Five steps

di lilianarossa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Negazione ***
Capitolo 2: *** Rabbia ***
Capitolo 3: *** Contrattazione ***
Capitolo 4: *** Depressione ***
Capitolo 5: *** Accettazione ***



Capitolo 1
*** Negazione ***


DISCLAIMER: Nessun personaggio purtroppo mi appartiene, ci guadagno solamente in ossessioni.
AVVERTENZE: Post 15x19. La storia tratta delle fasi di superamento di un lutto e la situazione psicologica di Dean in alcuni momenti risulta alquanto problematica. Se siete sensibili a tale tematica vi prego di non leggere. Si tratta inoltre di una Dean/Cas, in cui i sentimenti di entrambi risultano espliciti. Se vi turba, evitate la lettura. 
NOTE: I pensieri di Dean sono inseriti tra parentesi tonde ad intervallare il testo. La storia è ambientata come se la morte di Cas fosse avvenuta nelle prime settimane di dicembre. In questa sezione è brevemente presente il personaggio di Eileen, in un momento particolare lei "scandisce" le parole a Dean: lo fa perchè lui è palesemente ubriaco, non perchè lui non sia in grado di comprendere l'ASL.  
 
 


Negazione
Accadde la prima volta a cena da Jody. Le ragazze gli avevano chiesto aiuto con la cena e lui – tra una birra e l’altra – preparava un’insalata. L’atmosfera era distesa e Eileen e Sam erano teneramente impacciati mentre per la prima volta si presentavano come coppia di fronte ai loro amici.
Se lui continuava a bere non era per dimenticare qualcosa – qualcuno – ma per spassarsela, come solito. Come sempre. Tutto andava bene, non poteva che farlo. D’altronde, con Chuck fuori dai giochi e Jack al comando, quella assomigliava davvero ad una vittoria. Gli serviva solo tempo, per riposare. Quella serata era dannatamente simile ad una pausa in effetti.
L’arrosto, il vino, la musica. Andava tutto a meraviglia: Donna che sgarrava dalla dieta, Claire e Kaia sedute sul divano insieme a torturarsi i capelli a vicenda, Jody che indagava in quel suo modo materno e solare sulla relazione del fratello e Sammy che sorrideva. Sorrideva quasi spensierato e Dean si sentiva bene, o per lo meno c’era davvero vicino. O avrebbe dovuto. Solo che era passata un’unica settimana dalla fine di tutto e la luce gli feriva ancora un po’ gli occhi e non indossava più la sua giacca.
Avvertì la presenza della padrona di casa alle sue spalle ancora prima che parlasse – i suoi riflessi da cacciatore erano allenati a funzionare in qualsiasi circostanza – anche da ubriaco, anche se fosse stato menomato.
«Dean,» Jody sorrideva ma vi era qualcosa di taciuto nel suo sguardo che lo rendeva titubante, come se si stesse approcciando ad un animale ferito.
«Jody!» Aveva notato questo atteggiamento anche in altri: Bobby – ma in fondo quell’uomo non era il suo Bobby – Charlie – che lo conosceva a malapena – Eileen e persino Sam. Oh, non che quest’ultimo non lo mascherasse molto bene, ma ovviamente non poteva sperare che servisse. Se c’era qualcuno che conosceva come le sue tasche quello era il suo fratellino, non poteva tenergli segreto qualcosa.
(Almeno lui).
«Dean, come stai?»  Che bella domanda. Che bella inutile domanda in una serata piacevole, in un casa accogliente con risate e profumo di carne a rendere l’atmosfera così familiare.
 
(Sei la mia famiglia).
 
«Niente mostri, niente divinità manipolatrici, solo birra, musica e cibo. Dannatamente bene direi!»
E mentre rispondi questo riesci anche a crederci.
 
(Vedi te stesso nello stesso modo in cui ti vedono i tuoi nemici.
 
Non pensi di meritare di essere salvato?)
Ci credi anche mentre ti siedi a tavola e lasci che gli altri scherzino sulla tua proverbiale voracità. In effetti ti riempi la bocca – di alcool o di carne – a velocità supersonica ridacchiando, indecente e rozzo al punto da far distogliere lo sguardo a Claire e da sentire Sammy scusarsi a nome tuo. Non sei abituato a mangiar così bene; la tua alimentazione negli ultimi anni si è composta quasi esclusivamente di hamburger, nachos e pizza. Dunque è normale che, stranito e irritato, ti chieda come mai deglutire sia improvvisamente così difficile.
 
