Il Secondo Ordine

di Asia Dreamcatcher
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


1

Capitolo 1 "In tre parole posso riassumere tutto quello che ho imparato nella vita: si va avanti" [Robert Lee Frost]


Gentile signorina […]

Le comunichiamo che il detenuto ¥Þ378 corrispondente alla persona di Rodolphus Lestrange è deceduto questa notte, presumibilmente intorno alle ore 02:30, in seguito ad un arresto cardiaco.

Le rivolgiamo le nostre […].”


La ragazza non terminò di leggere la lettera appena giuntale. Sollevò le iridi chiare verso la finestra percependo il proprio cuore avvolgersi in un dolore travolgente, il cui unico segno esteriore fu lo schiudersi delle labbra alla compulsiva ricerca di ossigeno. Era rimasta sola, anche il suo ultimo appiglio se n'era andato. Ora era davvero sola.

La voce che la stava chiamando le pareva giungesse da un luogo remoto, da lei totalmente separato, con un ennesimo sforzo di volontà si voltò e prestò attenzione alla persona comparsa sulla soglia.

«Dobbiamo muoverci»

«Sono pronta».



La chiesa di St. Dunstan-in-the-East si trovava a metà strada fra due dei più importanti e conosciuti monumenti di Londra: il London Bridge e la Tower of London. Dell'edificio, ricostruito nell'Ottocento e poi distrutto nuovamente durante la Seconda guerra mondiale, non rimaneva che qualche rovina, fatta eccezione per l'elegante campanile in pietra di Portland con la torre posata su archi di spinta in mezzo al magnifico giardino con laghetto.

Per i londinesi era un luogo splendido in cui la natura lussureggiante aveva prevalso nettamente sull'architettura creando uno scenario magico, adatto per passeggiate romantiche, matrimoni o rievocazioni storiche.

Quel luogo era così surreale e pacifico, che nessuno si preoccupava di strane persone abbigliate con lunghi mantelli addentrarsi fra quelle rovine e sparire misteriosamente, quasi che pietra e natura li avessero inghiottiti.

L'afa, in quella giornata di fine agosto, schiacciava l'intera città anche se nubi cariche di temporale iniziavano ad addensarsi minacciando il fosco sole.

Una figura ammantata in un lungo pastrano bianco a doppio petto e con l'ampio cappuccio ben calato sul viso, ignorando afa e calura, si addentrò fra le rovine della chiesa. Con passo sicuro e felpato raggiunse l'unico arco a sesto acuto ancora intatto e lo attraversò senza però, riapparire dall'altro lato.

I suoi passi dapprima attutiti dal manto erboso, risuonarono nel corridoio di dimensioni monumentali, simile ad una navata di una chiesa con un alto soffitto a volta, sorretto da imponenti colonne marmoree sapientemente intarsiate.

Il corridoio era deserto a quell'ora e la figura raggiunse una doppia porta in legno massiccio senza che l'assordante rumore dei suoi passi la infastidisse. Avvertendo la sua presenza, le ante iniziarono a scorrere rivelando un ampio spazio rettangolare con muri rivestiti di pregiato e candido marmo. Lo sconosciuto premette il tasto in ottone con inciso il numero uno e subito l'ascensore iniziò a scendere nel sottosuolo.

La discesa fu breve e l'arresto fu annunciato da una voce asettica che disse:

«Primo livello. Amministrazione».

La figura dal volto ancora celato uscì e attraversò con sicurezza il corridoio spazioso con il pavimento in lucido marmo percorso da eleganti linee in giada. Le pareti in mattoni a vista bianchi incorniciavano alcune porte in legno massiccio con targhette d'ottone; al soffitto era stato applicato lo stesso incantesimo atmosferico vigente nella Sala Grande della scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.

Al termine del corridoio entrò senza indugio in un'altra stanza rettangolare, dove alla scrivania c'era una ragazza di trent'anni con corti capelli portati in un ordinato caschetto e grandi occhi scuri.

«Buongiorno Madama Thorne» la salutò, la voce dolce come un cinguettio.

«Buongiorno Harriet» ricambiò con voce squillante e chiara la figura che svelò finalmente il suo aspetto. Era una donna alta, giunonica che aveva da poco superato i quaranta. I chiarissimi capelli ondulati carezzavano il volto pallido e magro dai lineamenti morbidi ma austeri, gli occhi azzurri erano come sempre vividi e attenti.

«Il mio appuntamento è già arrivato?» chiese guardando la porta davanti a sé, ovvero quella del suo ufficio privato su cui era affissa una targhetta in ottone che recitava: “Sibeal Theodora Thorne – Capo dell'ufficio Auror e Preside della Magica Accademia per Auror”.

Harriet Mitchell annuì gioviale.

«Sì, è dentro che l'aspetta».

La donna fece un cenno affermativo con la testa «Bene. Non voglio essere disturbata, a meno che Merlino stesso non appaia sulla Terra il resto dovrà aspettare. Chiaro?», la ragazza annuì nuovamente seria.

L'ufficio di Sibeal Thorne aveva lo stesso pavimento in marmo intarsiato del corridoio così come le pareti candide a mattoni, occupate però da ben due librerie piene di tomi e volumi – diversi di dubbia provenienza – un'ampia finestra incantata stava alle spalle della scrivania in legno pregiato. Proprio di fronte a quella scrivania sedeva un uomo dall'età avanzata, i lunghi capelli resi candidi dal tempo scendevano compostamente sulle spalle e lungo la schiena, sul naso adunco e rotto erano posizionati un paio di occhiali a mezzaluna e dietro le lenti due vividi occhi azzurri, intelligenti e presenti, che molto avevano visto e molto ancora vedevano.

«Buongiorno Sibeal» esordì affabile il Preside di Hogwarts accennando un sorriso divertito ed invitandola a prendere posto sulla sua comoda poltrona imbottita dietro la scrivania.

«Professor Silente!» disse con affettuosa cordialità la donna sedendosi e ricambiando il saluto «Perdonami per l'attesa».

L'anziano preside fece un lieve cenno con la mano «Ah, non ti scusare, con tutte responsabilità che hai, anzi perdona me per averti anticipato ed essermi messo comodo!».

«Ora professore lasciando da parte i convenevoli» riprese il capo degli Auror fissando dritto negli occhi il preside. Sibeal, ex Gryffindor e migliore del suo anno, prima allieva del compianto Moody e poi collega dell'attuale Ministro Shackelbolt, era una persona d'azione, volitiva ed energica puntava dritta al nocciolo della questione, lasciando i lunghi discorsi e i larghi giri di parole alla politica.

«Notizie dal nostro contatto?», chiese osservando intensamente il suo interlocutore. L'anziano mago annuì meditabondo lisciandosi la lunga barba;
«Non sono buone notizie Sibeal. La nostra cara amica ha confermato i miei sospetti: Percival Cavendish è stato ritrovato morto non lontano da confine russo. Il suo potere magico è stato completamente prosciugato. Il Ministero Russo sta indagando, ma pensano che non sia stato ucciso lì, ma che il cadavere sia stato abbandonato per depistare gli Auror».
«Dannazione! È già il terzo Necromante scomparso nel giro di tre anni, rapito in Gran Bretagna e morto in suolo straniero! Possibile che gli sforzi congiunti dei miei Auror e quelli stranieri non siano serviti?!» disse stanca e frustrata. Per l'ennesima volta aveva fallito, tutti gli sforzi non erano serviti a nulla, nemmeno i contatti di Silente erano riusciti a venire a capo di quella faccenda. Che ci faceva seduta in quell'ufficio quando tutte le risorse a sua disposizione si rivelavano insufficienti?

«Comprendo, mia cara, la tua frustrazione» disse il preside calmo, intuendo tutto «A quanto pare si stratta di qualcuno davvero abile, il mio contatto non è riuscita a percepire nemmeno la più flebile traccia magica dell'assassino, nulla. È stata magistralmente nascosta, ora è chiaro che chiunque sia questa persona ha bisogno di un Necromante per il suo fine, e dato lo stato di magia praticamente nullo del morto, possiamo intuire che l'evocazione richieda un'immensa energia e potere... Percival Cavendish era uno degli ultimi discendenti di una delle più potenti famiglie di Necromanti, morto lui, l'assassino avrà bisogno di tempo per trovare qualcuno che sia più forte persino di un Cavendish.» concluse l'anziano meditabondo.

