Non sarà un'avventura

di Lella73
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La petite Alsacienne ***
Capitolo 2: *** Ronda di notte ***
Capitolo 3: *** Cena di Gala ***
Capitolo 4: *** La licenza ***
Capitolo 5: *** Accusa di tradimento ***
Capitolo 6: *** Accusa di tradimento - parte 2 ***
Capitolo 7: *** Accusa di tradimento - parte 3 ***
Capitolo 8: *** Accusa di tradimento - parte 4 ***
Capitolo 9: *** Ancora un'ultima battaglia - Parte 1 ***
Capitolo 10: *** Ancora un'ultima battaglia - Parte 2 ***
Capitolo 11: *** Ancora un'ultima battaglia - Parte 3 ***
Capitolo 12: *** Ancora un'ultima battaglia - Parte 4 ***
Capitolo 13: *** Ancora un'ultima battaglia - parte 5 ***
Capitolo 14: *** Ancora un'ultima battaglia - parte 6 ***



Capitolo 1
*** La petite Alsacienne ***


Capitolo 1 - La Petite Alsacienne

Lasalle era tornato e fra gli uomini il morale era alto. Dopo il salvataggio del principe Aldelos il suo reggimento aveva ricevuto molti elogi e Oscar aveva fatto in modo che a ogni soldato fosse consegnato un pacco alimentare in premio per il buon lavoro svolto. Sapeva che ciascuno di loro aveva una famiglia che contava sul sostentamento che ognuno poteva offrire. Lasalle aveva raccontato come lei si fosse adoperata per farlo rilasciare e tutti i soldati erano rimasti molto colpiti. Alain era venuto a ringraziarla personalmente, a modo suo, e ora gli uomini la trattavano con rispetto e rispondevano con zelo ai suoi comandi. Le cose andavano bene. 

 

Le piacevano i suoi impegni in caserma. Le piaceva l'ordine della vita militare. Dalla finestra del suo ufficio Oscar guardava gli uomini bagnarsi il capo per rinfrescarsi nella calura primaverile, mentre scaricavano e sistemavano nell'armeria il nuovo materiale ricevuto. Appoggiati a un panchetto di legno, nell'ombra, André e Alain prendevano nota di ogni cosa per l'inventario. Quando aveva lasciato la Guardia Reale per comandare i soldati della guardia, in molti avevano cercato di dissuadere Oscar e di farla tornare sui suoi passi, dicendole che quell'incarico non sarebbe stato adatto a lei: le dicevano che i soldati della guardia erano uomini di estrazione popolare, spesso rozzi e indisciplinati..indisciplinanati….. Oscar pensò che al contrario non c'era poi molta differenza rispetto al suo incarico precedente: si trattava sempre di uomini... e onestamente molti di loro puzzavano anche meno di certi damerini della Guardia Reale o di certi "gentiluomini" che aveva dovuto sopportare fingendo di chiacchierare amabilmente, durante le interminabili cene e i balli di Versailles a cui aveva presenziato. Oscar osservò André. Oltre a suo padre, notoriamente un fanatico della disciplina e dell'ordine, André era l'unico uomo che conoscesse che non aveva mai avuto un cattivo odore. Pensò al molto tempo trascorso con lui nel corso di un'intera vita condivisa e si accorse che avrebbe potuto riconoscerlo già solo per l'odore: sapeva di buono, anche dopo i loro duelli di allenamento con la spada o le mille zuffe di ragazzi, lui sapeva sempre di bucato pulito e di sapone…. Suo malgrado, per un fugace momento si affacciò alla sua mente l'immagine rubata senza volere di un André nudo, di spalle, immerso in una tinozza di acqua calda, nelle lavanderie di palazzo Jarjayes. Arrossì non per il pensiero in sé, ma perché quello stesso pensiero sembrava proprio non volerle concedere tregua già ormai da diversi giorni. 

 

Erano tempi difficili e giorni irrequieti. Il Paese sembrava piombare sempre più pericolosamente in un baratro. Volendo ringraziare il generale Bouillé per l'aiuto ricevuto con il soldato Lasalle, Oscar circa tre settimane prima aveva chiesto ad André di accompagnarla fino all'Opera di Parigi in qualità di rappresentante dei soldati della guardia. Durante il tragitto erano stati aggrediti dalla folla che aveva sequestrato e dato alle fiamme la loro carrozza, per poi tentare di uccidere entrambi. Erano stati momenti spaventosi. Oscar aveva tentato di fuggire ma si sarebbe certo trovata a soccombere se non fosse accorsa la cavalleria, capitanata dal conte di Fersen….. Fersen l'aveva trovata semi incosciente e l'aveva condotta in salvo al riparo di un androne. Ripresa la padronanza di sè, Oscar si era resa subito conto di aver perso André, di non sapere dove fosse finito o cosa gli stesse accadendo. Subito aveva provato ad accorrere in suo aiuto ma il conte di Fersen l'aveva trattenuta con forza. Era stato in quel momento che per la prima volta nella sua vita le si era spalancata nel cuore la verità: non poteva vivere senza André. Era così che aveva finito col gridare più a se stessa che non al conte "il mio André è in pericolo!". … il mio André…. Fersen era sembrato sorpreso ma non si era lasciato turbare. Si era dimostrato leale e altruista. "Andrò io a salvare il vostro amico", le aveva detto. Poi se n'era andato rapido e silenzioso, lasciandola sola. Lei era scivolata sui gradini sudici, appoggiandosi a una parete sconnessa e maleodorante, ripetendosi le parole che aveva appena pronunciato con tanta veemenza: "il mio André", il cuore in tumulto dentro al petto, la mente come liberata dalla verità che finalmente aveva chiara dentro di sé. 

 

Rientrati a palazzo Jarjayes avrebbe voluto solo poter restare sola con André, dirgli finalmente che l'amava e che voleva restare per sempre al suo fianco, ma poi era subito arrivato il medico, erano passate alcune ore e lui era crollato esausto. Lei gli era rimasta accanto in silenzio fino all'alba. Tanti pensieri si erano affollati nella sua mente; aveva continuato a pensare a quando lui le aveva confessato il suo amore, con rabbia e disperazione, estorcendole un bacio che lei gli aveva rifiutato, respingendolo con forza. Aveva pensato al dispetto che aveva provato ritrovandoselo fra i soldati della guardia il primo giorno di servizio e a come avrebbe invece voluto poterlo difendere dai commilitoni quando l'avevano pestato. Aveva pensato alle lacrime di André mentre dolorante e ferito la implorava di non sposarsi… ma ancor di più aveva pensato al proprio silenzio. A come non gli avesse quasi rivolto la parola che giorni dopo, dicendogli con freddezza semplicemente che non si sarebbe sposata tanto presto. Quanti muri aveva eretto per tenerlo lontano? Quante volte lo aveva respinto? Era stata cieca! Era stata folle!
 

Oscar distolse lo sguardo dalla finestra e tornò alla scrivania. Dopo tre giorni dall'aggressione lei era tornata in servizio, mentre la convalescenza di André era stata più lunga. Nei giorni in cui lui era rimasto a casa lei non era mai rimasta a dormire in caserma ed era piuttosto rientrata sempre il più presto possibile. Ogni volta era corsa a controllare come stesse il suo André; ogni volta aveva pensato di potergli finalmente parlare. Ma alla fine non era mai riuscita a dire nulla. Le era bastato sapere che lui stesse bene. L'aveva osservato in silenzio mentre dormiva e non trovandolo in camera sua una sera l'aveva cercato. La governante le aveva detto che l'avrebbe trovato nei locali lavanderia e lei vi si era recata. Aveva pensato che André fosse andato a recuperare la divisa pulita, invece l'aveva trovato immerso nella vasca mentre si passava una spugna sulle ferite di un braccio e del torace. Oscar, che l'aveva sorpreso di spalle, era restata muta e aveva pensato che se ne sarebbe immediatamente dovuta andare…. Ma non l'aveva fatto; era rimasta immobile, trattenendo il respiro, a guardare le spalle larghe e i capelli ormai di nuovo lunghi. Era questa l'immagine che ora le si era affacciata agli occhi della mente. La stessa immagine con cui si era addormentata nelle ultime notti.

 

 Oscar cercò di riportare i suoi pensieri alle mansioni quotidiane. Ormai gli uomini avevano finito di sistemare l'armeria e a lei non restava che aggiustare alcuni verbali. Sentì un rumore e quando vide la maniglia della porta abbassarsi senza che qualcuno avesse bussato, seppe che Alain stava per entrare nel suo ufficio. Irruppe, rumoroso e sorridente, con André e Lasalle. Oscar pensò che André sembrasse un principe anche con la divisa dei soldati della guardia; era ordinato, con un bel portamento e i suoi modi gentili. Aveva portato l'inventario, compilato accuratamente. Gérard aveva la sua solita aria timida; rigirava fra le mani il cappello e si guardava i piedi. Alain era disordinato come sempre: senza cappello, con la giubba slacciata e il petto in vista. "Comandante!" le disse "È tutto a posto! André ha già compilato tutto e poi il mio amico Gérard, qui, ha qualcosa da chiedervi!". Lasalle arrossì e quasi in un soffio disse velocemente: "Comandante… non ho potuto ancora ringraziare per quanto avete fatto per me". "Non mi devi niente Lasalle". "Capitano ecco… oggi è giorno di paga….. vi prego, unitevi a noi! Permettetemi di offrirvi almeno qualcosa....". Oscar sorrise: "Davvero Lasalle," ripeté "non mi devi niente, non ti preoccupare….". "Ma comandante!" proruppe Alain "Vi prego, solo una volta…. O Gérard non ci lascerà più in pace!". Oscar stava per ribattere, declinando con gentilezza, quando qualcuno bussò alla porta. Il colonnello D'Agoult entrò con circospezione. "Testa di legno!" tossì Alain; Oscar lo fulminò con lo sguardo, mentre il colonnello iniziava ad annunciare con fare solenne: "Il conte di Girodelle, colonnello delle guardie reali, è qui. Desidera conferire con voi, comandante!". Girodelle? Che poteva volere ancora? Oscar strinse le labbra, espirò più rumorosamente di quanto avrebbe voluto e chiuse gli occhi. Quando li riaprì tutto si svolse in una manciata di secondi. Vide l'espressione di dolore sul volto di André… solo un attimo fugace, prima che il viso si indurisse mostrando una falsa impassibilità. Pensò a come aveva già respinto Girodelle e le sue proposte in maniera inequivocabile e a come aveva dimostrato pubblicamente di non essere in cerca di marito con una dichiarazione plateale al ballo organizzato per lei dal generale Bouillé. Guardò i suoi soldati e in un attimo si decise: non aveva nessuna voglia di ricevere Girodelle, si affrettò quindi a dire, prima che il conte potesse raggiungerla: "Grazie infinite Lasalle. Di cuore accetto il tuo invito. Ho proprio voglia di gustare la buona cucina delle osterie parigine! Mi unirò a voi questa sera!". Non ebbe finito di parlare che Girodelle stava già entrando nel suo ufficio. Ordinato e un po' pomposo, come sempre, le rivolse un inchino: "Madamigella Oscar!" la salutò. Alain stava già ridendo. Oscar maledisse Girodelle: nessuno la chiamava madamigella Oscar fra i soldati della guardia e né come tale la conoscevano! Il colonnello D'Agoult provò a congedare i soldati ma Oscar non gliene diede il tempo: "Non serve che escano" gli disse, brusca. Ci mancava di dover sopportare di nuovo uno sgradito corteggiatore! Oscar salutò Girodelle con tutta l'educazione possibile. Questi era visibilmente imbarazzato dalla presenza di altre persone nella stanza, non di meno tuttavia si propose di accompagnare madamigella fino a palazzo Jarjayes: "Ormai si sta facendo sera," disse "meglio vi scorti io fino a casa"... Oscar trattenne una risposta tagliente: era stata il suo comandante fino a ieri! Quando mai aveva richiesto una scorta?! Rispose cercando di essere cortese ma risultando decisamente sbrigativa: "Mi dispiace colonnello. Sono molto impegnata. Questa notte devo pattugliare le strade di Parigi con un gruppo di soldati scelti! Addio!". Girodelle rimase impietrito e d'Agoult confuso. Lasalle era troppo ingenuo e intimidito per rendersi conto di cosa stesse succedendo. André aveva un'espressione indecifrabile mentre Alain guardava beffardo il proprio comandante, ostentando un sorriso irriverente. Oscar lo avrebbe voluto prendere a schiaffi, ma riusciva solo a domandarsi cosa stesse pensando il suo André…. 

"Soldati della guardia pronti sulla piazza d'armi entro quindici minuti!" ordinò Oscar. "Signorsì signor comandante!" rispose per tutti Alain, in maniera teatrale e volutamente roboante. Sospingendo Lasalle prese la porta, seguito da un silenzioso André e da Oscar. Pochi minuti dopo un manipolo di soldati e il loro biondo comandante uscivano al galoppo dalla caserma in direzione di Parigi. Quando fu certa di aver messo una ragionevole distanza fra sè e Girodelle, Oscar trattenne il suo cavallo e scelse un'andatura meno frettolosa. André era davanti a lei. Fece per raggiungerlo ma Alain le si affiancò prima che potesse farlo. "Madamigella Oscar, insomma!" le disse "È così che vi chiamano a corte? Mi piace sapete? Vi chiamerò anch'io così!". Era ironico, divertito. Oscar non gli rispose. Lui continuò: "Dovete avere davvero una gran voglia di una bella pinta! Non mi era mai capitato di uscire così di gran carriera per andare a bere con i compagni!". Nuovamente Oscar non gli rispose, ma gli rivolse uno sguardo obliquo e tagliente. 

 

Il gruppo si fermò fuori Parigi, presso un'osteria attorniata da un mucchietto sparuto di case; all'esterno, un'insegna di legno dipinta diceva "La Petite Alsacienne". A pochi passi scorreva il fiume e la vegetazione offriva frescura. Scesero tutti ed entrarono. L'oste conosceva i soldati e li accolse calorosamente, offrendo loro un tavolo lungo, sedie e panche. Tutti presero posto. Oscar si sistemò discretamente in fondo, a capotavola, leggermente lontana da tutti gli altri. In breve a ciascuno fu servito un boccale di birra e solo dopo l'oste iniziò a prendere gli ordini per il cibo. André sedeva in mezzo ai compagni. Oscar lo osservava: era gentile e si prestava all'ascolto e alla risata, ma era più silenzioso degli altri. Alain arrivò con uno sgabello e si sedette accanto ad Oscar. "Voi siete un tipo timido?" le chiese. Ma perché diavolo Alain faceva sempre domande tanto dirette? E perché mai ora le stava tanto vicino? Oscar percepì forte e nitido il suo odore di tabacco e lo guardò dritto in faccia, occhi negli occhi: aveva uno sguardo beffardo. Certamente, pensò, doveva avere qualcosa in mente. "No," rispose Oscar senza distogliere lo sguardo "non direi". "Perché allora non chiacchierate un po' con noi comandante?". "Ricopro un ruolo di comando. È bene che io mantenga sempre un certo distacco". "Va bene". La conversazione non proseguì oltre ma Alain non se ne andò. Arrivarono pietanze calde e altra birra, poi bottiglie di vino e di liquore; dopo qualche bicchiere di troppo l'umore degli uomini si fece ridanciano e piuttosto sguaiato. Non tardarono ad arrivare battute smargiasse e racconti scabrosi, ma Oscar viveva da troppo fra uomini e militari per lasciarsi impressionare da spacconate maschili. Erano tutti piuttosto alticci. Oltre a lei e ad André solo Alain, notò Oscar, sembrava avere un'aria decisamente sobria, benché stesse bevendo molto. Dalla sua posizione defilata Oscar continuò a osservare André. Non beveva mai troppo quando era con lei. Sapeva che talvolta beveva in solitudine. Di tanto in tanto, specialmente dopo l'incidente con il Cavaliere Nero, l'aveva sorpreso nelle notti insonni a palazzo Jarjayes con bottiglia e bicchiere, nelle stesse sere in cui anche lei era sgattaiolata nelle cucine alla ricerca di qualcosa di forte. Oscar immaginò che il compagno alla destra di André gli stesse raccontando qualcosa di decisamente buffo, perché lui aveva un'espressione divertita. L'oste si ritirò in cucina e il servizio al tavolo fu affidato a una giovane in costume alsaziano. Riccioli biondo platino sfidavano la cuffietta inamidata sfuggendo qua e là. La carnagione era bianchissima e la fatica del lavoro le aveva arrossato le guance. Il corsetto le stringeva il vitino di vespa e le sospingeva il petto tanto verso l'alto, che i seni generosi ondeggiavano morbidamente mentre la ragazza incedeva con il suo carico di boccali e piatti. Guardandola Oscar pensò che più che di una petite alsacienne si trattasse di una prosperosa alsaziana…. I soldati la accolsero con commenti entusiastici e lei distribuì piatti fumanti e altre bottiglie. Prima di andarsene lasciò accanto al piatto di André un tovagliolo ripiegato. Con un gesto veloce e furtivo lo aprì prima di allontanarsi, lasciando per lui un fiore. André non disse niente ma alzò appena lo sguardo e la giovane ammiccò, con un'espressione invitante. Oscar, che in silenzio aveva seguito tutta la scena, sentì il viso avvampare. Anche i compagni vicino ad André avevano notato l'atteggiamento della cameriera compiacente e i commenti arrivarono puntualmente, camerateschi e ammirati: "Ancora tu André!", "André, ma che ci fai tu alle donne!", "Anche questa André?", "André, ma è vero che ti sei preso la virtù della figlia dell'oste della Bonne Table prima di suo marito?", "Finiscila André o dovremo smettere di venire anche qui!"... Seguirono risate e pacche sulla spalle. Oscar aveva gli occhi sgranati e le labbra le si erano dischiuse per lo stupore. Continuava a guardare André: diceva ai compagni che erano degli stupidi e faceva gesti di sufficienza, ma aveva abbassato il volto e ... sorrideva! 

Oscar battè le palpebre due, tre, quattro volte pensando febbrilmente. Non ci aveva mai pensato: il fatto che lei lo avesse sempre respinto, non significava affatto che altre donne non lo avessero invece corteggiato! Ricordò André sempre pronto a metterla in guardia dai pettegolezzi di corte… non si era mai chiesta come fosse potuto essere sempre così ben informato… invece ora si rese conto che probabilmente erano state dame compiacenti o cameriere "gentili" a raccontargli sempre tante cose….

 Si girò di scatto verso Alain, sentendosi il suo sguardo addosso. Lui la fissava, irriverente. Ma certo! Lui lo sapeva. Sapeva eccome che la giovane cameriera aveva una simpatia per André… e ora le era chiaro: non era certo venuto in mente all'impacciato Lasalle di invitarla! L'aveva spinto lui a farlo! E adesso lui leggeva benissimo sul suo viso le emozioni che si susseguivano una dopo l'altra e poteva sentire il suo respiro spezzato dalla rabbia che suo malgrado sentiva montare inesorabile dentro sè... e vedeva pure la sua espressione stupidamente stupita e ferita. Ma com'era possibile che fosse stata così trasparente… … lei sempre così schiva, sempre così riservata… Si alzò di scatto e a grandi passi guadagnò l'uscita. Montò César e in un attimo si stava già allontanando al galoppo. 

 

André non aveva in realtà mai perso di vista Oscar: qualche sguardo furtivo, i sensi sempre allerta… ormai per lui non era più nemmeno un'abitudine guardarle le spalle, era piuttosto uno stile di vita… Era certo che la serata fosse stata architettata da Alain per qualche motivo che ancora non era riuscito a capire, così non aveva mai perso di vista l'amico. Si era chiesto perché si fosse mantenuto tutto il tempo così vicino a Oscar, finché la cameriera alsaziana non gli aveva lasciato il fiore e aveva visto Oscar volgersi per guardare Alain diritto in faccia e poi andarsene a grandi passi. Si era allora alzato immediatamente, convinto che Alain gli avesse davvero giocato un tiro mancino. Poi invece questi lo raggiunse. "Vai ad accompagnarla André, per favore." disse a voce alta in maniera che tutti potessero sentirlo, "Sono tempi troppo pericolosi per andarsene in giro da soli di notte…". André si rese improvvisamente conto che l'uscita era stata organizzata per lui e lui soltanto e Alain gli stava ora offrendo una scusa credibile per correre dietro a Oscar senza che nessuno potesse preoccuparsene o farvi troppo caso. Era un buon amico dopo tutto… In un attimo fu fuori dalla locanda, in tempo per vedere Oscar già lontana sul suo cavallo bianco. La seguì, lanciando il proprio cavallo senza risparmiarlo in nulla. 

 

Oscar incitava furiosamente il suo César. Lacrime di rabbia e di umiliazione le riempivano gli occhi e più si accorgeva di sentirsi ferita, meno riusciva a controllare la propria rabbia. Ma perché si arrabbiava tanto? Pensò alla sua infatuazione per Fersen: sapeva che lui amava la regina, ma mai si era sentita infastidita per questo. Si era anzi sentita un'intrusa nelle loro vite e basta. Ora invece il pensiero dei seni ondeggianti dell'alsaziana sembrava schernirla e lei non lo poteva sopportare. Si inoltrò in una zona boschiva allontanandosi dal fiume e rallentò. Scese dal cavallo, fece pochi passi e si sedette sull'erba, i gomiti appoggiati alle ginocchia e la testa china fra le spalle. Lasciò che la lacrime scendessero perché si rese conto di non riuscire a fermarle. L'iniziale sollievo nel trovarsi sola si trasformò presto in delusione: sperava infatti che André l'avesse seguita. Poi nel silenzio della notte avvertì rumore di zoccoli; in un attimo André fu davanti a lei, in piedi, con un'espressione dolce e preoccupata. Oscar avrebbe voluto gridargli che doveva essere suo, suo e di nessun'altra! … ma ebbe vergogna: vergogna delle sue lacrime, vergogna della sua gelosia, vergogna per sentirsi disperata per amore mentre la Francia stava per essere travolta da eventi inarrestabili… e così si alzò di scatto voltandogli le spalle e gridò: "André! Vedi un po' di andare al diavolo!", accompagnando le sue parole con un gesto volgare ed eloquente. Non poteva vederlo, ma seppe di averlo colpito. Voleva che si sentisse ferito come si sentiva lei. Pensava avrebbe incassato e stava per andarsene, quando lui proruppe in un ruggito: "Cosa?!?". Oscar si voltò e lo guardò dritto in faccia. Era arrabbiato. Il suo André, sempre dolce e pacato, era veramente arrabbiato: il volto contratto, le sopracciglia aggrottate… Oscar gli si fece incontro e urlò: "Tornatene all'osteria dalla tua bella!". "La mia bella? Oscar! Che dici?!?", André cambiò espressione: fra la rabbia si fece strada lo stupore: "Sei gelosa!" le disse serio, probabilmente più meravigliato di lei. "Sei gelosa! Tu! Perché sei gelosa? Perché, visto che mi hai respinto tutta la vita in mille modi diversi ora sei gelosa? Ti ho confessato il mio amore, ti ho dedicato ogni giorno della mia vita e tu mi hai sbattuto in faccia tutto il tuo amore per Fersen!". "Non era amore"; per Oscar fu un'illuminazione: se ne rese conto solo ora. Davvero non era amore, era stata solo un'infatuazione e lo capiva adesso che sapeva di essere veramente innamorata. Il suo sentimento per Fersen impallidiva a confronto con la forza del sentimento che provava ora. "Non era amore" ripeté, questa volta a voce più bassa…. Guardò André negli occhi: soffriva. "Davvero?" le rispose "Non era amore? Sembrava tanto però… dimentichi che c'ero io in cassetta nella carrozza che ti portava da lui a Versailles con un abito che ho sognato tutta la vita che avessi voluto mettere anche solo una volta per me? Gli avrei voluto strappare gli occhi per non averti riconosciuta e invece sono rimasto ad aspettare con i cavalli! Con i cavalli Oscar!!! Ed ero sempre io quello che ti ha portata a casa mentre piangevi! Ascoltavo la tua tristezza e avrei voluto fermarmi e stringerti e dirti che non avevi bisogno di lui perché avevi me! Ma siamo arrivati e non mi hai nemmeno guardato! Sei salita senza una parola buttando a terra lungo le scale pezzi del tuo vestito… Sono io che ho raccolto quei pezzi perché nessuno ti chiedesse niente il giorno dopo!". Oscar lo ascoltava, mormorò ancora: "Non era amore". André sgranò gli occhi: "Davvero?" continuò "Io ti ho vista quando è venuto a casa nostra…. A CASA OSCAR! A dirti che ti aveva riconosciuta e che non ti poteva amare! Mi sentivo morire mentre scappavi ma non mi hai detto una parola! Quando mi hai detto che non mi volevi più al tuo fianco ero così disperato che ho cercato di aggrapparmi a te ma tu mi hai respinto! Mi sono arruolato per te! E allora dimmi Oscar, perché adesso sei gelosa visto che mi hai voluto sempre così poco!". Oscar raccolse tutto il suo coraggio e gli si avvicinò fino a trovarsi a pochi centimetri dal suo volto, dalla bocca che le stava gridando addosso tutta la disperazione di una vita. Inspirò. Non poté non pensare che anche in quel momento André sapeva di buono. "Non è vero che ti voglio così poco!" disse in un soffio "Non è vero che non ti voglio! Ti voglio invece. Ti voglio con tutta me stessa. Ti voglio per me…" La voce non più di un sussurro. "Io ti amo. Ti amo André." 

Il respiro le si fece affannoso per l'agitazione e Oscar pensò che se non l'avesse baciato in quel momento il cuore le avrebbe smesso di battere. Pensò a quando lui aveva tentato di baciarla, offrendole il suo cuore spezzato, e a come lei lo avesse respinto. E se adesso lui l'avesse respinta? Si sentì smarrita: e se davvero l'avesse respinta? Guardò di nuovo André; aveva ancora la giubba slacciata da quando era uscito trafelato dall'osteria. Oscar gli afferrò il bavero con entrambe le mani, si sporse verso di lui e lo baciò. Lo baciò trattenendo il fiato. Lo baciò con tutto l'amore che sentiva finalmente per lui. Lo baciò cercando di cancellare tutto il tempo in cui aveva cercato di allontanarlo… lo baciò sperando di non essere respinta… 

… ma André non la respinse. Il bacio di Oscar non era timido né delicato: era il bacio di chi pretendeva con urgenza, il bacio di chi si stava offrendo… Era il bacio che in ognuna delle sue notti di smania aveva sognato. Sentì una vertigine. Non la respinse, la strinse anzi a sè con forza, una mano premuta dietro la schiena esile e l'altra sulla sua nuca, immersa fra i capelli morbidi. Non la respinse affatto, rispose anzi al suo bacio con trasporto. Oscar aprì di più la sua bocca e il bacio si fece più profondo e più esigente. Riconobbe per la prima volta veramente il proprio corpo, ora che era premuto contro quello di André. Scoprì che accaponandosi la pelle si faceva improvvisamente sensibile e che la faceva sentire potente sentire il desiderio di André crescere contro di lei: era inebriante rendersi conto di essere lei la causa del suo desiderio. Oscar lasciò andare il bavero della giacca di André; gli sfiorò il viso in una carezza delicata. 

Staccarono le labbra l'uno dall'altra solo per guardarsi. Due pozze profonde gli occhi di Oscar, di un verde reso cupo dalla passione quelli di André. Si allontanarono un istante, le braccia lasciate cadere lungo i fianchi. Poi André la prese improvvisamente per mano e si avviò quasi strattonandola: il respiro contratto, la mente in subbuglio, il cuore combattuto fra una rabbia prepotente e un amore struggente. L'avrebbe avuta. Sarebbe stata sua questa notte. Una sensazione di vuoto lo colse alla bocca dello stomaco. 

Non camminarono in realtà che per pochi passi. André si fermò togliendosi la giacca e lasciandola cadere a terra. Si sfilò la maglia e aprì i pantaloni. Oscar lo guardò: il petto largo, i capelli che ricadevano lungo le spalle, appena un accenno di barba lungo la linea della mascella, le braccia forti… era André: il suo André, lo stesso André che conosceva e aveva avuto accanto tutta la vita, ma che ora poteva vedere e guardare con occhi diversi. Aprì velocemente gli alamari dell'uniforme e presto potè liberarsene, si sfiló poi rapidamente la camicia restando indifesa nella sua biancheria castigata. André le si avvicinò e si sporse verso di lei, stringendo fra le dita i lembi della veste sottile. Oscar lasciò che gliela togliesse e mentre abbassava le braccia, si accorse dei molti sfregi che segnavano la propria pelle: il braccio rovinato da una vistosa cicatrice dopo l'incidente con il cavallo della principessa Maria Antonietta, la lunga cicatrice sotto la scapola dove era stata infilzata con una spada durante un attentato organizzato dalla contessa di Polignac, il segno indelebile dell'unghia conficcata alla base del collo da Nicholas de la Motte mentre cercava di soffocarla a mani nude… Non era mai stata attenta a queste cose. L'unica piccola concessione alla vanità che si fosse mai concessa era stata da sempre un'attenta cura dei suoi capelli. Le tornò alla mente la scollatura generosa della giovane alla locanda, con quella bella pelle bianca e burrosa; cercò di coprire il ricordo di un taglio di lama appena sopra il seno. Mormorò: "Non è il décolleté della bella alsaziana…". Ma André la stava già guardando con un'infinita tenerezza, accarezzando con la punta delle dita i segni più vistosi: "Conosco ognuna di queste cicatrici. Io c'ero.". Là dove le dita di André la sfioravano a Oscar pareva che la pelle si facesse più sottile, più sensibile. 

Continuarono a spogliarsi senza pudore, per poi ritrovarsi abbracciati e vestiti solo della propria pelle. Si baciarono ancora e ancora, cercandosi con urgenza. André scivolò lentamente a terra, trascinando Oscar con sè, stretta fra le sue braccia. La baciò e l'accarezzò con insistenza, facendo proprio finalmente il suo sapore. Voleva che fosse sua, che gli appartenesse. Accostò le labbra al suo orecchio. "Di' il mio nome Oscar!" le intimò, quasi con prepotenza "Di' il mio nome! Chiamami per nome!" Voleva cancellare per sempre dalla sua mente il pensiero di Fersen, di lei che lo guardava, della sua voce roca che si faceva dolce e stranamente modulata quando parlava con lui… "Di' il mio nome," ripetè "di' il mio nome adesso!". Oscar sentì il peso di André su di sé, abbandonandosi a carezze che non risparmiavano nulla della sua intimità. Le sue parole non erano state più di un rantolo, ma in esse aveva trovato un'urgenza impellente: pronunciate come una preghiera, possedevano invece una forza e una prepotenza disperata che le fecero sentire un bisogno struggente di stringersi ancor di più a lui. "André" sussurrò "André. André. André…". André ascoltò Oscar chiamarlo per nome e guardandola negli occhi scivolò dentro di lei, prendendosi finalmente tutto quello che aveva sognato ogni notte, ogni giorno, ogni momento di un'intera vita passata assieme. Mentre respirava fra i suoi capelli e sulle sue labbra, riconobbe in sè un sentimento quasi di rabbia, che affondava le sue radici in tanti anni di desiderio frustrato, ma il corpo di Oscar era morbido stretto al suo, sentiva la delicatezza della sua pelle profumata e lei gli si offriva con fiducia e dolcezza. 

La rabbia svanì e non rimase in lui che il desiderio di perdersi dentro di lei. La amò allora con dolcezza. Distesi fra l'erba, sulla giubba aperta buttata a terra, vissero il loro amore donandosi l'uno all'altra con totalità. L'umidità e la frescura della notte erano lievi sulla loro pelle. Oscar trovò e scoprì sensazioni nuove che scaturivano dal profondo delle proprie viscere e si lasciò trasportare attraverso di esse abbandonandosi ad André, che assaporò ogni suo fremito cogliendolo nei sospiri, negli occhi che si chiudevano, nella schiena che si inarcava sotto di lui, nella testa bionda gettata indietro offrendo il collo in cerca di baci da labbra avide. Quando infine si concesse di lasciarsi andare dentro di lei, si sentì come liberato e insieme perduto; la dolcezza e la gratitudine con cui lei lo accolse lo fecero sentire commosso, fin quasi turbato. Non l'avrebbe lasciata andare mai più. Rimasero immobili per infiniti istanti in un abbraccio che non voleva terminare con l'arrivo dell'alba. Oscar respirava piano, i rumori della notte li avvolsero. "Resta sempre con me." sussurrò. "Sempre." le rispose André.

 

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Capitolo 2
*** Ronda di notte ***


Capitolo 2 - Ronda di notte Alain era appena rientrato da una licenza di qualche giorno. I compagni l'avevano accolto in maniera festosa come sempre e lui aveva riservato una buona parola a ciascuno, anche all'amico "figlio d'un falegname"; "Hei! Sempre a pensare al tuo problema, eh André?!". Lui non gli aveva risposto, gli aveva voltato le spalle e si era coricato, così Alain era rimasto con gli altri: qualche risata, una partita a carte…. Poi si era fatta sera e si era messo a lucidare le fibbie della cintura e gli stivali. Voleva essere in forma e in ordine per l'indomani quando si fosse presentato davanti al suo comandante. Alain guardò André. Aveva gli occhi chiusi e sembrava assopito, ma lui avrebbe scommesso che stesse solo fingendo. La settimana precedente gli aveva servito Madamigella Oscar su un piatto d'argento dopo la serata dalla "Petite Alsacienne" e moriva dalla curiosità di sapere se l'amico fosse riuscito a cogliere l'occasione. In tanti anni non aveva mai conosciuto un uomo più innamorato di quello. Era certo che avrebbe dato la vita per quella donna. Il giorno in cui l'aveva conosciuto beveva solo in una taverna e Alain aveva pensato che fosse la persona più triste che avesse incontrato. Quando gli aveva chiesto di aiutarlo ad arruolarsi nei soldati della guardia, aveva letto tanta disperazione nei suoi occhi che non era stato capace di rifiutate, ma era comunque rimasto stupito: chi diavolo si sarebbe mai disperato per venire a fare quella vitaccia da soldati con un rancio schifoso e una paga misera? Il primo giorno in cui era arrivato in caserma Alain aveva pensato che non sarebbe durato più di due giorni; non esisteva nessuno più diverso di lui da tutti gli altri: André era colto, parlava bene, sapeva scrivere, aveva un portamento elegante e dei modi gentili… e si lavava. Poi l'aveva visto guardare il comandante dopo che l'intero reggimento aveva scoperto che si trattava di una donna e aveva capito tutto: solo per amore si poteva scegliere spontaneamente di sopportare quella vita. Anche lui tutto sommato si era arruolato per amore: per amore di sua madre e di sua sorella, che così poteva mantenere con un minimo di dignità. Dopo pochi giorni gli uomini, che avevano visto André parlare secondo loro un po' troppo col comandante, gli avevano teso un'imboscata e l'avevano pestato senza pietà. Alain pensava che l'avessero ammazzato, invece André aveva dimostrato una buona tempra: pur con qualche acciacco, era sopravvissuto; non si era lamentato, non aveva fatto la spia… ma aveva pianto: aveva pianto per la sua bella, che invece era rimasta immobile e muta a guardarlo. Lui inizialmente se n'era andato dicendole che credeva proprio che André l'amasse, ma poi quando si era reso conto che lei non lo avrebbe nemmeno aiutato a rimettersi in piedi, era andato lui a recuperare l'amico per portarlo in infermeria. Alain ricordò di essersi sentito quasi a disagio: che razza di donna poteva restare così impassibile dinnanzi a un uomo disposto a morire per amore? Ma poi aveva imparato a conoscere anche lei. Quando l'aveva vista la prima volta non gli era piaciuta per niente, ma poi avevano fatto breccia in lui quei capelli biondi… e quel sorriso convincente… Inoltre col passare dei giorni Alain aveva scoperto che il suo comandante non era affatto fredda e distaccata come sembrava; in realtà si prendeva a cuore le persone ed era il comandante più leale che lui avesse mai avuto o conosciuto. Quando avevano arrestato Lasalle l'aveva mal giudicata: aveva pensato l'avesse venduto per un fucile, così si era recato come una furia nel suo ufficio intenzionato a sfidarla per umiliarla: l'aveva vista combattere con la spada, era indubbiamente notevole, ma era stato certo di poterla battere. Marciando verso il suo ufficio non aveva fatto che pensare alle parole più sprezzanti per insultarla. André l'aveva seguito cercando di fermarlo. "No!" aveva tentato di dirgli, "Oscar non è così! Non lo farebbe mai!", ma lui, accecato dalla rabbia, non aveva voluto… o potuto ascoltarlo. Quando aveva fatto irruzione nel suo ufficio, Madamigella Oscar era alla sua scrivania. L'aveva offesa mettendola dinnanzi all'indifferenza che sembrava dimostrare nei confronti di André usando parole dure, poi l'aveva affrontata con violenza, urlandole in faccia accuse infamanti, senza minimamente ascoltare le risposte che lei aveva cercato di dargli fin da subito. Allora, fra gli altri, aveva commesso uno di quegli errori da cui è impossibile scappare: preso dalla foga del momento l'aveva aggredita e le aveva mollato un ceffone. Nel preciso istante in cui l'aveva colpita, qualcosa aveva violentemente colpito lui e a quel punto era stato già troppo tardi per arrestare la furia che gli si era già abbattuta addosso. Quando aveva iniziato a difendersi André gli aveva già assestato almeno quattro pugni in faccia. Ne era seguita una rissa memorabile e nell'intento di dividerli il comandante era finito a terra, colpito certamente da uno di loro due. Le urla e gli schiamazzi avevano fatto accorrere il colonnello d'Agoult, che aveva chiamato soccorso e, con l'aiuto di tre uomini, era riuscito finalmente a dividerli. In piedi davanti al comandante e al colonnello, erano rimasti entrambi zitti e ansanti, col sangue che colava dal naso e le labbra spaccate. Alain aveva notato un labbro tumefatto anche sul bel viso di Oscar e al momento ne aveva tratto soddisfazione. Impassibile aveva ascoltato la punizione: tre giorni di consegna di rigore. Lo stesso per entrambi. André non aveva battuto ciglio. Il colonnello li aveva scortati entrambi in cella di isolamento. Nei tre giorni di solitudine Alain aveva avuto modo di pensare ed era giunto alla conclusione che ciascun uomo ha un limite oltre il quale non permette a nessuno di andare: il suo erano sua madre e sua sorella. Quello di André, evidentemente, era la sua donna. Comunque non se l'era presa con lui e al termine della consegna i due erano tornati ad essere amici come se nulla fosse accaduto fra loro. Al ritorno fra i compagni, poi, gli era corso incontro Lasalle raccontandogli come solo grazie all'intervento personale del comandante Oscar fosse stato graziato e allora si era sentito un vero idiota per essere giunto a conclusioni sbagliate in maniera superficiale. Era andato a scusarsi e a ringraziare e allora vedendo il labbro ancora pesto con un sottile taglio trasversale nel bel viso diafano, si era sentito veramente meschino per aver provato soddisfazione vedendo la stessa cosa tre giorni prima. Dopo l'iniziale diffidenza i compagni avevano accettato André. La sua gentilezza pian piano aveva fatto in modo che tutti finissero col volergli bene: aiutava gli uomini, quasi tutti analfabeti, a mantenere la corrispondenza con le famiglie lontane, si prendeva l'onere di occuparsi di documenti e di stendere inventari, accettava di buon grado gli inviti a bere in compagnia e sapeva offrire una bottiglia in più al momento giusto. Inoltre era diventato presto l'orgoglio di tutto il reggimento appena i compagni si erano resi conto di quanto piacesse alle donne. Non faceva nulla per avvicinarle o per farsi notare, ma più lui restava in disparte e si mostrava disinteressato e discreto, più loro lo corteggiavano. Alain aveva pensato che le donne fiutassero che il suo cuore appartenesse già a qualcun'altra e che proprio per questo facessero a gara per averlo. Al contrario dei compagni, che inventavano ogni genere di esagerazione anche solo per uno sguardo, André non si vantava mai né riportava dettagli scabrosi, ma era impossibile non notare le attenzioni che le donne gli riservavano. Quando la figlia dell'oste della Bonne Table aveva raccontato a tutti come gli avesse donato la sua virtù prima che al marito impostole dal padre, i compagni avevano offerto da bere ad André per almeno un mese. Alain ricordò l'espressione trionfante con cui la ragazza aveva gridato nella bettola affollata di essersi concessa ad André perché, aveva detto, "Non mi sono certo preservata per quel pezzo di contadino con la faccia da tubero"... in realtà il pezzo di contadino la faccia da tubero ce l'aveva davvero, ma era un bravo ragazzo e un gran lavoratore e ad Alain era dispiaciuto sinceramente per lui: tutti l'avevano visto piangere come un vitello. André aveva cercato pure di scusarsi, ma i compagni l'avevano portato via a braccia fra grandi risate. Da allora avevano smesso tutti di trovarsi a bere alla Bonne Table e si erano cercati un'altra osteria, ma la storia della promessa sposa deflorata era rimasta come patrimonio comune del reggimento. Alain guardò di nuovo André: era veramente sicuro che fingesse di dormire; fini di lucidare gli stivali e gli mollò una pedata. Come aveva immaginato, non dormiva affatto. "Hei! Che hai fatto di bello in questi giorni?". André sorrise e per un attimo parve essere altrove. "Niente." rispose. "Niente?" ribatté Alain inarcando un sopracciglio, "Per me invece hai la faccia di uno che ha scopato". André sbuffò e rispose: "E che faccia ha uno che ha scopato?". Lo disse con una tale aria di sufficienza che Alain pensò che il suo piano non avesse funzionato per niente, ma lo incalzò ugualmente. "La tua!" gli rispose. Gli uomini continuavano a giocare a carte. Jacques, zazzera rossa, smilzo, occhi troppo distanti e naso appuntito, mise le braccia incrociate dietro la nuca e iniziò a dondolarsi sulla sedia. Sbadigliò sonoramente e si lamentò di essere troppo stanco; "Non ho dormito per niente stanotte!" disse a voce alta, "Ho passato tutto il tempo ad ammazzarmi di seghe pensando al comandante….", rise, poi: "Cazzo! Darei la palla sinistra per sapere cosa c'è sotto quella divisa!". Scoppiò una risata fragorosa in tutto il dormitorio. André si era alzato; Alain pensava si stesse stirando, invece tirò un calcio alla sedia su cui si dondolava Jacques, facendolo rovinare a terra. Questi si alzò furioso e spintonò André, che però era più grosso di lui e lo scaraventò a terra, dando inizio a una rissa senza esclusione di colpi in cui si immischiò almeno una decina di compagni. Alain guardò André che pestava Jacques di santa ragione e non poté trattenere un sorriso: "Certo che hai scopato figlio di puttana!" pensò, "E so anche con chi hai scopato!". Sospirò fra il soddisfatto e il divertito e cercò di sedare gli animi; dopo una sedia spaccata su una schiena e qualche minaccia, la situazione sembrava tornata sotto controllo, ma gli schiamazzi avevano attirato l'attenzione del comandante, che ora si trovava sulla porta con cipiglio severo. Oscar gridò con disappunto: "Sapete che non tollero risse! Pensavo di essere stata chiara! Dovrò prendere dei provvedimenti!". Quando l'avevano vista, subito gli uomini si erano aggiustati alla bell'e meglio e si erano fermati, ascoltando muti. Alain intervenne tuttavia subito con fare bonario: "Ma no comandante! Quale rissa! Erano giochi fra amici! Ad ogni modo ho visto bene cosa è successo. Lasciate che sia io a prendere provvedimenti questa volta! Chi ha iniziato si becca tre notti di ronda e non ci pensiamo più!". "Va bene Alain" rispose Oscar. Alzò lo sguardo cercandone un altro in particolare, un'impercettibile espressione preoccupata sul bel viso, poi girò sui tacchi e se ne andò. Alain gridò: "Forza ragazzi! Mettiamo un po' di ordine! Jacques, finisci di sputare i denti! André, ti tocca la ronda con me per tre notti, bello!" André saliva di malavoglia le scale verso il muro di cinta. Pensava all'invadenza di Alain: "Hai la faccia di uno che ha scopato". Non aveva mai raccontato nulla a nessuno di donne di cui non gli era importato niente, figurarsi se poteva anche solo venirgli in mente ora di dire qualsiasi cosa di Oscar! … della sua Oscar… di Oscar che ora gli apparteneva… Salendo, un gradino dopo l'altro, ricordò l'imbarazzo per la storia della figlia dell'oste della Bonne Table; quando l'aveva conosciuta aveva pensato che fosse davvero una ragazza carina: sui sedici anni, brunetta, sveglia, simpatica… il padre l'aveva promessa a un ragazzo arrivato dalla campagna per fare il garzone per lui, un giovane con una grossa faccia tonda, il mento sporgente, gli occhi porcini e il naso schiacciato. La figlia dell'oste aveva iniziato a piangere fin dal giorno dell'annuncio: aveva commesso il peccato di aver sognato un futuro migliore e da allora il padre non aveva fatto che darle della sgualdrina e picchiarla. André l'aveva sorpresa un giorno a singhiozzare con una guancia gonfia dopo l'ennesimo schiaffo. Aveva cercato di consolarla con gentilezza e lei gli si era stretta addosso. L'aveva baciato e l'aveva pregato di portarla via, via per sempre. André aveva sentito per lei una pena infinita e aveva pensato che si sarebbe davvero meritata un uomo che la amasse e la portasse via per sempre. Avevano finito col fare l'amore frettolosamente, lei aggrappandosi a lui con disperazione, lui usandole tutta la dolcezza possibile, perché lei potesse almeno conservare un ricordo di tenerezza. Alla fine si erano ricomposti velocemente e quando lei era tornata nell'osteria il padre l'aveva picchiata di nuovo, trascinandola per un braccio. André l'aveva guardata con tristezza, pensando al destino infelice delle donne che, nobili o povere, venivano vendute dagli uomini delle loro famiglie ad altri uomini per pura convenienza. Aveva già raggiunto i compagni quando aveva sentito la ragazza urlare. L'aveva vista guardare il padre con aria di sfida dicendogli che non era più vergine, per poi rivolgersi trionfante agli avventori, quasi tutti soldati della guardia, per annunciare la stessa cosa con parole di disprezzo per il promesso sposo. Questi era rimasto immobile con un barile di birra in mano e aveva iniziato a piangere rumorosamente. André ricordò che avrebbe voluto fare qualcosa, ma i compagni, che l'avevano visto uscire dal retro con la ragazza, stavano ridendo e l'avevano subito trascinato fuori, tra pacche sulle spalle e apprezzamenti vari. L'ultima cosa che ricordava di aver visto mentre la porta dell'osteria si chiudeva, era l'oste che aveva ripreso a picchiare la figlia… In quel momento gli erano venute in mente le molte volte in cui aveva visto il generale Jarjayes picchiare Oscar, senza che lui avesse mai potuto fare niente per impedirlo. Ricordò Oscar aver sempre incassato ceffoni, scudisciate, spinte, umiliazioni verbali senza mai ribellarsi. Il generale nel corso degli anni aveva maltrattato la figlia con qualsiasi pretesto senza mai accettare che lei potesse avere delle intenzioni proprie o un'opinione sua personale. André aveva allora ripensato a un pomeriggio di molti anni prima, quando appena adolescenti lui aveva detto ad Oscar di non scegliere la divisa, ma di concedersi di essere donna. Col tempo aveva avuto modo di rendersi conto che il suo non era stato affatto un buon consiglio. La sua Oscar era stata più saggia… o forse più furba: contrariamente ai suoi consigli aveva scelto l'uniforme e con essa tutta la libertà di un uomo. Se avesse scelto di essere donna il padre avrebbe trovato in breve per lei un marito a cui si sarebbe dovuta sottomettere in nome di un matrimonio conveniente… e lui l'avrebbe persa per sempre. … invece ora era sua… e lo era perché lei lo aveva scelto, perché lei lo aveva voluto, perché lei lo amava. Il pensiero di essere corrisposto dalla sua Oscar gli fece sentire come una sorta di languore tiepido in fondo al cuore. André aveva quasi raggiunto il muro di cinta. Inciampò sull'ultimo gradino e faticò a individuare dove si trovasse Alain. L'occhio destro gli dava sempre più noie e nel buio era decisamente sempre più in difficoltà. Sapeva che avrebbe dovuto parlarne a Oscar, ma… "Domani..." si diceva ogni volta, "domani gliene parlerò…". Alain lo chiamò finalmente a voce alta e allora gli fu più facile raggiungerlo. Si sedette accanto all'amico. Questi gli porse la sua fiaschetta e lo guardò; "Insomma non ti è successo niente di speciale in questi giorni…". André accettò la fiaschetta e sorrise. Non riusciva a fare a meno di sorridere. Bevvero in silenzio. Tornando verso la caserma dopo la loro prima notte, lui e Oscar avevano cavalcato assieme, stretti su César, facendosi seguire dal cavallo di André. Avevano lasciato i cavalli nelle scuderie e si erano congedati senza parlare, solo con un bacio. La giornata era stata poi lunga e pesante: prove di artiglieria per la mattinata e pattugliamento delle strade di Parigi per il pomeriggio. Non si erano nemmeno quasi guardati. La sera André si era rassettato chiedendosi se la notte precedente avesse vissuto un sogno o fosse stato l'inizio di una nuova vita. Aveva temuto che potesse non esserci alcun seguito, invece un compagno era venuto a chiamarlo: "Il comandante ti vuole. Nel suo ufficio. Dice che è urgente.". Aveva raggiunto Oscar facendo i gradini due alla volta. Non aveva bussato per entrare e l'aveva trovata seduta alla scrivania intenta a compilare documenti. Oscar aveva alzato lo sguardo su di lui e gli aveva sorriso con dolcezza. Si era alzata per raggiungerlo mentre lui richiudeva la porta; gli aveva preso una mano fra entrambe le sue e gli aveva detto: "Andiamo a casa. Vieni a casa con me André.". Avevano cavalcato senza fretta verso palazzo Jarjayes e quando erano arrivati era già tarda sera, la cena era già stata servita ma la nonna era stata così felice di averli a casa entrambi dopo tanto tempo, che aveva apparecchiato per loro nelle cucine, come quando erano ragazzi. Sulla tavola poche cose, ma gustose, abbondanti e genuine: formaggio, pane fatto in casa, buon vino e frutta sciroppata. Avevano mangiato in silenzio, guardandosi ogni tanto e ascoltando la nonna, che li aveva sgridati per qualsiasi cosa. Ad André per un attimo era sembrato di avere ancora quindici anni. Improvvisamente li aveva raggiunti madame Jarjayes. Aveva riservato a entrambi qualche parola di tenerezza e aveva dato una carezza alla figlia. Oscar aveva inclinato il viso per trattenere la mano della madre e per ricambiare silenziosamente il suo gesto. André aveva sempre avuto dell'affetto per madame Jarjayes. Era stata lei a chiedere al marito che lui potesse restare presso di loro, quando a soli sei anni era stato consegnato orfano a sua nonna. Sempre madame Jarjayes aveva proposto che lui venisse affiancato a Oscar come compagno di giochi prima e come attendente poi e senza chiedere permesso al marito aveva fatto in modo che lui potesse seguire assieme a Oscar le lezioni del precettore, regalandogli così una formazione culturale di alto livello. Dopo cena tutti si erano ritirati e Oscar aveva aspettato di essere nuovamente sola con André prima di tirarlo piano, aggrappandosi a una manica. "Resta con me…" gli aveva detto. André l'aveva guardata negli occhi e le aveva risposto semplicemente: "Sempre". Erano saliti furtivamente per raggiungere le stanze di Oscar avvolte nell'oscurità. Appena chiusa la porta André le aveva preso il viso fra le mani e l'aveva baciata con passione. Oscar si era lasciata stringere fra le sue braccia. Poi si erano spogliati l'un l'altra... André bevve ancora un sorso dalla fiaschetta di Alain e ripensò con un brivido alla sua Oscar che gli appoggiava l'orecchio sul petto per ascoltare il suo cuore, per poi girargli attorno lentamente carezzandolo sul collo, sulle spalle… poi di nuovo sul petto. Il ricordo delle sue mani sulla sua pelle era un'emozione da serbare gelosamente. Le aveva preso entrambe le mani e ne aveva portata una alle labbra per baciarne il palmo e l'altra alla propria virilità per lasciarsi accarezzare. Alain richiamò la sua attenzione: "Niente di speciale, davvero?". André abbassò la testa e disse piano: "La mia vita inizia con lei. La mia vita finisce con lei. Lei è tutta la mia vita." Oscar nel suo ufficio stava terminando di compilare alcuni documenti. André era in ritardo. Non si erano accordati, ma dopo la prima sera in cui l'aveva fatto chiamare, lui l'aveva sempre raggiunta con qualche pretesto… Era stata una giornata lunga e difficile; una febbricola persistente le aveva reso ogni impegno più faticoso e la tosse non le aveva dato tregua. Non stava bene. Il dottore si era mostrato molto preoccupato riguardo alle sue condizioni. Avrebbe dovuto parlarne ad André, ma ogni volta si diceva: "Domani… gliene parlerò domani…". Il tempo che passavano insieme le riempiva il cuore e l'anima. Da quando aveva ammesso con se stessa di essere innamorata di lui era come se il suo cuore fosse diventato più leggero. Per la prima volta nella sua vita poteva essere se stessa: André la amava così com'era. Accettava che le piacesse essere un soldato e che tuttavia fosse ugualmente bisognosa di dare e ricevere amore. Accettava che lei fosse così rigorosa e integerrima, così come accettava la sua fragilità. Accoglieva la sua passione, così come la abbracciava per proteggerla dal mondo. "Domani…" pensò di nuovo, "domani…". Voleva ancora rubare un giorno di ingenuità per concedersi di avere ancora una notte senza ombre, senza paure… André stava davvero tardando. L'aveva visto quando era intervenuta per la rissa nella camerata. Stava bene… La rissa… Era stata molto chiara riguardo a risse e pestaggi. Aveva dimostrato di non tollerarli ricorrendo a provvedimenti particolarmente duri e severi. "Chissà per quale discussione saranno venuti alle mani questa volta...Carte? Donne?" pensò. Ammise di essersi sentita sollevata nel lasciare che Alain si occupasse di redarguire il colpevole. Era ancora stanca e febbricitante e le era mancata la voglia di indagare e discutere. Aver conquistato la fiducia di Alain le aveva assicurato il rispetto dei suoi soldati. Alain era un alleato prezioso: aveva una buona attitudine al comando e gli uomini tenevano in gran conto la sua opinione. Era allegro e di buon cuore e riusciva con il suo carattere solitamente gioviale a mantenere alto l'umore del reggimento anche nei momenti di tensione. Mal sopportava i regolamenti, ma era onesto e ci si poteva sempre fidare della sua parola. Aveva l'abitudine di dire sempre la verità (o almeno la propria verità) in ogni occasione, in maniera diretta e quasi brutale, cosa che rendeva il pregio della sincerità se non sgradevole talvolta almeno scomodo. Oscar apprezzava molto Alain ma non di meno lo temeva: era imprevedibile e affrontava ogni situazione in maniera passionale. Una volta l'aveva aggredita. In tutto il corso della sua carriera nessun sottoposto si era mai permesso neppure di contestarla, così quando Alain si era presentato nel suo ufficio coprendola di ingiurie per l'arresto del soldato Lasalle si era immediatamente sentita in allarme. Non avrebbe mai pensato che potesse metterle le mani addosso, così quando l'aveva afferrata per la giubba e le aveva sferrato un colpo forte in pieno volto, si era sinceramente spaventata. Alain era un uomo con una stazza importante, le sue mani erano grosse e il colpo era stato decisamente potente. Ricordò di aver sentito immediatamente il sapore metallico del sangue in bocca e di aver pensato che un occhio le stesse schizzando fuori dall'orbita… ma poi… poi era intervenuto André. Il suo André… Mentre stava assegnando sia a lui che ad Alain tre giorni di cella di rigore le erano tornate in mente le sue parole del primo giorno fra i soldati della guardia: "Che tu lo voglia o no, Oscar, io sono l'unico in grado di proteggerti.". L'episodio dell'aggressione da parte di Alain l'aveva colpita più di quanto avesse voluto ammettere inizialmente. A parte i segni sul viso che avevano tardato a scomparire, impedendole così di tornare a palazzo Jarjayes per giorni, per evitare domande soprattutto da parte della sua governante, l'aveva ferita la sicurezza che Alain aveva dimostrato nelle sue accuse, benché palesemente false e prive di fondamento: lei non avesse infatti mai dimostrato slealtà nei confronti dei propri soldati. Eppure Alain era stato certo che lei avesse venduto uno di loro; ne era stato certo solo perché lei era una nobile. Mentre le urlava addosso con disprezzo, aveva letto nei suoi occhi una rabbia cieca dovuta all'odio di classe: lo stesso odio che esprimeva suo padre, il generale Jarjayes, quando si riferiva con lo stesso disprezzo a chiunque non fosse nobile. Resosi conto di aver sbagliato, Alain era poi tornato sui propri passi venendo addirittura a a scusarsi e il suo atteggiamento da allora era decisamente cambiato. Oscar aveva tuttavia comunque continuato a sentire una sottile sensazione di disagio in sua presenza e benché si fidasse sinceramente di lui, aveva cercato sempre di mantenere una certa distanza da lui, pur senza riuscirci troppo, visto che Alain aveva l'abitudine di avvicinarsi spesso a lei in maniera quasi importuna, per rivolgerle a bruciapelo domande anche troppo personali alle quali si sentiva sempre, non sapeva perché, in obbligo di rispondere. André pensava a Oscar che lo aspettava come ogni sera nel suo ufficio. Sarebbe stata delusa di non vederlo. Si sarebbe preoccupata. Restituì la fiaschetta ad Alain e questi bevendo a sua volta gli disse: "Hei amico, ti sei accorto che il comandante non sta bene? È sempre più pallida… e sempre più magra.". André lo guardò sgomento. Certo che se n'era accorto. Non aveva bisogno di vedere bene per capire che Oscar era sempre più magra… fra le sue braccia sembrava ogni giorno più leggera… Perché non le aveva ancora chiesto niente? Alain lo incalzò: "Perché non le chiedi come sta?". André non rispose. "Sai cosa credo?", continuò Alain "Credo che tu non le chieda niente perché hai paura che se lo facessi lei poi ti verrebbe a chiedere del tuo occhio…". Era vero. André ebbe un moto di stizza con il quale cercò di mascherare il dolore per la verità appena ascoltata. "Pensa ai fatti tuoi Alain!" sibilò con rabbia. Alain sorrise scuotendo la testa. "Siete due amanti," disse, un lieve tono di scherno nella voce, "ma siete anche due stupidi!". André si risentì: "Non ti ho mai detto che siamo amanti" rispose, piccato. "È vero," gli rispose l'amico, "non l'hai detto. Lo dico io". Oscar sospirò. Perché André non stava arrivando? Pensò di fare un giro fino al muro di cinta per vedere a chi erano toccati i tre giorni di ronda di notte con Alain, poi si sarebbe fatta venire in mente un pretesto per cercare André nelle camerate. Stava salendo gli ultimi gradini e si era slacciata qualche bottone della giacca per cercare nella frescura della notte un poco di sollievo dalla febbre. Arrivata agli ultimi gradini ascoltò non vista la conversazione fra i due amici. C'era André in punizione a fare la ronda di notte! André? Perché André? … e Alain sapeva di loro… non ne era sorpresa. Era stato lui a ordire il piano per gettarla finalmente fra le braccia di André… Si accorse tuttavia che non le importava che lui sapesse di loro. A dire il vero non le importava più che chiunque lo sapesse. L'avrebbe gridato al mondo, che amava André. Non avrebbe mai più rinunciato a lui. Ma il resto della conversazione l'aveva allarmata: era così evidente che non stava bene? E perché André aveva paura che lei gli chiedesse del suo occhio? "Domani…" pensò un'altra volta, "Domani… voglio ancora una notte…". Si sentì mancare l'aria e si premette una mano sul petto. La tosse la piegò, rivelando la sua presenza. André la raggiunse e in un attimo la stava già stringendo fra le braccia. Che sollievo restare lì, stretta al suo petto… Poco dopo Alain fu a pochi passi da loro; le mani in tasca, un sorriso beffardo, li guardava senza dire niente. André la lasciò andare e Alain guardò il proprio comandante: la giubba slacciata, gli occhi luminosi… da quando quel collo era così lungo e sinuoso? E da quando gli interessava che quel collo fosse così lungo e sinuoso? Se fosse stata sua, lui gliel'avrebbe chiesto come mai non stava bene… scacciò immediatamente quel pensiero dalla mente e disse, con fare canzonatorio: "Tranquilla comandante! Non ve lo porto via tutta la notte André! Basto io qua. Non credo proprio che i parigini correranno ad assaltare la caserma proprio adesso!". Oscar gli sorrise. Lasciò che André le cingesse le spalle e scese con lui. Era molto tardi. Non sarebbero rientrati a palazzo Jarjayes. Si diressero verso il piccolo e spartano alloggio da ufficiale di Oscar. Chiusero piano la porta e lei si sedette in fondo al letto stretto e ordinato, finendo di aprire i bottoni della giacca: aveva bisogno di aria e l'uniforme le stava pesando enormemente addosso. André le carezzò il viso. Lei lo guardò. "Perché c'eri tu con Alain in corvée? Ti hanno aggredito?" gli chiese, seria e assolutamente certa che lui non potesse avere colpa per la rissa nelle camerate. "No" le rispose lui, sorridendo beffardo. "Cos'è successo?". "Niente". André non le permise di continuare a fare domande: non aveva nessuna voglia di raccontare perché avesse aggredito un compagno... In ginocchio davanti alla sua Oscar, la stava spogliando con gesti gentili, prendendosi cura di lei con tenerezza. Le si sedette accanto, poi la sollevò per adagiarsela in grembo. Mentre le lunghe gambe gli cingevano i fianchi, lui la sentì aprirsi, umida e languida, per accoglierlo dentro di sè. Oscar si lasciò prendere con gratitudine, abbandonandosi completamente al suo uomo, lasciandosi amare, lasciandosi toccare, lasciandosi accarezzare, felice di non dover essere né apparire diversa da come era e da come si sentiva. Si amarono in silenzio, per poi rimanere immobili in un abbraccio in cui non servivano parole, la testa appoggiata sulla spalla dell'altro, lei le mani aggrappate alla schiena di lui, lui intrecciate attorno alla vita di lei. Seduto contro il muretto, ad Alain continuava a tornare in mente l'immagine del suo comandante fra le braccia di André. Era felice per lei e per il suo amico… in fondo era stato lui a riuscire a fare in modo che finalmente potessero amarsi… Non riusciva tuttavia a fingere di non sentire qualcosa di pungente nel più profondo di sè; ripensò agli apprezzamenti scurrili di Jacques. Forse anche lui l'avrebbe voluto malmenare se fosse stato in André… "darei la palla sinistra per sapere cosa c'è sotto quella divisa!". Alain rise, ma ripensò al comandante con la giubba appena slacciata sul collo… in realtà avrebbe dato un occhio per vederla interamente slacciata… poi pensò ad André: lui gli occhi glieli aveva dati tutti e due… Alain sbuffò. Gli costò caro, ma fu costretto ad ammettere che madamigella Oscar non gli era per niente indifferente e che forse gli sarebbe piaciuto tenerla fra le sue, di braccia. Bevve fino all'ultimo goccio dalla sua fiaschetta e si grattò la fronte con il pollice, poi disse a se stesso, a voce alta: "Hei bestione! Sei davvero uno stupido!". Oscar e André giacevano in silenzio, stretti nel lettino dell'alloggio da comandante. Il sonno non voleva arrivare per concedere loro riposo e conforto. Oscar pensava che avrebbe dovuto chiedere ad André del suo occhio, ma… "Domani," pensò "voglio tenermi ancora quest'ultima notte…". André avrebbe voluto chiedere alla sua Oscar perché era diventata così sottile e perché la sua pelle era sempre troppo calda, ma poi… "Domani," pensò "glielo chiederò domani".

