Gli Imperfetti

di In_This_Shirt
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Special K ***
Capitolo 2: *** Nastro verde ***
Capitolo 3: *** Questa versione di Chrissy ***
Capitolo 4: *** Jason ***
Capitolo 5: *** Dettagli di lui, pt.1 ***
Capitolo 6: *** Dettagli di lei, pt.2 ***
Capitolo 7: *** Specchi ***
Capitolo 8: *** Ti racconto una storia ***
Capitolo 9: *** Cioccolata Calda ***
Capitolo 10: *** Jason II ***
Capitolo 11: *** via dei matti numero zero ***
Capitolo 12: *** Le colpe dei figli ***
Capitolo 13: *** Un Romeo pazzo d'amore e una Giulietta piena di lividi ***
Capitolo 14: *** Si può ancora ballare ***
Capitolo 15: *** Jason III - finale, parte uno ***



Capitolo 1
*** Special K ***


Special K

Sul tavolo in vetro del piccolo salotto ci sono una stecca di sigarette – Lucky Strike Rosse – e uno zippo graffiato, che riflette la flebile luce del caravan sulla superficie specchiata. Un velo di polvere sottile, come se nessuno pulisse da chissà quanto tempo, copre ogni cosa. A tratti, i pulviscoli danzano nell’aria umida della sera, perfettamente visibili sotto il led che segnala l’inizio della zona cucina. Una mosca sbatte nervosamente contro la luce, incapace di trovare una via d’uscita, attratta da quell’unica fonte di calore.
Una topaia. Il genere di posto in cui sua madre, la signora Cunningham, non metterebbe piede nemmeno sotto tortura. Si lamenterebbe dei tappeti dozzinali, delle abat-jour scadenti, delle tracce di pioggia lasciate sul vetro della finestra, incrostata come se fosse scesa dal cielo la sabbia e non l’acqua.
Eppure a Chrissy, per qualche strano motivo, quel piccolo e angusto spazio piace. Neanche lei capisce bene perché; forse sono i libri e le riviste accatastati in un angolo, o forse l’idea che tutto quel disordine appartenga a qualcuno. Che ci sia della vita vissuta e non apparente, fatta di carne e ossa, di oggetti vissuti, di discussioni ma anche di piccoli momenti di condivisione, progetti personali, sogni. Non una vita di vetro, da ballerina di carillon: perfetta, laddove batte la luce, priva di apparenti zone d’ombra e allo stesso tempo fragilissima, appesa a un filo. Una vita da dove è semplice cadere giù, dal palco o da qualsiasi linea immaginaria tra la perfezione e la realtà.
Una vita proprio come la sua.
- Trovata! La pace dei sensi arriverà in un attimo.
Quando Eddie Munson sbuca fuori dal corridoio, sventolandole in faccia la bustina di Special K, le viene automatico sorridere.
È l’effetto che le fa lui. Che non sapeva le facesse prima di parlarci, nel pomeriggio. Scoprirlo così vulcanico, così leggero l’ha resa in qualche modo riconoscente.
Perché ha bisogno di leggerezza.
Per sfuggire dallo spavento che sente.
Dalla sensazione di panico che le prende certe volte, dal terrore che ha quando si avvicina alla bilancia o mette una gonna o si siede a tavola, sapendo che il suo cervello comincerà in automatico a contare le calorie, che poi dovrà alzarsi, correre in bagno e chiudersi dentro.
Una volta Michael, suo fratello minore, l’ha beccata a vomitare, ma senza capire la sottigliezza del suo malessere, la sfumatura oscura del suo cervello: piuttosto l’ha presa in giro, accusandola di essere incinta di Jason. È stata sua madre, come sempre, a metterlo a tacere. A dirgli: non dire sciocchezze. Chrissy non è stupida, non farebbe mai qualcosa per mettere a repentaglio la sua reputazione o quella della nostra famiglia.
O sì?
Ci pensa proprio ora, mentre prende in mano la bustina e allunga le banconote a Eddie.
Un momento di trasgressione, solo questo. Si è voluta concedere un attimo. Quando l’ansia ha cominciato a premere troppo forte, quando la paura le ha impedito di respirare, l’unica idea che le è venuta è stata quella di trovare una via di fuga non congeniale. Nulla a che vedere con la psicologa della scuola o gli allenamenti di cheerleading.
- Grazie – bisbiglia, con un mugolio spaventato.
- Non c’è di che – risponde lui, sempre col suo sorriso divertito, infilando i soldi nel retro dei jeans – Hmm. Ti offrirei qualcosa molto volentieri, ma credo di avere solo birra e che tu oggi abbia trasgredito una quantità di regole sufficienti per i tuoi standard.
Ridono insieme, senza nessun imbarazzo. Chrissy non ha così voglia di andare via, di tornare alla normalità: sa che dovrebbe, ma preferisce tergiversare, prendere tempo. Si muove in giro per la saletta di Eddie in modo imbarazzato, senza una meta precisa. Le maniche che le coprono le mani, il corpo nascosto dentro la felpa, la coda dietro alla testa un po’ molle, segno di un fiocco che comincia a cedere, di una coda che chiede di essere sciolta.
- Quindi i Bara Acida esistono ancora? – chiede, facendo la prima domanda che le viene in mente, riprendendo le fila del discorso iniziato nel pomeriggio.
Qualcosa nel modo in cui Eddie si muove le suggerisce già la risposta. La sua naturale incapacità a stare fermo, tanto per cominciare, la tensione quasi elettrica che sembra sprigionare il suo corpo, la naturale mancanza di attenzione. I capelli lunghi, quel tatuaggio sul braccio, il modo disinvolto e teatrale in cui si lascia cadere sul divano. Lui non sembra per niente nervoso, sembra sempre a suo agio nel mondo, nonostante tutto. Le prese in giro non lo sfiorano: ha il suo mondo e, sotto un certo aspetto, sembra una creatura di un altro universo.
- I Bara Acida esisteranno sempre. – le spiega lui, enfatizzando l’ultima parola – Seriamente, dovresti prendere in considerazione il mio invito a venire al The Hideout. Ogni martedì. Potrai raccontarlo come aneddoto, sai, per quando saremo famosi.
E ci crede davvero, in quella fama. Si vede da come sorride, da come gli brillano gli occhi.
- Non credo che i miei genitori sarebbero molto contenti se gli dicessi che vado in un locale dove fanno musica punk.
- Metal, bimba. Metal. Anche se accettiamo pure il punk, noi crediamo nei fottuti Iron Maiden. E tu, fai sempre tutto quello che dicono i tuoi?
Sì. È una risposta talmente palese che Chrissy la trattiene tra i denti per un attimo, risentita. Sì, fa sempre quello che dicono i suoi. La cheerleader, gli ottimi voti a scuola, gli abiti e persino Jason. Non sente di aver mai veramente scelto qualcosa per se stessa: ma è un pensiero troppo difficile da accettare, troppo lungo da metabolizzare. Adesso quello che riesce a fare è accarezzarlo, guardarlo da diverse prospettive dentro se stessa. Sentire l’eco di quella rabbia che la tormenta, così disdicevole per una così brava ragazza.
- Più o meno – risponde con un sorriso – Questo però non lo dicono i miei.
E sventola la bustina di Special K. Non sa se la prenderà sul serio, ma l’idea di avere una via di fuga in tasca l’aiuta a stare tranquilla. Ad avere l’illusione del controllo.
- Sei davvero una ragazza piena di sorprese, Chrissy Cunningham.
Però adesso Eddie non ride. La guarda serio, e Chrissy ha la strana impressione che possa vederle attraverso. Non trova una soluzione migliore di fissare la punta delle proprie scarpe da allenamento, scoprendole sporche di un terriccio che poi dovrà giustificare.
 
Un cervello abituato a contare le calorie è un cervello che può contare tutto. Il numero di passi che ci vogliono dalla porta alle scale (otto); le scale stesse, che portano al piano superiore (dodici); la distanza che intercorre tra l’inizio del ballatoio e la porta di camera sua (dieci); il tempo che ci vuole a percorrere il tutto (tra i ventiquattro e i trentasei secondi).
Le variabili sono sempre le stesse; la presenza dei suoi, la probabilità che la fermino per chiederle qualche cosa. Com’è andata oggi, cos’hai fatto, sei tornata tardi, come sono andati gli allenamenti, il compito di inglese, quello di matematica, cosa farete tu e Jason questo weekend?
Tutte domande a cui Chrissy non ha voglia di rispondere. O perlomeno, l’unico modo in cui vorrebbe farlo sarebbe un: lasciatemi stare, Cristo. Lasciatemi stare, ho diciassette anni. Tra due mesi diciotto. Tra due mesi posso andare via, posso andare a visitare quel negozio a Londra, quello con l’orologio a East End che sogno di vedere da anni ma che ne sapete voi?
I pensieri vanno velocissimi mentre apre la porta.
Le arriva l’odore del pollo caramellato che Ruth, la domestica, fa seguendo la ricetta originale di sua nonna. Ha una flagranza irresistibile, che si condensa nello stomaco vuoto come un pugno.
- Chrissy!
Sua madre appare sulla porta della cucina. Non importa se sono a casa, se potrebbe mettersi il pigiama e stare comoda: lei ha sempre il suo tailleur blu, le scarpe nere e lucide che indossa per andare in studio, i capelli raccolti in un severo chignon biondo da cui non sfugge nemmeno una ciocca. Gli occhi chiari cerchiati dalla stanchezza, dalla tensione nervosa di una giornata difficile. Perle alle orecchie e attorno al collo, un filo di rossetto color carne, per non cedere a nessun eccesso.
Non sorride quasi mai, Eva Cunningham. È un privilegio che concede a pochi, che ha una sua personale intimità.
- Hai il fiocco nei capelli completamente sfatto. Si può sapere dove sei stata fino ad ora?
Si avvicina a lei con le mani alzate, per sistemarle i capelli. Non è un gesto affettuoso: più che altro, una tendenza all’ordine, un rifiuto totale e scattoso dell’entropia.
- Mi sono fermata a mangiare con Kelly, dopo gli allenamenti.
Lei e Kelly si sono messe d’accordo dopo scuola. L’amica, impegnata con un appuntamento misterioso, le ha chiesto di coprirla e Chrissy ha accettato chiedendole la medesima cortesia. Hanno tracciato la propria giornata con semplicità: gli allenamenti, poi un salto alla tavola calda per rifocillarsi e riprendere le energie. Un hamburger, delle patatine fritte e una coca, un po’ di chiacchere tra ragazze e la promessa di andare al cinema insieme, magari nel weekend?
- Dove, sempre alla tavola calda?
- Sì, si. Ci troviamo bene lì.
- I ragazzi non vengono mai con voi?
- Jason oggi doveva aiutare suo padre, però forse andiamo tutti insieme al cinema nel weekend. Cioè io, lui, Kelly e qualche suo compagno di squadra… Danno Top Gun.
- Noi andiamo a cena dai Rogers, nel weekend. Fammi sapere se hai bisogno di un passaggio, ci organizziamo con papà.
- No, credo passi Jason in macchina.
- Bene. Quindi non mangi, suppongo.
- No, esatto. Anzi, è meglio se salgo di sopra, devo studiare per il compito di chimica.
Eva non fa obiezioni, non di fronte allo studio. La conversazione si esaurisce rapidamente così com’è nata: nessuna delle due sembra ansiosa di prolungarla con qualcosa che sia più che una sorta di elenco della spesa.
Quando Chrissy entra in camera tira un respiro di sollievo. La sua zona protetta, il suo mondo. Uno spazio con una carta a parati bianca e verde, con sopra disegnati dei fiori di nebbiolina. C’è una scrivania color noce sotto la finestra, l’unico elemento che le piaccia davvero. Era della nonna: ha tanti cassetti e lo spazio per la macchina da cucire, appoggiata sul lato sinistro. Il letto è di fronte a uno specchio rettangolare, invece. Non ci sono poster, sua madre le ha sempre impedito di appenderli. Però ci sono delle foto e dei piccoli ricordi appesi a una bacheca di sughero, l’unica cosa da adolescente che le è concessa.
Chrissy si appoggia per un secondo con le spalle alla porta, il tempo di rimettere in ordine i pensieri, gli eventi della giornata, le bugie. La bustina di Special K, adesso, pesa il doppio nella sua tasca. Sa che deve nasconderla in un punto dove nessuno può trovarla, mai.
C’è un cassetto della scrivania, il terzo, che ha un doppiofondo.
Gliel’aveva fatto vedere la nonna una volta.
- Ti servirà per proteggere i tuoi segreti. Qui puoi mettere una parte di te da tenere solo per te stessa.
Chrissy sa che dentro quei pochi centimetri, in quel reparto nascosto, può essere chi vuole. Libera come l’aria. Solleva il piccolo nascondiglio, tirando fuori il suo contenuto.
Ci sono alcune riviste di Vogue comprate di nascosto, un raccoglitore per i suoi disegni, e un menabò dedicato alla carriera di Vivienne Westwood, la stilista inglese che lei, segretamente, idolatra.
Sa ogni cosa di lei. Sa che aveva ventisei anni, quando ha lasciato il marito e i figli per aprire il suo negozio e vestire i musicisti punk; sa che le remavano tutti contro, perché sembrava una follia, ma lei si è intestardita e ha creato se stessa dal nulla. Sa che i suoi abiti vengono definiti ‘nuovo romantico’ e si ispirano all’epoca vittoriana, che ci sono corsetti, pizzi, cose che anche lei vorrebbe indossare ma ha troppa paura.
Disegna abiti come i suoi ovunque. Sui quaderni di scuola, dietro le cartelline, negli incarti della mensa, sui tovaglioli. Disegna quando nessuno la vede, quando si sente al sicuro. Disegna donne altissime e oscure, che indossano abiti che le rendono dee caotiche.
Vorrei essere come Vivienne. È il desiderio che ha espresso quando ha soffiato le candele del suo diciassettesimo compleanno.
Sa che per la sua famiglia sarebbe inaccettabile. Una figlia stilista. Una sartina, che fa una cosa frivola, lontano dal perimetro rassicurante della legge, dello studio Cunningham e soci.
Ma i sogni sono sogni.
Chiude la bustina lì, insieme a tutte le Chrissy parallele.
Non c’è nessun compito di chimica, solo la stanchezza. Si butta sul letto e forse vorrebbe ascoltare una canzone, ma non sa neanche lei cosa.
Non il punk. Le piace, ma lo sente solo quando è troppo arrabbiata, quando le sue crisi prendono possesso di tutto il suo corpo.
Ora invece è rilassata, ha sonno. Sta quasi per addormentarsi quando un pensiero le attraversa la mente.
Chissà, magari potrebbe farsi consigliare un buon brano da Eddie.

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Capitolo 2
*** Nastro verde ***