«Questo – quanto meno – ci concede del tempo» disse la Auror recuperando la sua fredda logica «Aumentiamo la guardia alle frontiere, dovrò implementare la sorveglianza nei cieli, sopratutto mete verso l'Europa Orientale», Silente annuì concorde «Inoltre chiedere alla Corporazione di mandare il nostro nuovo giovane alchimista a cercare informazioni... Impossibile che nei bassifondi nessuno sappia» terminò convinta.

«Come se la sta cavando?» chiese a quel punto Silente interessato. Sibeal stirò le labbra in un sorrisetto soddisfatto:

«E' bravo. Lo devo ammettere, lo scorso mese grazie alle sue informazioni abbiamo sgominato un traffico illegale di Veela. Se la sa cavare»; il preside annuì.

«Sibeal, ti chiedo di prestare molta attenzione a ciò che si muoverà da qui in avanti», l'azzurro dei suoi occhi si incupì e l'espressione si fece seria. Il capo degli Auror comprese che qualcosa angosciava il vecchio Silente e ciò che preoccupava Albus Silente doveva preoccupare tutti loro.



Era mezzogiorno in punto quando un fuoco smeraldino animò uno degli scuri camini del Ministero della Magia e quattro giovani Auror vennero “sputati” letteralmente fuori. I tre ragazzi e la ragazza emanavano un odore tremendo e i loro abiti sembravano aver visto giorni decisamente migliori.

«Questa è l’ultima volta! L’ultima dannatissima volta che seguo la tua folle idea Weasley! Porco Salazar!» trillò la voce graffiante di Tracey Davis. Le sue labbra carnose si arricciarono in una smorfia di puro disgusto annusando l’olezzo che permeava la sua divisa.
«Sapete quanto mi costi dare ragione a Cy - la ragazza lo fulminò - ma davvero Ron, le fogne?» disse Anthony Goldenstein osservando svagato i suoi due compagni di squadra, che in quel momento si contorcevano indolenziti, nel vano tentativo di alzarsi.
«Ragazzi erano goblin, devo aggiungere altro? Non mi pare che a nessuno di voi due brillanti fosse venuto in mente un piano migliore», ridacchiò Ron tendendo una mano al proprio capitano. Harry Potter accettò l'aiuto del suo migliore amico e con un colpo di reni fu in piedi; guardò la sua squadra con un gran sorriso, soddisfatto della missione appena conclusasi.

«Beh Cy puoi sempre mandare il conto della lavanderia a Ron» commentò gioviale il Capitano della squadra Antares.

«Ehi, grazie mille!» sbuffò l'ex compagno di casa assestandogli un'amichevole pugno sul braccio.

«Ci puoi contare Weasley», gli occhi verde-oro di Tracey si illuminarono di un baluginio poco rassicurante. «Morgana sa quanto io desideri un bagno!», sospirò scuotendo i folti capelli scuri che le sfioravano le spalle.

«Mi spiace per te, ma come mio Vice sai bene cosa ci tocca fare ora», ricordò Harry guardando divertito il broncio snob che comparve sul volto scuro e affilato della collega.

«Per Salazar non possiamo far sgobbare un elfo al posto nostro!?» si lamentò la ragazza facendo fremere il suo nasino, irritata.

«Stein, Ron andate pure. Io e Cy andiamo a compilare subito il rapporto» dichiarò Harry afferrando l'amica per le spalle e dirigendosi verso gli ascensori.

«Divertiti Cy!» dissero in coro Anthony e Ron sghignazzando mentre Tracey – da brava serpe – mostrò loro un elegante dito medio.

«Che dici? Si va diretti a casa?» gli chiese Anthony facendo ruotare le spalle, avvertendole particolarmente contratte. Ron annuì mentre il castano vivace dei suoi occhi si ammorbidì.

«Quando torna—?»

«Domattina se non mi sbaglio – rispose immediatamente il rosso con evidente emozione – e vorrei mi trovasse in condizioni decenti».

Ridendo i due Auror si smaterializzarono, lasciandosi alle spalle il Ministero e la sua burocrazia.


«Sai, inizialmente pensavo che mi avessi nominata Vice per le mie numerose e innate qualità – Harry sollevò perplesso un sopracciglio – e invece era solo per non riempire le scartoffie da solo» borbottò caustica Tracey facendo ridacchiare il suo capitano.

«Finalmente hai scoperto il mio diabolico piano, eddai Cy io ho piena fiducia nell— come le hai chiamate? Ah sì, numerose e innate qualità, so che un giorno si manifesteranno una ad una» replicò ghignante, avvolgendole un braccio intorno alle spalle.

«Oh e vaffanculo Potter, che ti ci possa annegare nelle tue scartoffie!». Andarono avanti così a punzecchiarsi finché non raggiunsero l'Ufficio Auror.

Molto più ampio, ordinato e arioso di un tempo e con un incanto atmosferico sul soffitto, il Quartier Generale degli Auror era a quell'ora poco trafficato: chi era fuori in missione, chi semplicemente in pausa pranzo, mentre qualche assistente di ricerca correva qua e là a lasciare fascicoli e appunti appena redatti nelle varie scrivanie.

«Ciao Harry, ciao Tracey!» salutò gioviale ma sempre di corsa Declan Masen, uno dei più giovani e capaci assistenti di ricerca che lavorasse per gli Auror, tutti cercavano sempre di accaparrarselo per le indagini.

«E se—?» sussurrò la ragazza osservando Harry con sguardo luccicante e mellifluo.

«Non chiederemo a Declan di fare il rapporto per noi» per tutta risposta Tracey sbuffò rumorosamente.

«Ah ragazzi, il capo è qui» sussurrò il giovane Masen, mentre le teste dei due Auror si sporsero alla velocità della luce nel corridoio per vedere di che umore fosse la temibile Sibeal Thorne.

Lo donna uscì un secondo più tardi dal suo secondo ufficio – non era un segreto per nessuno che spesso preferiva lavorare nel suo altro ufficio presso l'Accademia e che la sua presenza al Quartiere generale di solito era un presagio per nulla rassicurante – l'espressione crucciata, seguita da un paio di Auror, che i due ragazzi riconobbero come il Capitano e il Vice della squadra Alnair. Dalle espressioni sfatte se non depresse dipinte sui loro volti qualcosa sicuramente non stava andando per il verso giusto.

«Berenice – cominciò Harry riferendosi al capitano di solo un anno più grande di lui – mi ha confidato che hanno perso anche il terzo Necromante sparito qualche tempo fa», Tracey annuì seria e pensierosa; «E non era un Necromante qualsiasi, era un Cavendish. Certo non fa parte delle Ventotto ma è comunque un cognome con il suo peso fra i Purosangue. Prevedo rogne». L'ex Gryffindor si trovò concorde. Per un breve, inconsistente attimo avvertì una sensazione sul fondo dello stomaco che non provava più da molto tempo.

«Potter, Davis – li salutò Sibeal Thorne – ma che?», si fermò un secondo sconvolta dall'odore penetrante era dir poco, che emanavano.

«Dove vi siete cacciati, nelle fogne?»

«Ci può scommettere Madama!» sbuffò la ragazza, mentre Harry si schiaffava una mano sul volto.

«Spero che ne sia valsa la pena» replicò con un sorrisino divertito.

«Fortunatamente Madama!» ghignò Harry «Ma l'auror Davis non ha comunque gradito».

Il Capo degli auror se ne andò, abbandonandosi per almeno qualche attimo a una lieve e genuina ilarità.

«Quanto ci va ancora? Voglio un letto! Anzi no prima una doccia, ancora meglio un bagno caldo—»

«Cy meno chiacchiere e lavora. Non sei l'unica che vuole andarsene a casa».

«A proposito con chi l'hai lasciata in questi tre giorni?» chiese Tracey ammorbidendo appena tono e sguardo.

