre Alexandra gli sbottonava la veste da mago di lana nera, spessa e pesante, che si era impregnata di umidità. Eliminò anche la camicia che necessitava di un lavaggio e sbottonò i pantaloni. Tolse i lunghi stivali di cuoio nero che usavano per i viaggi, eliminò i pantaloni e la sua concentrazione esitò un attimo davanti il corpo seminudo di Rodolphus. Si disse che doveva rimanere concentrata. Era solo un paziente che aveva bisogno delle sue cure.

“Allora?” le domandò Rodolphus. “Quanto mi resta da vivere?”

“Non saprei dirlo. So che sopravviverai a questa notte, ma se dovessi continuare a comportarti come Rabastan, beh, forse potresti finire male.” Si scambiarono un sorriso e la mano di Alexandra tremò leggermente prima di medicare il taglio alla spalla. L’addome era pieno di lividi, così lo tastò per accertarsi che non ci fossero emorragie interne. Aprì il palmo della mano e chiuse gli occhi nel tentativo di concentrarsi. Inspirò profondamente. La magia era dentro di lei, la bacchetta era solo un catalizzatore. Il Signore Oscuro era in grado di compiere grandi incantesimi anche senza la bacchetta e suo padre curava i pazienti al San Mungo utilizzando le dita come se fossero delle bacchette. Poteva riuscirci. Doveva concentrarsi.

“Vulnera Sanentur.” Dalle sue dita fuoriuscì un bagliore fioco che tuttavia riuscì a migliorare, seppur di poco, la situazione. Sospirò. Concentrati, Alex, si disse. Pensò allo sguardo attento di Barty, come quando si esercitavano insieme in sala comune. Ripensò al modo in cui lui le infondeva fiducia. Avrebbe voluto avere Barty accanto a sé. “Vulnera Sanentur.” Questa volta le sue dita non produssero proprio niente.

“Non puoi chiedere troppo alla tua magia, Alex,” le sussurrò Rodolphus avvicinando la sua mano tremante. “Sei stremata. Domani andrà meglio.”

“M-mi dispiace… Deve essere frustrante essere bloccato qui con una recluta. Se fossi stato con Bellatrix, le cose sarebbero andate diversamente.”

“Bellatrix non sarebbe mai riuscita ad avvicinare il Demiguise,” le spiegò. “Se il Signore Oscuro ha mandato noi due in missione, c’è un motivo.”

Alexandra lo aiutò a indossare il pigiama e a trasferirsi sul letto. “Ma la missione è stata un completo disastro! Siamo dispersi, senza bacchette, feriti e nemmeno abbiamo portato a termine la missione!” Era sul punto di scoppiare a piangere. Si sentiva un vero e proprio fallimento come Mangiamorte. Era come se quello che aveva sempre temuto, che lei non doveva essere reclutata, si fosse avverato. Barty l’avrebbe voluta ancora come moglie una volta che avesse scoperto quanto era una pessima Mangiamorte?

“La missione non è finita. Gli intoppi capitano. Nella mia prima missione ho quasi rischiato di morire per un ritorno di fiamma della bacchetta. Se non fosse stato per i riflessi di Dolohov, non sarei qui a raccontartelo.”

“Lo dici solo per risollevarmi il morale.”

“No, Alex, è la verità. E poi, come dici tu, sei la migliore Guaritrice e, se permetti, preferisco farmi spogliare e medicare da te che da Piton.”

Il brontolio dello stomaco le ricordò che erano digiuni dalla colazione mangiata velocemente prima di prendere la Passaporta quel mattino. Si guardò intorno nel tentativo di rendersi utile e di non sembrare una patetica ragazzina piagnucolona. Forse in cucina avrebbe trovato qualcosa da mettere sotto i denti. 

Riuscì a trovare una patata che presto avrebbe iniziato ad essere troppo vecchia, delle scatole di legumi e una pentola. Improvvisò una zuppa recuperando un po’ di cipolla, del sale e del pepe. Osservò la cucina. Non era poi tanto diversa dalla cucina della sua Tocky o di quella in cui armeggiava Kreacher. Certo, i Babbani avevano quelle cose di gas che le facevano paura e lei era troppo scossa e spaventata per poter compiere un simile azzardo e rischiare di far saltare in aria il loro capanno come il calderone di Lucien Dolohov durante le lezioni di Lumacorno.

“Gli esperimenti di Babbanologia li rinviamo,” sospirò. Infilò i suoi ingredienti nella pentola e riuscì a fissarla a un gancio sopra il fuoco del camino. Forse non era il modo migliore in cui un Babbano avrebbe cucinato una zuppa, ma sicuramente era il modo più sicuro per una strega. 

L’intero ambiente venne presto invaso dal profumo dei legumi che sobbollivano. Riuscì a recuperare un mestolo e controllare l’andamento della cottura. Cucinare senza magia era complicatissimo, c’era il costante rischio di scottarsi o di versare la cena nel camino e non era possibile distrarsi perché non ci sarebbe stato alcun rimedio a un suo qualsiasi errore. 

Accanto alla cucina babbana c’era una credenza di legno, Alexandra aprì le ante per recuperare un paio di piatti. Sospirò nel vedere un orribile servizio di piatti, pesante e dalle decorazioni dozzinali, ma dopo tutto non poteva certo attendersi della porcellana fine in quei boschi. Occorreva adattarsi. Trovò un tagliere e riuscì a improvvisare un’apparecchiatura su un vassoio da servire a Rodolphus che non era certo in grado di alzarsi dal letto su cui era riuscita a sistemarlo.

Fu lei a dover imboccare Rodolphus che, con le dita fasciate e doloranti, non era in grado di reggere una posata. Sedette sul bordo del letto e lo aiutò a cenare.

“Sono desolato, Alex.”

“Non dirlo nemmeno, Rod, mi hai salvata da quei balordi,” gli disse mentre lo imboccava. 

“Questo è uno dei momenti in cui sono felice di non essere in missione con Bellatrix,” le confidò Rodolphus mentre finiva il suo piatto. “Complimenti, è deliziosa! Il miglior pasto mangiato in missione!”

“Troppo buono.”

“Affatto, è la verità. Tu non hai idea di quanto sia terribile la cucina di Bellatrix. Sarebbe andata sotto la pioggia alla ricerca di qualche animale, avrebbe provato ad arrostirlo e l’avrebbe bruciato. Fidati. Dieci anni di missioni mi hanno dato una certa esperienza.”

“Cucinare senza magia è veramente complicato. Mi fa piacere che tu abbia gradito la zuppa.”

“E il servizio.”

“No, Rod, non mi prendere in giro. Il servizio è un disastro: una cena su un tagliere, questo piatto mezzo sbeccato… è un orrore.”

“Quanti Mangiamorte servirebbero una zuppa con tanta cura?” le domandò con un sorrisetto divertito sul volto. 

“Sicuramente Bellatrix. Insomma, lei è una lady!”

Rodolphus scoppiò a ridere, il materasso oscillò e quel movimento distrasse Alexandra che per poco non fece scivolare il piatto dal tagliere. Riuscì ad afferrarlo al volo quando era giunto all’angolo del tagliere e si decise ad alzarsi per andare in cucina a riempire il proprio piatto. Cenò velocemente, mentre era intenta a pensare dove sistemarsi per la notte. Avrebbe recuperato uno di quei pigiami di flanella e magari sarebbe riuscita a trovare delle coperte. Lanciò uno sguardo ai mantelli da viaggio e notò che il calore del caminetto li aveva asciugati. Alla peggio, ci sarebbero stati i mantelli da viaggio a ripararla dal freddo.

“Alex!” Rodolphus la chiamò dalla stanza. “Aiutami ad alzarmi, ti lascio il letto per riposare.”

“Non se ne parla proprio. Tu sei ferito e a te tocca il letto,” obiettò con la fermezza che il suo ruolo di Guaritrice le imponeva.

“Ma non sarei un gentiluomo,” osservò Rodolphus che cercava invano di sollevarsi da quel vecchio materasso. Alexandra aveva cambiato le lenzuola e recuperato alcune coperte di lana dall’armadio con le ante cigolanti. 

“Apprezzo il gesto, ma la salute viene prima della cavalleria. Io mi sistemerò sul divano in salone,” concluse rimboccandogli le coperte.

“Non posso consentirlo.”

“Suvvia, farò da guardia e preparerò le pozioni per la notte. Devo mettere in ordine gli ingredienti e preparare le dosi per le prossime somministrazioni.”

“Alex, devi riposare. Non puoi passare la notte sveglia a lavorare. Abbiamo bisogno di rimetterci in viaggio quanto prima e portare a termine la missione.”

“Rod, sei ferito e siamo senza bacchette. Al momento non possiamo andare proprio da nessuna parte.”

“Capisco che tu non voglia che io mi alzi. Questo letto è grande per entrambi. Che ne dici se ti stendi qui accanto? Riesco a malapena a muovermi.”

Alexandra sembrò soppesare la proposta di Rodolphus. Il divano del soggiorno era sporco di polvere ed era così scomodo che aveva preferito sedersi sulla sedia di legno della zona cucina piuttosto che rimanere ancora su quel divano. Rodolphus la osservava con i suoi occhi neri, in attesa di una risposta. Insistette: “Pensa che se dovessi star male, mi sentiresti subito.” 

Non seppe dire di no a quella proposta, così sospirò. “E va bene, ma tutto ciò è decisamente inappropriato.”

“In missione dovremo adattarci un po’.” 

Alexandra andò in bagno a cambiarsi. Sfilò la sua veste da strega e mentre si lavava il viso scoprì che in quel capanno doveva esserci anche dell’acqua calda. Così, si infilò velocemente sotto la doccia per togliere il freddo della pioggia che aveva indurito i suoi abiti. Infilò un altro pigiama di flanella dalle stampe che richiamavano il tartan scozzese (blu quello di Rodolphus, verde e rosso il suo) e raggiunse il suo compagno di viaggio in camera da letto. Entrò titubante sotto le coperte, ma la sua schiena gioì nel sentire la morbidezza del materasso, mentre il corpo si rilassava sotto il calore delle coperte di lana. Alzò lo sguardo verso il soffitto. Era strano non avere Barty al suo fianco. Si domandò se anche lui durante le missioni aveva condiviso il letto con qualcun altro. 

“Dopo Regulus, sei la sola persona con cui abbia condiviso un letto oltre a Barty,” gli confidò.

“Quando sei riuscita a dormire con Regulus?”

“Durante i giorni del matrimonio di Narcissa. Fu Bellatrix a metterci in stanze adiacenti e comunicanti.”

Rodolphus ridacchiò: “Ricordo, era il periodo in cui tramava per farvi fidanzare. Mi sono sempre domandato se avresti preferito sposare Regulus.” 

La domanda aprì una ferita che non le si era mai rimarginata del tutto. 

“Stai esitando. Non sei felice con Barty?”

“Eh? Sì, lo sono. Non è la scelta tra Barty e Regulus che mi fa esitare. Avevamo un accordo, noi tre, chiunque dei due avrei sposato, l’altro avrebbe fatto parte della nostra vita. La mia esitazione è dovuta ad altro, alle famiglie. Ho sposato Barty in segreto, i miei non mi parlano quasi e i signori Crouch, beh, non sono come Walburga e Orion.” 

Sospirò. 

Aveva quasi rimosso che erano due anni che Regulus e Orion Black erano morti. “Pensa come sarebbe stata felice Walburga se a quest’ora Regulus fosse vivo e sul punto di sposarmi!” Si voltò verso Rodolphus e sorrise: “Noi due saremmo praticamente cugini!”

“Saresti stata una perfetta lady Black. I Crouch sono stati molto fortunati.”

Tra loro cadde il silenzio. Alexandra pensava a Barty, a quanto avrebbe voluto averlo al suo fianco in quel momento. Si domandò come stesse andando la sua missione e si augurò di rivederlo presto.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2



31 ottobre 1981


 

Venne svegliata da un soffio d’aria sul viso. 

Aprì gli occhi e si sorprese nel vedere il viso di Rodolphus Lestrange profondamente addormentato. Era steso sulla schiena, le mani fasciate abbandonate sullo stomaco e il volto girato verso di lei. La fronte corrucciata sembrava suggerirle un sogno particolarmente tormentato. Come poteva essere diversamente, poi? Lentamente, i ricordi del giorno precedente e di quella disastrosa missione le tornarono alla mente. 

Erano dispersi da qualche parte dell’Inghilterra senza bacchette e nell’impossibilità di avvisare il Signore Oscuro. Come se ciò non bastasse, Rodolphus era ferito e non era assolutamente in grado di muoversi. 

Scivolò fuori dalle coperte e infilò uno spesso maglione di lana sopra il pigiama di flanella. Il loro capanno si era raffreddato nel corso della notte, quando il fuoco del camino si era spento perché le fiamme non erano state più alimentate. 

Guardò fuori dalle imposte e vide che il sole filtrava attraverso le chiome degli alberi. Aveva smesso di piovere e l’aria profumava di bosco. Lasciò la finestra aperta per cambiare l’aria e, approfittando della luce, studiò meglio la cucina babbana. 

Nelle case dei maghi, i fornelli di ghisa venivano accesi con fiamme magiche. I Babbani, che non avevano la magia, dovevano provocare il fuoco in qualche modo. Esaminò le valvole poste sotto i fornelli: assomigliavano ai fornellini che usavano a lezione di pozioni; accanto ad ogni valvola - manopola, rubinetto, come diavolo si chiamava? - c’era un disegno, un cerchietto colorato e altri tre vuoti. Comprese che dovevano essere collegati al fornello. Il cerchietto colorato doveva indicare il fornello collegato alla manopola, infatti, ogni manopola aveva un cerchietto diverso ed erano disposti in un ordine che aveva un senso. Girò la manopola più vicina a sé e sorrise nel vedere che qualcosa usciva dal fornello. Annusò l’aria e comprese che era gas. Utilizzò un fiammifero, in casa sua ce ne erano sempre, li comprava suo papà per qualche strano esperimento e lei e suo fratello Robert ci giocavano di nascosto da bambini. Una volta, Tocky, la loro elfa domestica, aveva sventato un principio di incendio al suo vestitino quando Robert aveva minacciato di “bruciare la strega”, parlando proprio di lei.

Allontanò il pensiero di Robert, troppo doloroso da affrontare. Suo fratello non aveva mai amato Barty e si era limitato a mandarle un biglietto cortese con gli auguri per le nozze segrete, in perfetto stile Turner. 

La fiamma del fornello si accese e sorrise al pensiero di aver appena imparato come utilizzare una cucina babbana! Provò a muovere la manopola e riuscì a vedere che era possibile regolare l’intensità della fiamma. Funzionava proprio come i fornelli per il calderone, quelli che si utilizzavano per preparazioni lunghe e complesse, come la Polisucco, in cui era impensabile affidarsi alle fiamme magiche.

Afferrò un pentolino, lo riempì di acqua e iniziò a riscaldarla mentre cercava qualche bustina di tè. Trovò dell’English breakfast e se lo fece andar bene. 

In quella cucina non c’era né latte né limone, ovviamente, ma trovò un po’ di zucchero e persino un fondo di biscotti che sembravano essere stati dimenticati da chissà quanto tempo. In uno sportello, invece, vide la fonte del gas, una grandissima ampolla di metallo grigio con una valvola in cima. Il misuratore diceva che era piena e i Babbani erano stati molto sciocchi a lasciarla aperta. Alexandra si augurò che bastasse per il tempo che avrebbero trascorso in quella casa, perché non aveva idea di dove avrebbe potuto trovarne un’altra. Continuò a frugare in quella cucina e si imbatté in un foglietto con un elenco di prodotti e i prezzi. Sembrava la ricevuta di un negozio. Sorrise al pensiero che lì vicino dovesse esserci un villaggio con dei negozi in cui poter far rifornimento. 

Sorseggiò il suo té e servì la colazione a Rodolphus prima di medicargli nuovamente le ferite. Il Dittamo aveva fatto il suo effetto e la pelle si era rimarginata in molti punti, ma le ossa erano fratturate e lei doveva fasciargli meglio le mani e la gamba rotta. Cambiò le fasciature ed eseguì dei bendaggi migliori alle povere mani di Rodolphus. Cercò di immobilizzare la gamba ferita.

Non avrebbe voluto lasciarlo da solo in quel capanno, ma doveva assolutamente andare nel villaggio a fare scorte. Provò ancora una volta a riparare la bacchetta magica, tuttavia, il suo crine di unicorno sembrava irrimediabilmente morto, mentre la corda di cuore di drago di Rodolphus emanava un debole segno di sopravvivenza.

Riuscì, invece, a riparare in modo approssimativo la bacchetta di Rodolphus. La crepa era ancora visibile, ma il nucleo si era solo sfilacciato e, benché qualche scintilla uscisse dalle venature del legno, la magia veniva incanalata e la bacchetta avrebbe funzionato per incantesimi semplici. 

Forse avrebbe potuto accendere il camino o sarebbe riuscita ad evocare qualche blando incantesimo difensivo, mentre non era prudente utilizzarla per attaccare, il rischio di un ritorno di fiamma era troppo alto.

Sistemò Rodolphus e si avventurò fuori dal capanno. La luce del giorno le mostrò un sentiero che, dopo una passeggiata di dieci minuti, la condusse a una strada e, dopo altrettanto camminare, al villaggio. 

Doveva essere giorno di mercato perché le strade erano affollate da banchetti di ogni genere. Comprò della carne, perché Rodolphus aveva bisogno di energia per rimettersi in forze, delle patate e un po’ di zucca. Acquistò anche della farina, delle uova e un po’ di pane e burro. 

Carica di sacchetti, tornò verso casa. Lungo la strada trovò un banchetto che vendeva delle mele e ne acquistò un sacchetto. 

La spesa iniziava a pesare e Alexandra arrivò nel capanno con il fiato corto e sentendosi priva di forze. Rodolphus era stato previdente a portare con sé dei soldi babbani. Prima di partire le aveva detto che  in missione non si può mai sapere cosa potrebbe accadere ed è sempre meglio essere pronti.

Preparò uno stufato con le patate per pranzo e questa volta, Rodolphus riuscì persino a mantenere il cucchiaio in mano. Forse, avrebbero lasciato quel posto prima di quanto la sera prima aveva temuto. 

Vivere senza magia era decisamente faticoso. 

Alexandra impiegò moltissimo tempo, molto più di quanto non fosse abituata, a rassettare la cucina prima di poter uscire a fare un giro intorno al capanno. Aveva intenzione di conoscere meglio il luogo in cui si erano rifugiati ed era bene approfittare delle ore più calde del giorno, prima che scendesse il buio o venisse a piovere.

La struttura in legno sembrava abbastanza solida. Si accorse che doveva esserci un piano superiore, da qualche parte. Così, girò intorno a quella casetta di legno dal tetto spiovente e le finestre appannate dalla polvere, si accorse che lei e Rodolphus erano entrati dal retro dell’abitazione. Dall’altra parte, c’era un portico che affacciava su un giardinetto che conduceva a un lago dalle acque tranquille. C’era un piccolo molo di legno con una barchetta capovolta sulla riva. Non era un brutto posto, dopo tutto. Era un rifugio. I boschi alle sue spalle nascondevano quell’abitazione che sembrava disabitata da diverso tempo. Forse, i proprietari la utilizzavano solo in estate, o forse, come la ricevuta del negozio che aveva trovato dimostrava, erano due anni che non vi mettevano piede.

Il cielo si offuscò per l’arrivo di alcune nuvole. Alexandra si decise a raccogliere alcune foglie secche per preparare un altare per onorare il sabba di Samhain. Prima, però, si avvicinò all’ingresso principale, allungò le sue dita sulla serratura della porta e sussurrò “Alohomora!”

