Bastardi senza Gloria

di _Bri_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Prologo Parte 2 ***
Capitolo 3: *** Selezione Oc ***
Capitolo 4: *** Les Revenants ***
Capitolo 5: *** Farti sentire in svantaggio è un vantaggio che intendo mantenere ***
Capitolo 6: *** Come on baby, light my fire ***
Capitolo 7: *** L'Arrocco ***
Capitolo 8: *** È solo dopo aver perso tutto che siamo liberi di fare qualsiasi cosa ***
Capitolo 9: *** Musica Leggerissima ***
Capitolo 10: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 11: *** Armati contro tutto ciò che non ti rende libera. Ribellati contro tutto ciò che ti incatena. ***
Capitolo 12: *** Capitolo 10 - parte 1 ***
Capitolo 13: *** Capitolo XI ***
Capitolo 14: *** Capitolo XII ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


"Bastardi senza Gloria"
Prologo
 
L’ambiente parzialmente illuminato da una vivida fiamma magica, si nutriva delle ombre proiettate sulle pareti. Un cerchio di bambini prestava orecchio alla voce del cantastorie di quella notte; gli occhi grandi lo studiavano curiosi e le boccucce schiuse esplicavano tutto lo stupore nell’ascoltare le parole che, legate fra di loro, tessevano una fiaba dal sapore antico.
 
“L’anno in cui cadde quello che al tempo era conosciuto come Il più grande Mago Oscuro di tutti i tempi è lontanissimo e molti sono gli eventi che susseguirono la sua caduta. Dopo alcuni anni di pace, i maghi e i non magici iniziarono a farsi la guerra, per tentare di primeggiare e conquistare il mondo.
La magia oscura pioveva come zolfo acido sulle teste dei non maghi e bombe con le pance gonfie di atomi distruggevano la Terra. Poi un giorno, a divulgare parole gentili, compassionevoli e di pace, arrivò una donna. Ella attirò l’attenzione di molti, fino a convincere che un mondo senza la magia, sarebbe stato un mondo migliore. La magia non era una cosa da ripudiare, secondo questa autoproclamata Messia, ma un dono che se lasciato in mano a tutti, non avrebbe che portato disuguaglianza e distruzione.
Così, raggiunto il potere e con tante persone e creature dalla sua parte, la donna si impose sul mondo tutto e costruì la culla di una nuova civiltà, in cui maghi e non maghi avrebbero convissuto serenamente.
Ma ascoltate bene bambini, perché non tutto è oro quel che luccica: sebbene la donna professasse la pace e l’uguaglianza, avido era il suo spirito. Si nutriva del potere concessole e regalava la morte, a chi osava opporsi a lei.
Però non dovete disperare, perché a ogni bacchetta che nel mondo veniva spezzata, una persona era pronta per dare battaglia alla donna di potere.
I Ladri di Bacchette, li chiamavano…”
 
 
 
 
 
Marzo 2197.
Terra di nessuno.
 
Accompagnata da un cielo scuro, tinto di viola e di grigio, un’ombra si aggirava fra i rottami, in una delle lande desolate che venivano soprannominate “Terre di nessuno”. Il viso, coperto da una maschera antigas, scattava da destra a sinistra; sotto la maschera gli occhi vigili si accertavano che nessuna Sentinella fosse nelle vicinanze, inoltre cercavano un nascondiglio fattibile, qualora una di loro si fosse palesata all’improvviso; se così fosse stato, difatti, aveva a disposizione tre opzioni: nascondersi nella speranza di non essere scoperta, scappare quanto più velocemente possibile, oppure imbracciare il mitra che rimbalzava sulla schiena ogni qualvolta muoveva un passo.
Ma intorno a sé pareva non esserci nessuno; percepì un vago scricchiolio provenire dalla carcassa di un’automobile abbandonata a una manciata di metri da lei, probabilmente qualche animale, ma i rumori più inquietanti provenivano da molto lontano. Alzò lo sguardo verso la direzione degli spari e pensò che doveva esserci qualche guerriglia in atto. Sperò solo che nessun suo compagno fosse coinvolto, così riprese a camminare.
I piccoli scarponi anti sommossa impattarono con una consistenza morbida. Abbassò lo sguardo, poi si chinò per raccogliere la bambola di pezza alla quale mancavano gli occhi; con una mano la spolverò dal terriccio rosso sul quale aveva giaciuto fino a pochi attimi prima.
 
- Ti sistemerò io, vedrai. – La voce uscì distorta dalla maschera. Di tutta risposta il collo della bambola di pezza si reclinò leggermente a sinistra.
Aprì la tracolla di stoffa e infilò la bambola al suo interno e solo a quel punto riprese il proprio cammino, attraverso la devastazione di quella zona morta.
 
La Corte
 
La berlina nera dai vetri oscurati sostò davanti l’enorme cancellata rivestita di filo spinato e delimitata da due alte torrette, sulle quali i guardiani sbadigliavano impigriti. Uno di essi, appena riconobbe l’automobile, si apprestò a dare l’autorizzazione per lasciarla entrare. Una persona che avesse per la prima volta messo piede all’interno della Corte, avrebbe provato un forte sentimento di straniamento; la dicotomia fra il mondo esterno e l’enorme Comune era palpabile: se fuori dalle mura i territori che si spiegavano per chilometri erano inghiottiti dalla distruzione infernale dovuta a una guerriglia continua, che procedeva con passo costante da decenni, entrando nella Comune si provava la sensazione di mettere piede in paradiso. Un lunghissimo viale di ghiaia bianca segnava un raggio quasi perfetto e ai suoi lati si estendevano campi in coltivazione, serre curate con dovizia, mulini e fucine, pascoli dove equini e bovini pascolavano indisturbati, ma anche colorati e vivi negozi al dettaglio. Il lungo viale giungeva poi alla piazza più grande della Corte, nella quale si svolgeva il mercato e su cui si affacciavano le prime modeste villette; dagli usci sfrecciavano fuori bambini che giocavano a rincorrersi, palesando la quasi totale assenza di privacy.
La berlina tagliò la piazza con ritmo lento ed estremamente silenzioso e al suo passaggio la popolazione catturata dalla vita quotidiana si arrestava, rivolgendo cenni di saluto, sorrisi e parole gentili a chi si trovava all’interno dell’auto. Oltrepassata la piazza le strade percorribili divennero tre; il loro percorso si estendeva per chilometri, tanto che lo sguardo non era in grado di delimitare la loro destinazione. L’automobile imboccò quella centrale e riprese un ritmo più vivace. Si arrestò solo quando arrivò al cortile di un enorme edificio; rampicanti colorati coprivano il vasto porticato e i mattoni a vista, per andare ad abbracciare le finestre della magione.
Jude aprì lo sportello del passeggero e mise piede a terra, mentre una mano andava a portare una sigaretta alle labbra, che accese nell’immediato mentre gli occhi chiari, tagliati da un cipiglio contrito, puntavano l’agglomerato di persone che sostava sotto il portico. Al centro del cerchio, una donna con i corti capelli argentati spiegava i denti in una risata, probabilmente per una battuta fatta da qualcuno. Non appena i loro sguardi si intercettarono, la donna accennò un sorriso e un gesto di congedo e si avviò, radiosa e con le braccia aperte, verso Jude.
 
- Tesoro mio- pronunciò lei con affetto, andando a stringere con le mani  il viso di quel ragazzo tanto più alto di lei  - sono così contenta che tu sia tornato! – Le mani di lei passarono alle spalle e si allontanò di un passo, per esaminarlo con attenzione; il vestito dalla fattura elegante del giovane era in ordine e in pieno contrasto con i semplici jeans e il maglioncino leggero che la vestivano: - Mi sembri illeso e in ottima forma. -
 
- Ciao nonna. – Le labbra di Jude si piegarono in un angolo accennando un sorriso cupo: - Sto bene, è andato tutto secondo i piani. -
 
- Sapevo di potermi fidare di te, sei il mio angelo custode. – La voce della donna, accogliente e morbida, pronunciò quelle parole con calore; ma il sorriso scomparve con la domanda che si ritrovò a pronunciare con cautela, abbassando il tono e facendo in modo di non farsi sentire dagli uomini e le donne che si stavano avvicinando a loro, per dare il bentornato al nipote di Nadia, la loro amata Governatrice:
 
- Immagino tu non abbia notizie di Micah. -
 
Jude infilò la mano libera in tasca e portò con l’altra la sigaretta alla bocca, tornando a fumare con avidità in modo da nascondere, per quanto possibile, il suo livore.
 
- Quante volte dobbiamo parlarne? Non puoi farmi la stessa domanda ogni volta che affronto una missione. Avevamo concordato che ti avrei avvisata qualora lo avessi trovato. -
 
Minaccioso. Terribilmente minaccioso. Questo era ciò che pensava la gente di Jude, quando incontrava quello sguardo che adombrava il viso, ogni qualvolta gli veniva rivolta una domanda scomoda. Nadia si affrettò a carezzargli di nuovo il volto e rinnovò il sorriso, parlando poi con tono accondiscendente: - Hai ragione, è più forte di me. Prometto che la prossima volta non accadrà. Ma ora andiamo dentro, hai bisogno di ristoro e io ho un sacco di domande da farti. –
 
- Del gin, ecco l’unica cosa di cui ho davvero bisogno. – Rispose il ragazzo, che tentò di dissipare la rabbia che aveva sentito montargli nel petto, al solo sentir pronunciare il nome del cugino. Quella donna dall’aspetto così giovane prese sotto braccio Jude e con lui si avviò verso l’entrata della magione; al passaggio dei due, la piccola comitiva si diede un gran da fare a chinare il capo e salutare con reverenze strozzate, mentre Nadia scrollava il capo e sorrideva.
 
- Per quante volte lo dica loro è inutile, continuano a trattarmi come fossi a capo del mondo intero. -
 
- Beh, non è forse vero? – Chiese retoricamente Jude.
 
- Non sono a capo del mondo tesoro, sarebbe alquanto presuntuoso definirmi così… diciamo che mi ritengo la sua serva più fedele, il suo braccio, ma nessuno di noi può avere la presunzione di governare sulla terra che ci accoglie, spero lo terrai sempre a mente. Affrettiamoci a entrare, sono sicura che tuo nonno sarà felice di vederti.-
 
 
Quartier Generale
 
A tutti coloro che non facevano parte dei Ladri di bacchette, le botole coperte con abilità sparse nella Terra di Nessuno erano praticamente impossibili da individuare. Comunque anche nel caso qualcuno avesse trovato una di esse, aprendola non avrebbe visto che un pozzo prosciugato e in disuso. Era scendendo in esso e pronunciando una parola d’ordine verso una delle paretti del pozzo, che chi si trovava a guardia dall’altro capo del muro di mattoni coperti di muschio, apriva la porta misteriosa.
Queste porte erano il lascia passare per lunghi e aggrovigliati percorsi, nodi bui e umidi, ma necessari da percorrere se si voleva arrivare al cuore del quartier generale.
Quel giorno era particolarmente calmo, in quanto buona parte dei compagni di Sonne si trovavano in missione; avevano scoperto che Jude fosse in giro con qualcuno dei suoi e in casi come quello, Sonne sapeva di non potersi muovere dal Quartier generale. Il che lo portava a smaniare più di quanto avrebbe voluto. Un paio di ragazzini avevano tentato di coinvolgerlo nel gioco del nascondino, mentre Skog, il capo cuoco del Quartier generale, lo aveva assillato sventolando la sua mannaia per sapere quanti erano i pasti che avrebbe dovuto preparare per cena.
 
- Dobbiamo fare sempre questa scena? – Buttato su uno dei divani presenti nel loft centrale e con un libro in mano, Sonne aveva risposto all’omone roteando gli occhi al cielo. – Ti sembra per caso io sia lì fuori? Possiedo il dono dell’ubiquità? Sfortunatamente no, quindi mi spiace, ma purtroppo non so dirti chi e quando farà ritorno… ehi Jack! Mollalo! -
 
Jack, un ragazzino di dieci anni con lunghi capelli biondi e disordinati, aveva appena approfittato della distrazione di Sonne per sottrargli il libro che teneva fra le mani; Asimov non era affatto una lettura adatta a dei ragazzini, ma era anche vero che nel loro mondo, si cresceva decisamente in fretta.
Le rimostranze di Skog vennero interrotte dalla voce di Jack il quale, andato a impattare contro la ragazza appena arrivata, si lamentava a gran voce per farsi ridare il libro che aveva conquistato con l’arguzia. Sonne girò la testa e puntò l’attenzione sulla ragazza che teneva ancora sul viso la maschera antigas, poi tornò a rivolgersi al capocuoco: - Aspetta Skog!- Sonne premette le tempie con le dita e chiuse gli occhi, imitando concentrazione – Forse ho risvegliato il mio potere… Posso vederla! Eccone una, è appena tornata, puoi preparare anche per lei. –
 
- Ah-ah, sempre molto spiritoso, ragazzo! – Ciò detto Skog si allontanò, masticando imprecazioni e maledizioni.
La ragazza sfilò la maschera antigas dal viso e ordinò a Jack di andare ad aiutare Skog in cucina: se si fosse comportato bene, gli avrebbe restituito il libro più tardi. Si avvicinò poi al divano sul quale Sonne le aveva fatto spazio e si abbandonò su esso, lasciando la maschera al suo fianco.
 
- Sono distrutta… distrutta! Da quanti giorni sono in giro? - Chiese grattandosi la nuca dal caschetto biondo; aveva proprio bisogno di farsi una doccia.
 
- Oggi è il quinto giorno. Ben tornata Ame. Che fine ha fatto quel ragazzo che era con te? Quello nuovo… -
 
- Andato. – Sospirò Ame, mentre aveva preso a frugare nella tracolla: - Si è fatto beccare il primo giorno di uscita. Dopo che se ne sono occupati sembrava un colapasta, non è stato proprio bello da guardare. Beh, vediamo il lato positivo, se non ci avessero pensato loro, avrei dovuto farlo io. -
 
-Capisco. Peccato, non sono tanti quelli nuovi, sarebbe stato meglio fosse rimasto in vita. – Rispose Sonne con una leggerezza da mettere i brividi. Gli occhi chiari puntarono la borsa di Ame, tentando di carpirne il contenuto: - Hai portato qualcosa di bello? –
 
Un sorriso furbetto illuminò il viso di quella ragazza tanto piccina; dalla borsa estrasse un paio di cd, che allungò a Sonne: - Ho trovato questi, sembrano immacolati! Speriamo si sentano. –
 
Il volto del ragazzo si illuminò mentre rigirava fra le mani Unknown Pleasures dei Joy Division e Ukulele Songs di Eddie Vedder. A quel punto si lanciò ad abbracciare la ragazza con calore: - Sei stata grandiosa! Ehi… - aggiunse arricciando il naso: - Forse è meglio se vai a farti una doccia, sai? –
 
Ame, che inizialmente si era fatta abbracciare, aveva poi spintonato via l’amico con gesto brusco: - Ringrazia che ho lasciato il mitra all’entrata, razza di ingrato! – Ciò detto si alzò, regalò a Sonne un dito medio e si avviò verso i dormitori. Nell’osservarla il ragazzo ridacchiò e valutò, dentro di sé, che era proprio felice di saperla viva. A quel punto si alzò dal divano e con i dischi stretti fra le mani, decise che avrebbe dovuto provarli subito, prima che qualcun altro arrivasse a disturbare uno dei suoi rarissimi momenti di ozio.
 


