Something human

di Eevaa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Avrebbe preferito un pugno ***
Capitolo 2: *** Bentornato ***
Capitolo 3: *** Spighe di grano ***
Capitolo 4: *** Il teatro, Biancaneve e il Principe Azzurro ***
Capitolo 5: *** Le cellule addosso ***
Capitolo 6: *** Un battito ***
Capitolo 7: *** La porta ***
Capitolo 8: *** Un'altra vita ***



Capitolo 1
*** Avrebbe preferito un pugno ***


Disclaimer:
Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte dell'universo di Dragon Ball sono di proprietà di Akira Toriyama© e Toei Animation©.
Non concedo, in nessuna circostanza, l'autorizzazione a ripubblicare questa storia altrove, anche se creditata e anche con link all'originale.
I diritti delle immagini non mi appartengono.

-La storia è ambientata tre anni dopo gli eventi del film Dragon Ball Super Broly e non tiene conto del seguito del manga, né del nuovo film uscito in Giappone.
-Ricordo a chi legge che questa è una storia yaoi - e quindi già di per sé OOC - non è necessario fare l'analisi di quanti dettagli siano poco plausibili. Chi ha orecchie per intendere intenda. 
 

Dedicato a te, mia cara Antonia.
Nella speranza che la tua ispirazione torni presto,
e che ogni recensione inizi con il nostro nuovo mantra   
W Pingu.

 
 


- SOMETHING HUMAN -


Capitolo 1
Avrebbe preferito un pugno



 
 
Forse avrebbe preferito un pugno. Sì, un pugno in pieno volto, uno di quelli che deviano il setto nasale e causano fluida epistassi.
Oppure, ad esempio, un bel calcio assestato alla bocca dello stomaco. Da accartocciarsi su se stessi e vomitare bile e saliva.
Son Goku era abituato al dolore fisico. Se avesse provato a unire tutte le cicatrici sulla propria schiena con un tratto d'inchiostro, si sarebbe potuta scorgere la mappa della Città dell'Ovest. O la scritta “Freezer chi legge”, a seconda della prospettiva.
Proprio per quel motivo, piuttosto che lo sgomento di quegli occhi gelidi puntati addosso, avrebbe di gran lunga preferito essere incenerito a suon di Final Flash. Non che Vegeta avesse mai posseduto lo sguardo docile di un cucciolo di panda minore, ovvio, ma quel giorno... quel giorno quegli occhi lo stavano facendo a pezzi.
Non esattamente il ritorno in patria che Goku aveva immaginato. Non si sarebbe auspicato certo baci, abbracci e fiumi di sakè. Figurarsi! Il suo rivale non aveva mai speso troppo tempo in convenevoli sociali. Lui era il Principe dei Saiyan!
D'altra parte non avrebbe affatto pensato che potesse accoglierlo con uno sguardo del genere e con un silenzio così asfissiante.
Non aveva detto una – nemmeno una! - singola parola. Non un insulto, non un “ma guarda un po', è tornato il deficiente!”, non un “Kakaroth, chi non muore si rivede”. Niente di niente.
Goku era comparso con il teletrasporto, con un sorrisone pacioso dipinto in volto e in bocca uno squillante “ehilà!”, e Vegeta si era immobilizzato nel bel mezzo di un allenamento nella Gravity Room e si era limitato a fissarlo per interminabili, terribili secondi.
Il sorriso gli si era spento in fretta e aveva lasciato posto a una sensazione innaturale di soffocamento.
Vegeta non l'aveva mai, mai guardato in quel modo, nemmeno quando era diventato Majin. C'era stato un tempo in cui si erano odiati, poi erano diventati rivali, poi amici. In nessuna di quelle occasioni l'aveva guardato con così tanto... disprezzo? Forse non era neanche quello. Era stata più una freddezza disarmante, angosciante.
Poi, dopo secondi lunghi come pranzi di Natale, Vegeta se ne era andato. Era uscito a passi veloci dalla camera gravitazionale sbattendo la porta d'ingresso. Tutti i vetri si erano infranti.
E Goku era rimasto lì come un ebete a fissare la pulsantiera dei comandi, con un orribile sensazione nel petto e una sfilza di domande in testa.
Avrebbe preferito un pugno, decisamente.


 


«Tre anni, Goku! Tre anni! Hai idea di quanto tempo sia?»
Bulma era furiosa. Beh, Goku a quello era più che abituato: le sfuriate della sua migliore amica erano state sempre all'ordine del giorno. Lo aveva redarguito spesso e volentieri, specialmente quando si trattava delle sue assidue manifestazioni di idiozia, ma poi l'aveva sempre perdonato. Sempre.
«Ehm... ti chiedo scusa!» cinguettò Goku candidamente, grattandosi la nuca. In effetti, detto in quel modo, tre anni erano un lasso di tempo piuttosto significativo. Non si era reso nemmeno conto che fosse passato così tanto, a dirla tutta.
Dopo l'avvento del Torneo del Potere e lo scontro portentoso con Broly, non era trascorso molto prima che Goku avesse preso la decisione di raggiungerlo sul pianeta Vampa. Era rimasto talmente tanto folgorato dalla potenza di Broly, che si era convinto che allenarsi con lui sarebbe stato tanto proficuo quanto eccitante.
Si era congedato dalla propria famiglia e aveva lasciato il pianeta Terra. Non era stata sua intenzione rimanere lontano così a lungo ma... insomma, il tempo vola quando ci si diverte!
Poi Broly e Cheelai avevano esternato lui il progetto di diventare genitori e così, dopo stagioni intere di mirabolanti battaglie e allenamenti, Goku aveva ritenuto opportuno dare loro il tempo di occuparsi della propria famiglia, ricordandosi anch'egli che fosse il caso di far visita alla sua.
Così quella mattina aveva ricercato l'Aura di Vegeta ed era tornato.
E chi se lo sarebbe immaginato che fosse passato così tanto tempo?
«Oh, Son-kun, non starò qui a specificarti dove te le puoi infilare, le tue scuse» continuò lei, mani sui fianchi e volto arrossato.
Bulma stava lavorando a qualche progetto tecnologico dall'aria complessa, nel laboratorio asettico della Capsule Corporation. Quando l'aveva visto arrivare, gli aveva lanciato una chiave inglese addosso ed era esplosa in un'esternazione di rabbia degna di un Super Saiyan.
«E dai, oramai mi conosci! Sono stato via anche più tempo di così, in passato» si giustificò Goku, con un sorriso sornione.
«Sì, quando eri morto. Ma sai cosa? Non avremo questa conversazione! Decisamente no» tagliò corto lei, voltandosi di spalle e incrociando le braccia in grembo.
Goku, sebbene non fosse un premio Nobel per l'empatia, poté giurare di sentire la voce di Bulma incrinarsi. La guardò allontanarsi di qualche passo e cacciare la testa indietro in un profondo sospiro.
Stava... trattenendo le lacrime? Quello era molto strano. La sua migliore amica non era quel tipo di persona. Se doveva piangere, lo faceva apertamente. Se doveva esternare disappunto, lo faceva a gran voce. Non tagliava corto i discorsi, non tratteneva istinti omicidi voltandosi di spalle.
«Uh... stai bene?» domandò quindi Goku, accigliandosi.
La sentì ridere. Una risata amarissima, accompagnata dallo scuotersi della sua testa.
«Te ne importa?» chiese sarcastica, voltandosi verso di lui. Goku trasalì, il sorriso evaporò nel nulla nel vedere gli occhi lucidi di lei.
«Certo che mi importa, Bulma. Ma che dici? Non... non sto capendo! Prima Vegeta, poi tu... vi state comportando in modo così strano!» ribatté lui, costernato. E Bulma, all'udire del nome del Principe dei Saiyan, si irrigidì come se gli fosse stata versata una secchiata d'acqua addosso.
Talmente eclatante che persino a Goku – da sempre considerato sensibile come un portaombrelli – non sfuggì.
«Hai già visto Vegeta?» soffiò lei. Le guance rosse sbiancarono all'improvviso.
«Sì, poco fa» confermò Goku, con un sopracciglio inarcato, non comprendendo come quell'informazione potesse considerarsi rilevante alla causa.
Non aveva immaginato che il suo ritorno sul pianeta Terra potesse rivelarsi tanto bizzarro.
«Beh, Goku,» sospirò lei, riprendendo in mano gli strumenti del mestiere per proseguire il suo lavoro con un prototipo di chissà cosa, «sono cambiate tante cose da quando te ne sei andato. Troppe, troppe cose».
Goku arricciò il naso. Verosimile che in tre anni lo scorrere del tempo avesse compiuto qualche cambiamento ma, dallo sguardo affranto e deluso di Bulma, c'era sotto qualcosa di terribilmente significativo.
Cosa diamine stava succedendo?
«Ad esempio?»
Bulma arrestò per un attimo la frenesia delle sue mani sul prototipo, tuttavia non lo degnò nemmeno di uno sguardo.
«Credo che sia ora che tu vada, ho da lavorare qui. È il caso che tu vada dalla tua famiglia» concluse lei, lapidaria, lasciando che alcune ciocche di capelli le cadessero sul volto per creare un'ombra. Un'ombra che servì a ben poco a nascondere la delusione.
Goku non capì. Ma di una cosa era certo: anche in quel caso avrebbe preferito un pugno.


 


Goku uscì dal laboratorio sotterraneo della Capsule Corporation con un cipiglio tutt'altro che allegro. Salì le scale lentamente, operando congetture su cosa potesse essere accaduto.
Non era abituato a un trattamento simile da parte degli amici ma, se stavano agendo in quel modo, doveva per forza esserci sotto qualcosa.
Si mordicchiò il labbro inferiore, più che intento a non lasciar cadere la questione. Ci sarebbe tornato più tardi, dopo aver salutato Chichi e dopo essersi fatto una bella scorpacciata. A stomaco pieno si ragiona meglio.
Raggiunse l'atrio della grande casa rotonda accompagnato dai gorgoglii del proprio stomaco ma, ironia della sorte, in quell' esatto momento la porta d'ingresso si aprì, rivelando due figure dall'aspetto famigliare.
Trunks e Goten, ridacchiando su un progetto scolastico, entrarono alla Capsule Corporation. Per Goku fu un piacevole colpo al cuore. Com'erano cresciuti!
Tuttavia, quando entrambi si resero conto di chi li stesse osservando, i loro sorrisi si spensero.
Goten sgranò gli occhi e, come se le forze fossero lui venute meno, lasciò cadere al terreno tutti i libri scolastici che teneva tra le braccia. Il tonfo di quei tomi sul pavimento riempì loro le orecchie.
«Ciao, ragazzi!» esordì Goku, il volto allargato da un consueto sorriso. Uno di quelli che Vegeta avrebbe definito “da ebete”.
Trunks, come allarmato, allungò una mano verso l'avambraccio dell'amico. Come per sorreggerlo, come se Goten fosse a tutti gli effetti sull'orlo di uno svenimento. Così sembrava, perlomeno.
«Che si dice?» continuò Goku, avvicinandosi di un passo. Il proprio riflesso sulle porte scorrevoli confermò lui che non fosse diventato improvvisamente un fantasma, sebbene i due ragazzi lo stessero osservando come se lo fosse.
«Pa... papà?!» soffiò Goten, incredulo, passandosi una mano tra i ciuffi di capelli neri. Non li portava più come i suoi: erano rasati sui lati.
Era cresciuto davvero tantissimo, oramai aveva più le fattezze di un uomo che di un bambino. Era molto, molto alto. Quanti anni poteva avere? Quindici, sedici? Goku non se lo ricordava.
Anche Trunks era cresciuto, portava i capelli lunghi fino alle spalle e somigliava così tanto a Vegeta in ogni sua espressione.
«Ciao, figliolo. Prima che tu lo dica: sì, sono passati tre anni, è tanto tempo. Ma non me ne ero reso conto, eheheh. Sono incorreggibile, vero?» anticipò Goku, nel tentativo arrabattato di porre un poco di ironia. Goten era sempre stato un bimbetto allegro e comprensivo.
Eppure nei suoi occhi di allegro c'era ben poco.
«Che ci fai qui?» domandò con tono incerto. «Voglio dire, che ci fai sulla Terra? Pensavo che non saresti più tornato».
Il suo tono non sembrava arrabbiato. Sembrava quasi... rassegnato. Si strinse nelle larghe spalle in attesa di risposta.
«Beh, sono tornato per stare un po' con voi, no?» azzardò Goku con ovvietà.
«Un po'... con noi» ripeté suo figlio, con voce flebile. Trunks continuava a fissarlo allarmato.
Goku non capì. L'ultima volta che era stato via tanto tempo, suo figlio era corso tra le sue braccia e l'aveva stretto forte. Forse era cresciuto? Forse era diventato un adolescente e si vergognava di farlo?
Una cosa era certa: anche i ragazzi si stavano comportando in modo strano.
«Sì, con te, Gohan, la mamma e tutti gli altri. A proposito, sto andando proprio da tua madre! Vieni?»
«Ehm... veramente sono qui per studiare con Trunks».
Sentendosi preso in causa, quest'ultimo arrossì.
«Possiamo studiare domani se preferisci» gli sussurrò, in evidente imbarazzo. L'altro si voltò di scatto con tanto d'occhi, negando con la testa.
«No! Dobbiamo prepararci per l'esame di informatica, ricordi?» asserì Goten, con tono più convinto. «Vai pure, papà. Vi raggiungerò più tardi, ok?»
Goku annuì e si fece bastare la risposta; in fin dei conti non sembrava arrabbiato. Doveva studiare, no? Semplicemente Goten aveva da fare e avrebbero avuto altre occasioni per stare insieme.
E allora perché sembrava comunque tutto così strano?
«Oh... ok! Beh, allora ci vediamo dopo! Ciao ragazzi, buono studio!» concluse e si avviò verso l'uscita.
I due ragazzi annuirono, salutandolo come si saluta un professore universitario di filosofia.
Beh, in quel caso Goku non avrebbe per davvero preferito un pugno. Solo, magari, avrebbe gradito da parte di suo figlio un sorriso che non fosse simile a una paresi facciale.


 


Prima di volare sui Monti Paoz, Goku decise che sarebbe stato più comodo e conveniente passare da Satan City. Ma, se dapprima non vedeva l'ora di rivedere la sua adorata nipotina, quando Pan lo vide... non lo riconobbe.
Nell'immenso e floreale giardino di Villa Satan, lei rimase con la palla rossa in mano e un cipiglio incuriosito. Tirò con la manina la gonna ampia della madre e, quando Videl si accorse di lui, rimase scioccata. Si dovette sedere sulla panchina per non svenire, poi iniziò a chiamare Gohan a gran voce.
Goku rimase oltremodo sbigottito. Soprattutto perché la donna in questione sembrava che stesse per esplodere da un momento all'altro, sul ventre. Era in dolce attesa. Di un rinoceronte, probabilmente, data la circonferenza addominale.
Quando Gohan giunse in giardino, cacciò un urlo davvero poco virile.
«Papi, ti difendo io!» si accigliò la piccola Pan, caricando tra le manine paffute una piccola sfera di colore giallo intenso. La lanciò verso Goku con una foga mai vista e, per quanto fosse un Ki-blast prodotto da una pulce alta quanto un nano da giardino, non fu poi tanto innocua. Gli bruciò i pantaloni della tuta arancione, tant'è che dovette intervenire Gohan con la canna dell'acqua per spegnerglieli.
Quando Videl accompagnò Pan dentro casa, la bimbetta non tolse gli occhi furiosi da dosso al nonno. Perché non sapeva che fosse suo nonno. Non se lo ricordava. Forse aveva pensato che fosse un estraneo, nel loro giardino, giunto per far loro del male.
«Quando... quando sei tornato?» domandò Gohan, sconvolto, una volta che la situazione si fu calmata.
«Poco fa! Ehm... wow, Gohan, congratulazioni! Pan diventerà presto una sorella maggiore?» si complimentò Goku, felice per suo figlio.
«Sì, di due gemelli. Ehm, l'ho combinata grossa!» ridacchiò Gohan come per stemperare la tensione palpabile, cacciandosi meglio gli occhiali sul naso. «Senti... ecco, mi ci vorrà un po' per spiegare a Pan chi tu sia. Non penso sia il caso di insistere, per oggi. Anche perché lei si affeziona molto alle persone e... insomma, non vorrei che ci rimanesse male... quando te ne andrai» concluse il ragazzo, con un sorriso mesto.
Goku boccheggiò. Gohan non aveva detto “se”. Aveva detto “quando”. Probabilmente aveva già dato per scontato che se ne sarebbe andato presto.
Poteva biasimarlo? Poteva dargli torto?
«Non... non ti preoccupare. Eheh, ha la stoffa della Saiyan, eh!» ridacchiò Goku.
«Già. Ora vado, non vorrei che Videl si stancasse, nelle sue condizioni. Torna a trovarci quando vuoi... ecco, magari prima telefonami».
Detto ciò, Gohan tornò di corsa in casa e lasciò Goku nel giardino, con i pantaloni mezzi bruciati e l'ennesima espressione da ebete dipinta in volto.


 


La reazione di Chichi fu ancora più bizzarra di quella degli altri. Non soffocante come quella di Vegeta, ma pur sempre degna di una visita in psichiatria.
Si era messa a ridere. A ridere! Lei, dalla quale più di tutti Goku aveva temuto una sfuriata degna di una soap opera, si era messa a ridere. Convulsamente.
Era preparato a dover evitare il tiro al bersaglio con l'argenteria, oppure consolare un pianto a dirotto di commozione e felicità. Quelle erano le due opzioni.
Invece rideva. Chichi rideva e non riusciva a smettere.
Ci erano voluti parecchi minuti prima che si calmasse, minuti durante i quali prima Goku aveva riso con lei, poi si era ammutolito e l'aveva fissata come se gli fosse spuntato un corno in mezzo alla fronte.
«Uh... tesoro? Tutto bene?» domandò Goku, dopo che lei dichiarò concluso quello spettacolo inquietante.
Chichi divenne seria nell'immediato, come se qualcuno le avesse spento l'interruttore dell'ilarità.
«Fuori di qui» sibilò, lapidaria.
Goku, per un momento, credette di aver capito male.
«Come?!»
«Fuori. Di. Qui» ripeté lei tra i denti, sospingendolo con il solo sguardo verso la porta d'ingresso.
Ecco, in quel momento per certi versi somigliava già di più alla Chichi imbufalita che lo rimproverava per non aver lavorato.
«Ma amore!»
«Amore? AMORE?» berciò la donna, in escandescenza. «Sparisci dalla mia vista!»
Tuttavia la Chichi imbufalita non aveva mai minacciato sul serio di cacciarlo di casa. Gli aveva lanciato addosso il servizio da tè, certo, ma non si era mai spinta a più di quello.
«Chichi, non capisco!»
Lei sogghignò. Non aveva mai sogghignato, prima. Vegeta sogghignava, non Chichi.
«Chissà perché, la cosa non mi sorprende affatto!» asserì lei, col petto gonfio di un sarcasmo quasi innaturale. «Vediamo se così riesci a comprendere: la vedi, quella? Si chiama “porta”. Attraversala e non rientrarci mai più!»
Anche il sarcasmo non era da Chichi. Era sempre da Vegeta. Si erano scambiati le personalità? Cielo, che cosa terribile!
«Mi sembra un tantino eccessivo» sospirò Goku, convinto.
«Eccessivo? Sei sparito per tre anni! Di nuovo! Sei sparito talmente tante volte che oramai dovrei avere il callo, e invece... invece sono stanca. Sei restato nell'Aldilà per anni, poi sei tornato e puntualmente te ne sei andato a farti gli affari tuoi sul pianeta di Beerus. Ho lasciato correre, nonostante ogni volta mi ripromettevo che fosse l'ultima che ti avrei ripreso in casa. Ma... tre anni, Goku. Tre anni senza avere neanche una tua notizia! Quanto ci sarebbe voluto a teletrasportarti qui, ogni tanto? Niente! E invece... ci hai lasciati soli».
Chichi era furiosa, ma aveva smesso di gridare. Goku, nel frattempo, si era fatto così piccolo da vanificare il fisico scultoreo ottenuto in decenni di allenamento.
Quei tre anni avevano pesato fin troppo sulle spalle di sua moglie. Perché, però, quella volta sembrava non fosse in grado di passarci sopra? Forse perché non era la prima volta, forse perché non era morto ma si era allontanato con cognizione di causa.
«Ma tu te la sei sempre cavata benissimo, ne sono sicuro». Goku era certo che Chichi avesse saputo badare meravigliosamente alla loro famiglia, nonostante tutto. Lo aveva fatto già in passato.
«Certo! Certo che me la sono cavata benissimo. Perché sono una buona madre. Un'ottima madre!» puntualizzò lei, piccata. «Lo sono sempre stata. Ma non ho più intenzione di essere... una moglie. Probabilmente per te non lo sono mai stata. Oh, magari solo quando cucinavo, giusto?»
Il tono fu tagliente.
«Ma che dici... Chichi, parliamone! Tu per me sei un'ottima moglie» tentò di recuperare Goku, non sapendo più però che pesci pigliare.
Più volte in passato Vegeta gli aveva fatto notare che non fosse normale che egli non pensasse spesso a Chichi, se non per andare a cena a mangiare. Ma non per questo non era una brava moglie! Forse era lui a essere stato un pessimo marito, talvolta.
Si sentì in colpa.
«Ti sbagli. Non sono tua moglie. Non più» sibilò lei, e gli occhi di Goku si spalancarono interrogativi. «Ho chiesto le pratiche del divorzio sei mesi fa e, siccome ho potuto dimostrare che hai abbandonato il tetto coniugale, me lo hanno concesso anche senza la tua firma».
Un fulmine a ciel sereno. Chichi si avvicinò al cassetto della credenza e ne estrasse una busta giallognola con sopra il timbro del tribunale. Gliela cacciò tra le mani con sprezzo, arpionandosi poi con i denti il labbro inferiore, per non farlo tremare. Aveva gli occhi lucidi.
«Non siamo più sposati, Goku».
Goku si rigirò tra le mani la busta senza alcuna intenzione di leggerne il contenuto. Data la sua scarsa istruzione, ci avrebbe capito anche ben poco.
A dirla tutta non ci stava capendo proprio più niente.
«Ma cosa... cosa... Chichi...» balbettò Goku, incredulo, arretrando di qualche passo fino a trovarsi sulla soglia della porta.
«Non ho più intenzione di parlare di te, di vederti, di contemplare la tua esistenza. Se vuoi vedere i ragazzi, fallo lontano da qui. Sempre che tu abbia voglia di continuare, almeno, a fare il padre. Ora sparisci» concluse lei, perdendo molto del suo sarcasmo e della sua risolutezza. Sembrava solo fragile, sebbene negli occhi antracite le si potesse leggere fiera convinzione rispetto alla drastica decisione.
«Chichi!» la chiamò flebilmente ma lei, con un ultimo sguardo, fece intendere che non ci sarebbe stato più null'altro da dirsi.
«Addio».
Chiuse la porta, sbattendogliela in faccia. Goku rimase lì a fissare il legno nodoso dell'ingresso di quella che, fino a tre anni prima, era stata casa sua. Della sua famiglia.
Era partito tre anni prima che era sposato, padre di due figli, circondato dall'affetto degli amici e con la stima incondizionata di un rivale. Era partito da eroe che aveva salvato l'Universo Sette, oltre che la Terra.
Tre anni dopo, era tornato scoprendosi divorziato dalla moglie, malvoluto dalla sua migliore amica, ignorato da uno dei suoi figli, sfiduciato dall'altro, non riconosciuto dalla sua nipotina, senza casa e completamente soffocato dallo sguardo del suo rivale il quale, tra tutti, lo aveva sconvolto ogni oltre capacità.
Goku, dell'eroe, non aveva più nulla.
Forse quella volta l'aveva combinata davvero brutta. E allora se ne convinse: c'era qualcosa che non andava in lui.
Avrebbe sicuramente preferito un pugno.



 
Continua...

ANGOLO DI EEVAA:
Hola, gente!
Quanto tempo! Che dire... è stata un'estate assurda, impegnativa, itinerante... ma eccomi qua!
Ho questa storia in canna dal primissimo lockdown del 2020 ma non sono mai stata abbastanza convinta di pubblicarla - perché a mio parere ho scritto in seguito altro materiale un poco più interessante. Ma, ora che ho finito di pubblicare tutto il resto, ho deciso di darle una chance. Giusto per prendermi il tempo di scrivere altro.
Nonostante tutto spero possa piacervi, è una storia semplice, di otto capitoli in totale, narrata dal POV di Goku. Non aspettatevi battaglie o grandi colpi di scena, solo tante riflessioni e un percorso di crescita e introspezione. 
Niente... spero che abbiate passato una buona estate, anche se so che per qualcuno l'ultimo mese è stato difficile (tu, proprio tu, sai che ti abbraccio forte, spero che questa piccola lettura possa distrarti un pochino). 
A domenica prossima, come sempre! 
Eevaa



 
Nel prossimo capitolo:
Perché fu come sentirsi piegato in due nel realizzare quanto Piccolo – un dannato Namecciano gli stava insegnando come essere un Terrestre, per tutte le stelle! - avesse profondamente ragione.
Era l'assoluta verità. Non comprendeva, non aveva previsto nulla di tutto ciò perché lui, di umano, aveva sempre avuto ben poco.
Empatia? Cos'è, si mangia? Responsabilità? Il dessert?

 

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Capitolo 2
*** Bentornato ***


Disclaimer:
Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte dell'universo di Dragon Ball sono di proprietà di Akira Toriyama© e Toei Animation©.
Non concedo, in nessuna circostanza, l'autorizzazione a ripubblicare questa storia altrove, anche se creditata e anche con link all'originale.
I diritti delle immagini non mi appartengono.
 