«Con Tonks! A lei fa piacere e Teddy ha qualcuno con cui giocare. Quindi muovi quelle tue adorabili mani e finiamo il rapporto». Tracey lo osservò con attenzione unito ad un piccolo ghigno e si rimise sul rapporto; nel suo intimo ammirando il proprio capitano per la scelta che aveva preso ormai quattro anni prima.


Harry uscì dal Ministero della Magia un paio d'ore più tardi, lui e Tracey avevano perso tempo a cavillare sui dettagli della missione e erano finiti, come sempre, a sfottersi vicendevolmente sulle loro visioni differenti. Gryffindor e Slytherin tutta la vita.

Sorridendo si smaterializzò e riapparve davanti a una graziosa casa a schiera a Finsbury Park, non lontano dal grande parco omonimo. La casa dove Remus e Nymphadora Tonks-Lupin avevano deciso di iniziare la loro nuova vita insieme.

Un delicato e curato glicine bianco rampicante adornava il portoncino d'ingresso che Harry – dopo aver suonato – varcò col cuore in tumulto.

«Harry!» lo salutò allegra Tonks inciampando (come di consueto) su un giocattolo del figlio e volando fra le braccia dell'amico che la resse prontamente.

«Tutto bene Tonks?» ridacchiò lui con reale calore negli occhi smeraldini.

«Ah santissima Helga!» disse la donna scostandosi i lunghi capelli rosa cicca acconciati in una morbida treccia laterale che contribuiva a dare al suo viso, a forma di cuore, un'espressione ancora più materna.

«Nymphadora tutto bene?» la voce morbida e pacata di Remus li raggiunse prima della sua figura. Alto, con un aspetto molto più sano e vigoroso rispetto agli anni bui della guerra nonostante i folti capelli striati da qualche ciocca argentea, e con gli occhi di un delicato verde più vividi che mai si accostò alla moglie, che sbuffò sonoramente.

«Non mi chiamare Nymphadora, Remus!». Remus fece l'occhiolino a Harry mentre si chinava a baciare dolcemente la guancia dell'adorata e suscettibile compagna.

«Ciao professore!» disse l'auror abbracciandolo con calore, alludendo al fatto che l'amico avesse ripreso – su insistente richiesta di Silente – il suo ruolo di professore di Difesa contro le arti oscure nella scuola di Hogwarts da quando la guerra era terminata.

«Puzzi – notò Lupin con una smorfia visto il suo olfatto alquanto sviluppato – e parecchio».

«Ron ha avuto la brillante idea di farci nascondere nelle fogne per due giorni» replicò roteando gli occhi.

«Quando lo stratega ha un piano—» ridacchiò Dora ben sapendo cosa significasse quando lo stratega della squadra ideava piani solitamente non graditissimi al resto dei componenti.

«Già» sospirò il moro.

«Non ti fermi per cena quindi?»

«Vi appesterei casa» si passò una mano fra i crini indomabili «Na, recupero la scimmietta e filiamo dritti in doccia, quanto meno io» si guardò attorno «Dove sono i bambini?».

«Oh in camera, Merlino solo sa cosa stanno combinando – disse la donna gioviale – Bambini! Venite a vedere chi è arrivato!».

«Harry!» gridò euforica una bambina di non ancora cinque anni, correndo giù per le scale. I folti capelli mossi le danzavano sulle minute spalle, erano di un inusuale quanto perfetto bianco, tanto che pareva fosse circonfusa di luce; gli occhi scuri e brillanti a cui Harry aveva fatto tanta fatica ad abituarsi lo guardavano con genuina adorazione, mentre gli si gettava fra le braccia.

«Mi sei mancato!» disse tutto d'un fiato, allacciando le piccole mani dietro il suo collo.

«Mi sei mancata anche tu Del».

«Ciao zio Harry!» Edward “Teddy” Lupin, cinque anni da qualche mese e comunque alto per la sua età, lo salutò con lo stesso tono caloroso del padre. I suoi occhi quel giorno erano azzurri come quelli della madre, mentre i folti capelli erano di un bel prussia.

«Ehi Teddy!» disse afferrandolo e stringendoselo contro, mentre con l'altro braccio teneva la bambina.

«Restate per cena?» chiese ansiosamente, ma l'auror gli sorrise facendo diniego col capo.

«Perché no Harry?» si lamentò con la sua voce cristallina e decisa la piccola fra le sue braccia.

«Perché puzzo Del!» poco dopo infatti la bambina arricciò infastidita il suo elegante nasino cosparso da poche ma scure efelidi. «Prometto che verremo a cena presto, quando parti per Hogwarts, Remus?»; a quella domanda i due bambini sgranarono interessatissimi gli occhi, la scuola di magia aveva sempre attratto moltissimo i due, più di una volta il piccolo Lupin aveva pregato in ginocchio – letteralmente – il padre di portarlo con sé.

«Tra una settimana, facciamo mercoledì?»

«Andata! Ora saluta scimmietta, è tempo di andare a casa».

«Ciao Tonks, ciao Remus grazie – fece la piccola – ci vediamo presto Teddy!» trillò allegra, senza staccarsi dal corpo dell'auror. Teddy saltellò contento nel salutarli.

«È stato un piacere come sempre Delphini».

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Tracey Belvina Davis

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Benvenuti nel Dreamcatcher's Corner!

Allora alcune informazioni di servizio prima di inoltrarci in questa nuova fantastica avventura di cui tutti sentivano certamente la mancanza, IO, io ne sentivo la mancanza.
1- Ad eccezione di alcuni fatti, questa storia segue l'universo canon dei libri fino al 7°. I fatti in questione riguardano:
2- Silente non è morto, ha solo inscenato la propria dipartita per permettere a Harry e Voldemort di andare incontro al proprio destino; per questa fic sentivo ancora la necessità di avere l'anziano ed enigmatico Preside al fianco di Harry&co.
3- Per quanto riguarda Delphini, non ho letto The Cursed Child, ma - spulciando in vari siti - la trovo un personaggio interessante, sopratutto mi piace l'idea di provare ad esplorare il suo rapporto con Harry all'interno della fic, ma anche attraverso altri scritti a loro dedicati.
4- Remus e Tonks sono vivi. Io li amo semplicemente troppo per lasciarli nel regno dei morti, la mia è una scelta puramente egoistica.
5- Ci saranno personaggi conosciuti - sia personaggi solo nominati nei libri - che ho deciso di approfondire e fare "miei" e altri personaggi totalmente inventati dalla sottoscritta. La loro storia si dipanerà piano piano negli eventi di questa fic.

6 - Al momento non mi viene in mente altro ma spero di avervi incuriosito! Ci vediamo al prossimo capitolo!


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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


02 Capitolo 2 "In omnia paratus"



Daphne Vesper Greengrass, la cui bellezza negli anni era solo che aumentata di pari passo alla grazia, sollevò il perfetto sopracciglio scuro che sparì oltre la corta e sbarazzina frangia biondissima, osservando con spirito critico la scena che stava davanti agli occhi color ghiaccio.

Ron Weasley e Anthony Goldenstein, in pantaloncini e maglia a maniche corte uno, boxer e canottiera l'altro, bellamente addormentati sul divano testa fulva contro testa bionda, “graziosi” fu il sarcastico pensiero.

Sospirando l'ex Slytherin, appena tornata da un viaggio di lavoro, si mosse e accarezzò dolcemente la testa di uno dei due.

«Ciao amore, o dovrei dire buonanotte?» soffiò ghignante.

«Daph—» sospirò Ron Weasley sollevando le palpebre e mettendola a fuoco, mentre un sorriso talmente dolce e genuino da sembrare quello di un bambino davanti a un regalo si allargò sul volto piacente e squadrato. «Pensavo tornassi domattina» disse sorpreso alzandosi e sovrastandola di una buona testa col suo fisico slanciato ma tonico.

«Sorpresa» sussurrò accostandosi a lui e rabbrividendo intimamente d'aspettativa, nonostante il tempo Ron continuava a farle quell'effetto: la faceva sentire debole.