- Eddie, cazzo, hai di nuovo marinato la scuola?
La voce di Zio Wayne arriva da lontano – talmente lontano che rischia di perdersi. Eddie vorrebbe borbottare qualcosa, ma il suo cervello è ancora impigrito dal sonno e le sue labbra ancora incollate. Nell’oscurità dei suoi pensieri, la fluorescente reminiscenza di un nastro verde brilla tenue, senza corpo e senza significato. Le prime pulsioni del risveglio cancellano gli ultimi residui di sogno, qualsiasi cosa fosse, mentre la coscienza comincia, lentamente, a dare una forma a ogni cosa nella realtà circostante, mettendo a fuoco gli elementi ordinari della vita uno dopo l’altro.
Quando apre gli occhi, Eddie riconosce immediatamente la sagoma torreggiante di suo zio, l’espressione nervosa e preoccupata, l’aria stanca di chi ha lavorato tutta la notte. Ha le occhiaie nere, odora di fumo e le unghie delle dita sono ancora sporche di grasso, quello che filtra attraverso i guanti in lattice.
Si assomigliano. Sono alti nello stesso modo, hanno le stesse labbra, lo stesso modo di camminare, in certi momenti persino la stessa espressione assorta e lontana. Momenti rari in Eddie; ma molto più vivi e tangibili sul volto di Wayne, reso più vecchio di quello che è davvero dalla vita dura, dai problemi che si trova a dover affrontare giorno dopo giorno in fabbrica.
- No, no, ora vado. – biascica Eddie, mettendosi a sedere. Si stropiccia gli occhi, cercando di risvegliarsi. La sera prima si è addormentato sul divano mentre ascoltava l’ultimo album dei Metallica, rollandosi una canna.
- Sarà meglio, sono già le dieci. Vedi se riesci a entrare almeno per tre ore.
Lo zio si muove con un certo, pesante affanno. I piedi battono pesantemente contro il pavimento, mentre va verso la cucina per cercare qualcosa da mangiare. Finirà, come sempre, a pizza surgelata e birra fredda, gli unici elementi essenziali e ridondati del frigo di casa Munson.
Da che Eddie ha memoria, zio Wayne è sempre stato un uomo burbero e solitario. Sua madre lo prendeva in giro, diceva fosse un grande orso delle caverne: sempre serio, sempre impegnato, sempre solo. Non vede una donna da secoli, gli aveva confidato una volta. Eddie aveva dodici anni e non era riuscito a dirle che preferiva mille volta la solitudine dello zio ai suoi continui fidanzati. Ognuno di loro arrivava, le prometteva che in un modo o l’altro le avrebbe riempito la vita di cose belle e invece alla fine se ne andava sempre, portando via un pezzo di lei alla volta. Non erano mai bravi uomini, persone che volevano impegnarsi. Spesso non lavoravano nemmeno, orbitavano da una situazione degradante all’altra, incontravano Helena sul percorso e la trascinavano con sé. Qualcuno diceva di essere un artista, altri non ci provavano nemmeno a sembrare migliori dei ratti di strada che erano effettivamente. Quello che avevano in comune, sempre, era l’amore per lo sballo. Per l’eroina, in particolar modo.
E a Helena l’eroina piaceva. Amava farsi, sdraiarsi sulla poltrona della sala e rimanere in attesa che arrivasse l’oblio a portarla in una zona felice dove tutto era concesso. Spesso, quando era in quelle condizioni, era proprio Wayne a stare con Eddie. Quando non era in fabbrica andava a casa loro, si sedeva al tavolo per fargli fare i compiti, tentava di fargli da mangiare. Quando Helena decideva che era una pessima madre ed era arrivato il momento di disintossicarsi, era sempre lì a gestire le sue crisi, a tenere il secchiello per il vomito senza dirle una parola. Spesso, quando lei aveva attacchi di ira dovuti all’astinenza, prendeva Eddie e lo portava a mangiare hamburger e patatine in una tavola calda. Non parlavano molto. Ogni tanto si scambiavano qualche osservazione su ciò che mandava la televisione. Andava bene tutto: che fosse il telegiornale, una qualche partita o una soap opera, ogni argomento che gli proibiva una conversazione troppo sentimentale era bene accetto. Ma erano i loro momenti, e andavano bene così.
Forse Zio Wayne non è mai riuscito a stare con una donna proprio perché doveva prendersi cura di me e della mamma.
È un pensiero che ha formulato tante volte, e di cui spesso si è sentito in colpa. L’idea di averlo privato di una parte della sua vita è qualcosa che lo tormenta, ma anche la molla per cui ha deciso di muoversi, di smettere di litigare coi professori e diplomarsi. Ha passato anni interi a giocare a fare il ribelle, a convincersi di non poter essere niente di meglio che il figlio di una tossica, che ora togliersi dai panni di quel personaggio è la cosa più difficile del mondo. Tanto cerca di andare verso l’alto, tanto è trainato verso il basso da una qualche forza opposta. Sa che zio Wayne non sarebbe d’accordo se sapesse che anche lui vende droga, che non lo capirebbe. Troverebbe assurdo che si sia infognato nelle stesse dinamiche che hanno affossato sua madre, che la spingono a fare avanti e indietro dalle cliniche. Ma Eddie non è riuscito a farne a meno: sono soldi facili, è un lavoretto pulito, molti a scuola hanno bisogno per aumentare le prestazioni nello sport o nei test. Nessuno gli offrirà una borsa di studio per l’università e nessun lavoretto da solo pagherà mai abbastanza perché possa andarsene quando avrà finito di andare a scuola. Verso Chicago, o forse addirittura New York. Per questo ha semplicemente deciso di non dirglielo.
Occhio non vede, cuore non duole, soldi in più fanno sempre comodo.
Improvvisamente, dal nulla, Eddie si ricorda di Chrissy.
Chrissy Cunningham è stata qui.
Il pensiero lo folgora così prepotentemente che deve per un attimo guardarsi intorno, per accettarsi che l’ambiente sia sempre lo stesso. Chissà che hanno visto i suoi occhi da principessina, se i suoi piedi abituati alle scarpette di cristallo non si sono scandalizzati dei tappeti polverosi.
Eppure non sembrava a disagio.
Eppure – Eddie è pronto a scommetterci – a un certo punto si è messa persino a ridere.
Di gusto, poi, come se fossero in qualche modo complici. Come se appartenessero allo stesso mondo e non a uno dove lei è in cima alla scala sociale e lui, invece, è quello che non vede l’ora di andarsene.
Lei reginetta, lui scarto umano, figlio non voluto, nipote degenere, pessimo studente.
Ma non sarà sempre così. Non deve esserlo. C’è qualcosa di migliore ad aspettarlo, fuori dai confini dell’Indiana. La musica, le città, la vita intera.
Questo è il mio anno. L’ha detto a Dustin Anderson e Mike Wheeler, l’altro giorno a pranzo.
Deve solo crederci, insistere perché sia così. Ce la può fare.
Deve solo alzarsi per andare a lezione. Quello che lo separa dal diploma è solo uno stupido test con la O’Donnell, e poi salirà su quel palco e sarà, finalmente, libero.
 
Quando arriva a scuola un po’ del suo entusiasmo si è spento.
Non solo perché lo studio gli rimane indigesto, ma perché anche le persone lo fanno. Non gli è mai piaciuto il clima del liceo, l’aut aut terribile dell’essere un atleta o non essere assolutamente nessuno. Anche se è stato fortunato, se è riuscito a ritagliarsi un suo spazio e trovare dei suoi amici, questo non significa che le cose siano state semplici.
Uno dei motivi, ora, è precisamente davanti a lui, appoggiato al suo armadietto e circondato da un paio di adepti della squadra di basket.
Jason-Fottuto-Carver. La perfetta incarnazione dello statunitense medio, con la sua mascella squadrata, i capelli biondi, la sua fottuta borsa di studio per Princeton, l’ennesimo college costoso della Ivy League.
Eddie sa che non è un caso che sia lì. Non lo è mai. Specialmente se è circondato da altri buzzurri, scagnozzi di fiducia di cui ignora persino i nomi.
Sa anche che non deve farsi intimorire o mettere i piedi in testa; alza il mento, decidendo impulsivamente che la strategia migliore è quella di attaccare per primo.
- Ehi, Carver! – esclama allegro. Sapendo che è la cosa che gli darà più fastidio: il fatto che non ha paura di lui. Che non lo spaventano i suoi scagnozzi, la loro aria intimidatoria, il loro modo di fare cospiratorio nel tentativo di intimorirlo – Avrei bisogno di aprire l’armadietto. Sai quello dove sei appoggiato? Ecco, sarebbe il mio. Lungi da me interrompere una riunione della nostra graaande squadra. Forza Tigri!
Si appoggia il pugno sul cuore, ostentando una certa fierezza.
Non gliene può fregar di meno del basket e loro lo sanno. Non glielo perdoneranno mai, di essere così disinteressato, di non riconoscere la loro autorità.
Ma è Jason che parla, che gli restituisce lo stesso sorriso finto e di convenienza, quando probabilmente vorrebbe solo staccargli la giugulare. Ribolle di rabbia e si vede, da una certa luce fredda negli occhi.
- Buongiorno, Munson. – lo saluta, finto come una banconota del monopoli – Non credevo ti servisse l’armadietto, sai com’è. Quanti anni hai, trentacinque?
- Oh, andiamo. Andavamo alle medie insieme. Mi ricordo benissimo, per dire, quella volta che non sei riuscito ad arrivare in bagno.
Ora che Jason è capitano della squadra tutti fingono di non averlo preso in giro o averne parlato alle spalle la volta in cui si è fatto la pipì addosso nell’ora della signorina Thompson. Lui stesso ha un piccolo scatto alla tempia, qualcosa che acuisce il suo stato d’animo già alterato. Per quanto siano adolescenti, a un passo dall’essere adulti, non si tratta di così tanto tempo fa: la loro vita è un’eterna zona grigia, una sospensione tra chi sono stati e chi hanno il potenziale di essere.
- Dev’essere stata un’allucinazione. Cosa ti metteva mammina la mattina nel latte, zucchero e LSD?
Gli altri, sagome indistinte, ridono. Eddie, però, non si lascia perdere d’animo. Finge di ridere, poi diventa serio di colpo e gli mostra il dito medio: stanco di aspettare, cerca di spingerlo via dal proprio armadietto, biascicando un;
- Hai detto anche abbastanza stronzate, ora scusami…
È quando sono vicini, quando Jason lo agguanta all’improvviso per un braccio e lo spinge contro la superficie metallica, che capisce il motivo di tanto astio. Gli si avvicina all’orecchio, attento a non farsi sentire dai suoi amici.
- Qualcuno mi ha detto che ieri hai portato Chrissy in quel letamaio di casa tua. Te lo dirò una e una volta soltanto: stalle alla larga. Se scopro che le hai venduto anche un grammo di quella merda, giuro che ti stacco le palle con le mie mani.
- Bella prova, Carver. Ora che hai dimostrato che sei il più forte di tutti ti senti meglio con te stesso?
- Brutto pezzo di…
- Jason!
È proprio Chrissy che si insinua tra loro, che scioglie il conflitto. Lo fa semplicemente con la sua presenza allibita. Gli occhi sgranati, i capelli biondi raccolti nella solita coda. Con il solito nastro verde, non può fare a meno di notare Eddie, ricollegandosi improvvisamente alla mattina, al suo sogno.
C’era lei da qualche parte. Non solo dentro casa sua, ma dentro di lui. Adesso che la vede lì, in piedi, spaventata, lo realizza.
Ha addosso un maglione bianco oversize che le nasconde parte delle mani, dei semplici jeans azzurri, scarpe da tennis. Vicino a lei c’è la sua amica Kelly, che sembra essere altrettanto confusa.
Jason gli strattona il colletto, prima di lasciarlo.
- Scusa, Chris. Munson, qui, aveva bisogno di una lezione.
- Con la violenza? Ma ti sembra giusto? Lo sai che non lo sopporto – sbotta lei, prima di girarsi – Stai bene, Eddie?
È la prima volta che gli rivolge la parola a scuola, davanti a tutti. Per un attimo sembra esserci un’interdizione totale. Qualcosa, nel equilibrio del liceo di Hawkins, è appena cambiato. Una barriera è appena andata distrutta, aprendo uno spiraglio su un mondo nuovo. Tutto quello che Eddie riesce a vedere di quell’universo sconosciuto, però, è il sorriso di lei, lo stesso del giorno prima. Puro, limpido e bellissimo.
- Sì  - riesce a dire dopo una manciata di secondi – Grazie, Chrissy, sei gentile a preoccuparti.
Jason, al suo fianco, è ammutolito. Sembra incapace di dire qualsiasi cosa, mentre lei gli sorride con una gentilezza che smuove qualcosa, dentro Eddie.
Gli sembra, per un attimo, di essere pervaso da un sentimento struggente. Riconoscenza, forse, o ammirazione. Non sa distinguerlo, non lo capisce subito. È così disabituato a provare tenerezza che quando ce l’ha dentro non riesce a darle il nome che le appartiene. Rimane semplicemente sbalordito, come se qualcuno gli avesse sbattuto un uovo in testa.
- No… è normale. – dice lei, forse rendendosi conto ora del contesto, di tutte le stupidaggini adolescenziali. La vede arrossire e Jason, approfittando di quel piccolo momento di ripensamento, le passa un braccio attorno alle spalle.
- Già, è normale Chrissy. Perché tu sei una persona buona anche con chi non se lo merita affatto.
L’occhiata che gli lancia Jason, il suo tono crudele e la sua altezzosità, rimettono a posto ogni cosa. Le passa un braccio attorno alle spalle, portandola via da lì con tutto il suo codazzo di amici e i loro cori, le loro risate e maldicenze, lasciando Eddie da solo davanti all’armadietto. Ci batte un pugno sopra, ormai solo e infastidito, sibilando tra i denti un:
- Vaffanculo.
Rivolto a tutti e nessuno.

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Capitolo 3
*** Questa versione di Chrissy ***


I capelli biondi, finalmente sciolti, le scivolano dolcemente sulle spalle e Chrissy e Kelly ridono, godendosi le loro espressioni felici allo specchio. Eccole: sono giovani, belle, felici. La loro vita è a un passo dalla fine della scuola, dall’agognata libertà. Possono quasi assaporarla, come quando all’improvviso dopo un’estate torrida arriva la prima, agognata boccata d’aria fresca.
È sabato pomeriggio, finalmente. Hanno guadagnato qualche ora di lontananza dallo studio, i compiti e gli esami per andare al cinema coi ragazzi. Il programma prevede: Top Gun, cena alla tavola calda e luna park.
- Il fine settimana perfetto! – scherza Kelly, spargendole qualche brillantino argentato sotto gli zigomi. È sempre lei a truccare entrambe, tra le due è quella più estrosa, più capace di azzardare senza, tuttavia, violare i rigidi standard sul trucco della signora Cunningham.
Ha messo a Chrissy un po’ di rimmel, dell’illuminante sulle guance e sul naso, un semplice rossetto color carne per non strafare. Si è permessa di scioglierle i capelli, di toglierle il fiocco verde di ordinanza e favore di onde mosse e morbide sulle spalle.
Sembra più grande, così. Le piace pensarlo, credere di avere almeno vent’anni. Ha un vestito celeste, indosso, comprato apposta per l’occasione. Scarpe bianche e basse, perle alle orecchie, una borsa clutch di Halston. Si sente in forma. Forte, energica, divertita, bella, pronta a conquistare il mondo anche se il mondo, alla fine, è una porzione minuscola di una cittadina di provincia.
Anche se.
Anche se sa, che potrebbe permettersi azzardi più grandi. Sa che potrebbe giocare altre partite, indossare altri vestiti. Dentro la sua testa ci sono abiti che brillano sotto una luce più opaca, ci sono donne più audaci, più trasgressive, meno pudiche. Qualcosa che comincia a prendere forma ma non è ancora ben definita, mentre Vivienne Westwood, su Vouge, rimane chiusa nel cassetto insieme alla Special K che non ha mai consumato.
- Stai benissimo, Chris.
Kelly è sempre dolce con lei. Lo è il suo sorriso, i suoi occhi grandi e belli, i suoi capelli scuri che tiene sempre ordinati da una riga centrale. Ha una camicia a quadri e una gonna di jeans, molto più sportiva, molto meno ricercata. Eppure le dona, la rende una bellezza semplice, che ha bisogno di poco ma è in grado di ricevere tanto.
- Anche tu! Dì la verità, ti sei fatta bella per il tuo ragazzo misterioso?
La punzecchia spesso su quest’argomento. Kelly, molto riservata, non si è mai esposta più di tanto su chi sia la persona dei suoi appuntamenti, quella che si ingegna tutte le volte a vedere attraverso una fitta rete di bugie ben congeniate. Anche adesso sorride, un po’ timida un po’ meravigliosamente introversa mentre fugge dai suoi occhi e guarda i trucchi sparsi con la toletta.
- Magari. Mi piacerebbe potesse venire con noi, ma non è ancora il momento giusto.
Chrissy ha il sospetto sia qualcuno di più grande già da un po’: ma non riesce a identificare un vero e proprio sospettato. Un ragazzo del college, forse. Un militare?
- Prima o poi dovrai presentarmelo
- Lo farò. – promette lei – Invece, da quand’è che frequenti Eddie Munson?
La domanda la coglie in contropiede. Hawkins è una città talmente piccola che chiunque, effettivamente, potrebbe averli visti in macchina insieme andare verso il caravan. Eppure sono stati discreti. La dirimpettaia di Eddie, Max, viene al loro stesso liceo: eppure non sembra per niente una ragazza pettegola. Anzi, è molto solitaria, sempre con le sue cuffie nelle orecchie e il suo walkman appeso alla cintura.
- Non ci frequentiamo, mi ha solo fatto un – e tergiversa, alla ricerca della parola giusta – Piccolo favore.
Chiosa, poi, senza sapere se è o meno il termine giusto per il loro scambio.
Kelly, di fronte a lei, aggrotta le sopracciglia.
- Non ti stai infilando in qualche guaio, vero Chris?
- No, no, mi conosci. Non potrei mai. E poi Eddie non è così, lui è… è diverso, ecco.
A questo punto, la sua amica la guarda per un attimo interdetta. Poi, però, comincia ad aprirsi in un sorriso sinceramente divertito, che di sarcastico o malizioso non ha nulla.
- Lui ti piace! – sbotta all’improvviso
- Kelly, no! Sto con Jason
- Che vuol dire?! Mica hai fatto un giuramento eterno. Abbiamo diciassette anni, è il nostro ultimo anno di liceo, davvero vuoi trovare ora la persona con cui stare per sempre?
Kelly è sempre stata così. Meno paurosa sotto il guscio, più disinibita. Per un certo periodo a scuola giravano voci molto brutte su di lei e su quello che faceva coi ragazzi dietro gli spalti del campo da football: ma le ha sempre affrontate con una serenità encomiabile, consapevole di non dover rendere conto a nessuno della propria vita sentimentale e sessuale. Riuscendo sempre, in qualche modo, a mantenere un dignitoso riserbo, un velo di mistero. Così nessuno sa cosa è vero, e cosa no.
L’unica cosa che ha sempre davvero spaventato Chrissy, e che non è mai riuscita a chiederle, è se Kelly è abbastanza consapevole di cosa rischia ed è effettivamente in grado di proteggersi. Non solo a livello emotivo, ma anche fisicamente. Di quella brutta malattia che sta funestando le grandi città, l’AIDS, a Hawkins si parla solo marginalmente, sottovoce, attenti a non farsi sentire. I ragazzi si scambiano informazioni confuse e nessuno sembra avere chiaro chi la trasmette di più, chi di meno, e come. Ma nessuno è completamente immune o senza rischi.
Jason per fortuna non insiste nell’avere rapporti, rispetta i tempi di Chrissy senza farle pressioni di nessun tipo. Lei ancora non se la sente. Non riesce a dirgli che vorrebbe essere innamorata davvero, la prima volta, e non sa se lui è la persona giusta.
Quando lo guarda pensa sempre che è molto bello, che le piace il suo sorriso, i suoi capelli; i loro appuntamenti sono sempre lunghe chiacchierate, le loro discussioni convergono spesso nel punto in cui sono stanchi e vorrebbero fuggire dalle rispettive famiglie il più in fretta possibile. È serena, accanto a lui, tranquilla. Ma forse non dovrebbe essere così. Forse dovrebbe sentire qualcosa di diverso che ora non riesce neanche a immaginare.
- Beh – risponde a Kelly – I nostri genitori stanno insieme dal liceo.
- Erano anni diversi, C! Siamo nell’ottantasei, il mondo è cambiato e cambierà ancora. Le persone lo fanno. E se la gente in questo buco di culo di cittadina non lo capisce è solo perché la provincia è quella che ci mette sempre di più, ad adeguarsi al tempo.
- Ed è una cosa così terribile? Forse c’è bisogno di un luogo dove tutto rimanga immobile, sospeso. Dove le cose siano sempre le stesse. Un posto in cui tornare quando tutto il resto va troppo veloce.
- Può darsi. Ma tu, saresti felice in un posto del genere?
- Non lo so.
- Prova a cercare la risposta – La sfida Kelly – In fondo è l’unica domanda che conta davvero.
- Se sarei felice rimanendo qui?
- No, se saresti felice ad essere questa versione di Chrissy, senza sapere prima se puoi essere altro.
 