La porta babbana scricchiolò e l’esultazione per essere riuscita a praticare un incantesimo senza magia sfumò in uno starnuto per la nube di polvere che le andò incontro non appena aprì la porta. 

La luce che arrivava da fuori l’aiutò ad orientarsi in quel piccolo salone. Trovò la porta che conduceva sul retro e incrociò anche la porta della camera di Rodolphus. “Forse non dovremo più dormire insieme,” gli disse sorridendo mentre continuava l’esplorazione di quella casa.

Al piano di sopra, tuttavia, i vetri delle finestre erano rotti, i rami della quercia che cresceva accanto alla casa dovevano averli infranti rendendo le camere da letto impraticabili. Erano due, comprensive di due bagni che erano pieni di acqua e fango. Decise di chiudere la porta del piano di sopra e ritornare giù.

“Allora?” le domandò Rodolphus. “Hai trovato la stanza che fa per te?”

“Sono impraticabili. Temo che dovrò continuare ad approfittare della tua ospitalità.”

“Continuo a sostenere che sia un bene che non sia finito in missione con Severus. Lui russa la notte.”

“Come fai a saperlo?” 

Si rese conto della domanda sciocca che aveva posto. Alzò le mani in segno di resa intercettando un sorriso divertito di Rodolphus e preparò l’altare per il sabba di Samhain proprio sul davanzale della stanza da letto. Avrebbero recitato insieme le formule rituali al tramonto, dopo la somministrazione delle pozioni curative a Rodolphus che, ogni volta, tremava quando lei gli scioglieva le bende e lui riusciva a vedere le sue ferite. 

“Morirò?” le chiedeva ogni volta.

“Prima o poi, sì,” gli rispondeva lei, ogni volta, avendo cura di aggiungere: “Come tutti, dopo tutto.”

“Il Signore Oscuro ha sconfitto la morte,” le rivelò Rodolphus. “Ha compiuto grandi progressi.”

“Sei diventato un suo allievo per conoscere questi segreti? Per vivere in eterno?”

“Non sarebbe meraviglioso?”

“Non lo so, a me sembra spaventoso,” gli confidò. “Essere costretta ad assistere alla morte di tutte le persone che hai amato e rimanere incastrata alla vita, come un fantasma.” 

“Però sapresti di non morire in guerra. Vedresti la vittoria del Signore Oscuro, il trionfo della Causa. Non ti piacerebbe esserci?”

“Sì, ma non al prezzo di dover vivere in eterno. Dopo aver vissuto la morte di Regulus, il solo pensiero di dover assistere a quella di Barty e sapere di non poterli raggiungere mai, insomma, è tremendo.”

Rodolphus sospirò: “Tu e Barty ricordate tanto me e Bellatrix appena sposati. Certo, forse Barty è più attaccato a te di quanto non lo fosse Bellatrix a me, ma la vostra complicità è incredibilmente simile.”

“Ti manca Bellatrix?”

“L’ho vista solo ieri, non farmi così melodrammatico!” 

Alexandra notò il modo in cui Rodolphus distolse lo sguardo e lo spostò verso l’altare che aveva allestito. Decise di non insistere e lo lasciò ai suoi pensieri. Era una domanda sciocca, dopo tutto. Bellatrix era sua moglie, era naturale che ne sentisse la mancanza, proprio come lei sentiva la mancanza di Barty.

Accese il cero (e questa volta riuscì a utilizzare la magia delle proprie dita) e iniziò a recitare i versi propiziatori per celebrare Samhain, il trionfo delle tenebre, il momento in cui il velo tra il mondo dei morti e quello dei vivi si fa più sottile. Come da due anni a quella parte, le sue preghiere andarono a Regulus. 

Chiuse gli occhi e, inspirando l’odore della cera, provò a ricercare la presenza di Regulus dentro di sé. Si augurò che lui stesse bene, che riuscisse a sentirla dal posto sperduto in cui si trovava. Quel posto sarebbe piaciuto a Regulus e sarebbe stato uno splendido rifugio per lei, Regulus e Barty. La magia lo avrebbe reso perfetto. Lontani da quel mondo che voleva solo imporre loro obblighi e separarli, lì avrebbero trovato la felicità. 

Un lamento di Rodolphus, seguito da una fitta al braccio la costrinsero a interrompere il contatto con Regulus. Aprì gli occhi afferrandosi il braccio sinistro. Il Marchio Nero si era tinto di sangue. 

Rodolphus urlava dal dolore. Alexandra corse al suo capezzale, sollevò la manica e sciolse le bende intorno al braccio del mago che si tingevano di sangue scuro e denso: anche il Marchio Nero di Rodolphus era diventato di sangue. 

“Cosa significa?” le domandò. “Cosa è accaduto?”

“Non lo so, Rod, non lo so! Ma non è niente di buono! Credi che il Signore Oscuro possa essere stato sconfitto?” C’era solo un motivo per il quale una maledizione potente come il Marchio Nero potesse modificarsi. Era un contatto diretto con il loro Signore, lo sapevano tutti, e in qualche modo quel legame era stato intaccato.

“Non è possibile. L’Oscuro Signore è il mago vivente più potente al mondo. Superiore a Silente e Gellert Grindelwald. Non può essere sconfitto.”

“Allora, forse è ferito.”

“Ha sconfitto la morte, Alex, non essere sciocca.”

“Il sangue, però, non è un buon segno, Rod.” Il Marchio Nero iniziò a sbiadire dai loro avambracci sotto lo sguardo smarrito di entrambi.

“Dobbiamo tornare in Cornovaglia,” disse Rodolphus.

“Come? Non siamo in grado di Materializzarci, la tua bacchetta non è in grado nemmeno di creare una Passaporta, come torniamo a casa?”

“Il Nottetempo!”

“Vuoi davvero prendere il Nottetempo dopo che il Marchio Nero è scomparso? Abbiamo bisogno di capire cosa sta succedendo. Gli Auror saranno ovunque!”

Stormi di gufi iniziarono a passare anche sopra quei boschi. Più passava il tempo, più i cattivi presagi prendevano consistenza. “Il tuo specchio gemello!” le disse Rodolphus.

“Bellatrix mi ha detto che non era prudente portarlo, che se gli Auror ci avessero fermato, avremmo messo in pericolo le identità degli altri.”

“Ha ragione, dannazione.”

Non c’era molto da fare. In ogni caso, loro erano impossibilitati a muoversi. Fu mentre preparava la cena che sentì Rodolphus chiamare: “Polly! Polly! Come ho fatto a non pensarci! Polly!”

Alexandra si affacciò nella stanza di Rodolphus e il rumore di uno scoppio precedette la comparsa di un elfo domestico, anzi, dell’elfa domestica dei Lestrange, Polly. “Riportarci a casa!” ordinò Rodolphus in preda all’entusiasmo.

L’elfa, però, era terrorizzata. “Oh, padron Lestrange!” squittì. Iniziò a dare testate contro il muro e dire: “Padron Lestrange non lo faccia, non ordini a Polly di portarla a casa!”

“Perché?” domandò Alexandra. “Non sappiamo dove siamo, siamo senza bacchette! Ti prego, riportaci a casa!”

“Pericolo! Padron Lestrange! Casa non è sicura! Gli Auror sono venuti!”

“Gli Auror?” domandò Rodolphus allarmato mentre cercava di scendere dal letto. Il dolore, però, gli impediva di muoversi.

“Cosa è accaduto, Polly?”

“Il Signore Oscuro è caduto!” Gli occhi dell’elfa si erano spalancati per il terrore della notizia. Tremava e piangeva mentre li aggiornava sulle notizie che arrivavano al castello. “Lord Dolohov è stato arrestato, padron Lestrange, non torni a casa!”

“Rabastan e Bellatrix?”

“Barty?” si intromise Alexandra che iniziava ad avere paura circa la gravità della situazione.

“Non sono tornati dalla missione. Polly non sa niente, ma qui il padrone è al sicuro!”

“D’accordo, Polly, rimarremo qui, ma se Bellatrix o Rabastan o Barty tornano al castello, veniteci a prendere. D’accordo?”

L’elfa annuì, visibilmente sollevata dalla modifica degli ordini. Fece un inchino così profondo da sfiorare il suolo con la punta del naso e poi scomparve con un pop!

Il bollire della pentola sul fuoco le ricordò che non doveva rischiare di bruciare la cena. Così, corse a metterla in salvo. Consumarono il pasto in silenzio, ciascuno immerso nei propri pensieri, le stesse preoccupazioni che li divoravano. Come stavano Barty, Bellatrix, Rabastan? Erano al sicuro? 

Alexandra si sentì impotente, più del solito. L’arrivo dell’acquazzone aumentò quella sensazione. Si sentiva in trappola, indifesa e incapace di poter essere d’aiuto.

L’unica cosa che poteva fare era aiutare Rodolphus a rimettersi in forze; lui era un mago sufficientemente forte ed esperto per poterla riportare a casa. Così, lo aiutò a prepararsi per la notte, lo sistemò nel letto e insieme rimasero in silenzio a guardare il soffitto. Fuori lo scrosciare della pioggia era interrotto dai versi delle civette. Qualcuno stava festeggiando mentre il loro mondo colava a picco. Si girò su un fianco, avendo cura che Rodolphus non la vedesse, si rannicchiò per asciugare una lacrima. Ne seguì un’altra e poi un’altra ancora. Cercava di mantenere il controllo, ma la paura che potesse essere accaduto qualcosa a Barty, e che lei non fosse lì per medicarlo, l’atterriva. Le sfuggì un gemito di terrore al pensiero che la copertura di Barty fosse saltata. Si domandò come avrebbe reagito il signor Crouch alla notizia che suo figlio fosse un Mangiamorte. Tremò al pensiero. 

Sulla spalla, la mano fasciata di Rodolphus attirò la sua attenzione. “Vieni, Alex,” le sussurrò. “Sono certo che stiano meglio di quanto la nostra immaginazione riesca a farci credere.”

“Ma se li avessero catturati?”

“Polly ce l'avrebbe detto. Sarebbe scoppiato uno scandalo politico enorme se il figlio di Bartemius Crouch fosse stato trovato con i Mangiamorte, non credi?” Alexandra si fermò a riflettere sulle parole di Rodolphus. Aveva ragione. Non doveva lasciarsi prendere dal panico.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3 

 

1 novembre 1981

 

Trovare al risveglio il profilo di Rodolphus immerso nel sonno non la spaventò più, ma le provò una stretta alla bocca dello stomaco per la nostalgia di Barty. Avrebbe voluto che fosse stato suo marito a dormirle accanto e confortarla, non Rodolphus che, per quanto si stesse rivelando un ottimo compagno di viaggio, non era Barty.

Rodolphus oscillava tra il serio e l’ironico, ma non aveva il sarcasmo di Barty né il suo spirito di osservazione. Era molto più premuroso di Barty e la sua educazione da Purosangue trapelava da ogni singolo gesto, ma non aveva il fuoco dell’ambizione che accendeva lo sguardo di Barty. 

Si disse che era persino sciocco fare dei paragoni, era normale che entrambi avrebbero preferito stare con i rispettivi coniugi. Eppure, la scelta di creare gruppi diversi rispondeva a delle ragioni precise del Signore Oscuro. Serviva la conoscenza delle Arti Oscure di Rodolphus, che Barty ancora non aveva, e la capacità di riconoscere e trattare le sostanze magiche che lei possedeva per riuscire a creare l’artefatto che il Signore Oscuro intendeva realizzare. 

Alexandra non aveva molti dettagli sui piani del suo Signore, non era sufficientemente alta in grado né Rodolphus le aveva rivelato alcunché e, dopo tutto, lei non aveva nemmeno fatto delle domande. Sapeva che bisognava obbedire senza domandarsi il perché delle richieste che si ricevevano e, in un certo senso, era confortante non avere tutti i dettagli del piano, così, se l’avessero arrestata, non avrebbe potuto mettere in pericolo nessuno. 

La cosa più importante per Alexandra era la consapevolezza che ogni missione sarebbe stata un passo verso il raggiungimento della Causa, la realizzazione di un mondo in cui i Purosangue avrebbero dominato e i maghi non avrebbero più dovuto nascondersi.

Sospirò nervosamente. 

Si trovava nella condizione che rivelava in pieno il senso del proprio impegno. Era costretta a nascondersi, privata della magia, soggetta alle aggressioni dei Babbani e obbligata a vivere nelle loro stesse miserevoli condizioni. Di fronte a quelle circostanze, c’erano maghi che osavano persino festeggiare la caduta di colui che voleva liberarli.

Come la mattina precedente, si alzò per preparare la colazione. Nei cassetti aveva trovato alcune ricette appuntate a penna. Si disse che, ora che aveva imparato a usare la cucina babbana, poteva provare a realizzare una torta. Sarebbe stato meraviglioso avere un dolce appena sfornato come accompagnamento per il tè. Così, si cambiò, indossò un vecchio grembiule, (mentalmente si appuntò di scoprire come i babbani facevano il bucato) e si mise all’opera. Con gli ingredienti che aveva in casa avrebbe realizzato una torta di mele e poi sarebbe tornata al villaggio per comprare dell’Earl Grey e quel pomeriggio avrebbe organizzato il suo primo tè. Forse, avrebbe trovato anche dei cetrioli e del formaggio fresco per i sandwhich di accompagnamento. 

Al villaggio scoprì che era necessario entrare nei negozi babbani, perché non era giorno di mercato. Individuò delle Babbane con i sacchetti carichi di spesa e cercò di capirne la provenienza. Provò a percorrere al contrario la strada fino a comprendere che uscivano da un posto chiamato “supermercato”. 

Era un posto più grande di Mielandia, pieno di ogni tipo di cibo, bevanda e persino accessori per la pulizia della casa o la cura della persona. Inizialmente fu complicato orientarsi all’interno, ma poi comprese che i prodotti erano organizzati in reparti, simili ai settori delle biblioteche e iniziò a studiare i criteri di classificazione. 

Trovò il té, i biscotti, il pane per i sandwhich e persino il formaggio spalmabile. Acquistò anche del pollo, dei funghi e della salsa per poter preparare un pasticcio di carne. In coda alle casse acquistò anche un giornale babbano che in prima pagina annunciava la comparsa di fenomeni inspiegabili, sperando di riuscire a ricavare qualche indizio per comprendere quanto era accaduto al Signore Oscuro, sebbene i Babbani fossero completamente restii a vedere la magia anche quando ce l’avevano davanti.

Notò un reparto con bende e medicinali per il primo soccorso. Non si sarebbe mai fidata di comprare medicine babbane, ma delle garze pulite avrebbero potuto farle comodo, una volta che la sua scorta si fosse esaurita.

Tornata da Rodolphus, controllò le bende e sedette accanto al letto per leggere il quotidiano babbano. Rodolphus le rivolse uno sguardo perplesso. “Da quando leggi la stampa babbana?”

“Da quando è l’unica fonte di informazione a disposizione. Senti qua. La scorsa notte, i cieli dell’intero Regno Unito sono stati infestati da fenomeni strani: uno sciame di stelle cadenti è stato avvistato nel Kent, del tutto fuori stagione, mentre il frullare di gufi, civette e allocchi non ha smesso dal tramonto e continua mentre stiamo andando in stampa.”

“Qualcuno sta festeggiando, abbiamo afferrato il concetto.”

“Chi c’era nel Kent?”

“Dei traditori del sangue magico, suppongo, oppure feccia e Sanguesporco. Niente di buono può venire dal Kent.”

Alexandra sospirò. “Ricordo che qualche Mangiamorte doveva andare in missione nel Kent,” continuò. Rodolphus, nonostante le mani fasciate, incrociò le braccia al petto: “Non è mai troppo tardi per eliminare la feccia, ma a quanto pare, il tempismo non è stato dalla nostra.”

“Concentrati, Rod! Lo so che non è il momento migliore per noi, ma insomma! Nessuna persona qualunque si metterebbe a violare lo Statuto di Segretezza per festeggiare la caduta del Signore Oscuro, solo qualcuno che effettivamente è coinvolto nella guerra, qualcuno che ha rischiato la vita in questi mesi, che si è scontrato con noi e che era nella lista delle vittime.”

“Dolohov. Antonin doveva andare nel Kent,” disse Rodolphus.

“Quindi possiamo escludere i giovani. Non manderebbero mai Dolohov per sistemare un ragazzino, ci sono i Carrow per quel genere di lavoro.”

“Certo che hai studiato la strategia…”

“Ti sorprenderesti nel sapere quanto Barty ed io studiamo…” 

Ricordava le notti passate a elaborare strategie per comprendere meglio le dinamiche e gli equilibri dei Mangiamorte. Avevano capito che i Carrow erano degli sfigati, che Avery e Mulciber era bene tenerli alla larga e che il modo migliore perché Barty venisse notato dal Signore Oscuro era proprio quello di entrare nelle grazie di Bellatrix. 

“Potrebbe essere qualcuno dell’Ordine della Fenice, qualcuno che non fosse il consigliere Bones che vive a Londra. Il Signor Crouch mi ha portato a un ricevimento a casa sua.”

“Dedalus Diggle, allora, visto che Fenwick è morto.”

Alexandra sospirò profondamente. “Sai qual è il lato positivo di tutta questa situazione?”

“C’è un lato positivo?”

“Non sono a casa Crouch a vedere Bartemius gongolare trionfante e minacciare di sbattere ad Azkaban tutti i Mangiamorte con gli occhi iniettati di sangue.” Piegò il giornale babbano e lo sistemò accanto a sé nella poltrona. Dopo lo avrebbe utilizzato per accendere il caminetto. “In quei momenti mi fa paura.”

“Non è una situazione facile, quella in cui tu e Barty vi trovate. Così come Severus, ma potrete passare inosservati e questo è un vantaggio da non sottovalutare. Tante volte, non si presta attenzione proprio a ciò che abbiamo sotto il naso.”

“A proposito di naso, servo il tè? Ho preparato una torta deliziosa e ho anche gli ingredienti per i sandwich al formaggio.”

Rodolphus rilassò la schiena contro il cuscino, un sorriso gli ammorbidì i tratti del viso e scosse la testa sorpreso. “Non riesco a capire come riesci a passare dalle strategie dei Mangiamorte al tè.”

“Beh, entrambe richiedono organizzazione, precisione e un certo savoir-faire,” rispose sorridendo mentre tornava in cucina. Prese il tavolinetto che era posizionato accanto al suo lato del letto e lo sistemò tra lei e Rodolphus. Apparecchiò nel miglior modo possibile, secondo le dotazioni dozzinali di quella casa, quando si ricordò di una credenza nel salone. Si avventurò per osservare cosa riservasse quella che doveva essere la parte buona della casa e trovò un servizio di ceramica decorato con gli animali della campagna. Prese due tazze con le anatre, la zuccheriera e la teiera, trovò anche dei piattini e persino un vassoio. Tornò allegra in cucina per lavarli dalla polvere che si era accumulata.

Fu con grande soddisfazione che riuscì a servire un tè per due quasi-come-Walburga-insegna. Rodolphus rimase impressionato dal cambio di umore con cui fece ingresso in quella che era diventata la loro stanza.

“Sembra quasi che queste tazze abbiano avuto il potere di cancellare la situazione in cui ci troviamo.”

“Non lo hanno. Se permetti, però, è indubbio che è proprio quando il nostro mondo affonda che dobbiamo difendere le nostre tradizioni e non lasciarci sprofondare. È quello che vorrebbero i nostri nemici!”

Rodolphus posò la tazza sul piattino e le sorrise: “Quanto si vede che ti ha cresciuta Walburga, parli proprio come lei.”