«Ti mancavo dì la verità» replicò lui baciandole il capo, Daphne gli si strinse contro «Come vuoi» disse solamente, non volendo concedergli una briciola di potere in più ma tradendosi poi con i gesti. L'auror ridacchiò conoscendo bene la fidanzata – come testimoniava l'anello con un notevole rubino dal taglio squadrato, che portava fieramente all'anulare sinistro e appartenuto prima a Molly Weasley –, senza attendere altro la prese fra le braccia portandola nella loro camera.

«Se Stein soffre di mancanza d'affetto può dormire abbracciato al mio borsone» fu l'ultima cosa che disse Daphne prima che il suo fidanzato chiudesse la porta alle loro spalle.


Harry terminò di curare la leggera barba scura che gli ricopriva la mascella affilata, aveva dovuto fare almeno due docce per levarsi di dosso l'olezzo di fogne e troll. Asciugò velocemente con l'asciugamano i capelli nerissimi e ribelli che gli arrivavano ormai all'altezza delle orecchie, decisamente il taglio militare degli anni dell'accademia non faceva per lui e indossò una maglia a maniche corte e un paio di comodi pantaloni della tuta, pronto per la serata in famiglia che lo aspettava.

«Harry! Ci sei?» lo chiamò impaziente Delphini. Finalmente dopo tre giorni aveva l'ex Gryffindor tutto per lei.

Il mago la trovò avvolta nel plaid grigio, sul grande divano a ferro di cavallo beige nel soggiorno di Grimmauld Place – ora molto meno cupa grazie ad un enorme e dispendioso lavoro di epurazione e ristrutturazione che, anche con mobili in legno chiaro e tinte tenui, aveva reso l'antica casa dei Black più luminosa ed ariosa –.

«Eccomi eccomi» ridacchiò il ragazzo mentre si lasciava cadere al suo fianco e prendeva il telecomando per far partire il film. La bambina con indosso un adorabile pigiama con tante scimmiette stilizzate si accoccolò al suo fianco stringendo il pupazzo del Tuono Alato, regalatogli proprio dal suo tutore e per questo il suo preferito.

«Cosa guardiamo?» chiese curiosissima.

«Il Re Leone». Delphini allargò gli occhioni scuri e si voltò tutta eccitata verso la tv, nonostante non avesse la più pallida idea di che cartone animato fosse.


Harry sciolse delicatamente l'abbraccio della bambina e la fece scivolare sul lettino della sua camera, mentre tenui bagliori erano emessi dalle costellazioni magiche dipinte sulle pareti.

«Harry...» lo chiamò con voce impastata e sottile.

«Sì?» disse il ragazzo accucciandosi.

«Anche il mio papà è morto come il papà di Simba?» mormorò ad un passo dall'abbraccio di Morfeo. A quelle parole il non più Bambino sopravvissuto si irrigidì, deglutì e sospirò pesantemente.

«Sì scimmietta, il tuo papà non c'è più – sussurrò accarezzandole piano la chioma candida – ma ci sono io a prendermi cura di te» la bambina chiuse gli occhi e si abbandonò a quel tocco.

«Ci sarai sempre?» mormorò ormai addormentata, «Fin quando tu vorrai».

Harry si richiuse la porta alle spalle e si massaggiò la radice del naso inquieto. Un giorno avrebbe dovuto dirle la verità. Quel giorno avrebbe dovuto dirle che la persona che aveva spezzato la vita di suo padre era lui.



L'alba era sorta da poco, con la sua tiepida luce e l'aria fresca che accarezzava, svegliando, i volti di diversi babbani la cui unica colpa era quella di avere un lavoro che cominciava prima di molti altri. Il volto di una persona in particolare era celato da un ampio cappuccio foderato di pelliccia; camminava sicura ma con fretta, quasi impazienza e si infilò svelta in un bar in voga fra la popolazione di Belgrado, piccolo ma curato con delle brioche che erano la fine del mondo, si diceva.

La donna si sedette su un tavolino appartato, lontano dalle finestre e finalmente scoprì il capo. Trent'anni ancora da compiere e bella, con il viso magro dai lineamenti delicati e aristocratici, possedeva un'aria distinta ed elegante e la sua sola presenza era bastata ad attirare l'attenzione di chi la circondava.

Poco dopo un'altra ragazza, più giovane, entrò nel locale e prese posto davanti a lei senza indugio.

Si tolse lo scuro cappello a tesa larga e una cascata di selvaggi capelli castani inondò il volto fine e allungato di Hermione Jean Granger. Gli occhi nocciola si scaldarono appena incontrando quelli intensi e irrequieti della donna sedutale davanti.

«È da molto che aspetti—?», l'altra negò muovendo appena il capo e stirò le labbra piene in un lieve sorriso. Hermione osservò pensosa che era dimagrita ancora e dal modo in cui una mano si aggrappava disperata all'altra – su cui spiccavano una spessa fede d'oro e un grosso anello con uno stemma familiare portato sul mignolo – capì che la situazione, per lei, stava facendosi pesante.

«Tess?». L'altra si riscosse e raddrizzò le spalle altezzosa.

«Non ho molto tempo, si stanno muovendo Hermione. Dopo il fallimento con Cavendish hanno deciso di agire in un altro modo. Non ho ancora capito come, ma c'è un certo fermento.»

«Hanno rinunciato all'idea di un Necromante?» chiese Hermione attenta.

«No. Cavendish era ciò che cercavano, il suo errore, passami il termine, è che non poteva fare di più. Hanno frugato nei suoi ricordi e hanno trovato chi puntare questa volta – l'ex Gryffindor annuì gravemente – sono disposti ad essere pazienti».

«La bambina?»

«Potrebbe essere uno dei prossimi obiettivi, sì» rifletté seria la maggiore.

Hermione le sfiorò la mano e i suoi occhi blu si ammorbidirono pieni di gratitudine, fu per pochi istanti poi il suo sguardo si fece distaccato e altero. «Hermione stai attenta. - l'avvertì alzandosi – Dì a Silente che cercherò di farvi avere informazioni il prima possibile», lasciò intatti caffè e brioche e quando uscì dal locale babbano non era più “Tess” ma di nuovo Therese Travers devota moglie di un Mangiamorte.


Hermione si accasciò stancamente sulla poltroncina, sorseggiando il suo Earl Grey. Un'inquietudine sempre più pressante aveva cominciato a strisciarle lungo la spina dorsale negli ultimi tempi e con essa la consapevolezza che la scelta fatta quattro anni prima era stata quella giusta per quanto sofferta.

Un riflesso luminescente attraversò le sue iridi e senza voltarsi verso l'ampia vetrata seppe che un grosso corvo nero si era appollaiato e la stava osservando.

Il sole aveva iniziato a scaldare pacatamente quella pigra mattina, aveva ancora un po' di tempo, si disse, e forse presto sarebbe anche giunto il tempo per lei di tornare a casa.


I raggi solari del mattino ormai inoltrato penetravano dalla finestra ed illuminavano la stanza dall'apparenza spartana ma in realtà semplice ed elegante.

Sul letto, disteso a supino un ragazzo di vent'anni sonnecchiava apparentemente tranquillo, alcuni ciuffi serici e chiarissimi scendevano scompigliati sulla fronte spaziosa e sul viso dai tratti affilati e distinti, le palpebre pallide tremolarono e lentamente si sollevarono rivelando un paio di liquidi occhi grigi. Infastidito dalla tiepida luce, Draco Lucius Malfoy si coprì il volto assonnato con la mano diafana, gemette e si girò su un fianco ben deciso a tornarsene a dormire, ma un lieve bussare alla porta lo fece desistere dal suo intento.

«Draco? È arrivato un gufo con una lettera per te, sembra urgente, scendi a fare colazione»; la voce pacata e cristallina di Narcissa Malfoy lo svegliò completamente. Senza aspettare risposta da parte del figlio la donna se ne andò, lasciandolo svegliarsi con calma anche se con i nervi già a fior di pelle.

