The Other Side

di Stillathogwarts
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Malfoy Manor ***
Capitolo 2: *** The Dark Mark ***
Capitolo 3: *** Nightmares ***
Capitolo 4: *** Mistletoe ***
Capitolo 5: *** Memory ***
Capitolo 6: *** The Trial ***
Capitolo 7: *** Complications ***
Capitolo 8: *** A Never-ending Cycle ***
Capitolo 9: *** Always and Forever ***



Capitolo 1
*** Malfoy Manor ***


Disclaimer: I personaggi e il mondo di Harry Potter in generale non mi appartengono. La fanfiction è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.



The Other Side




CAPITOLO 1
Malfoy Manor





 
La mano di Hermione si chiuse su quella di Ron per qualche istante; fece appena in tempo a far scivolare tra le sue dita il capello che Bellatrix aveva perso mentre la torturava e a instaurare un contatto visivo eloquente con lui, prima di venire sbalzata indietro da un incantesimo.
E con lei anche la sua speranza di lasciare quel posto orribile e oscuro.
«Andate!», gridò disperata, cercando ancora di rialzarsi in piedi, ma scoprendo che il suo corpo non aveva le forze per collaborare.
E come avrebbe potuto, dopo le torture che aveva dovuto sopportare?
Sanguemarcio.
Il sangue colava ancora da quell’incisione nella pelle nuda del suo avambraccio.
Marchiata, per sempre, con lo stesso dispregiativo che l’aveva perseguitata fin dal suo ingresso nel mondo magico.
«Andate via e basta!» li sollecitò una seconda volta, prima che Bellatrix Lestrange la prendesse per la maglietta e la sollevasse in aria come se fosse fatta di stoffa e non di carne e ossa.
Hermione sentiva la punta della sua bacchetta premere contro la gola.
Harry e Ron la guardavano con gli occhi sgranati e Hermione poteva vedere riflessa nei loro occhi tutta la tristezza, la disperazione e il dispiacere che provavano; ci poteva leggere il dubbio lacerante di chi non sapeva cosa fare.
Non sapevano se provare a duellare contro i loro aguzzini, provare a riprendersela rischiando di giocarsi la loro unica occasione di fuga, oppure fare quello che la ragazza stava urlando loro di fare.
«Muovetevi!»
Sapevano che c’era troppo in ballo; se fossero morti, la speranza di sconfiggere Voldemort sarebbe morta con loro.
Nessun’altro era a conoscenza degli Horcrux, non l’avevano detto a nessuno; non a Ginny, non a Neville, né a un qualsiasi altro membro dell’Ordine.
Si sentivano dei maledetti stupidi ora, perché a questo non avevano pensato, prima di partire; all’eventualità di essere catturati e uccisi.
Chi avrebbe distrutto quegli oggetti oscuri se loro fossero morti tutti e tre?
Avrebbero condannato l’intera comunità magica, consegnato la vittoria dritta nelle mani di Voldemort e dei Mangiamorte.
Hermione lo capì immediatamente quando realizzarono tutto ciò; il momento in cui ammisero a loro stessi che non avevano scelta: dovevano andare.
«Ti troveremo», urlò il rosso.
«Torneremo a prenderti!» aggiunse Harry, in tono deciso.
I suoi migliori amici si tenevano per mano, mentre Dobby l’elfo domestico li smaterializzava fuori da Malfoy Manor.
Al sicuro.
Lontano da lei.
Mentre lei restava lì, in trappola, alla mercé dei suoi nemici.
Hermione era certa che non avrebbe rivisto mai più nessuno di loro.
Bellatrix urlò di frustrazione; la spinse via, scagliandola verso il pavimento.
Il tonfo dell’impatto del suo corpo contro la fredda pietra non si sentì, però; né lei avvertì alcun dolore.
Il suo corpo era così insensibile ormai? Era già andata?
Poi le percepì, due forti braccia che la sorreggevano e le impedivano di crollare.
Alzò lo sguardo e vide due occhi grigio ghiaccio fissarla stupefatti e sconvolti allo stesso tempo, come increduli delle proprie stesse azioni.
Ma lei non ce la faceva più.
Era stanca, distrutta.
Allora chiuse le palpebre.
Andarsene nel sonno non le sembrava un modo così terribile di morire.
§
«Mi dispiace, madre», sussurrò Draco, stringendo nelle mani la bacchetta appena sottratta a Narcissa Malfoy; Potter si era portato via la sua, ma lui non poteva farne a meno, gliene serviva una, ora più che mai.
«Accio», mormorò sottovoce; la borsetta di perline e la bacchetta della Granger volarono via dalle mani del Ghermidore per atterrare nelle sue.
Una piccola elfa apparve al suo fianco in quel momento, rispondendo immediatamente al suo richiamo sussurrato inudibilmente.
Draco schiantò Bellatrix, la quale gli stava urlando contro qualcosa che non fu in grado di distinguere; lei non aveva la bacchetta e persino il suo pugnale era andato, non aveva modo di parare lo Schiantesimo.
C’era solo rumore nelle sue orecchie, mentre guardava un’ultima volta i suoi genitori.
Sapeva che non gli avrebbero fatto del male, anche se Lucius lo stava guardando con disapprovazione e Narcissa aveva gli occhi sgranati dal terrore.
Gli dispiaceva davvero, ma lui non poteva farlo.
Lui non era come loro, non era un Mangiamorte.
Non voleva esserlo.
Non importava che gli avessero impresso quel maledetto Marchio sul braccio.
Lui non riusciva a sopportarlo.
L’elfa gli prese una mano e poi schioccò le dita.
Un attimo dopo, il Manor non c’era più attorno a lui ed era stato sostituito da una folta vegetazione.
Non era così che aveva immaginato di mettere in atto il suo piano di fuga.
Credeva che ci sarebbe stata sua madre con lui, non che si sarebbe trovato a correre per i boschi con Hermione Granger svenuta e a malapena in grado di respirare tra le sue braccia.
Correva a perdifiato; doveva raggiungere la PassaPorta in fretta, perché lì avrebbero potuto ancora trovarli.
Aveva studiato bene quel piano; una PassaPorta, una Smaterializzazione, un’altra PassaPorta e poi un’altra ancora, una Smaterializzazione tramite la magia elfica, un’altra PassaPorta, due ultime Smaterializzazioni e poi la PassaPorta finale.
Irrintracciabile.
Continuò ad avanzare rapidamente lungo un tratto nei boschi stringendo la Granger tra le braccia; il suo petto si alzava e si abbassava in maniera quasi impercettibile ormai.
Quasi non sentiva il suo peso, mentre correva il più in fretta possibile, perché non aveva tempo da perdere: un secondo in più avrebbe potuto costarle la vita, ed evitare la sua morte era proprio il punto di tutta quella faccenda.
Non voleva avere il sangue della Granger sulle sue mani e l’ideologia purosanguista non c’entrava più nulla con ciò.
Gli sembrava di aver camminato per ore, quando finalmente vide il fiume e il campo di margherite; subito dopo, come un miraggio, la casa che aveva comprato sottobanco negli Stati Uniti comparve nella sua visuale.
«Resisti, Granger» sussurrò con il fiato corto. «Resisti
Non era sicuro che la ragazza fosse abbastanza forte per sopravvivere; le torture di Bellatrix non erano di certo un affare facile da cui riprendersi e c’era il rischio che tutti quei viaggi l’avessero indebolita ulteriormente.
Ma quali altre opzioni aveva?
Aumentò la presa su di lei e usò le ultime energie nelle sue gambe per accelerare il passo.
Cinque minuti dopo erano all’interno dell’abitazione.
La adagiò sul divano e la studiò attentamente, cercando di stabilire i danni che aveva subito.
Lì avrebbero dovuto essere al sicuro; quel posto aveva tutti i tipi di protezione a cui era riuscito a pensare ed erano lontani, molto lontani da casa. Neanche lui sapeva precisamente dove si trovassero. Sapeva solo che erano lontani da tutto e per lui era perfetto così.
Sperava che i suoi genitori non venissero puniti per la sua fuga, ma lui non poteva più farlo, non poteva più restare in quell’inferno.
Non aveva avuto altra scelta se non andarsene.
Di certo, avrebbero pensato a qualcosa per proteggersi. Lo facevano sempre, erano maledettamente bravi in quello. Erano un po’ meno bravi a proteggere lui, però, tanto che alla fine aveva optato per il farlo da solo.
Pronunciò una serie di incantesimi, facendo scorrere la sua bacchetta lungo il corpo della Granger; poi ordinò alla piccola elfa di lavarla e cambiarle i vestiti, di sistemarla in una stanza al piano di sopra.
La casa non era grande, ma aveva tutto ciò di cui necessitavano per sopravvivere.
A Draco non serviva altro.
Si sentiva stupido ora per il modo in cui aveva glorificato il Manor nel corso della sua vita; quella piccola casa in mezzo al nulla, priva di comfort, gli sembrava meno opprimente di quella in cui era cresciuto. Gli sembrava di essere tornato a respirare per la prima volta dopo due anni e ci aveva appena messo piede.
§
Hermione si svegliò all’improvviso con la testa che le girava vorticosamente.
Si sentiva confusa, molto confusa.
Non riusciva a riconoscere il posto in cui si trovava.
Sembrava pacifico, però, come se fosse una piccola oasi lasciata intaccata dalla guerra.
Si chiese se fosse morta o se quel luogo fosse un’illusione prodotta dalla sua mente provata.
Le gambe e le braccia le tremavano spaventosamente.
Notò che gli abiti che aveva addosso non fossero gli stessi che portava il giorno in cui erano stati catturati dai Ghermidori; il profumo che emanava il suo corpo non era quello del suo bagnodoccia.
Qualcuno l’aveva lavata, dedusse e la cosa la fece sentire a disagio.
Provò ad alzarsi dal letto, ma crollò sul pavimento un secondo dopo.
Non riusciva a camminare.
Dannazione, non riusciva nemmeno a restare ferma sui suoi piedi!
Continuò a lottare contro il suo stesso corpo, facendo leva sul letto in cerca di sostegno, ma anche le braccia non sembravano in grado di restare ferme.
Tutto d’un tratto, la porta si spalancò con veemenza e una familiare testa bionda fece capolino nella stanza.
La guardò con un’espressione di disappunto dipinta sul volto e scosse la testa.
«Sei proprio stupida, Granger.»
Era ancora in trappola, ancora nelle mani del nemico.
Il biondino si piegò sulle ginocchia per studiarla e lei gli lanciò uno sguardo di sfida.
Draco quasi le rise in faccia.
Quella volta non poteva biasimarlo; doveva sembrare proprio ridicola ad ostentare caparbietà quando era praticamente un relitto.
Le mise un braccio sotto le ginocchia e uno dietro le spalle e la sollevò, per poi riportarla sul letto.
Era più magra di quel che ricordava; Draco si chiese quando fosse stata l’ultima volta che la ragazza aveva mangiato un pasto decente.
La studiò per qualche minuto, cercando di capire in che stato si trovasse, di identificare le conseguenze di ciò che Bellatrix le aveva fatto per capire come curarla a dovere; sperando di essere all’altezza della situazione.
«Qual è l’ultima cosa che ricordi, Granger?»
Lei non rispose, non lo guardava neanche.
«Ricordi quello che è successo?», la sollecitò ancora.
Hermione gli scoccò un’occhiataccia carica di odio.
La gola le faceva male se cercava di parlare, allora ruotò l’avambraccio verso di lui, ignorando la fitta di dolore che si irradiò in tutto il suo corpo a causa di quel movimento.
Sanguemarcio.
Draco deglutì.
«E poi?» mormorò. «Ricordi altro?»
Hermione scosse il capo.
Un rumore improvviso al piano di sotto la fece sobbalzare; i suoi occhi dardeggiarono in direzione della porta, terrorizzati.
«Calmati, Granger», le disse. «Ci sono solo io, qui.»
Lei corrugò la fronte, perplessa.
Quella notizia avrebbe dovuto tranquillizzarla?
«Non siamo più al Manor.»
«D-dove?» riuscì a chiedere solamente, la voce roca e tremante.
Quanto aveva urlato?
«Onestamente, non lo so», rispose lui.
Le sembrava sincero, ma non comprendeva come fosse possibile.
«Nel mezzo del nulla, da qualche parte negli Stati Uniti.»
Gli occhi della ragazza si allargarono per lo stupore.
«Al sicuro», aggiunse lui.
Una risata amara lasciò involontariamente la gola di Hermione e una smorfia di dolore comparve sul suo viso, quando una nuova scarica di fitte le attraversò tutto il corpo.
«Sono ancora un ostaggio, però, no?»
Draco la fissò intensamente, mentre si bagnava il labbro inferiore con la lingua.
«Non ti farò del male, Granger.»
La vide provare a deglutire.
Chiaramente non si fidava.
Perché avrebbe dovuto?
«Andiamo, se avessi voluto ferirti lo avrei già fatto», cercò di farla ragionare. «Sei stata priva di coscienza per tre giorni.»
«Q-questi non sono i miei abiti», constatò lei dopo una pausa di silenzio, una nota interrogativa nella sua voce, accompagnata da una leggera punta di panico.
Il modo in cui si stava comportando Malfoy non aveva alcun senso.
«Tilly si sta occupando di te», la informò lui. «La mia elfa domestica.»
Hermione riuscì a deglutire a fatica.
«Non capisco.»
«Ti ho portata via dopo che quei due idioti ti hanno veramente lasciata indietro», le raccontò, facendo ruotare gli occhi al pensiero di Potter e Weasley e di come l’avevano abbandonata.
Non credeva che lo avrebbero fatto veramente; la cosa lo scioccava ancora, quando ci ripensava.
«Avevo un piano di emergenza.»
«P-perché?» chiese debolmente lei, la confusione ben visibile nel suo sguardo.
«Perché se le cose fossero peggiorate ulteriormente per me e mia madre avrei avuto bisogno di un piano B, ti pare?»
Hermione alzò impercettibilmente gli occhi al cielo. «Perché ora? Perché mi hai portata con te?»
«Ti avrebbero uccisa», disse enfaticamente il biondino, deglutendo. «Ti avrebbero torturata ancora e poi ti avrebbero uccisa. O avrebbero chiesto a me di farlo.»
Hermione gli rivolse un’occhiata indecifrabile a quelle parole.
«Non sono un assassino, Granger.»
Draco le porse una pozione e le consigliò di berla; le spiegò che si trattava di una pozione di guarigione, che non si era ancora ripresa dalle torture infertele da Bellatrix.
Evitò di dirle che l’unico progresso che aveva fatto da quando erano arrivati al rifugio era stato tornare cosciente, perché non aveva senso agitarla in quel momento; doveva restare tranquilla e già venire a patti con quello che le stava raccontando non doveva essere semplice per lei.
«Perché dovrei fidarmi della tua parola?», gli chiese scoccandogli un’occhiata circospetta, scrutandolo con gli occhi ridotti a due fessure.
«Sarebbe stupido da parte mia disertare i Mangiamorte, abbandonare la mia famiglia, farmi in quattro per tenerti in vita per tre giorni e poi farti del male, Granger, non trovi?»
Il biondino sapeva di avere instillato il dubbio dentro di lei, glielo leggeva negli occhi, ma non era abbastanza.
Sospirò. «Prova di fiducia reciproca, Granger», mormorò arrendendosi.
Si portò una mano nella giacca e tirò fuori la bacchetta da una tasca interna, con estrema lentezza.
Hermione sussultò a quel gesto e Draco alzò le mani in aria per tranquillizzarla.
E poi la riconobbe.
Era la sua bacchetta.
Lo osservò sorpresa mentre la poggiava sul comodino.
«Te la restituisco», le disse. «Ma tu prometti di non provare a fuggire.»
«Come se potessi farlo», commentò lei sarcasticamente.
Non riusciva neanche a reggersi sulle sue gambe, dove sarebbe potuta andare in quelle condizioni?
Non avrebbe avuto alcuna speranza di riuscire a scappare via da lui, se ci avesse provato veramente.
Non aveva neanche la minima idea di dove si trovasse ed era comunque troppo lontana, se l’aveva portata davvero negli Stati Uniti.
Draco restò vicino al suo letto per qualche istante, aspettando che gli chiedesse altro o che dicesse qualcosa, ma quando vide che non aveva intenzione di aprire bocca si diresse verso la porta.
Esitò un momento, voltando leggermente il capo per guardarla con la coda dell’occhio.
«Non sei prigioniera, Granger», sussurrò prima di andarsene.
§
«Tilly le ha portato la cena, signorina» esordì la piccola elfa con una voce acuta. «Tilly vuole sapere se ha bisogno di altro, signorina.»
«Ti tratta bene?», le chiese invece lei. «Malfoy?»
L’elfa la guardò confusa, sbattendo i suoi occhioni verdi.
«Il Padroncino è gentile con Tilly, signorina. Tilly non capisce il senso della domanda.»
Hermione sospirò, ma alla fine annuì.
Non aveva le forze per battersi per i diritti degli elfi in quel momento.
«Grazie, Tilly.»
L’elfa le sorrise, poi sparì con un sonoro pop!
Draco andò a trovarla qualche ora dopo.
«Riesci ad alzarti?», le domandò, studiandola con attenzione.
Hermione provò a mettere i piedi giù dal letto.
Riuscì a malapena a fare un passo, prima di perdere l’equilibrio.
Ma non cadde, perché le braccia di Draco si materializzarono attorno a lei prima che rovinasse sul pavimento di legno, sorreggendola e guidandola nuovamente verso il letto.
Il biondino le porse un paio di fiale contenenti due pozioni dai colori diversi.
Hermione ne riconobbe soltanto una, ma non chiese molte informazioni riguardo all’altra.
Che senso aveva? Non poteva stare peggio di così e non aveva altra opzione se non quella di fidarsi di lui.
Di Malfoy.
Le veniva quasi da ridere al pensiero.
Si chiese se in realtà non la stesse avvelenando, ma opporsi non sarebbe servito a nulla; non ci avrebbe messo niente a obbligarla, debole com’era.
«Come fai a sapere che non ci troveranno?» chiese reprimendo un gemito di dolore, mentre si sistemava a sedere sul letto.
«La casa non è registrata. Tilly appartiene a me, non mi tradirebbe», le spiegò conciso. «Siamo arrivati qui tramite spostamenti volutamente complicati. Non hanno modo di rintracciarci.»
Draco era sempre breve e diretto quando le dava le informazioni che richiedeva.
Hermione annuì. «Sai cosa succede a casa?»
Lui scosse la testa. «Siamo completamente tagliati fuori, Granger.»
«Perché mi stai aiutando?», domandò ancora.
Non era la prima volta che gli porgeva quel quesito, ma era anche l’unico a cui non rispondeva mai.
E infatti, Draco scrollò le spalle e andò via.
Non avrebbe saputo cosa dirle, comunque.
Sapeva di averla portata via dal Manor perché temeva che gli chiedessero di torturarla, o peggio ucciderla; sapeva che aveva odiato ogni minuto in cui Bellatrix l’aveva torturata; sapeva che l’aveva salvata perché non voleva che morisse; sapeva che la stava curando perché non voleva restare solo.
Ma non sapeva tante altre cose; perché non provava più alcun odio nei suoi confronti, per esempio, né perché non riusciva più a trattarla con l’usuale dose di astio che le buttava addosso a scuola.
È solo un ragazzo”, aveva sentito dire una volta sua madre discutendo con Bellatrix della missione che il Signore Oscuro gli aveva assegnato.
Forse dopo tutto ciò a cui aveva assistito, Draco aveva capito che anche Hermione era solo una ragazza.
E come lui non aveva esattamente avuto alcuna scelta in merito alla partecipazione in quella maledetta guerra.





______________
Salve!
Ho iniziato a scrivere questa storia in qualche momento tra Fine Line e Moondust e l'ho finita solo di recente.
Si tratta di una piccola what if in formato mini-long (10 capitoli circa), con aggiornamento regolare perché l'ho già finita
e mi sembra inutile far aspettare chi deciderà di leggerla se ho i capitoli quasi pronti (il tempo di fare un'altra revisione prima di pubblicare, insomma).
Ho scelto come titolo "The Other Side" perché secondo me l'omonima canzone di Ruelle sarebbe un soundtrack perfetto per questa storia, il che lascia presagire sarà leggermente più drammatica delle altre che ho scritto (non che quelle non siano 80% sofferenza e 20% felicità, ma sorvoliamo).
Grazie a chiunque deciderà di seguirmi nella mia ennesima storia su Draco e Hermione e soprattutto a chi sarà così gentile da darmi un riscontro, fa sempre piacere leggere le vostre opinioni!
Vi ricordo inoltre che scrivo anche su Wattpad con lo stesso nick ;)
A presto :)

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Capitolo 2
*** The Dark Mark ***