“Spero che sia un complimento.”

“Lo è, anche mia madre direbbe le tue stesse cose. Mantenersi forti davanti le avversità è una dote importante, non dimenticarlo mai. Spero che Bellatrix riesca a mantenere saldo lo spirito proprio come te.”

“Se c’è una strega forte, quella è proprio Bellatrix!”

“Bellatrix è fortissima, ma è anche passionale e tende a perdere il controllo nei momenti di difficoltà. Si lascia offuscare dalla rabbia.”

“Anche Barty in certi momenti si lascia prendere dalla rabbia, credo che sia umano.”

“Probabilmente è così.” Rodolphus sospirò. “Quanto pensi che impiegherò per guarire?”

“Non te lo so dire. Con la magia ti avrei dato qualche settimana di tempo, ma senza magia credo che ci vorrà molto più tempo. Dovrai poi riprendere a camminare. Al villaggio ho provato a cercare segni di magia, ma temo che non ci siano maghi da queste parti.”

“Alex, stai attenta. Se dovessero scoprire che ci sono dei maghi potrebbero avvertire gli Auror.”

“D’accordo, diventerò una Babbana impeccabile!”

“Adesso non esagerare! Mi piace il tuo lato da Purosangue!”

Alexandra nascose il rossore che avvertiva sulle guance dietro la tazza di tè e cercò di dissimulare l’imbarazzo per quell’apprezzamento. Il suo stomaco aveva avuto un leggero sobbalzo nel momento in cui il suo sguardo si era posato sul sorriso gentile di Rodolphus Lestrange. Non doveva essere sciocca. Aveva rovinato la missione abbastanza.

“Ci pensi che mentre noi siamo qui a prendere il tè, Barty e Bellatrix sono…”

“...da qualche parte a torturare uno sventurato per avere informazioni sul Signore Oscuro?”

Sì scambiò un altro sorriso con Rodolphus, trovava così riposante avere qualcuno con cui parlare che la capisse e non la giudicasse, che apprezzasse quel suo essere attaccata alle tradizioni dei Purosangue. Barty l’avrebbe presa in giro per quel bisogno di prendere il tè nonostante tutto. 

I giorni iniziarono a scorrere velocemente. 

Alexandra andava al mattino nel villaggio. C’era sempre qualcosa da acquistare. Dopo i primi giorni in cui aveva preso le misure con i bisogni fondamentali, ne erano sorti altri. Si era resa conto che oltre a cucinare c’era bisogno di imparare a pulire, senza elfi domestici o magia, e che era un’attività faticosa ma che le permetteva di sfogare tutta l’energia nervosa che accumulava. Così aveva fatto ciò che sapeva fare meglio, ovvero studiare. Si era infilata nella piccola libreria del paese e aveva acquistato un libro sull’organizzazione della casa, un libro di ricette e persino un piccolo libro di pronto soccorso. Era importante sapere come far fronte agli imprevisti se le pozioni e gli incantesimi curativi non fossero stati sufficienti. Acquistò anche un libro di buone maniere, curiosa di conoscere il modo corretto per approcciarsi ai Babbani senza destare sospetti. 

Dopo aver pranzato con Rodolphus e avergli somministrato le pozioni, Alexandra si sedeva accanto al caminetto con una tazza di tè bollente e studiava il modo in cui i Babbani si prendevano cura della casa. Poi controllava le dotazioni della casa, appuntava su una lista cosa mancava, come l’anticalcare, in modo che il giorno dopo avrebbe potuto acquistarlo. 

Così aveva imparato a tenere la cucina pulita e ordinata, a fare il bucato, aveva anche riordinato il salone dove lei e Rodolphus avevano iniziato a trascorrere le serate, intenti a chiacchierare di fronte il camino acceso. 

Dopo una settimana di cure, Rodolphus aveva iniziato a muoversi per casa e dopo due settimane circa era in grado di allungarsi fino al patio del capanno.

Fu proprio in una di quelle mattine uggiose di novembre, mentre Alexandra sosteneva Rodolphus nella sua passeggiata mattutina sotto il patio, che sentirono il rumore di alcuni passi provenire dal bosco. Alexandra si strinse istintivamente a Rodolphus per paura e per continuare a sorreggerlo. 

Un brivido le scese lungo la schiena al pensiero che erano senza bacchetta e indifesi. 

Alzò lo sguardo verso Rodolphus spaventata, ma lui strinse la presa intorno alla sua spalla e le sorrise in un modo che riuscì ad allontanare tutte le sue paure. Incurante della presenza di quei rumori, o forse per non destare sospetti, si chinò su di lei e la baciò.

In modo ancora più inaspettato, le sue labbra ricambiarono quel bacio dolce e lento in un modo così naturale da sorprenderla. Sorrise mentre avvertiva una stretta intorno allo stomaco.

Il tossicchiare di qualcuno attirò la loro attenzione. Un uomo e una donna, anzi, dal loro abbigliamento erano un mago e una strega, domandarono loro: “Scusate, per caso avete visto degli sconosciuti ultimamente?”

Avevano un’aria familiare, ma Alexandra non riusciva a capire dove li avesse visti.

Rodolphus rivolse loro uno sguardo interrogativo, ma si limitò a rispondere: “Siete i primi che passano di qua dalla fine dell’estate.”

“Sapete come si torna alla strada?” La voce della strega fece riaffiorare alcuni ricordi: il salone di casa Crouch, i dispacci, gli Auror che andavano e venivano a ogni ora, i resoconti degli arresti o delle indagini che si alternavano a quelli sulla campagna elettorale. 

Alexandra strinse la presa della giacca di Rodolphus e lui disse: “seguite il sentiero, dopo dieci minuti di cammino sarete sulla strada.”

“Grazie!” esclamò il mago mentre faceva segno alla collega di seguirlo verso il sentiero. Alexandra rimase stretta a Rodolphus mentre li osservavano allontanarsi. Le dita fasciate di Rodolphus le accarezzavano la schiena in lunghezza e fu grazie a quel gesto che non perse la calma, o il sorriso, mentre i due Auror continuavano a scambiarli per Babbani. Due brevi pop! della Smaterializzazione, uno a pochi istanti dall’altro, avvertirono che erano andati via. Rodolphus le sorrise, l’indice fasciato le accarezzò il viso e tornò a baciarla. Persino in quell’occasione, mentre Alexandra si accorse di quanto stesse accadendo, le sue labbra si schiusero e risposero al bacio di Rodolphus.

Non c’era la sorpresa, o la tensione per i rumori nel bosco, erano solo loro due, la bocca di Rodolphus che la baciava in un modo semplicemente perfetto, senza l’esitazione di chi è sopraffatto dai sentimenti come Regulus, o la precisione di Barty né tantomeno gli approcci affrettati e nervosi di Desmond Avery. Rodolphus Lestrange sapeva baciare e sapeva farlo bene.

Quando le loro labbra si staccarono, lui le rivolse uno di quei sorrisi che le facevano stringere un po’ lo stomaco.

“Mi hai baciata per distrarre gli Auror?”

“No, ti ho baciata perché mi piaci. Tanto.” Lo disse con una naturalezza che la sorprese. “Non ci hanno scambiati per Babbani, hanno fatto un incantesimo rivelatore e hanno visto che non c’era traccia di magia.”

“Per questo hai nascosto le dita e la gamba dietro di me?”

“Sì, non volevo che pensassero che non ci fosse magia perché non eravamo in grado di farlo. Se dobbiamo vivere come Babbani, almeno prendiamo il vantaggio di non finire ad Azkaban.”

“Se sono arrivati fin qua vuol dire che stanno battendo l’Inghilterra palmo a palmo.”

“Vedrai che gli altri staranno bene, entriamo dentro? Tra un po’ inizierà a piovere.”

La mattinata trascorse tranquillamente, tra le faccende domestiche e il rumore dello scrosciare della pioggia che, da quando era iniziato novembre, li accompagnava quotidianamente e persino andare al villaggio per fare acquisti richiedeva la capacità di calcolare i tempi per non essere sorpresi dall’acquazzone e riuscire a tornare a casa in tempo.

Decise di dedicarsi alla preparazione delle pozioni. Non poteva rimandare ulteriormente. L’inverno presto sarebbe arrivato e le erbe che aveva raccolto rischiavano di non durare tanto a lungo. Una scorta di filtri curativi li avrebbe aiutati ad arrivare a primavera e lei non avrebbe pensato né al bacio di Rodolphus né a quella dichiarazione. Erano passate appena due settimane da quando Barty l’aveva salutata nell’atrio del castello dei Lestrange, prima che lei e Rodolphus afferrassero la Passaporta, e la sua assenza continuava a farle male. 

Come stava?

Fuori dalla finestra il bosco era scomparso, inghiottito dalla cortina di acqua che precipitava copiosamente.

“Vedrai che starà bene,” le disse Rodolphus avvicinandosi a lei, le posò una mano sulla spalla e l’attirò a sé. “È straziante il modo in cui lui ti manca,” le sussurrò. Alexandra sprofondò il viso nell’abbraccio di Rodolphus e si lasciò andare alle lacrime. Piangeva per l’assenza di Barty, per la fine dei loro sogni, per il mondo per il quale si erano impegnati e che era caduto sconfitto e, persino, per il loro Maestro che era scomparso nel nulla. 

Quel senso di vuoto che aveva sperimentato dopo la morte di Regulus era tornato nuovamente e si era preso Barty, il Signore Oscuro e tutto il suo mondo. Si strinse a Rodolphus, aggrappandosi come se avesse paura di sprofondare anche lei in quell’oscurità e lasciò che lui la stringesse a sé e la sostenesse, ascoltando in silenzio le sue lacrime.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4
 

10 dicembre 1981
 
E dopo il crollo di Alexandra, c’era stato quello di Rodolphus.
Era arrivato senza preavviso, al quarantunesimo giorno di quella missione, quando il numero di notti che Alexandra aveva trascorso con Rodolphus aveva eguagliato le 41 notti trascorse con Barty (39 da sposata, 2 da fidanzata).
Quella mattina Alexandra aveva rimosso le bende dalle dita di Rodolphus e controllato le mani. Non aveva nascosto la soddisfazione per quel recupero avvenuto in condizioni disperate per qualsiasi Guaritore.
“Adesso potrai riprendere ad eseguire tutti i movimenti,” gli aveva detto con un sorriso. Rodolphus aveva osservato le sue mani ancora doloranti e, più di ogni cosa, si era soffermato sull’avambraccio sinistro, immacolato da 40 giorni.
“Io non lo nascondevo mai,” le confessò tenendo lo sguardo fisso sulla pelle ormai candida. “Non ne avevo bisogno, non mi vergognavo di quell’appartenenza, ne ero orgoglioso.” Fece un lungo sospiro, più simile a un gemito strozzato. “Ma se persino lui è stato sconfitto, che speranze ci possono essere per noi?”
“Io non credo che lui sia stato sconfitto, Rod,” gli confesso. “La tua magia è molto più sensibile della mia. Vedrai che, ora che non hai le bende, se passi le dita dove c’era il Marchio Nero, potrai sentire ancora la presenza della maledizione. Forse qualcosa è andato storto anche a lui e, proprio come è accaduto a noi, avrà bisogno di un po’ di tempo per riprendersi.”
“E se fosse morto?”
“Allora quella traccia sarebbe del tutto scomparsa, ma tu hai detto che lui ha sconfitto la morte. Non può essere morto.”
“Sono passati 40 giorni senza alcuna notizia.”
Il sospiro che sfuggì dalle bocche di entrambi tradiva la stanchezza che provavano. Era difficile mantenere lo spirito saldo in quella situazione, ma gli insegnamenti del suo addestramento erano ancora ben impressi nella memoria. Così, allungò la mano su quelle di Rodolphus stando ben attenta a non stringergli le dita e cercò di sorridergli incoraggiante. “Durante l’addestramento ci ripetevate spesso che se le cose fossero andate male, era importante continuare con la missione, per quanto possibile, e rimanere in attesa di ordini, anche per anni.”
Rodolphus annuì. “Hai ragione.”
“In questi 40 giorni sei guarito. Credo che potremo trattenerci qui fino a primavera e poi riprendere la missione. Nel frattempo, la stretta degli Auror si sarà attenuata e forse riusciremo a metterci in contatto con qualcuno dei nostri. Cosa ne pensi?”
“Avrei dovuto essere io a fare la strategia,” le disse con un sorriso amaro.
“Se vorrai, potrai prendertene il merito. Alla fine, sono pur sempre i tuoi insegnamenti.” Gli occhi neri di Rodolphus si allargarono increduli e Alexandra ebbe la sensazione che fosse addirittura arrossito.
Non avevano più parlato di quel bacio che si erano scambiati sulla soglia di casa né delle parole che Rodolphus le aveva rivolto. La presenza degli Auror e la preoccupazione per le sorti degli altri avevano monopolizzato la sua mente e non era riuscita a dire a Rodolphus che anche lui le piaceva e che, più quella convivenza si prolungava, più Alexandra trovava piacevole quella convivenza. Si imponeva di non indulgere in simili fantasticherie, visto che entrambi erano sposati.
“Bene, se dobbiamo rimanere qui fino a primavera, avremo bisogno di soldi Babbani,” le disse Rodolphus recuperando un po’ di pragmatismo. “Devo assolutamente chiamare Polly e metterla in contatto con Felix Rosier, è l’unico che può procurarci un po’ di contante.”
“Non credi che sia pericoloso? I Rosier saranno sotto inchiesta come tutti i Purosangue.”
“Probabile, ma dopo la morte di Evan loro si sono tenuti un po’ in disparte. Felix è l’unico che sa muoversi tra i Babbani e come legale non desta sospetti. Non possiamo di certo andare alla Gringott.”
Alexandra annuì. Rodolphus aveva ragione, ovviamente. Così, chiamarono Polly e le affidarono il compito di chiedere a Felix di procurare del contante Babbano attraverso gli investimenti che lui curava per conto dei Lestrange. Vietarono nel modo più assoluto di riferire dove si trovassero o come raggiungerli.
Polly impiegò quasi una giornata per svolgere il suo compito, al punto che Alexandra iniziò a preoccuparsi per le sorti dell’elfo domestico. Cercò di non trasmettere la sua paura a Rodolphus e si impegnò nella preparazione di una torta di mele per l’ora del tè. Fuori dal loro capanno la pioggia mattutina aveva lasciato il posto alla prima neve della stagione e il bosco era immerso da un silenzio quasi irreale.
Ebbero notizie di Polly soltanto nel pomeriggio, mentre prendevano il tè seduti sui divani a fiori, intorno al caminetto di pietra in quello che era diventato il loro soggiorno. L’elfo riferì che Felix Rosier non aveva nessuna intenzione di avere loro notizie, visto che quella richiesta di denaro dava sufficienti informazioni per sapere che stessero bene.
Prima di dileguarsi con un crack, consegnò a Rodolphus una busta di carta spessa e marrone piuttosto pesante. Al suo interno c’erano un po’ di contante, circa mille sterline, e una lettera che Rodolphus lesse accigliato e poi le passò.

“Caro R., vedere Polly è stata una piacevole sorpresa e la conferma che almeno tu stai bene. Non ho notizie di B e R e, come sai, in queste circostanze è solo un bene.
Non ho idea di quanto tempo sarai costretto a nasconderti tra i Babbani, ma credimi, non avere fretta di tornare, il clima nel mondo magico è nauseante. Per semplificarti la latitanza, mi sono preso la libertà di creare dei documenti di identità babbani e delle carte bancarie collegate a un conto corrente. Ogni mese troverete un accredito di 10.000 sterline per poter vivere dignitosamente. I Babbani diffidano di chi è senza documenti o senza un conto corrente.
Spero che non sarai costretto a usarli, e che possiate far ritorno nel mondo magico il prima possibile, ma è sempre meglio essere prudenti, le voci che girano sulla sorte del nostro Signore sembrano suggerire che l’attesa sarà lunga. Non preoccuparti per i tuoi affari, è tutto sotto controllo.
Stai al sicuro,
F.R.”