            (L’ho imparato dal fattorino delle pizze).
 
***
Accadde a causa della sua distrazione e del troppo alcool – si è reso conto lui stesso di aver esagerato quando Kaia ha allontanato con nonchalance la bottiglia del vino da lui e ne ha avuto riprova quando Sam gli ha tirato un calcio sotto il tavolo mentre iniziava ad ammiccare verso Donna. Cristo, Donna. Non che non fosse una donna piacente, simpatica e meravigliosamente intelligente, ma ha sempre avuto regole ferree nei confronti delle relazioni con gli amici. La frazione di secondo in cui realizza quel pensiero – e le implicazioni – spalanca leggermente gli occhi e stringe un po’ troppo il bicchiere che si rompe, macchiando la tovaglia candida e riempendo il suo piatto di vetri.
Sta per scusarsi, la bocca impastata e una risata irrefrenabile che minaccia di emergere dalla sua gola (ma davvero? A che livelli sei Dean? Una liceale alla sua prima sbronza?) ma Eileen lo precede, avvicinandosi e guardando la sua mano che, si rende conto ora, è tagliata e una linea di sangue rosso ha invaso il suo palmo.
«Dean, fa male?» scandisce la donna, associando i gesti alle parole.
Vorrebbe davvero non aver abbassato tanto la guardia perché ci sono porte che non vanno aperte e dolori che non vanno mostrati. Perché mentre la sua controfigura esce, parla e sorride Dean – il vero Dean – è ancora seduto nella stessa stanza del bunker, i capelli tra le mani e le urla mute che gli raschiano la gola. Ma è bene nasconderlo perché se Sam scoprisse dov’è proverebbe a farlo uscire e lui non vuole. Quindi quando realizza cosa ha detto è troppo tardi per rimangiarselo e sa che per un attimo appare davvero evidente quanto rotto (Rotto? Spezzato? Annientato?) lui sia. Eppure è così dannatamente normale e familiare e giusto farlo, allungare e aprire la mano e sbuffare dicendo:
«Ma figurati, non è nulla. Anzi, Cas, non è che…».
Ti interrompi solo quando vedi le espressioni impietosite dei tuoi amici e la preoccupazione di Sam. Ti sei semplicemente reso conto dell’errore una frazione di secondo troppo tardi.
D’altronde sei stanco, hai bevuto ed è quasi Natale.
Ah, ecco, è Natale.

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Capitolo 2
*** Rabbia ***


DISCLAIMER: Nessun personaggio purtroppo mi appartiene, ci guadagno solamente in ossessioni.
AVVERTENZE: Post 15x19. La storia tratta delle fasi di superamento di un lutto e la situazione psicologica di Dean in alcuni momenti risulta alquanto problematica. Se siete sensibili a tale tematica vi prego di non leggere. Si tratta inoltre di una Dean/Cas, in cui i sentimenti di entrambi risultano espliciti. Se vi turba, evitate la lettura. In quasi ogni capitolo emerge la problematica di Dean con l'alcool - non è affrontata esplicitamente ma vi prego di ricordare che questo non è un comportamento sano, ma una dipendenza cronicizzata. La storia non vuole in alcun modo stereotipare il superamento di un trauma, ogni persona è diversa, ogni trauma o lutto è diverso. 
NOTE: I pensieri di Dean sono inseriti tra parentesi tonde ad intervallare il testo. 
 