La storia prende ispirazione da molte fonti: “Il racconto dell’Ancella”, “Inglorious Bastards”, “The Walking Dead” sono solo alcuni dei titoli che mi hanno fornito ispirazione.
 
 
Innanzitutto: buonasera a tutti voi!
Fra lockdown, regioni rosse arancioni e gialle, coprifuoco e clima decisamente postapocalittico, per tenerci compagnia non poteva che venirmi in mente una storia del genere, dalle tinte distopiche. Insomma, ben distante dal “Giardino Segreto” (si, ho rinunciato a rinchiudere i vostri poveri ragazzi e al contrario regalerò loro un ambiente decisamente vasto per muoversi). Chi mi conosce, sa già che le note che seguiranno saranno moooolto lunghe, manco fossi David Foster Wallace, ma le ritengo necessarie per farvi capire qualcosa di questa storia. Prometto, però, che tenterò di essere il più coincisa possibile e se le spiegazioni non dovessero bastare, sentitevi liberissimi di assillarmi in privato. Intanto ringrazio chi di voi deciderà di partecipare.
Bri
 
Prefazione
 
La storia è ambientata nel 2197 (circa 60 anni di regime di Nadia, che ha 112 anni) . Voldemort è caduto da 199 anni, ma dopo circa 70 anni dalla sua caduta, sono iniziate le prime guerriglie fra varie fazioni in tutto il mondo. Lo statuto di segretezza si spezza e i maghi abusano del loro potere nei confronti dei babbani. In realtà sono gli stessi maghi a non volere più che esso esista: molti di loro cavalcano l’onda della nostalgia di Grindelwald e pensano che la loro supremazia non solo sia necessaria e utile per i babbani stessi, ma che senza l’imposizione della magia, i babbani finiranno per distruggersi a vicenda, e per sterminare i  maghi che sono sempre di meno.
Inizia una guerra aperta fra Maghi e Babbani e l’intero mondo entra in guerra, coinvolgendo tutte le parti e causando milioni e milioni di morti: i maghi non esitano a usare i propri poteri e ogni spietato mezzo a loro disposizione, ma i babbani non sono da meno: questi ultimi mettono in campo le armi nucleari, senza risparmiarsi nulla.
Così, in un clima terribile in un modo distrutto e decimato, una donna comincia a proferire il proprio verbo. Una donna che porta(va) il cognome Macmillan incomincia a professare la parità fra le razze: maghi, babbani, elfi, troll, centauri. Tutti, per parità di intelletto, devono essere considerati uguali. Comincia ad avere un forte seguito dalla sua e contestualmente, all’età di 26 anni, conosce Etienne, un talentuoso pozionisita francese che si innamora perdutamente di lei (e viceversa). Nel momento in cui si conoscono Etienne stava lavorando su una pozione che rallenta l’invecchiamento, un insieme di sangue di unicorno, lacrime di fenice e asfodelo.
Quando Nadia sale al potere instaurando il regime ha 48 anni ma non ne dimostra che una trentina scarsa. La donna, in venti anni di duro lavoro e proselitismo, ha raccolto molti consensi e ha fatto in modo che la sua voce si propagasse nel resto del mondo. In questi 20 anni sono tanti, sulla Terra, i leader che apprezzano e appoggiano Nadia: in questa Terra devastata, senza più confini politici prestabiliti, nascono delle forze militari che a servizio di Nadia vengono mandati a recuperare tutte le bacchette in circolazione, che vengono portate da lei per essere distrutte; così come i fabbricanti di bacchette vengono catturati e sbattuti in prigione. Insomma, la magia, che porta la disparità, deve essere soppressa e si deve ridurre al minimo la possibilità che essa venga utilizzata.
Per lo stesso motivo le scuole di Magia vengono chiuse e i cognomi purosangue del mondo Magico eliminati. Iniziano a nascere le grandi Comuni, ovvero delle vere e proprie città all’interno delle quali la vita si svolge in pace e in armonia, ricostituendo un po’ quello che è l’ordine naturale delle cose e in cui babbani e maghi (questi ultimi obbligati a non usare la magia), convivono pacificamente. A capo di queste Comuni vi sono i Governatori che fanno tutti riferimento a Nadia, la Governatrice della Corte, la comune più grande che esista ed è come fosse una sorta di capitale mondiale.
Ma fuori dalle Comuni, gli scenari sono dei più terribili: chiunque osi andare contro il Regime instaurato da Nadia viene perseguitato, ucciso, oppure spedito nelle Colonie, luoghi ben peggiori delle comuni prigioni: esse sono campi di lavoro forzato, in cui si è costretti a scontare la pena di tradimento smaltendo rifiuti tossici.
Quindi in questo mondo le possibilità sono due: accondiscendere e vivere seguendo le regole di Nadia, oppure ribellarsi.
Da un lato ci sono dunque Le Sentinelle:  il corpo armato della Governatrice (possono essere maghi o babbani), hanno il compito di tutelare la Corte e dare la caccia ai dissidenti.
Dall’altro ci sono I Ladri di Bacchette: uomini e donne, babbani o maghi, che combattono il regime cercando di portare a compimento una missione: trovare le bacchette che Nadia non è riuscita a recuperare e distruggere e restituirle ai maghi, convinti che sopprimere la Magia non ha fatto altro che andare contro l’istinto naturale della vita stessa. Essi usano degli pseudonimi per identificarsi, spesso legati alla natura (ad esempio SOnne significa “sole” in tedesco, Ame “pioggia” in giapponese, Skog “foresta in svedese). I ladri di bacchette hanno un tatuaggio in comune: una bacchetta spezzata. Da un lato rappresenta la volontà di reagire alla soppressione, dall’altra un abile modo per riconoscersi fra di loro.
 
Ora un po’ di spiegazioni. Allo stato attuale, i cognomi magici non esistono più. Essi sono stati sostituiti per assottigliare la divergenza fra maghi e babbani e si tramandano per via matriarcale.
Si, durante il periodo di maggiore soppressione sono nati vari obscuriali, ma essi sono stati soppressi. Un po’ come l’evoluzione della specie, man mano i maghi hanno smesso di sviluppare gli obscuriali e alcuni di loro hanno manifestato dei poteri spontanei ma non incontrollabili. Sono facoltà particolari (chiamiamoli anche super poteri), ma NON TUTTI i maghi li hanno sviluppati. Anzi, sono piuttosto rari e spesso chi li possiede viene assoldato da Nadia per entrare a far parte delle Sentinelle.
Gli ambienti in cui questa storia si svolgerà, sono i seguenti:
 
La Corte: La Comune Capitale, che si trova nel territorio inglese.
 
Le Terre di nessuno: Luoghi distrutti, lasciati in stato di abbandono, a volte desertici. Sono il terreno fertile per le battaglie che si svolgono fra le due fazioni.
 
Il Quartier Generale: Un luogo sotterraneo dove si nasconde e vive la comunità dei Ladri di Bacchette.
 
Gli orfanotrofi: Tutti coloro che rimangono senza genitori (che siano morti o spediti nelle colonie) vengono portati e fatti crescere negli orfanotrofi. Viene fornita loro un’istruzione, uguale per tutti e di tanto in tanto degli ispettori designati si recano in essi per individuare ragazzi e ragazze particolarmente validi, che desiderano entrare nelle Comuni. Chiunque cresca negli orfanotrofi prende il cognome dell’orfanotrofio stesso. Ad esempio l’orfanotrofio adiacente alla corte porta il nome “Strong”, quindi tutti coloro che escono da lì, avranno come cognome Strong.
 
Le Colonie: Territori enormi e terribili, grandi discariche piene di rifiuti tossici dove vengono spediti i ribelli per scontare le loro pene. Gli orari di lavoro sono massacranti, i dormitori un covo di germi e malattie, livelli igienici inesistenti. Qui si lotta costantemente per la sopravvivenza e molto raramente si esce vivi da esse.
 
 
Regolamento
 
 
  • Le schede vanno inviate entro e non oltre il 25 Novembre, attraverso messaggio privato con oggetto “Nome Oc – Bastardi senza gloria”.
  • Potete inviare fino a due personaggi a testa purché:
    • di sesso opposto
    • appartenenti a gruppi diversi
 
  • Nella prenotazione indicate il sesso e gruppo e se mago o babbano. Inoltre SE (e non siete obbligati) volete proporre un mago con un potere, indicate quale. Indicare anche l’orientamento sessuale. Per evitare disequilibri fra le parti, se si è indecisi vi consiglio di optare per “bisessuale”.
 
  • Essendo un’interattiva vi chiedo il piacere di essere partecipi, non solo perché nel corso dei capitoli vi farò delle domande, ma anche perché altrimenti si perderebbe il senso di fare una storia del genere. Lo faccio ogni volta, lo so, ma vi chiedo perciò di essere partecipi. Sappiate comunque che se dopo 3 capitoli non dovessi più avere vostre notizie, nel 4° comunicherò l’eliminazione del vostro Oc.
Ovviamente se aveste dei problemi, di qualsivoglia natura, che non vi permettessero di essere presenti basta farmelo sapere e concorderemo insieme una soluzione senza che il vostro oc sia costretto a rimetterci.
 
  • Accetto: Maghi, babbani, metamorphomagus, mezze veele.
 
  • Non accetto: Mary o Gary Stu; non mandatemi Oc animagus. licantropi, vampiri. Non inviatemi oc super mega potenti. Sottolineo che non è necessario che il vostro oc abbia un potere (dei miei tre oc, solo Jude possiede un potere), ma se dovesse averne uno, NON deve essere un potere invincibile e privo di limitazioni importanti. Se così dovesse essere, sarò costretta a non prenderlo in considerazione.
 
  • Tenete a mente che la storia è ambientata nel 2197; l’ambiente è distopico: Voldemort è morto da un pezzo, così come Harry, i suoi figli e tutti i nostri amati ragazzi della saga. Fra l’altro i loro cognomi sono anche estinti, quindi non accetterò nessun discendente dei personaggi a noi caro. Inoltre l’evoluzione si è arrestata, sebbene si cerchi di usare solo energia rinnovabile. Comunque il clima è ben distinto: nelle Comuni c’è serenità e un sapore nostalgico, fuori da esse guerra continua. Lo scenario è steampunk, perciò sbizzarritevi con le armi e i costumi. Ricordatevi che del mondo che conosciamo non è rimasto nulla. Fuori dalle Comuni, tutti lottano per la sopravvivenza, quindi quando costruirete i vostri oc, pensate al fatto che potrebbero essere cresciuti in un clima ostile, difficile e che molto probabilmente ha portato loro a un prevedibile disincanto.
 
Con questo ho finito. Vi lascio con le schede e un trafiletto con i miei oc. Se doveste avere bisogno di qualsiasi tipo di informazione o non vi dovesse risultare chiaro qualche passaggio, sentitevi pure liberi di assillarmi in privato.
 
 
Schede
 
SCHEDA LADRI
 
Nome e Cognome (se provenienti da un orfanotrofio, il cognome sarà quello dell’orfanotrofio - "Strong" se quello vicino alla Corte-. Ricordatevi che i cognomi di diffusione magica non esistono più e che il cognome sarà quello della madre):
 
Nome in codice (collegato alla natura, come una catastrofe naturale, una pianta ecc… declinato in una lingua a scelta. Es: “Sonne” significa “sole” in tedesco, mentre “Ame” significa “Pioggia” in giapponese):

Data di nascita (i personaggi possono avere dai 15 anni in su):

Mago o babbano?:

Orientamento sessuale:
 
Prestavolto (deve essere necessariamente un personaggio reale):

Aspetto fisico (indicare anche dove è posizionato il tatuaggio della bacchetta spezzata):
 
Segni particolari:

Carattere:
 
Per i maghi: hanno facoltà particolari? Se si, indicare quali, con relativi limiti (il potere DEVE avere delle limitazioni):
 
Armi:

Pregi e difetti:

Background del personaggio (chi era prima di entrare a far parte dei Ladri di Bacchette):
 
Come ha conosciuto il gruppo dei Ladri e come è riuscito a entrare a farne parte?:
 
Perché è voluto diventare un Ladro?:
 
Come vive la condizione di emarginazione? Si trova bene nel Quartier Generale?:
 
Cosa pensa del regime di Nadia?:
 
Cosa pensa dei suoi compagni?
 
Cosa pensa delle Sentinelle?:
 
Famiglia e rapporto con essa:

Molliccio:

Amicizie/ inimicizie:
 
Passioni e abilità:
 
Debolezze e paure:
 
Cosa ama/odia:

Amore ( Nel caso sia già fidanzato o sposato, specificare il carattere del fidanzato/a/coniuge):
 
Tradirebbe i suoi compagni per passare alle Sentinelle? Se si, specificare dettagliatamente il motivo:
 
Rapporto con Sonne:
 
Rapporto con Ame:
 
Conosce qualcuno della fazione opposta? Se si indicare il rapporto con il personaggio:
 
Altro:
 
 
SCHEDA SENTINELLE
 
Nome e Cognome (se provenienti da un orfanotrofio, il cognome sarà quello dell’orfanotrofio. Ricordatevi che i cognomi di diffusione magica non esistono più e che il cognome sarà quello della madre):

Data di nascita (i personaggi possono avere dai 25 anni in su):

Mago o babbano?:

Orientamento sessuale:
 
Prestavolto (deve essere necessariamente un personaggio reale):

Aspetto fisico:
 
Segni particolari:

Carattere:
 
Per i maghi: hanno facoltà particolari? Se si, indicare quali, con relativi limiti(il potere DEVE avere delle limitazioni):
 
Armi:

Pregi e difetti:

Background del personaggio (chi era prima di entrare a far parte delle Sentinelle):
 
Perché ha deciso di diventare una Sentinella e per quale motivo è stato selezionato?:
 
Vivere nella Corte (la Comune di Nadia) gli/le piace? :
 
Cosa pensa del regime di Nadia?:
 
Cosa pensa dei suoi compagni?:
 
Cosa pensa dei Ladri di Bacchette?:
 
Famiglia e rapporto con essa:

Molliccio:

Amicizie/ inimicizie:
 
Passioni e abilità:
 
Debolezze e paure:
 
Cosa ama/odia:

Amore ( Nel caso sia già fidanzato o sposato specificare il carattere del fidanzato/a /coniuge):
 
Tradirebbe i suoi compagni per passare ai Ladri? Se si, specificare dettagliatamente il motivo:
 
Rapporto con Jude:
 
Rapporto con Nadia:
 
Rapporto con Etienne:
 
Conosce qualcuno della fazione opposta? Se si indicare il rapporto con il personaggio:
 
Altro:
 

 
I MIEI OC
 
Micah Millan

Pseudonimo “Sonne”
30 anni
Fazione “Ladri di Bacchette”
Armi: Fucile automatico ad alta precisione – Kusarigama
 
 
 
 
Liv Strong

Pseudonimo “Ame”
25 anni
Fazione “Ladri di Bacchette”
Armi: Mitra – Balestra in fibra di carbonio
 
 
 
 
Jude Millan

33 anni
Fazione “Sentinelle”
Potere: “Amortentia tattile”: chiunque tocchi proverà un potente sentimento d’amore nei confronti di Jude, che lo condurrà a fare qualsiasi cosa lui voglia. Limitazioni: deve avvenire un contatto fisico per attivare il potere. Può agire su una sola persona alla volta. La durata massima dell’effetto sarà di 24 ore.
Armi: Beretta 92
 
 
 
Nadia Millan

112 anni
Governatrice suprema
 
 
 
Etienne Moreau

115 anni
Consorte di Nadia.