Rilessero la lettera diverse volte per realizzare pienamente che non sarebbe bastato attendere la primavera e che la loro permanenza in quel posto sarebbe stata ben più lunga. Alexandra osservò le due carte di plastica della Bank of England su cui era presente la scritta Visa, sul retro c’era uno spazio per la firma. Erano accompagnate da due lettere identiche da parte della banca che contenevano la conferma dell’apertura di un conto corrente intestato a Roland Moreau e Darlene Turner.
“Proprio il nome di mia madre doveva scegliere?” sospirò risentita. Sua madre non le aveva perdonato il matrimonio segreto con Barty e sicuramente avrebbe pensato che una figlia Mangiamorte sarebbe stato un elemento imbarazzante per la carriera dei Turner al San Mungo. Quasi sentiva i commenti nella sua testa, su quanto fosse inappropriato dormire con un uomo sposato e ora doveva pure fingere di avere il suo nome?
“A me ha dato quello di mio padre e il cognome di mia madre,” sospirò Rodolphus. “Non credo di potermi abituare a quel nome.”
Alexandra sospirò. La questione sembrava più complessa di quanto avessero mai immaginato. Gli Auror erano in giro per tutta l’Inghilterra e il Ministero stava perseguitando i seguaci del Signore Oscuro. Riusciva a immaginare il signor Crouch con i pieni poteri che, insieme ad Alastor Moody, confabulavano di arresti e morti. Avrebbero dovuto rimanere nascosti dove erano finché non avessero avuto segnali diversi, proprio come veniva insegnato nel corso dell’addestramento. Le sentinelle in attesa di ordini erano fondamentali dopo una sconfitta come quella che avevano accusato. Ripiegò ordinatamente le carte della banca e si girò tra le mani quella che era definita “carta di credito”. La lettera diceva che serviva per semplificare gli acquisti nei negozi. Sorrise divertita mentre agitava la carta davanti gli occhi di Rodolphus: “Sai cosa significa questo?”
Lo vide alzare un sopracciglio senza riuscire a risponderle. Ridacchiò prima di raddrizzare la postura e, in una perfetta imitazione di sua madre, esclamare: “Domani, mio caro, ti porto a fare compere.”
“Come?” L’espressione incredula di Rodolphus aumentò nel sentire quel proposito. Probabilmente doveva sembrargli assurdo pensare a fare shopping mentre gli Auror li cercavano. Tuttavia, per quanto tempo potevano continuare a utilizzare gli abiti vecchi e sformati che avevano trovato in quella casa? Non avrebbe avuto senso acquistarne di nuovi? Senza contare che si stava avvicinando il Natale e ora che non dovevano più risparmiare, potevano riprendere il loro tenore di vita abituale. O quasi. Insomma, senza magia ed elfi domestici, era pur sempre una vita miserevole. Avere degli abiti nuovi e della giusta taglia le sembrava quindi una magra consolazione che avrebbe reso la permanenza meno orribile. Inoltre, Alexandra aveva studiato a lungo in quei mesi la moda babbana e voleva mettere a frutto le sue nuove conoscenze. Così, sorrise rassicurante a Rodolphus e gli spiegò: “Ho intenzione di iniziare i preparativi per Yule e dobbiamo procurarci degli abiti consoni.”
“Cosa hai in mente di fare?”
“Decorare casa, fare provviste e prepararci per la celebrazione del sabba. Faremo le cose in grande.”
Di tutti i sabba, Yule era di gran lunga il suo preferito. Tutte le cose più belle della sua vita erano accadute intorno a Yule: il primo bacio con Barty, quello con Regulus, la nascita del loro menage à trois, senza dimenticare i libri di Walburga sotto l’albero di Natale, le feste a Grimmauld Place.
Yule era meraviglioso, un sabba magico. Era certa che, persino in quel posto remoto di Inghilterra, in quel capanno in cui c’erano solo lei e Rodolphus, non sarebbe stato da meno.
Se mai fosse riuscita a tornare a casa, un giorno avrebbe raccontato a Walburga come da perfetta lady Purosangue, aveva organizzato una tradizionale celebrazione di Yule anche in quelle condizioni tanto disperate. Era certa che Walburga avrebbe incurvato leggermente le labbra in su e annuito dicendole che era il minimo che ci si potesse attendere da una lady, e quel mezzo sorriso sarebbe stato il segno tangibile della sua approvazione. Walburga le mancava terribilmente e Alexandra credeva che la latitanza sarebbe stata meno dolorosa se solo avesse potuto scriverle, ma non poteva certamente mettere a repentaglio il nascondiglio o coinvolgere i Black nel caso i gufi fossero intercettati dagli Auror. Poteva scrivere un diario, però.
L’indomani si avventurarono verso il villaggio, stretti in spessi cappotti di lana sformati. Il cappotto di Alexandra era troppo grande per la sua taglia, mentre a Rodolphus stava stretto e si chiudeva a fatica. Entrambi avevano il volto in gran parte coperto dai berretti e dalle sciarpe che Alexandra aveva imparato a fare nelle lunghe serate di novembre.
“Sai, da quando sono sposato non ho mai festeggiato Yule come si deve,” le confessò Rodolphus. Alexandra e Barty avevano presenziato alle celebrazioni di Yule a casa Lestrange lo scorso anno e ricordava benissimo che il clima di festa era smorzato dalla cupa presenza del Signore Oscuro. Accanto ai rituali magici del sabba, non c’era l’atmosfera festosa, ma quella di una riunione militare, resa ancora più strana dal modo in cui Bellatrix cercava le attenzioni del Signore Oscuro mentre Rodolphus cercava di intrattenere gli ospiti per non vedere il comportamento della moglie.
Non le sembrò il caso di rivangare tutto quel dolore, così, scrollò le spalle e lo guardò con un sorriso complice dicendogli: “Nemmeno io.”
Quello sarebbe stato il suo primo Yule da sposata e tutti i progetti che lei e Barty avevano fatto erano naufragati. Non ci sarebbe stato alcun ricevimento a cui presenziare e si sarebbe persa persino il matrimonio di Elizabeth Nott ed Ezra Travers. Allontanò il pensiero dei suoi amici che portava con sé le preoccupazioni per le loro condizioni e cercò di essere incoraggiante con Rodolphus.
“Non è mai troppo tardi per iniziare!” esclamò allegra mentre stringeva il braccio di Rodolphus. All’esterno sarebbero sembrati una coppietta in giro per compere, in realtà, Alexandra era terrorizzata che Rodolphus potesse cadere e pregiudicare la guarigione della gamba.
Le vetrine dei negozi erano piene di orribili maglioni con motivi natalizi, al punto che Alexandra dovette minacciare Rodolphus di lasciarlo a digiuno se solo avesse osato acquistare e, addirittura, indossare una simile oscenità per il sabba di Yule.
“Va bene, lady Crouch, cosa ritiene appropriato per un Natale in versione babbana?” le domandò con un filo di sarcasmo.
“Del tartan, mi sembra ovvio! Noi non scendiamo a compromessi, Rod, se non possiamo indossare gli abiti tradizionali, per lo meno, manteniamo l’eleganza consona al nostro status.”
Rodolphus le rivolse un sorriso sollevato, come se avesse temuto sul serio che il suo progetto di nascondersi tra i Babbani si spingesse a tanto. Alexandra scelse un abito in tartan blu e verde la cui gonna scendeva morbidamente fino al ginocchio, mentre Rodolphus prese una camicia della stessa fantasia che venne abbinata a comodi pantaloni di velluto a costine e uno spesso maglione intrecciato. Non erano propriamente eleganti, ma per un Natale nei boschi erano decisamente perfetti.
Acquistarono anche dei cappotti della loro taglia e Rodolphus insistette per regalarle un paio di scarpe con il tacco da indossare sotto l’abito in tartan, oltre a un nuovo paio di scarponcini.
Carichi di sacchetti, si concessero un pranzo nella locanda del villaggio.
Vennero accolti dalla proprietaria, una signora di mezza età che spinse via l’altra cameriera non appena vide Rodolphus. Si avvicinò al tavolo ancheggiando e sistemando la scollatura del maglione rosso che indossava sopra un paio di quei jeans che tanto amavano i Babbani.
“Cosa ti porto?” domandò a Rodolphus sbattendo le ciglia in un modo che le ricordava Margareth McNair. Rodolphus le sorrise cortese: “Il menù, per favore.” Allungò la mano sul tavolo e prese la mano di Alexandra sorridendole. La proprietaria non si lasciò scoraggiare, abbassò leggermente la scollatura mentre porgeva i menu e domandava se fossero nuovi in città.
Rodolphus sembrava volerla incenerire con lo sguardo, stringeva, per quanto fosse in grado, la mano di Alexandra che rispose: “Viviamo nei paraggi, nel bosco.”
“Oh, che bello sapere che quella casetta sia stata data in affitto! O avete avuto la fortuna di comprarla? La morte dei proprietari, quel tremendo incidente, ci ha fatto temere che sarebbe rimasta abbandonata e, di questi tempi, si sa che le case abbandonate diventano il ricettacolo di sbandati o, peggio ancora, criminali. È un sollievo sapere che ci siete voi.”
Alexandra si limitò ad annuire e ringraziare, mentre si domandava se gli Auror avessero diffuso qualche voce in proposito. Non era infrequente che il Ministero della Magia collaborasse con le autorità babbane.
“Il vostro accento è particolare…”
Troppe domande. “Ci siamo trasferiti da Londra,” aggiunse Alexandra sfoggiando la sua cadenza londinese, “anzi, sarebbe più esatto dire che siamo fuggiti da Londra e dal suo caos,” scherzò in modo da scoraggiare altre domande e poi rimarcò le bellezze del posto, ben sapendo quanto in provincia si esaltassero per essere preferiti alla capitale. Lo facevano Druella e Cygnus con Walburga e Orion, non c’era motivo per pensare che non lo facessero anche gli abitanti di quel posto sperduto.
“La natura da queste parti è meravigliosa, ci siamo innamorati di questa zona e quando abbiamo visto la casetta abbiamo detto che doveva essere nostra!” Sorrise a Rodolphus e ricambiò la stretta di mano.
La signora sembrò prenderla in simpatia, considerato il modo in cui cambiò il suo atteggiamento. Certo, Alexandra era sicura che se avesse avuto l’occasione di approcciare Rodolphus da solo, non ci avrebbe pensato due volte a proporsi, ma in quel momento si limitò a rispondere: “Oh, non stento a crederlo! È il posto perfetto per mettere su famiglia!”
Alexandra spostò lo sguardo su Rodolphus e gli sorrise. Stavano fingendo di essere una coppia di sposi, ma il modo in cui lui la guardava le causava una stretta allo stomaco sul serio. Ordinò la zuppa del giorno, mentre Rodolphus preferì orientarsi su una bistecca con contorno di patate.
Alexandra non sapeva se fosse a causa della giornata di compere, la prima veramente serena da quando tutto il loro mondo era crollato, o per il modo in cui Rodolphus le aveva sorriso e stretto la mano, o per il fatto che non riuscisse a toglierle gli occhi di dosso, ma la zuppa sembrava essere una pessima scelta, visto che continuava a rimestarsi nel suo stomaco ogni volta che incrociava lo sguardo di Rodolphus o gli occhi si posavano sulla bocca di lui.
Cercò di rimanere lucida e iniziò a parlare delle decorazioni per Yule e del menu che aveva in mente. Nei prossimi giorni avrebbero fatto altri giri al villaggio per recuperare tutto l’occorrente.
La sera della Vigilia il loro capanno era semplicemente meraviglioso.
Rodolphus era riuscito a rimuovere la polvere con un semplice schiocco di dita e Alexandra non era mai stata tanto felice di assistere a un incantesimo eseguito senza bacchetta. Era come rivivere le prime lezioni a Hogwarts, quando il professor Flitwick riusciva a far levitare le piume.
La tavola era stata apparecchiata nel salotto con una bella tovaglia rossa e quello che doveva essere il servizio da tavola per gli ospiti. Aveva realizzato il centrotavola a mano, unendo candele, pigne raccolte nel bosco e un po’ di agrifoglio. Fissato al lampadario c’era l’immancabile vischio.
Avrebbe voluto avere una macchina fotografica per riuscire a immortalare quel momento e poi mostrarlo a Walburga, ma si disse che avrebbe trascritto tutto, minuziosamente, nel suo diario.
Era felicissima di indossare, finalmente, un abito e non quei pantaloni da lavoro. Curò un po’ di make-up e quando raggiunse Rodolphus nel salone di casa, davanti a un caminetto scoppiettante, sentì un balzo allo stomaco.
Rodolphus aveva perso del tutto la sua aria da convalescente. Vestito di tutto punto, con la barba curata e un sorriso sul volto, era bellissimo. Il cuore accelerò il battito e non riusciva a impedirsi di sorridere mentre lo raggiungeva davanti il camino.
“Felice Yule, Rod.”
“Riesco persino a sentirne l’atmosfera, non l’avrei mai detto.”
“È un sabba molto importante, il mio preferito. Non avrei mai permesso che passasse senza una degna celebrazione.”
“P-posso quindi baciarti? Siamo sotto il vischio.”
Alexandra alzò gli occhi verso il lampadario, proprio sopra le loro teste, e annuì mentre sentiva il suo respiro sospendersi per qualche istante, fino al momento in cui le labbra di Rodolphus sfiorarono le sue. Nuovamente, la sua bocca si schiuse per accoglierlo e le sue labbra ricambiarono il bacio con lo stesso slancio con cui lo avevano ricevuto. Sentì le mani di Rodolphus accarezzarle la schiena coperta dal tartan del suo abito.
Non si allontanò né ebbe la forza di interrompere quel bacio, anzi, portò le braccia intorno al collo di Rodolphus e lasciò che le sue dita scorressero tra i ricci neri di lui. Lo sentì fremere di piacere quando lei gli accarezzò la nuca. Le loro braccia si strinsero e la distanza tra i loro corpi rimase solo quella degli strati di stoffa che li separavano.
Le labbra di Rodolphus percorsero il suo collo e Alexandra sospirò: “Dovremmo cenare.”
Sentì un sorriso contro la pelle sottile della sua spalla, seguita da un ironico: “Sei un antipasto delizioso.” Alexandra sentì un fremito di piacere attraversarle tutto il corpo, riuscendo al tempo stesso a strapparle un sorriso. Si scambiarono uno sguardo mentre le mani di Rodolphus sfioravano la chiusura, no, la cerniera, del suo abito.
Alexandra sollevò il bordo del maglione di Rodolphus per accarezzargli il petto e non ci fu bisogno di dire altro. Rodolphus sfilò il suo maglione e prima di tornare a far scorrere la cerniera dell’abito di Alexandra. Le strappò una risatina sussurrandole all’orecchio: “Su alcune cose i Babbani sanno semplificarsi la vita.”
Le dita di Rodolphus scivolarono lungo la sua schiena nuda facendola fremere per poi rabbrividire a sua volta quando la mano di lei scivolò oltre la camicia di tartan, sugli addominali ormai guariti dai lividi.
Gli indumenti volarono sul divano e Rodolphus ebbe la premura di afferrare un cuscino per lei mentre la guidava sul tappeto. Alexandra non era in grado di capire come fosse riuscito a baciarla, spostarla sul tappeto e afferrare un cuscino che era magicamente finito sotto la sua nuca un istante prima che lei posasse la testa, senza nemmeno utilizzare la magia. Seppe solo che non riusciva a smettere di volerlo stringere e baciare e sentire le sue mani lungo tutto il corpo.
Le labbra di Rodolphus erano come un incantesimo a cui non sapeva resistere, più le baciava, più faticava a farne a meno. Tremava sotto i tocchi di lui, quando sentiva le mani accarezzarle i fianchi o stringerle i seni per poi posarvi dei baci. Lo osservò mentre lui si dilettava a baciarle ogni centimetro del corpo, persino la pianta del piede, non appena le sfilò le calze di seta che portava sotto l’abito. Tremò mentre la bocca di lui risaliva lungo la gamba seguendo la caviglia, il polpaccio. Il bacio sul retro del ginocchio le strappò un sospiro più forte di quanto avrebbe mai immaginato, ma nulla rispetto al momento in cui la barba di lui iniziò a solleticarle l’interno coscia.
“Se non vuoi, mi fermo,” le disse quando si scambiarono uno sguardo, un attimo prima che lui arrivasse a sfiorare le sue mutandine.
“Lo voglio,” gli rispose, e se una parte di sé le ricordava che non era giusto, che era sposata con Barty, un’altra le suggeriva che, in quel mondo andato all’aria, Barty non c’era più e non era certo quando e se si sarebbero mai rivisti; che Rodolphus era lì, reale, e che il modo in cui le si mozzava il respiro o il suo stomaco sussultava, quando loro due si sfioravano, erano segni che non potevano essere ignorati. Assecondò quella voce che le suggeriva di ancorarsi al presente, di vivere il momento, ché il futuro era così nebuloso e incerto da far paura.
Chiuse gli occhi e tremò quando le dita di Rodolphus sfilarono gli slip e la sua lingua le sfiorò il clitoride. Le attenzioni che le rivolse subito dopo furono in grado di cancellare il presente, il dolore del passato e la paura del futuro. C’erano solo loro due. Oltre Yule. Oltre la caduta del Signore Oscuro. C’era Rodolphus con le sue attenzioni, il modo in cui l’amava e ne studiava ogni minima espressione.
“Hai un sapore buonissimo,” le sussurrò prima di baciarle il collo ed entrare dentro di lei. Alexandra tremò nel sentire i loro corpi che si sfioravano e poi si incastravano in un modo che non sapeva definire altrimenti se non perfetto. Si perdeva nella contemplazione degli occhi neri di Rodolphus, del suo sorriso, del volto teso dallo sforzo, e gemeva per il piacere dei suoi affondi fino a che entrambi non si lasciarono andare all’orgasmo.
Prima di uscire da lei, Rodolphus afferrò un altro cuscino dal divano e una coperta e si stese al suo fianco. Alexandra aveva un sorriso estasiato sul volto, si sentiva in pace con l’intero universo mentre osservava il vischio sul lampadario.
Rodolphus le posò un bacio sulla spalla nuda e la invitò a posare la testa sulla sua spalla. “Vuoi un po’ di coccole?”
Alexandra annuì, sorpresa da quella richiesta che le rivelava un altro aspetto di Rodolphus che non avrebbe mai sospettato. Barty aveva bisogno dei suoi tempi, dopo aver fatto l’amore, e poi diventava un fiume in piena di parole. Rodolphus, invece, le accarezzava la schiena, le posava dei baci sulle labbra e continuava ad esclamare sorpreso quanto fosse stato bello.
Scemata la passione, Alexandra iniziò a percepire il contatto dei loro corpi nudi, un po’ di freddo penetrare dagli angoli del plaid che ora li copriva e tremò. Rodolphus la strinse a sé e le sussurrò: “Sarebbe sconveniente se volessi un altro giro di antipasti?” Si finse scandalizzata ed esclamò sorpresa: “Ma così la cena si fredderà del tutto!”
Rodolphus rise, le posò un bacio sul collo che le causò un altro brivido e si avvicinò all’orecchio per dirle: “Vuoi sapere un segreto?”
Alexandra alzò un sopracciglio incuriosita.
“Sono in grado di scaldarla con uno schiocco di dita.”
Il sorriso che le comparve sul volto anticipò di poco l’entusiasmo che manifestò stringendosi a Rodolphus, salendo su di lui a riempirlo di baci e fargli comprendere quanto apprezzasse quella sua capacità di eseguire gli incantesimi più semplici anche senza la bacchetta magica.
La cena poteva aspettare.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5
 