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Capitolo 3
*** Cena di Gala ***


Capitolo 3 - Cena di Gala

Il pomeriggio stava volgendo verso il tramonto. L'ampio spiazzo della caserma era immerso in una luce dorata. Oscar scese dal suo cavallo e guardò i soldati fare altrettanto, poi lasciò le redini di César ad André: l'avrebbe sistemato lui nelle scuderie, come sempre. Attraversò lo spiazzo a passo sostenuto verso l'ingresso, ma arrivata ai pochi gradini antistanti il portone si sentì come un peso in mezzo al petto. Tutto le costava più fatica ultimamente. Cercò di respirare a fondo, ma era come bere da un bicchiere vuoto. Si sedette su un gradino. "Solo per un attimo…" pensò "... solo un attimo, per riprendere fiato…". Chiuse gli occhi cercando di respirare. Sentì una mano appoggiarsi sulla spalla sinistra: aprì gli occhi e alzando lo sguardo incontrò gli occhi di Alain. La sua mano enorme le copriva interamente la spalla. L'ultima volta che aveva alzato una mano su di lei era stato per colpirla. Ora invece riconosceva in quel contatto un gesto di affetto e di intima amicizia. "Non state bene comandante" le disse Alain. Oscar non rispose. Alain strinse appena la sua spalla, come a volerla accarezzare in silenzio. "Dovreste dirglielo. Dovreste dargli l'opportunità di venirvi a prendere e portarvi via da dove state andando…". Oscar nuovamente non rispose. Guardò in avanti, verso il tramonto. Quella mattina all'alba si era svegliata fra le braccia di André e aveva pensato di non voler morire. Sei mesi, se non si fosse curata, le aveva detto il medico. Aveva sentito il respiro leggero del suo uomo contro la nuca, mentre teneva stretta al seno la sua mano. "Non voglio morire adesso" aveva pensato. Si sarebbe curata. Avrebbe mangiato. Si sarebbe riposata. Non avrebbe lasciato André. "Sono solo stanca Alain" mormorò Oscar. Alain sorrise con amarezza e fece per ritirarsi, precedendo gli altri verso le camerate. Dopo pochi metri si volse e guardò il profilo sottile del suo comandante stagliarsi contro la luce del tardo pomeriggio. Tornò sui suoi passi e le porse la mano. Oscar gli sorrise e accettò il suo aiuto; Alain pensò che la sua mano era davvero piccola stretta nella propria. Avrebbe voluto trattenerla ancora solo un istante, ma non lo fece. Oscar si alzò e percorse con lui il corridoio dalle ampie finestre inondato di luce. 

Poco prima di raggiungere la porta dell'ufficio, furono raggiunti da un giovane alto e dinoccolato; era privo di grazia, sui quattordici anni, con pelle butterata e occhi rotondi, ma la divisa era impeccabile. "È uno dei cadetti agli ordini di mio padre" disse Oscar, riconoscendo l'uniforme. Il giovane chiese con un tono troppo squillante chi fosse Oscar Francois de Jarjayes. Alain lo apostrofò a voce alta: "Secondo te chi sarà, zucca vuota!". Era quasi minaccioso: il busto sporto in avanti, un braccio sollevato col pugno chiuso… Il giovanotto fece un passo indietro, titubante. Oscar sorrise e prese dalle sue mani la busta che questi non si decideva a consegnare, sfilandogliela dalle dita. "Vai!" gli ordinò. Il ragazzetto fece qualche passo a ritroso, poi corse via. Oscar lo guardò correre e non potè fare a meno di notare che pressapoco a quell'età lei era già capitano delle guardie di Sua Maestà; aprì la busta e lesse velocemente. "Stasera c'è una cena di gala a palazzo Jarjayes" mormorò "saranno presenti diversi alti ufficiali. È richiesta la mia presenza.". Guardò Alain senza aggiungere altro. Questi le sfiorò appena un braccio. "Tranquilla comandante. Lo dico io al vostro bello!", le voltò le spalle e se ne andò senza aspettare risposta.

Oscar entrò nel suo ufficio e si sedette alla scrivania. La sua famiglia non era mondana. Gli eventi a casa Jarjayes erano sempre stati rari e organizzati con scrupoloso anticipo. Perché questo invito a comparire le era stato recapitato con così poco preavviso? E perché il tono della missiva dava più l'idea di un ordine che di un invito? Oscar abbassò la testa e si premette i palmi delle mani sugli occhi.

 

Dopo aver rischiato la vita nell'attentato in cui era stato colpito al posto del generale Bouillé, il generale Jarjayes aveva improvvisamente iniziato a dubitare della propria scelta di aver cresciuto Oscar come un figlio maschio. Mosso da scrupoli di coscienza aveva tentato di parlarne con lei e Oscar, che aveva sempre amato con devoto rispetto i genitori, l'aveva rassicurato, dicendogli che era contenta della vita che conduceva e che aver ricoperto mansioni tipicamente maschili le aveva concesso una libertà che a tutte le altre donne era stata sempre assolutamente preclusa. Nel momento stesso in cui aveva parlato al padre con tanta franchezza, Oscar aveva saputo di aver sbagliato a offrire la propria sincerità. Il generale non stava infatti dimostrando alcun rimorso nei suoi confronti, semplicemente aveva sentito la necessità di sistemare questa figlia la cui libertà lo stava preoccupando.

Con i palmi ancora premuti sugli occhi, Oscar ripensò a un giorno di tanti anni prima, quando, appena adolescente, il generale l'aveva schiaffeggiata e poi gettata giù dalle scale di palazzo Jarjayes per costringerla a obbedire alla sua volontà riguardo alla divisa da comandante delle guardie reali. Ripensò agli schiaffi e alle umiliazioni verbali subite da ragazza, quando già colonnello aveva tentato di indagare i sentimenti del popolo nei confronti della famiglia reale… ripensò a come il generale si fosse vantato della formazione che le aveva fornito anziché cercare di proteggerla e dissuaderla quando, giovanissima e impetuosa, aveva accettato una sfida a duello con la pistola. Ripensò a come aveva imparato presto, da bambina, a non esprimere opinioni o preferenze e a nascondere i momenti allegri passati giocando con André per evitare dure punizioni corporali. Non le era mai stato permesso di mostrare di amare giocare o divertirsi, né di indugiare in attività considerate femminili: era stata schiaffeggiata e punita perché scoperta a farsi pettinare i capelli dalla madre… Ricordava ancora l'espressione atterrita della contessa, impotente, mentre il generale trascinava la figlia per un braccio… la stessa espressione atterrita di André tutte le volte che l'aveva vista subire senza poter fare niente per lei… 

Oscar si alzò e andò alla finestra. In quell'orario del giorno la luce era così intensa da ferire gli occhi. Il sole ormai basso lanciava ombre lunghe su tutto ciò che toccava, ma i suoi raggi erano ancora forti e chiari. Oscar si massaggiò una tempia con la punta delle dita. Conservava ancora sulla coscia sinistra il segno indelebile di una scudisciata ricevuta quando a tredici anni fu scoperta a fare il bagno nel lago con André. Avevano sempre nuotato. Una volta da bambini avevano anche rischiato di annegare. Non avevano mai pensato di fare qualcosa di male. Quando suo padre, informato dal proprio valletto zelante, li aveva sorpresi André aveva cercato di difenderla, così c'erano state scudisciate anche per lui...

Oscar non si era mai lamentata, non si era mai ribellata, non aveva mai versato una lacrima se non quando certa di essere sola. Aveva sempre obbedito e aveva fatto in modo di essere il degno figlio maschio del generale Jarjayes. Era stata sempre devota e rispettosa e aveva pensato che il prezzo pagato tutto sommato non era stato poi così alto, se confrontato con la libertà che la sua vita da uomo le aveva concesso. Da adulta, finalmente,  era stato tutto meno difficile e da quando aveva lasciato la guardia reale, aveva finalmente conquistato una libertà nuova che la faceva sentire se non altro soddisfatta della vita che conduceva.

 

Quando l'avevano informata dell'attentato subito dal padre si era sentita piena di angoscia ed era corsa al suo capezzale. Voleva fare giustizia per lui, dimostrandogli le doti di soldato che le erano state così duramente inculcate, ma a quel punto suo padre aveva iniziato a insistere perché lei accettasse di convolare a nozze. Già prima dell'attentato le aveva suggerito di accettare le proposte del conte di Girodelle, poi aveva iniziato a invitare a palazzo Jarjayes giovani promettenti ufficiali e infine l'aveva praticamente obbligata a partecipare a allo stupido ballo organizzato per lei dal generale Bouillé,  a cui si era presentata in uniforme, lamentandosi di non vedere dame da far ballare, sperando, con quel gesto plateale, di aver ben espresso una volta per tutte la sua posizione riguardo alle nozze.

Aveva sempre ottemperato a ogni ordine del generale, ma questa volta non avrebbe ceduto mai.

 

Alain si stava sbarbando e lavando: il sabato veniva a trovarlo sua sorella e per lui era il momento più importante della settimana. André lo guardava divertito. Alain lo rimbrottò: "Che hai da guardare?!?". "A vederti sembra che tu ti prepari a uscire con una fidanzata anziché per vedere tua sorella!". Alain sorrise. "Diane è la cosa più bella che ho.". Si allacciò con cura il fazzoletto al collo, si sistemò la giubba e uscì. Diane era diversa da lui: minuta, graziosa, con bei capelli color miele e una pelle così chiara da far invidia alla regina. Quando veniva a trovarlo passeggiavano assieme fuori dal muro di cinta della caserma: Alain conosceva benissimo il genere di commenti lascivi a cui si lasciavano andare i compagni e non voleva che quei bifolchi guardassero la sua Diane. Non l'aveva certo cresciuta per lasciare che degli idioti puzzolenti si facessero venire in mente idee su di lei! Ogni tanto qualche commilitone usciva in cortile per guardarla dal cancello, ma Alain non permetteva ai compagni di rivolgerle la parola e gli bastava un'occhiata per farli rientrare. Solo ad André aveva permesso di conoscere Diane. Solo ad André perché era un buon amico e di lui si fidava; inoltre sapeva con certezza  che André non avrebbe mai avuto dell'interesse per Diane… 

Quando la sua sorellina aveva compiuto quindici anni Alain aveva ottenuto un giorno di licenza e aveva invitato André a casa sua. Avrebbero festeggiato assieme la piccola Diane e gli avrebbe presentato sua madre. Arrivati a casa erano stati accolti da un'atmosfera calda e famigliare. La tavola, benché povera, era stata apparecchiata con amorevole cura e avevano trovato le due donne emozionate di ricevere un ospite. Alain aveva osservato André: l'amico era decisamente quello che secondo lui poteva definirsi un vero gentiluomo. Aveva portato dei fiocchi di seta in regalo per Diane e una scatola di frutta candita per sua madre. Le aveva chiamate madame e mademoiselle e si era intrattenuto con loro in una conversazione amabile e gentile, facendole sentire lusingate e importanti. Alain aveva pensato che André fosse veramente un aristocratico mancato e che sarebbe stato molto meglio in un salotto che non fra i soldati della guardia. Aveva pensato al comandante, sempre così silenziosa, con i suoi capelli biondi e quegli occhi azzurri…  Per occhi come quelli forse anche lui avrebbe sopportato tutto quello sopportava André…

 

Il conte di Girodelle era stato sorpreso di ricevere l'invito per una cena di gala a palazzo Jarjayes. Madamigella Oscar aveva risposto con freddezza alle sue proposte e benché il generale si fosse mostrato propenso a caldeggiare un'eventuale unione, lei era stata estremamente esplicita nel respingerlo quando lui, raccogliendo tutto il suo coraggio, aveva avuto l'ardire di esternarle i suoi sentimenti. "Ebbene Girodelle, dovete dimenticarmi" gli aveva detto. Aveva poi nutrito delle speranze quando aveva saputo del ballo organizzato per lei dal generale Bouillé, ma quando madamigella aveva fatto la sua comparsa in divisa da comandante delle guardie metropolitane, aveva capito che sarebbe stato veramente difficile ottenere da lei qualsivoglia benevolenza. 

Eppure, non riusciva a dimenticare l'impeto che aveva sentito in sè quando l'aveva vista comparire all'ingresso della sala: le belle gambe inguainate negli stretti pantaloni, i capelli ribelli che le incorniciavano il viso, più biondi del grano di agosto… e quegli occhi… non era stato tanto l'azzurro intenso ad averlo turbato, ma piuttosto quello sguardo risoluto e fiero, la sfida che quegli occhi esprimevano sotto quelle lunghe ciglia… Chi avrebbe mai potuto domare questa donna? Si era chiesto. Lui. Avrebbe voluto poterla domare lui. Madamigella Oscar aveva il fascino di una creatura selvatica e lui sentiva il profondo desiderio di addomesticarla, di poter essere il solo a godere di quella forza selvaggia.

Quando il galoppino del generale Jarjayes gli aveva consegnato l'invito, il suo cuore aveva fatto una capriola. Che madamigella avesse rivisto le sue posizioni? Ripensando alla risolutezza con cui gli aveva parlato, guardandolo diritto negli occhi, aveva immediatamente dubitato che lei avesse potuto mutare la sua opinione, ma poi si era ricordato dell'entusiasmo con cui il generale aveva accolto le sue proposte e così aveva pensato che forse questi si fosse imposto sulla figlia. Madamigella Oscar aveva sempre dimostrato devozione nei confronti del padre, di certo non lo avrebbe contraddetto qualora lui le avesse imposto il matrimonio! Girodelle era persuaso che se fosse potuta finalmente essere sua, non avrebbe potuto che finire con l'amarlo. Semplicemente, se fosse finalmente diventata sua moglie, avrebbe potuto costringerla ad amarlo!

Dopo aver ricevuto l'invito, Girodelle aveva dunque immediatamente inviato il suo valletto a prendere un appuntamento con il suo  sarto personale a Parigi. Voleva apparire al meglio! Si sarebbe ritirato presto quel pomeriggio:  aveva già predisposto affinché si potesse cambiare e toelettare con cura. Il barbiere gli avrebbe rasato il viso e si sarebbe occupato dei suoi capelli, poi sarebbe uscito presto: aveva intenzione di recarsi prima alla caserma dei soldati della guardia per aspettare madamigella Oscar. Avrebbero cavalcato insieme fino a palazzo Jarjayes!

 

Alain aveva accompagnato Diane al carro che l'avrebbe riportata fino a casa. Pochi minuti e sarebbe partita. Un uomo tarchiato stava aiutando altre donne a salire sul carretto. Erano le lavandaie e le cameriere al servizio degli ufficiali in caserma. Da qualche tempo Alain aveva addocchiato una di loro: belle forme rotonde, pelle olivastra, occhi appena allungati dall'aspetto orientaleggiante… La ragazza volse solo un attimo lo sguardo nella sua direzione, ma poi lo abbassòi, pudica. Alain le guardò le morbide labbra carnose appena dischiuse. "Mmm" pensò " questa me la devo fare!". 

Il carretto partì e Alain restò per un paio di minuti a guardare sua sorella che si allontanava, con la mano alzata a salutarlo come quando era bambina, poi si avviò per rientrare in caserma. Avvicinandosi al cancello vide il conte di Girodelle arrivare. Lo riconobbe subito: era il tizio per cui il comandante si era affrettata ad accettare l'invito di Lasalle, la sera in cui erano andati tutti a bere dalla Petite Alsacienne. L'aveva vista liquidarlo almeno un altro paio di volte. Sapeva che era un colonnello delle guardie reali. Cosa voleva ancora? Si avvicinò con circospezione.

 

Oscar uscì. André le aveva già preparato il cavallo. Non lo aveva nemmeno potuto salutare. Sperò che la raggiungesse a casa più tardi. Se non l'avesse fatto sarebbe tornata in caserma. Non avrebbe trascorso la notte senza di lui a costo di andarlo a cercare nelle camerate. Quanto tempo aveva perso! Ora voleva approfittare di ogni istante.

Montò César e attraversò la piazza d'armi. Appena varcato il cancello lo vide: Girodelle, con i lunghi capelli ben pettinati e un'elegante giacca dai decori sontuosi. Oscar abbassò la testa. Sarebbe stata una serata lunga e pesante. Dalla cura nell'abbigliamento, era chiaro che il conte doveva aver ricevuto un invito a palazzo Jarjayes. Il generale aveva simpatia per lui. Oscar sospirò. Vide Alain avvicinarsi lentamente; le mani in tasca, il passo pesante… Notò che la capigliatura corvina era ben pettinata, le basette regolate, la barba rasata… La divisa era in ordine e addirittura allacciata. Di certo doveva aver visto la sorella. Sorrise con tenerezza.

Volse il capo. "Buona sera conte" disse con distacco. Alain li aveva ormai raggiunti, ma il conte, girato verso di lei, non poteva vederlo. Girodelle le offrì un sorriso speranzoso. "Madamigella Oscar, la vostra algida bellezza risplende nel tramonto!". Alain fece una smorfia infastidita. "Che cazzo è l'algida bellezza?!?" disse fra sè a mezza voce. Oscar non mostrò interesse per il complimento ricevuto. Cercò tuttavia di essere gentile: "Cosa vi porta qui fra i soldati della guardia, conte?". "Speravo di incontrare voi madamigella Oscar!" rispose Girodelle, "Cavalchiamo insieme fino a palazzo Jarjayes!". Alain socchiuse appena un occhio. E chi era questo che veniva a prendere Oscar, dopo che lei l'aveva liquidato già tante volte?!? Non si sarebbe mai permesso di essere geloso di André, ma non poteva sopportare che questo bellimbusto si presentasse a fare il cascamorto con il suo comandante! Con le mani ben affondate nelle tasche calciò forte una pietra, colpendo il posteriore del cavallo, che si impennò spaventato; il conte rischiò di venire disarcionato. Fu costretto ad aggrapparsi e finì con l'urtare forte il collo del cavallo con il viso. "Hei algida bellezza!" lo canzonò Alain "Ti si è scompigliata la parrucca!". Oscar faticò a soffocare una risata e fu costretta a mordersi un labbro. Alain le passò accanto camminando verso l'ingresso della caserma. "Passate una buona serata comandante. A domani.". La guardò dritta in faccia strizzandole un occhio. "A domani Alain" gli rispose lei, accondiscendente. "Sono brutali, questi soldati della guardia!" si lamentò Girodelle "Come potete sopportare gente come questa tutti i giorni?". "Sono ottimi ragazzi. Sono fiera dei miei uomini" rispose Oscar con serietà, prima di spronare il cavallo con decisione e partire a passo sostenuto.

 

Alain arrivò nelle camerate di malumore. Cercò André. "Hei, figlio d'un falegname! Vai un po' a casa!". André lo guardò stupito e rispose tranquillo: "Non mi è permesso presenziare alle cene di gala. Vengo prima a bere qualcosa con voi. Più tardi raggiungo Oscar.". Alain si sentiva irrequieto. Aggredì quasi l'amico: "Non andiamo a bere. Andiamo a donne. Portiamo Jacques a vedere le sciantose! Tu non puoi venire!". André rimase perplesso. "Vattene a casa!" ripeté Alain a voce alta, scandendo ogni parola. 

 

Dopo aver passato i primi dieci minuti ad ascoltare Girodelle parlare di sè, Oscar lo interruppe dicendogli che purtroppo suo padre la stava aspettando con urgenza e che per questo era costretta a lanciare il cavallo al galoppo. Non le importava che lui la seguisse, o la raggiungesse più tardi al passo per non compromettere la sua mise, le importava invece che smettesse di parlare. Non aveva mai avuto antipatia per Girodelle, ma nemmeno aveva mai cercato la sua compagnia. Era stato un buon sottoposto e un valido collaboratore, fedele e leale, ma Oscar non aveva mai inteso approfondire alcun rapporto con lui; non si poteva nemmeno dire che fossero amici: non si erano mai frequentati, né avevano mai trascorso in compagnia del tempo al di fuori dei doveri delle guardie reali.

Arrivata a palazzo Jarjayes Oscar scese da cavallo lasciando le redini in mano a un giovane stalliere. Lo guardò. André si era sempre occupato di César. Senza volere si rivolse al ragazzo troppo bruscamente: "È una bestia importante. Pretendo per lui le migliori cure!". Si avviò molto velocemente verso l'ingresso, senza guardare se Girodelle l'avesse seguita o meno. Attraversò l'atrio a grandi falcate, il cuore pesante, il respiro spezzato… sentiva la febbre montare. Non si poteva permettere di mostrare debolezza. Strinse i pugni e chiuse gli occhi un attimo prima di affrontare la lunga scalinata. Sapeva già di poter trovare il generale nel suo studio. Fece irruzione senza chiedere permesso né salutare. "Padre!" esclamò, temendo di lasciar trapelare tutta la sua esasperazione "Vi esorto nuovamente a non concedere la mia mano al giovane conte di Girodelle" fece una breve pausa "... e né a nessun altro!". Il generale si dimostrò immediatamente infastidito. "Oscar abbiamo ospiti illustri. Attendo entro breve dei generali della marina di sua maestà. Esigo che tu ti vada immediatamente a preparare come si conviene. Ho fatto acquistare per te degli abiti per l'occasione.". Oscar serrò la mascella. Per la prima volta, guardandola, il padre notò nella figlia uno sguardo diverso. Era sempre stata risoluta, ma ora aveva negli occhi un lampo di sfida che non sarebbe riuscito mai più  a spegnere. Qualcosa in lei era cambiato. Improvvisamente seppe che non sarebbe più riuscito a costringerla a seguire i suoi ordini. Tuttavia non era disposto a cedere. Decise di mostrarsi più accomodante assumendo un tono più bonario: "Suvvia Oscar! Il conte di Girodelle è un ottimo partito. … e inoltre per te è disposto a non tener conto dei pantaloni e nemmeno della tua età! Ti chiedo solo di valutarlo con attenzione. Sarei volentieri propenso a caldeggiare per questa unione!". Oscar si rese conto  che era troppo tardi per fermare la febbre; sentì il calore avvolgerle la testa e si dovette sedere. "Respira!" si impose. Il padre vide il rossore invaderle il viso e pensò di averla intimidita facendo cenno alla sua età. Oscar chiuse di nuovo gli occhi per un attimo; doveva fermarsi. "Padre, mi ritiro" disse uscendo dallo studio.

 

Oscar raggiunse le sue stanze sperando di potersi liberare immediatamente della giacca dell'uniforme, invece appena entrata si trovò davanti a tre giovani cameriere emozionate che la aspettavano accanto al guardaroba. Appesi con cura facevano bella mostra di sè due abiti femminili all'ultima moda. Sul tavolino tiare, guanti, gioielli.... una delle cameriere la invitò ad accomodarsi. Le disse che avrebbero pensato loro a lei e che sarebbe stata bellissima; doveva solo scegliere quale abito preferisse fra i due. Oscar gridò: "Fuori di qui! Tutte! Fuori!". Una provò a dirle che non si sarebbe potuta vestire da sola, ma lei le urlò di andarsene immediatamente. Si lasciò cadere sulla poltrona accanto alla porta. Le ragazze uscirono con un'espressione confusa sul volto. Oscar allungò una mano fermando l'ultima prima che se ne andasse. "Portami dell'acqua fredda. Subito!". Si tolse la giubba da comandante e gettò a terra gli stivali. Passò davanti agli abiti e ne schiaffeggiò uno con rabbia, provocando un frusciare di gonne e un tintinnare di perline.  Aspettò che la cameriera tornasse con l'acqua e la congedò bruscamente. Si bagnò le tempie e il collo e immerse mani e polsi nell'acqua fredda. Aprì la finestra cercando sollievo nella frescura della sera e si buttò sul letto. Esausta, cadde in un sonno profondo e senza sogni.

 

La carezza di una manina fresca sulla guancia la svegliò. Oscar riconobbe la nonna di André dal profumo di sapone e di vaniglia prima ancora di aprire gli occhi. "Bambina!" le disse con la sua voce dolce e chioccia, "Devi alzarti subito ora! Tuo padre si sta agitando molto! Hanno già iniziato a servire la cena! Il generale non sarà contento se non scenderai!". Oscar provava un immenso affetto misto a gratitudine per la propria governante; era la nonna di André, ma in qualche modo era come se fosse anche un po' sua nonna. Si era sempre occupata di lei con amorevole dedizione ed era l'unica persona al mondo a non avere mai avuto soggezione del padrone. L'aveva vista rispondere a tono al generale più di una volta e Oscar sapeva che non si era mai fatta scrupolo nel dirgli quanto poco trovasse sensate le sue scelte riguardo alla figlia. Benché avesse sempre desiderato che la sua Oscar fosse educata come una ragazza, non le aveva mai fatto mancare il suo appoggio nelle scelte che aveva fatto. Era stata lei a cucirle l'unico vestito da donna che avesse mai indossato ed era sempre stata lei ad accudirla le volte in cui era stata ferita.

Oscar si mise seduta. Quanto aveva dormito? Fuori era buio e la luna era già alta. Il riposo le aveva fatto bene: la febbre si era abbassata. Si sentiva meglio.

"Guarda questi abiti Oscar! Li ho scelti io sai? Non potevo credere alle mie orecchie quando il generale mi ha detto cosa voleva regalarti! Ha fatto venire qui le migliori sarte e ha fatto portare solo gli accessori più esclusivi! Ha lasciato che scegliessi io!". Oscar le voleva troppo bene per deluderla, così le disse che davvero trovava gli abiti molto belli. Le disse che si vedeva proprio che li aveva scelti lei, perché erano assolutamente perfetti! "Tuttavia" aggiunse con delicatezza "questa sera si tiene una cena fra ufficiali… e io sono un ufficiale… Metterò la mia divisa!". La governante la guardò con occhi sgranati: "Ma c'è il conte di Girodelle! Ed è elegantissimo!". Oscar le sorrise, poi le rispose: "È così elegante che basterà lui per tutti!". Si sistemò camicia e pantaloni, indossò gli stivali, quindi l'uniforme, allacciandola con cura. La governante, dispiaciuta, le disse: "Lascia almeno che ti pettini i capelli!". "Va bene" le rispose Oscar. "A tuo padre piace il conte di Girodelle…" osservò la nonna con noncuranza. "È vero" le rispose Oscar "... ma non piace a me.". L'anziana non aggiunse altro, ma fece una carezza alla sua bambina prima di congedarsi da lei.

 

Quando Oscar arrivò nel salone per la cena i commensali stavano già mangiando. Intercettò lo sguardo del generale, pieno di disappunto, certamente per il suo ritardo e il suo abbigliamento. Con rassegnazione si andò a sedere accanto a Girodelle, al posto che le era stato assegnato. Si guardò intorno: gli ufficiali presenti erano tutti alti in grado. Dall'altro lato del tavolo madame Jarjayes mangiava in silenzio. Nessuno, tanto meno il marito, aveva pensato di coinvolgerla nella conversazione. Appena seduta, Girodelle salutò Oscar cerimoniosamente; anche lui sembrava deluso che si fosse presentata in uniforme: a parte madame Jarjayes il conte era il solo in abiti civili.

Cercando di non mostrarsi troppo infastidita dalle chiacchiere di Girodelle, Oscar osservava sua madre: appena quattordicenne era stata data in sposa a un vedovo di vent'anni più vecchio di lei. Era stato certamente un matrimonio molto conveniente: benché il generale conducesse una vita austera, la famiglia Jarjayes possedeva infatti un patrimonio principesco. Madame Jarjayes era sempre stata misurata, dolce, mite. Oscar pensò di non averla vista parlare con il padre più di dieci volte in tutta la sua vita. Si chiese se le fosse mai stato concesso un gesto di vera tenerezza. Girodelle continuava a parlare. Oscar lo interruppe. "Madre!" disse "Avete avuto una buona giornata?". Madame Jarjayes le sorrise e annuì. Oscar continuò: "Siete molto elegante. Il celeste vi dona particolarmente."

Finalmente fu servita l'ultima portata. Appena fu possibile farlo, Oscar fu la prima a lasciare la sala. Ricordò che da ragazzina si affrettava a conquistare immediatamente la zona più buia del patio, perché nell'ombra nessuno faceva caso al fatto che André la raggiungesse. Finivano sempre le serate di gala assieme, ridendo degli ospiti del generale. Quella sera invece si accomodò immediatamente nell'area più illuminata e in vista: non voleva che il conte di Girodelle credesse che ci potesse essere anche solo una remota possibilità di appartarsi.

Oscar si sedette. Non voleva sprecare energie; aveva bisogno di riposare. L'indomani sarebbe andata dal dottore di famiglia. Avrebbe parlato ad André. Ci sarebbero andati insieme, dal dottore. Lei avrebbe chiesto del suo occhio. Si sarebbero aiutati e sostenuti…

Girodelle la raggiunse. Fra le mani un largo bicchiere con del cognac e un bicchierino con qualcosa di rosso che le porse dicendo: "Ecco a voi madamigella! Liquore di rose: leggero e adatto a una donna!". Oscar lo guardò infastidita. Pensò a tutti gli uomini con cui beveva o aveva bevuto. Nessuno di loro le aveva mai offerto qualcosa di diverso da quello che bevevano loro stessi. Con André aveva condiviso sempre qualsiasi cosa… liquori, vino, birra… e anche tè e cioccolato o semplicemente acqua. Avevano condiviso persino bicchieri, boccali e bottiglie… Con il conte di Fersen aveva passato tante piacevoli serate sorseggiando cognac e conversando di attualità, storia, musica, letteratura… Quando accettava di fermarsi a bere qualcosa nelle osterie con i soldati della guardia dopo turni pesanti, i suoi uomini le offrivano birra. La stessa che bevevano loro. Ricordò le serate di gala a cui aveva presieduto a corte; dopo cena sua maestà re Luigi XVI le aveva sempre fatto servire cognac così come agli altri gentiluomini. 

Oscar guardò in faccia Girodelle che continuava a porgerle il piccolo bicchiere. Gli fece un gesto di diniego con la testa senza aggiungere altro. Il conte appoggiò imbarazzato il bicchiere sulla balaustra. "Non amate il liquore di rose?". Oscar gli rispose con freddezza: "Sua Maestà il Re mi offre cognac."

Girodelle prese posto accanto a lei. "So che mi avete raccomandato di dimenticarvi, ma non posso!". Oscar lo fissò esasperata. Il conte proseguì: "Questo invito mi ha fatto capire tuttavia che vostro padre invece sarebbe favorevole a una nostra eventuale unione… Madamigella Oscar... Oscar… mi concedete di chiamarvi per nome?". Oscar inarcò le sopracciglia: "Perché no?! Ci conosciamo da tanto dopo tutto!". "Oscar… Oscar…" ripeté Girodelle. Lei si chiese come fosse possibile che il conte non avesse colto il sarcasmo della sua risposta. "Oscar, cara, sapete… ho una carriera avviata come colonnello delle guardie reali, godo di una buona posizione a corte e la mia famiglia conta su un cospicuo patrimonio… sono titolare di una rendita importante… potreste vivere nell'agiatezza!". Cara? Oscar lo guardò a bocca aperta: era stata lei a fargli avere la nomina a colonnello di cui si stava vantando, raccomandandolo alla corona quando aveva lasciato le guardie del re! Inoltre registrata come unico figlio maschio del generale Jarjayes era unica erede dell'immenso patrimonio della sua famiglia. Suo padre si era addirittura preoccupato di procurarsi una bolla reale da allegare ai documenti per la successione affinché nessuno potesse impugnare i diritti di questo "figlio"! Oscar pensò che in realtà era una donna molto ricca e che questa eventuale unione sarebbe stata certamente più proficua per lui che per lei! Guardò di nuovo il conte. Girodelle scambiò la sua espressione di stupore per interesse e continuò con entusiasmo a parlare di sè. Oscar pensò che anziché proporsi per un matrimonio sembrava voler vendere se stesso.

Non ascoltò più nemmeno una parola. Il suo pensiero era ormai volato ad André. Lui non aveva mai cercato di venderle proprio niente. Le aveva semplicemente offerto tutto se stesso e niente di meno. 

 

André arrivò a palazzo Jarjayes piuttosto presto e per prima cosa andò a controllare César; era una bestia speciale e aveva bisogno di più cure degli altri cavalli. Prima di lasciare la caserma aveva tolto la divisa, si era rinfrescato e sistemato e aveva indossato abiti civili: se Oscar si fosse liberata in fretta dalle incombenze della cena di gala, avrebbero potuto passare un po' di tempo nell'ombra a ridere degli ospiti del generale, come facevano quando erano ragazzi. 

Aveva cavalcato con calma verso casa, chiedendosi il perché dello strano comportamento di Alain. Erano sempre usciti insieme. Chissà come mai gli aveva detto che non poteva unirsi ai compagni.

Aveva strigliato César e gli aveva offerto qualche pezzo di mela. Il nuovo stalliere non aveva sistemato abbastanza fieno e se ne occupò lui.

Quando si avviò verso la casa era ormai buio. Vide il patio illuminato a giorno. Presto gli ospiti sarebbero usciti per accomodarsi al fresco. Avvicinandosi scorse la figura esile di Oscar uscire per prima. Gli si scaldò il cuore. Pensò si andasse a sistemare nel solito angolo buio e stava per raggiungerla, invece la vide accomodarsi nella zona più illuminata. Dopo un attimo vide Girodelle seguirla e offrirle qualcosa che lei rifiutò. Girodelle… ancora… doveva immaginarlo… era veramente un ottimo partito… il generale non si sarebbe arreso tanto in fretta… 

Ecco perché Alain l'aveva spedito a casa così bruscamente! Doveva averlo visto… Girodelle doveva certamente essere passato a prendere Oscar in caserma…

Preso dall'ansia entrò in casa, non visto. Non seppe perché lo fece, ma non si recò nella propria stanza. Andò invece diritto nelle stanze di Oscar. 

Entrando pensò che gli sarebbe scoppiato il cuore: anche nella penombra della sera infatti non potè non notare le sagome chiare dei due abiti da donna appesi al guardaroba… Si avvicinò e li toccò. Subito un frusciare di sete accompagnò il suo gesto. Il generale faceva sul serio… voleva maritare la figlia… Gli abiti doveva certo averli fatti ordinare lui…

Anche se si era dovuto sforzare per metterla a fuoco, era tuttavia certo che Oscar indossasse l'uniforme  quando l'aveva vista nel patio: ricordava il suo profilo sottile e le lunghe gambe inguainate nei pantaloni. Significava se non altro che si era rifiutata di obbedire al padre per quella sera…

André andò alla finestra e scostò le tende. Poteva vedere Oscar, pur con la difficoltà che il suo occhio gli imponeva. Girodelle le era accanto. Pensò a lei… alla sua Oscar… pensò alle sue labbra sulle proprie e a com'era morbida la sua pelle quando l'accarezzava. Pensò a come chiudeva gli occhi buttando la testa indietro nel momento del piacere, quando si amavano… Pensò che se un altro uomo l'avesse potuta baciare e accarezzare, se un altro uomo avesse potuto prenderla, lui l'avrebbe ucciso o sarebbe morto. 

Si passò una mano fra i capelli. Oscar aveva sempre cercato di compiacere il padre. In ogni cosa. Nonostante il generale non avesse fatto altro che trattarla duramente tutta la vita, lei lo aveva sempre amato con devozione.  E se non fosse stata in grado di opporsi?

Si sforzò di guardare meglio. Era difficile mettere a fuoco. La luce sul patio, tuttavia, almeno lo aiutava un poco. Oscar aveva sempre mantenuto lo sguardo dritto davanti a sè, ma ora improvvisamente la vedeva rivolgersi al conte. La vide sporgersi verso di lui… cercò di mettere a fuoco il più possibile… forse Oscar stava prendendo la mano di Girodelle… per un attimo gli mancò il respiro. Era perduto! Non sarebbe potuto sopravvivere se l'avesse persa!

Indietreggiò. Raggiunse il fondo della stanza e si lasciò cadere sulla poltrona accanto all'ingresso. Sentì il suo cuore gonfiarsi e non potè trattenere una lacrima.

 

Oscar notò qualcosa muoversi dietro le finestre della sua stanza. Pur nel buio, era certa di non sbagliare. Seppe che André era lì e decise di aver sopportato abbastanza Girodelle e le sue vanterie. Aveva dedicato alla serata un tempo sufficiente per poter dire al padre di aver onorato il suo dovere di ospite. 

Guardò il conte negli occhi ma questi non smise di parlare. Oscar decise di compiere un gesto che l'avrebbe ammutolito e di scoraggiare le sue pretese una volta per tutte; gli prese quindi una mano fra le sue. Come aveva previsto, Girodelle tacque immediatamente. Un'espressione di giubilo sul suo volto. Sicuramente, pensò Oscar, aveva creduto di aver fatto finalmente breccia in lei. Oscar non gli diede il tempo di formulare pensieri. "Victor Clément" esordì con voce ferma "ora ci chiamiamo per nome. Siamo in confidenza!". Girodelle la guardava rapito, pendeva dalle sue labbra. "Molto bene!" continuò Oscar con lo stesso tono con cui dava istruzioni ai suoi soldati durante le esercitazioni "Sono lusingata dalle attenzioni che mi riservate, ma già una volta vi dissi di dimenticarvi di me.". Girodelle cercò di dire qualcosa ma lei non gliene diede il tempo; continuò seria: "Nella mia vita e nel mio letto  c'è già un uomo. Sono certa che non cercherete più di conquistare il mio cuore, sapendo che già appartiene a un altro.". Non aggiunse altro né aspettò risposte. Lasciò il conte impietrito, finalmente senza parole, e si allontanò in fretta. 

 

Oscar percorse velocemente il tragitto che la portava verso le sue stanze. Una cameriera le venne incontro chiedendole se voleva che venisse a prepararla per la notte ma lei se ne disfece con un gesto brusco. Arrivò davanti alla porta col cuore in subbuglio: era certa che André la stesse aspettando! Entrò repentinamente sbattendo la porta dietro di sè, ma nel buio non lo vide. André, seduto nella poltrona accanto all'ingresso, si alzò immediatamente e la strinse. Le afferrò entrambi i polsi con una sola mano sollevandole le braccia sopra la testa e la spinse verso il muro, in un attimo l'altra mano si era già fatta strada sotto ai pantaloni e le ghermiva il sesso con prepotenza, mentre labbra esigenti premevano sulle sue. Era sopraffatta. 

In passato aveva sempre pensato di essere alla pari con André. Non le era mai venuto in mente che lui potesse trattenersi nel confronto fisico con lei. L'aveva scoperto solo la notte in cui per la prima volta lui le aveva confessato il suo amore. Quando le aveva stretto i polsi si era accorta che poteva farle male. Quando l'aveva baciata e riversa sul letto si era sentita, appunto, improvvisamente  sopraffatta e nell'impossibilità di respingerlo con le sue forze, era rimasta turbata.

Ora era tutto diverso. Quell'impeto, quell'urgenza, quel modo di pretenderla e di volerla le facevano sentire André più vicino, e facevano sentire lei potente nella consapevolezza di saper scatenare tutto questo in lui.

Oscar si arrese al suo uomo. Sentì un ginocchio premere fra le sue gambe e insinuarsi fra le sue cosce, sentì le carezze farsi più profonde e più insistenti. Si consegnò alle sue mani, inerme e grata. André continuò a baciarla senza tregua, premendola contro il muro. Sentì il corpo di Oscar che gli si offriva e mentre il suo desiderio aumentava, si accorse che invece quell'arrendevolezza lo spaventava. E se Oscar si fosse sentita aggredita? Non l'aveva nemmeno salutata prima di baciarla, preso dal bisogno di sentire che lei gli apparteneva ancora. "Giuro su Dio Oscar che non ti farò mai più una cosa come questa". Gliel'aveva promesso. Il ricordo della sue stesse parole lo indusse a lasciarla. Liberò le sue mani e tolse la propria dalla sua intimità. La guardò e indietreggiò.

Oscar rimase muta a guardarlo, ancora fremente. André fece qualche passo a ritroso e si sedette sull'angolo del letto, la testa fra le mani. "Perdonami Oscar.". "Perdonami?" si chiese Oscar. Perché? Per averla accolta finalmente fra le sue braccia? Si tolse la giacca della divisa e gli si avvicinò. "Perché ti sei fermato?" gli chiese. André la guardò: "Ti ho vista con lui. Quando sei entrata volevo solo dimostrare che eri ancora mia…" disse in tono incolore. Oscar sorrise. "Sono sempre tua. Sarò tua sempre." mormorò. André la prese per mano; lei gli si avvicinò ancora e gli accarezzò una guancia. Le piaceva sentire il lieve accenno di barba sulla sua pelle. André le sfiorò le labbra con le dita e lei avvertì il proprio sapore acre sulla stessa mano che un attimo prima l'aveva ghermita..

"Il conte è stato invitato…" disse André. "Sì" rispose lei, tranquilla. "Ho visto gli abiti Oscar. Il generale fa sul serio…". Oscar girò il viso solo un istante verso il guardaroba. "Il conte è restato con te tutta la sera…" continuò André, "Cosa voleva?". "Sempre la stessa cosa", gli rispose lei piano. André sospirò. Oscar pensò alla serata trascorsa con Girodelle e improvvisamente si accorse di non poter trattenere il riso. André la guardò costernato e vedere quell'espressione di stupore rese la risata di lei incontenibile. "Oscar!", la apostrofò André. Lei lo guardò senza più riuscire a trattenersi. "Girodelle!" esclamò Oscar ridendo sempre più convulsamente, "Con quei capelli, André! Potrei rischiare di rimanere soffocata dalla sua dannata cipria, se mi si avvicinasse troppo!". Oscar vide le spalle di André alzarsi e abbassarsi ritmicamente: anche lui aveva iniziato a ridere. Si guardarono e allora fu impossibile trattenersi. Si abbandonarono a una risata incontrollabile e liberatoria. André si lasciò cadere sul letto e lei gli si sdraiò accanto. Si tenevano per mano e ridevano. Risero sguaiatamente. Risero finché restarono senza fiato. Risero fino a star male. Quando finirono restarono uno accanto all'altra, guardandosi. Oscar pensò che in tutta la sua vita solo con André si era sentita tanto libera da poter ridere.

"Non credo che tornerà sai?" disse Oscar piano. "Girodelle? Come lo sai?" le rispose André. Lei lo guardò divertita: "Gli ho detto che c'è già un uomo nel mio letto…". André si alzò su un gomito e fu sopra di lei. "Audace, Oscar…" le disse con voce bassa e profonda, poi le slacciò la camicia mentre lei faceva altrettanto con lui e scalciava via gli stivali. 

Oscar sentì le mani calde di André sulla propria pelle mentre la spogliava, poi lo guardò liberarsi dai pantaloni. Quando le si fece accanto,  lasciò che lui prendesse le sue mani per guidarle su di sè. Rimase poi stesa e nuda, offrendosii e lasciandosi accarezzare, baciare e assaggiare. Guardò André stendersi al suo fianco per invitarla; lo assaggiò a sua volta mentre lui frugava insistente nella sua intimità.

Quando il desiderio fu al culmine, André la condusse sopra di sè e Oscar si lasciò scivolare su di lui, accogliendolo. Eretta in tutta la grazia della sua morbidezza di donna, si lasciò guardare mentre si muoveva su di lui, le braccia stese lungo i fianchi, le mani strette fra le sue. Guardandola, André beveva  con gli occhi ogni cosa di lei. Si prese ognuno dei suoi sospiri, sentendo i lunghi capelli accarezzargli morbidi le gambe, e guardando i suoi seni mossi dai respiri convulsi. Solo allora, dopo aver accolto e raccolto ogni fremito della sua donna, si lasciò finalmente andare e lei restò immobile su di lui per infiniti istanti, per poi crollare appagata sul suo petto.

 

Accaldata e ansante, Oscar ascoltava il cuore di André.  Dopo l'amore era rimasta sopra di lui, la testa sul suo petto e le mani ad accarezzarne la peluria leggera. Lui la stringeva a sè con le mani allacciate dietro la sua schiena. Depose baci lievi fra i suoi capelli, sussurrandole "Amore mio…". Oscar chiuse gli occhi e si disse una volta ancora che non sarebbe morta. Non ora. Trasse un respiro profondo. "André Grandier, sarò tua moglie." mormorò infine.

 

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Capitolo 4
*** La licenza ***


Capitolo 4 - La licenza
 
BREVISSIMA MA DOVEROSA PREMESSA: Bentrovati! Voglio far presente che so benissimo che la città di Arras non si trova sul mare, ma ho pensato che trattandosi di una ff mi sarei potuta regalare una piccola concessione di fantageografia. Detto questo, mi auguro che le vicende di questo capitolo possano essere per voi interessanti e piacevoli. Grazie infinite per il tempo che vorrete dedicarmi. Buona lettura!

Il cielo era coperto e la giornata era fresca. Era piovuto molto e le strade di Parigi sembravano specchi grigi.  La mattinata ormai volgeva al termine. Il maltempo aveva scoraggiato i molti gruppi di persone che in quei giorni spesso si muovevano per la città protestando o saccheggiando e pattugliare le vie era stato meno pesante del solito. Erano giunti a Saint Antoine e Oscar aspettava  con i suoi uomini il cambio dopo aver terminato il turno che le era stato assegnato. 

Lei e André non erano più tornati a Saint Antoine dopo la notte in cui erano stati assaliti. Un crescente senso di nausea si stava impadronendo di lei al ricordo dell'accaduto. Rivedeva la folla inferocita aggredirla e trascinare André lontano da lei. Sentiva ancora nelle orecchie il frastuono delle urla e le grida di André che la chiamava disperato; ricordò il suo tentativo di prenderla per mano e l'angoscia che aveva provato quando anche quell'ultimo contatto era stato strappato. Istintivamente spronò il cavallo e si avvicinò ad André. Finse di urtargli un ginocchio, alla ricerca di un qualsiasi contatto fisico. André la guardò. Era vivida in lui l'immagine della forca posticcia che era stata velocemente allestita per impiccarlo, nel centro della piazza. Inspirò ricordando i polsi legati dietro la schiena, i calci e i pugni che non gli avevano lasciato tregua e il tonfo secco a terra, dopo che un colpo di pistola e un annuncio proferito con voce forte avevano riempito la notte, distogliendo  l'attenzione da lui.  "Sono il conte Hans Axel di Fersen!". André rabbrividì.

Un rumore di zoccoli li fece finalmente  distrarre. Oscar si girò e in breve il colonnello D'Agoult fu di fronte a lei. "Buongiorno comandante!". "Buongiorno colonnello". Uno scambio veloce di informazioni fra i due chiarì la situazione della città e delle zone battute. Prima di congedarsi il colonnello chiamò un soldato; "Un dispaccio urgente per voi!" le disse. Oscar lesse rapidamente. Era un ordine del generale Jarjayes. La sua presenza era richiesta urgentemente a casa. Si rabbuiò. Chiamò i suoi uomini: "Lasalle, riconduci tutti in caserma e avvisa che non rientrerò per il pomeriggio! André e Alain, con me!". Poi, rivolta al colonnello: "Vi ringrazio. Prestate attenzione. Le strade sono infide.".

Oscar spronò il cavallo al trotto e tornò a inoltrarsi fra i vicoli di Parigi. Vide André e Alain seguirla seri. Certamente, pensò, avranno creduto di doverla accompagnare in qualche situazione riservata o pericolosa… invece la verità era che non aveva nessuna voglia di rientrare a palazzo Jarjayes. Si sarebbe fermata prima a bere. Dopo qualche giorno di tregua, il respiro si era fatto nuovamente pesante ed era ricomparsa la febbre. Non ci voleva pensare adesso. Non riusciva a sopportarlo. Voleva assolutamente bere. Arrestò il cavallo davanti a una bettola, scese e aspettò gli altri prima di entrare. Il locale era piccolo e buio, lo conosceva già. C'era stata qualche volta in cui aveva voluto bere senza essere riconosciuta. Senza dire una parola si sedette a un tavolo con la testa bassa, incassata fra le spalle. Alain prese posto accanto a lei, poi si rivolse ad André: "Hei amico, perché non vai a prendere da bere per tutti e tre?!". Alain e Oscar rimasero al tavolo senza dire nulla. Oscar alzò appena lo sguardo. Osservò André: era al bancone e le dava le spalle; si chiese come poteva non essersi accorta di lui al suo fianco per così tanto tempo. Quando la raggiunse portava con sè tre generosi boccali di birra. Oscar ne tracannò subito almeno la metà; voleva avere immediatamente una scusa pronta cui attribuire il rossore che la febbre provocava sul suo viso, perché sapeva che mentre André non ci vedeva più bene, Alain invece ci vedeva benissimo e la osservava e non voleva che le facesse domande.

"Dobbiamo rientrare a palazzo Jarjayes. André, tu resterai con me. Tu Alain aspetterai con noi finché non saprò cosa farti riferire in caserma.". In realtà non voleva rimanere sola col generale. Non era più tornata a casa dopo la cena durante la quale si era definitivamente liberata di Girodelle. Ripensò agli abiti che suo padre aveva fatto prendere per lei e all'osservazione riguardo al fatto che il conte non avrebbe tenuto conto dei suoi pantaloni e della sua età… Sentì nascerle dentro un moto di stizza… dalla folla di damerini accorsi al ballo in suo onore, forse invece Girodelle non era l'unico a cui non interessasse poi così tanto della sua età! Ripensò alle sorelle, tutte maritate poco più che adolescenti e senza rendersene conto piegò per una frazione di secondo le labbra in una smorfia di disgusto: nessuna di loro aveva mai visto il consorte prima del matrimonio. Per quanto riguardava i pantaloni invece… non era affatto convinta che a Girodelle non importasse dei suoi pantaloni… era sicura che André fosse l'unico uomo al mondo in grado di amarla così com'era: con tutta la sua libertà. 

Al primo boccale ne seguì un altro. André chiacchierava con Alain, ma lei sapeva che stava in realtà valutando il suo umore. Oscar, sguardo basso fisso sulla propria birra, corrugò appena la fronte; un turbine di pensieri la tormentava. Pensava che nella sua insistenza Girodelle  aveva suscitato in lei un sentimento di repulsione. Solo per un istante rivide se stessa respingere André nella notte in cui lui le aveva confessato il suo amore. Nella sua disperazione era stato violento. Eppure benché confusa, ferita e arrabbiata, non era stata comunque repulsione quello che aveva sentito in quel momento nei suoi confronti; piuttosto paura, sgomento… non aveva potuto accettare un amore che non aveva scoperto dentro di sé. Si sentì un paio di occhi insistentemente addosso e alzò lo sguardo. Perché diavolo Alain la guardava sempre tanto? Aveva la spiacevole sensazione che potesse leggere dentro di lei. Si slacciò i primi bottoni della divisa e si buttò negligentemente indietro; un braccio oltre la spalliera della sedia, l'altro teso in avanti, a sorreggere il boccale di birra stretto nella mano, le gambe stese sotto il tavolo, leggermente divaricate. Dischiuse la bocca cercando l'aria. Perché doveva costarle tanto respirare? Chiuse gli occhi per un attimo.

André la sentiva. Sapeva che era nervosa senza bisogno di vederla. Non era stato facile trovarsi nuovamente a Saint Antoine. Avrebbe voluto poter allungare una mano e stringere la sua. Perché aveva chiesto ad Alain di restare? 

 

Alain guardava il suo comandante. La testa gettata indietro, le labbra appena aperte, le gambe lunghe… Pensò ad André che poteva accarezzarle, quelle gambe; vide le dita affusolate che reggevano il boccale e sentì un desiderio incontrollabile di allungare una mano per toccarle. Non erano che pochi centimetri… gli sarebbe bastato sporgersi appena fingendo di ordinare ancora per sfiorarle. Passò solo un attimo lo sguardo sui suoi capelli che, lunghi e morbidi, cadevano oltre la spalliera della sedia. Dalla giubba slacciata poteva scorgere l'incavo del collo. Chissà che odore poteva avere la sua pelle bianca proprio in quel punto… Oscar si portò una mano alla gola e facendola scendere aumentò impercettibilmente la profondità della scollatura;  Alain notò allora un segno traslucido, come una mezzaluna della grandezza di una moneta: una cicatrice? Chi poteva avergliela procurata?

André si alzò: "Andiamo Oscar. Abbiamo bevuto abbastanza. Non è ancora pomeriggio.". La sua voce era ferma, il tono deciso. Alain si chiese se non avesse notato che stava osservando la sua donna. Si accorse solo dopo che un avventore corpulento aveva preso posto a pochi passi da loro. Capelli fulvi e spettinati, grossi avambracci pelosi, pantaloni malamente abbassati a lasciar intravedere un molle ventre prominente. Era maleodorante e sporco. Era entrato rumorosamente e aveva ordinato a voce troppo alta. Alain pensò che anche senza un occhio André si era dimostrato più attento di lui… L'uomo li guardava con insistenza. "Hei! Siete guardie metropolitane o cosa?" gridò loro. "Non ho mai visto un soldato con dei capelli come quelli!". Oscar si volse solo un istante. Non disse niente. L'uomo incalzò: "Hei occhioni! Con quel faccino sottile devi essere un finocchio!" e rise sguaiatamente. Oscar non gli diede corda. Aveva imparato molto presto che nonostante l'uniforme, i suoi capelli biondi e le sue lunghe ciglia non passavano inosservati. In genere bastava ignorare i commenti perché dopo qualche battuta smargiassa la lasciassero in pace. Di solito, se si facevano insistenti, André riusciva ad allontanare i molestatori semplicemente offrendo loro da bere, il che le concedeva il tempo di andarsene rapidamente senza incorrere in scontri diretti. Raramente si era trovata costretta a mostrare di essere armata e un paio di volte erano venuti alle mani. André l'aveva sempre difesa. Ogni tanto erano rientrati con un labbro spaccato e qualche livido. 

Oscar si alzò e fece per andarsene, ma l'uomo iniziò a intonare una canzonaccia volgare e offensiva. Alain notò che André aveva fatto un passo in avanti. "Amico tieni! Fatti una pinta alla nostra salute!". Ma questi non smise e anzi si avvicinò a Oscar e allungò una mano per afferrarle i capelli. Era già piuttosto ubriaco e i suoi gesti erano imprecisi, così mancò la presa, ma Alain sentì il sangue pulsare tanto forte nelle vene da rimbombargli nelle orecchie e con una manata scaraventò via il tavolo a cui erano stati seduti fino a un secondo prima. "Te la chiudo io quella boccaccia, lurido bifolco canoro!". Oscar tentò di trattenerlo afferrandolo per un polso e lo richiamò forte, ma lui si liberò facilmente della sua presa e in un attimo stava già colpendo il tipo che l'aveva offesa. Oscar imprecò. 

Alain aveva sentito chiaramente Oscar richiamarlo e ancora più chiaramente aveva sentito la sua mano stringersi attorno al proprio polso, ma non aveva potuto sopportare che uno schifoso avesse avuto degli appezzamenti volgari da fare al suo comandante… degli appezzamenti volgari da fare… a lei… Aveva aspettato per rispetto che André intervenisse e non aveva capito come mai non avesse immediatamente tappato la bocca a quel maiale; "Fatti una pinta alla nostra salute??? Ti ammazzo alla nostra salute!!!" aveva pensato. Solo l'idea che quelle mani sporche avessero potuto toccare i capelli che in segreto aveva sognato di accarezzare, gli aveva messo addosso una furia che non aveva potuto arginare. Sentire la mano tiepida che cercava di fermarlo era stato terribile: una presa delicata eppure forte attorno al suo polso… avrebbe voluto prendere per mano Oscar e portarla via. Portarla via lui! Alla fine non aveva potuto fare altro che scaricare la sua frustrazione colpendo più forte che poteva. 

 

Il primo pugno violento, fortissimo, era arrivato a meta con precisione; Oscar aveva visto distintamente il sangue schizzare fino al bancone e aveva sentito inconfondibile il rumore del naso dell'uomo che si rompeva. Aveva gridato, cercando di richiamare Alain all'ordine ma inutilmente. André l'aveva trattenuta quando aveva cercato di intervenire. Impotente, aveva guardato Alain scaricare colpi senza tregua, finché non ebbe buttato a calci l'uomo fuori dalla bettola.

Solo allora Oscar poté raggiungerlo; sotto un cielo ancora plumbeo, Alain, ansante, sovrastava il relitto che aveva ridotto a un ammasso di carne e sangue. Oscar lo trascinò per un braccio: "Andiamo via!". André aveva già preparato i cavalli.

Oscar era furente. Ma cosa gli era preso? Credeva che fosse la prima volta che lei e André avevano avuto a che fare con uno stronzo? Che non sapessero come comportarsi? Cavalcò in silenzio fino a palazzo Jarjayes.

 

Arrivati a casa Oscar lasciò il suo cavallo ad André e si avviò a grandi falcate verso l'ingresso. Prima di entrare si voltò: "Fatevi servire il pranzo in cucina! Se mi sarà permesso vi raggiungerò!". André annuì. Era preoccupato; era possibile che uno scontro aspro avrebbe aspettato Oscar una volta al cospetto del generale. 

Una volta entrata, la governante le si fece incontro con premura, la salutò con tenerezza e le disse che il padre l'aspettava nello studio. Oscar chiese della madre e seppe che stava passeggiando nel parco.

Arrivata a cospetto del padre si sedette in silenzio. Il generale stava occupandosi di alcuni documenti e non alzò nemmeno la testa. Oscar attese paziente. "Dopo la cena qui a palazzo il conte di Girodelle non ha più cercato di mettersi in contatto con me per rinnovare le sue proposte. Hai fatto o detto qualcosa che l'abbia scoraggiato?". Oscar lasciò vagare gli occhi per la stanza, alla ricerca di parole che potessero finalmente non lasciare adito ad alcun dubbio. "Il conte non verrà mai più chiedendo la mia mano." rispose; non intendeva dare spiegazioni. Finalmente il generale alzò lo sguardo su di lei, fissandola. "Ti rendi conto che il casato dei Jarjayes ha bisogno di un erede vero?". Oscar incassò il colpo ostentando indifferenza. C'era uno stuolo di nipoti, figli delle sue sorelle, dai quali il generale, durante le brevi visite, si era sempre mostrato infastidito. Ma evidentemente egli pretendeva un erede da questa "figlia maschio" per trasmettere i titoli e il patrimonio di famiglia senza rischio di dispersione. Oscar sostenne il suo sguardo: "Non ho comunque intenzione di rivedere le mie posizioni riguardo al conte.". Il generale strinse le labbra, Oscar serrò la mascella alzando il volto e sporgendo spavalda il mento in avanti. Era pronta alla battaglia, invece il padre le mostrò i documenti su cui era chino fino a un attimo prima. Erano ordini di cessione per alcuni dei terreni di famiglia nel nord della Francia. Oscar lo guardò seria: "Non ho intenzione di rinunciare a questi terreni. Sono estremamente fruttiferi e inoltre fanno parte della dote di mia madre. Non sono disposta a sacrificarli perché il marito di Hortense possa usarli per sistemare un'altra delle sue mantenute!"

Oscar amava la tenuta di famiglia nella regione di Arras. Vi aveva trascorso le estati della sua infanzia con la madre e André. Il padre non se ne era mai molto occupato.

Le sorelle, figlie della prima moglie del generale, non avevano mai amato il nord e nemmeno avevano amato lei: questo fratello mancato, nato dal secondo matrimonio. Oscar aveva sempre trovato rifugio nella villa di famiglia al mare e quando aveva constatato personalmente le condizioni di assoluta miseria in cui versavano i contadini delle terre dei Jarjayes, dinnanzi al totale rifiuto paterno di ascoltarla aveva deciso di occuparsene personalmente. Aveva quindi provveduto grazie alle proprie rendite personali a far restaurare i piccoli villaggi e aveva aperto una scuola per i figli dei braccianti. Seguiva l'andamento delle produzioni agricole grazie a un costante carteggio con il signor Sugane ed era quindi ben consapevole del fatto che, gestite con sapienza, le terre di famiglia nell'Alta Francia erano diventate particolarmente fiorenti. Oscar fissò un punto imprecisato fuori dalla finestra dello studio e ricordò la sensazione del corpicino caldo tormentato dalla febbre del piccolo Gilbert, mentre cavalcava disperata, stringendolo esanime, alla ricerca di un medico che potesse salvarlo. Da allora aveva provveduto affinché il ragazzino potesse studiare e ora, come il padre del giovane non aveva mancato di farle sapere in dettagliate lettere piene di riconoscenza,  era un promettente studente di legge.

Il generale allungò attraverso la pesante scrivania un plico sigillato indirizzato a lei; "I contadini si rivoltano!". Oscar aprì la missiva e  lesse rapidamente: era del signor Sugane, molto preoccupato dalle voci di cessione dei terreni che erano arrivate nelle ultime settimane. La pregava di intervenire e terminava annunciando una questione famigliare di cui le chiedeva il permesso di parlarle la prima volta che avesse nuovamente raggiunto la villa di Arras. Oscar alzò gli occhi fissando il padre: "I contadini non sono in rivolta," disse con freddezza "semplicemente non vogliono perdere le terre e le case in cui vivono.". Il generale era ancora debole in seguito ai postumi dell'attentato subito. Oscar pensò al rumore delle onde, alla lingua di sabbia chiara che correva sinuosa lungo la costa e alla struggente bellezza del panorama dall'ampio salotto della villa. Pensò a come si era sentita sola l'ultima volta che vi era stata e a come sarebbe potuto essere ora invece potervi tornare con André… con il suo André, lontano da Parigi, dalla caserma e soprattutto da palazzo Jarjayes. Fissò il generale con fermezza, cercando di non sorridere: "Padre, andrò nel nord per voi. Sistemerò ogni cosa. Sarete soddisfatto.". Il generale tacque un istante, poi rispose: "Va bene. Sono d'accordo." poi aggiunse: "Non andare sola. I viaggi non sono molto sicuri di questi tempi. Porta André con te." Le fu veramente difficile dissimulare un'espressione di trionfo.  "Provvederò io per la licenza" continuò il generale "per entrambi. Se vuoi puoi prendere una carrozza.". Oscar pensò all'ultima volta in cui aveva usato una delle carrozze di famiglia e un brivido le corse lungo la spina dorsale, ma non lasciò trapelare alcuna emozione; disse semplicemente: "Preferisco andare a cavallo. Grazie padre. Partiremo oggi stesso". Oscar radunò accuratamente tutti i documenti che il generale le mostrava e ascoltò paziente ogni spiegazione e ogni osservazione. Al termine chiese: "Desiderate che mi fermi con voi a pranzo?". "No" rispose il padre "attendo ospiti. Meglio che ti prepari velocemente. Preferisco saperti al caravanserraglio prima che sia buio.". Oscar uscì, un pesante plico di documenti sorretti con la mano destra stretti al petto e  la sinistra appoggiata alla maniglia, per richiudere piano la porta dietro di sè. Fece qualche passo e le venne voglia di correre per raggiungere André nelle cucine. Vide una cameriera salire. Si diede un contegno e avanzò seria verso le proprie stanze: voleva liberarsi dell'uniforme  e indossare abiti civili.

 

André mangiava in silenzio. Sua nonna lo stava sgridando meno del solito, secondo lui intimorita dalla presenza di Alain, che con la sua stazza da orso e le nocche sbucciate dopo il pestaggio di poco prima alla bettola, le aveva messo una certa soggezione. 

Mentre sistemavano i cavalli nelle scuderie André aveva aiutato l'amico a rassettarsi e a pulirsi. Alain aveva infilato la testa sotto il getto dell'acqua della pompa e aveva tirato bene i capelli indietro. Aveva cercato di sistemarsi le basette e si era lisciato la divisa con cura. André aveva sorriso senza farsi vedere: Alain gli era sembrato preoccupato di fare bella figura a palazzo Jarjayes. Anche ora, mentre stavano mangiando, notò che, al contrario del solito, non era per niente ciarliero; ringraziava ogni volta che la nonna o una cameriera lasciavano qualsiasi cosa sul tavolo e masticava a bocca chiusa.