  1. Rabbia
 
La caccia è ancora una delle tue grandi ragioni di vita: lo sguardo che ti rivolgono le persone che aiuti, alla fine, e prima la tensione, l’euforia, la concentrazione e l’adrenalina che pompano veloce il sangue nelle tue vene. Lavori tanto e lavori bene. Operazioni efficaci, pulite e senza tracce. Anche due lavori al giorno ogni tanto. Torni a casa sudato, sporco, ricoperto di sangue e lucido come in pochi altri momenti. Un killer con i controfiocchi. E fanculo a chiunque si azzardi a negarlo o metterlo in dubbio.
(Arrabbiato, Spezzato. Lo strumento di tuo padre).
Sam prova a parlarti ma stronchi qualsiasi tentativo riempendoti di impegni: se non cacci – e lo fai per la maggior parte del tempo – bevi in un pub o sei in uno strip club, a bearti della vista di qualche seno grosso e sodo. Ti piacerebbe anche scopare, in realtà, ma non riesci a spingerti a tanto; e se da un lato la prospettiva ti eccita, dall’altro ti disgusta tanto da permetterti di percepire la rabbia in ogni respiro spezzato che esali.
(Questo è un luogo di perdizione. Non dovrei essere qui).
L’ingiustizia di ciò che vivi è così opprimente e ti annienta così tanto da spingerti ad odiarlo come non hai mai fatto, nemmeno quando in Purgatorio non lo trovavi, nemmeno quando si era alleato a tua insaputa con Crowley, nemmeno quando sapeva dell’assenza dell’anima di Jack.
Non hai raccontato davvero a nessuno ciò che è successo, con il risultato di spingerti perfino a dubitare che sia successo. Quando ti svegli nel cuore della notte, o alle prime luci del mattino, con la sbronza non ancora passata, ti senti delirante e allucinato e ti chiedi se davvero la realtà ti stia sfuggendo così tanto dalle mani. I deliri della tua mente sono talmente degenerati da farsi realtà o la realtà è talmente devastante da apparire delirio?
(Per me sei morto).
Le serate peggiori, però, sono quelle in cui sei costretto a rimanere solo, inattivo e sobrio. Capita di rado – devono verificarsi una serie di circostanze eventuali in concomitanza: la serata di chiusura del Rabbit Hole, l’assenza di alcool a sufficienza nel bunker e un appuntamento di Sam e Eileen. Quando però tuo fratello ti ha parlato nel pomeriggio di quel mattone francese – lingua originale e sottotitoli, nulla di meno – che lui e la compagna intendevano vedere in città quella sera a malapena hai prestato attenzione al suo tentativo di includerti. «Vai e divertiti. Portala a cena, magari, dopo» hai replicato, ammiccando. Sammy è stato anche in grado di imbarazzarsi. Non ti dilunghi con battute in merito – non perché non te ne vengano in mente – ma perché ti rendi conto di quanto delicato e fragile tutto ciò sia ancora, per il tuo fratellino. Di quanto lo sarebbe per te.
Realizzi solo dopo aver guidato una decina di minuti che il club il lunedì sera è chiuso. Torni indietro velocemente perché ci sono davvero troppe stelle visibili quella notte e ci mancava davvero solamente il frinire delle cicale a rendere quella serata del tutto sprecata.
(Perché lo è, Dean).
La TV rimane la tua unica opzione di fronte alla minima quantità di whiskey che rimane: troppo poco per conciliarti il sonno e senza quello la possibilità di dormire non è altro che un’illusione.
(Veglierò su di te).
Potresti prendere il computer di Sam e cercare uno di quei tuoi porno animati giapponesi (solo per la soddisfazione di osservare la sua faccia quando lo troverà) ma la masturbazione è diventata un dannato inferno, perché irrimediabilmente i tuoi pensieri deviano, tu inizi ad agitarti e le cose non funzionano più come dovrebbero. Vada per ciò che passano in televisione quindi.
Dio – o Jack – ha uno strano senso dell’umorismo – constati amaramente quando ti trovi ad osservare il primo piano di Meg Ryan e Nicholas Cage. Oh, sai perfettamente quanto ti farà male, ma continui a guardare il film, nonostante il dolore o, più onestamente, proprio per quello. Immergi il coltello nel sale e poi scavi e affondi nella ferita aperta e sanguinante. Ti metti alla prova – che poi è ciò che fai da tutta la vita – per vedere se anche sta volta riesci a sopportarlo, se anche adesso sopravvivi. E lo fai, lo fai finché: «Non so che sapore ha una pera, per te» dice Seth.
(Sento ogni molecola).
Sei estremamente calmo prima di alzarti, sollevare il televisore e frantumarlo a terra, nella tua testa l’immagine di Castiel che mangia hamburger, Castiel che non era con te quando i sapori li sentiva davvero – e lo sai, Dean, lo sai che ovviamente è solo colpa tua. Cas che odi, a cui vorresti strappare i maledetti occhi – che neanche sono suoi – spaccare il naso e la bocca con le tue stesse mani come hai già fatto ed era stato bello, orribile certo, ma bello, liberatorio, finalmente tenerlo fermo con il tuo corpo e averlo sottomesso ai tuoi piedi e ancora, comunque, sempre, speranzoso. Fargli male, male, male finché non ti sentirai bene, finché non ti chiederà pietà. Perché lo odi, lo odi per tutte le volte che non è rimasto, lo odi per quando ha mentito, lo odi per aver agito alle tue spalle, lo odi per essere morto, essere morto subito dopo, subito dopo… E non hai avuto tempo, non hai avuto tempo mai, solo che forse il tempo c’era, ma tu guardavi altrove.
Lo odi perché non riesci a odiarlo quanto odi te stesso.
(Distruttivo, arrabbiato, a pezzi).
Quando la mattina dopo Sam trova la Tv distrutta e suo fratello addormentato per terra si limita a coprirlo con una coperta.