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Capitolo 2
*** Prologo Parte 2 ***


 
Prologo Parte 2
 
La Corte – Zona di addestramento
 
Jude, mani allacciate dietro la schiena e cipiglio torvo, studiò con attenzione la ragazza che riversava a terra mentre pian piano emergeva da una nuvola di terriccio rosso. I lamenti da parte di lei lo portarono a roteare gli occhi al cielo e poi, trovata dentro di sé la calma necessaria, le parlò con tono misurato:
 
- Vuoi rimanere lì ancora per molto? Forza, alzati e recupera il cavallo. -
 
Addestrare le future Sentinelle era quasi un piacere, nella grande tenuta che Nadia aveva fatto costruire appositamente. Infatti se dalla grande piazza centrale della Corte, si intraprendeva la strada di destra, percorrendola tutta si arrivava a un grande maneggio in cui vi erano le stalle, dove venivano accuditi tutti i cavalli della comune; adiacente ad esso si estendeva un vero e proprio campo di addestramento militare, provvisto di un’armeria ben servita. Era lì che il capo delle Sentinelle si trovava con sei ragazzini inesperti. Nadia più volte gli aveva detto che avrebbe potuto delegare il lavoro d’addestramento a qualche altra Sentinella, ma Jude aveva sempre declinato, preferendo occuparsi in prima persona di addestrare i novizi; questo quando non era impegnato nelle sue missioni, ovvio.
Ciò non voleva dire che non fosse talvolta snervante, come quel giorno in cui avrebbe preferito strapparsi le orecchie, piuttosto che sentire il blaterare di quella ragazzina che non faceva che lamentarsi. Jude le porse la mano e lei, intimorita ma anche grata, la raccolse in modo che l’uomo potesse aiutarla a rialzarsi da quella brutta caduta da cavallo. Ma una volta in piedi, Jude la tirò a sé con vigore e si incurvò, di modo da poter inchiodare gli occhi venati di limpido cielo in quelli di lei:
 
- Vuoi diventare una Sentinella, ma non sei nemmeno in grado di rialzarti da una stupida caduta da cavallo. Cosa pensi che accadrà lì fuori, nelle Terre di nessuno, quando cadrai perché un branco di ladri ti starà inseguendo per portati via questa tua testolina vuota, eh? Pensi ci sarà qualcuno disposto ad aiutarti per rimetterti in piedi? Magari speri anche ti vengano offerti tè e pasticcini… -
 
Più parlava, più la voce si faceva roca e la morsa intorno alla piccola mano della ragazza andava intensificandosi. Intanto che gli occhi le si riempivano di lacrime, gli altri ragazzi osservavano la scena in silenzio, senza avere il coraggio di emettere un singolo suono.
 
- Te lo ripeterò per l’ultima volta, poi se continuerai a frignare, farò in modo che tu venga spedita immediatamente nelle Colonie più vicine: recupera – il – cavallo – adesso. -
 
Jude dovette trattenere un sorriso, mentre constatava la nascita di puro terrore negli occhi di lei la quale, dopo un primo momento di totale smarrimento, annuì e corse verso il cavallo che era corso nel maneggio con fare imbizzarrito. Solo a quel punto il capo delle Sentinelle portò di nuovo le mani dietro la schiena e si rivolse al resto dei novizi, concedendo loro un sorriso bonario:
 
- Bene, chi è il prossimo che vuole sperimentare il tiro da cavallo? Ricordatevi che prendere confidenza con questi animali è per voi fondamentale. Le Terre di nessuno sono luoghi terribili ed è possibile che sarete costretti a muovervi molto velocemente mentre date battaglia. I Ladri di bacchette sono molto abili e non pensate che siano sguarniti di armi a loro disposizione. Perciò prima imparerete a combattere da cavallo, meglio sarà per voi, sempre che vogliate salva la vita. -
 
Dal gruppetto di adolescenti partì una sequela di gorgoglii: chi deglutiva, chi tossicchiava, chi si grattava la testa per il nervoso. Solo un ragazzino dai morbidi capelli color cioccolato ebbe il coraggio di fare un paio di passi avanti : - Mi scusi signor Millan, ma non sarebbe meglio tentare di sviluppare le nostre capacità, prima? Magari Eleonore, - continuò lui, indicando con un gesto del viso la ragazza che tentava di calmare il cavallo dalla quale era caduta, - non è particolarmente ferrata in questo ambito, quindi perché non concentrarsi sulle sue abilità? –
 
Jude squadrò il ragazzo, poi accorciò di qualche passo la distanza che lo divideva da lui, prima di rispondere: - Certo, Malachia… posso concentrarmi sulla capacità di Eleonore di sciogliere il metallo con le mani, ma ti assicuro che non sarebbe questo a farla sopravvivere, se si dovesse ritrovare in mezzo a un branco di ladri esperti e pronti a tutto, pur di decimarci. Comunque né Nadia, tantomeno il sottoscritto, obbliga nessuno di voi a stare qui ad addestrarvi. – Ancora qualche passo a ridurre la distanza dal ragazzo di un paio di metri. Quest’ultimo stava lentamente perdendo colorito. – Ma se decidete di rimanere, spero che siate abbastanza coscienziosi da non dubitare dei miei metodi di addestramento. –
 
Una risata allegra, seppur profonda, arrivò alle spalle di Jude. Malachia, fissando la figura in avvicinamento, prima sgranò gli occhi, poi chinò il capo con reverenza e retrocedette, tornando a confondersi fra gli altri quattro compagni.
 
- Vedo che non perdi un attimo di tempo, figliolo! -
 
Jude rilassò lo sguardo e sorrise nel percepire la stretta della mano di suo nonno sulla spalla; a quel punto si voltò verso di lui: - Il mattino ha l’oro in bocca, nonno… sei stato proprio tu a insegnarmelo. –
 
- Hai ragione e vederti così zelante mi rende molto orgoglioso di te. Però sono venuto a chiederti di concedermi un po’ del tuo preziosissimo tempo; avrei bisogno di mostrarti i progressi del progetto di cui ti accennavo ieri… - Etienne lanciò uno sguardo a Eleonore e accennò un sorriso divertito: - Sono sicuro che questi ragazzi non se la prenderanno a male, non trovi? -
 
Jude scrollò il capo biondo e tirò un angolo della bocca: - Credo non vedano l’ora di liberarsi di me. Forza, andiamo. In quanto a voi continuate ad allenarvi come se fossi qui. Non costringetemi a mandare da voi delle balie. –
 
Così i due uomini si incamminarono verso l’automobile con cui era giunto Etienne. Il gruppo trattenne il fiato e solo quando videro l’auto sfrecciare via, i ragazzi si concessero di respirare di nuovo.
 
*
 
Quartier Generale
 
- Ti faccio vedere io, maledetto! Consegnami tutto quello che hai! -
 
- Giammai! O fai quello che ti dico, o la pagherai cara: ti porteremo nelle Colonie e passerai lì il resto della tua vita! -
 
- Non puoi farlo, perché io prima ti do fuoco alla moto, poi do fuoco a te! Sono Ame, ricordati il mio nome, perché sarà l’ultima parola che sentirai! -
 
Una bambina con una parrucca bionda in testa e una maschera antigas di cartone a coprirle metà viso, agitava un bastone nella direzione del gruppo di ragazzini capitanati da Salomon il quale, nel suo costume di toppe colorate, manteneva i pugni stretti sui fianchi magri. A quel punto, alle spalle della ragazzina con la parrucca apparve Jack, volto coperto da una bandana rossa da bandito e una catenella stretta in mano.
 
- Non ce la farete, perché io e la mia amica siamo più forti e furbi di voi: in guardia! -
 
Fra i versi e le risate, i ragazzini cominciarono a correre lungo tutto il perimetro della sala comune del Quartier Generale, in barba agli adulti che evitavano di sgridarli e li lasciavano fare. Sonne, Skog e Ame, seduti intorno a un tavolinetto sbilenco, osservavano la scena. Sonne liberò una risata e indicò la ragazzina con la parrucca: - Guarda Sophie, è identica a te! Pazzeschi, questi ragazzi. –
 
- E Jack a te. – Annuì con solennità Ame, con le braccia pallide strette sotto il seno minuto: - Siamo i loro eroi, dovremmo esserne fieri. -
 
- E io chi sarei? – Chiese Skog, tentando di dissimulare l’eccessiva curiosità.
 
- Tu sei decrepito amico, nessuno di loro vorrebbe mai essere te. -
 
Alle parole di Sonne, Skog divampò: - Vecchio io? Riuscirei a metterti al tappeto con un braccio legato dietro la schiena! – Poi l’uomo indirizzò il capo verso i ragazzini che correvano pericolosamente intorno a loro: - E voi dovreste essere a studiare ora! –
 
- Via Skog, oggi  è Sabato, lasciali divertire. – Ame si inclinò verso di lui, così gli pizzicò una guancia coperta di barba: - E poi non prendertela. Tu non sei vecchio, sei maturo e perfettamente splendido (1)!-
 
Il babbano borbottò qualcosa, mentre insieme agli altri due si alzava e si avviava verso l’interno del Quartier Generale. Sonne lanciò uno sguardo rapido a Jack che era immerso in un finto duello con Salomon, quindi sussurrò verso Ame per non farsi sentire: - Ora che ti sei riposata puoi dirmi come è andata la missione: notizie dei suoi? –
 
Ame si accigliò e scosse il capo. – Nessuna, ormai è passata una settimana e loro sarebbero dovuti tornare in un paio di giorni. –
 
- Non è una buona cosa. – Commentò Skog. I tre superarono le cucine e il refettorio, diretti verso la piccola sala che utilizzavano gli adulti per le riunioni, quando non volevano che i ragazzini della comunità ficcassero il naso nei loro discorsi.
 
- Non lo è affatto. Hai incontrato qualcuno delle Sentinelle che conosciamo? -
 
Ame lanciò una fugace occhiata alle porte dei dormitori che stavano superando. Non amava affatto quel corridoio che stavano percorrendo, troppo lungo e stretto per i suoi gusti.
 
- Un paio, ma sono riuscita a nascondermi per bene e non hanno notato la mia presenza. -
 
- Non avevamo dubbi, brava la nostra ragazza. – Disse Skog, mentre le scompigliava affettuosamente il caschetto biondo. Nonostante la coccola (evento più unico che raro) che Skog le aveva rivolto, il volto di Ame rimase particolarmente serioso. Arrivati davanti la sala delle riunioni, Sonne aprì la porta, facendo entrare prima i due compagni. Una volta dentro la richiuse e si poggiò a essa incrociando le braccia. Davanti a lui un grande tavolo circolare pieno di faldoni e scartoffie, penne e pennarelli; un caos al quale non si era mai abituato del tutto. Sulla parete erano invece appesi cartelloni pieni di appunti, cartine  con percorsi tracciati e lavagne su cui appuntare gli ordini del giorno. Il suo sguardo si soffermò su una delle mappe su cui erano rappresentati, con delle puntine colorate, i vari gruppi di compagni che si trovavano ancora nelle Terre di nessuno.
 
- Purtroppo credo che se non riappariranno in fretta saremo costretti a darli per spacciati. – Dichiarò poi il ragazzo, assorbito da un puntino rosso attaccato a una delle zone più a sud della Terra di Nessuno che circondava la superficie del quartier Generale. Nel sentire quelle parole Ame annuì, anche se i pugni stretti sulle gambe secche esprimevano tutto il suo disagio. Nel notare quel gesto, Skog si schiarì la voce, per poi  rivolgersi a Sonne: - Diamogli ancora  tempo per tornare; se non dovessero farsi vivi entro tre giorni, sarò io stesso a parlare con Jack. -
 
Ame alzò gli occhi e li puntò in quelli di Skog. Accennò un debole sorriso, prima di ringraziarlo.
 
- Qui siamo tutti la famiglia di tutti, dobbiamo prenderci cura dei giovani, visto che saranno loro a sostituirci. -
 
Sonne annuì alle parole di Skog; improvvisamente la sua espressione mutò e un sorriso luminoso scoprì gli incisivi divisi da un leggero spazio, un difetto per cui i suoi amici lo prendevano spesso in giro.
 
- Non disperiamoci. Piuttosto pensiamo a come accogliere gli altri, visto che a breve torneranno tutti dalle loro missioni. – Concluse, indicando con la mano la serie di puntini colorati diffusi sulla mappa alle spalle di Ame.
 
*
La Corte – studio di Etienne
 
Lo studio del nonno era un posto per il quale aveva sempre sentito di provare un’attrazione morbosa, fin dalla più tenera età, quando non gli era assolutamente permesso avvicinarvisi. Erano molte le volte in cui lui e Micah si erano intrufolati lì dentro, ignorando i richiami dei genitori di tenersi lontani il più possibile da quello che, da Etienne, veniva considerato un luogo sacro. Ora che era adulto e con un ruolo di tutto rispetto, capitava sempre più spesso che il nonno lo invitasse lì dentro. Talvolta, per prelevargli una buona dose di sangue da usare per i propri esperimenti.
 
- Vieni, forza. – Lo incitò Etienne, mentre si avvicinava a due grandi calderoni posti sotto un’ampia vetrata colorata . Da uno dei calderoni volava via in rivoli sottili e inconsistenti, un fumo azzurrino. Dall’ebollizione dell’altro, che conteneva un liquido denso molto simile alla marmellata di ciliegie che tutti gli anni preparava la signora Foroe, si formavano delle bolle che, con lentezza inesorabile, si staccavano dalla superficie turbolenta e volavano via.
Grazie al lavoro del nonno che catturò la sua attenzione, Jude fu in grado di scacciare il ricordo della sua infanzia, uno di quei ricordi che gli assestavano tre o quattro colpi secchi alla bocca dello stomaco ogni qualvolta si formavano nella sua mente. Il ragazzo strinse la mani dietro la schiena e si sporse appena, per adocchiare le due sostanze che sembravano così diverse fra di loro ma le quali, assurdo ma vero, avevano lo stesso scopo.
 
- Gli ultimi due inibitori sono quasi pronti. Non ci vorrà molto. Ti va di provare quello adatto a poteri come il tuo?-
 
- Sono qui per questo, giusto? – Jude sorrise bonariamente al nonno, prima di sedersi su uno sgabello e slacciò i primi bottoni della camicia per liberare il collo il più possibile. Intanto Etienne infilò un paio di guanti ignifughi e osservò, con cauta attenzione, la fila di collari tubolari ordinatamente sistemati su di un tavolo metallico. Ne afferrò uno e tirò la giuntura, con una siringa avulsa dal proprio ago estrasse il liquido color ciliegia e con essa riempì la cavità del collare, che sigillò subito dopo. Solo a quel punto allacciò il collare intorno al collo di Jude. Il liquido rosso all’interno di esso cominciò a vibrare, reagendo al contatto con il mago e pian piano si stabilizzò. Etienne sfilò i guanti e si avvicinò al nipote.
 