Le uniche cose belle di Top Gun sono Tom Cruise e la canzone Take My Breath Away.
Chrissy si permette di pensarlo mentre, seduta vicino a Jason, finge di mangiare i popcorn dal cartone che hanno preso insieme. I ragazzi sembrano tutti esaltati da quel film sugli aerei e sulla guerra, ma lei preferirebbe essere altrove. Improvvisamente le sembra che il suo vestitino azzurro sia sprecato, che le scarpe le stiano strette anche se sta seduta. Sono ufficialmente le due ore più lunghe della sua vita e l’unico diversivo che riesce a trovare sono Steve Harrington e Robin Buckley, seduti nella fila dietro di lei, che commentano le scene passo per passo con un certo sarcasmo.
Non si risparmiano niente – soprattutto Robin.
Vicino a lei, invece, Jason guarda estasiato lo schermo. Chissà perché, poi.
È un bravo ragazzo. Ai suoi genitori piace moltissimo per motivi molto diversi: a suo padre, perché può parlare con lui di caccia e football; a sua madre per i modi educati e la famiglia da cui proviene.
I Carver gestiscono un’impresa edile dagli anni ’50, completa di cave, mattoni, pavimentazioni, costruzioni e quant’altro. Jason sa che prima o poi toccherà a lui prendere le redini della famiglia e forse è per questo che è così bravo nello sport: lo esenta dal fare qualsiasi altra cosa, costruisce non solo la via di fuga, ma l’alibi perfetto.
Se sei uno sportivo di quelli in gamba ti viene perdonata qualsiasi cosa, che sia una C nel test di algebra o una prepotenza nei confronti di un compagno di classe. Se arrivi a giocare ad alti livelli, poi, ti viene perdonato persino di aver voltato le spalle alla tua famiglia. Perché a quel punto sei Dio, e Dio comanda, non subisce. Schiocca le dita, delega e rimane a guardare.
Chrissy ora lo guarda e non capisce perché. Perché non scatti quella molla dentro di lei, perché non riesca a lasciarsi andare del tutto. Jason è dolce, la tratta sempre coi guanti, la porta a cena fuori e si preoccupa che mangi fino all’ultimo cucchiaio. Quando sono insieme è diverso, è più fragile, più intimo. Ha più bisogno di essere consolato dai dolori del mondo.
Ora la guarda con una dolcezza che le fa stringere il cuore in modo amaro per i sensi di colpa.
- Ti stai annoiando? – le chiede, sottovoce
- Un po’. Non mi fanno impazzire i film di guerra.
- Lo so – ammette lui – Mi dispiace. Volevo che venissi per passare del tempo insieme, anche se poi si sono uniti gli altri.
- Non ti preoccupare, io sono contenta di essere venuta.
Sa che è una bugia. Sa che preferirebbe essere altrove, in qualsiasi altro posto: a casa a studiare, in giro per negozi con Kelly, nel caravan di Eddie.
Il caravan di Eddie.
Il pensiero, improvvisamente, le attorciglia lo stomaco.
Lui non c’è. Sicuramente non è il tipo da un certo genere di film. Forse se fosse seduto vicino a lei sarebbero più simili a Harrington e Buckley, lì, nella fila dietro. Scherzerebbero. Eddie tirerebbe i popcorn ai ragazzi davanti, a bocca aperta, e poi si prenderebbero per mano e fuggirebbero insieme. Chrissy toglierebbe le scarpe, camminerebbe scalza sul marciapiede. E Eddie, ne è certa, le comprerebbe lo zucchero filato mentre tornano a casa.
Per un attimo, la voce di Kelly le rimbomba in testa
Saresti felice a essere questa versione di Chrissy?
Ma prima che possa rispondere, Jason le prende la mano, ancorandola alla realtà.

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Capitolo 4
*** Jason ***


La Domenica è il giorno del Signore.
Forse è per questo che, a casa Carver, tutto ruota attorno al capofamiglia più del solito. La signora Carver diventa ancora più docile e remissiva. Albert e Brandon, i fratelli maggiori, parcheggiano le proprie macchine lungo il viale: vengono a pranzo ogni weekend, accompagnati Albert da sua moglie Tabitha, Brandon dalla fidanzata del momento. Non ce ne è una che duri più di un mese e suo padre, in qualche modo, riesce a trovarlo divertente. Non si affeziona mai a nessuna di loro, non dimostra un briciolo di empatia. Come fosse suppellettili, esistessero esclusivamente come superfici riflettenti. Frammenti di specchio di Brandon, destinati a rimandare all’infinito la sua immagine luminosa.
Ogni tanto viene anche Chrissy. Non sempre: Jason evita di invitarla tutti i weekend, essendo il primo a trovarsi a disagio. Spesso fugge da lei, anzi. Per quanto anche i Cunningham siano rigidi, lo sono sicuramente meno di suo padre.
Suo padre.
Pensare che hanno la stessa mascella, gli stessi occhi, le stesse mani. Che gli ha regalato un Rolex per i diciotto anni, pesante proprio come le sue aspettative. Una manetta travestita da orologio per ricordargli che il tempo scorre, così come le promesse che si sono fatti. Tre anni per il college e per diventare un buon atleta e giocare in una squadra nazionale o torni a lavorare nell’azienda di famiglia.
Il problema non è neanche l’azienda. Per carità. Il problema è vivere in un contesto dove ci sono solo angherie, crudeltà, violenze. Il problema è che se Jason pensa a se stesso a trent’anni, si immagina tornare a Hawkins per lavorare con la sua famiglia e si vede ancora raggomitolato in un angolo della stanza che cerca di sfuggire alla cintura, alla pressione tra le sue scapole, la ferocia sulla sua spina dorsale. Un adulto bambino, mai veramente cresciuto, ancora pieno delle stesse paure.
Da piccolo faceva male. Oltre all’evidenza schiacciante del dolore fisico, poi, era quello mentale il problema – era sentirsi traditi da qualcuno che dovrebbe amarti incondizionatamente. Stupiti che ogni tentativo ingenuo e indispettito di conoscere il mondo si risolvesse così, con rabbia aprioristica. Ora la sua schiena è resistente al cuoio, in qualche modo, o forse lo è diventata la sua anima. Quando cresci con la violenza, diventa l’unico linguaggio che conosci. L’unico modo di esprimersi sensato, per quanto di sensato non ci sia nulla, anzi.
Per questo suo padre non lo rimbecca mai quando è troppo aggressivo con un compagno di classe: per lui, quello è un modo di farsi rispettare. Nessun insegnante prova a contraddirlo, nemmeno la preside lo fa. Non avrebbe senso per nessuno mettersi contro uno dei maggiori finanziatori della scuola. Il fine giustifica i mezzi ma anche le omissioni di soccorso, a quanto pare.
Quando suonano al campanello va ad aprire la porta, ciabattando pigramente.
Chrissy, finalmente, è arrivata. Ed è un raggio di sole tra quelle mura buie, col suo sorriso dolce, il dolcevita rosa sopra la gonna a pieghe bianca, i calzettoni tirati fino al polpaccio, le scarpe da tennis. Una piccola treccia bionda che le scivola sulla spalla sinistra, poco trucco come sempre, l’espressione timida mentre tra le mani regge una crostata – Sai com’è, mia madre non mi manda mai a mani vuote! – si giustifica, un po’ in imbarazzo un po’ divertita da quella loro ritualistica.
Jason vorrebbe baciarla lì, sul momento. Sa che sarebbe troppo disdicevole, che i suoi genitori non glielo perdonerebbero in casa loro. Slitta di lato, la fa entrare nel suo regno oscuro.
- Scusa, non c’è ancora nessuno. Albert e Brandon non sono arrivati e i miei sono ancora a messa.
- Non fa niente, sono io che sono in anticipo. Mi sono svegliata presto, stamani, e non avevo voglia di stare a casa.
Da qualche tempo, Chrissy sembra diversa dal solito. Un po’ più assente, in certi momenti, come se fosse triste. Appoggia la torta in cucina, sistemandola sull’isola di marmo che la signora Carver tiene ordinata in modo maniacale, tra i piatti coperti destinati al pranzo e la brocca di limonata preparata per l’occasione.
È mia. Jason non può fare a meno di pensarci mentre la vede camminare per la cucina, di ripeterselo costantemente. È solo mia.
Alle volte ha paura che gli sfugga dalle mani, che gli scivoli via, dissolvendosi in un milione di piccoli coriandoli come se fosse un sogno troppo bello. Ma lei rimane lì. Adesso che si abbassa per giocare con il cane, che ride dicendo – Piano, Marty! – gli sembra così piccola che vorrebbe solo abbracciarla, fargli da scudo. Riposarsi sulle punta delle sue orecchie rosa, lasciate scoperte dalla treccia, essere la farfallina dorata degli orecchini che le accarezza il lobo, sempre con lei. A sussurrarle che andrà tutto bene fino a che staranno insieme. Si salveranno a vicenda: lei dalla sua famiglia e lui da se stesso.
Sente scattare la chiave nella serratura e sa che l’idillio è finito. Sua madre e suo padre entrano dalla porta, di ritorno dalla funzione in Chiesa. Quando la vedono sorridono, rabboniti, immediatamente di buonumore.
- Signori Carver! – li saluta lei. Jason li guarda illuminarsi, guarda sua madre dare due baci sulle guance alla sua ragazza, chiederle come va, lei rispondere felice.
Sembra tutto così giusto. Sembrano quasi una famiglia vera. Quando poco dopo arrivano i suoi fratelli ogni cosa è al suo posto, Jason compreso che ora ride, non è più il bambino nascosto nell’angolo, è un atleta promettente, ha una bellissima ragazza, i suoi fratelli lo prendono in giro e gli battono pacche sulle spalle, sua madre gli versa più limonata, Chrissy sorride al suo fianco e suo padre lo guarda con approvazione, non c’è niente nella sua vita che non vada esattamente come dovrebbe.
 
*
 
Quando la domenica finisce e la casa si svuota però torna l’altro Jason. Quello che non gli piace affatto.
Riaccompagna a casa Chrissy e poi, tornando, è pieno di brividi di freddo. Come se qualcuno lo avesse privato di una coperta, se lo avesse improvvisamente lasciato nudo ed esposto a un mondo gelido.
Ha un vago sentore di nausea perché sa quello che sta per fare. Lo sa ogni volta, ogni maledetta domenica. Vorrebbe fuggire da quel rituale, girargli alla larga, essere così forte da non assecondare la stupida tentazione che si annida in fondo al suo stomaco. Ma non ci riesce.
Sa che suo padre lo picchierebbe. Oh, eccome se lo picchierebbe. Gliene darebbe così tante che forse morirebbe sul momento, o magari andrebbe in coma.
Potrebbe fare un giro molto più corto e invece arriva appena fuori città, vicino a quella casetta con il neon rosso, quella scritta suadente e invitante.
Il paese dei balocchi.
Non entra, non lo fa mai. Rimane lì a guardare, alle volte per qualche minuto, altre per un po’ più di tempo. Quando la porta si apre escono due ragazzi per mano – uno biondo, proprio come lui, gli occhiali a goccia sul naso e la camicia a righe bianche e celesti. L’altro pieno di ricci neri, la pelle ambrata, forse portoricano. Non lo guardano per niente, non si accorgono neanche che c’è. Quello con gli occhiali si mette a fumare; quello riccio gli sta davanti, fa ogni tipo di moina. Lo provoca, forse, ma l’altro si lascia provocare, non è infastidito, ride anche lui, gli tiene la mano, le loro dita non si lasciano mai e Jason, sì, Jason vorrebbe andare lì, vorrebbe spaccargliele tutte e dieci, rompere le loro facce, i loro sorrisi, quella montatura da finocchio di merda, brutti froci del cazzo, li odia, li odia profondamente, li odia fino a bruciare, vorrebbe premere sull’acceleratore e schiantarsi contro la casa in legno, distruggere l’insegna a neon, distruggere loro, distruggere anche se stesso, quella pulsione maligna che brucia come l’inferno, l’Inferno nel giorno del Signore, Jason come antitesi di suo padre.
Dio perdonami per i miei peccati, riesce solo a pensare, mentre mette in moto di nuovo. Deve tornare a casa, ora.
I ragazzi sulla porta del locale si baciano nello specchietto retrovisore.
Jason accelera, corre via, non sa più se i propri sono sogni o sono incubi, si promette che sarà più forte, domenica prossima non tornerà, non tornerà, non tornerà.
 

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Capitolo 5
*** Dettagli di lui, pt.1 ***


La donna sul foglio ha gambe lunghissime e una vita stretta, nessun dettaglio sul oltre la forma accennata delle labbra – un cuore nero, un fiore di tulipano appena sbocciato. Indossa una camicia con il collo alla coreana fatta interamente di pizzo nero, idealmente un vedo non vedo; una gonna di tweed a quadri, cortissima, con uno spacco generoso tenuto insieme da tante spille da balia di diverse dimensioni. Un paio di calzettoni con la stessa fantasia affondano in scarpe nere con la suola altissima.
Chrissy le rifinisce, si concentra sugli intrecci della camicia, muove velocemente la matita su e giù nel foglio.
Sa che dovrebbe stare attenta. La professoressa sta spiegando gli integrali, l’argomento del prossimo test. L’unico che manca prima del diploma, per inciso. Ma lei è sempre stata brava in tutto, compresa l’odiosa matematica. Non ha mai avuto difficoltà a capire qualcosa e metterla in pratica. Normalmente sarebbe perfettamente attenta, china a prendere appunti con precisione maniacale, dividendo tutto con le penne colorate e i piccoli stickers segnapagina così da avere tutto ordinato in modo disciplinato, preposto alla prossima fase di studio.
Ma l’aria tiepida che entra dalla finestra la distrae. Le prime, esitanti foglioline verdi che crescono sugli alberi. L’improvviso fervore che sembra essersi creato nei corridoi, teatri di un brulicare civettuolo e ridanciano. I segni della primavera che arriva, lasciando scemare via l’inverno impetuoso, portando con sé rinnovamento, rinascita, lasciando indietro ogni forma di malinconia.
Quando la campanella suona chiude il suo quaderno dei disegni, infilando nella pila di libri destinati all’armadietto. Non lo porta mai a casa, dove sua madre potrebbe in qualche modo vederlo, preferisce lasciarlo lì, protetto dalle mura della scuola.
Svincola nel corridoio, trovandosi davanti Patrick, un compagno di squadra di Jason, con un grosso cartello bianco appeso attorno al collo. Scopre, sbriciandoci sopra, che ci sono svariati ritagli di giornale attaccati. Sono tutte le coppie del momento: Sarah Jessica Parker e Robert Downey Jr., Sylvester Stallone e Brigitte Nielsen, Brad Pitt e Juliette Lewis, Charlie Sheen e Wynona Rider. E poi c’è la sua foto con quella di Sheila, la sua ragazza, e la lettere ritagliate a formare la parola ‘prom?’. Lui ha l’aria un po’ nervosa, regge un mazzo di fiori. Ma quando Sheila esce dalla porta della classe fa prima un gridolino, poi una risata, e infine si lancia in un abbraccio che lascia presagire che tutto è andato per il meglio.
- Non credo che mi mancherà tutto questo.
La voce – quella voce – le è apparsa alle spalle. Non ha neanche bisogno di girarsi, sa già chi è. Ha riconosciuto il timbro, il profumo inconfondibile di tabacco e erba tagliata. La sua pelle, in qualche modo, ha reagito prima di lei: ha gli avambracci pieni di inspiegabili brividi, tant’è che finisce con lo stringersi più forte i libri al petto mentre si gira, senza riuscire a trattenere un sorriso.
Eddie è lì, appoggiato al pilone in cemento del muro. Quando la vede apre la bocca, mima il gesto del vomito e rotea gli occhi, per dare più enfasi al proprio concetto, strappandole una risata. Ha addosso la giacca di pelle, un paio di jeans scuri, anfibi ai piedi. Sta benissimo, così sicuro, così se stesso al punto tale da sembrare sfacciato.
- Dai, neanche un pochino? – lo sfida Chrissy, appoggiandosi a sua volta sulla superficie metallica.
- Ma come si fa?! Gente che basa la propria vita sull’attesa di uno stupido ballo.
Lo dice con una smorfia ripugnata, teatrale come sempre.
- Beh, è un rito di passaggio. Un… saluto all’adolescenza, diciamo così.
Almeno è come lo ha sempre visto lei. Si vergogna a dirgli che al ballo ci tiene, che non vede l’ora di andarci. Ha paura di scadere ai suoi occhi dicendogli che ha già comprato un vestito e, nel laboratorio di sartoria della scuola, ne sta cucendo un altro. Uno che probabilmente non avrà mai il coraggio di indossare, ma le permette di aggrapparsi al suo sogno ancora un po’. Perché poi sa che, dopo il ballo, dovrà dirgli addio. La aspetta il college, la facoltà di legge, non ci sarà più tempo per dedicarsi agli abiti.
- Sono sicuro che sarai eletta reginetta.
Eddie non lo dice con cattiveria o con malizia. Non fa nessuna smorfia o niente che possa lasciar presagire una presa in giro. È serio, e Chrissy non riesce a capire se è una cosa brutta o meno, così decide di chiederglielo.
- È una cosa così orribile per te?
Si sente stupida a fare una domanda del genere. Per un attimo, poi, realizza di aver dato per scontato che tocchi a lei quando ci sono anche Kelly e Sheila a meritarselo altrettanto. Si dà mentalmente della stupida, convinta che troppa fiducia in se stessa non vada bene, sia indice di poca umiltà.
- No, Chrissy. Non se sei tu a governare questa stupida scuola. Chissà: magari tra i tuoi tanti poteri c’è quella di renderla un posto migliore.
- Non riesco mai a capire se scherzi o meno.
- Non scherzo.
Si guardano per un attimo. Chrissy sente qualcosa di strano, nella pancia. Un formicolio prepotente che le invade lo stomaco, all’improvviso, divampando rapido come un incendio.
- Tu ci verrai? – gli chiede, sottovoce.
- Al ballo? Nemmeno morto.
- Già, è proprio da te.
- Però avrei piacere di invitarti a un altro ballo.
Le dà un biglietto. Chrissy lo sbircia. È un collage fotocopiato di una serata dei Bara Acida. Realizza che è martedì, che loro suonano, che lui l’ha già invitata due volte. Forse ci tiene davvero che vada e quello è il suo modo di comunicarglielo.
Quindi sorride, se lo stringe al petto.
- Ci sarò! – gli promette. Non sa ancora come, ma ci sarà.
 