31 dicembre 1981
 
La vigilia di Yule non fu un episodio isolato, ma solo il principio di una lunga serie di serate trascorse ad amarsi.
Era stato difficile ricomporsi in tempo per la mezzanotte e celebrare le formule rituali - con i capelli in disordine, mentre Rodolphus le lanciava sguardi che continuavano a scuoterla fin nel profondo - ma c’erano riusciti e, all’alba del 25 dicembre, Alexandra poteva dire di aver celebrato il sabba nel modo più alternativo che avesse mai immaginato.
A partire da quel momento, era stato ancora più difficile staccarsi gli uni dagli altri. La neve che cadeva silenziosa nel bosco li invitava a trascorrere quanto più tempo possibile tra le pareti di casa, tra il tentativo di riprendere a utilizzare la magia, fare l’amore, mantenere in ordine quella che era diventata la loro casa.
Confinato in fondo all’anima, c’era il pensiero di Barty, la preoccupazione che gli fosse accaduto qualcosa che si mescolava con il terrore di non rivederlo più e il senso di colpa per ciò che iniziava a provare per Rodolphus.
Bastano solo tre mesi per dimenticare Barty? Le domandava una voce nella sua testa, ogni sera prima di addormentarsi, dopo ogni amplesso con Rodolphus.
Come farai a guardarlo in faccia? Che razza di moglie sei?
Le sembrava di vivere costantemente sotto esame mentre la sua coscienza la giudicava severamente. In quei momenti, si chiudeva in bagno o in cucina o si impegnava in qualche assurda attività di riordino, qualsiasi cosa pur di far rumore e non far sentire a Rodolphus le lacrime dei suoi sensi di colpa.
Amava Barty e non ci sarebbe stata una ragione al mondo per giustificare quel tradimento, se non la solitudine, la paura e l’angoscia che le si erano attaccate all’anima. Era priva della sua magia e lontana dal suo mondo, incapace di orientarsi e di prevedere ciò che le sarebbe capitato, terrorizzata dal veder comparire Polly in qualsiasi momento con la notizia che Barty, Bellatrix o Rabastan erano stati arrestati o uccisi.
Si sentiva come una bambina sperduta e, in quei momenti, l’abbraccio di Rodolphus era un sollievo, un balsamo che le regalava istanti in cui riusciva a non pensare alla guerra, alla solitudine, agli altri. Era come un sonno ristoratore dopo una lunga escursione e Alexandra ne aveva bisogno per rimanere forte, per essere in grado di non cedere alla disperazione che l’attanagliava.
Ogni tanto si fermava a osservare Rodolphus, domandandosi se per lui fosse lo stesso, se il senso di colpa e la nostalgia di Bellatrix lo avvolgevano come avveniva per lei e se anche lui cercasse di allontanare quel senso di vuoto e solitudine che continuava a piombare sulle loro anime.
Il fatto che fossero chiusi in casa, impossibilitati a uscire per gran parte del giorno a causa delle forti nevicate, non li aiutava a distrarsi. Il tempo scorreva lento e le giornate erano monotone. La mente continuava a percorrere i soliti sentieri, aggrovigliandosi in pensieri carichi di angoscia mentre si domandava se avrebbe mai rivisto Barty.
L’ultimo dell’anno sentì una mano di Rodolphus sulla spalla mentre era intenta a impastare l’ennesima teglia di biscotti. Aveva scoperto che la pasta frolla l’aiutava a sfogare il nervosismo.
“Ricordi che sono un Legilimens e che so come stai anche se non ti sento piangere?” le aveva sussurrato posandole un bacio sulla testa.
“Mi dispiace. Non volevo che tu pensassi che fosse colpa tua.”
Rodolphus le afferrò una mano e l’allontanò dalla ciotola con l’impasto costringendola a voltarsi verso di lui. “Sono tutta infarinata,” mormorò. Rodolphus le sorrise dolcemente, le accarezzò le tempie scendendo lungo il viso e scostandole delle ciocche di capelli.
“Non importa,” le disse posandole un bacio.
Alexandra dischiuse le labbra e rispose a quel contatto. Rodolphus si lasciò andare a un sospiro. “So esattamente come ti senti e lo capisco, sono sicuro che Barty capirà. Certe cose si comprendono.” Il riferimento al legame di Bellatrix con il Signore Oscuro era fin troppo evidente.
“Non puoi impedirti di provare quello che provi,” aggiunse. “Rischi solo di peggiorare le cose.”
“Dovrei essere più forte, più ferma.”
Rodolphus sospirò. “Sei forte e più risoluta di gran parte delle streghe e dei maghi che conosco. Mi hai rimesso in piedi, hai cercato di rendere confortevole questo posto e stai addirittura imparando a vivere come i Babbani. Ti rendi conto che senza il tuo spirito di adattamento saremmo spacciati? Sai quante streghe si sarebbero lasciate morire?”
“Il Maestro ha detto di fare tutto ciò che è necessario per rimanere in attesa,” obiettò lei.
“Allora non solo sei una strega forte, ma sei anche un’ottima Mangiamorte. Sono sicuro che Barty capirà se hai avuto bisogno di un po’ di conforto in questa solitudine.” Ridacchiò: “Non è detto che lui non abbia fatto altrettanto.”
“Vuoi dire che lui e Bellatrix?”
Rodolphus scoppiò a ridere: “Bellatrix è del Signore Oscuro, ma credo che lui e Rabastan abbiano modo di vincere la solitudine.”
Quella notizia la investì come se il Nottetempo le fosse arrivato addosso. Barty la tradiva con Rabastan Lestrange? Le punzecchiature sulla morte di Regulus erano realmente un patetico tentativo di flirt? Per un istante le sembrò quasi di tornare a tre mesi prima, quando preparavano la guerra nel castello dei Lestrange.
Il suo pensiero andò a Bellatrix. “Povera Bella,” mormorò. “Si sentirà profondamente disperata.” Rodolphus la strinse a sé. “Sono molto preoccupato per lei. Non so quanto riuscirà a resistere in questa situazione.”
“Come fai?”
“Ad accettare il suo amore per Lord Voldemort?”
Alexandra annuì, sentendosi inopportuna, certe cose non bisognava domandarle, nemmeno dopo la confidenza che tra loro era nata. Tuttavia, Rodolphus non ne fu turbato. La strinse a sé ancora più forte. “Ho amato Bellatrix moltissimo quando ero un ragazzo, ma ho capito presto che lei mi avrebbe sposato solo perché le famiglie avevano raggiunto un accordo.” Sospirò. “Non volevo tirarmi indietro, ero orgoglioso di essere il marito di una strega tanto forte che condivideva il mio stesso percorso nell’Oscurità. Continuo ad esserlo, anche se a volte è difficile essere suo marito.” Il sorriso di Rodolphus era tirato, le sue mani le stringevano le braccia mentre i loro corpi si allontanavano, quasi che lui volesse guardarla meglio.
“Il prezzo che devi pagare è la solitudine.”
Rodolphus le porse una mano chiedendole di seguirlo in salotto. Si sistemarono nuovamente davanti il camino e Alexandra si rannicchiò accanto a lui, raccogliendo i piedi sotto di sé. “Ti confesso che l’intimità di questi mesi e di questi ultimi giorni sono riposanti. Penso sempre a Bellatrix, quasi mi sembra di sentire il suo sberleffo mentre prendiamo il tè o quando facciamo la spesa, ma ogni volta che ti stringo è come se un pezzo mancante andasse al suo posto, non so se mi spiego…”
Alexandra annuì. “Lo stesso è per me.”
“Tu e Barty eravate molto più intimi di me e Bellatrix, dormivate insieme, giusto?”
“Io e Barty siamo cresciuti insieme, abbiamo condiviso tutta la nostra vita, ma le nostre sere non sono propriamente romantiche. Sono fatte di studio ed esercitazioni, di condivisione di informazioni, ricordi, confronti. I nostri momenti di intimità sono lo scarico dell’adrenalina delle missioni, un esercizio di potere di Barty, una dimostrazione di come piegare la mente.”
“Credevo ti amasse.”
“Mi ama, a modo suo.”
“Perché lo hai sposato?”
“Perché condividiamo lo stesso percorso, siamo cresciuti insieme. Conosco i suoi demoni. L’alternativa era il figlio di qualche Guaritore del San Mungo. Sono molteplici i motivi per accettare un matrimonio nel nostro mondo, soprattutto se scegli un certo percorso.”
Rodolphus le sorrise e le sussurrò: “Proprio così.” Rimasero abbracciati fino allo scoccare della mezzanotte, quando quell’orribile 1981 terminò lasciando il posto a un nuovo anno che si annunciava triste e malinconico.
Rimasero stretti anche nel letto e solo la mattina successiva, quando la luce di un nuovo giorno e l’inizio del nuovo anno allontanò la malinconia della sera precedente, tornarono ad amarsi con una nuova consapevolezza che rendeva ancora più pressante il senso di colpa di Alexandra: il conforto che le stava offrendo Rodolphus andava oltre quella situazione contingente, era il bisogno comune di un certo tipo di intimità. Era la dimostrazione che Barty si sbagliava, e forse anche Bellatrix, che si poteva amare continuando a rimanere fedeli al Signore Oscuro, che l’essere Mangiamorte non richiedeva di rinunciare all’affetto, alla tenerezza, alla complicità.
Si concentrò sullo sguardo di Rodolphus, su quegli occhi neri che la seguivano costantemente, che cercavano di distoglierla da quei pensieri ossessivi, reclamando spazio e attenzioni, chiedendole di aprirsi alla possibilità di un’alternativa. Strinse le gambe intorno alla vita di Rodolphus per sentire ancora di più le sue spinte e lasciò che il piacere le riempisse la mente fino a invaderla completamente. L’orgasmo arrivò insieme a quello di Rodolphus e poi si ritrovarono entrambi con il fiato corto e il sorriso sul volto.
“Insegnami a preparare la colazione,” le propose quella mattina. Alexandra alzò le sopracciglia per lo stupore rimanendo per qualche istante con la teiera sollevata in aria.
“Cosa ti sorprende?”
“Rodolphus Lestrange mi ha appena detto che vuole imparare a preparare la colazione senza la magia?”
“Chi ha detto che non posso usare la magia?” domandò divertito. Allungò una mano verso il tavolo e sollevò le uova. Alexandra mise in salvo la teiera e recuperò le uova dicendo: “Non so guidarti se usi la magia senza bacchetta.”
Questa volta fu Rodolphus ad alzare un sopracciglio: “Vuoi dirmi che Alexandra Crouch non sa più usare la magia?”
Alexandra alzò gli occhi al cielo, senza nascondere di essere divertita da quella punzecchiatura. “Certo che so usare la magia, ma conosco gli incantesimi e i movimenti della bacchetta, non so cosa dovresti fare con le mani!” Gli rivolse uno sguardo di sfida e prese la ciotola pulita dall’impasto della pasta frolla che la sera prima avevano lasciato. Adesso i biscotti erano a cuocere in forno perché, a quanto pareva, la notte la cucina diventava così fredda da essere simile al frigorifero.
“Se vuoi procedere alla babbana, devi rompere le uova così, aggiungere la farina, lo zucchero e il lievito, e poi usare questi attrezzi che il libro di cucina chiama fruste.” Rodolphus ridacchiò per il nome. “E girare in questo modo. Non è difficile.”
“E poi cosa devi fare?”
“Semplice. Prendi il composto quando è amalgamato in modo uniforme. Poi riscaldi la padella con del burro.”
“Come la riscaldo?”
“Devi aprire la fiamma del fornello, in questo modo,” gli mostrò le manopole e il modo in cui il gas e la fiamma venivano regolate. “Prendi un po’ di burro e aspetti che si sciolga, poi prendi il mestolo e versi un po’ di composto sulla padella.” Eseguì il compito e Rodolphus si sorprese nel veder comparire uno dei pancake che lui adorava.
“Mmm… non saprei come fare tutto ciò con la magia,” le confessò. “In realtà nella mia borsa ho i libri di incantesimi domestici e di cucina, ma non saprei come potresti far tutto senza bacchetta.”
“Devo pensarci, ma un giorno di questi ti sorprenderò e preparerò la colazione schioccando le dita.”
“Sarei sorpresa anche solo se riuscissi a versare il tè.”
“Quello lo faccio subito!” esclamò entusiasta. Alexandra cercò di ignorare le gocce di tè che Rodolphus versò su tutto il tavolino, preferì concentrarsi sulla cottura dei pancake che servì a tavola sotto gli occhi sorpresi di Rodolphus. Era divertente avere qualcuno con cui condividere quelle nuove scoperte. “Ricordati sempre di chiudere il gas quando hai finito di cucinare. Non ho assolutamente idea dove potremmo trovare un’altra di queste…” gli disse mostrando l’ampolla del gas.
“Sì, certo non voglio far saltare in aria la casa.”
Alexandra si sorprese: “Vuoi dire che rischiamo di esplodere?”
“Se non si fa attenzione è probabile. Abbiamo fatto diversi attentati ai babbani e sui giornali parlavano sempre di esplosione di bombola del gas, credo che questo sia il nome corretto.”
Bombola del gas. In effetti, il nome suonava minaccioso. Ricordava l’incantesimo Bombarda. Assaporò il tè che Rodolphus le aveva versato nella tazza per poi prendere un pezzetto di pancake. Era una ricetta deliziosa che l’aveva portata fuori dalla sua ossessione per i croissant. Ripensò alla pasta sfoglia di Florian, ai croissant francesi che Rabastan pretendeva nel castello in Cornovaglia e le venne un dubbio: “Rod, dici che al villaggio hanno i croissant?”
“Ho visto una pasticceria,” le disse. “Che ne dici se invece di prepararti la colazione l’andassi a comprare?”
“Direi che avremmo più chance di non distruggere l’unica cucina che abbiamo. Al momento, la nostra sopravvivenza dipende da questo capanno.”
Rodolphus mandò giù l’ultimo pezzo di pancake ed esclamò: “Andiamo a fare un giro al villaggio! Voglio vedere quella pasticceria!”
“Scusa, ma credevo che i miei dolci fossero imbattibili!” esclamò piccata. Il forno l’avvisò che il tempo di cottura era terminato con un trillo metallico. Così si alzò per prendere la teglia. Rodolphus ridacchiò, afferrò un biscotto incurante della teglia incandescente e, di fronte il suo stupore, le spiegò: “Sono abituato a maneggiare l’Ardemonio, non è certo un forno babbano a mettermi in difficoltà.”
Alexandra lo osservò mandare giù un biscotto rovente senza fare nemmeno un cenno di fastidio e poi andare divertito verso la camera da letto per prepararsi per la loro uscita al villaggio. Durante il percorso nel bosco, Rodolphus si divertì a far volare palle di neve incantate per colpirla. Sembrava quasi che volesse far sparire la tristezza e la malinconia che avevano provato la sera prima. Se quella era una strategia, portarla in una pasticceria era decisamente una mossa azzeccata, si ritrovò a pensare.
Le pasticcerie babbane non avevano niente di paragonabile alle meraviglie e alle delizie di quelle magiche. Non c’erano le coppe di gelato magiche di Florian Fortescue né la sua torta mille veli di cioccolato e nemmeno quella che cambiava colore a seconda dell’umore di chi la mangiava. I dolci babbani erano statici proprio come le loro fotografie, ma Alexandra aveva capito che anche in quella staticità poteva esserci del gusto. Certo, era più tenue rispetto alla ricchezza e alla bontà della cucina dei maghi, ma in quelle circostanze riuscivano a offrire il loro conforto.
Rodolphus acquistò dei muffin, dei dolcetti ripieni di crema, delle frittelle e un paio di croissant che, non appena uscirono dalla pasticceria, le disse: “Non saranno un granché, si vede dall’impasto.”
“Sei così esperto?” domandò sorpresa.
“Sono francese e Rabastan è molto esigente in fatto di croissant.”
Si scambiarono un sorriso e lui l’attirò a sé. Alexandra afferrò il braccio di Rodolphus e camminarono proprio come una coppietta di fidanzati. Le sembrò quasi di tornare ai primi tempi con Barty, quando uscivano a Hogsmeade e camminavano per la High Street osservando le vetrine, prima di rifugiarsi da Madama Rosmerta per una dolcissima Burrobirra. “Alex, non pensare a queste cose…” mormorò Rodolphus che si avvicinò al suo orecchio e aggiunse: “Sai che poi mi viene nostalgia di un buon bicchiere di Firewhisky e sai che dovremmo distrarci in altro modo.”
Da una stradina laterale, dietro l’ingresso del pub arrivò una voce squillante, piuttosto nervosa: “Lascia perdere, Tod, qui sono tutti Babbani!”
“Non puoi saperlo, Gilda!” obiettò quello che doveva essere Tod.
“Sì, hanno già fatto ricognizione da queste parti,” obiettò la strega Gilda.
Rodolphus le fece segno di entrare al pub “Il gatto addormentato”. Trovarono posto a un tavolino nell’angolo più buio del pub, ma sufficientemente vicino alla finestra per osservare senza essere visti da fuori. In quei momenti, Alexandra era felice di essere stata assegnata a un Mangiamorte esperto come Rodolphus. Osservarono i due maghi litigare e discutere animatamente. Poi, uno dei due estrasse la bacchetta e, con sorpresa di Alexandra, evocò un vento così forte da obbligare la sua compagna a stringersi nelle falde del cappotto.
“Violare lo Statuto di Segretezza in questo modo…” mormorò Alexandra.
Il mago continuò per la high street del villaggio. Terminarono il tè e tornarono a casa camminando con passi rapidi, cercando di simulare una tranquillità che nessuno dei due provava. Solo una volta che si furono chiusi la porta del loro capanno alle spalle, si decisero a parlare.
“Erano piuttosto insoliti per essere Auror,” osservò Alexandra, “non mi sembra di averli mai visti dal signor Crouch.”
“Due Auror non avrebbero mai fatto una scenata del genere. Ora sarà pieno di Obliviatori e di persone del Ministero. L’ultima cosa di cui avevamo bisogno!” Rodolphus guardava il bosco, come se si stesse aspettando l’arrivo di una squadra di Auror per arrestarli. Alexandra, invece, girava in tondo nel loro salottino. “Forse non tutto il male vien per nuocere,” si ritrovò a pensare. Parlare ad alta voce l’aveva sempre aiutata a chiarirsi le idee.
“E in che modo la presenza di metà Ministero della Magia, per colpa di due idioti, può essere un bene?”
“Non troveranno altri segni di magia e questa zona verrà cancellata dalle future ricerche. Dopo tutto, non è un male che tu non sia riuscito a prepararmi la colazione!” Alexandra raggiunse Rodolphus vicino la finestra, gli accarezzò la schiena e percepì i muscoli di lui scattare nervosamente sotto il suo tocco. Al di fuori della finestra, il candore della neve che era caduta, si perdeva nell’oscurità del bosco. Rodolphus si voltò a cercare le sue labbra e Alexandra allungò le braccia intorno al collo di lui. Si ritrovò con la schiena contro la spessa tenda di lana; dietro di lei c’era la parete di legno del loro capanno.
Le mani di Rodolphus accarezzarono il suo corpo, le strinsero i fianchi per poi sollevarle la gonna di lana. Alexandra lo attirò a sé per baciarlo e togliere ogni distanza tra i loro corpi. Tremò quando lui le sfilò le mutandine e le sussurrò: “Facciamolo qui.”
Un brivido di eccitazione, quella sensazione di complicità che si affacciava di nuovo, il modo in cui le sue dita sbottonarono i pantaloni di lui con una naturalezza che non credeva di avere. Come se lo avesse sempre fatto, come se Rodolphus fosse sul serio suo marito. Forse, l’aver dormito più notti con lui che con Barty aveva cambiato le cose, forse avevano oltrepassato un confine in cui l’intimità era entrata in un territorio per lei inesplorato.
Rodolphus la sollevò da terra ed entrò in lei che si reggeva alle sue spalle forti. Adorava essere sollevata in quel modo da Rodolphus, sentire il modo in cui lui la desiderava, tanto da non voler attendere nemmeno il tempo di arrivare in camera da letto. Lo baciò appassionatamente, lasciando che la sua bocca e la lingua esplorassero la bocca di lui, superando un altro confine, abbandonandosi, ancora di più al desiderio.
Poi vide qualcosa muoversi nel bosco. Pensò che fosse un animale, forse una volpe si era persa. Rivide un altro movimento e trasalì.
“Rod,” mormorò.
“Oh, Alex, sto venendo, non so quanto riuscirò a resistere…”
“Credo che ci sia qualcuno fuori dal capanno.”
Lo sguardo preoccupato di Rodolphus la inquietò. Non era buon segno. Fu appena Rodolphus la fece tornare con i piedi per terra che lanciò un urlo spaventato. Fuori c’era qualcuno! Non lo aveva sognato! C’era proprio una persona in carne e ossa fuori dal loro capanno!
Alexandra mise a fuoco la visione e tirò le tende per coprire lei e Rodolphus dalla vista… della proprietaria della locanda! La paura lasciò il posto alla rabbia. Rodolphus si rivestì velocemente e aprì la porta. Un refolo di vento gelido le causò un brivido.
“Scusatemi!” urlò la donna, “Sono giorni che non vi vedo al villaggio! Sono venuta ad accertarmi che non stesse male! Vi ho portato del brodo!” esclamò porgendo a Rodolphus un contenitore di vetro. “Non volevo disturbarvi! Scusatemi!” esclamò e corse via, raggiungendo il sentiero.
Chiusa la porta, Rodolphus la guardò per poi lasciarsi andare a una risata di sollievo. Alexandra rabbrividì e, ancora svestita e avvolta nella tenda di lana, si avvicinò a lui. Si scambiarono un abbraccio prima che lei prendesse il contenitore con il brodo e lo portasse in cucina, lasciando che lo sguardo ammirato di lui scivolasse lungo tutto il suo corpo.
Le piaceva essere guardata da Rodolphus, amava il modo in cui il suo sguardo le accarezzava il corpo. Subito dopo, ripresero dal punto in cui erano stati interrotti.
 