CAPITOLO 2
The Dark Mark





 
Due giorni dopo, Hermione era ormai sicura che tutto quello non fosse reale.
Non aveva senso in quel posto.
Il fatto che Draco, la stessa persona che l’aveva portata lì, non avesse idea di dove si trovassero precisamente.
Il fatto che Draco, la stessa persona che l’aveva insultata e denigrata per anni, le stesse fornendo le cure necessarie a riprendersi.
Il fatto che Draco, la stessa persona che l’aveva sempre considerata sporca e inferiore, che aveva sempre schifato la sua stessa esistenza, la stesse aiutando a camminare, a medicare le ferite, senza lasciar trapelare il minimo disgusto verso di lei e ciò che rappresentava.
Niente, assolutamente niente, aveva senso.
«Avanti, falla finita», gli disse una sera, sbottando.
Si buttò di peso sul suo letto e si portò le braccia al petto.
«Che cos’è? Una nuova forma di tortura a me sconosciuta?»
Draco alzò un sopracciglio, perplesso.
Non l’aveva insultata neanche una volta; si stava sforzando di essere gentile con lei e la stava aiutando a riprendersi.
Come poteva pensare che fosse una forma di tortura?
«Stai giocando con la mia mente?» chiese ancora lei, caustica, vedendo che il giovane non le rispondeva. «Mi stai dando speranza per poi farmi svegliare all’inferno di nuovo? Stai cercando di farmi impazzire?»
La guardò come se non la vedesse veramente.
«Questo sta succedendo davvero», le disse freddamente. «Non ti sto incasinando la testa. E credimi quando ti dico che uno dei motivi per cui siamo qui è che non volevo torturarti, né vederti torturata.»
«Perché?» gli domandò dubbiosa.
Era sempre più confusa.
«Tu mi odi. Mi vuoi morta da quando ho messo piede a Hogwarts. Cos’è cambiato?»
Draco deglutì.
«Tutto», mormorò semplicemente.
Una frazione di secondo dopo, era sparito.
Hermione si lasciò ricadere distesa sul letto e fece l’unica cosa che poteva fare in quel momento: iniziò a fissare il soffitto, cercando di dare un senso agli ultimi giorni della sua vita.
Cercando di dare un senso a Draco Malfoy.
§
Riuscì ad alzarsi la settimana dopo.
Usò il muro come supporto e raggiunse il piano terra.
Voleva solo una tazza di tè, sempre che ci fosse del tè in quel posto.
I suoi pensieri erano ancora frantici.
Non sapeva cosa credere e Malfoy era un enigma; non riusciva a comprendere il suo comportamento, non importava quanto ci provasse. E lui non sembrava affatto intenzionato a darle chiarimenti in merito, perché parlava a malapena e solo per verificare le sue condizioni.
«Vai da qualche parte, Granger?»
Hermione sobbalzò quando la sua voce ruppe il silenzio della notte all’improvviso.
Era seduto sul divano, con un bicchiere di liquido ambrato in mano.
Firewhiskey.
Dal forte odore di alcol che aleggiava nella stanza, capì che non fosse il primo che beveva quella sera.
Draco non la guardava; fissava il vuoto, un punto non definito davanti a lui, mentre faceva muovere pigramente il liquido all’interno del bicchiere con dei movimenti circolari.
Indossava un paio di pantaloni neri, una camicia bianca i cui primi bottoni erano stati lasciati aperti; nessuna cravatta.
Hermione si chiese se il suo guardaroba avesse solo quel genere di abiti.
«È questo quello che fai?» gli domandò, sollevando un sopracciglio. «Te ne stai seduto lì a bere tutto il giorno?»
Lo sentì sghignazzare. «Cos’altro dovrei fare?»
Hermione non rispose; non aveva niente da ribattere, comunque.
«Tiene a bada i ricordi», aggiunse lui in un sussurro appena udibile.
Lei deglutì, mentre una serie di incognite si levavano nella sua mente.
Cos’aveva visto Draco durante la guerra per ridurlo in quello stato? Per cambiarlo in quel modo?  
Quali orribili ricordi popolavano i suoi incubi? Terribili al punto da portarlo a rifugiarsi nell’alcol pur di sfuggirvi?
Si rese conto di non avere alcuna risposta da dare a quei quesiti, ma non gli pose alcuna domanda.
Era sicura che non le avrebbe mai risposto, anche se gliene avesse fatte.
«Mi chiedevo se ci fosse del tè» dichiarò invece.
«Potevi chiamare Tilly», le disse con un piccolo sbuffo. «Ha l’ordine di procurarti tutto ciò che chiedi.»
Hermione incrociò le braccia al petto, poggiando la schiena contro il muro per accertarsi di non cadere. «Non sfrutto gli elfi domestici.»
Poteva vedere il sorrisetto di scherno sul suo viso anche al buio, nonostante stesse evitando di commentare ulteriormente.
«Riesci a camminare, ora?»
«A trascinarmi, quantomeno», rispose lei, espirando sonoramente.
Draco sapeva che una volta guarita completamente sarebbe andata via.
E per qualche motivo odiava quell’idea.
Non voleva restare da solo.
Anche se lei era l’unica compagnia che poteva avere.
Si alzò, la raggiunse e le porse l’avambraccio destro; la mano di Hermione tremò leggermente quando si posò su di esso, esitante.
Draco non sapeva esattamente se quel tremore dipendesse dagli effetti della Cruciatus contro i quali stava lottando o se ne fosse lui la causa in quel caso.
L’accompagnò verso il divano, fornendole sostegno con il proprio corpo, e poi la fece sedere sul posto vuoto accanto a sé.
«Tilly, porteresti del tè alla signorina Granger?» chiese all’elfo.
La ragazza alzò gli occhi al cielo, ma poi rifletté che forse sperare che aggiungesse un ‘per favore’ era un po’ troppo. Era già tanto che Draco Malfoy domandasse e non ordinasse che qualcosa venisse fatto.
«Continuo a non capire», mormorò dopo un po’ lei, visto che il biondino non dava segno di voler parlare.
«Cosa, Granger?» domandò stancamente lui.
«Te
Draco si riempì di nuovo il bicchiere fino all’orlo.
«Neanche io», disse solamente. «Neanche io.»
§
Due settimane dopo, durante una bella giornata, la portò in giardino.
Pensava che l’aria fresca e una passeggiata al sole avrebbe potuto farle bene e aveva ragione.
Le teneva un braccio attorno alla vita per stabilizzarla, senza mai lasciare la presa.
Hermione non riuscì a capire dove si trovassero neanche una volta messo piede fuori dalla casa.
C’era un campo di margherite tutto attorno a loro e l’abitazione dall’esterno non poteva apparire più anonima di così.
Niente che urlasse ‘Malfoy’ o ‘antica famiglia nobile con la puzza sotto il naso vive qui’.
C’era un ruscello in lontananza; sentiva il rumore dell’acqua che scorreva.
“Forse è un’oasi, dopotutto”, si ritrovò a pensare.
Draco non le toglieva gli occhi di dosso; dall’espressione sul suo volto dedusse che voleva avvicinarsi al corso d’acqua e la guidò per il campo.
Era sicuro anche lì. Le sue protezioni erano estese fino all’ingresso dei boschi circostanti.
Non si erano scambiati neanche una parola da quando erano usciti e continuavano a restare in silenzio.
Una volta raggiunta la meta, si sedettero a riva; Draco mantenne la presa su di lei finché non fu adagiata sull’erba fresca, finché non fu certo che non necessitasse di alcun sostegno.
Hermione fece scorrere le dita nell’acqua, sorridendo appena.
Non era fredda, ma neanche calda, riscaldata appena dal sole di maggio che riprendeva forza dopo un gelido inverno. Il ricordo delle notti trascorse a tremare, cercando di riscaldarsi come potevano, rifugiati tra gli alberi e la neve, emerse prepotente nella sua mente e lei si sforzò di respingerlo.
Quel ricordo avrebbe portato a Harry e a Ron e il pensiero dei suoi amici le faceva male.
«Sono il tuo biglietto fuori da Azkaban?», gli domandò in un sussurro improvvisamente.
Cercava ancora di capire perché il biondino fosse gentile nei suoi confronti; perché si prendesse la briga di aiutarla nei movimenti… perché non la insultasse e disdegnasse come faceva un tempo.
La toccava ora e la cosa non sembrava dargli problemi.
Come se niente fosse.
Non lo comprendeva affatto.
Lui fece spallucce, ma tenne gli occhi puntati su di lei, fissandola intensamente.
Erano grigio ghiaccio, un tempo abisso senza fondo in cui non poteva far altro che cadere e lasciarsi avvolgere del freddo; ora però lei riusciva a vederci la tempesta, dietro.
Hermione deglutì. Il suo sguardo addosso la faceva sentire come se la pelle potesse andarle a fuoco da un momento all’altro; come se fosse in grado di guardarle dentro, di scavare sotto la sua pelle, di penetrare nella sua mente.
Sapeva che Draco era un Occlumante; ora si chiedeva se non fosse anche un Legilimens.
§
Un mese dopo, Hermione pranzò per la prima volta fuori dalla sua stanza.
Nella sala da pranzo, con lui.
Non parlavano, ma sedere a quel tavolo insieme li aiutava a sentirsi un po’ meno soli.
Almeno, era così per lei. Forse per Draco non faceva alcuna differenza. O forse gli rendeva più difficile tollerarla, perché consumando i pasti nello stesso posto aumentava il tempo che trascorrevano insieme.
«Notizie da casa?», gli chiese alla fine, per rompere il silenzio.
Parlare le mancava e sentire una voce che non fosse solo un eco nella sua mente ancora di più.
Draco scosse la testa.
Aspettava che gli chiedesse come lasciare quel posto, che gli dicesse che voleva tornare da Potter e Weasley.
Ma non lo fece quel giorno.
E neanche quello dopo.
Né quello dopo ancora.
Una mattina, le fece trovare un giornale americano sul letto.
Parlava della situazione nel Regno Unito.
Voldemort dava ancora la caccia a lei, Potter e Weasley, ma c’era anche un altro nome che era stato aggiunto tra la lista dei ricercati di alta priorità adesso: Draco Malfoy, traditore del proprio sangue e disertore dei Mangiamorte.
Hermione deglutì quando lesse quella frase e si chiese se non dovesse andare a parlare con lui.
Sicuramente lo aveva già letto.
Ricordò a sé stessa che Malfoy non parlava con lei, che forse non parlava proprio con nessuno; che loro non facevano quelle cose, non si confidavano l’uno con l’altra, e viceversa. Allora voltò la pagina e passò all’articolo successivo.
Scoprì che i numeri dell’Ordine della Fenice diventavano sempre più esigui e iniziò a chiedersi perché i governi magici delle altre Nazioni non intervenissero in loro aiuto, visto che la situazione a casa era nota all’estero.
Non era giusto.
La gente stava morendo e loro non alzavano un dito; si limitavano a riportare notizie su dei maledetti giornali, passivamente.
§
Gli articoli sul giornale che Draco le procurò il mese successivo erano persino peggiori di quelli del precedente.
Hermione scoprì che i Nati Babbani e i membri dell’Ordine catturati venivano dati in premio ai Mangiamorte come bottino di guerra; che potevano farci quello che volevano, con loro, stando a quanto riportava l’articolo.
Deglutì, mentre leggeva quelle parole e le lacrime iniziarono subito a rigarle il volto.
Faceva male.
Draco la guardò per tutto il tempo con un’espressione indecifrabile stampata in faccia.
«Come possono fare questo?», mormorò con voce spezzata lei, tra un singhiozzo e l’altro, più a sé stessa che al biondino, in realtà.
«Siamo persone
Draco le si avvicinò e le tolse il giornale dalle mani, gettandolo nella pattumiera con una smorfia sul viso, mentre per la prima volta si rendeva conto che non voleva che lei stesse male per nessuna ragione al mondo.
«Loro no, Granger», disse. «Loro sono mostri
Hermione alzò lo sguardo su di lui e sbatté le palpebre più volte del necessario.
«E tu, Draco?» gli domandò. «Tu cosa sei?»
Draco dischiuse le labbra, poi deglutì con forza.
«Non lo so, Granger.»
“Dimmelo tu”, avrebbe voluto aggiungere, ma non lo fece.
§
Draco afferrò un bicchiere e si diresse verso l’armadietto degli alcolici.
Come accadeva spesso in quel periodo, ringraziò Tilly per aver pensato a rifornirlo ampiamente quando aveva acquistato la casa.
L’aveva comprata quando suo padre era ancora ad Azkaban e lui aveva avuto pieno accesso ai caveaux dei Malfoy e dei Black alla Gringott; pensava che sua madre fosse in pericolo, restando al Manor.
Aveva ragione, ovviamente.
Sarebbero dovuti andare via allora, fanculo la scuola, fanculo tutto.
Le cose erano precipitate in un battito di ciglia e lui aveva dovuto prendere il Marchio, tornare a Hogwarts… Ma almeno, se avesse fallito nel portare a termine la sua missione, avrebbe saputo dove rifugiarsi, insieme a sua madre. Avrebbe potuto ugualmente salvare lei.
Invece era lì con la Granger.
La Nata Babbana che aveva sempre odiato e detestato.
La Granger che vedeva ogni notte nei suoi incubi, contorcersi sul pavimento di casa sua, torturata da Bellatrix Lestrange.
Non le aveva detto che non dormiva perché non riusciva ad azzittire le urla nella sua testa.
Non le aveva detto che non dormiva perché ogni volta che chiudeva gli occhi vedeva solo sangue.
Non le aveva detto niente, in realtà.
Sapeva che Hermione doveva essere ancora molto confusa, che non capiva il suo comportamento; che probabilmente incolpava gli effetti della Cruciatus per la sua incapacità di razionalizzare e analizzare quello che stava succedendo in quel periodo. Forse era arrivata persino a credere che era a lei che stava sfuggendo qualcosa.
Ma la verità era che non sarebbe riuscita a decifrarlo ugualmente, perché neanche lui era in grado di farlo.
Era il primo a non comprendere cosa gli stesse accadendo; non riusciva più a distinguere le cose con chiarezza, a capire cosa fosse vero e cosa non lo fosse.
Era come se la sua vita e ogni sua certezza si stessero sgretolando davanti ai suoi occhi così rapidamente da lasciarsi dietro solo un profondo senso di vuoto… e il nulla più assoluto.
Draco aveva notato che c’era ancora un velo di timore negli occhi della Granger quando lo guardava, anche se ormai avrebbe dovuto sapere che non le avrebbe fatto del male.
Lo sa, vero?
Non le aveva mai fatto nulla, fisicamente.
Le parole però fanno più male del dolore fisico.
Sanguemarcio.
Gliel’aveva curata lui quella ferita, la prima persona ad averla mai chiamata in quel modo orrendo.
Lo sapeva che era orribile, ora.
E proprio quando avrebbe voluto che lei non dovesse mai più sentirsi appellare così, la Granger se lo ritrovava impresso sulla pelle, indelebile.
Era inciso sul suo braccio, il suo marchio personale.
Spesso Draco si chiedeva se bruciasse come quello che aveva lui.
§
Il rumore del vetro che si infrangeva sul pavimento la svegliò dal suo sonno leggero.
L’ultima volta che aveva dormito bene era ancora a Hogwarts e Silente era vivo.
Nei boschi si era dovuta accontentare di un sonno spezzato, sempre all’erta anche quando non era lei in turno di guardia.
A Grimmauld Place era stata terrorizzata dall’idea che Piton potesse sbucare all’improvviso, catturarli e consegnarli a Voldemort senza che avessero il tempo di realizzare cosa stesse accadendo. E allora aveva dormito con un occhio aperto e l’altro chiuso, sempre all’erta.
Era il suo stato perenne, ormai.
Si era chiesta più volte se, se fosse stata abbastanza fortunata da sopravvivere alla guerra, alla fine sarebbe impazzita come Moody e la paranoia l’avrebbe consumata viva.
“Vigilanza costante!”
Si fece forza e scese le scale il più velocemente possibile per andare a controllare cosa fosse successo.
Draco era in piedi, di spalle, con le mani serrate sui bordi del tavolo; stringeva così forte che le sue nocche erano divenute più bianche del solito.
I vetri erano ovunque attorno a lui.
Dalla bottiglia aperta che aveva di fronte, Hermione dedusse che doveva aver rotto un bicchiere.
Notò che il suo braccio sinistro tremava e che il suo respiro era pesante, accelerato.
«Draco?», lo chiamò preoccupata.
Non sapeva perché aveva usato il suo nome di battesimo.
Lo vide sussultare; forse il suo nome pronunciato da lei lo ripugnava.
«Sparisci, Granger», ringhiò senza nemmeno degnarla di uno sguardo.
Hermione deglutì, sperando che fosse sufficiente a ingoiare il groppo che le si era formato in gola.
«Stai bene?», insisté titubante, al che lo sentì sbuffare sonoramente.
«Ti ho detto di andare via!», urlò allora Draco.
Lei non rispose, ma non si mosse neanche; rimase ferma a studiarlo, incerta su cosa fare.
«Sei ferito», affermò dopo un po’, vedendo il sangue sulla sua mano destra, evidenziato dalla luce lunare che filtrava dalla finestra. «Posso dare uno sguardo alla mano?»
Draco strinse il legno duro con più forza e il flusso di sangue che sgorgava divenne più copioso.
Hermione rabbrividì.
«Non è niente che io non meriti», le disse gelidamente. «Vattene
Hermione restò in silenzio per qualche secondo, puntellandosi sui piedi.
«Come desideri», rispose infine con un filo di voce, sorreggendosi alla parete per raggiungere nuovamente la sua stanza, riflettendo che forse, semplicemente, l’idea di farsi medicare una ferita da lei gli facesse schifo.
Ma lui aveva curato lei per tutto quel tempo.
O forse, l’aveva cacciata perché era vulnerabile in quel momento e non voleva essere visto.
Come al sesto anno; Harry le aveva detto di averlo sentito piangere nel bagno di Mirtilla e che non aveva reagito bene quando si era accorto di essere stato scoperto.
Però il modo in cui l’aveva respinta nonostante i suoi sforzi di passare sopra alla sua freddezza, per qualche motivo, l’aveva ferita.
Rimasto solo, Draco afferrò la bottiglia di Firewhiskey alla sua destra e la lanciò contro il muro opposto, mandandola in frantumi.
§
«Fa male, quando chiama e non rispondo», le spiegò qualche giorno dopo.
Era entrato in punta di piedi nella sua stanza e, senza troppi preamboli, le aveva detto di scendere a fare colazione con lui.
Aveva iniziato a parlare prima che prendesse il cibo e se lo portasse in camera; sapeva che se avesse cominciato ad aprirsi, lei sarebbe rimasta ad ascoltare. Lo aveva fatto perché non gli aveva più rivolto la parola, né era uscita dalla sua stanza per i pasti, dopo il modo in cui l’aveva trattata quella notte, e lui iniziava a soffrire per la sua assenza, per la solitudine.
«Brucia», precisò poi. «Come se qualcuno mi stesse poggiando il braccio su un tizzone ardente.»
Hermione lo guardò con evidente dispiacere negli occhi.
Draco aveva i capelli spettinati quella mattina; non ricordava di averli mai visti così.
Da quando Draco Malfoy aveva dei riccioli ribelli alla base della nuca? Da quando non era impeccabile, il suo taglio?
Erano sempre stati innaturalmente perfetti, i suoi capelli; anche quando il suo viso era scavato dalla scarsa alimentazione e segnato da solchi sotto gli occhi per la mancanza di ore di sonno, durante il sesto anno.
Mai una ciocca fuori posto.
«C’è un modo per… fermarlo?» chiese esitante.
Non era sicura che Draco volesse la sua opinione in merito o che lei partecipasse alla conversazione in generale; forse voleva che lo ascoltasse in silenzio e basta, ma per lei era impossibile trattenersi.
Lui scosse la testa.
«Mi dispiace», gli disse sommessamente.
Draco rise, ma l’ilarità non raggiunse i suoi occhi.
«Non dovrebbe dispiacerti» rispose secco. «Non a te
Hermione deglutì.
«Non sei il cattivo nella mia storia», mormorò allora con voce tremante.
L’aveva salvata, no?
L’aveva portata via dal Manor.
Se fosse rimasta lì sarebbe morta, ora.
La guardò con aria quasi divertita.
Cosa c’era di divertente nelle sue parole?
Hermione si accigliò, ma lui divenne gravosamente serio tutto d’un tratto.
«No?», le chiese, sbottonandosi i polsini della manica sinistra.
Il Marchio Nero era persino più evidente del solito sulla sua pelle chiara; lo mise bene in mostra, avvicinando l’avambraccio al viso di lei, in modo che potesse vederlo perfettamente.
«Dimmelo di nuovo, Granger.»
Hermione ingoiò il magone che le era venuto alla vista di quel simbolo inquietante; il simbolo dell’oscurità, della morte… Si schiarì la gola.
«Non sei il cattivo nella mia-»
La interruppe bruscamente, sbattendo le mani con forza contro il tavolo, facendola sussultare.
Chiuse gli occhi, lei; il cuore prese batterle furiosamente contro il petto, mentre una lacrima solitaria sfuggiva incontrollata, rigandole la guancia.
Non lo sentì avvicinare le labbra al suo orecchio.
«Eppure, hai paura di me.»
E lei non aveva mai avuto paura di lui, prima di rincontrarsi al Manor, almeno.
Quando era cambiato tutto? Voleva dire che aveva superato il limite?
Che non aveva più possibilità di salvarsi? Che non aveva alcuna speranza di redenzione?
Quando si voltò per guardarlo in faccia e affrontarlo, Hermione realizzò di essere rimasta sola nella stanza.
Draco se n’era andato.

 

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Capitolo 3
*** Nightmares ***