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Capitolo 3
*** Contrattazione ***


DISCLAIMER: Nessun personaggio purtroppo mi appartiene, ci guadagno solamente in ossessioni.
AVVERTENZE: Post 15x19. La storia tratta delle fasi di superamento di un lutto e la situazione psicologica di Dean in alcuni momenti risulta alquanto problematica. Se siete sensibili a tale tematica vi prego di non leggere. Si tratta inoltre di una Dean/Cas, in cui i sentimenti di entrambi risultano espliciti. Se vi turba, evitate la lettura. 
NOTE: I pensieri di Dean sono inseriti tra parentesi tonde ad intervallare il testo.
 
  1. Contrattazione
Dean è al supermercato – un mese, una settimana, quattro giorni e tre ore dopo (non) aver salutato per l’ultima volta il suo migliore amico – quando si incanta, all’improvviso, di fronte al reparto dei cereali. Continua a fissarli intensamente anche mentre si scosta per far passare una giovane donna con due bambini. (“Ha figli anche lei? I ragazzi vanno pazzi per quelli”).
 
(Senza poteri sei un moccioso in trench coat).
 
Realizza così, come fulminato, che non ne può fare a meno. Per cosa non lo sa ancora. Forse per avere la possibilità di rispedircelo lui nel vuoto, forse per andare finalmente tutti e tre al mare o forse anche solo per vederlo ancora in piedi sulla soglia di casa, rigido e impacciato, come solo lui sa essere.
Non che abbia importanza, comunque. A questo penserà dopo. Dopo aver trovato il modo di riaverlo, di riportarlo indietro. L’hanno fatto così tante volte che si stupisce di non averci pensato prima – che per lo meno Sam non ci abbia pensato prima. Intuitivamente però sa che questa volta non potrà chiedere a Sammy – perché ha già perso troppo e ora ha finalmente Eileen, perché al comando c’è Jack e non Chuck, perché il prezzo che inevitabilmente andrà pagato lo pagherà lui stesso.
Il piano è talmente semplice da risultare stupido ma Dean, per la prima volta da giorni, si concede di provare un minimo di speranza, tanto da non bere nemmeno una goccia di alcool a cena e ridere persino alla penosa battuta di un vecchio film in bianco e nero – visto e rivisto.
Si inginocchia di fronte al suo letto – disfatto e con le lenzuola vecchie di mesi – quando ormai nemmeno le luci giallognole del bunker riescono a dissipare del tutto l’oscurità, pronto a spendere l’intera notte a pregare Jack – se non di riportarlo indietro per lo meno di fare arrivare lui nel vuoto.
Jack so che… insomma le cose tra noi non sono andate particolarmente bene… e, beh, non mi devi nulla… Ma lo sai, lo sai, anche tu ci tieni…
Come posso andare avanti così?
Cas, Cas, Cas, poi non chiederò mai più nulla. Ucciderò qualsiasi mostro e salverò ancora qualsiasi vita a discapito della mia.
Se solo potessi sapere come arrivare al vuoto poi ci penserei io.
Cas, Cas, Cas. Per favore.
La mia vita per la sua.
CASTIEL.
Jack, che senso ha tutto questo?
Cascascascascascascascascascascascascascascascascascascascascascascascascascascascascas cascascascascascascascascascascascascascas.
Jack, non ho detto nulla.
Qualsiasi cosa, qualsiasi prezzo ma ti supplico: Cas.
Si accorge che è mattina perché sente i rumori provenienti dalla cucina: suo fratello che inizia a preparare la colazione (probabilmente qualche miscuglio vegano).
Si ritrova con un pugno di mosche in mano, le tempie che scoppiano e un nodo alla gola che non accenna a volersene andare. Passerà la giornata disteso a letto, sveglio ma con gli occhi ostinatamente chiusi.
Passa i giorni seguenti a leggere qualsiasi volume presente nella biblioteca, che possa far vagamente riferimento al Vuoto. Compra testi in francese, che si spinge a provare a tradurre da solo, con l’aiuto di google e di un dizionario degli anni Sessanta, prima che Sam e Eileen – mossi a compassione e senza proferir parola a riguardo – si siedano accanto a lui e lavorino al suo fianco. Va avanti a caffè e tramezzini che gli compaiono davanti.
Solo che il Vuoto non ha nulla a che vedere con gli uomini e gli uomini non se ne interessano. Persino l’inquietante santone con cui era in contatto Castiel non ne sa un bel niente, sebbene si guardi bene dall’ammetterlo esplicitamente. Poco prima di riagganciare il telefono, però, Dean sente qualcosa di interessante: “Solo angeli e demoni ne sanno vagamente qualcosa”. E se c’è qualcosa che ai fratelli Winchester non manca sono proprio i contatti demoniaci.
Invocare Rowena è, rispetto agli infruttuosi tentativi dei giorni precedenti, alquanto soddisfacente. Nonostante abbia chiuso le porte dell’inferno è scontato che, per la regina degli Inferi, valgano regole differenti. Così si manifesta non appena viene chiamata, un turbine di capelli rossi, profumo intenso di fiori e gonne smeraldine. Almeno lei non è cambiata ed è assolutamente in gran forma – sorriso malizioso, fossette, gestualità raffinata e tutto il resto.
«Ragazzi miei» saluta civettuola, prima di accorgersi di avere di fronte solo il maggiore dei due.
«Dean, perché sono qui?» e dal modo quasi carezzevole con cui lo guarda, dall’assenza di manierismi, dal tono di voce delicato con cui gli si rivolge, capisce che sa. Che vede, come aveva intuito l’ultima volta la frattura tra loro e dannazione – dannazione – se solo l’avesse davvero ascoltata. Se solo avesse finito davvero di pregare Cas, quando poteva ancora ascoltarlo.
Se solo avesse avuto più tempo.
Ti prego Jack, ti scongiuro. Fammelo rivedere. Basterebbe un giorno, un pomeriggio, qualche ora.
«Rowena, lo sai. Devo andare nel Vuoto».
La donna si avvicina, muovendo insieme a sé una nuvola di profumo, giungendo a toccargli lievemente il viso – un genere di contatto che non hanno mai avuto e che non avranno mai più.
«Oh caro, con la vita che fate – tu e tuo fratello – comprendo sia difficile avere una percezione chiara della fine. Ma questa lo è. Castiel è morto e…»
«Non dirlo – la interrompi, preso dal panico, senza nemmeno avere la forza di alzare la voce – solo, non farlo».
«Ma è così Dean. Castiel è morto, per te. E tu devi riuscire ad accettarlo».
Quando scompare ti guarda come se si rivolgesse ad un orfano di guerra, un bambino ammalato, un uomo distrutto. Mai come in quel momento le parole di Billie sono risultate vere.
(Tu vuoi morire).
E affondi.
 