- Ora prova a usare il tuo potere. -
 
Jude annuì e fece come gli era stato chiesto dal nonno: allungò una mano e afferrò la spalla di Etienne, poi si concentrò per sprigionare al meglio la sua capacità. Eppure l’unica cosa che percepì, fu un lieve fremito a pizzicare i polpastrelli. Era chiaro il suo potere fosse stato inibito, ma la prova del nove poteva fornirla solo e soltanto Etienne.
 
- Nonno, vuoi dirmi cosa provi nei miei confronti? -
 
Etienne respirò lentamente e poi puntò gli occhi in quelli del nipote: - Sento di volerti molto bene, ma non cambia molto dal solito. –
 
Jude annuì e ritirò la mano. Quel collare aveva funzionato alla perfezione, persino con il suo, che era un potere di infinita potenza.
 
- Basta così, liberami di questo collare. – A quel comando, Etienne annuì. Jude osservò il nonno circumnavigare il grande tavolo su cui erano i collari, aprire uno dei cassetti scorrevoli, estrarre la sua bacchetta e puntarla verso Jude. Un movimento fluido del polso e il collare si staccò da lui, finendogli sulle ginocchia. Istintivamente Jude massaggiò il collo prima di riconsegnare il collare al nonno, con un sorriso appena accennato a sporcargli il bel viso: - Ottimo lavoro, sono sicuro che la nonna ne sarà entusiasta. Ora torno da quei ragazzi, non mi fido a lasciarli soli per troppo tempo. -
 
Etienne ripose il collare nello stesso luogo in cui ripose la bacchetta e si avviò con Jude verso l’uscita del suo studio, mantenendogli una mano sulla spalla in un gesto affettuoso.
 
- Va bene figliolo, ma vengo con te. Quel collare non inibisce totalmente le vostre facoltà e io sento un gran desiderio di rimanerti accanto oggi, dannato il tuo potere! – Concluse infine, scatenando una risata da parte del nipote il quale, mai e poi mai, avrebbe approfittato del suo potere per andare contro i suoi nonni, l’unica famiglia che gli era rimasta.
 
 


 
(1) Ame dirà spesso questa strana cosa. Perché? Perché questa frase viene spesso detta dal personaggio di una bambina della serie “Haunting of Bly Manor”; io sono totalmente innamorata di Haunting of Bly manor, una serie Netflix perfettamente splendida che consiglio di vedere. Uno dei personaggi poi è proprio il prestavolto di Jude, che già era presente nella prima stagione di Haunting (ovvero Haunting of Hill House, anche quella splendida). Il mio amore per Oliver Jackson Coen nasce proprio da lì e non vedevo l’ora di trovare il modo di impiegarlo. Così è nato Jude :)
 
Cari tutti, buon sabato! Come procedono le vostre giornate? Io sono costretta a lavorare anche di sabato purtroppo, però non volevo farvi aspettare oltre per la pubblicazione del secondo prologo. Veniamo a noi:
 
L’ultima scena descritta porta alla luce un elemento che sarà importante per le Sentinelle: i collari inibitori. Questi  contengono delle pozioni a lento rilascio che servono, appunto, per inibire i poteri particolari. I colori saranno 4:
 
Azzurro e Verde: Queste pozioni agiscono suoi poteri “fisici”. La pozione azzurra inibirà i poteri fisici più potenti, quella verde i poteri fisici meno potenti.
 
Rosso e Arancione: Queste pozioni agiscono suoi poteri “mentali”. La pozione rossa (quella color ciliegia provata su Jude) inibirà i poteri mentali più potenti, quella arancione i poteri mentali meno potenti.
 
Etienne ha messo a punto queste pozioni su richiesta indovinate di chi? Esatto, della sua adorata mogliettina, che pretenderà che le Sentinelle (ovviamente si parla dei maghi e le streghe, non di quelle babbane), li indossino quando si trovano alla corte, in quanto vuole dimostrare che ci tiene al fatto che i maghi non possano prevalere sui babbani e bla bla bla.
 
Per il resto non ho moltissimo da aggiungere, se non ringraziare chi si è già iscritto e ricordarvi che le iscrizioni sono ancora aperte e chi vuole è libero di iscriversi. Un unico consiglio: incominciano a scarseggiarmi i maschietti (e te pareva) quindi nel caso vi voleste iscrivere, tenete in considerazione questa cosa.
Inoltre come avrete notato, Skog è diventato più o meno canon. Vi lascio con un suo trafiletto con le informazioni utili.
Anche Jack ha fatto ritorno, ma che fine hanno fatto i suoi genitori? Beh, se qualcuno desideroso di iscriversi volesse creare la coppia di genitori di Jack, fatemelo sapere.
 
Inoltre volevo informarvi che dato che ho aperto un profilo Instagram per seguire alcuni autori, ho deciso di sfruttarlo. Del resto, perché no? Principalmente pubblico scemenze riguardanti gli oc o i capitoli, ma lo trovo un modo comodo e rapido per comunicare con tutti voi. Tra l’altro si sta creando una bella rete di autori e la cosa mi piace moltissimo, per cui anche se non seguite le mie storie e non avete intenzione di partecipare, mi farebbe comunque piacere seguirvi :) Insomma, potete trovarmi come bri_efp!
 
Ultimissima cosa: per il momento non ho intenzione di prorogare la data di scadenza, che vi ricordo essere il 25 Novembre. Ciò detto se qualcuno ritiene di avere bisogno di una proroga, scrivetemi in privato quanto prima, così che io possa valutare di quanto prorogare e informare tutti gli altri partecipanti tramite un avviso.
 
Basta vi ho tediati abbastanza! Vi lascio col trafiletto di Skog.
 
 
Jairo De Vries
Pseudonimo “Skog”
49 anni
Fazione “Ladri di Bacchette”
Armi: mannaia e qualsiasi arma gli venga fornita
Domande e Risposte 


1) Approssimativamente, puoi farmi una panoramica delle Comuni (quante e in che continenti sono, quanta gente ospitano e in che condizioni)?

 
Prima di tutto ricordatevi che la popolazione mondiale è stata abbondantemente decimata dalla grande guerra che ha visto coinvolti maghi e babbani, principalmente per l’uso delle armi nucleari da parte di questi ultimi. In buona sostanza le Comuni si dividono in 2 categorie: Grandi Comuni (Simili alla Corte, che è la Comune capitale) e Piccole Comuni, che nascono intorno alle grandi. Questo perché i territori fertili sono ben pochi e su quelli sono nate le Comuni. Sono quei territori su cui si può coltivare, non ostili in tutto e per tutto. Comunque immagino la seguente suddivisione:
Europa: La Corte, un’altra grande Comune in Europa meridionale e tutte le piccole comuni che orbitano intorno ad esse (questo vale per ogni continente, quindi eviterò di ripeterlo).
Oceania: Essendo già oggi molto desertificata, ho immaginato una sola grande comune.
America del Nord: Protagonisti attivi della guerra, il territorio ne è uscito fuori distrutto. Una sola grande comune è presente qui.
America del sud: 2 grandi comuni.
Asia: Stesso discorso per l’America del nord, ma essendo molto grande, ho immaginato comunque 3 grandi comuni.
Africa: 2 grandi comuni.

2) Qual è il sistema economico in vigore? C'è ancora lo scambio commerciale capitalista tramite denaro o esiste una collaborazione di stampo socialista, con tutta la proprietà privata affidata al governo e i beni scambiati senza pagamenti?
 
Il vecchio sistema monetario non esiste più, ma esiste ancora l’oro come valuta e anche l’argento ha il proprio valore. Principalmente si effettua il baratto, ma anche oro e argento(in misura minore) vengono utilizzati per acquistare, specialmente tutto ciò che è di valore effimero e superfluo. Entrambi i sistemi monetari- babbano e magico – sono stati aboliti sempre per il discorso sull’uguaglianza a cui tiene molto Nadia.

3) Qual è l'aspettativa di vita dei cittadini all'interno delle Comuni?
 
Buona. Certo, non alta come è attualmente la nostra, perché dopo la guerra nucleare immagino siano sbucate fuori nuove malattie che stanno ancora studiando, comunque immagino circa 70 anni (ovviamente esistono persone più longeve).

4) Come funziona l'educazione negli orfanotrofi (materie, insegnanti, etc)?
 
L’orfanotrofio ha il suo sistema di scolarizzazione standard. Viene insegnato ai ragazzi a leggere, scrivere e fare di conto, qualche accenno alla storia moderna e alla geografia; principalmente si punta a sviluppare le competenze dei ragazzi, in modo che siano il più possibili utili alle Comuni, in un futuro. Gli insegnanti mediamente non sono preparatissimi, ma anche in questo caso ci saranno delle rare eccezioni.

5) Si fa uso di tecnologia nel mondo post apocalittico e, se sì, di quale?
 

La tecnologia esiste seppure in maniera limitata. Non esiste internet, ma esiste il sistema radio. Non esistono le emittenti tv, ma ci si sposta anche in automobile o in motocicletta, usando però sempre e solo energia rinnovabile.

6) Che ne è delle religioni? Esiste ancora il matrimonio come cerimonia spirituale o è considerato solo civile?
 
Nadia ha lasciato libertà di espressione alla popolazione mondiale, ma lei per prima si professa portavoce di un essere divino e creatore. Quindi sebbene ognuno può credere in ciò che preferisce, molti si sono uniti sotto la voce di Nadia. Inoltre l’unico matrimonio che viene riconosciuto, ovvero quello legalmente valido, è il matrimonio civile. Ciò non toglie che ognuno possa aggiungere la sua cerimonia religiosa; ma al contrario, il solo matrimonio religioso non ha alcun valore legale nel mondo di Nadia.

7) A che punto è il complesso sanitario? Ci sono ospedali o scuole di medicina/università?
 
Ci sono ospedali, sebbene non avanguardistici. Si sta ancora sperimentando molto e nelle strutture ospedaliere lavorano in collaborazione sia maghi che babbani. È importante ricordare che nonostante Nadia professi l’uguaglianza, maghi e babbani sviluppano malattie talvolta diverse, quindi c’è bisogno di una stretta collaborazione fra le parti per curare il paziente con efficacia. Inoltre no, l’università non esiste: se si vuole diventare medico l’unico modo è sperimentare la professione sul campo, quindi diventare un tirocinante.

8) Quali sono le attuali conoscenze del mondo antico? Ci sono stati reportage della guerra che magari si studiano nelle scuole o in genere si studiano le cose che studiamo noi ora (imperi antichi, guerre europee, scoperta dell'america et similia)?
 
Le conoscenze del mondo antico sono molto ridotte, specialmente per chi non ha l’occasione di essere cresciuto all’interno di famiglie importanti, come quella di Nadia o di altri governatori. In questo caso l’istruzione è sicuramente migliore, ma principalmente si studia la storia recente, quella che segue la caduta di Voldemort.

9) Che ne è di confini e nazioni, del senso di nazionalismo che c'è oggi?
 

I confini non esistono più. Esistono solo le Grandi Comuni intorno a cui orbitano le piccole comuni. Ah, una cosa molto importante da sapere è che in tutto il mondo viene insegnata la lingua inglese, un po’ come, purtroppo è accaduto in quei paesi che sono stati colonizzati. Ad esempio: se io nasco in territorio brasiliano (ovviamente il Brasile non esiste più, ma è per farmi capire), parlerò il portoghese, ma obbligatoriamente anche l’inglese.

10) Cosa sa la gente comune dei Ladri di Bacchette e delle Colonie, di ciò che accade fuori dalle Comuni?
 
I Ladri di Bacchette vengono presentati, da Nadia, come dei sovversivi, niente di più, niente di meno. Chi è dalla sua parte tenderà a sminuire i Ladri, a dare loro poca importanza, definendoli cellule impazzite senza uno scopo ben preciso, un po’ come dei bambini troppo iperattivi che non hanno ricevuto la giusta educazione.
Per quanto riguarda le Colonie, esse sono presentate come campi di lavoro in cui coloro che sono andati apertamente contro il bene comune, si troveranno a rendersi utili per la società. Nadia difficilmente uccide apertamente, preferendo mostrarsi magnanima e facendo intendere che ogni persona, seppur ribelle, può essere utile al mondo.
 
11) Anche i bambini possono stare nelle colonie oppure se i genitori vengono deportati lì, li mandano in orfanotrofio?
 

Se i bambini hanno i genitori nelle Colonie, o verranno affidati a un familiare che può prendersi cura di loro, altrimenti verranno portati in orfanotrofio.
 
12) C’è un addestramento per le Sentinelle? Quanto dura?
 
Non esiste un tempo minimo/massimo per l’addestramento. Siamo in un mondo distrutto, ancora divelto dalla guerra, quindi c’è bisogno di persone che proteggano le Comuni dentro e fuori da esse. Semplicemente quando una recluta viene reputata pronta, diventa una Sentinella.
 
13) I poteri speciali si manifestano durante l’infanzia, o sono presenti fin dalla nascita?
 
I poteri possono manifestarsi fin dalla nascita, a voi la scelta.
 
14)  La maschera antigas viene sempre utilizzata nella terra di nessuno o può anche essere tolta in certi ambienti?
 
La maschera antigas è una peculiarità dell’abbigliamento di Ame. Comunque tendenzialmente i ladri, quando escono, tendono a coprirsi molto per non essere riconosciuti: ad esempio Sonne usa indossare grandi occhialoni gialli stile steampunk e una bandana rossa stile bandito del far west per coprire naso e bocca.
 
 
15) I ladri di Bacchette sono nati in tempi recenti ( meno di vent'anni) o sono presenti fin dai primi tempi del governo di Nadia?
 
I ladri di bacchette ci sono da quando Nadia ha instaurato il suo regime. Ovviamente tanti ne sono morti e tanti altri si sono aggiunti con il tempo. All’inizio erano gruppi disorganizzati di dissidenti, ma da una trentina d’anni circa potete considerare si sia costituita a tutti gli effetti questa sorta di organizzazione.
 
 
16) La storia si svolgerà principalmente su quello che resta del territorio inglese?
 
Si: vi ho dato una panoramica mondiale per farvi capire il contesto, ma per motivi di trama mi concentrerò sul territorio inglese dove sta la Corte, sulle sue Sentinelle e sul gruppo di ladri che opera intorno ad essa.
 
 
17) La loro base sotterranea, il quartier generale lo devo pensare come un ambiente grande o come qualcosa di piccolo con il minimo sindacale? Per esempio chi ci vive ha una sua camera privata o ci sono solo dormitori condivisi?
 
Il quartier generale è molto grande: una grande sala centrale in cui gira tutta la comunità, poi ci sono le cucine, i bagni e i dormitori. Le stanze private sono poche, tendenzialmente vengono condivise dalle famiglie, o dalle coppie, o da chi ha bisogno di riprendersi da qualche uscita nelle terre di nessuno particolarmente stancante.
 