 
Note:
Innanzitutto, mi scuso per questi aggiornamenti in sequenza, uno dopo l’altro, ma questa challenge scade il 31 agosto e devo finire di postare tutti i capitoli che ho finito di scrivere oggi. Come dicevo su Facebook, scriverei di loro per capitoli e capitoli e forse farò uno spin-off, forse mi tengo questo universo per altre occasioni.
Come vedete, i nostri due Mangiamorte sono sempre più integrati, anche se non del tutto convinti, si stanno adattando e hanno trovato un modo molto piacevole per trascorrere l’inverno.
Sulla questione della magia e delle bacchette, noi sappiamo che Silente e Lord Voldemort riescono a praticare incantesimi complessi anche senza usare la bacchetta che è un catalizzatore di potere. Quindi Alex e Rod sono in difficoltà perché non sono certamente ai livelli di Silente e Voldemort. In particolare, Alex è praticamente senza poteri perché si è appena diplomata a Hogwarts, ha terminato gli studi che presuppongono l’uso della bacchetta e ho immaginato che controllare la magia senza sia qualcosa di più avanzato. Rodolphus, al contrario, è molto più esperto, è il braccio destro di Voldemort e quindi qualcosa è in grado di farla, ma non così tanto quanto si potrebbe immaginare. A questo aspetto, già di per sé complicato, ne ho aggiunto un altro: loro non sanno provvedere alle esigenze quotidiane. Non solo sono senza bacchetta, ma non hanno nemmeno un elfo domestico e se Alexandra nei 41 giorni di matrimonio qualcosa ha imparato (Winky è pur sempre l’elfo del signor Crouch), e per questo ha l’idea di comprare i libri di cucina babbana, perché stava vivendo le stesse difficoltà a casa da neosposa. Rodolphus invece è cresciuto con gli elfi domestici e quindi non ha la più pallida idea di come si gestisca una casa né con la magia né senza.
Ora la smetto di dilungarmi troppo.
Grazie per le letture, i commenti e gli scleri,
Sev

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


 

Capitolo 6

 
24 febbraio 1982
 

Il giorno del trentaduesimo compleanno di Rodolphus sembrava un anticipo di primavera. Dopo giorni di pioggia incessante, era comparso un cielo terso, di un azzurro così intenso che Alexandra sentì gli occhi riempirsi di lacrime per la bellezza di quella luce; le sembrò quasi di sentire il cinguettio di qualche uccello temerario.
“Li chiamano i pionieri,” le disse Rodolphus. “Sono quelli che arrivano per primi. Presto arriverà la primavera.” La raggiunse mentre finiva di asciugare i piatti della colazione e le cinse la vita. Alexandra si voltò per incontrare il suo sguardo e si scambiarono un bacio. “Cosa ne dici di fare una passeggiata vicino il lago e sentire questo sole sul viso?”
Rodolphus si sgranchì le braccia allungandole verso l’alto e sospirò: “Credo che sia un’ottima idea!”
“Potrei preparare dei sandwhich e potremmo mangiarli in riva al lago per assaporare il tepore delle ore più calde.”
“Porterò una coperta, allora, così faremo un pic-nic.”
“Non credevo che fossi un tipo da pic-nic,” osservò sorpresa.
“Scherzi? Quando io e Rabastan eravamo bambini, mia madre ne organizzava di bellissimi sulla spiaggia sotto il castello. Diceva che nemmeno il vento della Cornovaglia le avrebbe impedito di prendere il tè di fronte il mare. Quando pioveva creava una bolla sotto la quale continuare a sorseggiare il tè.”
Non c’era giorno in cui Alexandra non scopriva qualche aspetto affascinante di Rodolphus. Dalla sua approfondita conoscenza della pasticceria, alla conoscenza dei vini, fino al modo in cui stava imparando a cucinare, Rodolphus la sorprendeva per la capacità di adattamento.
Iniziò ad assemblare alcuni sandwich riflettendo che, da quando Felix aveva mandato loro delle identità babbane e li aveva muniti di un conto corrente e di soldi babbani, le cose erano migliorate notevolmente. Per lo meno, erano riusciti ad accantonare l’ansia per la loro sopravvivenza: avevano un tetto sulla testa, del cibo da mettere in tavola e degli abiti per riscaldarsi. Erano isolati dal resto del mondo magico.
Forse le loro famiglie li avevano dati per morti, forse li stavano cercando, o forse le coperture erano saltate ed erano ricercati formalmente dagli Auror. Le uniche cose che sapevano erano quelle essenziali: il Signore Oscuro era debole e sperduto come loro, perché il Marchio Nero bruciava debolmente nella loro carne, quasi come se il braccio si fosse addormentato. Era un modo per far sapere ai suoi Mangiamorte che non era morto e che sarebbe tornato. Erano certi che anche Bellatrix, Barty e Rabastan fossero nascosti, liberi e al sicuro. Se fossero morti, feriti o se fossero stati arrestati, Polly avrebbe informato Rodolphus immediatamente, e così avrebbe fatto Felix Rosier. L’albero genealogico era uno strumento estremamente potente, in grado di far sapere le condizioni di vita del familiare.
Trovò una cesta e la riempì con i sandwich, un paio di mele, un po’ di acqua e una bottiglia di vino. Aggiunse una tovaglia, perché mangiare sulle coperte era decisamente inappropriato e si convinse a portare anche alcuni bicchieri, un paio di piatti e delle posate avvolte nei tovaglioli di cotone che aveva acquistato al villaggio. Nel momento in cui aveva compreso che la permanenza si sarebbe allungata ben oltre la primavera, Alexandra aveva abbandonato ogni indugio e aveva ceduto al bisogno di avere una tavola ordinata. Certo la biancheria era di un cotone semplice e grezzo che non aveva nulla del pregiato cotone delle Fiandre delle tovaglie con cui era cresciuta, i bicchieri erano in vetro industriale e non avevano nulla delle meravigliose lavorazioni degli elfi, ma sapeva che i Babbani erano esseri inferiori, non in grado di produrre le meraviglie del mondo dei maghi e, di quei tempi, occorreva fare di necessità virtù.
Infilò gli scarponcini e il cappotto, si avvolse con la sciarpa morbida che aveva realizzato nel corso del lungo inverno e afferrò la mano che Rodolphus le tendeva mentre con l’altra reggeva il cestino da picnic.
Camminarono lungo la riva del lago, fino a trovare uno spiazzo d’erba illuminato dal sole su cui sistemare la coperta e posare il cestino. Da quell’angolo notarono che il loro capanno era coperto dagli alberi e si scambiarono uno sguardo sollevato: era un rifugio perfetto.
“Ho visto una barchetta nel deposito,” gli confidò Alexandra che già immaginava l’arrivo della primavera e dell’estate.
“Immagino che ti piacerebbe fare un giro in barca, come a tutte le signorine per bene,” Rodolphus sospirò e poi aggiunse, “Beh, a tutte tranne che a Bellatrix. A lei piaceva solo colpire con i remi le barche delle famiglie che non sostenevano il Signore Oscuro e cercare di far cadere le figlie in acqua.”
Alexandra ridacchiò: “È proprio da Bellatrix!”
Rodolphus si stese sulla coperta sostenendo la schiena con i gomiti. I suoi occhi scuri scrutavano il lago e il sole illuminava il volto chiaro parzialmente coperto dalla barba scura e dai ricci che gli cadevano disordinati sulla fronte. “Ogni tanto è bello staccare, non pensare sempre a ciò che ci circonda. Non so se mi spiego.”
Alexandra sentì una stretta allo stomaco, nonostante i mesi in cui avevano condiviso ogni momento delle loro giornate. Sorrise: “Perfettamente.” Prese posto accanto a lui, sedendo sulla coperta, portò le gambe di lato e lasciò scivolare lo sguardo sulle colline coperte da abeti. Il sole li illuminava con tinte brillanti che si perdevano nell’azzurro intenso del cielo. Sotto, il lago giaceva con un grigiore placido che ricordava loro che l’inverno non era del tutto finito. Era come quando lei e Barty si sedevano sulla riva del Lago Nero e, proprio seguendo quell’abitudine così familiare, Alexandra si voltò verso Rodolphus con una foglia in mano e iniziò a farla levitare.
Aveva bisogno di esercitare la magia, per evitare scoppi improvvisi nei momenti in cui la paura l’assaliva.
“Insegnami a cambiare colore alla foglia,” gli chiese.
Rodolphus si sollevò e annuì approvando il modo in cui la foglia galleggiava sulla mano. Alexandra lo vide eseguire un movimento circolare con le dita, in direzione della foglia che ritornò verde, piena, come se l’avessero appena colta da un albero in fiore.
“Quando non usi la bacchetta,” le spiegò Rodolphus, “non devi concentrarti sui movimenti delle dita, ma solo sul risultato che vuoi ottenere. Pensa che le dita siano l’estremità della tua bacchetta. Scegli un dito e canalizza tutta la magia. Alcuni preferiscono il palmo della mano, ad esempio Dolohov, ma puoi scegliere qualsiasi parte del tuo corpo. Quell’idiota di Evan, prima che morisse, aveva vinto una scommessa con Rabastan riuscendo a lanciare un incantesimo di Appello con il naso.”
Alexandra scoppiò a ridere per la sorpresa. “Con il naso?”
Rodolphus si unì alle risate: “Sì, però non controllava bene l’incantesimo. Finì che richiamò un libro e questo gli arrivò dritto in faccia!”
“Una cosa simile accadde a Regulus quando studiò gli incantesimi di Appello, solo che lui usava la bacchetta, ma non calibrò bene la direzione dell’oggetto.” In quei momenti, entrambi avvertivano la nostalgia della vita passata. Rodolphus però la riportò al presente: “Prova con la foglia.”
Alexandra si concentrò. Aveva recuperato le forze in quei mesi di riposo forzato e sentiva che la sua magia voleva uscire. Chiuse gli occhi e cercò di richiamare la sua magia, riuscì ad avvertirla scorrere nelle sue vene. I mesi trascorsi senza utilizzare la bacchetta dovevano averla abituata a sviluppare una nuova sensibilità. Non c’era più il nucleo magico della bacchetta che canalizzava i suoi poteri. Proprio come quando era bambina, ma sapendo come controllare la sua forza, Alexandra riuscì a trasformare la foglia verde in una foglia gialla, come se l’autunno fosse appena giunto.
Sorrise incredula a Rodolphus. “Ce l’ho fatta!”
“Non è molto diverso dagli incantesimi non verbali,” le disse. “Solo che è più complicato canalizzare la forza ed evitare che si disperda.” Rodolphus mise da parte la foglia e le disse: “Adesso, però, mangiamo.”
Alexandra tirò fuori la tovaglia, sistemò i piatti, prese i bicchieri, l’acqua e stappò la bottiglia di vino pensando che il rosso francese che aveva scelto Rodolphus si sarebbe abbinato meravigliosamente con i suoi sandwich. Tuttavia, non appena il tappo saltò fuori e liberò l’aroma del vino, un moto di nausea l’assalì. Portò una mano alla bocca e passò la bottiglia a Rodolphus domandandogli: “Secondo te è andato a male?”
Rodolphus annusò il vino, ne versò un po’ nel bicchiere e lo provò scuotendo la testa. “A me sembra buono. Forse deve prendere un po’ di aria,” le suggerì mentre riempiva i due bicchieri di vetro. Alexandra sistemò i sandwich sui piatti e iniziò a mangiare cercando di togliere la sensazione che le aveva dato il vino. Quando pensò che il vino aveva preso una sufficiente quantità di aria per non presentare lo stesso problema, prese un altro sorso, ma l’odore tornò a infastidirla. “Mi spiace, Rod, non riesco proprio a berlo. Non so cosa abbia.”
“Può essere che sia perché sei in quei giorni del mese?”
“Che sciocchezze, Rod, nessuna strega in quei giorni smette di bere. Sono sciocche superstizioni!” disse mentre la sua mente calcolava quanto tempo mancava all’arrivo del ciclo.
Non ne aveva la benché minima idea.
Cercò di ripensare all’ultima volta: sicuramente era stato il giorno in cui Felix Rosier aveva mandato Polly. Quel giorno era stato così particolare che non poteva dimenticarlo. Dopo di allora, il vuoto. “Oh Salazar!”
“Cosa accade?”
“È imbarazzante, ma non riesco a ricordare quando ho avuto il ciclo lo scorso mese.”
Rodolphus si fermò a riflettere. “Condividiamo il letto tutte le sere. Ricordo che non stavi bene quando Felix ci ha scritto e che la prospettiva di fare compere ti aveva risollevata, ma poi…” Ci fu un momento di pausa in cui Rodolphus sembrò realizzare le implicazioni di quella condizione. Sul volto gli comparve un sorriso entusiasta: “Vuoi dire che…”
Alexandra strinse nelle spalle e sospirò: “Beh in effetti i Filtri sono finiti da tempo e…”
“…gli incantesimi contraccettivi non hanno funzionato senza bacchetta,” concluse lui.
“Siamo stati sconsiderati. E adesso?” Non poteva essere incinta.
“Non sappiamo se è proprio così. Come fanno i Babbani a scoprire se aspettano un figlio?” le domandò Rodolphus che sembrava impacciato. La osservava come se stesse cercando di capire come reagire, ma Alexandra era confusa e spaventata dalle implicazioni di quella condizione. “Non ne ho idea, Rod,” mormorò sfiorandosi il ventre. Cosa avrebbe detto Barty? Era possibile accettare un tradimento, ma il figlio di un altro? Anche se la sua convivenza con Rodolphus era diventata più lunga del suo matrimonio?
Sul volto di Rodolphus tornò il sorriso. “Un figlio…”
“Rod, ti prego, non ne siamo certi, non fasciamoci la testa,” sospirò. Un brivido le attraversò la schiena quando pensò alla reazione di Bellatrix. Si vide morta. Bella l’avrebbe Cruciata fino a cancellare ogni traccia della sua esistenza e di ciò che portava in grembo.
Rodolphus lesse nella sua mente le paure e la strinse a sé. “Bella non ti farà nulla, non temere. Ci sono io,” le sussurrò.
“Andiamo al villaggio,” propose Alexandra cercando di recuperare un po’ di senso pratico. Non aveva senso rimanere in riva al lago a immaginare scenari incerti: se fosse stata incinta, avrebbe dovuto scoprirlo il prima possibile.
Lasciarono i residui del loro picnic in casa e si avventurarono verso il villaggio. Alexandra decise di partire dal posto che aveva la risposta a tutte le sue domande: il supermercato. Lì c’era tutto, persino un angolo con i giornali e le riviste e un intero reparto dedicato alla medicazione.
“Non pensi che dovremmo andare, che so, da un… dottore?” Le domandò Rodolphus mentre si guardava intorno perplesso.
“E dirgli cosa, senza fargli capire che non siamo Babbani?” domandò Alexandra sottovoce. “Andremo dal… dottore… quando avremo una risposta.” Tra gli espositori delle riviste, Alexandra individuò un’intera zona dedicata alle riviste per neomamme. A quanto pareva, le Babbane leggevano un sacco di riviste. Una titolava: Sono incinta? Dai primi sintomi ai primi passi da compiere! Afferrò quella rivista e la sfogliò compulsivamente. Dietro la copertina, c’era una specie di bacchetta che recava la scritta “Test di gravidanza.”
Si sentiva come quando Sirius organizzava le cacce al tesoro a Grimmauld Place. Indizio dopo indizio avrebbe avuto un premio, ovvero la risposta alle sue domande. Corse nel reparto con le medicazioni dove aveva trascorso molto tempo cercando di capire come i Babbani curassero le febbri, le infezioni o le ferite. Il supermercato non la tradì nemmeno quella volta e trovò il test di gravidanza che indicava il giornale. Insieme a Rodolphus tornarono a casa per fare ciò che riusciva loro meglio: Alexandra avrebbe studiato le istruzioni di quel giornale ed eseguito il test, Rodolphus avrebbe elaborato una strategia di azione una volta avuti i risultati.
Fu un’attesa trepidante, stordita da un cambiamento che non immaginava nemmeno. Aveva messo in conto che un giorno sarebbe diventata madre, ma nella sua mente quel momento era più lontano: dopo la guerra, dopo la caduta del Ministero della Magia e la fine della guerra con la vittoria del Signore Oscuro. Inoltre, non avrebbe mai immaginato nessuno al di fuori di Barty come padre dei suoi figli, di certo non Rodolphus Lestrange, il marito di Bellatrix.
Eppure.
Eppure, tutto era cambiato: il Signore Oscuro era scomparso, Barty era scomparso, lei aveva perso la sua bacchetta e Rodolphus in quei mesi era diventato più di un compagno di missione. In quei mesi si erano sostenuti vicendevolmente e si erano presi cura l’una dell’altra. Alexandra era certa che la paura della morte di Rodolphus si fosse affievolita in quei mesi.
Il braccio di Rodolphus le cinse le spalle e l’attirò a sé. “Andrà tutto bene,” le sussurrò con una nuova luce negli occhi che divenne gioia irrefrenabile non appena il test confermò quanto entrambi già sapevano.
I passi successivi furono più complicati. La prima scelta fu sul da farsi. Non era in dubbio la scelta sul tenere il bambino, entrambi lo volevano, ma sul come affrontare quella gravidanza. Erano ricercati dagli Auror e non potevano chiamare il Nottetempo per farsi portare al San Mungo. Al tempo stesso, nessuno di loro, nemmeno Alexandra con i suoi studi clandestini di Medimagia, era in grado di gestire la gravidanza e il parto.
“Temo che dovremo affidarci ai Babbani,” disse Rodolphus mentre sul divano sfogliava la rivista che illustrava cosa fare dopo la scoperta di una gravidanza.
“Andare da un dottore?” domandò Alexandra perplessa. Accarezzò il ventre. Il benessere di quel bambino veniva prima di tutto. “E sia, ma sarà in grado?”
“Direi di sì,” disse Rodolphus, “guarda i Babbani come hanno infestato il mondo!”
“D’accordo,” mormorò non del tutto convinta.
Riuscire ad organizzare la visita fu complicato: i Babbani prenotavano tutto con delle telefonate, ma il loro capanno non aveva alcun telefono. Inoltre, il villaggio aveva solo un medico anziano e dovettero prendere un autobus (la versione Babbana del Nottetempo) per recarsi nella cittadina più vicina che avesse un ospedale. Durante quei giorni, man mano che si rendevano conto che vivere tra i Babbani era meno semplice del previsto, e che le complicazioni sorgevano una dopo l’altra, Alexandra aveva visto l’umore di Rodolphus peggiorare e farsi sempre più taciturno. A volte, scompariva per interi pomeriggi dicendo che andava al villaggio a comprare qualcosa. Tuttavia, non sempre tornava con quello che diceva di comprare. Le sparizioni divennero più frequenti man mano che si avvicinava il giorno della visita nell’ospedale babbano, al punto che Alexandra iniziò a domandarsi se non ci avesse ripensato sull’idea di continuare con quella gravidanza.
“Mi rendo conto che quando torneremo ci sarà uno scandalo,” gli disse. “Capirei se tu avessi cambiato idea e volessi un figlio da Bellatrix.”
Rodolphus si accigliò: “Non ho cambiato idea e non voglio un figlio da Bellatrix. Bella non vuole diventare madre e io amo te e il nostro bambino.”
Il cuore di Alexandra accelerò il battito. Rodolphus l’amava? La guardava come se fosse indispettito: “Cosa c’è che non va?”
“Hai detto di amarmi,” osservò incredula. Rodolphus sembrava ancora più insofferente: “E quindi?”
“Non me lo avevi mai detto prima.”
Seguì un sospiro. “Salazar santissimo, Alex, ma ti sembra che abbia l’aria di chi non è innamorato? Dormiamo insieme da cinque mesi, da quasi tre mesi facciamo l’amore praticamente tutte le notti e ti sorprendi?”
“Credevo che fossi innamorato di Bellatrix.”
“No, sei tu quella che è ancora innamorata di Barty, ma non te ne faccio una colpa. Pare che sia destinato ad amare donne che amano altri.”
Alexandra sospirò ancora: “Le cose sono un po’ cambiate negli ultimi mesi, Rod,” gli confessò. “Voglio ancora molto bene a Barty, ma credo proprio di amarti.” Rodolphus sollevò le sopracciglia sorpreso e si avventò sulle sue labbra trascinandola all’indietro fino a stenderla sul divano. Sopra di lei, continuava a baciarla con trasporto. “Non ci speravo proprio, per questo non te l’ho detto. Temevo che avresti riso di me.”
Alexandra lo strinse a sé: “Credo sia stata la confessione meno romantica della storia, ma va bene così.” A quelle parole, Rodolphus la prese in braccio e la portò in camera da letto dove si divertì a chiarirle quanto l’amasse.
L’indomani mattina, Rodolphus uscì di casa presto per una di quelle sue misteriose missioni, le disse solo: “Fidati di me” e si chiuse la porta alle spalle. Alexandra decise di impiegare il tempo preparando l’ennesima torta. Stava diventando brava con la pasticceria babbana. Si disse che se la visita fosse andata bene, avrebbero voluto celebrare l’evento, ma che, se per qualche strano motivo le cose non fossero andate bene, allora una torta di consolazione era il minimo che potesse servirle.
“Andrà bene,” si disse fiduciosa mentre sbatteva le uova. Lo ripeté mentre impastava e persino mentre versava il composto nella teglia imburrata. Quando il forno suonò (una rivista di cucina le aveva spiegato che quel trillo si chiamava timer), sentì un rumore metallico provenire dal cortile. Si affrettò a togliere la torta, chiuse il forno e uscì fuori a controllare cosa stesse accadendo. Rimase immobilizzata quando vide Rodolphus alla guida di una di quelle automobili babbane.
Lo vide scendere dall’auto raggiante: “Ecco il motivo delle mie scomparse,” le disse mentre chiudeva l’auto ed entrava in casa. Tolse la giacca, posò le chiavi dell’auto e una cartelletta piena di documenti che incuriosì Alexandra.
“Ho dovuto prendere la patente,” le spiegò, “altrimenti non mi vendevano l’automobile. Adesso non saremo più costretti a prendere quel dannato autobus, pieno di feccia babbana.” Rodolphus le sfilò di mano la cartelletta e le passò un plico di fogli con un sorriso: “Ho anche comprato questo capanno.”
“Cosa?”
“Non possiamo mica rischiare di essere cacciati da qui quando nostro figlio nascerà, vero?” Fino a quel momento, Alexandra non aveva realizzato che la loro sistemazione si sarebbe stabilizzata. Credeva che sarebbero tornati a casa da un momento all’altro. Sì, Felix Rosier aveva detto loro che i tempi sarebbero stati lunghi, ma mai avrebbe immaginato che lo fossero, tanto da giustificare l’acquisto di una casa.
“Siamo in un posto così sperduto che è costata poche decine di migliaia di sterline. A quanto pare, i proprietari erano ben felici di sbarazzarsene.”
“Vuoi dirmi che nel giro di tre settimane tu hai preso la patente, comprato casa e un’automobile?” domandò sorpresa. Rodolphus sorrideva trionfante: “È il minimo per il mio erede. Se potessimo tornare a casa, verrebbe viziato in ogni modo, così come la sua splendida mamma.”
“Oh, Salazar…” riuscì a mormorare prima che gli occhi si riempissero di lacrime di commozione e la voce le si strozzasse in gola. Rodolphus la strinse, le accarezzò la schiena per tranquillizzarla e le disse: “Non importa quanto tempo dovremo rimanere in questo posto, io mi prenderò cura di te e del nostro bambino, e non c’è diavoleria babbana che possa impedirmi di darvi il meglio. Intesi?”
Alexandra annuì. Sollevò il volto per incontrare gli occhi scuri di Rodolphus e le sue labbra che la cercavano per baciarla. “Andiamo, altrimenti arriveremo tardi dal dottore,” le sussurrò.
Fu strano salire in auto e ancora più strano fu osservare Rodolphus al volante della sua auto nuova che la conduceva con una disinvoltura che Alexandra avrebbe ritenuto impensabile. Fuori dal finestrino scorreva la vista della campagna di quell’angolo di Inghilterra. Da quanto aveva capito, dalle riviste che si trovavano nel supermercato, si trovavano in Nortumbria, ai confini con la Scozia, in una regione di ricca di parchi e laghi, decisamente lontana dalle grandi città. La loro posizione spiegava perché gli Auror fossero scettici all’idea di incontrare maghi in una zona tanto remota. Eppure, tra le foreste di queste parti vi era una colonia di Demiguise, di cui avrebbero dovuto raccogliere il pelo ed estrarre il sangue da lavorare per preparare un composto alterato con le Arti Oscure. Dopo cinque mesi senza utilizzare la bacchetta, Alexandra si domandava quali incantesimi sarebbe riuscita a evocare.
Quando Alexandra arrivò all’ospedale babbano, si rese conto che non era poi tanto diverso dall’ospedale dei maghi. Proprio come al San Mungo c’era un banco di accettazione che diede loro tutte le informazioni necessarie per arrivare dal loro dottore.
Li accolse la dottoressa Anne Boswell, una signora di mezza età dai capelli biondi tenuti stretti in uno chignon che le ricordava molto sua madre. La dottoressa si irrigidì non appena vide Rodolphus.
“I signori Moreau?” domandò incerta. Annuirono entrambi e la dottoressa fece cenno di entrare. Quando vide Rodolphus alzarsi, lo fermò chiedendogli di attendere la fine della visita fuori. Alexandra si voltò preoccupata, ma Rodolphus le fece cenno di andare e così seguì la dottoressa nello studio.
“Quanti anni hai?” domandò.
“Tra qualche giorno ne compirò diciannove,” rispose.
“E lui è...”
“Mio marito!” rispose prontamente. “Roland Moreau, ci siamo sposati alla fine dello scorso anno, a Samhain, ehm… il 31 ottobre.”
“Sei stata forzata?”
“Cosa? No, assolutamente! Io ehm… amo mio marito…” Si sentiva in imbarazzo per tutte quelle domande che le sembravano inopportune.
“Lo sai che questo è un posto sicuro? Non saresti la prima che finisce nei guai perché va con uno più grande e poi rimane incinta. Posso aiutarti.”
“Grazie, ma sul serio, è un matrimonio voluto.” La dottoressa sembrò convincersi, o per lo meno darle il beneficio del dubbio. Così iniziò la visita medica e solo quando la sistemò su un lettino le domandò: “Adesso vedremo il bambino, dovremmo sentire anche il battito del cuore. Vuole che chiami suo marito?”
Alexandra annuì e la dottoressa fece entrare Rodolphus. “Eccoci, signor Moreau, qualche istante ancora…” La pancia di Alexandra venne bagnata con una sostanza appiccicosa e trasparente che ricordava la bava delle lumache. Le passò sopra uno strano aggeggio e poi lo schermo al lato si illuminò. “Ecco, quello al centro è il suo utero. Direi che è tutto a posto. Ecco, questo qui è il vostro bambino.” La dottoressa iniziò ad armeggiare con la macchina mentre Alexandra e Rodolphus si scambiavano uno sguardo incredulo.
I Babbani erano in grado di vedere dentro la pancia?
“Ancora un istante…” disse la dottoressa. La videro premere alcuni pulsanti, girare una manopola e un suono metallico, simile a quello che precedeva la voce nei supermercati. “Ecco, abbiamo il battito,” esclamò entusiasta, lasciando che Alexandra e Rodolphus ascoltassero il battito del loro bambino. Nel mondo magico non esisteva nulla del genere. La dottoressa controllò alcune cartelle, le confrontò con i numeri che c’erano sullo schermo e annuì sollevata: “Le dimensioni sono in linea con la media, anzi, è leggermente più grande. Può rivestirsi, mentre le preparo il referto.”
Alexandra si pulì dalla sostanza viscida e si ricompose sotto lo sguardo commosso di Rodolphus. Entrambi avevano paura di parlare, temevano che la gioia del momento li tradisse al punto da far saltare la copertura. Così, si sorridevano increduli, rinviando al momento in cui sarebbero stati a casa, la loro nuova casa, ogni commento.
La dottoressa le fece alcune raccomandazioni, le prescrisse degli integratori, analizzò i risultati di alcuni esami che aveva fatto il giorno in cui aveva prenotato la visita e concluse dicendo: “È tutto, signora Moreau, ci rivediamo tra due mesi. Congratulazioni a entrambi!”
Alexandra uscì frastornata. Una volta in auto disse a Rodolphus: “Ci pensi? Possono vedere nella pancia…”
“Hai sentito il battito del cuore?”
“È magico, Rod, sono senza parole.”
“Lo è, ma dobbiamo sistemare casa prima che nasca.”
 