Oscar li raggiunse. Sorrideva. Si era cambiata. Avvicinandosi mise una mano sulla spalla di André e lui gliela sfiorò appena con la sua. "Hai mangiato?" le chiese "Siedi con noi! La nonna ha fatto la crema!". Oscar, ancora in piedi, prese dal tavolo un pezzo di pane e lo intinse nel piatto di André, mangiando con gusto prima di sedersi. Prese anche il suo bicchiere e bevve qualche sorso di vino. Arrivò la nonna e rimproverò le cameriere per non aver apparecchiato subito per madamigella Oscar, che le chiese: "È vero che hai fatto la crema?". "Certo!" le rispose la donna con voce chioccia. Oscar, finalmente seduta fra i due uomini in divisa, continuava ad intingere il pane nel piatto di André. Alain la guardava: era diversa. Tutti e due erano diversi. Sapeva che lei e André erano una coppia, ma in caserma e fra gli altri soldati erano sempre così formali e distaccati che la sola particolarità che si poteva notare era che talvolta il soldato semplice André dava del tu al suo comandante e la chiamava per nome. Ora, invece, vedeva per la prima volta tutta la loro intimità: la confidenza negli atteggiamenti, le abitudini consolidate che li rendevano spontanei nei gesti, le parole e i luoghi che evidentemente condividevano da una vita… Alain notò anche che nessuno faceva caso alla loro confidenza; sapeva che André era sempre vissuto a palazzo Jarjayes e che lui e Oscar erano cresciuti insieme, ma non immaginava che fossero veramente così vicini. Si guardò intorno: per tutti era normale che condividessero un bicchiere o la pietanza e che la figlia del generale sedesse a mangiare con l'attendente in cucina. Nessuno ci faceva caso. 

L'anziana governante portò in tavola una coppa colma di crema alla vaniglia, distogliendolo dai suoi pensieri. Oscar ne prese subito un cucchiaio. André sorrise del suo gesto e iniziò a servire per tutti e tre, distribuendo la crema nei bicchieri. Mangiarono scambiandosi battute. Alain guardò Oscar di sottecchi:  benché in abiti maschili, senza la corazza dell'uniforme sprigionava una sensualità a cui gli era impossibile restare indifferente. Pensò che non avrebbe mai potuto credere che una camicia da uomo potesse diventare tanto femminile. Il viso diafano, le lunghe ciglia a fare ombra sugli occhi abbassati, i capelli che ricadevano con morbida scompostezza lungo la schiena e sulle spalle: si accorse che tutto gli piaceva di lei. Osservò la scollatura, generosa ma non esibita, che si faceva strada fino all'incavo dei seni; Oscar rise di qualcosa che le aveva appena detto André. Una risata cristallina. In caserma non rideva mai. Dio quanto era bella quando rideva! Alain notò nuovamente quella strana mezzaluna subito sotto la base del collo. "Una volta Nicholas de la Motte tentò di soffocarla a mani nude" disse André. La voce era forte, il tono fermo. Oscar espirò rumorosamente ma non alzò gli occhi dal bicchiere di crema. Alain trasalì e si trovò occhi negli occhi con l'amico. Non sorrideva più. "Sei un bestione del cazzo, Alain!" pensò fra sè "Non si guarda la donna di un amico. Non si guarda e basta.". "Di cosa aveva bisogno il generale?" chiese André ad Oscar senza distogliere lo sguardo da Alain. Il tono era volutamente affabile, ma l'espressione del viso era seria e dura. "Partiamo André!" rispose Oscar. La voce era bassa e il tono neutro, ma il sorriso che le si allargava sul volto abbassato tradiva la sua emozione. Alzò lo sguardo per cercare quello di André e solo allora questi distolse il proprio da quello dell'amico. "Come dici?" chiese. "Siamo in licenza da ora. Partiamo. Andiamo ad Arras André.". Il tono di Oscar era misurato ma nei suoi occhi c'era tutta la luce del sole sulla superficie del mare. André rimase impassibile e lei ne fu quasi delusa. Notò che la sua attenzione era concentrata su Alain e pensò semplicemente che volesse che si mostrassero più riservati davanti a lui. Recuperò tutta la freddezza che le era solita e rivolta ad Alain spiegò: "Devo sistemare alcuni affari di famiglia nel nord. André mi accompagnerà. Alain, ti prego di occuparti tu degli uomini in mia assenza e di raccomandare al colonnello D'Agoult di prendere il comando.". "Sissignore!" rispose il soldato senza entusiasmo.

Tornò la nonna di André con un pacco fra le mani: "Andate ad Arras allora! Vi faccio preparare i bagagli. Oscar, porta questo ad Anaïs da parte mia! Sono certa che le farà piacere qualche novità della moda di Parigi!". Adesso era Oscar a non sorridere più: "Grazie" rispose "sei sempre gentile a ricordarti di Anaïs.".

 

Oscar si sentiva sempre a disagio quando pensava ad Anaïs. Pensava sempre di non aver fatto abbastanza per lei. Mentre saliva le scale verso le sue stanze aprì la piccola scatola che le aveva consegnato la nonna di André: due cuffiette in sangallo e un grembiulino con un orlo di pizzo erano sistemati con cura nella carta di riso. Oscar sentì un moto di profonda tenerezza per l'anziana governante, che mai faceva mancare gesti d'affetto per coloro che amava. Si recò nel proprio guardaroba e vi trovò la cameriera che preparava i suoi bagagli. Le disse che ad Arras aveva già tutto e che per il viaggio le sarebbero bastati gli effetti personali, un cambio e un mantello. Le chiese se sapeva dove trovare gli abiti di gala che il generale aveva fatto comprare per lei e le disse di sistemarli nel bagaglio con le tiare, le scarpette e gli accessori. "Ho fretta. Voglio partire entro un'ora.". Andò quindi a recuperare il plico di documenti nella sua stanza e indossò la giacca da viaggio.

Stava sistemandosi il colletto allo specchio quando fu raggiunta dalla governante: "Hai fatto mettere nei bagagli gli abiti da sera? Hai intenzione di metterli ad Arras?". "No," le rispose "sono abiti molto sontuosi. È un peccato lasciarli invecchiare in un armadio. Li regalerò ad Anaïs. È giovane e graziosa. Le piaceranno.". L'anziana la guardò perplessa, aiutandola con il colletto: "Non credo che Anaïs avrà mai occasione di indossare abiti simili... ". Oscar non seppe cosa rispondere.

 

André andò incontro a Oscar che stava scendendo dalla grande scalinata dell'ingresso. "Ho visto il baule," le disse "non potremo caricarlo sui cavalli. Vuoi che prepari una carrozza o il calesse?". "No," gli rispose Oscar "dai ordini affinché ci venga consegnato domani! Sono pronti i cavalli?". "Certo. Possiamo andare quando vuoi.". "Partiamo adesso.".

Allontanandosi a cavallo da palazzo Jarjayes Oscar guardò André e si chiese come mai non avesse accolto con gioia la notizia di questo viaggio. Si sarebbe aspettata se non altro qualche sorriso ammiccante o comunque qualche parola di complicità… invece era ancora così serio…

Decisamente di malumore André si girò verso di lei e le chiese: "Perché il baule? Cos'hai portato? Ci fermiamo a lungo ad Arras?". Oscar non si girò. Non aveva voglia di incontrare il suo sguardo così duro. "Voglio disfarmi degli abiti che mio padre ha fatto comprare per me." gli rispose. André inarcò un sopracciglio e commentò sarcastico: "E te li porti ad Arras? Non potevi bruciarli anche qui?". Oscar si chiese se poteva avergli fatto qualche torto senza saperlo. Di solito avrebbe riso con lei di una situazione come questa. "Avrei potuto" disse con un tono incolore "ma voglio regalarli ad Anaïs.". André la guardò veramente stupito, ma Oscar aveva abbassato lo sguardo e non lo vide. Continuarono a cavalcare in silenzio. André trincerato dietro il suo malumore e Oscar delusa e irritata dal suo atteggiamento

 

André si chiese infastidito quando mai una cameriera di colore di servizio in una villa in riva al mare nell'alta Francia avrebbe potuto indossare degli abiti di gala e ripensò a quando la madre di Anaïs era arrivata a palazzo Jarjayes. Lui e Oscar erano bambini; avevano potuto avere forse nove o dieci anni. Il generale aveva salvato la vita di un amico ufficiale nel corso di non ricordava quale battaglia e questi, dopo essere stato lungamente imbarcato in marina, un bel giorno se ne era tornato dalle Antille con Zuli in regalo, per esprimere la propria gratitudine. Zuli era filiforme, con un viso lungo lungo e dei vestiti dai colori sgargianti, che sembravano enormi pezze di stoffa sovrapposte; aveva capelli neri così ricci e corti che sembravano grani di pepe sulla sua testa. Era alta e spigolosa. Gli occhi, in quel viso magro, erano così neri e grandi che sembravano sempre sgranati. La pelle era scura come la terra appena vangata e le labbra, sporgenti e carnose, avevano una tonalità prugna che le faceva sembrare innaturali. Aveva un modo di parlare curioso ed esotico; usava arrotare in modo singolare le erre e aveva una voce gutturale e profonda. Conosceva il francese, ma utilizzava spesso parole in una lingua sconosciuta.

André ricordò che lui e Oscar si sentivano in soggezione dinnanzi a  lei. Una volta le avevano chiesto se veramente si chiamasse Zuli e lei aveva risposto che no, il suo nome non era Zuli, ma Erzuli, la dea della maternità secondo il suo popolo. Nessuno di solito le parlava, l'avvicinava o le assegnava alcunché da fare; non faceva parte del personale di servizio di palazzo. Era esclusivamente a disposizione del generale, che di tanto in tanto la faceva chiamare e la tratteneva presso di sè. André ricordò che sua nonna non faceva che deprecare il generale per Zuli.

Dopo qualche anno la donna era rimasta incinta. Non si era comportata come tutte le donne che lui aveva conosciuto: le donne francesi nascondevano il ventre prominente continuando ad alzare il più possibile la crinolina e passavano il tempo fra svenimenti e malesseri. Zuli invece aveva passato tutti quei mesi seduta in disparte scoprendo il proprio ventre, accarezzandolo e cantando con parole e melodie sconosciute. La nonna di André aveva passato tutto il tempo a inveire contro di lei e il generale, mentre la madre di Oscar aveva trascorso un lungo periodo presso dei parenti a Bordeaux.

Era nata una bambina minuscola e graziosa. Sua nonna aveva assistito Zuli nel parto e poi aveva litigato con il generale che, esasperato, aveva concesso che la piccola potesse rimanere a palazzo, ma che fosse lei e non la madre ad occuparsene e aveva voluto imporle un nome francese: Anaïs.

Zuli aveva provato in tutti i modi a tenersi la sua bambina. Aveva pianto e pregato. Ma il generale era stato irremovibile. Da allora lei era vissuta come in una dimensione parallela rispetto agli altri abitanti di palazzo Jarjayes. Aveva smesso di parlare con chiunque e di raggiungere il generale quando la faceva chiamare, finché questi non aveva smesso di cercarla.

 

Oscar cavalcava in silenzio. Aveva percorso molte volte la strada verso Arras con André. L'ultima volta in cui erano stati insieme nel nord era stato quando vi avevano portato Rosalie. Aveva un bellissimo ricordo di quel soggiorno. Erano giovani e il pensiero degli avvenimenti che sarebbero seguiti non li aveva ancora nemmeno sfiorati. Avevano passato le giornate lanciando i cavalli in corse sfrenate sulla spiaggia e oziando nell'ampio patio o nel salotto della villa di famiglia, bevendo buon vino e dimenticandosi di Versailles.

Oscar osservò André. Non la guardava. Sempre chiuso in un silenzio ostinato, sembrava assorto in pensieri importanti. Ripassò mentalmente la giornata. Forse tornare a Saint Antoine lo aveva turbato più di quanto avesse creduto.

 

André pensò che presto avrebbero raggiunto la locanda. Stava per imbrunire ed era stanco. Si sarebbe fermato volentieri. Gettò uno sguardo a Oscar, imbronciata ma bella come sempre; non ricordava quando si era reso conto di amarla. Tante volte aveva pensato di averla sempre amata e basta, così come aveva sempre respirato. Ricordava però molto bene quando quell'amore era diventato anche un'impellenza fisica. Ricordava benissimo quando stare accanto a Oscar aveva iniziato ad accendere in lui il desiderio e come tante volte si fosse ritirato di nascosto in solitudine per sfogare la smania a cui non riusciva in alcun modo a sottrarsi. 

Un giorno, poteva avere forse quindici o sedici anni, certo di essere solo nelle scuderie, si era slacciato i pantaloni liberando il proprio desiderio. Era rimasto impietrito quando dinnanzi alla sua nudità si era trovato Zuli. Ella gli si era avvicinata, gli aveva sfiorato il viso e l'aveva baciato con le sue labbra carnose color prugna, per poi iniziare ad accarezzarlo. Lui era rimasto senza fiato. La donna si era mossa con sicurezza e lentezza e gli aveva sussurrato poche parole all'orecchio: "La figlia del padrone sarà tua. Io ti insegnerò e quando l'avrai avuta, lei non ti vorrà più lasciare andare."

 

La locanda aveva un aspetto accogliente. Oscar scese da cavallo ed entrò; André rimase a occuparsi di César e Alexandre. Mentre li strigliava parlava con loro come era solito fare; poche parole, sempre le solite, pronunciate con voce bassa e tono rassicurante. Mentre sistemava la biada pensò che era stato ingiusto con Oscar. Questo viaggio in realtà era una bella occasione per loro e non era colpa di lei se Alain aveva iniziato a guardarla con un'insistenza che non gli era piaciuta affatto.

Quando entrò nella locanda trovò Oscar seduta a un tavolo già intenta a bere. "Ho ordinato anche per te" gli disse freddamente, spingendo nella sua direzione un boccale di birra che ormai aveva perso la sua schiuma. André si accomodò di fronte a lei, deciso a rimediare per il suo atteggiamento scontroso. "Hai anche ordinato da mangiare?" le chiese. "No. Non ho fame. Tu prendi quello che vuoi.". La guardò con insistenza, ma lei non alzò gli occhi. Una cameriera li raggiunse; "I gentiluomini gradiscono ordinare?". Aveva voce squillante e fianchi ondeggianti. André chiese il piatto del giorno per due. "Hai già fissato l'alloggio?" chiese a Oscar. "Sì. Ho chiesto due stanze.". André sbuffò.

Il piatto del giorno era carne in umido. Niente di speciale, ma lui era affamato e presto lasciò il piatto pulito mentre Oscar non aveva nemmeno assaggiato il proprio. I boccali erano ormai vuoti e André andò a prendere altra birra. Oscar lo seguì con lo sguardo. Stava dicendo qualcosa alla cameriera, che sembrava pendere dalle sue labbra e rideva in maniera esagerata. La ragazza continuava ad allungare una mano oltre il banco e a toccarlo sul petto. Oscar si sentì infastidita. André tornò al tavolo con due boccali colmi e bevvero in silenzio. La cameriera ripassava alcuni bicchieri con uno strofinaccio e intanto continuava ad ammiccare nella loro direzione; li raggiunse nuovamente e appoggiò una mano sulla spalla di André sporgendo verso di lui la generosa scollatura. "Il vostro amico non mangia?" gli chiese. "No, il suo amico non mangia!" le rispose Oscar a voce alta "E adesso torna da dove te ne sei venuta e fatti una pinta alla nostra salute!". Oscar pensò che quando André diceva le stesse parole agli avventori molesti che avevano avuto occasione di incontrare nel tempo in bettole o osterie, sembrava accomodante e non minaccioso come ora invece stava risultando lei. La cameriera si era girata e la guardava piccata; "Voi non siete un gentiluomo!" le disse. "Infatti!" le rispose "Non sono per niente un gentiluomo! E adesso fila!".

André la guardava divertito. Oscar lo fissò. "Hai avuto molte donne?" gli chiese a bruciapelo. "Non chiedere Oscar," pensò André "la risposta potrebbe non piacerti…". "Ho sempre amato solo te." le rispose invece, pacato. Lei inspirò allargando le narici e sporse il mento in avanti raddrizzando le spalle. "Non ti ho chiesto se mi ami. Ti ho chiesto se hai avuto molte donne!" gli disse bruscamente. André sospirò e si buttò indietro sulla sedia incrociando le braccia e sostenendo lo sguardo di Oscar, scuro minaccioso. "Sono stato per molto tempo un uomo adulto e solo…" le rispose con candore.

Oscar si alzò come una furia e si avviò per le scale. André si tolse velocemente alcune monete dalle tasche per gettarle sul tavolo e la seguì.

La raggiunse in tempo per impedirle di chiudere la porta ed entrò con lei in una stanza non troppo grande ma ordinata e pulita, dove erano state accese due piccole lampade e accostate le persiane per la notte.

Mentre André richiudeva la porta alle proprie spalle, Oscar si allontanò da lui di qualche passo. Lo insultò, alzando un pugno in aria. La voce vibrante, il busto proteso in avanti, il volto contratto: era arrabbiata. André non le rispose ma avanzò verso le lei. Oscar cercò di piazzargli un pugno in faccia ma lui la schivò e le serrò i polsi, per rilasciarli solo un attimo dopo. Si erano picchiati un milione di volte da ragazzi, ma ora era diverso. Non avrebbe mai alzato un solo dito su di lei.  Oscar abbassò la testa e i capelli nascosero le sue lacrime di frustrazione. Si aggrappò con le mani alla camicia di André e finì con l'aprirla scompostamente sul suo petto. Vi appoggiò la fronte colpendolo con i pugni chiusi. Lui non cercò di fermarla e lei improvvisamente lo baciò con rabbia. Ricordò le parole che proprio lui le aveva detto quando l'aveva ghermita nel buio delle sue stanze, dopo quell'assurda cena con il conte di Girodelle: "Volevo provare che eri ancora mia".  Anche lei voleva provare che era sempre suo! Perché diavolo ogni dannata sciacquetta doveva buttarglisi addosso? Si fece strada con urgenza sotto i suoi pantaloni e lo accarezzò con prepotenza, sorprendendolo e strappandogli un gemito. André la strinse per le spalle. "Vuoi fare davvero questo gioco Oscar? Lo so fare anche io sai…". Le sussurrò all'orecchio, la voce poco più di un rantolo profondo. Con un gesto brusco le tolse la giacca da viaggio buttandola a terra. Le serrò i fianchi e la girò, le scoprì le terga ed entrò in lei con forza. Si fece largo nella sua mente l'immagine di Alain che la accarezzava con lo sguardo e la prese con rabbia, mentre lei, sporta in avanti, si aggrappava allo stipite della finestra stringendo tanto le mani che le nocche le erano diventate bianche. Improvvisamente lasciò lo stipite e si erse, appoggiando il suo corpo esile a quello di André e piegando la testa indietro, adagiandola nell'incavo del suo collo. André sentì i capelli lunghi e morbidi sul proprio petto e all'orecchio il respiro affannoso della sua donna che gli si stava donando. Non c'era più rabbia in lei. Gli si stava arrendendo. Eccola la sua Oscar: sempre così violenta e sempre così fragile. Sentì un moto di infinita tenerezza e si sfilò da lei per girarla; voleva guardarla negli occhi. Voleva baciarla. La condusse fino al piccolo letto e finì di amarla, con dolcezza e gentilezza. Non si dissero più niente. Rimasero stretti. Dormirono in un letto troppo angusto, con i vestiti ancora stroppicciati addosso.

 

Il mattino seguente si svegliarono troppo tardi, indolenziti per il letto troppo piccolo condiviso e con i segni delle cuciture degli indumenti stampate sulla pelle. Non parlarono, ma si sorrisero. André uscì per primo per occuparsi dei cavalli. Oscar lo seguì pochi minuti dopo; aveva fatto mettere il cambio che aveva chiesto e i suoi effetti personali nel baule con i vestiti per Anaïs e così fu costretta ad aggiustarsi alla meglio la camicia piena di pieghe. Raccolse la giacca da terra indossandola con cura e si sistemò i capelli con le mani. Quando uscì dalla stanza si trovò faccia a faccia con la cameriera. Questa la guardò stupita: "Ma avete usato una sola stanza, monsieur!" esclamò evidentemente delusa. Oscar alzò gli occhi in un'espressione esasperata. "Sì, mademoiselle, abbiamo usato una sola stanza," le rispose con durezza "ma tranquilla" concluse "ve le pagheremo comunque entrambe.".

Uscendo trovò i cavalli già pronti. André le sorrideva. "Tutto a posto?". "Sì," gli rispose "andiamo!". Montarono a cavallo e partirono a passo sostenuto. "Cerchiamo di arrivare ad Arras finché è ancora giorno!" le disse André. Erano partiti tardi. "Va bene!' gli rispose Oscar, lanciando César al galoppo. 

Lasciarono correre i cavalli lungamente, guardandosi di tanto in tanto mentre galoppavano verso il mare. Percorso un buon tragitto si fermarono per far riposare le due bestie, sudate e stanche. André abbassò loro le redini e lasciò che si abbeverassero in un corso d'acqua. Si bagnò le mani e il viso lui stesso, accaldato, quindi raggiunse Oscar già sdraiata sull'erba all'ombra sotto gli alberi: la borsa con i documenti lasciata negligentemente a terra accanto a lei, le braccia incrociate dietro la testa, le ginocchia piegate. André la guardò. Era bellissima. Prese posto accanto a lei e recuperò della focaccia dalla borsa, offrendogliene un pezzo. Mangiarono in silenzio, ma poi Oscar scoppiò a ridere. Guardò André dritto in faccia; "Non ti ho fatto fare mica una gran figura con la cameriera, sai?". Risero assieme.

 

Arrivarono ad Arras nel tardo pomeriggio. L'odore del mare fu il primo a dare loro il benvenuto. Smontarono da cavallo e l'anziano stalliere si fece loro incontro. André gli affidò tutte le redini. "Mi raccomando César!" gli disse. "Non dubitate signore!" gli fu risposto. 

"Signore…" pensava André fra sè e sè mentre raggiungeva Oscar, che lo attendeva a pochi passi per andare assieme a salutare il personale della villa già schierato.

Ad Arras la vita era piuttosto informale. Non avevano un maggiordomo ma solo una governante. Il personale di servizio era costituito da una cuoca e qualche cameriera, più un giovane garzone, il giardiniere e lo stalliere.

Ad André era sempre piaciuto stare ad Arras. Lontano da Parigi e dal generale, che non veniva mai fino all'Alta Francia, il personale e i contadini non avevano ben chiara la sua posizione. Avendolo visto fin da bambino sempre insieme a madamigella Oscar, pensavano semplicemente che fosse uno di famiglia e lo trattavano con deferenza e da gran signore. Gli veniva sempre assegnata una delle stanze padronali e veniva servito a tavola assieme a Oscar e ai suoi ospiti. Qui non c'era sua nonna a ricordargli di stare al proprio posto né il generale a trattarlo da servo. C'era Anaïs, ma non aveva mai amato molto il padrone ed era stata sempre molto riservata, così non si era mai preoccupata di far presente al resto del personale che André era in realtà un servitore come loro.

Oscar non amava le formalità, ma essendo stata tutta la vita un militare, ai gesti formali sapeva dare la giusta importanza, quindi si fermò a salutare come conveniva ed ebbe una parola per ciascuno; impartì gli ordini per la giornata e la cena e disse che in un giorno o due avrebbero ricevuto il suo baule. Chiese di prepararle un bagno per la sera e si congedò con gentilezza. André la seguì al piano di sopra. Si fermarono nello studio; André si versò un poco di sherry mentre lei si accomodò alla scrivania, estrasse i documenti che aveva portato con sè e scrisse una missiva veloce per il signor Sugane. Voleva rassicurarlo riguardo al fatto che le terre non sarebbero state vendute né cedute, facendogli presente che si stava occupando personalmente della faccenda, ma voleva anche lasciar passare un paio di giorni prima di incontrarlo. Desiderava infatti potersi concedere del tempo per riposare, per occuparsi della sua persona… e per stare con André. Sigillò la lettera, chiamò il garzone e si raccomandò che fosse consegnata immediatamente.

Il sole si stava ormai abbassando e la luce era intensa e dorata. Oscar lasciò ogni cosa e tirò André per un braccio: voleva andare sulla spiaggia. Uscirono assieme dall'ingresso posteriore che dava sul mare e raggiunsero la riva. Oscar tolse scarpe e calze e si bagnò i piedi. La salsedine, il sale e lo iodio le riempivano le narici e i polmoni, il vento le pettinava i capelli e lei si sentì libera come non mai. Si girò indietro e vide André che la guardava, le mani affondate nelle tasche, il volto sereno. Lo raggiunse e lo prese per mano. Passeggiarono a lungo, le mani intrecciate, chiacchierando e ridendo, talvolta scambiandosi un bacio. Nessuno da evitare, nessuno da cui doversi nascondere. Il crepuscolo li sorprese poco prima di rientrare. L'aria si era fatta frizzante, la sabbia fresca e umida.

 

Quando Oscar raggiunse la propria stanza vi trovò Anaïs: come da sue istruzioni le stava preparando un bagno caldo. La salutò con gentilezza e la giovane le rispose con un sorriso. Oscar rimase a osservarla mentre finiva di sistemare ogni cosa per lei. Meno scura di Zuli, della madre conservava gli occhi neri, i capelli crespi e il portamento fiero, ma per il resto non poté fare a meno di notare, come tante altre volte già aveva fatto, le mani dalle dita lunghe come le sue, il suo stesso taglio degli occhi, la forma arcuata delle sopracciglia dei Jarjayes e le labbra dalla piega morbida che ritrovava ogni volta che si guardava allo specchio.

Quando aveva compiuto dodici anni, il generale aveva stabilito che Anaïs non sarebbe più potuta restare a palazzo Jarjayes. Pensando alle possibili soluzioni e combattendo contro la governante sempre più insistente, aveva accolto con piacere il vecchio compagno d'armi che tanti anni prima gli aveva portato Zuli in regalo e che ora, dopo lunghi anni trascorsi ad Haiti, era  tornato in visita. Invitato a cena, il generale gli aveva confidato di Anaïs e questi con entusiasmo sproporzionato, si era subito proposto di prenderla con sè per trovarle una sistemazione in qualche missione oltre oceano. Guardandolo, Oscar aveva visto tanta disgustosa e lasciva bramosia negli occhi di quell'uomo, che non era più potuta restare seduta allo stesso tavolo con quell'individuo disgustoso. Si era alzata fissando con durezza il padre e gli aveva chiesto se veramente potesse aver anche solo pensato di valutare di imbarcare una ragazzina di dodici anni su una nave colma di uomini della marina di sua maestà. Poi se n'era andata, dicendo all'ufficiale già alticcio che per ognuno dei suoi pensieri Dio l'avrebbe fatto bruciare all'inferno. Per una volta nella vita, sotto lo sguardo silenzioso di sua madre, era stata sicura che il generale si fosse vergognato di se stesso. 

Nei giorni che seguirono era stata sempre lei ad adoperarsi affinché Anaïs fosse trasferita ad Arras. Là nessuno le avrebbe più dato fastidio. Il giorno in cui se ne era andata, Zuli era scomparsa per sempre, senza lasciare alcuna traccia di sè.

 

Il bagno era ormai pronto. Anaïs uscì dalla stanza salutando rispettosamente. Oscar la ringraziò e si disfece velocemente dei propri abiti, ansiosa di immergersi. 

Il vapore dell'acqua calda la aiutò a respirare e per un attimo si sentì molto meglio, come liberata dalla pesantezza in mezzo al petto che ormai la tormentava da settimane. Stanca e rilassata, avvolta dal profumo piacevole del sapone, si assopì.

Si destò improvvisamente, sentendosi osservata. André sedeva su uno sgabello accanto alla vasca. Le gambe accavallate, le braccia incrociate sul petto. "Sei qui da molto?" gli chiese Oscar. "No. Solo qualche minuto. Ho aperto una bottiglia eccellente. Ti ho portato un bicchiere di vino." le disse, porgendole un calice. Oscar levò un braccio dall'acqua e prese il bicchiere. La notte ormai aveva avvolto la villa nel buio. La luce delle candele rendeva la stanza particolarmente accogliente. Assaggiò il vino; era perfetto. Pensò allo stupido liquore di rose di Girodelle e scosse la testa accennando un mezzo sorriso. André alzò il proprio calice: "Alla nostra, Oscar" le disse piano. "Alla nostra" gli rispose lei con dolcezza.

 

Seduta alla scrivania dello studio, Oscar stava sistemando i documenti riguardanti una parte di latifondo da cedere a uno dei suoi cognati, secondo gli accordi raggiunti con il signor Sugane, al fine di accontentare il generale e dimostrargli l'utilità della licenza che le era stata concessa. 

Una cameriera stava sparecchiando; lei e André avevano pranzato nello studio:  lei preferiva infatti il piccolo tavolo nel bovindo dalle ampie finestre sul mare al grande e formale tavolo della sala. Un'altra cameriera sopraggiunse, annunciando l'arrivo del baule per madamigella Oscar. Le chiese se poteva sistemare il contenuto, ma lei le rispose che al momento non era necessario e diede istruzioni affinché fosse semplicemente lasciato nella sua stanza. Non voleva che il personale di servizio vedesse gli abiti da sera.

Gli ultimi due giorni le erano sembrati fuori dal tempo ed erano trascorsi passeggiando o cavalcando sulla spiaggia, facendo l'amore, mangiando bene e bevendo troppo. 

André, semisdraiato sul piccolo divano di velluto di fronte alla scrivania, dopo un abbondante pranzo a base di frutti di mare, innafiato da buon vino, si era abbandonato a un sonno leggero. Oscar lo guardò: il bicchiere ancora fra le mani, la testa riversa indietro e i capelli scostati che lasciavano esposto l'occhio che aveva perso per lei, con la sottile cicatrice che attraversava interamente l'orbita. Oscar si alzò e prese il bicchiere dalle sue mani, lasciando una carezza impercettibile  sul suo viso prima di tornare alla scrivania.  

Le era mancato tutto questo. Aveva trascorso tutta la vita con André e con lui aveva coltivato una confidenza fatta di parole, tempo trascorso assieme, ma anche gesti e momenti condivisi, che non l'aveva mai fatta sentire sola. Quando lui l'aveva aggredita, strappandole un bacio e la sua camicia, non l'aveva solo ferita e umiliata. Le aveva anche portato via l'unico vero affetto su cui aveva sempre contato. Le aveva portato via la sua unica opportunità di stare con qualcuno essendo semplicemente se stessa. 

Quando gli aveva detto di volersela cavare da sola e di non volere più il suo aiuto, non aveva mai pensato di dover per questo rinunciare alla loro amicizia e alla loro complicità. Non aveva pensato che confidargli il proprio sentire e le proprie intenzioni, le avrebbe fatto perdere per sempre il solo punto fermo della sua vita. Poi André si era arruolato e lei aveva capito di non poter vivere senza di lui ed erano diventati amanti, ma in caserma era stato impossibile riuscire a riprendersi la loro complicità…

Da quando erano amanti aveva scoperto che André era diverso da come lo aveva sempre conosciuto. Era sempre pacato, gentile e riflessivo, ma non così mite come lo aveva sempre creduto: era anzi passionale… e sapeva essere impetuoso. La sosteneva sempre, ma non aveva paura di contrastarla e riusciva a tenerle testa. Poteva addirittura riuscire ad essere più testardo di lei…  e piaceva alle donne. Piaceva dannatamente alle donne… e questo le aveva fatto scoprire anche qualcosa di se stessa che non aveva mai conosciuto: era gelosa. Era terribilmente gelosa e non capiva come André avesse potuto sopportare la sua infatuazione per Fersen.

Oscar guardò il mare oltre la finestra e sospirò. Ormai tutto era stato risolto e appianato. Entro breve sarebbero dovuti rientrare. 

Quando erano arrivati alla villa avevano occupato una sola stanza. Nessuno aveva fatto domande, lei non aveva ritenuto di dover offrire spiegazioni e si era fatta servire la colazione al mattino senza preoccuparsi di farsi trovare nello stesso letto con André.

 

L'incontro con il signor Sugane, poche ore prima, era andato molto bene. Lei e André erano stati accolti festosamente da tutta la famiglia, con una tavola imbandita di biscotti al burro, prodotti della terra e buon vino. Lei e il signor Sugane avevano discusso della situazione delle terre e individuato insieme un'area non sfruttata di un latifondo che si sarebbe potuta cedere per accontentare il generale e il cognato, poi li aveva raggiunti Gilbert. Oscar non lo aveva visto da tanto tempo e incontrarlo le aveva fatto un grande piacere. 

Gilbert era diventato un bel ragazzo alto, con il volto buono e le mani grandi del padre. La questione famigliare di cui Oscar aveva letto nella missiva indirizzata a lei a palazzo Jarjayes, riguardava proprio lui. Gilbert era infatti tornato dalla scuola di legge appositamente per incontrarla, per poterle chiedere formalmente la mano di Anaïs. Sapeva infatti che la ragazza non aveva parenti ed era cresciuta presso la famiglia Jarjayes,  così aveva pensato di potersi  rivolgere a lei per ottenere la sua benedizione. Oscar era rimasta sorpresa della richiesta: Anaïs era talmente riservata e silenziosa che non aveva potuto non chiedersi come i due si fossero conosciuti. Aveva così saputo che Gilbert l'aveva vista alla santa messa nella chiesa del villaggio circa un anno prima e si era innamorato. Il signor Sugane l'aveva guardata con aria speranzosa: "Mio figlio se ne muore per questa ragazza…" le aveva detto. Oscar aveva osservato il viso di Gilbert  mentre le stava parlando: era sorridente ed emozionato e gli occhi brillavano. Aveva pensato che fosse sincero e realmente innamorato. Gli aveva risposto che avrebbe parlato con Anaïs e che se lei avesse acconsentito, avrebbe volentieri dato la sua benedizione e avrebbe provveduto anche per una dote soddisfacente. A quel punto Gilbert e il padre avevano detto che lei già aveva fatto e stava facendo tanto per loro e che non era necessario che provvedesse a una dote. Oscar aveva sorriso: gliel'avrebbe fornita comunque. Non perché fosse necessario, ma perché voleva farlo. Salutandola, sull'uscio di casa, Gilbert le aveva detto poche parole che tuttavia l'avevano turbata: "Madamigella, avete fatto sempre così tanto per me! Non tornate a Parigi! Restate! Noi vi proteggeremo!". Lei l'aveva ringraziato con gentilezza e gli aveva detto di stare tranquillo per lei, ma era montata a cavallo con un senso di amarezza in fondo al cuore.

 

Giugno era ormai inoltrato e le giornate si erano fatte molto lunghe. Sulle coste del nord il clima era ancora mite e piacevole ed era bello al crepuscolo passeggiare sulla spiaggia. Cavalcando verso la villa, dopo una lunga galoppata in cui si erano sfidati a raggiungere mete immaginarie, lanciando i cavalli a tutta velocità, André si avvicinò a Oscar. "Un matrimonio… saranno molto felici.". "Se Anaïs vorrà accettare" gli rispose lei. 

André ripensò a Oscar stretta fra le sue braccia nel letto, nelle sue stanze a palazzo Jarjayes, dopo la cena a cui non aveva potuto partecipare. "André Grandier, sarò tua moglie" gli aveva detto. Lui non aveva nemmeno risposto. Non ci era riuscito. Ricordò la testa bionda appoggiata sul suo petto e la voce chiara nel buio della notte. Guardò Oscar intensamente. "Dicevi sul serio la sera della cena di gala?". Oscar si girò verso di lui e gli rivolse uno sguardo obliquo. "Sì" gli disse  "ma tu non mi hai risposto.". André fermò il cavallo. Per un attimo gli mancò il fiato; Oscar si era fermata accanto a lui. "Non ho niente da offrirti a parte me stesso." le disse. "E tanto mi basta." gli rispose lei sorridendo con dolcezza. 

Raggiunta la villa lasciarono i cavalli allo stalliere e rientrarono mano nella mano.

 

Lo studio era avvolto nella luce calda delle candele. Oscar aveva fatto nuovamente servire la cena nel piccolo tavolo con la bella vista sul mare. Nel pomeriggio, aveva provveduto personalmente a recuperare i propri effetti dal baule che aveva fatto lasciare nella sua stanza. Lei e André, seduti sul piccolo divano ricoperto di velluto rosso, bevevano ora in silenzio dell'ottimo cognac invecchiato, mentre una delle cameriere rassettava velocemente. Oscar attese che avesse finito per dirle prima di congedarla di mandare Anaïs da lei.

La giovane raggiunse lo studio solo pochi minuti dopo. Silenziosa, rispettosa, timida come sempre. Oscar la osservò un istante: le mani sottili intrecciate in grembo, la sguardo basso, i capelli raccolti in una delle cuffiette di sangallo che le aveva mandato la nonna di André. Aveva la sua tipica espressione dolce e mansueta, ma sembrava nervosa. Oscar si affrettò a parlarle. Non voleva tenerla sulle spine. "Ti piace Gilbert, il figlio del signor Sugane?". 

André abbassò lo sguardo e si grattò la fronte con il pollice della stessa mano con cui reggeva il bicchiere, nel tentativo di dissimulare un sorriso: la sua Oscar, sempre così piena di tatto… Pensò con ironia che conosceva diversi soldati nella guardia metropolitana che sarebbero potuti essere più delicati di lei in questo frangente… Guardò Anaïs, gli occhi sgranati, lo stupore dipinto sul viso. Oscar la incalzò con un tono più fermo: "Conosci Gilbert vero? Ti piace?". La ragazza si portò entrambe le mani al volto per nascondere la bocca che si apriva in un sorriso imbarazzato. "Devi dirmelo," continuò Oscar "perché lui ti ha chiesta in moglie e io ho intenzione di concedere la mia benedizione solo se tu lo vorrai.". La ragazza fissò Oscar per un attimo prima di scuotere energicamente la testa in segno affermativo. Tolse le mani dal viso e sorrise mostrando i bei denti bianchi. Oscar sospirò e appoggiò una mano sulla gamba di André, seduto accanto a lei. "Gli abiti che ha fatto prendere mio padre non andranno sprecati, dopotutto!" gli disse. Poi, rivolgendosi ad Anaïs continuò: "Puoi scegliere una delle due dependances sulla spiaggia. Sarà la tua dote, assieme a un appezzamento di terra adeguato. Se vorrai potrai assumere del personale di servizio. Avrai una rendita. Provvederò alle spese per il tuo ricevimento di nozze. Sarà il mio regalo per te. Organizza secondo il tuo gusto una festa che tu possa ricordare con gioia." Una brevissima pausa, poi continuò "Nella mia stanza troverai il baule che ho fatto spedire da palazzo Jarjayes. Vi troverai degli abiti. Sono i tuoi.". Il tono era deciso e ogni frase era scandita con chiarezza. André le strinse un polso e la fermò: "Non stai dando disposizioni al tuo plotone…". Oscar lo guardò stringendo le labbra, chiuse un attimo gli occhi e lasciò il suo tipico cipiglio militare; sorrise. "Sii felice, Anaïs." terminò.

La ragazza non potè trattenere le lacrime, si avvicinò a Oscar e si accovacciò ai suoi piedi, prendendole una mano con entrambe le sue per portarsela al viso. La strinse contro la sua guancia, poi la baciò ripetutamente. Oscar si sentì a disagio. "Grazie!" le disse Anaïs "Non potrò mai dimostrarvi a sufficienza la mia gratitudine!". Oscar cercò di ritrarsi. Non era in cerca di devozione. Aveva scelto semplicemente per quello che riteneva giusto. La ragazza tuttavia non le lasciò la mano. "Siete una donna buona, madamigella. Non partite! Restate! Parigi è pericolosa! Qui vi vogliono tutti bene. Vi proteggeranno!". Le stesse parole di Gilbert… Lo stesso senso di amarezza… Oscar guardò Anaïs: non le aveva mai sentito dire tante parole tutte insieme… Pensò che non solo Gilbert le doveva piacere, ma evidentemente i due si erano frequentati abbastanza da condividere discorsi e preoccupazioni e soprattutto, evidentemente, il ragazzo la teneva tanto in considerazione da metterla a parte dei suoi pensieri e delle sue esperienze da studente e lei ne aveva tanta stima da farli propri… Oscar sorrise. Sarebbe stato un buon matrimonio.

"Non posso più trattenermi. Ho degli impegni e degli obblighi che mi riportano a Parigi. Non ti preoccupare. Io e André sapremo badare a noi stessi. Adesso asciuga le lacrime e vai a prendere il baule con i tuoi vestiti. Chiama il garzone per farti aiutare.". Anaïs si alzò e rimase un istante in piedi di fronte a Oscar. Allungò una mano e le lasciò una carezza su una guancia. Oscar abbassò gli occhi e sorrise. Non era abituata alla tenerezza e il solo da cui riusciva a riceverne ricambiandola senza pudore era André. "Vai!" le disse ruvida. La guardò avviarsi correndo con passo leggero. 

André le appoggiò una mano alla base del collo, insinuando due dita sopra la nuca, fra i suoi capelli. "Allora domani partiamo." le disse. "Partiamo." gli rispose lei "... ma non domani. Rubiamo ancora un giorno.". André le sorrise e si sporse verso di lei, sfiorandole le labbra con la punta delle dita. Gli sarebbe dispiaciuto partire. Ma avevano ancora un giorno.

 

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Capitolo 5
*** Accusa di tradimento ***


Buongiorno! Torno a proporvi la mia storia sperando di continuare ad appassionarvi. Essendo il quinto capitolo molto corposo, ho deciso di dividerlo in 4 parti. Ecco a voi la prima!


Capitolo 5 - Accusa di tradimento - Parte 1

Oscar guardava i suoi uomini aprire ogni porta e portone per far entrare nella sala dell'assemblea i deputati del popolo e sentiva un senso di esaltazione che le arrossava le guance e le infiammava l'anima e il corpo, rendendo la febbre che la tormentava da giorni niente più che un fastidio. Liberarsi del colonnello Labonne le era costato uno sforzo immane per il respiro affannoso che la lasciava senza aria e senza forze, ma vedere quell'uomo rovinare sui gradini dopo averlo affrontato a mani nude, le aveva regalato una sensazione  di trionfo che ora la faceva sentire invincibile ed ebbra di eccitazione. Le sopracciglia aggrottate in un cipiglio serio ma soddisfatto e la mano ben salda a impugnare la spada sguainata, Oscar osservava i suoi uomini intenti a obbedire agli  ordini che aveva appena impartito. Quando aveva gridato loro a gran voce di far entrare i deputati del popolo, un'espressione di stupore e orgoglio insieme si era dipinta sui volti dei suoi soldati. Erano corsi con entusiasmo a spalancare ogni porta e le avevano risposto con fierezza "Signorsì signor comandante!". Oscar aveva visto Alain prendere rapidamente il comando delle operazioni e dirigere i compagni; non si era sbagliata su di lui: stava dimostrando veramente una notevole attitudine per il comando. Le si era avvicinato e l'aveva guardata negli occhi senza dire una parola, con un'espressione di orgogliosa soddisfazione stampata sul volto. Era rimasto alcuni istanti fermo dinnanzi a lei, occhi negli occhi. Nelle iridi color nocciola Oscar aveva visto brillare qualcosa che andava oltre l'impeto del momento. L'aveva osservato: i  capelli corvini che arrivavano a coprire la base del collo, la stazza imponente, una delle assi divelte dal portone di ingresso stretta in una mano, la fossetta pronunciata sul mento, la carnagione abbronzata, il sorriso appena accennato … e poi la divisa perennemente aperta, il fazzoletto rosso annodato al collo… Oscar aveva pensato che somigliasse, più che a un soldato, al pirata dell'illustrazione di un libro su cui aveva studiato da bambina e gli aveva sorriso.  Alain le aveva appoggiato la mano su una spalla solo un istante prima di correre dai compagni. 

Presa da pensieri tumultuosi e da emozioni violente, Oscar volse lo sguardo: André la guardava da lontano. Ritto accanto al portone principale, scuro in volto, la fissava serio. Se le fosse stato più vicino, pensò, l'avrebbe di certo fermata… le avrebbe ricordato con fermezza che la sua era insubordinazione e avrebbe fatto di tutto per trattenerla. André l'aveva sempre difesa prima di tutto da se stessa… Si tenne alla larga da lui. Sapeva che l'avrebbe rimproverata e non aveva nessuna voglia di ascoltarlo. Sapeva anche che avrebbe dovuto affrontare delle conseguenze per le sue scelte, ma, si disse, l'avrebbe fatto a testa alta.

 

André faceva entrare i deputati nella sala, indicando loro gli ingressi finalmente aperti e invitandoli a incedere con calma, ma in realtà ogni sua azione era meccanica e  distratta: la sua attenzione era concentrata su Oscar. La guardava da lontano. Era preoccupato. Si era trovato troppo distante da lei per riuscire a fermarla e ora temeva che ci sarebbero state conseguenze gravi per le sue azioni. Insubordinazione e tradimento. La sua Oscar avrebbe probabilmente dovuto affrontare il tribunale militare. André pensava febbrilmente. Non avrebbe permesso che l'arrestassero; l'avrebbe portata via.  Sarebbero fuggiti. Inghilterra, Italia, Spagna… non aveva importanza. Lontano. 

André vide Alain avvicinarsi a lei e guardarla con ammirazione e fierezza. Ci mancava anche qualcuno che sostenesse le sue azioni irresponsabili, pensò. Vide l'amico appoggiarle una mano sulla spalla solo un momento. Gli tornarono alla mente le parole che questi gli aveva detto la notte in cui avevano vegliato assieme  per il principe di Spagna: "È una donna da ammirare. Non da amare.". Da qualche tempo aveva la certezza che Alain si fosse ricreduto. 

André era pronto a scommettere che Oscar si stesse tenendo volontariamente alla larga da lui. Arrabbiato, spaventato per tutto quello che da ora sarebbe potuto succederle, era persuaso che stesse evitando accuratamente di avvicinarglisi per non doverlo ascoltare, per non sentirsi dire che era stata incosciente e avventata.

L'aveva guardata bene mentre si muoveva fra i suoi uomini e si disfaceva del colonnello Labonne: altera, seria, eppure anche esaltata, mentre agiva. Un biondo Ares pieno di grazia e bellezza. La voce vibrante di emozione e gli occhi brillanti mentre impartiva ordini… André pensò alle mille volte in cui aveva desiderato e le aveva persino talvolta chiesto di cambiare vita e di essere una donna.... non si era mai reso conto di quanto si era sbagliato! La guardava ora: fiera, soddisfatta, sicura di ogni passo… questa era la vita per lei; la divisa calzava a pennello alla sua anima: ne aveva bisogno. La battaglia faceva parte di lei. Eppure davvero una donna lo era, la sua Oscar… e sapeva dimostrarlo in mille modi diversi se soltanto la si guardava. Le persone si fermavano sempre alla sua freddezza marziale; intimorite, non erano in grado di vedere oltre per trovare tutta la dolcezza, la sensibilità e la bellezza che invece lui vedeva da sempre.

Alain gli si avvicinò. "Non ha paura di niente la tua donna, eh?!?" gli disse, sorridendo con ammirazione, indicando Oscar con il pollice della mano chiusa a pugno. André non ricambiò il suo sorriso. Strinse le labbra e abbassò lo sguardo. Che sciocchezza. Non aveva paura di niente? Che poteva saperne lui di quello che invece faceva paura alla sua Oscar? Di quello che la faceva tremare? Si rese conto improvvisamente che c'era qualcosa che Oscar aveva sempre concesso solo ed esclusivamente a lui: la sua fragilità. Molto prima di amarlo, molto prima forse persino di saperlo, lei gli aveva regalato la propria fragilità, senza mai nascondersi, senza mai sentire il bisogno di difendersi. La sola volta in cui aveva provato ad aprirsi a qualcun altro, presentandosi a corte con un abito che lasciava pericolosamente esposte la sua pelle e il suo cuore, era fuggita appena quel qualcuno l'aveva scoperta. Non era fuggita perché Fersen l'aveva riconosciuta. Era fuggita perché l'aveva scoperta e lei non aveva potuto sopportare il rischio... o la paura... di lasciare che lui provasse a tenere fra le mani la sua fragilità.  André si portò una mano al volto coprendosi gli occhi; ricordò Oscar che gli dava le spalle e gli diceva di volersela cavare da sola, di non volere più il suo aiuto… che stupido era stato! Lei gli stava regalando tutta la sua confidenza, gli apriva il suo cuore spezzato, si mostrava a lui in tutta la sua fragilità... e anziché offrirle un braccio forte cui aggrapparsi, lui l'aveva aggredita. Sospirò. Non se lo sarebbe mai perdonato. Alzò il viso e la cercò con lo sguardo. Gli costò un certo sforzo mettere a fuoco, ma si accorse che Oscar non c'era più. La folla accalcata nel piazzale antistante l'assemblea continuava a rumoreggiare. Aveva un aspetto minaccioso benché i deputati fossero ormai quasi tutti entrati. Impossibile per lui non ricordare l'aggressione di Saint Antoine. Dov'era Oscar? André prese Alain per un braccio. "Hai visto Oscar?" gli chiese "Sai dov'è andata?". Alain si guardò intorno. "No..." gli rispose "... e dai amico… sarà da qualche parte qui intorno a godersi la vittoria… godiamocela anche noi!". André pensò che se fosse potuto servire a qualcosa gli avrebbe volentieri allentato un pugno in faccia. "Sei un idiota Alain." disse duro "Ci saranno delle conseguenze gravi per quello che ha fatto. Avrei dovuto fermarla. Ero troppo lontano.". Alain non rispose, ma il sorriso gli si gelò sulle labbra… André aveva ragione; lui non ci aveva pensato, ma le conseguenze sarebbero state pesanti: il suo comandante poteva finire davanti al tribunale militare… non l'avrebbe permesso. Piuttosto l'avrebbe fatta fuggire... Si divisero, cercando Oscar.

 

Emozionata, Oscar era rimasta a lungo a guardare i suoi soldati far entrare i deputati nella sala, poi l'affanno era cresciuto e aveva sentito sopraggiungere una sensazione forte di malessere. La tosse aveva iniziato a sconquassarle il petto e così aveva cercato di nascondersi dietro le massicce colonne. Non voleva che André la vedesse. Non le aveva ancora chiesto niente e non voleva offrirgli un pretesto per farlo. Aveva già deciso che non sarebbe morta! Dopo il breve soggiorno nel nord si era sentita meglio, poi da qualche giorno tutto era diventato più difficile, più pesante, più faticoso. Perché diavolo doveva stare male proprio ora?!? Batté forte un pugno contro la colonna. La tosse la piegó; con i lunghi capelli a nasconderle il viso, si ritrovò a vomitare sangue e bile. Per non sporcarsi, cercò di spostare indietro la folta capigliatura e la trovò appesantita e crespa, per l'umidità persistente di quell'estate in cui momenti di caldo opprimente si alternavano a piogge interminabili. Cercò di prendere fiato, ma dopo un attimo tornò a vomitare senza tregua. Da almeno due giorni non mangiava quasi niente. Mormorando imprecazioni, si chiese cosa mai avesse ancora da poter vomitare. Con la bocca impastata e un sapore acido che le bruciava la gola, fece qualche passo per andarsi a sedere sui gradini a pochi metri di distanza, sul fianco del palazzo, nascosta agli occhi della gente, dei suoi uomini… e di André. Ansimò. Alzò la testa per respirare meglio, in cerca di aria fresca. 

Non era tardi. Se fosse corsa dal dottor Laçonne sarebbe potuta tornare entro meno di due ore. I deputati stavano finendo di entrare. Gli uomini erano tutti impegnati, con un po' di fortuna nella confusione André non si sarebbe accorto della sua assenza… Montò a cavallo e lo spronò, partendo velocemente. Una pioggia sottile e tagliente cadeva incessantemente fin dal mattino molto presto, rendendo la calura ancor più insopportabile. Oscar sentiva l'uniforme sempre più pesante che le gravava addosso mentre galoppava. I capelli le si attaccavano al volto. Giurò a se stessa che avrebbe avuto più cura della sua persona. Boccheggiando, continuò a cavalcare, tenendo la testa bassa e le mani così strette alle redini, che, senza guanti, sentì le unghie conficcarsi  nei palmi. 

Arrivò rapidamente a  casa  Laçonne, ma quando le fu aperto si accorse di essere terribilmente in disordine: le punte dei capelli erano bagnate e sporche per aver toccato a terra mentre era seduta sui gradini, fra le colonne del palazzo dell'assemblea, e il polsino di una manica della divisa era macchiato di vomito e sangue. Nascose istintivamente la mano dietro la schiena. Fece per tornare indietro e andarsene immediatamente, ma il dottore le si stava già facendo incontro con un'espressione preoccupata in volto e non poté più tornare sui propri passi. L'uomo la cinse premurosamente con un braccio attorno alle spalle e chiamò una delle figlie affinché aiutasse madamigella Oscar a rassettarsi.

 

Il dottor Laçonne era sempre stato particolarmente caro con Oscar e l'aveva sempre avuta a cuore; aveva perso la moglie molto presto, ma non si era più risposato; aveva tre figlie femmine che, al contrario delle sue sorelle, si erano sempre comportate con grande gentilezza nei confronti di Oscar. 

Madame Anne, accorsa prontamente, le prese una mano, offrendole un sorriso sincero. Poco più giovane di lei, era rimasta vedova dopo pochi anni di matrimonio ed era tornata a vivere nella casa paterna con il suo unico figlio, un giovanotto smilzo e timido dai folti capelli biondo scuro come il padre, che ora guardava questa strana donna in divisa dal fondo dell'atrio della grande casa, incapace di nascondere la sua curiosità riguardo all'ospite appena arrivato.

"Madamigella Oscar! Che piacere trovarvi!" le disse Madame Anne, prendendole una mano. "Venite," continuò "questa pioggia non è il tempo ideale per cavalcare! Lasciate che mi prenda un poco cura di voi!". La condusse in una piccola stanza accogliente, dotata di un'elegante toletta. Chiamò una cameriera per farsi aiutare a togliere la divisa, la camicia e la biancheria di Oscar. La cameriera era silenziosa e precisa nei movimenti. Le fu affidata l'uniforme, con l'ordine di ripulirla e sistemarla subito e le fu consegnato il resto con la raccomandazione di asciugare tutto velocemente con il ferro caldo.

Oscar rimase senza parlare, incapace di dimostrare la propria gratitudine per le mani gentili che la accudivano con premura. Madame Anne le offrì una vestaglia da camera e la invitò a sedersi accanto alla toletta. Le passò dell'acqua di rose sul viso, poi si occupò dei suoi capelli, accompagnando i gesti con una conversazione piacevole e leggera, alla quale Oscar partecipava rispondendo a monosillabi. Fu servita una tisana che profumava di fiori. Oscar sentiva le mani di Anne muoversi con delicatezza e sapienza fra i suoi capelli e le tornò alla mente l'immagine di se stessa seduta con lei dopo un pranzo a palazzo Jarjayes. Erano bambine. Le sorelle le dicevano qualcosa di spiacevole riguardo al suo abbigliamento, mentre lei le aveva fatto dei complimenti per il colore dei suoi capelli e l'aveva invitata a imparare un gioco di carte. Chiuse gli occhi. La voce del dottor Laçonne le giunse da un'altra stanza. Diceva a una domestica che quando madamigella fosse stata pronta, lui l'avrebbe attesa nel suo studio. 

Oscar sospirò. Rivide se stessa undicenne. Si stava misurando al fioretto con André quando lui si era accorto che era sporca di sangue. Si erano spaventati ed erano corsi da sua nonna. Lui aveva pensato fosse ferita. Lei non capiva né come né dove. Il pomeriggio era finito con lei seduta nel proprio letto, la schiena appoggiata ai cuscini, che ascoltava il dottore parlare con fermezza a suo padre nel corridoio. Il generale, arrabbiato, aveva fatto irruzione nella sua stanza come una furia e le aveva detto poche parole con durezza: "Oscar. Tu sei una ragazza!". Oscar aveva pensato che suo padre fosse impazzito… o se non altro poco acuto: non si era mai accorto che  la governante aveva sempre imposto che tutto il personale di servizio la chiamasse  madamigella Oscar? Si era guardata bene dal rispondergli, ma gli avrebbe voluto chiedere come credeva che fosse potuta stare tutto quel tempo sempre e solo con André senza accorgersi che loro due erano diversi… Il dottore aveva stretto una mano sulla spalla del generale e con fare autorevole l'aveva pregato di uscire. Si era seduto accanto a lei e le aveva preso una mano con dolcezza. "Lo so che non sono un maschio." aveva mormorato Oscar, guardandolo negli occhi. Era seguita la mezz'ora più imbarazzante della sua vita. 

Oscar si passò una mano sul viso, sospirando al ricordo della nonna di André che lo picchiava col battipanni sui gradini dell'ingresso delle stanze del guardaroba e lo metteva in punizione, come se avesse potuto avere qualche colpa dell'accaduto,  mentre lei vedeva tutta la scena dalla finestra della sua camera. Non poté trattenere l'ombra di un sorriso rassegnato. 

Le venne in mente la prima notte passata con lui, sull'erba, quando si era vergognata dei molti segni che deturpavano la propria pelle e André le aveva detto di conoscere ognuna di quelle cicatrici perché lui c'era sempre stato. Era vero. Ogni cicatrice. Del corpo e dell'anima...

 

Anne aveva terminato con i suoi capelli e la stava accompagnando dal padre nello studio.

La visita fu lunga e accurata, ricca di domande inaspettate a cui Oscar aveva dato risposta non senza provare un certo pudore. Al termine si potè rivestire dietro a un separé dove aveva trovato tutti i suoi indumenti, perfettamente asciutti e rassettati.

Aspettò in piedi, pronta a incassare pessime notizie e sicura che la sua decisione di non morire sarebbe risultata ridicola, ma il dottore la invitò a sedersi con un fare molto persuasivo. Oscar ebbe paura. Le notizie dovevano essere anche peggiori di quanto era disposta ad ascoltare se il dottore insisteva tanto affinché si sedesse. Laçonne lasciò la propria poltrona dietro la scrivania e prese posto accanto a lei. Le appoggiò una mano su un braccio con fare protettivo e paterno; guardandola negli occhi le disse: "Madamigella, dovete veramente lasciare l'uniforme.". Oscar ricambiò il suo sguardo. "Va così male…" mormorò. "Madamigella…"  il dottore le parlava con voce pacata, sembrava scegliere le parole accuratamente per cercare di risultare il più delicato possibile "... voi… voi siete in stato interessante…". "Cosa?!?" ruggì Oscar, gli occhi sgranati, la bocca dischiusa per lo stupore. "Beh, ecco… voi aspettate… intendo dire… state aspettando…". Ma Oscar non gli diede modo di terminare la frase. Le sopracciglia aggrottate, il cuore in tumulto, il pugno alzato, era balzata in piedi e ora sovrastava il dottore, ammutolito dalla sua reazione. "Ho capito benissimo quello che intendete dire!" disse con un tono di voce troppo alto. Si piegò appena in avanti e battè forte il pugno sulla scrivania. "Accidenti!" gridò "Accidenti a te André Grandier!". Laçonne si alzò a sua volta. "André!" esclamò  "André?! Il vostro servo?!". Oscar strinse le labbra e sporse il mento in avanti. "Non è un servo. È un soldato!" dichiarò con veemenza, con un cipiglio severo e orgoglioso, come se stesse sgridando qualcuno, poi si sentì immediatamente molto sciocca per aver sentito il bisogno di giustificare André per quello che era. Ricordò in un lampo le sue parole, mentre cavalcavano insieme sulla spiaggia, nel nord, non più di due settimane prima: "Non ho nulla da offrirti, a parte me stesso.". "Tanto mi basta" gli aveva risposto. Non le importava di chi o di cosa fosse. Era André e basta. 

Laçonne la guardava preoccupato. "Non avrà osato…?" chiese piano con gli occhi spalancati. "No! No!" rispose brusca Oscar. Ma cosa gli saltava in mente?!? André?!? Con il suo amore incondizionato, le sue carezze e i baci a cui non poteva più rinunciare… "No!" ripeté forte, quasi indignata.

Il respiro spezzato, un'improvvisa sensazione di soffocamento che la costrinse ad allentare la divisa all'altezza del collo, Oscar tornò a sedersi. Laçonne le posò una mano su una spalla. "Mi dispiace. Mi dispiace madamigella. Se credete posso raccomandarvi qualcuno per risolvere rapidamente il problema… è una brava donna. Sarà discreta. Ci sarò io ad assisterla.". "Come?!?" Oscar alzò gli occhi, non certa di aver seguito il discorso. "Cosa mi state dicendo?!?". Il dottore era costernato. "Pensavo aveste urgenza di risolvere la situazione... Una donna come voi… nella vostra posizione…". Oscar lo fissò: una donna come lei… si accigliò: "Non esistono donne come me. Ci sono solo io, dottor Laçonne." disse piano.

Affondata in una poltrona troppo grande per la sua figura esile, abbassò la testa cercando di respirare regolarmente. L'aveva visto accadere altre volte in azione a soldati inesperti o a uomini molto giovani e lo riconobbe immediatamente: stava per cedere al panico. Divaricò le gambe e piegò il busto fino a trovarsi con la testa fra le ginocchia. Il dottore cercò di aiutarla e le chiese se poteva far chiamare la figlia con i sali ma lei rifiutò, scuotendo energicamente la testa. I sali… una stupidaggine per donne con il corsetto troppo stretto. Lei non ne aveva bisogno. Contò i respiri, come tante altre volte aveva imposto di fare ai suoi uomini, tenendo loro una mano premuta sulla schiena affinché non si alzassero prima del tempo e non svenissero.

Quando si riprese si impose fermezza. Disse al dottore che avrebbe risolto da sola i suoi problemi e che contava sulla sua assoluta discrezione, poi chiese informazioni dettagliate riguardo la propria salute e quella di André, ascoltando senza batter ciglio ogni parola.

Il dottore la congedò guardandola con apprensione. La pregò di lasciarsi accompagnare con la loro carrozza dovunque dovesse andare, ma lei rifiutò. Madame Anne la accompagnò fino alla porta. Pioveva ancora a dirotto. La abbracciò con dolcezza e Oscar rimase rigida e impacciata in quell'inaspettata dimostrazione di solidarietà femminile… Pensò che l'unica amica che forse avesse mai avuto era stata Sua Maestà la Regina, ma era stata sempre e solo lei ad accogliere le confidenze di Maria Antonietta e a offrirle conforto. Mai il contrario. Si domandò cosa Madame Anne poteva sapere di lei e a che cosa poteva dovere quella benevolenza sempre dimostrata nei suoi confronti. 

Partì al galoppo, senza girarsi indietro. Nella mente un turbine di pensieri, paure ed emozioni che non sapeva come gestire.

 

Lasalle fu il primo a vederla. "Comandante!" la chiamò forte "André e Alain vi stanno cercando da tanto…", sul volto un'espressione preoccupata, come se tutti fossero stati allertati per lei. "Eccola!" sentì Alain gridare forte. Oscar alzò gli occhi e vide Alain correre verso di lei, saltando sui gradini due alla volta. "Dove siete stata comandante?!? André stava impazzendo…". "Io stavo impazzendo…" avrebbe voluto dirle…  Ma che le era venuto in mente di sparire per più di due ore?!? Le si avvicinò in maniera quasi importuna e arrivò a sovrastarla, guardandola dall'alto. Oscar sentì distintamente il suo respiro addosso, avvertendo forte il suo caratteristico odore di tabacco e  indietreggiò di due passi. Alain sapeva sempre come metterla a disagio, ma non gli disse niente. Guardò davanti a sè tra la folla ancora radunata davanti al palazzo che ospitava l'assemblea e finalmente lo vide: André camminava verso di lei facendosi largo fra le persone accalcate, un'espressione scura sul volto. Gli si fece incontro. Si rese conto di averlo fatto preoccupare. Avrebbe ascoltato i suoi rimproveri; se li meritava. 

André camminava verso Oscar, il cuore in subbuglio e una rabbia malcelata che lo faceva sbuffare a ogni passo, ma più le si avvicinava, più il sollievo per il fatto di averla ritrovata e di vedere che stava bene prendeva il sopravvento su tutte le altre emozioni. Avrebbe dovuto dirle che era stata un'incosciente. Avrebbe voluto dirle che aveva pensato di morire di angoscia quando non l'aveva più trovata. Invece quando le fu davanti, in mezzo alla gente, le passò una mano dietro la nuca e l'altra sulla schiena, stringendola a sè, affondando le labbra fra i suoi capelli bagnati prima e sulla sua bocca poi, chiudendo gli occhi. Un attimo… solo un attimo per un abbraccio liberatorio e accorato. Sotto una pioggia sempre più intensa, Oscar pensò ai suoi soldati che in quel momento la stavano guardando e alla folla che rumoreggiava intorno a loro, additandoli, mentre un abbraccio appassionato fra due soldati non stava passando inosservato… Ma non si ribellò, né lo respinse. 