 
18) I ladri di bacchette hanno altri avamposti o risiedono solo nel Quartiere generale?
 
Hanno anche altri avamposti, ma si tenta di fare sempre ritorno al Quartier Generale. Diciamo che gli altri sono luoghi sicuri temporanei, che vengono usati durante le missioni. Purtroppo è già successo che il Quartier Generale venisse scoperto, in passato, e che quindi la comunità dei ladri abbia dovuto creare un nuovo Quartier Generale. 
 
19) Ci sono dei ruoli e delle gerarchie? Quanto durano mediamente le missioni? Partono solo alcuni volontari coraggiosi o tutti se ne occupano?
 

Non esiste una vera e propria gerarchia, ma ci sono dei ladri veterani a cui si fa riferimento, così come ci sono personalità particolarmente forti a cui ci si appoggia (ad esempio Micah).
Tranne i bambini, i più anziani e chi è impossibilitato per malattia e disfunzioni fisiche, i ladri fanno a turno per uscire. Ovviamente i più giovani sono anche quelli più forti e scaltri e saranno loro a coprire il maggior numero di missioni.  Le missioni variano a seconda dell’entità stessa della missione. Possono durare un giorno, una settimana o anche più.
 
 
20) I Ladri non si avvicinano mai a nessuna Comune, o magari sono avvenute azioni belliche contro questi luoghi?
 
Si, talvolta i ladri si avvicinano alle Comuni.
 
 
21) Nelle colonie ci possono finire anche cittadini delle Comuni?
 
Si, nelle colonie, purtroppo, ci possono finire tutti.

22) Se qualcuno dovesse finire nelle Colonie o comunque venire arrestato per ribellione, la famiglia di questi sarebbe altresì arrestata oppure messa sotto controllo?

Per quanto riguarda la famiglia di coloro che vengono portati nelle Colonie no, non subirà la stessa sorte. Capirete col tempo che Nadia vorrà fare di tutto per apparire il più magnanima possibile, quindi verrebbe incontro a chiunque (tenendoli comunque d’occhio).
 
23) I maghi in questo tuo mondo non hanno le bacchette e solo alcuni hanno dei "poteri" speciali. Ma a livello normale i maghi hanno comunque dei poteri o sono del tutto scomparsi o sopiti?
Un nato mago, ha dei poteri più o meno latenti? Oppure no?

 
con gli anni Nadia ha fatto in modo che la magia, qualsiasi forma di magia, venisse soppressa; difatti come ho accennato, specialmente all'inizio sono nati vari obscuriali, che sono stati tutti soppressi. Come funziona esattamente nel nostro mondo naturale, in riferimento al mantenimento della specie (per esempio alcuni animali che, per adattarsi all'ambiente in cui vivono, mutano nel tempo le loro caratteristiche fisiche), così è successo per i maghi: questi non avendo più un mezzo per "sprigionare" la loro magia e comprendendo inconsciamente che se l'avessero fatto, sarebbero morti, semplicemente hanno smesso di produrne. Alcuni fanno eccezione e sviluppano questi super poteri; o ancora, può succede che episodi di magia involontaria si manifestino, come capita ai piccoli maghi e streghe, ma sono appunto episodi sporadici e incontrollati. 
 
 

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Capitolo 3
*** Selezione Oc ***


 
CAPITOLO I
“Guerrieri! Giochiamo a fare la guerra?”
 
Marzo 2197.
Terre di nessuno
 
Al Quartier Generale non lasciava quasi mai gli occhi scoperti, privi di occhiali da sole a celarli all’interlocutore, ma nelle Terre di nessuno, nella grande distesa, come amava definirla, Atlas non aveva alcun problema a riguardo. I suoi occhi chiarissimi ispezionavano il panorama intorno a sé, dall’alto di un rudere che, molti anni prima, era stato un centro commerciale molto frequentato. Un movimento lontano, che agli occhi di chiunque sarebbe risultato invisibile, lo face immobilizzare. Strinse lo sguardo, mentre alzava una mano: sotto di lui Angelica, la sua compagna, attese con pazienza.
Solo quando Atlas strinse il pugno, la ragazza annuì e caricò l’arco.
 
- Ora! – Gridò Atlas dall’alto. Fu in quell’istante che Angelica scoccò la freccia, colpendo con precisione impressionante la spalla di una donna, in sella a un cavallo, che avevano tenuto sotto osservazione per giorni interi.
Il cavallo si impennò e nitrì per lo spavento; la Sentinella crollò a terra e rotolò per qualche metro prima di fermarsi, presa totalmente alla sprovvista. Non fece nemmeno in tempo a capire cosa fosse successo e ad estrarre il pugnale allacciato al suo fianco, che una figura nero vestita le offuscò la vista.
 
- Chi cazzo siete… che volete?! -
 
La donna sussultò non appena vide la canna di uno strano fucile avvicinarsi di molto al suo viso.
 
-Sta zitta. – Concluse Atlas, prima di premere il grilletto e far saltare la testa della Sentinella con un solo colpo.
 
- Ci siamo, l’abbiamo trovata! – Gridò la sua compagna, la quale senza perdere tempo era corsa a recuperare il cavallo e con esso la borsa contenente il loro oggetto del desiderio. Atlas passò la manica del suo cappotto nero sul viso, giusto per tirar via le gocce di sangue che lo avevano sporcato, così raggiunse Angelica, che gli mostrò le due grandi borse di cuoio piene di scatole di proiettili di ogni tipo.
 
- Ottimo, possiamo ritenerci soddisfatti di noi. – Rispose laconico nel mentre lanciava uno sguardo al contenuto della borsa.
 
- Direi di si, ora possiamo tornare al Quartier Generale. -
 
Alle parole di Angelica, l’espressione di Atlas, solitamente resa truce dalla spessa cicatrice che deturpava il suo sopracciglio, si ammorbidì come quella di un bambino che non voleva andare a dormire: - Oh ma andiamo! Possiamo ancora restare. Passando di lì c’è quell’ex mattatoio che ci eravamo riproposti di visitare, e… -
 
Angelica conosceva bene il suo compagno. La ragazza roteò gli occhi al cielo e incrociò le braccia sotto il seno: - Sai che anche io vorrei rimanere fuori, ma sono giorni che manchiamo e ci staranno aspettando. Facciamo domani, ti va? –
 
Di tutta risposta Atlas sbuffò lungamente ma infine annuì, cedendo al volere della sua ragazza che, in effetti, non aveva tutti  i torti.
 
La Corte
 
Quella che gli si prospettava davanti, era una giornata ingrigita dalle minacciosissime nubi che promettevano pioggia; Lir era rientrato da una lunga missione nelle Terre di nessuno e ritenne, a ragion veduta, di essersi meritato un po’ di riposo. Pregustava già di non mettere il naso fuori dal suo villino; magari avrebbe preparato una ciotola di noodles e si sarebbe strafogato davanti a un vecchio film western. C’era prospettiva migliore di quella? La risposta restituì alla sua mente un prevedibile no. Aveva già dimenticato i giorni passati in mezzo alla sabbia densa e rossiccia, alla ricerca di qualche cellula anomala da stanare; in quel momento Lir, mentre si sfregava le mani con soddisfazione dopo essersi fatto una lunga doccia, aveva in mente l’unico obiettivo di staccare la mente e dedicarsi a quello che amava fare.
Ma il suono melodioso del campanello di casa sua, quella casina confortevole che in realtà condivideva con una sua collega la quale, in quel momento, si trovava con ogni probabilità in compagnia di Nadia, saltellò in tutto l’appartamento. Con i capelli ancora bagnati, Lir infilò una maglia pulita e corse alla porta, non risparmiandosi di sbuffare a ogni passo. Era pronto a cacciare via chiunque si trovasse dall’altro lato della porta, che aprì con una malavoglia scontata.
Chiunque non fosse stato Nadia in persona, o Etienne, oppure…
 
- Jude, amico mio! – Lir accolse il capo delle Sentinelle con tono squillante e allegro. Jude, con le mani allacciate dietro la schiena e chiuso nel suo impeccabile completo elegante, lo squadrò accennando un sorriso.
 
- Oggi deve essere il mio giorno fortunato, pensavo di trovarti tramortito sul letto, ancora circondato dall’olezzo delle Terre di nessuno. -
 
- Ehi ehi, vacci piano; l’igiene prima di ogni altra cosa. – Lir allacciò i capelli sopra la testa, così fece cenno a Jude di entrare: - allora, qual buon vento ti porta qui? Non ti sarò mica mancato troppo, dolcezza? -
 
Gli occhi chiari di Jude rotearono vistosamente, mentre oltrepassava la soglia di casa: - Mi piace il fatto che tu riesca a dire sempre la cosa sbagliata, Lir, così posso scrollarmi di dosso anche quel briciolo di senso di colpa che si è formato in me quando ho deciso di venire qui. –
 
- Senso di colpa? E per cosa? -
 
- Ho bisogno di te. Mettiti qualcosa addosso, fuori l’aria è particolarmente frizzante. -
 
- Ma… ma! – Lir, braccia spalancate e broncio, vedeva l’immagine del suo pomeriggio ideale sfumare via. – Sono appena rientrato… sono stanco morto! Sei sicuro di aver bisogno proprio di me? Non puoi chiedere, che ne so, a Geordie? -
 
- Spiacente. Geordie è molto impegnato e Greta, l’altra a cui avevo pensato, è appena partita per una missione. Forza, ti aspetto qui. -
 
- Ma… -
 
- Non te lo sto chiedendo come favore, prendilo come un ordine. – Jude infilò le mani nelle tasche dei pantaloni e allargò il sorriso, guadagnandosi così una lunga lista di colorati epiteti da parte di Lir il quale, fra un’imprecazione e l’altra, pretese almeno qualche minuto per asciugarsi la sua bella chioma corvina. Del resto non poteva rischiare che qualcuno lo vedesse conciato come una cornacchia arruffata, no?
 
Quartier Generale
 
Auden, rientrato nel quartier generale a notte fonda in compagnia di Eleanor, era riuscito a scampare qualsiasi tipo di interazione sociale. Sfinito da un’uscita durata quasi quattro giorni, la prima cosa che aveva fatto era stato andare nelle cucine per recuperare qualche avanzo, poi dopo una lunga doccia era sgattaiolato in dormitorio. Era anche riuscito a dormire discretamente bene, merito la stanchezza e un paio di tappi per le orecchie particolarmente potenti, così la mattina dopo si era presentato nella grande sala comune di buon umore, persino pronto a chiacchierare del più e del meno con qualche abitante del Quartier Generale.
Ora, Auden non è che avesse proprio voglia di chiacchierare, intendiamoci, men che meno di sentire una voce squillante e ben nota, sfondargli i sensibilissimi timpani.
 
- Chion! Ben tornato ragazzaccio! Ti stavo aspettando! -
 
D’istinto il ragazzo portò le mani a coprire le orecchie e strinse gli occhi, poi si voltò molto lentamente verso quella vocina acuta, ritrovandosi faccia a faccia con Ame che aveva le mani nascoste dietro la schiena e un sorrisetto di volpe appena nascosto da qualche ciuffo biondo.
 
- Ne abbiamo già parlato… potresti non urlare così? Il mio udito, sai… -
 
- Ops, scusa tanto, non so perché dopo tutti questi anni non riesco proprio a tenerlo a mente. -
 
- Eh, lo so bene… -
 
- Comunque, sei tornato! Il che è perfettamente splendido! -
 
Ame mantenne una mano dietro la schiena, mentre con l’altra si premurò di arpionare un gomito di Auden, il quale avrebbe solo voluto fare colazione, per trascinarlo verso il laboratorio del Quartier Generale. – Abbiamo recuperato un sacco di armi e credo dovremmo metterci subito al lavoro per risistemarle. Sai come si dice, no? Chi ha tempo non aspetti tempo! –
 
Cosa aveva fatto di male per incontrare, come prima persona quella mattina, proprio Ame? Non che non le volesse bene, solo che il ragazzo sentiva davvero l’esigenza di riprendersi con una colazione abbondante, prima di essere travolto così dalla ragazza. Sfortunatamente per lui alla vitalità aggressiva di Ame, si unì quella di Eleanor, con cui aveva condiviso la missione da cui era appena rientrato. Auden era abbastanza certo che Eleanor non avesse mai smesso di parlare, nemmeno quando si erano dovuti dare alla fuga dato che un gruppo di Sentinelle li aveva individuati e rincorsi per chilometri e chilometri.
 
- Dormito bene, compagno? – Chiese Eleanor più arzilla che mai. Di nuovo: cosa aveva fatto di male per meritarsi la combo delle due bionde compagne?
 
- Diciamo di si… ti vedo bene Yuki. -
 
- Bene e prontissima per una nuova missione! A tal proposito… - Yuki puntò gli occhi in quelli di Ame e se possibile riuscì ad assumere un espressione ancora più furba della sua: - Mi chiedevo se avessi in programma qualche uscita, magari ai mercati, sai… -
 
- Magari… - sospirò Ame, afflosciando le spalle: - Ma Sonne ha bisogno di me questi giorni, non credo mi permetterà di uscire senza di lui. Però potrei convincerlo a uscire in missione e fare un piccola deviazione al mercato est… -
 
Yuki si mostrò entusiasta e cominciò a pregare Ame di portarla con sé, nel caso fosse riuscita a convincere Sonne. E mentre le due chiacchieravano, Chion tentò di defilarsi molto silenziosamente.
 
-Altolà, bellimbusto!-
 
Un profondo sospiro, così il ragazzo roteò di nuovo verso Ame. Quello che vide, però, lo sorprese notevolmente: Ame teneva un braccio teso nella sua direzione e stringeva nella mano un paio di grandi cuffie anti rumore praticamente nuove, stando all’apparenza.
 
- E queste? – Chiese stupito, mentre allungava una mano per afferrare le cuffie, lo sguardo quasi commosso.
 
- Le ho trovate durante la missione, le ho ripulite e sistemate, dovrebbero andar bene. -
 
Chion balbettò un ringraziamento; un sorriso di pura gratitudine gli balenò sul volto mentre infilava le cuffie in testa, assicurandosi di farle aderire per bene al padiglione auricolare.
 
- Non c’è di che! – Urlò a squarciagola Ame, meritandosi uno strillone da Chion, che le ricordò che, nonostante le cuffie, purtroppo ci sentiva ancora molto bene.
 

 
La Corte – Campo d’addestramento
 
- Forza, ce la puoi fare. Ricordati che questi magnifici animali sentono le nostre emozioni… non permettere di farti assalire dalla paura, altrimenti… -
 
Ma Artemisia non fu nemmeno in grado di finire la frase, che il cavallo che fino a poco prima stava trottando con serenità, tutto d’un tratto si imbizzarrì e con un impennata rabbiosa, fece crollare a terra Izzie.
 
- Impossibile… ma come fai… - Artemisia parlò più a se stessa che alla ragazza, mentre i suoi occhi di un delicato azzurro finivano a terra, per incontrare la sagoma sbiadita della propria ombra. Con le nuvole che coprivano il sole, quella non era che una forma leggera, ciò nonostante l’ombra riuscì comunque a staccarsi da terra per poi avvicinarsi alla dolorante Izzie; quest’ultima lasciò che l’ombra la rimettesse in piedi e si premurò di ringraziarla, come si farebbe con un essere umano mosso da buone intenzioni.
 