 
 


- SOMETHING HUMAN -


Capitolo 2
Bentornato



 
Quella porta chiusa non aveva nulla di interessante. Qualche nodo del legno, deboli segni di intemperie. Niente che potesse essere catalogato come qualcosa di stimolante.
Eppure Goku ci era rimasto almeno venti minuti, davanti a quella porta. La porta di casa sua. Non che avesse il diritto di poterla ancora considerare casa, ovviamente. Chichi l'aveva appena sbattuto fuori con una lettera di adempiuto divorzio e tanti cari saluti.
Faticava a realizzarlo, più che ad accettarlo. Se ne stava lì, con lo sguardo perso nelle zigrinature marroni nella porta e i pensieri più arruffati dei suoi capelli.
Non gli era mai passato per la mente, in quei tre anni, che qualcuno avrebbe potuto risentire così tanto della sua assenza. Pensava ci fossero tutti più che abituati e invece... invece in quel momento sembravano così furiosi, addirittura delusi! Era una sensazione davvero poco confortevole, per Goku, il quale era sempre stato abituato a ottenere facile perdono e una manciata di sorrisi.
Tutto sembrava diverso, quella volta.
«Hai intenzione di rimanere lì ancora per molto?»
Goku sussultò e finalmente distolse lo sguardo dall'avvincente porta d'ingresso. Una figura munita di mantello bianco e Gi viola scuro apparve alle sue spalle. Non l'aveva sentito avvicinarsi, ma fu come un miraggio.
«Ah! Piccolo!» lo salutò, rilassando le spalle. «È bello rivederti, amico! Che ci fai qui?»
«Ho sentito la tua Aura» rispose, con le braccia incrociate al petto e il mento appuntito sollevato.
Non era cambiato di una virgola. O forse aveva le antenne più lunghe? Meh. Improbabile.
Goku si strinse nelle spalle in un moto di imbarazzo. «Hai sentito anche la mia conversazione con Chichi?»
«No, ma posso immaginarla. Gohan me ne ha parlato, del... divorzio» borbottò Piccolo, mantenendo un certo aplomb.
Evidente che lo sapessero già tutti. Forse era quello che intendeva Bulma quando aveva detto “sono cambiate molte cose”?
«Già. Beh, io non... non capisco» ammise Goku.
«No, vero? Immaginavo». Piccolo alzò gli occhi al cielo. Non sembrava arrabbiato, nemmeno troppo giudicante e affatto sorpreso.
«La mia assenza non è mai stata così un grosso problema!»
«Beh, l'ultima volta eri morto. Mi sembra una giustificazione abbastanza valida per assentarti. E le brevi assenze per andare ad allenarti erano perdonabili e volte a salvare il pianeta. Anche se, presumibilmente, sono state un po' tutte gocce che hanno fatto traboccare il vaso».
Piccolo era sempre stato saggio e riflessivo, l'aveva sempre ammirato per questo. Anche in quell'occasione il suo ragionamento non faceva una piega.
L'emotività di Goku, invece, ne aveva eccome di pieghe! Ogni secondo in più che acquisiva consapevolezza, poteva sentire la propria coscienza accartocciarsi come le multe per eccesso di velocità che aveva preso da neopatentato. Forse era anche per quello che gli avevano confiscato la patente dopo poco tempo. Chichi era stata furibonda anche per quello, ma l'aveva perdonato.
«È che... non me l'aspettavo» sospirò Goku, affranto.
No, secondo i suoi astuti calcoli a quell'ora avrebbe dovuto trovarsi di fronte a un'enorme tavola imbandita di ogni sua pietanza preferita insieme alla sua famiglia, per poi andare a smaltire la cena tramite un sano scazzottamento con il suo rivale. E invece era ancora lì con una lettera di divorzio tra le mani, nessun rivale da scazzottare e – accidenti – nessun posto dove stare.
«Goku, persino io ho imparato a comportarmi come un umano - un Terrestre - nel corso degli anni. Comprendere e provare alcuni dei loro... sentimenti. Perché tu non l'hai mai fatto?» concluse poi Piccolo, con gli occhi fissi nei suoi.

Goku aprì la bocca come per rispondere, ma non ne uscì niente. Assolutamente niente. Forse gli era arrivato per davvero, quel pugno nello stomaco. Perché fu come sentirsi piegato in due nel realizzare quanto Piccolo avesse profondamente ragione. Un dannato Namecciano gli stava insegnando come essere un Terrestre, per tutte le stelle!
Era l'assoluta verità. Non comprendeva, non aveva previsto nulla di tutto ciò perché lui, di umano, aveva sempre avuto ben poco.
Empatia? Cos'è, si mangia? Responsabilità? Il dessert?
Persino Vegeta - l'alieno arrogante e bastardo giunto dallo spazio una ventina di anni prima - aveva imparato a essere più umano di lui.
Goku rabbrividì. Pensare allo sguardo di Vegeta fu come essere punto da migliaia di fastidiosi spilli.
Scosse la testa per rinsavire, ma fu del tutto inutile. Certe consapevolezze pesavano come macigni.
Ad esempio la consapevolezza che quella sera non aveva posto dove andare.
Niente casa, niente possibilità di andare da Gohan, un chiaro invito a non farsi vedere alla Capsule Corporation.
Piccolo ce l'aveva, una casa? O viveva sulle montagne? Beh, di certo non necessitava di cibo, a differenza sua.
Una vera fortuna che Goku fosse pieno di amici.


 


Crilin fu l'unico ad accoglierlo con lo stesso entusiasmo di un tempo.
Non appena questi aperta la porta di casa, gli saltò addosso e lo stritolò come ai vecchi tempi. E, per un attimo, Goku si sentì a casa.
Un attimo che durò davvero, davvero troppo poco.
«Amico, questa volta hai davvero superato te stesso» lo redarguì con uno sguardo amaro.
«Credo di sì» sospirò Goku, grattandosi la nuca com'era consueto fare per stemperare la tensione.
Crilin si prese un secondo di pausa prima di parlare.
«Hai già parlato con Chichi?»
«Giusto poco fa... non è stato piacevole». Percepì la lettera di divorzio pesare come un macigno nella tasca della casacca arancione. Il suo amico rivolse lui uno sguardo eloquente.
«Allora immagino che ti serva un posto dove stare, stanotte» decretò Crilin con perspicacia. «Non abbiamo molto spazio, in realtà. Credo che ti dovrai accontentare del divano».
Lo invitò dentro casa, ma Goku si sentì raggelato dallo sguardo tagliente di C18. Non che la donna fosse stata accomodante, in passato, ma quella sera non fece alcunché per nascondere il proprio disappunto.
La piccola Marron – che poi non era più tanto piccola come la ricordava – lo accolse invece con un espressione incuriosita. Scoprì che neanch'ella si ricordasse di lui, ma fu gentile e cordiale.
Quando Goku approfittò dell'ospitalità per farsi una lunga doccia calda e rinvigorente, non riuscì proprio fare a meno di origliare la spiacevole conversazione tra il suo amico e sua moglie, nel salotto.
«Non c'è spazio in questa casa».
«Sarà solo per pochi giorni, amore...»
«Pochi giorni?!»
«Lo sai com'è la situazione, Diciotto. Sono tutti arrabbiati... nessuno lo vorrà ospitare».
«Men che meno io! Anche tu sei arrabbiato con lui, o l'hai dimenticato? Non si è fatto scrupoli ad abbandonarvi tutti di nuovo».
«Lo so, lo sono! È che... mi è mancato. È il mio migliore amico, nonostante la rabbia non riesco proprio a odiarlo. Rimarrà solo!»
«Se l'è cercata. Domani lo voglio fuori di qui. Dal Genio c'è posto, sull'isola».
Goku deglutì e si appoggiò alla porta con la schiena. Quella situazione si stava facendo troppo, troppo pesante. Troppo persino per lui.
Anche Crilin era arrabbiato, sebbene glielo avesse nascosto il meglio che aveva potuto.
Tutte le persone a lui più care avevano risentito della sua assenza, e molte di esse non avevano alcuna intenzione di perdonarlo.
Cosa avrebbe potuto fare? Chiedere scusa? Non sarebbe bastato, sebbene gli dispiacesse per davvero. Perché era certo di essere dispiaciuto, solo... solo non ci aveva mai pensato prima.
In quei tre anni raramente aveva pensato alle conseguenze delle proprie azioni, raramente aveva sentito la mancanza di qualcuno. Aveva pensato spesso a loro, certo, ma non per mancanza. A dirla tutta l'unica persona di cui aveva più volte sentito il bisogno era stata Vegeta. Gli erano mancati i loro allenamenti, ma poi le giornate erano state tutte così piene! Broly era un vero portento nella lotta, e Goku era arrivato sempre a fine giornata sfinito, troppo stanco per tornare sulla Terra e proporre una bella scazzottata al proprio rivale.
C'era davvero qualcosa che non andava in lui, se in tre anni non aveva avvertito la mancanza della propria famiglia. Forse era una prerogativa Saiyan? Avrebbe dovuto chiederlo a Vegeta.
Ma in quel momento che tutti sembravano volerlo evitare, lì sì che stava iniziando a sentire la loro vera mancanza. Solo in quel momento che tutte le sue certezze stavano vacillando, avvertì il bisogno di doverci mettere le mani per tenerle in piedi.
Un comportamento davvero immaturo, se ne rendeva conto.
Quindi no, quel qualcosa che non andava in lui non era prerogativa Saiyan. La risposta era molto più semplice: era un deficiente. Vegeta aveva ragione.
Per la prima volta in quarantaquattro anni, Goku si sentì un vero e proprio idiota.


 


Aveva dormito in luoghi molto più scomodi e angusti, ma il divano di Crilin sembrava essere fatto di un marmo grezzo e pungente. Il dolore alle spalle, però, non era niente in confronto al senso di inadeguatezza che gli pesava sul petto.
Aveva trascorso una notte insonne – per uno che solitamente non si sveglia neanche con le cannonate – e, ogni volta che aveva sperato di essere sospinto tra le morbide braccia di Morfeo, la sua corteccia cerebrale non aveva tardato a ricordargli del perché si trovasse su quello scomodo divano e non nel proprio letto.
Si era risvegliato più e più volte, madido di sudore, con un senso di oppressione allo stomaco e come incubo ricorrente l'immagine di due occhi neri e profondi.
Ciò di cui si stupì maggiormente, quella mattina, fu la totale assenza di appetito. Cosa che fece preoccupare Crilin oltre ogni immaginazione. Non c'era mai stato problema, ansia o evento spiacevole che avesse reso Goku inappetente, in tutti quegli anni. E ne avevano passate davvero di brutte!
Quando Diciotto uscì di casa per accompagnare Marron a scuola, non passò molto tempo prima che Crilin gli accennasse il “discorsetto”. Ma, se da un lato Goku fosse sollevato di non dormire più su quell'angusto divano, dall'altro lato l'amaro in bocca non tardò a farsi sentire.
Si recò sull'Isola del Genio e quest'ultimo non gli risparmiò la paternale. Paternale che portò Goku su un ulteriore piano riflessivo: il suo maestro era anziano. Già durante il Torneo del Potere aveva dato segni di cedimento. E se fosse morto per qualche sforzo eccessivo durante quei tre anni? Goku non avrebbe nemmeno avuto l'occasione di salutarlo, né di saperlo.
Non se lo sarebbe mai perdonato. E ciò bastò per farlo sentire un totale imbecille, un immaturo, una persona superficiale. Ma insensibile, quello no. Non lo era, e quindi il solo pensiero fu sufficiente per farlo sentire male per davvero.
Forse chiedere scusa non sarebbe stata poi un'idea così malvagia. O quantomeno sarebbe potuto diventare un punto di partenza.
Così, dopo un pranzo poco ricco sull'Isola del Genio, Goku decise che sarebbe partito dalla propria urgenza – perché non avrebbe potuto sopportare il ricordo di quegli occhi un minuto di più – nonché dalla persona che forse avrebbe potuto perdonarlo più facilmente. O almeno così pensava.


 


Quando si teletrasportò da Vegeta, lo trovò come pronosticabile nella Gravity Room della Capsule Corporation.
Non fece neanche in tempo a poggiare i piedi al terreno, che una sfera di energia quasi gli fece saltare il cranio. La deviò all'ultimo secondo verso il soffitto assorbente, sul quale si estinse. Probabilmente il suo rivale si era allarmato nell'avvertire un'Aura forte e aveva reagito d'impulso.
«Ouch, c'è mancato un soffio!» commentò Goku, genuino, con uno sbuffo concitato.
Ciò che si ritrovò davanti non fu tuttavia diverso da ciò che l'aveva spiazzato il giorno precedente.
Vegeta, ansimante e sudato per lo sforzo dell'allenamento ad alta gravità, lo fissò di rimando con lo stesso identico sguardo indecifrabile del giorno prima. Il gelo.
Goku deglutì e ignorò quel brivido di terrore che gli percorse tutta la spina dorsale. Fece per parlare, ma il suo rivale si era già voltato per ripercorrere i propri passi e levare le tende.
«Un attimo, Vegeta! Per favore!» lo rincorse e si piazzò davanti al portellone d'uscita. Una vena pulsò prepotente sulla fronte del Principe dei Saiyan il quale sguardo, finalmente, si fece meno glaciale e improvvisamente più omicida. Era già qualcosa.
«Cosa vuoi?»
La voce di Vegeta era scura e tetra come se la ricordava. Ai tempi della sua controparte Majin, però.
«Senti, lo so che ho sbagliato ma-»
«No» lo interruppe, lapidario. «Tu non hai sbagliato. Tu SEI sbagliato!» lo corresse con un ringhio e poi, facendosi strada con una spallata, aprì il portellone di sicurezza della camera e si diresse verso l'uscita.
«Ma Veg-»
«Vai al diavolo».
La porta sul corridoio era ancora rotta. Se così non fosse stato, Goku era certo che Vegeta l'avrebbe sfondata di nuovo.
Rimase a bocca aperta, interdetto, nel petto la stessa angoscia del giorno prima e in testa una nuova serie di domande. Vegeta non gli aveva dato neanche il tempo di parlare, di spiegarsi, di scusarsi. E da lui non se lo sarebbe aspettato, mai.
Come il giorno prima, avrebbe preferito un pugno e una raffica di insulti.
Sei sbagliato, gli aveva detto. Ma non era un insulto: era un dato di fatto. Un dato di fatto che faceva molto male, specialmente detto da una persona dalla quale non ce lo si aspetta.


 


Dopo quel buco nell'acqua, Goku decise di prendersi un momento per riflettere da solo. Si appostò sulle alte vette sopra la Città del Nord, ponderando se le scuse fossero una buona idea o se, come una volta gli aveva detto Chichi, “tu devi dimostrarlo con i fatti!”.
I fatti. Non era semplice. Come avrebbe fatto a dimostrare con i fatti che fosse dispiaciuto? Stare vicino alle persone? Dimostrare di essere presente? Promettere che non avrebbe più compiuto gli stessi errori?
Nel tardo pomeriggio, raggiunse l'epifania che per farsi perdonare e far capire che avesse imparato dai propri errori, avrebbe dovuto mostrare ai suoi amici e la sua famiglia il suo lato più umano.
Si recò da Bulma e la trovò in salotto a sfogliare una rivista scientifica. Anche in quel caso, l'accoglienza non fu molto differente dal giorno precedente – né da quella del Principe.
Goku dovette evitare che la rivista gli capitolasse in testa, a causa dello spavento provocato alla donna per il teletrasporto.
Forse un'altra piccola accortezza da aggiustare sarebbe stata imparare a citofonare.
Bulma si portò una mano al petto per riprendere fiato. Poi, senza che glielo chiedesse, Goku provò a spiegare a parole l'epifania che aveva raggiunto in quelle ore, compresa la consapevolezza di essere un gran deficiente.
A differenza di Vegeta, Bulma lo ascoltò, non potendo fare a meno di concordare sulla maggior parte degli epiteti autodescrittivi. Lei non si stupì della reazione di Chichi, e gli confessò che l'avesse sentita al telefono proprio la sera prima, ma non volle elencargli per fino e per segno la lunga sfilza di insulti rivolti alla sua persona.
Eppure, nonostante fossero rimasti seduti sul divano per una buona mezz'ora a chiacchierare, Goku non poté fare a meno di notare quanto la sua amica fosse fredda e distaccata nei suoi confronti. Sorrideva poco, sospirava spesso. Egli notò anche quanto Bulma sembrasse invecchiata più rapidamente in quegli anni e, se dapprima si era sempre mantenuta curata e in forma, Goku non riuscì proprio a non notare qualche capello grigio e un'eccessiva magrezza, oltre a nessun accenno di trucco. Era sempre una bellissima donna, certo, ma il suo sguardo lasciava trasparire un periodo non affatto roseo, per lei.
«Vegeta è arrabbiato» convenne Goku, dopo una lunga sorsata di tè verde.
Bulma rizzò la schiena sul divano, indispettita. Come se qualcosa l'avesse punta sui fianchi.
«Vegeta è furioso. È fuori di sé» ribadì lei, con un tono di voce a metà tra l'arrabbiato e l'affranto. «Oramai... da troppo tempo».
E, sebbene Goku non fosse stato sovente un acuto osservatore, comprese alla perfezione che Vegeta fosse gran parte la causa di quel periodo poco roseo, per lei. Anche il giorno prima era scattata all'udire il nome di Sua Maestà.
«Bulma... ma cos'è successo?» le domandò quindi infine, dopo una lunga pausa imbarazzante.
Lei si accigliò e iniziò a torturarsi le mani.
«Non voglio parlartene, Goku. Non... non stavolta» concluse. «Forse è meglio che tu vada, ora. Lui sarà qui a momenti».
Goku aggrottò le sopracciglia e non comprese la situazione, ma decise di seguire il consiglio. Si salutarono ed egli si diresse verso l'uscita della grande casa ma, poco prima che potesse andarsene, dalla soglia d'ingresso apparve il Principe dei Saiyan, mano nella mano con una bimbetta con due codini azzurri e gli occhi acquamarina.
Goku riconobbe subito Bra. Era la fotocopia di sua madre, eccezion fatta della prorompente Aura emanata, che era del tutto simile a quella di Vegeta. Era straordinaria! Non aveva mai sentito un'Aura così forte provenire da una bambina così piccola. C'era qualcosa di incredibile in lei, e di molto differente da ciò che erano stati Trunks, Gohan e Goten a quell'età.
Lei lo guardò con aria incuriosita per qualche secondo, poi rivolse uno sguardo interrogativo al padre il quale, però, era evidente che stesse compiendo sforzi disumani per non scoppiare dalla rabbia di fronte alla bambina. In qualche modo Bra lo comprese e, per quieto vivere, sembrò scegliere di non porre domande.

«Ciao, papà! Grazie del gelato, era buooonissimo! Ci vediamo domani?» cinguettò radiosa.
Goku corrucciò lo sguardo. Domani?
«Sì» rispose secco lui, lasciandole la mano. La bambina si diresse saltellando verso la zona giorno per raggiungere la madre, superando Goku solo con un'altra occhiata incuriosita.
Vegeta attese di vederla sparire dietro la porta, poi fece dietrofront e varcò a passi svelti la soglia dell'uscita.
Goku non capì. Rimase attonito per qualche secondo e tentò di comprendere l'imponderabile e poi, come scosso da una scarica di adrenalina, decise di partire all'inseguimento.
Vegeta aveva già spiccato il volo, ma non era lontano. Lo raggiunse in un battito di ciglia dopo averlo inseguito per qualche isolato, fino a quando il Principe non posò i piedi al suolo di fronte a una casetta rotonda e bianca di piccole dimensioni, circondata da un giardino spoglio di fiori e ornamenti.
«Vegeta, aspetta!» lo richiamò Goku, mentre egli stava percorrendo a lunghi passi il vialetto.
«Mi pare di averti detto di andare al diavolo» gli rispose brusco, senza smettere di camminare.
E Goku perse un poco la pazienza. Non capiva, non riusciva a comprendere e tanto meno riusciva ad accettare una reazione del genere da parte del suo rivale. Ok Bulma, Chichi, Crilin, i suoi figli. Ma Vegeta? Perché diavolo era così tanto arrabbiato e non gli dava neanche la minima opportunità di chiarire?
«Ma vuoi ascoltarmi sì o no? Posso capire tutti, ma tu cos'hai? Che cosa ti ho fatto di male?» sbottò quindi Goku, allargando le braccia. E, finalmente, Vegeta parve frenare la propria fuga.
Si immobilizzò e Goku percepì una curva pericolosa nella sua Aura.
«Puoi capire tutti... tranne me?!» domandò in un soffio, poi si voltò per fronteggiarlo faccia a faccia. Lo sguardo glaciale e incomprensibile lo perforò di nuovo. «Ammazzati, imbecille» concluse, atono, dirigendosi infine verso la porta d'ingresso di quella casa.
Inserì la chiave d'accesso con furia e poi aprì la porta blindata. Quando fece per chiudersela alle spalle, però, Goku lo raggiunse di nuovo e la bloccò con una mano.
«Un attimo... che... che ci fai qua dentro?» chiese allibito, spiando oltre la soglia. Vegeta lo incenerì con lo sguardo.
«Ci vivo, e ci uccido gli imbecilli che tentano di bloccare la porta d'entrata».
Goku ebbe quasi un mancamento. E quindi iniziò a comprendere qualcosa di più.
Buongiorno a me, stupido idiota.
«Ci... ma... oh... tu e Bulma...?» balbettò Goku, senza fiato, indietreggiando.
«Non te lo ripeterò più: ammazzati. Tanto per me è uguale» concluse Sua Maestà e, detto ciò, gli sbatté la porta in faccia senza troppi complimenti.


Erano cambiate troppe, troppe cose.
In quel momento Goku percepì che stesse cambiando anche lui.
Si ritrovò ben presto sull'impercettibile soglia del “vorrei non essere mai tornato” e il “vorrei non essermene mai andato via”.
Perché, in ogni caso, non avrebbe mai sperimentato sulla propria pelle le conseguenze di essere diventato umano tutto di colpo.



 
Continua...

Riferimenti:
-Non si è mai parlato del potenziale combattivo di Bra, né nel finale di Z né in Dragon Ball GT. E in Super è troppo piccola, ancora. Però mi piace pensare che possa diventare fortissima. 
-Il Genio delle Tartarughe non può morire di vecchiaia, vero. Ma può morire di altre cause dovute ad essa, come si è potuto quasi vedere in DBS.

ANGOLO DI EEVAA:
Ehi, gente!
Rieccoci qui. Sono molto contenta dell'entusiasmo con il quale avete accolto questa storia :) anche perché, se devo essere onesta, io non ne sono per niente entusiasta, quindi ne avevo proprio bisogno. 
So che non è nulla di che in confronto a una storia complessa come HAKAI o avventurosa come Across the universe, ma... beh, spero che non vi annoi troppo alla lunga. Anche se sono solo otto capitoli.
Che dire... Goku ha subito una bella batosta, ma era anche un po' ora che si svegliasse un po' fuori dalla sua ingenuità, no? Anche se lo adoro lo stesso, in tutte le salse, anche quando è stupido XD ma cosa diavolo sarà successo tra Bulma e Vegeta?
Grazie di nuovo di cuore per tutti i complimenti che mi avete fatto e grazie soprattutto ai miei amici cosplayer che stanno leggendo, è stata una vera sorpresa <3 
Un abbraccio a tutti!
Eevaa



 
Nel prossimo capitolo!
«Hai capito?» domandò Piccolo.
Goku aprì la bocca come per rispondere, ma ne uscì solo un verso strozzato. 
«... sono un'idiota» esalò infine Goku.
«Sì» convenne Piccolo, senza nascondere una certa ovvietà.

 

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Capitolo 3
*** Spighe di grano ***


Disclaimer:
Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte dell'universo di Dragon Ball sono di proprietà di Akira Toriyama© e Toei Animation©.
Non concedo, in nessuna circostanza, l'autorizzazione a ripubblicare questa storia altrove, anche se creditata e anche con link all'originale.
I diritti delle immagini non mi appartengono.
 
 
 


- SOMETHING HUMAN -


Capitolo 3
Spighe di grano


 

Goku premette le dita sulle tempie e iniziò a massaggiarle con insistenza. Sperò di trovarci nascosto un bel tasto “reset” da qualche parte, ripristinare le impostazioni di fabbrica e smetterla di sentirsi come se una pioggia di meteoriti lo avesse ripetutamente colpito.
Oh, in effetti era stato così. Tuttavia non erano stati meteoriti, ma porte.
Vegeta gli aveva sbattuto più volte la porta in faccia intimandogli di stargli alla larga, dicendogli che fosse sbagliato e che se fosse vivo o morto gli sarebbe importato poco; Chichi gli aveva sbattuto la porta in faccia con una lettera di divorzio; Crilin gli aveva socchiuso la porta in faccia perché sua moglie non poteva sopportare che lo perdonasse così in fretta; Gohan gli aveva chiuso la porta in faccia perché non voleva che Pan si affezionasse a lui prima che scappasse di nuovo; Goten si era nascosto dietro la porta della camera di Trunks per evitare di avere un confronto e, per ultima, Bulma gli aveva intimato di prendere la porta e andarsene quando, per l'ennesima volta in due giorni, si era presentato alla Capsule Corporation chiedendole informazioni.


«Ma Bulma! Vegeta non abita più qui?! Sul serio?!»
«Ci siamo separati un anno fa. Era diventato ingestibile».
«Oh... mi dispiace».
«Ah, fai bene a dispiacerti. Visto che è diventato ingestibile a causa tua».
«CHE?!»

«Mi sembrava di averti detto che non ne voglio parlare, oggi. Vai via, Son-kun, per favore».


Così Goku era ritornato all'Isola del Genio, si era infilato nel suo tatami senza neanche cenare e si era isolato da tutto e da tutti.
Le parole di Bulma l'avevano ferito molto più che i nemici del passato, e il senso di colpa aveva preso possesso delle sue facoltà mentali. Avrebbe tanto voluto andare da Gohan, o a trovare Goten, ma non ce l'aveva fatta.
Non si dava pace. Non riusciva a capire in che modo Vegeta potesse essere diventato ingestibile a causa sua, e in che modo potesse aver portato a una separazione tra lui e Bulma.
Non gli era mai sembrato che il suo rivale fosse così ansioso di averlo intorno, una volta. Anzi, spesso aveva dichiarato che gli stesse troppo addosso. “Kakaroth, evapora”, “Kakaroth, mi stai stufando”, “Kakaroth, levati dalle palle” erano mantra che si sentiva dire di continuo; Vegeta non si era mai preoccupato troppo dei lunghi periodi in cui si perdevano di vista.
E ok, aveva trascorso sette anni nell'Aldilà perché era morto, ma era stata una scelta quella di non resuscitare con le Sfere del Drago. Forse, come aveva detto Piccolo, quella era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso? Ma il vaso di cosa?! Era Vegeta, dannazione! Il Principe dei Saiyan, l'originale, 70% orgoglio e 30% menefreghismo Made in Vegeta-Sei.
E, più Goku si arrovellava su i come e i perché, più questi gli scivolavano dalle mani come saponette.


Non dormì neanche quella notte e ricevette in dotazione omaggio un bel paio di occhiaie violacee che gli conferivano quel sano aspetto da oltretomba.
Quella mattina provò a chiamare Gohan, ma egli rimandò ancora una volta il loro incontro, spiegandogli che non aveva dichiarato a Pan cosa stesse succedendo.
Poi contattò Chichi, domandandole quando avrebbe potuto vedere Goten. Lei gli attaccò il telefono in faccia dopo avergli fornito il numero di cellulare del suo secondogenito.
Quest'ultimo nemmeno rispose al telefono.
Goku era affranto. Era questo che comportava essere una persona matura? Avere delle preoccupazioni e basta? E quando arrivavano i vantaggi?
Trascorsero tre giorni, Goku non si allontanò mai dall'Isola del Genio. Il suo maestro iniziò a preoccuparsi per lui quando, alla richiesta di mostrargli qualche nuova tecnica che aveva imparato, Goku rispose che non ne aveva molta voglia. Oltre che la fame e il sonno, gli era passata anche la voglia di combattere.
Ma quest'ultima tornò presto come fabbisogno fisiologico con il plenilunio. La natura Saiyan, nonostante egli non possedesse più una coda da molto tempo, lo aveva sempre chiamato nelle notti di luna piena. Era come un prurito, un bisogno che non riusciva proprio a ignorare.
E, quando avvertì l'Aura di Vegeta forte e prorompente per lo stesso motivo, non riuscì a resistere dal seguirla fino alle Isole del Sud. Tuttavia si accorse ben prima di arrivare che non fosse solo.
Riconobbe l'Aura della piccola Bra dalla lontananza, e lo lasciò oltremodo senza parole. Sembrava che anche lei fosse assorbita e potenziata dal bagliore lunare, era qualcosa che si percepiva istintivamente. Gohan, Goten e Trunks non avevano ereditato la stessa caratteristica e, da quando era stata tagliata loro la coda, la luna non sortiva su di loro alcun effetto.
L'Aura di Bra, invece, risplendeva quella notte in modo inequivocabile. E fu davvero, davvero strano vedere padre e figlia combattere insieme sulla bianca battigia di quell'isola, illuminati dalla luce della luna e potenziati da essa.
La bambina era forte, veloce. Ed era già in grado di sostenere la trasformazione in Super Saiyan di secondo livello, a soli quattro anni.
Quando i due combattenti si accorsero della presenza di Goku, interruppero il loro combattimento per qualche istante. Per un attimo sperò che il vecchio rivale lo coinvolgesse nella lotta, o quantomeno che lo attaccasse. Invece, quando gli occhi di Vegeta si posarono su di lui, furono inquietanti e profondi come il primo giorno che l'aveva rivisto. Uno sguardo che lo invitava senza troppi complimenti ad andarsene.
Quindi Goku scappò via lontano, tentando di sopprimere quell'istinto alla lotta. Il macigno nel proprio stomaco si fece ancora più pesante, al ricordo di tre anni prima.