CAPITOLO 3
Nightmares





 
Gli incubi cominciarono quando iniziò a stare meglio e smise di prendere alcune pozioni.
Hermione sapeva di non dover chiedere altre dosi, perché sarebbe stato rischioso; non sarebbe stato esattamente brillante da parte sua sopravvivere la guerra e poi finire in riabilitazione.
Ma era tentata ugualmente.
Si svegliò nel cuore della notte, impugnando la bacchetta tra le mani.
Bellatrix la guardava ridendo, in piedi davanti al suo letto, poi svanì.
Non è reale, non è reale, non è qui.
E lei tremava e piangeva, ma nessuno la sentiva.
Non c’era nessuno che la potesse consolare, lì.
C’era solo lei, una Nata Babbana.
Un Mangiamorte, o ex-Mangiamorte, Hermione non sapeva ancora cosa pensare al riguardo, che l’aveva odiata e disprezzata dal primo momento in cui aveva posato gli occhi su di lei sette anni prima.
E un’elfa domestica che l’avrebbe creduta pazza se le avesse chiesto un abbraccio.
Piangeva anche perché si sentiva sola; le mancava Harry e le mancava Ron.
Si chiedeva dove fossero, a che punto fosse la ricerca degli Horcrux.
Sapevano che stava bene?
La stavano cercando?
Ormai era di dominio pubblico che il biondino fosse fuggito portandosela dietro.
Credevano che Draco le avesse fatto del male?
Se così fosse, lui non sarebbe stato assieme alle loro foto segnaletiche.
Ci erano arrivati, a quella deduzione, no?
Fate presto”, mormorò nel buio, anche se sapeva che le sue parole non avrebbero mai raggiunto i suoi amici.
Sperava che non perdessero tempo a cercarla.
Non era di quel tipo di aiuto di cui aveva bisogno.
Non necessitava di essere salvata, solo di poter tornare a casa.
Fate presto, vi prego.”
§
L’urlo riecheggiò per tutta la casa nel cuore della notte.
Si era appena addormentato, ma quel suono familiare e raggelante gli fece spalancare gli occhi in preda al terrore.
Sulle prime, pensò di averlo sognato; le conosceva bene, quelle urla.
Lo tormentavano ogni notte.
Poi si rese conto di sentirle ancora, anche da sveglio e capì che erano reali.
Capì che era la Granger, nella stanza accanto, a gridare dal dolore.
Scostò sgraziatamente di lato le coperte e la raggiunse a grosse falcate, terrorizzato.
Non si attardò neanche per mettere su una camicia per non perdere tempo.
La vide agitarsi convulsamente nel suo letto, con gli occhi serrati e lacrimanti.
Stava avendo un incubo; probabilmente lo stesso che si insinuava regolarmente nei suoi sogni, solo da un’altra prospettiva: quella più brutta.
«Non abbiamo preso niente, non abbiamo preso niente…», farfugliava nel sonno, scuotendo il capo.
Sul suo volto c’era la stessa espressione di dolore che aveva quella maledetta notte.
Le si avvicinò esitante e le prese le spalle tra le mani.
«Granger», la chiamò, scuotendola leggermente.
«Granger!»
Lei sbarrò gli occhi; il suo viso era bagnato dalle lacrime e la sua fronte imperlata di sudore.
Fu attraversata da un istante di lucidità, come se lo avesse riconosciuto.
E poi ci fu puro terrore nel suo sguardo.
«Non abbiamo preso niente! Ti prego, ti prego!» continuò a gridare, anche se ormai era sveglia.
E Draco capì che credeva di essere al Manor, che pensava che lui volesse farle del male.
Perché era lì mentre veniva torturata, a guardarla, senza fare niente per aiutarla.
Il suo cuore mancò un battito e lui deglutì con forza, poi spostò le mani sul suo viso.
«Era solo un incubo, Granger», le sussurrò con voce spezzata, puntando gli occhi in quelli di lei. «Solo un incubo. Sei al sicuro
«Per favore…» mormorò ancora supplichevole.
«Non ti farò del male, Granger», la tranquillizzò nuovamente, cercando con tutte le sue forze di mantenere un tono fermo, di non crollare a sua volta.
Lei si guardò attorno confusa e poi, dopo qualche attimo, sembrò riacquistare lucidità, man mano che i ricordi ritornavano al loro posto, riportandola al presente.
Draco si portò il capo della ragazza sul petto, prese ad accarezzarle i capelli, mentre si distendeva al suo fianco con il cuore che gli batteva all’impazzata.
Lei si irrigidì al contatto con il corpo del giovane, ma lui non si allontanò ugualmente; la tenne stretta a sé come se non ci fosse nulla di più importante al mondo in quel momento del sentirla tra le sue braccia.
«Nessuno ti farà del male, qui», mormorò ancora, provando a suonare il più rassicurante possibile. «Calmati, Granger. Sei al sicuro.»
Hermione tremò contro il suo corpo, ma non oppose resistenza.
Draco mi ha salvata, alla fine”, ricordò a sé stessa. “Mi ha portata via.
«Respira
Draco sentì i muscoli di lei rilassarsi tra le sue braccia, il suo petto alzarsi e abbassarsi lentamente mentre inspirava ed espirava a fondo, il suo respiro e il pulsare del suo cuore regolarizzarsi progressivamente.
Chiuse gli occhi.
«Non ti farei mai del male, Granger.»
§
Passò un mese e mezzo prima che Draco riuscisse a procurarle un altro giornale.
«Non possiamo rischiare di attirare attenzione», le aveva detto settimane prima, quando gli aveva chiesto se fosse possibile avere informazioni più regolarmente. «Mando Tilly in città una volta al mese per fare scorta di viveri. Non correrò rischi inutili.»
«Piton è ancora Preside di Hogwarts», commentò in tono asciutto lei.
Ginny avrebbe iniziato il suo settimo e ultimo anno, quel settembre; sempre se avesse deciso di tornare a scuola.
Il Serpeverde la guardava e la ascoltava, mentre beveva una tazza di tè, senza dire nulla.
Poi la vide irrigidirsi e impallidire, gli occhi che saettavano agitati lungo un articolo.
«Che succede, Granger? Che hai letto?»
Le strappò il giornale di mano quando vide che non accennava a rispondergli.
“Lucius Malfoy riconquista il suo posto tra i ranghi dei Mangiamorte portando alla giustizia un gruppo di Nati Babbani fuggiaschi. Justin Finch-Fletchley, anni 18, fuggiasco noto amico di Harry Potter e membro dell’Esercito di Silente, è riportato tra i catturati.”
Hermione tirò la sedia indietro facendola stridere contro il pavimento e corse a chiudersi nella sua stanza.
Justin.
Lo stesso Justin che aveva Voldemort come Molliccio… nelle mani della Umbridge, di nuovo; tra le grinfie dei Mangiamorte, con la possibilità che lo stesso mago oscuro gli facesse visita per via dei suoi rapporti con il trio.
Non riuscì a trattenere le lacrime, mentre stringeva forte tra le dita le lenzuola bianche e affondava il volto nel cuscino per soffocare i singhiozzi.
Per non attirare la sua attenzione.
“Fate presto, vi prego” pensò disperata.
Fate presto.
§
Era più guardinga dopo aver letto quegli articoli.
Come se temesse che Draco potesse tornare in sé e decidere di portarla da suo padre da un momento all’altro, di consegnarla in cambio della propria salvezza.
Evitava i pasti in comune, per non dover stare con lui.
Sperava che Tilly non gli dicesse che in realtà stava bene.
Poi però, un giorno, quando ne ebbe abbastanza, lui spalancò la porta della sua stanza senza preavviso, facendola sussultare.
«Non ho intenzione di consegnarti, stupida!», le sputò contro seccato. «Falla finita!»
Se ne andò subito dopo, sbattendosi la porta alle spalle.
Hermione rimase lì, seduta sul suo letto, a cercare di calmarsi, di regolarizzare il respiro.
Ingurgitò l’unica pozione che continuava a prendere, le sue braccia tremavano ancora.
Non riusciva ancora a ragionare come prima e la cosa la faceva impazzire.
Non riusciva neanche a praticare la magia come un tempo.
Si chiedeva costantemente se non fosse rovinata per sempre.
§
Aveva finito di rileggere tutti i libri che si era portata dietro nella borsetta di perline.
Era stata sorpresa di rivederla quando gliel’aveva data, la credeva perduta; anche se a quel punto sarebbe stata più d’aiuto a Harry e Ron che a lei.
«Credevo potesse esserci qualcosa di utile, essendo tua», le aveva risposto Draco quando gli aveva chiesto spiegazioni. «E c’era.»
Volumi di materie disparate, ingredienti per pozioni, un po’ di cibo.
I suoi vestiti.
E quelli di Harry e Ron.
Sulla stoffa era ancora impregnato il profumo dei suoi amici; se da un lato gliene faceva sentire maggiormente la mancanza, dall’altro le era di compagnia.
Dormiva con le loro magliette addosso, sperando che il loro fantasma tenesse lontano gli incubi.
Draco le aveva chiesto a cosa le servisse tutta quella Polisucco; Hermione aveva scrollato le spalle e si era assicurata che non avesse tirato fuori il quadro di Phineas Nigellus Black; avrebbe potuto rivelare la loro posizione a Piton, dato che il quadro gemello si trovava a Hogwarts, nell’ufficio del Preside.
Si era complimentato per l’Incantesimo Estensivo Irriconoscibile e lei lo aveva guardato con le labbra dischiuse, sbattendo le palpebre, totalmente sorpresa.
Lui se n’era andato l’attimo dopo.
§
Le fece trovare una decina di libri insieme al giornale di quel mese.
Alcuni babbani, altri del mondo magico.
Lo ringraziò per quell’atto di premura o compassione; le sembrava di scivolare lentamente nella pazzia senza avere qualcosa da fare.
«C’era qualcosa di interessante?», le chiese a cena.
Hermione sbatté le palpebre. «Mmh, sì», rispose incerta. «Grazie, a proposito.»
Draco scrollò le spalle e non aggiunse altro per tutto il pasto.
«Faccio fatica a leggere», gli confessò il giorno dopo.
«E a ragionare. Le tempie sembrano sul punto di esplodere, le parole si fondono tra di loro, dopo un po’.»
Non gli disse che ogni volta che provava a usare la bacchetta, il braccio iniziava a tremare convulsamente.
Non voleva che lo sapesse, non poteva permettere che proprio lui venisse a sapere che stava avendo problemi a usare la magia.
Non lo avrebbe sopportato.
«Perché non me lo hai detto prima?», la rimproverò sollevando un sopracciglio, palesemente stizzito.
Avrebbe dovuto continuare a prendere anche l’altra pozione.
«Pensavo che fossero tutte quelle pozioni a offuscarmi la mente.»
«Stupida.»
Stupida sembra essere diventato il suo nuovo insulto preferito”, rifletté la ragazza, “dato che Sanguemarcio non esce più dalla sua bocca.
Forse aveva capito che insultare il suo intelletto la feriva più dell’insultare le sue origini, ipotizzava.
§
Dormiva tanto.
Era colpa della pozione che Draco le aveva ordinato di riprendere ad assumere.
Stava fissando la cicatrice sul suo avambraccio quando lo sentì comparire alle sue spalle.
Hermione si riabbassò la manica prontamente e lui si schiarì la gola.
«Ho un altro giornale», le disse, ignorando il senso di colpa e il disagio che vedere quell’incisione gli aveva provocato, come accadeva sempre. «Non… Non è bello.»
Lei trasse un respiro profondo e lo raggiunse a grosse falcate; prese la rivista e si portò una mano sulle labbra non appena gli occhi le caddero sul titolo in prima pagina.
Lavanda Brown, noto membro dell’Ordine della Fenice, trovata dilaniata da morsi di licantropo in una foresta.”
«Perché non fanno niente?» urlò Hermione in un impeto di rabbia. «Perché si limitano a scrivere articoli e non intervengono?»
Draco fece spallucce. «Non è la loro guerra.»
Le lacrime lasciarono incontrollate i suoi occhi, i singhiozzi iniziarono a scuotere la sua esile figura.
«Vorrei solo che tutto finisse.»
Sorprendentemente, lui le si avvicinò, le afferrò un polso e la tirò a sé.
Lei crollò immediatamente, scoppiando a piangere più rumorosamente.
«Anche io, Granger», mormorò tra i suoi capelli. «Anche io.»
§
«Devo raggiungere Harry e Ron», esordì un giorno durante il pranzo.
«Non posso più stare qui ferma a non fare nulla!»
Il biondino deglutì; avrebbe dovuto immaginarlo che non sarebbe rimasta lì con lui.
«Battimi a duello e ti lascerò andare», rispose scrollando le spalle, fingendo indifferenza.
Hermione sollevò un sopracciglio.
«Credevo che non fossi tua prigioniera.»
«No, infatti», confermò Draco. «Voglio solo verificare che tu ti sia ristabilita completamente.»
Lei sbuffò e poi tirò fuori la bacchetta. «Forza, allora.»
Lo odiava un po’ per questa sua sfida, perché sapeva perfettamente che lui era più bravo di lei nei duelli, anche se ne apprezzava le intenzioni; o forse voleva solo umiliarla un’ultima volta prima di separarsi per sempre.
Posso farcela”, disse a sé stessa, in un flebile tentativo di autoconvincersi.
«Tanta fretta, Granger?», le chiese sardonico. «E io che pensavo di iniziare a piacerti.»
La ragazza alzò gli occhi al cielo.
«Prima parto, prima raggiungo quei due, prima possiamo mettere un punto a tutta questa faccenda. La gente sta morendo.»
Draco rabbrividì appena.
Voleva tornare a combattere dopo tutto quello che aveva subìto.
Era decisamente pazza.
«Non che propormi un duello sia giusto, quando tu facevi parte del Club dei Duellanti a scuola.»
«Uso la bacchetta di mia madre e non mi capisce appieno, Granger», le rispose con una scrollata di spalle. «Possiamo dire che giochiamo ad armi pari.»
Erano a metà duello quando il braccio di Hermione iniziò a tremare, la sua vista si annebbiò… e venne colpita in pieno da uno Schiantesimo.
Si rialzò borbottando, sfregando le mani sui jeans, portandosene una alla testa; tornò in camera sua e sbatté la porta senza dirgli nulla.
Draco sorrise.
Sembra che tu sia bloccata qui con me ancora per un po’, Granger.”
§
“E se tutto ciò che mi rendesse Hermione Granger fosse perduto per sempre?
Il mio cervello, i miei riflessi, le mie abilità… se Bellatrix Lestrange mi avesse portato via tutto?”
Si poneva quelle domande ogni giorno, ormai.
Sanguemarcio.
Sporca, indegna di praticare la magia… non una vera strega.
Iniziava a pensare che quell’incisione fosse maledetta, che la stesse privando della sua magia.
Piangeva più spesso, ora.
Forse morire quella notte sarebbe stata clemenza.
Si sentiva come se in un certo senso fosse morta comunque.
Era stanca di non sapere, però; di non capire.
Draco Malfoy era indecifrabile come il giorno in cui erano arrivati in quel posto; il suo comportamento la destabilizzava maggiormente giorno dopo giorno.
«Lo volevi, il Marchio?» gli chiese a bruciapelo una sera, chiudendo con uno scatto il libro che stava leggendo.
A che pro proseguire? Non riusciva comunque a distinguere le parole dopo un paio di ore di lettura.
Lui la guardò con gli occhi sbarrati e fece immediatamente per andarsene.
«Per una volta, puoi anche evitare di fare il codardo», lo accusò risentita.
Scappava, Draco. Scappava sempre davanti alle domande o alle situazioni scomode.
La raggiunse a grosse falcate, fermandosi solo quando il viso fu a un centimetro dal suo.
Assottigliò gli occhi.
«Se fossi un codardo, Granger», le sibilò contro, «ti avrei lasciata morire.»
Hermione non poté evitare di trasalire a quelle parole.
Non riuscendo a formulare una frase coerente da rifilargli, rimase a fissare la sua schiena mentre si allontanava rapidamente dalla stanza.
§
Ci riprovò la settimana dopo.
Era determinata ad avere le risposte che cercava.
«Harry ha detto che stavi abbassando la bacchetta», affermò dal nulla, giocando con un bicchiere di Firewhiskey.
Draco svuotò il suo in un sorso e lo riempì di nuovo.
«Che non credeva che lo avresti fatto, che non pensava che avresti ucciso Silente.»
«Mi aveva offerto il suo aiuto», le rispose in tono asciutto. «Protezione. Per me, per la mia famiglia. Ma prima che potessi dargli una qualsiasi risposta, è arrivato Piton e lo ha ucciso.»
Una risata amara lasciò le sue labbra. «Ci ho creduto veramente, di avere un’altra opzione, per un istante. Di potermene tirare fuori. Poi mi sono ricordato del Voto che Piton ha stretto con mia madre.»
Hermione corrugò la fronte, ricordando la conversazione tra il biondino e il professore che Harry aveva origliato durante il sesto anno. «Cosa diceva il Voto Infrangibile?»
La guardò assottigliando gli occhi, una volta compreso che lei, in qualche modo, era già a conoscenza di quella storia. «Siete dei ficcanaso assurdi, lo sai?»
Lei scrollò le spalle.
«Se non avessi ucciso io Silente avrebbe dovuto farlo lui. Una postilla voluta da Bellatrix. Mia madre stava solo cercando di proteggermi.»
Hermione si morse le labbra.
Qualcosa non le tornava in quella storia, sentiva che c’era di più di quello che sapevano dietro a quella faccenda, ma non riusciva a capire cosa.
«Io sarei scappata con mio figlio e ci avrei nascosti», ribatté lei. «Non lo avrei aiutato ad assecondare un pazzo omicida.»
Aveva ragione, Draco ne era consapevole.
E forse era proprio il motivo per cui quelle parole gli fecero così male.
Si inumidì le labbra e le lanciò uno sguardo sprezzante.
«Che cosa ne sai tu, ah? Pensi di sapere cosa voglia dire avere lui in casa propria? Che sia facile nascondersi o tirarsi indietro quando ti vuole dalla sua parte? Cosa ne sai, tu? Sei sempre la solita, s…»
«Sporca Sanguemarcio
«…stupida so-tutto-io!» finì la frase Draco, realizzando solo dopo quello che aveva detto la ragazza.
La vide sgranare gli occhi e sbattere le palpebre sorpresa.
Lui scosse la testa.
Vaffanculo!”, si ritrovò a imprecare nella sua mente e poi se ne andò, senza aggiungere altro.
Hermione non lo fermò.
§
La scoprì un ventoso pomeriggio di fine ottobre.
L’aveva sentita piangere fuori dalla porta, mentre attraversava il corridoio e per qualche motivo i suoi piedi lo avevano portato ad entrare nella stanza.  
Aprì la porta senza far rumore e fece una smorfia disgustata quando notò che la Granger indossava una maglietta palesemente appartenuta a Weasley.
Ma la sua attenzione venne presto catturata da altro.
Corrugò la fronte, quando la vide stringere forte l’impugnatura della sua bacchetta; il braccio le tremava e lei singhiozzava disperata.
«Prova con qualcosa di più semplice», la sentì dire a sé stessa.
«Vingardium Leviosa
Il primo incantesimo studiato a Hogwarts.
La margherita sul pavimento davanti a lei si sollevò di qualche centimetro per qualche istante, poi cadde a terra.
E Hermione pianse più forte, poggiando la bacchetta accanto a sé per prendersi il volto tra le mani.
Non voglio vivere se non posso usare più la magia”, pensò affranta. “Se non posso più leggere. Se non posso essere più me stessa.
«Questo non me lo hai detto», constatò una voce fredda e strascicata alle sue spalle, facendola sussultare.
Si voltò e trovò Draco in piedi, vicino alla porta, intento a guardarla con le braccia conserte e un sopracciglio sollevato.
«Non c’è nulla da dire», ribatté lei aspramente. «Non sono affari tuoi.»
«Sono io che ti sto curando, stupida!», le disse in tono piccato. «Se non mi parli dei problemi che stai riscontrando, non posso aiutarti!»
Una risata gelida fuoriuscì dalla gola di Hermione.
«E sentirti dire che avevi ragione a dirmi che non sono una vera strega?» replicò causticamente. «Non ti darò questa soddisfazione.»
Lui la guardò assottigliando gli occhi per qualche secondo; lo vide stringere il labbro inferiore tra i denti, dilatare le narici e chiudere le mani in pugni ferrei.
«Stupida», ripeté in un ringhio e poi se ne andò.
Hermione riprese a piangere.
Quel pomeriggio, Draco mandò Tilly in città anche se era la seconda volta nello stesso mese e il giorno dopo portò a Hermione una pozione nuova.
«È tutto ciò che l’unico libro che ho qui sull’argomento consiglia contro quel sintomo», le spiegò. «Prega che funzioni.»
§
Decise di provare ad esercitarsi con la magia senza bacchetta.
Il suo braccio e la sua vista non volevano collaborare, ma sperava di poter ancora contare sul suo cervello.
Era esausta dopo le ore di pratica, però non le importava.
Era riuscita a far sollevare quel maledetto fiore, alla fine.
Stava assumendo tre pozioni in quel periodo e sembravano migliorare la sua situazione, ma Hermione aveva la forte e orrenda sensazione che non sarebbe mai più tornata quella di prima.
Lottava contro gli effetti della Cruciatus da troppo tempo e sapeva bene quanto potessero essere permanenti; conosceva la storia dei genitori di Neville, il ricordo della signora Longbottom al San Mungo era vivo nella sua testa come se l’avesse vista soltanto il giorno prima.
Si chiedeva spesso se avrebbe iniziato a perdere la memoria anche lei prima o poi, o se almeno in quello era stata fortunata.
Non era stata torturata a lungo quanto loro, tanto da cadere nella pazzia, ma era già molto fragile quando era stata portata al Manor.
Denutrita, debole, stanca.
Forse era per quello che ci stava impiegando tanto a ristabilirsi completamente.
E se questa fosse la tua nuova normalità?” ipotizzò la vocina nella sua testa.
Hermione serrò gli occhi e scosse la testa violentemente.
No. Non poteva accettarlo.
Non poteva arrendersi.
§
«Non hai mai risposto alla mia domanda», gli disse una sera.
Draco le lanciò uno sguardo confuso.
«Lo volevi il Marchio?»
«Cosa importa? Che lo volessi o no, l’unico modo per sopravvivere era prenderlo. Che differenza fa?» ribatté in tono asciutto lui. «È comunque qui» e indicò il suo avambraccio, con un breve cenno del capo e una smorfia sul viso.
Hermione ci pensò su per qualche istante. «Tutta la differenza che conta.»
Lui sbuffò. «Mio padre mi ha sempre detto che quello era il mio destino. Non mi sono mai chiesto se lo volessi davvero o no, è quello che mi hanno insegnato a definire onorevole», disse alla fine. «Quello a cui dovevo ambire. Per cui Granger ero contento di venire scelto… Finché non ho capito quello che significava davvero, finché non ho… visto quello che facevano veramente. Finché non ho capito di non voler fare niente di tutto quello, ma era troppo tardi.»
Lei gli scoccò un’occhiata accusatoria. «Lo sapevi fin dall’inizio, quello che facevano.»
«Sentirlo dire e vederlo sono due cose diverse», le rispose in tono fermo. «Non… Non sono come loro.»
Hermione si mordicchiò l’interno della guancia, poi distolse lo sguardo da lui e lo fissò sul proprio piatto.
Non gli rivolse più la parola per il resto della serata e Draco pensò di aver appena mandato all’aria la sua possibilità di esser visto diversamente da lei scegliendo di essere onesto.
Perché gli importasse, non gli era esattamente chiaro.

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Capitolo 4
*** Mistletoe ***


CAPITOLO 4
Mistletoe





 
 