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Capitolo 4
*** Depressione ***


DISCLAIMER: Nessun personaggio purtroppo mi appartiene, ci guadagno solamente in ossessioni.
AVVERTENZE: Post 15x19. La storia tratta delle fasi di superamento di un lutto e la situazione psicologica di Dean in alcuni momenti risulta alquanto problematica. Se siete sensibili a tale tematica vi prego di non leggere. Si tratta inoltre di una Dean/Cas, in cui i sentimenti di entrambi risultano espliciti. Se vi turba, evitate la lettura. 
NOTE: I pensieri di Dean sono inseriti tra parentesi tonde ad intervallare il testo. Questo capitolo è stato particolarmente complesso da scrivere, vista la delicatezza della tematica. Se siete sensibili a tal riguardo, tenete presente che in questo capitolo Dean pensa più volte al suicidio. Il suo punto di vista domina la narrazione e pertanto il suo giudizio non è affidabile. Non ho davvero alcuna pretesa di poter esprimere realmente ciò che significa trovarsi in una simile condizione, ed è tutto filtrato attraverso la mia sensibilità e la mia esperienza, ma invito chiunque di voi si rispecchi almeno un minimo in ciò che trova qui scritto (e spero davvero non sia così) a chiedere aiuto. Si sta meglio, dopo. Grazie di cuore.
  1.  Depressione
Mercoledì, 7.45 a.m., 24 gennaio 2021. Dean sa tre cose con assoluta certezza: non ha dormito, è il suo compleanno, deve urinare. Non sono necessariamente in ordine di importanza. Sa anche che per almeno una di queste cose la soluzione è semplice: potrebbe, banalmente, alzarsi e andare in bagno. Potrebbe, dovrebbe farlo. Se lo dice da circa trenta minuti – mezz’ora che ha visto scorrere sulle lancette dell’orologio, lo stesso che è caduto dal comodino verso le cinque di mattina e che non ha avuto la forza di tirar su. Solo che, ecco, non riesce a farlo. Come non riesce a mangiare, a dormire, a concentrarsi, a respirare.
Dunque Dean è fermo, disteso nel letto, il giorno del suo fottuto compleanno, con il telefono accanto a sé che squilla e la vescica che fa male. E aspetta. Aspetta, strenuamente, inutilmente, che qualcosa cambi.
Vorrebbe solo riuscire a vedere una via d’uscita. Non vuole altro – non vuole nulla.
(Sei morto dentro).
Solo che le tempie gli scoppiano e ha un nodo in gola e vorrebbe piangere e non riesce nemmeno a versare una singola lacrima e strapparsi i capelli perché non c’è nulla da fare, non c’è soluzione questa volta, non tornerà. Non c’è più un grande pericolo da combattere, nessun nemico in vista, nessuna azione eroica, nessun sacrificio. Nulla. E in questo nulla anneghi.
E ricordi. Ricordi come da piccolo non riuscissi a capire – non concepissi come a volte la vista dei tuoi occhi potesse ferire tuo padre. Non realizzavi davvero perché bevesse così, perché scappasse così. Poi hai capito – quando sei stato abbastanza grande per vedere, hai compreso quale fosse la vera causa di tutto ciò: del dolore di tuo padre, della sua rabbia, della sua assenza – l’amore. John aveva amato troppo, troppo pazzamente, senza limiti. Sapevi che tu non avresti mai dovuto farlo, perché nulla avrebbe potuto distoglierti da Sammy – che doveva fare i compiti, essere accompagnato alle visite mediche, mangiare.
Ma ora Sam è grande, forte – più di te – e sicuramente più stabile, quasi felice. E tu davvero ce l’avevi quasi fatta; con Lisa di cui amavi la familiarità e perfino con Cassie di cui amavi l’esuberanza.