Dalla gradinata, Lasalle guardava stupito il suo comandante e André. "Alain guarda! Tu lo sapevi?". "Fatti i cazzi tuoi Gérard." gli rispose Alain cupo.

André tornò ad occupare il proprio posto di guardia e Oscar avanzò fino al portone di ingresso, giusto in tempo per essere raggiunta da un messo con un dispaccio: un ordine di rientrare immediatamente in caserma, per lei e per tutto il suo reggimento. Alzò gli occhi per cercare lo sguardo di André. Deglutì. André la guardava con apprensione. Alain fu rapidamente accanto a lei. "Dobbiamo rientrare immediatamente. Tutti." gli disse Oscar. "Non mi piace. Non mi piace per niente." le rispose Alain.

 

Bagnati e stanchi, con i mantelli talmente appesantiti dalla pioggia da risultare fastidiosi sulle spalle, i soldati erano ordinatamente schierati sulla piazza d'armi della loro caserma. Alain guardò il suo comandante attraversare il piazzale ostentando un passo falsamente  sicuro. I lunghi capelli fradici attaccati alla schiena, il profilo troppo sottile, nessun mantello a proteggere la sua persona dalla pioggia battente. La vide salire i pochi gradini dell'ingresso e fermarsi un attimo sulla porta per girarsi solo un istante, alla ricerca del volto di André,  incapace di ricambiare lo sguardo ansioso della sua donna, a causa della difficoltà a mettere rapidamente a fuoco. Alain espirò rumorosamente. Non poteva andare sola! Se l'avesse seguita l'avrebbero bloccato prima ancora di arrivare all'ingresso: troppo grosso, sempre pronto a contestare qualsiasi imposizione, sapeva di non piacere ai superiori… allentò un calcio ad André, sul cavallo accanto a lui. Con i modi da damerino che sapeva mostrare l'avrebbero fatto passare. "Vai con lei!" gli intimò, brusco.

André si sentì stupido per non averci pensato subito lui per primo. Smontò da cavallo e corse per attraversare velocemente la piazza; raggiunse Oscar all'inizio del corridoio. Lei si girò e lo guardò. Il fiato corto, gli chiese sommessamente:  "Cosa vuoi André?". "Venire con te." le rispose, fermo. Oscar sentì il cuore rinfrancarsi, pieno di gratitudine: non era sola. 

Un soldato li precedeva; non era della guardia metropolitana e André non riconobbe il corpo di appartenenza dall'uniforme. Superarono l'ufficio di Oscar e si fermarono dinnanzi a una porta aperta. Il colonnello Labonne, più tracotante che mai, li attendeva sull'uscio. Prepotente, spinse indietro André piazzandogli una mano aperta in pieno petto. Prima che Oscar entrasse, sola, André riuscì a vedere all'interno della stanza il generale Bouillé, un paio di altri alti ufficiali che non conosceva e due soldati. Oscar gli gettò uno sguardo di intesa prima di entrare, poi fu chiusa la porta. André rimase a contemplare un uscio chiuso. Determinato come non mai, si disse che non se ne sarebbe andato di lì senza Oscar.

Agitato come un leone in gabbia, sentì prima parlare sommessamente, poi Oscar ribellarsi a voce alta alla consegna che stava ricevendo. Maledisse se stesso per essere stato lui a iniziarla alla causa popolare. Non gliene importava niente del popolo in quel momento. Maledisse anche il popolo. Non gli importava proprio di nulla. Voleva solo che Oscar uscisse da quella stanza e venisse via con lui. Ripensò ai loro giorni nell'Alta Francia: non sarebbero dovuti tornare! Non c'era niente per loro a Parigi… o almeno non c'era niente di buono… Per due volte Oscar gli aveva detto chiaramente che voleva essere sua moglie. Perché non l'aveva sposata subito? Perché non l'aveva tenuta al sicuro? Se fossero rimasti nel nord avrebbe potuto chiedere aiuto al signor Sugane e magari si sarebbero potuti imbarcare per l'Inghilterra.... Perché diavolo l'aveva riportata a Parigi?

Si appoggiò alla parete, le braccia conserte e le gambe accavallate. L'attesa era snervante. Buttò la testa indietro una, due, tre volte. I capelli bagnati dalla pioggia gli stavano gocciolando lungo il collo. Un brivido lo percorse. La porta si aprì per far uscire il generale Bouillé con i due soldati. Non riuscì a vedere Oscar prima che richiudessero. Seguì un silenzio pesante, che gli mise addosso più ansia della discussione concitata di un attimo prima.

 

Sulla piazza d'armi, i soldati erano scesi dalle loro cavalcature e aspettavano nervosi, cercando di ripararsi dalla pioggia restando il più vicini possibile ai muri perimetrali, così da rimanere almeno un poco protetti dai cornicioni. Alain fu il primo a veder uscire il generale Bouillé. Dov'era il comandante? In un attimo lui e tutti i compagni erano in piedi e schierati e il generale aveva già iniziato a parlare. Dava disposizioni in merito a un'imminente azione di sgombero della sala dell'assemblea, ma lui non stava neanche più ascoltando; aveva smesso di prestare attenzione quando il generale aveva annunciato che avrebbe dato lui gli ordini al posto del loro comandante. A quelle parole infatti aveva sentito il cuore perdere un colpo: perché dovevano prendere ordini da qualcuno che non era Oscar? Con gli occhi aveva scorso le finestre della caserma: dove poteva essere Oscar ora? L'avevano arrestata? E André? Perché non l'aveva portata via?

Il generale terminò di dare disposizioni, ma nessuno si mosse. Impaziente ed evidentemente contrariato, Bouillé esortò gli uomini e allora uno a uno iniziarono ad avviarsi verso l'ingresso della caserma. Alain non fece un passo. "Fermi!" gridò "Non ricordate cosa ci ha detto il nostro comandante? Dobbiamo restare qui e aspettare che torni!" poi, rivolto al generale: "Dov'è il nostro comandante?". Truce in volto, Bouillé guardò altri undici soldati raggiungere il compagno ribelle nel mezzo della piazza; il generale proclamava a gran voce il suo diritto a dare loro ordini in quanto comandante supremo dell'esercito, ma Alain non abbassò lo sguardo, per lui poteva essere anche sua maestà il re in persona: non si sarebbe mosso senza un ordine preciso del suo comandante. Attorniato dai compagni, esclamò: "Lo sappiamo che voi siete il comandante supremo dell'esercito, ma noi non prendiamo ordini che da Oscar François de Jarjayes!". Era la prima volta che pronunciava per esteso il nome del suo comandante; gli fece una strana impressione, come se gli fosse stato permesso di accarezzare qualcosa che non gli apparteneva. "Ben detto!" gli fece eco Lasalle, immediatamente dietro di lui. Gérard era un buon ragazzo, leale e generoso; era stato il primo a tornare indietro per raggiungerlo nel mezzo della piazza, poi seguirono altri compagni. Dodici in tutto. Alain espirò e serrò la mascella. Sapeva che avrebbe pagato la sua scelta, ma non sarebbe comunque tornato sui suoi passi. 

La reazione del generale fu rapidissima; a un suo ordine il plotone schierato al suo fianco puntò le armi contro i soldati ribelli e in un attimo tutti e dodici furono arrestati. Alain non oppose resistenza e lasciò immediatamente andare il fucile: sapeva benissimo che Bouillé aspettava solo che accennassero a difendersi per farli ammazzare tutti quanti; opporsi sarebbe stato un suicidio per lui e per gli altri.

Fiero e orgoglioso, rimase inerme e alzò gli occhi verso le finestre mentre due soldati lo costringevano a terra, il volto schiacciato contro il selciato bagnato e il collo serrato fra due moschetti. Fissando i vetri degli uffici del secondo piano, si chiese se il comandante stesse vedendo tutto quello che stava succedendo. "Oscar, questo è per voi." mormorò. 

 

Ancora fermo nel corridoio, André aveva visto Bouillé tornare e andarsene di nuovo. L'uniforme bagnata e i capelli fradici lo facevano sentire pesante e infreddolito. L'esasperazione era arrivata al limite e aveva iniziato a progettare di prendere a calci la porta per aprirla e poter fare irruzione. Era sicuro che avessero messo Oscar agli arresti. Assorto in pensieri cupi, cercava di fare ordine nelle idee per pianificare una fuga. Sbuffò, lasciando cadere le braccia pesantemente. Poi la voce di Oscar gli giunse chiara ed esplose dentro di lui come un colpo di artiglieria: "André! Aiuto!". Con una spallata aprì la porta e la scena che gli si presentò gli fece gelare il sangue: Oscar era a terra, braccata da un ufficiale che le cingeva la vita, trattenendola, mentre un altro militare aveva estratto la spada, brandendola minaccioso contro di lei; il colonnello Labonne,  ancora a terra, cercava di recuperare la sua arma. André fu più veloce. Afferrò il fucile. "Maledetti!" gridò "Lasciatela stare!" e in un attimo col calcio del fucile aveva già atterrato uno dei due ufficiali e messo fuori combattimento Labonne,  con un colpo ben assestato alla testa. Oscar intanto era riuscita a sferrare un calcio fra le gambe del proprio aggressore, lasciandolo a rantolare sul pavimento. Tenendo sotto tiro i tre uomini, André fece uscire velocemente Oscar dalla stanza e la seguì fulmineo. La prese per mano in una corsa disperata verso la libertà o verso l'ignoto.

Oscar, con il cuore in gola, correndo pensava ad Alain schiacciato a terra dai soldati di Bouillé, umiliato e inerme, mentre i suoi compagni venivano arrestati come lui. Pensava a Lasalle, così piccolo fra gli altri, con i capelli ricci spinti nel fango della piazza d'armi sotto la pioggia, mentre un uomo armato gli puntava un fucile alla schiena tenendogli un piede ben fermo fra le scapole. Pensava ai suoi soldati che non l'avevano tradita a costo di tutto e sentiva le lacrime pungerle dolorosamente dietro agli occhi. Trattenne un attimo il respiro e strinse i denti. Li avrebbe salvati. Li avrebbe salvati tutti!

André aveva già preparato i cavalli. "Svelta! Andiamocene!". Oscar lo fissò attonita. Andarsene? E dove? Ragionò un momento. André aveva assalito dei superiori. Non poteva restare. "Vattene subito André!" gli ordinò perentoria "Non puoi restare dopo avermi fatto fuggire. Devi nasconderti.". "Tutti e due dobbiamo nasconderci. Andiamo. Sbrigati!". Oscar restò immobile. André era esasperato. "Cosa aspetti?!?" le urlò. "Non posso andarmene André!" gli rispose, non riuscendo a trattenere lacrime di rabbia "Se me ne vado ora i miei uomini moriranno per niente! E io avrò disonorato me stessa e la mia famiglia per niente! Non me ne posso andare!". Entrambi i pugni chiusi, il viso contratto in una smorfia di dolore: "La guardia reale sta andando a far sgomberare l'assemblea. Li comanda Girodelle. Li posso fermare!". André sbuffò contrariato e sollevò Oscar di peso, aiutandola a salire a cavallo. "E allora verrò con te dannazione! Ma sbrigati per l'amor di Dio o ci verranno a prendere!" le disse con foga, salendo a cavallo a sua volta. Partirono al galoppo, veloci e angosciati, spronando i cavalli al limite delle loro forze. 

Mentre seguiva Oscar verso l'assemblea, André pensava che fosse una pazzia. Pensava a quanto poco in quel momento gli importasse dell'onore, del popolo e della guardia reale e di qualsiasi cosa stesse per fare Girodelle. Cercava solo di trovare un modo per portare via Oscar il più lontano possibile e per l'ennesima volta maledisse se stesso per non essere riuscito a fermarla già la mattina, quando aveva scaraventato Labonne giù per i gradini della scalinata.

 

Quando arrivarono al palazzo dell'assemblea la guardia reale era già schierata e Girodelle stava intimando ai rappresentanti di sgomberare. Oscar, la spada sguainata, passò velocemente due volte fra gli opposti schieramenti gridando "Fermi! Fermatevi!" e con un senso di esaltazione pensò che ce l'avrebbe fatta, li avrebbe veramente fermati… e senza troppo sforzo: con la coda dell'occhio aveva infatti potuto scorgere  il generale Lafayette pronto a battersi in difesa dei rappresentanti del terzo stato e conosceva Girodelle. Era stata il suo comandante per quasi vent'anni. Lafayette, il grande eroe francese… era sicura che Girodelle non avrebbe mai avuto il coraggio di affrontarlo. Era sicura che fosse sulle spine, alla ricerca di un pretesto per ritirarsi senza tuttavia dare l'impressione di aver disatteso la consegna. Si fermò davanti a lui, André già al suo fianco. Oscar guardò Girodelle con fermezza, osservandolo: era fastidiosamente impeccabile come sempre, con la divisa lucente e i capelli decisamente più in ordine dei suoi. Si chiese come fosse possibile dare tanto valore alla forma in una situazione così drammatica e aprì le braccia esclamando: "Girodelle, avreste il coraggio di incrociare la vostra spada con me? E voi soldati della guardia reale, potreste mai colpire il vostro ex comandante?". Girodelle lasciò teatralmente passare qualche secondo di dignitoso silenzio, prima di capitolare e  rinfoderare la spada, dicendo: "Avete vinto voi madamigella Oscar. Non ero certo fiero del compito che mi era stato assegnato. Ora potrò dire di non averlo potuto portare a termine… in fin dei conti, sono abituato ad obbedire ai vostri ordini…". Il tono di voce falsamente sommesso, ma sufficientemente alto da farsi sentire chiaramente dai sottoposti. Oscar lo guardò fare dietro front e allontanarsi lentamente con tutti i suoi uomini. Si girò per guardare André: aveva un'espressione impassibile sul volto. Si sentì immensamente stanca. La giornata volgeva finalmente al termine. "Vieni, andiamo a casa." gli disse piano e allungò una mano per afferrare le redini del suo cavallo e trascinarlo con sè. Non si girò a guardare i rappresentanti. Non aveva più forza per affrontare altro.

 

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Capitolo 6
*** Accusa di tradimento - parte 2 ***


Capitolo 5 - Accusa di tradimento - Parte 2


Arrivati a casa Oscar e André raggiunsero immediatamente le scuderie. Cavalcando,  Oscar aveva ripensato a Girodelle e a come era stato veloce ad approfittare della situazione per salvare onore e apparenze a sue spese: ora rientrando a corte avrebbe potuto dire che lei gli aveva impedito di portare a termine il compito che gli era stato assegnato. Lei sola contro un intero reggimento... Come aveva detto? Non era fiero del compito che gli era stato assegnato? … non di meno aveva accettato evidentemente senza opporre nessuna resistenza… Oscar infastidita si chiese che razza di compagno avesse pensato di poter mai essere per lei, vista l'insistenza con cui l'aveva corteggiata.

André era preoccupato. Per l'intero tragitto non aveva fatto che pensare che rientrare a palazzo Jarjayes non fosse una buona idea. Trincerato dietro un ostinato silenzio, una volta arrivati aveva evitato di guardare Oscar,  concentrandosi sui cavalli. Doveva portarla via. Aveva bisogno di tempo per riflettere.

Oscar rimase qualche istante a guardarlo mentre sistemava Alexandre e César, aspettandolo senza parlare, poi l'odore del cuoio, dello stallatico e del fieno la investì come un pugno nello stomaco e sentì montare una nausea che non riuscì ad arginare. Si voltò. Non voleva che André la vedesse in faccia. "Ti precedo a casa" gli disse sbrigativa. Non aspettò la sua risposta e uscì velocemente. Dopo pochi passi fu costretta a fermarsi da un conato di vomito. "Accidenti a te André!" disse a denti stretti, pulendosi la bocca con il dorso della mano.

 

Sua maestà Luigi XVI ascoltava cupo alti ufficiali dell'esercito, ministri e consiglieri scagliarsi contro il generale Jarjayes, ma non riusciva ad ascoltare nessuno di loro. Gli avevano riferito che il comandante dei soldati della guardia si era macchiato di gravissima insubordinazione e di tradimento, chiedendo ai danni suoi e della sua famiglia i più infamanti provvedimenti punitivi, ma più gli riferivano di  come il comandante Oscar François de Jarjayes fosse indegno del ruolo che aveva avuto l'onore di ricoprire, più il suo pensiero andava al viso gentile e amico di madamigella Oscar, con quel suo sorriso confortante e rassicurante. Mentre i generali indignati offendevano Jarjayes, il re ripensava a quando non era che un goffo giovanotto troppo grasso e madamigella Oscar lo accompagnava nelle battute di caccia, fingendo di non notare la sua incapacità e i suoi modi maldestri. Era stata lei a insegnargli a sparare, ad aiutarlo a rialzarsi ogni volta che era stato disarcionato dal suo cavallo, senza mai metterlo in imbarazzo, ma offrendogli sempre una mano con dolcezza e spiegandogli con pazienza come montare e come gestire il cavallo. Era a lei che aveva confidato le sue ansie e le sue preoccupazioni di giovane sposo, ricevendo sempre di rimando una buona parola e un'infinita discrezione. Sempre madamigella Oscar era stata la più devota amica della sua regina. Aveva accudito e difeso sua maestà Maria Antonietta, portando tutta la pazienza possibile con i suoi continui capricci e cercando di sostenerla e consigliarla per il meglio, anche se, lui lo aveva visto coi propri occhi, la sua sposa aveva raramente dato ascolto alle sue sagge parole, seguendo piuttosto le volubili voglie di dame di compagnia interessate esclusivamente a ottenere privilegi personali. Luigi rivide con gli occhi della mente madamigella Oscar presentarsi a corte in alta uniforme per far ballare con lei per un'intera notte la sua regina, quando tutti sapevano che il colonnello Oscar non ballava mai, solo  per tenere Maria Antonietta al riparo dai pettegolezzi su lei e il conte di Fersen… Il conte di Fersen… Luigi si coprì gli occhi con una mano; madamigella Oscar era stata la sola a non sparlare mai del conte e della regina… 

Il generale Jarjayes si era alzato, proclamando che avrebbe provveduto lui a punire la sua figlia ribelle, nell'attesa di conoscere i provvedimenti che la corona avrebbe preso contro la sua intera famiglia. Il re trasalì. Non voleva che fosse preso nessun provvedimento nell'immediato.  Voleva avere del tempo per pensare. Si alzò a sua volta, dicendo che per prendere qualsiasi decisione in merito aveva bisogno di consultare sua maestà la regina. Lasciò la riunione camminando con le mani dietro la schiena, fra l'ossequio degli astanti, con un'espressione di immensa tristezza sul volto. 

Quando madamigella Oscar aveva chiesto di lasciare la guardia reale, il re aveva appreso la notizia con grande dispiacere. Era stato da subito convinto che ci dovesse essere in qualche modo sua moglie all'origine di tale decisione, ma non era riuscito a comprendere in quale modo. Sarebbe stato disposto a concedere qualsiasi privilegio per convincere madamigella Oscar a non andarsene, ma lei era stata irremovibile. Luigi aveva lasciato che fosse sua maestà la regina a occuparsi della faccenda, ma non aveva potuto che dispiacersi venendo a conoscenza del nuovo incarico che era stato assegnato a madamigella Oscar… comandare i soldati della guardia… Lei, con quella sua innata eleganza, fra i soldati della guardia metropolitana…

Avanzando lungo i sontuosi corridoi della reggia, sua maestà Luigi XVI scuoteva il capo mestamente, recandosi verso gli appartamenti della regina.

 

Appena entrata in casa, Oscar era stata accolta con affetto e premura dalla nonna di André. L'anziana governante  voleva immediatamente farle preparare la cena, ma lei non aveva nessuna voglia di mangiare. Si accomiatò velocemente, andando a raggiungere il suo salottino preferito, dove finalmente si lasciò cadere su una poltrona, chiudendo gli occhi stremata, nell'attesa che André la raggiungesse.  Avrebbe dovuto parlargli veramente questa volta. 

André arrivò poco dopo, con un calice di vino rosso sia per sè che per lei. Serio in volto, con un'espressione tirata e provata si chinò verso di lei. "Dobbiamo andarcene." le disse "Subito. Non è stata una buona idea tornare a casa.". Oscar lo guardò con gli occhi sgranati. "Ascolta," proseguì André "vai a prendere quello che ti serve. Il generale non è ancora rientrato da Versailles. Voglio portarti via prima che torni.". Parlava sottovoce, scandendo bene ogni parola e cercando di non allarmarla, ma il suo tentativo fu inutile: sua nonna li raggiunse. "Oscar, tuo padre è tornato." disse loro "Ti aspetta nel suo studio… subito…". André strinse le labbra ed espirò rumorosamente. Oscar lo guardò e lui le appoggiò un attimo la mano su una spalla prima di lasciare che si alzasse per raggiungere il generale.

La guardò avviarsi lungo l'ampia scalinata e gli sembrò più sola che mai. Fece per seguirla, ma sentì la manina fresca di sua nonna stringere la sua. "È successo qualcosa André?" gli chiese "Il generale sembrava davvero molto serio…". André le sorrise con dolcezza, con il cuore gonfio per la tenerezza e la consapevolezza di non poter risparmiare dei gravi dispiaceri a chi gli aveva sempre voluto bene. "Ma no nonna!" le rispose "Cosa vuoi che sia successo!". La salutò con gentilezza e premura e si avviò lentamente per le scale. Camminò fino allo studio del generale per ritrovarsi per la seconda volta nella stessa giornata davanti a una porta chiusa, di fronte alla quale non gli restava da fare altro che aspettare. Di nuovo si appoggiò al muro. Di nuovo, con le braccia conserte, accavallò le gambe. Di nuovo, impaziente e nervoso, si mise a contare minuti che non passavano mai. Una cameriera curiosa si avventurò lungo il corridoio. André se ne liberò con un gesto rabbioso accompagnato da parole volgari. La guardò sparire in fondo al corridoio e decise di non poter più aspettare. Le voci oltre la porta gli arrivavano sommessamente. Avrebbe preferito sentir urlare il generale… almeno avrebbe potuto capire le sue intenzioni. Era sicuro che volesse punire la figlia per i fatti della giornata… Ripensò con amarezza alle molte volte in cui aveva assistito impotente alle punizioni inferte a Oscar dal padre e seppe di non poterlo più accettare né sopportare.

Quando aveva seguito Oscar in caserma aveva dovuto lasciare spada e fucile, ma nessuno si era accorto della pistola che portava con sè. La toccò per controllare che fosse tutto a posto e aprì la porta.

 

Oscar cercava  di controllare il turbine di emozioni che l'aveva investita: rabbia, paura, sgomento, delusione: suo padre voleva ucciderla! Voleva ucciderla per lavare il disonore col sangue. Lei gliel'aveva detto: non poteva morire adesso. Mille volte se l'era ripetuto nelle ultime settimane… non poteva morire adesso… e ora più che mai. Per la prima volta da quando il dottor Laçonne le aveva parlato ore prima, si rese conto di non essere più responsabile solo per se stessa.

Aveva guardato il padre con fermezza e gli aveva detto di non aver intenzione di morire, ma il generale non l'aveva ascoltata. Oscar decise che non avrebbe accettato la morte né alcuna punizione; si sarebbe difesa! Mentre avvertiva i movimenti del generale che si avvicinava brandendo la spada contro di lei alle sue spalle, sentiva dentro sè un angolo di cuore morire lentamente: suo padre la voleva veramente uccidere. Il dolore per quello che stava vivendo le incrinò irrimediabilmente l'anima. Non si sarebbe lasciata ammazzare e si rendeva conto con chiarezza che  l'amore e la devozione per suo padre che stava perdendo in quel momento non sarebbero tornati mai più.

Quando André fece irruzione nella stanza Oscar stava per alzarsi dalla sedia, la mano destra già sull'elsa della spada… Il generale non fece in tempo nemmeno a girarsi; André gli fu addosso in un attimo, trattenendo il braccio con cui reggeva la spada. Più giovane e più forte, riuscì a spingerlo oltre Oscar, fino alla finestra. Fuori era ripreso a piovere e un violento temporale portò una folata di vento all'interno della stanza, spegnendo le luci. Il generale era fuori di sè. "Andrè!! Ma che cosa vuoi fare?? Vattene! Vattene!!". André non mollò la presa e lo affrontò: "No... non me ne vado signor Generale! Non me ne vado! Non vi permetterò di uccidere Oscar!". Il generale era furioso e costernato:  "Andrè! Vattene via! Vattene!". Finalmente André riuscì a disarmarlo. In un attimo aveva già la pistola in mano e gliela puntava addosso con determinazione: "Badate,  sono pronto a sparare. Non vi muovete,  perché io adesso andrò via insieme a Oscar.". Il generale tremava di collera:: "Cosa? Tu vorresti scappare con Oscar?". André si sentì finalmente come liberato di un peso. Tutta la vita aveva soffocato i propri sentimenti dentro di sè e ora non riusciva più a trattenerli. "Sì" gli rispose semplicemente. Il generale lo guardò con odio e disprezzo: "E magari vorresti anche sposarla. Non è vero?". Certo, pensò André. Certo che voleva sposarla. "Sì" gli rispose con orgoglio. Il generale si sentì oltraggiato. "No!" gridò "Sarebbe una grossa sciocchezza, perchè la differenza di rango che esiste tra voi non si cancellerebbe mai!". André pensò a quanta pochezza d'animo c'era in quelle parole. "Permettetemi una domanda," gli disse "che cosa significa rango? Non siamo tutti uguali, forse?". Il generale non poteva credere a tanta impudenza. Si sentiva oltraggiato. "Un nobile prima di sposare deve chiedere il permesso a Sua Maestà il re!" gridò a gran voce. André sorrise con amarezza: "Sì, lo so… ma se sua maestà il re si innamora di una donna, deve forse chiedere a qualcuno il permesso di sposarla?" mormorò. 

Oscar era rimasta impietrita: quanto amore poteva esserci in un uomo disposto a sfidare il mondo per lei? Poi fu un attimo. Lei se ne accorse prima ancora che accadesse. Il generale afferrò la statuetta di Marte in alabastro dal tavolo accanto a lui e colpì André forte in pieno volto. Oscar sapeva che André non aveva neppure visto arrivare il colpo: suo padre l'aveva colpito sul lato sinistro. "Basta André! Mi dispiace non posso perdonarvi!" tuonò il generale. Oscar guardava André: a terra, in ginocchio, aveva lasciato andare la pistola, dicendo:  "Allora se ci dovete uccidere, uccidete prima me,  perchè se mi uccidete dopo, sarò costretto ad assistere alla morte della donna che io amo.". Non aveva abbassato lo sguardo un solo istante. Oscar non potè sopportare oltre. Fu veloce. Recuperò la pistola e in un attimo fu fra suo padre e il suo uomo. Il braccio alzato, il respiro contratto, la mano ferma e la mente lucida nonostante il cuore in subbuglio, Oscar puntò l'arma contro il generale. "Lasciateci andare" disse piano. Non avrebbe mai sparato, puntare la pistola contro suo padre le costava come doversi strappare il cuore dal petto, ma aveva bisogno di assicurare una via di fuga per André e per se stessa. Nel silenzio sentì i singhiozzi sommessi della governante che piangeva dietro la porta. "Lasciateci andare" ripeté.

Un rumore di zoccoli li sorprese tutti. Dalle finestre aperte una voce richiamò la loro attenzione: "Aprite! Aprite subito! Porto un messaggio da Versailles!". Oscar abbassò la pistola e il generale lasciò velocemente la stanza. André, ancora in ginocchio, la guardò, lei gli si avvicinò passandogli una mano fra i capelli, in un gesto pieno di tenerezza; lasciò che lui appoggiasse il capo al suo ventre, tenendolo a sè con la mano sinistra, mentre teneva l'arma ancora stretta nella mano destra. Quando lui si alzò gliela restituì.

 

Uscirono insieme e si fermarono a guardare l'ingresso dalla balaustra. Il generale stava immobile dinnanzi al messo inviato da Versailles. La nonna di André era stata la prima a scendere ed ora stava da una parte, abbracciata a Madame Jarjayes, in veste da camera. Il salone si stava popolando di cameriere e valletti curiosi. André li guardò a disagio: aveva passato troppo tempo fra cucine, lavanderie e scuderie, o nei letti di cameriere compiacenti,  per non sapere quanto piaceva al personale di servizio poter parlare e sparlare dei padroni. Erano tutti là, nascosti con falso pudore, a guardare, pronti ad ascoltare avidamente… André notò Thomas, il valletto personale del generale, ben in vista, appoggiato a una colonna, in piena luce: non si dava nemmeno la pena di nascondersi… Lo guardò con rabbia: di circa dieci anni più vecchio di loro, sempre impeccabile nella sua livrea, aveva un volto troppo lungo con una larga fronte stempiata e un aspetto untuoso. In più di vent'anni a palazzo Jarjayes, era stato sempre di un'abilità straordinaria nel cogliere ogni occasione per montare il generale contro la figlia. André si era sempre chiesto cos'avesse mai avuto contro di lei. 

Immobile accanto a Oscar, in attesa di conoscere le notizie provenienti da Versailles, André immaginò Thomas correre rapidamente dal suo padrone appena possibile, per chiedergli come avesse potuto essere tanto magnanimo da perdonare quella figlia indegna e ingrata… Mille volte l'aveva visto sorridere soddisfatto mentre Oscar veniva picchiata o punita… mille volte aveva dovuto sopportare i suoi commenti disgustosi. Istintivamente si spostò, coprendo Oscar dalla sua vista: voleva proteggerla.

Il messo reale, in livrea rossa e oro, con la capigliatura appiattita dalla pioggia che continuava a cadere incessantemente, parlava con un tono formale e con voce alta e chiara. Sua Maestà la regina aveva personalmente concesso la sua grazia a Oscar François de Jarjayes. Nessun provvedimento sarebbe stato preso nei suoi confronti né nei confronti della sua famiglia. Oscar strinse le labbra: nel messaggio si parlava solo di lei. Nessuna grazia era stata concessa per i suoi soldati. André aveva aggredito dei superiori per aiutarla a fuggire; non sarebbero potuti tornare in caserma al momento: l'avrebbero potuto ancora arrestare. Non l'avrebbe permesso.

Il messo aveva finito di parlare e il generale l'aveva congedato fra dimostrazioni di ossequio e di gratitudine; ora guardava in alto verso la figlia, ancora ferma con André al piano superiore. "Oscar! La tua vita è salva!" esclamò "Grazie alla generosità della nostra regina, la tua vita è salva!". La voce vibrante d'emozione, il generale se ne stava piazzato in mezzo al salone con le braccia allargate e un aspetto solenne. Thomas ostentava un'espressione di compiaciuto disprezzo. André cercò di prendere per mano Oscar. Voleva portarla via subito, ma lei rimase immobile. Si accorse che stava tremando; la guardò: un'espressione di durezza e dolore le si si era dipinta sul volto. "La mia vita è salva grazie ad André, padre." disse con voce ferma. Respirò profondamente prima di continuare: "La mia regina mi ha concesso una grazia, ma voi mi avreste già ucciso se André non vi avesse fermato… Quindi no, padre, non è grazie alla magnanimità della regina che io sono salva, ma grazie al coraggio di André.". Il generale vibrava di collera. "Come osi?!?" gridò. Oscar non gli diede il tempo di continuare. "Me ne andrò con lui.", la voce ferma, il tono incolore; non stava perorando una causa: stava annunciando una certezza. Il generale era furente: i pugni chiusi, il volto contratto, la bocca piegata in una smorfia di disprezzo. Tutti gli occhi nel grande atrio erano puntati su Oscar. André pensò che sarebbe stato molto più difficile tenerla al sicuro se fossero corse troppe voci su di loro. "Vieni via," le disse "stiamo dando spettacolo.". Lei si girò un attimo solo verso di lui: "Non mi importa." mormorò. André indurì l'espressione: gli occhi seri, le sopracciglia aggrottate… Gliene sarebbe dovuto importare invece: Thomas non era come uno dei soldati della guardia, a cui non importava che il comandante Oscar fosse una nobile; avrebbe trovato il modo di far loro del male. Avrebbe reso impossibile a Oscar riavvicinarsi alla sua famiglia. "Smettila. Andiamo." le ripeté. Il generale gridò: "Non avrete mai la mia benedizione!". Ad André bastò un solo sguardo: la stessa determinazione della mattina, quando aveva scaraventato il colonnello Labonne giù per le scale…seppe che non avrebbe potuto fermarla. "Seguirò quest'uomo dovunque vorrà portarmi, padre." disse Oscar con fermezza "... e farete bene a darci la vostra benedizione o il vostro erede sarà un bastardo!".

Scesero le scale insieme. André teneva ancora la pistola stretta nella mano. Oscar fissò solo un attimo negli occhi il generale prima di attraversare il salone con passi lunghi e decisi. Ormai all'ingresso, si fermò di fronte a sua madre, ancora abbracciata alla governante. L'anziana, gli occhiali appannati e la cuffietta in disordine, aveva il viso rigato di lacrime. André non si sentì di guardarla. Strinse la mano di Oscar. "Preparo i cavalli" le disse "se non mi raggiungi in cinque minuti ti vengo a prendere.". Oscar annuì. Vide André uscire nell'oscurità e camminare sotto la pioggia verso le scuderie. Restò solo un attimo in silenzio, poi allungò una mano verso sua madre, ma questa rimase immobile e lei la ritrasse. Oscar chiuse gli occhi e ingoiò le lacrime. Quando li riaprì mormorò solo poche parole: "Mi dispiace madre.". Si voltò e uscì.

 

Camminando verso le scuderie ad ampie falcate, André sentiva il cuore il gola e aveva la mente piena di pensieri in cui non riusciva a mettere ordine. Ancora la pioggia. Imprecò. Quando raggiunse le stalle era talmente irrequieto che fece agitare i cavalli. Cercò di calmarsi e di respirare regolarmente. L'uniforme, bagnata da ore, gli pesava addosso terribilmente. Aveva già sellato César e si apprestava ad occuparsi di Alexandre quando sentì un rumore di passi dietro di sè. Non ebbe bisogno di voltarsi per sapere che non era Oscar. Istintivamente portò la mano alla pistola, girandosi. Una risata di scherno lo ferì come una stilettata: era Thomas. "Allora è vero! Ti scopi la figlia maschio del padrone! Sei riuscito a infilarti nel suo letto! È frigida come sembra o c'è qualcosa di caldo fra quelle gambe?". André sentì il sangue pulsargli così forte nelle vene che un fastidioso ronzio gli invase le orecchie; pensò che quella sera e per parecchi giorni a venire il generale si sarebbe dovuto trovare un altro valletto. Fermo in piedi in fondo alla stalla, fece scorrere una mano lungo la parete di legno e afferrò uno dei ferri di cavallo appesi ai chiodi, che lui stesso, tanto tempo prima, aveva sistemato in bell'ordine. Lasciò cadere la pistola fra la paglia e con il ferro ben stretto nella mano destra coprì in un attimo la distanza che lo separava da Thomas. Questi non fece neppure in tempo a 

difendersi. André gli sferrò un colpo in faccia dando sfogo a tutta la rabbia che la risata e le parole sprezzanti avevano fatto nascere in lui. Sentì distintamente il pugno affondare nello zigomo dell'avversario e seppe di averglielo rotto, mentre il sangue gli schizzava sul viso e sulle mani. Thomas urlò, ma lui non si fermò. Tenendolo per il collo gli sferrò un secondo colpo, poi un terzo e un quarto… non si accorse nemmeno di Oscar ferma sulla soglia a guardarlo.

 

Oscar era uscita da palazzo Jarjayes senza voltarsi. Camminando sotto la pioggia verso le scuderie con il cuore gonfio e la mente in subbuglio, aveva visto Thomas entrare nelle stalle. Aveva subito pensato ad André solo e aveva affrettato il passo. Non poteva venire nulla di buono da Thomas… il valletto di suo padre l'aveva sempre trattata con disprezzo e sapeva anche che tante volte aveva montato il generale contro di lei. La "figlia maschio" o il "figlio sbagliato" la chiamava. Arrivò sulla soglia in tempo per vedere André colpirlo ripetutamente, un ferro di cavallo stretto nel pugno chiuso. Oscar si accorse subito che Thomas, la faccia ridotta a una maschera di sangue, non era più in sè. "Fermati!" disse "Fermati André!". In tanti anni vissuti insieme, era la prima volta che toccava a lei trattenerlo. Era sempre stata lei l'attaccabrighe, l'impetuosa, la fumantina… mentre André era sempre stato mite, controllato, misurato… C'era un altro André, oltre a quello che lei aveva sempre conosciuto. 

Ansante e accaldato, André si alzò e la guardò. "Mi dispiace" disse. "Non importa" gli rispose lei. André vide il sangue sulle proprie mani e si vergognò. Uscì dalla stalla. La pioggia si era fatta meno intensa; Oscar lo guardò aprire la pompa dell'acqua e lavarsi alla meglio. Rientrò muovendosi come una furia. Recuperò la pistola e portò fuori i cavalli. Legò il proprio a quello di Oscar e con un movimento agile montò su César. Tenendo entrambe le redini con una mano, allungò l'altra verso Oscar: "Ti prego," le disse "vieni con me adesso". Oscar lo guardò: il volto stanco, la divisa slacciata, i capelli scarmigliati… "Certo che vengo con te" pensò "... ho lasciato tutto per venire con te…". Porse la mano verso la sua e lasciò che l'aiutasse a montare César assieme a lui. André fece partire il cavallo al galoppo, Oscar si appoggiò a lui e sentì il sollievo di non dover decidere più nulla. Ripensò alle proprie parole di poco prima: "Seguirò quest'uomo dovunque vorrà portarmi". Chiuse gli occhi e non pensò più a niente.

 

André, tormentato da pensieri sul futuro che lo preoccupavano e lo spaventavano,  spingeva i cavalli al galoppo; non aveva idea di cosa li aspettasse ora né di cosa dovesse fare, ma almeno sapeva dove portare la sua Oscar per il momento.

La tenuta della famiglia Jarjayes era immensa e raramente qualcuno si spingeva oltre il parco attorno al palazzo. Nessuno a casa Jarjayes cacciava: a Oscar non era mai piaciuto e le sole volte in cui l'aveva fatto era stato per accompagnare sua maestà il re a Versailles, mentre il generale considerava la caccia inutile, come ogni attività ludica e quindi non se ne occupava. Benché nessuno cacciasse, la tenuta era tuttavia provvista di un lussuoso rifugio in mezzo a una zona boschiva. In passato era stato utilizzato per intrattenere ospiti, per lo più i mariti delle figlie del generale in visita, ma con la situazione turbolenta di Parigi, da tanto a casa Jarjayes non si ricevevano visite ed era improbabile che ora potesse servire a tale scopo.

Benché non frequentato, André sapeva che il rifugio era sempre tenuto in ottime condizioni; se ne occupava infatti Jean Luc. Jean Luc era stato per tutta la vita il valletto personale del generale. Poco più di vent'anni prima a causa di un incidente a cavallo che gli aveva procurato una leggera zoppia, era stato sollevato dal suo incarico. Il generale infatti non aveva saputo che farsene di un valletto sciancato e l'aveva sostituito con Thomas, ma non sentendosi di liberarsi definitivamente di lui, gli aveva affidato la cura del rifugio, così da allontanarlo dalla casa senza tuttavia lasciarlo privo di un impiego che garantisse il suo sostentamento. Fedele alla famiglia, Jean Luc aveva sempre svolto il suo incarico con precisione, ma André sapeva che aveva coltivato dell'animosità nei confronti del padrone, che senza offrirgli alcuna possibilità di dimostrare il valore della sua professionalità, era stato così pronto a sostituirlo con un servitore più giovane. Per questo André pensava di potergli chiedere aiuto, sicuro che lui e Oscar non sarebbero stati traditi. 

 

Cavalcando sotto la pioggia, appoggiata al petto di André, Oscar sentì tutto il peso della stanchezza di quella giornata interminabile e perse la nozione del tempo. Quando arrivarono e lui scese da cavallo, aiutandola a scendere a sua volta, fu sorpresa dalla sua scaltrezza: lei non ci aveva pensato… il rifugio di caccia… non li avrebbero mai cercati là. Sarebbero potuti restare anche qualche giorno. Gli sorrise, gli occhi lucenti appena socchiusi in uno sguardo di ammirazione. "Bravo André." mormorò. 

André trovò subito le chiavi, nascoste in una fessura nel legno degli scalini di ingresso ed entrò. "Vieni Oscar. È tutto a posto qui.". Nel buio della notte Oscar indovinò appena la sua sagoma, lo vide togliersi la giacca dell'uniforme e accendere il fuoco nel camino con pochi gesti rapidi. Una luce calda inondò la stanza. André raccolse la propria giubba appendendola accanto al fuoco acceso, poi le si avvicinò e l'aiutò a togliersi la propria, facendo altrettanto. Era estate, ma avevano bisogno di lasciar asciugare le uniformi e i panni che indossavano perché al momento non avevano altro. Avrebbe lasciato acceso il fuoco solo per il tempo necessario. Oscar si lasciò cadere su un'ampia poltrona, fra cuscini di broccato rosso scuri profilati di passamanerie preziose. André le si avvicinò, la maglia aderente al busto, i capelli ancora bagnati. "Ti aiuto" le disse, alzandole le gambe e prendendole uno stivale e poi l'altro. "Dammi la camicia" disse di nuovo, porgendole una coperta morbida presa da una piccola cassapanca bassa, sotto alla finestra protetta da pesanti tendaggi. Con un panno si strofinò la testa bagnata. Oscar lo guardava, pensando che invece lei non sarebbe riuscita più ad alzare nemmeno un braccio almeno fino all'indomani. I capelli bagnati le davano fastidio sul collo e lungo la schiena, ma non gliene importava. Quando lui le si avvicinò, sfilandoglieli dalla coperta e tamponandoglieli con forza, lo lasciò fare, inerme. "Non mi devi dire niente, Oscar?" le chiese con voce ferma. "Non ho voglia di parlare." gli rispose, la voce piatta, il tono indifferente… André sbuffò. "Senti Oscar..." esordì, ma lei lo fermò: "E non ho voglia neanche di ascoltarti André.". André si sentì frustrato: perché doveva essere sempre così ruvida? Sbuffò, spazientito e fece per prendere la porta, ma lei lo fermò: "Non… non andare via! Resta qui! Non voglio restare sola!". La voce bassa e roca, il tono perentorio, lo sguardo duro: André pensò che Oscar sembrava sempre dare ordini. Anche quando chiedeva. Anche quando pregava. Infastidito le rispose con sarcasmo: "Non vado da nessuna parte mio comandante."."... e dove vuoi che vada?" pensò "... senza di te?". Espirò, stringendo le labbra e chiudendo gli occhi solo un attimo, la mano già sulla maniglia della porta d'ingresso. "Voglio solo vedere se riesco a trovare Jean Luc e a procurarmi qualcosa da mangiare." le disse. "Non ho fame." gli rispose lei, torva. "Dio Oscar! E allora ho fame io, va bene?" sbottò "E mi farai comunque compagnia perché per quanto ne so io sei digiuna almeno da stamattina!". "Se non da ieri sera…" pensò preoccupato. Oscar lo guardò uscire sbattendo la porta. Si passò una mano sugli occhi e si strinse nella coperta. Voleva solo riposare.

 

André rientrò poco dopo, portando con sè un fagotto che aprì sul tavolo, disponendovi pane nero, carne essiccata, qualche pesca e una bottiglia di sidro. Si tolse la maglia, lasciando anche quella ad asciugare vicino al fuoco. Cercò posate e stoviglie ma non ne trovò. Trovò solo un coltello da caccia dimenticato su una mensola. Tagliò il pane e iniziò a mangiare guardando Oscar. Sapeva che era stanca, ma era sicuro che non dormisse. "Accidenti Oscar!" pensò. Bevve dalla bottiglia e finì di masticare. Prese il sidro e un paio di pesche e le si avvicinò, sedendosi accanto a lei nella grande poltrona. "Hei!" le disse, tagliando un pezzo di frutto e porgendoglielo: "Tieni, dai!". Oscar aprì gli occhi. Lasciò uscire una mano dalla coperta e accettò la sua offerta. La pesca era dolce e succosa; André gliene porse un altro pezzo e lei lo portò alla bocca fissando il proprio sguardo nel suo. Le porse la bottiglia: "Bevi, è sidro. Ti piace.". Era vero, le era sempre piaciuto il sidro. Ne bevve qualche sorso e gli sorrise. André si sporse verso di lei pulendole con il pollice le labbra umide. Continuò a offrirle pezzi di frutta finché lei non gli disse di aver mangiato a sufficienza e allora lasciò cadere i noccioli e il coltello a terra, accanto alla bottiglia e si piegò verso di lei, abbracciandola. Oscar lo accolse aprendo le braccia e avvolgendolo con sè nella coperta. "Sta ancora piovendo?" gli chiese. "Sì. Vieni adesso," rispose lui alzandosi e andando a togliere i cuscini dallo schienale di un largo sofà "andiamo a letto.". Oscar si alzò di malavoglia dalla poltrona, ma lo seguì comunque: l'avrebbe seguito ovunque… Fece qualche passo e si sedette pesantemente sul bordo del sofà. Guardò André togliersi i pantaloni e mettere ad asciugare pure quelli, prendendo anche per sè una coperta che avvolse attorno ai fianchi prima di tornare da lei e spogliarla. Oscar si lasciò sfilare i pantaloni senza fare obiezioni.

André finì di sistemare tutti i panni e attizzò il fuoco prima di girarsi verso Oscar, guardandola rannicchiarsi nella coperta che le aveva dato: la sua leonessa… in un solo giorno aveva sfidato l'esercito, la corona e la sua famiglia… Eppure sotto quell'aspetto sempre altero, dietro quel coraggio e quella sicurezza sempre ostentati, dietro quei silenzi fatti di orgoglio e dietro la scorza dura con cui aveva rivestito la sua anima, c'era un'altra Oscar, che lasciava vedere solo a lui. Un'Oscar fatta di dolcezza, che non aveva paura dei propri sentimenti, che sapeva amare dandosi completamente e senza riserve. Un'Oscar che non aveva bisogno di dare ordini e che invece sapeva lasciare che lui si prendesse cura di lei. Un'Oscar capace di gesti di tenerezza e che lo faceva sentire amato, voluto e desiderato; che nell'intimità lo sapeva sorprendere con la sua morbidezza e con la fiducia con cui si donava e si affidava a lui, senza pudore, senza difese. André si avvicinò e si stese accanto a lei, carezzandole piano i capelli. La attirò a sè, sentendo la sua schiena leggera contro il proprio petto e la strinse, ascoltando nel silenzio il suo respiro regolare. Sperò potesse almeno riposare, mentre lui, assalito da mille pensieri, nonostante la stanchezza, sapeva che non sarebbe riuscito ad abbandonarsi al sonno.

 

Oscar teneva stretta al seno la mano di André e sentiva il suo respiro dietro la nuca. Era così stanca che ogni pensiero le costava fatica, ma non di meno le dava tanto tormento da non poter dormire. Continuava a rivedere con gli occhi della mente i suoi soldati arrestati sotto la pioggia, André che la teneva per mano mentre correvano col cuore in gola attraverso i corridoi della caserma, la guardia reale schierata… e poi suo padre che brandiva la spada contro di lei, sua madre che si rifiutava di prenderle la mano…   e il dottore che le parlava… Dio… il dottore che le parlava… si girò di scatto e si trovò dinnanzi al viso di André, ancora sveglio, l'espressione sorpresa, le labbra che si aprivano per lei in un sorriso mite, mentre alzava un braccio per accarezzarle piano una guancia con il dorso della mano. Oscar abbassò la testa per trattenere un attimo in più quel gesto sul proprio viso e fissò André, prima di alzarsi a sedere, portando i lunghi capelli su un fianco con un gesto fluido. Lasciò che la coperta le scivolasse dalle spalle, scoprendo la sua nudità, offrendosi allo sguardo del suo uomo. 

Voleva che lui la guardasse. Voleva che lui la prendesse. Voleva potersi abbandonare senza dover più decidere niente. Voleva solo potersi affidare a mani che la accogliessero e la guidassero. Voleva perdersi rinunciando a qualsiasi volontà. 

André lasciò correre lo sguardo lungo la schiena esile: sotto la scapola destra, la pesante cicatrice della spada che l'aveva trafitta tanto tempo prima affermava la propria presenza segnando la pelle bianca come il segno di un morso indelebile, ma scendendo fino in fondo, appena sopra le terga, c'era una piccola fossetta ammiccante a cui non poteva resistere e che aveva turbato i suoi pensieri per quasi vent'anni, da quando, tanti anni prima, i loro corpi avevano iniziato a cambiare e lui l'aveva notata, sotto la veste di lino bagnata, uscendo dal lago dopo aver nuotato assieme in un caldo pomeriggio di agosto. Allungò una mano e la sfiorò appena con la punta delle dita; c'era qualcosa, in quella fossetta, che lo faceva sentire potente oltre  ogni immaginazione: era la consapevolezza di essere l'unico a poterla vedere, a poterla toccare… l'unico a sapere come rifletteva la luce quando lei si muoveva per farsi guardare da lui…  Si sollevò appena, per raggiungerla e cingerla da dietro.  "Vieni qui." le disse. La voce bassa e profonda, una mano già insinuata nella sua intimità, fra le gambe che aveva dischiuso per lui, offrendosi, morbida e umida, alle sue carezze.

La amò con impeto e passione, godendo della sua arrendevolezza, imponendole il proprio ritmo e i propri desideri, a cui lei accondiscese, grata per non dover finalmente  più pensare, né decidere.

Stanca e appagata, quando lo sentì sfilarsi da lei, Oscar potè abbandonarsi a un sonno senza sogni. André ascoltò il suo respiro a lungo, la bocca affondata fra i suoi capelli biondi, mentre la stringeva, addormentata sul suo petto.

 

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Capitolo 7
*** Accusa di tradimento - parte 3 ***


Capitolo 5 - Accusa di tradimento - Parte 3

Oscar aprì gli occhi. La luce era già intensa nel rifugio. Il profumo della cenere riempiva l'aria. Aveva dormito troppo. Si strofinò la fronte e mandò indietro i capelli; lo stomaco reclamava e la bocca era terribilmente impastata. Si premette le dita sulle labbra e si alzò velocemente, avvolgendosi alla meglio in una delle coperte abbandonate ai suoi piedi. Corse fuori non riuscendo a chiudere la porta dietro di sè e si piegò per vomitare appena scesi i gradini dell'ingresso. I cavalli la guardavano tranquilli; César muoveva ritmicamente un orecchio, fissandola con i suoi grandi occhi scuri e acquosi.  Aveva bisogno di lavarsi. Forse c'era una pompa per abbeverare i cavalli. Fece qualche passo ma un altro conato la fermò. Si mise seduta sui gradini e aspettò rassegnata che il malessere passasse. 

Rientrò. André dormiva ancora; riverso sul sofà, le braccia alzate a fare da cuscino e i capelli sparsi che gli scoprivano il volto, aveva un respiro profondo e regolare. Oscar si soffermò a guardare il suo occhio cieco, con l'orbita attraversata dalla sottile linea della lama che lo aveva ferito. Lo accarezzò impercettibilmente. La barba sfatta gli dava un aspetto più rude. Oscar pensò che era molto bello. Silenziosamente, si mosse per la stanza. I panni erano ormai asciutti. Indossò i suoi pantaloni, ma mise la maglia di André. Troppo grande per lei, le si appoggiava al corpo disegnandone ogni forma, ma era morbida e l'abbracciava. Raccolse da terra gli avanzi della sera prima, buttando i noccioli nel camino e riportando sul tavolo il coltello e la bottiglia. Si sedette, un piede a terra e l'altro sulla sedia, portando un ginocchio al petto. Tagliò un pezzo di pane; era duro, ma sperava portasse un poco di sollievo al suo stomaco in rivolta. Masticò piano e di malavoglia, poi prese un sorso di sidro dalla bottiglia. Cercò di riflettere. A mente lucida riusciva finalmente a guardare col dovuto distacco agli eventi del giorno prima, considerando soluzioni e opzioni che stavano dando forma a un piano sensato.

André si svegliò, sollevando la testa per guardarsi intorno. Accecato dalla luce, si portò una mano alla fronte per farsi ombra. Con fatica mise a fuoco la stanza e vide Oscar seduta al tavolo, un pezzo di pane in mano e la sua maglia addosso, troppo scollata per lei, a segnarle forme e morbidezze. "Oggi ho bisogno che tu vada a Parigi per me, André" gli disse, la voce ferma, il tono perentorio... "Buongiorno anche a te Oscar…" le rispose lui, ributtando giù la testa e nascondendo il viso fra le braccia incrociate. Lei non badò alla sua ironia e continuò: "Io devo tornare in caserma. Voglio rassicurare gli uomini che non abbandonerò i compagni e inoltre bisogna che riprenda servizio immediatamente perché voglio scrivere alcuni documenti importanti. Tu non puoi venire con me perché nella grazia concessa da sua maestà vengo nominata solo io e non i miei soldati e non voglio rischiare che ti arrestino.". Mise in bocca un altro pezzo di pane, sovrappensiero, poi continuò: "Devi procurarti abiti civili. Non voglio che tu indossi l'uniforme finché non sono sicura che non ti possano più arrestare. Inoltre non voglio che tu vada a Parigi in divisa.". Fece una pausa. "Per fortuna dovremmo avere qualcosa in caserma. Per oggi puoi farti prestare qualcosa da Jean Luc, poi stasera ti porto quello che trovo quando torno. Forse farò tardi: devo andare a Versailles.". André si alzò immediatamente a sedere: "A Versailles?!? Che ci vai a fare a Versailles?". "Voglio vedere Girodelle" gli rispose con naturalezza. "Girodelle?" André si ributtò indietro sbuffando: "Cosa devi fare con Girodelle?" chiese con un tono incolore. "Ti giuro che ha un senso," gli rispose lei "ma adesso ascoltami.". André si alzò, recuperando calze e pantaloni. Oscar si sfilò la sua maglia e gliela lanciò, andando a prendere la propria biancheria. "Cosa dovrei fare a Parigi?" le chiese André in malo modo. "Voglio che tu veda Bernard Chatelet. Devi andare a casa sua.". "A casa sua? Perché a casa?".

Oscar non aveva mai nutrito simpatia per Bernard. Non pensava di potergli mai perdonare quello che aveva fatto ad André.  Quando André le aveva detto di averlo incontrato in città mentre arringava i parigini in una piazza gremita, lei aveva pensato con sarcasmo che il Cavaliere Nero avesse fatto proprio una bella carriera: da ladro a sobillatore di folle… Quando poi André le aveva detto che si era sposato con Rosalie e che i due vivevano insieme, si era pentita di aver chiesto a Rosalie di nasconderlo, pensando di essere stata la probabile causa del loro incontro. Era convinta di non aver fornito un buon servizio alla sua protetta… Ora però vedeva le cose sotto un altro punto di vista e pensava che Bernard avrebbe potuto esserle utile.

"Ascoltami André." proseguì "Devi andare da Bernard e dirgli che ho bisogno di un favore personale. Devi dirgli che vorrei che radunasse una discreta folla presso la prigione dell'Abbazia per chiedere la scarcerazione dei miei uomini. Inventa una scusa perché possa sentirsi giustificato agli occhi dei suoi amici difendendo dei soldati. Digli che anche loro sono figli del popolo o qualcosa del genere. L'importante è che tu gli dica tutto davanti a Rosalie. Devi proprio dirgli che glielo chiedo io come favore personale e che garantisco per la sicurezza dei manifestanti… ma è importante che mentre parli con lui sia presente Rosalie…". André sorrise e abbassò lo sguardo scuotendo la testa. "Furba…" pensò; Oscar sapeva benissimo che Rosalie provava per lei un forte senso di devozione; non avrebbe mai permesso al marito di rifiutare un favore chiesto personalmente da madamigella Oscar… dopo poi tutto quello che lei aveva fatto per lui, evitandogli la cattura…

 

Quando Oscar riuscì ad arrivare in caserma era ormai tardi; la piazza d'armi, ancora bagnata e infangata dalle incessanti piogge, si illuminò improvvisamente quando un raggio di sole di mezzogiorno si fece strada prepotentemente fra le nuvole scure. Oscar sentiva il bisogno di sistemarsi e si affrettò per raggiungere al più presto i propri alloggi. Prima di riuscire a raggiungerli incontrò il colonnello d'Agoult. Questi le corse incontro con un'espressione sinceramente preoccupata in volto. Oscar sapeva che il colonnello aveva una simpatia per lei; non sapeva come poteva essersela conquistata, ma la verità era che lui era stato veramente sempre particolarmente premuroso e protettivo nei suoi confronti, fin dal suo arrivo nella guardia metropolitana. Aveva sempre cercato di aiutarla con gli uomini turbolenti e si era offerto molte volte di coprire gli orari più scomodi nelle ronde in città per risparmiarle turni troppo pesanti. Oscar sapeva che il colonnello aveva una moglie dalla salute cagionevole e che aveva perso l'unica figlia in giovane età. Era un uomo buono e un ufficiale onesto e corretto. Vedendolo correre verso di lei, Oscar si vergognò di essere in disordine e abbassò gli occhi imbarazzata quando il colonnello le chiese come stava. Mormorò qualche risposta banale, poi vinse il proprio disagio chiedendo se c'erano notizie dei suoi uomini che erano stati arrestati. Seppe così che erano stati condannati alla fucilazione di lì a pochi giorni senza diritto a un processo. Doveva agire velocemente. Assorta nei suoi pensieri non si era accorta che il colonnello aveva smesso di parlare e la guardava, preoccupato. "Siete sicura di sentirvi bene?" le chiese "Ho temuto il peggio per voi ieri… Avete bisogno di aiuto?". Oscar gli sorrise. "Per ora no, grazie, ma so di potervelo chiedere quando ne avrò.".

Il suo piccolo alloggio, benché spartano, era pulito e in ordine come sempre. Mentre si cambiava, si lavava e si sistemava i capelli, valutando cosa portare con sè rientrando più tardi, pensava a quanto in fretta la sera prima fosse giunto a palazzo Jarjayes il documento con la grazia concessale dalla regina. Data la gravità della colpa di cui si era macchiata e la velocità con cui le era stata concessa la grazia, sua maestà doveva ancora tenere a lei come un tempo, nonostante la lontananza e il fatto che avesse lasciato la guardia reale senza dare spiegazioni. Oscar si sentì meschina rendendosi conto di fare valutazioni riguardo all'amicizia che sempre sua maestà le aveva concesso, ma la verità era che l'esigenza era incombente, perché senza un processo la fucilazione sarebbe stata fissata entro pochissimi giorni e per salvare i suoi uomini aveva bisogno di avere la corona dalla sua parte: anche se Bernard fosse riuscito a radunare all'Abbazia qualche migliaio di persone, era infatti sicura che i generali non avrebbero mai accondisceso a una sua richiesta di scarcerazione per mantenere l'ordine pubblico. Nonostante lei fosse stata perdonata dalla regina in persona, era certa che il generale Bouillé non avrebbe mai lasciato che l'insubordinazione sua e dei suoi uomini restasse impunita. Era necessario che, come per lei, la grazia venisse direttamente dalle loro maestà.

Prima di sedersi alla propria scrivania, Oscar si recò alle camerate. Gli uomini furono molto sorpresi nel vederla; dimentichi della forma, anziché schierarsi le si fecero tutti intorno, dimostrandole affetto e solidarietà. Avevano saputo quello che aveva fatto per proteggere i deputati dell'assemblea ed erano orgogliosi di lei. Alcuni vollero stringerle la mano e ringraziarla. Tutti pensavano che l'avessero arrestata e che non l'avrebbero più rivista; si sentivano dei vigliacchi per non essersi uniti ad Alain e agli altri; Oscar offrì a ciascuno attenzioni e conforto. Uno di loro guardandola negli occhi le disse che era il miglior comandante che avessero mai avuto. Oscar, ricordando la diffidenza con cui era stata accolta al suo arrivo fra i soldati della guardia, si sentì commossa. Tutti volevano sapere dei compagni e lei disse loro che non avrebbe lasciato nulla di intentato per salvarli. Organizzò velocemente i turni per la ronda e il pattugliamento delle strade di Parigi e si raccomandò affinché in città nessuno desse adito per nessuna ragione ad alcuno scontro con la popolazione. Era importante che non ci fosse animosità fra i soldati e i cittadini. 

Oscar sapeva dove dormiva André. Prima di congedarsi si avvicinò alla sua branda e recuperò la sua sacca.

Trascorse qualche ora alla scrivania, redigendo un dispaccio ufficiale a cui avrebbe aggiunto solo data e orario al momento di inviare qualcuno a richiedere che i soldati venissero rilasciati in nome dell'ordine pubblico, poi iniziò a scrivere una lettera personale indirizzata a sua maestà la regina Maria Antonietta. In tanti anni al suo servizio non aveva mai avanzato alcuna richiesta al fine di trarne un vantaggio… o meglio: non aveva avanzato mai richieste di alcun genere e ora farlo la metteva in imbarazzo. Si chiese se ci fosse potuto essere qualsiasi altro modo per risparmiare ai suoi soldati la fucilazione, ma dopo aver lungamente riflettuto giunse alla conclusione che l'amicizia che sua maestà le aveva sempre accordato era l'unica carta che potesse concretamente giocare, specie dopo aver apertamente sfidato il generale Bouillé e dopo aver lasciato definitivamente la casa di suo padre.

Quando ebbe finito e si trovò a dover apporre la sua firma, Oscar esitò: aveva certamente ancora un grado, ma un titolo? Chiuse gli occhi un attimo, stringendo le labbra e spingendo il palmo di una mano contro la fronte, poi decise che la vita dei suoi uomini era più importante della propria incertezza e scelse di firmare il dispaccio per esteso: Oscar François de Jarjayes. Voleva sembrare assolutamente sicura di sè al momento di avanzare la richiesta di scarcerazione. Diversamente firmò invece la lettera per la regina: solo Oscar François.

 

Quando si avviò verso la reggia era ormai tardo pomeriggio e quando giunse a Versailles il personale di servizio era già impegnato nei preparativi per la sera: fuori dagli ingressi inservienti zelanti si apprestavano ad accendere le luci. Oscar si avviò sicura verso le scuderie della guardia reale e come sperava incontrò immediatamente un giovanissimo cadetto. Richiamò la sua attenzione e quando si girò pensò con disappunto che se ci fosse stata ancora lei al comando delle guardie di sua maestà, gli avrebbe assegnato almeno tre giorni di consegna per via dello scarso rispetto per l'ordine della divisa. "Cadetto!" gli ordinò "Vai immediatamente a chiamare il tuo comandante!". Il ragazzo, un adolescente mingherlino con le guance segnate da brufoli e crateri, alzò le sopracciglia sgranando gli occhi in un'espressione stupita e disse: "Non… non so se il colonnello Girodelle mi darà ascolto… non credo che verrà… a quest'ora si prepara per la sera…". Oscar sentì forte l'odore delle stalle penetrarle nelle narici e avvertì nuovamente la nausea montare inesorabilmente.  "Verrà." gli rispose in fretta "Digli solo che Oscar François de Jarjayes è qui e lo vuole vedere subito!". Il conato fu improvviso e violento e Oscar fece appena in tempo a girarsi per vomitare sulla paglia, appoggiandosi con una mano a una trave di legno.  Il giovane fece qualche passo indietro, guardandola. Lei si volse, gli occhi in fiamme, l'espressione rabbiosa: "Che hai da guardare?!? Non hai capito i miei ordini? Fila!". Il cadetto corse via, girandosi indietro di tanto in tanto.

Oscar sputò a terra e si pulì le labbra. Un gruppetto di stallieri la sbirciava incuriosito; con ogni probabilità alcuni di loro l'avevano riconosciuta, ma lei non vi badò. Si allontanò di qualche passo dall'ingresso delle scuderie per evitarne l'odore. Aveva bisogno di presentarsi al meglio a Girodelle; sperava di riuscire a metterlo ancora in soggezione: aveva bisogno che portasse un messaggio per lei. "A quest'ora si prepara per la sera…" pensò Oscar facendo mentalmente il verso al cadetto. "Dovrà farsi dare i suoi cento colpi di spazzola quotidiani…" disse acida fra sè e sè.