«Chichi mi ammazzerà».
«E avrebbe la mia totale ammirazione, se lo facesse».
Vegeta si asciugò il sudore dal volto con un asciugamano, appendendoselo poi al collo. La luna stava già calando e, in lontananza, le prime luci dell'alba stavano dipingendo il cielo di un viola scuro.
«Le avevo promesso che questa mattina avrei arato tutto il terzo campo, ma sono sfinito. Urcaaa, penso che andrò in letargo per tre giorni!» si lagnò Goku. Si erano allenati per tutta la notte nel deserto, come ogni mese. Non c'era neanche bisogno di darsi appuntamento, oramai.
«Oh, quindi posso sperare finalmente che la smetterai di assillarmi?» commentò il Principe, aspro.
«E dai, Vegeta, avevi bisogno di lottare almeno quanto me».
Egli alzò gli occhi al cielo, esasperato.

«Tsk. Mio malgrado, non posso darti torto».
Goku ridacchiò, poi gli porse un Senzu. C'erano andati giù pesante quella notte e, se di solito gli allenamenti quotidiani non sfociavano mai in ossa rotte e vistose ferite, durante la luna piena l'istinto era sempre quello di spaccarsi il setto nasale a vicenda. Senza cattiveria, naturalmente, ma la loro rivalità sembrava tornare in auge più del solito.
«Senti mai la mancanza della coda?» domandò Goku guardando la luna brillare, mentre percepiva le ferite rimarginarsi per merito del Senzu.
Vegeta arricciò il naso per riflettere. Erano oramai lontani i tempi in cui il Principe liquidava le sue domande, e non era più molto raro che si perdessero in qualche chiacchiera dopo i loro allenamenti. Chiacchiere che spesso si esaurivano in “ma quanto puoi essere deficiente, Kakaroth?”. Ma era pur sempre piacevole parlare con un proprio simile.
«Solo a volte. Ma, pensaci bene: era uno scomodo punto debole» decretò infine. «Utile per la trasformazione in Oozaru, ma che ci rendeva vulnerabili agli attacchi diretti. Oltre a farci comportare come depravati una volta ogni tre mesi» concluse con un sogghigno.
Goku sollevò un sopracciglio.

«Depravati?»
«Sì, svolgeva anche una funzione nei rituali di accoppiamento, rilasciava una quantità eccessiva di ormoni, cose del genere» spiegò Vegeta, annoiato come quando si spiega un concetto semplice a un bambino. «Penso che tu non abbia mai avvertito quell'istinto, visto che l'hai persa quando eri un moccioso».
«No, infatti» confermò Goku, incuriosito. «Ma davvero?! Cioè, intendi che i Saiyan andavano in calore come i gatti, a causa della coda?»
Faceva strano anche solo dirlo. Non aveva mai avuto in vita sua tutto questo gran desiderio di accoppiarsi.
«È esattamente ciò che ho detto. Noi élite di prima classe non ci abbassavamo a tanto, ovviamente, ma non farmi ripensare a come si comportava tuo fratello in quelle notti». Vegeta rabbrividì e poi sogghignò di nuovo. «Proprio vero che in tempi di guerra ogni buco è trincea».
«Che intendi dire?» domandò Goku e, a quel quesito, Vegeta ridacchiò. Non era un tipo che rideva spesso, ma Goku aveva notato che lo facesse sovente dopo qualche sua affermazione sciocca.
«Lascia stare, Kakaroth. Resta ingenuo così come sei, che vivi meglio».


Era stata l'ultima volta che si erano parlati. Resta ingenuo così come sei, gli aveva detto. A ripensarci, avrebbe preferito aver seguito quel consiglio.
Non che gli fosse ancora ben chiaro il concetto di buchi e trincee, ma Goku aveva oramai perso un pizzico di quell'ingenuità che lo contraddistingueva.
Ripensare a quelle notti - a quelle battaglie, a quei mesi di allenamento insieme sul pianeta di Lord Beerus - faceva sentire Goku parecchio strano. Forse era quello il vero concetto di mancanza?
Ora che Vegeta non lo degnava neanche di una parola, sentiva chiaramente nostalgia di quei momenti. Sembrava che fossero tornati indietro nel passato, ai tempi del Cell Game, quando le uniche interazioni con il Principe dei Saiyan erano insulti, vessazioni e minacce di morte.
Quando non erano amici.
Perché lo erano diventati, dopo. C'era stato un particolare momento della sua vita in cui aveva iniziato a considerare Vegeta un vero proprio amico, e coincideva con la loro prima Fusione con i Potara. Si provano sensazioni strane, durante la Fusione, ma Goku aveva percepito che non ci fosse più alcuna reale ostilità nei suoi confronti, da parte di Vegeta.
Ostilità che, in quegli ultimi giorni, sembrava essere riemersa più lucida e affilata di prima.


Non se ne rese neanche conto, ma tra quei moti riflessivi si ritrovò sui Monti Paoz. Perché forse, inconsciamente, sapeva che ci avrebbe trovato una persona che avrebbe senz'altro saputo aiutarlo a fare chiarezza nella propria testa.
Piccolo era solito meditare tra le frasche di quei monti e, senza troppa sorpresa, lo trovò sveglio.
«Cosa ti porta qui, Goku?» domandò, aprendo gli occhi e scomponendosi dalla posizione meditativa.
«Non... non lo so,» ammise Goku, «sono confuso».
Piccolo ghignò, forse per nulla sorpreso.
«Lo sento. La tua Aura è più increspata del solito».
Goku gli raccontò tutto e, per prima cosa, gli chiese di Gohan. Sapeva che quei due fossero molto amici, legati, e avessero un rapporto molto particolare. Non lo aveva mai realizzato davvero, ma in quel momento se ne accorse. Piccolo era stato un padre per Gohan più di quanto non lo fosse stato lui e, a quella consapevolezza, un moto di gelosia si insinuò tra le sue ossa.
Ma poteva davvero biasimare Gohan? E avrebbe mai potuto biasimare Goten, se preferiva passare del tempo alla Capsule Corporation con Trunks?
Probabilmente anche Goten vedeva più Vegeta come una figura paterna rispetto a lui. In fin dei conti l'aveva anche un poco cresciuto, mentre si trovava nell'Aldilà.
Il pensiero di Vegeta riportò Goku all'esatto punto di partenza - e motivo per il quale era giunto fin lì.
«Piccolo, non riesco a capirlo» si lamentò, dopo avergli spiegato per filo e per segno cosa fosse successo e cosa avesse appreso in quei giorni. «Non mi vuole neanche vedere!»
Questi storse le labbra. «La cosa ti sorprende così tanto?»
«Sì, diamine!» sbottò Goku. Aveva litigato spesso e più volte con Chichi riguardo ai suoi allenamenti e assenze. Per nessun altro era mai stato un problema, ma capiva i suoi figli e le motivazioni che avevano per essere arrabbiati. Ma Vegeta? «Cioè... cosa... cosa gli è cambiato? Anche lui se ne è andato spesso via per allenarsi».
Piccolo sbuffò dalle narici.
«Ragiona, Goku, dannazione» lo esortò. «Mettiamola così: ripensa a ciò che è successo tre anni fa prima che te ne andassi».
Goku si pizzicò il mento per pensare.
«Uhm, c'è stato il Torneo del Potere. Poi è arrivato Freezer ad attaccarci con Broly, l'abbiamo combattuto e l'abbiamo battuto insieme, prima che Cheelai lo spedisse su Vampa. Sono andato a portargli dei viveri, Broly ha accettato di allenarsi con me quindi un giorno ho salutato tutti e sono partito per Vampa» ripercorse con la mente ciò che era accaduto dopo il Torneo. «Beh, poi ci sono rimasto un po' troppo a combattere con Broly, ok...»
«Perché Broly è più forte di Vegeta» puntualizzò Piccolo, a braccia conserte.
«Ma certo! Broly quando si arrabbia è più forte di tutti noi messi assieme, non solo di Ve... oh».
Goku si strozzò con le sue stesse parole.
«Mh» grugnì Piccolo, poi annuì con il capo di fronte alla faccia da epifania di Goku.
«Ah...» esalò quest'ultimo, e una frase gli rimbombò facendo eco nella sua zucca vuota.
I tuoi occhi stanno già vagando verso nuovi orizzonti, lo sapevo”.
Glielo aveva detto Vegeta poco prima che arrivasse Broly, mentre parlava di numerosi nemici da battere che avevano conosciuto durante il Torneo del Potere.
«Hai capito?» domandò Piccolo.
Goku aprì la bocca come per rispondere, ma ne uscì solo un verso strozzato. Eppure sapeva quanto Vegeta fosse un combattente fiero e orgoglioso! Non gli era mai passato per la testa che potesse essersi sentito messo da parte.
«... sono un'idiota» esalò infine Goku.
«Sì» convenne Piccolo, senza nascondere una certa ovvietà. «Tu e Vegeta stavate crescendo insieme. C'è stato un momento, quando vi ho insegnato la Fusione, in cui ho pensato che foste sullo stesso livello. Non vi avevo mai visti così complici nella lotta».
Goku si portò entrambe le mani nei capelli.
«Vegeta mi odia! Lui ha pensato che... che non lo considerassi un degno avversario. Che l'abbia rimpiazzato!»
E non era forse ciò che aveva fatto? Avevano sempre pensato che fossero rimasti gli ultimi della loro specie. Per quanto lo nascondessero, il rapporto tra loro era sempre stato qualcosa di unico, esclusivo, basato sulla rivalità, sull'amicizia, ma anche sulla fratellanza di sangue.
Goku aveva sempre pensato che – nonostante egli fosse pungente nei suoi riguardi – nessun altro potesse comprenderlo meglio che Vegeta.
Poi era arrivato Broly, un combattente così forte da non poter neanche immaginare il suo limite. Un Saiyan, come loro. E Goku non si era fatto scrupoli a prendere e partire per allenarsi con lui, solo per pura curiosità.
Quindi lo capì. Capì esattamente come poteva essersi sentito Vegeta. Sapeva quanto ci tenesse alla lotta, sapeva quanto fosse orgoglioso, quanto il suo obiettivo fosse quello di stare al passo con lui, superarlo. Eppure non ci aveva pensato, non aveva pensato. Come al solito.
«Bentornato sulla Terra, Goku» disse infine Piccolo, lasciandolo solo con i propri pensieri.
Non dormì tutta la notte, di nuovo.

 



A dirla tutta, il motivo per cui non aveva chiesto a Vegeta di unirsi a lui era che, da quando era nata Bra, le priorità del Principe erano cambiate. Era stato certo che non volesse unirsi a loro, esattamente com'era stato riluttante a combattere al Torneo del Potere.
Goku, nel vedere che Vegeta non si fosse allenato con la stessa assiduità dopo la nascita della secondogenita, si era spesso sentito... di troppo? Avrebbe voluto lottare con lui tutti i giorni, mentre era chiaro che Sua Maestà avesse ben altri intenti. Non aveva mai potuto fargliene davvero una colpa e di certo non era sua intenzione obbligarlo, quindi aveva scelto di partire senza dirgli nulla.
Era triste sapere che tutto ciò avesse comportato un enorme dispiacere e un calcio nell'orgoglio di Vegeta, ma era senza dubbio un grosso malinteso!
Goku lo stimava come poche altre persone al mondo, e di certo lo stimava molto più che Broly – che era un combattente straordinario e un guerriero di buon cuore ma, beh, non era Vegeta.
Non c'era paragone anche se, a tutti gli effetti, il suo comportamento non era stato il modo migliore per dimostrarlo.
Proprio per quel motivo Goku decise di non arrendersi, di voler fare capire a Vegeta che non lo considerasse affatto inferiore a Broly. E avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per dimostrarglielo.
Un vero peccato che, quando il mattino successivo si presentò di fronte alla nuova dimora del Principe, questi non si degnò di aprire la porta. Fu solo per rispetto che Goku non utilizzò la tecnica del Teletrasporto ma, al contrario, si servì del videocitofono per poter comunicare.
Al quinto tentativo Vegeta rispose.
«Te lo giuro sulle ceneri di Vegeta-Sei: ti faccio del male».
«Vegeta, dobbiamo parlare».
«Ah, davvero? Perché a me sembra di averti detto più volte che non ho nulla da dirti».
Goku alzò gli occhi al cielo, poi si ricordò che il Principe avrebbe potuto vederlo tramite la telecamera e si ricompose.
«Per favore, ho capito dove ho sbagliato, io non volevo. Non pensavo che-»
La porta si aprì di scatto, e Vegeta ne emerse più furibondo che mai.
«Di' un'altra parola e ti ammazzo».
«Ma-» provò a dire, senza seguire l'avvertimento.
«Kakaroth. Non mi interessa ciò che hai da dire, non mi interessa quello che vuoi e non mi interessa nulla di te. Quindi levati dalle palle una volta per tutte e dimenticati della mia esistenza, esattamente come io mi sono dimenticato della tua».
All'ennesima porta sbattuta in faccia, Goku avrebbe dovuto anche abituarsi alla sensazione di disagio, dispiacere, dolore. E invece quella fece ancora più male.
Non era stata sua intenzione dimenticarsi di Vegeta, così come non avrebbe voluto sapere che Vegeta si fosse dimenticato di lui.
Era tutto inutile, ed era come combattere contro un nemico che al posto di affrontarti gioca solo di difesa. Non era da Vegeta, lui era uno che attaccava, che non fuggiva, ma forse tornare lì e far leva su quel paragone l'avrebbe solo fatto imbestialire di più.
Non che ne avesse paura, anzi, forse suscitare una reazione era proprio ciò che voleva: magari avrebbe tentato di ucciderlo e si sarebbero ritrovati a combattere.
Ma per quel giorno decise di non insistere. Non aveva voglia, e proprio non riusciva a vedere una via d'uscita.
C'era un'altra persona, però, con la quale sapeva di poter parlare liberamente e che gli avrebbe dato dei consigli preziosi, che lo avrebbe ascoltato, che lo avrebbe sostenuto.

 



«Crilin... cosa devo fare?»
Goku si prese la testa tra le mani e poggiò i gomiti sul tavolino in metallo di quella caffetteria in centro a Satan City. Aveva sperato che una buona cioccolata calda con la panna avrebbe potuto aprirgli la mente, invece era servita solo a chiudergli di più lo stomaco.
Crilin, che si era limitato ad ascoltare con interesse i fatti fino a quel momento, lo guardò e sorrise sghembo, poi prese un'altra sorsata del suo Irish Coffee.
«A quanto pare non conoscevi abbastanza bene Vegeta».
Goku corrugò la fronte. Impossibile! Lui e Vegeta si conoscevano come le proprie tasche, dopo il periodo del Torneo del Potere.
Certo, non si sarebbe mai immaginato che potesse prendersela così tanto, ma effettivamente il suo orgoglio gli era ben noto.
«Ma come ha potuto pensare una cosa del genere? Che io lo abbia sostituito?»
«Beh, sembrava proprio che l'avessi fatto. Se fossi morto non avrebbe reagito in quel modo, ma in questo caso sembra che tu abbia proprio scelto un altro combattente al posto suo».
«Non è così. Cioè... può sembrarlo, ma non è così, te l'ho detto!»
«Sì, io posso capirlo, ma ben sappiamo quanto può essere duro l'orgoglio di Vegeta. E lui era il tuo rivale» commentò Crilin.
«Ma era anche mio amico».
Ammetterlo ad alta voce per lui non era mai stato un problema. Vegeta avrebbe senz'altro detto “io non ho amici, e se avessi degli amici non sarebbero degli imbecilli come te”. Ma in realtà lo sapevano bene entrambi quanto fossero legati.
«Se fosse stato solo un tuo semplice amico - come lo sono io - gli sarebbe già passata. Voi due avevate un rapporto particolare, molto più intenso. E la vostra rivalità è storica! Come hai fatto a non pensare che le tue azioni non potessero avere conseguenze su tutto ciò?»
Goku si accigliò di nuovo e sospirò.
«Probabilmente allo stesso modo in cui non ho pensato che il mio allontanamento potesse far male a Chichi e ai ragazzi».
«A proposito... con Chichi ti sei già arreso e con Vegeta no, te ne rendi conto?» ridacchiò Crilin, gioviale, nel tentativo di riportargli un sorriso con una semplice battuta. «Sembra quasi che te ne importi di più di lui che della tua ex moglie».

Per Goku però, nonostante la dolcissima cucchiaiata di cioccolata con la panna, fu come ingoiare un boccone amaro. Un boccone amaro molto, molto grosso andato di traverso.
In effetti erano trascorsi dieci giorni dal suo ritorno. Quante volte si era ritrovato a pensare a Chichi e fare qualcosa per rimettere in piedi il loro matrimonio?
Zero.


«Vegeta... hai mai pensato a cosa sarebbe successo, se quel giorno non avessi deciso di risparmiarti la vita?»
Vegeta si voltò di scatto, incredulo. Goku era steso supino con una spiga in bocca, e contemplava il tramonto con aria assorta. Il campo di grano intorno a loro sembrava respirare insieme al vento.

«Come ti vengono in mente certe cose, Kakaroth? Sono passati più di dieci anni».
Goku fece spallucce.
«Così, pensavo solo che le nostre vite sarebbero state diverse».
«Dici? Non saprei, a quest'ora sarei tra le fiamme di Darbula, invece sono qui con te che mi fai domande idiote. Comunque un Inferno, insomma».
Goku rise e gli lanciò la spiga di grano, fingendosi oltraggiato. «Ma Vegeta!»
«Dico sul serio! Mai conosciuto nessuno di così petulante» ghignò lui e, dopo aver strappato altre spighe di campo, rispose all'affronto con svogliatezza.
«Intanto sei qui ad ascoltare questo petulante, quando potresti andartene».
«Una volta tanto hai ragione». Vegeta si alzò e si stiracchiò i muscoli doloranti dalla battaglia. «Ci si vede!»
«No, dai, aspetta! Io ho fame, andiamo a mangiare yakisoba?» intervenne Goku, balzando anch'egli in piedi. Vegeta roteò gli occhi e incrociò le braccia, spazientito.
Goku lo sapeva, non avrebbe mai rifiutato una yakisoba. Lo guardò supplichevole e infine, dopo qualche secondo di esitazione, il Principe sbuffò con esasperazione.

«Sarai anche petulante, ma almeno hai delle buone idee».


 


«Papà?»
La voce di Gohan lo destò dai suoi pensieri. Si era distratto.
«Oh, sì, scusa figliolo. Stavi dicendo?»
«Quando hai finito passeresti la chiave del sei?» domandò Gohan, facendogli cenno verso la chiave inglese che teneva tra le mani per stringere i bulloni dei due lettini per i nascituri. Lettini in legno chiaro con intagliate delle spighe di grano e dei leprotti saltellanti che l'avevano riportato a grandi balzi in un ricordo di quattro anni prima.
Goku annuì e terminò il proprio lavoro, poi gli lanciò la chiave.
Oramai da una settimana suo figlio l'aveva lentamente reintrodotto a Pan. All'inizio Gohan aveva manifestato qualche riluttanza, convinto che abituare troppo la piccola alla presenza del nonno non le avrebbe giovato, quando se ne sarebbe andato via di nuovo.
Ma Goku aveva insistito, e aveva detto che non era sua intenzione andarsene. Lo si vedeva dalla faccia che Gohan non gli avesse creduto, ma alla fine aveva acconsentito, e non era passato giorno senza che li andasse a trovare.
Pan era stata dapprima diffidente, poi si era convinta. Almeno in quella casa si sforzavano di trattarlo come se fosse il benvenuto. Mentre Goten, ancora, accampava scuse per evitare di incontrarlo. Con Chichi non ci aveva neanche provato. Un po' perché era irremovibile, un po' a causa di ciò che gli aveva fatto notare Crilin quel giorno alla caffetteria. Ci aveva riflettuto e, nonostante tutto, non avvertiva il bisogno di vederla né di chiarire con lei. E ciò lo aveva portato a pensare che anche in passato non fosse diverso, che preferiva di gran lunga passare del tempo con Vegeta a combattere, piuttosto che tornare a casa da sua moglie.
A differenza dell'impegno che ci stava mettendo per rimettere le cose a posto con i suoi amici e i suoi figli, si era reso conto che non sarebbe stato né sano né giusto provare a fare lo stesso con Chichi.
Non ne sentiva la necessità. Non l'aveva mai sentita.
Con Bulma, nonostante l'impegno che ci stesse mettendo, le cose non accennavano però a migliorare. Nonostante lei non disdegnasse le sue visite, queste erano limitate a chiacchiere sterili e prive di significato. Inoltre, ogni volta che si tornava sull'argomento Vegeta, Bulma diventava aggressiva e scostante con lui. Era oramai evidente che lei lo incolpasse per la fine del loro matrimonio.


«Bulma... voglio capire...»
«Che c'è da capire? Che il mio ex marito da quando te ne sei andato ha perso qualsiasi stimolo? Esattamente come dieci anni fa, quando sei morto dopo il torneo di Cell. Come se gli importasse solo di te e basta. Ma guai a farglielo notare!»



Goku non riusciva a capacitarsene e si sentiva terribilmente in colpa ogni giorno. Sapeva del periodo di crisi vissuto da Vegeta dopo il Cell Game, che poi l'aveva portato a prendere la decisione di farsi possedere da Babidi. Era a conoscenza delle sue fragilità e debolezze emotive, ma non aveva mai pensato che quell'allontanamento fosse ricollegabile alla sua perdita di stimoli. Nel caso della sua morte ciò era attribuibile al fatto che, a quel tempo, Vegeta bramava di raggiungere il suo livello combattivo più di qualsiasi altra cosa. Ma tre anni prima erano sullo stesso livello di forza, si allenavano insieme a miglioravano insieme da pari a pari.
Non riusciva a capacitarsi come Vegeta si fosse lasciato andare in quel modo, cosa fosse scattato nella sua mente per lasciar perdere persino Bulma e fare fallire il loro matrimonio. Dubitava di poter essere davvero la causa di quella separazione; con tutta probabilità era una fatale coincidenza e Bulma aveva bisogno di attribuire la colpa a qualcuno.
Eppure tutto ciò che gli importava in quel momento era chiarire con Vegeta, a prescindere da tutto il resto. Voleva che tutto ritornasse come prima e che potessero tornare a essere amici, rivali, guerrieri. Che tornassero a migliorarsi insieme, ad allenarsi e ingozzarsi di yakisoba.
Lo voleva indietro. Voleva indietro Vegeta.



 
Continua...

Riferimenti:
-La questione della luna piena e dell'aumento del desiderio di combattere è di mia invenzione, così come quella delle code.
-"I tuoi occhi stanno vagando verso nuovi orizzonti, lo sapevo" è una frase che Vegeta dice davvero a Goku, nel film DBS Broly. Prima di dargli del deficiente xD

ANGOLO DI EEVAA:
Buonasera, gente!
Scusate il ritardo, sono appena rientrata dal Milano Comics :) qualcuno di voi era presente? La mia cara Sweetlove a parte, s'intende (mi manchi già T___T).
Tornando a noi... Goku sta piano piano prendendo sempre più consapevolezza dei come e dei perché - non proprio tutti i perché, però. Alcune cose verranno a galla più avanti. Però c'è da dire che questa volta si sta impegnando davvero, no? Qualcuno noterà i suoi sforzi?
Oh, niente da fare, già nel 2020 non riuscivo a scrivere una storia senza far riferimento a Radish *-* mannaggia a lui!
Grazie di cuore a chi mi sta seguendo, anche silenziosamente! Un abbraccio,

Eevaa



 
Nel prossimo capitolo!
«Non mi schiodo di qua» disse Goku.
Per un momento una vena pulsò sulla tempia di Vegeta e, Goku ne era sicuro, era a tanto così da trasformarsi in Super Saiyan e dare via a un epico scontro. Tuttavia il Principe non gli diede quella soddisfazione e agì con ciò che sapeva avrebbe fatto più male: l'indifferenza.
«Bene» rispose Vegeta, con tanto di spallucce. «Puoi anche rimanere lì tutto il fottuto giorno».
Prese la giacca di pelle dall'appendiabiti e, dopo essersela infilata con estrema calma, uscì di casa e si sbatté la porta alle spalle.
Era diventata una guerra.


 

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Capitolo 4
*** Il teatro, Biancaneve e il Principe Azzurro ***


Disclaimer:
Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte dell'universo di Dragon Ball sono di proprietà di Akira Toriyama© e Toei Animation©.
Non concedo, in nessuna circostanza, l'autorizzazione a ripubblicare questa storia altrove, anche se creditata e anche con link all'originale.
I diritti delle immagini non mi appartengono.
 
 
 


- SOMETHING HUMAN -


Capitolo 4
Il teatro, Biancaneve e il Principe Azzurro
 


 
Aveva impiegato un'altra lunga settimana di riflessioni per prendere la decisione di recarsi di nuovo a casa di Vegeta. Come fare? Come convincerlo a farsi ascoltare? Ogni scenario raffigurato nella propria mente prevedeva solo rifiuti di ogni genere e pessimi epiteti rivolti alla propria persona.
Quindi Goku decise che si sarebbe lasciato andare all'improvvisazione.
Sapeva che non avrebbe trovato riscontro al citofono: Sua Maestà aveva la testa più dura della statuetta del drago di marmo che gli aveva lanciato addosso, quando se l'era visto atterrare sul bancone della cucina, quella fredda mattina di novembre.
«Ti avevo detto di sparire! Sparire, Kakaroth. Conosci il significato di questa parola?» urlò, paonazzo.
«Sono sparito per due settimane, adesso però ho bisogno di parlarti».
«Indovina un po' chi se ne infischierà di quello di cui tu hai bisogno!»
«No, adesso mi ascolti!» insistette Goku. Si avvicinò a grandi passi a Vegeta, il quale sembrò per un attimo tentato di mettergli le mani al collo e porre fine alle sue sofferenze.
«Come osi darmi degli ordi-»
«SONO UN IDIOTA!» urlò, e Vegeta tacque, probabilmente concorde. «Sono un idiota, hai ragione tu. Sono sempre stato un idiota e mi dispiace, non avrei mai voluto che andasse in questo modo. Vorrei avere almeno la possibilità di spiegarti che non ti ho voluto sostituire. Non sei sostituibile» sussurrò infine, abbassando il capo.
Eppure il Principe non sembrò scomporsi. Si limitò a fissarlo per parecchi secondi senza manifestare alcuna emozione poi, infine, sogghignò con strafottenza. Cosa che mandò Goku fuori dai gangheri.
«Grazie dell'informazione. Ora puoi andartene? Ho da fare».
Goku strinse i pugni dalla rabbia. A Vegeta sembrava aver fatto né caldo né freddo ciò che gli aveva detto, e non gli stava dando modo di approfondire, di spiegarsi. Non che si aspettasse molto di diverso, ma non poteva arrendersi! Sua Maestà aveva la testa dura? Lui ce l'avrebbe avuta più dura!
Si allontanò da Vegeta e si sedette sul tavolo bianco della cucina a braccia conserte, con strafottenza. A costo di farsi picchiare molto forte.
«Non mi schiodo di qua».
Per un momento una vena pulsò sulla tempia di Vegeta e, Goku ne era sicuro, era a tanto così da trasformarsi in Super Saiyan e dare via a un epico scontro.
Tuttavia il Principe non gli diede quella soddisfazione e agì con ciò che sapeva avrebbe fatto più male: l'indifferenza.
«Bene» rispose Vegeta, con tanto di spallucce. «Puoi anche rimanere lì tutto il fottuto giorno». Prese la giacca di pelle dall'appendiabiti e, dopo essersela infilata con estrema calma, uscì di casa e si sbatté la porta alle spalle.
Era diventata una guerra.