Ce l’avevi quasi fatta – davvero.
Ma ora, a dispetto di qualsiasi altra convinzione, ne hai la certezza – l’ossessione cantilenante che rimbomba senza tregua nella tua mente e che mormori, devastato, muto, a fior di labbra: sei esattamente come tuo padre.
Sei talmente stanco, stanco ed esausto ad ogni minima azione. Dovresti mangiare, dovresti andare in bagno. Dovresti lavarti. Dovresti alzarti.
Dovresti.
Se solo trovassi un secondo di pace, se solo la tua testa smettesse di pulsare – il mal di testa non ti abbandona da giorni – se solo dentro di te ci fosse un po’di silenzio. Perché Dio, ti prego basta. Ti dondoli piano mentre pensi che vorresti solo che fosse qui, che ti aiutasse piano ad alzarti, che ti portasse in bagno e ti spogliasse e ti lavasse – senza alcuna malizia, senza nulla di sessuale – come se fossi un bambino, come se fossi un malato.
Vorresti solo che si prendesse cura del tuo corpo, che ripartisse dalle tue terminazioni nervose, che ti ricomponesse come sai che saprebbe fare, come ha già fatto tante volte. Se avessi la forza di immaginare, immagineresti le sue mani – fresche e morbide – che ti massaggiano le tempie. Le mani di Castiel – l’angelo del signore, il guerriero ribelle, ma anche le mani di tua madre. Di Bobby. Di Charlie. Di Benny. Di Kevin. Di John. Persino di Crowley.
Di tutte le persone che (non) pianto e hai perso. Perché il peggio, l’orrore della sofferenza, è che non soffri per qualcosa. Semplicemente il dolore attira il dolore e tutta la disperazione che hai stipato sul fondo in questi anni torna a galla, reclama spazio, ti risucchia.
Non sei più il Dean di una volta. Hai perso così tanti pezzi per strada – i migliori, credi – che non sai davvero cosa ne è stato di quella persona. E di conseguenza chi è che sei adesso. Adesso, sei solo un cumulo di lenzuola sporche e di rimpianti. Se solo sapessi ancora piangere – come quando eri davvero piccolo, i mostri erano solo fantasia e la tua famiglia era perfetta e ti si rompeva un giocattolo e dopo lo sfogo avevi fame e prendevi una fetta di crostata – per dare una manifestazione visibile al tuo dolore.
La verità è che non sei stupido. Che ci hai girato intorno per tanti, troppi anni. Che se ogni tuo sacrificio è stato teso a salvare gli altri, almeno una parte – una piccola, oscura sezione marcia del tuo io – è stata mossa dal desiderio di annientamento. Di fine. Di cessazione. Una brama latente e incessante che ti segue da quando hai memoria. Hai sempre scherzato sul fatto che saresti morto giovane. Solo che forse non scherzavi così tanto.
È solo che… il sollievo di non avere più bisogni, responsabilità, desideri, speranze.
Il sollievo di non sentire.
E sarebbe talmente facile – più facile di tante altre cose che hai fatto, che sei riuscito a fare. Più facile della tua vita.
Ci pensi, ci pensi tanto e forte, finché non senti dei passi fuori dalla tua porta e il rumore di un piatto che viene lasciato per terra.
E – da sempre/improvvisamente – sai che non puoi. Perché anni e anni fa tu e Sammy avete lasciato le vostre iniziali incise sulla macchina di vostro padre. Perché di là, in cucina, c’è un uomo che ha perso troppo: padre, madre, amici, amori e non perderà anche suo fratello – non a causa tua.
Quindi ti alzi.
Vai in bagno.
Entri in cucina.
Guardi tuo fratello e dici: “Ho bisogno di aiuto”.
E non hai mai avuto tanto coraggio.