L'ex Slytherin si alzò stiracchiandosi per bene, allungando tutti i muscoli intorpiditi. Uscì da quella che da più di tre anni era diventata la sua stanza e si diresse nel piccolo – ma personale – bagno; immerse direttamente il viso sotto il getto gelato del rubinetto e questo lo aiutò a togliersi definitivamente il torpore del sonno di dosso, anche se questo non lo aiutò a rilassare l'espressione tesa che gli aveva deformato i lineamenti. Era preoccupato Draco Malfoy. Era passato meno di un mese dal suo ultimo lavoro, pensava che avrebbe avuto più tempo per rilassarsi, per togliersi di dosso quel marcio che continuava a portarsi dietro, a gravare su di lui da più di tre lunghi anni. Era stanco ma quella restava la sua unica possibilità.

Scese nel grazioso soggiorno con l'espressione più mite ed indifferente possibile, cercando di nascondere almeno a sua madre la stanchezza.

Dopo la caduta dell'Oscuro quello che restava della famiglia Malfoy, ovvero madre e figlio, si era trasferita in un piccolo ma confortevole attico a Diagon Alley, dato che ogni loro proprietà, compresa Malfoy Manor, era ancora sotto sequestro come la metà dei loro fondi.

Come mise piede in cucina una tazza di caffè scuro e senza zucchero levitò verso di lui.

«Buongiorno nipote» lo salutò gentilmente Andromeda Tonks, seduta elegantemente sulla sedia, in mano la Gazzetta del Profeta di quel giorno e nell'altra una tazza di caffè amaro come il biondo nipote, una buffa somiglianza che la faceva sempre sorridere.

«Zia, buongiorno.» salutò educatamente Draco prendendo posto accanto a lei e davanti a sua madre.

In quei pochi anni alcune cose erano profondamente cambiate, dopo la scomparsa di quel vile di suo padre, sua zia Andromeda vedova e ripudiata fin a quel momento dall'intera famiglia Black – escluso il defunto Sirius – si era presentata difronte alla sorella minore con sguardo disarmato e mani tese.

Narcissa, con il fiero contegno coltivato gelosamente in anni, si era aperta alla sorella, si erano riconosciute nonostante le scelte, i tradimenti, la rabbia, le convinzioni differenti. Erano le ultime Black, appartenevano ad un'altra vita loro due e l'una accanto all'altra cercavano di tenere insieme ciò che restava delle loro esistenze spezzate.

Non l'avrebbe mai ammesso ad alta voce ma sua zia Andromeda gli andava stranamente a genio: la sua eleganza e raffinatezza era pari a quella di sua madre malgrado l'aspetto più simile alla folle Bellatrix, ma la dolcezza nello sguardo e la sua arguzia faceva sì che il biondo apprezzasse la sua compagnia, sopratutto durante le lunghe partite a Scacchi Magici che si concedevano ogni volta che potevano.

«Meda, oggi vedi Nymphadora e Teddy?» chiese Narcissa che negli anni – sforzandosi – era riuscita ad accettare quella sua stravagante nipote, così come l'adorabile figlioletto.

«Nel pomeriggio, Cissy. Tra un paio di settimane Dora riprende il servizio e Remus parte fra una settimana per Hogwarts. Se vuoi unirti sei la benvenuta» la invitò infine con reale calore nelle iridi scure.

«Riprende il suo posto come Auror, e Teddy?» domandò perplessa, in fondo il suo bisnipote aveva ancora cinque anni.

«Sarò nonna a tempo pieno. - replicò con un sorrisetto indulgente - Non è più come ai nostri tempi, mia cara, a Dora manca il suo lavoro, inoltre ora è una veterana ed è a capo di una squadra scelta, come Harry».

Al nome del vecchio rivale, Draco istintivamente strinse in uno spasmo la sua tazza, non si era certo dimenticato che la grazia che era stata concessa alla sua famiglia era merito di Potter. Il fatto di dovere qualcosa allo Sfregiato era un vero insulto per il suo animo superbo; la sua libertà, però, era stata comprata e le sbarre non erano certo quelle della prigione ma quelle di un debito... A volte pensava vigliaccamente – perché sapeva che se sua madre l'avesse saputo l'avrebbe ferita a morte - che sarebbe stato meglio essere morto quel giorno, nell'inferno del fuoco maledetto nella Stanza delle Necessità.

«Draco, caro? Tutto bene?» domandò Narcissa notando l'espressione assente del figlio. Come sorpreso a fare qualcosa che non doveva il giovane trasalì di colpo, scrollandosi di dosso quell'espressione vitrea «Sì madre, ero solo sovrappensiero. La lettera di cui parlavate prima?» disse cercando di recuperare un minimo di parvenza austera. Sua madre sospirò, capendo chiaramente che suo figlio non si sarebbe mai lasciato andare con lei. In silenzio gli consegnò la busta, il sigillo in ceralacca color rame era davvero particolare: tre nastri che si legavano formando un unico nodo.

Il ragazzo la aprì velocemente, senza curarsi dell'involucro, che finì stracciato sul tavolo di vetro e altrettanto rapidamente la lesse.

Tenne un'espressione neutra, ma il contenuto era proprio ciò che temeva e aspettava: un'altra missione. La missiva era breve e sbrigativa, con istruzioni precise e da lui ci si aspettava risposte nel minor tempo possibile.

«Draco è

«Sì».

«Tutto bene caro?» chiese dolcemente Andromeda. Il biondo espirò pesantemente alzandosi dalla sedia. «Sì, non vi preoccupate. Vado da Theo per pranzo, non mi attendete per cena, madre, zia» disse salutandole con un cenno prima di smaterializzarsi in camera per prepararsi.

Una volta sparito il figlio, Narcissa tirò su debolmente col naso coprendosi il volto con la mano diafana ed affusolata - in quei momenti pareva invecchiare di anni - Andromeda la afferrò e tenendola fra le sue l'allontanò dal volto.

«Cissy. Non ti angustiare così... Te ne prego...» cercò di consolarla la sorella.

«Oh, Meda come faccio? Ho condannato mio figlio, io e Lucius l'abbiamo privato della libertà una volta e ora...» non riuscì a continuare. Andromeda le strinse forte la mano per infonderle coraggio. Col pensiero volò al nipote e sperò che la sua forza, che lui non sapeva ancora di possedere, non l'abbandonasse.


Draco si strinse nel cappotto scuro, non completamente pronto all'aria fresca e tersa dello Berkshire. Distolse lo sguardo velatamente nostalgico dallo specchio d'acqua perfettamente piatto e attorniato dalla rigogliosa foresta cangiante, teatro di tante avventure infantili, per dirigersi verso l'elegante ma ormai fatiscente Nocturngate Castle, dimora principale della famiglia Nott.

Vee, l'elfo personale di Theodore Nott, gli aprì ossequioso l'imponente portone d'ebano riccamente decorato facendolo accomodare nel candido ingresso circolare. Sulle scale la figura tremula e raffinata, così simile a un fiore pienamente sbocciato e ora ad un soffio dallo sfiorire, di Aspasia Nott, che nel vedere Draco aprì le sue labbra scure e lucide in sorriso spezzato quasi desolato.

«Lady Nott» la salutò rispettosamente il giovane.

«Mio caro Draco, è sempre una gioia averti qui – nel dirlo afferrò le mani di lui quasi aggrappandovisi –, Theo è nello studio, è sempre così impegnato... non ha mai tempo per la sua povera madre», la sua voce pareva provenire da molto lontano e strisciava con fatica per arrivare all'orecchio dell'ascoltatore. Somigliava ad un continuo e basso lamento funebre.

«Ha molte cose a cui pensare, lo sapete Aspasia» replicò Draco con gentilezza scivolando via dalle sue mani ancora intoccate dal tempo. Gli occhi della donna lo fissarono per un momento poi si fecero vacui e la sua trascendente figura se ne andò come se veleggiasse.

Vee lo condusse fino allo studio, un tempo appartenuto a Lycus Nott padre dell'attuale occupante.

«Hai visto quel fantasma ambulante di mia madre?» lo accolse la calda voce del suo migliore amico. Malgrado il tono pacato traspariva un pesante sarcasmo, d'altronde il sarcasmo era sempre stata una delle qualità migliori di Theodore Nott.