 
«Voglio mandare un messaggio a Harry e Ron.»
Draco soffiò sonoramente.
«Sei fuori di testa», ribatté piccato. «Vuoi farci ammazzare?»
«Voglio che sappiano che sono viva e che sto bene e che non devono perdere tempo a cercarmi. Gli avrei mandato un Patronus, ma a quanto pare sono più inutile di Gazza, ormai!» rispose Hermione con un singhiozzo; si portò le mani al viso e fece per andarsene.
Non le piaceva farsi vedere in lacrime da Malfoy.
La mano del biondino si chiuse sul suo polso, impedendole di fuggire via; la voltò lentamente e sostituì le mani di lei con le sue, per poi cercare di costringerla a guardarlo negli occhi.
«Troveremo una soluzione», affermò con convinzione, ma poteva leggere nel suo sguardo che lei stava perdendo la speranza.
«Non posso tornare ad essere… a com’era prima…» farfugliò lei tra i singhiozzi; non sapeva neanche perché stava dicendo quelle cose proprio a lui, ma non riusciva a trattenere le parole. E al contempo non riusciva ad esprimersi correttamente, a finire le frasi.
Forse lo stava facendo perché a conti fatti Malfoy era tutto ciò che avesse in quel momento.
L’unica persona con cui potesse sfogarsi in qualche modo.
«Non posso…»
«Granger, anche se non dovessi mai più riuscire ad eseguire un incantesimo, resteresti la strega più brillante della nostra generazione», le sussurrò accarezzandole i capelli, stringendola a sé.
Hermione si ritrovò a far scivolare le mani sulla sua schiena e farsi consolare da quell’abbraccio inaspettato, ricambiando il gesto a sua volta.
Aggrappandosi a lui, come se fosse un’ancora di salvezza.
E forse, un po’, lo era diventato.
§
«Granger», asserì accigliato Draco. «Che accidenti vuol dire questo
Le indicò il foglio di pergamena sul quale la ragazza aveva scarabocchiato il messaggio che intendeva far recapitare ai suoi amici.
Hermione sbuffò. «È scritto in codice, Malfoy», affermò con ovvietà, incrociando le braccia sotto il seno.
Ramoso 2.0, Terrier,
Sto bene.
Un furetto irritante mi tiene compagnia, non sono sola.
Purtroppo, non posso raggiungervi per ora.
Non pensatemi troppo.
Buona fortuna.
A presto,
Lontra.
«E credi che quei due capiranno che non hai bisogno di essere salvata da questo?» ribatté lui in tono scettico, sollevando entrambe le sopracciglia. «Lontra
«La forma del mio Patronus», gli spiegò. «Capiranno.»
«Credo che ci siano alte probabilità che pensino che ti sto torturando e che tu stia perdendo la testa, Granger», insisté lui, per niente convinto dall’idea della Grifondoro.
«Certo, perché se mi avessi torturata per tutti questi mesi avrei ancora la capacità di ricordarmi della tua fantastica performance come furetto bianco.»
Draco assottigliò gli occhi e si inumidì le labbra. «Non approfittare della mia pazienza, Granger.»
Lei scrollò le spalle. «Devo ammettere che ti preferisco in versione furetto», commentò ignorando l’avvertimento. «Eri quasi carino
Il biondino ringhiò. «Sei tu quella irritante.»
«Se lo dici tu.»
Draco richiuse il messaggio, per poi affidarlo a Tilly.
«Sai cosa fare.»
§
Draco sbuffò.
Ancora non credeva al fatto che aveva trascorso l’intera mattinata a incantare la parte di campo più vicina alla casa in modo che le margherite sopravvivessero alle intemperie.
Perché alla Granger piacevano.
Sapeva quanto le pesasse non poterci pensare lei, allora lo aveva fatto senza che neanche glielo chiedesse.
E quando se n’era accorta, lei gli aveva sorriso, genuinamente.
Draco non sapeva cosa fosse quel calore che aveva avvertito all’altezza dello stomaco quando gli aveva rivolto quel gesto.
Non sapeva neanche perché gli angoli delle sue labbra si sollevassero all’insù ogni volta che la vedeva intrecciare i fiori tra i suoi capelli voluminosi.
Si perdeva spesso, quando la guardava, riscuotendosi tempo dopo senza sapere bene per quanto l’avesse osservata effettivamente.
O perché lo avesse fatto in primo luogo.
«Perché ti piacciono così tanto, quelle margherite?» le domandò quella sera a cena, simulando un tono neutro.
Lei scrollò le spalle. «Sono belle», disse semplicemente. «E il campo nel suo complesso mi dà un’idea di pace e di… libertà.»
Draco annuì, non sapendo cosa dire.
Non avrebbe mai pensato che un giorno sarebbe arrivata a sentirsi libera in un posto in cui erano bloccati solo loro due.
§
Natale arrivò senza che se ne rendessero conto; Hermione lo scoprì dalla data indicata sul giornale che Tilly le aveva portato in camera quella mattina.
Harry e Ron avevano derubato la Gringott.
«Pazzi», commentò Draco borbottando quando lesse a sua volta l’articolo. «Due fottuti pazzi.»
Lei sorrise, immaginando la loro fuga a bordo di un drago.
Il biondino la guardò scuotendo la testa. «Scommetto che stai pensando a quanto ti sarebbe piaciuto essere con loro.»
«Grifondoro», rispose solamente lei, facendo spallucce, come se quella semplice constatazione fosse sufficiente a spiegare tutto.
Lui sbuffò e alzò gli occhi al cielo.
«Mi vuoi spiegare cosa stai facendo adesso?»
Hermione gli sorrise, con sua sorpresa.
«Non hai letto la data?», gli chiese. «È il periodo di Natale.»
«Assolutamente no», esclamò sdegnato il giovane. «Non tappezzerai la casa di cianfrusaglie rosso e oro.»
«E dai!», insisté lei. «Tilly può fare un salto a prenderci delle decorazioni o potresti trasfigurare questi», propose, rabbuiandosi visibilmente al pensiero di non poterlo fare lei stessa.
La vide guardare con aria malinconica la bacchetta che giaceva sul pavimento a pochi centimetri da dov’era seduta lei.
Ci aveva provato, ma era riuscita ad ottenere solo qualche pallina rossa prima che gli spasmi iniziassero.
Draco sbuffò e si passò una mano sul volto, esasperato e rassegnato.
Come posso negarglielo, quando sembra che la sola idea del Natale la faccia sentire meglio?
«E va bene», acconsentì, «ma l’albero lo facciamo verde e argento.»
«Facciamo l’albero rosso e oro», rilanciò lei, «ma mettiamo le luci verde e argento all’esterno.»
«Granger, la casa ha delle protezioni potenti, ma eviterei di trasformare l’ingresso in un’insegna luminosa, che ne dici?»
La ragazza si mordicchiò l’interno di una guancia, ma alla fine concordò con lui. «Vorrà dire che metteremo le luci sul camino.»
Lo sentì borbottare qualcosa sul conto dei Grifondoro, ma dal tono che aveva usato capì di aver vinto la discussione e non poté fare a meno di sorridere.
§
«Hai mandato Tilly di nuovo in città solo per il cenone della Vigilia?»
Hermione osservò il tavolo imbandito con la mascella a terra e gli occhi spalancati; poi si voltò a guardare Draco, che scrollò le spalle con apparente indifferenza.
«Sembra che ci tenessi», constatò con nonchalance, ma lei poté giurare di aver visto le sue guance colorarsi leggermente per un istante.
No, devo averlo immaginato”, disse a sé stessa, scuotendo la testa per cercare di riacquistare lucidità.
Draco non arrossiva.
«Allora, mangiamo o no?», domandò il biondino, sembrando leggermente a disagio e al contempo nervoso.
Non ne capiva bene il motivo neanche lui, dato che per nove mesi non avevano fatto altro che condividere i pasti e qualche conversazione a tavola, ma in quell’occasione sembrava semplicemente diverso.
Nessuno dei due sembrava sapere cosa dire mentre consumavano la cena ed entrambi non sapevano se ringraziare l’altro per non cercare di parlare o se odiare l’altro per il fatto di star rendendo il tutto più imbarazzante del dovuto.
Era solo il cenone della Vigilia, in fondo.
O forse era proprio quello il problema, perché festeggiare propriamente il Natale dava l’idea di essere a casa e in quel posto c’erano solo loro due.
Draco stappò una bottiglia di vino elfico, alla disperata ricerca di un modo per allentare la tensione. «Vuoi?»
Hermione annuì e tese il suo calice verso di lui.
Vuotarono la bottiglia, convenendo che per un giorno potevano anche lasciarsi andare.
A un certo punto della serata, Draco si ritrovò a pensare che fosse bella, con le guance leggermente arrossate e le labbra rese più rossicce dal vino che aveva bevuto.
«Com’era il Natale nella Sala Comune di Serpeverde?» gli domandò a un certo punto.
Non sapeva perché quell’informazione le sembrasse così importante in quel momento.
«Lo facevate l’albero?»
«No», rispose lui. «Le decorazioni nel castello erano un tedio più che sufficiente, grazie.»
Hermione parve rabbuiarsi a quelle parole. «Oh.»
Draco sospirò. «Neanche al Manor», sussurrò poi, deglutendo. «L’unico anno che ho avuto il coraggio di chiedere a mio padre di farne uno, di ritorno da Hogwarts il primo anno, mi ha riso in faccia. Non sono più tornato a casa per le vacanze…»
La mano di lei sfiorò leggermente la sua, posata sul tavolo.
Il biondino non sapeva se indignarsi per quell’atto di compassione o approfittarne per prenderla nella sua.
Era dannatamente calda…
«Eccetto al settimo anno» aggiunse ancora, con voce bassa. «Non so cosa fosse peggio. Restare a Hogwarts o tornare al Manor. Sono stato obbligato, ma non avrebbe fatto molta differenza alla fine, credo.»
All’improvviso, un boato all’esterno li fece sobbalzare.
«Che succede?» esclamò Draco, tirando fuori la bacchetta della madre, all’erta.
Hermione lanciò un’occhiata all’orologio appeso al muro, constatando che fosse mezzanotte.
«Sono fuochi d’artificio», dedusse dai colori nel cielo che intravedeva all’esterno della finestra.
«A Natale?» commentò dubbioso lui, dirigendosi verso la porta per uscire a controllare.
Poi la sua testa fece capolino dalla fessura. «Esci, Granger.»
La ragazza sorrise immediatamente, quando vide le forme colorate illuminare il cielo.
Draco evocò un mantello e glielo posò sulle spalle, venendo scosso da un brivido al timido «grazie» che ricevette in risposta.
Lo sguardo di Hermione era incollato ai fuochi d’artificio, che le facevano pensare malinconicamente ai gemelli Weasley, ma al contempo la confortavano, essendo una cosa così familiare e bella, semplice, lontana dall’oscurità della guerra a cui era ormai da tempo abituata. Draco, invece, aveva gli occhi puntati su di lei.
Non gli importava nulla dei fuochi.
Studiava il suo volto, sul quale si riflettevano i colori dello spettacolo pirotecnico sopra di loro, illuminandolo ed evidenziandone le espressioni; meraviglia, entusiasmo, tristezza…
Del vischio magico apparve su di loro proprio in quel momento, distraendolo dai suoi pensieri.
Non si accorse che la ragazza aveva alzato lo sguardo su di lui e aveva seguito la direzione dei suoi occhi, intenti a fissare il vischio che si diramava nella loro direzione, aprendosi in sinuose linee.
Hermione arrossì violentemente e si schiarì la gola, facendo un passo indietro, incerta e visibilmente a disagio.
Draco la guardò con un’espressione indecifrabile che non riuscì a interpretare minimamente.
«Credo che… ehm», farfugliò lei, ridacchiando imbarazzata. «Credo che il vischio magico non tenga conto, ehm, delle… differenze
E fu come se gli avesse dato un pugno dritto nello stomaco, violento; un leggero malessere iniziò a diffondersi dentro di lui, irradiandosi dalla bocca del suo stomaco, dove aveva avuto origine.
Hermione gli rivolse un timido sorriso, poi rientrò rapidamente in casa, abbandonando il mantello sul divano e correndo imbarazzata verso la sua stanza.
La mano di Draco si chiuse all’improvviso sul suo polso, costringendola a voltarsi; la sua schiena finì contro la porta della sua camera e i suoi occhi color cioccolato si spalancarono per lo stupore.
«Neanche io», le disse solamente. «Non più.»
Due secondi dopo, le labbra del biondino erano su quelle di lei, decise e bramose; affondò una mano tra i suoi capelli, mentre l’altra scivolava sulla sua schiena ed esercitava una piccola pressione per stringerla a sé.
La premette contro il suo corpo avidamente, perché voleva sentirla.
Era da tanto che voleva farlo; o almeno era quello che avvertiva, anche se non avrebbe saputo dire esattamente da quanto. Ma la sensazione che provava mentre le loro labbra si inseguivano instancabilmente era chiaramente quella che si provava quando si desiderava qualcosa a lungo e poi, finalmente, accadeva.
Hermione, sulle prime, si era irrigidita a quel contatto, tanto che Draco aveva pensato che ci fosse un sonoro schiaffo in arrivo per lui, anche se non si era ugualmente fermato; ma poi lei aveva dischiuso le labbra esitante, sbalordendolo totalmente, garantendogli un maggiore accesso del quale aveva giovato immediatamente, senza alcuna esitazione. Aveva avvertito chiaramente il momento in cui la tensione aveva abbandonato il suo corpo, premuto contro il proprio, l’istante in cui si era arresa a lui.
Il biondino aprì la porta della stanza e la guidò all’interno, barcollando a tentoni in quel groviglio di mani e braccia che si esploravano avidamente, fino a scontrarsi contro il bordo del materasso; la adagiò con cautela sul letto, senza mai staccare le labbra da lei.
Draco era certo che non lo avrebbe fatto mai più; che sarebbe volentieri rimasto lì a baciarla finché non sarebbero diventati vecchi e sarebbe morto tra le sue braccia, felice.
Perché era così che si sentiva: felice.
E in quel momento realizzò anche che era la prima volta in tutta la sua vita che provava quell’emozione, perché lui non aveva mai provato niente di simile, prima.
Qualche ora più tardi, o almeno così era sembrato a entrambi, Hermione allontanò il volto da quello di lui e lo poggiò sul suo petto.
Esalò un sospiro e Draco deglutì, perché temeva che se ne fosse già pentita e non era sicuro di poterlo sopportare. Ma lei non disse alcuna parola; chiuse gli occhi e si mise comoda, permettendogli di coprirla con il lenzuolo, di circondarle le spalle con un braccio, di giocare con i suoi capelli con una mano.
«Buon Natale, Draco» sussurrò con un filo di voce; il suo respiro caldo accarezzò il suo petto, facendolo rabbrividire di piacere.
E lui sorrise, perché forse quello era stato l’unico Natale veramente buono che avesse mai avuto.
«Buon Natale, Hermione» mormorò a sua volta, stringendola un po’ di più a sé.
Sentì le sue labbra aprirsi in un sorriso, sfiorando appena la pelle del suo torace lasciata scoperta dalla camicia che gli aveva sbottonato in qualche momento confuso dell’ultima parte della serata.
Draco chiuse gli occhi.
Qualcosa gli diceva che quella notte gli incubi non sarebbero tornati a fargli visita.
§
Fecero l’amore per la prima volta la notte di Capodanno.
Hermione gli aveva detto che le sarebbe piaciuto accogliere il nuovo anno facendo qualcosa di bello, qualcosa che non aveva mai fatto prima.
Erano seduti su un giaciglio di cuscini, davanti al camino acceso e Draco aveva una mano sotto la sua maglietta, le accarezzava la schiena nuda, sfiorando la sua pelle con delicatezza e possessività al contempo; le punte delle sue dita si erano poi spostate sulla parte davanti, lentamente, lasciando leggere carezze sul suo ventre, muovendosi incerte, ma chiaramente impazienti.
Hermione non sapeva come facesse a toccarla in quel modo, come fosse possibile conciliare le due cose, ma lui ci riusciva.
Draco si era fermato quando quelle parole erano uscite dalle sue labbra e non aveva detto niente per qualche istante; Hermione, però, in quel momento, poteva leggere nei suoi occhi le emozioni che lo stavano attraversando e che probabilmente stava cercando di elaborare.
Stupore, desiderio… possessività.
Lei deglutì, perché in cuor suo sapeva che si stava offrendo totalmente a lui e la cosa un po’ la spaventava, ma ormai l’aveva capito che non poteva più impedirlo e che era al sicuro nelle sue mani.
Si era preso cura di lei per quasi dieci mesi.
E lei lo voleva talmente tanto che quasi le faceva male privarsene.
Draco non occludeva più come era solito fare prima, non nei loro momenti di intimità.
Per qualche motivo a lui sconosciuto, desiderava che Hermione fosse cosciente di quello che provava quando erano insieme, del modo in cui lo faceva sentire.
Voleva farla stare bene e rassicurarla, dato che a volte ancora lo guardava con evidente timore di essere respinta o esitava a prendere l’iniziativa, titubante nell’essere la prima ad avviare il contatto, ma lui con le parole non era in grado di esprimersi, non importava quanto si sforzasse, non riusciva proprio a farle uscire.
Allora aveva deciso di smettere di occludere, di evitare di controllare le emozioni che lasciava trasparire, o comunque la maggior parte di esse, così che lei potesse vederle chiaramente.
E a Hermione sembrava andare bene quella soluzione, lei sembrava capire.
«Granger, neanche io ho mai…»
Lasciò cadere la frase, ma anche se non ne comprendeva bene il motivo, credeva che lei dovesse saperlo.
La guardò mordersi il labbro inferiore per qualche secondo e poi sorridergli, leggermente divertita. «Credo che siamo abbastanza svegli da capire come fare.»
Lui si lasciò andare ad una risatina nervosa, ma profonda e bassa, quasi gutturale, che Hermione avvertì penetrare nelle sue ossa e scuoterla internamente.
Tornò serio quasi subito; le chiese se fosse sicura di quello che stavano per fare e lo fece con la voce più roca che gli avesse mai sentito uscire dalle labbra; il suono da solo le mandò dei brividi lungo tutta la spina dorsale.
Hermione gli sorrise dolcemente e annuì.
Un attimo dopo, lui era sopra di lei, le sue mani erano ovunque sul suo corpo e la baciava con una dolcezza disarmante, che mai avrebbe associato a Draco Malfoy fino alla settimana prima.
Hermione era certa che non si sarebbe mai abituata alle sensazioni che le faceva provare e trovava la cosa assurda ogni volta che si consentiva di fermarsi a pensaci.
Ma forse era una caratteristica intrinseca dell’amore, l’essere irrazionale.
O almeno, era quello che credeva lei.
§
Lo facevano più volte di quanto Hermione pensava accadesse in una relazione.
Draco sembrava non averne mai abbastanza, di lei.
La cosa un po’ la divertiva.
Passare dal non sopportare la sua esistenza al non riuscire a toglierle le mani di dosso.
Ne coglieva la profonda ironia intrinseca.
Il biondino continuava a non parlare molto e lei non aveva ancora ben chiaro cosa fosse successo nella sua testa gli ultimi mesi, come fosse arrivato al punto di infilarsi nel letto di una Nata Babbana, il suo letto, e di non volerne più uscire.
Non aveva neanche idea dell’esatto momento in cui lei aveva iniziato a fissargli le labbra desiderando di assaggiarne il sapore o a guardargli le mani, per poi immaginarle muoversi sul suo corpo durante la notte. Né tantomeno di come fosse possibile che ciò si fosse tramutato in realtà, che fosse accaduto veramente.
Però, non indugiava mai troppo su quei quesiti, perché forse non le interessava davvero trovare quelle risposte. Forse voleva solo godersi quel momento, anche se prima o poi sarebbe finito.
A Hermione piaceva passare le serate davanti al camino, stesa su una pila di cuscini; soprattutto dopo essersi avuti a vicenda, con i loro corpi aggrovigliati in una massa indistinta, confortati dal calore proprio e del fuoco.
L’ideale sarebbe stato poter leggere, ma lei non riusciva a concentrarsi oltre una decina di pagine durante la sera.
Una notte, aveva la schiena poggiata contro il divano e il capo di Draco era posato sul suo grembo; i suoi occhi grigi erano chiusi, mentre lei faceva scorrere le dita tra i suoi capelli biondi, morbidi e setosi, con estrema lentezza. Il biondino trovava quel ritmo estremamente rilassante, glielo aveva ripetuto più volte.
Hermione non sapeva come mai non si sentisse assolutamente a disagio nello stare semplicemente così, distesa nuda, coperta solo in alcuni punti dalle lenzuola che il biondino aveva evocato dopo averla fatta sua.
Lo vide affondare il volto nella sua pelle all’improvviso e avvertì il suo corpo iniziare a tremare leggermente; due secondi dopo, si rese conto che qualcosa le stava bagnando il ventre ancora scoperto dopo aver fatto l’amore.
Lacrime.
Si spostò leggermente, tendendosi verso di lui con cautela.
«Draco?» sussurrò preoccupata.
Lui premette le mani sui suoi fianchi, affondando lievemente le dita tremanti nella sua pelle.
«Mi dispiace», farfugliò confusamente. «Non te l’ho mai detto prima, ma mi dispiace davvero tanto per tutto quello che ti ho fatto.»
E poi iniziò a singhiozzare più forte.
Hermione era spiazzata e sbalordita.
Non si sarebbe mai aspettata di ricevere delle scuse per i loro trascorsi, neanche dopo gli sviluppi più recenti nel loro rapporto.
Non sapeva cosa dire, allora continuò ad accarezzarlo con dolcezza.
«Lo so», mormorò con voce malferma a un certo punto. «Lo so, Draco.»
§
Un pomeriggio di marzo, dopo pranzo, andarono al lago.
Hermione era contenta che le belle giornate fossero tornate.
Stava cercando di trasfigurare una margherita, ma non riusciva mai ad eseguire una trasfigurazione completa.
Draco non la guardava; il suo sguardo era perso nel vuoto.
La sentì sbuffare e si voltò verso di lei.
Aveva lanciato la bacchetta tra l’erba fresca e sembrava sul punto di piangere.
Le si avvicinò un po’ di più e le prese il viso tra le mani, incatenando gli occhi ai suoi.
«Ci riuscirai», la rassicurò. «Non sforzarti troppo, potresti peggiorare le cose.»
«È passato un anno» singhiozzò lei, scuotendo lentamente il capo. «Un anno, Draco. E non posso ancora fare più di un semplice incantesimo di Levitazione o di Pulizia. Non servo più a niente.»
«Smettila», le disse in tono fermo. «Sei molto più degli incantesimi che riesci a fare.»
Lei scosse il capo. «Non è vero.»
Le lacrime iniziarono a rigare le sue guance, non riuscì ad impedir loro di cadere.
Lui gliele asciugò con dolcezza. «Sì, invece. Hai fatto la magia più difficile di tutte e senza usare la bacchetta.»
Hermione corrugò la fronte, fissandolo confusa.
Lei non aveva fatto assolutamente niente.
«Mi hai cambiato, Granger.»

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Capitolo 5
*** Memory ***


CAPITOLO 5
Memory





 
 

 