 


Quando Vegeta rincasò in tarda serata – con la sola probabile intenzione di distendere le sue stanche membra su un materasso king size – si accorse dell'evidente poco gradita presenza appollaiata sul davanzale della finestra.
Goku lo aveva aspettato tutto il santo giorno senza muoversi di lì. Aveva persino depredato la dispensa delle scorte di ramen in scatola, si era fatto un bel giretto nella piccola casa, aveva guardato due film sulla televisione a settanta pollici del salotto e, non contento, si era anche stappato una birra.
Il disappunto negli occhi di Vegeta fu talmente evidente che ogni tentativo di risultare indifferente fu vano, agli occhi di Goku. Sperò davvero, davvero tanto che si decidesse ad appenderlo al muro e usarlo come sacco da boxe, ma Sua Maestà sembrò ricomporsi.
Si diresse verso il frigorifero ignorando lo sgradito ospite e si stappò anch'egli una birra, poi migrò in soggiorno e accese la televisione su una partita di baseball.
Vegeta odiava il baseball. Goku lo ricordava bene: come dimenticare la partita con Beerus e Champa! Ma, pur di non notare l'elefante rosa nella stanza, Vegeta avrebbe finto di guardare volentieri anche una soap opera per casalinghi disperati.
Quell'indifferenza giunse a livelli così esasperanti per Goku che, dopo quindici minuti trascorsi senza dire né fare niente, decise di piazzarsi davanti alla televisione, seduto sul mobile del soggiorno. Giusto per impedirgli la visuale e fare in modo che fosse impossibile non far caso a lui.
Ma Vegeta si alzò, ordinò una pizza e lesse le notizie della giornata dal tablet.
Era una gara a chi cedeva per primo, quello oramai era ovvio. Goku non aspettava altro che Sua Maestà esplodesse, ma la detonazione non avvenne.
Dopo aver ciondolato da una parte all'altra della casa in attesa che il Principe dicesse qualcosa, Goku stava oramai per perdere le speranze quando nemmeno sedersi sul comodino in camera sortì gli effetti desiderati. Vegeta si infilò a letto e spense la luce. Trascorsero cinque, dieci, venti minuti. Goku ebbe quasi il timore che si fosse addormentato, ma poi qualcosa accadde, qualcosa di molto inaspettato.

Il Principe si alzò lentamente, accese di nuovo la luce e gli si piazzò davanti a braccia conserte per qualche secondo, poi parlò.
«Non so se lo hai notato, ma sono amante dell'arredamento minimal».
Goku sollevò un sopracciglio, confuso più di prima.
«Eh?»
«Un elegante modo per dirti che non ti voglio qui come inutile, pacchiano e orribile soprammobile. Ma, quasi dimenticavo, hai anche le capacità riflessive di un soprammobile!»
Goku alzò gli occhi al cielo. «Finito con il teatrino del sarcasmo?»
Finalmente qualcosa scattò. Ci erano volute tre ore.
Neanche il tempo di concludere la frase, Vegeta si aggrappò al bavero della sua tuta con un movimento brusco e gli occhi dardeggianti di rabbia.
«Senti un po', imbecille. Sei in casa mia, e questo presuppone che io faccia tutti i teatrini che mi pare e piace. Nessuno ti ha chiesto di startene qui, non sei il benvenuto. Anzi, quasi quasi chiamo la disinfestazione, perché un insetto così fastidioso e grosso non l'avevo mai trovato, qui dentro. E sì: questo è un altro teatrino. Non ti piace lo spettacolo? Vattene via a fare in culo da qualche altra parte, tanto ci siamo tutti abituati. E sai cosa? È stato persino bello non averti tra le palle per tre anni! Niente “urca!” niente “Vegeta, ho fame” niente “io il Ki ce l'ho più grosso” o qualche altra infinita serie di blablabla irritanti. Quella è la porta d'uscita del teatro, cocco. Sayonara».
Urlò tutto ciò con un unica, profonda presa di fiato, poi si staccò dal bavero giusto quel poco per dargli la possibilità di levarsi dalle palle.
Goku sospirò di fronte a cotanta furia cieca, ma ringraziò il cielo che finalmente avesse suscitato in lui una reazione. E che reazione!
«Hai sicuramente del talento...» commentò Goku, di fronte al monologo di cinismo appena spiattellatogli in faccia.
«Ho solo una grande fonte d'ispirazione».
Accadde solo per una frazione di secondo, ma Goku poté giurare che un sorrisetto compiaciuto increspò le labbra di Vegeta. Nonostante quell'aspro discorso, da qualche parte c'era qualcosa di positivo. Preferiva di gran lunga il Vegeta che lo insultava per le proprie inadempienze, che il Vegeta muto e indecifrabile. Era un punto di partenza. Perché quelle parole che gli intimavano di andarsene, celavano solo un: “ora puoi provare a giustificarti, razza di cretino”.
Goku sapeva che finalmente lo avrebbe ascoltato.

«Vegeta, mi dispiace tanto. Hai ragione, avete ragione tutti: mi sono comportato come un imbecille. Sono un imbecille, e mi ci è voluto tutto questo per poterlo capire. Non ho pensato, non ho riflettuto e – prima che tu possa dire che non ho un cervello per farlo – ti correggo: ce l'ho eccome, non sono stupido. Sono un deficiente. Un completo, gigantesco e inutile deficiente. Ma c'è una cosa che ti voglio dire: non è passato giorno, su Vampa, in cui non mi sia domandato cosa tu stessi facendo, o quanto stessi migliorando. Sono andato ad allenarmi da solo con Broly per tanti motivi, e uno di questi era che sapevo che tu avessi davvero tanto, tanto da fare qui. Come padre sei sempre stato migliore di me, e non avresti mai trascurato la tua famiglia per andartene a zonzo per la galassia. Ma non ho mai pensato che lui potesse essere una tua sostituzione, un nuovo rivale». Vegeta fece per aprire la bocca e controbattere, ma Goku fu più veloce a continuare. «Fermo: non dirmi che non hai bisogno della mia pietà o chissà cos'altro ti sta passando per la testa. Non è pietà, non è pena. Sto solo cercando di essere sincero e di riflettere di più su tutto ciò che ho fatto. Te lo giuro, e anche se quello che sto per dirti ti farà incazzare ancora di più: i tuoi teatrini mi erano mancati».
Era riuscito a dirgli tutto, tutto ciò su cui aveva riflettuto negli ultimi giorni. Vegeta lo aveva ascoltato in silenzio, con le braccia conserte e uno sguardo meno glaciale di quello che gli aveva riservato da quando era tornato.
Si fissarono a lungo, alla sola luce flebile di cortesia di quella camera.
«Quindi, quando vorrai, se puoi perdonarmi... mi farebbe davvero piacere sfidarmi ancora con te» concluse Goku, stretto nelle proprie spalle.
Vegeta scosse la testa e sospirò.
«Non ti vuoi proprio arrendere, eh...»
«Non l'ho mai fatto. Sono un Saiyan». E, portandosi due dita in fronte, si teletrasportò dal Genio, lasciandosi alle spalle la casa di Vegeta.
Aveva vinto la battaglia.


 


Quella fu a tutti gli effetti la prima nottata tranquilla a due settimane dal suo ritorno. Pochi sogni, alcuni stupidi: Mr.Satan che inventa un'armatura in titanio e oro e qualche accessorio cibernetico per poter sconfiggere i nemici, le Sette Sfere radunate su un enorme guanto, Lord Beerus che lo mette, schiocca le dita e dimezza gli universi da dodici a sei... cose strane, che proprio non sapeva da dove le avesse tirate fuori.
Ma, oltre a ciò, un sonno piuttosto riposante e sereno. Il suo tatami così morbido e avvolgente, il profumo di caffè proveniente dalla cucina del Genio. A Goku non piaceva il caffè - troppo amaro! - ma l'odore era buono. Sapeva di casa, sapeva di ricordi, di memorie piacevoli. Qualcosa di conosciuto.
Goku si rigirò nel tatami con il sorriso tra le labbra, più che intento a rimanerci dentro ancora per qualche minuto a crogiolarsi in quella sensazione di calore e beatitudine.
Udì in lontananza qualche borbottio del Genio, dei passi per le scale e poi la porta scorrevole si aprì bruscamente tanto quanto le tapparelle poco dopo. Un fascio di luce lo colpì in un occhio, fastidioso quanto una sberla. Goku, ancora nel dormiveglia, si portò una mano sul volto e grugnì di disappunto.
«Forza, alzati. Sei disgustoso, ma guardati: le nove del mattino e sei ancora qui come un lombrico».
Goku si alzò di scatto a sedere, esterrefatto. Come aveva fatto a non accorgersi che lui fosse giunto lì? Forse era ancora troppo rimbecillito dal sonno.
«V-Vegeta... ma che...?!» bofonchiò, con la bava alla bocca e i capelli ancor più alla rinfusa del solito.
Sua Maestà si avvicinò a braccia conserte con un'espressione deliziosamente crudele in volto.
«Volevi combattere? Combattiamo. Oh, di' una preghierina, prima, perché questa volta potrei non risparmiarmi da un eventuale - ma assolutamente accidentale, sì - omicidio. In piedi!» berciò.
Goku non poté credere alle proprie orecchie. Non avrebbe dovuto stupirsi che Vegeta avesse accettato l'invito a combattere così nell'immediato. Del resto Sua Maestà una volta acceso era così: impulsivo, fisico.
«Stai aspettando che ti mandi una lettera di invito?!»
«No, no! Arrivo, arrivo!» si alzò con un balzo e si infilò il Gi arancione di tutta fretta, talmente concitato da infilarsi la maglietta al contrario. «Urcaaa, non proprio un dolce risveglio, eh?»
«Buongiorno, Biancanave. Che diavolo ti aspettavi, l'arrivo del Principe Azzurro?» ringhiò Vegeta, esasperato.
«Sarebbe Biancaneve».
«Lo aggiungo alla lista delle cose di cui non me ne frega niente. DATTI UNA MOSSA, IMBECILLE!»
Goku ci impiegò meno di cinque minuti a vestirsi, darsi una sciacquata e mettersi in bocca una mela e un paio di pancakes - minuti in cui Vegeta lo minacciò di attentare alla sua vita almeno dieci volte. Nonostante ciò si sentiva talmente estasiato da non riuscire a trattenere il sorriso sulle labbra. Di certo non era il Principe Azzurro, ma pur sempre di un Principe si trattava.


Quando insieme volarono verso lontani orizzonti, il Genio delle Tartarughe li osservò sparire tra le nuvole.
«Finalmente, dopo due settimane, gli è tornato il sorriso di un tempo» ridacchiò, con gli occhiali rossi appena calati sul naso adunco.


 


Ironia della sorte, l'istinto li aveva guidati ancora una volte al Deserto dell'Est che era stato spettatore del loro primissimo incontro. E anche di molti altri allenamenti a venire, certo, ma l'aria che si respirava in quel momento era pressoché conciliabile a quella antica rivalità, a quello scontro lontano nel tempo a quando ancora erano nemici.
Vegeta, appostato su una delle rocce più alte del deserto, fissava Goku con l'aria dura di chi avrebbe solo voluto sbarazzarsi di un peso e porre fine a un supplizio. Il silenzio tagliato in due solo dal vento, la sabbia rossa che si sollevava in sbuffi leggeri.
Si squadrarono a lungo, poi qualcosa scattò nella mente di Vegeta. Lo attaccò per primo, quasi inaspettato, veloce e scaltro come una tigre.
Goku rispose a quell'attacco a mani unite, parò il calcio di Sua Maestà e saettò lontano. Vegeta gli stette alle calcagna con un volo elicoidale, sfere di energia lanciate dalle mani guantate di bianco.
Nessuna andò a segno, ma Goku faticò a schivare. Con una piroetta deviò direzione e lo fronteggiò, si scontrarono a mezz'aria a mani unite e denti digrignati.
La trasformazione in Super Saiyan fu istintiva, una reazione a catena. Vegeta, con occhi verde acqua iniettati di rabbia, gli tirò una testata proprio in mezzo alla fronte. Il sangue dal naso fu inevitabile, ma Goku non si sarebbe lasciato scalfire troppo facilmente: emanò Aura e scintille da tutti i pori e si trasformò ulteriormente. L'Aura blu fu come una scossa elettrica per Vegeta, il quale rimase folgorato e si ritrovò costretto a indietreggiare.
Lo imitò con un borbottio e, con la nessunissima intenzione di rimanere indietro, lo attaccò con un colpo ardente.
Per Goku fu complesso contrastarlo con la Kamehameha, soprattutto quando gli occhi di Vegeta si tinsero di un blu più scuro e tetro, e un bagliore dorato lo circondò.
Quanta fretta, pensò Goku. Evidente che Sua Maestà volesse dare sfoggio del suo immenso potere. Lo raggiunse amplificando la propria potenza con il Kaioken, e insieme si ritrovarono in un corpo a corpo arduo e quasi invisibile a occhio umano.
Si tenevano testa, si intercettavano, aumentavano l'Aura. Una strana sensazione si fece strada nel petto di Goku. Soddisfazione? Era da tempo che non provava tanta eccitazione per un combattimento. Broly era forte, ma talvolta il suo potere era fin troppo lasciato al caso. Vegeta invece era calcolatore, ogni mossa studiata, ogni colpo assestato con un chiaro e preciso intento.
Goku sorrise, ma fu una distrazione che gli costò cara: un calcio in mezzo allo sterno lo fece boccheggiare.
«Tutto qui?» ghignò Vegeta, sadico e beffardo. «Cosa avete fatto tu e Broccolo su Vampa? Giocato a carte?»
Goku indietreggiò per un secondo, poi contrattaccò con un gancio repentino sulla mascella del Principe, il quale sputò sangue al terreno.
«Il solito gradasso» lo sbeffeggiò, ma Vegeta non perse troppo tempo a mettergli le mani al collo per contrastarlo.
«Il solito deficiente».
Con una ginocchiata ben assestata alla bocca dello stomaco e se lo levò di torno, poi ripresero ad attaccarsi da lontano e aumentare l'Aura.


Non passò molto tempo prima che preoccupati spettatori arrivassero nel deserto, attirati dall'Aura incandescente dei due Saiyan. Soprattutto Crilin e Junior - i quali ben sapevano della precaria situazione relazionale tra Vegeta e Goku – sembravano parecchio allarmati nel vederli combattere in modo così animato. Presto vennero raggiunti anche da Gohan, Goten e Trunks.
I due Saiyan non diedero cenno di fermarsi e continuarono a lottare come se nulla fosse, senza degnare i nuovi arrivati neanche di uno sguardo.
«Non capisco se è un amichevole o una lotta vera» disse Gohan, in evidente stato di apprensione. Gli attacchi erano sempre più potenti, più spietati. Non erano mancate le occasioni di assistere agli allenamenti di Goku e Vegeta, in passato, ma c'era qualcosa di diverso rispetto ad allora.
«Non lo so, ma è portentoso» si stupì Goten a bocca aperta, faticando persino a stare dietro ai movimenti repentini della lotta.


Vegeta sembrava non aver alcuna intenzione di lasciarlo respirare. Lo attaccava forte, diretto ai punti vitali, rabbioso, cieco. Una furia quasi incontenibile.
Era da troppo tempo che Goku non lo vedeva in quello stato e, se in principio la cosa lo aveva stupito e aveva acceso curiosità e voglia di combattere, in quel momento sembrava solo che gli attacchi di Sua Maestà fossero volti a fargli del male e nient'altro. Non ad allenarsi, non a confrontarsi. Solo furia e distruzione.
Era una vera fatica sostenerlo e stargli dietro.
«Se ti stai trattenendo, Kakaroth, sappi che ti faccio ingoiare i denti» ringhiò Vegeta, dopo averlo fatto precipitare contro un sasso appuntito.
Goku grugnì di dolore, la schiena ardeva e percepiva le costole in frantumi. Col cavolo che si stava trattenendo! Ad aver saputo un po' prima che le intenzioni di Vegeta erano quelle di giocare così tanto duro, si sarebbe ingegnato di più nella gestione della forza. In quel momento era talmente stanco e distrutto che faticava persino a parare gli attacchi.
Tuttavia, se una volta Vegeta giunto a quel punto gli avrebbe dato tregua, in quel momento non sembrava avere alcuna intenzione di smettere. Lo sormontò e iniziò a prenderlo a pugni in faccia.
«Che c'è, ti arrendi? TI ARRENDI?!» gridò. Il rumore di ossa rotte risuonò per tutto il deserto, e Goku non riuscì nemmeno a gridare.
Pugno. Pugno. Pugno. Un altro pugno. Tutti sul volto, tutti che gli fecero sputare sangue e imprecazioni.
Non riusciva neanche a respirare per l'incredulità. Gli occhi di Vegeta erano iniettati di sangue, rabbiosi, ciechi. E oramai era fin troppo chiaro che l'intento non fosse quello di combattere, quello di confrontarsi.
A quella consapevolezza Goku si irrigidì ancor di più ma, prima ancora che potesse far ricorso alle ultime energie e almeno toglierselo di dosso, avvertì Aure accendersi tutto intorno. E poi la voce di Trunks.
«Papà! Papà, fermati!»
Vegeta sganciò un altro pugno a Goku, poi ancora, poi ancora.
«BASTA, FRENA, FRENA!» urlò di nuovo Trunks e poi, con l'aiuto di Gohan e Goten, presero il Principe per le braccia e lo allontanarono con la forza.
E se Vegeta in un primo momento oppose una certa resistenza, dopo pochi secondi riuscì a calmarsi e comprendere cosa diavolo stesse succedendo.
Goku, sdraiato a terra con il volto coperto di sangue, lo fissò con occhi interrogativi. E se i loro figli non l'avessero fermato? Cosa diavolo sarebbe successo, lì?
Il volto di Vegeta fu scosso da un tremito, poi da un lampo di orrore. Guardò Goku e impallidì come un cencio poi, senza dire una parola, saettò nel cielo e scomparve tra le nuvole.
Goku cacciò la testa indietro e respirò con affanno, il sapore ferroso del sangue in bocca e la sensazione di essere trafitto da migliaia di lame.
Una vera fortuna che Piccolo fosse in possesso di un Senzu. Glielo cacciò in gola senza troppi complimenti e Goku masticò. Lentamente le lame si affievolirono le ferite si rimarginarono.
«Ma che diavolo gli è preso?!» domandò Trunks, mentre il Senzu stava iniziando a mostrare i suoi effetti.
«Credo che tuo padre dovesse sfogarsi un poco» spiegò Piccolo, lapidario.
«L'ha quasi ucciso!» gracchiò Crilin, accovacciato accanto a Goku con evidente apprensione.
Goten guardò il cielo nel punto in cui Vegeta era scomparso, serio e preoccupato come poche altre volte Goku l'aveva visto in vita sua.


 


Si riprese in fretta e, nonostante l'evidente stato di trepidezza dei suoi figli, di Crilin e di Trunks, Goku li rassicurò sul fatto che fosse tutto a posto.
Non ne era sicuro neanche lui, in realtà, ma si convinse che quello era stato il modo di Vegeta di sfogare la rabbia e la frustrazione di quei tre anni.
Quella fu però l'occasione di Goku di poter trascorrere un po' di tempo con il suo secondogenito. Pranzarono tutti insieme a casa di Gohan e, sebbene Goten non fosse loquace, fu un vero sollievo per Goku poter avere un confronto.
Era diventato grande e, oltre a somigliargli come una goccia d'acqua, aveva un carattere oramai formato e definito: riflessivo, empatico, forse un poco timido ma molto allegro, soprattutto nelle dinamiche con il suo migliore amico. Erano buffi insieme, come due fratelli. Anzi, più che fratelli.
Trunks per certi versi era l'esatto opposto di suo padre: allegro, entusiasta, estroverso. Goku ci vide tanto di Bulma in lui, e fu un vero piacere stargli intorno. Era sicuro di sé, e quella era una caratteristica ereditata da entrambi i genitori. Ma, se quando era piccolo la somiglianza con Vegeta era a malapena sfumata, Goku non ebbe alcun dubbio che i tratti del volto fossero oramai pressoché identici. Stesso sguardo, stesso fascino tenebroso.
Durante quel piacevole pranzo in famiglia, tuttavia, Goku non riuscì a capire se Goten fosse stato più preoccupato per la sua incolumità o per lo stato d'animo di Vegeta, e quello fece un po' più male del previsto. Ma non poteva biasimarlo: lui stesso percepiva la medesima preoccupazione.
Era convinto che Sua Maestà avesse solo avuto un impeto ingestibile di rabbia e nulla più. Non era certo la prima volta che Vegeta tentava di mandarlo all'Altro Mondo.
L'espressione sconvolta - quasi terrorizzata - l'aveva però turbato. E proprio per quel motivo decise che non avrebbe lasciato correre, che non avrebbe permesso di lasciar cadere la questione.


 


Era già sera inoltrata quando Goku si decise a compiere l'ennesimo passo verso il Principe dei Saiyan. Gli era sembrato giusto dargli un po' di tempo per stare da solo – ben sapeva che presentarsi da lui troppo presto sarebbe equivalso solo a un nuovo “vattene”.
Si premurò persino di non teletrasportarsi e utilizzare le buone maniere ma, prima ancora di poter attaccare l'indice al citofono, il portone della casetta rotonda si spalancò. L'aveva percepito.
Vegeta, in piedi sulla soglia di ingresso, lo fissò con espressione scura. Aveva il volto contratto e una sfumatura traballante nell'Aura.
«Che diavolo vuoi, Kakaroth?»
Goku si esibì in un mezzo sorriso di cortesia.
«Volevo sapere come stavi».
Vegeta alzò un sopracciglio, quasi incredulo. In effetti poteva sembrare una domanda stupida, visto che non era il Principe a essere stato quasi ammazzato, quella mattina.
Non rispose, quindi Goku decise che non fosse il caso di protrarre quella cortesia per le lunghe.
«Non eri in te... a cosa diavolo stavi pensando?» domandò Goku, mostrandosi più apprensivo di quanto avrebbe voluto.
Vegeta deglutì.
«A niente. Alla tua faccia da idiota. Mi fa saltare i nervi» rispose, svogliato, distratto, con lo sguardo proiettato altrove. Sembrava quasi che volesse ostentare un cinismo che in quel momento non gli apparteneva.
Goku sospirò. C'era qualcosa che non andava in lui, qualcosa che non riusciva proprio a decifrare.
«Ho capito... non ne vuoi parlare. Comunque sei davvero forte, sei migliorato tantissimo» tentò di cambiare il discorso, giusto per alleggerire un poco gli animi.
«Mh» grugnì Vegeta. Non c'era traccia di esibizionismo, di orgoglio.
«Possiamo rifarlo... se ti va?» chiese Goku.
«Quale parte? Il combattimento o il tentato omicidio?» rimbeccò Vegeta. Divenne livido in volto subito dopo.
Era senso di colpa, quello che Goku stava leggendo tra le righe?
Non avrebbe voluto metterlo in difficoltà o in imbarazzo. Era già fin troppo una conquista essere riusciti a recuperare il loro rapporto fino a lì. Avevano parlato, avevano combattuto, ed era più di quanto Goku aveva sperato, dopo l'indifferenza manifestata da Vegeta pochi giorni prima.
«Preferirei la prima» disse quindi, con un sorrisetto. «Meglio che vada, ora».
Vegeta abbassò lo sguardo. «Sì» rispose, lapidario.
Goku voltò le spalle e fece per allontanarsi, ma la voce del Principe lo raggiunse prima di poter prendere il volo.
«Kakaroth!»
Si voltò di scattò, sorpreso. «Sì?»
Vegeta lo fissò con le labbra strette come per non fare uscire neanche uno dei propri pensieri, come tormentato dalla voglia di dire qualcosa di troppo scomodo e troppo stupido.
Goku aspettò paziente, ma alla fine questi non disse nulla. Si richiuse la porta di casa alle spalle, e tutto ciò che si udì da fuori fu il rumore di oggetti infranti contro una parete.
Senza dubbio Vegeta aveva qualcosa che non andava.


 
Continua...

Riferimenti:
-"Biancanave": mi sembrava verosimile che Vegeta, non essendo cresciuto sulla Terra, non sia molto ferrato sulle favole terrestri e sui nomi dei protagonisti. 
-Alzi la mano chi ha indovinato da dove arrivi il sogno di Goku delle Sette Sfere nel guanto di Beerus xD
-Niente Ultra Istinto e altre trasformazioni nuove: questa storia non tiene presente di tutto quello che accade nel manga, ma si ferma al film DBS Broly dove Goku dichiara di non essere più riuscito a utilizzare l'Ultra Istinto.

ANGOLO DI EEVAA:
Beh, gente... che dire!
O Vegeta si chiude in se stesso, oppure cerca di uccidere il prossimo. BELLO xD Però beh, almeno hanno avuto un confronto diretto. Direttissimo, direi.
Qui Goku sente che qualcosa sta bollendo in pentola, solo che ancora non sa cosa.
Cosa starà passando nella testa -di cazzo- di Vegeta?
Che ne dite invece di Trunks e Goten? Io qui mi riferisco a loro due come "più che fratelli". Beh... chi ha visto Animali Fantastici sa bene a cosa si riferisce Silente quando dice "più che fratelli" riferito a lui e Grindelwald. LOL. Ma shhht, non è inserita tra le coppie, quindi sta all'immaginazione del lettore capire fin dove arrivi il loro rapporto.
Bando alle ciance, gente... oggi è giorno di elezioni. Posso votare Piccolo for president? xD
Teniamo le dita incrociate, gente. Mi trema già il culo per ciò che succederà. Spero solo di non svegliarmi domattina in un mondo ancora peggiore. Vi prego, andate a votare. Il vostro voto non andrà perso, qualsiasi cosa votiate. Qualsiasi cosa, ma non il fascismo. Siate responsabili <3
Vi abbraccio tutti,
Eevaa



 
Nel prossimo capitolo!
«Perché?! Dimmi perché, Vegeta!» avrebbe voluto risultare brusco, ma ciò che ne uscì fu solo un supplichevole lamento.
«Perché sono cambiate troppe cose». Vegeta, al contrario, risultò del tutto brusco. Si voltò di scatto e lo arpionò con gli occhi neri. «È andato tutto a puttane! Tutta la mia vita è andata a puttane per colpa tua!»

 

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Capitolo 5
*** Le cellule addosso ***


Disclaimer:
Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte dell'universo di Dragon Ball sono di proprietà di Akira Toriyama© e Toei Animation©.
Non concedo, in nessuna circostanza, l'autorizzazione a ripubblicare questa storia altrove, anche se creditata e anche con link all'originale.
I diritti delle immagini non mi appartengono.
 