- Grazie tante… ohi ohi… che male! – la ragazza prese a massaggiarsi con una mano la testa, con l’altra la schiena. – Ero così contenta di essere riuscita a rimanergli in groppa per ben cinque minuti… -
 
- Ti assicuro che è solo questione di allenamento, Izzie. – Artemisia si era avvicinata all’altra e le aveva parlato con un tono morbido e dolce, ricamato di una pazienza invidiabile.
 
- Tu dici? A me sembra di non riuscire a fare un minimo di miglioramento… -
 
La ragazza, ormai a un paio di metri da Izzie, schioccò le dita: in pochi istanti l’ombra si ritirò nuovamente ai suoi piedi.  – Questo non è vero… stai facendo dei progressi, ma è bene continuare ad allenarsi. Purtroppo sai bene che per le missioni è fondamentale e non puoi continuare a farti portare dagli altri. –
 
- Non ho nessuna intenzione di farmi portare dagli altri. Basterebbe, che ne so, che Jude mi permettesse di spostarmi in moto! Sarebbe tutto più semplice e specialmente non rischierei di ammazzarmi in ogni momento. -
 
- La moto va bene, ma non per le missioni lunghe… non puoi portare troppo carburante con te. E se non dovessi trovarne in giro? Dammi retta, è davvero importante imparare a cavalcare. -
 
Izzie allacciò i ricci indomiti sopra la testa, mentre un sospiro sconsolato usciva dalla bocca morbida: - Il fatto è che non voglio causare problemi a nessuno… e non voglio toglierti altro tempo prezioso. Sei sempre così disponibile con me, ma ormai dovresti saperlo che sono una causa persa. -
 
Artemisia dovette trattenere uno sbuffo di insoddisfazione e tentò, al contrario, un tono conciliante: - Izzie… tu non sei una causa persa e questo prima lo capirai, meglio sarà per te. Ti aiuterebbe a stare fra noi Sentinelle, sai, far crescere un po’  l’autostima. –
 
Il botta e risposta fra le due venne interrotto dall’arrivo della berlina che entrambe le ragazze conoscevano bene. Una volta che l’auto si fermò accanto alla recinzione, Izzie allargò il sorriso e cominciò a salutare con energia suo padre, alla guida, che ricambiò in maniera distinta, ma appena dal retro uscì fuori l’alta figura di Jude, la giovane si affrettò a ritirare la mano. Il capo delle Sentinelle, seguito da Lir, si avvicinò alle due streghe con passo misurato, mentre portava distrattamente una sigaretta alla bocca.
 
- Buongiorno a entrambe. -
 
- ‘giorno belle fanciulle. – Nonostante l’evidente stanchezza, il saluto di Lir risultò, come di norma, molto più caloroso di quello di Jude.
 
- Buongiorno a voi. – il saluto di Artemisia venne susseguito dal pigolio gracile di Izzie; la prima inclinò lievemente il capo di lato, mentre osservava gli uomini avvicinarsi a loro: - Come possiamo esservi utili? – Domanda che rivolse puntando gli occhi chiari in quelli di Jude; sapeva, difatti, che se quei due si trovavano lì, non era di certo per volere di Lir, visto che era consapevole che il povero ragazzo, che conosceva dai tempi dell’orfanotrofio, era tornato da una lunga missione giusto un paio di ore prima. Jude trattenne la sigaretta fra le labbra, infilò le mani nelle tasche dei pantaloni dal taglio elegante e inarcò un sopracciglio. – Come sta andando qui? – Infine spostò lo sguardo su Izzie la quale si stava maldestramente ripulendo dal terriccio che si era attaccato ai suoi vestiti, a seguito della caduta da cavallo.
 
- Ecco Jude… io… - tentò lei, ma la sua voce venne sovrastata da quella di Artemisia: - Bene, Izzie sta migliorando moltissimo, ha solo bisogno di un po’ di tranquillità… - Le ultime parole che rivolse a Jude, assecondate da un sorriso limpido ma tagliente, assunsero un sapore di velenoso rimprovero - … e di non essere messa sotto pressione, ovviamente. -
 
- Capisco. Se è così, non posso che rallegrarmene. Tuttavia temo dovrete interrompere il vostro allenamento. Ho bisogno che tu venga con me da Etienne; sta testando una cosa importante e il tuo potere mi è utile per capire se sta seguendo la strada giusta, o se dovrà apportare delle modifiche. -
 
A quel punto Lir poggiò un gomito sulla spalla di Jude, mentre faceva saltare le pupille, abbracciate da limpidi iridi azzurre, da Izzie ad Artemisia. – Bene, sbrighiamoci allora. Vorrei svolgere la pratica il prima possibile per tornare al mio programma giornaliero, che prevede il fare meno cose possibili. –
 
Jude gettò a terra la sigaretta, premurandosi poi di spegnerla con l’anfibio. Artemisia notò un vago sorriso sul bel volto dell’uomo e, conoscendolo, sapeva di doversi aspettare il peggio.
 
- Saremo io e Artemisia ad andare da Etienne. – Si limitò a dire; Lir scostò molto lentamente il gomito dalla spalla dell’altro: - Credo ci sia un errore, caro vecchio Jude: sono  o non sono io la sua guardia del corpo? – Il moro assestò una pacca sulla schiena e accompagnò il gesto con una risatina leggera.
 
- So bene che ruolo ricopri, ciò non toglie che in questo momento è lei che serve a mio nonno. Tu prenderai il suo posto. – Jude sistemò il collo della giacca e fece cenno ad Artemisia di seguirlo. A quel punto Lir spalancò bocca e braccia contemporaneamente, mentre passava lo sguardo da Jude, incamminatosi verso l’automobile e seguito da Artemisia a Izzie, che lo guardava con un sorrisetto vergognoso.
 
- Mi stai dicendo forse che devo darle ripetizioni private?! Spiegami che cosa ti ho fatto di male per meritarmi questo nel mio giorno di libertà! -
 
Quartier Generale
 
Durante gli ultimi tre giorni praticamente tutti i ladri erano rientrati dalle proprie missioni e per questo il Quartier Generale si era animato di nuovo, esplodendo di un vociare continuo, fra urla di bambini e discussioni fra adulti, tra le risate sguaiate e le riunioni che coinvolgevano tutti gli abitanti. Fu in quel tripudio di caos che Claudia e Malik fecero il loro ingresso. La missione che li aveva visti protagonisti, aveva fatto in modo che riuscissero a recuperare persino una bacchetta, che Malik, conosciuto fra i suoi compagni con lo pseudonimo di Jabal, aveva custodito con gelosia. Ad accogliere i due ci furono ovazioni di gioia, specialmente quando i Ladri vennero informati del buon fine della missione. Sonne, ringalluzzito dalla presenza dei loro compagni, si catapultò verso l’ingresso; fu a lui che Jabal, con un sorriso tronfio, consegnò la preziosa bacchetta.
 
- Siete stati fenomenali! Oh, ma io lo sapevo di poter contare su di voi! – Il ragazzo alzò la bacchetta davanti al volto e la rimirò come se quella fosse il tesoro più prezioso del mondo. In effetti per i Ladri lo era: ogni singola bacchetta che veniva faticosamente recuperata e strappata alla distruzione da parte di Nadia, era una vittoria che valeva la pena della fatica incommensurabile delle missioni stesse.
 
- E non è tutto. –
 
Lo sguardo di Sonne rimbalzò all’istante sulla strega minuta che, al fianco di Jabal, risultava ancora più piccina.
 
- Pendo dalle tua labbra principessa, cosa ci hai portato oggi di bello, Ollie? -
 
Claudia aggrottò le sopracciglia nel sentire quel vezzeggiativo; trovava che Oleander fosse di per sé uno pseudonimo abbastanza ridondante, ci mancava giusto che Micah lo rendesse ridicolo. Ciò nonostante al ragazzo Claudia concedeva tutto, quindi non protestò; si limitò, piuttosto, a scansarlo con malagrazia: -Prima di tutto bagno, ne riparliamo dopo. –
 
Sonne passò a guardare Jabal: - Quante volte ha fatto pipì in questi giorni? –
 
- Credo di contarne tre, forse quattro ad essere generoso. -
 
- Mi chiedo come faccia a non scoppiarle la vescica, comunque Jab… -
 
- Zio! Sei tornato! -
 
In un istante le attenzioni di Malik si concentrarono su Zenia, la quale correva nella sua direzione con le braccia larghe, pronta per essere presa al volo. L’uomo tirò su la bambina come se quella fosse fatta di polvere e vento e non si risparmiò nello stamparle baci sulle guance tornite: - Ciao animaletto, ti sei comportata bene in questi giorni? –
 
- Certo che si! Che mi hai portato di bello? -
 
Jabal rise di gusto: - Non perdi tempo, eh? Guarda cosa ho qui. – Trattenendo la nipote con un braccio, Malik infilò la mano libera nella casacca che pendeva sul fianco, estraendo infine un paio di volumi di Batman parecchio ingialliti, ma tutto sommato ancora in buono stato. Zenia tuonò un meravigliato “wooow!” e roteò in direzione di Jack; il bambino l’aveva seguita e si era fermato al fianco di Sonne. Agitando i fumetti nelle mani, gridò: - Jack! Guarda qui! Possiamo aggiungerli alla nostra collezione! –
 
Per quel poco che gli fu possibile, Jack tentò di sorridere all’amica, poi alzò lo sguardo verso Sonne: - Mamma e papà non sono stati trovati, vero? –
 
Per Micah era praticamente impossibile mentire; per alcuni questo veniva ritenuto un pregio, per altri, tanti altri, un orribile difetto, in quanto l’indelicatezza era a tutti conosciuta come un suo personale marchio di fabbrica. Nemmeno in quel caso riuscì a mentire, ma si sforzò di essere positivo.
 
-Ancora no, ma sono sicuro che sono nascosti da qualche parte. I tuoi sono una forza della natura, non si farebbero mica fermare da un paio di Sentinelle. –
 
Jack annuì sebbene con poca convinzione e Sonne gli scompigliò delicatamente la chioma bionda, prima di tirarlo al proprio fianco per una spalla.
 
- Rendiamo grazie ai bagni e a chi li ha inventati! -
 
Oleander era tornata dalla sua passeggiata ai bagni e l’espressione gioiosa che le dipingeva il volto indicava quanto ne fosse entusiasta. Era seguita da Mångata, i capelli lunghi a saltellarle sulla schiena ad ogni passo e le braccia occupate dal trattenere una lunga serie di cianfrusaglie. La più giovane guardò Oleander di sottecchi, decisamente infastidita dall’essere stata utilizzata come porta borse.
 
- Bene, ora che hai espletato i tuoi bisogni… facci un po’ vedere cosa hai depredato, sono curioso. – Sonne ripose momentaneamente la bacchetta nella tasca interna della sua giacca nera, così si sfregò le mani per prepararsi ad analizzare il bottino dell’amica.
Sophie, detta Mångata, si schiarì la voce, poi cominciò l’elenco di ciò che le era stato smollato: - Abbiamo un paio di stivali misura 42, un po’ consumati, ma tutto sommato ancora utilizzabili. Poi una… cosa sarebbe questa? – Chiese inarcando di molto un sopracciglio in direzione di Oleander; quest’ultima rispose – Ma è un poncho! Non vedi? E poi il pezzo forte! – Oleander sfilò dalle braccia di Mångata un fodero; da esso estrasse un corto pugnale a lama larga, con la dentatura pronunciata ancora sporca di sangue.  Sonne lo studiò con attenzione, poi afferrò il viso di Oleander e le stampò un bacio sulla guancia: - Bravo il mio sciacallo. Ora scusami ma devo andare a riporre la bacchetta. Mångata, pensi tu a Jack?-
 
La giovane, una volta restituito a Oleander quanto quest’ultima aveva riportato dalla missione, sorrise a Jack, mise le mani sulle ginocchia e si chinò per raggiungere la sua altezza: - Certo che si, abbiamo una lezione di lancio dei coltelli da recuperare, giusto ragazzino? –
 
Con quella frase, Mångata era riuscita a dissipare il cielo scuro nella mente di Jack: - Solo io e te? –
 
- Certo, solo io e te! Forza, andiamo. -
 
Sonne lanciò un’occhiata a Mångata e questa gli strizzò l’occhio, prima di farsi trascinare da Jack in una delle sale d’addestramento. Il ragazzo a quel punto si rivolse ad Oleander, già intenta a ripulire la lama del coltello: - Vieni con me? Vorrei provare questa bacchetta, ma voglio farlo in tutta sicurezza, magari uno dei tuoi cloni potrebbe essermi utile per il test. –
 
- Agli ordini capo. -
 
 
La Corte, residenza di Nadia
 
Eretto nella sua postura militaresca, con le mani rigidamente allacciate dietro la schiena, Ajax attendeva sotto il porticato della residenza di Nadia. Lo sguardo accigliato osservava il cielo cupo che copriva la Corte come un manto; detestava la luce grigiastra che rendeva l’atmosfera fastidiosa, avrebbe di gran lunga preferito un acquazzone a quella via di mezzo. La questione atmosferica era comunque l’unico elemento ad infastidirlo, in quel momento. Ajax adorava quando Nadia lo chiamava personalmente, per assolvere chissà quale compito; lo faceva sentire speciale e importante e in qualche modo, quando accadeva, sentiva che la Governatrice gli desse l’importanza che meritava. Le dita presero a giocare distrattamente con l’aureola del fucile d’assalto allacciato dietro la schiena, ricalcandone il contorno con spensieratezza.
Nel sentire una risata gentile e melodiosa avvicinarsi a lui, Ajax roteò il corpo verso il portone e se possibile drizzò ancor di più la schiena, in attesa.
 
- Ti assicuro, mia cara, che quest’anno la festa del raccolto sarà ancor più spettacolare dell’anno precedente, vedrai! Con il tuo aiuto, sono sicura che andrà tutto a gonfie vele! -
 
Ajax fissò il legno dell’uscio aprirsi per lasciare spazio alla figura di Nadia, affiancata da quella che, fra le Sentinelle, era ritenuta fra tutti l’ombra della Governatrice. Quest’ultima accennava un sorriso tirato, ma non disse una parola fin quando non incrociò lo sguardo con lui.
 
- Ajax. – Alida si limitò a pronunciare il suo nome e chinare appena il capo in segno di saluto, facendo smuovere appena il suo caschetto pallido, mentre Nadia si mostrò decisamente più calorosa.
 
- Ragazzo mio, puntuale come sempre! – La donna strinse una spalla di Ajax e quest’ultimo, appena rosso in volto, prima portò il pugno al cuore e si inchinò, poi disse: - Sono al tuo servizio. -
 
Ci aveva messo una vita per decidersi a dare del tu a Nadia e solo e soltanto in quanto la Governatrice aveva insistito ogni volta che si erano incontrati. Nonostante questo gli risultava ancora meccanico rivolgersi a lei con quella che riteneva essere una confidenza inaccettabile, ma mai avrebbe contravvenuto al suo volere.
 