In una sola sera, Chrissy ha scoperto svariate cose. Tanto da poterci fare un elenco.
  1. Scavalcare una finestra quando tutti si sono già coricati nelle rispettive stanze è meno difficile di quanto sembri;
  2. Le luci della sera rendono tutto più suggestivo e, con una bicicletta e un cappuccio, permettono di girare assolutamente indisturbati;
  3. The Hideout è un locale stranamente cool, fatto delle più strane sottoculture ma non per questo meno divertente;
  4. I Bara Acida sono ancora schizzati come alle medie, ma Eddie sul palco è –
Eddie sul palco è dentro il suo elemento. Vibrante, energico, a tratti folle. È un giovane e scatenato Mick Jagger e allo stesso tempo un affascinante ed esile David Bowie. Non c’è niente che gli manchi, anche se la sua chitarra è prepotente, se il metal non è decisamente il genere di Chrissy.
La sua figura sottile ha i contorni illuminati dai riflettori, sembra un fantasma nero. Quando finiscono di suonare e scende dal palco ha la fronte imperlata di sudore, alcuni capelli attaccati alle guance.
Si guarda intorno e Chrissy sa che sta cercando lei. Quando i loro sguardi si intrecciano, quando ne ha la certezza, gli corre incontro.
- Cunningham! – esclama, sorpreso – Ce l’hai fatta!
Lei sente una piccola ondata di felicità affiorarle sulle labbra, mentre ride di quell’entusiasmo. Non gli dice cosa ha dovuto fare per essere lì e come. Omette la paura, il terrore di essere scoperta dai suoi che non la lascia neanche un secondo. Gli evita il racconto dell’intero pomeriggio passato a pianificare come uscire dalla finestra della sua stanza senza farsi male, la sbucciatura sul ginocchio del piano miseramente fallito, la scarpinata in bici e il deodorante, nascosto nella borsa, che ha ripassato sotto le ascelle prima di entrare nel locale. Non gli dice che è andata in bagno a pettinarsi di nuovo, a ripassare il rossetto, che ha lasciato la felpa pesante nel canestro della bici perché lui potesse vedere il top nero all’uncinetto che si è cucita da sola, il cerchietto per il collo che ha comprato apposta per l’occasione.
Si passa le mani sui jeans, improvvisamente nervosa.
- Sei stato bravissimo! – gli dice, cambiando il discorso in modo repentino.
Lui sorride. Sembra così felice, adesso. E così diverso, fuori dalla scuola.
- Vieni. Non è questo il ballo a cui ti ho invitata.
Fa un mezzo inchino, porgendole la mano. Gli altri membri della band, ragazzi di scuola, li guardano divertiti. Chrissy non pensa neanche di chiedere a loro di stare zitti, di non dire che l’hanno vista. In qualche modo, sa già che lo faranno.
Dà la mano a Eddie, lasciandosi guidare. Passano tra le persone, tra le luci soffuse del locale, raggiungono la scala antincendio.
- Possiamo farlo? – chiede Chrissy. Come se non avesse già trasgredito regole a sufficienza, per una sola sera.
- Certo. Conosco il proprietario del locale, gli ho chiesto il permesso.
- Ma non sapevi neanche se sarei venuta!
- Diciamo che speravo fortemente di sì.
Le fa l’occhiolino, aprendo la pesante porta del tetto.
Non c’è molto la sopra, a dire il vero. Ma quello che c’è basta e avanza.
Eddie ha preparato una coperta a quadri, due bottiglie di birra, un paio di cartoni della pizza. Ci sono tre o quattro candeline e un giradischi portatile appoggiato vicino a loro.
Non è esattamente lo scenario più fine del mondo, non assomiglia per niente a quello dei film. È piuttosto raffazzonato, tirato alla bell’e meglio, eppure a Chrissy piace lo stesso. Le piace che qualcuno abbia pensato a qualcosa del genere per lei, che si sia impegnato a organizzarle una sorpresa coi mezzi che aveva, anche se scarsi. Le piace, poi, che quel qualcuno sia Eddie.
Quando si siedono sono sotto un intero cielo di stelle.
- Quella è l’orsa maggiore! – gli spiega Chrissy, indicando la costellazione.
- Conosci anche le stelle?
- Un po’.
La tensione tra loro comincia a sciogliersi, mentre parlano del cielo, del fatto che lei conosca bene l’astronomia per anni e anni passati in campeggio l’estate mentre lui andava a pescare le trote. Ma poi è il suo turno di scoprire le cose. Scopre come funziona Dungeons and Dragons, scoprendo che il Diavolo tanto osannato dai giornali non centra nulla; Eddie, per farle capire un po’ meglio quel mondo, le ha portato la sua copia del Signore degli Anelli, che lei accetta volentieri di leggere; scopre che la birra ha un buon sapore, anche se amaro, e che le piace accompagnarla alla pizza; che la madre di Eddie è in rehab e il padre non ha idea di chi sia. Lui dice che la cosa non lo ferisce ma Chrissy sa che non è così, non riesce a spiegarsi come. Lo sa e basta, lo vede nel leggerissimo cambiamento del suo volto, nel modo in cui i suoi occhi sembrano spegnersi. In quel momenti non sembra più l’istrionico musicista pronto a prendere il controllo del mondo, ma l’adolescente fragile che è. Il suo corpo è pieno di spigoli, la sua anima di zone appuntite da limare.
Sa che dentro Eddie c’è una ferita nascosta, proprio come la sua. E forse è quella che la attira come una calamita.
Può riempirsi di così tanti dettagli di lui, adesso.

 

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Capitolo 6
*** Dettagli di lei, pt.2 ***


Può riempirsi di così tanti dettagli di lei, adesso.
Il modo timido in cui ride, quasi come se volesse chiedere scusa. I suoi denti piccoli, il cerchietto nero intorno al collo, il suo sfuggire costantemente agli sguardi, al contatto diretto, come se avesse paura di fermarsi troppo, di un qualche piccolo frammento di nudità. La lentezza con cui pilucca il trancio di pizza, la sua esitazione nel portarla alla bocca. Ha lo stesso trancio in mano da venti minuti e mangia pochissimo, Chrissy, la cena è ancora tutta nel cartone, la birra è piena per tre quarti ma a Eddie piace pensare che è perché anche lei sente quella cosa lì, dentro allo stomaco, quel groviglio confuso di tenerezza e paura e chissà cos’altro. Cose senza nome che scorrono sotto la pelle.
Gli racconta un po’ di sé. Poco, a piccole dosi. I suoi genitori hanno uno studio legale, ma a lei non piace la legge. Ogni tanto ha bisogno di fuggire dalla realtà. È una gran fan, inaspettatamente, sei Clash, degli Smiths, dei Joy Division e uno dei suoi gruppi preferiti e Siouxie and The Banshees.
- Ma quindi sei un po’ punk!
La prende in giro Eddie e lei lo fa di nuovo, quel suo sorriso a mezzaluna, coi suoi occhi che si chiudono appena ma non smettono di brillare, lucenti come perle, sotto le ciglia lunghe e le palpebre semichiuse.
- È che in realtà mi piacciono le cose che vengono dall’Inghilterra. Mi piacerebbe andarci prima o poi.
- A vedere la Regina e Lady Di?
- Lady Di specialmente, è sempre così bella ed elegante, si veste benissimo.
- Anche questo è molto punk, lo sai? God Save The Queen!
- A te dove piacerebbe andare?
È una domanda bellissima, per due ragazzi su un tetto. Perché Eddie lo sente: è uno di quei momenti chiave. Uno di quelli dove ogni cosa sembra fattibile, ogni strada percorribile e il mondo, la fuori, sterminato per loro, in attesa che se lo prendano. Il bello di essere giovani, di sentirsi immutabili e invincibili. Senza sapere che quella sensazione passa in fretta, è sabbia tra le dita, ed è così rara che quando capita l’unica cosa che puoi fare davvero è stringerla forte.
Eddie ci è dentro a quel momento, è ubriaco di vita, di possibilità.
- New York, bellezza!
Può quasi vederla, anche se è lontana chilometri dall’Indiana. Può quasi sognarne i grattacieli, lo skyline da favola.
- Perché proprio New York?
 Gli chiede lei, sinceramente curiosa. Sembra anche un po’ divertita, rapita da chissà quale pensiero invisibile.
- Perché secondo me vivere a New York è proprio come un film, capisci? Dove ti giri puoi respirare arte, cultura, glam. E poi è lì che vanno tutti i musicisti.
- Pensavo che quella fosse New Orleans.
- Naaaa, New Orleans è superata! Basta col vecchio e noioso jazz, è ora di fare qualcosa di nuovo. E poi sono convinto che il jazz sia un genere che non ci appartiene, una cosa che abbiamo rubato ai neri, capisci?
Si trovano, Eddie non sa come, a discutere animatamente sulla cultura. Su come entrambi pensino che i bianchi abbiano una qualche forma di vantaggio, anche se non riescono a capire perché; su come specialmente gli Stati Uniti tendano ad appropriarsi delle culture degli altri, a prendere e rubare.
- Forse perché siamo nipoti dei cazzo di colonizzatori, quindi colonizziamo anche la cultura. La prendiamo dagli altri e la facciamo nostra, tentando di primeggiare in tutto.
- Può darsi. Sai da dove venivano i tuoi avi?
- Non ne ho idea, ma mi piacerebbe fossero italiani. O irlandesi, insomma, gente a cui piace incazzarsi.
- Io credo di avere dei bis-bisnonni francesi o qualcosa di simile, ma non ho mai indagato a lungo.
- Beh, però si spiegherebbero tante cose. Sbaglio o sei la prima nella tua classe di francese?
- Come fai a saperlo?
- Mi piace informarmi su quello che mi piace.
Gli è uscita talmente spontanea che si stupisce di se stesso, lo realizza solo dopo averlo detto. E stavolta è lui a darsi del cretino, a non riuscire a sostenere lo sguardo di Chrissy. Ha la sensazione di aver bruciato una tappa; anzi, all’improvviso gli pare di averne bruciate troppe. Si cheta, chiudendosi in una sorta di mutismo selettivo dal quale non riesce a uscire neanche con il suo istrionico, folle modo di fare.
- Anche a me
 
Risponde lei. E adesso, Eddie può guardarla. Lei è tranquilla, ha lasciato il suo trancio nel cartone, ma sorride. Ha gli occhi pieni e belli e forse sarebbe il momento perfetto per sporgersi in avanti e baciarla. Per chiudere una serata perfetta così, con la giusta magia. Per sapere cosa si prova a dare un bacio a una ragazza così.
Così bella.
Così meravigliosamente semplice.
Ma non riesce a farlo.
Il suo corpo pesa come piombo e Eddie sa che non se lo merita. Non si merita niente di lei. Non quella tenerezza, non gli occhi belli, non di passarle una mano tra i capelli oro, di abbracciare quel corpo magro, di sentire quella voce dolcissima. Lei è una principessa, in tutti i sensi, un giorno o l’altro raggiungerà Londra. Nella vita di Eddie, invece, le possibilità diventano di colpo a due, come se qualcuno avesse ristretto bruscamente il campo, zoomato violentemente sugli obiettivi: o New York o la fabbrica, proprio come suo zio. La sua paura peggiore è quella di non essere niente di speciale, di essere condannato a una vita monotona, infelice, lontano dai palchi e dalla chitarra. Una vita di assenza e sogni buttati.
È per questo che si alza in piedi e le porge una mano, dicendole semplicemente:
- Coraggio, principessa, è ora di riaccompagnarti a casa o diventerò una zucca!
Nascondendo con un inchino il suo imbarazzo, rifuggendo le proprie insicurezze per ostentare, piuttosto, spavalderia. Mettendo su quella grande e straordinaria maschera che si è costruito.
Ecco, signori e signore, il più grande spettacolo del mondo. Offritemi due spicci per un biglietto; e io vi farò ridere fino allo sfinimento. Ma se uno di voi, alla fine, vorrà farmi un dono, ecco quello che vi chiedo: qualcuno per far ridere me, per alleviare i miei dolori come io faccio con quelli degli altri.*
 
 
 
 
 
__
 
*omaggio parafrasato alla preghiera del clown di Totò

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Capitolo 7
*** Specchi ***


Lo schiaffo le arriva in faccia così forte e imprevisto che Chrissy non fa neanche in tempo a chiedersi perché.
Perché ci sia sua madre in piedi in camera sua – la vestaglia aperta, i capelli elettrici e impazziti attorno al viso ovale, gli occhi sporgenti di rabbia. Nodosa, tesa, pronta a scattare come una fiera, con la stessa alterigia ed eleganza anche in una circostanza che richiederebbe la pe12rdita del controllo.
Perché debba succederle adesso, dopo una serata così bella, con lo sguardo di Eddie ancora addosso.
Perché l’abbia scoperta. O meglio ancora, come.
- Dove sei stata?
Glielo chiede con un tono tagliente come una lama e Chrissy sa di dover rispondere. Nel suo cervello si accalcano decine di spiegazioni possibili: Kelly, Jason, allenamenti tardivi, emergenze improvvise, bisogno di uscire. Ogni scusa sembra più debole dell’altra.
- Io…
- Chrissy. Dove sei stata.
Tenere la bocca chiusa sembra l’unica soluzione praticabile. Trincerarsi in un ostentato silenzio, una forma di salvezza.
Dentro di sé si sente tremare. Il panico le sale dalla bocca dello stomaco, preludio di una crisi che durerà ore. Si sente mancare il fiato e le viene istintivo fare un passo indietro.
- Mamma… - prova a chiamarla piano.
Non farmi male, vorrebbe dirle.
Ma Eva non ci sente. Forse, anche se potesse farlo, ignorerebbe quella supplica disperata e fragile.
Quello che viene dopo è un iter che Chrissy bene o male già conosce. Non bastano tutti i passi indietro del mondo ad allontanarla dalla sua mano. Le dita lunghe ed eleganti della mano di sua madre, artiglio del diavolo, le si infilano tra i capelli e stringono forte. Con una forza inaudita per una donna così magra, la trascina fuori dalla stanza, fino al grande specchio del corridoio. Incurante della possibilità di svegliare suo fratello o suo padre.
Stringe le ciocche così forte che Chrissy non riesce a ribellarsi, a svincolarsi dalla presa. Anche se si dimena e se, istintivamente, le colpisce l’avambraccio con le mani e con le unghie, graffiandola persino.
- Mamma, per favore, ti prego.
Sente la propria voce supplicare. Non si è neanche resa conto di aver cominciato a piangere.
- La vedi quella allo specchio, Christine? – la chiama con il suo nome completo, mette un distacco ancora più grande tra loro due. Come se non ce ne fosse già abbastanza, poi.
- Mamma…
- Sei tu. Sì, sei proprio tu. Che hai disobbedito ai tuoi genitori, pensando non ce ne accorgessimo, e ti sei vestita come una puttana per fare chissà cosa. Rovinarti la reputazione, suppongo. Guarda, guarda bene. Quella sei proprio tu. La flaccida, pigra, noiosa ragazzina che ha pensato di mettere a repentaglio tutto il suo futuro per cosa, di preciso?
- Io…
- Sai, Christine, non mi interessa nemmeno. Non posso credere di aver cresciuto una figlia disonesta e debole. Ho provato in tutte le lingue a insegnarti che la perfezione richiede dedizione, sacrificio e fatica, ma tu continui a non ascoltarmi, a voler fare di testa tua. E questi sono i risultati. Guardati.
La ragazza allo specchio ha il trucco colato attorno agli occhi, un’eco pallida del rossetto scuro, il suo prezioso top all’uncinetto che ora, per qualche motivo, sembra un indumento orribile, macchiato di chissà quale colpa. Chrissy, nonostante si sia trattenuta fino ad ora, scoppia a piangere. Perché quello che vede inevitabilmente non le piace – e non perché ci sia qualcosa di sbagliato, ma lei questo non lo so.
Quello che lo specchio le rimanda indietro e un’immagine talmente potente e sbagliata, talmente corrotta e distorta, che la colpisce dritto allo stomaco. Sono io? Si domanda, da qualche parte dentro di sé. È mia madre?
La verità è che sembrano due estranee, unite da una presa violenta e insensata. Due mondi diversi che si respingono ma non riescono a uscire, per qualche strano motivo, l’uno dall’orbita dell’altro. Forse è il senso del sangue. O quello della famiglia.
Eva lascia la presa. L’orecchio ancora pulsa, doloroso e vivo, così come la zona della testa coinvolta tramite i capelli. Chrissy cade a terra, sul pavimento.
- Ricomponiti. Non dirò nulla a tua padre.
La lascia lì, raggomitolata su un fianco, tornando in camera sua come se non fosse successo nulla. A quel punto, Chrissy può solo raggomitolarsi, stringersi nelle gambe per calmarsi.
Rimane lì per un lasso di tempo infinito. Quando trova le forze per alzarsi e andare in camera, fuori comincia ad albeggiare e la luce fredda del mattino illumina un mondo diverso.
 