La testa di Hermione era poggiata contro il cuscino mentre guardava il soffitto estasiata.
I suoi occhi erano languidi ed il suo respiro ansante; il suo corpo tremava ancora leggermente dopo aver raggiunto l’apice del piacere.
Draco crollò su di lei e sospirò contro la sua pelle, facendola rabbrividire; poi si fece scivolare di lato e deglutì, chiudendo gli occhi. Inspirò ed espirò a fondo, per riprendersi.
Quando riacquistò un po’ di lucidità, si voltò a guardarla.
Hermione gli sorrideva, ma incrociando il suo sguardo intenso notò immediatamente che c’era qualcosa di diverso nei suoi occhi.
Si sporse verso di lei, la baciò con dolcezza e poi si fermò a studiarla in silenzio per diversi minuti, mentre le sue dita continuavano a sfiorarle le guance arrossate.
«Credo di amarti, Hermione» le disse all’improvviso. «Non che abbia termini di paragone o che possa avere la pretesa di conoscere e riconoscere l’amore. Ma ogni volta che sei tra le mie braccia, mi sembra che il cuore sia sul punto di scoppiare. Deve voler dire quello, no?»
Lei sbatté le palpebre totalmente sorpresa e sopraffatta da quelle parole.
Doveva essere la prima volta che Malfoy parlava ad alta voce dei suoi sentimenti.
Che ammetteva di provarne, riconoscendoli ufficialmente.
Gli rivolse un sorriso dolce, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime.
Lo strinse a sé e lo baciò come se la sua intera sopravvivenza dipendesse da quello.
«Ti amo anch’io», gli sussurrò con voce tremante.
Lo aveva capito mesi prima.
Lo aveva capito quando si era accorta che Draco comprendeva i suoi silenzi e che lei comprendeva i suoi; quando si era resa conto di aver ricominciato a sorridere e quando aveva notato che nei periodi in cui si sentiva più triste cercava sempre un modo per tirarla su di morale, che fosse procurandole qualche libro che aveva detto di voler leggere o portandole la colazione in camera, o con una serie di piccoli gesti e accortezze che le scaldavano il cuore.
Lo aveva capito ogni volta in cui si era svegliata la mattina dopo un sonno profondo, realizzando che la sola presenza di Draco al suo fianco era sufficiente a scacciare via gli incubi per la maggior parte delle notti.
Lo aveva capito quando si era resa conto che erano settimane, forse mesi, che non cercava il familiare odore di Harry e Ron sui loro abiti, anche se ormai era stato cancellato dal tempo; normalmente, avrebbe fatto un Incantesimo di Conservazione per preservarlo, in circostanze diverse.
Lo aveva capito quando si era accorta che era il profumo di Draco a farla sentire a casa, ora.
Ma non gli aveva mai detto niente.
A quelle parole, lui serrò gli occhi, schiudendo le labbra, quasi incerto di aver sentito bene.
Il suo respiro era di nuovo accelerato.
«Dillo di nuovo.»
Nessuno gli aveva mai detto di tenere a lui in alcun modo, prima.
Draco realizzò in quel momento quanto fosse bello sentirselo dire.
«Ti amo, Draco Malfoy.»
Se la portò contro il proprio corpo con uno scatto deciso, ma delicato e affondò il viso tra i suoi capelli; la sua fronte era poggiata nell’incavo del suo collo.
«Sei tutto ciò che conta per me, ora», le rivelò in un sussurro.
Hermione venne percorsa dai brividi nel sentire la sua voce pronunciare quelle parole.
Sembrava quasi che nascondessero una promessa implicita, ma lui non aggiunse altro.
E lei non premette affinché lo facesse.
Non funzionavano così le cose tra loro.
Rispettavano i reciproci tempi senza farsi pressioni, perché sapevano che la loro era una storia complicata, anche se non ne parlavano mai veramente.
§
Il 2 maggio 1999 mise un punto alla guerra, ma loro non lo sapevano.
Hermione si accasciò sopra di lui e lui la strinse a sé immediatamente, baciandole una tempia.
Quando la ragazza allontanò il viso per guardarlo, lui alzò il braccio sinistro per accarezzarle una guancia.
Lo notò subito e corrugò la fronte, per poi afferrargli il braccio con uno scatto e prendere a studiare il Marchio con attenzione.
Draco gemette in segno di protesta, cercando di ritrarlo; Hermione sapeva che odiava che lo fissasse.
Se evitava di farlo, riusciva quasi a ignorarne l’esistenza.
Quando non bruciava, almeno.
Si sentiva un po’ egoista ad essere felice con lei come se la guerra non fosse altro che un ricordo lontano, mentre era ancora in atto a casa, ma non gli importava veramente.
Egoista era tutto ciò che era sempre stato.  
«Granger…»
Il suo cognome; quando la chiamava per cognome, ormai, significava che era irritato.
Lei non sembrò sentirlo e continuò a tirargli il braccio, avvicinando sempre di più il viso al Marchio impresso sulla sua pelle.
«È diverso» gli disse a un certo punto. «È come se stesse iniziando a sbiadire.»
Draco scattò a sedere e con uno strattone sfuggì alla sua presa; si portò l’avambraccio davanti agli occhi e constatò che Hermione avesse ragione.
Deglutì. «Cosa credi che significhi?»
Hermione fece spallucce. «Forse si sta indebolendo. Lui, intendo.»
Forse Harry e Ron hanno distrutto tutti gli Horcrux”, pensò speranzosa.  
Il teschio e il serpente diventavano più chiari giorno dopo giorno.
Una settimana dopo, il giornale che Tilly portò loro al rientro dalla città spiegava che Harry Potter aveva sconfitto Voldemort, che c’era stata una battaglia a Hogwarts e che il mago oscuro era morto.
Gli occhi di Hermione si illuminarono, ma Draco aveva ancora un’espressione cupa sul volto.
«Ci sono delle liste di nomi», asserì in tono asciutto. «Decessi confermati, Mangiamorte in fuga, persone scomparse e persone irreperibili con processo pendente.»
Lei era nella terza lista, lui nella quarta.
Lo vide deglutire, spingere via il giornale di lato.
«Draco…»
Non le rispose; si alzò con uno scatto e si diresse verso la porta, per poi uscire in giardino senza dire una parola e rientrare direttamente per cena.
Fu un pasto silenzioso.
«Quando vuoi tornare?» le chiese senza guardarla.
«Quando possiamo farlo?»
Lui si passò la lingua sulle labbra, lentamente, poi finalmente incrociò il suo sguardo.
I suoi occhi erano freddi e distanti.
Hermione capì subito che stesse occludendo e in quel momento un po’ lo odiò per quello.
Non poteva chiuderla fuori in quel modo ogni volta che qualcosa lo spaventava.
«Organizzerò tutto per la settimana prossima» affermò in tono asciutto, poi si alzò, le diede le spalle e si incamminò verso la sua stanza.
Hermione scattò e lo seguì, afferrandogli prontamente un braccio; non dovette sforzarsi per costringerlo a voltarsi di nuovo verso di lei.
«Non lo fare», gli disse fissandolo intensamente. «Non tagliarmi fuori.»
Lui sbuffò dalle narici e le rivolse un’espressione indecifrabile.
«Speri di goderti gli ultimi sette giorni di sesso prima di tornare alla tua vita?» rispose pungente e lei dischiuse le labbra ferita.
«Che cosa intendi dire?»
«Lo so che una volta tornati a casa questo» spostò un dito a indicare loro stessi, «non avrà più alcuna importanza.»
«Se le cose stanno così per te è un conto», asserì lei sprezzante dopo una pausa di incredulo silenzio. «Ma non decidere quello che significa per me al posto mio.»
Le afferrò i polsi, la mise con le spalle al muro, bloccando le sue mani contro la parete.
Il suo sguardo era impenetrabile.
«Fuori da queste mura, sono il Mangiamorte che ti ha portata via» sibilò con voce fredda e strascicata. «Finirei ad Azkaban, tanto vale che ti abitui all’idea che qualsiasi cosa abbiamo costruito in questi mesi abbia le ore contate.»
«Non essere sciocco», ribatté lei decisa. «Dirò loro come stanno le cose veramente. Dirò che mi hai salvata e che ti sei preso cura di me fino ad ora…»
La sua risata era gelida quanto la sua voce quando lasciò la sua gola. «E quando scopriranno che abbiamo passato gli ultimi mesi l’uno nel letto dell’altra, diranno che ti ho manipolata» scosse il capo un paio di volte, si inumidì le labbra; c’era determinazione sul suo viso. «Non testimonierai per me. Non gli permetterò di mettere bocca su questo… Di giudicare l’unica cosa bella che abbia mai avuto e distorcerla secondo i loro programmi.»
La mascella di Hermione cadde, mentre una terribile consapevolezza prendeva forma all’improvviso.
«Tu non hai intenzione di tornare.»
Draco allentò la presa su di lei e fece un passo indietro, distogliendo lo sguardo da lei.
Era vero.
Il suo piano era quello di sparire dalla faccia della terra senza lasciare alcuna traccia.
«Non puoi dire sul serio!» esclamò lei, agitando le braccia in aria. «Scappare e nasconderti non farà altro che farti sembrare colpevole, a prescindere dalla mia versione dei fatti!»
«Non ho la minima intenzione di trascorrere il resto della mia vita ad Azkaban.»
«Non finirai ad Azkaban! Te l’ho detto, proveremo la tua innocenza, andrà tutto bene!»
Draco quasi si strappò la camicia di dosso, per rammentarle cosa si trovava sul suo avambraccio.
Anche se sbiadito, ritratto in una sottospecie di cicatrice, il Marchio era ancora visibile.
Sarebbe sempre stato lì a ricordargli il suo passato, i suoi errori, il male che aveva causato; gli avrebbe sempre urlato contro che lui quella ragazza fantastica non l’avrebbe mai meritata... gli avrebbe sempre rammentato quanto l’avesse ferita in passato.
«Quale innocenza, Granger?»
Hermione si avvicinò di nuovo a lui e lo abbracciò.
«Mi hai salvata, Draco», mormorò con voce tremante, la guancia posata contro il suo petto. «Potrà non fare la differenza per te, ma per me fa tutta la differenza del mondo. E scommetto che la farà anche per Harry.»
Il biondino serrò gli occhi e scosse il capo. «Ne dubito.»
«Ti prego, vieni con me», sussurrò ancora, alzando il viso per guardarlo negli occhi; le lacrime pungevano per venire fuori, ma si costrinse a trattenerle. «Non… Non lasciarmi.»
Come avrebbe potuto andare avanti senza di lui?
Come poteva chiederle questo?
Voleva davvero abbandonarla dopo tutto quello che avevano condiviso? Dopo essere diventato così importante per lei?
Draco fece scivolare le mani sulla sua schiena e la strinse forte a sé.
«Anche se le cose andassero come dici tu», disse lui sommessamente, nascondendo il volto tra i suoi capelli. «La gente non capirà. Non posso gettare ombra su di te, non sarebbe giusto. Pagheresti per i miei errori, farei a te quello che mio padre ha fatto a me. Ti amo troppo per lasciare che ti accada questo.»
«Non mi importa», ribatté lei, decisa. «Non mi importa di quello che dirà la gente. Voglio stare con te. A qualsiasi costo. Dimmi che sei disposto a pagare quel prezzo anche tu, qualsiasi esso sia. Dimmi che conto abbastanza da essere disposto a lottare per noi.»
Lui le prese il viso tra le mani e la guardò con devozione. «Conti abbastanza da farmi mettere da parte il mio maledetto egoismo.»
I suoi occhi si riempirono di lacrime. «Allora non voglio tornare!»
Stava gridando adesso, Hermione, mentre il suo corpo veniva scosso da singhiozzi.
Si ritrasse bruscamente da lui, scuotendo il capo freneticamente. «Restiamo qui per sempre, se è necessario. A me va bene qualsiasi cosa!»
«Non essere sciocca. Saresti infelice. So quanto tieni ai tuoi amici.»
«Ma io amo te!» sbottò lei spazientita. «Non chiedermi di scegliere piuttosto, cazzo! Non quando sono certa che tornando riusciremo a pulire il tuo nome da tutte le accuse!»
Draco si passò le mani sul volto, poi si sfregò gli occhi con forza.
«Ti prego, fidati di me.»
Lui parve pensarci per un attimo, poi un leggero ringhio lasciò la sua gola.
«Dannata strega!»
Un secondo dopo, il biondino si diresse verso la sua stanza a grosse falcate e sbatté la porta, ma Hermione capì ugualmente di aver vinto quel dibattito; allora si lasciò cadere sul pavimento, poggiò la schiena e il capo contro il muro e sospirò di sollievo.
Stavano per tornare a casa.
§
Era quasi tutto pronto per il loro rientro, quando lo scoprirono.
Hermione aspettava un bambino.
Non poteva viaggiare tramite PassaPorta e non potevano spostarsi con i mezzi babbani; ufficialmente, loro non erano mai stati lì.
Draco tremava, mentre la stringeva tra le sue braccia.
«Sei arrabbiato?» gli chiese con timore.
«Stupida», rispose lui, per poi baciarla con trasporto.
Come avrebbe potuto parlarle delle sue paure? Dirle che aveva il terrore di essere un cattivo padre, quando anche lei sembrava così spaventata da quella notizia?
Sapeva a cosa stesse pensando quando gli aveva posto quella domanda ed era consapevole che avrebbe dovuto dirle qualcosa per tranquillizzarla, ma l’unico modo per farle capire che davvero non gli importava più nulla dello stato di sangue era lo scatolino nella tasca interna della sua giacca.
Era lì dalla settimana prima che scoprissero della fine della guerra a casa, quando pensava ingenuamente che avrebbero potuto costruire la loro vita lì, solo loro due nella loro piccola oasi felice.
Non glielo aveva mai dato.
E non aveva intenzione di farlo, perché chiederle di sposarlo ora avrebbe significato legarla a lui, per poi rischiare di doverla abbandonare nel caso di una condanna... Sempre ammesso che avrebbe detto di sì.
Non poteva farle quello, allora se lo tenne per sé.
Avrebbe aspettato.
Avrebbe aspettato tutto il tempo necessario.
Avrebbe aspettato di sapere che avrebbe potuto darle tutto quello che avrebbe voluto darle.
Perché lei meritava tutto e darle tutto di lui non sarebbe mai stato abbastanza.
§
Guardava fuori dalla finestra nella loro stanza il paesaggio tingersi di nuovo di bianco.
La sua pancia era cresciuta esponenzialmente in quei mesi.
Draco adorava starsene in quella posizione, alle sue spalle; sostenerla con il suo corpo mentre le sue mani si muovevano sulla sua pelle in attesa di sentirlo scalciare.
Non era riuscito a trattenere una lacrima di commozione la prima volta che Hermione gli aveva preso la mano e l’aveva posata in un punto preciso sul suo ventre.
«Aspetta.»
Aveva aspettato, finché non lo aveva sentito e i suoi occhi si erano allargati, mentre tutto il controllo che esercitava sulla sua mente si dissolveva in un colpo solo.
Sorrise al ricordo e ritornò al presente.
«Nessun paesaggio batterà mai il panorama di Hogwarts quando arriva il periodo della neve», mormorò tra i suoi capelli, con gli occhi chiusi, lasciandole una scia di baci lungo la linea del suo collo.
Hermione corrugò la fronte e si voltò a guardarlo, muovendosi lentamente.
«Draco», disse perplessa. «Cos’è Hogwarts?»
Il sorriso di Draco gli morì sul viso, che divenne pallido come un lenzuolo.
«Stai scherzando, Granger? Non è divertente.»
Lei deglutì, ma scosse il capo, piano. «È un nome che mi è familiare, ma non riesco a collocarlo in questo momento.»
Draco sbatté le palpebre e boccheggiò senza riuscire a dire niente per un po’; alla fine trovò la forza di parlare, mentre il suo cervello lavorava a velocità sopraelevata nel tentativo di processare quello sviluppo. «È… la nostra scuola, Granger.»
La sua voce era rotta ed esitante e l’espressione sul suo volto era evidentemente preoccupata.
Hermione non capiva perché sembrasse così spaventato.
«Ah, giusto» commentò brevemente lei.
E poi non aggiunse altro.
Si girò nuovamente verso la finestra e si perse nel paesaggio all’esterno una seconda volta.
Draco restò in silenzio a studiarla, con l’espressione preoccupata e terrorizzata ancora stampata sul viso.
Era incredibile come l’Occlumanzia si rivelasse inutile, in momenti del genere.
§
Il giorno in cui Hermione gli domandò se fossero amici a scuola, Draco la prese di peso, trasfigurò le loro fattezze e la portò all’ospedale magico più vicino senza concederle spiegazioni elaborate.
La signora e il signor Blackthorne.
Era il nome che avevano lasciato la prima volta che ci erano andati. 
«Hai fuso il cognome delle nostri madri?» gli aveva chiesto divertita. «Se lo sapesse, sono sicura che la tua ne sarebbe felice.»
«Mai quanto mio padre quando il tuo diventerà Malfoy» aveva risposto lui e Hermione era scoppiata a ridere. Ma lui non stava affatto scherzando, anche se quell’anello non gliel’aveva ancora dato.
Camminava avanti e indietro impazientemente, mentre attendeva che il Guaritore che aveva visitato Hermione tornasse con il risultato degli esami.
Lo vide da lontano e si mise subito sull’attenti; Hermione aveva il capo posato sul suo petto e sussultò quando lo sentì irrigidirsi. Si alzarono in piedi nello stesso momento.
«Signor Blackthorne, signora Blackthorne», esordì il Guaritore in tono neutro. «La buona notizia è che tutto procede per il meglio per quanto riguarda la gravidanza.»
Parte del peso che gravava sullo stomaco di Draco scivolò via sentendo quelle parole.
«Ma temo che l’esperienza traumatica di cui è stata vittima la signora quasi due anni fa abbia causato dei danni che sono stati poi accentuati dalla gravidanza.»
«Che cosa intende dire?» chiese il biondino, forse in maniera più sgarbata di quanto fosse appropriato, visto che Hermione gli posò una mano sul braccio e gli sussurrò di calmarsi.
«Abbiamo analizzato il cervello della signora Blackthorne» elaborò il Guaritore. «E ci sono dei danni per quanto riguarda l’area della memoria. Se li avessimo presi in tempo, forse saremmo riusciti ad arginare il problema completamente. Ma essendo la signora così avanti nella gravidanza, non possiamo intervenire direttamente. Possiamo contenerne gli effetti, però, con la somministrazione regolare di una serie di pozioni.»
«Si spieghi meglio, dannazione!» gridò il biondino. «Che cosa le sta succedendo?»
«La signora potrebbe perdere alcuni ricordi, anche permanentemente. Ma la problematica non intaccherebbe la memoria recente, solo i ricordi più lontani.»
I ricordi più lontani.
«Draco, noi ci siamo conosciuti a Hogwarts, vero? Eravamo amici?»
Il ricordo di quella domanda riecheggiò nella sua mente.
Non voleva che lei dimenticasse, non quello.
Perché non avrebbe mai trovato la forza di raccontarglielo lui stesso e al contempo non avrebbe potuto sopportare di stare con lei senza che sapesse com’erano le cose tra di loro all’inizio.
Gli sembrava una sorta di manipolazione e lui non le avrebbe mai fatto una cosa simile, non poteva.
Quando tornarono a casa, Draco accompagnò Hermione in camera da letto, per farla riposare; nessuno dei due aveva detto mezza parola in merito alle sconcertanti notizie che avevano ricevuto quel giorno.
Scese in salotto, si lasciò ricadere sul divano e si prese il volto tra le mani; dopo un po’, chiese a Tilly di portargli del Firewhiskey.
I pensieri vorticavano nella sua mente, provocandogli un senso di nausea, e qualche ora dopo, quando non riusciva più a tollerarli e la sua Occlumanzia sembrava non voler dare alcun segno di funzionamento, fece saltare il vetro dell’armadietto degli alcolici in un picco di magia accidentale scaturito da un improvviso moto di rabbia.
Hermione lo raggiunse quasi subito e lo guardò preoccupata, lo sguardo ancora assonnato.
«Draco…»
«Tutta colpa mia…» lo sentì farfugliare.
Era seduto sul pavimento e aveva le mani tra i capelli, ormai completamente scompigliati; la camicia che indossava era strappata in più punti.
La puzza di alcol le fece capire che era ubriaco.
Non lo aveva mai visto ubriaco, si era sempre contenuto, anche nelle notti in cui i ricordi della guerra sembravano intollerabili. A lui non piaceva perdere il controllo, in nessun caso.
«Me ne sarei dovuto accorgere…»
«Draco.»
Si accovacciò accanto a lui, gli prese le mani tra le sue e se le portò alle labbra. «Smettila.»
«Non capisci… sono io che ti ho curata…»
«Non sei un Guaritore», gli disse addolcendo lo sguardo. «Non colpevolizzarti per questa cosa. Ero così presa dal recuperare il controllo sulla mia magia, che non mi sono neanche accorta di aver iniziato a dimenticare la mia infanzia.»
Lui scosse forte il capo, mentre le permetteva di avvolgerlo tra le sue calde braccia rassicuranti.
«Avrei dovuto accorgermene…»
«Smettila», gli ripeté in tono fermo. «Non è colpa tua.»
«Avrei dovuto fare qualcosa…» continuava a farfugliare, singhiozzando. «Intervenire prima… quella maledetta notte… uccidere Bellatrix, se necessario…»
Spostò le mani sul suo viso e lo costrinse a guardarla. «Se avessi tolto una vita a causa mia, non me lo sarei mai perdonato. Quindi smettila.»
§
Quando il piccolo Sirius nacque, Draco pianse.
Non riuscì ad impedirlo in alcun modo.
Guardava quella creaturina piccola, avvertiva il suo tocco quasi impercettibile, mentre cercava di afferrargli un dito con le sue mani minuscole.
Il bambino si rivelò subito attratto dal suo anello e lui gli assicurò che un giorno ne avrebbe avuto uno uguale.
Hermione dormiva nel loro letto.
Quando Sirius si addormentò, lui si distese al suo fianco.
Le accarezzò i capelli e la guardò ammirato.
Nei suoi occhi c’era un’immensa gratitudine; avrebbe voluto che lei la vedesse, ma doveva essere esausta.
Due ore dopo aver preso sonno, il bambino iniziò a piangere ed entrambi si svegliarono.
«Torna a dormire», gli sussurrò Hermione. «Non è niente di cui ti possa occupare tu.»
La guardò in silenzio, mentre allattava il loro bambino, e sorrise.
«Sei bellissima», le disse.
Lei arrossì e si nascose il volto dietro i capelli.
Lui spostò le ciocche e la guardò negli occhi. «Non nasconderti da me.»
Hermione deglutì, affondò il viso nel suo petto e chiuse le palpebre.
Nessuno dei due proferì parola, finché Draco non si decise a parlare di nuovo.
«Mi comporterò bene, Hermione.»
Sussurrò quella promessa con un filo di voce.
Sentiva di dovergliela fare.
«Sarò un uomo migliore del ragazzo che sono stato», aggiunse ancora. «Sarò buono. Per te, per lui. Per noi.»
Lei gli rivolse un sorriso dolce e gli lasciò un bacio casto sulle labbra.
«Lo so, Draco.»
§
Le cose sembravano andare meglio dopo un po’.
Dopo la nascita di Sirius, Hermione ebbe la possibilità di iniziare a prendere qualche pozione in più e a volte sembrava avere accesso a ricordi che aveva perso.
«Merlino, non posso credere di aver dimenticato di averti tirato uno schiaffo al terzo anno!»
Draco si era sforzato di ridere, ma non lo aveva trovato divertente.
Perché lui odiava quella situazione.
Le accarezzò la spalla, mentre la guardava cullare il loro bambino, soprappensiero.
Il piccolo aveva i capelli biondi e gli occhi grigi di Draco, ma aveva preso i lineamenti di Hermione.
«Stamattina mi ha sorriso» gli raccontò estasiata. «Ha il tuo sorriso.»
Lo aveva visto raramente sul viso del giovane, ma lei di quel sorriso si era innamorata.
Avrebbe voluto riuscire a farlo sorridere più spesso, ma forse aveva troppi demoni nella testa per poter pretendere di più.
Era contenta che loro figlio lo avesse ereditato, però.
Pensava di potersi accontentare di ciò.
Sperava che Sirius non dovesse mai vedere il genere di cose a cui avevano dovuto assistere loro.
«Stavo pensando…» disse Hermione, senza guardarlo negli occhi. «Dovremmo tornare a casa.»
Draco si irrigidì sentendo quelle parole.
«No, ascoltami» insisté lei, prima che potesse obiettare. «Dobbiamo tornare adesso, perché se questa cosa della memoria dovesse peggiorare, potrebbe finire con l’invalidare la mia testimonianza.»
Lui scosse forte il capo.
Non sapeva quale prospettiva fosse più allarmante e dolorosa.
Quella in cui lei perdeva i suoi ricordi.
O quella in cui tornavano e lui veniva arrestato, condannato a scontare una lunga pena ad Azkaban, venendo costretto ad abbandonare lei e il loro bambino appena nato.
Non poterli vedere mai più.
Non poterli abbracciare.
Draco notò che persino il pensiero dei Dissennatori impallidiva davanti a quell’eventualità.
«No», rispose, quasi pregandola. «Per favore. Non posso rischiare di perdervi.»
Ora che aveva un figlio, non capiva come i suoi genitori avessero potuto permettere che lui venisse Marchiato e trasformato in una pedina nelle mani di uno psicopatico.
Lui avrebbe dato la sua vita per non condannare Sirius a un destino del genere.
«Draco, ascoltami… Sarebbe bello, ma non possiamo restare qui per sempre…»
Insisté così tanto che alla fine lo convinse, ma ad una condizione.
«Un anno», la supplicò. «Lasciami godere della nostra famiglia almeno per un anno. Lasciami avere qualcosa a cui aggrapparmi, nel caso in cui…» si inumidì le labbra e abbassò lo sguardo. «È ancora troppo piccolo per un viaggio così lungo, comunque.»
Hermione accettò.
Sapeva che non sarebbe riuscita ad ottenere di meglio.

 

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Capitolo 6
*** The Trial ***


CAPITOLO 6
The Trial





 
 

 


Qu
ando arrivarono a Grimmauld Place l’anno dopo, l’estate era appena iniziata.
Hermione aveva scambiato delle lettere con Harry nel corso di quegli anni, spiegandogli perché non poteva tornare, chiedendogli di non dire niente a nessuno.
Quando entrò nell’abitazione, Ron le corse incontro e la abbracciò; le domandò perché diavolo ci avesse messo tanto a tornare, perché non gli avesse scritto.
Le chiese di raccontargli che fine aveva fatto.
Lei rispose semplicemente che c’erano stati degli sviluppi che le avevano impedito di partire per un po’ e che essendo molto lontana da casa gli scambi epistolari erano alquanto difficoltosi.
Quando Draco fece il suo ingresso, con in braccio loro figlio, un fagotto di appena oltre un anno dagli occhi grigio ghiaccio e i riccioli biondo platino, il rosso divenne paonazzo.
Probabilmente ci aveva impiegato due secondi a fare due più due, perché il bambino assomigliava spaventosamente a entrambi.
«Tu!» urlò contro di lui, adirato. «Che diavolo le hai fatto? Brutto…»
Fu Harry a bloccarlo, perché sorprendentemente il biondino non proferiva parola, si limitava a fissarlo con un sopracciglio sollevato e un’espressione indifferente stampata sul viso, mentre la voce di Hermione che cercava di dargli una spiegazione si perdeva tra le grida di Ron.
Alla fine, riuscirono a calmarlo e lei gli raccontò di come lei e Draco si fossero avvicinati progressivamente nel corso dei mesi, di come lui si fosse preso cura di lei con dedizione.
Ron non aggiunse altro, ma non sembrava capire.
Hermione se l’era aspettato.
«Ha appena perso l’amore della sua vita scoprendo che sta con la sua nemesi storica» constatò Harry sospirando, quando Ginny apostrofò come ‘idiota’ il fratello che aveva lasciato l’abitazione in un silenzio lugubre e con un’espressione funerea in viso. «Bisogna anche capirlo.»
Harry non si era mai dimostrato contento della storia tra Hermione e Malfoy, ma almeno si era sforzato di comprenderla senza giudicare.
L’aveva salvata, dopotutto.
E Narcissa Malfoy aveva salvato lui, in cambio di informazioni sulla salute del figlio, certo, - informazioni che era stato in grado di darle solo grazie al messaggio che Hermione gli aveva fatto avere -, ma ciò non cambiava i fatti, senza quel contribuito non era sicuro che avrebbero vinto la guerra.
Harry era certo che questo avrebbe giocato a favore di Draco nel processo.
Nonostante tutto, quando Ginny andò a dormire, si fermò a guardare con apprensione la sua migliore amica, seduta sul divano nel salotto di Grimmauld Place, accoccolata contro il petto di colui che una volta era stato loro nemico, mentre riempivano di attenzioni il piccolo Sirius Malfoy.
Gli aveva fatto piacere sapere che Hermione aveva voluto dare al figlio il nome del suo Padrino.
L’ultimo pensiero di Harry prima di andare a dormire, fu che in una sola giornata aveva visto quel bambino sorridere molte più volte di quanto non avesse visto fare al padre negli ultimi anni.
§
Il processo di Draco Lucius Malfoy iniziò il 23 giugno 2001.
Il fatto che ci avesse impiegato così tanto a farsi vedere dopo la fine della guerra complicava le cose, nonostante avessero giustificato la sua assenza con la gravidanza improvvisa di Hermione.
Il Wizengamot sembrava essere deciso a priori sulla sua colpevolezza, il Marchio sul suo braccio era una prova abbastanza schiacciante, per loro.
Ma la testimonianza di Harry su quella notte a Malfoy Manor gli fu d’aiuto e anche Ron si presentò a corroborare il racconto di quegli eventi.
Poi venne il turno di Hermione e al termine dell’udienza, Harry affermò che il suo interrogatorio era stato quello più lungo e orrendo a cui avesse assistito.
La ragazza aveva spiegato al Wizengamot l’accaduto da Malfoy Manor in poi, di come Draco l’avesse salvata mettendo a rischio la vita dei suoi genitori, di come avesse voltato le spalle ai Mangiamorte e di come da quel momento in poi si fosse preso cura di lei.
Ma al Wizengamot l’immagine di Draco che Hermione aveva descritto non era piaciuta.
Allora avevano fatto quello che il biondino aveva ipotizzato la prima volta che avevano discusso del loro ritorno: si erano costruiti una loro versione dei fatti.
Dapprima, avevano insinuato che l’avesse fatta prigioniera e che l’avesse costretta a stare con lui e quando quelle ipotesi erano cadute, avevano insistito a lungo per ‘avere la certezza che non la stesse obbligando a testimoniare in suo favore’. E poi avevano chiesto una valutazione sulla salute della ragazza, in cerca di prove che non fosse stata sottoposta alla Maledizione Imperius, esposta all’Amortentia o altro.
Il giorno dopo, si presentarono all’udienza con i risultati dei suoi esami, scoprendo dei suoi problemi riscontrati in seguito alle torture subite e provarono a trarne vantaggio per avvalorare le proprie argomentazioni, che vertevano principalmente sull’ipotesi che Draco l’avesse manipolata al punto da convincerla di amarlo per salvarsi la pelle, favorito dalla sua ‘fragilità mentale’.
Il biondino riuscì a stento a trattenersi dal mettersi ad urlare contro quella giuria di maghi prevenuti.
Tirarono in mezzo persino la Sindrome di Stoccolma, pensando di potersi appellare a quel disturbo babbano per sostenere la propria tesi, per dipingere Draco come un’oppressore e Hermione come una sua vittima deviata dalle sue manipolazioni calcolate.
Ma fu proprio quello il loro errore fatale, perché Hermione si mostrò spietata nella risposta a quelle accuse oltraggiose ed essendo il processo pubblico il Wizengamot se ne uscì facendo una figura terribile.
«Ma certo», aveva detto con una voce così fredda che Harry si era ritrovato a pensare che l’amica avesse passato decisamente troppo tempo con Malfoy.
«Adesso volete tirare in mezzo un disturbo babbano solo perché avete deciso a priori che Draco Malfoy è colpevole. Scommetto che è la prima volta che succede una cosa del genere in quest’aula. E se non capite cosa state facendo, ve lo spiego. Discriminazione
Si fermò a malapena per prendere una boccata d’aria tra uno spezzone di accuse e un altro. «Vero di lui e verso di me. Perché se non fossi stata una Nata Babbana, non lo avreste tirato in mezzo. Cos’è cambiato dopo la guerra se vi comportate in questo modo? Io sono una strega. Giudicatemi in quanto tale. Ho vissuto la guerra in prima linea e ho cercato quei maledetti Horcrux per un anno, mentre voi giocavate a nascondino con i Mangiamorte!»
I membri del Wizengamot sembrarono oltraggiati da quelle insinuazioni e colpevoli allo stesso tempo. Poi gli occhi di Hermione divennero lucidi. «Sono Hermione Granger. Quando avevo solo sedici anni, ho combattuto nella Battaglia all’Ufficio Misteri. A diciotto, sono riuscita ad infiltrarmi nel Ministero sotto il controllo dei Mangiamorte e ho mentito in faccia a Bellatrix Lestrange mentre stava usando la Cruciatus su di me. Non osate neanche pensare di potermi dipingere come una persona debole e manipolabile, non dopo tutto quello che ho fatto per il mondo magico!»
L’aula cade in un silenzio tombale.
«E sono una madre che spera di aver fatto nascere suo figlio in un mondo migliore, non governato da persone che decidono di non ascoltare la verità durante il processo di un ragazzo che era minorenne nel periodo in esame.» 
Un vociare indistinto si levò dalle tribune del Wizengamot e alla fine annunciarono di aver rinviato la sentenza al giorno dopo.
Per un momento, Hermione venne colta dalla disperazione.
Draco era tenuto ad Azkaban da quasi una settimana e lei non ne sopportava l’idea; temeva, inoltre, di aver rovinato tutto perdendo le staffe in quel modo.
Temeva che se ne infischiassero altamente di arrivare alla verità, che volessero condannarlo per il semplice fatto di non averlo fatto con il padre.
Eppure, agli occhi di tutti era abbastanza chiaro che il vero responsabile fosse Lucius Malfoy.
Persino gran parte dell’opinione pubblica si era schierata a favore di Draco, incoraggiata dall’appoggio del Golden Trio.
C’era gente con striscioni e cartelli fuori dal Ministero, l’ultimo giorno del processo.
“Era solo un ragazzo.”
“Lucius Malfoy il vero colpevole.”
Recitavano alcuni.
Hermione portò Sirius con sé quella volta; sperava di dare speranza a Draco, che vederlo lo facesse sentire meglio.
Il modo in cui li guardò le fece stringere il cuore nel petto.
Sette giorni ad Azkaban ed era già più pallido; aveva un accenno di barba sul viso e la sua espressione diveniva sempre più tormentata, giorno dopo giorno. Dei solchi violacei sotto gli occhi segnavano il suo viso e il suo sguardo era maledettamente spento.
Hermione strinse a sé suo figlio e mantenne un’espressione impassibile mentre ascoltava la seconda testimonianza di Harry, riguardo alla notte sulla Torre di Astronomia; mentre raccontava di come Draco avesse abbassato la bacchetta e fosse stato sul punto di accettare l’aiuto di Silente e tirarsi fuori da quella situazione una volta per tutte.
Solo che, si premurò di precisare prima che potessero avanzare obiezioni di alcun tipo, non ne aveva avuto il tempo, perché Silente era stato ucciso subito dopo.
Quando Neville Paciock e Ginny Weasley confermarono che Draco non era tra coloro che si divertivano a cruciare gli studenti in punizione a scuola, durante il regime dei Carrow, Hermione lo vide chiaramente che non sapevano più a cosa appellarsi.
Il Wizengamot non aveva nulla per accusarlo oltre.
Il Marchio non era più abbastanza.
Non quando era chiaro che senza la pressione posta dai e sui suoi genitori non lo avrebbe preso.
Non quando Draco gli aveva proposto volontariamente di stilare una lista completa dei nomi dei Mangiamorte, Purosangue e non, di cui era a conoscenza e di dare loro indicazioni su dove avrebbero potuto essersi nascosti.
Non quando si era offerto di aiutarli a catturarli e Harry aveva acconsentito di prenderlo sotto la sua ala nella sua squadra Auror, assumendosene la responsabilità e dimostrando di reputarlo degno di fiducia, meritevole di una seconda occasione, di avere concessa la possibilità di riscattarsi.
Hermione sapeva che Harry lo stava facendo per lei, perché si fidava del suo giudizio, e gli sarebbe stata grata per tutta la vita.
Il 25 giugno 2021, Draco Lucius Malfoy venne assolto da tutte le accuse.
Lasciò il Ministero della Magia da uomo libero, con il suo nome ripulito, ma non privo del peso che comportava appartenere alla sua famiglia e l’onere di riscattarlo agli occhi della comunità magica.
Gli dissero che suo padre era al Manor, confinato per il resto dei suoi giorni, senza bacchetta, ma che l’aiuto di sua madre nella guerra aveva garantito a lei libertà e il passaggio degli averi dei Malfoy nelle sue mani, dal momento che lui, l’unico erede del casato, era dato per disperso.
Draco annuì, ma decise di non andare a trovarli; non voleva mettere mai più piede al Manor e non aveva la minima intenzione di sorbirsi gli insulti che i suoi genitori avrebbero sicuramente urlato verso di lui e verso la sua famiglia.
§
Festeggiarono un po’ troppo quella notte.
Non aveva mai visto Hermione su di giri prima e non pensava che ne avrebbe mai avuto l’occasione.
Verso la fine della serata, l’alcol offuscava la sua mente.
Andromeda Tonks si era offerta di badare al piccolo Sirius per lasciargli la serata libera, pensando che ne meritassero una tutta per loro.
Draco era contento di averla conosciuta, anche se a primo impatto gli aveva fatto molto strano.
Andromeda somigliava molto a sua madre e a Bellatrix, ma i suoi lineamenti erano più dolci e il suo sguardo non era freddo. Non riusciva esattamente a definire cosa si aspettasse prima di incontrarla; credeva fosse completamente diversa dalla madre, ma non lo era.
Anche se Andromeda era meno fredda e distaccata, si vedeva lontano un miglio che era stata cresciuta secondo l’educazione elitaria dei Purosangue.
Non si scomponeva mai, se non per giocare con Sirius o con il piccolo Teddy, - anche se sua madre, rifletté, non faceva neanche quello quando lui era bambino -, non perdeva mai il controllo delle sue maniere e delle sue emozioni.
«Essere degli ottimi occlumanti è un pregio e una condanna dei Black, nipote», gli aveva detto a un certo punto, incrociando il suo sguardo. «Può tornarti utile o può allontanare le persone a cui tieni.»
Era un avvertimento e lui lo sapeva; quel monito celava molto più di quello che esprimeva a parole. Ma lui con Hermione non occludeva più da tempo, perché non voleva fare la fine dei suoi genitori. Perché lui la amava e non era come suo padre; a lui non bastava averla, voleva renderla felice.
E Draco era perfettamente consapevole di quanto Hermione tenesse all’onestà e alla chiarezza dei sentimenti, alla comunicazione.
Ora si sforzava di esternare quello che sentiva o pensava anche a voce, perché sapeva dello sforzo che richiedeva alla ragazza dover leggere le sue emozioni dal suo sguardo; e lei non poteva più concedersi di mettere a dura prova la sua mente.
A lui andava bene; non sentiva di doversi proteggere con lei, dopotutto. Poteva mostrarsi vulnerabile, con la sua strega.
Rimasti da soli, la strinse a sé e come ogni volta pregò che le sue condizioni non peggiorassero, perché non sopportava l’idea di perderla.
Le baciò il collo lascivamente, mentre sbottonava la sua camicetta; si lasciò trasportare dai suoi gemiti e dai suoi sospiri.
Adorava sentire quei suoni lasciare le sue labbra e sapere che era lui a provocarli.
Avevano fatto sistemare la casa in cui Hermione era cresciuta con i suoi genitori e si erano trasferiti lì.
Gli aveva raccontato di quello che aveva dovuto fare durante la guerra, ma aveva insistito per non andare a cercarli quando lui si era offerto di darle una mano.
«Non posso rischiare di riportarli indietro e poi infliggergli nuovamente dolore se dovessi dimenticarmi di loro.»
Draco si era limitato ad annuire e a deglutire con forza.
Non sapeva dove trovasse il coraggio di prendere quelle decisioni difficili e altruiste.
L’unica volta che aveva dovuto farlo lui in merito a lei, alla fine aveva rinunciato a fare la cosa che reputava più giusta per lei, decidendo di non lasciarla andare, di tenerla con sé.
Egoista fino alla fine.
Ma lei non sembrava dispiaciuta della sua scelta e allora Draco alla fine si era convinto di aver preso la decisione giusta, per una volta nella vita.
§
Le chiese di sposarlo qualche giorno dopo e lei acconsentì senza alcuna esitazione.
Scelsero la data un paio di mesi dopo, programmandolo direttamente per quello successivo, perché Draco non aveva intenzione di far nascere le gemelle prima che fosse diventata sua moglie.
Sotto alcuni aspetti restava ancora ancorato alle tradizioni e spesso Hermione si divertiva a punzecchiarlo sull’argomento.
Visti gli effetti che l’ultima gravidanza di Hermione aveva avuto sulla sua mente, Draco era terrorizzato.
Dopo la nascita di Sirius, avevano concordato di non avere altri figli, per evitare che le sue condizioni peggiorassero, ma poi si erano ubriacati durante i festeggiamenti post processo e nessuno dei due aveva fatto caso alle precauzioni.
Si era colpevolizzato di quella mancanza per un po’, soprattutto dopo aver scoperto che aspettava due bambine, temendo che la cosa potesse influire maggiormente sullo stato di salute di Hermione.
Ma poi aveva iniziato a immaginarsele e aveva realizzato immediatamente di amarle di già.
«Affronteremo anche questa, Draco.»
Hermione glielo diceva spesso per tranquillizzarlo, quando si lasciava prendere dall’ansia, ma lui aveva costantemente paura che potesse scivolare via da un momento all’altro.
E anche se lei lo rassicurava in continuazione, non la perdeva di vista per un attimo; si assicurava che non fosse mai sola quando lui era con Harry e la sua squadra di Auror, intenti a stanare i Mangiamorte latitanti.
Era stato egoista anche quando si era offerto volontario in quell’ambito: assicurarsi che venissero rinchiusi ad Azkaban, voleva dire rendere il mondo un posto migliore e più sicuro per Hermione e i loro bambini.
Temeva ritorsioni personali costantemente, da entrambe le parti; ma almeno, nel mondo magico, i più sembrano colpevolizzare Lucius e ciò rendeva i Mangiamorte ancora in libertà la minaccia più concreta.
Nessuno lo considerava innocente, ovviamente, ma almeno non gli urlavano contro ‘lurido Mangiamorte’ quando lo incrociavano per strada ed era già qualcosa.
Per lui era abbastanza, gli bastava sapere che avrebbe potuto portare suo figlio in giro senza temere che la gente lo insultasse davanti a lui.
Sapeva che un giorno avrebbe dovuto raccontargli del suo passato, perché non aveva intenzione di permettere ad altri di farlo al suo posto, ma sperava di aver rimediato ai suoi errori per quel momento.
§
Hermione fissava l’esterno della villa con la fronte corrugata da un pezzo e quando Draco le chiese quale fosse il problema, lei parlò con voce incerta.
«Ero convinta che ci fossero delle margherite in giardino.»
Lui deglutì, la studiò con attenzione. «C’erano delle margherite nel campo che circondava la casa nel bosco» le ricordò, scrutandola per cogliere le sue reazioni a quell’informazione.
«Giusto.»
Era particolarmente distratta in quei giorni.
Se qualcuno non poteva restare con lei, Draco non andava al lavoro; Harry capiva, anche perché non potevano lasciarla sola con Sirius quando il rischio che la sua mente la tradisse all’improvviso era così altro.
«E perché ci siamo trasferiti qui?» chiese ancora. «Non potevamo trovare una casa con un altro giardino di margherite? Mi piacevano.»
«È la casa in cui sei cresciuta, Hermione… Ci tenevi.»
Lei lo guardò mordendosi il labbro inferiore. «Giusto.»
Draco sospirò, poi poggiò le mani sulle sue spalle e la voltò con delicatezza.
«Hermione, stai bene?» il tono della sua voce rassomigliava la cadenza di una preghiera.
Lei annuì senza troppa convinzione e lui la abbracciò.
Un’ora dopo aveva già preso appuntamento al San Mungo.
§
Gli si avvicinò esitante una sera, stringendo uno strano oggetto tra le mani.
«Che succede?»
Hermione si morse il labbro incerta, ma alla fine sospirò.
Si sedette accanto a lui sul divano e si lasciò avvolgere dalle sue braccia forti e rassicuranti.
«Stavo pensando…»
«Sentiamo», la incoraggiò quando vide che tardava a parlare.
«Questa è una videocamera», gli disse. «Quando ero piccola, c’era questo film* che… Insomma, la protagonista aveva una malattia cerebrale in seguito a un incidente e c’era questo tizio che si innamorava di lei. Solo che lei ogni notte dimenticava tutto quello che accadeva durante il giorno.»
Draco corrugò la fronte; non aveva la più pallida idea di cosa fosse un film, ma non sottolineò quel dettaglio.
«Le fanno vedere un video ogni mattina, per raccontarle quello che è successo e farle capire dove si trova, a che punto della sua vita è arrivata. Pensavo di fare lo stesso, così se…»
Sapeva cosa fosse un video, però.
Potter glielo aveva spiegato qualche tempo prima, mentre riprendeva Sirius e poi gli faceva vedere il filmato, assicurandogli che un giorno gli avrebbe fatto piacere rivedere quei momenti.
Draco aveva apprezzato.
Quando capì dove volesse andare a parare, però, la interruppe, perché non poteva accettare l’idea che le accadesse una cosa del genere.
Non gli importava neanche del dolore che avrebbe provato lui nel gestire una situazione del genere quotidianamente, si preoccupava solo del fatto che sarebbe stato un destino veramente ingiusto per lei.
Venire privata della possibilità di praticare la magia come faceva un tempo non era già troppo?
Chiunque ci fosse dietro ai fili della vita avrebbe dovuto volerle proprio male per toglierle anche la sua mente brillante.
Draco non poteva accettare quell’eventualità.
«Non succederà nulla», le disse in tono fermo. «Che ne è stato dell’andrà tutto bene che non facevi che ripetere fino a ieri?»
Hermione deglutì con forza e chiuse gli occhi. «Non ricordo com’era la Sala Comune di Grifondoro» rivelò in un sussurro, mentre una lacrima solitaria cadeva lungo la sua guancia. «Non ricordo i nomi di alcuni compagni, solo alcuni dei loro cognomi. Non… non ricordo cos’ho fatto prima di… Hogwarts
Draco annuì. «Hogwarts.»
I Guaritori del San Mungo li avevano avvisati che una cosa del genere sarebbe potuta accadere, ma gli avevano anche assicurato che non sarebbe stato permanente, che avrebbe recuperato i ricordi pian piano, dopo il parto, come era accaduto la prima volta.
Quella perdita momentanea di memoria dipendeva solo dal fatto che le gravidanze magiche erano impegnative e che il corpo di Hermione era concentrato su di essa; visti i danni della Cruciatus, normalmente, le occorreva più sforzo per tenere attiva e operativa la sua mente, soprattutto sul lato dei ricordi. Il suo corpo sacrificava quelle funzionalità per indirizzare le energie altrove, dov’erano più necessarie.
Avevano anche parlato loro di una cura sperimentale per il tremore alle mani; Hermione aveva recuperato speranza dopo quella notizia, perché eseguire incantesimi complessi le mancava da morire anche se non si lamentava mai o non piangeva più come prima.
Sirius era una distrazione costante da quel pensiero, d’altronde.
Ma per Draco l’idea che lei fosse costretta a rinunciare al suo sogno di lavorare al Ministero era un tormento insostenibile.
Bellatrix Lestrange aveva privato il mondo magico di una forza della natura.
Più volte si era ritrovato a pensare che fosse contento che fosse morta, perché in caso contrario l’avrebbe uccisa con le sue stesse mani, al diavolo le conseguenze.
Quel mostro aveva fatto quello alla donna che amava.
E lui era rimasto a guardare.
Non si sarebbe mai perdonato, per quello.
«Mi puoi raccontare com’era?»
«Cosa, Hermione?» le chiese riscuotendosi dai suoi pensieri.
«La sala comune…»
«Io… non ci sono mai stato. Non ero in Grifondoro, ricordi?»
Lei deglutì un’altra volta. «In che Casa eri?»
«Serpeverde.»
«Ah.»
Draco non disse niente, la strinse un po’ più forte a sé e iniziò a pregare.
Non aveva chiaro a chi si rivolgesse veramente, ma lo faceva in continuazione.
“Per favore. Per favore. Per favore.
Fa’ che non si dimentichi di me.
Fa’ che mi ricordi sempre.”