- Tu non sei al mio servizio, ma al servizio del mondo e noi tutti te ne siamo molto grati. -
 
Ajax abbozzò un sorriso colmo d’orgoglio, sorriso che venne spezzato da Alida. La ragazza strinse le mani dietro la schiena e si allungò a sussurrare qualcosa a Nadia, la quale annuì e la ringraziò.
 
- Mi è appena stato ricordato che dobbiamo tenerci pronti. Pare che il nostro ospite sia arrivato da poco e si stia dirigendo qui. -
 
Dopo qualche minuto, i tre udirono un inconfondibile rumore di zoccoli calpestare la strada che portava alla residenza di Nadia. All’orizzonte, intravidero due cavalli avvicinarsi con andatura sostenuta. Fu quando questi furono sufficientemente vicini, che Nadia alzò una mano per salutare con calore, mentre si incamminava verso le due persone che rallentavano il passo. Ajax lanciò uno sguardo ad Alida, ma la ragazza manteneva gli occhi puntati sulla Governatrice. Quando i cavalli si arrestarono completamente, le due Sentinelle videro smontare da uno di essi un’anziana Sentinella in via di pensionamento, dall’altro un ragazzo vestito in maniera abbastanza inusuale: il nero della sua tenuta contrastava con il sorriso solare che mostrò nei confronti di Nadia.
 
- Spero che il viaggio non si sia rivelato troppo faticoso. Avete incontrato dei Ladri, lungo la via per la Corte? -
 
Saliman, la Sentinella, scosse il capo mentre si massaggiava i lombi: - Sono troppo vecchia per queste cose comunque… ho bisogno di farmi un bagno caldo dopo questa scorrazzata in mezzo al nulla. –
 
Alida ispezionò il ragazzo che al contrario, sembrava fresco come una rosa, nonostante fosse consapevole che il suo viaggio fosse stato molto più lungo di quello di Saliman. Quello si limitò a stiracchiarsi, prima di spendersi in un profondo inchino dinanzi alla Governatrice.
 
- L’ultima volta che ti ho visto non eri che un bambino, mentre adesso sei proprio un uomo! – Così Nadia si voltò verso Alida e le fece cenno di avvicinarsi: - Come ti avevo accennato lui è Ryurik… viene dalle tue stesse terre, così ho pensato che potresti intercedere a livello linguistico con i tuoi colleghi, nel caso dovesse riscontrare qualche problema; abbiamo già avuto la prova, in passato, che non tutti hanno con l’inglese la giusta confidenza. -
 
- Ti ringrazio per la premura, ma oramai parlo bene la tua lingua. – Effettivamente la voce sicura di quel ragazzo presentava giusto l’inflessione degli ex territori russi. Nel sentirlo parlare, Nadia sorrise mentre con una mano pizzicava affettuosamente la guancia scavata del giovane.
 
- Sal, ti sei meritata tutto il riposo di cui hai bisogno, va pure. – Poi, si rivolse ad Ajax e Alida: -Ryurik è il figlio di una mia grande amica, nonché governatrice delle Fredde Terre; rimarrà con noi e prenderà servizio come Sentinella. Tua madre mi ha scritto tessendo le tue qualità, caro. -
 
- Mia madre tende a esagerare, specialmente quando parla di me. – Ryurik alzò le spalle, facendo ridere Nadia, la quale poi si rivolse ad Ajax: - Fai in modo che Ryurik sistemi le sue cose, poi mostragli la Corte. Ci avrebbe pensato Jude, ma Etienne ha richiesto la sua presenza. In quanto a te- Nadia si rivolse ad Alida – A questo punto pare che il tuo nuovo collega non abbia alcun bisogno di aiuto, quindi possiamo tornare all’organizzazione della festa del raccolto. -
 
- Si, Nadia. -
 
La Governatrice si scusò con Ryurik, informandolo che era invitato a cena nella sua residenza, ma che per il momento doveva tornare a lavorare. Si allontanò seguita da Alida; Ajax notò una lieve nota melanconica nel suo sguardo.
 
- Bene, ti condurrò in quella che sarà casa tua, poi potremmo iniziare a visitare la Corte da… -
 
- Per fare c’è sempre tempo – lo interruppe Ryurik, con un sorriso più che malandrino – è per l’ozio, ahimè , che non se ne ha mai abbastanza… ma io oggi sono intenzionato a dedicarmi alla pratica del… come si dice? Fannullaccio? -
 
- Fannullone? – Chiese retoricamente Ajax, alzando di molto un sopracciglio.
 
- Esatto! Mi piaci, uomo… sono sicuro andremo d’accordo io e te. Ora portami a questa casa: non vedo l’ora di crollare su un letto vero. -
 
 
Terre di nessuno
 
Quei due avevano passato la bellezza di cinque giorni a esplorare la zona ovest delle Terre di nessuno, nella speranza di poter ritrovare Ice e Nikko; l’ultima volta che la coppia era stata avvistata, difatti, si trovava proprio in quella parte di desolata maceria, poi i Ladri avevano perso totalmente loro notizie. Inutili i tentativi di mettersi in contatto con loro via radio: purtroppo non presagivano nulla di buono, per i genitori di Jack.
Andra si muoveva facendo attenzione a non compiere il benché minimo rumore, degna dello pseudonimo che aveva scelto per sé, una volta entrata a far parte dei Ladri: Dimma, la nebbia che sale all’improvviso e d’improvviso ti circonda, senza fare rumore. Vulkan, il suo compagno di squadra, era più che felice di averla come compagna di squadra per quella missione. Avevano da subito collaborato, trovandosi in accordo su ogni tipo di decisione; strano, visto le rigide personalità di entrambi, eppure per una qualche ragione oscura, i loro ingranaggi si incastravano bene.
Eppure, nonostante le capacità, il sangue freddo e la determinazione di entrambi, motivo per cui avevano scelto proprio loro due per cercare Ice e sua moglie, non avevano ottenuto il risultato sperato. Non restava loro che tornare al Quartier Generale trascinandosi sulle spalle le cattive notizie riguardanti i genitori di Jack.
Con passo appena claudicante, conseguenza di uno scontro inaspettato con un gruppo di ingenui rigattieri dei mercati che speravano di portarsi via tutto ciò che la coppia portava con sé, Dimma si avvicinò alla moto.
 
- Te la senti di guidare? – Chiese Vulkan dopo aver sputato a terra una buona dose di polvere. Da quante ore non si scambiavano qualche parola?
 
- Non sarà di certo la punta di un coltellino a fermarmi. Mi dispiace solo di non averglielo infilato in gola; non va bene, Vulkan. – La donna controllò che ci fosse sufficiente carburante nel serbatoio nascosto dalla sella, poi riprese a parlare – Ci siamo fatti prendere dalla stanchezza, così quel branco di idioti è riuscito a coglierci dalla sprovvista. Dobbiamo fare in modo che questa cosa non ricapiti, altrimenti rischiamo di rimetterci la vita. Non so te, ma io non ho nessuna intenzione di crepare per mano di un branco di rigattieri. -
 
Vulkan sistemò le sacche con i loro averi sulla piastra della moto, fissandole con delle corde consumate. Andra aveva ragione; avevano passato giorni a vagare, saccheggiare e scappare e avevano dormito davvero poco. I suoi sensi avevano cominciato a fare le bizze e lo avevano mandato in confusione, fino a non fargli rendere conto che stavano per essere assaliti.
 
- Devono ringraziare il loro Dio se sono riusciti a cavarsela con niente di più di qualche osso spezzato. – Masticò Vulkan, così mentre Dimma saliva in sella, lui spiegò una vecchia cartina, la fissò accigliato per qualche istante, poi la piegò e salì dietro la donna.
 
- Di là. – Disse, indicando un punto con la mano. Dimma annuì e senza aspettare che l’altro si agganciasse saldamente, accese la moto e dette gas, lasciando dietro di loro la scia della polvere rossastra che ricopriva l’intera zona.
 
- Non prendere la scorciatoia di destra! – Urlò Vulkan al suo orecchio, - Ho percepito un odore che non mi piace. C’è qualcuno lì e con ogni probabilità sono nemici! -
 
- Bene!- Gridò Dimma di rimando, proseguendo dritto, anziché infilarsi fra i gli scheletri dei palazzi che usavano come punto di riferimento per avvicinarsi a uno degli ingressi del Quartier Generale. – Ma sappi che se il tuo sesto senso fa cilecca, ti smollo e me ne torno da sola dagli altri! -
 
Era davvero strano. Durante quei cinque giorni trascorsi insieme, avevano parlato pochissimo, giusto lo stretto indispensabile e ora Vulkan e Dimma si ritrovavano ad affrontare quella che era, con ogni probabilità, il loro record di conversazione più lunga.
Urlata.
A cavallo di una moto.
Durante la via del ritorno di casa.
 
Terre di nessuno.
 
Aprire gli occhi fu un gesto violento e faticoso. Sentiva stilettate di puro dolore in ogni singola parte del suo corpo, faceva persino fatica a respirare, come se gli avessero piazzato un peso di notevoli dimensioni sul petto e lo avessero lasciato lì per ore. Quando finalmente riuscì a mettere un minimo a fuoco, Stafford fu costretto a strizzare di nuovo gli occhi, portare le mani a coprire lo stomaco e gemere di dolore.
 
- Dormito bene? – L’uomo che gli aveva appena assestato un calcio, si incurvò per osservarlo con attenzione, al suo fianco un'altra persona, un uomo più anziano e meno interessato del compagno.
Devono essere Sentinelle, pensò Staffy, tentando di capire se conoscesse uno dei due. Nel mentre cercava di mettere ordine ai propri pensieri. Cosa era successo? Perché si trovava malconcio, sdraiato in ciò che rimaneva di un negozio di ferramenta al dettaglio?
Mentre i due uomini lo rimettevano in piedi a forza, i ricordi riaffiorarono d’improvviso, andandosi ad ammassare con poco riguardo nella sua mente confusa. Era uscito in missione con sua moglie e con lei aveva trascorso due giorni a perlustrare la Terra di nessuno che circondava la Corte, per studiare le vie di uscita segnalate da Micah e da altri compagni ladri che, tempo addietro, avevano vissuto nella comune. Lui non faceva testo: dalla Corte era scappato dall’ingresso principale, senza guardarsi indietro nemmeno una volta.
Nessuno li aveva scoperti e, con Juliette, intrapresero il cammino per tornare al Quartier Generale e fare rapporto. Ma cosa diavolo era successo? Un’imboscata, forse? L’ultima cosa che ricordava, erano le grida di sua moglie e il suo vano tentativo di ribellarsi a coloro che lo trattenevano a fatica. Dovevano esserci andati giù pesanti con lui, perché aveva passato un tempo indefinito fra il sonno e la veglia.
 
- Dove…dov’è lei? -
 
- Per quel che ne sappiamo, ora sarà già arrivata alle Colonie più vicine. Si starà godendo il suo soggiorno! – La Sentinella rise di gusto; Stafford, di contro, sentì il petto accartocciarsi. Avevano portato via Juliette… l’avevano portata alle Colonie.
 
- Perché non… non avete mandato… anche me… -
 
La Sentinella più anziana, l’uomo che fino a quel momento si era limitato a stare in silenzio, gli si posizionò davanti e lo fissò a lungo, prima di parlare: - Perché so chi sei, Rowley. Sono sicuro che Nadia avrà piacere di chiacchierare con te. Ora chiudi quella bocca, o ci penserò io a farti tacere. –
 
Fra i colpi di tosse e un umiliante silenzio, Stafford partì in direzione della Corte in compagnia delle due Sentinelle. Non lo preoccupava affatto ciò che gli sarebbe capitato, una volta arrivato in presenza di Jude, o peggio ancora di Nadia e Etienne; l’unico pensiero che gli martellava nella mente e lo faceva palpitare di preoccupazione era rivolto alla sua famiglia: Nikko, deportata nelle Colonie e suo figlio Jack, che con ogni probabilità non avrebbe mai più rivisto né sua madre, né suo padre.
 
 
 


Ed eccoci finalmente alle note. Buonasera a tutti, cari lettori. Finalmente ce l’ho fatta! Tra selezione avvenuta con lentezza inesorabile (sapete bene, cari furbetti, che buona parte delle schede mi è arrivata fra il 24 e il 25), lavoro e chi più ne ha più ne metta, riesco a pubblicare questo capitolo solo oggi. Capitolo che non è particolarmente corposo, ma che spero abbia dato una vaga idea di tutti i personaggi che parteciperanno a questa storia. Ora, buona parte di voi mi conosce e sa che sono sempre particolarmente logorroica nel mio angoletto autrice, ma non posso esimermi dal condividere con voi una serie di pensieri e considerazioni: prometto che prossimamente mi risparmierò in parole.
 
Prima di tutto ringrazio tutti coloro che hanno tentato la selezione e che mi hanno inviato le loro schede. Chi ha già partecipato ad altre mie storie, coautorate o meno, sa che io non riesco a gestire molti personaggi. Ho fatto il possibile per prendere il maggior numero e mi spiace per gli oc che ho dovuto lasciare fuori; ammetto che su alcuni sono stata molto in dubbio fino all’ultimo, mentre purtroppo non ho ritenuto altri adatti a questa storia; sarò ben lieta di rispondervi in privato, qualora qualcuno volesse spiegazioni in merito. Inoltre mi sono ritrovata con un numero di ladri molto alto, a scapito delle sentinelle rare come le mosche bianche (specialmente le Sentinelle uomini), alcune delle quali, purtroppo, non le ho ritenute adatte. Ragion per cui sappiate che ho dovuto aggiungere una Sentinella uomo di mio pugno: quell’accidioso di Ryurik è figlio mio e spero che vi affezionerete a lui.
Ora veniamo alle note un tantino più dolenti. In questi giorni mi sono trovata in più di un’occasione, con alcune di voi, a pensare al funzionamento delle interattive e come esse abbiano i loro pro, ma anche i loro contro; fra i contro c’è, purtroppo, la latitanza di alcuni partecipanti. So di aver già inserito nel regolamento la famosa regola dei tre capitoli, ma ci tengo a spiegarmi meglio, in modo da non dover discutere con nessuno qualora (anche se mi auguro vivamente di no), dovesse accadere l’inevitabile. Ho deciso, dunque, che se non vi farete sentire  per due capitoli, al terzo non farò comparire il vostro personaggio e se l’assenza dovesse proseguire al quarto verrà eliminato. Come dico sempre l’interattiva è un gioco di scambi in cui se viene a mancare la collaborazione da parte vostra, perde inevitabilmente il proprio senso. Quindi fatevi vivi, fatemi sapere se sto trattando con dignità il vostro oc e cosa pensate della storia, rispondete alle mie domande; se disgraziatamente dovessi eliminare un vostro personaggio, contatterò gli autori di cui ho scartato gli oc e procederò a un ripescaggio, o in alternativa riaprirò le selezioni.
Ultima cosa: per coloro di cui ho preso un solo oc, sappiate che mi spiace, ma la mia scelta è stata ponderata; comunque i vostri altri personaggi potrebbero apparire come secondari di tanto in tanto, spero vi faccia piacere!
Detto ciò vi lascio con la lista degli oc selezionati che ho già parlato troppo(tanto lo so che prima di leggere il capitolo siete andati a sbirciare :P) e vi ricordo che mi trovate anche su instagram con il nome bri_efp: sappiate che lì pubblico stories inerenti l’interattiva, nonché varie foto di quello gnocco senza senso di Jude. Se vi va, aggiungetemi :)
 