*
 
Il piccolo specchietto quadrato dentro l’armadietto le suggerisce che non ha una bella cera.
La pelle è bianca e tesa; ha due grosse occhiaie, sintomo di una forte stanchezza. Alla fine Chrissy è riuscita a dormire forse due ore, prima di alzarsi per andare a scuola. Sua madre a colazione non ha detto nulla: se suo padre o suo fratello si sono accorti di qualcosa, durante la notte, non lo hanno dato a vedere.
Ha un grosso peso al petto che si trascina ad ogni passo che fa. La sensazione di paura, di terrore è stata sostituita da qualcosa di diverso, di più subdolo. In certi momenti le tremano le mani; in altri, vorrebbe mettersi a urlare.
Jason si è accorto di qualcosa, ma lei ha semplicemente detto di aver dormito male. Crampi alla pancia, tensione, le solite scuse.
- Chrissy?
Si gira stancamente, scoprendo la figura di Nancy Wheeler dietro di lei.
Le è sempre piaciuta, Nancy. È una ragazza in gamba. Il suo impegno con il giornale, la sua determinazione a scrivere, il suo non vergognarsi mai di nulla.
- Ciao, Nancy.
- Ti cercavo per un articolo. Stiamo scrivendo una raccolta sulle vittorie dei Tigers per celebrare i cinquant’anni della squadra, ma mi dispiaceva lasciare un punto di vista solo maschile. Cioè, non lo trovo giusto. Quindi vorrei inserire un approfondimento sul Cheerleading e mi chiedevo se fossi disponibile ad aiutarmi e a fare due chiacchiere.
La guarda per un attimo. Ci mette qualche minuto di troppo, a contestualizzare il discorso. Il cervello ancora affaticato dal giorno prima.
- Va bene. – chiude poi – Hai in mente un giorno?
- Anche nel weekend, se per te va bene. Magari sabato mattina potremmo vederci in biblioteca.
- Ma ce la fai a scriverlo prima del diploma?
- Diciamo che sarà il mio regalo d’addio per questa scuola.
Le fa l’occhiolino, sistemandosi poi i libri sotto le braccia.
Mancano tre settimane al diploma. Solo tre settimane. Ricordarselo improvvisamente dà a Chrissy la possibilità di respirare di nuovo, di rasserenarsi.
Deve tenere duro un altro po’.
Mentre cammina per il corridoio, si scopre a cercare ansiosamente Eddie.
Non ha avuto voglia di parlare con Jason di quello che è successo con sua madre, ma per qualche motivo che non capisce, ha voglia di parlarne con lui. Ogni minuto in cui non lo trova le fa venire l’affanno, la innervosisce ancora di più. Ogni giacca di pelle, ogni figura alta e smilza, ogni paio di converse sdrucite dovrebbero appartenergli: come se fossero solo sue. Come se gli altri non avessero nessun diritto di assomigliargli.
Quando lo trova, quando lo vede, il respiro si scioglie in un immediato sollievo.
È appoggiato al muro che ride. I capelli raccolti indietro, una matita tra i capelli, la sua maglietta degli Iron Maiden e i jeans scuri, le spille da balia attaccate sulle parti scucite. Circondato dai suoi amici, compresi i ragazzi del primo anno – Chrissy non conosce i loro nomi, sa solo che uno è il fratello di Nancy.
Lui si gira ed è un attimo.
Incrocia i suoi occhi, coglie l’attimo di urgenza. Cambia leggermente espressione, staccando le spalle dal muro e dicendo qualcosa ai suoi amici, congedandosi rapidamente da loro.
Non le dice neanche ciao, quando le si avvicina.
Lei non si è mai mossa, si rende conto solo quando lui arriva a una spanna di esser rimasta immobile, congelata, in attesa.
- Ehi. Che succede? –
Ed è quello il momento in cui, senza sapere neanche come o perché, Chrissy scoppia in un pianto liberatorio. Lì, sul corridoio, in mezzo a tutti gli studenti che si affaccendano per entrare in aula, a chi ride, chi mangia, chi ripassa per i test. Piange a dirotto, senza controllo, come una bambina che non è mai stata ascoltata, che chiede un abbraccio.
E quello arriva. Odora un po’ di nicotina, di polvere, di erba tagliata e serenità. Arriva all’improvviso, non richiesto né cercato, senza bisogno di formalità.
Arriva e, senza neanche che se ne renda conto, la porta via da tutto e tutti.
 

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Capitolo 8
*** Ti racconto una storia ***


È una di quelle rare volte in cui Eddie non sa che fare.
Normalmente tenterebbe l’inverosimile per far sorridere Chrissy – tirerebbe fuori fino all’eccesso il suo lato istrionico, s’improvviserebbe pagliaccio, artista di strada, giocoliere o quel che è.
Ma ora che lei è trincerata in un silenzio surreale non sa bene cosa dire.
È raggomitolata sul sedile del passeggero: con le braccia si stringe le gambe, i talloni toccano la pelle del sedile e la sporcano, le vertebre del collo sporgono sotto la coda tirata dalla quale fugge qualche ciocca ribelle, stanca di essere ordinata, stanca di essere perfetta. Ha il rimmel sotto gli occhi, un tripudio di pulviscoli neri sulla pelle bianca. Singhiozza e il suo labbro superiore, come quello di una bambina, si è gonfiato.
Sono fermi da almeno un’ora in un parcheggio vicino al bosco, uno di quelli per le zone caccia.
Un’ora. Sessanta lunghissimi minuti di silenzio, di arrovellamento, di ricerca della cosa giusta da dire.
Cercando di ignorare quella sensazione, poi.
Quella così lì.
Dentro allo stomaco, ma anche nel petto, nel cuore, diramata nelle braccia e nelle gambe, nella testa, come un formicolio, come una droga. Eppure Eddie non ha fumato nulla, non ha preso pastiglie, non ha neanche bevuto. È rimasto lucido tutto il tempo, c’era il compito della O’Donnell, l’ultimo, il più importante. Lo ha fatto, chiuso, consegnato felicemente.
Ma allora perché, cos’è, che succede. Quando l’ha vista piangere in mezzo al corridoio è come se una forza invisibile gli avesse fatto dimenticare tutto il resto. Qualcosa – quella cosa lì, sempre lei – l’ha spinto a camminare, ad abbracciarla, a portarla via sotto gli sguardi stupiti di tutti. Fregandosene di Jason Carver, dei professori, di quello che i signori Cunningham diranno o quello che farà lo zio.
Non c’è altro posto al mondo dove vorrebbe essere, ora, se non di fianco a lei.
- Ehi… - prova a chiamarla piano.
Lei alza appena gli occhi, ancora lucidi. Sembra un cerbiatto ora. Lo stesso musino, la stessa espressione smarrita.
- Scusa – mormora a fior di labbra – Mi dispiace, non avrei dovuto coinvolgere, è che io…
Si ferma. Esitando. Abbassa un secondo gli occhi e Eddie, è pronto a giurarci, vede delle chiazze rosse sulle guance.
- Non fa niente. Tanto ehi! Ho dato l’ultimo test. Se tutto va bene, tra due settimane mi levo dai coglioni.
L’idea lo galvanizza così tanto che per un attimo si alleggerisce di tutte le sue preoccupazioni.
- Sono felice. Mi sa che saliremo sul palco del diploma insieme.
Adesso sorride. Sembra aver ritrovato un minimo di entusiasmo, un pensiero a cui aggrapparsi. Scivola in basso con la schiena, scioglie le gambe, appoggia i piedi sul cruscotto. Sembra quasi nascondersi dal vetro, dal mondo esterno a loro.
- Non ti va proprio di raccontarmi cos’è successo?
Eddie sa che non è il momento di scherzare. Che nessun trucco al mondo servirà a far sparire quella tristezza che circonda l’altra come nebbia, aleggiando attorno a lei, roccaforte di pensieri.
- Non è che non mi va, è che non so da dove cominciare.
- Dall’inizio, direi.
Così Chrissy gli racconta. Di suo padre, che la chiama principessa ma poi è poco più di una comparsa nella sua vita, una figura sullo sfondo estranea alle dinamiche della casa, qualcuno che non prende mai posizione perché, semplicemente, non gli interessa. Di sua madre, che vorrebbe fosse perfetta, di come da bambina la pesava sulla bilancia e le proibiva i dolci, di come le abbia proibito per anni di giocare ai compleanni degli altri per non sporcarsi i vestiti, di come lei sia rimasta a lungo ad osservarle, le feste, prima di poterne prendere parte entrando a gamba tesa come una reginetta. Un posto elettivo che non ha mai chiesto, neanche le piace.
Trema, quando gli racconta dello strattone, dello specchio, che poi è solo un frammento di una superficie piena di strattoni e di riflessi, di schegge e ferite.
Ricomincia a piangere e adesso Eddie sa cosa deve fare, sa che deve ascoltare, sa che deve raccoglierle le lacrime e lo fa. Allungando una mano se ne fa carico.
Le reginette non piangono solo per le corone, allora.
 
*
 
- Sei sicuro che possiamo stare qui?
- Sì, zio Wayne torna stasera. Turno lungo in fabbrica.
Sdraiarsi sul letto è strano. Non è la prima volta che una ragazza entra in camera sua; c’è entrata Robin Buckley, durante il suo secondo anno. Hanno fumato insieme e poi visto una videocassetta, nulla di che. C’è entrata Susan della classe di chimica, Marie di quella di geometria. Con loro c’è stato il sesso, eccome. Un po’ rude, un po’ improvvisato, decisamente inesperto. Con la voglia di scoprirsi e scoprire, ancora più di qualsiasi altro sentimento, di poter dire: l’ho fatto, ho tagliato il cordone, sono grande anche io.
Ma nessuna di loro è Chrissy.
Eddie non riesce neanche a immaginare di toccarla. E non perché non vorrebbe: ma perché ha paura di mettersi a nudo, essere inadeguato, scoprire di non essere abbastanza per una come lei.
Così bella e così fragile, potrebbe spezzarla solo premendo sulle sue ossa.
Allora le resta a debita distanza, sdraiato sul letto e su un fianco, accontentandosi del suo profilo, delle sue ciglia socchiuse, delle sue braccia intrecciate sotto lo stomaco nel tentativo, probabilmente, di trattenere il dolore. Le loro fronti si sfiorano, ma sono fermi lì. Nascosti dalla scuola, dai grandi, dal mondo.
- Se vuoi ti racconto una storia – propone così, all’improvviso, la prima cosa che gli passa per la mente.
La vede scoprire i denti in un sorriso, sente il suo respiro. La particolarità dell’aria trattenuta dal naso chiuso dal pianto, che la costringe a tenere le labbra socchiuse.
- Dai, sono davvero curiosa.
- C’era una volta una ragazza. Si chiamava Sole, viveva in un regno pacifico e semplice dove ogni cosa scorreva immutabile da secoli. Era sempre tutto uguale. Non c’erano cambiamenti, o innovazioni. Gli inventori erano gente malvista, così come gli uomini di scienza o gli artisti. Sole non sembrava accorgersi di tutto questo: camminava per le vie presa dai propri pensieri, da un mondo invisibile dove gli altri non potevano raggiungerla.
- Sono io, Sole?
- Può darsi. Comunque. Solo vederla rendeva la gente felice, perché era sempre serena e di buon cuore. La voce giunse agli Dei e uno di loro, Coraggio, si innamorò di lei. Ma il pantheon non vedeva la cosa di buon occhio, e alcune Dee erano gelose. Tristezza, Rabbia e Desolazione non potevano sopportare che una sola persona minasse sia il cielo che la terra.
- E Coraggio non poteva difenderla?
- Non lo sapeva. Non poté fare nulla, neanche quando Rabbia cominciò a spargersi tra le persone, contagiandole come un morbo; Tristezza si insinuò nelle vie, baciando i più sfortunati; e alla fine, Desolazione passò su tutto il resto, svuotando la città. Rimase solo la povera Sole. Ma a quel punto, Coraggio si avvicinò a lei e le diede il proprio bacio. Le disse: ecco, ora tu hai il mio dono. Sei pronta ad affrontare il mondo.
Chrissy sorride, chiudendo appena gli occhi.
- Secondo te sono pronta?
- Secondo me si.
- Sei Coraggio?
- Naa. Sono Magnifico, è diverso.
Lei si muove, gli pizzica un fianco per fargli il solletico, per fargli capire che l’ha detta grossa. Ma Eddie è più alto e più forte, riesce a prevenire la colluttazione, a fermarla per i polsi.
La lascia subito dopo, come se scottassero, soffiando uno:
- Scusa! – impacciato. Vorrebbe nascondere la testa sotto il cuscino, ma lei non sembra spaventata.
- Perché non sentiamo un po’ di musica? – propone – Ho visto che hai Closer dei Joy Division.
- Grande perdita, quella di Ian Curtis.
- Non potrei essere più d’accordo. Sentiamo un po’ di Love Will Tear Us Apart?
Eddie si alza, irrequieto, sistemando il vinile nel mangiadischi. Poco dopo, le note della canzone risuonano per tutto il caravan. Lui si sdraia di nuovo: insieme a Chrissy, scruta il soffitto.
Ed è un attimo, uno soltanto, mentre la musica va.
Con lei lì al suo fianco, con gli occhi lucidi, l’aria sincera, bella come non mai; e la finestra aperta sulla primavera che inizia; la luce d’oro del tardo mattino che riempie ogni cosa nella stanza; una canzone perfetta e un momento perfetto. Ed ecco che Eddie si sente vivo come non mai, forte e splendente con il mondo in tasca, circondato di ogni possibilità.
Assurdamente infinito.

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Capitolo 9
*** Cioccolata Calda ***


Quando Chrissy si sveglia ormai è pomeriggio inoltrato.
Fatica un po’ a capire chi è – dov’è. Perché la stanza dove si trova non assomiglia per niente alla sua, con le coperte scure e i poster alle pareti. La prima cosa che mette a fuoco è una chitarra nera e bianca, lucida, con le corde ben tese. Allora sorride, perché sa perfettamente che è dove vuole essere.
Si mette a sedere, scoprendo di aver calciato via le scarpe durante il sonno. La sua coda si è sfatta, ha la felpa della scuola stropicciata. Sa di aver saltato gli allenamenti, che l’ultima partita incombe, ma ora come ora non gliene frega niente.
Non c’è Eddie, però.
Scende piano giù dal materasso, camminando in punta di piedi nel piccolo corridoio. La sua paura di disturbare l’accompagna sempre, la terrorizza a morte.
Ma poi lo vede.
Si ferma un attimo a guardarlo, da qualche metro.
Deve aver fatto la doccia da poco, perché ha i capelli bagnati raccolti dietro la nuca; porta una maglietta a mezze maniche dei Clash, ha i suoi jeans scuri, anche lui è scalzo. La sua schiena è diritta come quella di un gatto: armeggia ai fornelli, uno straccio appoggiato sulla spalla destra. Muove la testa a tempo di musica, quella che passa attraverso le cuffiette del suo walkman – sembra in procinto di mettersi a ballare da un punto all’altro e infatti a un certo punto lo fa. Con una giravolta su se stesso si concede un attimo di goliardia, finendo poi per trovarsi di fronte il viso di lei. Sgrana gli occhi, sorride, abbassa le cuffiette.
- Da quanto tempo sei lì?
- Abbastanza – gli risponde Chrissy, avvicinandosi ai fornelli per curiosare. C’è un odore buonissimo, dolce.
- Ho pensato avessi bisogno di qualcosa che ti tirasse un po’ su il morale.
Cioccolata calda con panna.
È una vita che Chrissy non la mangia. La sua testa si allarma, cominciando immediatamente a contare le calorie: lo stomaco si contorce per il nervoso e l’ansia.
Quand’è l’ultima volta che ha mangiato? Neanche se lo ricorda. La mattina, a colazione, ha buttato i corn flakes nel secchio mentre nessuno guardava. Poi è stato tutto veloce: la scuola, Eddie, la fuga. Ma questi pensieri la mettono ancora più in allarme, perché sa che sono cose che dovrà affrontare e ora non se la sente, è terrorizzata.
Eddie gli passa la tazza sotto al naso, come a volerla tentare. Il profumo, in effetti, è benissimo. Nemmeno se lo ricordava più.
Prende la porcellana tra le mani, esitante.
- Non ti piace? – le chiede lui, un po’ confuso
- Moltissimo. È solo che…
Non riesce a spiegargli la paura di diventare grassa. Di deludere le aspettative di tutti, di non essere perfetta. Ma Eddie non si aspetta che lei lo sia; le passa una mano attorno all’orecchio, sistemandole una ciocca di capelli.
- Ehi. Basta pensieri, ok? Qui dentro non esistono. Questo è il Magico Caravan di Eddie Munson e qui non esistono paura, ansie, fobie, mamme mostruose e voti scolastici. Puoi essere chi vuoi.
Chrissy scoppia a ridere. Dentro di lei qualcosa si muove. Una piuma, una sorta di sollievo.
Appoggia le labbra alla tazza e la cioccolata ha un sapore così buono che per un secondo le viene da piangere. Trattiene indietro le lacrime, prova a frenare il cervello. Un piccolo sbuffo di panna le rimane sul labbro superiore.
È a quel punto che, senza nessun preavviso, Eddie la bacia.
Deve averlo visto in qualche film – è impegnato in un blando tentativo di fare l’eroe, forse.
È un bacio talmente veloce che nessuno dei due fa in tempo a rendersi conto di cosa è successo: è impacciato, disastrato, rubato, timido, somiglia più a una dentata, uno scontro frontale.
- Scusa! – le dice lui, facendola ridere un’altra volta – Non volevo. Cioè, volevo, accidenti se volevo, però non volevo fare qualcosa contro la tua volontà, ecco, magari non ti andava ma non ho saputo trattenermi e accidenti è proprio quello che deve pensare uno stupratore…
Sta iperventilando, ora. Adesso è Chrissy che appoggia la tazza vicino al fornello, che si alza sulle punte e gli prende il viso tra le mani. Lo bacia, senza nessuna paura.
È diverso da tutte le volte che ha baciato Jason. Con lui non prende mai l’iniziativa, non si avvicina mai per prima, non si espone. Con Eddie, invece, le viene quasi naturale. E c’è una dolcezza, in quello che fanno. Lui rimane rigido per un secondo e poi si rilassa, con le mani cerca i suoi fianchi per avvicinarla a sé.
Sorprendentemente, Chrissy scopre che quello è un posto in cui sta bene. Dove non ha paura di niente.
Quando si staccano l’uno dall’altra rimangono in quel modo un pochino – la guancia di Eddie appoggiata sulla sua testa.
- E ora che si fa? – le chiede, accarezzandole i capelli.
- Non lo so. Possiamo restare un po’ qui e dimenticarci del mondo?
- Possiamo fare quello che vuoi.
 