L'attesa era snervante e le parve interminabile. "Dannazione Girodelle!". Iniziò a pensare che non sarebbe venuto: dopotutto ora lei era diventata un personaggio piuttosto scomodo… 

Appoggiata a una colonna del porticato, lo vide finalmente sopraggiungere: i capelli fluenti e ordinati, l'incedere elegante, l'abbigliamento prezioso, il volto incipriato… sembrava vivere in un'altra Francia: una Francia in cui non esistevano un'assemblea nazionale né povera gente esasperata, in cui a corte si continuavano a dare feste e balli e in cui ancora un ufficiale poteva porsi il problema di cambiarsi per la sera.

"Oscar! Cara!". "Dio!" pensò Oscar. La infastidiva il suo modo di fare affettato, ma fece buon viso a cattivo gioco e gli andò incontro, seria e altera. "Victor Clément, dovete portare un messaggio per me!". "Farei tutto per voi!". "Mi basta questo" pensò Oscar. "Dite al conte di Fersen che lo aspetterò domattina al Boschetto di Apollo alle sette." gli disse. Lo sguardo fermo, il tono sicuro, il portamento fiero, si comportò come fosse stata ancora colonnello delle guardie reali e Girodelle un suo sottoposto: aveva bisogno che le obbedisse senza riserve e senza fare domande. "Alle sette?" osò Girodelle. "Non ve ne preoccupate. Riferite solo il mio messaggio!". Oscar gli voltò le spalle e si allontanò.

 

Oscar tornò al rifugio di caccia mentre il crepuscolo avvolgeva il paesaggio con la sua sua luce violetta. Le nubi in cielo si erano ormai dipanate e si iniziava a vedere qualche stella mentre la luna sorgeva silenziosa. Oscar abbassò le briglie di César e sganciò dalla sella le sacche con i cambi dei panni per lei e André prese in caserma. Prima di entrare si sorprese a ravviarsi i capelli rendendosi conto, arrossendo, di averlo fatto per lui, di averlo fatto senza pensarci, solo perché lui la trovasse bella. Sorrise di sè mentre apriva la porta. André la stava aspettando. Le andò incontro, abbracciandola, e lei pensò che era confortante appoggiare la testa sulla sua spalla e si accorse che le era mancato.

Sul tavolo, accanto al coltello da caccia, c'erano focaccia al rosmarino, aringhe sotto sale, ciliegie, biscotti alle mandorle e due bottiglie di vino rosso: André le aveva portato tutto ciò che le piaceva. "Non è vero che non si trova di che mangiare a Parigi dunque…" disse Oscar. "Solo se non sai dove cercare…" le rispose lui. "Se hai soldi da spendere trovi di tutto" avrebbe dovuto dirle, ma non aveva voglia di pensare ad altri problemi oltre a quelli che già stavano affrontando. "Com'è andata con Bernard?" gli chiese Oscar. "Ho fatto come hai detto. Ha funzionato.". "Ha accettato?" chiese ansiosa. "Rosalie ha acconsentito prima ancora che Bernard potesse rispondere…". Oscar sorrise, con aria di trionfo. "Per quando? Abbiamo fretta. Il tribunale ha negato il diritto al processo. La fucilazione sarà fissata prestissimo.". André fischiò: "Negato il processo… addirittura…" disse "Bernard pensa di riuscire a organizzare tutto per dopodomani, primo luglio.". "Va bene. Dovrà andare bene…" rispose Oscar pensierosa.

Mangiarono in silenzio, guardandosi di tanto in tanto. Osservando gli oggetti nella stanza, tutti di grande pregio, André pensò che nessuno aveva più usato il rifugio di caccia della tenuta di famiglia da quando il generale vi si intratteneva con Zuli. Cacciò quell'immagine dalla sua mente e sorrise a Oscar, sfiorandole una mano in un gesto di tenerezza.  

Si coricarono presto e fecero l'amore con dolcezza, sfinendosi di sospiri e carezze e guardandosi l'un l'altra alla luce di poche candele ormai consumate.

Schiena contro schiena, nel buio, rimasero in silenzio ad ascoltare il loro respiro. Oscar ripensava ai molti anni vissuti con André: nel bene e nel male, non aveva ricordi di cui lui non facesse parte. Si ricordò delle volte in cui le aveva chiesto di vivere come una donna e per un momento si sentì turbata. "André! Io non cambierò." gli disse a voce alta.  "Non voglio che cambi. Non ti voglio diversa." le rispose lui sottovoce, senza girarsi. "Oscar," aggiunse "hai rinunciato a molto per me…". "Non tornerò indietro. Non ho più un titolo…" disse lei ripensando alla firma apposta poche ore prima nel suo ufficio in caserma "... e appena potrò non avrò più nemmeno un grado. Adesso abbracciami." lasciò passare un istante, poi: "... per favore…" aggiunse piano. André si girò e la cinse con le braccia, attirandola a sè: la sua Oscar, sempre così marziale, sempre così affamata di tenerezza…

 

Uscendo dagli appartamenti del conte di Fersen, il conte di Girodelle si sentiva irritato. Non solo non era stato capace di obiettare o disubbidire a madamigella Oscar, come fosse stata ancora il suo comandante, ma il conte di Fersen non gli aveva dato alcuna soddisfazione, restando impassibile quando lui gli aveva riportato il messaggio, non permettendogli così di poter immaginare nulla sulla natura dell'incontro fissato per l'indomani, a cui lui non era stato invitato.

Quando il cadetto l'aveva raggiunto dicendogli che Oscar François de Jarjayes lo stava aspettando, aveva pensato che lei venisse finalmente da lui chiedendo aiuto: in fondo dopo gli eventi del giorno prima era diventata davvero molto impopolare a corte… Girodelle aveva sperato che madamigella Oscar avesse rivisto le proprie posizioni riguardo alla sua proposta di matrimonio: con lui infatti avrebbe potuto riacquistare senza dubbio tutto il suo prestigio! … aveva fantasticato di poterla tenere sulle spine, per farle pagare quella confidenza così indelicata della sera della cena di gala a palazzo Jarjayes: "Nella mia vita e nel mio letto c'è già un uomo". Aveva sperato di farsi pregare e si era immaginato a darle ordini a cui finalmente lei avrebbe dovuto obbedire… e invece era stata nuovamente lei a dargli ordini… e lui non era stato capace di sottrarsi alla sua autorità, come il giorno prima, quando aveva fatto dietro front davanti all'intera assemblea e ai suoi uomini.

Mentre camminava lungo i corridoi di Versailles, la giacca sontuosa profilata di filo d'argento emetteva bagliori luccicanti incontrando la luce delle candele e Girodelle si chiedeva ancora una volta e ora più che mai chi potesse essere l'uomo nella vita di madamigella Oscar… e nel suo letto! Chi poteva averla presa? Chi poteva averla conquistata? Pensieri pruriginosi gli riempirono la mente. Forse se l'avesse detto al generale Jarjayes questi avrebbe costretto la figlia a sposarlo. Se fosse stata sua le avrebbe insegnato lui come una donna deve rispettare un uomo! Se fosse potuta diventare sua avrebbe saputo lui come sottometterla!

 

Nella piccola cella troppo affollata la calura si era fatta opprimente. Dal pertugio protetto da sbarre sulla parete, un cielo pieno di stelle sembrava farsi beffe dei prigionieri: anime perse, delinquenti comuni, liberi pensatori, miserabili e disperati… tutta una serie di mercanzia umana scomoda e da allontanare.

Alain, seduto con la schiena appoggiata all'umido muro di mattoni, si grattò la fronte con un dito. Non poteva dormire. Con la poca acqua e il pane secco che la guardia aveva buttato dallo sportello sulla porta per cena, erano arrivate anche notizie che non avrebbe voluto ascoltare: erano stati condannati tutti a morte. Sarebbero stati fucilati al tramonto del primo di luglio, senza diritto a un processo. Alain sorrise di sè: aveva sempre ripetuto ad André che si sarebbe fatto ammazzare per amore, prima o poi… e adesso eccolo lì a morire per lei senza neanche mai averle potuto dire che l'amava… 

Gérard gli si avvicinò sedendosi accanto a lui. "Pensi che abbiano arrestato anche il comandante per la storia dell'assemblea?" gli chiese. "Non lo so." rispose con tono incolore. Già… e se avessero arrestato anche lei? André non lo avrebbe permesso… si sarebbe veramente fatto ammazzare piuttosto che lasciare che portassero via la sua Oscar… "No" disse ancora "non credo che si sia lasciata arrestare… è più furba di noi…", il tono beffardo, sapeva di prendersi in giro da solo: in realtà sperava solo che stesse bene. "Hei Alain! Ma li hai visti anche tu davanti alla sala dell'assemblea? Pensi che siano innamorati?". "Sì Gérard." gli rispose con malinconia "Penso che siano innamorati.". "Sai Alain, sono innamorato anch'io. Ma non ho mai avuto il coraggio di dire niente. Così fra due giorni morirò e lei non saprà mai che l'amavo…". "Che ironia, eh?" pensò Alain.  "E chi è la tua bella, Lasalle?" gli chiese invece. "Claudine" rispose l'amico sospirando. "Chi?!?". "Claudine, la figlia dell'oste, alla Bonne Table…". Alain si mise a ridere: davvero tanta ironia in questa sorte… "Ma lo sai vero che è lei quella della storia della sposa deflorata?" gli chiese sardonico. "... da André…" pensò, solo per far bruciare un po' di più le ferite del suo cuore. Lasalle abbassò la testa nascondendola fra le ginocchia. "Sì" rispose mesto "ma non mi importa…". Alain gli scompigliò i capelli ricci e lo incalzò: "Lo sai che è sposata, sì?". "Lo so.". "È sposata da un annetto… ormai come minimo sarà incinta…". "Non mi importa Alain. Forse se le avessi detto che l'amavo sarebbe venuta via con me… non lo voleva sposare quel contadino… le piacevamo di più noi in divisa… Se per miracolo non muoio, giuro che glielo vado a dire che la amo… magari verrà via con me… vorrei bene anche al suo bambino…". Alain rise. "Gérard, sei il mio eroe!" gli disse. Lasciò passare qualche minuto di silenzio, poi: "Hei amico! Faccio anch'io un giuramento! Se per miracolo non muoio giuro che vado a rubare un bacio che non mi spetta!". Lasalle alzò la testa dalle ginocchia: un bacio che non gli spettava? Alain? Con tutta la sua sbruffonaggine? Possibile che ci fosse una donna da cui non aveva avuto il coraggio di prendersi quello che voleva? Si sentì meno solo; sgranò gli occhi guardando stupito l'amico: "Come?", ma Alain non gli rispose e rise di nuovo, con infinita amarezza; al tramonto del primo di luglio loro sarebbero stati fucilati e due donne non avrebbero mai saputo quanto erano state amate.

 

Oscar non dormiva. Pensava all'incontro che la aspettava con Fersen e si chiedeva se fosse stato più opportuno presentarsi in abiti civili o in divisa. Non era abituata a chiedere favori. L'unica volta che l'aveva fatto era stato per salvare Lasalle dopo la storia del fucile venduto a Parigi, ma quell'occasione era stata diversa: aveva dato il tormento al generale Bouillé fino a prenderlo per sfinimento. … ora invece la faceva sentire a disagio dover chiedere un favore a un amico.

Aveva paura di apparire troppo sicura di sè presentandosi con l'uniforme… eppure ne aveva bisogno, della sua uniforme: da tutta una vita ormai era la sua corazza, l'armatura con cui allontanava chiunque. Le piaceva essere un militare. Le piaceva essere un ufficiale. Le sarebbe mancato. I pensieri si affollavano nella sua mente dandole tormento. Avrebbe dovuto parlare con André. Aveva condiviso con lui sempre ogni pensiero, ogni esperienza, ogni conquista, ogni delusione… e da quando si era resa conto di amarlo non riusciva più a parlargli. Si alzò a sedere, raccogliendo le ginocchia al seno e abbracciandosi le gambe. Scosse la testa: non è che non gli parlasse… certo che gli parlava… ma non gli parlava di sè. Ripensò al dottore. Come le aveva detto? "Voi siete in stato interessante". Che espressione stupida! "In stato interessante". Interessante per chi? Solo per lei, che ora doveva occuparsi anche di questo, evidentemente! Appoggiò la fronte alle ginocchia. I capelli si sparpagliarono morbidi sulle spalle. Sospirò. Doveva alzarsi presto e vomitare prima di andarsene. Ci sarebbe mancato anche di trovarsi a combattere con la nausea mentre pregava Fersen di portare la missiva che aveva preparato per sua maestà....

Girò appena il volto per guardare André. La schiena nuda era ampia e forte. Si sentì rassicurata. Forse dopotutto il suo "stato interessante" sarebbe stato interessante anche per lui… Allungò una mano e l'accarezzò piano. All'altezza delle reni, sulla destra, era rimasto indelebile il segno di una scudisciata; era identico a quello che lei portava sulla coscia sinistra, appena sotto il fianco. Era stata la stessa mano a procurare entrambe le cicatrici, un giorno d'estate di tanto tempo prima, quando erano stati sorpresi a nuotare nel lago. Era stato Thomas ad avvertire il generale che erano là. La furia di suo padre in realtà si era scatenata solo contro di lei: André era stato più veloce ed era già riuscito a scappare via, ma era tornato indietro per lei e l'aveva abbracciata nel tentativo di difenderla… Un anno e parecchi ceffoni dopo lei era già comandante delle guardie reali… e André era sempre di nuovo con lei.

Ripensò all'incubo di due giorni prima, davanti a suo padre che minacciava di ucciderli entrambi. Il generale non avrebbe mai accettato André. Lei non sarebbe mai più tornata. Dovevano anche andarsene dal rifugio di caccia. Quella sera ancora, poi sarebbero tornati in caserma. Poi… chissà. Pensò che si sarebbero potuti stabilire nell'Alta Francia per un po'. A lei piaceva il nord. E anche ad André. Si coricò al suo fianco, cercando di chiudere gli occhi per qualche ora.

 

Oscar si alzò prima dell'alba. Anziché con la nausea fu costretta a fare i conti con la tosse. Uscì velocemente: non voleva svegliare André. Soprattutto, non voleva che André la vedesse. Sopportò con pazienza il dolore alle spalle e al petto mentre ogni colpo la faceva sentire sempre più fragile. "Non morirò" si ripeteva "Non morirò… ancora una battaglia da combattere e poi andremo via… e mi prenderò cura di me…". Rimase seduta sui gradini davanti alla porta finché non vide la luce spuntare all'orizzonte. Decise che avrebbe indossato la divisa: la faceva sentire se stessa. Inutile essere ciò che non era, specie dal momento che andava a chiedere aiuto. Si sciacquò la bocca e si passò sul viso un panno umido. Cercò di sistemare al meglio i capelli e finì di allacciare gli alamari della giubba fino al collo. Sellò César da sola e partì al galoppo alla volta di Versailles.

I giardini della Reggia erano meravigliosi e rigogliosi come sempre, ignari del dramma che stava vivendo la Francia in quei tempi tormentati. Fra la vegetazione lussureggiante, l'umidità era fresca e piacevole nella calura estiva. Arrivata al Boschetto di Apollo Oscar scese da cavallo e si sedette sul bordo di pietra di una delle vasche delle fontane. Si guardò intorno: era tutto molto silenzioso e molto bello. Ricordò le molte volte in cui aveva accompagnato le loro maestà in passeggiate attraverso il parco e le parve che fossero passati mille anni. Con molto disappunto sentì nascere un vago senso di nausea e nel tentativo di tenere il proprio stomaco sotto controllo alzò la testa e sentì inumidirsi gli occhi. Non poteva vomitare adesso… e se Fersen fosse arrivato in quel momento? … e se Fersen non fosse arrivato affatto? … se Girodelle non le avesse obbedito? … e se Fersen invece non avesse voluto vederla, dal momento che si era ribellata alla corona? … dopotutto era innamorato della regina… le sarebbe stato sempre devoto… in realtà le era devota anche lei: amava la sua regina. L'aveva amata sempre. Ma il suo senso di onestà e di giustizia non le permetteva più di non guardare alla situazione in cui era piombato il paese… La nausea fu troppo forte. Oscar fece appena in tempo a fare qualche passo prima di vomitare. "Dio!" pensò irritata "Cerca almeno di essere maschio! Avrai tanti meno problemi!". Imprecò, camminando fino alla fontana per rinfrescarsi e pulirsi la bocca. Con una mano immersa nell'acqua guardò la morbida coltre verde che ricopriva l'interno della vasca e sentì rumore di zoccoli. Era vicino. Si girò: Fersen le veniva incontro con incedere lento e il capo chino. Oscar si sentì emozionata: non lo vedeva da quando l'aveva salvata durante i disordini di Saint Antoine. Scorgendola, Fersen accelerò il passo. Quando arrivò, sembrò sorpreso di vederla, sorpreso che lei fosse veramente lì ad aspettarlo. Scese velocemente dal cavallo e le andò incontro, appoggiandole entrambe le mani sulle spalle e guardandola negli occhi, poi la strinse. D'impeto. Fu solo un attimo, Oscar si irrigidì, trattenendo il fiato: si sentiva sempre in imbarazzo nel ricevere gesti di affetto. Il conte la trattenne ancora per le spalle, continuando a fissarla, un'espressione di commosso trasporto sul viso: "Oscar!" le disse "Amica mia! È vero quello che dicono? Siete veramente scappata con André? Col vostro André?!?". Gli occhi spalancati, le sopracciglia corrugate: era sinceramente preoccupato per lei. Oscar non rispose, sostenne il suo sguardo senza abbassare gli occhi, le labbra appena dischiuse per lo stupore: lei sempre così riservata era diventata oggetto di pettegolezzi. Si sentì turbata.  "Non negate…" mormorò Fersen "... allora è vero... ". La lasciò e andò a sedersi sul bordo della fontana. Oscar lo guardò: era bello come sempre. I folti capelli chiari gli incorniciavano il volto e il grigio degli occhi era intenso e cristallino. "Oscar," continuò Fersen, le lacrime agli occhi "avete avuto il coraggio che a me è sempre mancato…". Oscar scosse appena la testa e gli si avvicinò, allungò una mano verso di lui, che la guardò un attimo prima di prenderla. "Io ho potuto scegliere." gli disse piano, "Voi non avete mai avuto scelta. Non sareste mai potuto fuggire con la regina di Francia… Ma siete tornato sempre. Nonostante tutto. Non è stato mai il coraggio a mancarvi.". Fersen la fissò in volto. "Grazie," le disse "vi ringrazio sinceramente per le vostre parole. Posso fare qualcosa per voi? Vi posso aiutare in qualche modo? Avete un posto dove andare? Io ho ancora la mia dimora in città. Se ne avete bisogno potete farne uso…". "Siete molto generoso Fersen… e anche molto caro." gli rispose lei sorridendo con dolcezza. Rimasero in silenzio per un momento che le parve eterno. Non si sarebbe mai aspettata dal conte questo tipo di solidarietà, né il suo sostegno: era veramente un amico prezioso e sincero. Ricordò le sue parole in una notte di poco più di un anno prima, mentre lei non aveva nemmeno voluto girarsi per guardarlo in faccia: "Ricordate che ho sempre cercato di essere per voi l'amico migliore che potessi essere". Riconobbe che era vero: lo era sempre stato, con onestà e franchezza, come ora. Si sentì meschina per averlo cercato adesso per interesse, mentre lui era pronto a offrirle il suo appoggio. 

Le stringeva ancora la mano; "Oscar," le chiese "perché mi avete cercato?". Oscar si portò un attimo l'altra mano agli occhi, costringendosi a pensare ai suoi uomini, ad Alain con il volto schiacciato a terra mentre guardava verso l'alto, certamente cercando la finestra dietro cui lei si trovava… "Ho bisogno che mi facciate un favore," gli disse "ho bisogno che consegnate oggi stesso da parte mia una lettera personale a sua maestà la regina…". "Va bene," le rispose lui con semplicità "lo farò.". Oscar gli consegnò la missiva, che lui ripose all'interno della giacca. Non le fece nessuna domanda riguardo al contenuto della lettera. "Cosa farete adesso Oscar? Andrete veramente via con lui?" le chiese invece, scrutando nell'azzurro dei suoi occhi. Oscar sostenne il suo sguardo. "Sì," gli rispose con fermezza "ho già rinunciato al mio titolo. Quando mi sarà possibile rinuncerò anche al mio grado.". Fersen fu colpito dalla decisione della risposta. "Io… io vi auguro ogni bene, Oscar. Per voi e per André. Cercate di essere felice. Cercate di essere felici… tutti e due.". Oscar senti le lacrime pungere e non fu in grado di trattenerle. "Vi ringrazio Fersen. Abbiate cura di voi e della regina.". Oscar raggiunse in fretta César. Non riuscì a girarsi per salutare il conte. Non l'avrebbe più rivisto. Cavalcò piangendo verso Parigi. Doveva andare in caserma prima di rientrare da André.

 

André si era svegliato e non aveva trovato Oscar. Nessuna idea di dove fosse potuta andare o di cosa fosse potuto succederle per lasciarlo così nel sonno senza una parola. Aveva guardato ovunque. Si era preoccupato. Alla fine aveva deciso che se nessuno l'aveva cercato finora era perché a nessuno importava che venisse arrestato, così aveva indossato la sua uniforme ed era andato a cercarla in caserma, ma nemmeno là l'aveva trovata. Aveva però incontrato il colonnello d'Agoult che con molto rammarico l'aveva informato riguardo alle sorti dei suoi compagni alla prigione dell'Abbazia: sarebbero stati fucilati l'indomani primo luglio, al tramonto. André aveva stretto le labbra espirando rumorosamente, ma non aveva detto una sola parola. Aveva pensato a Bernard: sperava riuscisse a radunare una folla sufficiente. Poi si era recato nell'ufficio di Oscar e ora era lì e l'aspettava, nervoso e preoccupato.

Quando Oscar entrò, con il volto ancora rigato di lacrime, lo trovò seduto di fronte alla sua scrivania, per niente sorridente e per niente predisposto alla comprensione.

"Dove sei stata?" le chiese, serio. Oscar si risentì. Perché non era rimasto lontano dalla caserma, come gli aveva detto? E perché ora pretendeva di sapere dove fosse stata o cosa avesse fatto? "Non ho bisogno di dirti dove vado!" gli rispose, la voce tagliente, l'espressione dura. André si sentì esasperato. Fece qualche passo, fino a trovarsi davanti a lei, il suo volto a pochi centimetri dal proprio. "Dio Oscar!" sibilò. Perché non poteva semplicemente dirgli se si allontanava? Perché doveva sempre ribadire in qualche modo che non aveva bisogno di lui? Lo sapeva che non aveva bisogno di lui! Lo sapeva che a lei piaceva fare, scegliere e decidere da sola, ma lui invece no: non c'era nulla che potesse fare, scegliere o decidere senza che lei fosse nei suoi pensieri. "Dio!" ripeté.

Oscar non sapeva perché non gli avesse detto che sarebbe uscita presto quella mattina. Non aveva voluto dirgli che avrebbe incontrato Fersen e ora si sentiva indispettita che lui venisse a farle domande. Non aveva intenzione di dare spiegazioni. André era arrabbiato. "Non puoi stare con me e tagliarmi fuori!" ruggì. Oscar lo sapeva di non doverlo tagliare fuori: aveva già visto quanto si era preoccupato per lei due giorni prima, quando l'aveva abbracciata e baciata in mezzo alla folla, eppure non riusciva ad accettare di dovergli rendere conto di se stessa. Lo fissò con aria di sfida, senza indietreggiare di un passo. "Sono stata a Versailles. Ho incontrato Fersen." il tono misurato, la voce ferma. Sapeva di averlo ferito. Senza dirgli perché, senza raccontargli le parole che si erano scambiati: non aveva inteso dare alcuna spiegazione, gliel'aveva detto solo per ferirlo.

André indietreggiò. Tornò a sedersi, senza dire una parola. Non era geloso. Era umiliato. Era disperato: lei non avrebbe mai avuto bisogno di lui. Oscar rimase immobile, il volto impassibile. Guardò André appoggiare i gomiti alle ginocchia e incassare la testa fra le spalle. Si sentì meschina. L'aveva ferito sapendo di ferirlo e l'aveva fatto ingiustamente, solo perché si era preoccupato per lei. Cercò qualche parola conciliante, ma restò impigliata a fior di labbra e così rimase trincerata dietro a un silenzio doloroso.

Nell'intensa calura estiva entrò dalla finestra appena accostata un odore intenso dalle cucine poco lontane. Oscar cercò di gestire il fastidio ma non ci riuscì. Sentì la bocca riempirsi di un sapore acido e non poté trattenere un conato. Rapida recuperò un fazzoletto da uno dei cassetti della scrivania per premerlo forte sulle labbra. André le si era già fatto incontro, preoccupato, ma lei lo respinse, rabbiosa: "Lasciami stare! Ce la faccio benissimo da sola!" gli intimò. Non voleva che la vedesse così! Imprecò pesantemente. Si sentì impotente alle prese con questo corpo che non era più in grado di controllare.

André era tornato a sedersi, la testa bassa, lo sguardo fisso a terra. "Te la caverai sempre meglio senza di me, vero Oscar?" mormorò. Oscar si sentì a disagio. Non voleva affatto cavarsela senza di lui, aveva anzi paura di restare sola. Certo, se la sarebbe sempre potuta cavare anche da sola, il fatto non era che non potesse: il fatto era che proprio non voleva. Voleva stare con lui. Aveva lasciato e stava lasciando tutto per lui e adesso aspettava pure un figlio da lui! E allora perché non era capace di dirglielo e basta? Avrebbe dovuto parlargli, dirgli semplicemente che lo amava e che aveva paura, che non voleva per niente restare sola, ma non ci riusciva. Chiuse gli occhi. Respirò intensamente.

"Mi devi sposare André!" gli disse, burbera, quasi in malo modo, come fosse l'ordine impartito a uno dei suoi soldati. André alzò la testa, sorpreso: "Come?". "Mi devi sposare. Veramente! E subito!" Oscar si sentì in imbarazzo. Cielo! Perché doveva essere così difficile dirglielo! "Sono incinta. Dannazione, André! Sono incinta! Accidenti!" disse brusca, tutto d'un fiato, piantandogli gli occhi addosso. "Non posso più aspettare." aggiunse piano. Oscar pensò che dovevano esserci sicuramente tanti modi migliori di esprimersi, ma non le vennero in mente. André si alzò, avrebbe voluto dirle mille parole, riversarle addosso tutto il suo amore, ma la guardò e seppe che lei non avrebbe potuto sopportarlo. "Vieni qui." le disse soltanto, in un sussurro. Lei si avvicinò e si lasciò abbracciare. "Non è vero che me la cavo meglio senza di te." mormorò.

 

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Capitolo 8
*** Accusa di tradimento - parte 4 ***


Oscar aveva preteso che tutti i soldati fossero già pronti e schierati a cavallo sulla piazza d'armi all'alba. Spiegò che per quel giorno non ci sarebbero stati turni e che tutti avrebbero pattugliato le strade di Parigi. Tornò a raccomandarsi che nessuno raccogliesse alcuna provocazione per nessun motivo e partì al galoppo, incitando i suoi uomini.

Bernard era stato di parola e fin dal mattino lui e altri stavano parlando alla gente nelle principali piazze della città. Oscar divise le strade fra i suoi soldati, poi seguì André, che la condusse dove Bernard in persona teneva il suo discorso. Ascoltarono per qualche minuto, poi André non potè fare a meno di sorridere: i dodici soldati della guardia erano detenuti per aver voluto difendere i deputati del popolo… i dodici soldati della guardia erano parigini come tutti loro… i dodici soldati della guardia erano stati privati dei loro diritti fondamentali… i dodici soldati della guardia erano figli di povera gente… … erano esattamente le parole che aveva usato lui per convincere Bernard ad occuparsi della loro causa: sarebbe potuto essere anche lui un ottimo sobillatore di folle... 

Presto dalle varie piazze la gente iniziò a confluire alla prigione dell'Abbazia. Nella tarda mattinata un discreto numero di persone stava già gridando fuori dalle mura. Oscar non voleva rischiare di perdere il momento giusto e giocò d'anticipo, inviando già prima di mezzogiorno un soldato con il dispaccio che aveva preparato con la richiesta di scarcerazione per i suoi uomini al fine di mantenere l'ordine pubblico.

 

Luigi XVI ascoltava i generali scagliarsi contro madamigella Oscar per la seconda volta in meno di una settimana. Seduto a capo di un lungo tavolo si sentiva più solo e confuso di quanto volesse ammettere. In realtà, quando la sua regina pochi giorni prima gli aveva chiesto il permesso di concedere immediatamente la grazia a madamigella Oscar, aveva accettato volentieri, quasi con una sensazione di sollievo per poter compiere la scelta che avrebbe voluto prendere fin da subito, ma per la quale non aveva avuto il coraggio di imporsi ai suoi alti ufficiali e consiglieri. Nuovamente ora si sentiva frustrato: se madamigella Oscar aveva ritenuto di chiedere la scarcerazione dei propri uomini, pensava il re, sarà stato di certo per una buona ragione e lui sarebbe stato propenso ad accondiscendere semplicemente per la fiducia che sempre aveva riposto in lei. Dodici uomini. Gli sarebbe bastato un cenno per mettere fine alla discussione, ma il generale Bouillé era talmente furioso da metterlo in soggezione. Continuava a insistere sul fatto che la corona non poteva permettersi di perdonare atti di insubordinazione e diceva che concedere la grazia a quei soldati sarebbe stato come ammettere che un comandante delle guardie metropolitane poteva avere più autorità di un generale in capo. Il generale Jarjayes non si era più presentato a corte dopo le vicende che avevano riguardato la figlia e Luigi si sentiva quasi sollevato per la sua assenza; era infatti certo che se fosse stato presente avrebbe sostenuto le argomentazioni di Bouillé, facendolo sentire ancor più in difficoltà.

Il re chinò il capo, toccandosi la fronte con le dita della mano destra. Non sapeva come comportarsi… più di cinquemila persone stavano urlando contro di lui a Parigi e per acquietarle gli sarebbe bastato liberare dodici uomini. Dodici soltanto. Ma Bouillé era così insistente… e se avesse avuto ragione? Se davvero usare il pugno di ferro avesse potuto rendere finalmente evidente la sua autorità? Guardò il generale e con sommo disgusto notò che mentre gridava sputava… No… si disse… era probabilmente più sensata la richiesta di scarcerazione inoltrata da madamigella Oscar… lei non si sarebbe mai permessa di alzare la voce con lui. Gli avrebbe proposto la propria opinione con educazione e gentilezza… come aveva sempre fatto… e come del resto aveva fatto nel dispaccio.

L'arrivo improvviso di sua maestà la regina portò il silenzio nella sala. Bellissima come sempre, incedeva velocemente verso il re con portamento elegante; era sola, priva delle solite dame al seguito.  Generali e alti ufficiali ammutolirono e finalmente anche Bouillé tacque. "Mia regina…" la salutò Luigi. "Siete in preda al dubbio mio signore?" gli  chiese lei. "Sì mia signora…" rispose il re guardandola speranzoso. Maria Antonietta rivolse lo sguardo verso tutti gli uomini che la stavano guardando e appoggiando una mano sulla spalla del consorte esclamò: "Cosa aspettate dunque?" il volto serio, il tono perentorio che non ammetteva repliche "Liberate i dodici soldati! È dovere di un grande sovrano dimostrarsi magnanimo col proprio popolo!".

Maria Antonietta non aspettò che qualcuno tentasse di sollevare obiezioni. Uscì dalla stanza col cuore colmo di commozione: da tanto tempo nessuno aveva avuto più bisogno di lei. Dopo la morte del figlio era rimasta più sola che mai. Quando il giorno precedente Fersen le aveva consegnato una lettera da parte di madamigella Oscar, aveva creduto si trattasse di ringraziamenti per la grazia che le aveva concesso, ma il fatto che le fosse stata fatta recapitare proprio personalmente dal conte, l'aveva indotta ad aprirla subito. Madamigella Oscar le chiedeva aiuto: un favore per salvare la vita ai suoi uomini. Maria Antonietta aveva pensato che pur essendo la regina di una monarchia in declino, aveva tuttavia ancora il potere di aiutare un'amica… e l'avrebbe fatto. Prima ancora di raggiungere sua maestà il re, aveva infatti inviato a Parigi un messo reale con la grazia firmata di suo pugno.

 

Oscar era stata la prima ad accorgersi del messo reale: con i colori sgargianti della livrea e il cavallo riccamente adornato, le era sembrato talmente fuori posto fra la folla urlante e i soldati sui loro cavalli, che Oscar si era stupita che nessuno l'avesse fermato o aggredito prima che lei avesse potuto raggiungerlo. Quando, avanzando nella sua direzione, aveva cercato di farsi largo fra la gente, aveva sentito il cuore in gola: salvi! I suoi uomini erano salvi! … e aveva avuto ragione: il generale Bouillé non avrebbe mai permesso che venissero graziati: era stata la regina a farlo… per lei. Solo per lei. Il soldato che aveva mandato con il dispaccio non era ancora tornato. Il generale stava certamente cercando di trattenerlo il più a lungo possibile affinché arrivasse troppo tardi per fermare l'esecuzione, ma grazie alla sua regina, questo non sarebbe accaduto. 

Oscar aveva voluto scortare personalmente il messo nella prigione e assistere alla lettura del documento che portava con sè e ora finalmente, ritta sul suo cavallo, di fronte all'enorme portone di ingresso, aspettava che lasciassero uscire  i suoi uomini. André la guardava, poco distante: il volto infervorato, il portamento fiero… le sarebbe mancato essere un militare, ne era sicuro.

Al tramonto ancora il soldato con la risposta ufficiale al suo dispaccio non si era visto e Oscar era irrequieta. Il sole era già arancione e basso sull'orizzonte, quando le massicce ante della porta iniziarono ad aprirsi. Guardandole, Oscar sentì la bocca inaridirsi e trattenne il fiato. Il primo a uscire fu Alain, immediatamente seguito da Gérard, poi dagli altri. A Oscar bastò l'accenno del blu dell'uniforme per riconoscere immediatamente la testa di capelli mori che si muoveva guardando nella sua direzione, più alta della media di tutte le persone intorno. La risata fragorosa, il passo pesante, le massicce spalle ben in mostra con irriverente aria di sfida, Alain marciava verso di lei.

 

La giornata era trascorsa pesante e lenta, senza parole e senza speranze. Nessuno aveva portato cibo o acqua. Nessuno era venuto a dire ai soldati detenuti l'ora esatta in cui sarebbero stati giustiziati. Non era stata offerta loro nemmeno la possibilità di parlare con un prete: nessun conforto. Nessuna considerazione. Erano già morti: carne senza valore.

Alcuni avevano pianto, altri pregato. Alain e Lasalle erano rimasti sempre seduti con le spalle appoggiate al muro. Quando la luce aveva iniziato a cambiare colore, facendosi più calda e dorata, avevano saputo che ormai il loro tempo era finito.

La guardia arrivò battendo forte un pugno sulla porta; quando aprì, gli uomini si fecero trovare ordinatamente schierati come se fossero stati in servizio: sarebbero andati incontro alla morte a testa alta. L'ufficiale aveva sul volto un'espressione infastidita, con un ghigno sprezzante. "Siete i figli di puttana più fortunati che io conosca! Uscite! Forza!". I soldati della guardia si guardarono fra di loro con aria interrogativa: nessuno di loro si sentiva fortunato in quel momento. L'ufficiale batté forte il moschetto sul pavimento provocando un suono sordo. "Muovetevi sacchi di merda! Siete liberi!". 

Liberi? Erano LIBERI? Gli occhi spalancati, le lacrime di commozione, le bocche aperte da principio incapaci di emettere suono… i dodici detenuti esplosero improvvisamente all'unisono in un grido di gioia, si abbracciarono, si buttarono a terra in ginocchio. Gérard abbracciò Alain, lasciandosi andare a grandi pacche sulle spalle. "È stata lei! È stata lei Alain! Ne sono sicuro! Il comandante! Non ci ha abbandonato!". Certo che era stata lei, pensò Alain. Certo che era stata lei… Rise forte. "Forza amici! Usciamo di qui! Rientriamo in caserma da eroi stasera!".

Alain fu il primo a uscire e la vide subito: i bei capelli biondi, l'espressione seria, il portamento fiero ed elegante… il cuore perse un colpo… La piazza gremita, la gente festante, le grida dei compagni… era tutto meraviglioso in quel tramonto parigino che stava diventando rosso fuoco… ma la verità era che non gli importava di nulla, perché era vivo e innamorato. Avanzando verso di lei avrebbe solo voluto prenderla fra le sue braccia e dirle che l'amava… o forse non dirle niente e baciarla fino a imprimersi per sempre il suo sapore nella memoria. Camminò a pesanti falcate facendosi largo fra la folla finché non la raggiunse, ma arrivato trattenne il fiato un attimo e guardandola le porse solo la mano, che lei prese, trattenendola nella propria mentre lo guardava negli occhi con un sorriso pieno di dolcezza.

 

Oscar teneva stretta la mano di Alain e vedeva i suoi uomini finalmente uscire tutti dalla prigione. André le si fece accanto: "Ben trovato amico." disse ad Alain. Tutti i compagni li avevano ormai raggiunti e prendevano le mani di Oscar. "Comandante!" gridavano. Lasalle aveva preso una mano di Oscar fra entrambe le proprie e continuava a ringraziare piangendo: "Siete stata voi! Lo so che siete stata voi! Mi avete salvato la vita un'altra volta!". Poi girò attorno al cavallo per raggiungere André: "André! Amico mio! Sono vivo! Sono vivo!". André gli porse la mano e lo aiutò a salire con sè sul proprio cavallo. Gérard alzò un braccio salutando tutti fra le lacrime. Altri soldati a cavallo li avevano raggiunti e facevano altrettanto, aiutando i compagni appena liberati a montare sulle loro cavalcature. Alain rimase a terra, le mani affondate nelle tasche, guardando Oscar in silenzio: la dolcezza dello sguardo, il modo in cui i capelli riflettevano la luce del tramonto mentre lei piegava la testa, la forma aggraziata delle spalle… Improvvisamente Oscar si girò verso di lui e i loro occhi si incontrarono. "Devo ringraziarvi, comandante…" le disse, preso alla provvista. "Voglio che tu sappia che il merito non è né mio né di questa gente. Il merito è della regina Maria Antonietta. Sua maestà la regina vi ha graziato. Vi ha graziato tutti." gli rispose Oscar, seria e solenne, notando in lontananza nella piazza sopraggiungere infine il soldato che lei aveva inviato tante ore prima, chiedendo la scarcerazione. "Sua maestà la regina?!?" gridò Alain scoppiando in una risata fragorosa, piegandosi e appoggiando le mani sulle ginocchia. Si erse improvvisamente, buttando la testa indietro: sua maestà la regina non sapeva neppure che lui e gli altri esistessero… se davvero aveva concesso una simile grazia, era solo perché qualcuno aveva avuto il coraggio di chiedergliela. Guardò il suo comandante: "Vi ringrazio lo stesso." le disse serio. "... e per Dio tornerò in caserma da eroe!" esclamò a voce alta, allungando le mani verso le redini e la sella di César e issandosi agilmente alle spalle di Oscar. Lei si voltò sorpresa, cercando di ritrarsi, ma Alain era già in sella e la stringeva con un braccio. André si avvicinò col proprio cavallo cercando di trattenerlo, afferrandogli un braccio per la manica, ma ad Alain non importò. Gli mise a sua volta pesantemente una mano sulla spalla, strattonandolo scompostamente. "Sono vivo amico! Sono vivo!" gli disse, per poi spronare il cavallo di Oscar e muoversi velocemente. "Sono vivo e per adesso sono con lei…" pensò, respirando il suo profumo, lasciando che i suoi capelli gli sfiorassero il volto mossi dal vento e sentendo la schiena esile contro di sè. 

Oscar sentì il torace massiccio di Alain aderire al suo corpo e il suo respiro insinuarsi fra i suoi capelli appena dietro l'orecchio, avvertendo forte il suo caratteristico odore di tabacco, mentre le sue braccia la costringevano in un abbraccio forzato. Si sentì a disagio; si voltò indietro cercando André con lo sguardo, gridando il suo nome, ma era già lontano, tra la folla, mentre Alain spronava César che correva veloce.

"Fermati Alain! Ferma il cavallo! Voglio scendere!" gridò Oscar. Alain si sentì uno stupido. Cosa aveva creduto di fare? … o di poter fare? Fece rallentare il cavallo fino a farlo fermare. Oscar scese immediatamente, rapida. "Mi dispiace comandante." mormorò Alain. "Puoi tenere il mio cavallo se vuoi. Rientra pure in caserma. Io aspetto André." gli rispose lei, impassibile.

 

Lasalle, commosso e stremato, aspettava di rientrare in caserma con amici e compagni, continuando a ringraziare ora Oscar, ora André, ora la folla intorno, quando aveva visto Alain montare inaspettatamente sul cavallo del comandante e partire via con lei dopo una rapida colluttazione con André. "Oddio amico.... è questa la donna del bacio che non ti spetta?" aveva pensato, vedendo Alain allontanarsi rapidamente e aggrappandosi ad André, che partiva al galoppo  "… non ti spetta davvero… André ti ammazzerà…".

 

Quando André li raggiunse Oscar era già scesa e Alain la guardava a testa china in groppa a César. Balzato giù dal proprio cavallo, in un attimo André aveva già messo le mani addosso ad Alain. Oscar gli gridò di fermarsi ma lui non la ascoltò. Tirando Alain per la giubba lo scaraventò a terra e tenendolo per il bavero alzò un pugno per colpirlo. Alain non accennò neppure a difendersi: aveva sbagliato. Sapeva di meritarsi la rabbia dell'amico. André, scuro in volto, abbassò il pugno, lasciandolo andare e facendo un passo indietro. Alain sorrise: "Scusami, amico." gli disse. André gli si avvicinò e gli porse una mano aiutandolo ad alzarsi. Lasalle aveva seguito esterrefatto tutta la scena a occhi sgranati, incapace di muoversi. Oscar guardava seria Alain; era dispiaciuta per lui: si era innamorato della persona sbagliata. Vide André montare su César e offrirle una mano. Accettò l'aiuto e si sistemò davanti a lui, il suo respiro rassicurante a sfiorarle il viso. Alain si issò dietro Lasalle mentre gli altri uomini sopraggiungevano. Tutti assieme, al galoppo, si apprestarono a raggiungere la caserma. Si sentivano veramente degli eroi...

 

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Capitolo 9
*** Ancora un'ultima battaglia - Parte 1 ***


Ciao a tutti voi che avete avuto la gentilezza di seguire fino ad ora il mio racconto; siamo arrivati all'ultimo capitolo, che poiché piuttosto lungo e intenso ho deciso di dividere in sei parti, di cui questa sera vi propongo la prima. Grazie per l'attenzione e buona lettura!!

Ancora un'ultima battaglia - Prima parte

Era strano come la vita fosse tornata normale in caserma. Il mondo stava impazzendo: le strade di Parigi sembravano ribollire fra le orde di militari che le avevano riempite e il malcontento del popolo che cresceva come una furia cieca, eppure per i soldati della guardia metropolitana le giornate erano tornate normali e regolari dopo i giorni concitati dell'insubordinazione e dell'arresto. I turni per il pattugliamento in città si susseguivano regolarmente e anzi gli uomini erano particolarmente pronti ad obbedire agli ordini del comandante.

Ordinatamente schierati sulla piazza d'armi, ora ascoltavano Oscar dare istruzioni per la giornata: il primo gruppo sarebbe uscito subito con il colonnello d'Agoult, mentre il secondo avrebbe lavorato prima in armeria e poi sarebbe uscito con lei.

Oscar non aveva più scelto Alain per uscire in pattuglia con il suo gruppo, perciò egli rimase sorpreso nel sentir chiamare il proprio  nome. Gérard, in piedi sull'attenti accanto a lui, gli gettò uno sguardo furtivo; sapeva che l'amico era dispiaciuto per la bravata con il comandante fuori dalla prigione dell'Abbazia. Sapeva che gli mancava la confidenza che ormai aveva guadagnato con lei e che non gli piaceva il distacco che si era creato con André. Non di meno, sapeva che doveva essere veramente innamorato: non era più così pronto alla battuta e allo scherzo, rideva poco e per lo più con amarezza ed era diventato piuttosto taciturno.

Oscar rientrò.

 

Seduta alla scrivania del suo ufficio stava scrivendo al signor Sugane annunciando il proprio arrivo entro breve. Gli chiedeva il favore di trovarle una sistemazione diversa dalla villa di famiglia… una sistemazione… sicura. Non aveva intenzione di fermarsi a lungo, ma aveva bisogno di un posto dove organizzare spostamenti e una nuova vita forse  lontano dalla Francia per lei e André. Alzò un attimo lo sguardo: aveva un altro favore da chiedere. Apposta aveva fatto restare Alain quella mattina, scegliendolo per il suo gruppo. Tempi difficili avrebbero atteso Parigi e i suoi cittadini e Oscar sapeva che molti non avrebbero avuto la possibilità di mettersi in salvo in caso la rivolta fosse divampata. Voleva procurare alla signora Soisson e alla piccola Diane l'opportunità di andarsene. Terminò di scrivere e chiamò un cadetto affinché facesse venire subito Alain da lei. Nell'attesa si alzò e andò alla finestra. La nausea non le aveva lasciato tregua durante la mattina, ma almeno non era stata tormentata dalla tosse. Nel tentativo di tenere a bada lo stomaco chiuse gli occhi e fece respiri profondi. Scorse con gli occhi della mente tutti gli eventi degli ultimi giorni. Non avrebbe mai più rivisto casa sua, né Fersen, né sua maestà la regina. Era voluta andare personalmente  a esprimere la propria gratitudine per la grazia e l'aiuto ricevuti; Maria Antonietta l'aveva accolta con sincero affetto. Oscar l'aveva trovata più bella che mai, nonostante il viso velato da un'espressione di malinconia che le aveva fatto male al cuore: una malinconia densa e tangibile, una tristezza che andava oltre al dolore per la perdita del figlio. Oscar si era resa conto che l'affetto che sempre aveva provato per la sua regina non l'avrebbe mai abbandonata. Indipendentemente dal suo pensiero, dalle vie che avevano preso le loro vite e dagli eventi drammatici che le avrebbero allontanate per sempre, aveva saputo con chiarezza che tutti quegli anni di devozione sincera, di servizio incondizionato e di vera lealtà non sarebbero stati vani. Sarebbero sopravvissuti persino a loro stesse. Lei e Maria Antonietta avevano condiviso la gioventù, gli anni più belli e ora quelli più difficili. Questo sarebbe rimasto sempre. Oscar si sentì commossa. Sospirò. I pensieri continuavano ad affollarsi nella sua mente.

Con le mani giunte dietro la schiena pensava alla fuga di Alain con lei su César dopo la scarcerazione. Dopo il ritorno in caserma aveva cercato di tenersi il più lontana possibile da lui. Voleva evitare qualsiasi confronto diretto. Si chiese se Alain potesse essersi sentito mai in qualche modo incoraggiato, mentre le ritornavano in mente le occasioni in cui si era sentita a disagio per la sua presenza, che spesso le aveva dato l'impressione di invadere il suo spazio personale. Aveva sempre pensato fosse solo il suo modo di fare o l'espressione del suo carattere irruente, mentre ora si rendeva conto, ripensando al suo respiro dietro l'orecchio mentre correvano a cavallo, che erano stati sempre silenziosi tentativi di guadagnare un istante di vicinanza, di carpire un sospiro o di avvertire un solo umore della pelle… Oscar ripensò al dolore nel non sentirsi corrisposta da Fersen e alla disperazione di André di fronte alla sua incapacità di riconoscere in sè lo stesso sentimento che lui provava da sempre per lei. Portò la mano destra al viso premendosi gli occhi con l'indice e il pollice, finché non sentì il passo pesante di Alain dietro la porta. 

 

Indaffarati a controllare fucili e moschetti, gli uomini lavoravano in silenzio. Ciascuno era preoccupato e assorto nei propri pensieri: tutti erano consapevoli che la situazione in città era ormai diventata insostenibile e dopo le dimissioni del ministro Necker il malcontento aveva portato ai primi tafferugli. Ognuno temeva che anche per il loro reggimento sarebbe arrivato presto l'ordine di fronteggiare il popolo in rivolta e a nessuno piaceva l'idea di dover sparare su civili, su persone di cui condividevano ideali e ragioni e fra le quali potevano esserci addirittura amici o cari. André compiva azioni meccaniche a cui in realtà non prestava attenzione, preso da mille pensieri che lo preoccupavano e lo tormentavano. Sperava di poter partire con Oscar al più presto; si chiedeva come sarebbe stato vivere lontano da Parigi… dalla Francia… Pensava alle condizioni del proprio occhio e si chiedeva come si sarebbe potuto procurare un lavoro se fosse diventato cieco. Si chiedeva se sarebbe stato in grado di provvedere a Oscar e si domandava cosa lei potesse aspettarsi da lui. L'unica cosa di cui era certo era che qualsiasi cosa avrebbero dovuto affrontare, l'avrebbero affrontata insieme. In un angolo della sua mente si fece strada silenziosamente l'immagine di se stesso assieme a Oscar in una chiesa. Ricordò lo sguardo infervorato di Oscar mentre annunciava al generale dalla balaustra di palazzo Jarjayes che avrebbe fatto bene a dare loro la sua benedizione, o il suo agognato erede sarebbe stato un bastardo. Sentì qualcosa pungere in fondo al cuore: suo figlio non sarebbe stato erede di niente, ma certamente non sarebbe stato un bastardo. Si chiese se Oscar avesse già scritto a Sugane. Se fossero riusciti anche solo a passare dalla villa di famiglia nell'Alta Francia, avrebbero almeno potuto recuperare qualche effetto personale oltre alle poche cose che avevano in caserma. Si chiese se fosse il caso di chiedere aiuto a Jean Luc: magari tramite lui sua nonna avrebbe potuto far avere loro abiti o altro. Scartò subito l'idea: aveva già procurato abbastanza dolore a sua nonna. Non avrebbe più fatto in modo di metterla in difficoltà.  Pensò alla sua Oscar nel piccolo alloggio da comandante: aveva rinunciato a tanto per lui. Si chiese se se ne sarebbe mai potuta pentire. Per un attimo gli mancò il respiro. L'avrebbe amata sempre, l'aveva amata sempre. Chiuse una cassa dopo averne inventariato il contenuto, si girò e richiamò l'attenzione di Alain, dicendogli di riporla.

Alain aveva passato gli ultimi giorni rimuginando. Non era stato in grado di arginare il sentimento che ormai riempiva il suo cuore e ogni suo pensiero con prepotenza. Non riusciva a capire come potesse essersi veramente innamorato… Aveva avuto tante donne, ma non si era mai interessato a nessuna di loro. Ora invece… Oscar riempiva la sua mente sempre. Costantemente. Sentiva il bisogno di proteggerla, di saperla al sicuro. Sapeva di non aver diritto a questo sentimento, ma non era in grado di liberarsene. Ripensò alla schiena esile di lei contro di sè, a cavallo, pochi giorni prima, al profumo lieve dietro l'orecchio… Amarla non gli spettava. Ripensò con vergogna a tanti mesi prima, quando l'aveva colpita pensando avesse denunciato Lasalle per il fucile venduto… adesso avrebbe ucciso per lei. Un cadetto entrò nell'armeria chiamando il suo nome: il comandante lo aspettava nel suo ufficio subito. Cercò lo sguardo di André, ma questi lo distolse.

Appena Alain fu uscito, André si volse. Fece qualche passo e uscì dalla porta, seguendo l'amico con lo sguardo: le spalle curve, l'incedere lento e pesante… sapeva che si era dispiaciuto per la fuga dopo la scarcerazione, ma sapeva anche che i suoi sentimenti per Oscar non sarebbero potuti cambiare a comando. André non si sentiva geloso, solo… avrebbe preferito avere Alain dalla sua parte anziché doversi guardare da lui…

 

Camminando verso l'ufficio del comandante Alain pensava che ormai i suoi minuti nel proprio reggimento fossero contati: era infatti convinto che Oscar lo stesse convocando per annunciargli una nuova collocazione. Si sentì un idiota: cosa gli era saltato in mente fuori dall'Abbazia? Se almeno non fosse fuggito, se semplicemente fosse salito a cavallo dietro di lei per cavalcare verso la caserma e basta, forse ora non sarebbe stato costretto ad allontanarsi per sempre da lei. In un altro reggimento non avrebbe potuto più fare niente per proteggerla… Si fermò davanti alla porta del suo ufficio. Indugiò un attimo. Bussò.

 

Oscar sentì bussare alla porta: Alain non aveva mai bussato. Aveva sempre fatto irruzione nel suo ufficio senza chiedere alcun permesso. Sorrise sedendosi alla scrivania. "Avanti" scandì con chiarezza, abbassando lo sguardo sulla corrispondenza sparsa sul tavolo. Alain entrò in silenzio. Oscar lasciò passare qualche secondo rileggendo le ultime righe prima di firmare: solo Oscar François. Appoggiò la penna e alzò gli occhi su Alain. Non voleva essere invadente nei suoi confronti, ma pensava realmente che la sua famiglia sarebbe stata in pericolo restando a Parigi. Sospirò, buttando indietro il busto contro lo schienale della sedia e congiungendo le mani. "Ascolta Alain". Lui non rispose. Forse si sarebbe dovuto scusare di nuovo… non lo sapeva.

Oscar proseguì: "Tua madre e tua sorella…". Alain inarcò le sopracciglia, sorpreso: sua madre e sua sorella? Cosa c'entravano sua madre e sua sorella? Guardò il comandante con aria interrogativa. Oscar fissò lo sguardo nei suoi occhi: "Hai un posto dove mandare tua madre e Diane?". "Come?" Alain era sorpreso. Oscar si fece seria: "Alain, tempi duri attendono Parigi. Credo possa non essere prudente restare in città. Credo che dovresti mettere al sicuro la tua famiglia.". Alain si sentì turbato: non ci aveva pensato. Glielo disse, abbassando un attimo lo sguardo per poi tornare a fissarlo negli occhi di Oscar. Lei abbozzò un sorriso gentile: "Ho un posto se me lo permetti. Siediti." gli disse indicando la poltroncina dinnanzi alla sua scrivania. Alain prese posto: la piccola poltrona sembrava sparire, riempita dalla sua stazza imponente. Oscar continuò: "Ho persone fidate in Alta Francia. Potrebbero offrire a tua madre e a tua sorella una sistemazione sicura.". Alain sbattè gli occhi: era entrato nell'ufficio del comandante pensando di essere rimosso e invece lei si stava preoccupando della sicurezza della sua famiglia… Si portò una mano al volto, strofinando la fronte con le dita e stringendo gli occhi; era stato inopportuno e villano con lei. Avrebbe voluto dirglielo. Avrebbe voluto scusarsi con parole adeguate, ma non sapeva come trovarne, così restò in silenzio, ascoltando Oscar che gli spiegava come avrebbe dovuto organizzarsi per le donne della sua vita, annuendo di tanto in tanto. Alla fine si alzò e lei gli offrì un sorriso incoraggiante. Andandosene, già sulla porta, Alain si voltò e disse: "Mi dispiace comandante. Davvero.". Oscar sostenne il suo sguardo. "Lo so." gli rispose.

Alain si incamminò lungo il corridoio. Dopo pochi passi si imbattè in Girodelle. Lo riconobbe immediatamente e ricordò con quanta fretta Oscar avesse accettato l'invito ad andare a bere alla Petite Alsacienne pur di liberarsi velocemente di lui, non più di qualche mese  prima. Lo guardò contrariato e lo vide raggiungere l'ufficio del comandante. Tornò sui suoi passi. Oscar scorse Alain dietro la porta semiaperta mentre il colonnello era già entrato. Alain la guardò con aria interrogativa. "Desiderate che resti?" le chiese. "Non occorre." rispose Oscar, sbrigativa. Girodelle chiuse la porta e Alain si trovò davanti a un uscio chiuso. Indugiò, poi si incamminò nuovamente lungo il corridoio, ma arrivato in fondo si fermò ad aspettare.

 

Girodelle aveva passato gli ultimi giorni ascoltando e raccogliendo scrupolosamente ogni pettegolezzo su madamigella Oscar. A corte si erano mormorate cose scabrose su di lei e mentre in un primo momento era stato incline a non credere a quel che girava di bocca in bocca, quando il suo valletto era venuto da lui riportandogli racconti di prima mano, ottenuti direttamente dal valletto del generale Jarjayes, aveva ascoltato avidamente, inorridendo all'idea di un'unione tanto sconveniente pubblicamente ostentata. Poi aveva pensato che gli eventi si sarebbero tuttavia  finalmente potuti volgere in suo favore: solo accettando la sua proposta di matrimonio, infatti, madamigella Oscar avrebbe potuto sperare di redimersi agli occhi della più alta nobiltà francese! Si era quindi preparato con particolare cura, indossando la sua divisa da colonnello, con la quale aveva pensato di poter esprimere autorità e incutere rispetto, e si era avviato verso la caserma dei soldati della guardia metropolitana. Arrivato, sulla piazza d'armi aveva affidato il suo cavallo a un cadetto di passaggio e si era incamminato verso l'ufficio di madamigella Oscar, pensando a come sarebbe potuto essere piegarla finalmente alla sua volontà e obbligarla ad obbedire ai suoi ordini (... e alle sue voglie), una volta divenuta sua moglie.

Lungo il corridoio era stato molto contrariato di incontrare lo stesso grosso e rozzo soldato che settimane prima lo aveva schernito, quando si era presentato in caserma per accompagnare madamigella alla cena di gala a palazzo Jarjayes, ma l'aveva volutamente ignorato e quando si era finalmente trovato al cospetto di Oscar, l'aveva infastidito la sua intrusione sull'ingresso dell'ufficio.

 

Oscar non fu contenta di trovarsi Girodelle alla porta. Quando aveva sentito bussare, dopo aver congedato Alain, aveva pensato fosse André che veniva a portarle l'inventario dell'armeria. Il saluto del conte, sempre affettato e pronunciato con un timbro di voce troppo melenso per un uomo, la urtò. Gli concesse uno sguardo rapido, dopodiché tornò a occuparsi della corrispondenza che stava preparando per il signor Sugane. "Perdonatemi," gli disse freddamente  "sono molto impegnata in questo momento.". Girodelle non si mosse. In piedi, impettito, appena oltre la scrivania, continuava a fissarla con insistenza. A Oscar non piacque sentirsi i suoi occhi addosso. Alzò la testa dalle sue carte, "Posso aiutarvi, Victor Clément?" gli chiese con distacco. Pur non invitato, Girodelle si accomodò nella piccola poltrona poco prima occupata da Alain: le gambe accavallate, le mani curate, il volto sottile rasato con cura e incipriato, un neo di bellezza disegnato sullo zigomo destro,  i lunghi capelli impeccabilmente pettinati con larghe onde lungo le spalle... Oscar pensò che quella cura eccessiva per i dettagli esteriori riusciva a suscitare in lei un certo senso di repulsione nei suoi confronti. Sentì forte e invadente il profumo dolce del belletto riempirle le narici e si ritrasse, cercando di non disturbare troppo il suo stomaco ancora debole. "Insomma, cosa posso fare per voi colonnello?" lo incalzò con un certo cipiglio, non avendo ottenuto risposta. Aveva volutamente scelto di non chiamarlo più per nome, cercando così di mettere una distanza fra lei e il suo interlocutore. Girodelle rispose con un sorrisino tirato, abbassando gli occhi come una dama pudica. "A corte si parla molto di voi, Oscar…". Oscar rimase impassibile. Immaginava ci fosse molto sconcerto riguardo alla sua azione all'Assemblea: la famiglia Jarjayes era da secoli fedele alla corona…  ma non le importava di cosa si dicesse a corte di lei: non ci sarebbe comunque mai più tornata. "Siete venuto fino a qui solo per dirmi che sono oggetto di pettegolezzi?" gli rispose irritata.

Girodelle cambiò espressione; lo sguardo tagliente, le labbra tirate, la rimproverò: "Non dovreste prendere alla leggera quello che succede a corte! La vostra immagine è compromessa!". Oscar lo fissò stupita. Non capiva cosa il conte volesse ottenere. Cosa poteva importargli se anche a corte si stesse sparlando di lei? Girodelle continuò: "Ma io sono qui per aiutarvi Oscar cara!". A Oscar non piacque il modo in cui il conte pronunciava il suo nome: lo trovò lascivo. Lui non se ne avvide. Continuò: "Grazie a me potreste riacquistare tutto il vostro prestigio! Vi offro nuovamente l'opportunità di accettare la mia proposta di matrimonio". Oscar aggrottò le sopracciglia e raddrizzò le spalle. "Vi ho già ripetuto molte volte che non sono interessata alla vostra proposta." rispose tagliente "Vi ho detto di dimenticarmi e ho cercato di essere gentile. Ho sopportato la vostra insistenza e vi ho già detto che c'è un uomo nella mia vita…". "Già! E nel vostro letto! Non ho dimenticato le vostre parole così poco delicate! Mi sono scervellato per capire chi fosse!" la interruppe Girodelle. "Thomas," proseguì " il valletto di vostro padre, ha raccontato al mio valletto tutto su voi e il vostro attendente!". Oscar si rese conto improvvisamente che a Girodelle non importava dell'accusa di tradimento; gli rispose con disprezzo: "Avete veramente molto tempo da perdere, se ne dedicate così tanto alle chiacchiere dei servitori…". Girodelle la incalzò: "Thomas ha detto a tutti che razza di individuo sia quel vostro attendente! L'ha aggredito brutalmente! L'ha sfigurato!". Oscar inarcò le sopracciglia. Quel vostro attendente? Girodelle conosceva benissimo André. Sentì la collera iniziare a montare dentro di sè. "Ascoltate Girodelle. Non sono interessata alle chiacchiere dei valletti e non sono interessata neppure a qualsiasi cosa siate venuto a propormi. Adesso andatevene. Non mi seccate più.". Girodelle non si mosse: "Vi conviene valutare con più calma, Oscar". Oscar pensò che se non avesse smesso di pronunciare il suo nome con tanta insistenza si sarebbe alzata e l'avrebbe preso a calci. Girodelle la guardò con l'aria di chi si sente dalla parte della ragione, sporgendosi verso di lei sulla scrivania: "Ho intenzione di parlare nuovamente a vostro padre. Il generale potrebbe costringervi ad accettare la mia proposta!". Oscar gli rise in faccia, buttandosi indietro sulla sedia e congiungendo le mani in grembo, i gomiti appoggiati ai braccioli della sedia. "Credetemi, non penso che mio padre potrà costringermi. Non potrà nessuno. Potete parlare anche a sua maestà il re, se ritenete." la voce seria e misurata, il disprezzo tangibile. L'atteggiamento del conte le era diventato insopportabile. Istintivamente abbassò le mani per controllare le armi alla sua cintura. Girodelle allargò la bocca in un sorriso tirato, sporgendosi ulteriormente verso di lei. Riprese con fare persuasivo: "Se perseverate nel vostro atteggiamento, nessuno a corte vorrà più ricevervi. Le nozze con me sono la soluzione migliore per voi. Pensate… se accettaste e prometteste di comportarvi con discrezione e decenza, potrei addirittura permettervi di mantenere il vostro attendente quale servitore adorante…  e posto che non vi facciate ingravidare da quel villano ripulito potreste anche godere della mia tolleranza". Oscar strinse le labbra e questa volta fu lei a sporgersi in avanti. Gli occhi ridotti a fessure, gli afferrò un polso. Girodelle cercò di ritrarsi, ma lei lo trattenne con forza. Gli parlò con voce vibrante e tagliente come un sibilo: "Potete tenere per voi le vostre disgustose proposte di tolleranza. Mi fate ribrezzo.  Vi assicuro che in André Grandier c'è più signorilità di quanto mai potreste anche solo immaginare di fingerne voi con le vostre giacche lussuose e il vostro belletto. Non sareste degno nemmeno di ripulirgli le scarpe!" Oscar lasciò andare il polso del conte, alzandosi in piedi e spingendolo lontano da sè;  questi cercò di ribattere, ma Oscar lo zittì: "Fareste meglio a sciacquarvi la bocca prima di parlare con una donna. Non siete che una patetica farsa di virilità. Non saprei che farmene della vostra cipria e della vostra tracotanza. Non siete che un mezz'uomo.". Oscar tornò a sedersi, espirò allargando le narici, quindi: "Addio ora. Andatevene. Mi avete seccato a sufficienza". Girodelle finalmente rimase in silenzio. Oscar abbassò la testa tornando alle sue carte; non aveva intenzione neppure di offrire al conte uno sguardo di congedo. "La stanza è piccola." aggiunse con tono indifferente "Non credo avrete bisogno del mio aiuto per trovare la porta.". 