 

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Capitolo 7
*** Complications ***


CAPITOLO 7
Complications





 
 

 



Quando Potter entrò nel suo ufficio e gli disse che Ginny era con i bambini, perché Hermione era stata portata al San Mungo e loro dovevano andare immediatamente da lei, Draco si alzò dalla sedia talmente tanto in fretta che quella cadde sul pavimento con un tonfo.
Non recuperò la sua giacca, non aspettò che Potter lo raggiungesse; si mise a correre verso il punto di Apparizione più vicino e si Smaterializzò.
Non aveva idea del perché lei fosse lì.
Gli avevano detto che stava meglio.
Cassie e Lyra stavano bene.
Cos’era accaduto?
Entrò nella hall con l’affanno e si fece strada verso la reception; molti volti si girarono a guardarlo e sussurrarono concitati, perché vedere Draco Malfoy scombinato e con i capelli scompigliati non era una cosa da tutti i giorni.
«Hermione Granger-Malfoy» disse alla receptionist, deglutendo agitato.
«Reparto Lesioni da Incantesimo» gli rispose con indifferenza lei e Draco non si prese la briga neanche di ringraziarla prima di schizzare via.
Potter lo raggiunse qualche minuto dopo, respirando a fatica.
«Dov’è?» stava chiedendo a un Guaritore. «Dove cazzo è mia moglie?»
Il moro gli mise una mano sulla spalla e lo tirò leggermente indietro; si scusò con il Guaritore e spiegò a Draco che la stavano ancora trattando.
«Ha avuto un incidente» gli raccontò, ancora boccheggiando in cerca d’aria. Si teneva un fianco con una mano. «Un’auto… Pare che alla guida ci fosse un Babbano, il problema è che ha dichiarato di non avere idea del perché fosse in auto in quel momento e di non ricordare-»
«La Maledizione Imperius» ringhiò immediatamente Draco, stringendo i pugni. «Avete controllato?»
«Lo stiamo facendo», ribatté prontamente Harry. «Hanno portato Hermione qui, è stata la priorità, visto che sanguinava… la stanno visitando.»
Il Guaritore uscì dalla stanza e sbiancò quando si ritrovò Draco Malfoy e Harry Potter nel corridoio, a fissarlo con l’aria di chi si aspetta notizie all’istante.
Lo videro sospirare, mentre si avvicinava a loro. «Sopravviverà», li informò.
Harry tirò un respiro di sollievo, ma Draco era ancora teso; aveva notato il tono poco entusiasta del Guaritore. «Vada avanti.»
«Ma non sappiamo se la sua mente tornerà… quella di prima.»
«Che cazzo sta dicendo?» urlò il biondo. «Avevate detto che stava bene! Stava iniziando a recuperare i ricordi che aveva perso durante la gravidanza!»
«Signor Malfoy, la prego di calmarsi. Stiamo facendo il possibile. Sua moglie era in una condizione delicata prima ancora di avere questo incidente, ma il fatto che abbia battuto la testa in quel modo ha peggiorato la situazione. Stiamo… facendo il possibile.»
Draco si portò le mani alla testa.
La sentiva di nuovo, quell’ansia opprimente che gli bloccava le vie respiratorie, che sembrava consumarlo dall’interno.
Non riusciva a respirare.
Harry se ne accorse immediatamente, lo aveva già visto così in passato.
«Malfoy.»
Lo chiamò, ma lui non sembrava sentirlo.
«Malfoy, respira. Devi calmarti.»
«Non posso…» farfugliò disperato. «Hermione… tutto… non posso sopportare…»
«Malfoy!»
Il tono della voce di Potter era fermo, deciso. «Merlino solo sa quanto cazzo sono preoccupato in questo momento e quanto diavolo capisco cosa stai provando, ma per Morgana, se non ti dai una controllata ti mollo un pugno!»
Draco lo fissò con occhi sgranati.
Non era sua moglie quella che rischiava di perdere la memoria completamente.
Di dimenticare lui.
I loro figli.
La loro vita.
Come osava dirgli di darsi contegno? Sostenere di comprendere il suo dolore, la sua paura?
«Si stanno ancora occupando di lei», gli disse lentamente. «Non sanno e non sappiamo bene cosa sta accadendo. Non partire per la tangente. Cerca di mantenere la calma. Perché se quando lei si risveglia c’è qualche problema, sarai tu a doverla sorreggere. Lei sarà distrutta. In questo momento ha bisogno di te.»
Draco deglutì più volte a vuoto, mentre il suo corpo veniva scosso da tremiti.
«Ha bisogno che tu sia forte per lei. Per cui fai quello che devi fare, qualunque cosa sia che fai in queste situazioni, occludi, prendi a pugni un muro, fai degli esercizi di respirazione, non lo so. Ma resta lucido.»
E allora lui chiuse gli occhi, espirò ed inspirò a fondo.
“Occludi.
Compartimentalizza.
Ragiona.
Spegni le emozioni.
Respingi le preoccupazioni.
Occludi.
Occludi.
Occludi.”
§
Gli dissero che c’era stato un cambiamento nella condizione di Hermione.
Adesso la sua mente stava cercando di sopravvivere, di lottare.
E lo faceva compartimentalizzando le vicende della sua vita pian piano.
Gli spiegarono che dovevano studiare gli effetti dell’incidente, perché non potevano predire come si sarebbero evolute le cose da quel momento in poi.
Quando entrò nella sua stanza, Hermione era seduta su una poltrona, con le ginocchia contro il petto, e guardava fuori dalla finestra.
Lui le si avvicinò lentamente, posò una mano sulla sua schiena e si inginocchiò davanti a lei per portare il loro viso alla stessa altezza.
«Ehi», sussurrò con voce tremante. «Hermione...»
Non si voltò a guardarlo, continuava a studiare l’esterno con aria accigliata.
Non gli rispose quando le chiese come stava.
Non gli rispose quando le parlò in generale.
Draco uscì e chiamò Potter, ma anche lui non ebbe alcun successo.
«Che cosa credi che stia facendo?» gli domandò, in preda al panico.
E finalmente lei si voltò a guardarli.
«Aspetto», gli disse e poi si girò di nuovo verso la finestra.
Draco le si avvicinò nuovamente. «Cosa aspetti, Hermione?»
«Che spuntino le margherite. C’erano delle margherite fuori dalla finestra, prima. Mi piacevano molto.»
La mano del biondino salì a coprirsi le labbra, mentre reprimeva un singhiozzo o un conato di vomito, non avrebbe saputo dire quale delle due.
Quel giorno, Hermione restò a guardare fuori dalla finestra senza proferire parola, se non per chiedere quando sarebbero apparse le margherite.
§
Il martedì la situazione peggiorò.
Perché lei lo riconosceva, ma non veramente.
«Che cosa ci fai tu qui?»
La domanda uscì dalle sue labbra con una freddezza che gli fece congelare il sangue nelle vene.
«Hermione…»
«Hermione?» gli domandò, sollevando un sopracciglio. «Che fine ha fatto ‘piccola, sporca Sanguemarcio’?»
Draco sgranò gli occhi e iniziò a tremare.
Harry era accanto a lui con la mascella a terra; gli strinse forte un braccio, forse per mostrargli solidarietà o nella speranza di tranquillizzarlo.
«Harry James Potter, che sta succedendo? Che ci fa Malfoy qui? Perché sono qui?»
Il biondino lasciò la stanza, corse in bagno e vomitò.
Poi pianse, crollando sul pavimento, tirandosi i capelli.
Vomitò ancora.
Se quello era tutto ciò che ricordava di lui, se non avrebbe mai ricordato altro…
Non poteva pensarci in quel momento.
“Occludi.
Resta lucido.
Occludi, maledizione!”
Due ore dopo, era seduto in sala visitatori, con lo sguardo fisso su un punto imprecisato sul muro.
Sapeva che Harry era con Hermione e in quel momento il prescelto era la sua possibilità migliore.
Lasciare che fosse lui a spiegarle come stavano le cose.
Quando finalmente Potter lo raggiunse, gli disse che aveva parlato con Hermione e che le aveva raccontato quello che era successo, quello che non ricordava della sua vita.
Poi lo vide esitare, ma quando Draco lo incalzò, Potter gli rivelò che non aveva voluto credergli.
E avvertì il suo intero mondo crollargli addosso, quando sentì che non voleva vederlo.
§
Mercoledì lo accolse con una strana espressione sul viso.
Lui non sapeva come comportarsi e aveva paura anche a fiatare.
Potter non aveva potuto accompagnarlo quel giorno, le indagini su quanto accaduto erano ancora in corso.
«Sei venuto a prendermi per consegnarmi a lui?»
Draco corrugò la fronte, non capendo la domanda.
«Andiamo, puoi evitare di fingere con me» gli disse ridendo senza ilarità. «Io lo so che cosa sei
Le labbra di lui si schiusero per lo shock.
«So che sei un Mangiamorte.»
Sentì il panico affiorare dentro di sé, ma cercò di metterlo a tacere.
“Occludi.
Occludi.
Non importa quello che provi ora.
Pensa a lei.
Occludi.”
Si passò una mano sul viso, poi si inumidì le labbra.
«No», rispose con un sussurro. «Sono venuto a trovarti. Sei al San Mungo, Hermione
Lei corrugò la fronte. «Mi vuoi far credere che con lui là fuori e il Ministero che è caduto posso permettermi di essere in ospedale? Da quando in qua i Mangiamorte seguono un codice di morale che gli impedisce di fare del male ai feriti?»
Draco scosse il capo con lentezza. «Cosa… qual è l’ultima cosa che ricordi?»
«Malfoy, basta con i giochetti!»
Lui ignorò quella frase. «Rispondimi, per favore
Hermione arricciò il naso quando sentì quelle parole lasciare le sue labbra.
«Da quando Draco Malfoy conosce il ‘per favore’?»
Draco sospirò. «Hermione, non sono qui per consegnarti a Voldemort. Non sono qui per farti del male. Non sto giocando con te. Ti ho fatto una domanda così che possa capire come gestire questa… situazione, e non sono Potter, non ho idea di come approcciarmi con più tatto di così!»
Lei lo guardò sbattendo le palpebre perplessa, sorpresa nell’udire quel nome venire pronunciato dal biondino.
«Perfetto. Sono chiusa in una stanza con una versione fuori di testa della persona che più detesto al mondo», considerò, parlando rivolta più a sé stessa che a lui. «Se non altro pare che sia già al San Mungo, quindi se impazzisco non dovrò fare molta strada.»
La persona che più detesto al mondo.”
Quelle parole lo trafissero con la potenza di cento lame, ma Draco continuò imperterrito ad Occludere.
«Hermione», ripeté ancora e questa volta lo fece in maniera quasi supplichevole. «Qual è l’ultima cosa che ricordi?»
Lei sembrò fare finalmente mente locale, poi lo guardò spaventata. «Harry!» esclamò con gli occhi sbarrati. «Dov’è Harry?»
Draco sospirò. «Sta lavorando, Hermione. È al Quartier Generale degli Auror, al Ministero. È lì che lavora ora.»
Hermione sbatté le palpebre confusa. «Cosa?»
«Voldemort è stato sconfitto quasi cinque anni fa» le raccontò. «Potter lavora al Ministero. Anche io, siamo... colleghi
Hermione si sedette sul divano, palesemente sconvolta.
Draco poteva vedere gli ingranaggi del suo cervello lavorare rapidamente.
«Cinque anni fa?» chiese timidamente.
Draco annuì e accennò a fare un passo verso di lei, ma lei sussultò e la sua mano scattò nella sua tasca, probabilmente in cerca della sua bacchetta, ma non la trovò.
Il biondino soffocò il dolore che stava provando e alzò le mani in segno di pace.
«Non ti sto minacciando, Hermione.»
E poi lei sbottò. «Si può sapere che sta succedendo? Perché mi chiami per nome? Perché non mi insulti? Perché mi tratti con gentilezza? Che vuol dire che sono passati cinque anni dalla sconfitta di Voldemort, se abbiamo appena iniziato a cercare gli Horcrux?»
Draco chiuse gli occhi e trasse un profondo respiro.
«Sto cercando di spiegartelo», le disse. «Se solo mi lasciassi parlare.»
«Non può venire Harry?» chiese lei. «Perché devi essere tu?»
Lui deglutì con forza, la sua gola era così secca che quel gesto gli fece quasi male. «Hermione», mormorò con voce tremula. «Ci sono io perché sei mia moglie. Siamo sposati.»
Lo guardò senza dire niente per qualche istante, poi scoppiò a ridere.
«È uno scherzo?» domandò allibita. «Perché non è divertente.»
Il biondino strinse i pugni e sbuffò dal naso. «Guarda» sussurrò poi, indicando il dito con la fede nuziale e poi le mostrò la sua mano.
L’anello era lo stesso, sapeva che lo aveva notato subito.
Hermione restò in silenzio, quindi lui continuò a parlare e le raccontò tutto.
«Questo è…» mormorò lei, a corto di parole, una volta che Draco finì di aggiornarla su quello che non riusciva a ricordare. «Noi due? È… impossibile.»
Allora le tese una fotografia magica.
L’unica foto di loro cinque che avevano avuto il tempo di scattare prima che tutto andasse a rotoli.
Prima dell’incidente.
Draco non poteva credere al modo in cui il cosmo sembrava giocare con lui e con i suoi sentimenti.
Una vita spesa ad imparare ad accettarli, a gestirli, ad apprezzarli… e poi questo.
Si sedette accanto a lei e tirò un sospiro di sollievo quando vide che non scattò e non si ritrasse, né accennò ad allontanarsi da lui.
«Sirius, Cassie e Lyra» mormorò con un filo di voce, indicando i bambini sulla foto uno ad uno.
Vide il sorriso spuntare sul suo viso e anche un angolo delle sue labbra si sollevò, l’orgoglio che provava verso la loro famiglia visibile sul suo volto.
Lo guardava ora e lo faceva in modo strano.
«Merlino, è assurdo» sospirò alla fine, abbassando lo sguardo sulle sue mani, scuotendo lentamente il capo.
Draco le prese una mano e lei sobbalzò a quel contatto, ma non la tirò via.
Deglutì, perché era bellissimo sentirla di nuovo sulla sua pelle.
Avrebbe voluto solamente trarla a sé, dirle che gli mancava, baciarla… Ma restò semplicemente così, seduto sul divano accanto a lei, a tenerle la mano.
Perché era tutto ciò che poteva fare.
§
Quando giovedì Draco arrivò al San Mungo, non sapeva cosa aspettarsi.
Trasse un respiro profondo, racimolò quel poco di coraggio che aveva e poi entrò; qualsiasi cosa si sarebbe trovato davanti, rifletté, non poteva essere peggio dei due giorni precedenti.
E aveva ragione.
«Mi hai salvata» gli disse.
Draco chiuse gli occhi e sospirò di sollievo.
“Forse ci stiamo arrivando”, pensò.
Hermione ricordava qualcosa in più ogni giorno, ma nulla del giorno precedente.
I Guaritori non avevano ancora la minima idea di come si sarebbe sviluppata tutta quella situazione.
Continuavano a farle esami su esami, senza mai capire veramente quale fosse il problema.
Se fosse reversibile o meno.
Draco cercava di non pensarci, di affrontare la cosa passo dopo passo.
«Solo che non capisco», mormorò ancora, confusa. «Ieri non riuscivo neanche a stare in piedi, oggi sto bene.»
«Posso venire a sedermi lì vicino a te?»
Hermione corrugò la fronte, poi annuì brevemente, ma non senza esitazione.
Draco le si avvicinò lentamente, si sedette e le raccontò tutto una seconda volta con pazienza.
§
Venerdì, Draco non fece in tempo ad aprire la porta che lei si gettò tra le sue braccia in lacrime.
«Cos’è successo?» gli domandò agitata, «dov’è Sirius?»
Lui la strinse a sé, la baciò una, due, tre volte.
Questa volta almeno aveva un pezzetto di sua moglie.
Questa volta almeno faceva meno male.
Questa volta almeno poteva stare con lei in qualche modo.
Non avrebbe dovuto tenersi a distanza, la poteva abbracciare, baciare.
Le spiegò per la terza volta quello che stava succedendo e lei scoppiò a piangere, ma gli permise di stringerla tra le braccia.
«Mi dispiace», gli disse. «Mi dispiace così tanto!»
Lui le accarezzò i capelli con dolcezza. «Ssh» mormorò, «non farlo, Hermione. Non scusarti.»
Quando si fu calmata, Hermione lo guardò con aria supplichevole. «Puoi andare a prendere i bambini?»
Lui sorrise e annuiscì.
Non voleva lasciarla, voleva approfittare di ogni secondo di quella giornata, perché non sapeva cosa lo avrebbe aspettato l’indomani.
Ma non voleva neanche negarle quella richiesta, non lo avrebbe fatto mai.
§
Il sabato, Hermione si svegliò con tutti i suoi ricordi intatti, persino l’incidente, ma non ricordava quella settimana al San Mungo.
«Niente che valga la pena di ricordare», mormorò Draco, contro le sue labbra; il sollievo nella sua voce era palpabile.
Non importava che fosse stata una delle settimane più infernali della sua miserabile esistenza, Draco era solo grato di riaverla indietro.
Prima o poi avrebbe dimenticato quel dolore, pensava.
Non c’era motivo di raccontarle quello che era successo, perché l’unica cosa che avrebbe ottenuto facendolo sarebbe stata farla sentire in colpa.
Ed era l’ultima cosa che voleva fare, perché non era colpa sua.
Draco le si stese accanto e la strinse a sé.
Era pronto a litigare con i Guaritori se avessero sollevato obiezioni, ma quello a cui avevano assistito nei giorni precedenti era stato così struggente che non ci pensarono neanche a chiedergli di alzarsi.
«Stavo andando a comprare il latte», gli raccontò con le lacrime agli occhi e un tono rammaricato. «Sirius piangeva e avevo mandato Tilly a Diagon Alley… Ginny non aveva idea di quale dovesse comprare, ho fatto prima a lasciare i bambini con lei e andare io…»
Draco aumentò la pressione sulle sue braccia e interruppe le sue scuse inopportune con un bacio.
«Va tutto bene», la tranquillizzò. «Andrà tutto bene.»
Hermione tirò su col naso, i suoi occhioni erano lucidi di lacrime.
«Mi porti i bambini questo pomeriggio?»
Lui sorrise e annuì, poi la strinse di nuovo a sé.
Alla fine, furono Harry e Ginny a raggiungerli con i bambini; portano delle pizze e mangiarono tutti insieme, dando a quella serata una parvenza di normalità tanto agognata.
E Draco per la prima volta dopo quelli che gli erano sembrati anni, respirò.
§
«Non capisco, sta bene ora, no? Perché non potete dimetterla?»
Il Guaritore lo guardò con aria dispiaciuta. «Dobbiamo monitorare la situazione per qualche altro giorno. Crediamo che sia meglio tenerla sotto osservazione ancora per un po’.»
«Ma oggi ricorda tutto», insisté Draco. «Persino questa settimana maledetta!»
Aveva odiato il modo in cui lo aveva supplicato di perdonarla per quello che gli aveva sputato contro nel corso della settimana, come se avesse alcuna colpa in merito.
Era stata la prima cosa che Hermione gli aveva detto quando era entrato nella sua stanza, quella mattina, stringendolo tra le braccia, mentre le lacrime cadevano copiose, rigandole le guance.
«I suoi valori non sono ancora stabili, signor Malfoy» gli spiegò l’uomo, pazientemente. «Crediamo possano esserci ulteriori sviluppi.»
Il biondino sbuffò e tornò da lei.
Il sorriso le morì sul volto quando le riferì che non poteva ancora tornare a casa.
L’abbracciò e lei si lasciò avvolgere dalla sua essenza, inspirò il suo profumo.
«Vedrai che ti dimetteranno presto», le sussurrò tra i capelli. «Andrà tutto bene.»
Lei annuì, ma stava piangendo.
Non gli disse che aveva una brutta sensazione; al contrario, allontanò il viso dal suo petto e gli sorrise. Poi gli permise di asciugarle le lacrime dal volto e si sentì un po’ in colpa nel vedere la speranza nei suoi occhi.
«Ti va di stenderti un po’ con me?»
Lui le tese una mano e lei la prese nella sua, si lasciò guidare su quel letto d’ospedale che avrebbe voluto non vedere mai più.
Hermione gli si accoccolò contro, annegò nei suoi baci, perché nel suo amore almeno era al sicuro.
«I bambini sono da Andromeda», le disse dopo un po’. «Li andrò a prendere più tardi. Anche a loro manchi.»
Lei tirò su col naso e si sforzò di sorridere di nuovo.
«Vorrei…» sussurrò flebilmente e lui la guardò interrogativo, incoraggiandola a dare voce ai suoi pensieri. «Te
Draco rise. «Ti prego, Hermione. Non tentarmi», rispose.
C’era del divertimento nella sua voce, all’inizio, ma andò scemando man mano che parlava. «Potrei seriamente bloccare quella porta, isolare la stanza e farti mia su questo maledettissimo letto.»
Hermione lo guardò con uno sguardo indecifrabile.
«Ti amo» mormorò alla fine. «Lo sai, vero?»
Lo vide deglutire e prima che potesse chiederle qualsiasi cosa, lo baciò.
Quella brutta sensazione non la abbandonò per tutto il giorno.