*
 
Sono ancora seduti sul divano quando qualcuno bussa violentemente alla porta del caravan. Chrissy, che stava riaddormentandosi, sobbalza.
Eddie va ad aprire e Jason entra come una furia, prendendolo per il bavero.
- Brutta testa di cazzo! – gli urla contro, spingendolo verso il divano.
Chrissy si alza, cercando di mettersi tra loro due, di fermarlo. Jason sa essere molto violento quando ci si mette e, a differenza di Eddie, è uno sportivo. Sa picchiare forte quando vuole: Munson, da questo punto di vista, è in netta minoranza.
Infatti lo vede indietreggiare, sbattere contro il tavolino: Jason rincara la dose e lo spinge ancora, facendolo cadere a terra. È già pronto a sovrastarlo e riempirlo di pugni, quando Chrissy si frappone, urlandogli un.
- No! – secco.
Prova a spingerlo via, a sua volta. Ma i suoi polsi sono fragili, il suo corpo debole.
Però Jason ha una qualche forma di etica, perché si ferma.
- Togliti! – le ordina – Togliti che lo ammazzo.
- Dai, Carver, vieni qui – esclama Eddie, rialzandosi in piedi – Facci pure vedere quanto sei il più forte e il più macho di tutti.
Nell’altro, la rabbia carica di nuovo. Spinge via Chrissy, che atterra sul divano.
Non lo ha mai visto così, sembra un’altra persona. È come se fosse posseduto da qualcosa. Un sentimento, una rabbia ancestrale e primitiva. Si getta addosso all’altro e lo fracassa di pugni, nonostante le urla di Chrissy, il suo tentativo di dire basta.
Soffre per entrambi.
Per Jason, che le è stato amico per tutti quegli anni, che le ha voluto bene, l’ha aspettata e ora, in qualche modo, lei ha innegabilmente tradito. Se non con un bacio, che si può ancora perdonare, l’ha tradito con il cuore. Ha concesso molto di più a qualcuno che conosce molto di meno, affidandosi a una fiducia misteriosa che l’ha trascinata in una direzione nuova.
Per Eddie. Che è un piccolo nuovo sole, nella sua vita. Qualcosa che non pensava avrebbe mai trovato e che ora vorrebbe tenere all’infinito vicino a sé. È l’unica persona con cui starebbe sempre, ogni momento della giornata.
Le viene da piangere in modo consistente, non sa che fare, mentre Jason infierisce su Eddie in modo spaventoso e l’altro continua a provocarlo, a dirgli di colpire più forte. Non riesce ad arrendersi, lui e la sua lingua biforcuta, più quello lo picchia più lui ride per non dargli la soddisfazione di fargli vedere che gli sta facendo male.
Ma a un certo punto Jason viene tirato via dal corpo di Eddie da una presenza più massiccia, più forte. Un uomo alto e burbero, con l’espressione nervosa, lo spinge via, intimandogli un secco.
- Fuori di qui.
- Ma vaffanculo, pulciaro di merda.
- Fuori di qui, o chiamo lo sceriffo Hopper e ti faccio fare una notte in galera.
Jason si asciuga la bocca, guarda Chrissy.
- Andiamo, Chris. Ti riporto a casa.
- Jason…
- Chrissy – la chiama piano Eddie. Ha il volto tumefatto, l’occhio gonfio, le labbra che sanguinano. Lei si siede vicino a lui, lo abbraccia – Mi dispiace tanto, è colpa mia.
- Non potrebbe mai esserlo
- Chrissy – le intima di nuovo Jason.
- Torno presto – gli promette, baciandogli una tempia sotto lo sguardo vigile di zio Wayne. La guarda in modo attento e indecifrabile, senza spiccicare parola.
A quel punto, lei è costretta ad alzarsi.
Ma ora sa cosa deve fare.

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Capitolo 10
*** Jason II ***


Il dolore che Jason sente al petto è diverso da qualsiasi altro dolore abbia mai provato prima.
È una frattura, un sentimento secco. Uno spacco come quelli sulla terra, durante la siccità: non c’è niente di pulsante o vivo, ma solo una profonda sensazione di aridità, di delusione.
La cosa buffa è che quella delusione riguarda Chrissy solo in parte – ha radici più profonde, più misteriose e insondabili. Da qualche parte nella camera di specchi che vive dentro se stesso, Jason se la prende col suo riflesso per non star soffrendo abbastanza. Di essere arrabbiato per i motivi sbagliati.
Ma neanche lui le capisce davvero, le cose senza nome che gli girano dentro. I fantasmi che lo abitano.
Riesce solo a guardare la strada, l’alone dei fari sull’asfalto. Gli alberi strisciano ai lati veloci, anche se dentro l’abitacolo gli sembra che la macchina vada lentamente o forse è semplicemente il tempo che da qualche settimana a questa parte scorre in modo diverso.
Gli fanno male le mani. Picchiare Eddie gli ha richiesto un enorme spreco di energie e, se il signor Munson non lo avesse fermato, avrebbe continuato ancora e ancora. A un certo punto una rabbia ancestrale ha preso il controllo del suo corpo, come fosse un burattino: si è scoperto saturo di un’energia che non sapeva nemmeno di avere, capace di caricare, di spingere più forte. Di fare più male.
Liberare il dolore lo ha fatto sentire meglio. Ma ora, invece, ha di nuovo la nausea.
Chrissy se ne andrà.
Lo ha capito subito dal modo in cui lo ha guardato, dalle sue spalle rilassate, dall’espressione di estraneità quando è entrato nel caravan. Lei sfilerà via dalla sua vita, oggi o domani, presto o tardi, lasciandolo vittima di una solitudine feroce, ingestibile, che divora tutto quanto.
- Jason…
- No
No, non parlare. Fa che duri ancora un attimo. Lasciami ancora un secondo, perché fino a che non ci sei tu non ci sono tutti i miei demoni, le mie paure, le mie fobie.
Chiude gli occhi per una manciata di secondi. Anche se sta guidando, non fa niente – anzi. Si chiede come sarebbe lasciar andare il volante, per un secondo. Smettere di controllare ossessivamente la direzione della sua vita, di capirne il senso, di essere ossessionato da cosa dovrebbe desiderare e cosa, invece, desidera davvero.
- Vorrei parlare con te, prima ancora dei miei genitori
- Se pensi che tua madre ti lascerà andare dopo questo, sei veramente pazza
Lo crede davvero. La conosce, la signora Cunningham. È come suo padre: una di quelle persone da cui non vuoi fuggire. Che ti raddrizzano con la tecnica del bastone, senza nessuna carota.
- Non importa, Jason, davvero. Me la vedrò io con lei.
Non hai più bisogno di me. Hai bisogno di lui?
Si chiede cosa abbia Eddie in più. Non è uno sportivo. Non è bravo a scuola. Non è in nessun modo destinato a un futuro promettente. Spaccia schifezze a tutti. Suona in un gruppo di sfigati. Gioca a quel gioco assurdo, da bestie del diavolo.
Forse è che a lui piacciono davvero le ragazze, gli dice una vocina da qualche parte, forse Chrissy si è accorta che sei disonesto.
La nausea si fa così forte che deve fermarsi. Accosta con la macchina sul bordo della strada, lasciando i fari accesi e scende sbattendo la portiera. Chrissy, vicino a lui, si alza e lo segue.
- Jason! – lo chiama di nuovo.
Non è fiero di quello che succede dopo, ma non riesce a controllarlo. Non controlla il modo in cui si avventa su di lei, in cui la prende per le braccia e la spinge contro la portiera. Sente il tonfo della sua schiena contro il vetro, sa di averle fatto male, ma non riesce a fermarsi. Cerca di baciarla, nonostante lei si divincoli, muova la testa, si ribelli. Lo spinge persino via con una forza che da una persona così piccola non ti aspetteresti mai.
- Ma che cazzo fai?! – gli urla arrabbiata, con le lacrime agli occhi – Che cazzo fai?
Le spalle le tremano, alzandosi e abbassandosi in singhiozzi. Si copre il viso con la mano e Jason, un passo indietro, cerca di riprendere a respirare.
Cosa sta facendo non lo sa neanche lui. A questo punto, finalmente, la nausea prende il sopravvento e si avvicina ad un albero per vomitare.
Dare di stomaco gli provoca uno strano sollievo. Il dolore fisico, per un attimo, è così forte da annullare quello mentale.
Si accuccia vicino alle radici, con Chrissy ancora lontana, ancora spaventata.
- Cos’ha lui in più di me? – le chiede.
Non gli sembra neanche la sua voce. È rotta e stanca, provata dalla fatica della discussione.
Chrissy trema, mentre si accuccia contro la macchina.
Ma non lo guarda spaventata ora. Lo guarda triste, come a volergli chiedere scusa di qualcosa. Di non aver provato abbastanza, forse. Di non esser funzionati assieme.
- Non ha niente più di te – gli dice dolcemente – è solo che lui mi piace perché mi piace e non perché dovrebbe piacermi.
Ed è l’unica verità che Jason non vuole sentire, per quanto ne abbia disperatamente bisogno.
 
*
 
Il resto del viaggio prosegue in silenzio. Quando si ferma davanti a casa Cunningham, Jason si volta a guardare Chrissy, sapendo che è l’ultima volta che condivideranno quel genere di intimità.
Forse c’è spazio per una nuova. Forse potrebbe parlare con lei – ma sa che non capirebbe. O magari lo farebbe, ma lui non è pronto.
- Sei sicura di farcela da sola? – le chiede.
Lei, che esita sul sedile, annuisce.
- Non così tanto. Ma devo, in fondo è la mia vita.
- Mi dispiace. Vorrei poterti aiutare.
- Non ce l’hai con me?
- No, non davvero. Al massimo ce l’ho con me.
Chrissy si sporge sopra al sedile, per abbracciarlo. Jason non se lo aspettava, quindi rimane per qualche secondo rigido, incapace di contraccambiare. Ma poi si scioglie, ricominciando a respirare. Senza sapere neanche quand’è che aveva davvero smesso.
Capisce che lei lo ha perdonato.
Non solo per la scenata: gli ha perdonato la disonestà, lo scarso amore,  l’affetto per un tipo di vita che non è la loro. Quel percorso lo hanno fatto insieme e nessuno mai come lei sarà in grado di capire cos’è, rispondere a delle aspettative devastanti ignorando se stessi. Le accarezza la testa, cercando di darle un minimo di coraggio.
- Andrà tutto bene.
- Non so se sarà davvero così, ma ti ringrazio per aver capito.
Si bea del suo profumo per un attimo. Sa che è solo l’inizio, sa che quando rimarrà solo sarà un viaggio di sola andata nell’oscurità. Che tornerà di fronte a quella casetta e farà qualcosa di stupido, come lanciare sassi ai vetri, scrivere insulti con la bomboletta sulla porta. Entrare sarebbe la cosa più stupida di tutte ma per questo, Jason non è pronto.
Per un attimo gli torna in mente il ragazzo coi capelli ricci che è uscito la volta scorsa. Viene sopraffatto dal desiderio di fargli del male, non sa neanche perché. Forse perché la sua bellezza gliene fa in modo incontrollato. Gli stringe le viscere in modo violento.
Quando torna alla realtà, Chrissy si allontana dolcemente da lui.
Si ferma un attimo a guardargli il viso, tenendolo tra le mani piccole, le dita magre.
- Sarai mio amico per sempre – gli sussurra, con dolcezza.
Non riesce a risponderle. Annuisce, con gli occhi appannati dalle lacrime.
Un uomo non dovrebbe piangere, ma non riesce a farne a meno.
La guarda scendere dalla macchina e percorrere il viale – è solo una figurina sottile che va incontro all’ignoto, il corpo magro e teso, la coda che si muove ad ogni passo, eccola, Chrissy che cammina sulle sue gambe e va incontro alla vita.
 
 
 
__
 
N.B = Ciao a tutti! Faccio capolino solo per esprimere una considerazione. Non avevo valutato di dedicare a Jason troppo spazio, ma scrivendo mi rendo conto che forse la sua storia meriterebbe di essere approfondita. Fermo restando che rimarrà comunque uno dei pilastri di questa storia, sto valutando se portare avanti un filone parallelo a lui dedicato – una sorta di spin off, chiamiamolo così, anche se non lo è – o meno e volevo capire un po’ se c’è dell’interesse in questo senso. Mi diverte molto scrivere questo racconto, quindi mi faceva piacere condividere questa idea (:
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Capitolo 11
*** via dei matti numero zero ***


Il piano inferiore della casa verte in un silenzio surreale – vuoto, amplificato dal terrore che Chrissy sente come un ragno agitarsi dentro di sé.
Non ci sono né suo padre, né sua madre, né tantomeno suo fratello. La televisione è spenta, l’isola di marmo della cucina tirata a lucido, le finestre chiuse. Non si muove nulla, non ronza un insetto, non si sentono i suoni della strada. Tutto sembra fermo in un’attesa spaventosa e quando appoggia il piede sul primo scalino, lo scricchiolio che ne consegue è insopportabile, echeggia tra le mura di tutta la casa.
- Mamma? – prova a chiamare, col cuore in gola.
Sa che c’è. La porta era aperta, le sue scarpe all’ingresso.
Quando arriva di fronte alla porta della sua stanza, non è troppo stupita del fatto che lei sia lì ad aspettarla. Quello che la coglie davvero di sorpresa è la presenza di suo padre, seduto sul letto immobile: ha la fronte appoggiata tra le mani, i gomiti sulle ginocchia, l’aria di chi è invecchiato di cent’anni tutti insieme.
A lui, e solo a lui, Chrissy vorrebbe dire che le dispiace.
È ancora il papà che la chiama principessa, che l’accompagna dappertutto, che le ha comprato il vestito per il ballo. Ma è anche il marito di Eva. Forse è una dicotomia troppo difficile tra gestire, quella tra amore filiale e doveri matrimoniali. Forse è per questo che preferisce passare tanto tempo fuori casa, invece che con loro. Forse sono tutti vittime della stessa, crudele manipolatrice narcisista che adesso cammina come una fiera in attesa su e giù per la stanza. I suoi occhi glaciali scivolano sul viso di Chrissy, dietro la porta semichiusa. Quando si apre in un sorriso che non promette niente di buono, la paura aumenta.
- Vieni, vieni.
Chrissy entra in quello che dovrebbe essere il suo porto sicuro in punta di piedi e gli occhi, immediatamente, le cadono sulla scrivania.
Qualcuno ha rovistato dentro i suoi cassetti e ha scoperto il doppiofondo. Sul tavolo in noce, sparsi, ci sono i suoi quaderni, i suoi disegni e, peggio ancora, c’è la bustina di Special K.
- Adesso ci spieghi cos’è questa, che ne dici? – il tono di sua madre, falsamente dolce e conciliante, le fa desiderare di tenere la bocca chiusa.
Eppure aveva trovato il coraggio.
Quello di dire basta, non sono così, voglio essere come voglio essere, voglio la libertà, la felicità, mangiare, Eddie, correre via, vivere, perché me lo merito.
Ma quel coraggio ora sembra finito chissà dove, svanito sotto le suole delle scarpe, nel ghirigori del tappeto che fissa con intensità feroce.
- Chrissy – la voce di suo padre, più conciliante, prova a insinuarsi nel discorso – Dicci la verità, ti prego. Così possiamo capire come aiutarti.
- Aiutarla – sbotta Eva, irretita dal fatto che qualcuno abbia osato toglierle il controllo della conversazione – Tua figlia si fa di questa merda e tu vuoi pure aiutarla?
- Io non mi faccio di nulla, l’ho solo comprata una volta perché avevo ansia.
Lo dice con un soffio di voce, così piano che le riesce difficile sentirsi da sola.
- Capito? Aveva ansia. Vive in una casa bellissima dove non le manca niente, e ha ansia. È prima nel suo corso, ottime possibilità future, una borsa di studio, un fidanzato bellissimo e ha ansia. Cristo, Chrissy, ma sei completamente imbecille? Cosa pensi che ti manchi di preciso?
Una madre, tanto per cominciare. Una che capisca che proprio tutte quelle cose sono quella che la mettono in difficoltà, che la fanno sentire schiacciata come una sardina. Il fatto di star vivendo una vita non sua, le pressioni sociali, la fatica di mantenere l’asticella delle aspettative sempre su, alta, in cima.
L’amore. La dolcezza, il sostegno, le cure.
Gli occhi le bruciano così forte che non riesce a trattenere le lacrime, mentre dalla bocca gli esce un lamento sottile, simile al pigolio di un uccellino.
È arrabbiata, terrorizzata, vorrebbe fuggire da lì ma non può.
- Avanti, rispondi, cretina.
- Non sono una cretina.
- No, dici? A me non sembra. Perdi il tuo tempo a disegnare, hai una busta di chissà che schifezza che, ci scommetto, ti ha dato il nipote di Wayne. È con lui che te ne sei andata oggi?
- Lascia stare Eddie.
Il pensiero che lei possa, in qualche modo, fare del male anche a lui la sveglia all’improvviso. La scuote, mandandola in uno stato di protezione che risveglia un angolo impigrito del suo cervello.
- Eddie. Sai che non appena avrò finito con te andrò a denunciarlo, vero? Ha venduto droga a mia figlia minorenne.
- Gliel’ho chiesta io, cazzo! Gliel’ho chiesta io perché non ti sopporto più. Non sopporto più te, la tua casa, le tue stupide regole, le tue aspettative, il modo in cui ci tratti tutti. Io, Michael, papà.
Stavolta non si limita a pensarlo. Se ne rende conto solo dopo averlo detto. Non sente più il proprio corpo tremare di paura, troppo agitata da altro. Lo sente muoversi, con un controllo che non le appartiene, per lanciarsi contro sua madre. Alza le braccia per darle uno spintone, ma Eva è più rapida e le rifila uno schiaffo forte con la mano sinistra, quella che ha piena di anelli.
Il contraccolpo è talmente forte che Chrissy cade sul pavimento mentre suo padre, in contemporanea, si alza.
- Eva, basta così. Non è questo il modo di chiarire con lei.
- Lo decido io, qual è il modo di chiarire.
- Non dentro casa mia.
- Pensi davvero che questa sia casa tua? O è la casa che ci ha comprato mio padre, per assicurarsi che avessimo tutto, mentre i tuoi a malapena sono riusciti a regalarci un servizio scadente di tazze per il matrimonio? Da dov’è nata la nostra attività, da te o da me?
Il signor Cunningham stringe gli occhi, prendendola per un braccio.
- Stavolta no – le dice, strattonandola. Ma Eva, fiera come le appartiene essere, rimane immobile e crudele.
Chrissy osserva la scena raggelata, vedendo crollare pezzo per pezzo tutto quello in cui credeva. I suoi rispettabili genitori alto borghesi non solo non si amano, ma sono vittima l’uno dell’altra, sono vittima e carnefice, fossilizzati nei loro ruoli. Forse è questo che fa il matrimonio alle persone, pensa.
- Papà…
A quel punto, inorridita, gira la testa verso la porta.
Michael, in piedi, li guarda.
È solo un bambino.
Non va neanche ancora al liceo, è un corpo lungo intrappolato in un pigiama piccolo, coi capelli tagliati a scodella e l’aria smarrita.
Il signor Cunningham lascia il braccio della moglie, forse intuendo quanto doloroso possa essere, per un ragazzino, vedere i genitori in procinto di picchiarsi mentre la sorella è ancora accucciata sul pavimento. Un tableaux vivant del orrore, senza soggetti sacri, ma solo mostri.
Guarda Chrissy, poi il figlio.
E Chrissy lo capisce al volo, che non potrà proteggerli entrambi. Gli fa un cenno di muto consenso, lasciando che lui prenda Michael e lo porti via, abbandonandola nella morsa del giaguaro che ora, soddisfatta, sfila la cintura dalla gonna a vita alta.
 