«Già, pare ancora sotto shock—» sbuffò Draco accomodandosi sulla poltrona verde bottiglia.

«Quella è una vita che è sotto shock» replicò con calma spietata Theo sollevando le iridi castane dalle carte che ingombravano la pesante scrivania scura.

Draco ridacchiò mentre si serviva da solo del Whisky Incendiario; «Allora come vanno i preparativi per il lieto evento?».

«Ah Morag ha demandato tutto ad un'organizzatrice, non vuole distrarsi dal lavoro per una questione così futile» gli rispose Theo prendendo posto nell'altra poltrona e facendosi servire da Draco del Whisky. Il biondo notò come un sorrisetto divertito aleggiava sulle labbra del futuro sposo.

«E a te sta bene?», il sorriso di Theo divenne obliquo.

«Io ho alzato le mani e le ho detto semplicemente di dirmi dove e quando». Draco emise un piccolo sbuffo a metà fra l'incredulo e il divertito; aveva sempre apprezzato l'approccio flemmatico alla vita dell'amico, ma stavolta in quelle iridi scure e irriverenti scorse qualcosa di interessante.

«Mmm, lei ti piace dopotutto». Theo non rispose preferendo sorseggiare il suo drink e Draco comprese che non era ancora giunto il momento per lui di aprirsi su quella “spinosa” questione.

«Come va il lavoro, Mal?» dirottò a quel punto il bruno – erano sempre stati bravi a colpirsi a vicenda, dove era più scomodo.

«Ahah. Ho ricevuto un altro incarico stamattina e no non ho voglia di parlarne» chiarì sbattendo il basso bicchiere di cristallo sul tavolino rovinato e scuro.

«Perfetto. Che ne dici se non parliamo affatto e andiamo a farci una sana cavalcata?» ghignò il padrone di casa.

«Direi che sono qui per questo Theo».



Mikayla Jane Cavendish si svegliò di soprassalto quella mattina. L'ondulata chioma ramata a coprirgli il bel volto. Si mise a sedere in attesa e per quasi un lungo, eterno minuto rimase immobile seduta, le iridi nocciola puntati insistentemente verso la porta, sperando che il suo adorato papà la aprisse con il suo solito sorriso spensierato e amorevole per darle della pigrona e incitandola a scendere che la colazione era pronta da un pezzo.

Invece nulla. Quella porta, Mikayla lo sapeva bene ma era tremendamente difficile da accettare, non si sarebbe mai più aperta. Suo padre era morto. Quel pensiero la colpì come un pugno alla bocca dello stomaco, si piegò su se stessa lottando contro le lacrime che le pungevano fastidiose gli occhi e i conati di vomito che le arrivavano violenti. Voleva urlare, rompere qualsiasi cosa ma non poteva, o avrebbe fatto agitare la sua povera mamma. Non poteva in alcun modo lasciarla sola in quel momento, non con i suoi parenti alle porte.

Per un attimo fissò il vestito nero e sobrio appeso all'anta del suo armadio. Lo odiava.

Il funerale di suo padre sarebbe cominciato appena prima di pranzo, non ci voleva andare, tutte quelle persone, la sua famiglia le odiava tutte in ugual modo.

Voleva il suo papà. Voleva che la stringesse che le dicesse che tutto si sarebbe sistemato. Ma lui non sarebbe venuto, lui non c'era più. Scoppiò in un breve pianto sommesso, che soffocò con dolore poiché nessuno doveva udirla, purtroppo non poteva più permetterselo.

Si alzò, e si diresse allo specchio e con meticolosa attenzione si tamponò gli occhi tremuli. Si truccò ma non cercò di ingentilire i lineamenti in quel momento induriti, fissò nuovamente l'abito. Per lei e per sua madre, doveva farlo.





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Daphne Vesper Greengrass

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Anthony Jasper Goldstein

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Rieccoci a fine del secondo e credo abbastanza denso capitolo! Come potete intuire i primi capitoli sono più che altro di presentazione, voglio dare una pennellata generale sulla vita dei vari protagonisti, in che contesto si muovono, la loro vita a fine guerra... e visto che mi sono presa varie "libertà" vorrei introdurvi in questo "nuovo" mondo, prima di cominciare a mettere troppa carne al fuoco - anche se qualcosa cominciamo a vedere.
Ora passo ad alcune "curiosità" di servizio:
- la ship Ron/Daphne è una mia personalissima fantasia, non chiedetemi come o perché ma me la "sento" dentro. Credo proprio che inserirò un missing moment su questi due che, insieme, mi piacciono troppo!
- Per quanto Blaise Zabini sia un personaggio che mi stia molto simpatico, per me è Theo Nott il vero bff di Draco (non me ne vogliate), ammetto che mi spiace che la Rowling non si sia mai soffermata sul rapporto che intercorre fra gli Slytherin, e siccome a me ha sempre affascinato molto, ho deciso di approfondire la loro amicizia.

Bene, detto ciò io vi ringrazio per essere giunti fino a qui! Ringrazio tutti coloro che hanno inserito la storia fra le preferite/seguite e continuate a farmi sapere la vostra opinione a riguardo! Grazie di cuore!

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


3

Capitolo 3 — “Si vis pacem para bellum”


L'ala spezzata era uno dei più vecchi pub di Nocturn Alley. La clientela era la più strana e variegata mai vista: ricettatori, piccoli criminali fra cui il vecchio Mundungus Fletcher, vampiri, avventori, goblin e folletti, persino demoni ed impuri; senza contare misteriosi individui dal volto nascosto, ma dietro i quali si celavano “rispettabilissimi” membri del Ministero e della comunità magica. Ma forse la stranezza del vecchio pub risiedeva proprio nel suo proprietario, Donovan Lennox.

Don – come veniva conosciuto e chiamato dai suoi clienti abituali – sembrava apparso dal nulla, proprio come il suo locale e nessuno conosceva le sue origini. Il fatto che da tempo immemore il suo aspetto rimanesse quello di un aitante quarantenne aveva fatto crescere attorno la sua figura le più disparate leggende e miti: si vociferava che fosse uscito direttamente dagli Inferi, altri vaneggiavano che fosse in realtà un demone senza clan, mentre l'ipotesi più gettonata era che fosse un vampiro. Donovan Lennox a queste voci non smentiva ne confermava, e anzi sentire quelle dicerie sul suo conto lo divertiva e contribuiva ad accrescere il fascino e la fama del suo pub.

La sera era calata da diverse ore su Nocturn Alley quando la porta massiccia e cigolante de “L'ala spezzata” si aprì lasciando che, per un momento, la vivida e chiara luce lunare inondasse l'ambiente solitamente cupo.

La figura che entrò indossava un mantello pregiato e calato sul volto un ampio cappuccio che lo rendeva irriconoscibile, si muoveva con una certa disinvoltura e si diresse subito su uno degli sgabelli squadrati difronte al bancone in legno d'ebano tirato a lucido.

L'ambiente del locale era ampio ma dal basso soffitto con travi in legno a vista color ambra, la luce era soffusa e data dai sparuti candelabri in cristallo scuro appesi al soffitto – opera dei folletti – il bancone era largo, a ferro di cavallo e posto al centro del pub, con alti sgabelli lungo i quattro lati, dietro un grande caminetto in pietra perennemente accesso e i tavoli anch'essi in ebano erano disseminati nel resto della stanza sul pavimento in cotto. Se poi uno cercava un po' di privacy, il pub aveva delle piccole salette private al piano superiore, con drappi color ottanio alle pareti, dove si svolgevano loschi affari e partite a poker con personaggi poco raccomandabili. Il suo proprietario, nonostante la clientela di malfamati, teneva maniacalmente alla pulizia e all'ordine: guai a creare confusione o risse.