 
 


- SOMETHING HUMAN -


Capitolo 5
Le cellule addosso
 


Per quieto vivere, Goku si era risparmiato dal voler chiedere a Vegeta una rivincita, almeno per qualche giorno.
Si era dedicato quasi totalmente alla famiglia ed era persino riuscito a convincere Goten e Trunks ad allenarsi insieme a lui. I suoi tentativi di riavvicinarsi a Goten procedevano a rilento, ma aveva imparato che coinvolgere anche Trunks era proficuo. A volte era Trunks stesso a spronare Goten a essere un poco più gentile, più aperto, più flessibile nei confronti di un padre che ce la stava mettendo davvero tutta a recuperare. Goten sembrava fidarsi molto del parere del suo amico e, pertanto, i tentativi di Trunks sortivano un buon effetto.
Negli occhi di Gohan, Goku poteva leggere ancora qualche momento di riluttanza, ma anch'egli stava imparando a fidarsi un poco di più.
Non li avrebbe delusi, quella volta. Non si sarebbe più allontanato così tanto, avrebbe fatto la sua parte e sarebbe stato un padre più presente, più “umano”.
Senza dubbio quella lezione di vita era servita molto a Goku, ed era l'unica nota positiva di tutta quella faccenda. Anche se ci sarebbe voluto duro lavoro per riconquistarsi la fiducia di tutti, anche se non aveva più una casa, anche se non aveva più una moglie. E, a tal proposito, non aveva più neanche tentato di parlare con Chichi, né mai ne aveva avvertito il bisogno. Si era fatto un bell'esame di coscienza, anche aiutato da Crilin.
«Mi sembra chiaro che oramai non l'ami più, amico. L'hai mai amata, almeno?»
Così gli aveva chiesto una sera, dopo una cenetta deliziosa allo Street Food del centro. Goku non aveva saputo rispondere.
Ci aveva riflettuto parecchio e, infine, era giunto alla conclusione che l'avesse amata in un modo poco convenzionale. Le aveva voluto bene, quello era certo, ma era stato più un rapporto affettivo-familiare, forse dettato da una proposta di matrimonio avvenuta troppo presto e senza pensarci. Non sapeva neanche cosa fosse un matrimonio, all'epoca! Ma no: se l'amore era ciò di cui tutti parlavano nei film, forse quello tra lui e Chichi non era stato amore, sebbene fosse stato importante.
Quindi aveva deciso di non provare mai più ad avvicinarsi a lei. Non la desiderava, non voleva illuderla, non voleva che lei soffrisse di nuovo e non voleva ricadere nello stesso errore di prenderla in moglie solo per comodità.
Videl era stata piuttosto intransigente nel fargli capire che una moglie non è brava solo perché lava, cucina, si prende cura dei figli. Goku aveva capito, e si era sentito parecchio tonto per aver considerato Chichi come tale solo per questo.
«E, siccome sei uno di famiglia, in questa casa i compiti si dividono, quindi alza le chiappe dal divano e impara a cucinare».
Gli diceva sua nuora, quando ogni tanto si fermava a casa loro. Gli piaceva stare dal Genio, ma la casa di Mr.Satan era grande e per comodità ogni tanto alloggiava lì.
Quindi aveva imparato a cucinarsi qualcosa, a lavarsi le tute sporche dopo gli allenamenti, a contribuire nelle pulizie ove soggiornava, ad apparecchiare e sparecchiare.
Era noioso, certo, ma aveva imparato che fosse parte della vita di un uomo adulto. E più cresceva da quel punto di vista, più si sentiva stupido per come si era comportato in passato.


 


Trascorsero due settimane quando, un sabato pomeriggio, Goku si convinse che sarebbe stato un buon momento per tornare da Vegeta. Non aveva pensato ad altro per tutti i giorni precedenti, ma gli era parso giusto lasciargli del tempo.
Vegeta l'aveva quasi erroneamente (forse) ammazzato durante l'ultima lotta, e si era parecchio mostrato sconvolto dalla cosa. Ma dopo due settimane le cose erano senz'altro andate a posto, no?
«Combattiamo, Vegeta?» trillò Goku, con un sorriso così largo da deformargli la faccia.
Sua Maestà lo osservò sottecchi, sullo stipite della porta appena aperta con evidente malavoglia.
Restò in silenzio per parecchi secondi, ma il sorriso di Goku non si spense.
«Hai voglia di morire, vedo...» disse infine, con tono esasperato.
Goku ridacchiò entusiasta. «Non mettere in dubbio le mie capacità di difesa. Ok che sei forte, ma non mi fai paura. E al massimo c'è sempre Shenron, no?»
Non fu certo l'esitazione di Vegeta a frenarlo. Almeno fino a che l'esitazione non si manifestò anche sul campo di battaglia.
Combatterono per ore e ore, ma mai Vegeta si esibì in attacchi di ira funesta, mai si avvicinò a tal punto da colpirlo con attacchi fisici. Si tenne a debita distanza, lo colpì con attacchi dell'Aura, indietreggiò ogni volta che Goku tentò di avvicinarsi.
Veloce era veloce, ma non era mai stato uno che faceva della difesa la sua tecnica primaria di combattimento. La cosa che mandava Goku su tutte le furie era che nemmeno ci tentava, nemmeno fingeva di voler combattere. Nemmeno provava a nascondere quel comportamento anomalo.
Non lo insultò neanche una volta, non lo schernì, non sminuì le sue tecniche. Non un pugno ben assestato, non un calcio volto a fargli perdere l'equilibrio. Niente di niente.
E, man mano che passavano i minuti, Goku diventava sempre più furioso, sempre più bramoso di un combattimento come si deve, sempre più desideroso di prendere Vegeta per le spalle, dargli uno scossone e farlo rinsavire. Davvero essere andato vicino ad ammazzarlo lo aveva traumatizzato a tal punto? O c'era qualcosa di più?
Tentò di colpirlo da vicino, ma lui si allontanò di nuovo, quasi scottasse. Il nervosismo aumentò da parte di entrambi, fino a che Goku scoppiò.
«Vegeta, dannazione, ma cosa diamine hai? Prima cerchi di ammazzarmi, poi non fai altro che scappare!»
Vegeta si morse il labbro e, rosso di rabbia, gli lanciò un Ki-blast rovente addosso.
«Non so proprio di cosa tu stia parlando» si difese.
«Oh, andiamo, non mentirmi. Non sono nato ieri!»
Goku parò tutti i colpi senza difficoltà.
«Smettila di farfugliare cose senza senso e combatti. Sei qui per questo, no?» lo provocò Vegeta, senza neanche un briciolo di convinzione. Né nel parlare, né nel lanciare colpi.
«Voglio combattere con il Principe dei Saiyan, non con il Re del Nascondino». Goku approfittò dell'affronto per teletrasportarsi dietro di lui e farlo cadere con uno sgambetto. Non provò a placcarlo: sarebbe stato solo controproducente. Si limitò a guardarlo dall'alto in basso a braccia conserte, alla ricerca di un confronto. «Hai paura di andare in escalation come l'ultima volta? E chissenefrega, son già morto svariate volte e non sarà una in più a traumatizzarmi. O non si tratta di questo?»
Vegeta divenne livido di rabbia e si rialzò con uno scatto, ma quella volta non si allontanò. Lo guardò con furia cieca senza parlare ma non rispose alla provocazione.
E questo diede l'ulteriore conferma a Goku che ci fosse qualcosa di estremamente sbagliato.

«Vegeta... cosa ti succede?» domandò con più calma, sciogliendo la trasformazione.
Il Principe strinse le labbra e si voltò di scatto per dargli le spalle, poi tornò anch'egli allo stadio normale. Il silenzio che calò divenne denso come la fitta nebbia di novembre, ma fu lo stesso Vegeta a tagliarlo con una lama affilatissima. E forse, insieme al silenzio, tagliò via anche una fetta del proprio orgoglio.
«Non funziona, Kakaroth. Non ci riesco. Non ci riesco più». Fu poco più che un roco sussurro.
Goku sussultò. Non riusciva più a far cosa? A guardarlo in faccia? A sopportarlo? A combattere con lui?
«Perché?! Dimmi perché, Vegeta!» avrebbe voluto risultare brusco, ma ciò che ne uscì fu solo un supplichevole lamento.
«Perché sono cambiate troppe cose». Vegeta, al contrario, risultò del tutto brusco. Si voltò di scatto, i suoi occhi erano colmi di rancore. «È andato tutto a puttane! Tutta la mia vita è andata a puttane per colpa tua!»
Sentirselo dire fece male, soprattutto perché Goku non riusciva proprio a comprendere come potesse essere colpa sua. Non era la prima volta che se lo sentiva dire, anche Bulma aveva ribadito quel concetto insensato. Le sue colpe se l'era prese tutte: era stato un padre assente, un marito terribile, un amico poco empatico, un rivale non degno di quel nome.
Ma come poteva essere il capro espiatorio della fine di un matrimonio che non era il suo?
«Ma... non capisco» balbettò.
«Neanche io. NEANCHE IO CAPISCO» urlò Vegeta, prendendosi la faccia tra le mani. Disperato, affranto. «Non mi capisco, ho smesso di capirmi dopo che te ne sei andato» confessò tra le proprie dita, come a nascondere il significato delle sue parole.
Un significato che Goku non comprese.
«Cosa è successo quando me ne sono andato?» domandò, poi si avvicinò un poco di più.
Vegeta tese una mano verso di lui per frenarlo, per non permettergli di fare neanche un altro passo.
Il vento sollevò polvere e cenere in quel deserto di sabbia rossa. Il sole era alto nel cielo, ma non bruciava. Novembre stava volgendo al termine, ma l'aria gelida non sembrava scalfire nessuno dei due guerrieri Saiyan. Entrambi rossi in volto, portatori di sconfitta, di amarezza.
Vegeta, più di tutti, sembrava fuori di sé di una rabbia diversa da quella che solitamente lo caratterizzava. Quasi volesse implodere.
«È successo che...» deglutì un macigno. Lo sforzo sovrumano nel pronunciare quelle parole era visibile a occhio nudo. «È successo che non riuscivo più a trovare uno scopo. Non riuscivo più a essere... felice» pronunciò l'ultima parola come una bestemmia. Tremava come una foglia, i pugni chiusi e stretti ai fianchi. «E ci sono cose delle quali... tutt'ora non mi capacito. Ed è colpa tua. TUTTA COLPA TUA!» esplose infine.
Goku ebbe come la sensazione che l'avrebbe colpito con un pugno in piena faccia, ma il pugno non arrivò. Il Principe rimase in piedi, a poco più di un metro da lui, con i denti digrignati e un tremore incontrastabile alle mani.
Non avrebbe mai pensato di sentirsi dire certe cose, certe rivelazioni. Vegeta non era mai stato propenso a parlare con lui di sentimenti, di emozioni. Eppure non riusciva a comprenderne le implicazioni.
«Cos'è successo con Bulma, Vegeta?»
Il pugno in faccia arrivò sul serio. Era bastato pronunciare il nome di Bulma per far scattare Sua Maestà ma, dopo averlo colpito e averlo fatto stramazzare al suolo, Vegeta indietreggiò e si lasciò cadere su una roccia, esausto.
Un rivolo di sangue colò dal labbro di Goku. Se lo asciugò con il dorso della mano e si portò a sedere. «Anche lei mi ha detto che è colpa mia. Perché sarebbe colpa mia?»
Voleva capire, voleva comprendere perché diamine sia Bulma che Vegeta gli attribuissero una colpa così grande.
«Lei mi ha lasciato» sibilò il Principe, seduto curvo su quella roccia. Una postura che non somigliava per niente alle consuete pose austere da nobile.
«E io cosa c'entro?!»
«Perché diceva che pensavo di più a te che a lei, ecco perché».

Con Chichi ti sei già arreso e con Vegeta no. Pensi più a lui che a tua moglie”.

Le parole che gli aveva detto Crilin - pochi giorni dopo il suo ritorno - gli risuonarono nella testa. Goku strinse le labbra. Era vero, nulla da ridire, nulla da controbattere. Anche quando si trovava su Vampa aveva pensato più a Vegeta che a Chichi.
Ma che Vegeta avesse pensato più a lui che a Bulma gli parve quasi inverosimile, incredibile. Sbagliato? Eppure lo comprendeva.
«Ed era così?» domandò quindi Goku. Era vero, dunque? Bulma aveva lasciato Vegeta perché l'aveva trascurata... a causa sua?
Vegeta lo guardò storto, ma ogni traccia di rabbia parve scomparire dal suo volto.
Si fissarono a lungo, nel vento, entrambi seduti poco distanti l'uno dall'altro. Come se stessero prendendo parte a un interrogatorio, o una seduta psicologica di quelle che ti scrutano l'inconscio.
«Perché sei qui, Kakaroth?» soffiò infine Vegeta, arrendevole.
Non negò, non confermò. Ma quella era quanto di più vicino fosse a un'ammissione di colpa. Quindi tanto valeva essere sinceri a propria volta.
«Perché ho dato più importanza a riavere indietro quello che avevamo noi due, rispetto a quello che avevo con Chichi».
Suonava strano a pensarlo, a dirlo suonava ancora più strano. Vegeta infatti si irrigidì.
«N-non è così che dovrebbe essere» balbettò. Il Principe dei Saiyan non balbettava mai.
Eppure aveva ragione: c'era qualcosa di profondamente sbagliato in tutto quello. Erano stati nemici, rivali, amici. Erano stati tanto amici.


«Mi sento strano. Tu non ti senti strano?» domandò Goku, osservando le nuvole bianche vorticare sopra di sé. Avevano sconfitto Broly e Freezer, il giorno prima, eppure c'era qualcosa che non andava in lui. Lo sentiva.
«Certo che mi sento strano, mi sento ancora le tue cellule addosso!» sbottò Vegeta, sfilacciando l'erba verde e fresca di quell'isola vacanziera.
Goku si illuminò e si rimise a sedere.

«Ecco, ecco cos'è!» trillò. «La Fusione fa proprio questo effetto. L'ultima volta è durato per giorni, dopo che l'abbiamo utilizzata contro Zamasu».
«Anche a me. Insopportabile» convenne il Principe, infastidito.
«Mmh, non direi insopportabile. È solo... strano. Intendo dire che quando me ne andrò di qui, quando sarò a casa e saremo lontani, avrò come la sensazione che tu sia con me».
Vegeta storse il naso.
«È proprio questo che è insopportabile! Cioè, mi sembrerà di averti addosso anche mentre faccio la doccia, è inaudito!» ringhiò, e Goku scoppiò in una fragorosa risata. «Non ridere! Non ridere, Kakaroth, è imbarazzante!»
«Oh, non ti imbarazzare, le ho già viste le tue regali chiappe, in sauna» continuò a ridacchiare Goku, candidamente.
Vegeta divenne livido, poi però montò un ghigno beffardo molto pericoloso. «Devo dedurre che ti siano piaciute, visto che le guardavi, mh?!»
Goku smise di ridere e incrociò le braccia al petto.
«Sei sempre il solito arrogante» disse, fingendosi oltraggiato.
«Ah, adesso ti imbarazzi, eh?!» lo schernì Vegeta, sentendosi però rispondere con una sonora e bambinesca pernacchia. Lo acchiappò per un braccio e, dopo averlo tirato contro sé, iniziò a strozzarlo a morte con la piega del gomito. «Come osi sbeffeggiare al tuo sovrano!? Ti faccio il culo a strisce, altro che chiappe regali!»


Goku desiderava riavere indietro quel rapporto più di ogni altra cosa... ma era giusto? Era... normale? E, soprattutto, era normale bramare ciò più di qualsiasi altra cosa al mondo?
Scosse la testa e decise di soprassedere. «Sei arrabbiato con me perché il tuo matrimonio è finito?» domandò, serio.
Vegeta fece spallucce. Di rabbia non ce n'era più, non nei suoi riguardi, perlomeno.
«Forse sono arrabbiato con me stesso».
Rimasero seduti al centro di quel deserto senza più dire nulla. Il vento si esaurì, il sole venne coperto da nuvole velate. Poi se ne andarono senza neanche salutarsi, solo guardandosi.
Goku non era più nemmeno certo che si sarebbero rivisti presto.


«Sei contento, adesso che mi hai fatto male?» Goku si massaggiò il collo, dopo essersi divincolato da quella stretta.
«Contentissimo» asserì Vegeta, soddisfatto.
«Si vede. Sorridi!» ridacchiò Goku. Non gli aveva fatto male sul serio, quantomeno non abbastanza da costringerlo a prendere dei Senzu.
«Io non sorrido mai» si indispettì Sua Maestà.
«Guarda, guarda, lo stai facendo adesso! Con l'angolo della bocca!» insistette Goku.
«Non sto sorridendo, idiota».
«Io dico di sì».
«Tra poco, quando sarai stecchito per mano mia, sorriderò eccome» lo minacciò, puntandogli un dito contro. Eppure sorrideva ancora.
«Più di così?!»
«Argh!»


Gli sarebbe mancato. Forse avrebbe dovuto abituarcisi anche se ancora, dopo tutti quegli anni, gli sembrava di sentire le sue cellule addosso.

 


Il Natale giunse in un mese o poco più e, poco prima, anche un grande dono. Due doni.
Gohan e Videl erano diventati finalmente genitori dei loro piccoli gemelli, Katsuki e Kyō
ka, un maschio e una femmina.
Goku era stato così felice di diventare di nuovo nonno che, per qualche giorno, si era scordato di ogni altro problema al mondo. Erano state giornate frenetiche, colme di gioia ma anche di ansia e crisi organizzative.
Gohan e Videl avevano pensato di far trasferire Goku in pianta stabile da loro, sicché potesse occuparsi di Pan, dar loro una mano con i gemelli e con la casa. Oramai Mr.Satan aveva una certa età, e non sarebbe riuscito a star dietro a tutto quel trambusto.
Goku aveva accettato con enorme piacere e, grato di quella fiducia, aveva persino guardato dei documentari sulla primissima infanzia per non deludere nessuno nel suo nuovo compito di nonno a tempo pieno.
Era stato tuttavia difficile evitare di incontrare Chichi. Anch'ella, entusiasta del nuovo arrivo dei nipotini, aveva espresso il desiderio di andarli a trovare spesso, ma al contempo aveva manifestato il bisogno di non incontrare in nessun modo il suo ex marito.
Soprattutto l'organizzazione del Natale era stata un vero disastro, ma alla fine avevano deciso di comune accordo che Gohan, Videl e progenie si sarebbero recati sui monti Paoz per pranzo, mentre per cena avrebbero ospitato Piccolo (anche se non poteva mangiare), Goten, Trunks, Bulma e la piccola Bra nella grande casa di Mr.Satan. Per lo stesso motivo di non incontrare l'ex moglie, Vegeta non era stato invitato e i suoi figli avevano trascorso con lui la vigilia.
Insomma, Goku aveva appreso che le separazioni - specialmente quelle brusche - comportavano non poche grane.
Tuttavia tutto si era risolto per il meglio, quindi trascorsero il Natale in un'atmosfera felice e serena. Trunks e Goten allietarono la serata con il loro nuovo duo musicale (e chi se lo immaginava che sapessero suonare la chitarra!), Bra e Pan con una sciocca recita sulle super-eroine, e Katsuki e Kyoka con le loro sonore urla di richieste di cibo.
Fu una cena serena, deliziosa, colma di vicinanza. Goku, nel guardare i suoi figli e i suoi nipoti, si rese conto dell'importanza della famiglia, di quanto si fosse perso in quegli anni e di quanto fosse stato un emerito imbecille.
Bulma, la quale aveva da qualche settimana smesso di tenergli il broncio – fino a che non veniva nominato Vegeta – si complimentò con lui per la maturazione che aveva compiuto in quei due mesi, dal suo ritorno. Goku era felice, davvero contento di aver ritrovato la fiducia di tutti. Quasi tutti.
Ogni volta che pensava a Vegeta gli si stringeva lo stomaco. Tuttavia si sforzò di tenere lontano quel pensiero, di tenere la mente al guinzaglio e sorridere. Sorridere con tutti, ridere, dimostrarsi anch'egli sereno, felice e grato.

Beh... fino a che, verso la fine della serata, non gli si avvicinò Bra di soppiatto. Goku rimase spiazzato da ciò che la bambina ebbe da dirgli.
«Tu sei il nemico di papà» asserì, seria, con quello sguardo corrucciato che era tutto da Saiyan.
Non era una domanda, era un'affermazione. Era il nemico di suo padre?
«Nemico... forse lo ero. Forse sono tornato a esserlo» borbottò, assorto tra i propri pensieri.
Gli occhi azzurri di Bra si fecero più intensi, non si guardò neppure intorno. Era evidente che fosse conscia che nessuno li stesse ascoltando. Bra possedeva una grande forza spirituale e una peculiare capacità di percepire le Auree, di questo Goku ne era certo.
«Il mio papà è sempre triste per colpa tua».
Goku sussultò, e il doppio nodo che gli permetteva di tenere la propria mente al guinzaglio si sciolse. Il suo pensiero volò come un palloncino dentro la finestra di quella piccola casa della Città dell'Ovest. Da Vegeta.
Colpa mia, pensò Goku. Quante volte in quei mesi gli erano state attribuite delle colpe che pensava di non avere?
Forse erano sue per davvero. Se per una bambina di cinque anni lui era la causa della separazione dei suoi genitori, se per una bambina di cinque anni lui era la causa della tristezza del suo papà... allora forse era colpa sua per davvero.
Goku si inginocchiò di fronte a lei, labbra strette e cuore a pezzi.
«Vorrei fare qualsiasi cosa per aiutare il tuo papà a non essere triste» le disse, serio come poche altre volte era stato in vita sua.
Bra lo guardò con diffidente sorpresa, poi fece spallucce.
«Beh, allora vai a dirglielo».
Nell'innocenza di un bambino, Goku trovò coraggio e risposte.



 
Continua...

Riferimenti:
-Ho parlato dello "strascico da Fusione" anche nella mia storia "Across the universe", ma non è affatto canonico. Tutta invenzione.
-I nomi dei due gemelli, Katsuki e Kyōka, prendono ispirazione da due personaggi (che adoro troppo) di My Hero Academia.

ANGOLO DI EEVAA:
Buongiorno, gente!
... beh, beh, beh, siamo entrati nella seconda metà della storia e, mentre Goku si sta adoperando per non essere un maschilista di inizio 900, è riuscito anche ad avere un confronto un po' più proficuo con Vegeta. 
Che non ha portato a niente, se non a una consapevolezza maggiore del fatto che i loro matrimoni sono entrambi finiti più o meno per lo stesso motivo. Pensano più l'uno all'altro che alle loro mogli. Ma, se Goku ha decisamente meno problemi ad ammetterlo a se stesso, Vegeta fa molta più fatica. Anche perché, nella mia personale visione, lui ha amato molto Bulma. E sta ancora soffrendo per la fine del loro matrimonio... mentre Goku fregacazzi, proprio xD
Well... alla fine ci voleva Bra per dargli una svegliata e affrontarlo di nuovo. Chissà se stavolta riusciranno ad aver un dialogo che non si concluda con lo scappare. 
Grazie di cuore chi sta continuando a seguire questa storia! A domenica prossima :)
Eevaa Grace


 
 
Nel prossimo capitolo!
Quando il portone si aprì, Vegeta apparve con un cipiglio tutt'altro che amichevole – e quando mai! - ma nemmeno arrabbiato. Sembrava... confuso?
Sentimento assai condiviso da Goku, che al posto che introdursi come una persona normale, si esibì in una manifestazione di imbecillità sgrammaticata.
«Buon Vegeta, Natale!» cinguettò, per poi arrossire fino alla punta delle orecchie. «Ehm, volevo dire-»


 

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Capitolo 6
*** Un battito ***


Disclaimer:
Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte dell'universo di Dragon Ball sono di proprietà di Akira Toriyama© e Toei Animation©.
Non concedo, in nessuna circostanza, l'autorizzazione a ripubblicare questa storia altrove, anche se creditata e anche con link all'originale.
I diritti delle immagini non mi appartengono.
 
 
 


- SOMETHING HUMAN -


Capitolo 6
Un battito



 
 
Beh, allora vai a dirglielo”.
Pensava di aver trovato coraggio e risposte, sì, ma quando si ritrovò di fronte alla porta blindata della casa di Vegeta, tutti i buoni propositi sembravano svaniti e annebbiati come i ricordi di una notte di sakè.
Gli era quasi sembrato facile; le parole di Bra erano state incoraggianti. Ma Goku avrebbe saputo davvero dire qualcosa che rendesse Vegeta meno cupo, meno triste?
L'ultima volta che si erano visti avevano trascorso più di un'ora a guardarsi in faccia dopo tremende confessioni di smarrimento, poi si erano allontanati senza più dirsi niente.
Non si vedevano da un mese. Goku aveva voluto rispettare il silenzio di Vegeta, il fatto che ciò che stesse accadendo sembrasse quasi sbagliato.
“Non è così che dovrebbe essere”, aveva detto.
Era sbagliato che dopo la sua partenza Vegeta si fosse lasciato andare, che avesse trascurato sua moglie per colpa sua. Era sbagliato che l'unico chiodo fisso nella mente di Goku, una volta tornato, fosse stato quello di riportare le cose come prima con Vegeta. Era diventata quasi un'ossessione e, questo lo sapeva, le ossessioni non erano mai una buona cosa.
Però poi Bra gli aveva detto che il suo papà era sempre triste per colpa sua, e gli si era spezzato il cuore. Non voleva essere la causa della tristezza di nessuno... di Vegeta in special modo.
Quindi avrebbe fatto qualsiasi cosa purché quella situazione trovasse una fine. Che tutto tornasse come prima.
Solo che sembrava facile a parole ma, a fatti, era bloccato davanti a quella stracazzo di porta blindata. Quasi se l'era dimenticato, però, che la sua Aura fosse più che riconoscibile.

Quando il portone si aprì, Vegeta apparve con un cipiglio poco che amichevole – e quando mai! - ma non arrabbiato. Sembrava... confuso?
Sentimento condiviso da Goku che, al posto che introdursi come una persona normale, si esibì in una manifestazione di imbecillità sgrammaticata.
«Buon Vegeta, Natale!» cinguettò, per poi arrossire fino alla punta delle orecchie. «Ehm, volevo dire-»
«Cosa accidenti ti sei messo in testa? Sei ridicolo» lo interruppe Vegeta. «Più del solito».
Goku si ricordò che stesse indossando un cappellino rosso tipico della tradizione natalizia. Se lo tolse con una risata nervosa, poi parlò.
«Oh, ehm... per i bambini! Eheh!»
Vegeta scosse il capo e alzò gli occhi al cielo, poi andò dritto al punto. Senza passare dal via.
«Che ci fai qui?»
«La festa stava finendo e i gemelli piangevano troppo. Trunks e Goten sono scappati per andare a giocare ai videogames, Pan e Bra si sono addormentate dopo aver aperto i rega-»
«Non ti ho chiesto perché non sei più lì, ti ho chiesto perché sei qui». Sempre più dritto al punto.
Goku arrossì di nuovo, e meditò che in effetti non avesse ancora trovato alcunché da dirgli, nonostante gli innumerevoli attimi di riflessione trascorsi dietro la porta.
«Volevo... chiederti come stai» borbottò.
«Che perdita di tempo» controbatté Sua Maestà, un sopracciglio sollevato e le braccia incrociate al petto.
Goku si maledisse per non essere in grado di fare un discorso di senso compiuto, ma poi si ricordò di essere una persona sincera, trasparente. Perché non esserlo? Perché continuare a rigirare intorno alle cose quando, forse, la soluzione più efficace sarebbe potuta essere la sincerità?
Forse perché tutto tornasse come prima sarebbe bastato comportarsi come prima, e smettere di farsi tutte quelle paranoie.
Goku prese un grosso respiro e lasciò che l'istinto prendesse il sopravvento.
«E volevo chiederti cosa posso fare per... perché tu sia... più felice. Anzi, visto che so che questa cosa apre a un ventaglio di possibilità che vanno da “muori, Kakaroth” a “vai a farti fottere, Kakaroth”, ti propongo due opzioni nuove per stasera. Uno: ordiniamo una valanga di yakisoba e mangiamo fino a scoppiare, come ai vecchi tempi. Due: andiamo ad allenarci, anche se la notte di Natale dovremmo essere tutti più buoni».
Vegeta spalancò gli occhi talmente tanto da sembrare Lord Beerus in una delle sue esagerate reazioni da divinità felina. Lo fissò incredulo per qualche secondo e sembrò persino pensarci, poi scosse la testa.
«Tu sei pazzo» convenne. Goku fu sul punto di gettare la spugna quando, dopo un attimo esitazione, Vegeta si allontanò dalla porta e la lasciò aperta. «Ma facciamo entrambe le cose» disse infine, voltandosi verso di lui in un chiaro segno che stesse aspettando solo che entrasse. «Hai mai giocato a Satan Kombat?»