*
 
Quando Ruth viene in camera sua, in punta di piedi, Chrissy è sdraiata su un fianco.
Sua madre l’ha colpita ovunque: sulla schiena, sulle braccia, sulle cosce. È un unico vestito di lividi – le ha lasciato intonso solo il viso, definendolo il suo unico lasciapassare valido per il mondo.
- Chrissy – la chiama la domestica. Ed è sicura di sentire nella sua voce una nota di rammarico, di tristezza profonda. Si siede sul letto a fianco a lei ed esita un po’, prima di farle una carezza che Chrissy nemmeno sente.
È così straordinariamente piena di dolore che non c’è spazio per altro. Addirittura, il primissimo tocco la fa scattare di terrore.
- Mi dispiace tanto.
Sente le sue mani dolcissime, piene di tenerezza, passarle un panno caldo e bagnato sulla schiena. Le ferite bruciano e le fanno venire da piangere di nuovo.
- Ruth – la chiama piano – Voglio andare via.
- Perché non chiedi a Kelly se può ospitarti, per un po’? Sono sicura che sua madre non farà storie.
- Non voglio andare da Kelly.
Vuole andare da Eddie. È l’unico posto al mondo dove si senta davvero al sicuro, l’unica persona in grado di sollevarla, alleggerirla dal peso della propria vita.
Ripassa il pomeriggio mentalmente, prima che succedesse tutto. La sua stanza, la sua chitarra, il giradischi, il suo corpo sdraiato vicino a lei, il loro bacio. Quello lo ripassa in loop, all’infinito, come fosse un balsamo calmante. È l’unica cosa che le permette di respirare, adesso.
Ma sa che se ora si avvicina a lui, rischia di metterlo nei guai.
Sua madre è stata chiara: se lo vedrà di nuovo, andrà a denunciarlo. Gli toglierà tutti i suoi sogni, la possibilità di andare via, di suonare nei locali di New York, di essere felice.
Ed è solo colpa sua.
Nient’altro che colpa sua.
Affonda la faccia nel cuscino, senza sapere bene che fare.
Ruth, che continua a medicarla, ha cominciato a cantare una canzoncina in italiano -  suo padre è emigrato dalla Sicilia dopo la seconda guerra mondiale.
L’ha insegnata anche a lei, quand’era più piccola, spiegandole il significato.
E ora la capisce meglio, ne coglie una sfumatura più oscura, mentre con lei canta:
c’era una casa molto carina senza soffitta senza cucina, non si poteva entrare dentro perché non c’era il pavimento, non si poteva fare pipì perché non c’era il vasino lì, ma era bella, bella davvero, in via dei matti numero zero.

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Capitolo 12
*** Le colpe dei figli ***


Eddie apre la portiera della macchina e zio Wayne la richiude con altrettanta violenza, impedendogli di salire.
- Lascia stare – gli intima, alzando la voce. Fregandosene dei vicini che aprono le porte, spiano da dietro le tende dei loro caravan – Per lei sei solo un momento, una trasgressione. Quelli come i Cunningham non stanno con quelli come noi.
Eddie si sofferma ad osservare la mano di suo zio, aperta sulla superficie rossa e laccata del suo pick up. Le dita tozze, le unghie sporche di grasso, i palmi ingrigiti e la pelle inspessita da giorni e giorni di duro lavoro. Nulla a che vedere col corpo morbido di Chrissy, i suoi polsi sottili, le sue guance di pesca.
Ma non riesce ad accettarlo. Non riesce a credere che quello che c’è stato tra loro non sia reale. Si è innamorato di lei così velocemente che ora non può tornare indietro: è bastato un attimo, uno soltanto, e la sua vita è cambiata del tutto.
- Non me ne frega niente, zio. Io voglio vederla!
Lo urla così forte che si stupisce di avere tanta voce. E di sentire che gli occhi gli bruciano, dolorosamente, per l’umiliazione e la vergogna, la sensazione di non essere abbastanza. Gli sembra di esser tornato piccolo, quando cercava di urlare i propri desideri e nessuno li ascoltava, definendoli capricci. La stessa impotenza. La stessa, spietata sensazione di abbandono.
- Eddie, se io ti lasciassi andare ora non starei facendo il mio dovere. Devo proteggerti, lo capisci?
- Non sei mio padre, cazzo!
Non so neanche chi è.
Se zio Wayne in qualche modo è ferito dalla violenza della sua frase, non lo dà a vedere. Si ferma per un attimo, inebetito dalla violenza verbale del nipote, precisa e puntuale come un cazzotto. Rimangono immobili a fronteggiarsi, l’uno di fronte all’altro, con la propria forza e le loro rispettive rese.
- No, hai ragione – dice lui, alla fine – Non sono tuo padre. Ma ti voglio bene, Eddie, più di qualsiasi altra cosa al mondo. E se adesso ti dicessi di correre da lei forse tu mi vorresti più bene, ma io non riuscirei mai a perdonarmi di averti in qualche modo spinto a farti del male.
- Chrissy non mi farebbe mai del male.
- Ma la sua famiglia sì. Le persone potenti non hanno paura di sfruttare tutti i mezzi a loro disposizione per ottenere quello che vogliono.
- Non posso lasciarla lì, zio. Non posso e basta. Tu non l’hai vista: era terrorizzata. Lei ha bisogno di me.
È una sensazione durissima quella che prova ora. Si sente spaccato a metà. È consapevole di star facendo del male a uno dei pilastri portanti della sua vita, eppure allo stesso tempo non può tornare indietro. Non ora, non così, non senza provare. Ha bisogno di arrivare sotto quella casa, di lanciare un sasso alla finestra, di vedere quel volto dolcissimo una volta ancora, di dirle quello che prova – che d’accordo, neanche lui sa cos’è, ma sa che non assomiglia a niente che abbia mai provato prima.
A questo punto, Wayne apre la bocca per ribattere qualcosa, ma si ferma all’improvviso. L’espressione costernata, mentre sul suo viso appare un’irregolare luce blu che si riflette, caleidoscopica, in tutte le direzioni.
Eddie sa che cos’è. Gli si stringe lo stomaco perché ne prende consapevolezza ancora prima di girarsi, di vedere la volante della polizia parcheggiare, Jim Hopper scendere dal posto dell’autista.
- Munson! – lo saluta, avvicinandosi loro – Abbiamo un mandato di perquisizione per una segnalazione che c’è arrivata.
- Perquisizione di cosa? Cosa state cercando?
- Non posso dire nulla. Mi dispiace, Wayne, sinceramente è qualcosa che mi sarei risparmiato molto volentieri.
Il cuore di Eddie martella forte nel petto. Prova a ricordarsi se ha venduto tutte le ultime scorte o meno: ma ultimamente è stato distratto, confuso. C’è ancora la riserva d’erba sotto l’asse spostata della stanza? La Special K nel comodino, la ketamina nascosta nella chitarra? Se la trovano, è finita. Se la trovano, tutti i suoi sogni lo sono. Tutto quello per cui ha lavorato e faticato. I soldi, nascosti nella scatola delle scarpe.
Comincia a respirare teso.
Zio Wayne, al suo fianco, non parla, non guarda, non respira nemmeno. Ha negli occhi quel senso di vuoto, di estrema delusione. Lui sa. Ha già capito. Forse sta rivivendo in loop un passato neanche troppo lontano, scene già viste, sua sorella che nasconde frettolosamente scatole e scatoline sotto il letto illudendosi che questo basti a mantenere un’illusione di serenità, di felicità, di va tutto bene quando non è vero, non c’è niente che sia così.
Quando Hopper esce dal Caravan ha in mano due bustine bianche. Chiude gli occhi, affranto, guarda per un secondo Wayne e poi slitta su Eddie.
- Mi dispiace, ragazzo, devo chiederti di venire con noi.
- Sono mie.
Il tono dello zio è stato così duro da non lasciare spazio a repliche. Hopper, ora, lo guarda in tralice. Probabilmente sa già tutto quello che c’è da sapere.
- Wayne…
- Sono mie, Hop. Porta via me, lascia stare il ragazzo. Non c’entra niente. Dopotutto sono il fratello di Helena, c’era da aspettarselo da me.
- Zio, no!
- Sta zitto, Eddie.
È un ordine talmente crudo che fa male  come uno schiaffo. Eddie sa che non lo perdonerà, che ora lo vedrà sempre come un fallimento totale. Eppure è disposto lo stesso a sacrificarsi per lui, a lasciare aperto uno spiraglio di nuova vita.
Hopper gli si avvicina, battendogli una pacca sulla spalla. Non gli spinge la testa nella macchina, non lo tratta con violenza.
- Anche le brave persone possono sbagliare – gli sussurra, accompagnandolo verso la portiera.
Ed è lì che lo zio, faccia nel vetro, sparisce.
Eddie rimane in piedi, impotente, in mezzo alla piazza. Con una rabbia primordiale che gli risale da dentro, quando dopo cinque secondi comincia a urlare così forte che i vicini, prima nascosti dietro le tende, corrono da lui ad abbracciarlo urlando all’ingiustizia; e i cani, spaventati e facinorosi, abbaiano con lui.

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Capitolo 13
*** Un Romeo pazzo d'amore e una Giulietta piena di lividi ***


Il rumore – quel piccolo, lontanissimo suono - all’inizio è solo un ticchettare lontano. Chrissy per un po’, nel dormiveglia, pensa che sia pioggia e non apre gli occhi, si lascia cullare. Le piace quando piove. È felice, la pioggia pulisce il mondo e porta via i brutti pensieri. Ed è quello di cui ha bisogno ora: una doccia infinita, una purificazione totale. La pelle ancora le tira. Se da una parte le lenzuola fresche del letto hanno un potere refrigerante, dall’altra ogni piccolo spostamento scopre un altro punto doloroso. Forse è l’anima che le fa male, lì dove sente di aver perduto l’amor proprio e la dignità.
Però, riflette a un certo punto, deve piovere davvero poco. Forse è solo una goccia, singola, che batte all’infinito nello stesso punto e scava. Come la goccia cinese che scivola nel vaso, resiliente, fino a che non ne scopre le fondamenta. O forse non è acqua. Forse è un sasso.
Uno contro il vetro della finestra di camera sua.
Apre gli occhi, alzandosi stancamente dal letto. Le fa male tutto, senza esclusione di colpi. Le ossa, i tendini, i muscoli. Zoppica, per arrivare fino alla finestra, meravigliandosi di quanto sia grande la luna, di come sia meravigliosa la prospettiva notturna dove tutto è fermo e lontano da ogni cosa.
Quando solleva il vetro, scopre una figura conosciuta. I capelli lunghi, gli occhi scuri, la maglietta di un gruppo rock.
È lui. L’unica persona che vuole davvero vedere, quella di cui ha bisogno. Per un attimo, uno soltanto, capisce cosa deve aver provato Giulietta nell’affacciarsi dal balcone e vedere Romeo, completamente pazzo d’amore, disposto a rischiare la vita pur di vederla per una manciata di minuti.
 - Eddie… - chiama piano. Il suo Romeo. Alto, magro, con i suoi occhi allegri, il suo fascino caotico.
E non importa di quanto dolore provi Chrissy. O quante botte abbia preso. Alza la lastra di vetro lasciando entrare l’aria fresca della notte e, assieme a lei, lui. Che si arrampica sul tronco e poi sul tetto, fino a entrare nella stanza con un piccolo saltino.
Quando si vedono, uno di fronte all’altra, si abbracciano. Così forte e così intensamente che a Chrissy manca il respiro, ma non sente neanche il dolore dei lividi e delle botte. Eddie è balsamo sulle sue ferite, è una carezza dolce, è tutta la tenerezza che le è mancata nella sua breve vita. Avercelo vicino, intorno, scioglie tutta la sua tristezza. Scoppia a piangere all’improvviso, senza neanche rendersene conto. In grossi, enormi singhiozzi che lui raccoglie baciandole i capelli, le tempie, il viso dolcissimo.
- Come stai? – le domanda, cercando i suoi occhi.
Chrissy scopre che Eddie ha le occhiaie, il viso pallido e stanco, l’espressione sfinita. Eppure riesce ancora a sorriderle, a tenerla in piedi. Vede il dolore annidarsi in fondo alle sue palpebre quando scopre i lividi sulle braccia e sulle cosce.
- Mia madre mi ha picchiato. – spiega lei, con un filo di voce.
Lo vede chiudere gli occhi, come se stesse provando tutto il dolore del mondo. Vorrebbe scusarsi, adesso. Per essere così drammaticamente incasinata e una fonte costante di guai. Rovina tutto quello che le capita di bello, compreso Eddie che forse è l’unico a vederla davvero.
Lui la riempie di carezze. Non smette mai, nemmeno un momento.
- Ascoltami, Chrissy. – le dice, piano – Io mi sono innamorato di te. Non lo so quand’è successo. Forse il giorno in cui ci siamo visti nel bosco. O forse anno fa, a quella stupida recita delle medie. E lo so che forse la cosa migliore per te sarebbe non avere niente a che fare con un casino come me, so che non posso prometterti cose sfavillanti, che probabilmente se mi dirai di sì finiremo a dividere un materasso in una casa con altre dieci persone a New York, ma io non posso andarmene senza sapere se vuoi venire con me.
Chrissy rimane per un attimo stordita, senza capire cosa stia succedendo.
Sente il petto esploderle di felicità e scoppia a ridere, tra le lacrime, abbracciandolo forte. Vorrebbe andare via adesso, subito, ma c’è una cosa che la frena.
E non è la sua famiglia. Suo padre, sua madre o suo fratello.
È il suo sogno. Quello che le serve per realizzarlo a New York o in qualsiasi altra parte del mondo.
- Eddie – gli dice piano – Io… voglio venire con te. Sei la cosa migliore che mi sia successa. Non mi importa di dormire a terra, non mi spaventano i sacrifici se ci sei tu con me. Ma io ho ancora bisogno di inseguire il mio sogno e per farlo devo diplomarmi, prima di andare via. Manca poco, ormai.
- Lo so. Posso aspettare. Cioè, io andrei via stasera, intendiamoci, figurarsi. Ti prenderei e ti porterei subito con me. Ma ci sono delle cose che devo risolvere. Devo far uscire mio zio di galera; e mi serve quel fottuto pezzo di carta. Ci diplomiamo e poi, Chrissy Cunningham, giuro che ti porto via.
Si guardano. Chrissy annuisce.
- Va bene. Faccio la valigia, la nascondo a scuola e appena dopo la cerimonia ce ne andiamo.
Non riesce a dire altro che Eddie la sta già baciando. Ed è assurdo che riescano ancora a ridere e essere felici: lei coperta di lividi, lui distrutto dalla serata, i loro baci sanno di lacrime e sale.
Ma se potesse, Chrissy morirebbe ora. Adesso che è felice davvero, che le si irradia il calore nella pancia, che il cuore le batte fortissimo nel petto.
Sa che la porta è chiusa. Che a casa tutti dormono, ora. L’orologio sul comodino segna le due di notte ed è bellissimo, esistere mentre tutto il resto del mondo non c’è. Trasgredire all’ennesima regola.
Quando si sdraia sul letto, Eddie la segue. Si stringe a lei, carezzandole i capelli. È ben presto il loro abbraccio diventa un intrico di gambe e di dolcezza, mentre lui con le labbra le sfiora il viso, le labbra, bacia le sue braccia dove ci sono i lividi, le macchie nere sulle cosce come se potesse guarirle.
- Voglio fare l’amore con te. – gli dice Chrissy, ed è la verità. Si sente pronta, lì, in quel momento.
Eddie rimane fermo per un attimo, imbambolato. Ha l’espressione stupita e un po’ divertita, mentre le bacia sulla punta del naso.
- Lo faremo. Non stasera, non qui. Lo faremo in un posto bellissimo dove saremo liberi e felici, te lo prometto.
Ed è solo l’ennesima dimostrazione di che persona straordinaria sia lui. Di come sia, per l’ennesima volta, disposto ad aspettarla.
Chrissy ora finalmente riesce ad essere rilassata. A sentire il sonno che arriva.
- Te ne andrai prima che mi svegli, vero? – gli chiede. Una parte di sé non vorrebbe. Consapevole dei rischi, di cosa succederebbe se sua madre li trovasse così.
- Sì, Chris. Ma è solo un momento, va bene? Tornerò ogni volta in cui avrai bisogno di me. Ora dobbiamo solo fingere di non conoscerci, di non provare quello che proviamo. Solo fino al diploma e poi, finalmente, ce ne andremo a New York.
E quando Chrissy si addormenta, tra le sue braccia, riesce a vedersi. In una stanza con un materasso e poco altro a disegnare seduta a terra, con Eddie che le cinge i fianchi da dietro.
Poi la stanza si riempie di cose. Delle chitarre di lui, di una scrivania per lei, del sole delle belle giornate, di un letto vero. La casa diventa più grande e loro, felici, si baciano in ogni stanza.
È il futuro. Il suo, futuro: e non permetterà a nessuno di portarglielo via.
 