 

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Capitolo 8
*** A Never-ending Cycle ***


CAPITOLO 8
A Never-ending Cycle





 
 

 





Era di nuovo lunedì e Draco si era presentato al San Mungo sperando che fosse il giorno in cui sarebbe tornato a casa insieme a sua moglie.
Le aveva comprato la sua colazione preferita, sperando di dargliela insieme a delle buone notizie.
Il Guaritore gli si avvicinò non appena mise piede nell’edificio, ma non aveva una bella cera.
Tutto il colore defluì dal volto di Draco, mentre ascoltava le sue parole.
«Signor Malfoy, prima di accompagnarla da sua moglie, dovrei prepararla per quello che troverà una volta varcata la soglia della sua stanza.»
Gli spiegò quello che era successo durante la notte, ma lui non riuscì a metabolizzare quasi nulla di quel discorso. Spinse la porta con timore e quando fece il suo ingresso, la vide seduta sulla poltrona, davanti alla finestra.
«Buongiorno, Hermione» mormorò esitante, avvicinandosi al suo comodino e posando il sacchetto con la colazione su di esso.
Non staccava gli occhi da lei e lei continuava a non riconoscere in alcun modo la sua presenza.
Le si sedette accanto e prese una delle sue mani tra le proprie.
«Hermione?»
Si girò lentamente a guardarlo e gli sorrise. «Ciao. Mi sapresti dire come mai non ci sono più le margherite, lì fuori?»
Le lacrime sfuggirono dai suoi occhi senza che lui se ne rendesse conto.
Era entrato al San Mungo con la speranza di riportarla a casa e ora, in un attimo, non sapeva più se quel giorno sarebbe mai arrivato.
«Mi dispiace», disse solamente.
Lo sguardo di lei si spense e diresse nuovamente l’attenzione all’esterno.
«Non importa», mormorò flebilmente Hermione. «Aspetterò che fioriscano di nuovo.»
§
Potter lo raggiunse non appena ricevette il suo gufo.
Draco non aveva davvero nessun altro da chiamare, ma non sentiva di potercela fare da solo.
Aveva bisogno di qualcuno.
Allora si era abbassato a chiamare persino lui, a farsi vedere sconvolto e vulnerabile da quello che una volta era stato il suo rivale scolastico.
Col tempo aveva quasi iniziato a piacergli, ma il suo orgoglio gli aveva sempre impedito di considerarlo un amico.
Probabilmente per Potter era lo stesso.
Si chiedeva se fosse quello che anche Hermione aveva provato quando erano emersi i suoi sentimenti verso di lui; la difficoltà nel conciliare l’orgoglio con il bisogno; il desiderio di non soccombere a quelle emozioni, ma l’impossibilità di non farlo.
Lo trovava cupamente ironico.
Adesso era lui che poteva contare solo su quello che un tempo aveva considerato un nemico.
Adesso era lui che aveva un suo vecchio nemico come unico amico.
«Cos’è successo?» gli chiese preoccupato e Draco tirò su col naso.
Fissava un punto imprecisato sulla parete bianca della sala d’attesa, mentre gli raccontava quello che il Guaritore gli aveva spiegato qualche ora prima.
«Non ricorda, di nuovo.»
La sua voce era spezzata. «Il Guaritore sostiene che la sua mente si è completamente resettata durante la notte.»
«Cosa significa?»
«Che siamo di nuovo al punto di partenza», sputò fuori in un sussurro appena udibile.
Si coprì il volto con le mani e non protestò neanche quando Potter gli posò una mano sulla spalla per consolarlo e dargli forza.
Merlino solo sapeva quanto ne avesse bisogno in quel momento.
Quando si riprese, lo guardò con aria supplichevole.
«Avrò bisogno di te nei prossimi giorni», ammise a denti stretti. «Non vorrà vedermi.»
Potter annuì e si sedette accanto a lui.
«Hanno qualche idea su come curarla?»
Draco deglutì. «Non sono sicuri di poterlo fare.»
Scoppiò a piangere e non riuscì proprio ad impedirselo.
Perché ora sapeva che non avrebbe mai più riavuto indietro la sua vita meravigliosa con la sua stupenda moglie, che la promessa di felicità rappresentata dal giorno in cui avevano pronunciato il fatidico sì, non era altro che un sogno lontano ormai. Una mera, fragile, illusione.
«Troveremo una soluzione», lo incoraggiò il moro. «Vedrai.»
Un grugnito lasciò la gola di Draco, incontrollato. «Non sono il tipo da false speranze, Potter», asserì freddamente. «Non c’è bisogno di indorare la pillola, con me.»
L’altro annuì, sconsolato.
«Quell’idiota di Weasel non ha intenzione di venire a trovarla?»
«Sai com’è fatto», rispose scuotendo il capo Potter. «Dice che non riesce a vederla con te.»
Il biondino si lasciò andare ad una risata priva di alcuna ilarità. «Probabilmente non dovrà mai più farlo.»
§
Quando Potter lo raggiunse al San Mungo, quel mercoledì, Hermione prese la notizia meglio di quello precedente.
Se era Harry ad assicurarle che Draco non aveva la minima intenzione di consegnarla a Voldemort, lei non poteva fare altro che fidarsi.
Gli fece una domanda per verificare che non fosse sotto Polisucco, però, e Draco sorrise, perché in qualche modo la sua Hermione, quella brillante strega di cui si era innamorato, era ancora lì, nascosta da qualche parte.
Stava facendo di tutto per rimuovere dalla sua mente le urla del giorno prima, l’immagine del disprezzo con cui lo aveva guardato mentre gli intimava di starle lontano. Il disgusto con cui gli aveva detto che non avrebbe mai sposato qualcuno come lui, che non gli avrebbe mai creduto.
L’intervento di Potter era di aiuto, la rendeva più docile, più gestibile.
Riuscivano a convincerla più facilmente in due.
Draco gli tese la videocamera che Hermione aveva comprato tempo prima e gli chiese di registrare un video per poterlo riutilizzare nei giorni in cui non si sarebbe fidata di lui.
Potter acconsentì; era visibilmente triste e affranto anche lui, ma quel giorno sembrava anche particolarmente cauto nei confronti di Draco e il suo atteggiamento guardingo lo insospettì.
«Sputa il rospo, Potter.»
Il Prescelto sospirò, si accomodò su una poltrona e lo invitò a fare altrettanto.
Non parlò finché anche Draco non fu seduto.
«È confermato», gli rivelò. «L’uomo al volante il giorno dell’incidente era sotto la Maledizione Imperius.»
Draco serrò i pugni. «Sospetti?»
«Potrebbe essere stato uno qualsiasi dei Mangiamorte ancora in libertà.»
Il biondino chiuse gli occhi e strinse i denti. «Lo avete già interrogato?»
Potter corrugò la fronte. «Chi?»
«Lucius» specificò gelidamente.
La quantità d’odio che traspariva dalla sua voce mentre ne pronunciava il nome era immane.
«Non può lasciare il Manor e comunque non ha la bacchetta», gli ricordò l’altro. «E non può neanche toccare quella di tua madre, il Wizengamot se n’è assicurato. Non avrebbe potuto-»
«Ha ancora le mani», ribatté Draco con voce fredda e strascicata. «E i gufi. E sono convinto che abbia ancora degli ‘amici’ là fuori.»
Harry allora annuì e sospirò stancamente. «Faccio preparare un mandato per Malfoy Manor.»
§
I tempi per ottenere il mandato erano troppo lunghi per i gusti di Draco, così si presentò davanti al cancello di Malfoy Manor quel pomeriggio stesso.
L’enorme testa che fungeva da tramite con l’interno della casa lo riconobbe immediatamente e spalancò le porte senza che dovesse dire anche solo una parola.
Draco strinse la sua bacchetta tra le dita, così forte che le sue nocche diventarono bianche.
«Draco!» esclamò di emozione sua madre quando lo vide e fece subito per avvicinarglisi, ma lui si scostò bruscamente.
«Dov’è?» domandò con un ringhio. «Dov’è Lucius?»
«Draco, che cosa-»
«Ti ho detto di dirmi dove diavolo è quel maledetto bastardo!» le urlò contro, così forte che lei arretrò e si portò una mano sul petto.
«Draco», esordì la voce melliflua e meschina di suo padre. «Mi era sembrato di sentire la tua voce.»
Draco si voltò di scatto e marciò contro di lui. «Sei stato tu, non è vero?»
Lucius alzò un sopracciglio, fingendo indifferenza. «Di cosa stai parlando, figliolo?»
Lo afferrò per la collottola e lo sbatté contro il muro con violenza. «Non chiamarmi figliolo!» gridò, livido in volto. «E non negare! Non ti è bastato rendere la mia infanzia miserabile e la mia adolescenza un vero inferno, dovevi anche portarmi via l’unica cosa al mondo che mi rendeva felice! Dovevi per forza distruggere la mia famiglia!»
«Non ho idea di cosa tu stia dicendo», replicò atono Lucius. «Non l’ho neanche mai vista quella che tu definisci ‘famiglia’.»
La smorfia di disgusto e di superiorità sul suo volto gli fecero vedere nero dalla rabbia.
«Lo so che sei stato tu! Ammettilo, fottuto bastardo!»
Non aveva la più pallida idea id come avesse fatto a capire che sarebbe andato al Manor ugualmente, né sapeva come fosse riuscito ad entrare, ma all’improvviso la mano di Potter era sul suo braccio, con una presa ferrea e decisa, e la sua voce gli sussurrava frasi all’orecchio con cadenza lenta e accomodante, come se stesse cercando di farlo calmare.
«I tuoi figli hanno bisogno di te», gli sentì dire alla fine, le uniche parole che comprese veramente. «Hermione ha bisogno di te. Se fai qualche stronzata oggi, resteranno da soli.»
Draco lasciò cadere la mano con cui impugnava la bacchetta lungo il fianco, ma continuava a guardare suo padre con un’espressione di puro odio stampata in volto.
Recuperò pian piano lucidità e iniziò ad arretrare lentamente.
«Prima o poi troveremo il Mangiamorte che ha eseguito i tuoi ordini», gli sibilò contro, con un tono che la fece sembrare una minaccia e una promessa allo stesso tempo.
«E ti sbatterò ad Azkaban personalmente.»
Lucius rispose con un sorriso beffardo che gli fece venire da vomitare.
«Chiederò il bacio dei Dissennatori, fottuto pezzo di merda!»
La mano con cui Draco impugnava la bacchetta tremò, ma la presa di Potter era salda sul suo braccio mentre lo trascinava via, lontano da quella casa degli orrori.
§
Ogni lunedì, quando Draco si svegliava, sapeva già che lei non lo avrebbe riconosciuto affatto.
Che tutto ciò di cui le sarebbe importato, sarebbero state le margherite.
Era così da due anni ormai.
Aveva fatto piantare quei fiori in giardino prima ancora che venisse dimessa dal San Mungo, dopo l’incidente, sperando che servissero a tranquillizzarla.
Aveva funzionato.
Le cure a cui veniva sottoposta regolarmente le impedivano di peggiorare, ma i miglioramenti erano stati pochi.
Era più reattiva ora, all’inizio della settimana, ma i successivi due giorni erano spesso un disastro.
Per i primi tempi, Potter si era presentato a casa loro ogni martedì per aiutarlo e sostenerlo durante i tentativi di fare accettare a Hermione quello che c’era da dirle.
Ma quando il piccolo James Potter era nato, Draco aveva deciso che era arrivato il momento di capire come vedersela da solo, che non era più il caso di gravare sul loro amico.
«È mia moglie», gli aveva detto. «Troverò un modo. È una cosa che devo fare io.»
«È come una sorella per me» aveva insistito il moro. «Lo faccio volentieri.»
«Abbiamo approfittato abbastanza della tua disponibilità, Harry.»
Aveva iniziato a chiamarlo Harry, alla fine.
La prima volta era stata quando Ginevra Potter si era offerta di trascorrere le sue giornate con i bambini insieme a Hermione per permettere a Draco di andare in ufficio a lavorare.
Il suo mandato di collaborazione con il Dipartimento Auror, concordato con il Wizengamot durante il suo processo, si era trasformato in un vero e proprio contratto di lavoro, con il tempo.
A Draco l’idea di poter rimediare ai suoi sbagli catturando criminali aveva ridato speranza e vigore, ma ad un certo punto era divenuto un obbligo in tutti sensi.
Non era mai contento di doverla lasciare sola, ma non aveva scelta, perché doveva provvedere alla sua famiglia e perché non avevano ancora trovato il responsabile di quello che era successo a Hermione; non avrebbe trovato pace finché non avesse portato a termine quella sua crociata personale.
I giorni più duri erano i martedì, quando lei gli urlava contro quanto lo odiasse, ma soprattutto le volte in cui non gli permetteva di avvicinarsi ai bambini perché non si fidava di lui.
Ovviamente, lei non avrebbe potuto fare niente a parte cercare di prenderlo a pugni, perché non poteva usare la magia, ma lui si costringeva ad assecondarla, a tenersi lontano, pur di darle un po’ di tranquillità.
I video di Harry che le spiegavano la situazione non sembravano quasi mai calmarla il martedì, né aiutarla in alcun modo ad accettare di essere la moglie di Draco Malfoy.
E anche i sabati delle settimane in cui reagiva particolarmente male erano orrendi, perché lei non faceva che piangere e chiedergli scusa per tutto.
Lui non lo sopportava, perché la colpa restava sempre sua.
Era stata sua zia a incasinare la sua testa e suo padre a toglierle la memoria per gran parte del suo tempo, in fondo.
Era soprattutto la domenica a cui Draco si aggrappava per mantenersi forte, per raccogliere le energie e riaffrontare tutto daccapo il giorno seguente.  
La domenica Hermione era di nuovo sé stessa.
La domenica era il giorno in cui lui tornava a vivere.
§
Hermione sospirò pesantemente e si girò su un fianco; prese a guardare Draco, studiandone i lineamenti, anche se sapeva perfettamente che l’indomani non avrebbe ricordato niente, che avrebbe pensato solo alle margherite.
Lui stava fissando il soffitto, sovrappensiero, ma si voltò immediatamente verso di lei quando la sentì allontanarsi dal suo corpo.
«Dobbiamo parlare», gli disse in un sussurro.
La sua voce era seria, ma anche immensamente triste.
Draco corrugò la fronte. «Non voglio sprecare la domenica sera parlando» protestò, facendo scivolare la mano sulla sua nuca e attirandola a sé. «Voglio fare l’amore con te.»
Hermione rispose al bacio, ma poi allontanò di nuovo il viso da quello di lui.
«Per favore.»
Lui sospirò e si mise a sedere. «Dimmi.»
La vide deglutire e capì subito che quello che stava per dirgli non gli sarebbe piaciuto.
«Devi lasciarmi andare, Draco», iniziò parlando lentamente. «Portami al San Mungo…»
«No.»
La sua voce era categorica mentre quasi le gridava contro il suo rifiuto più totale di assecondare quella richiesta.
«Draco, questo è un inferno!», insisté lei, ferma sulla sua posizione. «Non posso condannarti a vivere il resto della tua vita in questo modo, lo vedo quanto soffri!»
«Ti ho detto di no, Hermione!» ribatté lui. «Ne abbiamo già parlato in passato, non ho intenzione di separarmi da te.»
«Tu meriti di meglio», lo supplicò ancora. «I bambini meritano di meglio!»
Draco si portò una mano sul viso e ringhiò dalla frustrazione. «Tu sei tutta la mia vita, Hermione. Non posso e non voglio rinunciare a quello che abbiamo, anche se posso averlo solo per tre giorni alla settimana!»
«Sei giovane e sei un uomo dannatamente attraente, Draco Malfoy» gli disse Hermione, soffocando il dolore che il concetto che stava per esternare provocava al suo cuore. «Puoi andare avanti, rifarti una vita…»
«Smettila!»
Draco si alzò dal letto, senza sapere esattamente cosa intendesse fare, perché non aveva la minima intenzione di lasciare quella stanza, di allontanarsi da lei.
Era domenica.
«Draco, non puoi continuare a sopportare tutto questo solo perché ti senti in colpa nei miei confronti!»
Draco posò la fronte contro il muro freddo per calmarsi, serrò gli occhi e respirò a fondo.
«Il senso di colpa non c’entra nulla con la mia decisione di restare con te», le assicurò. «In salute e in malattia, ricordi? Lo abbiamo giurato.»
Hermione emise un singhiozzo. «Non voglio tenerti legato a me, bloccato in questa situazione di merda per una promessa fatta in altre circostanze. Non è una malattia normale.»
Il biondino strinse i pugni e si voltò a guardarla.
Perché non capiva?
Non poteva sopportare l’idea di una vita senza di lei.
«Non voglio mai più sentire questo discorso», le disse in tono perentorio quando tornò a stendersi al suo fianco. «Sei mia moglie. La madre dei miei figli. Ti amo. E voglio solo te. Voglio stare solo con te.»
Le prese il viso tra le mani e la guardò con un’espressione tormentata che Hermione gli aveva visto troppo spesso nel corso degli ultimi anni.
Dopo la guerra, aveva sperato costantemente di riuscire a cancellarla dal suo viso.
Ora ne era la causa.
«Noi restiamo insieme, Hermione» mormorò ancora. «Combattiamo insieme.»
Lei chiuse gli occhi, ma le lacrime caddero ugualmente, silenziose.
«Sempre e per sempre», aggiunse con un filo di voce, muovendo le dita dolcemente sulle guance di lei. «Lo abbiamo giurato.»
«Sono solo stanca di vederti stare male a causa mia», bisbigliò triste.
Lo amava così tanto da farle male al cuore.
«Non è colpa tua», le sussurrò. «E credimi, anche solo la domenica con te vale la pena di affrontare tutto il resto.»
Gli permise finalmente di baciarla, di farla sua, e poi gli si accoccolò contro il petto, stringendolo con forza e decisione, affondando il volto nella sua pelle per far sì che il suo profumo la pervadesse interamente.
«Draco», fremette prima di addormentarsi, come era solita fare ogni settimana.
Ci provava sempre a restare sveglia, ma ci riusciva raramente; non importava, alla fine, perché non piaceva a nessuno dei due vederla perdere progressivamente i suoi ricordi durante la notte, comunque.
«Ricordati di alzarti all’alba, martedì. Non voglio rischiare di reagire come l’ultima volta che non te ne sei andato prima che mi svegliassi. Non voglio rischiare di farti del male.»
§
Era il periodo di Natale e Draco poteva finalmente restare con lei tutto il giorno.
Le ferie avrebbero dovuto avere un sapore diverso, ma a lui ormai andava bene anche rimanere sul divano a guardarla.
Il martedì e il mercoledì lei sbuffava spesso quando lo faceva; i giorni in cui non gli lanciava contro la prima cosa che trovava a tiro, almeno.
Spiegarle perché non avesse la bacchetta non era facile e quando lei era priva di ricordi positivi che lo riguardassero, quel dettaglio non faceva che accentuare i suoi sospetti.
Si calmava sempre quando vedeva i bambini, però.
Smetteva di gridare.
Draco poteva sopportare il suo essere guardinga e sospettosa; erano gli insulti che lo ferivano con la forza di mille lame, anche se non lo dava mai a vedere.
Ma Hermione non lo insultava mai davanti ai bambini, in qualche modo se ne premurava sempre.
Anche durante i martedì in cui si ostinava di più a non credergli.
A volte, Draco pensava che il martedì fosse la sua punizione per gli errori passati.
Sirius, Cassie e Lyra avevano un effetto più efficace dei video di Potter nel convincerla che quella era la sua vita, perché somigliavano così tanto a entrambi che non poteva negarlo neanche lei.
Riusciva ad essere fantastica con loro anche se non ricordava niente e la cosa non mancava mai di farlo sorridere, mentre si fermava a guardarli insieme.
Spesso Draco ripensava con una morsa al cuore alla domenica sera in cui lo aveva supplicato di esserci per i bambini quando lei non era in grado di farlo, di non incolpare loro per quella situazione.
«Non l’ho mai fatto», le aveva detto, spiazzato. «Lo sai che li amo con tutto me stesso.»
Lei aveva solo annuito. «È solo che non voglio che tu ti chiuda in te stesso. Non ti fa bene, Draco.»
Ed era il motivo per cui aveva iniziato a vedere uno specialista.
Perché doveva fare di tutto per assicurarsi di mantenere costantemente la sua lucidità, la sua forza. Le sue abilità di occlumante erano essenziali in tal senso.
Lo doveva a lei, ma soprattutto ai loro figli.
Era una vita dura, la loro, ma almeno una volta a settimana poteva essere felice.
Almeno, la domenica tornava sempre.
Almeno, la domenica, Draco poteva averla con sé.
E un giorno, si ripeteva continuamente, era sempre meglio di niente.