 
 
Note:
Ciao a tutti!
Una piccola nota. Sono stata per la prima volta in UK nel 1992 e la cosa che più mi colpì furono i supermercati come Tesco dove dentro c’era di tutto, anche il reparto farmacia (da noi solo recentemente sono arrivate le parafarmacie in alcuni supermercati). Ho immaginato che ci fossero già negli anni 80, ma non ho fatto ricerche in merito, se così non fosse, concedetemelo!
Ci vediamo domani con l’epilogo!
Grazie a chi sta seguendo questa storia!
Sev

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Capitolo 7
*** Epilogo ***


 

Epilogo

 
8 agosto 1985
 
Il caldo di quei giorni era sfiancante.
Alexandra si sentiva boccheggiare e il pancione non l’aiutava a dormire. Erano giorni che non chiudeva occhio. Senza contare che Roland e il piccolo Rodolphus, detto Roddie, la cercavano in continuazione.
“Roland, non correre!” esclamò osservando il figlio più grande andare incontro al padre, deciso a portare la barchetta in acqua.
“Vado a fare il bagno con papà!” esclamò allegro. Rodolphus sorrise al figlio e lo prese in braccio, esclamando: “Ho un pesce da buttare in acqua!” Roland si dimenava e rideva e Rodolphus esclamava: “Guardatelo come si agita! Mi sa che è un’anguilla di lago!”
“La temibile anguilla di lago?” domandò Roland tra una risata e l’altra.
“La prelibata anguilla di lago!” esclamò Rodolphus, “Prima ti porto nel lago e poi ti mangerò tutto!” Roland rideva e si dimenava tra le braccia del papà mentre si immergevano nel lago.
A fine ottobre sarebbero stati quattro anni di attesa del loro Signore. Altrettanti anni in cui non avevano avuto più alcuna notizia di Barty, Bellatrix e Rabastan. L’arrivo di Roland li aveva assorbiti completamente e quando avevano iniziato a credere di essersi ripresi, era arrivato Roddie che, in quel momento, aveva un anno e doveva credere di essere un koala, perché voleva stare sempre in braccio a lei.
Cinque mesi prima, aveva scoperto di aspettare un altro figlio e la notizia era stata accolta con gioia da Rodolphus e i bambini. Il loro capanno era stato ristrutturato ed erano riusciti a ricavare una grande stanza da letto per i bambini in cui avrebbero dormito insieme una volta cresciuti. Al momento era occupata da Roland e tutti i tentativi fatti per convincere Roddie a dormire con il fratello erano caduti nel vuoto. Alexandra, tuttavia, sapeva che era questione di tempo e che, quando sarebbe nato il fratellino o la sorellina, sarebbe stato costretto a traslocare con Roland.
Adesso, però, Roddie si godeva le attenzioni della mamma e la ricompensava con dei sorrisi che la facevano innamorare ogni volta di più. La osservava emettendo dei versetti che rivelavano che da un momento all’altro avrebbe iniziato a parlare.
“Dì mamma,” gli disse Alexandra. La prima parola di Roland era stata papà, per la gioia di Rodolphus che aveva preso in braccio il figlio orgoglioso. Così, Alexandra aveva deciso di impegnarsi ancora di più con Roddie affinché la sua prima parola fosse mamma.
“Mamma,” ripeté Alexandra sorridendo al figlio. Gli occhioni neri di Roddie si illuminarono e poi iniziò a fare dei versi: “Ma… ma…”, dopo qualche istantem riformulò dicendo “mamma…”
“Hai detto mamma?”
“Mamma.”
Alexandra si illuminò, si alzò con in braccio Roddie per correre verso il lago dove Rodolphus e Roland stavano facendo il bagno.
Sentì un rumore di passi provenire dal bosco alla sua destra, si voltò stringendo Roddie in braccio e osservò la fonte dei rumori. L’ultima volta che avevano sentito dei rumori si era trattato di Morgana, la gatta che avevano finito per adottare. “Dici che troveremo un compagno per Morgana?” domandò a Roddie che le rispose ripetendo: “Mamma!”
Dal buio degli alberi non emerse un gatto, ma tre figure umane. Istintivamente, Alexandra strinse a sé Roddie e fece un passo indietro. Si fermò non appena riconobbe le sagome.
“Barty?” domandò incerta.
“Oh, Salazar, Alex!”
Barty le andò incontro incredulo e gridò verso il bosco: “Bella! Rab! Abbiamo trovato Alex!”
Alexandra gli andò incontro esclamando: “Oh, cielo, Barty! Sei vivo! Siete vivi!” Lo osservò con il cuore che le batteva forte e vide che era in salute, integro, nutrito, così gli disse: “Ti trovo bene.” Barty la osservava frastornato, mise a fuoco la presenza di Roddie e domandò: “E questo?” Alexandra non fece in tempo a rispondere, venne interrotta dall’arrivo di Bellatrix e Rabastan: “Alex! Oh, Merlino, dicci che Rod è vivo!”
“Sì, venite, preparo una tazza di tè, abbiamo un po’ di cose di cui parlare.”
Passarono davanti il lago e Rodolphus si fermò sulla riva osservano i nuovi arrivati, rimise giù Roland e insieme uscirono dall’acqua sotto lo sguardo incredulo di Bellatrix e un sorrisetto divertito di Rabastan.
“Qualcuno si è divertito in latitanza…” ridacchiò.
“Piantala Rab!” esclamò Bellatrix.
Alexandra li condusse in giardino, dove avevano allestito un tavolo con delle sedie. Andò a preparare il tè e tornò con un vassoio pieno di muffin, biscotti e persino i sandwich al formaggio.
“Da quando servi il tè come una Babbana?” le domandò Barty.
“Da circa quattro anni. Da quando siamo rimasti senza bacchette.” Alexandra e Rodolphus iniziarono a raccontare le loro disavventure: l’aggressione subita, le difficoltà legate alla guarigione, il ritrovarsi senza bacchette, l’incontro con gli Auror e i cacciatori di taglie. Raccontarono della lettera di Felix e di come, una volta l’anno, Rosier li avvisasse sulle novità più rilevanti del mondo magico attraverso Polly.
“Questo non spiega i bambini,” disse Barty.
“Io direi che lo spiega benissimo,” ridacchiò Rabastan, “Ci saranno stati inverni lunghi e solitari…” lanciò uno sguardo a Barty e aggiunse addolcendo il tono: “Un po’ come i nostri.”
Bellatrix alzò gli occhi al cielo e sospirò: “Piantatela!” Poi guardò Rodolphus e domandò con sdegno: “Quindi ti sei ridotto a fare il papà e vivere come un Babbano?”
“Non avevo alternative, Bella. Non ho la bacchetta e la magia che so canalizzare con le mani è molto limitata. Durante le ronde controllavano se ci fossero tracce di magia, ci è sembrato prudente.”
“Beh non credo che gli Auror ti abbiano costretto a divertirti con Alex, o sbaglio?”
“Bella…” disse Alexandra.
“Stai zitta, tu!”
Roddie scoppiò a piangere. Roland osservava la scena con un pezzetto di sandwich in bocca e gli occhi spalancati per lo stupore. Non erano abituati a vedere altre persone né a sentire quella tensione nell’aria. Così, Alexandra si alzò e propose ai bambini di andare in casa a guarnire la cheesecake ai mirtilli per zio Rabastan.
Rabastan la seguì dentro proponendosi di aiutarla, lasciando che Bellatrix e Rodolphus chiarissero.
“Avete fatto un bel casino,” le disse sorridendo, mentre scompigliava i ricci di Roland.
Alexandra guardò il figlio e sospirò: “Sono così belli che non riesco ad esserne pentita.”
“Quattro anni sono tanti per chiunque,” le disse Rabastan, “sono l’intervallo tra questo…” indicò la sua pancia “…e questo,” concluse accarezzando la testa di Roland. Si chinò verso il bambino e gli disse: “Lo sai chi sono io?”
Roland domandò incerto: “Lo zio Rabastan?”
“Esatto! Sono il fratello di tuo papà!”
“Perché non sei mai venuto qui?”
Alexandra sistemò Roddie sul seggiolino e prese la cheesecake dal frigorifero e la ciotola con i mirtilli (la sua cucina era stata rimodernata seguendo tutte le comodità babbane, perché se proprio si doveva vivere in un posto sperduto e senza magia, tanto valeva diminuire gli incomodi) e iniziò a decorarla osservando Rabastan alle prese con le domande di Roland. Persino Roddie osservava attento nonostante avesse appena compiuto un anno.
“Vedi, Roland, mi ero perso e ho impiegato tutto questo tempo cercando di ritrovare mio fratello. Mi spiace moltissimo averti conosciuto solo oggi, ma spero che da ora in poi non ci perderemo più.”
“Anch’io perdo il mio orsetto, ma la mamma lo ritrova sempre.”
Rabastan e Alexandra si scambiarono un sorriso. “Non oso immaginare la gioia di Rod. Erano anni che implorava Bellatrix per un figlio!”
“Non è stato preventivato. Non hanno funzionato gli incantesimi. Probabilmente la magia era ancora debole dopo l’aggressione che abbiamo subito.”
“Non importa. I Lestrange sono salvi.”
“Ma dimmi di te e Barty,” gli disse Alexandra. “Mi sembra di aver intuito che vi siate fatti compagnia. Allora, avevo ragione io durante l’addestramento, il tuo era un modo di flirtare.”
Rabastan scoppiò a ridere, scosse la testa imbarazzato e le confidò: “Non del tutto. Quando prendevo in giro Barty, dicendogli che doveva superare il lutto per Regulus perché altrimenti tu ti saresti fatta consolare da qualcun altro, era perché Rodolphus aveva perso la testa per te.” Rabastan prese alcuni mirtilli e aggiunse: “La vera sorpresa è stata quando Barty, a seguito di una missione, mi ha fatto capire che il mio flirt non sarebbe caduto nel vuoto. Gelosa?”
Alexandra scosse la testa. Dopo quattro anni, che motivo aveva di essere gelosa? Barty aveva trascorso con Rabastan un tempo pari a quello del loro fidanzamento e del matrimonio. In giardino, ritrovò gli occhi marroni di Barty. Era arrivato il momento di chiarirsi. Roddie, però, non voleva saperne di staccarsi dal suo collo e a nulla valsero i tentativi di Rabastan di conoscere il nipote. Così, Alexandra con Roddie in braccio, fece segno a Barty di fare una passeggiata lungo la riva del lago.
“Dunque tu e Rodolphus…” esordì Barty. “È passato così tanto tempo… e ho avuto così tanta paura che ti fosse accaduto qualcosa che non riesco nemmeno ad arrabbiarmi.”
“Non c’è stato giorno che non ti abbia pensato,” gli disse.
“Spero non mentre ti divertivi con Rodolphus, perché, insomma, vorrebbe dire che Bellatrix non aveva poi tutti i torti…” il tono di Barty era divertito, ma Alexandra sapeva che era molto bravo a nascondere i suoi sentimenti e che cercava di dimostrarsi forte di fronte a qualcosa che non aveva mai immaginato.
“Mi dispiace, per tutto. Le cose non dovevano andare così, ma in questo mondo sottosopra, senza magia, sperduta, senza sapere se ti avrei mai rivisto…”
“Sei andata avanti. Lo capisco.” Barty si voltò e tirò un sasso nel lago. Il tonfo dell’acqua seguì i cerchi d’acqua che si allontanavano dal punto in cui il lago era stato colpito. Si voltò nuovamente verso di lei, con le lacrime agli occhi. “Io non ci riesco, Alex, non ci riesco ad andare avanti.” La voce gli tremava, la fermò prima che si avvicinasse e le disse: “Continuo a rivivere quel 31 ottobre. Perché ci ha abbandonati? Perché non ritorna dai suoi Mangiamorte?”
Alexandra scosse la testa incerta e con un filo di voce gli disse: “Non lo so, ma l’unica cosa che possiamo fare è rimanere al sicuro e aspettare che ci richiami a sé. Non è morto, lo senti il Marchio Nero che brucia.”
“Sempre più flebile, sempre più distante, incomprensibile.” Barty frugò nelle tasche del mantello e mormorò: “A proposito… ecco, vedi se funziona.” Le porse una bacchetta dicendole “Abbiamo avuto uno scontro con alcuni Auror, li abbiamo uccisi e preso delle bacchette di scorta, ma questa non ha mai funzionato con nessuno di noi tre. Tu avevi il nucleo con il crine di unicorno?”
Alexandra annuì commossa. La bacchetta emise delle flebili scintille rosse che la fecero scoppiare a piangere, subito seguita da Roddie. “No, amore, la mamma è felice,” si affrettò a dire. “Guarda, Barty le ha dato una bacchetta!”
Agitò la sua nuova bacchetta e fece danzare delle foglie, appellò il sasso che Barty aveva gettato nello stagno, fece comparire dei fuochi azzurri che volteggiavano intorno a lei. Barty le sorrise: “Mi ricordi quando eri una primina a Hogwarts.”
“Non hai idea di quanto sia difficile vivere tra i Babbani e nascondere la magia.”
“Noi siamo stati nelle Ebridi, nel cottage di Bellatrix. Lo usavamo come base da cui eseguire le spedizioni. Abbiamo iniziato a battere l’Inghilterra palmo a palmo, ma nessuno sapeva dove foste finiti. Nessuno ha avuto vostre notizie. A un certo punto credevamo che foste morti.”
“Avevamo detto all’elfa dei Lestrange di avvisarci se voi aveste provato a contattarla. Lo stesso avrebbe fatto Felix Rosier. Pensavamo che foste nascosti, proprio come noi.”
Barty sospirò: “Dannazione! Quando lo saprà Rabastan, non ce la farà passare liscia! Lui voleva chiamare Polly, ma Bellatrix gliel’ha vietato, diceva che gli Auror avrebbero messo un incantesimo sulla proprietà. Aveva proposto anche Felix Rosier, ma Bellatrix non ha voluto coinvolgerlo.”
“Mi dispiace di averti deluso, Barty.”
Le labbra di Barty si piegarono in un sorriso malinconico. “È passato troppo tempo anche per la delusione, Alex. Io non sono più il mago che hai sposato e tu non sei più la strega che ho sposato, però vedo ancora la mia migliore amica.”
Si incamminarono verso casa, Barty le cingeva le spalle con un braccio osservando le occhiatacce che gli lanciava Roddie. “Questo bambino sembra geloso…”
“Lo è. Fa lo stesso con il papà.” Baciò la fronte del suo piccolo Roddie mentre in lontananza Rodolphus la osservava con un po’ di apprensione nello sguardo. Alexandra lo raggiunse e gli mostrò orgogliosa la sua nuova bacchetta.
Subito dopo, preparare la cena divenne molto più semplice. Riuscì persino a sistemare Roland nella camera di lei e Rodolphus e ricavare una stanza per Bellatrix e una per Rabastan e Barty. Si riunirono in soggiorno dopo aver messo a letto i bambini e, finalmente, Alexandra riuscì anche a silenziare la stanza per evitare che il chiacchiericcio svegliasse Roland e Roddie.
“Non possiamo rimanere qui a lungo,” osservò Bellatrix. “Dobbiamo trovare il Signore Oscuro!” Camminava in cerchio stringendosi nelle spalle. Il volto era scavato dalla preoccupazione, proprio come quello di Barty. Entrambi sembravano essere rimasti intrappolati nel 1981.
“Avete una traccia?” domandò Rodolphus.
Rabastan annuì: “Solo una soffiata, ma non sappiamo se è affidabile: i Longbottom.” Alexandra sobbalzò sul divano esclamando: “Ma sono degli Auror. Volete rivelarvi?” Era una missione pericolosa. Dopo quattro anni, che senso aveva continuare a cercare?