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Capitolo 5
*** Accettazione ***


DISCLAIMER: Nessun personaggio purtroppo mi appartiene, ci guadagno solamente in ossessioni.
AVVERTENZE: Post 15x19. La storia tratta delle fasi di superamento di un lutto e la situazione psicologica di Dean in alcuni momenti risulta alquanto problematica. Se siete sensibili a tale tematica vi prego di non leggere. Si tratta inoltre di una Dean/Cas, in cui i sentimenti di entrambi risultano espliciti. Se vi turba, evitate la lettura. 
NOTE: Mi scuso per il ritardo incredibile nella pubblicazione. In realtà, avevo seriamente intenzione di abbandonare questa storia. Per tanto tempo non è stato il momento giusto per pubblicare un capitolo che titoli “accettazione”. Oggi forse lo è. E soprattutto, quando una delle tue più care amiche, compie domani il quarto di secolo, diventa difficile negarle qualcosa. Dunque, questo capitolo è interamente dedicato a D. – per il poco che vale. Come prima parte di regalo, le auguro di continuare a diventare la versione migliore di sé, come fa ogni giorno.
  1. Accettazione
Dean sa che esiste un altro tipo di lutto. L’ha visto, l’ha sentito. Sa che si può andare avanti senza dimenticare. Sa che ci si può alzare, ogni mattina, e cercare di fare del proprio meglio. Sa che non basterà. Sa che è eroico.
Non sa se ce la può fare.
Ma ricorda di un uomo che l’ha fatto – un uomo che l’ha cresciuto, un uomo che è stato (come) suo padre.
In fondo Dean ha sempre saputo di essere uguale a suo padre. C’è solo da scegliere quale.
Essere amati rende più forti – e almeno questo a Castiel, soldato del Signore, angelo ribelle del giovedì, amore della sua vita, lo deve.
Forse non è abbastanza. Forse Dean non lo merita. Ma Cas una volta l’ha salvato e poi a continuato a farlo, sempre, anche quando non era giusto, anche quando non se ne accorgeva.
E l’ha fatto, alla fine, mostrandogli chi potrebbe essere.
 