 

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Capitolo 9
*** Always and Forever ***


CAPITOLO 9
Always and Forever





 
 

 





Il
 primo lunedì delle vacanze di Natale, il campanello suonò all’improvviso.
I Potter avevano l’autorizzazione a utilizzare il camino in qualsiasi momento e non aspettavano altre visite, per cui Draco fu molto perplesso quando qualcuno si presentò alla loro porta senza preavviso, soprattutto in un giorno tanto delicato.
Tenne una mano sull’impugnatura della bacchetta nella sua tasca mentre apriva e sgranò gli occhi quando vide la figura di sua madre comparire nella sua visuale.
«Cosa ci fai qui?» le chiese freddamente.
«Posso entrare?»
Draco deglutì, ma le fece un rapido cenno d’assenso con il capo.
Si affacciò per un attimo sulle scale che conducevano al primo piano per assicurarsi che Hermione fosse di sopra e si tranquillizzò quando la sentì parlare con i bambini.
Adesso il lunedì era un po’ diverso da com’era all’inizio.
Parlava un po’ di più, anche se spesso il suo argomento principale erano le margherite e anche se non ricordava assolutamente niente.
Ma almeno non disdegnava lui, accettava tranquillamente la loro relazione e si occupava dei bambini come se li ricordasse alla perfezione.
Fece accomodare sua madre in salotto e chiese a Tilly di preparare loro del tè.
«Allora, mi vuoi dire cosa sei venuta a fare?»
Narcissa lo guardò con un’espressione indecifrabile.
Draco sapeva che stava occludendo.
«Sono tua madre», gli rispose. «Mi manca mio figlio.»
Lui si trattenne a stento dal ridere.
«Non voglio nessuno di voi vicino alla mia famiglia» giocò d’anticipo.
«Io non ho fatto niente.»
«Tu l’hai identificata, quella notte» ribatté gelidamente lui. «Ti ritengo responsabile di quello che le è successo quanto gli altri.» Poi, in un sussurro appena udibile, aggiunse: «Quanto me.»
Narcissa respirò a fondo, ma mantenne il suo consueto contegno. «Allora sono venuta a chiederti una seconda possibilità.»
Draco scosse il capo, lentamente. «Che cosa stai o state tramando?»
«Te l’ho detto, Draco. Mi manca mio figlio.»
Sentire quelle parole uscire dalla sua bocca non era facile.
Non le aveva mai visto esprimere alcuna emozione prima, né tanto meno l’aveva mai sentita parlare di sentimenti.
«Tutto ciò che ho fatto, l’ho fatto per te», sussurrò mestamente lei. «Sempre e solo per amor tuo.»
Il biondino si passò una mano tra i capelli, combattuto.
«E voglio conoscere i miei nipotini, Draco.»
Lo sguardo di lui scattò immediatamente sulla madre e assottigliò gli occhi. «Non ti avvicinerai ai miei figli.»
Narcissa sospirò. «Non farei mai del male a nessuno di voi.»
«Chi mi dice che non sei stata tu a mettere sotto Imperius quell’uomo, quel giorno?» sibilò Draco. «Hai sempre fatto quel che lui ti ha detto di fare, dopotutto.»
La donna deglutì, capendo immediatamente l’antifona, e abbassò lo sguardo. «Non sono stata io. E lo so che avrei dovuto lottare di più per proteggerti, durante la guerra.»
«Sì, avresti dovuto» la interruppe lui. «Io non permetterei mai che ai miei figli venisse fatto quello che è stato fatto a me. Preferirei morire, piuttosto.»
C’era una tonnellata di rancore nel suo tono e lei sembrava percepirlo, ma Draco non aveva ancora finito. «Quel maledetto Marchio pesa ancora sul mio avambraccio, lo sai? E soprattutto, sulla mia coscienza.»
Narcissa annuì. «Mi odi così tanto?»
Lui non rispose.
Non la odiava.
Era la stessa donna che aveva mentito in faccia a Voldemort solo per accertarsi che fosse vivo.
Draco sbuffò dal naso e si strofinò le mani sugli occhi. «Non ti odio. Ma non ho intenzione di rischiare la sicurezza della mia famiglia per te. Ho perso abbastanza per colpa vostra.»
«Capisco.»
La voce di sua madre era rassegnata, ma non accennava ancora ad alzarsi.
«Tuo padre non sa che sono qui.»
«Non è mio padre» si affrettò a correggerla.
«Draco…» fece per ammonirlo, ma lui la ignorò bellamente.
«Se hai finito, puoi anche andartene.»
«No, non ho finito», disse, tendendogli un malloppo di documenti.
Draco li fissò confuso, con le sopracciglia unite e la fronte corrugata.
«Sono i documenti per il passaggio dell’eredità» gli spiegò. «Una tua firma lì e tutto passerà nelle tue mani.»
«Non li voglio i vostri soldi.»
«Sono i tuoi soldi, Draco» insisté sua madre. «Erano a nome mio solo perché tu eri sparito. Ci ho messo un po’ a reperire i documenti senza farmi scoprire da tuo padre.»
«Strano che non mi abbia diseredato immediatamente.»
«Ha perso tutto subito dopo la Battaglia di Hogwarts», gli spiegò. «È passato tutto nelle mie mani e io non ti avrei mai fatto una cosa del genere. Anche se hai scelto una donna che non approvo come moglie.»
«Vattene» sibilò lui prontamente. «Non ti permetterò di parlare in termini simili di lei, men che meno in casa nostra.»
Le spinse contro il plico di documenti e si alzò per incitarla ad andarsene.
Narcissa si rimise in piedi a sua volta, ma non prese i fogli con sé.
«Ne sei sicuro, Draco?» gli domandò. «Perché con quei soldi potresti consultare i migliori specialisti della mente.»
Lo sguardo di Draco si accese a quelle parole.
La donna tirò fuori un foglio di pergamena dal suo mantello e glielo porse. «Questi sono i migliori che sono riuscita a trovare. Vedila come una dimostrazione di buona fede.»
Il biondino tese una mano e prese la lista con dita tremanti; avvertiva lo sguardo di lei su di sé intento a studiarlo, mentre faceva scorrere rapidamente gli occhi sui nomi scribacchiati sulla carta.
Ne aveva sentiti nominare almeno un paio.
«Firma i documenti, Draco e portali dal nostro avvocato. Le mie firme ci sono già tutte.»
«E tu e quel bastardo?»
«Immagino che il Manor non sia di alcun interesse per te» rispose lei. «E abbiamo i miei soldi. Non facciamo molto di questi tempi, comunque.»
Draco si passò la lingua sulle labbra e annuì un paio di volte.
«Si arrabbierà, quando lo scoprirà.»
Era leggermente preoccupato quando enunciò quella constatazione, ma Narcissa si limitò a sorridere brevemente. «Niente che io non possa gestire.»
Hermione sbucò proprio in quel momento, interrompendo il loro scambio.
Il biondino sgranò immediatamente gli occhi nel notare che aveva un mazzo di margherite tra le mani. Si precipitò verso di lei e la osservò inquieto; aveva della neve tra i capelli.
Le margherite erano incantate per resistere alle intemperie, in modo che fossero sempre presenti e sempre visibili, ma nel resto del loro giardino nevicava o pioveva comunque.
«Sei uscita?» le chiese agitato.
«Dalla porta sul retro», gli rispose sorridendo. «Per non disturbarti. I bambini si sono addormentati e io sono andata a raccogliere le margherite.»
«Non devi uscire da sola, Hermione» esclamò, tirandola a sé in preda all’ansia e al sollievo al contempo. «Non… dannazione
Narcissa fissò la scena con le labbra dischiuse.
Neanche lei riusciva a restare impassibile davanti a quella versione di Hermione Granger che non aveva quasi più nulla della ragazzina che era stata un tempo.
«Non sapevo avessimo ospiti», disse quando si accorse della presenza della donna, immobile, come pietrificata, sulla porta.
«Non li abbiamo», rispose Draco. «Se ne sta andando.»
Hermione si morse il labbro inferiore e si districò dalle braccia di Draco; osservò Narcissa con interesse, poi le si avvicinò e le tese il mazzo di margherite.
«Sono margherite», le spiegò. «Sono belle, non trova? Proprio come lei. Può prenderle, se le piacciono. Noi le abbiamo in giardino.»
Draco deglutì e scoccò un’occhiata di avvertimento a sua madre, come a intimarle di non azzardarsi a rifiutare, come a sfidarla a commentare in alcun modo la situazione.
La donna avanzò di un passo e prese i fiori tra le mani; si sforzò di sorridere, ma era palesemente scossa. «Grazie.»
Il biondino raggiunse nuovamente Hermione, le cinse le spalle con fare protettivo.
«Credo sia davvero arrivato il momento che tu te ne vada, madre.»
Narcissa annuì e si incamminò verso la porta.
«Draco», mormorò prima di lasciare l’abitazione. «Se dovessi cambiare idea su quell’altra cosa, sai come contattarmi.»
§
«Ho dato davvero un mazzo di margherite a tua madre?»
Fu la prima cosa che gli disse quando si svegliò la domenica dopo con i suoi ricordi intatti.
Aveva gli occhi sgranati e un’espressione talmente buffa sul viso che Draco non poté fare a meno di ridere.
«Non è divertente.»
«La tua faccia in questo momento sì» obiettò lui.
«Stai diventando insensibile nei confronti della mia condizione, Draco Malfoy?»
«Ehi, colpo basso!» esclamò lui, sembrando alquanto corrucciato per le sue parole, ma Hermione gli sorride dolcemente, prima di tornare seria.
«Cosa voleva?»
Draco deglutì e si mise a sedere. «Abbiamo un po’ di cose di cui parlare.»
Le disse che aveva avuto la sua eredità e che Narcissa gli aveva dato una lista di specialisti da consultare.
«Come vuoi procedere?» le chiese, stringendo il labbro inferiore tra i denti.
Hermione si mordicchiò l’interno della guancia, poi sospirò. «Contattiamoli. Se c’è qualcosa che possiamo fare, voglio tentare.»
Lui annuì, ma la guardava con un’espressione di avvertimento. «Non acconsentirò a niente che possa farti del male.»
«È questa situazione che fa del male ad entrambi», ribatté lei. «Costantemente.»
«Ma è sempre meglio di niente», rispose Draco a denti stretti. «Ti sto avvisando, non ho la minima intenzione di rischiare di perdere anche quel poco che abbiamo.»
Hermione sospirò. «Voglio fare tutto il possibile», insisté lei. «A qualsiasi costo, con qualsiasi rischio.»
Il biondino chiuse gli occhi, respirò a fondo, iniziò a scuotere il capo impercettibilmente. «Non voglio perderti.»
Gli sfiorò una guancia con la mano e poi si sporse verso di lui per baciarlo. «Dobbiamo tentare il tutto per tutto, Draco. Lo dobbiamo ai bambini.»
Draco tirò su col naso, decindendo che non aveva senso discuterne prima di avere informazioni in merito alle varie procedure che avrebbero potuto seguire.
«Mia madre vorrebbe conoscere i bambini.»
Hermione sgranò gli occhi, totalmente spiazzata da quella notizia.
«E dice che le manco.»
Gli sorrise dolcemente. «Beh, è una cosa bella, no?», domandò incerta. «Ti ha finalmente detto che ci tiene a te. Non era quello che volevi?»
Draco si morse il labbro inferiore. «Non mi fido.»
Lei annuì comprensiva, con un’espressione triste stampata sul viso. «Magari puoi almeno farglieli vedere, non può fare niente se ci sarai tu a tenere d’occhio la situazione.»
«Ho paura a farla rientrare nella mia vita», confessò lui. «Non… Non è cambiata così tanto.»
Hermione deglutì. «Intendi dire che non accetta comunque… me
Il biondino non rispose, ma il suo silenzio valeva più di mille parole.
«Non mi sorprende» ammise alla fine. «Insomma, non lo avrebbe fatto prima, perché dovrebbe ora che non mi posso neanche più definire una strega?»
C’era dolore nel suo sguardo.
Draco sapeva che il non riuscire più a praticare la magia le faceva sempre male; avrebbe potuto provarci, ma i Guaritori sostenevano che evitare di usarla contribuisse a non sforzare troppo la mente.
Hermione aveva dovuto scegliere tra la magia e i suoi ricordi, tra il perderli completamente e il perdere la bacchetta.
Era nascosta molto in alto nell’ufficio di Draco, per evitare che la trovasse nei giorni in cui era più instabile, ma per fortuna durante la settimana lei non lo ricordava.
Non gliel’avrebbe mai portata via veramente.
«Smettila», la ammonì. «Resti sempre-»
«Falla finita, Draco. Sono inutile sotto ogni punto di vista, ormai» sbottò, interrompendolo bruscamente. «E ti chiedi perché tra il rischiare di morire cercando di migliorare le cose e il continuare così, sceglierei sempre la prima opzione?»
La guardava addolorato, ora.
«Perché stare con me non ti basta?»
Lei esalò un gemito strozzato. «Perché stare con me ti fa male.»
Draco scosse il capo con fermezza.
«La domenica io ricordo tutto», insisté Hermione. «Ogni parola che ti dico, il dolore nei tuoi occhi… io volevo cancellarlo, non causartene altro.»
Le prese il volto tra le mani, asciugò le sue lacrime con dolcezza.
«Tu e i bambini siete l’unico motivo per cui sorrido ancora.»
Hermione abbassò lo sguardo, prendendo a fissare le sue mani. «Sorridi solo la domenica.»
La strinse a sé e lei pensò che se dovesse morire, vorrebbe farlo tra le sue braccia.
Era un buon posto per trascorrere i suoi ultimi momenti.
«Se avessi saputo prima che sarebbe successa una cosa genere… non ti avrei mai legato a me.»
«Se io non ti avessi legato a me, tutto questo non sarebbe mai successo affatto» la corresse lui.
«Draco, smettila di colpevolizzarti inutilmente…»
«Quando avrò le prove di cui ho bisogno e sbatterò Lucius ad Azkaban, vedrai che ho ragione.»
«Anche se avessi ragione e fosse stato veramente lui, non sarebbe comunque colpa tua.»
Lui sospirò e scosse il capo, ma poi si chinò verso di lei e la distese sul letto.
«Possiamo smetterla di sprecare tempo prezioso?»
§
Quando Potter riuscì finalmente a incastrare Lucius Malfoy, Draco sorrise.
Le prove che presentarono al Wizengamot erano schiaccianti e lui alla fine confessò, incapace di difendersi ulteriormente.
«Non potevo accettare che mio figlio avesse preso in moglie una sporca Sanguemarcio» disse alla sbarra. «Se fosse morta, magari sarebbe tornato in sé, si sarebbe risposato con una strega idonea e avrebbe avuto l’erede che il suo status richiedeva da lui.»
Draco era disgustato e furente e persino Harry sembrava contenersi a malapena.
Dal loro sguardo era evidente che avrebbero voluto ucciderlo con le loro stesse mani, ma che sapevano che non era possibile.
«Hai intenzione di chiedere il bacio?» gli domandò sussurrando all’orecchio, ma il biondino negò con il capo.
«No», disse gelido, arricciando il naso e stringendo le mani in pugni ferrei. «Che senso ha una vita ad Azkaban con i Dissennatori, se non può sentire la disperazione?»
Harry annuì, capendo quello che intendeva.
«Voglio che viva nell’angoscia come ha costretto a far vivere me.»
§
Tra tutti gli specialisti che consultarono, solo uno riuscì a proporgli una possibile soluzione.
Andarono in Canada per discuterne meglio, ma l’operazione comportava dei rischi.
Era una procedura sperimentale, d’altronde.
Il Guaritore gli disse che era stata eseguita solo una decina di volte e che la percentuale di successo era solo del 50%; li avvisò che il resto dei casi era suddiviso in due risultati: la perdita di memoria completa o la morte.
«Assolutamente no.»
Draco era fermamente convinto che il gioco non valesse la candela.
«Potrebbe risolvere tutto!» esclamò Hermione, speranzosa.
«O peggiorare le cose» ribatté lui. «Ucciderti», terminò in un sussurro tremulo appena udibile.
«Draco, ho bisogno di fare questo tentativo…» lo supplicò in lacrime. «Potremmo avere la vita che desideravamo… una vita piena e felice.»
«Preferisco la certezza di una vita a metà con te al rischio di doverne vivere una intera senza di te.»
Si avvicinò a lui lentamente e fece scivolare la mano lungo il suo petto.
«Rivoglio indietro la nostra vita, Draco», gli disse in tono fermo. «Farò qualsiasi cosa sia necessaria, ora che ho una possibilità.»
Lui gemette in protesta, ma lei non gli diede modo di parlare; iniziò a sbottonare la sua camicia nera e fece scorrere le mani sulla sua pelle nuda.
Draco tremò sotto il suo tocco.
Aveva gli occhi chiusi, mentre Hermione sfiorava il suo collo con le dita; artigliò i suoi capelli e lo spinse contro di sé, baciandolo con ardore.
«Non puoi corrompermi così questa volta», mormorò lui sulle sue labbra.
«Ma posso farti stare zitto fino a domani» affermò lei, poi gli prese il volto tra le mani e lo guardò con determinazione. «Promettimi solo che se le cose dovessero andare male, ti prenderai cura dei bambini e di te stesso anche per me.»
Draco fece una smorfia. «Se proprio vuoi farlo, non voglio contemplare questa casistica.»
«Draco…»
Il biondino deglutì, ma annuì. «Qualche altra richiesta?»
«Una sola», mormorò lei, chiudendo gli occhi e azzerando di nuovo le distanze tra di loro.
«Amami.»
§
Da quando si era risvegliata, Hermione non aveva fatto altro che sentirsi estremamente confusa.
I suoi pensieri erano nel caos più totale.
Ricordi che si mescolavano alla rinfusa nella sua testa, la magia che le solleticava le punte delle dita, spingendo per fuoriuscire.
Aveva fatto accidentalmente esplodere le lampadine nella stanza quella mattina.
L’operazione era stata effettuata durante la notte, nelle ore in cui di solito la sua mente si resettava.
Curioso che un ospedale magico utilizzi metodi di illuminazione babbani”, commentò tra sé e sé, guardandosi attorno.
Sapeva che avrebbe dovuto stare peggio dopo un’operazione come quella che aveva subito e si ritrovò a pensare che adorava davvero la magia.
«Tenga la bacchetta in mano. Vista la quantità di tempo in cui non ha praticato la magia, è molto instabile al momento» sentì dire a un Guaritore d’un tratto. «Il tremolio delle braccia non è una cosa che possiamo risolvere completamente, temo, ma potrebbe riuscire ad usare la bacchetta regolarmente, anche per incantesimi più elaborati, se non eccede quotidianamente.»
«E per quanto riguarda la sua memoria?»
La voce di Draco le mandò un brivido lungo tutto il corpo.
Inizialmente non se lo spiegava, ma poi l’immagine di lui che le giurava amore eterno sull’altare le balenò davanti agli occhi e chiarì tutto.
Sorrise.
Ricordava il modo in cui la toccava e la stringeva mentre facevano l’amore.
Ricordava il buffo portamento di Sirius mentre si sforzava di imitare quello del padre, i riccioli biondi e indomabili di Cassie che aveva avuto la sfortuna di ereditare da lei e il naso perennemente arricciato di Lyra che le ricordava spaventosamente Draco quando mostrava la sua insofferenza per il resto del mondo che non era parte della sua famiglia.
Sapeva già che crescendo lei sarebbe stata quella con cui avrebbero dovuto sforzarsi di più, perché era ancora così piccola e aveva già un bel caratterino.
«Sarebbe il caso di monitorarla per i primi tempi», rispose il Guaritore. «Ma dai primi esami sembra che abbia risposto bene all’operazione. Le scansioni del suo cervello fanno auspicare per il meglio.»
Hermione allungò le orecchie in direzione della porta, da dove provenivano le voci, per sentire meglio.
Quanto avrebbe voluto avere una delle Orecchie Oblunghe dei Tiri Vispi Weasley a portata di mano!
«Dovrebbe ricordare», aggiunse ancora il Guaritore. «Ci saranno sicuramente dei giorni in cui si sveglierà più confusa del normale o volte in cui non riuscirà a ricordare delle cose, ma non sarà più come prima. Può riavere sua moglie a tempo pieno, signor Malfoy.»
Draco sospirò di sollievo e finalmente fece il suo ingresso nella stanza, richiudendosi la porta alle spalle con cautela.
L’ospedale in cui erano andati quella volta usava dei metodi misti, applicando e mischiando medicina babbana e magica nei casi in cui era necessario.
Hermione non aveva idea di quanto gli stesse costando quel trattamento, ma aveva tutta l’intenzione di restituirgli il denaro se fosse riuscita a recuperare abbastanza indipendenza e autonomia da poter lavorare.
Le sorrise, quando vide che era sveglia.
Era lunedì ed era la prima volta dopo tanto tempo che Draco sorrideva di felicità durante quel particolare giorno della settimana.
Dall’espressione sul suo volto, Hermione capì che non aveva creduto veramente a nessuna delle parole che gli aveva detto il Guaritore.
«Se quel sorriso si trasforma in un ghigno, Draco Malfoy» mormorò dopo essersi schiarita la voce, «ti faccio rivivere l’esperienza del terzo anno.»
I suoi occhi argentei si fecero liquidi mentre processava il significato delle sue parole, le loro implicazioni.
Mentre realizzava che era tutto vero.
Che era lunedì e Hermione ricordava.
Che era l’inizio della settimana e lo guardava con affetto.
Le si fiondò addosso e la baciò con urgenza.
Hermione avvertì una vampata di calore attraversarla e diffondersi in tutto il suo corpo, quando le mani di Draco la strinsero con desiderio e possessività.
La bottiglia di Succo di Zucca sul comodino esplose, facendoli sussultare e costringendoli a staccarsi.
Hermione divenne scarlatta. «Scusa.»
Ed eccolo, quel dannato ghigno compiaciuto che comparve a illuminare il viso di Draco. «Non ti è bastato ieri, signora Malfoy?»
«Ti ho detto che volevo fare di tutto per avere una vita piena insieme» sussurrò in risposta lei. «Ma in realtà, credo che non mi basti neanche una vita intera con te, Draco Malfoy.»
Lui le sorrise dolcemente. «Ti amo, Hermione.»
«Ti amo anch’io», rispose lei. «Sempre e per sempre.»
 

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Salve!
Innazitutto grazie a chiunque abbia dato una possibilità a questa short story senza pretese e soprattutto a chi ha dedicato un attimo del proprio tempo per lasciarmi una recensione, per me significa davvero tanto.
Faccio una piccola nota per spiegare le mie intenzioni con questa storia.
Inizialmente doveva essere una OS ispirata al film "50 Volte Il Primo Bacio" e non doveva affatto finire bene, poi però si è trasformata via via in una storia a più capitoli, drammatico-sentimentale, per cui ho cambiato rotta sul finale, specie dopo la descrizione dettagliata dell'angosciante situazione in cui sono stati per anni. 
Spero di avervi fatti/e emozionare almeno un pochino, è un genere diverso da quello a cui mi dedico di solito. 
Grazie ancora e se vi va lasciatemi una recensione con il vostro parere complessivo sulla storia, che sia in negativo o in positivo, sono una persona che apprezza anche le critiche costruttive.
A presto!
Ps. Su Wattpad mi è stato chiesto di scrivere un epilogo vero e proprio, quindi quando sarò più tranquilla con lo studio potrei tornare su questa storia e scriverlo.

 

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