Piegando la lettera che aveva preparato e cercando una busta fra il materiale sparso sulla scrivania, Oscar controllava Girodelle con la coda dell'occhio. Lo vide alzarsi. Tuttavia non prese la porta. Si mosse anzi verso di lei. Poi tutto accadde in una manciata di secondi concitati: Girodelle, i pantaloni aperti, le fu a un passo, brandendo il proprio sesso in una mano, mentre con l'altra cercava di afferrarla per la nuca. Tentò di prenderla per i capelli, ma Oscar fu più veloce. Abbassò la testa rapidamente sfilandosi con agilità dalla sua presa, alzandosi e facendo cadere indietro la sedia; in un attimo fu in piedi davanti a lui, la pistola ben stretta nella destra e puntata all'inguine del suo aggressore e la sinistra a trattenerlo per il bavero. Furiosa, si sporse fino a trovarsi faccia a faccia a pochi centimetri dal conte. Voleva che sentisse tutto il suo disprezzo; vibrava di rabbia. Voleva che Girodelle  sentisse il suo respiro e che ne avesse paura.

"Ora rinfoderate il vostro piccolo orgoglio o questa sarà stata l'ultima volta in cui l'avrete avuto per le mani!" sibilò Oscar.

Una goccia di sudore percorse la fronte incipriata di Girodelle mentre questi si agitava, sentendo fredda e pesante la canna della pistola premere contro la sua carne, ormai niente affatto tonica. Lasciò vagare lo sguardo, con gli occhi spalancati, mentre le mani si aprivano e si chiudevano sul nulla, afferrando l'aria. Oscar gli sputò in faccia prima di allontanarlo con una spinta che gli fece perdere l'equilibrio e lo fece vacillare malamente, coprendosi di ridicolo, mentre i pantaloni calavano lungo le sue gambe, lasciando esposta la sua nudità. In quel preciso istante la porta dell'ufficio si spalancò e Alain fece irruzione nella stanza, in tempo per sentire Oscar, la pistola ancora stretta nella mano e puntata su Girodelle, minacciarlo con poche parole in un tono basso e rabbioso.

 

Alain era rimasto immobile in fondo al lungo corridoio. Non sapeva perché o cosa stesse  aspettando, ma voleva veder andar via il damerino con la puzza sotto al naso prima di tornare dai compagni. Aveva continuato a pensare confusamente a Oscar e ad André. Si era chiesto cosa avrebbero fatto, dove sarebbero andati… L'avrebbe mai più rivista una volta che se ne fossero andati? Oscar si era preoccupata per lui, aveva trovato un posto per la sua famiglia… ma per loro?  Si fece strada furtivamente  nella mente il pensiero di André che lasciava le camerate, la sera, quando ormai era buio. Certamente se ne andava per raggiungere lei. Sentì suo malgrado un brivido corrergli lungo la schiena: chissà come doveva essere poterla tenere fra le braccia, toccare la sua pelle, sentire il suo sapore, poterla prendere… scosse la testa: se gli fosse stato possibile, si sarebbe imposto di non pensare a lei… un rumore forte lo strappò ai suoi pensieri: nell'ufficio del comandante era caduto qualcosa con fragore. Il tipo azzimato era ancora là. Era successo qualcosa. Con poche falcate veloci percorse la distanza che lo separava da lei; spalancò la porta senza chiedere permesso e si trovò davanti l'uomo in uniforme delle guardie reali con le brache calate e i capelli riversati in avanti, a coprire il volto da cui emergevano soltanto il naso e una bocca piegata in una smorfia di terrore, mentre volgeva lo sguardo verso di lui. Il suo comandante, altera e bellissima, puntava con fermezza la pistola contro di lui. "Adesso pensate di andare da mio padre a vantarvi della delicatezza con cui mi avete chiesta in moglie?" disse Oscar, vibrante di rabbia, prima di girarsi a guardare Alain sulla porta. Abbassò la pistola, "Non voglio mai più rivedere la vostra miserabile faccia!" aggiunse in un ruggito.

In un attimo Alain si era già avventato contro Girodelle, afferrandolo e lanciandolo prima contro la parete poi fuori dalla porta. Questi cercò di alzarsi, ma fu raggiunto da un calcio poderoso che lo spostò in avanti. Oscar gridò, poi accorse nel corridoio; Alain stava continuando a sospingere Girodelle un calcio dopo l'altro. Oscar lo richiamò: "Smettila Alain! Smettila! Lo ammazzerai!". "È quello che voglio, comandante!". Oscar lo rincorse e lo trattenne per un braccio con entrambe le mani. "Basta! Basta Alain!". Alain si fermò e si volse per guardarla. "Agli ordini, mio comandante…". Guardò Girodelle, ansante e piegato su se stesso, poi: "Ehi tu! Sacco di merda! Rivestiti e vattene!". Rantolando, Girodelle cercò di alzarsi, aggrappandosi alle pareti. Oscar e Alain lo seguirono mentre camminava piegato in avanti, tenendosi una mano premuta sul torace, mentre con l'altra cercava di raccogliere i pantaloni. I capelli spettinati e il viso sporco, fece con difficoltà i gradini davanti all'ingresso e si arrampicò a fatica sul suo cavallo.

Oscar lo guardò attraversare la piazza d'armi. "Ora Alain non c'è bisogno che tu vada a raccontare i fatti miei ad André." disse con freddezza. Alain la guardò stupito: "Comandante, dovreste dirglielo!". Oscar gli rivolse uno sguardo tagliente. "Non c'è motivo di farlo preoccupare." gli rispose con stizza: perché diavolo finiva sempre col giustificarsi quando parlava con Alain? "Madamigella Oscar…". Oscar lo interruppe: "Da quando sono madamigella Oscar per te?". Alain incassò il colpo: "Comandante, dovreste dirglielo veramente. Quell'uomo è tornato molte volte. È insistente. Un uomo insistente quando viene respinto si può fare strane idee…". "Non ho paura di nessuna delle sue idee. E comunque non ti riguarda.". Alain strinse le labbra ed espirò rumorosamente prima di mandare a segno una stoccata: "Ho capito perché André è stato costretto ad arruolarsi!", il tono sarcastico, la voce alta e ben chiara. Oscar si sentì punta sul vivo. Lo sapeva che André si era arruolato per colpa sua. Sapeva che era stato malmenato dai compagni per colpa sua. Sapeva che faceva il soldato nonostante il suo occhio malandato per colpa sua… Gli occhi ridotti a due fessure, si volse verso Alain guardandolo con durezza: "Lascialo in pace!" gli disse. Le labbra strette, la collera palese sul viso, afferrò la spada e la alzò contro di lui: "Una volta per lui ho sparato alla schiena di un uomo disarmato!" disse minacciosa "Non dimenticarlo! Lascialo in pace!". Girò sui tacchi e se ne andò.

Alain rimase immobile qualche istante. Scosse la testa. Il comandante aveva torto. Quell'uomo si era presentato da lei con le brache calate. In caserma. Aveva sbagliato ad ascoltarla. Avrebbe dovuto ammazzarlo.

 

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Capitolo 10
*** Ancora un'ultima battaglia - Parte 2 ***


Ancora un'ultima battaglia - seconda parte

Il pomeriggio trascorse pattugliando strade in fermento con un piccolo gruppo di uomini, André al fianco di Oscar e Alain che la seguiva a debita distanza. Incontrarono molti soldati… troppi. Molti nemmeno francesi. L'umore dei suoi era decisamente basso e il malcontento nei confronti della situazione era diventato tangibile. Per smorzare gli animi, arrivata la sera Oscar propose a mezza voce di fermarsi a bere prima di rientrare. Un brusio concitato le fece capire che era stata una buona idea.

Entrarono in una piccola osteria non lontano dalla caserma. Riempirono quasi tutto lo spazio disponibile per gli avventori, sospingendo i tavoli per sedersi vicini. Ordinarono per lo più birra. Oscar trovò il locale, intriso di un odore di stantio, esageratamente caldo. Sentì il respiro farsi affannoso e lo stomaco darle noia. Prese uno sgabello alto dal banco e si accomodò in disparte accanto alla porta aperta, slacciando i primi bottoni della giubba, in cerca d'aria. Non volle ordinare niente per sè e guardò i suoi uomini sedersi fra battute sconce e pacche sulle spalle. Poco dopo vide André, seduto fra i compagni, una mano stretta attorno a un boccale già quasi vuoto, ridere di qualcosa che gli stavano raccontando. Istintivamente sorrise fra sè con tenerezza: più tardi gli avrebbe chiesto di cosa stava ridendo. Avrebbero riso insieme.

Alain si alzò per prendere qualcosa dal banco. Quando tornò non si sedette nello stesso posto che aveva lasciato. Fece alzare un commilitone per sistemarsi accanto ad André, con due boccali: per sè e per l'amico. Oscar strinse le labbra con disappunto. Era certa che volesse raccontargli i fatti del mattino… sospirò. In pochi giorni aveva riversato tutta la sua vita e ogni genere di problema addosso ad André. Non voleva che dovesse sopportare altre preoccupazioni. Lui diceva sempre di conoscerla, ma anche lei lo conosceva bene. Anche lei aveva vissuto una vita al suo fianco: si sarebbe angosciato a dismisura per quello che le era successo. Si sarebbe sentito mortificato per lei. Avrebbe sofferto senza poter fare nulla. Una sofferenza inutile e gratuita. Vide Alain offrirgli da bere e lui accettare di buon grado, mentre intavolavano una qualche conversazione. Oscar decise che almeno per quella sera si sarebbe liberata di Alain. André alzava spesso lo sguardo per cercarla. Avrebbe fatto in modo che  la sua attenzione  fosse stata per lei e lei soltanto. Appoggiò la punta di un piede a terra e accavallò elegantemente le gambe. Buttò le spalle un poco indietro, slacciandosi ancora un bottone dell'uniforme e aggiustandosi la marsina attorno al collo, in maniera che restasse appena aperta. Aspettò che André alzasse gli occhi su di lei e quando la guardò abbassò il viso senza distogliere lo sguardo, raccogliendo i capelli solo un momento con le mani, per poi lasciarli ricadere e fermarli da una parte dietro un orecchio. André continuò a guardarla, il boccale trattenuto a mezz'aria, la bocca aperta per lo stupore. Un compagno lo chiamò scuotendolo amichevolmente per un braccio; si volse verso di lui rispondendo con qualche parola distratta, ma tornò a girarsi immediatamente e a guardarla. Oscar aspettò un istante, sapeva che gli serviva un attimo per mettere bene a fuoco, quindi gli offrì un breve sorriso invitante prima di alzarsi velocemente e andarsene, per aspettarlo fuori. Appena uscita dall'osteria si appoggiò al muro accanto all'ingresso, le braccia conserte: seppe con certezza che André l'avrebbe seguita di lì a pochissimo, senza prestare attenzione a qualsiasi cosa stesse cercando di dirgli Alain. Si portò una mano al viso strofinandosi la fronte. Con disappunto fu costretta ad ammettere che nonostante la cosa non lo riguardasse, Alain aveva ragione: avrebbe dovuto dire ad André di Girodelle… ma l'avrebbe fatto in un altro momento… magari quando fossero stati lontani: ancora pochi giorni, infatti, e sarebbero partiti… Un rumore di passi, Oscar sorrise trionfante: era André; la stava raggiungendo. Quando se lo trovò di fronte, tutto in una volta si sentì in imbarazzo: lei non provocava, lei non ammiccava e certamente lei non faceva la carina… 

Lo guardò e arrossì, rendendosi conto che era stata lei a iniziare la partita e che ora non le restava che proseguire nel proprio gioco. Continuò dunque a guardarlo senza dire niente,  ripetendo il gesto di poco prima e spostando nuovamente i capelli dietro l'orecchio, solo da una parte. 

 

Alain aveva preso due boccali. Voleva sedersi accanto ad André e offrirgliene uno per scusarsi. Non si era comportato bene con lui. Non era stato un buon amico. Sapeva di non potersi imporre di non amare il suo comandante, ma era anche dolorosamente consapevole che Oscar non era la donna per lui, né mai avrebbe potuto esserlo. Era rimasto molto colpito dalla sua gentilezza nei suoi confronti, quando gli aveva proposto di aiutarlo a mettere al sicuro la sua famiglia, ma era rimasto ancor più colpito dalla sua durezza quando gli aveva imposto di non parlare ad André dell'aggressione da parte di quell'uomo troppo insistente. Ci aveva pensato tutto il giorno. Quando aveva detto a Oscar che ora capiva come mai André fosse stato costretto ad arruolarsi, lo aveva fatto per mettere a segno un punto, ma ora si rendeva conto che lo capiva veramente: Oscar era caparbia fino all'esasperazione. Non accettava aiuto, non permetteva che le si stesse vicino. L'unico modo per proteggerla, per André, doveva essere stato abbandonare la vita in quel confortevole  palazzo per starsene con lei in quella caserma senza comodità con uno stipendio da fame e un rancio schifoso.

Alain fece spostare Jacques e prese posto accanto ad André. Finì di ascoltare una storiella scabrosa e rise coi compagni. Offrì la birra ad André, che accettò sorridendogli. "Hei amico! Mi dispiace. Veramente." gli disse piano. André lo guardò: "Lo so. Non importa più. Solo… per favore, lasciala stare.". "Certo.". Alain abbassò la testa un attimo e poi iniziò a parlare d'altro: lo preoccupavano gli ordini che il reggimento avrebbe potuto ricevere di lì a breve. Si chiedeva quanto ancora i parigini potessero resistere all'oppressione di tutti i militari che riempivano la città, quando si accorse che André non lo stava ascoltando affatto. Alzò lo sguardo nella sua stessa direzione per notare che madamigella Oscar, silenziosa e seduta elegantemente su uno sgabello accanto alla porta, con le gambe accavallate, si era portata da una parte i capelli dietro l'orecchio. Guardò André: la birra a mezz'aria, la bocca aperta… doveva essere successo qualcosa fra loro che lui non poteva capire. Un compagno scosse André per un braccio: "Hei bello!" gli disse ridendo "Com'è che si chiamava la ragazza della Bonne Table? Te lo ricordi?". André si girò infastidito: certo che si ricordava come si chiamava la ragazza della Bonne Table, ma non aveva nessuna voglia di farsi fare domande su quella storia… "Non ricordo…" rispose evasivo, tornando a posare lo sguardo su Oscar, mentre Alain lo guardava di sottecchi sorridendo sornione. Ad André furono necessari alcuni secondi per riuscire nuovamente a mettere a fuoco Oscar, ma quando finalmente riuscì a inquadrare il suo viso, si accorse che anche lei guardava nella sua direzione... e gli sorrideva… non si era sbagliato allora… Stava veramente giocando con lui? Oscar? La vide uscire, sentendo i lombi reagire suo malgrado. A disagio fra i compagni, seduto sulla panca, strinse istintivamente le gambe sotto il tavolo, avvertendo come un tuffo alla bocca dello stomaco. L'aveva vista bene… era sicuro… le mani che sollevavano i capelli… e poi le lunghe dita che li raccoglievano appena da una parte, dietro l'orecchio… a scoprire il viso…

Oscar non raccoglieva i capelli. Mai. Né li fermava dietro l'orecchio. Era lui che glielo faceva. E glielo faceva nell'intimità, quando lei si lasciava guardare da lui, assaggiandolo. Strinse più forte le gambe e bevve quanto restava nel proprio boccale tutto d'un fiato. Si alzò e si avviò velocemente verso l'uscita, buttando qualche spicciolo sul banco prima di lasciare il locale. Alain lo guardò guadagnare la porta a grandi passi. Abbassò lo sguardo sul proprio boccale e bevve in silenzio.

 

Appena uscito André si trovò dinnanzi Oscar che lo aspettava. Appoggiata al muro, le braccia conserte, gli rivolse uno sguardo indecifrabile. André pensò di essersi sbagliato: era stato il caldo. Oscar si era certo raccolta i capelli un attimo solo in cerca di refrigerio… Ma poi lei fece un passo verso di lui e si portò di nuovo una ciocca dietro l'orecchio, lasciando che le dita indugiassero un istante, le lunghe ciglia abbassate per un momento, per poi tornare a fissarlo senza distogliere lo sguardo. André sentì come una vertigine. Le si avvicinò, spingendola indietro, una mano sul muro, l'altra appoggiata sulla nuca di Oscar, mentre accostava il proprio viso al suo, portando le labbra all'orecchio per sussurrarle poche parole: "Stai veramente giocando con me, Oscar?". Oscar sentì la sua voce così vicina, così profonda, così vibrante, che non poté trattenere un brivido sottile, assaporando il sentore famigliare del suo alito fra i capelli, alla base del collo. "Sì…" gli rispose piano, non più di un soffio. Il volto di André, coperto da un sottile accenno di barba, era ruvido a contatto con la sua pelle. Restò in silenzio, aspettando che lui la toccasse o la baciasse.

Immersi nel buio della notte la baciò, intensamente, profondamente. Lei rimase immobile, i palmi appoggiati ai mattoni sporgenti e irregolari, rispondendo al suo bacio. Sentì ancora forte il sapore amaro della birra nella sua bocca e trovò piacevole la sensazione della barba che pizzicava contro il mento e attorno  alle labbra.

Uno scalpiccio annunciò che non sarebbero più stati soli nel buio. Oscar si irrigidì, mentre André la lasciò per fare un passo indietro. Solo un attimo dopo comparve nel rettangolo di luce fioca della porta Lasalle. Vedendoli si accorse immediatamente di aver interrotto qualcosa e si dispiacque. "Mi dispiace," disse "ragazzi… mi dispiace, veramente… no… non ragazzi. Comandante, scusate. Scusate tanto.". Oscar, fredda e composta, rispose subito, impassibile: "Non hai niente di cui scusarti. Sono stanca. Stavo andando via." e in pochi passi raggiunse César. André la fermò, trattenendola con una mano sulla spalla: "Fermati! Non andare sola!". Oscar voltò il viso verso di lui, offrendogli uno sguardo obliquo: "Sono stanca. Voglio rientrare.". "Ti prego, aspetta, non andare sola." insisté André; gli sarebbero bastati pochi minuti per recuperare il suo cavallo, perché non poteva semplicemente aspettarlo?

Oscar se la prese con se stessa. Si era comportata in un modo che non le apparteneva e ora si trovava davanti a uno dei suoi uomini a fare la figura della ragazzina sorpresa dal precettore a fare qualcosa che non avrebbe dovuto. Innervosita, in un istante aveva già raggiunto il suo cavallo. Inizialmente non le importò di André che la pregava di aspettarlo, ma poi una volta salita in sella pensò di non voler perdere il vantaggio conquistato. Lo guardò, era serio e preoccupato. Gli sorrise impercettibilmente, rassicurante, quindi: "Non farmi aspettare troppo." gli disse piano, con voce roca. André la guardò trattenendo il fiato solo un istante e irrigidendo i muscoli delle gambe, poi sospirò mentre la vedeva allontanarsi: non gli avrebbe dato ascolto mai.

Gérard guardò l'amico, gli sembrò sinceramente  preoccupato. Alain gliel'aveva detto: secondo lui André e madamigella Oscar erano veramente innamorati. Tutti dicevano che prima di arruolarsi André era vissuto sempre a palazzo Jarjayes. Probabilmente era vero: André sembrava sempre un signore. Aveva un portamento elegante e parlava in maniera molto garbata. Ora Gérard era dispiaciuto di aver disturbato. Era uscito dalla taverna perché i compagni raccontavano ancora una volta la storia di Claudine della Bonne Table. Ridevano di lei e facevano battute volgari, mentre dicevano che André era stato un vero dritto. Vedendo uscire André, Gérard aveva pensato che nemmeno lui volesse più ascoltare quella storia. … e probabilmente era vero: vedendoli assieme infatti si era reso conto che lui aveva seguito il comandante. "Hei amico!" gli disse per rimediare "Sono entrato per ultimo. Il mio cavallo è già qui. L'accompagno io!". André guardò Oscar già lontana. "Va bene. Arrivo subito." gli rispose pacato. 

Lasalle montò velocemente in groppa e spronò il cavallo. Si girò indietro: "Non ho pagato la mia birra!". André fece un gesto noncurante: l'avrebbe pagata lui.

 

Oscar procedeva al trotto quando si ritrovò accanto Lasalle. "Sono stanco anche io," le disse "lasciate che vi accompagni fino in caserma.". Oscar gli sorrise.

Lasalle era un ragazzo gentile. Fisicamente più piccolo di tutti gli altri, era piuttosto giovane e dotato di una certa arguzia. Dimostrava sempre una buona dose di coraggio, ma mancava totalmente di sangue freddo quando si trovava in azione. Era attento agli ordini, ma era negato nell'uso delle armi da fuoco e non si destreggiava con la spada. Era generoso con i compagni e sempre leale con lei. Al contrario di tanti dei suoi uomini, sapeva leggere e scrivere correntemente e a Oscar sarebbe piaciuto riuscire a fargli ricoprire un ruolo in fureria: nonostante non se la cavasse male con l'artiglieria, era infatti convinta che non sarebbe mai stato adatto ad azioni pericolose o a scontri diretti.

"Com'è che hai deciso di fare il soldato Lasalle?" gli chiese mentre cavalcava accanto a lei. "Sono il più piccolo di tanti fratelli comandante. Non c'era niente a casa mia per me…" le rispose con franchezza. "Ma a mia mamma è dispiaciuto quando mi sono arruolato." aggiunse sorridendole. Oscar annuì.

Proseguendo pensò alla contessa Marguerite. Chissà se a sua madre era dispiaciuto quando il generale l'aveva fatta arruolare… non le aveva mai detto niente. Chissà se era dispiaciuta ora, se aveva pensato a lei negli ultimi giorni… Ricordò la propria mano tesa, prima di lasciare per sempre casa sua… e il rifiuto di sua madre di stringerla. Sentì come un affanno in fondo al cuore, ma lo ricacciò indietro.

Varcarono l'ingresso della piazza d'armi. Erano arrivati. La caserma, avvolta nel buio, era silenziosa. Si fecero riconoscere dagli uomini di guardia poi scesero da cavallo. "Ritiratevi pure. Lasciate che mi occupi io del vostro cavallo comandante." le disse Lasalle. Oscar indugiò: "André si occupa sempre di César…" rispose quasi sovrappensiero. "L'aspetterò io. Vedrete che non tarderà!". Oscar lo ringraziò. Era veramente stanca. Salendo i gradini dell'ingresso pensò che era un sollievo non nascondersi. In realtà non le importava che i suoi uomini sapessero di lei e André. Camminando lungo il corridoio sentì Lasalle correre per raggiungerla. "Hai bisogno?" gli chiese. "Volevo ringraziarvi comandante. Mi avete salvato la vita due volte. Vi devo molto.". Oscar gli sorrise: "Non mi devi niente. Buonanotte Gérard.".

 

André era rimasto davanti all'ingresso dell'osteria a guardare Oscar allontanarsi. "Non farmi aspettare troppo" gli aveva detto. Non l'avrebbe fatta aspettare affatto. Alcuni compagni iniziarono a uscire. Si era fatto tardi. Entrò per pagare la birra di Lasalle. Alain gli si fece incontro: "Dov'è il comandante?" gli domandò. "È rientrata." gli rispose. "L'hai lasciata andare sola?!?". André lo guardò: Alain era quasi aggressivo. André si fece scuro in volto: "Te l'ho già detto: lasciala stare." e si allontanò per raggiungere il banco. L'oste gli disse qualcosa, ma non lo ascoltò. Pensava ad Alain: credeva veramente che Oscar lo ascoltasse? O che ascoltasse chiunque? Faceva sempre di testa sua. Se voleva veramente iniziare a preoccuparsi per lei avrebbe fatto bene a prepararsi: gli sarebbe servito un cuore più che saldo.

 

Cavalcando verso la caserma, fra i compagni che ciarlavano, chi preoccupato per la situazione a Parigi, chi ancora intento a raccontare le sconcezze che avevano accompagnato la bevuta in compagnia, Alain osservava André: non stava ascoltando nessuno di loro e aveva sul volto un'espressione indecifrabile. Alain ripensava allo stupore dell'amico di poco prima e rivedeva se stesso ospite a pranzo nelle cucine di palazzo Jarjayes, quando per la prima volta si era reso conto della confidenza che univa André e il suo comandante. Osservandoli aveva immediatamente capito che quella confidenza era più intensa di una semplice complicità. Non era data forse neanche dal fatto che fossero una coppia, quanto piuttosto da una vita di esperienze condivise. Alain aveva notato che anche in frangenti diversi o in momenti in cui non erano nemmeno insieme, spesso usavano ugualmente le stesse parole o recitavano le stesse citazioni, che gli uomini per altro raramente capivano. Alain ripensò anche agli eventi del mattino, all'uomo che si era presentato a brache calate per fare una proposta di matrimonio a madamigella Oscar, a come lei si era subito imposta perché lui non dicesse niente ad André… ripensò a come André di rimando non avesse mai voluto dirle niente dei suoi problemi all'unico occhio che gli rimaneva, per quanto lui fosse convinto che Oscar ne fosse più che consapevole, e a quando non aveva battuto ciglio dopo essersi preso tre giorni di consegna di rigore per averla difesa, quando lui l'aveva colpita. Sospirando concluse che non aveva mai visto due persone più vicine, eppure più distanti. Entrambi fatti per stare con l'altro, entrambi così stupidamente orgogliosi da mettere a repentaglio ogni giorno quello che avevano insieme. Pensò anche che per quanto si sentisse ora innamorato del proprio comandante, mille anni non gli sarebbero bastati per raggiungere anche solo un briciolo di tutta quella confidenza.

 

André cavalcava in silenzio, Oscar al centro dei suoi pensieri. Non poteva perdere anche l'occhio destro. Non voleva. Non poteva nemmeno pensare di non vederla più: gli occhi chiari, quei sorrisi che solo lui poteva riconoscere, lo sguardo obliquo… ripensò a lei che lo invitava, poco prima, con i capelli portati dietro l'orecchio… "Non farmi aspettare troppo…" …sentì di nuovo il famigliare tuffo alla bocca dello stomaco che si riverberava in quella sensazione di calore ai lombi… 

Oscar era diversa. L'aveva amata e desiderata tutta la vita. L'aveva sognata in ogni notte, in ogni attimo di vicinanza o di solitudine… e ora che era sua scopriva che era diversa. Non era affatto un sogno: non era una qualche perfetta idealizzazione di donna, ma una donna vera, fatta di carne e sangue... e tenerla fra le braccia lo faceva sentire immensamente potente. Era come poter abbracciare il vento. Ricordò una volta in cui da bambini nella grande tenuta della famiglia Jarjayes erano riusciti, dopo avergli portato da mangiare per settimane, a toccare un cervo; ecco: possederla era come poter accarezzare una creatura selvatica. Nell'intimità, con lui, Oscar era come nella vita: sincera, vera, diretta. Era concreta e chiamava ogni cosa col proprio nome. Non poteva certo dirsi una donna romantica, eppure c'era qualcosa nel suo modo di darsi e offrirsi che lo lasciava disarmato, fin quasi commosso. Nella loro prima notte insieme, dopo tanti anni di desiderio frustrato, l'aveva presa con un sentimento quasi di rabbia, che si era poi sciolto lentamente nella volontà di perdersi dentro di lei; in seguito, invece, era rimasto sempre colpito dal modo in cui lei ogni volta si lasciava amare da lui, con un'arrendevolezza che inizialmente quasi lo aveva spaventato. Nei suoi confronti lei non dimostrava pudore. Si lasciava guardare, toccare, condurre, assaggiare. Si lasciava prendere abbandonandosi con fiducia assoluta. La sentiva in ogni fibra del proprio essere. Ogni volta era come se si aggrappasse a lui, come se gli gridasse il suo amore in ogni sospiro, in ogni fremito. Accoglieva il suo piacere come un dono e gli offriva il proprio con totalità. 

André sentì un brivido. "Non farmi aspettare troppo"... le parole di Oscar ritornavano ancora e ancora nelle sue orecchie. Silenzioso raggiunse le scuderie della caserma e silenzioso smontò da cavallo, il fiato corto, la passione che gli rendeva le mani imprecise nei gesti frettolosi. "Hei amico!" Lasalle richiamò la sua attenzione "Dice il comandante che sei tu che ti occupi del suo cavallo… Ti ho aspettato. Intanto però gli ho tolto la sella…". "Grazie." gli rispose con gentilezza. Esasperato dall'attesa, con un sospiro si tolse la giubba della divisa appendendola fuori dalle scuderie e si apprestò ad accudire César. Aveva fretta; voleva solo raggiungere Oscar.

 

Rientrata nei suoi alloggi ordinati e puliti Oscar accese un doppiere e si spogliò, riponendo con cura uniforme, stivali e biancheria. La giornata era stata lunga e calda e sentiva il bisogno di rinfrescarsi. A piedi nudi si avvicinò alla semplice toletta di ceramica bianca. Sospirò versando l'acqua nel catino, ripensando alla confortevole vasca che faceva preparare nelle sue stanze a palazzo Jarjayes. Bagnò un asciugamano di lino nell'acqua fresca e lo passò sul viso e sul corpo lentamente, trovando refrigerio. Si spazzolò i capelli, spense la fiammella che aveva acceso poco prima e si accoccolò sul letto, stringendosi le gambe al petto e appoggiando il mento sulle ginocchia. Ripensava ai fatti del mattino. A Girodelle che aveva pensato di poterla costringere alle nozze con lui e che poi a un suo rifiuto aveva creduto lecito poter tentare di abusare di lei. Le venne in mente la posizione innaturale delle gambe della giovane contessina di Polignac, con le sottane malamente sollevate, le braccia scomposte e il visino minuto senza più espressione, ormai schiacciato contro le pietre del selciato di Versailles, dopo che aveva cercato la propria libertà e la propria innocenza in un tuffo verso la tenebra dall'alto del tetto della reggia… Ricordò gli epiteti davvero poco dignitosi con cui a corte e per le strade di Parigi aveva sentito definire la regina Maria Antonietta, colpevole soltanto di essersi innamorata e di aver voluto provare a vivere il proprio amore. Erano gli stessi disgustosi, mortificanti epiteti, lo sapeva e li aveva persino ascoltati, con cui i suoi uomini l'avevano insultata (e non sempre alle sue spalle…) quando era arrivata fra i soldati della guardia. Quegli stessi uomini che ora si sarebbero gettati nel fuoco pur di non disobbedire a un suo ordine. Ripensò ad Alain che la trascinava in una fuga che certamente lei non aveva incoraggiato e che faceva apprezzamenti non esattamente eleganti alle donne che si occupavano degli alloggi degli ufficiali. Rivide il generale contrattare per le nozze delle sue sorelle come si contratta per la vendita di un terreno e usare di Zuli esattamente come avrebbe disposto per un cavallo o per i cani da caccia, con modi in realtà non molto diversi da quelli riservati alla moglie. Sospirò con tristezza. Le vennero in mente i modi gentili e premurosi di sua maestà Luigi XVI e il garbo delicato del conte di Fersen. Pensò alla dolcezza paziente di André, che pure, nonostante tutto, aveva ritenuto una volta di poterle estorcere un bacio e di dimostrarle con la prepotenza la pretesa di amare ed essere amato. Chiuse gli occhi stringendoli forte. Vestita della propria pelle, improvvisamente si sentì nuda. Si alzò velocemente recuperando la giubba della divisa e indossandola repentinamente. Rimase in piedi nel buio, ascoltando il proprio respiro.

Nel silenzio della notte, dalla finestra appena accostata arrivavano schiamazzi lontani e canti di grilli vicini. Udì dei passi e li riconobbe subito: André la stava raggiungendo. Sorrise, maliziosa per la prima volta in vita sua. Non l'aveva fatta aspettare troppo dopotutto…

 

Sistemato César, André recuperò la giacca dell'uniforme e si avviò verso l'ingresso della caserma, abbassando il capo per inspirare e valutare i propri umori. Con disappunto avvertì forte sugli indumenti e sulla pelle il sentore delle scuderie. Si recò nelle camerate, cercando di sistemarsi. "Non farmi aspettare troppo". Si cambiò la maglia e si passò della colonia sul viso e fra i capelli. I compagni già giocavano a carte o chiacchieravano. Non si trattenne con nessuno di loro. Alain lo osservò in silenzio mentre indossava la giubba, lisciandone le pieghe con le mani, per poi infilare la porta e sparire nel buio del corridoio. 

André camminò veloce con passi decisi e il respiro sempre più contratto, lo sguardo già profondo e incupito, il cuore fremente per l'attesa e il desiderio crescente. Arrivato a pochi metri dagli alloggi da ufficiale di Oscar rallentò, cercando di rendere il respiro più regolare. Non bussò. Sapeva che la porta era aperta per lui, che lei lo stava aspettando. Entrò. La piccola stanza  era avvolta nell'oscurità. Dalla finestra protetta da tende sottili filtrava solo la fioca luce della luna e delle torce accese sulla piazza d'armi. Indovinò la sagoma di Oscar di fronte a sè. Si richiuse piano la porta alle spalle. Fece qualche passo verso di lei.

 

Benché sapesse che André stava per raggiungerla, Oscar sussultò sentendo la maniglia abbassarsi. Lo vide entrare e chiudere la porta dietro di sè, per poi avvicinarsi. Abbassò lo sguardo e rimase immobile e in silenzio. Aspettò che le fosse abbastanza vicino da sentire il suo respiro e avvertì l'odore della colonia sul viso e fra i capelli; solo allora sollevò lo sguardo per portarsi nuovamente una ciocca dietro l'orecchio. Scalza, André la sovrastava di tutta la testa. Chinato su di lei, egli inspirò il suo profumo e le appoggiò una mano sulla vita attraverso la marsina slacciata, per scoprire che sotto l'uniforme non c'era altro che pelle. "Dio Oscar…" mormorò "Dio…". Si chiese se lei potesse veramente avere piena consapevolezza  della propria sensualità. Lasciò scorrere la mano fino al fianco dalla curva morbida, mentre con l'altra le prendeva la nuca, per sospingere il suo viso verso di sè e baciarla profondamente. Le ghermì il sesso strappandole un gemito e accogliendo i suoi umori umidi fra le dita; lei gli si arrese con dolcezza, le mani inermi lungo i fianchi, lasciandosi condurre verso la vertigine, mentre il sostegno delle gambe si faceva sempre più inconsistente. Lui la baciò e indugiò a lungo accarezzandola con insistenza, per poi indietreggiare; armeggiò con i pantaloni per liberare il proprio desiderio e andò a sedersi sul letto, le ginocchia divaricate, le mani appoggiate indietro. Oscar lasciò scivolare la giacca scrollando appena le spalle e si fermò un istante, esponendosi senza vergogna per i molti segni sulla propria pelle, le braccia troppo muscolose e i seni piccoli, quasi adolescenziali, resi appena più morbidi dai primi segni della maternità incipiente. Avanzò lentamente verso di lui, per poi accovacciarsi e sedersi sui talloni. André si lasciò assaggiare guardandola, senza toccarla, limitandosi a fermarle solo una volta i lunghi capelli morbidi dietro l'orecchio, finché il bisogno di lei non divenne per lui ingestibile. Allora si sporse per stringerle forte le braccia con le mani e lei si adagiò sul piccolo letto. Lo sentì scalciare via gli stivali prima di prenderla con urgenza, senza nemmeno spogliarsi. Quando finalmente lui si lasciò andare, Oscar avvertì la stoffa ruvida dell'uniforme e i bottoni freddi e metallici imprimersi nella carne sotto il peso del suo amante e lo strinse più forte a sè, serrandogli con fermezza le gambe attorno ai fianchi. Rimase immobile ad ascoltare il respiro di André farsi sempre meno convulso fino a tornare regolare, poi gli depose baci lievi e brevi su una tempia, mentre lui affondava il viso fra i suoi capelli, sussurrandole "Ti amo". 

 

Rimasero fermi per infiniti minuti. Oscar, il torace compresso dal peso di André, faticò a trovare il ritmo dei propri respiri. Poi lui si alzò. Accaldato, si liberò della giubba e della maglia, buttandole da una parte, per poi tornare a stendersi sul letto, le braccia incrociate dietro la testa, mentre Oscar si era alzata a sua volta, accendendo un piccolo lume e recuperando la maglia che lui si era appena tolto, per indossarla. Le piaceva portare i suoi indumenti. Di tanto in tanto l'aveva fatto anche da bambina, quando vivevano le loro giornate condividendo ogni cosa, meritandosi le sgridate di sua nonna. Oscar si rannicchiò sul bordo del letto, un piede a terra e un ginocchio stretto al petto. Nascose un attimo il viso nell'interno del gomito, inspirando il profumo di bucato della maglia di André: si era cambiato per lei. Sorrise. 

André la guardò: troppo esile per la sua maglia, sembrava ancor più minuta con la sua schiena da uccellino. Oscar si portò una mano alla bocca tormentandosi un'unghia e indurendo improvvisamente l'espressione del viso. Troppi pensieri si affollarono nella sua mente. 

"André…". "Mmm?". "Non mi importa niente del mio titolo sai?". Oscar parlava sottovoce, lo sguardo fisso sulla fiammella del lume. "Invece ho paura di lasciare il mio grado." fece una breve pausa "Sono stata un ufficiale tutta la vita André. E se non sapessi fare altro?" si girò verso di lui, l'espressione preoccupata, la lunga chioma che seguiva i suoi movimenti. André la accarezzò lungo le spalle e la schiena per poi trattenere fra le dita la punta dei capelli: li strinse fra l'indice e il pollice; erano morbidi e setosi. 

Era vero. Oscar era stata un ufficiale tutta la vita. Faceva parte di lei. Pensò che il suo modo di fare da soldato, così marziale e autoritario, non l'avrebbe abbandonata mai. La immaginò anziana, in pantaloni e marsina, intenta a sgridare nipoti con lo stesso cipiglio che le aveva visto usare tante volte con i giovani cadetti o con i figli delle sue sorelle, quando la infastidivano, durante le brevi visite a palazzo Jarjayes. Sorrise. "Ehi Oscar," le disse ridendo "diventerai una vecchia stravagante!". Oscar lo guardò, le sopracciglia inarcate: "Vai al diavolo André!". Accompagnò le parole alzando la mano in un gesto scurrile, che lui coprì, afferrando la sua mano e stringendola nella propria: "Smettila Oscar!" le disse ridendo più forte "Sei troppo bella per essere volgare!". Oscar lo guardò simulando sdegno, ma poi rise con lui: aveva ragione, sarebbe diventata una vecchia stravagante. Rimasero in silenzio, poi lei riprese: "Ho ripensato alle parole di mio padre, riguardo alla differenza di rango fra noi. Aveva ragione. Non si cancellerebbe mai.". André tacque, trattenendo il respiro. Oscar si volse per guardarlo. "Guarda quanto odio sta scorrendo ovunque. Non ci sarà mai un posto per noi qui, André. Una parte non potrebbe mai accettare te, l'altra disprezzerebbe sempre me.". "Non posso cambiare quello che sono Oscar." le disse tagliente. Oscar lo fissò con durezza: "Pensi non sapessi chi fossi quando ti ho detto di amarti?". 

André si vergognò. Le aveva parlato con sarcasmo solo per ferirla. "Non posso cambiare quello che sono"... che risposta stupida. Nemmeno lei poteva cancellare di essere nata nobile, eppure stava lasciando tutto per lui e ora aveva giustamente paura, non di andarsene, ma di non essere all'altezza: "E se non sapessi fare altro?". André si alzò a sedere e si sporse verso di lei, abbracciandola. "Scusami" le disse piano, appoggiando le labbra fra i suoi capelli. Oscar gli strinse una mano. "Cosa vuoi fare?" le domandò. "Stare con te," gli rispose "te l'ho già detto: mi devi sposare. E presto. Dovremmo andarcene lontano sai?". "Hai già scritto al signor Sugane?" le chiese lui. Certo che aveva scritto. Come aveva promesso. Avrebbero trovato un posto nell'Alta Francia per fermarsi per qualche tempo. Lei avrebbe potuto finalmente prendersi cura di sè… e far nascere suo figlio… ma poi se ne sarebbero dovuti andare. Avrebbero dovuto trovare una dimensione giusta per loro. Un posto in cui non aver paura di essere additati, né fingere di essere altro da ciò che erano. Ricordò il senso di libertà nel camminare sulla spiaggia con André, senza doversi nascondere da nessuno… 

"Sì, ho scritto," gli disse "ma dovremmo andare più lontano. Qui non c'è niente per noi. Potremmo fermarci nel nord per un po', ma poi dovremo cercare un posto giusto per me e per te. Se andassimo in America André?". André rimase perplesso: "In America… è lontano Oscar. Potresti non avere mai più la possibilità di tornare indietro…". Oscar alzò il viso verso di lui, lo fissò, occhi negli occhi: "Non tornerò. Ti seguirò ovunque vorrai portarmi.".

 

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Capitolo 11
*** Ancora un'ultima battaglia - Parte 3 ***


Ancora un'ultima battaglia - Parte 3

Oscar si svegliò. La luce dell'alba aveva fatto irruzione prepotentemente nella piccola stanza. Gli occhi ancora semichiusi, allungò istintivamente una mano attraverso il lenzuolo: era sola. Sospirò: era stanca di svegliarsi da sola. André era giustamente tornato al suo posto, nelle camerate, sempre attento nei suoi atteggiamenti a fare in modo di non suscitare pettegolezzi e di non offrire spunti perché gli uomini potessero mancarle di rispetto. Puntellandosi sui gomiti si levò a sedere: André le aveva lasciato la sua maglia. Sulle spalle, attorno alla scollatura, ancora l'odore della sua colonia. Sorrise. Pensò che quando fosse diventata sua moglie sarebbero stati una di quelle coppie che la sua governante aveva sempre tanto deprecato; le sembrava di sentire ancora la sua voce nelle orecchie: "Indecenti! Non sembrano certamente dei signori… non sembrano nemmeno marito e moglie! Così scostumati da occupare lo stesso letto!". Ai suoi occhi forse anche lei sarebbe sembrata indecente… chissà se almeno lei li avrebbe mai potuti perdonare...

 

Seduta alla propria scrivania, intenta a tenere a bada la nausea del mattino e concentrata nella compilazione di documenti e resoconti, Oscar sussultò sentendo bussare. "Avanti" disse tentando di mantenere la voce più ferma possibile. Entrò il colonnello d'Agoult. "Buongiorno comandante." le disse con gentilezza. Lei gli sorrise di rimando: "Oggi gli uomini sembrano molto tranquilli…" gli disse. Il colonnello rispose, serio e pacato: "Sono tutti preoccupati per gli ordini che dovranno arrivare… Temono di trovarsi costretti ad affrontare dei civili.". Oscar strinse le labbra, aggrottando la fronte: "Ci sono già tanti reggimenti in città… pensate si renda davvero necessario far intervenire anche i nostri?". "Non saprei comandante." lasciò passare un istante, poi:  "Sembrate stanca da qualche tempo. Da quanto non rientrate a casa vostra?". Oscar non rispose. "Ritiratevi…" insisté d'Agoult "Provvederò a farvi avvisare in caso di bisogno…". Oscar si sentì in imbarazzo: il colonnello era sempre stato molto premuroso con lei e mentirgli la faceva sentire falsa. Scelse la sincerità: "Vi ringrazio colonnello, ma preferisco restare… Io… io non rientrerò più a casa mia…". Il colonnello non sembrò sorpreso: "Si dicono tante cose di voi, comandante, ma a me non importa. Non ho voluto dare ascolto a nessuno. Siete giovane. Vostro padre è ormai anziano… voi sapete che ho perso la mia unica figlia… Non voltate le spalle alla vostra famiglia senza offrire nemmeno un'opportunità di riconciliazione.". Oscar avrebbe voluto poter comandare le proprie emozioni così come comandava i propri soldati, ma non le fu possibile: prima ancora di cercare di trattenerle, due grosse lacrime solcarono il suo volto. Chiuse gli occhi e respirò profondamente. "Mio padre ha cercato di uccidermi colonnello. Non ce l'ho con lui. Non cerco vendetta né rivalsa. Mio padre ha solo tentato di essere fedele al ruolo che ricopre… non posso più tornare: non potrà mai perdonarmi per quello che gli ho fatto.". Il colonnello d'Agoult le rivolse uno sguardo di infinita tristezza. "Se potessi riavere mia figlia," le disse "non mi importerebbe di qualsiasi cosa abbia potuto fare…". Oscar, un'espressione mesta sul viso, pensò al generale, sempre tutto d'un pezzo e mai disposto a tornare sulle proprie decisioni. Era davvero possibile che un uomo come lui potesse ritrovare dentro di sè anche solo un briciolo di perdono… o almeno un accenno di pietà… per una figlia come lei… già colpevole di essere nata donna? Abbassò istintivamente una mano a sfregare impercettibilmente con l'indice e il medio sulla coscia il punto in cui si trovava indelebile la stessa scudisciata che André recava sulle reni e concluse con dolore che se anche suo padre avesse sentito rinascere in lui un qualche vago sentimento di pietà, certamente Thomas avrebbe provveduto, così come l'aquila aveva divorato ogni giorno il fegato di Prometeo, a schiacciarlo sul nascere… Oscar guardò il colonnello d'Agoult: le scrutava il viso con una paterna espressione di tenerezza. Oscar non si sentì di sostenere il suo sguardo e abbassò il proprio: suo padre non le aveva mai dimostrato alcuna tenerezza. Senza sapere perché, il suo pensiero volò a madame Anne e al suo modo dolce e cordiale di fare col padre, il dottor Laçonne. Il colonnello sospirò, distogliendola dai suoi pensieri: "Anche se non tornate a casa," le disse "riguardatevi comunque. Potete ingannare tutti gli altri, ma non me. Voi sapete cosa ha portato via mia figlia dall'affetto mio e di mia moglie. Riconosco ogni sintomo di quella terribile malattia…". Oscar lo guardò e gli sorrise mestamente. "Mi prenderò cura di me colonnello. Ve lo prometto.". Il colonnello le fece il saluto militare e lasciò l'ufficio.

Oscar si alzò abbandonando la scrivania. Guardò dalla finestra la piazza d'armi assolata. Non c'era motivo perché restasse in ufficio a sbrigare corrispondenza e a sistemare verbali: di lì a un paio di giorni lei e André se ne sarebbero andati per non tornare più. Qualcun altro si sarebbe dovuto preoccupare al suo posto di mettere ordine tra faldoni e documenti. Decise di ritirarsi e di riposare un poco.

Camminando verso il proprio alloggio sentì il morale sempre più basso e il cuore farsi pesante. Non aveva ancora avuto il coraggio di parlare ad André delle proprie condizioni di salute. Parlando col dottor Laçonne si era fatta spiegare bene la situazione del suo occhio e si era anche informata accuratamente di tutte le opzioni possibili per poterlo aiutare. Al contrario non aveva voluto approfondire nulla riguardo la propria malattia. La caparbietà con cui finora si era detta che non sarebbe morta le parve improvvisamente assolutamente ridicola ed ebbe paura. Raggiunta la sua piccola stanza si liberò dell'uniforme e si sdraiò, un avambraccio a coprirle gli occhi, i capelli sparsi sul cuscino. A casa sua si sarebbe potuta curare? Ci sarebbe stato qualcuno a prendersi cura di lei se avesse avuto bisogno di aiuto? André si sarebbe certamente  preso cura di lei… l'avrebbe sposata: in gaudio et dolore, in sanitate et in aegritudine… ma poteva veramente fargli carico anche di questo? Si sarebbe voluto far carico anche di questo? E poi: voleva davvero sposarla? Dopotutto fino ad ora non l'aveva fatto… e nemmeno glielo aveva chiesto. Gliel'aveva chiesto lei… e più volte, ma in realtà lui non le aveva nemmeno mai risposto. André l'aveva detto a suo padre, che l'avrebbe sposata, in quella notte terribile che aveva sconvolto tutte le loro vite… però poi non aveva detto niente a lei… Pianse. Aveva paura. Avrebbe voluto smettere di avere paura. Si addormentò.

Dormì un sonno angoscioso, sognando di tornare sola a palazzo Jarjayes mentre suo padre la guardava impassibile dall'ampio balcone del primo piano e Thomas le chiudeva ogni porta in faccia ridendo di lei. Si svegliò di sorpassalto, madida di sudore, con un'antipatica febbricola e lo stomaco in subbuglio. Si alzò velocemente e vomitò nel catino della toletta per poi rimettersi seduta sul bordo del letto. Calcolò mentalmente i giorni passati da quando se n'era andata da palazzo Jarjayes a quando aveva incontrato Fersen. Non più di due. Eppure quando si erano parlati, il conte sapeva già di lei e André. Anche Girodelle si era presentato da lei solo un giorno prima dimostrando di sapere tutto quello che la riguardava. A corte si parlava di lei, ma non si parlava di quello che aveva fatto all'Assemblea, fermando la guardia reale… no… si sparlava di lei e André. Questa era la vendetta di Thomas. Il generale era troppo orgoglioso perché lui o qualcuno di famiglia si fosse permesso di parlare di quanto accaduto. Anzi. Era sicura che suo padre si vergognasse di lei e che preferisse tacere. Girodelle sapeva anche che André aveva aggredito Thomas. Il valletto del generale  si era impegnato a spargere velocemente fango su di loro. Oscar ricordò la mano di André che stringeva la sua mentre cercava di portarla via senza scenate da palazzo Jarjayes. "Stiamo dando spettacolo." le aveva detto. A lei non era importato in quel momento. Aveva sbagliato.

Le voci dovevano essere arrivate certo anche agli ufficiali con cui aveva sempre lavorato, se il colonnello d'Agoult le aveva detto di aver ascoltato cose su di lei cui non aveva voluto prestare orecchio… Pensò al generale Bouillé: per lui sarà stata una vittoria ascoltare vicende tanto scandalose su di lei… per lui e per tutti quelli che avevano deprecato il suo essere donna, come il colonnello Labonne, il Duca di Germain o il Duca d'Orleans. Negli anni aveva ascoltato una quantità di storie scabrose a corte, molte di quelle storie erano state persino torbide e disgustose, eppure a nessuna era stata dedicata tanta attenzione come alla storia d'amore fra Maria Antonietta e il conte di Fersen. Oscar pensò che l'amore doveva far paura alla gente. Per questo chi ne era privo si sentiva in diritto di giudicare con disprezzo chi invece era veramente innamorato… disprezzo che aumentava esponenzialmente quando l'oggetto dei pettegolezzi era una donna… e preferibilmente una donna in vista… come sua maestà prima… e ora lei. Sentì dentro di sè crescere un sentimento strano, come un misto fra disagio e rabbia. Se fosse stata ancora a casa sua sarebbe andata a sparare. Ripensò alle tante volte in cui André l'aveva accompagnata; lui non sparava mai. Solo lei. Lui le aveva sempre preparato ogni genere di arma da fuoco, con cui lei aveva puntualmente distrutto bottiglie o piccoli feticci messi insieme a fare da bersaglio, finché c'era stata luce. Sparare le avrebbe fatto bene. Decise di scendere in armeria. Si rivestì in fretta e uscì.

 

La mattina presto Lasalle si era presentato timidamente nell'ufficio del comandante, chiedendo qualche ora di permesso, che gli era stato immediatamente concesso senza domande o approfondimenti. Gérard si era quindi sistemato per benino, lucidando la fibbia e gli stivali dell'uniforme e pettinando il meglio possibile i suoi capelli ricci. Avrebbe voluto chiedere in prestito ad André la sua colonia… era l'unico fra loro ad avere una cosa simile… ma poi aveva avuto paura che lui gli chiedesse a cosa mai poteva servirgli profumarsi a quell'ora del mattino e aveva rinunciato. Ora stava sellando il suo cavallo: voleva andare a Parigi.

Dopo essere uscito di prigione non aveva fatto altro che pensare a Claudine. Si era chiesto se sarebbe stata disposta ad ascoltarlo e si era immaginato più e più volte le parole che avrebbe voluto dirle. Si era sentito mortificato la sera prima, sentendo per l'ennesima volta i compagni parlare di lei con scherno e aveva pensato che invece avrebbero dovuto capirla: doveva essere terribile esser stata consegnata in sposa a un uomo che non voleva! Il padre l'aveva data via, come fosse stata un qualche oggetto da cui ottenere un buon profitto. Gérard aveva passato molto tempo in silenzio seduto al bancone della Bonne Table e aveva ascoltato tante volte Claudine piangere e supplicare il padre. L'aveva vista prendere schiaffi e incassare insulti, ma era stato troppo timido per intervenire o cercare di aiutarla. La verità, si diceva cavalcando, era che era stato un vigliacco… André aveva cercato almeno di consolarla… lei doveva aver pensato che lui potesse salvarla, portarla via… i compagni erano proprio maligni! Era naturale che lei avesse cercato dell'affetto in André… non aveva avuto altra speranza… Lui invece era stato uno sciocco; avrebbe dovuto essere più coraggioso e farsi avanti per primo, invece di André, che evidentemente aveva avuto già da allora altri interessi… Sospirò.

Arrivato davanti alla Bonne Table non ebbe il coraggio di scendere da cavallo. Aspettò, fissando a lungo la porta dell'osteria ancora chiusa, poi tornò sui suoi passi per fare di nuovo il giro dell'isolato. Tornato alla locanda si diresse sul retro; Claudine era là: i capelli scuri raccolti in un piccolo chignon, un vestitino rosso scuro coperto da un grembiule chiaro e la schiena piegata su una mastella da bucato; Gérard si sentì emozionato. Scese da cavallo ma non osò avvicinarsi. La ragazza si levò, asciugandosi la fronte con il dorso di una mano e portando l'altra alla vita,  per inarcare la schiena gravata dal peso del suo grosso ventre rotondo, che la crinolina alzata più in alto non riusciva più a nascondere. Gérard pensò che Alain aveva avuto ragione: era incinta… ma davvero, come gli aveva detto, a lui non importava… a distanza, continuò a osservarla rapito lavare stracci e tovaglie. Poi lei si volse per caso e allora un dolore profondo gli lacerò il petto: il bel visino era deturpato da un labbro spaccato e da un livido gonfio che le chiudeva quasi un occhio. No! Perché?

Si avvicinò. "Mademoiselle…" le disse "state bene?". La ragazza cercò di abbozzare un sorriso gentile ma il viso gonfio trasformò quel sorriso in una smorfia di dolore. "Mademoiselle…" gli rispose in un filo di voce "nessuno mi ha mai chiamato mademoiselle…". Sbattè le palpebre sottili solcate da venuzze rosse,  poi: "Ma io vi riconosco! Voi siete uno dei soldati della guardia! Sedevate sempre al banco…". Gérard sentì un moto d'orgoglio scaldargli il cuore: Claudine sapeva chi era! "Cosa vi è successo?" le chiese, ma lei non potè rispondere, perché già gli stava facendo una domanda a sua volta: "E André? Sapete niente di André?". Lasalle restò muto. Avrebbe voluto trovare parole gentili per dirle che André non sarebbe mai tornato da lei, ma non potè, perché l'oste irruppe sul retro: le guance rubizze, l'espressione dura e contrariata. Prese per un braccio la figlia stringendole il polso con una mano, mentre con l'altra già stava prendendola a schiaffi. Gérard ammutolì sconcertato. L'uomo si rivolse a lui: "Vi stava importunando? Questa sgualdrina non fa altro che adescare uomini! Neanche non avesse un marito!". "Ma no! No! Che dite!" cercò di intervenire Lasalle "Sono stato io! Mi sono solo permesso di salutare!". Ma l'uomo non ascoltava: negli occhi una determinata ferocia e un disprezzo che lasciarono Lasalle disarmato. L'uomo trascinò Claudine all'interno. Gérard non poté vedere che lei aveva cercato di voltare il viso cercando il suo sguardo, perché aveva chinato la testa, atterrito. 

Montò a cavallo e si incamminò lentamente verso la caserma, pensando a suo padre che aiutava sua mamma a portare l'acqua del pozzo e che quando la sua sorella più grande era rimasta incinta la prima volta, diceva a tutti loro fratelli che lei era molto preziosa, perché portava in grembo una grande ricchezza. Pensò al viso violato di Claudine… alla sua intera vita violata… e provò una grande tristezza per lei e una grande frustrazione per la propria incapacità di agire. Cosa gli aveva chiesto il comandante proprio la sera prima? "Com'è che hai deciso di fare il soldato Lasalle?"... già… com'è che aveva deciso di fare il soldato? Era un codardo. Non era proprio tagliato per fare il soldato. Era certo che André o Alain non se ne sarebbero stati con le mani in mano… Lo sguardo basso, proseguì lento al passo. Non aveva usato che la metà del permesso che aveva chiesto. Rientrò nelle camerate per trovare i compagni in subbuglio: era arrivato l'ordine di fronteggiare i rivoltosi.

 

Camminando lungo i corridoi, fra le mani un pesante borsello di cuoio con diverse pistole e il necessario per caricarle, Oscar si imbatté in André. Aveva un'espressione cupa. Le andò incontro dicendole di averla cercata di ufficio senza trovarla; erano arrivate cattive notizie: l'indomani il loro reggimento si sarebbe dovuto recare a Parigi per fronteggiare i rivoltosi. L'ordine che avevano tanto temuto era infine arrivato. André le prese il borsello dalle mani per aiutarla. "Dove stavi andando?" le chiese, sbirciando il contenuto. "Volevo solo sparare un po'." gli rispose, con tono piatto. Camminarono fianco a fianco senza parlare; Oscar, ancora turbata dai pensieri che l'avevano tormentata nella mattinata, lanciava ogni tanto sguardi furtivi per carpire l'espressione di André.

Raggiunsero l'ufficio in silenzio. Oscar si sedette alla scrivania e André rimase in piedi accanto a lei, appoggiato al muro con le braccia conserte,  dopo aver riposto la borsa con le pistole nell'armadietto accanto alla porta. "Andiamo via Oscar. È arrivato il momento…" la voce bassa e ferma, il tono deciso. Oscar sospirò e non rispose, i gomiti appoggiati sul tavolo e la bocca nascosta dietro le mani giunte. Un breve trambusto dall'esterno annunciò l'arrivo di alcuni soldati. Alain fece irruzione rumorosamente con Lasalle e un paio di compagni. "Comandante! È arrivato l'ordine. Ci mandano a combattere contro il popolo! Contro dei civili!". Avrebbe voluto aggiungere altro, ma improvvisamente si accorse di essere fuori posto e di aver interrotto, con gli altri, qualcosa che non li riguardava. Il comandante sapeva evidentemente già tutto, ma non sembrava pensare agli ordini ricevuti e André fissava lui e i compagni con durezza. Si rese conto che se ne sarebbero andati. Non stavano preoccupandosi di quello che stava succedendo, ma di quello che avrebbero dovuto fare loro… solo loro… loro due soli… Una decisione che non riguardava né gli ordini ricevuti né tantomeno lui. Tutto in una volta sentì una voragine aprirsi dentro di lui: quasi certamente, se fossero partiti non l'avrebbe rivista mai più. No! Non voleva! Non poteva! … e non era pronto… Le sarebbe mancata come l'aria nei polmoni… Sentì il respiro farsi più corto e il cuore pompare pesantemente rimbombando sordo dentro le orecchie. Si giocò il tutto per tutto: "Conduceteci a Parigi comandante. Combatteremo con il popolo ai vostri ordini!". Sentì la bocca inaridirsi mentre i compagni già gli stavano dando man forte giurando fedeltà al comandante e André lo guardava con sconcerto e furore. Alain spostò gli occhi su Oscar e gli bastò solo un secondo per sapere di aver fatto breccia: negli occhi di lei bruciava una fiamma indomabile. Avrebbe accettato.

Oscar trattenne il fiato un istante: condurre i suoi uomini a Parigi… imbracciare un fucile… combattere… sentì un fuoco ardere dentro lei. Ancora una battaglia… Sarebbe stata bene! Ancora un po' di tempo per non dire ad André delle sue precarie condizioni di salute… Ancora un'occasione per essere quello che le piaceva e che era sempre stata: un ufficiale! Un'occasione per dimostrare chi era a tutti coloro che pensavano di distruggerla con voci che la umiliavano in quanto donna… Un'occasione per affrontare a testa alta tutti i dannati Bouillet, Girodelle o Labonne che avevano pensato di poterla domare perché non era un uomo! Da un angolino in fondo al cuore si fece largo un'altra idea: un'occasione per dimostrare al generale suo padre che valoroso soldato sapeva essere… Oh… questa era la sua occasione! Avrebbe condotto i suoi uomini a Parigi! Avrebbe combattuto! Avrebbe dimostrato quello che valeva!

"Vattene!". Dura, decisa, profonda, la voce di André la sorprese alle sue spalle. Si girò di scatto guardandolo. Alain e gli altri tacquero all'istante. Lasalle seppe di trovarsi in mezzo a una situazione che non gli apparteneva e di aver interrotto, esattamente come la sera prima, un momento privato e che privato sarebbe dovuto restare. Indietreggiò uscendo dalla porta. I compagni lo seguirono. Alain indugiò ancora un istante: "Vattene"; sapeva che l'ordine perentorio di André era stato solo per lui. Sapeva di essersi spinto troppo oltre. Batté un pugno sulla scrivania sorridendo beffardo e Oscar si volse sorpresa. Alain sapeva di aver giocato sporco… eppure non poté fare a meno di fissarla un'ultima volta negli occhi e di restare rapito dal fuoco che ardeva in quell'azzurro così intenso.. Per ora aveva vinto: non se ne sarebbe andata. Uscendo dall'ufficio sapeva che sarebbe rimasta.

 

Ad André era bastato solo un istante  per sapere di essere stato sconfitto. Alain aveva indovinato la mossa vincente. Non c'era nessun bisogno di corteggiare Oscar: bastava offrirle una battaglia da combattere.

"Vattene?!?" ruggì Oscar "Da quando dai ordini ai miei uomini?!?". André strinse le labbra e l'affrontò, la voce ferma, lo sguardo deciso: "Da quando giocano sporco. Andiamo via Oscar.". Oscar lo guardò: non l'avrebbe spuntata se avessero discusso. Doveva metterlo davanti alle sue decisioni e basta: "Voglio condurre i miei uomini a Parigi. Dopo verrò via con te.". Lasciò passare un istante, poi: "Te lo prometto." aggiunse.

André non le rispose. Se ne andò sbattendo la porta. Oscar non si alzò dalla scrivania. "Andiamo via" le aveva detto. Due volte. Non "Sposami"... 

 

Il generale Jarjayes era chiuso da giorni nelle proprie stanze. Mangiava poco, dormiva poco, non voleva vedere nessuno e non faceva che rimuginare. A corte non si faceva che parlare di sua figlia. Aveva fatto del suo meglio per farne un uomo e invece non era che un'altra dannata figlia femmina. In due matrimoni nessuna delle sue mogli era stata capace di dargli un solo figlio maschio. Persino la sua amante gli aveva sfornato una maledettissima figlia femmina! 

Non solo Oscar aveva tradito la corona e aveva tradito lui, ma aveva anche rinnegato la propria classe scegliendo di andarsene con André! André! Lui gli aveva fornito una vita agiata, un'istruzione, un posto sicuro… e André si era portato via sua figlia! Anzi: gli aveva negato il suo unico figlio maschio, ricordando a Oscar di essere una donna! E non contento aveva pure aggredito il suo valletto!