 Dean rantola affannato mentre delle mani affusolate gli percorrono il petto, risalendo fino al suo viso, incorniciandolo, accarezzandolo. Sente i polpastrelli sfregargli il labbro inferiore, spingendolo a schiudere la bocca e iniziare a succhiarlo disperatamente. È strenuato, eccitato e dannatamente frustrato e sente l’erezione premere nelle mutante e vede solo due immensi occhi. Sono blu.
Si sveglia di soprassalto, duro da star male, ormai stanco di difendersi, stanco di negare. Così si afferra il membro e si permette, finalmente, di masturbarsi – e singhiozzare e gemere – pensando a Cas. Basta così poco, in realtà. Non serve nessuna fantasia articolata, nessuna ricerca di fetish, nessuna invenzione di dettagli estremi. Immagina la sua bocca, carnosa, screpolata e tumida, e il suo volto arrossato e i capelli scompigliati, come si fosse appena alzato dal letto – dal loro letto. Viene scompostamente, mordendosi una mano e ingoiando il suo nome.
Eppure è stato liberatorio. Non che oggi il dolore sia meno annichilente – perché, diavolo, è come portarsi perennemente un carbone ardente nello stomaco – ma oggi è più semplice guardarsi e convivere con se stesso.
Riesce addirittura a pensare di sistemare la stanza alla bell’e meglio e far colazione con Sam e Eileen che lo guardano speranzosi. Prima o poi rifletterà anche su che donna fantastica debba essere la sua futura cognata per essersi riuscita ad inserire nella loro routine, silenziosa e discreta, senza infastidirlo, persino in un momento in cui erano in lutto. Dio, sono in lutto e lo sono entrambi. Nel suo dolore cieco ha finito per dimenticare che Sam ha perso il suo migliore amico. Di conseguenza, una volta soli, in auto, alla ricerca dell’ennesimo covo di vampiri, si spinge a chiederglielo, colpevole di aver fatto passare troppo tempo.
«Hey, come stai?». È strano, ha la sensazione di riemergere solo adesso da un lungo sonno, da un dormiveglia allucinogeno, da una lunga febbre. E si chiede Sam cosa abbia fatto intanto, come abbia vissuto, cosa abbia pensato e sentito, se anche lui abbia avuto la sensazione che se quella è stata una vittoria – e lo è stata: per l’umanità, per Jack, per il Paradiso – per loro ormai nulla lo sia mai davvero.
«Non è stato semplice, Dean, ma io sto bene». E mentre gli risponde lo guarda fisso, come quando era costretto a rimanere in qualche motel mentre lui e John andavano a caccia e non diceva altro che “ok” ma Dean sentiva forte e chiaro “ti prego, torna”.
«Io… non sono stato granché d’aiuto e me ne rendo conto ma so che deve essere stata dura anche per te, perdere il tuo migliore amico…».
«L’hai perso anche tu» lo interrompe Sam. E Dean sta per assentire e chiudere il discorso quando decide che non ha più voglia di farlo, quando realizza che Cas non lo merita, non quando è morto con la convinzione, così stupida e infondata e falsa, di non essere l’aria che Dean respirava.
«No, io no».
Vorrebbe vedere la confusione di Sam, vorrebbe vedere suo fratello alzare le sopracciglia e bombardarlo di domande, ma ovviamente non lo fa. Si limita ad abbozzare un sorriso mesto e ad annuire.
«Già, tu no».
Per un attimo la sensazione di accettazione che provi è accecante. Poi Sammy si gira, sorride goffo e aggiunge:
«Comunque, se ne vuoi parlare…».
Alzi gli occhi al cielo e ridi.

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