Non appena la figura incappucciata si sedette, Don fece la sua comparsa dall'altro lato del bancone. Era un uomo alto e affascinante, con capelli folti e mossi castano scuro, occhi intensi e rapaci protetti – come sempre – da un paio di occhiali dalla sottile montatura d'oro e lenti sfumate gialle. Indossava una camicia bianca dall'aspetto pulito con le maniche tirate su fino ai gomiti che lasciavano intravedere molti tatuaggi dall'aspetto intricato: alcuni parevano rune celtiche, altri simboli mitologici nordici, altri ancora arabi.

«Non mi aspettavo di vederti così presto, Draco.» disse Don a mo' di saluto; la sua voce era sempre calda e vellutata. Aveva immediatamente riconosciuto il ragazzo; lui riconosceva sempre tutti e sapeva sempre tutto anche quali loschi affari venivano trattati nel suo pub, nulla gli sfuggiva.

Il giovane si tolse lentamente il cappuccio, visto che in quel momento il locale in quella serata estiva era poco frequentato: infatti c'erano solo una vampira dall'aria malconcia, un paio di avventori e un ricettatore che parlava fitto con un possibile cliente.

«Don, non ti emozionare. Non è che io sia esaltato di trovarmi qui» replicò l'ex Slytherin con aria a metà fra l'annoiato e lo scocciato.

«Cosa ti porto?» chiese l'altro con un ghigno ferino.

«Whisky Incendiario doppio, grazie»

«Non ti preoccupa il tuo fegato, giovane?» Draco gli riservò un'occhiata di sufficienza; «Cos'altro posso servirti?»

«Informazioni.» disse semplicemente il biondo e Don questa volta sorrise. Era qui per quel motivo. Ovviamente. Come quasi metà della sua clientela, a volte gli Auror stessi venivano a chiedergli informazioni e dritte; d'altronde il suo locale era terreno fertile per nuovi criminali e losche attività, non che a lui interessasse, ma le autorità erano disposte a pagare bene quando erano in crisi e non sapevano più dove sbattere la testa. Mezzo dipartimento Auror gli doveva dei favori per le sue dritte solitamente azzeccate.

«Capisco...» disse meditabondo mentre gli serviva il suo drink; «Così la Corporazione ti manda ancora a fare il lavoro sporco?» osservò divertito il proprietario, mentre il ragazzo non fece una piega. Non gli piaceva essere definito direttamente o indirettamente spia, detestava ciò che era diventato, ma questo faceva per pagarsi la libertà sua e della madre.

«Allora mi puoi essere utile o sto qui a perdere tempo?».

«Ehi. Porta rispetto ragazzo, sbaglio o le informazioni sul traffico di Veela erano esatte? Tu dimmi quello che ti serve e io vedrò se ho qualcosa per te...»

Draco iniziò a parlare piano, distrattamente lo sguardo rivolto al bicchiere di caldo liquore che aveva in mano, così da non attirare l'attenzione anche se il pub era mezzo vuoto.

«Necromanti. Ne è stato trovato uno morto in Russia qualche giorno fa... E non era il primo, mi chiedono di scoprire se qui è venuto qualcuno che potesse essere interessato o qualche traccia che possa aiutare gli Auror» Don fece vagare il suo sguardo scuro fra i pochi clienti che c'erano a quell'ora, in estate i loschi affari languivano o quasi, intanto il suo cervello lavorava frenetico.

«Il nome di questo tizio?»

«Cavendish».

Il barista sgranò gli occhi sorpreso ed erano poche le cose che riuscivano a sorprenderlo.

«Qualcuno ha ammazzato un Cavendish? Doveva essere in guai seri... Però ora che ci penso c'è qualcuno che è venuto a chiedere informazioni.»

«Chi?»

«Incredibile ma vero ma non li conoscevo. Erano in due: un tipo prestante col volto celato, si capiva che era straniero anche se il suo inglese era pressoché perfetto, ma si sentiva una lieve inflessione tipica di chi viene dall'Europa dell'est... Russia, Repubblica Ceca quei paesi lì, sembrava interessato agli studi magici sull'evocazione e così fra una frase e l'altra sono venuti fuori i Necromanti e che i Cavendish erano la famiglia più potente in circolazione... Purtroppo non gli ho visto il viso, ma posso dirti che era giovane, posso quasi azzardare che aveva la tua età, la seconda era beh incantevole ed Ibrida – Draco levò un sopracciglio verso l'alto – mezza sirena sicuro, alta, pelle esangue quanto quella di un vampiro – ragazzo – e occhi gialli. Lei non ha aperto bocca e si è limitata ad appendere un volantino lì sulla bacheca»

«Con chi ha parlato il tizio incappucciato?»

«Un cliente abituale, un ex professore di Storia della Magia ormai in pensione, un porco a cui piace fissare la mia cameriera...»

«Quando lo posso trovare questo maiale?» chiese il biondo senza battere ciglio.

«Passa tra una settimana sul tardi, ha una partita a poker in programma».

«D'accordo e invece quel volantino?», Don gli fece un cenno col capo e lui si mosse verso la bacheca, trovò immediatamente la pergamena che cercava: inchiostro nero su carta rossa e un simbolo.

Secondo Ordine”, che cazzo sarebbe?



Le risate aleggiavano nella piccola e calda cucina dei Lupin; Harry aveva le lacrime agli occhi mentre Tonks, metamorfosando il proprio volto, gli narrava aneddoti su vecchie missioni con la sua squadra, accanto a lei Remus ridacchiava e l'avvenente Fleur Weasley sorseggiava divertita il suo calice di vino. Delphini e Victoire si premevano le mani sulla bocca per non scoppiare, mentre Teddy osservava la madre con occhi luccicanti.

«Possiamo andare a giocare, papi?» chiese poi il bambino nuovamente impaziente. Remus gli fece un cenno col capo e le tre pesti presero il volo.

«Allora quando torna Bill?», chiese Harry riprendendosi dal riso.

«Oh fra un paio di jorni, Harrì». Con l'arrivo di Delphini i rapporti con Fleur e Bill si erano fatti più intensi, Delphini si era legata fin da subito a Victoire – vista l'età simile – e con Teddy formavano un inossidabile trio di adorabili pesti, se poi si aggiungeva quel piccolo tornado di Fred Jr., erano da mani nei capelli. Serate come quelle erano un appuntamento fisso e visto il lavoro di ognuno spesso i tre bambini si ritrovavano a fare pigiama party da una delle tre famiglie – a volte anche direttamente alla Tana – con cadenza molto più frequente di quelle cene.

«Piuttosto non vedo l'ora che quei trois vadano ad Hogwarts! Pronto a ricominciore Remus?» chiese la bionda con un caldo sorriso, «Qualcosa non va?» domandò a quel punto l'auror notando una velata mestizia negli occhi dell'uomo.

Tonks con premura poggiò la mano su quella del marito e si rivolse agli altri due:

«Ieri siamo andati al funerale di Percival Cavendish—».

«La figlia è mia alunna, Mikayla» aggiunse Remus con un sospiro.

«Figlia unica?» chiese Harry mentre un un groviglio di sensazioni poco piacevoli si annodava sul fondo dello stomaco, il licantropo annuì.

«Possiede una gran forza d'animo quella ragazza, purtroppo il padre era il perno della famiglia, veniva sempre ai colloqui era una persona molto piacevole e interessata. La madre è cagionevole di salute, molto fragile» spiegò pacato e meditabondo.

«Di che casa fa parte?»

«Slytherin».

«Hanno la pelle dura» mormorò Harry sorridendo appena, facendo aprire anche il professore ad un mesto sorriso.

Improvvisamente una luce argentea schizzò nella casa e, dopo aver fatto il giro dei commensali, si arrestò proprio davanti l'auror. Harry riconobbe immediatamente il Patronus di Anthony, un'elegante volpe.

«Dimmi tutto Stein!»

«Ci sono dei disordini nei pressi della Gringott, sembra siano coinvolti più parti, maghi e Ibridi. Ci chiedono di intervenire per sedare la folla. Io e Ron siamo al Ministero, ho avvisato anche Cy, ci raggiunge sul posto».

«Bene. Arrivo» fu la laconica risposta. Harry osservò gli amici e con lo sguardo si scusò.

«Tonks, Remus Del potrebbe—?»