Thomas gli aveva raccontato tutto: di come avesse cercato di fermarlo e di farlo ragionare per il bene del casato Jarjayes e per rispetto del suo padrone… e di come invece André l'avesse aggredito! Non solo dunque André gli aveva portato via la sua unica opportunità di avere un erede, ma gli aveva pure sfigurato il valletto: adesso non lo si poteva guardare in faccia!

Il generale non aveva più avuto il coraggio di presentarsi a corte. Gli avevano riferito che Oscar non si era accontentata della grazia per la sua persona ottenuta senza alcun merito! Aveva addirittura chiesto la grazia per i suoi soldati detenuti alla prigione dell'Abbazia!

Thomas sapeva tutto e gli riportava ogni cosa: il valletto del conte di Girodelle aveva avuto la bontà di tenerlo informato. Oscar aveva coperto di disonore la loro famiglia! Girodelle non sarebbe certo mai più tornato chiedendola in moglie…

Tutti parlavano di lei. Il conte Jarjayes non riusciva ad accettare la sconfitta: tutta la sua caparbietà, tutto il suo impegno, tutta la sua capacità di generale non erano serviti a niente! Oscar non era che una donna! Un'altra dannata figlia femmina di cui non saper che fare! E l'aveva pure svergognato! Non avrebbe più potuto presentarsi davanti al re finché non avesse potuto fare giustizia e ripulire il proprio casato dall'onta!

… e Bouillé… quante pressioni aveva fatto su di lui facendo pesare tutta la propria influenza perché Oscar potesse avere un'opportunità, perché potesse fare una carriera degna del nome della propria famiglia! Gli antenati Jarjayes avevano combattuto nelle crociate! … e ora tutti ridevano di lui! Thomas gliel'aveva detto: tutti sparlavano di Oscar fuggita con André! E lei se ne stava ancora in caserma! A comandare quei disgustosi soldati della guardia, che la osannavano pensando che i compagni fossero liberi per merito suo, mentre erano vivi solo grazie alla magnanimità del re e per intercessione della regina!

E la sua dannata governante! Quella vecchia insistente, che benché lui non le avesse permesso di entrare nelle sue stanze non aveva fatto che urlargli attraverso la porta chiusa che era tutta colpa sua! Era colpa sua per aver voluto crescere Oscar come un uomo, lasciandole credere di poter fare quello che voleva, invece di inculcarle il rispetto e il timor di Dio come sarebbe convenuto alla figlia di un conte! Jarjayes si era chiesto perché mai non cacciasse quella donna da casa sua. Non aveva fatto che mancargli di rispetto e contraddirlo tutta la vita!

Nel pomeriggio il generale aveva ricevuto l'ordine di recarsi a Parigi nei giorni seguenti col proprio reggimento per fronteggiare i rivoltosi. Si chiese se anche Oscar avesse ricevuto gli stessi ordini alla guardia metropolitana. Pregò che almeno in questo potesse far onore al proprio titolo e al proprio grado.

 

André aveva passato il resto del pomeriggio cercando di tenersi impegnato in attività pratiche e manuali, rimuginando su Oscar e il suo continuo bisogno di combattere. Aveva maledetto un milione di volte Alain, che si era accuratamente tenuto alla larga da lui, e si era chiesto per la centesima volta perché mai avesse riportato indietro Oscar dopo la loro licenza nel Nord. Già allora non c'era stato niente di buono per loro a Parigi. Se le avesse chiesto allora di non tornare… o di andarsene via insieme, era certo che l'avrebbe ascoltato, che l'avrebbe seguito.

Quando rientrò nelle camerate era arrabbiato, sudato e stanco. Sperava quasi di incontrare Alain: avrebbe voluto rompergli la faccia colpendolo fino a poter finalmente sfogare la propria rabbia, ma  non c'era. Si tolse la divisa e si sdraiò sulla branda in attesa non sapeva di cosa. Tutti i compagni non facevano che parlare degli ordini arrivati poche ore prima e dicevano a mezza voce che il loro amato comandante non avrebbe mai obbedito. André finse di dormire. Non aveva voglia di parlare con nessuno.

Con gli occhi chiusi e le braccia incrociate dietro la testa, si chiese cosa stesse facendo Oscar, a cosa stesse pensando. Aveva sbagliato ad andarsene sbattendo la porta. Ripensandoci era certo che lei si fosse sentita sfidata dal suo atteggiamento; non gli avrebbe più dato ascolto in alcun modo. La verità però era che non aveva proprio inteso sfidare nessuno. Era solo esasperato. Ed era spaventato: una cosa era andarsene, ben altro era disertare apertamente. Se fossero semplicemente partiti per andarsene loro due soli, la cosa avrebbe fatto un po' di scalpore, avrebbe procurato un'ulteriore piccola o grande vergogna al generale Jarjayes, ma nessuno avrebbe avuto particolare interesse a cercarli, specie in quel momento e con tutto quello che stava accadendo a Parigi; il colonnello d'Agoult avrebbe annunciato che Oscar aveva lasciato il proprio grado, ci sarebbe stata qualche voce su di loro e magari anche una denuncia, ma tutte cose che non avrebbero avuto né il modo né il tempo di avere un seguito. Se invece Oscar avesse disertato pubblicamente, guidando i propri uomini in battaglia a fianco del popolo, la notizia si sarebbe sparsa immediatamente a macchia d'olio. Il generale Bouillé, già in cerca di vendetta contro Oscar per averlo battuto con la storia della grazia davanti alla corona, avrebbe messo come scopo prioritario di tutti i militari in città l'eliminazione totale del reggimento ribelle. Avrebbero dato la caccia a lei e a ciascuno di loro con una ferocia senza pari, in cerca di rivalsa e vendetta ai danni di una donna che aveva osato sfidarli come un uomo. André sospirò angosciato. Non avrebbe potuto proteggerla mai da tutto questo. Non era che un uomo solo contro il mondo… delle volte, pensò, anche contro di lei… Sapeva cosa aveva indotto Alain a cercare di farla restare: era innamorato… o almeno pensava di esserlo… ma quello che Alain non sapeva era che il suo gesto, il suo invito a combattere, che nell'immediato era sembrato davvero un colpo vincente, non era affatto un gesto d'amore, ma un atto di egoismo, non diverso dal suo gesto nel segreto delle stanze di Oscar a palazzo Jarjayes, quando l'aveva aggredita e spogliata, nel disperato tentativo di aggrapparsi a lei e di non perderla. Lui però se n'era reso conto immediatamente. Aveva cercato di restarle vicino comunque, in silenzio e con rispetto. L'avrebbe fatto anche se lei non gli avesse concesso il suo perdono, perché non poteva fare a meno di proteggerla e di amarla. Alain invece voleva solo averla per sè, tenerla vicina. Non gli importava niente del pericolo a cui con la sua allettante proposta di battaglia la stava esponendo… Ripensò allo sguardo preoccupato di Alain la sera prima all'osteria, quando lui gli aveva detto che Oscar era tornata sola in caserma. Non sarebbero bastati loro due e tutti i soldati della guardia, a proteggere Oscar se avesse disertato… e portava pure in grembo suo figlio. Si chiese se lei se ne stesse veramente rendendo conto o se questo fosse solo un altro fastidio per lei… Forse avrebbe dovuto dirle che lui era contento, che era una cosa bella… Perché non l'aveva fatto? Non lo sapeva. Sentì un peso in mezzo al petto; doveva portarla via…

Un pesante rumore di passi lo distolse dai suoi pensieri e aprì gli occhi per vedere Alain entrare, serio e taciturno, con altri compagni. Si levò immediatamente in piedi, i pugni chiusi e la mascella serrata. Lo aspettò; gli avrebbe chiesto di seguirlo. Non gli importava più di sfogare la propria rabbia. Voleva solo farlo uscire e affrontarlo. Voleva spiegargli che aveva sbagliato. Non avrebbe neppure perso tempo a dirgli cosa legava lui e Oscar e perché avrebbe dovuto starne fuori e basta: non avrebbe capito mai. Voleva solo metterlo davanti al fatto che quello che stava facendo avrebbe messo Oscar in pericolo. Voleva che la lasciasse in pace.

Non fece in tempo neppure a rivolgergli la parola: Oscar era ferma sulla porta.

 

André la fissò: la figura elegante stagliata contro l'ombra cupa del corridoio e il bel volto diafano illuminato dalla fioca luce delle lampade a olio delle camerate, che facevano apparire i suoi capelli ancor più dorati. Lei lo cercò un attimo con lo sguardo; a lui bastò una frazione di secondo per capire che aveva già in mente qualcosa e che non l'avrebbe potuta più fermare. Cercò di sistemarsi rapidamente e mosse qualche passo verso di lei per raggiungerla, ma Oscar era già seduta a uno dei tavoli da cui gli uomini avevano prontamente fatto sparire le carte. "Vieni via…" pensò André "... vieni via dannazione!".

Oscar passò velocemente in rassegna tutti i suoi uomini. “Soldati della Guardia!" disse con voce ben alta e chiara "È necessario che io vi parli!". André, ancora senza uniforme e con la maglia in disordine e solo in parte infilata nei pantaloni,  le si avvicinò e rimase in piedi dietro di lei. Oscar continuò: "Come sapete, il nostro reggimento domani sarà a Parigi. L’ordine che abbiamo ricevuto è di collaborare con le altre truppe e soffocare la rivolta armata con qualunque mezzo. Questo vuol dire sparare sulla folla. Probabilmente ci saranno i vostri amici, i vostri parenti, tra la folla. Se vi dessi l’ordine di aprire il fuoco, sono certa che alcuni di voi non lo farebbero, e io questo lo capisco. Vi parlerò con molta franchezza, vi dirò 

quello che farò io, ma è una scelta personale." . Fra gli uomini un brusio. André le mise una mano sulla spalla, stringendola forte. "Fermati!" avrebbe voluto dirle, ma lei non gliene diede il tempo. Voltandosi un attimo, lo guardò con determinazione, poi proseguì, lo sguardo fermo sui suoi soldati: "Ho deciso di rinunciare all’uniforme e di non essere più il vostro comandante. Questo perché io ora sono la compagna di Andrè Grandier; è probabile che molti di voi ne fossero già al corrente… ma non importa. André è un uomo del popolo e io mi unirò a lui. Tutto sommato, la mia è una scelta facile, per voi forse non lo sarà altrettanto, e giuro che mi dispiace.". André deglutì guardandosi intorno, ma già mani amichevoli gli battevano pacche sulle spalle e voci di cui non gli interessava riconoscere i volti gli facevano auguri e complimenti, mentre altre mani stringevano quelle di Oscar e altre voci le giuravano fedeltà in eterno e dicevano che non avrebbe dovuto smettere di comandare i soldati della guardia, perché l'intero reggimento si sarebbe unito a lei e André e avrebbe combattuto per il popolo ai suoi ordini! … nessuno di loro, si rese conto immediatamente André, immaginava che lui non volesse affatto combattere… che non volesse affatto che Oscar combattesse...

André alzò lo sguardo su Alain; adesso gli sarebbe proprio piaciuto molto rompergli la faccia. Cercò gli occhi di Oscar e trovò sul suo volto un'espressione di fiera determinazione. 

Attorno a loro sembrava una festa: chi cantava, chi gridava "vinceremo", chi diceva che avrebbero combattuto tutti assieme per la libertà. André pensò che fossero tutti pazzi o stupidi. Guardò Oscar. Aveva già deciso senza di lui. Come gli aveva detto giusto la sera prima? "Ti seguirò ovunque vorrai portarmi"... "Sicuro..." pensò André "Purché sia dove vuoi andare tu…". Oscar lasciò le camerate senza aggiungere altro e a lui non restò che guardarla andarsene, per poi volgersi rapidamente: Alain se ne stava ben lontano, dalla parte opposta della camerata. André afferrò la giacca dell'uniforme e uscì.

 

Camminando lungo i corridoi avvolti nella luce del crepuscolo André vedeva le ombre allungarsi; pestava i piedi avanzando con passi pesanti e soffiando come un mantice mentre pensieri nefasti riempivano la sua mente. Prima la storia dell'America! In America voleva andare Oscar! Perché non un po' più lontano? Perché non sulla luna? E adesso Parigi! Gliel'aveva detto lei che non era un buon posto per loro Parigi! Che una parte avrebbe sempre disprezzato lui e l'altra sempre odiato lei… ma no! Adesso voleva combattere! Voleva combattere per il popolo! André si fermò. Si appoggiò a una delle ampie finestre, la giubba lasciata pendere fino quasi a sfiorare il pavimento. Oscar era incinta di suo figlio e voleva combattere. Pensò alle riunioni a cui l'aveva condotta mesi  prima, iniziandola alla causa popolare, pensò a come proprio lui l'avesse convinta a lasciar andare Bernard, ma anche a come lei si fosse battuta in duello rischiando la vita per fare giustizia per un figlio del popolo e a come fin da molto giovane avesse scelto di occuparsi dei contadini delle terre di famiglia affinché fosse loro garantito un regime di vita dignitoso. Ripensò alla carezza che Oscar aveva lasciato fra i suoi capelli dopo che il generale aveva lasciato il suo studio, mentre lui ancora era inginocchiato a terra e lei teneva stretta in pugno una pistola che era arrivata a puntare su suo padre per lui. "Dio Oscar…" mormorò.

Proseguì camminando lentamente verso gli alloggi degli ufficiali, chiedendosi perché non le avesse mai detto che era felice che fosse incinta. Quando raggiunse la porta, entrò senza bussare. Sapeva che lei l'aveva lasciata aperta per lui. Nella penombra, Oscar era raggomitolata sul letto, l'uniforme già piegata ordinatamente sulla sedia e gli stivali accuratamente appaiati accanto. La guardò: le gambe strette al petto, il mento appoggiato alle ginocchia, i lunghi capelli a coprirle le spalle e a nasconderle in parte il volto. Aveva ancora addosso la maglia che le aveva lasciato la mattina, andandosene. Sembrava piccola. Sembrava fragile. Perché voleva combattere?

 

Oscar aveva lasciato la porta aperta. Sapeva che lui l'avrebbe raggiunta. Quando lo vide entrare rimase perplessa: André era in disordine. Ripensando a un'intera vita passata assieme si rese conto che era la prima volta che si presentava a lei in disordine: la giacca dell'uniforme trascinata in una mano, la maglia in parte fuori dai pantaloni, come quando poco prima l'aveva sorpreso entrando nelle camerate per parlare agli uomini… non si era cambiato, non si era rassettato, non si era rasato… Lo guardò con aria interrogativa.

André trattenne il fiato. Avrebbe voluto dirle che l'amava, che voleva che se ne andassero subito insieme perché voleva iniziare una vita che fosse loro e loro soltanto, che era contento… e orgoglioso… che fosse incinta… ma restò senza parole. Continuò a guardarla ripensando a lei che parlava ai soldati poco prima, senza avergli detto niente, imponendogli invece ancora una volta le sue scelte senza che lui avesse potuto neanche parlarne con lei… Era come se Oscar avesse sempre avuto bisogno di vedere fin dove lui era disposto ad amarla comunque… 

"Cosa vuol dire che sei la mia compagna?" l'espressione seria, il tono di voce leggermente aggressivo. Oscar inarcò le sopracciglia. "Sembra che tu sia la mia amante!" continuò André. Oscar lo osservò: era contrariato. "Non lo sono?" gli rispose tranquillamente. Lui gettò la giacca dell'uniforme a terra e mise le mani sui fianchi. "No…" pensava turbato "... la mia amante? Tu sei l'amore della mia vita! La mia vita inizia con te… la mia vita finisce con te…". Alain una volta gli aveva detto che erano amanti. Erano questo? Erano solo questo? Oscar lo distolse dai suoi pensieri: "Ti ho detto molte volte che volevo essere tua moglie… ma non sei corso a portarmi in chiesa… a essere sinceri non mi hai mai nemmeno veramente risposto". Ecco: gliel'aveva detto. Sbuffò. 

André lasciò cadere le braccia: lei aveva ragione. Avrebbe voluto dirle che desiderava solo che fosse sua, sua per sempre, ma che aveva avuto paura: paura di non essere abbastanza, paura di non avere niente da offrirle, paura di poter non essere la cosa migliore per lei… "Oscar… io…" mormorò, ma lei lo interruppe bruscamente: "Aspettavi che organizzassi un ricevimento in grande stile? Forse mi sarebbe piaciuto indossare l'alta uniforme… ma non credo di poterla recuperare a palazzo Jarjayes…". Oscar si morse la lingua e abbassò la testa.  Perché era stata così polemica?

André si avvicinò, sedendosi sul bordo del letto: "Perché vuoi combattere Oscar?". Oscar, lo sguardo fisso sul nulla, non cercò i suoi occhi: "Voglio combattere." gli rispose. La guardò, allungando una mano per prendere una delle sue. "Allora verrò con te.". "Non sei tenuto a farlo." non più di un sussurro. André incassò con amarezza le sue parole, ma le rispose comunque con dolcezza; "È una vita che vengo con te ovunque. Non posso certo cambiare adesso, ti pare?". Si sporse verso di lei per prenderle il viso fra le mani: "Senti Oscar, conduci i tuoi uomini a Parigi se ci tieni veramente, ma poi andiamo via… andiamo via e io ti sposerò.". Oscar ebbe un moto di stizza; alzò le mani liberandosi di quelle di André con un gesto secco. Cercò di allontanarlo scalciando attraverso il letto e gli parlò risentita con voce tagliente: "Non stiamo contrattando e non mi devi fare un favore!".

Da bambini e da ragazzi avevano risolto tante volte scontri e litigi picchiandosi: se le erano date di santa ragione finché sfiniti non avevano dimenticato o superato le ragioni di qualsiasi contrasto… poi erano cresciuti e avevano imparato a sfogare la rabbia fioretto alla mano, in sfide in cui non si erano risparmiati colpi bassi e imbrogli attraverso il parco di palazzo Jarjayes… ma ora non avevano altro che loro stessi e una stanza piccola e troppo calda. Finirono col fare l'amore con rabbia. Lui la prese quasi con prepotenza e un attimo prima che si lasciasse andare dentro di lei Oscar gli morse forte una spalla, facendolo imprecare pesantemente a voce alta, mentre le tirava i capelli con la mano che fino a un attimo prima le teneva sulla nuca, strattonandola indietro con malgarbo.

Quando se ne andò, raccogliendo la divisa da terra di malavoglia, André si sentiva più arrabbiato ed era più in disordine di quando era arrivato; camminando nell'oscurità attraverso i corridoi e massaggiandosi la spalla si chiedeva perché diavolo lei l'avesse morso.

Immobile nel buio, dopo che André se ne fu andato, Oscar si sentì infinitamente sola, mentre un furore le riempiva il petto e le faceva desiderare che l'alba arrivasse presto: voleva solo combattere.

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Capitolo 12
*** Ancora un'ultima battaglia - Parte 4 ***


Ancora un'ultima battaglia - Parte 4

La luce era intensa malgrado l'ora e l'aria manteneva ancora un ricordo della frescura notturna. Oscar sfilava al galoppo davanti ai suoi uomini, tutti pronti a seguirla. André l'aveva osservata bene mentre incitava i soldati prima di partire: spavalda, decisa, seria… bellissima… l'avrebbero seguita ovunque. Si sarebbero gettati nel fuoco per lei. Alain fu il primo a partire immediatamente dopo di lei e dietro a lui tutti gli altri. André preferì mantenersi per un po' a distanza e chiuse il gruppo dopo Lasalle.

Quando arrivarono in città la situazione era tesa e c'erano già stati scontri fra i civili e le milizie. Oscar frappose il proprio reggimento fra la gente comune e una folta schiera di militari pronti a fare fuoco e facendo puntare su questi ultimi tutti i fucili, dichiarò al loro comandante di non aver più né titolo e né grado. André guardò l'ufficiale in uniforme verde oliva ordinare la ritirata con gli occhi pieni di disprezzo e odio e fu certo che entro brevissimo tutti avrebbero saputo della loro diserzione; un comandante bello come una delle divinità greche affrescate sui soffitti delle sontuose sale di Versailles, con lunghi capelli biondi e occhi azzurri, accompagnato da uno stuolo di pazzi esaltati, non sarebbe stato difficile da riconoscere e individuare…

André continuò a guardare Oscar: era felice, perfettamente a suo agio nei suoi panni e nel suo ruolo. Quando, arrivati in un'ampia piazza già teatro di scontri, la folla si fece minacciosa, un indistinto mare di volti dall'aria truce serrati l'uno vicino all'altro, non ebbe paura di affrontare disarmata quella moltitudine di persone; semplicemente parlò con chiarezza ed eloquenza per far accettare l'aiuto dei suoi uomini. André pensò che, così bella e infervorata, sarebbe stata capace di convincere chiunque della bontà delle proprie ragioni: per quanto diffidenti, gli insorti sembravano pendere dalle sue labbra… poi una voce famigliare si fece largo fra la folla: "Io credo a te e ai tuoi bravi soldati della guardia, Oscar François!". André lo riconobbe subito: Bernard si fece loro incontro, porgendo amichevolmente la mano a Oscar. André scese da cavallo: la giostra era iniziata. Impossibile sottrarsi ora… L'unica cosa che poteva fare era cercare di fare in modo che Oscar non si esponesse troppo. La guardò accogliere in un abbraccio sincero e pieno di affetto una commossa Rosalie e salutò serio Bernard, mentre sconosciuti davano il benvenuto ai suoi compagni, che stringevano mani e ricambiavano battute e sorrisi. Evitò di avvicinarsi troppo a Oscar e continuò a osservarla, sempre più preoccupato: in pochi minuti si era già guadagnata l'attenzione e la piena fiducia di tutti e stava dando disposizioni affinché fossero innalzate barricate secondo le sue precise istruzioni. Spiegava a Bernard e a pochi altri uomini come si sarebbero dovuti muovere e organizzare e come invece lei avrebbe mosso e gestito i propri uomini, contando sulla loro preparazione, sul loro equipaggiamento e sull'effetto sorpresa che ancora per un po' avrebbe dovuto essere loro assicurato. Alain eseguiva ogni ordine organizzando i compagni e la gente che si offriva. André strinse le labbra: Oscar cercava la prima linea, non aspettava altro che gettarsi nella mischia… La conosceva troppo bene per sbagliarsi: riconosceva il suo sguardo, il suo fare risoluto e quell'espressione ferma e concentrata… Avanzò verso di lei e la prese per un braccio, trascinandola verso una traversa su un lato della piazza. L'ombra li avvolse.

"Non erano questi i patti!" le gridò, piegandosi in avanti su di lei e trattenendola per le spalle con entrambe le mani, il volto a pochi centimetri dal suo. Oscar sentiva il suo respiro contratto e ne fiutò la collera, sostenendo spavalda il suo sguardo: "Non avevamo nessun patto.". "Certo che ce l'avevamo! Dovevamo andarcene! Ricordi?!? Hai persino scritto a Sugane! Perché vuoi combattere adesso?!?". Oscar sentì il cuore batterle forte e rimbombarle dentro le orecchie: era vero, voleva combattere. Voleva solo combattere! Ne aveva bisogno per provare a se stessa che poteva essere quello che voleva, che aveva la forza per farcela e la capacità per riuscire! … che nonostante tutto poteva cavarsela anche da sola e soprattutto che non aveva passato la vita a ricoprire un ruolo comprato per lei da suo padre o concessole dalla regina per simpatia: voleva dimostrare a se stessa di aver occupato ruoli di comando solo perché realmente possedeva la capacità e le qualità necessarie… Guardò André con aria di sfida, alzò le braccia per liberarsi della sua presa con un gesto deciso. "Io sono questo!" gridò di rimando, i pugni chiusi e sollevati, il volto contratto: "Ti ho detto che non sarei cambiata! Mi hai risposto che non mi volevi diversa! Ero questo anche prima!". André si ritrasse impercettibilmente. Strinse le labbra e la fissò negli occhi, puntando un dito contro il suo viso: "Prima non eri incinta.". Il tono fermo, la voce bassa. Oscar abbassò le braccia e gli occhi, chinando la testa. Non poté ribattere. Respirò profondamente prima di tornare a fissare lo sguardo in quello di André. "Questa sera verrò via con te." mormorò.

Questa sera? André si sentì esasperato. Questa sera…

 

Alain stava spiegando a un gruppetto di persone come innalzare delle barricate secondo le istruzioni del suo comandante, quando vide André avvicinarsi camminando ad ampie falcate. Inizialmente pensò si stesse dirigendo verso di lui e si preparò allo scontro, invece André lo superò senza degnarlo di uno sguardo e raggiunse Oscar al centro della piazza. Alain lo vide prenderla per un braccio e trascinarla in una traversa, nell'ombra. In realtà notò che Oscar non protestò: andò con lui senza opporsi. Li seguì con lo sguardo fermandosi per osservarli da lontano. Non poteva sentire cosa si stessero dicendo, ma vedeva le loro espressioni concitate e i loro volti a pochi centimetri l'uno dall'altro. Vide André tenerla saldamente per le spalle e Oscar respingerlo con veemenza. Poi vide André puntarle un dito addosso e lei abbassare il capo. Inarcò le sopracciglia: non immaginava esistesse una situazione per cui Oscar potesse accettare di abbassare il capo. Non l'aveva mai vista farlo…

Guardandoli si sentì in imbarazzo: sapeva di essersi intromesso fra loro. Sapeva che non avrebbe dovuto farlo e sapeva che ora spiandoli stava rubando un momento che non gli apparteneva; vederli discutere, anziché suscitare in lui un qualsiasi senso di colpa, lo faceva sentire più che mai solo e ferito nell'orgoglio e non riusciva a distogliere lo sguardo: osservandoli, si era infatti reso conto all'istante che anche se stavano discutendo c'era fra loro una passione che trasformava ogni parola in una sfida, senza tuttavia che questo li allontanasse l'uno dall'altra… c'era fra loro qualcosa che lui non avrebbe potuto avere mai.

Improvvisamente vide Oscar tornare a dare disposizioni e André marciare verso di lui. Si guardò intorno, ma non si mosse. Sarebbe stato assurdo scappare.

 

André si portò una mano al viso mentre Oscar, senza aggiungere una parola, tornò a impartire ordini e disposizioni. E se le fosse capitato qualcosa? "Dio Oscar…" mormorò fra sè. Alzò lo sguardo verso la piazza e si accorse che Alain lo stava osservando. Scuro in volto marciò verso di lui con passo deciso; lo vide guardarsi intorno e per un momento pensò che volesse scappare, invece non si mosse e lui lo raggiunse rapidamente. Lo prese per il bavero della giacca aggredendolo con rabbia: "Figlio di puttana!" gridò minaccioso, "Se le capita qualcosa non avrò pace finché non sarò venuto a prenderti!". Lo spinse forte. Alain non si difese e indietreggiò di un passo. "Guardale le spalle!" gridò ancora André "Hai capito?!? Guardale le spalle dannato stronzo!". Si volse verso il centro della piazza per accorgersi che Oscar lo stava fissando, le labbra strette e gli occhi seri. "Al diavolo!" pensò. Le voltò le spalle e andò a recuperare i cavalli.

 

Oscar richiamò i suoi uomini e l'intero reggimento fu subito pronto. André inspirò profondamente: era arrivato il momento, ormai lo scontro incombeva. Spronò Alexandre e raggiunse Oscar: sarebbe rimasto sempre al suo fianco. L'avrebbe protetta a costo della vita. Non poteva più fare altro. Lei lo guardò seria, prima di dare qualche ultima istruzione a Bernard e gridare forte: "Andiamo!". Partirono al galoppo, saltando le barricate dove ancora non erano terminate e spingendosi verso il Royal Allemand, allo scopo di tenere i soldati il più possibile lontano dai civili.

Alla testa del gruppo, Oscar cavalcava con la testa bassa, pronta a dare battaglia. Quando da lontano poté scorgere il reggimento nemico, André, accanto a lei, le porse una mano. Lei lo guardò e allungò la propria per stringerla; per un attimo tutto fu fermo, il clamore si spense, la rabbia e la paura svanirono: c'erano solo loro, poi Oscar lo lasciò per brandire la spada. Un ultimo sguardo, poi "Abbassa la testa!" gli gridò, mentre i primi colpi iniziarono a piovere loro addosso.

Alain, subito dietro di loro, li aveva visti prendersi per mano. Spronò il cavallo e prima che potessero raggiungere la fila schierata di soldati che avevano di fronte, riuscì a passare davanti a Oscar e a sbaragliare per primo le linee nemiche.

I soldati di Oscar si comportarono bene: pronti e determinati attaccarono velocemente secondo gli ordini ricevuti, approfittando della disorganizzazione e della sorpresa degli avversari, che non si aspettavano di dover fronteggiare altri militari.

Oscar combattè con freddezza e determinazione, usando la spada e sparando con precisione, senza mai dover scendere da cavallo, ritornando sistematicamente con lo sguardo su André, che non si allontanò mai dal suo fianco e anzi un paio di volte si liberò a pedate di avversari che sembravano farsi pericolosi per lei. Alain restò sempre nei paraggi e Oscar si rese velocemente conto che insieme loro tre risultavano più letali e pericolosi nella mischia, essendo l'uno la forza dell'altro e guardandosi reciprocamente le spalle.

Alain combatteva in maniera istintiva, senza premeditazione, con sistematica ferocia, affrontando i nemici anche più di uno alla volta. Riusciva a sparare con precisione e velocità, usava la spada con molta forza, più per offendere che per difendersi e non si fermava per guardarsi indietro. André al contrario attaccava solo saltuariamente, più attento a Oscar che non ad atterrare avversari. In difficoltà con il suo occhio, evitò di affidarsi a fucile e pistola: sapeva di non essere in grado di prendere agilmente la mira. La spada stretta in una mano e il calcio del fucile pronto a essere usato per sferrare colpi ben saldo nell'altra, si batté con forza e coraggio, mantenendo il sangue freddo e riuscendo a restare sempre abbastanza lucido da non perdere mai di vista Oscar.

Quando, guardandosi intorno, reputò di aver sufficientemente danneggiato il reggimento avversario, Oscar ordinò la ritirata. Come aveva raccomandato loro, i suoi uomini recuperarono in velocità le armi che poterono fra quelle dei nemici e in breve furono pronti per seguirla. Oscar si mosse rapida attraverso la città, riuscendo a colpire inaspettatamente diversi gruppi di militari prima che la notizia dei soldati della guardia ribelli si diffondesse.

Negli spostamenti Oscar cercava di valutare l'umore della truppa e il nervosismo fra gli uomini, scrutando i volti per riconoscere eventuali segni di cedimento, per non esporre nessuno a rischi inutili. Si accorse in fretta che Lasalle non avrebbe retto a lungo; le labbra tremanti, il volto pallido: era sconvolto e spaventato. Oscar lo avvicinò: "Mantieniti nelle retrovie!" gli disse. Lui alzò su di lei uno sguardo inespressivo. "Mi hai capito?!?" gli urlò allora "Resta indietro nel prossimo attacco!". Spronò César per riportarsi alla testa del gruppo, fra André e Alain. Avanzando fra vicoli e strettoie raggiunsero un altro gruppo di soldati riuscendo a sorprenderli alle spalle. L'azione fu precisa e letale. Mirando con freddezza Oscar abbatté diversi tiratori scelti appostati sui tetti, mentre i suoi uomini davano battaglia, ormai ubriachi di sangue e violenza. Molti di loro non restavano più sulle cavalcature, per scendere e affrontare sempre più spesso gli avversari a mani nude, con estrema brutalità. Con uno sguardo veloce Oscar trovò André e Alain sempre a pochissima distanza da lei, il che le regalò per un istante una sensazione di sicurezza che le permise di distogliere l'attenzione da sè per accorgersi che Lasalle era a terra. Rosso in viso, gridava terrorizzato, incapace di difendersi, mentre un nemico già stava alzando il moschetto su di lui. L'avrebbe trafitto. L'avrebbe ucciso. Oscar si mosse fulminea e appena fu sufficientemente vicina lanciò la spada, colpendolo alle spalle. L'uomo si volse, cercando di difendersi, ma lei lo finì con un colpo di pistola e recuperò la spada. Ordinò nuovamente la ritirata prima di porgere una mano al suo soldato per aiutarlo a rialzarsi. Gérard piangeva. "Non ce la faccio!" urlò convulsamente fra i singhiozzi "Ho paura! Io non ce la faccio comandante!". Oscar strinse forte la sua mano strattonandolo per indurlo a rimettersi in piedi. Doveva muoversi e doveva farlo in fretta. Se fossero restati troppo a lungo, gli avversari avrebbero avuto il tempo di riprendersi e organizzarsi. "Non è una gara Lasalle!" gli gridò "Non vince chi non ha paura! Tutti hanno paura! Anch'io ho paura! Alzati adesso. E vieni con me!". André era accorso alle sue spalle portando con sè César. "Aiutami André! Non ce la farà da solo!". André scese da cavallo per caricare Gérard in groppa ad Alexandre e tornare rapidamente a montare a sua volta. Gli altri avevano già iniziato ad allontanarsi. Oscar raggiunse la testa del gruppo. Il pomeriggio volgeva al termine; era giunto il momento di iniziare ad avvicinarsi a Bernard e mettersi al riparo dietro le barricate. Poi nella notte lei e André se ne sarebbero andati, come gli aveva promesso. Alain avrebbe preso il comando: ne aveva le capacità. Era solo dispiaciuta di non aver avuto più tempo per offrirgli una formazione migliore.

Lei aveva combattuto, come voleva. Sentiva l'adrenalina scorrerle nelle vene e cavalcando alla testa dei suoi uomini si sentiva invincibile. Le dispiaceva di doversene andare: la verità era che quella era la vita che le piaceva…

 

Oscar rallentò e ordinò agli uomini di muoversi con circospezione. Non mancava molto per congiungersi con Bernard. Non voleva affrontare altri scontri: tutti erano stanchi e la lucidità iniziava a vacillare. Inoltre negli ultimi attacchi aveva notato eccessi di violenza che potendo preferiva evitare. Non fu quindi affatto contenta di imbattersi in alcuni uomini della guardia reale, sbucando da un vicolo su un piccolo spiazzo fra le case. Si fermò: riconobbe alcuni di loro. Era stata il loro comandante per tanto tempo… non avrebbe voluto doverli affrontare…

Si stava chiedendo perché fosse stata inviata in città anche la guardia reale, quando scorse una figura di spalle con lunghi capelli castani chiari e un'uniforme azzurra troppo ordinata per la situazione… strinse le labbra con disappunto. Immediatamente dietro di lei, Alain sbuffò sonoramente e Oscar fu certa che avesse riconosciuto Girodelle… André le si avvicinò: anche lui aveva riconosciuto la guardia reale. Lo guardò e lui scosse appena la testa in segno di diniego: anche lui preferiva non battersi contro gli stessi uomini che aveva visto per anni e con cui aveva condiviso e vissuto turni, ordini ed esercitazioni, benché in un ruolo diverso da quello che ricopriva ora...

Oscar guardò con più attenzione: gli uomini con Girodelle erano veramente pochi. Alcuni di loro non erano nemmeno a cavallo… dovevano aver perso le loro cavalcature in scontri sfortunati… forse sarebbe bastato aspettare che si allontanassero: sembrava stessero organizzandosi per andarsene… si guardò un attimo indietro: la giornata era andata bene, aveva perso pochissimi uomini, aveva raggiunto tutti gli obiettivi prefissati… sarebbe stato azzardato rischiare ancora gettandosi in uno scontro inutile…

Mentre pensava in silenzio, un soldato della guardia reale attraversò la piccola piazza e vide Oscar e i suoi uomini fermi nell'ombra della traversa. Fu solo un attimo, gli occhi del soldato incrociarono quelli del suo ex comandante e immediatamente gridò: "I traditori! Sono qui! I traditori!". Oscar si dispiacque, ma fu costretta a ordinare la carica. I soldati della guardia, più numerosi e più abituati allo scontro fisico, si trovarono immediatamente in una situazione di vantaggio.

Oscar si guardò intorno e sentì una strana sensazione alla bocca dello stomaco: niente a che fare con la paura… era più una sensazione di allerta, come un presentimento… Si volse improvvisamente per trovarsi davanti Girodelle che, chino sul collo del suo cavallo, galoppava verso di lei con la spada sguainata. Oscar estrasse la propria e lo aspettò per affrontarlo. Quando non fu che a pochi metri di lei, vide Alain comparire dal nulla per speronarlo e disarcionarlo. Girodelle cadde a terra, ma Alain non poté raggiungerlo: due soldati erano già accorsi e lo avevano aggredito, in difesa del loro colonnello. Impegnato a difendersi, non potè vedere Oscar scendere da cavallo e accingersi ad affrontare Girodelle.

 

Il colonnello Girodelle era stanco e infastidito. Era stato inviato in città dal generale Bouillet assieme a un manipolo di uomini, affinché anche la guardia reale contribuisse a mantenere l'ordine a Parigi, ma il caldo di luglio lo aveva spossato e aveva trovato disgustosa e rivoltante la gente che aveva dovuto fronteggiare: miseri disperati che per rubare loro armi e cavalli avevano spinto lui e i suoi soldati in vie strette e maleodoranti.

Sperava di rientrare quanto prima ai suoi comodi alloggi quando aveva sentito gridare forte: "I traditori! Sono qui! I traditori!". Aveva immediatamente guardato nella direzione da cui veniva l'allarme per trovarsi di fronte a madamigella Oscar e ai suoi dannati soldati della guardia.

L'aveva osservata solo per un secondo: lo sguardo sempre indomito, la figura esile e fiera, i lunghi capelli biondi lasciati sempre selvaggiamente liberi… gli era bastato quel breve istante per riconoscere immediatamente in lei la ragazzina sbruffona e orgogliosamente sicura di sè del loro primo incontro: "Permettetemi di dirvi che non volevo mettervi in imbarazzo davanti a un pubblico…". Fin da allora avrebbe voluto insegnarle il rispetto… fin da allora avrebbe voluto poterla mettere al suo posto… e invece lei lo aveva battuto e umiliato, così come lo aveva umiliato più e più volte respingendo ogni suo tentativo di chiederla in moglie.

Sentì bruciante il ricordo della pistola puntata al suo inguine e sussultò quando sentì Oscar gridare, ordinando la carica contro di lui e i suoi uomini. Vide i soldati in blu fare irruzione nel piccolo spiazzo e mettere velocemente in difficoltà i propri.

Questa volta non si sarebbe fatto umiliare. Estrasse la spada e lanciò il cavallo al galoppo. Le avrebbe dimostrato quello che valeva. L'avrebbe piegata!

Intento a sferrare un attacco violento e pieno di risentimento, non si accorse del soldato della guardia che col suo cavallo lo intercettò nello slancio, disarcionandolo e facendolo finire nella polvere, mentre il suo cavallo rovinava a terra, rischiando di schiacciargli le gambe. Tramortito e ferito nell'orgoglio cercò di riprendersi e di recuperare la spada; si rimise in piedi barcollando, in tempo per vedere Oscar, lo sguardo freddo e determinato, scendere da cavallo e prepararsi ad affrontarlo, l'elsa della spada ben stretta in una mano e una pistola nell'altra. … ma questa volta lui gliel'avrebbe fatta pagare una volta per tutte...

 

André aveva cercato di restare sempre accanto a Oscar, ma impegnato a respingere un attacco, era stato costretto a scendere da cavallo e l'aveva persa di vista. Quando finalmente era riuscito a liberarsi dell'avversario l'aveva immediatamente cercata, maledicendo la sua difficoltà nel mettere a fuoco. Poi improvvisamente si era accorto di Girodelle che la stava caricando, spada alla mano, con il cavallo lanciato a tutta velocità. Aveva cercato di correre da lei e aveva ringraziato il cielo quando Alain aveva scaraventato a terra il conte.

Si spaventò vedendo Oscar scendere da cavallo: la schiena dritta, le spalle ben ferme, spada e pistola pronte… non si poteva sbagliare: voleva affrontarlo. André vide il conte alzarsi barcollando e riconobbe nel suo volto sentimenti d'orgoglio ferito e di risentimento. Corse, ormai era vicino. Guardò Oscar, chiamandola a voce alta, poi sentì uno strappo al braccio sinistro che lo trascinò di traverso, lo scoppio di uno sparo e un dolore lancinante su un lato del torso, appena sotto la spalla… Si portò una mano al petto e cadde, nelle orecchie un fischio acuto che gli impediva di distinguere suoni e voci intorno a lui e il respiro che si faceva a ogni attimo più difficile e doloroso. Cercò di alzare lo sguardo; vide Oscar sparare e Girodelle cadere a terra improvvisamente. André sbatté le palpebre. Vide Oscar che gli correva incontro, mentre Alain si chinava per sorreggerlo.

 

Quando Alain aveva riconosciuto il comandante delle guardie reali, aveva sentito un impeto d'odio scaldargli il sangue nelle vene. Inizialmente aveva pensato che Oscar non lo volesse affrontare, ma poi un soldato li aveva visti e riconosciuti e lei era stata costretta a sferrare l'attacco. Mentre si lanciava nella mischia, Alain non faceva che ripetersi che aveva sbagliato a non ammazzare quell'uomo due giorni prima e che l'avrebbe ammazzato adesso. Cercando di guardare comunque le spalle a Oscar, si era mosso verso il tipo dai lunghi capelli, ma questi aveva improvvisamente preso la corsa brandendo la spada, con l'evidente intenzione di scagliarsi contro di lei. Alain aveva appena fatto in tempo a intercettarlo, spingendolo a terra e rovesciando il suo cavallo. Avrebbe voluto raggiungerlo subito e affrontarlo, ma due soldati della guardia reale lo avevano attaccato, costringendolo a scendere dal suo cavallo e ad impegnarsi per disfarsi di loro. Quando finalmente, battendosi con violenta determinazione, lasciò entrambi ai suoi piedi, cercò Oscar nella confusione. Vide Girodelle estrarre la pistola e lei farsi avanti, mentre André correva per raggiungerla, gridando il suo nome. Fu una frazione di secondo, guardò Girodelle: sul suo viso un'espressione di disprezzo. Non stava puntando l'arma contro Oscar. Istintivamente si lanciò verso André, allungando una mano per afferrargli un braccio e strattonarlo verso di sè. Girodelle sparò; nonostante il tentativo di sottrarre l'amico dalla traiettoria, il colpo lo raggiunse. Alain vide André accasciarsi con una mano stretta al petto e cercò di sorreggerlo.

"No! No! Noooo!" Oscar si era girata per vedere André cadere a terra e mentre il suo grido riempiva tutta l'aria intorno, Alain guardò Girodelle: ostentava un'espressione di trionfo che si gelò appena lei si volse. L'odio negli occhi di Oscar fu l'ultima cosa che vide, prima che una pallottola gli attraversasse il cranio in mezzo agli occhi, facendolo rovinare fra il sudiciume e la polvere.

Oscar lasciò cadere la pistola e corse verso André. Il suo grido aveva scatenato una furia cieca nei suoi uomini. Lo scontro finì in fretta. Non lasciarono superstiti.

 

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Capitolo 13
*** Ancora un'ultima battaglia - parte 5 ***


Spero mi perdonerà Margaret Mitchell per aver rubato una battuta al suo Retth Buttler per regalarla ad André!

Ancora un'ultima battaglia - parte 5

Le braccia conserte, seduta con le gambe accavallate su una seggiola a ridosso del muro, accanto alla porta, nel buio, Oscar pregava. A casa di Bernard aveva trovato l'aiuto e l'ospitalità di cui aveva bisogno.

Nel silenzio, il respiro di André era un rantolo regolare. Le lacrime scorrevano sul suo volto cadendo senza sosta. La memoria corse alle sante messe nella sontuosa cappella di Versailles e si rese conto che le ultime volte in cui aveva veramente pregato, con reale intenzione e cuore sincero, era stata sempre al capezzale di André: quando il Cavaliere Nero l'aveva ferito e dopo Saint Antoine.  Pensava che prima o poi le lacrime sarebbero finite, invece per quanto gli occhi le dolessero, il pianto sembrava non avere fine.

Oscar ripeteva mentalmente e incessantemente le Ave Maria una dietro l'altra, così come le diceva da bambina con sua madre, sgranando il rosario di perle, dono di battesimo della nonna materna. Le parole scorrevano nella speranza che anche le preghiere di chi era condannato all'inferno avessero diritto a un qualsiasi ascolto del Cielo… sì, perché era sicura che per lei ci sarebbe potuto essere solo l'inferno: pensava che il petto le sarebbe scoppiato per riuscire a contenere tutto il dolore e il senso di colpa per aver trascinato André… il suo André… in una guerra che sapeva non avrebbe voluto combattere, in un giorno di sangue e follia, fra una battaglia e l'altra attraverso una città che era diventata una polveriera, al solo scopo di provare a se stessa che poteva essere un buon condottiero. Sarebbe andata all'inferno per essersi ribellata alla corona cui aveva giurato fedeltà, per aver tradito la sua famiglia, per aver ucciso a sangue freddo… Sarebbe andata all'inferno per essersi presentata in casa del dottor Laçonne armata fino ai denti e aver strappato un uomo per bene alla propria famiglia, per trascinarlo attraverso una città in assedio.

Oscar cercò di soffocare un singhiozzo. Si alzò; le mancava il fiato… ma non era nulla che avesse a che fare con la sua malattia… Era una sensazione che le veniva direttamente dal profondo dell'anima: pensava che se André non si fosse svegliato, lei avrebbe smesso di respirare. Chiuse gli occhi, ma dalle palpebre chiuse riemerse l'immagine di André che cadeva, una mano al petto… li riaprì subito. Fece qualche passo e si avvicinò a lui. Dalla finestra la fioca luce della luna gli metteva in risalto il volto, segnato qua e là dai ricordi evidenti delle battaglie combattute nella giornata; i capelli ricadevano morbidi e scuri sul cuscino. Rosalie si era occupata di lui, l'aveva spogliato e ripulito, mentre lei attraversava Parigi per trovare Laçonne. 

Quando con i suoi uomini aveva raggiunto Bernard nella piazza dove si erano salutati la mattina, André era sorretto da Alain, che aveva cavalcato con lui. Oscar avrebbe voluto stargli accanto, essere lei a sorreggerlo, ma non sarebbe mai stata in grado di sopportare il suo peso senza procurargli ulteriori sofferenze.

Allungò una mano e lo accarezzò. Lo ricordò esanime nel letto, la notte dopo l'aggressione a Saint Antoine; gli era rimasta accanto fino all'alba, ma non aveva avuto il coraggio di toccarlo.

Quando erano arrivati Bernard si era immediatamente prodigato per trovare un dottore e alcuni bravi medici si erano fatti avanti tra le fila del popolo per soccorrere André… ma a lei non era bastato. Aveva avuto bisogno di gettarsi in un'altra follia per dire a se stessa di non aver lasciato nulla di intentato per salvarlo… Così aveva lasciato che lo conducessero a casa di Bernard, mentre lei si era procurata altre pistole fra le molte conquistate in quella giornata di battaglie lampo e si era messa a cavallo per cercare il suo dottore, l'unico di cui veramente si sarebbe potuta fidare. Era partita sola, al galoppo, senza dare spiegazioni, per poi accorgersi che Alain, Gérard e un altro paio dei suoi uomini l'avevano seguita senza chiedere nulla. Arrivata al palazzetto in cui viveva Laçonne aveva bussato forte, gridando e facendosi riconoscere, certa che per lei avrebbero aperto; quando il maggiordomo aveva socchiuso il portone, guardingo, aveva fatto irruzione in casa come un bandito, una pistola per ogni mano. Aveva sequestrato Laçonne ordinandogli di seguirla, senza rivolgere una parola a madame Anne, che, terrorizzata, l'aveva guardata andarsene con suo padre costretto fra i soldati, mentre disperata si stringeva a suo figlio.

Oscar si inginocchiò accanto al letto. Appoggiò la testa sulla mano di André, con il palmo rivolto sulla sua guancia. Rivide gli occhi spaventati di madame Anne… madame Anne che era sempre stata tanto gentile con lei… Oscar strinse un attimo gli occhi; sarebbe veramente andata all'inferno: aveva sottratto un padre a una figlia per riparare a un danno fatto per il proprio egoismo. 

Pensò ancora a madame Anne, sola e angosciata nella propria casa, intenta a consolare il suo giovane figlio e i servitori più fedeli, mentre lei tratteneva suo padre senza nemmeno aver avuto la decenza di dirle di non avere intenzioni ambigue, senza nemmeno averle spiegato che aveva bisogno di lui per salvare André… il suo André… Aveva sequestrato quel poveretto senza una parola, minacciando armi in pugno persone che non le avevano mai fatto altro che del bene. Si chiese come avrebbe potuto André continuare ad amarla, mentre le lacrime avevano ripreso a scendere senza sosta.

Rivide se stessa ragazzina… aveva undici o dodici anni forse...  Aveva giocato un tiro mancino alla nonna di André e questa era caduta rincorrendola nelle cucine di palazzo Jarjayes. Lei si era fermata e aveva cercato di aiutarla, ma il suo tentativo maldestro aveva finito col peggiorare la situazione. In mezzo al bailamme  di cameriere e cuoche in delirio era accorso addirittura il generale… André era sbucato dal nulla, prendendola per mano e portandola via. Lei aveva pianto, spaventata, e gli aveva detto che se fosse morta sarebbe andata all'inferno per quello che aveva fatto a sua nonna. André le aveva asciugato gli occhi e l'aveva aiutata a soffiarsi il naso. Poi aveva riso di lei. Ricordava ancora le sue parole: "Non stai per morire… e forse l'inferno non esiste.". Invece esisteva, pensò adesso lei… e ci sarebbe andata eccome. 

 

Il dottor Laçonne si asciugava la fronte con la manica della camicia. Era stanco e l'espressione tirata sul volto tradiva tutta la sua spossatezza. Seduto al semplice tavolo di legno della piccola cucina, in casa del giornalista Bernard Châtelet, beveva piano dell'acqua fresca che Rosalie aveva servito, assieme ad alcune pezze di cotone e a un catino per rinfrescarsi qualora ne avesse sentito la necessità. Di fronte a lui, il collega che l'aveva appena assistito nel lungo e delicato intervento lo guardava ammirato. "Siete un chirurgo di grande talento. Non avevo mai avuto occasione di osservare una tecnica come la vostra!" gli disse. Laçonne abbozzò un sorriso e per non sembrare scortese rispose, avviando una breve conversazione: "Vi ringrazio. Senza il vostro aiuto sarei stato tuttavia in difficoltà. Il giovane cui abbiamo tentato di salvare la vita vi deve molto per la vostra competenza e la vostra disponibilità.". I due dottori si intrattennero ancora qualche minuto; il medico che lo aveva assistito, avido di insegnamenti, incalzava Laçonne con le sue domande e questi cercava di rispondere il più dettagliatamente possibile. 

Rosalie li ascoltava nervosa. Era preoccupata. Quando madamigella Oscar aveva fatto irruzione in casa sua tenendo saldamente Laçonne per un braccio, lei lo aveva riconosciuto subito. Lo aveva visto diverse volte quando aveva vissuto a palazzo Jarjayes e spesso era stato anche ospite del generale. Anche suo marito aveva riconosciuto immediatamente il dottore: gli doveva la vita. Quando Oscar gli aveva sparato alle spalle aveva rischiato di morire, ma poi lei gli aveva fornito le migliori cure possibili e grazie alla competenza di Laçonne si era potuto riprendere perfettamente.

Oscar le aveva chiesto di offrire al dottore ospitalità; non voleva che se ne andasse finché André non fosse stato fuori pericolo. Aveva addirittura lasciato dei soldati a piantonare il portone affinché non se ne andasse…

Rosalie interruppe la conversazione fra i due medici: "Dovete perdonarla dottore! È disperata!" esclamò sedendosi sulla sedia libera fra loro. Laçonne le rivolse un sorriso stanco: "Lo so. Non preoccupatevi." le disse appoggiando una mano sulla sua con premura e gentilezza;   "Ho fatto del mio meglio." aggiunse "Ho veramente bisogno di riposare. Non c'è altro che io possa fare per André in questo momento. Ha perso molto sangue. Possiamo solo attendere e sperare che si riprenda.". Rosalie sospirò; una lacrima silenziosa le percorse il viso.  Dal tinello provenivano voci concitate: Bernard e altri uomini discutevano sul da farsi per l'indomani.

Oscar arrivò camminando con passo marziale. Rosalie si alzò correndole prontamente incontro. "Volete riposare? Cosa posso fare per voi madamigella Oscar?". Oscar la guardò un attimo… "madamigella"... quanto poco madamigella si sentiva in quel momento? Meno che in tutto il resto della sua vita. Ancora preda del senso di colpa, non riuscì a guardare Laçonne. Chiese dove si fossero riuniti i capopopolo e si avviò per raggiungerli nella stanza accanto, pregando Rosalie di restare con André.

Quando entrò nel tinello non fu sorpresa di trovare Alain alla riunione. Questi si alzò per offrirle il suo posto, ma lei rifiutò. Rimase in piedi in silenzio, ascoltando. Scoprì così che stavano progettando di assaltare la fortezza della Bastiglia. Provata dagli eventi della giornata e con il pensiero di André a riempirle cuore e mente, non ebbe voglia… o energia sufficiente… per ragionare sulla sensatezza di tale intenzione. Assorbì l'informazione così come avrebbe ascoltato in passato un ordine poco importante di un superiore. Si limitò a fare osservazioni pratiche e tattiche, che i convenuti ascoltarono con attenzione. Se ne andò quasi subito, chiamando Alain con sè.

 

Quando Oscar e Alain uscirono dal piccolo portone, trovarono i compagni accampati in strada come potevano. Era stato acceso un piccolo fuoco. Qualcuno era riuscito a procurarsi qualcosa da mangiare per tutti, alcuni giocavano a carte, altri rimuginavano in silenzio o dormivano. Oscar richiamò la loro attenzione: "Amici, ascoltatemi. Ho bisogno di parlarvi.". In un attimo li ebbe tutti intorno. Molti di loro avrebbero voluto chiedere di André, ma lei non gliene diede il tempo. Continuò immediatamente: "Domani ci aspettano altri momenti difficili. Se desiderate andarvene ne avete il diritto e avrete tutto il mio appoggio e la mia comprensione. Se invece sceglierete di continuare a lottare per la libertà, ci sarà bisogno di tutte le nostre competenze di combattimento e di artiglieria, perché saremo impegnati in un assedio.". Un brusio si levò fra gli uomini, sorpresi, ma  decisi tutti a restare. "Bene." disse Oscar in un tono neutro,  senza aggiungere altro. 

Se ne andò, inoltrandosi nella notte attraverso i vicoli. I suoi uomini la guardarono allontanarsi. Le spalle curve, il passo pesante. Alain sentì nascere nel cuore un sentimento per lui sconosciuto: un'immensa tenerezza che gli faceva provare una pena smisurata per quella figura sottile. Gli parve infinitamente sola e sentì forte il desiderio di correrle dietro per stringerla e per farsi carico del suo dolore. 

La seguì. A distanza la vide appoggiarsi a un muro e piegarsi per una tosse violenta. Non stava bene. Strinse le labbra chiedendosi se André se ne fosse reso conto. Quando la raggiunse era seduta sui gradini di una chiesa, la testa bassa, incassata fra le spalle. Alain le si sedette accanto. Oscar non alzò il capo. "Dovremmo cambiarci." gli disse. Alain inarcò le sopracciglia.  Oscar alzò lo sguardo su di lui. "Se vogliamo continuare a combattere sarà necessario procurare degli abiti civili per ciascuno di noi.". Alain le rivolse un'espressione interrogativa. Lei continuò:  "Ormai ci conoscono. Tutti sanno che abbiamo disertato. La nostra uniforme è facilmente riconoscibile e ci esporrebbe a un pericolo inutile.". Parlava sottovoce, faticando a trovare il fiato. Alain avrebbe voluto prenderla con sè, offrirle il suo petto per appoggiare la testa, le sue braccia per trovare conforto. Annuì. Rimase immobile accanto a lei. "Vedrò di procurarmi un cambio per tutti entro domattina." le rispose. "Venite ora, rientriamo." aggiunse "Domani sarà una lunga giornata… cerchiamo di riposare un po'...". 

Rendendosi conto che lei non avrebbe rinunciato all'assedio della fortezza, per la prima volta Alain si pentì di averla convinta a restare. Le avrebbe guardato le spalle, come gli aveva intimato André. Glielo doveva.

 

Quando tornò al capezzale di André, Oscar trovò Rosalie e Laçonne a vegliare su di lui. Il dottore controllava la ferita e la puliva, di tanto in tanto, raccogliendo l'essudato che ne  veniva. Oscar ebbe un moto di impazienza, alzò i pugni, piegandosi in avanti: "Perché non si sveglia?!" gridò. Rosalie accorse, cingendole la vita e appoggiando il capo alla sua spalla. Laçonne si volse. "Non si sveglia perché gli hanno sparato." rispose con semplicità, con il suo solito tono calmo e pacato. "Dovete riposare madamigella Oscar. Vi ho già parlato con franchezza, ma voi non volete darmi ascolto. Abbiamo fatto tutto il possibile per il vostro André. Ora non ci resta che attendere. Potete pregare, se credete.". Oscar sentì una rabbia impotente invaderle il petto. Allontanò Rosalie e diede un calcio alla sedia su cui aveva passato le ultime ore, rovesciandola. Rosalie la raccolse, paziente. "Venite madamigella, resterò io a pregare con voi. Sedetevi.". Oscar si lasciò cadere sulla seggiola e si prese la testa fra le mani. Rosalie le accarezzò i capelli. La lasciò solo un attimo per accompagnare il dottore nella propria stanza e offrirgli l'opportunità di usarla per riposare. Congedandosi, lo guardò negli occhi con apprensione: "Perdonatela… davvero… vi prego..." gli disse "... e aiutatela se potete.". Laçonne le appoggiò una mano su una spalla, annuendo comprensivo.

 

All'alba del 14 luglio Parigi era già in fermento. Il malcontento era esploso violento negli scontri del giorno precedente e la rabbia aveva spinto il popolo a cercare sfogo tentando di espugnare uno dei più odiati simboli del potere: la Bastiglia. 

Alain era stato di parola e grazie all'ausilio di Bernard, che aveva fatto appello all'aiuto di tutti i suoi seguaci, aveva trovato abiti civili per sè e per i compagni. Cambiandosi, aveva deciso di non separarsi dal suo fazzoletto rosso e di regalare la giubba a chi ne avesse avuto bisogno.

Oscar non si era vista. Gli uomini erano ormai pronti. Rosalie aveva dato notizie sulle condizioni di André e si era preoccupata personalmente di procurare abiti adatti a madamigella Oscar, lasciandoli ben stirati in una pila ordinata sul tavolino della stanza in cui avevano ricoverato André.

Quando Alain se ne andò, prendendo il comando del proprio reggimento, continuò a girarsi indietro più e più volte, non sapeva se nella speranza o nel timore che Oscar li stesse raggiungendo.

 

Oscar aveva passato la notte sulla sedia vegliando André, assopendosi brevemente di tanto in tanto, ripiegata su se stessa, con il capo appoggiato al letto, accanto a lui. Si era rifiutata di mangiare e non aveva parlato con nessuno. Rosalie le era stata quasi sempre vicina, con affetto e premura, lasciandola soltanto alle prime luci del mattino per andare a recuperare per lei degli abiti civili, che aveva scelto accuratamente fra quelli del marito, per poi lasciarli sul tavolino della piccola stanza, ma Oscar non vi aveva fatto caso, concentrata com'era ad ascoltare il respiro di André: un rantolo regolare e doloroso che le dava l'impressione di lasciare lei priva di aria e di fiato. L'alba del 14 luglio la sorprese intenta ad accarezzargli i capelli con una tenerezza infinita, mentre pregava incessantemente per lui. 

Quando il dottore li raggiunse per controllare le sue condizioni non fece domande. Non voleva sentirsi dire nuovamente che André non si svegliava perché gli avevano sparato… non era certa di essere in grado di sopportarlo. Lo sapeva che gli avevano sparato! La consapevolezza che Girodelle l'avesse colpito solo per fare del male a lei le scavava una voragine nel cuore. Guardò in silenzio Laçonne aprire le bende e medicare la ferita con gesti rapidi e sapienti e quando se ne andò rimase sempre in silenzio, in piedi, appoggiata al muro con le braccia conserte, fissando per un tempo interminabile il volto dell'uomo che amava, con un senso crescente di impotenza, che si trasformò presto in un nodo sempre più pesante in mezzo al petto. L'inattività la faceva sentire ancor più irrequieta e nervosa. Sentì di doversi ribellare a quell'immobilità o sarebbe impazzita.

Uscì dalla stanza repentinamente,  raggiungendo il dottore e Rosalie nella cucina ormai immersa nella luce del mattino, al piano inferiore. Per la prima volta da che aveva fatto irruzione in casa sua, sequestrandolo,  Oscar ebbe il coraggio di parlare a Laçonne guardandolo negli occhi: "Io vi prego," gli disse "non lasciatelo.". La voce le si incrinò appena e gli occhi le si inumidirono; "Non lasciatelo…" aggiunse piano, per poi uscire con passo deciso per inoltrarsi fra i vicoli di una Parigi in tumulto.

 

La Bastiglia sembrava un mostro in procinto di divorare tutto intorno a sè: i cannoni puntati sulla città, l'ingresso barricato, i fucilieri nascosti dietro le feritoie e il luccicare delle baionette alla luce del sole. Alain pensava a sua madre e a sua sorella, già in salvo lontano da Parigi e cercando di dirigere i compagni si domandava come facesse Oscar a sapere sempre come muoversi:  mentre spiegava dove sistemare l'artiglieria e insisteva per far innalzare barricate più alte, pensava che il suo comandante avrebbe saputo con precisione a chi assegnare ogni singolo compito. Avrebbe impartito ordini chiari e precisi e tutti si sarebbero sentiti in qualche modo protetti dalla sua fermezza. Ripensando alle azioni del giorno prima, Alain si rese conto che Oscar riusciva sempre a mantenere una visione di insieme che le permetteva di valutare con distacco e freddezza la situazione, in modo da gestire i suoi uomini come un corpo unico, garantendo in questo modo la massima sicurezza possibile a ciascuno di loro. Valutava rapidamente rischi e vantaggi, rimaneva ferma nei momenti di confusione e in battaglia sembrava mantenere sempre il sangue freddo. Rivide in un istante la precisione con cui il giorno prima aveva colpito il comandante delle guardie reali: benché sconvolta, le era bastato un solo istante per prendere la mira e andare a segno.

La folla tutto intorno era un'unica massa roboante; esasperati e spaventati dai cannoni puntati su di loro e sulle loro case, gli insorti si muovevano senza costrutto. Alain osservava nervoso Bernard spostarsi da una parte all'altra mentre cercava disperatamente di indirizzare la gente in una qualsiasi idea di ordine e pensò che fosse decisamente meglio come intellettuale che come uomo d'azione… Sperò che potesse tornare a casa da sua moglie quella sera: dalla fortezza avevano iniziato a sparare e a bombardare e ovunque le persone cadevano come mosche. L'odore della polvere da sparo, del sangue e della carne bruciata riempiva le narici; il fumo e la polvere si spostavano nell'aria in folte nubi coprendo l'azzurro del cielo e il caldo era opprimente. Cercò di organizzare i compagni per poter iniziare a contrattaccare.

Dal frastuono una voce roca e perentoria lo sorprese alle spalle: "Perché i nostri cannoni non stanno sparando?", il tono chiaro e deciso, quasi simile a un rimprovero. Alain si volse per vedere Oscar correre verso di lui e i compagni, schierati sulla prima linea con l'artiglieria pesante. Bellissima, sempre e ancora nella sua uniforme blu da comandante, saltò agilmente uno dei cannoni per portarsi al centro dell'azione. I lunghi capelli biondi sembravano quasi surreali in tutto quell'inferno di polvere e di fumo.

 

Oscar organizzò rapidamente il contrattacco e anche i cannoni degli insorti iniziarono a sparare, colpendo la fortezza con precisione. Il fragore era assordante e i colpi si susseguivano regolari ai suoi ordini, mentre i capelli volavano a ogni scoppio, vittime del violento spostamento d'aria delle esplosioni. Alain la guardò rapito: la spada alzata, la schiena dritta, l'espressione esaltata… gli sembrò danzare a ritmo con il rombo dei cannoni; in mezzo al grigio, al fumo, alla fuliggine e alla polvere, così bella e altera nell'uniforme blu, era come un fiore prezioso in mezzo al fango. Alain aggrottò la fronte: non era possibile non notarla… Se ne accorse tutto in una volta: non si era cambiata come tutti loro; sembrava anzi ostentare la sua uniforme con spavalderia. 