/
 
Lo so, pensavate che fossi morta, invece here we are! Dopo eoni ho deciso di chiudere questa fanfiction, che rischiava di diventare troppo “brodosa”. Il mio difetto è che quando comincio a scrivere qualcosa che mi piace proseguirei con diecimila capitoli, ma questa storia non è nata con questo senso e Eddie e Chrissy hanno un epilogo prestabilito, così come Jason. Nelle prossime settimane mi impegnerò a postare i capitoli che mancano, sciogliendo anche gli ultimi misteri di questa storia e regalando ai miei protetti quello che ho sempre voluto per loro: un giusto finale.
Alla prossima e grazie a tutti quelli che si fermano a leggere/commentare, vi adoro <3

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Capitolo 14
*** Si può ancora ballare ***


Ignorarsi è più difficile del previsto.
Non basta semplicemente fare finta di niente in mezzo al corridoio – andare dritti senza guardarsi intorno. Eddie sa che Chrissy c’è, è in ogni cosa: da quando lei è arrivata, il suo mondo non è più come prima. Ha più slancio, più voglia di costruirsi un futuro, di essere migliore.
Vuole essere l’uomo che lei merita e non solo un ragazzino ribelle. La signora Cunnhingam, probabilmente, non sarà mai in grado di vederlo diverso da com’è: ma lui sì. Sa che, impegnandosi, c’è qualcosa che lo aspetta.
Ma due settimane possono essere eterne, se lontano da chi ami. Quando vede Chrissy in corridoio, a Eddie si contorcono le viscere. Quando si trovano per caso nella stessa aula, potrebbe passare ore a osservare le sue spalle, i suoi capelli raccolti. Si è riscoperto a guardarla allenarsi sul campetto, l’espressione vuota, gli occhi sognanti. Il giorno in cui lei ha compiuto diciotto anni, lui le ha nascosto una cassetta nell’armadietto. L’ha registrata con il suo vecchio stereo, ha decorato la copertina intitolandola New York’s Tales.
In corridoio, lei passando gli ha sfiorato la mano. È stato solo un secondo, solo un tocco leggero tra le loro dita, ma è tutto ciò di cui Eddie aveva bisogno.
Ora, prima di andare via, ha un solo obiettivo.
Conosce bene la centrale di polizia. C’è stato un sacco di volte, per un motivo o per l’altro. Cose piccole, senza particolare rilevanza per la legge. Ma questa volta è diverso: questa volta di mezzo c’è zio Wayne e Eddie non può andarsene senza averlo prima tirato fuori.
- Tu non molli mai, vero, ragazzo? – lo sbeffeggia Jim Hopper, all’ennesima visita pomeridiana in cui Eddie si presenta cercando di protestare.
- No, boss. Non posso proprio. Mio zio è dentro ingiustamente.
Ha provato a dirgli che non c’entra nulla, che la droga è sua, ma Hopper ha fatto finta di non sentire, gli ha detto di dimenticarsi tutto e di lasciar perdere. La cauzione è fissata a venticinquemila dollari, non è una cifra altissima, secondo lui. I risparmi di Eddie, però, non vanno oltre i cinquemila. Li ha contati meticolosamente, senza avere idea di come fare per guadagnare i venti che gli mancano.
New York sembra più lontana ogni giorno che passa e il suo umore peggiora drasticamente, lasciandolo sconfortato. È sempre più cupo, nervoso, triste.
Darebbe oro per potersi trovare in mezzo al bosco con Chrissy, baciarla teneramente, affogare nel suo profumo. Invece è intrappolato in una situazione così penosa che, dentro di sé, comincia a dubitare che se ne andrà mai.
L’unica cosa buona è che il test è stato prolifico, lo ha superato senza problemi. Quindi, ormai, il diploma è una certezza.
Un pomeriggio, dopo l’ultima lezione di scienze della sua vita, Eddie si ritrova di fronte Jason Carver.
Non gli è diventato improvvisamente simpatico – anzi, fa per ignorarlo, cercando di passargli oltre con una spallata. Ma quello lo blocca appoggiandogli una mano sulla spalla.
- Ti devo parlare. – gli dice, indicandogli con la testa l’aula vuota.
Per un attimo, Eddie ha paura che Jason sappia del piano suo e di Chrissy, che sia l’ennesimo impedimento tra loro, che sia venuto a dirgli che sta sbagliando, che lei si merita qualcosa di meglio di un poveraccio cresciuto in un caravan con una madre tossicodipendente e uno zio in galera, per quanto innocente.
Perché dovrebbe esserci lui in carcere. E la cosa gli pesa come un macigno.
Invece, Jason si appoggia alla cattedra. Ha l’aria malinconica, ultimamente. Sembra più distante, più triste, più lontano da tutti. Anche il suo modo di allenarsi è cambiato: è pigro, svogliato, senza energie. Il Coach, in vista dell’ultima partita dell’anno, è disperato, ma Jason pare infischiarsene.
- Carver. – gli dice – Vuoi farmi diventare vecchio qui dentro, o hai intenzione di dire qualcosa?
- Sono qui per Chrissy.
Eddie chiude gli occhi. Si sente pronto alla propria inadeguatezza, quasi si aspetta che Jason gli ricordi il suo ruolo nel mondo.
- Lei… ti vuole davvero bene. Io non condivido, ovviamente, perché credo che potrebbe avere molto di più. Sia di me, che di te. E credo che un giorno se ne accorgerà e ci lascerà indietro. Ma tu le hai fatto una promessa, le hai detto che può avere di più dalla vita e ora, Eddie, devi rispettarla.
- Ti ha raccontato tutto?
- Aveva bisogno di me, coi suoi. Io ho ancora bisogno di lei coi miei.
Eddie non si è mai soffermato a chiedersi quanto sia difficile la vita quando devi rispondere alle aspettative che gli altri hanno su di te. Guarda Jason, i suoi capelli biondi, il bellissimo viso, le spalle curve e gli occhi tristi e per un attimo vede tutto quello che gli altri si dimenticano di vedere: dietro l’atleta di punta, dietro il ragazzo eccellente, dietro l’orgoglio della provincia c’è solo un ragazzo di diciotto anni. Spaventato come tutti, incerto come tutti, con un futuro segnato ma che forse non è neanche il suo, ma uno che gli è capitato, gli è stato cucito addosso alla perfezione.
Zio Wayne lo ha sempre lasciato libero di essere chi è, coi suoi pregi e coi suoi difetti. Per un attimo, a Eddie si scalda il cuore al pensiero e la voglia di liberarlo è ancora più forte.
- Io lo so, che Chrissy merita di più. Ma sono disposto a cercare di imparare ogni giorno come si fa a darglielo.
- Come sei organizzato, Munson? Dove andrete quando sarete via?
- Ho degli amici, a New York. Possono ospitarci loro, fino a che non troviamo una sistemazione per noi.
- è una situazione pericolosa? Una casa con duecento tossici?
- No, Cristo. È un appartamento condiviso da normalissimi studenti di musica. Li ho conosciuti suonando, loro credono in me. Possono ospitarmi fino a che non trovo un lavoro.
Mentre lo dice, Eddie si rende conto di quanto sia fragile il suo piano. Jason, dall’altra parte, scuote il capo.
- Ascolta. Se la ami davvero e so che è così, devi fare qualcosa per lei e io posso aiutarti. Ma devi promettermi che terrai il segreto, ok? Solo per questa volta.
 
*
 
La faccia di Max – i capelli rossi, l’aria un po’ corrucciata – cozza con quello che gli sta dicendo.
In piedi sulla porta del caravan, ha in mano uno scatolone marrone con la fessura di un salvadanaio sopra. In stampatello, a caratteri cubitali, c’è scritto solo: soldi per Wayne.
Hanno fatto una colletta, gli dice, in tutto il campus. Poi sono arrivati anche i colleghi della fabbrica e, in borghese, alcuni poliziotti. Alcuni negozianti di città, anche alcune famiglie per cui Wayne ha svolto qualche piccolo lavoretto edile in passato. Jim Hopper, che è quello che le ha dato l’idea, ha messo cento dollari e ora dentro ce ne sono quasi trentamila, hanno superato alla grande la cifra. Il necessario per tirare fuori Wayne e per farlo stare tranquillo per un po’.
Eddie è incredulo. La fissa a bocca aperta, senza essere sicuro di quello che ha sentito.
- Non possiamo accettare – dice poi, senza sapere come ci si comporta in questa situazione.
- Dovete! – replica Max – Dai, Eddie, non essere stupido. Sono per tuo zio.
Gli rifila lo scatolone con un gesto imbarazzato e, cinque secondi dodo, Eddie sta correndo verso la stazione di polizia. Appoggia lo scatolone sulla scrivania dello sceriffo con un entusiasmo quasi infantile e Hopper, di tutta risposta, ride.
- Ben fatto, ragazzo. Ottimo lavoro.
Non lo capirà mai. Se ne va, allegro, a fare la telefonata che scagionerà Wayne.
La sera, lo zio è a casa. Eddie può abbracciarlo a lungo, senza vergognarsi. Neanche del fatto che quello rimane un po’ rigido, all’inizio, forse disabituato all’affetto: ma poi respira e si lascia andare, accarezzandogli le spalle.
- Così adesso puoi venire alla mia cerimonia di diploma – gli dice Eddie, felice. Improvvisamente, l’idea della cerimonia comincia a piacergli.
- Sì. – risponde lui – Ma dobbiamo parlare, Eddie.
Per la seconda volta nell’arco di una giornata, Eddie si sente quasi mancare. Parlare con Jason lo ha sfinito. Condivide il suo piano e le sue idee, ma questo non vuol dire che non gli facciano male.
Sa che è la cosa giusta. Ma la cosa giusta, spesso, non coincide con la più semplice.
Lo zio si siede sulla poltrona, stappandosi una bottiglia di birra che sorseggia lentamente. Ha l’aria stanca, deve aver dormito poco negli ultimi giorni.
- Zio…
- Non voglio che spacci quella merda mai più. – taglia corto lui – Va bene? Non voglio che perdi la dignità, la morale o l’etica. Forse io non sono stato granché a insegnarteli, questi valori, ma ho già perso una sorella per la droga. Non posso perdere anche te. Sei l’unico nipote e l’unica famiglia che ho.
Probabilmente sono più parole di quante suo zio gli abbia mai detto. Lo vede bere un sorso di birra, ancora in difficoltà, visibilmente commosso e per la seconda volta in poco tempo, vorrebbe abbracciarlo.
- Te lo prometto, zio.
- Voglio una vita migliore per te. Che tu abbia un piano, delle scelte. So che vuoi andare in giro per il mondo a suonare e non te lo impedirò ma ti prego, resta pulito. Perché la prossima volta non ci sarò io a salvarti. Ormai sei adulto e io non so più come difenderti.
Eddie annuisce. Si apre una bottiglia di birra a sua volta, consapevole che tutti i punti si stanno delineando pian piano. Che la strada si sta definendo e il percorso è quasi alla fine. Sorride, pieno di una serenità che coincide con la tristezza.
- Hai uno smoking, per caso?
Zio Wayne lo guarda, alzando le sopracciglia.
- Mi sono perso qualcosa?
- Tuo nipote va al ballo, vecchio. È il mio ultimo momento di adolescenza.
Incredibilmente, Wayne sorride. Strano come in tutto un caos di carceri e fughe, pensa, si possa ancora ballare.
- Vediamo cosa possiamo fare – gli risponde lui.
Eddie, guardandolo negli occhi, capisce che sta pensando la stessa cosa.

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Capitolo 15
*** Jason III - finale, parte uno ***


Eddie e Chrissy gravitano l’uno accanto all’altra. Si attraggono, come la luna con la terra. Forse qualcuno che non sa può non farci caso: ma Jason li vede.
Il modo in cui si cercano, in cui i loro occhi si scontrano, le loro mani si attraggono. I punti di fuga delle loro vite, i tentativi di ritagliarsi un secondo tra il bagno e il corridoio della scuola, tra gli allenamenti e l’ultima lezione di chimica.
Sono così innamorati. Così felici.
E Jason se lo chiede, se proverà mai niente del genere. Se la libertà, più che un diritto, è una presa di coscienza.
Ormai la scuola è finita. Mancano tre giorni al ballo: uno, alla cerimonia del diploma. Ha fatto promettere a Eddie che farà quella cosa. Per il bene di Chrissy, perché sia felice.
- In fondo, Munson, io e te amiamo la stessa persona. – gli ha detto, cercando la certezza in fondo ai suoi occhi. L’ha visto, l’amore tormentato di Eddie, agitarsi dentro quelle perle scure, dietro quel viso pallido e un po’ smagrito dalle preoccupazioni dell’ultimo periodo.
Di fronte alla sua fragilità ha realizzato una cosa: hanno smesso, di essere nemici. Per sempre. La loro rivalità, la loro tensione, sparirà col liceo. Quattro anni, per quanto intensi, sono un periodo della vita molto limitato. Per quanto possa non sembrare così, per quanto tutto a diciassette anni sia eterno, immutabile e intenso, poi in qualche modo la vita scivola in un’altra dimensione. Altrettanto radiosa, forse. Piena di gioie diverse e inaspettate.
Jason fantastica su chi potrebbe essere. Se avrà una giacca e una cravatta e lavorerà nella ditta di suo padre: se sarà ingrassato, stempiato o stanco di fronte alle difficoltà della vita. Se si presenterà a una cena della classe ottantasei bevendo vino e dicendo che va tutto bene e magari proverà ancora quella cosa, quell’attrazione che non sa spiegarsi verso altri corpi libidinosi, irsuti, meno gentili di quello di una donna, più tenaci, animaleschi.
Chiude gli occhi e l’armadietto. Per i corridoi, tutti ridono. Si stanno scambiando il giornale della scuola. Alcuni lo guardano curiosi, altri ridacchiano, altri ancora sembrano piacevolmente stupiti.
Notoriamente, Jason non è il tipo da giornalino. Sa che esiste; sa che i Tigers, con le loro vittorie, sono spesso in copertina. Ma la stagione è finita, quindi qualsiasi cosa sia, non può trattarsi di lui.
Afferra una copia dalla scrivania in cortile. Rimane un po’ stupito nel vedere, in prima pagina, Chrissy. L’articolo dice semplicemente.
 
LA CHEERLEADER
Di Nancy Wheeler
 
Per un attimo, Jason esita. Ha una qualche paura inconscia che non sa bene come spiegarsi, uno strano nodo allo stomaco. Ma ormai c’è dentro e non può esimersi da scorrere famelico le righe, divorandole una dietro l’altra.
 
Conosciamo tutti Chrissy Cunningham come una cheerleader promettente e la ragazza più bella del nostro anno. Sappiamo che è eccezionale a scuola, che è stata a lungo con Jason Carver, che è il prototipo del sogno americano. Ma quando l’ho intervistata, ho scoperto una Chrissy diversa. Fragile, delicata, piena di segreti che non ripeterò qui, perché questo non è il suo luogo, ma solo quello dove ci dimostra che la perfezione non esiste. Perfetto è una parola pericolosa e assillante, che fa male, che ferisce più di un pugno; è un’aspettativa troppo alta, un tentare costantemente di raggiungerla senza mai afferrarla e un cadere giù, in un limbo dove non si è mai abbastanza belle, o forti, o coraggiose anche se in realtà, pur non essendo riconosciuto dal mondo che ci circonda, forse lo siamo anche troppo.
La storia di Chrissy è anche la mia storia. E quella di tutte le ragazze di questa scuola. E i ragazzi. Quelli che non riescono a essere se stessi, non riescono ad andare oltre.
Allora, adesso che siamo ormai vicino al diploma, forse è il momento di andare oltre. Di fare un salto nel vuoto e di diventare, finalmente, chi siamo da sempre destinati a essere: gli Imperfetti.
La migliore, folle, totale, pazza, inaspettata versione di noi.

 
Jason, finito di leggere l’articolo, sospira. Neanche lui sa perché. Si ritrova a sorridere e a chiudere il pezzo di carta nella tasca.
Forse qualcosa del liceo, tutto sommato, varrà la pena conservarlo.
Quando esce nel giorno, alla luce del sole, respira a pieni polmoni. Cancella l’immagine di se stesso alla cena di classe del futuro e si vede camminare felice, in una grande città, mano nella mano con un ragazzo con un bel sorriso e tutta la vita davanti.

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Ciao a tutti ^^’
Lo so, è passato un sacco di tempo… forse troppo. Purtroppo a un certo punto, da qualche parte mentre scrivevo, mi sono trovata in un enorme blocco dello scrittore. Volevo scrivere una storia breve, ma mi sono resa conto di aver messo tantissima carne al fuoco e di non sapere più come gestirla, per cui credo di aver perso la voglia di farlo anche in concomitanza a un periodo della mia vita che non è stato esattamente semplice e radioso. Ma mi sono sempre detta: fin quanto ci sarà anche una persona affezionata a questo racconto, la scriverò. Quindi, va da sé, questa storia la devo finire. All’inizio in realtà avevo paventato l’idea di scrivere semplicemente il finale per come lo avevo immaginato in un elenco di fatti (tipo “a chrissy succede questo”, “a eddie succede quest’altro” etc etc) ma poi mi sono detta che non se lo merita. Che anche se riesco a scrivere poco, o niente, bene o male quel poco o niente deve pur dire qualcosa. Quindi eccoci qui. Ho diviso il finale in tre parti, come tre sono i protagonisti, più l’epilogo. In questo capitolo c’è il finale di Jason. Mi spiace non aver approfondito alcune parti come avrei voluto (no, non sapremo mai con chi esce Kelly; né vedremo mai il momento effettivo dell’intervista tra Nancy e Chrissy), ma spero comunque di dare una chiusa che ho immaginato dall’inizio in un modo coerente.
Grazie a chi mi ha seguita, commentata e stimolata a fare del mio meglio.
Un abbraccio grande.

 

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