“Lui ha bisogno di noi! Ha bisogno di me!” esclamò Bellatrix. Lanciò uno sguardo pieno di disprezzo a Rodolphus e gli disse: “Io non sono andata avanti. Io non ho mai smesso di cercarlo e di invocarlo! E io non starò di certo in questo posto dimenticato dal mondo a giocare all’allegra famiglia babbana!” Il modo in cui calcava la voce su io sottolineava quanto si sentisse in una condizione diversa da quella di tutti loro, li giudicava come se avessero tradito il Signore Oscuro. Guardò Barty e Rabastan e domandò loro: “Voi cosa fate?”
“Veniamo con te,” disse Barty senza alcuna esitazione. “Io non ti lascio. Io non smetterò di cercare il nostro Padrone.” Ci fu qualche istante in cui Rabastan e Rodolphus si scambiarono uno sguardo. Era certa che Rodolphus preferisse che il fratello rimanesse con loro, al sicuro, ma Rabastan disse: “Ci sono anch’io. In questa cosa ci siamo tutti.”
“E tu cosa fai, Rod?” domandò Bellatrix, “Torni a fare il Mangiamorte o giochi a papà Babbano?” Il tono canzonatorio di Bellatrix punse Rodolphus nell’orgoglio. Con calma, Alexandra lo vide poggiare il bicchiere di whisky sul tavolino e dire: “Datemi una bacchetta e sono dei vostri.” L’urlo di gioia di Bellatrix riempì la stanza, mentre Alexandra sentiva un brivido scenderle lungo la schiena.
Non disse nulla mentre Rabastan dava una pacca sulla spalla al fratello e persino Barty era eccitato al pensiero di avere di nuovo Rodolphus in squadra. Alexandra non poteva scendere nel campo di battaglia, sentì un calcio e comprese che anche il suo bambino considerava una pessima idea quella del papà.
“Non farò nulla di avventato, te lo prometto,” le avrebbe detto più tardi, mentre erano nella loro camera e parlavano sottovoce, protetti da un Muffliato per non svegliare Roddie e Roland che dormivano in camera loro.
“È solo che… insomma, siamo stati quattro anni senza bacchetta per un inconveniente. Se anche non dovessi finire ad Azkaban, o essere ucciso in duello…”
“Tornerò, hai la mia parola.” Rodolphus si stese nel letto e la invitò a prendere posto accanto a sé. “Lo devo a Bellatrix,” mormorò. “Non posso lasciarla da sola.”
“Capisco che tu voglia tornare a sentirti un Mangiamorte per fedeltà verso il nostro Signore, ma non devi andare per i tuoi colpa.”
“Non sono i miei sensi di colpa, piuttosto, è che Bellatrix è tutto ciò che rimane di Lord Voldemort. Abbandonare lei, dirle di no, significa voltare le spalle a lui. L’hai vista? È spezzata, completamente persa, sbiadita come il Marchio Nero.”
Alexandra si rannicchiò contro la spalla di Rodolphus, inspirò il suo profumo chiudendo gli occhi, mentre lui le accarezzava la schiena. La mano scivolò fino a sfiorarle il ventre e le sussurrò: “Alex, io ti amo, ricordalo. Ti prometto che, qualsiasi cosa accada, tornerò da te.”
Si lasciò cullare da quella promessa, cercò di ricordare che Rodolphus era un mago molto più esperto di lei e che quegli anni dovevano avergli insegnato una certa prudenza nelle missioni. Quella notte, tuttavia, dormì poco e male, con sogni agitati e cattivi presagi. Si alzò all’alba sudata e si fiondò sotto la doccia per trovare un po’ di ristoro prima di scendere al piano di sotto a preparare la colazione.
Trovò Bellatrix in salotto.
“Dormire è diventato difficile,” le disse e ad Alexandra sembrò quasi una giustificazione.
“Non fatico a crederlo… Lo sentiamo tutti, ogni notte, ma non riusciamo a interpretare i suoi richiami. Abbiamo provato, infinite volte, a chiamarlo.”
Gli occhi di Bellatrix si inumidirono e annuì: “Lo so, si vede.”
“Ti va di aiutarmi o farmi compagnia mentre preparo la colazione?”
“C’è del bacon?” domandò Bellatrix. Alexandra annuì facendole strada verso la cucina. Versò una generosa tazza di tè forte a Bellatrix e la vide sospirare. Si guardavano in silenzio mentre il ronzio del tostapane annunciava che il primo gruppo di toast stava per uscire. “Sai,” le disse Bellatrix, “gli hai dato tutto quello che desiderava e che io non avrei mai potuto dargli.”
“Capita di frequente nel nostro mondo.”
“Sì, ma la luce che ha negli occhi, il modo in cui ha preso sulle spalle Roland e l’ha portato a letto… Ecco, credo di non aver mai visto Rodolphus così felice, anzi, realizzato.” Prese un altro sorso di tè, mentre Alexandra nascose dietro la tazza il rossore che aveva sulle guance. “Te lo prometto, Alex, te lo rimando indietro. Non gli farò fare cazzate. Se la soffiata si rivela infondata, lo rispedisco qui. Hai la mia parola.”
“Grazie, Bella.”
“So cosa vuol dire perdere qualcuno che ami e non farei mai un torto simile a Rodolphus, portarlo via dalla strega che ama, proprio ora che è così felice.”
“Tu…”
“Alex, io e Rod siamo tecnicamente sposati dal 1970, sono 15 anni di matrimonio, ma è dal tuo fidanzamento con Barty, è dal 1977, che lui ha un debole per te; quindi, circa metà del nostro matrimonio l’ho trascorsa a vedere il modo in cui lui ti guarda, che poi non è molto diverso da quello in cui io guardavo il nostro Padrone…” La voce le si incrinò leggermente sul finire della frase, nascose l’imbarazzo dietro un altro sorso di tè e Alexandra le disse: “Mi auguro che riusciate a ritrovarlo. Sarei venuta anch’io…”
“Per favore, Alex, non dirlo nemmeno per scherzo, tu rimani con i preziosissimi eredi Lestrange. Dovrei ringraziarti per avermi sollevata da un simile compito…” il sarcasmo era il modo in cui Bellatrix combatteva l’imbarazzo. Alexandra lasciò cadere il discorso e le servì un piatto di uova e bacon osservando il modo in cui Bellatrix assaporava la colazione. Tornare a usare la magia in cucina era come riprendere a nuotare dopo un inverno di attesa: una di quelle cose che hai imparato e non dimenticherai mai. Riusciva a dare sfogo a tutta la sua creatività e fare più cose contemporaneamente: la padella arrostiva le salsicce, il forno cuoceva i muffin e mentre in una ciotola impastava il composto di una torta, sul tavolo da lavoro, il mattarello stendeva strati di pasta sfoglia per provare a fare i croissant al burro che tanto piacevano a Rodolphus.
“Hai intenzione di sfamare un esercito?” domandò Bellatrix.
“Mi piace che abbiate scelta. Potreste portarvi qualcosa per il viaggio. Non si sa mai.”
“Alex, andiamo, li Cruciamo, prendiamo le nostre informazioni e torniamo. Non saremo in missione come te e Rodolphus con i Demiguise! Non fare la mamma con noi!”
“D’accordo!” alzò le mani e si convinse ad apparecchiare la tavola.
Poco dopo, Rodolphus arrivò con un Roddie in lacrime e un Roland assonnato. Alexandra prese il piccolo in braccio e si sistemò su una poltrona in soggiorno per allattarlo. Osservarlo mentre tirava il latte la incantava sempre. Adorava sentire la manina di lui sul cuore, era un legame che nulla al mondo avrebbe spezzato. Sorrise nel ricordarsi di avere la bacchetta, così riuscì a riempire una tazza di latte per Roland e invitarlo a prendere posto a tavola per fare colazione. Rodolphus aiutò il figlio nell’operazione mentre Rabastan e Barty scendevano in soggiorno mormorando di essere affamati.
Si respirava aria di attesa, tra la felicità di essersi ritrovati e l’attesa per quella nuova missione. Bellatrix toccò a malapena del cibo per via dell’ansia che la divorava, osservava con impazienza e un certo fastidio Barty e Rabastan che chiacchieravano con Rodolphus e non la smettevano di mangiare.
Alla fine, quando partirono, sul tavolo era rimasta solo una metà di torta, mentre tutto il resto era stato spazzolato da quei due che sembrava non mangiassero da anni. “Sapessi quanto hanno fatto lavorare quei poveri elfi domestici!” esclamò Bellatrix. “Sembrava che non avessero mai mangiato!” fu l’ultima cosa che le disse Bellatrix quando Barty infilò un altro paio di muffin nella tasca del mantello.
Rodolphus salutò Roland e Roddie raccomandando di fare i bravi in sua assenza. Entrambi i bambini annuirono e osservarono il papà Smaterializzarsi per la prima volta da quando erano nati.
Dopo ci fu l’attesa. Estenuante, infinita, lacerante.
Alexandra cercò di distrarsi portando i bambini al lago, fece il bagno con Roland e coccolò Roddie. Prepararono il pranzo, lessero le favole e mentre i bambini facevano il riposino, Alexandra si accarezzava il ventre. Quella scelta era stata sconsiderata sotto troppi punti di vista. Aveva paura, così tanta paura da non riuscire nemmeno a leggere le foglie di tè. Si domandò come avrebbe fatto a partorire tra i Babbani con due bambini e senza saper guidare l’auto. Certo, aveva una bacchetta e forse avrebbe potuto Materializzarsi vicino l’ospedale e partorire. Sfiorò il ventre e mormorò: “Questa situazione è assurda!”
Il Marchio Nero non bruciava più, erano giorni che non riusciva a percepirlo. “Mio Signore, sono venuti a cercarvi,” sussurrò come una preghiera.
“Mamma…” la voce di Roland, rotta dal pianto la fece sussultare.
“Cosa c’è, tesoro?”
“Ho sognato papà, con il sangue…” le raccontò tra le lacrime. Alexandra allargò le braccia per accoglierlo e confortarlo. Roland aveva ereditato il suo stesso dono della Vista e Alexandra conosceva bene la sensazione di angoscia in cui ci si trovava quando si faceva un sogno premonitore.
“Era vivo?” gli domandò mentre gli accarezzava la schiena per calmarlo. Roland mosse la testa annuendo e lei si sentì sollevata. “Allora andrà bene. Papà tornerà,” gli disse. “Bisogna avere fiducia.”
“Ma zio Rabastan e… Barty e Bellatrix… era tutto nero intorno a loro!” le disse sorprendendola per la chiarezza del sogno. I suoi sogni erano sempre stati composti da sensazioni confuse: quella di annegare, quando era morto Regulus, quella di precipitare, prima di partire per quella missione. La Vista di Roland sembrava essere molto nitida e Alexandra non sapeva se sarebbe stato un bene o un male. Il futuro poteva essere sconvolgente.
Poi sentirono il suono della Materializzazione. Entrambi si voltarono verso l’ingresso e trovarono Rodolphus ferito che perdeva molto sangue. Alexandra posò Roland per terra e gli disse: “Vai a prendere l’asciugamano in bagno.”
Roland corse mentre Alexandra andò a sorreggere Rodolphus, lo accompagnò fino al divano e iniziò a liberarlo degli abiti. Roland arrivò con l’asciugamano e la porse alla mamma. Osservava in silenzio prestando attenzione alla mamma. Questa volta Alexandra aveva la sua bacchetta, così iniziò a intonare “Vulnera Sanentur,” mentre le ferite si rimarginavano. Inumidì l’asciugamano che le aveva portato Roland e tamponò le ferite di Rodolphus.
“Questa volta il recupero sarà più veloce,” gli disse con un sorriso.
“Arriveranno altri tre figli?” le domandò Rodolphus.
“Tutti quelli che vuoi Rod.”
Ci fu un lungo istante in cui si guardarono in silenzio, senza aver bisogno di dire altro, perché non conoscevano parole in grado di esprimere l’amore che provavano. Fu l’arrivo di Roddie a interrompere quel momento. Scese le scale e non appena vide il papà ferito scoppiò a piangere.
“Sto bene, Roddie, non preoccuparti,” disse Rodolphus con la bocca impastata di sangue. Roland corse dal fratello, gli prese la mano e gli disse: “La mamma sta curando papà, non devi piangere.” Roddie aspirò con il naso e rimase a guardarla medicare Rodolphus con gli occhioni lucidi e la paura sul volto. “Andrà tutto bene, Roddie,” gli disse Alexandra per tranquillizzarlo, poi domandò a Rodolphus: “Chi è stato?”
“Bellatrix,” disse con la voce che lasciava trapelare la sua irritazione per il modo in cui sua moglie lo aveva ridotto. “Mi ha detto di tornare da te, io le ho detto che doveva venire anche lei, ma non mi ha dato retta, come sempre…”
“E ti ha scagliato il Sectumsempra.”
“Come sempre…”
“Bellatrix mi ha promesso che ti avrebbe rimandato indietro se le cose si fossero messe male, a costo di Cruciarti fino a farti ragionare,” gli confidò pulendogli la ferita.
“Eravamo quattro contro due, dei Longbottom non rimarrà molto,” osservò Rodolphus. Ci fu un’altra pausa in cui gli occhi scuri di Rodolphus si riempirono di terrore. Entrambi realizzarono il senso delle azioni di Bellatrix, della sua disperazione. “Vuole attirare gli Auror…” mormorò Rodolphus con la voce tremante.
Alexandra annuì. “Vuole Malocchio e Crouch, è stanca di accontentarsi delle briciole, vuole le fonti.”
“È una mossa da folli.”
“È una mossa da innamorata, Rod,” gli disse mentre faceva scomparire le ultime ferite. Lo aiutò a salire le scale, a lavarsi e cambiarsi. I bambini, al piano di sotto, erano tranquilli. Li attesero nello stesso insolito silenzio con cui avevano assistito alla medicazione e quando Alexandra tornò in soggiorno, le andarono incontro commossi. Si abbracciarono e Alexandra si ritrovò sul divano con entrambi i bambini in braccio, mentre cercava di difendere il suo pancione dalle intemperanze di Roland e Roddie.
L’atmosfera si sollevò quando Rodolphus tornò al piano di sotto e domandò: “Credo di essermi meritato il gelato, chi ne vuole un po’?”
Roland saltò sul divano e Roddie iniziò a implorarla con i suoi occhioni scuri che le ricordavano quelli di Rodolphus.
“Tu sarai la mia rovina, lo sai?” disse al figlio mentre lo portava in cucina.
L’indomani avrebbero recuperato una copia della Gazzetta del Profeta e avrebbero scoperto che Rabastan, Barty e Bellatrix erano finiti ad Azkaban e che, nel suo modo contorto e irrazionale, Bellatrix aveva cercato di rimediare al dolore che aveva provocato a Rodolphus, lasciandogli la possibilità di essere felice.
“Ci sarà una nuova caccia ai Mangiamorte,” gli disse Alexandra.
“Sappiamo cosa fare.”
Rodolphus allungò la mano e Alexandra, sospirando, gli consegnò la bacchetta. Ci sarebbe stato un tempo per la magia, adesso, era più importante rimanere in libertà. Questa volta sarebbe stato più semplice, e più bello.
 
 







Note:
Grazie a tutti coloro che hanno letto la storia, l’hanno commentata e mi hanno lasciato un feedback. Mi rendo conto che poteva essere molto più lunga, e avrei voluto moltissimo che lo fosse, ma i tempi della challenge erano troppo stretti. Spero di tornarci in altre occasioni!
Un abbraccio,
Sev

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