Inizialmente Goku non aveva capito niente di quello che stesse succedendo. Ma, dopo aver ordinato a domicilio sei porzioni di yakisoba in scatola (come se non avessero mangiato abbastanza in quei giorni di festa), Vegeta aveva acceso la consolle collegata alla TV. Poi aveva iniziato a smanettare fino a quando, con soddisfazione, aveva annunciato di essere pronto al combattimento più epico degli ultimi anni.
“Player1: SuaMaestàIlPrincipeDeiSaiyan” versus “Player2: DecerebratoIdiotaDiTerzaClasse”.
In effetti era stato davvero uno scontro con i fiocchi. Non si erano risparmiati gli insulti reciproci, dissing, giocate scorrette.
Poi avevano messo in pausa, avevano mangiato come se fossero davvero stati stanchi da reali combattimenti, infine avevano ripreso a giocare fino a tarda nottata.
Goku ci aveva messo un poco a comprendere le funzionalità di quel videogioco – nonostante avesse già guardato Trunks e Goten sfidarsi – ma poi si era creato una personalissima tecnica che aveva dato preziosi frutti: a caso.
Ciò, ovviamente, non era bastato.
«VITTORIA! L'ennesima. Anche nei videogiochi sono superiore a te!» esultò Vegeta, in modo molto – ma molto – simile a come lo faceva con gli scontri veri. Beffardo, tronfio. Vegeta, insomma.
«Seh, seh, tu stai barando, altroché» si lagnò Goku.
«Non prendertela, Kakaroth, accetta la tua miserabile sconfitta e facciamola finita qui».
«Vorrò la rivincita, prima o poi».
Vegeta divenne silenzioso, taciturno. Forse nella realizzazione che avessero appena trascorso ore serene come un tempo, senza rendersene conto. Allora perché era così difficile accettare che, ancora, erano capaci di essere... amici?
Quel silenzio fu come lo scoppiare di una bolla.
«Non essere arrabbiato con te stesso, Vegeta. Sono io che ho sbagliato tutto... non tu» cercò di rassicurarlo Goku, nel tentativo di riportare la situazione a livelli accettabili di serenità.
Vegeta poggiò il joypad sul tavolino e si poggiò con i gomiti sulle ginocchia, testa bassa e mani unite.
«È complicato» sussurrò infine.
Goku, al suo fianco sul divano, aggrottò le sopracciglia e tentò di abbassarsi per poterlo spiare in faccia.
«Cos'è complicato? Sono io che ho abbandonato tutti, sempre. Anche Bra me lo ha detto, e nemmeno mi conosce».
«Bra ha fatto che?!» Vegeta si rizzò e spalancò gli occhi.
«Per favore, Vegeta... io vorrei rimediare e, se posso far qualcosa perché tu e Bulma torniate insieme, ti prego... dimmelo» supplicò Goku, speranzoso, almeno fino a che Vegeta non gli scoppiò a ridere in faccia.
Una risata sarcastica, ma davvero divertita.
«Kakaroth, a volte penso che tu sia davvero un grandissimo imbecille».
Goku non capì. Non capì il motivo della risata, non capì perché Vegeta si sorprendesse così tanto del fatto che volesse aiutarlo a mettere a posto le cose.
«Perché?»
«Ma non capisci? Non è vero che è colpa tua. Non è colpa tua, tu saresti potuto partire e io avrei potuto reagire come qualunque altra persona sana di mente: incazzandomi. E invece... e invece...» sospirò, interrompendosi e tornando con lo sguardo nel vuoto di fronte a sé.
«Ma mi hai sempre detto che è stata colpa mia!» Goku era confuso.
«Quella di andartene? Sicuro. E, nonostante l'orgoglio da combattente, posso anche pensare di poterti perdonare un giorno - così come hanno fatto tutti - visto che ti stai dimostrando pentito. Ma la fine del mio matrimonio non è colpa tua. È a causa tua, che è diverso».
Le rotelle di Goku iniziarono a girare: non era stato direttamente lui a far fallire il suo matrimonio. Come poteva esserne la causa, però, non riusciva ancora a comprenderlo. O stava inconsciamente facendo di tutto per rimuovere ogni spettro di possibilità.
«E perché sarebbe a causa mia?» domandò.
Vegeta sospirò di nuovo.
«Bulma lo aveva capito già da tempo... già... dalla prima volta, dopo Cell. Mi aveva accusato e io ero andato su tutte le furie. Io non ho mai capito... niente. Tutt'ora non lo capisco, non lo accetto e... non è giusto che sia così...» il Principe dei Saiyan divenne livido in volto, gli occhi lucidi, le mani tremanti e uno sguardo pieno di consapevolezza «... sono malato, Kakaroth».

Goku sussultò, preoccupato.
«Oh, diamine, che malattia hai? Niente di grave, spero! Cioè, puoi guarire? Ti prego, dimmi che puoi guarire» farfugliò, squadrandolo meglio alla ricerca di qualche sintomo di una strana patologia.
Vegeta si portò le mani sulla faccia a nascose una risata che non pareva affatto sarcastica.
«A volte penso che si possa guarire, soprattutto quando ti comporti così da imbecille tonto senza cervello» affermò, poi divenne di nuovo serio. «Però poi mi ricordo che... che fa tutto parte del pacchetto. E mi maledico. Mi odio, mi detesto. Perché questa cosa non dovrebbe esistere e invece a quanto pare c'è».
Goku si sentì stupido. Forse l'intento di Vegeta era proprio quello di farlo sentire un completo imbecille. Poi, piano piano, il subconscio iniziò a suggerire lui che tra quel ventaglio di possibilità che non aveva preso in considerazione, ce ne fosse una oramai piuttosto plausibile.
E iniziò ad avere paura.
«C-cos'è?» balbettò.
Ciò che fece Vegeta lo lasciò completamente senza parole. Non si era mai, mai permesso di fare nulla del genere. Solo il fatto di prendergli la mano per utilizzare il Teletrasporto, una volta, era qualcosa che lo metteva in imbarazzo.
Invece in quell'istante si voltò di scatto, gli afferrò una mano e se la cacciò dritta sul centro del petto. Sul cuore. E, sotto il suo palmo, Goku lo sentì battere forte. Troppo, troppo forte.
Goku guardò la sua mano, poi guardò Vegeta negli occhi. Erano neri e così dilatati da sembrare quelli di un gatto impaurito.
«Non so cosa sia. Ma succede questo» mormorò lui, lento, con un tono quasi minaccioso. «Quando ti vedo. Quando combattiamo. Quando te ne sei andato e mi sentivo spezzato. Quando penso che tu sia il più grande idiota di tutti i dodici universi. Succede questo. Ed è sbagliato» concluse e, con un gesto secco, gli cacciò via la mano dal petto e volse lo sguardo altrove.
La possibilità che si era precluso anche solo di pensare travolse Goku il quale, finalmente, comprese tutto quello che fosse successo. Sia a lui che a Vegeta. Al matrimonio tra lui e Chichi, al matrimonio tra Bulma e Vegeta.
Comprese tutto, anche quello che non si era mai concesso di pensare. La sua bramosia di riaverlo indietro, di stare con lui, di pensarci in ogni istante libero della sua vita. Ciò che l'aveva spinto a cercare lui, prima di tutti, l'istante in cui aveva deciso di tornare sulla Terra. Quel senso di oppressione a livello del petto quando sapeva che Vegeta fosse triste, arrabbiato, quando lo vedeva strano, quando lo vedeva diverso.
Tutto gli fu più chiaro. Quel battito era stato un forte vento di ponente che aveva spazzato via le nubi nella sua testa. E un altro battito si fece più incessante, traducibile, comprensibile.

Goku, senza alcuna esitazione, prese la mano di Vegeta e la appoggiò sul petto, al centro. Sul cuore.
«Credo che... che tu mi abbia attaccato questa malattia» confessò Goku.
Vegeta, invece, divenne così rosso in volto da sembrare sotto il power-up del Kaioken. La mano sul suo petto bruciava. A dirla tutta Goku avvertì bollore fino alla punta delle orecchie, ma non si mosse neanche di un centimetro.
Non sapeva cosa fare, l'istinto gli suggeriva qualcosa di troppo strano e troppo forzato, quindi rimase fermo. Fino a che Vegeta, lentamente, tolse la mano.
Aveva gli occhi lucidi.
«Non dobbiamo più vederci. Non va bene» concluse.
Per Goku fu come uno schiaffo. In che senso? «Non voglio» obiettò, sicuro. La situazione l'aveva senza dubbio preso alla sprovvista, ma in nessun futuro contemplava la possibilità di non vedersi più. Perché mai avrebbero dovuto smettere di vedersi? Perché mai, se stare l'uno accanto all'altro li faceva stare in quel modo, avrebbero dovuto allontanarsi?
Vegeta si alzò di scatto e iniziò a disegnare linee rette avanti e indietro per la stanza, camminando repentino. Agitato, impazzito.
«È l'unico modo, Kakaroth. Non dobbiamo vederci. Non dobbiamo parlarci. Non dobbiamo allenarci. A volte penso che sarebbe stato meglio se tu fossi rimasto su Vampa. Ma questo pianeta è più tuo che mio, hai una famiglia, hai degli amici. Quindi è giusto che tu stia qui, e sono felice che tu sia rinsavito e abbia deciso di collegare la testa al resto del corpo ma... io non voglio vederti. Questa cosa non va bene».
Goku trattenne il respiro. Altri schiaffi in piena faccia, secchiate d'acqua gelida. Una pugnalata al petto laddove prima c'era quella mano bollente.
Non voleva niente, se non stare insieme a lui. In che modo non lo sapeva, ma gli sarebbe bastato tutto, qualsiasi cosa, anche senza che niente cambiasse, anche solo vedersi, allenarsi e salutarsi. Perché doveva essere così difficile? Perché prendere coscienza di quella cosa doveva rendere tutto così complicato?
«Ma io-»
«Non è colpa tua» lo interruppe Vegeta, brusco. Poi però divenne più calmo, quasi supplichevole. «Ma, per favore... mi fai... male. Vattene di qui» lo implorò.
E quello fu per Goku il colpo di grazia.
Sentire che la sua presenza gli facesse male lo faceva star male a sua volta. Vegeta voleva che se ne andasse per davvero.
Quindi Goku, con una ferita aperta nel petto, ricercò la prima flebile Aura che gli venne in mente e se ne andò. Veloce come il vento, veloce come un battito.


 

Una vera fortuna che il Genio stesse dormendo quando Goku giunse da lui, o altrimenti si sarebbe preso un colpo nel vederlo ribaltarsi su se stesso, affamato d'aria.
Non respirava.
Scese le scale faticando a tenersi in piedi, poi si accasciò sulla battigia dell'isola e vomitò.
Gli faceva male il petto, ma in modo diverso da quando era stato malato di quella malattia mortale. Sentiva gli occhi pizzicare e bruciare, le gambe molli, le dita che tremavano nel tentativo di sciacquarsi il viso con l'acqua di mare.
La sensazione di mancanza non si affievolì, né la pesantezza a livello del torace.
Quella cosa di cui tutti parlavano nei film, quella cosa che pensava di non aver mai provato davvero in vita sua e invece era sempre stata lì, sopita, in attesa di essere scoperta e portata a galla.
L'amore.
Da quanto lo provava? Se lo domandò più volte quella notte, non seppe dargli una collocazione temporale. Forse era cresciuto nel tempo, forse il suo inconscio aveva fatto di tutto per non farglielo vedere.
Quello che narravano nei film era che ci si accorge di provarlo soprattutto quando manca. Non era mai stato nelle condizioni di perdere Vegeta, forse anche per quello non si era mai accorto di quanto Vegeta significasse per lui. Com'era successo con i suoi figli: non si era accorto di quanto gli mancassero fino a quando non avevano messo muro, quando era tornato.
Una lezione di vita molto amara, come tante altre che aveva ricevuto dal suo ritorno sulla Terra.
Quella era senz'altro la più difficile, la più incomprensibile. Si sentiva morire, ma fisicamente era certo di stare benissimo.
Stava male. Avvertiva l'Aura di Vegeta, lontana, e gli faceva male solo quello. Ma il Principe era stato chiaro: non lo voleva vedere. Stava male ad averlo intorno e Goku, piuttosto che fargli male... preferiva soffrire lui stesso.
Ebbe come l'innato istinto di andare lontano, su un altro pianeta, laddove l'Aura di Vegeta sarebbe stata troppo lontana per essere percepita e magari sarebbe riuscito a dimenticare quanto potesse rendergli la vita un Inferno.
Ma poi pensò ai suoi figli, ai suoi nipoti, a quanto di bello avesse costruito in quei mesi. Rabbrividì al solo pensiero di deluderli un'altra volta e realizzò che non avrebbe potuto fare niente, niente per rendere quell'allontanamento da Vegeta meno insopportabile.
Odiava l'amore.
Da quanto tempo era diventato a tutti gli effetti un essere umano?


 



Le due settimane più lunghe della sua vita.
Soprattutto per il fatto che le avesse tentate tutte – ma proprio tutte – per mostrarsi lo stesso di sempre con la sua famiglia. Un vero peccato che i “ma sicuro che vada tutto bene?” fossero stati martellanti e incessanti da parte di tutti.
Era così evidente che non andasse affatto tutto bene? A giudicare dal riflesso che trovava ogni mattina nello specchio, sì, era evidente. Non ricordava l'ultima volta che aveva avuto delle occhiaie così pesanti.
Videl, nel vederlo mangiare ogni giorno la metà di quanto si scofanasse di solito, gli aveva persino prenotato una visita dal gastroenterologo. Era fuggito dalla finestra alla vista della puntura per prelievi e si era sforzato poi di mangiare con la stessa foga di sempre, anche se di fame non ne avesse molta.
Ringraziava ogni santo giorno che Katsuki, Kyōka e Pan gli dessero del gran da fare, o le giornate non sarebbero passate mai.
Vedere Trunks, poi, era un attentato alla sua incolumità. Somigliava così tanto a suo padre che il suo pensiero volava direttamente alla Città dell'Ovest e quindi accampava scuse qualunque per non stargli intorno.
E, sebbene la maggior parte dei suoi pensieri notturni scivolassero comunque nella direzione sopracitata, molto spesso di ritrovava sommerso da un sentimento forse anche peggiore: il senso di colpa. Verso Bulma.


Sebbene non fosse stata colpa sua la fine del suo matrimonio con Vegeta, era ormai chiaro che fosse una causa direttissima.
Voleva bene a Bulma come una sorella, il pensiero di averle fatto indirettamente del male lo distruggeva - almeno quanto non poter stare accanto a Vegeta.
Avrebbe voluto davvero fare qualcosa per riportare tutto alla normalità. Forse se Bulma e Vegeta si fossero rimessi insieme lei sarebbe tornata ad essere felice, e anche Vegeta. Vegeta avrebbe smesso di... amarlo. E non avrebbe più sofferto nel stargli vicino.
E magari un giorno sarebbero almeno potuti tornare amici.
Goku voleva che tutto tornasse come prima, che tutti smettessero di soffrire in quella maniera. Lo doveva a Vegeta, ma soprattutto a Bulma, che era colei che aveva sofferto più di tutti, in modo ingiusto, per eventi persino indipendenti dal suo volere.

 


Il senso colpa si fece ogni giorno più pesante, opprimente, come una pianta rampicante che piano piano ricopre tutto il corpo e ne prende possesso.
Fino a che, una fredda notte di metà gennaio, si ritrovò a bussare alla finestra di Bulma.
E, per la prima volta, riuscì finalmente a piangere.
«Goku! Goku, cosa ti succede?» si allarmò lei, accogliendolo tra le braccia.
«Mi dispiace, mi dispiace!» singhiozzò, disperato.
«Ma che...»
Bulma lo strinse più forte.
«Io non volevo, Bulma, davvero. Non volevo! Mi dispiace tanto» ringhiò tra i singhiozzi.
Non ricordava l'ultima volta che avesse pianto. Forse quando Radish aveva tentato di rapire Gohan.
Erano passati anni, ma fu quanto più di liberatorio potesse esserci. Soprattutto dopo quelle due settimane infernali.
Bulma lo staccò con delicatezza e lo trascinò fino al letto, concedendogli di sedersi.
«Mi dispiace» ripeté Goku, trovando la forza di calmarsi.
«Cosa è successo?» domandò lei, seria. Fin troppo seria. Probabilmente già ben conscia di ciò che si sarebbe sentita dire.
«Vegeta mi ha detto tutto» balbettò. Pronunciare il nome di Vegeta fu come una coltellata.
Bulma, come previsto, non si scompose. Continuò a guardarlo seria, senza battere ciglio. Con le mani si aggrappò più forte alla camicia da notte bianca che indossava.
«E tu?» domandò, dopo qualche secondo.
Goku chiuse gli occhi e perse le ultime due lacrime che si erano aggrappate alle ciglia. Si vergognò da morire.
«E io... io mi sono accorto che... non avevo mai capito che-»
«Goku. Cosa è successo tra te e Vegeta?» lo interruppe Bulma, prima che potesse dire altro.
«Niente!» assicurò Goku, prendendole le mani. «Assolutamente niente. Mai, Bulma, mai! Non ora, non prima... non avrei mai potuto, credimi. Non avrei mai voluto!»
Bulma storse la bocca in un sorriso amaro, come se già si aspettasse quella risposta. Lei sapeva sempre tutto, lei capiva sempre tutto.
Con un gesto delicato sciolse la presa dalle sue mani, si avviò verso le grandi finestre di camera sua e si perse con lo sguardo verso la luna.
«Lo so... mio marito ti amava da molto prima che scegliesse di stare con me con impegno. Mi ha scelta perché sono stata la via più facile, più comoda. Ma tu sei... della sua stessa specie. Solo tu lo puoi capire per davvero... e gli hai dato la possibilità di vivere. Di essere buono, di diventare una persona umana. Forse per un certo periodo mi ha amata davvero ma... tu sei tu. E non ci posso fare nulla, non è colpa mia e nemmeno colpa tua».
Consapevole, fiera, elegante, orgogliosa. Bulma lo era sempre stata, e Goku l'aveva sempre ammirata per il suo modo di gestire ogni situazione. Forse perché anche Vegeta possedeva quelle caratteristiche.
Ciò che stupì Goku, però, è che Bulma non se la fosse presa affatto con lui.
«Tu non... non mi detesti?» domandò, stupito.
«C'è stato un momento in cui un po' ti invidiavo, soprattutto tanto tempo fa. Quando ho realizzato - molto prima di Vegeta - ciò che stesse accadendo. Ma ora mi sono rassegnata. E tu non hai fatto nulla di male. Andartene, certo... forse se non te ne fossi andato io e lui staremmo ancora insieme, ma il nostro matrimonio era destinato a finire. Forse era una mezza copertura per lui, per quanto io odi ammetterlo. No, Son-kun, non ti detesto». Si voltò finalmente per guardarlo in faccia.
Sorrideva stanca, ma era sincera. Eppure il senso di colpa nel petto di Goku pesava. Non tanto come prima, ma pesava ancora.

«Bulma, io e lui non staremo mai insieme. Mi ha allontanato, e forse è giusto così. Non ci vedremo più. Magari... potete ritentarci!» propose, alzandosi in piedi per raggiungerla.
Bulma aggrottò le sopracciglia e storse il naso. Quello forse non se l'era aspettato.
«Tu mi stai dicendo che vorresti starne fuori... non insistere con lui, sicché io e lui tornassimo insieme?
«Sì. Non te lo nascondo: se lui non avesse avuto la prontezza di allontanarmi, forse non avrei la forza di dirti ciò. Scusa» ammise Goku. Il solo pensiero di quella sera gli mozzò il fiato. Quella mano sul cuore, quell'istinto di gettarsi a capofitto verso di lui senza avere la minima idea di cosa fare. Si costrinse però a riprendere le redini della situazione e tornare alla realtà. «Ma mi ha dato la possibilità di riflettere e sì, mi farei da parte, per te. Lo farei senza ripensamenti».
Bulma sorrise con amarezza, poi sospirò.
«Apprezzo questa cosa, dico sul serio, ma non voglio un matrimonio finto. Ho preso io la decisione di lasciarlo proprio per questo. Non voglio essere la seconda scelta di nessuno» spiegò lei, con seria convinzione.
«Potremmo... potremmo chiedere a Shenron!»
Bulma ridacchiò di quell'entusiasmo totalmente fuori luogo, di quei tentativi inutili ma fatti con il cuore. Si avvicinò a lui e gli portò una mano sulla guancia, con fare materno.
«Goku... no».
Gli vennero le lacrime agli occhi. Mai come in quel momento desiderò di non essere mai partito. Non c'era niente che potesse fare per riuscire a fare del bene, per poter far tornare a tutto alla normalità.
«Tu lo ami ancora?» domandò Goku infine, nella speranza che almeno la sua amica non stesse più soffrendo.
«Sono abbastanza grande e matura da capire che è una storia impossibile. L'ho amato tanto... ma ho sofferto troppo. Mi ha spezzato il cuore e sono arrabbiata con me stessa - più che con lui - perché in fin dei conti so bene che sono io che mi sono illusa. Quindi no... oramai non lo amo più. È rimasto solo... del risentimento, perché lui non mi ha mai concesso sincerità su questo. Gli voglio bene, è un ottimo padre e ama i nostri figli. Magari un giorno riusciremo anche a essere più sereni l'uno con l'altra. Ma temo che fino a che lui non accetterà completamente che io avessi ragione, non si libererà mai di quella rabbia. Ed è per questo che... che, Goku... se tu ricambi quello che lui prova... dovresti insistere».
Goku divenne una statua di sale. Gli stava dando il... permesso? Gli stava dando il benestare?
Era giunto lì alla Capsule Corporation con la sola aspettativa di farsi urlare addosso di quanto fosse uno sfascia-famiglie, uno stronzo senza cuore... e lei invece gli stava dando il benestare per quella cosa?!
Ad ogni modo, purtroppo non c'era possibilità né di illudersi né di fasciarsi la testa.
«Mi ha chiesto di non vedermi più» ribadì Goku, affranto.
«Lo ami?» domandò quindi Bulma, seria e impassibile.
Quella domanda era inaspettata. Lo amava? Era davvero amore? Aveva appurato in quelle settimane come si potesse star male per una persona sola. Aveva provato sulla propria pelle cosa volesse dire avere il cuore spezzato. Se quello non era amore... forse era davvero una grave malattia che dava gli stessi sintomi. Diamine, non avrebbe dovuto rifiutare il prelievo del gastroenterologo!
«Io... credo di sì...» ammise infine, rifiutando con coscienza di non avere una patologia fisica.
«Allora vai via di qui, Son-kun». Non era un invito ad andarsene per davvero. Era un invito ad andare da Vegeta.
Goku abbassò lo sguardo e avverti il senso di colpa farsi di nuovo più pesante.
«Non voglio perderti, Bulma».
«Mi hai dimostrato un'altra volta di essere troppo una brava persona e un bravo amico. Non ti aspettare che io vi inviti insieme alle cene in famiglia ma... non... non mi hai persa» concluse Bulma e, trascinandolo verso di sé, gli baciò la fronte con fare materno.
«Sei sicu-»
«Fuori dalle palle, Goku, sono le tre del mattino!»
Quello, invece, era un chiaro invito ad andarsene.


 
 
Continua...

Riferimenti:
-Satan Kombat: la version di Mortal Kombat nel mondo Dragon Ball. Ovviamente l'ho appena inventato. Ciò che non ho inventato io invece è la tecnica di combattimento di schiacciare tasti a caso xD

ANGOLO DI EEVAA GRACE:
Buongiorno, bellezze!
Ohhh, finalmente abbiamo avuto delle dichiarazioni degne di tale nome. Beh, anche se quel romanticone di Vegeta definisce l'amore una malattia, ma che vogliamo pretendere! Già è tanto se è riuscito a confessare tutto.
Il povero Goku invece è andato in crisi mistica. Finalmente ha trovato la sua umanità, e con questa anche la capacità di fare due più due. Spero che il dialogo con Bulma vi sia piaciuto.
Come molti di voi sapranno io la adoro e adoro la coppia VegetaxBulma. Ho sempre scritto Kakavege sempre improntate dopo la morte di Bulma proprio per questo, quindi per me è stato difficile "profanare" la VegeBul in questo modo. Spero non sia stato too much, per chi come me ama la coppia. 
Non volevo nemmeno abusare dell'espediente narrativo del "Vegeta sta con Bulma ma lei accetta anche la sua relazione con Goku", perché - per quanto io apprezzi leggerlo - non sarei capace di gestire una relazione poliamorosa nelle mie storie. 
E niente... ora rimane solo da vedere se Goku riuscirà a conquistare Sua Maestà :)
Un abbraccio e a presto!
Eevaa Grace




 
Nel prossimo capitolo:
Vegeta si sforzò con molta evidenza di non scoppiare a ridere, o forse di non tirargli un pugno in faccia – di nuovo.
«Sei un deficiente».
Goku, invece, non si trattenne affatto dal ridere. Gli erano mancati anche i suoi insulti.
«È bello sentirtelo dire».


 

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Capitolo 7
*** La porta ***


Disclaimer:
Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte dell'universo di Dragon Ball sono di proprietà di Akira Toriyama© e Toei Animation©.
Non concedo, in nessuna circostanza, l'autorizzazione a ripubblicare questa storia altrove, anche se creditata e anche con link all'originale.
I diritti delle immagini non mi appartengono.
 