Una nube di fumo si spostò e uno sprazzo di cielo estivo azzurro comparve sopra le loro teste. Alain alzò il capo, le orecchie sorde per il troppo frastuono; un volo di colombi passò indifferente e gli sembrò fuori luogo in mezzo a quell'orrore. Seguì con lo sguardo la traiettoria delle carabine puntate dalle feritoie della fortezza e gli mancò il respiro. Si mosse con tutta la velocità di cui fu capace, afferrando Oscar giusto in tempo per trascinarla con sè, stretta fra le braccia, dietro le barricate, mentre i colpi dei fucili, uno dopo l'altro, andavano a infrangersi sulle pietre del selciato e contro le bocche dei loro cannoni. Caddero a terra, Alain le nascose il capo contro il suo petto, abbracciandola con disperazione e tenendo gli occhi chiusi, mentre sentiva schegge di proiettili piovere ovunque. Allentò la presa solo per trascinarla più indietro, al riparo delle barricate, fra i cannoni. "Lasciami stare! Lasciami andare Alain!" gridò Oscar, cercando di divincolarsi, mentre lui la tratteneva. Si alzarono in piedi; Alain le prese le braccia con le mani avvicinando il proprio volto al suo viso: gli occhi azzurri sembravano ancor più chiari visti da così vicino. "Perché diavolo non vi siete cambiata? Perché non restate al riparo?" urlò. "Non ho bisogno di nascondermi da nessuno! Lasciami andare!" ripeté lei arrabbiata, cercando di liberarsi da lui e di riconquistare la sua postazione di comando. Alain inizialmente non la trattenne, ma poi la seguì e la costrinse a voltarsi e a guardarlo in faccia, afferrandola per un braccio con una presa salda: "Cosa state cercando? Una pallottola?". "Lasciami! Voglio combattere la mia battaglia!" le fiamme negli occhi, il fiato corto, Oscar cercò di liberarsi strattonando il braccio, ma Alain non la lasciò. "Smettila Oscar dannazione! O ti farai ammazzare!". Colpita più dal tono disperatamente confidenziale che dalla sua forza, Oscar si fermò. Smise di lottare contro di lui e allora finalmente Alain lasciò la presa su di lei. Oscar raddrizzò le spalle e  la schiena e guardandolo fisso negli occhi, con aria di sfida, si slacciò rapida la giubba, si tolse l'uniforme e la scagliò a terra con rabbia, sollevando la polvere. La camicia bianca si apriva in una profonda scollatura e la faceva sembrare assurdamente fragile e allo stesso tempo sensuale in mezzo all'inferno che bruciava attorno a loro. "Sei soddisfatto adesso? Lasciami in pace!" gridò Oscar, caparbia e rabbiosa, senza distogliere lo sguardo un istante. Alain indietreggiò di un passo. "Vi prego, restate al riparo…" le disse, raccogliendo la giacca da terra. Oscar non gli rispose. Si allontanò, tornando a dirigere il contrattacco, ma non riprese la sua posizione in prima fila, davanti ai cannoni. Continuò a camminare fra i suoi uomini, mantenendo alta la concentrazione di tutti e facendo in modo che i colpi si susseguissero  uno dopo l'altro, incalzanti,  non lasciando alcuna tregua alla fortezza; nei muri si erano aperte ormai numerose brecce e la resistenza dall'interno iniziava a indebolirsi. Oscar corrugò la fronte: ormai era questione di poco. La Bastiglia sarebbe caduta.

 

Improvvisamente, come un drago cui fossero state spezzate le ali e le zampe, la fortezza capitolò e gli insorti iniziarono a entrare come un fiume inarrestabile. Oscar osservò la scena, ricordando l'orrore dell'aggressione a Saint Antoine; per un istante rivide con gli occhi della mente il corpo martoriato del cocchiere che aveva prontamente fatto recuperare affinché la famiglia avesse almeno una salma da seppellire. Era stato calpestato e vilipeso e quando l'avevano riportato a palazzo Jarjayes a lei non era era nemmeno riuscito di riconoscerlo. Gli erano persino stati rubati gli indumenti e le scarpe; il volto non esisteva più. Ricordò di aver proibito alla moglie di vederlo.

La folla inferocita correva a riversarsi all'interno della Bastiglia. Avrebbe dato sfogo nel peggiore dei modi alla propria rabbia e all'odio maturato in anni di soprusi. Si guardò intorno chiedendosi dove fosse Bernard; nemmeno lui sarebbe riuscito a dare un freno alla rabbia.

I soldati della guardia lasciarono le proprie postazioni dietro ai cannoni per raggiungere il loro comandante, pronti a seguirla in battaglia e ad obbedire ai suoi ordini. Oscar li guardò orgogliosa: pur senza uniforme, vi era in loro un portamento fiero che li riempiva di dignità.

"Amici!" disse loro "Abbiamo svolto il nostro compito. Andiamocene. Se vorrete fare irruzione nella fortezza, avrete il mio appoggio e la mia stima, ma io non verrò. La furia del popolo diventerà inarrestabile e questa giornata finirà nel terrore. Conosco bene ognuno di voi: siete bravi uomini,  uomini perbene. Rimanete tali. Conservate la vostra onestà e la vostra integrità.". Lasalle le si avvicinò: "Avete ragione comandante!". Oscar gli sorrise; "Questo non è che l'inizio. Ci saranno molte altre battaglie. Ricordatevi sempre di battervi non solo per la libertà, ma anche per la giustizia.". Improvvisamente si sentì immensamente stanca. Notò la giacca della sua uniforme appesa al carro di uno dei cannoni. Alain doveva averla raccolta. Sentì un moto di tenerezza, ma non seppe riconoscere se per quel gesto, o per se stessa nell'aver ritrovato la propria armatura, che pensava perduta. Si mise seduta sull'asse di legno fra le ruote, alzando il capo alla ricerca d'aria e chiudendo un attimo gli occhi.

 

Alain guardava Oscar seduta dietro a un cannone, appoggiata all'asse  fra le ruote del carro: le lunghe gambe accavallate, il volto sporco di polvere e fuliggine alzato a lasciare il collo sottile a fare bella mostra di sè, le palpebre abbassate e le labbra appena dischiuse; le braccia seguivano il busto e le mani poggiavano sull'asse di legno grezzo. L'uniforme blu che lui aveva raccolto era appesa accanto a lei e la camicia bianca, con le maniche rimboccate, lasciava scoperta una porzione di pelle chiara sopra i polsi. L'aveva vista combattere, perfettamente a suo agio con le armi in pugno nel vivo della battaglia, eppure in quel momento tutto in lei gli sembrò delicato e assolutamente fuori posto in mezzo al frastuono e al delirio che continuava tutto intorno a loro. Dal biondo dei suoi lunghi capelli, alla forma aggraziata ed elegante delle sue mani, ogni cosa di lei gli parve preziosa e bellissima.  I compagni raccoglievano quel che era necessario portare via e gli insorti si spingevano verso l'interno della fortezza, gridando e lanciando pietre, bastoni e qualsiasi altra cosa potesse essere scagliata per offendere; alcuni erano armati e scoppi di fucile si susseguivano allarmanti. 

Oscar spalancò gli occhi, il pensiero di André stretto nel cuore. Ora aveva combattuto abbastanza. Non le restava che combattere per lui… per loro…

Si alzò e si sorprese vedendo Alain venirle incontro a grandi falcate. Fece un passo in avanti, immaginando avesse qualcosa da dirle, invece quando la raggiunse le afferrò un polso e la trascinò verso di sè, stringendola e baciandola appassionatamente, sotto lo sguardo incredulo dei compagni, in mezzo al tumulto della folla che riempiva la fortezza.

 

Alain sentiva il cuore pesante rimbombargli nelle orecchie; non era l'eccitazione della battaglia né il riverbero del frastuono: era lei. Lei che aveva occupato ogni suo pensiero, lei che adesso era sola, lei che desiderava in una maniera che non avrebbe mai creduto possibile. Decise che si sarebbe arrogato il diritto di averla: solo una volta, solo un istante, solo per un bacio. Voleva sentire il suo sapore, affondare le mani fra i suoi capelli, cancellare tutto quello che non poteva essere e non poteva avere per un'unica volta. 

La vide alzarsi e marciò verso di lei a grandi passi. Lesse lo stupore sul suo viso mentre avanzava veloce verso di lei  e quando la raggiunse la afferrò per un polso per attirarla verso di sè, una mano già sulla nuca per trattenerla. Non le diede il tempo di parlare, di chiedere o di protestare. Aprì la sua bocca su quella di lei, baciandola profondamente, cercando avido la sua lingua per far proprio il suo sapore, stringendo forte a sè il suo corpo esile per imprimersi nella memoria la morbidezza delle sue forme, che si disegnavano contro di lui, costrette nel suo abbraccio. La sentì immediatamente  respingerlo, mentre i compagni iniziavano ad avvicinarsi, ma non la lasciò.

 

Oscar vide troppo tardi negli occhi di Alain il suo sguardo cupo e determinato. Quando si rese conto delle sue intenzioni aveva già la sua bocca premuta sulla propria e il sapore del tabacco che le invadeva, prepotente e fastidioso, il gusto e l'olfatto. Lo respinse subito, non rispondendo al suo bacio e cercando di allontanarsi da lui, una mano premuta contro il torace e l'altra sul volto. Strinse le dita sullo zigomo e sulla mascella, conficcandogli le unghie nella pelle e graffiandolo fino a farlo sanguinare, ma lui non la lasciò. La barba sfatta era ruvida sulle labbra e sul mento. Costretta contro  il petto di Alain, Oscar sentiva le sue mani imporsi su di lei e sulla sua volontà, premendo sulla vita e dietro la nuca. Estrasse la pistola e finalmente lui la lasciò. Alain non si allontanò, non si difese; rimase immobile davanti a lei mentre i compagni li guardavano attoniti. Oscar fece due passi indietro puntandogli addosso la pistola che teneva stretta nella mano. Per la prima volta si trovò a tremare con un'arma in pugno, mentre lacrime di rabbia iniziavano a scendere, lasciando sul suo volto righe chiare fra la polvere. Si sentiva umiliata, ferita e profondamente offesa. Lo guardò senza distogliere lo sguardo. "Ti credevo un amico." gli disse, poi abbassò la pistola e si avviò, allontanandosi con passo malfermo e incespicando fra le macerie sparse sul selciato. Alain si volse, guardandola andarsene, mentre un dolore sordo gli riempiva il petto e l'anima, nella consapevolezza di averla persa per sempre. Sapeva di averla ferita, sapeva di averla delusa, ma non c'era spazio in lui per riconoscere il rimorso, perché era troppo forte la sofferenza nel comprendere che non sarebbe mai potuta essere sua.

Jacques gli si avvicinò: "Hei amico, André ti ammazzerà…". Alain gli offrì un sorriso beffardo, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni e scalciando lontano un sasso. "Solo se glielo direte!" rispose ridendo. Un altro compagno lo raggiunse. "Cazzo Alain! È stato come vederti baciare mia madre!"; scoppiò una risata fragorosa. Alain si ascoltò ridere, mentre dentro si sentiva spegnere come una candela sotto a un bicchiere capovolto.

 

Gérard aveva visto Alain avvicinarsi spedito al comandante, ma dopo la fuga all'uscita dell'Abbazia e con André che stava lottando per la vita, non si era neppure potuto immaginare che quelle fossero le sue intenzioni. Quando l'aveva visto baciarla si era dispiaciuto: si era dispiaciuto per lei, perché le veniva usata una violenza che sicuramente non meritava… e si era dispiaciuto per lui, perché era stato così stupido da non rendersi conto del male che stava facendo andando a rubare un bacio che davvero non gli sarebbe mai spettato. Quando aveva visto il suo comandante, lei sempre così gentile, lottare per liberarsi, si era avvicinato per aiutarla, ma poi lei aveva estratto la pistola e finalmente Alain l'aveva lasciata andare. Ora guardava lui e i compagni ridere, mentre lei si allontanava sola in mezzo a quell'inferno che ancora non era finito. Pensava che tutti stessero ridendo perché si vergognavano e davanti a una cattiveria perpetrata gratuitamente non erano capaci di dire a un amico che aveva sbagliato. Lui no. Questa volta non avrebbe avuto paura. Si avvicinò e mise una mano sulla spalla di Alain; "Sei veramente uno stronzo." gli disse, guardandolo negli occhi. Prese la giubba dell'uniforme, che il comandante non aveva più potuto recuperare, e corse per raggiungerla. Già lontana, camminava con le spalle curve e la testa bionda si perdeva tra la folla.

 

Oscar camminava piangendo. Il fiato si faceva sempre più corto mentre cercava di farsi largo per allontanarsi dalla fortezza, fra la gente che la urtava e che improvvisamente le parve una massa senza volto. Il sapore di tabacco di Alain le riempiva ancora la bocca e le provocava una crescente sensazione di nausea. Pensava ad André che non si svegliava, all'inutilità di aver combattuto e all'assurdità di averlo voluto fare. Pensava all'amicizia tradita di Alain, su cui invece aveva tanto contato in quei giorni di battaglia e si sentì infinitamente sola. Il bisogno impellente di vomitare le ricordò prepotentemente la sua gravidanza e si defilò nel primo vicolo che si aprì alla sua destra, per appoggiarsi al muro scrostato di un caseggiato dalle finestre troppo strette e lasciarsi andare a un conato violento, che le scorticò la gola e al quale ne seguirono altri. Non mangiava da più di due giorni. Pensò di vomitare l'anima, perché le sembrava che non le restasse altro, mentre continuava a piangere lacrime di rabbia.

Cercando di raggiungerla, Gérard la scorse quasi per caso, nell'ombra del vicolo in cui si era rifugiata. La vide vomitare e corse verso di lei, preoccupato, per aiutarla. Cercò di sorreggerla ma Oscar lo allontanò con un gesto furioso, allora si ritrasse e appoggiò la giacca che portava per lei al davanzale sporgente di una piccola finestra, per poi cercare nuovamente di avvicinarsi. Debole e troppo stanca per continuare a ribellarsi, Oscar lasciò che le cingesse le spalle e le tirasse indietro i capelli, mentre cercava di pulirsi la bocca col dorso della mano. Il clamore e il frastuono della battaglia sembravano finalmente  lontani e arrivavano attutiti nell'ombra fra i palazzi alti. "Comandante, non state bene…" disse piano Gérard. Oscar alzò il viso verso di lui e per la prima volta le parole, troppo a lungo trattenute, le uscirono come un fiume: "Lo so Lasalle. Non sto bene. Ho la tisi e sono incinta. Sono incinta e André non si sveglia perché gli hanno sparato per colpa mia… e non sono più comandante di niente". Parlò a voce bassa, ogni parola bruciava nella gola e nell'anima. 

Lasalle la sostenne, aiutandola a camminare per qualche passo, per poi sedersi accanto a lei sui gradini antistanti un androne buio. Cercò nelle tasche e le porse un fazzoletto che lei afferrò bruscamente, usandolo poi per tamponarsi le labbra. "Vedrete che si sveglierà comandante. Non lascerà soli voi e vostro figlio. Si prenderà cura di voi. Vi vuole bene. Alain dice che André è innamorato di voi da tanto.". Oscar alzò una mano in un gesto infastidito e abbassò la testa, nascondendo un'espressione di dolore. Lasalle si sentì in imbarazzo: non avrebbe dovuto parlarle di Alain! Arrossì e impacciato cercò immediatamente di rimediare: "Mi dispiace per Alain comandante, davvero… Non so cosa gli sia saltato in mente… non si era mai comportato così con il colonnello d'Agoult…" si morse la lingua, ma Oscar aveva già alzato lo sguardo su di lui e lo fissava con le sopracciglia inarcate, un'espressione di divertito stupore sul volto. "Ma davvero?!?" gli disse ironica "Il colonnello non ha mai avuto di questi problemi con Alain?!?". Scoppiò a ridere suo malgrado. "E per fortuna!" aggiunse. Ridendo si alzò, seguita immediatamente da Lasalle. "Torno da André." gli disse. "Vi accompagno!" rispose Gérard ancora in imbarazzo, lo sguardo basso. Si avviarono fianco a fianco, camminando in silenzio. Oscar gli rivolse uno sguardo obliquo e gli diede una pacca sulla spalla. Le fu impossibile trattenere un sorriso: "Scommetto che il colonnello d'Agoult è proprio contento che Alain non si sia mai comportato in questo modo con lui…". Questa volta Lasalle rise con lei, poi si arrestò improvvisamente e tornò di corsa nel vicolo. "Aspettate comandante!" gridò correndo. Oscar lo vide sparire nell'ombra per poi tornare da lei con la sua uniforme in mano. "Tenete!" le disse. Oscar riconobbe immediatamente la sua divisa e la afferrò con gratitudine:  "Grazie Lasalle. Sei un uomo buono." gli disse.

 

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Capitolo 14
*** Ancora un'ultima battaglia - parte 6 ***


Siamo arrivati alla fine della mia storia; desidero ringraziare con tutto il cuore chi ha avuto voglia di accompagnarmi durante queste settimane lungo quest'avventura che è stata per me "Non sarà un'avventura! Spero possiate apprezzare questo finale. Ancora una volta, dunque, buona lettura!


Ancora un'ultima battaglia - parte 6

Rosalie aveva accudito André con premura, seguendo scrupolosamente le indicazioni del dottore e quando finalmente lui aveva aperto gli occhi, c'era stata lei al suo fianco ed era sua la mano che André aveva trovato nella propria. Immediatamente Rosalie gli aveva bagnato le labbra, spaccate dalla polvere del giorno prima e dalla disidratazione, con un panno intriso di acqua fresca, dal quale aveva fatto cadere con attenzione prima alcune gocce, poi un rivolo, affinché lui potesse bere, poi aveva subito chiamato il dottore.

Era stata tanta la gioia nel vedere l'amico risvegliarsi, che per un momento Rosalie aveva dimenticato l'angoscia per suo marito Bernard, di cui non sapeva niente dal mattino.

André si era molto agitato nel non trovare Oscar al suo fianco. Aveva provato a muoversi, ma aveva sentito subito un forte dolore al petto. Le membra pesanti come piombo, era rimasto come costretto fra le lenzuola. Il dottore aveva iniziato a spiegargli cosa gli fosse accaduto, ma a lui non interessava; lo sapeva benissimo cosa gli era successo: gli avevano sparato, ma non gli importava. Voleva solo sapere di Oscar: perché non era lì? Dov'era? Con la voce impastata e la bocca ancora intrisa del sapore del proprio sangue,  aveva chiesto di lei, spaventato che potesse esserle accaduto qualcosa. Quando gli era stato detto che non c'era perché stava lottando con il popolo per la presa della Bastiglia, aveva sentito il proprio respiro spezzarsi e aveva cercato nuovamente di alzarsi, lottando contro Rosalie e il dottore, finché Laçonne, temendo che potesse farsi del male o causarsi dei danni alla ferita, non gli aveva somministrato una dose consistente di laudano, facendolo sprofondare in un sonno angoscioso, popolato di incubi e paure. Rosalie si era dispiaciuta per lui. Gli aveva rinfrescato il viso con un fazzoletto umido e aveva ascoltato il dottore esprimere un certo ottimismo riguardo le sue condizioni. Laçonne sembrava propenso a credere che il peggio fosse passato e che André si sarebbe ripreso. Rosalie tornò a sedersi. Avrebbe continuato a vegliare sul suo amico. Il dottore rimase con lei e le espresse le sue preoccupazioni sulla salute di madamigella Oscar, che riempirono di tristezza la giovane.

Quando il dottore la lasciò per andare un momento a rinfrescarsi, Rosalie si alzò per tornare a bagnare la fronte di André. Nella calura estiva del pomeriggio la piccola stanza con il soffitto a spiovente che aveva potuto mettere a disposizione per lui era diventata bollente. Rosalie guardò l'amico: il viso si contraeva periodicamente in espressioni dolorose. Ringraziò che fosse ancora incosciente. Gli appoggiò una mano su una guancia con tenerezza materna, mentre con l'altra mano andò a cercare e stringere una delle sue, nella speranza di offrirgli conforto e di farlo sentire meno solo in quel sonno agitato. Sentì per lui una pena infinita. Si chiese dove fosse madamigella Oscar. Chiuse gli occhi un attimo e rivide se stessa ragazzina: gli anni passati a palazzo Jarjayes erano stati i più belli della sua vita. André e madamigella Oscar si erano occupati di lei con amorevole cura, le avevano offerto un affetto vero e sincero che era stato il suo appoggio e la sua ancora di salvezza sempre, anche quando se n'era andata, anche quando gli eventi della vita l'avevano separata da loro. Lasciò un attimo André per avvicinarsi alla finestra spalancata. Dall'orizzonte di tetti si vedeva solo una spessa coltre di fumo scuro che la preoccupava e la angosciava. Si chiedeva dove fosse suo marito. Si chiedeva cosa stesse succedendo alla Bastiglia, quando quella giornata sospesa nel tempo sarebbe finita, cosa stesse facendo madamigella Oscar… Poi nella luce abbacinante del tardo pomeriggio, in fondo alla strada vide sopraggiungere due figure appaiate. Strizzò gli occhi per vedere meglio: i lunghi capelli biondi, la figura esile… non poteva sbagliare! Una era certamente madamigella Oscar! 

Dedicò un'ultima occhiata veloce ad André, appoggiando rapidamente una mano sul lenzuolo per assicurarsi che stesse ancora respirando regolarmente e si precipitò fuori dalla stanza, scendendo le scale ripide correndo col cuore in gola. Attraversò il tinello spalancando la porta e correndo in strada. "Madamigella Oscar! Madamigella Oscar!" chiamò forte, andandole incontro. Richiamato dal trambusto, il dottor Laçonne accorse, appena in tempo per vedere Rosalie precipitarsi fuori di casa.

 

Seduto nel suo studio, fermo alla sua scrivania, il generale Jarjayes aveva ricevuto il dispaccio da poco. Il suo volto era una maschera di cera, privo di espressione, pallido, immobile. La bocca niente altro che una piega amara, gli occhi freddi e vuoti. Un dispaccio spaventoso. Thomas aveva voluto portarglielo personalmente, fermandosi a leggerglielo a voce alta, benché ancora convalescente dopo l'aggressione subita non più di due settimane prima. Oscar aveva disertato. Aveva disertato con il suo intero reggimento. Leggendo, Thomas aveva fatto una pausa eloquente, evidentemente mortalmente dispiaciuto per il suo padrone, la cui magnanimità nel risparmiare un figlio indegno (o una figlia inutile?) era stata ripagata con tanta ingratitudine. Il generale pensava che non avrebbe mai più potuto presentarsi dinnanzi al re, che l'intero casato dei Jarjayes era ormai caduto irrimediabilmente in disgrazia, che aveva sbagliato a non lavare immediatamente nel sangue il primo tradimento. Ora non solo aveva una figlia fuggita con un servitore cresciuto in casa sua come una serpe in petto, ma aveva pure un disertore in famiglia. Un disertore nella nobile e antichissima famiglia dei conti de Jarjayes! Thomas, sempre premuroso, aveva cercato di offrirgli conforto: gli aveva detto che non aveva niente da rimproverarsi, che la sua unica colpa era di essere stato sempre troppo di buon cuore, troppo generoso, troppo indulgente, dinnanzi a una figlia che aveva già avuto fin da subito la colpa di essere nata sbagliata: di essere nata donna! Il padrone le aveva offerto l'opportunità di essere suo figlio, ma lei non si era mai dimostrata all'altezza di essere un vero uomo. Aveva finito col rovinare il nome del più nobile dei casati. Si era macchiata di tradimento e anziché dimostrare gratitudine nell'essere stata graziata dalla corona, si era ribellata alla sua famiglia fuggendo con un servo e ora aveva addirittura disertato, condannando il suo povero padre alla più grande delle vergogne. Povero padrone!

Il generale ribolliva. Il conte Girodelle era morto, caduto in battaglia contro i parigini insorti. Il suo corpo era stato recuperato assieme a quello di altri soldati della guardia reale. Il colonnello era stato brutalmente giustiziato: era stato trovato con una pallottola conficcata nella testa, precisamente in mezzo agli occhi. 

La Bastiglia era caduta assediata dai rivoltolosi e fra loro era stato riconosciuto suo figlio, Oscar François. Aveva oltraggiato la divisa dirigendo l'artiglieria contro il marchese de Launay!

Negli ultimi due giorni il generale aveva inviato le sue truppe a Parigi in autonomia, non senza aver impartito precise istruzioni,  ma ormai era venuto il momento che lui stesso comandasse i propri uomini in azione. L'indomani sarebbe andato a Parigi con il suo reggimento. Avrebbe combattuto i rivoltosi senza pietà… avrebbe dato la caccia ai soldati della guardia ribelli… e al loro indegno comandante. Era venuto il momento di fare giustizia.

Thomas gli era rimasto sempre accanto: era stato l'unico a non imputargli la colpa per la vergogna e il tradimento di Oscar. Era stato lui a fargli sapere come a corte si fosse rapidamente diffusa la notizia della sua fuga con André. Avrebbe dovuto dargli ascolto molto prima: era stato più attento di lui nell'accorgersi di chi veramente fosse quel suo figlio mancato!

 

Maria Antonietta era assieme al reale consorte quando la notizia della caduta della Bastiglia arrivò a corte. Il re e la regina ascoltarono spaventati le cronache riportate dai pochissimi fedeli alla corona che avevano potuto assistere all'assedio e alla capitolazione. Quando fu riferito che Oscar François de Jarjayes era stata riconosciuta a organizzare l'artiglieria e che aveva disertato con il suo intero reggimento, provocando lo scompiglio fra le truppe di stanza a Parigi, avevano ascoltato senza proferire parola; il sospetto era che ci fosse sempre il comandante dei soldati della guardia ribelli dietro l'annientamento degli uomini della guardia reale inviati ai comandi del conte di Girodelle e l'uccisione dello stesso. Il re si era ritirato senza commentare, bisognoso di solitudine, mentre sua maestà la regina aveva congedato tutti e aveva chiesto di Fersen. 

Era stato proprio Fersen, non più di due settimane prima, a consegnarle la missiva in cui madamigella Oscar le chiedeva aiuto. Quando gliel'aveva consegnata, il conte si era fermato a parlarle in privato: le aveva annunciato che numerosi pettegolezzi stavano nascendo attorno alla persona di madamigella Oscar e consapevole dell'amicizia che l'aveva sempre legata a lei, nonché in nome dell'amicizia che legava lui stesso a Oscar, aveva voluto essere lui a spiegare a sua maestà le scelte che avevano portato questa loro comune amica lontano dalla sua famiglia... e dalla corona… Le aveva così spiegato che Oscar aveva abbandonato il suo titolo e che presto avrebbe rinunciato al suo grado, perché aveva scelto l'amore e la libertà: la libertà di amare e la libertà di essere. In realtà Maria Antonietta era stata contenta per lei. In cuor suo le aveva augurato di essere se non felice quanto meno veramente libera.

Quando voci scabrose si erano diffuse a corte su madamigella Oscar, la regina non aveva potuto arginarle, ma riconoscente per tutte le volte in cui l'amica aveva cercato di proteggere lei dalle malelingue, aveva almeno ottenuto che nessuno osasse riferire voci in sua presenza. Sapeva infatti che la società non era disposta a perdonare una donna che avesse scelto di amare e di essere libera, ma poteva se non altro essere lei a perdonare chi le era stato accanto con onestà per vent'anni.

Seduta sul trono della sala delle udienze, ormai inutilizzata da tanto, la regina strinse le mani sugli intarsi dei braccioli e chiuse gli occhi reclinando il capo appena indietro. Dopo la grazia concessa prima a lei e poi ai suoi soldati, madamigella Oscar era venuta personalmente a ringraziarla, benché consapevole di non essere più benvoluta a corte. Coraggiosa e come sempre coerente con se stessa, non aveva esitato a presentarsi al suo cospetto e ad esporle con l'educazione di sempre il suo pensiero: era persuasa che si sarebbe dovuto assolutamente evitare uno scontro fra il popolo e la famiglia reale e che fosse necessario offrire uno spunto di benevolenza e distensione, a partire dal richiamare le molte truppe che rendevano la città, a suo avviso, una polveriera pronta a esplodere. Maria Antonietta non aveva nemmeno preso in considerazione i suoi consigli… così come aveva fatto per tutta la vita, ignorando le parole di un'amica sincera che l'aveva sempre devotamente sostenuta e servita. Convinta senza ombra di dubbio che essere sovrani fosse un diritto divino, non aveva voluto ascoltare. Aveva anzi chiesto a madamigella Oscar che restasse accanto a lei in caso di scontri. Oscar era stata sincera come sempre. Al contrario di chiunque avesse avuto attorno da che era arrivata a Versailles, non si era nemmeno preoccupata di edulcorare le sue parole e anzi le aveva detto la verità con una semplicità disarmante: "Io non faccio più parte della guardia reale da molto tempo…". Entrambe erano state consapevoli che quello era un addio, e Maria Antonietta aveva capito che si era trattato di una deliberata dichiarazione con la quale l'amica le aveva annunciato e confessato di aver scelto la propria strada… e che quella strada l'avrebbe per sempre condotta lontano da lei. 

Ora non si sentiva quindi meravigliata nel venire a sapere che madamigella Oscar aveva scelto la causa popolare. Era strano  come questo non la facesse sentire tradita: era infatti certa che, nonostante tutto, l'affetto che le aveva sempre legate non sarebbe svanito. Ricordò un'intera serata passata a ballare con madamigella Oscar in alta uniforme e sorrise con mestizia: dopo tutto, poteva essere sicura che avrebbe avuto sempre un'amica su cui contare fra i rivoltosi...

 

Oscar incedeva lentamente, sentendo tutta la pesantezza degli eventi e la stanchezza degli ultimi giorni pesare sulle proprie spalle. Gérard camminava silenzioso al suo fianco. 

Quando vide Rosalie correre loro incontro chiamando forte il suo nome, Oscar sentì il cuore perdere un battito: perché gridava? 

Affrettò il passo e quando la raggiunse, Rosalie le buttò le braccia al collo, stringendola forte, incurante dello stato pietoso dei suoi abiti e del suo viso sporco. "Madamigella! Oh madamigella Oscar! Siete viva! Siete tornata! Venite! Presto, venite!" ma Oscar esitò: seppe che non avrebbe potuto sopportare una brutta notizia. Si irrigidì e non fu in grado di pronunciare una sola parola. Lasalle la guardò: il volto pallido, gli occhi sgranati… parlò per lei: "Come sta André?". Un largo sorriso si aprì sul viso di Rosalie: "Si è svegliato! Si è svegliato madamigella Oscar! Vi ha cercato, sapete? Il dottore è ottimista! Pensa che il peggio sia passato!". Oscar sentì un ronzio invaderle le orecchie e una sensazione di debolezza e malessere rendere tutto il suo corpo estremamente pesante. Si appoggiò a un muro. André non era morto. Rosalie continuava a parlare, ma lei non riusciva né ad ascoltarla né a capire cosa le stesse dicendo. "E Bernard? Sapete niente di Bernard? L'avete visto? Cosa succede alla Bastiglia?". Lasalle fermò Rosalie: "Comandante! Comandante! Venite, lasciate che vi aiuti!". Sempre troppo orgogliosa per accettare qualsiasi aiuto, Oscar cercò di allontanarlo, ma lui non si ritrasse. Con Rosalie si offrì di sorreggerla e insieme si avviarono verso l'ingresso di casa Châtelet. Camminando piano, Bernard rispose alle domande preoccupate di Rosalie: "La Bastiglia è caduta madame! Abbiamo combattuto bene. Il nostro comandante ha diretto mirabilmente l'artiglieria. Ho visto vostro marito. Non so quando, ma state certa che tornerà.".

 

Quando l'ombra del tinello la avvolse, Oscar si lasciò cadere su una sedia. Improvvisamente si accorse di avere le labbra riarse e chiese dell'acqua. Laçonne si raccomandò con Rosalie affinché Oscar bevesse molto e mangiasse regolarmente, ma non disse niente a Oscar, finché lei non gli rivolse la parola per scusarsi con lui e per ringraziarlo di quanto aveva fatto per André. Oscar bevve cercando di ritrovare il fiato fra un sorso e l'altro. "Domattina vi scorterò a casa. Ora non ne ho la forza e non è il caso di muoversi per Parigi disarmati."

Rosalie aveva recuperato i panni puliti che già aveva preparato la mattina e invitò Oscar a seguirla nella sua stanza. La aiutò a lavarsi, si occupò dei suoi capelli, le medicò le escoriazioni collezionate in quei giorni di battaglia e la aiutò a rivestirsi. I panni di Bernard erano troppo grandi per lei e Rosalie si scusò di non avere altro, ma Oscar ringraziò e si adattò senza porsi alcun problema. "Avete bei capelli madamigella Oscar. Siete una bella donna. Abbiate più cura di voi…" disse timidamente Rosalie, non osando accennare a quanto confidatole quella mattina dal dottor Laçonne. Oscar le sorrise. "Voglio andare da André ora." le rispose. "Andate," disse Rosalie "il dottore vi aspetta già nella sua stanza.". 

Oscar si incamminò lentamente. Quando raggiunse l'uscio si mosse in silenzio; Laçonne stava nuovamente medicando la ferita. André si lamentava debolmente. Oscar attese paziente, col fiato sospeso. Voleva vederlo, voleva accarezzare il suo viso, poter sfiorare le sue labbra, stringere le sue mani… Quando il dottore terminò e si volse verso di lei forse avrebbe voluto parlarle, ma quando vide la pena nei suoi occhi si fece solo da parte per lasciarla passare. André era sempre incosciente. Oscar si avvicinò lentamente; quando fu al suo capezzale si chinò su di lui. Depose un bacio impercettibile sulle sue labbra; gli sfiorò il viso e fece passare le dita fra i suoi capelli. Lacrime silenziose iniziarono a scendere senza che lei potesse fermarle. Il dottore le porse la sedia. Stanca e provata accettò di sedersi. Prese le mani di André fra le sue e se ne portò una alle labbra, premendo appena sulle sue dita per lasciarvi baci brevi e leggeri. "Sono qui." mormorò "Sono tornata.".

Il dottore richiamò la sua attenzione: "Madamigella, dovete ascoltarmi adesso… dovete darmi ascolto veramente.". Il tono era severo, ma anche sincero e preoccupato. Oscar lo guardò. "Vi ascolterò. E mi prenderò cura di me e di mio figlio. Prima però ditemi di André. Voglio sapere come sta. Voglio sapere cosa fare per lui. Perché è ancora incosciente?". Il dottore strinse le labbra con disappunto, ma si rese conto che Oscar non sarebbe stata in grado di prestare attenzione alle sue parole prima di sapere di André. Le spiegò di avergli somministrato del laudano per alleviare la sua sofferenza. Le disse che probabilmente avrebbe aperto gli occhi di tanto in tanto, ma che ancora per diverse ore non si sarebbe veramente svegliato. Le spiegò come accudirlo e come fare con la ferita quando lui se ne fosse andato per tornare dalla sua famiglia. Solo allora Oscar accettò di parlare di sè. Gli confidò le sue intenzioni di ritirarsi nell'Alta Francia, dove persone fidate avrebbero potuto offrire a lei e ad André aiuto e ospitalità. Il dottore ascoltò con attenzione e promise di preparare delle missive per un collega di cui aveva molta stima, che l'avrebbe potuta aiutare una volta lasciata Parigi. Le chiese se avesse intenzione di tornare a palazzo Jarjayes prima di andarsene e Oscar non ebbe bisogno di rispondere: a Laçonne bastò l'espressione dura che si dipinse sul suo volto.

Quando finalmente il dottore uscì, lasciandola sola con André, con la promessa di visitarlo ancora la mattina seguente, era già arrivato il crepuscolo e lunghe ombre si stendevano nella piccola stanza, portando assieme al buio temperature più miti. 

Rosalie la raggiunse portando della minestra di verdure, che Oscar fu costretta ad accettare per l'insistenza della sua giovane amica, decisa a non lasciarla finché il piatto non fosse stato vuoto. Mentre sorbiva piano la minestra, Oscar seppe da Rosalie che i suoi uomini stavano raggiungendo a piccoli gruppi casa Châtelet. Alcuni erano già arrivati e come la notte precedente si stavano accampando come potevano davanti all'ingresso. Bernard si era dovuto attardare con altri intellettuali, ma era sano e salvo e sarebbe presto tornato da sua moglie. Gérard Lasalle aveva chiesto di poter salire brevemente per vedere lei e André. Oscar acconsentì. Anche Alain aveva chiesto a Rosalie di poterla vedere, ma Oscar rifiutò. Rosalie non chiese spiegazioni e lei fu sollevata di non dovergliene dare. Quando Rosalie si congedò, portando con sè il piatto vuoto, Oscar si avvicinò di più ad André. Si abbassò su di lui, accostando la bocca al suo orecchio. "Ti amo." sussurrò, mentre con le dita gli accarezzava il viso e i capelli. "Ti amerò sempre. Ti ho amato anche quando non lo sapevo.".

Un rumore la distrasse. Si alzò immediatamente. Lasalle era fermo sulla porta.

 

Gérard aveva ringraziato madame Châtelet per la sua gentilezza: Rosalie gli aveva dato la possibilità di ripulirsi e cambiarsi e gli aveva pure offerto un piatto di minestra. Mangiando in silenzio aveva ripensato al suo comandante, che gli aveva salvato la vita tre volte… la prima senza nemmeno conoscerlo, senza neppure sapere chi fosse. Era impossibile non volerle bene: era gentile, onesta, corretta… e anche coraggiosa… e bella…

Lasalle aveva ripensato al pomeriggio nel vicolo, al dolore sul viso di Oscar, alla confidenza che gli aveva fatto in quel momento di disperazione. Non meritava tanta sofferenza. Si chiese come stesse André… e anche come stesse lei. Chiese quindi il permesso di vederli per un momento. Non voleva disturbare. Solo vederli…

Quando raggiunse la stanza dove si trovava André convalescente, la porta era aperta. Vide Oscar china su André e rimase immobile, cercando di non far rumore mentre la sentiva sussurrare qualcosa che non riuscì a distinguere. Si fermò sulla soglia finché lei non si accorse della sua presenza, levando lo sguardo su di lui. Nella luce viola del crepuscolo la vide alzarsi e  fare un gesto nella sua direzione; entrò. 

"Come state comandante?". Oscar gli sorrise: "Non sono più il tuo comandante. Mi puoi chiamare per nome.". "Sarete il mio comandante sempre…" rispose Lasalle, rispettoso. "Come state?" ripeté. Oscar abbassò lo sguardo su André. "Faccio del mio meglio. Grazie.". "E André?". "Sembra stia meglio. Tu? Sono state giornate difficili. Ti senti bene?". Lasalle si avvicinò: "Avevate ragione sapete?". Oscar lo guardò con aria interrogativa. Lui continuò: "Quando mi avete chiesto perché facevo il soldato. Avevate ragione: non sono un gran soldato…". Oscar si avvicinò e allungò una mano per stringere quella di Gérard: "Non è vero. Ma non fare il soldato se non ti piace. Fai qualcosa che ti faccia sentire bene.". Lo lasciò per tornare a sedersi e a guardare André. Rimasero in silenzio per qualche minuto, il respiro di André, ancora un rantolo doloroso, unico rumore nella stanza. Oscar gli accarezzò i capelli. Ancora una lacrima scese lungo il suo viso. Sentì Gérard muovere qualche passo dietro di lei. Probabilmente se ne stava andando. Improvvisamente gli chiese: "Sei mai stato innamorato Lasalle?". Gérard rimase stupito: "Come dite comandante?". Oscar non si volse. Parlò sottovoce, senza distogliere lo sguardo da André: "Una volta dissi a un amico molto caro che l'amore può portare a due cose: la felicità completa o una lenta e triste agonia…" fece una breve pausa, poi: "Lui mi rispose che sbagliavo e che per quanto lo riguardava l'amore poteva portare solo a una lenta e triste agonia…". Tacque un istante. "Anche lui si sbagliava. Sbagliavamo entrambi. Io non sapevo che amare fosse così Lasalle…". Gérard rimase in silenzio. Oscar continuò: "Amare non ha niente a che fare con la felicità o la sofferenza. Amare è come avere il cuore che batte nel petto dell'altro.". Lasalle le appoggiò una mano sulla spalla. Si chiese se il proprio cuore battesse davvero nel petto di Claudine… 

Oscar prese fra le sue una mano di André; accarezzò ognuno delle sue dita con delicatezza. "Sei innamorato Lasalle?" chiese di nuovo. "Sì… io… io credo di sì comandante.". "Sei corrisposto?". "Oddio io… io non lo so comandante… non ho avuto mai il coraggio di dichiararmi.". Oscar intrecciò le dita di André alle proprie e sorrise mesta. "Quando André mi dichiarò il suo amore lo respinsi.". Gérard non trovava parole con cui rispondere. Abbassò lo sguardo, continuando a tacere. Oscar aggiunse: "Si è arruolato per colpa mia. Gli avevo detto che non volevo più che mi stesse vicino. Si è arruolato per restare con me.". Gérard sentì il peso del dolore nelle parole di Oscar. "Ma comandante… André è un uomo… ha semplicemente fatto la sua scelta… e la sua scelta siete stata voi…". Oscar sorrise: "Grazie.".

 

All'alba del 15 luglio il generale Jarjayes lasciò il suo palazzo per condurre il proprio reggimento a Parigi, deciso a combattere i rivoltosi con ogni mezzo. Thomas l'aveva aiutato a vestirsi e a prepararsi e l'aveva informato di ogni voce su Oscar: il valletto del povero conte di Girodelle, disperato e in lutto, sosteneva che lei avesse fatto malmenare il suo padrone dai soldati della guardia, quando lui si era recato in visita da lei in caserma, nel tentativo di ridurla alla ragione. Pareva che a corte la fuga di Oscar con un servo fosse ormai il pettegolezzo più diffuso e che fosse giunto persino alle orecchie dei reali. Il generale si era chiesto più volte come tale voce si fosse potuta diffondere tanto velocemente, ma quello era nulla se paragonato con il fatto che pareva che proprio Oscar avesse condotto al successo l'assedio della Bastiglia, dirigendo l'azione dell'artiglieria...

Due giorni prima il generale aveva ricevuto un biglietto dal colonnello d'Agoult, che lo informava di presunte cattive condizioni di salute di Oscar. La breve missiva terminava dicendo che niente avrebbe dovuto poter separare un padre da una figlia. Il generale, consigliato e sostenuto da Thomas, aveva preferito non rispondere e aveva deciso di non informare la consorte, già sufficientemente prostrata dagli eventi.

Ora cavalcava alla testa dei propri soldati, il cuore colmo di rancore e risentimento.

 

Oscar aveva passato la notte vegliando su André. Di tanto in tanto lui aveva brevemente aperto gli occhi e quando l'aveva potuta riconoscere aveva cercato di stringere la mano con cui lei teneva la sua. Il sonno era stato meno disturbato; quando il dottore l'aveva visitato, alle prime luci dell'alba, si era mostrato soddisfatto delle sue condizioni e aveva rassicurato Oscar dicendole che entro qualche ora sarebbe di certo tornato cosciente.

Rosalie li aveva raggiunti, aveva aiutato il dottore a occuparsi di André e aveva portato a Oscar ciò che era riuscita a trovare per lei: poco pane scuro, già indurito, e due mele. Era poi restata finché lei non aveva accettato di mangiare. Oscar aveva baciato André sulle labbra e gli aveva lasciato ancora qualche leggera carezza sul viso e fra i capelli prima di andarsene per scortare il dottor Laçonne dalla sua famiglia.

Ferma sulla soglia, guardò la luce intensa del primo mattino inondare la strada, per poi girarsi verso il tinello buio e fresco e accorgersi che Rosalie aveva ripulito e sistemato la giacca della sua uniforme. Si avvicinò toccando le maniche con la punta delle dita e raddrizzarando bene il bavero: la sua armatura… per così tanto tempo era stata la sua arma infallibile con cui tenere chiunque a distanza... sentì forte in lei la tentazione di indossarla subito nuovamente. Strinse un polsino fra le dita. La voce di Gérard, sulla porta,  la distrasse: "Comandante, ho saputo che volete scortare il dottore a casa. Se permettete io e un altro paio di compagni vorremmo venire con voi… non è molto tranquillo muoversi per Parigi…". Oscar lasciò andare la manica della marsina. "Va bene Lasalle. Arrivo.". Gerard restò ancora un attimo, guardandosi i piedi, poi: "Sono contento che André stia meglio.". Oscar sorrise. 

Il dottore sopraggiunse; lei tentò di scusarsi, ma questi fece un leggero segno di diniego col capo, accompagnato da uno sguardo comprensivo e così si limitò a ringraziarlo. Quando uscirono Rosalie accorse sulla porta per salutarli prima di tornare a vegliare su André. 

Seduto in disparte sui gradini di un ingresso poco distante, lo sguardo basso, il fazzoletto rosso sempre legato attorno al collo e uno stecchino fra i denti, Alain aspettò che Oscar fosse uscita, per dire: "Vengo anch'io con voi, comandante.". Oscar non lo guardò. "Non occorre." rispose fredda, la voce metallica. Alain non alzò nemmeno la testa. "Ma io verrò lo stesso con te." mormorò.

I cavalli erano già stati sellati e quando il piccolo corteo, Oscar in testa, si avviò, Alain lo seguì in silenzio, mantenendo una certa distanza. Oscar lo vide; avrebbe preferito allontanarlo, ma non voleva che una sua insistenza potesse dare al gesto del giorno prima più valore di quanto già non avesse. Sentiva che se l'avesse affrontato, lui avrebbe dato vita a una discussione cui era certa di non voler prendere parte.

Continuò ad avanzare in silenzio,  circospetta e attenta. Le strade, ancora colme dei segni dei tafferugli degli ultimi giorni, avevano un aspetto macabro. Uomini e donne si muovevano veloci e diffidenti:  figure senza volto dall'aspetto minaccioso eppure al contempo spaventato. Madri di famiglia in cerca di cibo per i propri figli o opportunisti in cerca di una vetrina da depredare camminavano ugualmente rapidi e guardinghi.

Oscar scelse piccole strade, vicoli e vie defilate, evitando accuratamente piazze e zone più frequentate. Cavalcando ripensava alla corsa di solo due  giorni prima, quando aveva attraversato la città al galoppo incurante dei rischi, per raggiungere Laçonne. Si portò una mano agli occhi: l'immagine di André che cadeva dopo essere stato colpito era un tormento cui non riusciva a sottrarsi. Improvvisamente udì rumore di zoccoli; alzò una mano; tutti si fermarono all'istante e rimasero col fiato sospeso, in silenzio: i soli a muoversi a cavallo in quei giorni a Parigi erano i soldati. Ciascuno mise mano alle armi che portava con sè. Oscar attese nell'ombra, sperando di poter evitare uno scontro. Il rumore di zoccoli si avvicinava; sembrava un piccolo distaccamento: solo poche cavalcature. Forse un gruppo in avanscoperta? Pensò di ripiegare, ma temeva che il rumore avrebbe rivelato la loro presenza. Guardò indietro: gli uomini erano seri e concentrati, il dottore sembrava molto spaventato. Capì che non avrebbero potuto evitare lo scontro; a un suo cenno del capo tutti furono pronti. Di lì a un attimo avrebbero trovato gli avversari all'imboccatura del vicolo. Laçonne indietreggiò. Alain si fece avanti: una pistola per mano, si portò velocemente alle spalle di Oscar. 

Quando nella luce dorata comparve il piccolo gruppo di soldati, Oscar sgranò gli occhi: dinnanzi a lei, il generale.

 

Jarjayes si muoveva con circospezione fra i vicoli di Parigi. Aveva diviso il suo reggimento, lasciando i suoi uomini nei punti strategici per controllare gli spostamenti in città, poi aveva scelto pochi soldati da guidare personalmente in avanscoperta. Cercava i ribelli, nell'intento di poter fare lui stesso immediatamente giustizia per riportare l'onore sul proprio nome, ma non era preparato ad affrontare quel che trovò di lì a poco, quando svoltò in una piccola via laterale, deciso a controllare ogni anfratto.

Si trovò infatti davanti a Oscar: priva di uniforme, la pistola ben stretta nella mano, il portamento fiero. Era seguita da un pugno di uomini. Il generale guardò la figlia senza proferire parola.

Oscar abbassò la pistola e scese da cavallo. Gérard scese a sua volta e l'affiancò. Padre e figlia si scrutarono per un istante infinito, occhi negli occhi, la tensione palpabile. Su entrambi i fronti tutti erano pronti allo scontro. Il generale alzò un braccio e i suoi soldati puntarono i fucili su Oscar, che però rimase immobile, con un'espressione imperscrutabile sul volto. Alain cercò di muoversi in avanti, ma César e il cavallo di Lasalle gli impedivano di procedere. Gérard fissò il generale: aveva già visto quello sguardo di truce determinazione negli occhi di un padre. Era lo stesso sguardo di disprezzo e di volontà di sopraffazione che aveva osservato negli occhi dell'oste alla Bonne Table, ogni volta che gli aveva visto picchiare la figlia. Uno sguardo in cui si leggeva il desiderio di sottomettere e piegare, di offendere e imporsi. Oscar fece un passo avanti, la pistola sempre abbassata, nessun tentativo di difesa. "Padre…" disse, un velo di commozione nella voce. Il generale non rispose. Gérard lo guardò e tutto a un tratto seppe che quell'uomo non si sarebbe fermato:  l'odio e il disprezzo erano spaventosamente evidenti sul volto. 

D'istinto si buttò sul suo comandante, chiudendo gli occhi e stringendo Oscar più forte che poteva. Nel momento stesso in cui le sue braccia la cinsero, il generale ordinò perentorio il fuoco.

Oscar lasciò andare la pistola e cadde; il peso inerme di Lasalle la schiacciò, mentre fiotti di sangue non suo le intridevano caldi la camicia. Udì César nitrire disperato e lo vide rovinare a terra; rivoli rosso scuro sporcavano il suo lungo collo candido e il muso, ormai immobile nella polvere, con i grandi occhi acquosi improvvisamente privi di luce.

Oscar sentì la voce di Laçonne gridare: "Fermi! Fermi!", mentre i suoi uomini già stavano dando battaglia, lanciandosi furiosi contro gli aggressori. Grosse lacrime iniziarono a inondarle gli occhi scorrendo inesorabili sul suo volto e  annebbiandole la vista;  il cuore sembrava scoppiarle nel petto per il dolore. Avvertì prepotente l'odore del tabacco e sentì due braccia forti spostare il corpo di Gérard, per poi sollevarla. Alain la strinse contro il suo petto, voltando immediatamente la schiena alla battaglia per proteggerla, la testa bassa, il fiato spezzato dall'emozione di averla trovata ancora viva. Oscar alzò un istante il viso e incontrò il suo sguardo muto, poi fu il buio.

 

Oscar sentì impellente il bisogno di bere. Aveva la bocca impastata e le labbra gonfie e spaccate. Le sembrava di aver masticato sabbia. Cercò di deglutire; le costò uno sforzo immane per la sua gola riarsa. Sentì una mano calda accarezzarle lieve prima una guancia, poi i capelli. Avvertì il respiro caldo sulla pelle, mentre labbra famigliari deponevano un bacio leggero sulla sua fronte. Aprì gli occhi. Nella penombra vide André sorriderle con dolcezza. Seduto accanto a lei, cercò una delle sue mani per stringerla fra le proprie. Oscar si rese conto di essere sdraiata nello stesso letto in cui avevano ricoverato André e che lui sedeva sulla stessa seggiola su cui era rimasta lei, vegliandolo.

André si alzò, l'ombra di un'espressione di dolore sul suo viso nello sforzo di sporgere il busto in avanti. Recuperò la brocca dell'acqua dal tavolino poco distante e riempì un bicchiere. Tornò da Oscar per aiutarla a bere. Le sorresse il capo con premura, mentre portava il bicchiere alle sue labbra. Oscar bevve con gratitudine.

"Ciao." le disse André in un sussurro. Oscar cercò la voce fra le corde vocali che le parevano cinghie di cuoio. "Per quanto tempo sono rimasta incosciente?" chiese, la voce bassa e arrochita. "Due giorni." le rispose André tranquillo. "Come stai?" chiese ancora lei. "Meglio di quel che sembra." le rispose.

Oscar cercò il suo sguardo. Allungò una mano per accarezzare il suo volto, lui la prese per portarsi le sue dita alle labbra e baciarle.

Oscar cercò di sollevarsi per mettersi seduta, André la aiutò, premuroso. Lei chiuse gli occhi e trasse un sospiro. Abbassò la testa. "Lasalle è morto." disse piano. André si piegò in avanti, verso di lei, appoggiando i gomiti alle ginocchia e incassando la testa fra le spalle. "Lo so..." le rispose "... Alain è venuto a trovarmi.". La bocca di Oscar prese una piega amara: "Alain ti deve delle scuse.". André alzò lo sguardo su di lei e le sorrise con dolcezza: "Le deve prima di tutto a te…". Oscar fece spallucce: "Non mi importa che mi faccia le sue scuse. Non ho intenzione di accettarle." disse aspra. "Dovresti invece, è veramente molto dispiaciuto." rispose  André, pacato. "E poi ti ha salvato la vita.". "Lasalle mi ha salvato la vita," precisò Oscar. "È vero, hai ragione. Ma poi Alain è venuto a prenderti e ti ha riportato da me." ribatté André, calmo. Oscar lo guardò seria: "Guarda che ti deve veramente delle scuse…". André sorrise: "Me l'ha detto. Gli ho promesso che non l'avrei ammazzato…" aggiunse ironico.

Oscar rimase qualche istante in silenzio. Poi: "Sono malata André." sospirò "Sono molto malata.". André si alzò per sedersi di fronte a lei, sul lato del letto; le appoggiò una mano sul viso: "So anche questo." le disse "Anche il dottor Laçonne è venuto a trovarmi. Abbiamo chiacchierato a lungo… Il generale è rientrato a palazzo Jarjayes. È sano e salvo.". Oscar lo guardò, gli occhi lucidi: "Mio padre mi ha fatto sparare addosso. Ha aperto il fuoco contro di me…". "Lo so. Alain me lo ha raccontato. Ma so anche che preferisci ugualmente saperlo vivo.". "Come sai che sta bene?". "Laçonne ha soccorso sia te che lui. I suoi uomini sono rimasti tutti uccisi. I nostri se la sono cavata. Il generale è stato ferito. Laçonne è accorso per salvarlo. L'ha seguito a palazzo Jarjayes prima di tornare qui.". "Qualcuno ha recuperato il corpo di Lasalle?". "Sì.". Una lacrima scese sul viso di Oscar e cadde sul lenzuolo. "Era un uomo buono, André.". André le strinse una mano.

Rimasero in silenzio alcuni minuti. Oscar pianse senza fare rumore. "André… ho perso César.". "Mi dispiace. In qualche modo faremo.". "Girodelle ti ha sparato per fare del male a me.". André si sporse per abbracciarla. Oscar gli appoggiò il capo su una spalla. I lunghi capelli le scivolarono lungo il braccio. André le rispose sottovoce: "Alain me lo ha detto.". Oscar si rabbuiò:  "Ho ucciso Girodelle.". "Lo so. Ti ho visto farlo". "L'ho ucciso per vendetta…. per rabbia e per vendetta.". 

Oscar rimase in silenzio per qualche minuto, avvolta nell'abbraccio di André. Poi: "Ti ho trascinato in una battaglia che non volevi combattere. Quando morirò andrò all'inferno.". André scostò Oscar da sè per appoggiare la fronte contro la sua. Le prese il viso fra le mani: "Non stai per morire… e poi forse l'inferno non esiste…" sussurrò beffardo. Oscar aggrottò le sopracciglia: "Certo che esiste! Lo sanno tutti…" rispose. André le passò una mano fra i capelli: "Se lo sanno tutti deve essere vero..." mormorò divertito. Oscar sorrise. Solo per un istante davanti a lei non ci fu l'uomo, ma il ragazzo di tanto tempo prima. Cercò le sue labbra per trovare rifugio in un bacio, poi appoggiò la testa al suo petto. Ascoltò il battito del suo cuore, come quando rimaneva silenziosa e distesa su di lui dopo l'amore. "Ti ho trascinato in una scelta non tua.". André le appoggiò una mano dietro la testa, tenendola più stretta a sè. "Tu sei la mia scelta.". Oscar si commosse: "Lasalle me l'aveva detto. Mi ha detto che non ti eri arruolato per colpa mia, ma che ti eri arruolato per me.". "Aveva ragione. Tu sei sempre stata la mia scelta… io ti ho amato sempre, Oscar.". "André io… io ti ho amato anche quando non lo sapevo...". André le avvicinò le labbra all'orecchio: "Ti ho sentito dirmelo…" sussurrò.

Rimasero stretti. La notte scendeva piano e una Parigi martoriata si preparava a qualche ora di quiete. André nascose le labbra fra i capelli di lei. "Ho dei problemi con l'occhio destro Oscar.". Lei non si mosse: "Lo so.". "Potrei diventare cieco.". Oscar sentì un dolore sordo in fondo all'anima: lo sapeva, eppure aveva ugualmente trascinato André in battaglia; cercò una delle sue mani e intrecciò le sue dita alle proprie: "Lo so. Anche io ho parlato con Laçonne, quando mi ha detto… quando mi ha detto che sono incinta…". Terminò la frase in un soffio, quasi a scusarsi per questa femminilità che la costringeva a fare i conti con se stessa e la faceva sentire sopraffatta… e spaventata…  André sentì una fitta al cuore: "Io sono contento…. Oscar… io… io sono  orgoglioso che tu attenda mio figlio." le disse piano. "Non ti dispiace che sia incinta?" mormorò Oscar, tutto d'un fiato. André alzò la testa portandosi una mano agli occhi; si strofinò la fronte:  no che non gli dispiaceva! Era una cosa bella! Perché non gliel'aveva detto prima? Perché avevano passato tanto tempo a nascondersi l'ovvio? "Oscar io ho avuto paura di non poter provvedere a te se fossi diventato cieco. Ho temuto che tu potessi non dico pentirti, ma per lo meno… dispiacerti di esserti allontanata  dalla tua famiglia… e se ti avessi sposato subito non saresti più potuta tornare indietro…". Oscar alzò lo sguardo su di lui: "André, te l'ho già detto: io non tornerò indietro.". André la strinse. "Sposami Oscar!", solo un sussurro, pronunciato con le labbra appoggiate al suo orecchio. Oscar sentì un nodo sciogliersi in fondo al cuore e nascose il viso contro il suo petto. "Sto veramente male André. Non volevo ammetterlo perché avevo paura… HO paura… Non… non sei tenuto a sposarmi… non sei tenuto a farti carico di tutto questo... ". André strinse le labbra ed espirò rumorosamente: cosa voleva dire che non era tenuto a sposarla? Certo che era tenuto! Doveva! … e soprattutto: lo voleva. Ma perché Oscar doveva sempre cercare in qualche modo di allontanarlo? Anche quando non voleva restare sola, anche quando aveva paura… anche adesso che  aveva un disperato bisogno di lui… "Smettila!" le disse serio "Smettila adesso!". Oscar tacque. Lo guardò e André provò una tenerezza infinita per quegli occhi azzurri di cui solo lui conosceva la fragilità: quella fragilità  di cui aveva sempre cercato di prendersi cura e che solo lui era in grado di accogliere come un dono. "Hai combattuto tutta la vita Oscar. Ora combatti per noi! Sposami Oscar!" la voce bassa, il tono deciso. Oscar sentì una lacrima scendere silenziosa. "Sì. Ti sposo." disse soltanto, sottovoce, concedendosi finalmente di perdersi nell'abbraccio di André senza opporre nessuna resistenza, lasciando cadere ogni difesa.

 

Fermo davanti allo specchio, sistemando il colletto della giacca, André dava le spalle a Oscar e nel riflesso dello specchio la guardava con dolcezza trafficare con la camicia; il ventre ormai pronunciato le conferiva un aspetto morbido e insolito: non aveva in alcun modo voluto rinunciare ai pantaloni e il giustacuore slacciato metteva in mostra più che mai la sua rotondità. Anaïs si era offerta di aggiustare per lei i suoi abiti quando aveva accolto lei e André nella sua casa, proprio sulla spiaggia, ma Oscar non aveva accettato. Ora cercava di sistemarsi la camicia sotto ai pantaloni, ma non riusciva a lisciare le pieghe come avrebbe voluto. "Dannazione! Detesto essere incinta!". André si volse verso di lei e sorrise. "È meglio che ti ci abitui! Vorrò altri figli!". Oscar gli lanciò uno sguardo in tralice e si lasciò cadere esasperata a sedere sul bordo del letto. Osservò i suoi seni sporgere morbidamente sotto la stoffa leggera della camicia e sbuffò: "Il curato mi caccerà dalla sua chiesa quando mi vedrà…". André le si avvicinò. "Lascia che ti aiuti." le disse, prendendole le mani per invitarla a rimettersi in piedi. Mentre le sistemava le pieghe della camicia si sporse verso di lei per lasciarle un bacio su un angolo della bocca, poi: "Il curato non ti caccerà affatto... e prima di sera sarai mia moglie.". 

 

Oscar, appoggiata alla balaustra, sul ponte di prua, guardava il mare: la Francia era ormai lontana e lontana era ancora anche la terra che li aspettava. Chiuse gli occhi e respirò, inalando l'odore del sale e della salsedine. Dopo tanto tempo passato a lottare per l'aria, ogni respiro le sembrava sempre un dono. Benché fosse ormai definitivamente guarita, le era rimasta quell'angoscia sottile che sentiva serpeggiare ogni volta che si coricava, all'idea di dover affrontare la notte. 

La malattia l'aveva duramente provata e sapeva che non avrebbe mai più riacquistato la forza e il vigore di un tempo: si affaticava facilmente, il fiato era sempre corto, sopportava a fatica la tosse ed era diventata più cagionevole. A qualche metro di distanza, la schiena appoggiata alla ringhiera, André la osservava: la schiena dritta, il portamento sempre fiero ed  elegante, i lunghi capelli indomiti a sfidare il vento… Se l'avesse vista oggi per la prima volta, pensò, si sarebbe innamorato di lei come un ragazzino alle prese col primo amore. Un gridolino pieno di entusiasmo attirò la sua attenzione e fece qualche passo per raggiungere sua figlia.

Strappata ai suoi pensieri dall'acuta voce infantile, Oscar si volse. Vide André piegato in avanti, intento a prendere da una manina protesa verso di lui pezzi di pane, che iniziò a lanciare ai gabbiani. Gli uccelli planavano afferrando le croste al volo, accompagnando le ampie volute attraverso il cielo con alti garriti. La bambina urlava felice pestando i piedi a terra e stringendo a pugno le piccole mani, mentre il vento le scompigliava i capelli scuri e gli occhi chiari brillavano al sole dell'autunno inoltrato. Una mantella corta le copriva le spalle, aprendosi di tanto in tanto per lasciar intravedere una camicia a fiori e dei pantaloni blu. Correva dietro ai gabbiani quando si avvicinavano, attirando su di sè gli sguardi pieni di disappunto di un gruppetto di matrone intente a parlottare poco distante.

André si allontanò per raggiungere Oscar. "È la bambina più viziata di Francia." gli disse lei seria, aggrottando la fronte "E ora diventerà la bambina più viziata di due interi continenti! Le permetti di fare qualsiasi cosa!". André sorrise, abbassando lo sguardo per un istante. "È vero. Le permetto di fare qualsiasi cosa.". Cinse la vita alla moglie attirandola verso di sè. "Smettila André! Penseranno tutti che sia poco seria!". André rise: "Tutto sommato mi piaci poco seria…" le rispose con un sussurro, appoggiandole le labbra sul collo, appena sotto l'orecchio. Oscar finse sdegno, ma sorrise prima di sfilarsi dal suo abbraccio, per inchinarsi con le braccia aperte, attendendo la bambina che correva verso di loro.

Fine

 

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