«Non hai nemmeno da chiedere!» lo rassicurò il professore alzandosi con lui e accompagnandolo alla porta, mentre Tonks e Fleur si scambiarono sguardi preoccupati.

«Harry? Dove vai?» la voce di Delphini lo raggiunse all'orecchio come un pigolio triste.

«Ehi scimmietta, purtroppo devo andare è...»

«Lavoro» sbuffò la piccola, il moro sospirò e se la strinse brevemente al petto tanto forte che la bambina gemette, ma si aggrappò ancora di più al suo pastrano.

«Harry stai attento. Chiama appena puoi» disse Tonks osservandolo seria.

Non appena fu uscito da casa Lupin, Harry si smaterializzò per raggiungere la sua squadra.


Harry e la sua squadra giunsero sul luogo della sommossa insieme alla squadra Alnair capitanata da Berenice Hastings e una terza, la Sextans, guidata da un auror veterano: Evan Ledger.

Un gran confusione di corpi, urla e incantesimi aveva completamente invaso il piazzale davanti alla Gringott.

Ledger informò rapidamente le due squadre più giovani che quella che doveva essere una manifestazione pacifica e autorizzata si era tramutata rapidamente in una guerriglia. Gli auror furono costretti ad alzare scudi protettivi perché incantesimi di rimbalzo volavano in tutte le direzioni.

«Regole d'ingaggio?» chiese Harry.

«Separiamo i due fronti, fermiamo gli organizzatori della manifestazione per interrogarli. La squadra Alnair si occuperà dei feriti coordinandosi con il reparto emergenze del San Mungo. Signori, signore il nostro compito è sedare la folla, incantesimi offensivi solo in caso di difesa estrema, niente violenza gratuita. Evitiamo in tutti i modi di buttare benzina sul fuoco» chiarì Ledger scrutandoli con sguardo eloquente.

Harry annuì e si voltò verso i suoi compagni, guardando Ron con attenzione.

«Di cosa dobbiamo tenere conto?» gli chiese.

«Per i maghi non ci sono problemi, ma con gli Ibridi è diverso – rispose prontamente Ron in quanto ricopriva la posizione di stratega all'interno della squadra – resistono a diversi incantesimi offensivi, quindi potremmo essere costretti a magie di un certo livello, ma questo sarebbe esattamente buttare benzina sul fuoco, meglio—»

«Magia vecchia scuola?» replicò Harry.

«Più rapida e indolore» concordò Ron; tutti e tre si girarono verso Tracey, che nel mentre aveva già tirato fuori la bacchetta e la teneva come fosse un pennino;

«Rune di contenimento?» domandò sapendo già la risposta.

«Vai».

L'operazione degli Auror fu lenta ma accurata, impiegarono diverso tempo ma non ci furono incidenti anche se quando portarono via gli organizzatori della manifestazione questi strepitavano di essere vittime di ingiustizie, rifiutandosi di tacere... Ne sarebbe uscito un articolo coi fiocchi sulla Gazzetta dell'indomani.


Al riparo dall'epicentro della rivolta, un'elegante figura femminile osservava quanto si stava svolgendo con avida attenzione, i suoi occhi topazio così come le sue labbra vermiglie sorrisero di soddisfazione. “E così è cominciata”.



Levi Graves venne fatto accomodare in una delle salette per l'interrogatorio. Stizzito si scostò i folti capelli argentei dagli occhi, il suo giovane viso era adombrato dallo sdegno.

«Dunque, vediamo un po': Levi Graves – lesse dal fascicolo il capitano Ledger – diciannove anni, padre inglese, madre – esitò – Veela.» ricevette un grugnito in risposta «Ha frequentato Koldovstoretz! Uscito con il massimo dei voti e sei tornato qui in Inghilterra da poco più di cinque mesi. Dico bene?».

«Con quali accuse mi tenete qui?» mormorò altero il giovane. Evan Ledger si scambiò una rapida occhiata con il suo compagno di squadra ed entrambi si accomodarono di fronte al manifestante.

«Qui nessuno ti tiene prigioniero, non sei in stato d'arresto. Vogliamo solo capire cosa è successo» il tono del capitano della Sextans era calmo, naturalmente canzonatorio ma senza essere fastidioso.

«Volete farmi credere di non essere al soldo di quei maledetti folletti!?» il tono di Graves era invece ombroso e raschiato dal risentimento.

«Da che io sappia non sono loro a staccarmi l'assegno a fine mese, – rispose cercando di alleggerire l'atmosfera e così il sentire del ragazzo – sono loro quindi il problema?».

«Le loro stramaledette regole! Chiedono lo stato di sangue per gli Ibridi, è barbaro! Sono dei cazzo di folletti loro e chiedono a noi di provare di meritare di essere lì! Noi abbiamo gli stessi diritti di tutti gli altri maghi!» disse con voce livida e bassa.

«Non ha torto» commentò pacato Harry, assistendo, attraverso il vetro, all'interrogatorio di Levi Graves.

«Hai sentito come ha pronunciato “folletti”?» replicò svagato Anthony mentre puliva con cura la propria bacchetta.

«Quella è rabbia – l'altro sollevò le iridi blu – e qualcos'altro sì.», il suo sguardo si fece meditabondo.

«C'è sempre un altro, così cerchiamo di preservare noi stessi» riprese Anthony stringendosi nelle spalle.

«...anche Voi-sapete-chi usava questa oscenità! Non vedete l'assurdità!?» stava urlando nel mentre Levi dall'altro lato del vetro. Harry sussultò appena, Stein se ne accorse immediatamente e gli posò amichevolmente una mano sulla spalla della divisa impolverata.

«Tutto okay?» chiese gentilmente. Il suo capitano gli sorrise appena, poi si massaggiò la radice del naso e annuì.

«Sì... non è per me, lo sai».

Anthony sorrise e annuì di rimando.

«Vado a vedere se Ron e Tracey hanno concluso quel rapporto, così ce ne possiamo andare a casa».

«Un'ultima domanda Graves, - lo interruppe Edwin Farley, auror veterano e secondo di Ledeger – abbiamo trovato diversi di questi volantini fra le borse tue e dei tuoi compagni. Cos'è il Secondo Ordine



Sibeal Thorne si asciugò distrattamente i capelli corti e biondissimi, faceva distrattamente tutto ciò che non riguardasse il suo lavoro, le sue priorità le erano ben note. In quel momento la sua attenzione era rivolta ad un plico di pergamene a cui aveva appena tolto il sigillo.

«Cattive notizie Sibil?».

Evan Ledger uscì dal bagno avvolto in un accappatoio scuro, i corti capelli ormai più brizzolati che biondi gocciolanti; si accostò alla donna afferrandola dolcemente per i fianchi. Che i due stessero assieme non era un mistero, ma pochi all'interno dell'ufficio auror ne erano a conoscenza, data la riservatezza della prima e il rispetto del secondo.

«Come hai detto che si chiama questa fantomatica organizzazione parapolitica di cui fa parte Levi Graves?» chiese ignorando bellamente i tentativi del compagno di darle del “conforto fisico”. Evan sorrise divertito per il fallimento dei suoi intenti amorosi e così assecondò la curiosità del proprio capo in comando.

«Secondo Ordine. Perchè?».

«Perché Rosier mi ha appena inviato un rapporto di sessanta centimetri di pergamena su questo Secondo Ordine».

«Dimmi che non dobbiamo preoccuparci.»; ma dalle iridi adombrate della donna Evan lesse che a quanto pare quella faccenda era ben lungi dall'essere chiusa.

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Therese Travers                                                                 Theodore Nott

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Eccoci qui, in questo terzo capitolo come potete vedere qualcosa inizia a muoversi, i pezzi piano piano cominciano a posizionarsi sulla scacchiera, che sarà abbastanza piena!
Spero che oltre ai canonici personaggi anche i miei OC vi possano piacere. Io ringrazio tutti coloro che hanno inserito questa ff fra i preferiti, i seguiti e ovviamente anche chi ha recensito, spero di conoscere presto la vostra opinione riguardo questo nuovo capitolo, nel mentre io vi auguro un buon proseguimento d'estate!

A presto!


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