 
 


- SOMETHING HUMAN -


Capitolo 7
La porta



 
 
La vita gli aveva più volte insegnato che seguire l'istinto non sempre fosse la scelta più ottimale. Come ad esempio quando l'istinto gli aveva suggerito di risparmiare i nemici al posto che dar loro il colpo di grazia - e la maggior parte delle volte si era rivelato un mastodontico errore.
Tuttavia c'era anche da dire che con Vegeta non lo fosse stato.
L'istinto gli aveva suggerito di risparmiarlo e, solo grazie a questo, aveva conosciuto una delle persone più straordinarie e complesse della sua intera vita. Se non ci fosse stato Vegeta al suo fianco non sarebbero riusciti a far fronte a tutte quelle battaglie, a tutti quei nemici.
Quindi sì, il suo istinto aveva una discreta probabilità di fallimento, ma senza provarci non sarebbe andato comunque da nessuna parte.
Poco gli importava se sarebbe poi tornato a casa con la coda tra le gambe. Tutto ciò che desiderava era non avere rimpianti, non pentirsi di non aver provato.
Vegeta era per fama incredibilmente testardo e, se persino Bulma gli aveva suggerito di insistere, allora avrebbe insistito.
Niente preamboli, niente ripensamenti. Avrebbe dovuto seguire il suo istinto e il suo istinto gli stava suggerendo di fare una sola azione. Follia? Sì. Poco importava.
Fu proprio per quel motivo che, quando Vegeta aprì la porta con la peggior espressione omicida, non gli lasciò nemmeno terminare la veemente pantomima.
«Sono le tre del fottuto mattino, dannazione! Kakaroth, mi sembrava di averti detto che-»
Goku lo prese per gli avambracci e se lo tirò contro.
Non aveva la benché minima idea di cosa diamine stesse facendo. Ma quello era istinto, giusto?
Lo baciò come non aveva mai fatto prima nemmeno con sua moglie, rudemente, senza alcun preavviso. Vegeta non oppose alcuna resistenza e, se in un primo momento rimase congelato sul posto, dopo qualche secondo Goku ebbe come la sensazione che ricambiasse, seppur con riluttanza.
La conferma di esserne innamorato gli giunse in quel momento, quando non provò alcun pentimento per ciò che stava facendo e, al contrario, avrebbe solo voluto andare avanti ad assaggiarlo, mettergli le mani addosso e non permettergli di allontanarsi neanche per sbaglio.
Un vero peccato che il suo istinto non gli avesse suggerito anche di parare quel pugno in piena faccia. Barcollò all'indietro con uno zigomo bruciante e nella mente solo dei grandi segnali di pericolo.
«Ahiaaaaaa!» si lagnò, con le mani premute sulla faccia e due lacrimoni ai lati degli occhi.
Cosa diamine era andato storto? Un secondo prima si stavano baciando e un secondo dopo Vegeta lo aveva respinto come un appestato.
Il Principe dei Saiyan, ansante e furioso, lo guardò come se avesse appena subito il peggiore degli affronti.
«Questa... cosa» ansimò, con un lieve tremore della voce. «Questa cosa non doveva accadere!»
Goku era ben lungi da pensare lo stesso. E, una volta che il dolore allo zigomo si attenuò, divenne serio.
«Guarda un po', invece è successo!» lo provocò, insolente come poche altre volte era stato. «Ti ha fatto così schifo?»
Vegeta si indispettì e digrignò i denti. Iniziò a piovere, poche gocce, qualche tuono lontano.
«Sì» rispose, secco. Molto meno secco di quanto avrebbe voluto risultare. Mentiva.
Una piccola finestra per poter agire, per Goku. Si avvicinò di nuovo e, sebbene Vegeta provò a indietreggiare di qualche passo, egli fu più veloce, categorico. Gli poggiò il palmo aperto sul petto, sul cuore. Vegeta era ancora... malato. Così come lo era lui.
«Non sembra che ti sia dispiaciuto» mormorò, avvicinandosi un poco più al suo volto.
Vegeta strizzò gli occhi e corrugò la fronte.
«Kakaroth, ti prego, ti prego, smettila...» una supplica poco convincente.
Goku lo baciò di nuovo, intrappolandolo contro il muro d'ingresso di casa sua.Vegeta, sempre a occhi chiusi, mugugnò una protesta senza né capo né coda.
«Fermami» disse Goku, staccandosi per un secondo. «Se non mi vuoi... fermami adesso» si aggrappò alle sue spalle e le strinse più forte, poi lo baciò un'altra volta. Vegeta, immobile, sembrava voler lottare contro un nemico impossibile da battere. Un altro bacio, prima sulle labbra, poi sul mento, poi sul collo.
«Ka... Kakaroth... fermati».
Ma, proprio quando Goku - con estrema difficoltà - cessò di baciarlo e si ritrovarono a guardarsi negli occhi, Vegeta decise che quello fosse il momento più adatto per arrendersi.
Alzò gli occhi al cielo, sarcastico e cinico come suo solito. «Oh, 'fanculo» soffiò infine.

Gli prese le guance e lo avvicinò con un gesto imperativo. Fu lui a baciarlo. Fu lui a divorargli la faccia, le labbra, il collo, il mento. Giusto perché era evidente che dovesse essere lui – sempre - a dettare le regole del gioco.
Ma andava bene così, andava benissimo così. Persino quando, con una forza bruta, lo spinse contro il muro opposto e gli saltò addosso come un leone. Alla faccia di chi provava schifo.
Una sola cosa fu chiara a Goku, da quel momento in poi: c'era nebbia intensa intorno al cervello che gli impediva di pensare. Non rifletté più. Non c'era senso di colpa, non c'era più dolore. Tutto il malessere delle precedenti settimane, la confusione, il tumulto, la mancanza. Non c'era più niente se non le mani di Vegeta addosso e, una volta tanto, non per fargli del male.
Ma erano pur sempre due Saiyan - la delicatezza non era parte del loro essere - e ben presto si ritrovarono a infrangere il tavolo del soggiorno e ribaltare il divano senza neanche rendersene conto.
Nonostante i vestiti strappati di dosso in malo modo, i morsi sul collo e le unghie nella carne, era quanto di più dolce Goku avesse mai provato. Niente impaccio, niente imbarazzo. Non pensava nemmeno di esserne in grado, era qualcosa che non gli era mai venuta naturale prima d'allora. Come se fosse sotto controllo dell'Ultra Istinto, ma senza alcuna trasformazione.
Ogni gesto, ogni sguardo, tutto sembrava combaciare.
«È sbagliato, Kakaroth, è sbagliato! Tutto questo è sbagliato!» mormorò Vegeta, fronte contro fronte.
«Dobbiamo fermarci?»
«Che cazzo, no!»
Frasi incoerenti. Diceva che era sbagliato, ma non c'era niente di più giusto. Non c'era nulla, nulla di più giusto che loro due, insieme. La pioggia là fuori, le luci fievoli, il solletico della schiena contro il tappeto.
Una coperta verde acqua, polpastrelli ovunque. La pelle calda, il profumo di bagnoschiuma al tè verde. Anche sentire male sembrava bene.
Niente di più giusto. Niente di più semplice.
Goku non odiava più l'amore.


 


Il soffitto di casa di Vegeta era bianco. C'era una piccola falena vicino al lampadario. Goku la osservava svolazzare pigra, annoiata. Strinse le dita intrecciate a una mano calda. Un avambraccio dietro la nuca, nocche che gli sfioravano la spalla, su e giù, piano. Un contatto inaspettato.
Si voltò un secondo verso Vegeta e anche lui sembrava trovare quella falena davvero, davvero interessante. La calma, la pace.
Il profilo appuntito del Principe era disteso. Non c'era più rabbia in quegli occhi. Il respiro lento, il petto che si muoveva al suo stesso ritmo.
Goku sistemò meglio il capo sull'avambraccio dell'altro e tornò con lo sguardo sul soffitto, poi chiuse gli occhi. Forse dormì un poco, forse invece sostò in quella bolla a metà tra il passato e il futuro, godendosi solo il dolce far niente e un tocco calmo, più delicato di quanto si fossero mai concessi.


Un illusione che non perdurò per sempre come avrebbe voluto, anche se il risveglio fu meno brusco di quello che Goku si potesse aspettare. Voltò il capo e trovò gli occhi di Vegeta addosso, un poco più cupi di prima. Quanto prima? Non riuscì a quantificare quanto tempo fossero rimasti lì.
«E sì che ho sempre pensato fosse una cosa platonica» mormorò Sua Maestà.
Goku corrugò la fronte.
«Pla-che?»
Vegeta si sforzò con molta evidenza di non scoppiare a ridere, o forse di non tirargli un pugno in faccia – di nuovo.
«Sei un deficiente».
Goku, invece, non si trattenne affatto dal ridere. Gli erano mancati anche i suoi insulti.
«È bello sentirtelo dire».
Vegeta alzò gli occhi al cielo poi, con uno sforzo piuttosto visibile, tolse l'avambraccio da sotto la sua nuca e si alzò a sedere con un sospiro.
«Io... Kakaroth... non so davvero cosa fare» ammise poi, con la testa tra le ginocchia.
Goku si affiancò a lui e iniziò a giocare con un lembo della coperta. Si guardò intorno per un attimo e rimase scioccato dal disastro che si erano lasciati dietro.
Cosa fare, chiedeva Vegeta. Beh, riordinare non sarebbe stata una cattiva idea, ma era evidente che non si stesse riferendo affatto alle condizioni del salotto.
«Suppongo che... dovremmo abituarci a questa cosa. Accettarla?»
Vegeta rabbrividì.
«Non è semplice».
Forse non lo era per davvero. O meglio, era stato semplice lasciarsi andare, fare ciò che avevano fatto, amarsi in quel modo istintivo. Ma le conseguenze?
Se fosse accaduto prima, Goku non si sarebbe neanche preoccupato delle implicazioni. Ma in quei mesi era cresciuto tanto, aveva imparato che ogni azione avesse una conseguenza. Che la vita non fosse semplice e giusta come quella bolla in cui aveva sperato di sostare più a lungo.
«Lo so. Non è stato facile nemmeno per me capire tutto questo in pochi mesi. La mia coscienza, i miei sentimenti... scoprire che... che non ho mai amato mia moglie. Che stavo con lei solo per comodità» confessò Goku, con un sorriso amaro.
Quella era senza dubbio una conferma. Non aveva mai amato Chichi, non si era mai sentito in quel modo con lei. Le sue mani addosso non erano giuste come quelle di Vegeta.

Il Principe lo guardò di sbieco, forse colpito da tale affermazione. Ma c'era paura nei suoi occhi, Goku la poteva scorgere. Lo conosceva bene.
«Non possiamo stare insieme. Tutto questo è un stato errore».
Quello fece male. Molto male, sebbene Goku sapesse che fosse solo derivato da ancestrali paure. Si lasciò sfuggire uno sguardo ferito che Vegeta, suo malgrado, non riuscì a sopportare.
«No, Kakaroth, non... non è per te» si affrettò a dire.
«”Non sei tu, sono io!?” Sarò anche stupido, ma questi cliché sono piuttosto famosi sulla Terra».
«E da quando in qua sai cosa significa la parola cliché?» domandò, ma Goku lo guardò di nuovo storto. Vegeta alzò gli occhi al cielo e sospirò forte, poi si sistemò a sedere più comodo sul tappeto. «Senti, lo sai che ti odio davvero tanto alle volte, che mi fai uscire dai gangheri. Ma non hai nulla di sbagliato... è questa situazione a esserlo».
Goku si rilassò un poco. Non aveva senso mettere il broncio: sapeva si sarebbe rivelato difficile, che Vegeta fosse più testardo di un mulo, che non sarebbero bastate quattro moine per tenerselo vicino.
Si armò di santa pazienza, incrociò le gambe sotto la coperta e lo fronteggiò con sicurezza.
«Dimmi, cosa c'è di sbagliato?»
Sua Maestà abbassò lo sguardo e fece spallucce. Intimidito? Non era mai stato timido.
«Ho dei figli. Tu hai dei figli. Siamo due uomini. Sulla Terra non è... non va bene» sospirò.
Goku si sorprese di quell'ultima affermazione. Non aveva mai pensato a quella cosa. E, a dirla tutta, non aveva mai pensato che potesse non essere accettata. Però era curioso.
«E su Vegeta-Sei?»
Vegeta rimase stupito da quella domanda. Avevano parlato qualche volta del loro pianeta d'origine, ma mai si erano spinti a tanto.
«Su Vegeta-Sei era normale, tra la terza classe, però. Se a un Saiyan della corte reale piacevano gli uomini, doveva comunque prendere in sposa una donna per generare figli, degli eredi».
Goku ci impiegò qualche istante a comprendere le implicazioni di quella frase ma, quando capì, sgranò gli occhi fino a farseli uscire dalle orbite.
«... ed è quello che hai fatto! Tu... tu lo sapevi? Tu sapevi che...» balbettò.
«Sì. Lo sapevo» ammise Vegeta. Un leggero colore rubino tinse le sue gote. «Ma Bulma... io le ho voluto bene per davvero. L'ho amata, ho amato il modo in cui mi ha cambiato, mi ha accettato, la sua personalità. Solo che... beh... non è...»
«Un uomo. Io lo sono» concluse Goku, con semplicità.
«Grazie, me ne sono accorto».
«Non dirmi che reputi sbagliato tutto questo perché sono di terza classe» disse Goku, stranito.
Vegeta alzò le spalle con fare distratto.
«Beh, forse questo fa parte del problema. Mi hai superato nella lotta, hai vissuto con i Terrestri... sei sempre stato diverso da me. Eppure... eppure sono stato cieco da non vedere quanta invidia ci fosse dietro il mio odio. Quanto... cosa ci fosse nascosto. Su Vegeta-Sei non era consentito ai principi di frequentare una persona di basso rango. Era considerata una grave onta familiare».

Parole. Solo un sacco di parole che giravano intorno a qualcosa. No, Goku non l'avrebbe bevuta, o non avrebbe accettato tutte quelle scuse come risposta.
«Non siamo più su Vegeta-Sei. Ci abbiamo vissuto pochi anni delle nostre vite. È davvero così importante, adesso? Non ci sono classi sociali, qui. Nella Regione dell'Ovest so che non c'è problema di discriminazione. I nostri figli... non sono retrogradi. E non dobbiamo per forza farglielo sapere nell'immediato. Di cosa hai paura, Vegeta?» domandò, serio.
Il Principe divenne più rigido e, giusto per far scoppiare quella bolla, si alzò.
Iniziò a rivestirsi con foga, senza guardarlo in faccia. Goku recuperò da terra i suoi indumenti – quello che ne era rimasto – e fece lo stesso.
«Non ho paura di niente» rispose secco, terminando di infilarsi i pantaloni.
Bugie. Goku glielo leggeva in faccia. Aveva imparato a conoscerlo bene in tutti quegli anni, e capiva quando mentiva. Aveva capito che mentiva quando si era finto un completo stronzo senza cuore, aveva capito che mentiva quando aveva detto che non gliene fregasse niente di nessuno e si era lasciato possedere da Babidi.
Vegeta aveva sempre tentato di nascondere la parte migliore di sé, eppure lui l'aveva sempre trovata, l'aveva sempre vista. Per quel motivo gli aveva dato una possibilità, all'inizio. E gliel'aveva data di nuovo, e di nuovo ancora.
Il Principe era orgoglioso, voleva nascondere le sue paure, voleva nascondere il suo orgoglio, le sue insicurezze. Ma non le poteva nascondere a Goku. Non più.
«Stai mentendo» soffiò. Si avvicinò a lui e gli prese un avambraccio per costringerlo a guardarlo in faccia. «Perché stai mentendo? Mi hai detto che non sono sbagliato, eppure sembra proprio questo il problema. Sono io il problema?»
Vegeta si divincolò e divenne livido.
«Kakaroth, dannazione! Ce ne sono tanti di problemi, troppi. Ce ne erano tanti prima, ce ne sono tanti ora. Come puoi pensare di tornare qui dopo tre anni, quando tutto è cambiato, e pretendere di fare l'allegra famigliola?» ringhiò, adirato. «Di fare i fidanzatini? Mi viene il vomito solo a pronunciarlo!»
Per un attimo i suoi occhi divennero ancor più scuri, taglienti. Come il giorno in cui Goku era tornato da Vampa.
Avrebbe preferito un pugno.
«Ah, allora è questo il problema» urlò Goku, costernato. «Tu ancora non mi hai perdonato per essermene andato! Tu non... tu non ti fidi di me!»
Gli sembrava incredibile che, dopo mesi e mesi e tutto ciò che era accaduto, fossero ancora a quel punto.
«Beh, mi risulta giusto un tantino difficile farlo, quando da un minuto all'altro potresti trovare un nuovo combattente venuto da chissà dove e andare ad allenarti con lui. Perché è questa la tua natura, sei fatto così. Quanto durerà questa messinscena del padre di famiglia?» sibilò il Principe, con una cattiveria che non gli apparteneva più da un bel po'.
Goku poteva capire la sua paura, poteva comprenderla. Ma quello che aveva dimostrato in quei mesi non significava niente? Tutti erano riusciti a metterci una pietra sopra, persino Bulma.
Perché il maledetto orgoglio di Vegeta gli impediva di farlo? Perché non poteva accettare di perdonarlo e di vivere quel rapporto?
«Vegeta, io non me ne andrò... lo sai, io... sono cambiato» sussurrò.
Gli si avvicinò e tentò di prendergli la mano, di nuovo, ma Vegeta la scansò. Abbassò lo sguardo, quasi si vergognasse di quella paura.
«Forse mi ci vuole del tempo per crederci» sussurrò il Principe, infine. Gli tremava la voce, ma si mordeva il labbro come per trattenere qualcosa.

 
Fidati di lui”.

Goku avrebbe voluto urlare, ma non lo fece. Era cambiato per davvero, cosa avrebbe dovuto fare per dimostrarlo? Perché non riusciva a ottenere la sua fiducia?
«E ora?»
«E ora io voglio solo che tu esca da quella porta». Vegeta si voltò di spalle nel dire quelle parole.

 
Non permettergli di aprire quella porta”.

Una fitta al petto, di nuovo. Come a Natale. Come quando Vegeta l'aveva cacciato. Perché, dopo tutto l'impegno, stava ricevendo solo coltellate?
«... non puoi... non puoi mandarmi via, adesso. Non dopo che...» dovette impegnarsi per non piangere. Era ingiusto, troppo ingiusto.
«Posso. Posso, Kakaroth. Posso, e devo. Lo devo a me stesso».
Vegeta non lo guardava, era girato in mezzo a quel salotto distrutto, con i pugni stretti e la testa bassa. Goku barcollò indietro, fino alla porta. L'aprì con fatica, come se sapesse che una volta varcata quella soglia ci sarebbe stato solo freddo. Freddo, dolore. Vita reale.
«Almeno... ci penserai?» mormorò flebilmente.
Vegeta tremò. Era un singhiozzo?
«Sì...» disse. Mentiva. «Ma adesso... ti prego, vai via, Kakaroth».

 
Non lasciarlo andare”.

Goku lo guardò un'ultima volta. Poi varcò la soglia.
Freddo, dolore. Vita reale.



Goku si chiuse la porta alle spalle e si rese conto di quanto la vita non fosse semplice. Di quanto niente fosse semplice come quella bolla di felicità.
Si rese conto che le illusioni fanno male e, anche se ci si impegna a fondo, anche se si fa di tutto per cambiare, non sempre ciò dà i frutti sperati.
Perché Vegeta non tornò. Vegeta non lo cercò.
Bulma gli disse di insistere ancora, Crilin gli suggerì di aspettare che fosse lui a farsi vivo.
Trascorsero le settimane, passarono i mesi, ma Vegeta non lo chiamò più e il suo mondo sembrava aver perso ogni colore, ogni sfumatura.
Sentiva ancora le sue mani addosso, sentiva ancora quel tocco calmo sulla spalla e, se chiudeva gli occhi, poteva vedere la falena annoiata sul soffitto. Poi li apriva e si rendeva conto di essere solo, di avere freddo, che non ci fosse alcuna coperta verde acqua a coprirlo e nessun avambraccio dietro la nuca.
Gli sarebbe mancato ancora, gli sarebbe mancato sempre. Le loro battaglie, i loro battibecchi, il modo in cui lo chiamava “Kakaroth” con quel tono acido, le lunghe pause dopo gli allenamenti. I suoi silenzi, i suoi sguardi seri, il modo in cui arricciava le labbra per non sorridere delle sue pessime battute o delle sue idiozie.
Capire di averlo perso come amico, come rivale, come... come qualsiasi cosa, lo faceva stare male. Ma avrebbe dovuto accettarlo. Avrebbe dovuto accettarlo da quando era tornato e lui l'aveva guardato in quel modo che gli mozzava il respiro.
Goku imparò che la vita non è giusta, che la vita non è come la si desidera.
Vegeta si era preso il suo amore e non gliel'aveva più ridato indietro.
Odiava l'amore.
Era quello, dunque, il grande pegno di essere umani? Soffrire?


 


Goku guardava il cielo d'estate e sorrideva alle stelle. Lo spazio era lontano, ma avrebbe sempre accolto il suo sguardo alieno.
«Papà... è pronta la cena». Goten si affacciò con un sorriso dalla porta della casa di Gohan. Gridolini di gioia all'interno, le risate di Pan che faceva il solletico ai gemelli. La voce di Videl che si complimentava con Gohan per aver preparato una cena deliziosa.
Goku lanciò un'ultima occhiata al cielo e richiamò il pensiero a sé, poi sorrise al suo secondogenito. Lui l'aveva perdonato. Loro lo avevano perdonato, e in quei mesi avevano costruito qualcosa di meraviglioso. Era diventato un buon padre.
Aveva ancora dei buoni motivi per rimanere sulla Terra. Li amava, e si sentiva amato.
La lezione di vita che aveva ricevuto dopo che era tornato da Vampa gli era costata cara, ma aveva imparato.
Essere umani era difficile ma, nonostante tutto, ne valeva la pena.
«Arrivo».


 
終わり



Cos'è successo, Kakaroth?
È successo che il tempo è passato e non mi ha dato alcuna risposta. È successo che non sono cambiato e tu invece sì. È successo che non ti ho dimenticato, mai, neanche un giorno.
Ma è anche successo che sono passati undici anni e non ho mai trovato il coraggio di dirti niente.
Undici anni da quella notte e tu sei cresciuto, hai mantenuto tutte le tue promesse. Non sei più andato via. E io non ti avevo creduto e mi sono rotolato nelle mie stesse paure.
Non ti ho mai dato una vera possibilità.
Tu hai saputo perdonarmi errori ben più gravi e io, invece, ti ho allontanato per così poco. Tu mi avevi salvato, mi avevi cambiato, e io non ho saputo fare lo stesso con te. Non ho mai avuto un grande cuore come l'hai avuto tu con me e questo dimostra che non ho mai smesso di essere il cattivo, in tutta questa storia.
Non ho mai dato una vera possibilità a noi, e non solo per colpa tua. Soprattutto per colpa mia. “Non sei tu, sono io”. Che stupido, veritiero, maledettissimo cliché terrestre.
Ti ho detto che eravamo sbagliati.
Beh, in undici anni non mi sono mai sentito così giusto come quando eravamo sbagliati.
Undici anni di amaro e placido far finta di niente durante le cene e i pranzi in famiglia, eventi obbligati. Tu che sorridevi a tutti tranne che a me. Con me non sorridevi mai, alzavi le guance e facevi finta.
Undici anni che sembrano essere passati lenti e in fretta allo stesso tempo. Tutti i nemici che sono arrivati li abbiamo sconfitti l'uno accanto all'altro, come abbiamo fatto anche in passato. Ma non era più la stessa cosa, non è vero? Eravamo vicini, ma neanche ci guardavamo.
Non abbiamo più combattuto insieme, non abbiamo più affrontato niente allo stesso modo.
Kakaroth, non ho mai smesso di essere malato. Lo sono ancora di più ora e, se potessi fare qualcosa... qualsiasi cosa per tornare a quella notte, lo farei. Fidarmi di te, mettere da parte l'orgoglio che mi ha sempre divorato.
Ma purtroppo non posso far scorrere indietro le lancette di questo dannato orologio. Posso solo aspettarti, e io ti aspetterò.

Dovrò solo trovare il coraggio di darti questa lettera e tu avrai tutto il diritto di urlarmi contro quanto mi odi e quanto non ho il diritto di tornare da te dopo tutto questo tempo. Che è troppo tardi, che devo andare a farmi fottere.
Ma lo farò lo stesso, anche a costo di prendermi una porta in faccia come io l'ho data a te.

Lo devo a me, lo devo a te, lo devo a noi.

 
Questa malattia è la mia condanna e tutto ciò che mi tiene ancora in vita.
Perdonami.
 
Vegeta IV

 
 
Continua...

Riferimenti:
-終わり: questa scritta in kanji significa "Owari": Fine. Ho voluto metterla perché in qualche modo quello potrebbe essere il finale di questa storia, ma poi... beh, dovrete leggere il prossimo capitolo, l'epilogo, per scoprire cosa intendo.
-Il fatto che sul pianeta Vegeta l'omosessualità fosse normale ma che i Saiyan di prima classe dovessero sposare una donna per procreare è tutta mia fantasia. Questo concetto differisce leggermente da come intendevo in HAKAI la società Saiyan - ossia che fossero tutti bisessuali, famiglie allargate, ecc ecc - semplicemente perché questa storia è stata scritta prima (nel 2020) ma pubblicata solo ora, e non volevo alterare le cose. 

 
ANGOLO DI EEVAA GRACE:
Holaaa, gente di mare! Sono in anticipo, perché domani sarò al Como Fun! In quanti presenti?
Anywayyyy ci risiamo con la sofferenza, con l'angst, con tutte queste cose che ci piacciono tanto. Giusto perché non sono in grado di scrivere una storia d'amore semplice, lineare, in cui tutti vivono per sempre felici e contenti. NO.
Dai, è di Vegeta che stiamo parlando. Ci ha messo metà della sua vita a far pace col cervello e diventare quello che conosciamo... direi che undici anni per capire il suo errore sono pure pochi. LOL. Maledetto coglione.
Povero Goku T___T beh, direi che dopo questa batosta ha finalmente capito molte cose. 
Ma parliamo del finale! Anzi, non è che posso parlarne molto, perché altrimenti spoilererei l'epilogo della storia, ma sappiate che ruota tutto intorno a quella lettera scritta dal nostro Principe dei Disadattati. E ci sarà... beh, un bel cambiamento. Non voglio anticiparvi troppo, ma sappiate che l'unico motivo per il quale ho deciso di pubblicare questa storia (che un po' ancora odio) sono questi ultimi due capitoli, gli unici che mi convincevano xD
Spero che piacciano anche a voi.
A domenica prossima con l'epilogo - per i temerari che ancora non mi sfanculano dopo tutto questo angst. Un abbraccio,
Eevaa Grace




 
Nel prossimo capitolo:
... scherzone. Niente anticipazioni. Perché sono bastarda fino alla fine.

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Capitolo 8
*** Un'altra vita ***


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- SOMETHING HUMAN -


Capitolo 8
Un'altra vita

L'ironia del destino vuole che
Io sia ancora qui a pensare a te
Nella mia mente flash ripetuti
Attimi vissuti con te
È passato tanto tempo, ma
Tutto è talmente nitido
Così chiaro e limpido
Sembra ieri
Ieri avrei voluto leggere i tuoi pensieri
Scrutarne ogni piccolo particolare
Ed evitare di sbagliare
Diventare ogni volta l'uomo ideale

C'era un sottile strato di polvere sui comandi di quell'aggeggio infernale. Possibile che anche dentro le capsule Oplà gli oggetti si impolverassero?
Vegeta soffiò sui pulsanti e una nuvoletta lo fece tossire. Pregò ogni divinità a lui conosciuta che quell'affare si accendesse e, dopo aver azionato la chiusura della cupola, premette il tasto di accensione.
Qualche cigolio, qualche calo di tensione.
«Avanti, vecchio catorcio». Bulma l'avrebbe senz'altro rimproverato dei metodi rozzi, ma lui era fermamente convinto che il modo più efficacie per far partire un vecchio trabiccolo fosse quello di prenderlo a pugni.
«Avanti!» ringhiò, tirando un altro pugno sul display dei comandi. E, finalmente, dopo qualche singhiozzo, la Macchina del Tempo prese vita. «E che ci voleva?!»
Non l'avevano mai adoperata. Bulma l'aveva costruita dopo il torneo di Cell per qualsiasi evenienza, ma non ce n'era stato bisogno. Quando Mirai Trunks era tornato avevano utilizzato la sua, per fronteggiare il pericolo di Zamasu, perciò Vegeta ricordava come far funzionare quell'affare.
E, inutile dirlo, le coordinate spazio-temporali le aveva ben chiare in mente. Da undici maledettissimi anni.
Non avrebbe mai dimenticato quella notte, non lo aveva mai fatto. Ogni giorno della sua esistenza ripensava a quanto accaduto, ogni giorno era stato tentato di tornare sui propri passi e porre rimedio alla più mastodontica cazzata della sua vita. Man mano che il tempo era passato si era convinto che fosse troppo tardi. Aveva accampato scuse su scuse, maledetto il suo orgoglio!
Non era mai stato certo della decisione presa ma, dopo mesi, dopo anni, il pentimento si era fatto sempre più forte.
Dopo undici anni l'unico suo grande desiderio era quello di poter tornare indietro, di poter rimediare. Tuttavia era conscio che, per lui – per loro – non ci fosse più oramai speranza.

«Vegeta... non è mai troppo tardi».

Gli aveva detto Bulma. Poi gli aveva consegnato la capsula. Aveva sempre pensato che lei l'avesse distrutta, dopo che gli Dei li avevano minacciati di estinzione per aver viaggiato troppo nel tempo.
Invece la Macchina del Tempo era lì, sotto le sue mani, perfettamente funzionante – forse.
Era incredibile che, tra tutti, proprio Bulma l'avesse spinto a prendere coraggio, lei che aveva sofferto così tanto! Proprio lei che, per anni, aveva faticato a rivolgergli la parola.
Al giorno d'oggi era grato che fossero tornati in buoni rapporti. Che riuscissero persino a uscire insieme, partecipare alla vita dei loro figli.
Così era stata lei a convincerlo, a suggerigli che ci fosse ancora una possibilità.

«Non cambierà quello che ho fatto».
«No, ma darai la possibilità a qualcuno di avere un futuro migliore».


Vegeta alla fine si era convinto che lo meritassero.
Inserì le coordinate di tempo e di luogo e, dopo aver immagazzinato coraggio e determinazione con un lungo respiro, lo premette.
Lo avrebbe fatto per Kakaroth.




Corse nella notte di nuvole dense, corse veloce per raggiungere quella che era stata la prima e l'ultima volta. La prima e l'ultima volta che si era sentito nel posto più giusto.
La casa era illuminata da luci di cortesia fievoli, traballanti. Trattenne il respiro nonostante il fiatone, azzerò l'Aura e si avvicinò lento all'entrata sul retro. Il display d'accesso riconobbe le sue impronte digitali e la serratura si aprì. Si ritrovò in camera sua, buia, silenziosa.
Tutto era così pacifico, così rasserenante come i respiri lenti provenienti dal soggiorno.
Vegeta seguì il debole fascio di luce e aprì la porta socchiusa. Giusto uno spiraglio, quanto bastasse per spiare il soggiorno e morire di dolore a quella vista.
Tra il divano rovesciato e il tavolino mezzo rotto loro erano lì, sdraiati, sotto una coperta verde acqua. Kakaroth appoggiato sul suo avambraccio che fissava una falena annoiata intorno al lampadario.
Vegeta avvertì una morsa dolorosa allo stomaco. O forse era un attacco di cuore? Sarebbe morto lì? Sarebbe morto nell'assistere con i propri occhi il giorno – o meglio, la notte – in cui si era distrutto la vita con le proprie mani? Sarebbe morto nel vedere quanto quello che lui aveva chiamato “errore” era ciò che di più giusto ci fosse?
L'unica notte in cui si erano concessi di amarsi per davvero.
«E sì che ho sempre pensato fosse una cosa platonica».
La sua stessa voce risuonò placida nel salotto, e Vegeta sobbalzò. Era dunque giunto al momento opportuno. Platonica un bel niente, pensò.
«Pla-che?»
Vegeta sbuffò e non riuscì a non sorridere. Quel gran deficiente! – la voce della versione passata di se stesso ribadì lo stesso concetto.
Kakaroth era sempre riuscito a farlo ridere, nonostante all'esterno il massimo che si era concesso fosse stato alzare un angolo della bocca. Kakaroth e le sue idiozie da decerebrato. Kakaroth e quello sguardo gioioso, il cuore grande, il sorriso da bambino.
Quanto gli erano mancate quelle piccole cose, in quegli undici anni. Gli erano mancate le loro battaglie, i loro battibecchi, tutte le volte in cui Kakaroth lo mandava ai matti. Gli era mancata la loro rivalità e la loro amicizia.
Oh, sì, erano stati amici, sebbene lui lo negasse. Aveva faticato a realizzare che quello che provava andasse ben oltre l'amicizia. Non si era mai reso conto di quanto ci tenesse a lui - da ben prima del Torneo del Potere, da ben prima di Majin Bu, da ben prima di Cell o di Freezer.
Da quando gli aveva risparmiato la vita, dopo la loro prima grande battaglia, qualcosa era scattato.
Un sentimento che era cresciuto, l'aveva divorato dall'interno sempre di più ogni volta che tentava di reprimerlo, di tenerlo celato persino a se stesso.
Poi un giorno Kakaroth se ne era andato per tre anni e lui, oltre a rendersi conto di cosa fosse quel sentimento, non aveva saputo perdonarlo. Non aveva saputo gestire che tutto fosse cambiato, le conseguenze di quell'allontanamento, il fatto che Bulma avesse capito e l'avesse lasciato. Non aveva saputo perdonare che Goku fosse tornato e avesse preteso che tutto tornasse come prima, che tornassero amici.
E, infine... quella notte. Quella notte che aveva davanti agli occhi, quando Kakaroth si era presentato da lui alle tre del mattino e gli aveva poggiato una mano sul cuore.
Maledetto figlio di puttana.
Non aveva saputo resistergli e, insieme, avevano distrutto mezzo salotto nel consumare fino alla fine quel sentimento tenuto represso per anni.
Era stato lo sbaglio migliore.
«Non possiamo stare insieme. Tutto questo è un stato errore».
L'errore migliore.
Vegeta li ascoltò discutere lì, seduti per terra, ancora nudi e arruffati. Una discussione che, sapeva bene, ci avrebbe messo poco per degenerare in quello che invece era stato lo sbaglio peggiore. L'errore, quello vero.
«Di cosa hai paura, Vegeta?»
«Non ho paura di niente».
Bugiardo. Gli aveva mentito deliberatamente, aveva mentito a se stesso. Aveva avuto una paura fottuta. Aveva avuto paura delle conseguenze, aveva avuto paura di quello che avrebbe comportato stare insieme ma, soprattutto... aveva avuto paura di lui.
Che se ne sarebbe potuto andare nuovo, che alla prima occasione avrebbe trovato un altro combattente più forte di lui – come aveva fatto con Broly – e se ne sarebbe andato.
Aveva avuto paura che si sarebbe comportato come si era comportato in precedenza con la propria famiglia. Aveva avuto paura di essere abbandonato.
«Vegeta, io non me ne andrò... lo sai, io... sono cambiato».
Kakaroth non aveva mentito. Era cambiato per davvero e lui ce le aveva sotto gli occhi le prove, eppure non le aveva sapute guardare.
Lui si era rivestito di tutta fretta e neanche l'aveva guardato negli occhi, mentre diceva di non fidarsi di lui. Di non fidarsi di ciò che diceva.
Stupido, stupido idiota.
«Fidati di lui» mormorò supplichevole Vegeta, chiuso dietro porta, al buio di una stanza. La pioggia, fuori, batteva incessante.
Quasi sperava che le cose sarebbero potute andare diversamente, quella volta.
«E ora?»
«E ora io voglio solo che tu esca da quella porta, Kakaroth».
Il Principe digrignò i denti nel guardare agire se stesso, sempre più idiota, sempre più stupido.
«Non permettergli di aprire quella porta» ringhiò, così arrabbiato che quasi ebbe paura l'avessero sentito.
«... non puoi... non puoi mandarmi via, adesso. Non dopo che...»
«Posso. Posso, Kakaroth. Posso, e devo. Lo devo a me stesso».
Cazzate, pensò Vegeta, mentre guardava Kakaroth abbassare la testa, affranto. Era doloroso vederlo in quello stato, quando fino a poco prima sapeva gli avesse sorriso contro la bocca e, affidandosi a lui, si fosse lasciato amare incondizionatamente.
Era doloroso non sentirlo ridere, era doloroso guardare i suoi occhi lucidi. Forse per quel motivo Vegeta del passato nemmeno lo guardava in faccia perché, se lo avesse fatto, avrebbe tradito ciò che desiderava per davvero e l'avrebbe frenato.
«Almeno... ci penserai?» lo supplicò Goku.
«Sì...» disse Vegeta del passato. «Ma adesso... ti prego, vai via, Kakaroth».
Maledetto codardo. Maledettissimo codardo.
«Non lasciarlo andare» soffiò, supplichevole. Ma non c'era alcuna speranza che le cose si risolvessero da sole, che quel codardo di un Vegeta alzasse gli occhi e lo fermasse.
Quel Vegeta stava solo trattenendo le lacrime per dimostrarsi - per l'ennesima volta - un cinico pezzo di merda.
Kakaroth lo guardò un'ultima volta. Poi varcò la soglia.
Fu doloroso guardarlo andarsene via per sempre.
No, non per sempre. Non quella volta.

 

Senza chiedere perché
Da te mi allontanai
Ma ignoravo che
In fondo non sarebbe mai finita


 

Appena la porta si chiuse, Vegeta del passato si lasciò cadere con le ginocchia sul pavimento, stremato, ucciso. Aveva usato tutta la forza che possedeva per mandarlo via, per non ripensarci, per non tornare sui propri passi. E, soprattutto, per non scoppiare in quel pianto e quell'urlo soffocato dalle proprie mani.
Vegeta, quello del futuro, lo guardò e provò di nuovo quelle sensazioni tra le ossa, tra le pieghe della pelle. Lo ascoltò singhiozzare e maledirsi, pentirsi solo la metà di quanto si sarebbe pentito nei giorni, nei mesi successivi. Negli anni. Per tutta la vita.
Consapevole e inconsapevole allo stesso tempo di aver fatto un enorme, enorme sbaglio.
Provò un gran dolore nel rivedersi in quello stato, ma non c'era tempo da perdere.
Si fece forza e mandò in fumo qualsiasi promessa fatta agli Dei. Avrebbe cambiato le cose.
Aprì la porta e questa cigolò quanto bastasse per far sussultare l'altro, il quale trattenne un singhiozzo e avvampò di colpo, convinto che si trattasse ancora del deficiente entrato con il Teletrasporto.
«Kakaorth! Ti ho detto di anda-» si bloccò non appena lo vide e, da scarlatto, divenne pallido come un cencio. Sgranò gli occhi arrossati e, confuso, non si mise neanche in posizione di difesa.
Che delusione! Se fosse stato un nemico avrebbe potuto ammazzarlo con un solo colpo, vulnerabile com'era.
Vegeta inghiottì l'espressione di disappunto e avanzò ancora verso di lui, decidendo di soprassedere.
«Tirati in piedi» gli disse invece, lapidario.
Ciò bastò per farlo scattare come una molla e, finalmente, tornare a essere il Principe dei Saiyan.
Si alzò con un balzo, aumentò l'Aura e si asciugò le lacrime con un gesto secco, quasi come togliersi il sangue di dosso dopo aver ricevuto un pugno.
Oh, Vegeta gliel'avrebbe volentieri dato, quel pugno.
«E tu chi diavolo saresti?» ruggì l'altro.
«Chi pensi che io sia?»
L'altro lo squadrò dalla testa ai piedi. «Vieni dal futuro» asserì poi, convinto. «O da una dimensione alternativa».
Vegeta sapeva di non possedere le caratteristiche di un comune sessantenne terrestre – i Saiyan vivevano in media centoquarant'anni, quindi la vecchiaia giungeva più tardi – ma i segni del tempo erano un poco evidenti. Una nuova cicatrice sul sopracciglio, l'ultima battaglia.
«E se fossi un nemico con le tue stesse sembianze venuto qui per ucciderti?» disse Vegeta, con un ghigno beffardo.
«L'avresti fatto un minuto fa» replicò l'altro.
Se non altro non era stupido. Che discorsi! Ovvio che non lo era.
«Credo che tu abbia già capito perché io trovi qui» sospirò quindi il Principe, serio.
«A dire il vero non ne ho la più pallida idea».
Forse gli stava dando troppa fiducia. O aveva solo sperato che smettesse subito di mentire a se stesso – letteralmente.
«Stai mentendo,» disse quindi Vegeta, «come hai fatto poco fa con Kakaroth».
L'altro divenne livido.
«Come osi?!»
Testardo, caparbio... idiota. Beh, del resto si conosceva come le proprie tasche, quindi ben sapeva che non l'avrebbe convinto con giri di parole o grandi riflessioni.
Alzò gli occhi al cielo e si fiondò sull'altro, prendendolo per il bavero.
«Stai zitto. Stai zitto e ascoltami bene, perché non c'è un'altra possibilità» berciò. «Se tu lo lasci andare oggi, lo lascerai andare per sempre».
«È la cosa giusta da fare!»
«È la cosa più stupida che io abbia mai fatto in tutta la vita».

Silenzio glaciale calò nella stanza. L'altro tremò.
«C-cosa...?» soffiò, costernato.
Vegeta mollò la presa e lo lasciò andare.
«L'errore più grande, il tormento che mi ha ucciso per undici fottutissimi anni» spiegò, il tono di voce più calmo ma così amaro in bocca da fargli schifo. «E che ucciderà anche te, se questa notte non uscirai da quella maledetta porta e non andrai a riprendertelo, ovunque lui sia».
L'altro trasalì, colpito nell'orgoglio e nella dignità. Quei maledettissimi orgoglio e dignità che avevano corroso la sua vita.
«Non sai quello che mi stai chiedendo» esalò, passandosi una mano tra i capelli.
Vegeta scosse il capo, sempre più convinto di essere stato uno stupido senza materia grigia.
«Sei un coglione o stai solo facendo finta di non capire? Io sono te. Lo so cosa ti sto chiedendo! Lo so quanto ti costi fidarti di lui ma... lo devi fare. Kakaroth era...» deglutì. «Kakaroth era cambiato sul serio. Era cresciuto, e nel profondo del tuo cuore sai che è così. Lui ha saputo perdonarti colpe ben peggiori, abbi cuore di perdonarlo a tua volta».
Vegeta non avrebbe voluto far altro che urlare, nel ripensare a quanto fosse stato ingiusto. Kakaroth l'aveva salvato e perdonato quando ancora era un mostro, un sicario. L'aveva perdonato dopo che si era lasciato possedere da Babidi e aveva ucciso tutte quelle persone. E lui non era stato in grado di perdonarlo per essersene andato per tre anni, per non essere stato un amico perfetto, un padre perfetto, una persona perfetta.
Era stato tremendamente ingiusto.
«Mi stai dicendo che lui non se ne è mai andato?» domandò l'altro, esterrefatto.
«Mai. Mai più. Per undici anni è stato lì, a due passi da me, e io non ho fatto niente se non continuare a pentirmi e maledirmi e chiedermi come sarebbe stato dargli una possibilità, fino a quando...» Vegeta si interruppe, la voce incrinata dal dolore. Spezzato nell'anima, spezzato nel cuore.
L'altro lo notò. Beh, del resto si conosceva.
«Cosa» sussurrò, spaventato, forse già consapevole di cosa significasse quella titubanza.
Vegeta chiuse gli occhi per qualche secondo, nel tentativo di non cedere a quegli orribili sentimentalismi, di non mostrarsi debole e fragile com'era sempre stato e come sempre aveva tentato di nascondere.
Non aveva ancora superato quella fase.
«Fino a quando, per colpa mia e della distanza che ho creato – che stai per creare – non siamo riusciti a combattere insieme. E lui... e lui... lui non c'è più».


Ansimarono pesantemente, sconfitti, sbalzati via dopo a malapena cinque secondi di Fusione.
Il loro nemico rise, rise spavaldo, spietato, in mezzo alle macerie di quel campo di combattimento raso al suolo.

«Perché non funziona?! Kakaroth, perché diavolo la Fusione non funziona!?» urlò, nel panico.
Gli era costato non poco procedere con quella tecnica, di nuovo, dopo tutti quegli anni senza quasi rivolgersi una parola l'un l'altro – a parte qualche evento famigliare obbligato.
Goku ringhiò di frustrazione e si guardò le mani. Tremavano.
«Credo di sapere il perché. Vegeta, non... non può funzionare» soffiò, stanco.
Stavano combattendo da ore, i loro amici erano quasi tutti al tappeto, quella era l'unica possibilità che avevano e non stava funzionando. Non stava funzionando!
«Forse se utilizzassimo i Potar-»
«VEGETA, ATTENTO!»
Lampo di luce verde, fumo grigio.
Vegeta tossì e si fece strada tra la nebbia e il fumo e lo vide. Kakaroth era steso a terra davanti a lui.
Gli si avvicinò svelto, con il fiato mozzato. No. Non poteva essersi preso quel colpo al posto suo. Non poteva essersi messo in mezzo. No.
Si inginocchiò di fianco a lui e lo voltò. Aveva il volto sporco di sangue e il petto squarciato in più punti. No.
«Kakaroth. Kakaroth? Kakaroth, rispondi!» lo scosse debolmente, ma Kakaroth faticava a tenere aperti gli occhi.
Lo prese tra le braccia. Dopo undici anni.
Faceva male e faceva bene.
«Kakaroth, per favore...» ringhiò, scuotendolo di nuovo.
«Vegeta». Un sussurro.
Un unico sussurro, poi i suoi occhi si chiusero.
«NO. NO, KAKAROTH! KAKAROTH!»



Vegeta scosse la testa e rabbrividì.
Kakaroth aveva dovuto morirgli tra le braccia perché lui si rendesse conto di quanto ci tenesse. Aveva dovuto morire dopo che, oramai non più abituati a combattere insieme, avevano fallito.
La Fusione non aveva funzionato e Kakaroth era morto per proteggerlo, intercettando quel fascio di luce per lui.
Oh, Vegeta l'aveva vendicato eccome. Alla fine avevano vinto, ma lui aveva perso tutto. Aveva perso lui, un'altra volta.
Quindi no, non avrebbe permesso a quello sciocco Principe del passato di commettere lo stesso errore. Lo doveva a se stesso, lo doveva a Kakaroth. Lo doveva a quello che erano stati.
L'altro rabbrividì, comprendendo quello che Vegeta stesse tentando di spiegargli.
«... Kakaroth... lui non può...» balbettò, nel panico. «Tu devi riportarlo in vita! Perché non lo hai riportato in vita!?»
«Non sono qui per sentirmi dire cosa devo fare. Lo so già cosa devo fare!» berciò Vegeta, adirato.
La lettera che aveva in tasca pesava come un macigno. L'aveva scritta poco prima di partire per quel viaggio nel tempo. Una lettera per lui, per Kakaroth, per mettere nero su bianco tutto il suo dolore, il pentimento rispetto a quegli anni.
Non sapeva nemmeno se e quando avrebbe potuto dargliela.
«Sono qui per evitare che tu faccia la cazzata più enorme della tua vita» continuò quindi Vegeta. Non era davvero il momento di pensare a se stesso. «Fidati di lui. Glielo devi».
L'altro si incupì di nuovo, riluttante.
«Ma poi... gli altri... Trunks, Bra, Goten... Bulma... cosa-».
«Non trovare altre scuse. Basta con le stronzate! Vai da lui e affrontate tutto questo insieme. Tutto... ma dovete farlo insieme. Tu lo sai che... sarà lui a darti la forza. Lo ha sempre fatto».
Lo avevano sempre fatto per davvero. Lui e Kakaroth avevano affrontato sempre tutto, insieme. Persino quando erano ancora di due fazioni opposte, su Namek. Persino quando non erano ancora diventati amici. Avevano affrontato le migliori battaglie e i peggiori nemici. Sempre insieme, e insieme avevano superato tutto.
L'altro sembrò andare in escandescenza. La realizzazione. Come una sberla in piena faccia, come un secchio d'acqua gelata.
Si portò le mani tra i capelli e iniziò a camminare in giro per la stanza, in panico.
«Ho fatto una cazzata... ho fatto una cazzata, Zeno maledetto, ho fatto una cazzata» si ripeté, oramai consapevole.
Aveva funzionato.
«VAI!» lo spronò quindi Vegeta, soddisfatto, sollevato di aver portato a termine la sua missione. «Vai subito da lui! Sai bene dove trovarlo».
L'altro annuì in modo convulso, rinvigorito. Fece per scappare veloce fuori dalla porta, ma un attimo di esitazione lo colse. Si voltò e lo guardò con occhi preoccupati.
«Ma... ma tu? Cosa ne sarà di te? Di Kakaroth?»
Vegeta si morse il labbro.


«Non è troppo tardi nemmeno per te... per voi».
«Bulma... lui non c'è più».
«Altre scuse. Polunga lo riporterà da noi tra qualche mese, quando le Sfere torneranno attive».
«Ma lui non mi perdonerà mai. Sono passati undici anni».
«Lui non è come te. Saprà perdonarti».



Avrebbe riportato in vita quel figlio di puttana appena possibile, quella era una promessa. Non l'avrebbe lasciato nell'Aldilà per sette anni come l'ultima volta, a costo di andare a prenderlo per i capelli e trascinarlo sulla Terra a calci nel sedere.
Poi... poi gli avrebbe dato quella lettera. Avrebbe dovuto, avrebbe dovuto trovare il coraggio.
Bulma aveva ragione: Kakaroth non era come lui. Avrebbe saputo perdonarlo.
Anche se il loro rapporto non sarebbe mai più tornato come prima, anche se era troppo tardi per riavere tutto, per stare insieme, per vivere felici. A Vegeta sarebbe bastato che Kakaroth tornasse da lui, che tornassero amici, che tornassero rivali come lo erano stati in passato.
Gli sarebbe bastato poter vedere di nuovo quel sorriso da buffone rivolto a lui.
«Lo aspetterò» concluse Vegeta.
L'altro annuì serio, spalle dritte e postura regale. Quasi un gesto di ringraziamento celato, un saluto colmo di fierezza, di coraggio. Il Principe dei Saiyan era tornato.
Se ne andò di corsa, Vegeta rimase solo e, finalmente, riuscì a rasserenarsi.
La sua missione nel passato era conclusa per davvero, con successo.
Ora, però, lo attendeva un'altra sfida. Una sfida personale. Mise le mani in tasca e tastò la lettera che aveva scritto.
Gli ci sarebbe voluto coraggio. E pazienza.
Chiuse gli occhi e sorrise.
«Lo aspetterò, dovesse volerci un'altra vita».


 
So solo che non potrà mai finire
Mai, ovunque tu sarai
Ovunque io sarò
Non smetteremo mai
Se questo è amore, amore infinito

 
⸙⸙⸙


Ciò che gli aveva detto Vegeta del futuro avrebbe cambiato la sua esistenza per sempre. L'aveva salvato.
Aveva salvato loro. Aveva salvato Kakaroth, aveva salvato tutto.
Vegeta camminò lento sotto la pioggia, con il volto bagnato e i vestiti fradici. Poco contava, tutto ciò che importava era essere lì.
E dove avrebbe potuto trovarlo, se non nella landa rocciosa che aveva ospitato il loro primo combattimento, anni e anni prima?
Lui era di spalle, forse non l'aveva avvertito arrivare. Osservava il cielo con le spalle ricurve, Vegeta poteva sentire la sua Aura incrinata dal dolore.
Odiava avergli fatto del male, ma avrebbe rimediato a ogni suo errore. Prese coraggio e lasciò cadere il proprio orgoglio. Era tempo di perdono.
«Kakaroth...» lo chiamò.
Kakaroth si voltò, esterrefatto.
I loro occhi si incontrarono. La pioggia era incessante, ma sarebbe arrivato il sereno.
Sarebbe arrivato insieme a quel sorriso. Il sorriso più idiota del mondo, il sorriso più giusto, il sorriso di chi ha imparato a essere umano.
Il sorriso di chi non odiava più l'amore.


 
“ℐ 𝓃𝑒𝑒𝒹 𝓈𝑜𝓂𝑒𝓉𝒽𝒾𝓃𝑔 𝒽𝓊𝓂𝒶𝓃 𝒶𝓃𝒹 ℐ 𝓃𝑒𝑒𝒹 𝓎𝑜𝓊𝓇 𝓁𝑜𝓋𝑒”.

 
𝑭𝑰𝑵𝑬
 
 
 
Riferimenti:
-Ciò che Vegeta del futuro sussurra dietro la porta ("Fidati di lui"... ecc) erano le frasi che nello scorso capitolo erano al centro della pagina. Questo può essere interpretato in due modi: il primo, quello più semplice, come un paradosso temporale. Oppure, quello che piace a me, si può interpretare come che tutto ciò che succede nel capitolo precedente - dopo che Goku esce dalla porta - sia parte solo della linea temporale futura, e quindi quello che accade qui nel finale -  nelll'ultimo paragrafo - sia la diretta continuazione della storia. Insomma, per farla breve tutta la sofferenza di questi undici anni di distacco esiste solo nella linea temporale futura.
-La canzone citata alla fine è quella che dà il nome alla storia, "Something Human" dei Muse. Mentre quella che ho citato in giro per il capitolo è ovviamente "Infinito" di Raf, e la trovo perfetta per questi due bontemponi. E ogni volta che l'ascolto piango. 
-Il nemico di cui parlo alla fine del flashback di Vegeta del futuro non è canonico, non esiste.
-Sostanza dei fatti ora abbiamo una linea in cui i nostri scemi innamorati preferiti affronteranno la vita insieme dopo quella notte d'ammmore, mentre l'altra linea futura in cui Vegeta passa undici anni prima di accorgersi della stronzata, in cui Kakaroth muore, Vegeta torna indietro nel tempo per cambiare le cose (un po' come HAKAI), e ora tornerà nel futuro per resuscitarlo - forse - e dargli la lettera.

ANGOLO DI EEVAA GRACE:
Eeeeehilà, gente! 
Esisterà mai una mia storia dove il lieto fine sia lieto per davvero e per tutti? SPOILER: NO. 
Qualcuno deve soffrire per forza. E la Macchina del Tempo deve essere sempre presente per incasinare le cose xD sapete che mi piace giocare con le linee temporali, ma spero che abbiate capito bene questo epilogo.
Insomma, vediamo però il bicchiere mezzo pieno: c'è una linea temporale in cui tutto va per il verso giusto e sono felicioni fin da subito XD YAY.
Che dire, gente... spero che questa storia vi sia piaciuta nonostante la mia riluttanza nel pubblicarla. Se volete leggere qualcosa di mio più appassionante, vi consiglio "Mercenari", HAKAI", "Across the universe" o "I've got you, Brother". O se volete cambiare fandom, ce ne sono mille altre!

Anche perché... lo devo proprio dire: sono a corto di storie. Per la prima volta da quando ho pubblicato "Game of ages" penso che dovrò prendermi una piccola pausa da EFP e dalle pubblicazioni, perché non ho niente di completo da proporvi. Sto scrivendo una long sempre su DB e una su Harry Potter, ma sono ancora in alto mare e sapete che mi piace pubblicare con scadenze regolari, non vorrei lasciare incomplete delle storie. 
Però ehi, prometto che tornerò presto, magari con qualche OS nata dal nulla, come è sempre accaduto. Quindi sì, nel frattempo per chi volesse, il mio profilo è pieno zeppo di robaccia da leggere xD

Nel frattempo vi invito a seguirmi anche sui miei social, così da tenerci in contatto - e seguire le mie peripezie con la musica e con il magico mondo dei cosplay (e di quanto sono imbranata a prepararli). 
IG: eevaa_grace_cos
FB: Eevaa Grace
TW: eevaa_grace
TikTok: Grace_Cos

Grazie davvero per tutto il supporto che mi avete dato fino adesso! Non vedo l'ora di tornare qui con delle nuove avventure!
Vi abbraccio forte!
Eevaa Grace

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