Bri


 

 
SENTINELLE
 
Ajax Willow

Babbano
25 anni
Armi: Fucile d’assalto M4A1 – granate (normali, fumogene e accecanti)
Bisessuale
 
Alida

Strega
28 anni
Potere speciale: Chiaroveggenza
Armi: Naginata – due coltelli
Eterosessuale
 
 
Artemisia Strong

Strega
25 anni
Potere speciale: Ombra corporea
Armi: Lanciagranate – Pistola mitragliatrice
Eterosessuale/Demisessuale
 
Izzie Lee

Strega
25 anni
Potere speciale: Esplosione
Armi: Fucile d’assalto – Coltello con lama a scatto
Bisessuale
 
 
Lir Strong

Mago
30 anni
Potere speciale: Terrore diurno
Armi: Giavellotto – Spada Urumi
Eterosessuale
 
 
Ryurik Volkov

Mago
30 anni
Potere speciale: Empatia
Armi: Balestra con dardi in alluminio
Pansessuale
 
 
LADRI
 
 
Andra strong

Strega
Pseudonimo “Dimma” (nebbia in svedese)
33 anni
Armi: Fucile di precisione semiautomatico – Pistola SIG Sauer P226
Eterosessuale
 
Atlas Virgil Danforth Whitelaw

Mago
Pseudonimo “Leaf”
27 anni
Armi: Fucile modificato – coltello da caccia
Eterosessuale
 
Auden Welt

Mago
Pseudonimo “Chion” (neve in greco antico)
28 anni
Potere speciale: Orecchio assoluto
Armi: Carabina M4 – Hira shiruken
Eterosessuale
 
Claudia Iris Decour

Strega
Pseudonimo “Oleander”
28 anni
Potere speciale: Clonazione
Armi: baionetta – granate artigianali
Eterosessuale
 
 
Eleanor Blackwood

Strega
Pseudonimo “Yuki” (neve in giapponese)
28 anni
Potere speciale: Legilimens moderata
Armi: 2 pistole semiautomatiche Glock 18 – Stiletto d’argento
Eterosessuale
 
Malik Khuda

Babbano
Pseudonimo “Jabal” (montagna in arabo)
38 anni
Armi: Ascia – due glock 17
Eterosessuale
 
Nikolai Maxim Kschessinska

Magonò
Pseudonimo “Vulkan” (vulcano in russo)
35 anni
Potere speciale: Sensi sensibili
Armi: Fucile d’assalto Ak-203 o fucile di precisione Winchester 308 – coltello a scatto e filo strangolatore
Eterosessuale
 
 
Sophie Woodsworth

Strega
Pseudonimo “Mångata” (La scia luminosa della luna che si riflette sull’acqua in svedese)
21 anni
Potere speciale: Banshee vision
Armi: coltelli da lancio
Bisessuale
 
Stafford “Staffy” Hawk Rowley-Nysberg

Mago
Pseudonimo “Ice” o “Hawk”
38 anni
Potere speciale: Scudo mentale
Armi: Coltelli, pugnali - Sniper
Eterosessuale

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Capitolo 4
*** Les Revenants ***


CAPITOLO II
“Les Revenants”
 
Quartier Generale
Dojo grande
 
Chion e Mångata osservavano Sonne con occhi spalancati. Vedere la cassa piena di bacchette era sempre affascinante, nonostante non fosse di certo la prima volta.
Sonne agiva sempre con una certa ritualità, quando si trattava di dedicare il tempo a qualche ladro per insegnare loro ciò che sapeva sugli incantesimi: apriva la cassa con le bacchette presenti in quel momento al Quartier Generale, ne esaminava una a una, soppesandole, parlottando fra sé, poi decideva quale assegnare a chi gli stava dinanzi. Non che avesse alcun tipo di velleità come fabbricante di bacchette ma essendo, Micah, uno dei pochissimi a cui era stato insegnato ad usare la magia e che possedeva una bacchetta tutta sua, si era impegnato ad affinare la capacità di discernimento delle bacchette.
Quel giorno però sembrava più nervoso del solito e era chiaro ai due; le sopracciglia aggrottate rendevano lo sguardo chiaro particolarmente torvo e la bocca era tirata da un lato come fosse appesa ad un amo, a creare una smorfia bizzarra e fastidiosa. Fu Mångata a chiedergli cosa avesse, dopo aver allacciato i lunghi capelli in uno chignon improvvisato, per prepararsi all’allenamento.
 
- Ma niente, sono solo in pensiero per Liv. –
 
Chion e Mångata si lanciarono uno sguardo preoccupato; Sonne era solito chiamare i propri compagni con il loro vero nome solo e soltanto quando era molto preoccupato, o troppo ubriaco per farci caso. Ma essendo più che lucido in quel momento, i ragazzi giunsero alla medesima conclusione.
 
- È uscita da nemmeno un giorno, non devi preoccuparti. Sono sicuro che se la caverà. – Nel parlare di Ame, Chion sistemò in automatico le cuffie antirumore che la strega gli aveva regalato qualche giorno prima.
 
- Perché deve essere sempre così avventata? Poteva chiedere a qualcuno di accompagnarla, sarei potuto andare con lei. Invece continua a fare di testa sua. Fra l’altro lasciandomi questi ridicoli cosi, pensando che siano il modo giusto per avvisarmi! – Sonne affondò una mano nella tasca, estrasse un foglietto spiegazzato che mostrò ai due. Entrambi dovettero impegnarsi per trattenere una risata, davanti alla vista di un’orribile caricatura di Ame con allegato un fumetto che diceva “Vado a fare quella cosa lì, torno preeeeesto!”
 
- Mi prende in giro! Lo fa sempre! – Sonne ricacciò il biglietto in fondo alla tasca e tornò ad afferrare le bacchette fra uno sbuffo e l’altro.
 
- Tieni, prova questa. – Il mago allungò una bacchetta particolarmente lunga a Chion, il quale prese a rigirarsela fra la mano con fare meditabondo, mentre un’altra bacchetta, dall’aria più flessibile, veniva data a Mångata.
 
- Non so quanto possano andare bene, quindi per non rischiare proviamo un incantesimo semplice. Ripetete con me: Wirgandium leviōsa.
 
I due pronunciarono l’incantesimo senza problemi, a quel punto Sonne pose dei fogli sul banco predisposto appositamente per farli esercitare. Estrasse la propria bacchetta, la puntò contro i fogli e pronunciò l’incantesimo lentamente, con un movimento di polso molto lento per rinfrescare la memoria ai due. Uno dei fogli cominciò a fluttuare con delicatezza verso l’alto.
 
- Bene, Chion prova te. -
 
Il ragazzo arrotolò le maniche della maglia fin sopra al gomito poi, quasi con timidezza, puntò i fogli con il legno.
 
- Wirgandium leviōsa. -
 
La pergamena vibrò appena, ma non si innalzò in volo. Tentò una seconda volta e poi una terza, prima che quella prendesse a librare pigramente, ma non staccandosi dalla base del tavolo che di una manciata di centimetri.
 
- Non va bene per te. Ne cerco un’altra. Intanto prova tu. – Disse a Mångata prima di infilare la testa nella cassa contenente le bacchette. La strega annuì e imitò il compagno; a differenza dell’incantesimo di Chion che sembrava non voler ingranare, appena pronunciato l’incantesimo tutti i fogli schizzarono sul soffitto e anche il tavolo di metallo si alzò di mezzo metro, poi tutto ricrollò a terra con un fracasso notevole, cosa che portò Chion a pigiare le cuffie contro le orecchie, nella speranza di accusare di meno il rumore. Invece Sonne non sembrò altrettanto scosso, si limitò a riemergere dalla sua ricerca con un altro paio di bacchette, che consegnò ai due.
 
- Senti… - Osò la giovane, portando le mani dietro la schiena e sporgendosi a dare un’occhiata alla cassa: - E se provassimo con delle bacchette che abbiamo recuperato noi stessi? Qualche tempo fa sono riuscita a trovarne una, ricordi? E se è vera quella storia che ci hai detto su cosa accade quando disarmi qualcuno… -
 
- Io non sono mai riuscito a recuperarne una. – Disse un po’ sconfitto Chion –L’unica volta che è successo, dalla fretta di scappare si è spezzata. – Chion quasi affondò il capo nelle spalle dalla vergogna a ricordare il brutto episodio, così Mångata prese a dargli dei lievi colpetti sulla schiena. – Eri troppo in alto, hai perso l’equilibrio e hai dovuto pensare a salvarti la vita; sarebbe stato idiota buttarti insieme alla bacchetta solo per tentare di recuperarla, no? -
 
Intanto Sonne aveva sistemato di nuovo il tavolo e dopo un’occhiata soddisfatta, tornò a guardare i due compagni con le mani sui fianchi magri: - Hai avuto una buona intuizione piccoletta, se la ricordi vai a recuperare la bacchetta che hai trafugato, sempre che sia ancora qui. Quanto a te, prova con l’altra. –
 
Ad Auden non piaceva molto fare incantesimi; in tutta la sua vita prima di arrivare alla Corte si era sempre occupato di tutto utilizzando solo e soltanto l’ingegno e le proprie mani. Per altro la persona che aveva reputato in passato come l’unica famiglia che possedesse era una babbana e questo non aveva fatto che diminuire il valore che dava alla magia stessa.
Al pensiero di Saskia, Auden grattò in automatico la stella a quattro punte tatuata sotto la clavicola sinistra, ma una volta scacciato a forza la sua immagine dalla testa fece quanto detto da Sonne; l’incantesimo questa volta riuscì, seppur non propriamente in maniera eccellente.
 
- Bene. – Sonne afferrò un quaderno sgualcito e su esso appuntò il nome di Chion e la bacchetta che aveva utilizzato.
 
- Ah-ah! Trovata! – Presa dall’entusiasmo, Mångata cominciò ad agitare la bacchetta con eccitazione, arrestandosi solo dopo un urlaccio da parte di Sonne, visto che dalla punta del legno, a ogni movimento di lei, partivano scintille rosse dall’aspetto decisamente inquietante. Era evidente, a Sonne, che la bacchetta non l’avesse riconosciuta.
 
*
 
Una pioggia incessante si era scatenata all’improvviso, prendendo Ame alla sprovvista. Se da un lato non era propriamente gradevole inzupparsi per chilometri e chilometri, d’altro canto la ragazza era ben consapevole che quel temporale avrebbe giocato a suo favore; difatti se normalmente incontrarsi con Serena era abbastanza difficile, in quanto gli incontri dovevano avvenire di giorno perché di notte i confini della Corte erano molto più controllati, con quelle intemperie le Sentinelle tendevano ad abbassare la guardia, non gradendo nemmeno loro di essere sottoposti all’ostilità dei temporali.
Al solito l’incontro era stato fugace: Serena le aveva sorriso, era riuscita a strapparle un abbraccio e le aveva consegnato un biglietto, ma Ame non si era nemmeno tolta la maschera antigas; era intenzionata a tornare al Quartier Generale quanto prima e per farlo aveva preso quello scassone di decappottabile che tanto amava Andra e che aveva abbandonato a qualche centinaia di metri dal luogo dell’incontro con Serena.
Quello che aveva letto nel biglietto, una volta infilatasi in auto, le aveva fatto sgranare gli occhi e sputare una parolaccia colorita.
Una volta imboccato uno degli ingressi più vicini, aveva cominciato a correre, non dando la minima spiegazione a Roxana, che si trovava di guardia e che l’aveva supplicata di restare per fare una partita a carte.
 
- La prossima volta, Rox! Ora devo correre, altrimenti questa volta Sonne mi fa il culo! -
 
La donna dalle curve abbondanti scosse il capo nel sentire il linguaggio di Ame, ma era così abituata che evitò di ammonirla per l’ennesima volta, conscia del fatto che la ragazza l’avrebbe, come sempre, ignorata.
 
- Ma quanto è lungo questo maledetto ingresso… cos’è quella, una nidiata di ratti? Devo ricordarmi di dire a Skög di mandare qualcuno a disinfestarlo… -
 
La corsa ebbe finalmente fine. Giunta nella grande sala centrale, Ame sfilò la giacca e consegnò le armi ai ragazzi che avevano il compito di riporle con riguardo, così prese a cercare Micah con lo sguardo.
 
- Ehi! Sai mica dov’è Sonne? – Chiese a Greg, il ragazzo allampanato che aveva preso il suo mitra.
 
- Se… Ma te lo dico solo se ti decidi a concedermi un appuntamento. L’ultima volta mi hai dato buca! Me lo ricordo, sai? -
 
- Senti Greg… io ho provato ad essere delicata e comprensiva, ma forse ti sei dimenticato che hai sedici anni, porca Nadia! Ti consiglio di smetterla di chiedermelo, faresti un favore a entrambi. -
 
Greg borbottò qualcosa d’un tratto tutto rosso in viso, mentre l’amico al suo fianco sghignazzava e lo prendeva in giro. Dopo averlo rimbrottato –e senza guardare Ame negli occhi- borbottò che Sonne si trovava nel dojo(1) grande.
Ame riprese a correre e se non fosse stata afferrata al volo per le spalle, probabilmente avrebbe finito per investire qualcuno.
 
- Oh! Vulkan! Effettivamente cercavo anche te! -
 
L’uomo accennò un sorriso, seppur tirato, nell’osservare la ragazza. –Allora puoi smettere di correre come una pazza: sei appena rientrata? –
 
Ame annuì facendo ondeggiare il caschetto biondo, poi estrasse il biglietto spiegazzato dalla tasca e glielo mostrò: - Ho visto Serena, mi ha dato una notiziona. Vieni, sediamoci… non ne posso più di correre oggi! –
 
La Corte
Campo d’addestramento
 
La prova dei collari con il primo gruppo delle Sentinelle era stata un’esperienza che Jude non avrebbe mai più voluto ripetere; infatti, sebbene buona parte delle Sentinelle con poteri speciali non aveva osato dimostrare alcun tipo di perplessità, qualche testa calda si era comunque fatta sentire e Jude aveva dovuto assumersi l’ingrato e spiacevole compito di rimetterli al loro posto. Persino Lir era parso alquanto perplesso, anche se appena aveva percepito i primi lamenti, non aveva esitato ad appoggiare Jude e aiutarlo a freddare gli spiriti indomiti.
Memore del giorno precedente, Jude era arrivato all’incontro con le restanti Sentinelle con indosso il proprio collare sebbene lui, ovviamente, fosse esentato dall’indossarlo. Quella era risultata una buona mossa, in quanto i presenti si erano mostrati meno riluttanti dall’indossare quei collari. Il capo delle Sentinelle aveva spiegato, per la seconda volta, che per volontà di Nadia quando le Sentinelle si trovavano all’interno della Corte, erano obbligate a indossare gli inibitori dei poteri. “Tutti sono uguali nella mia terra e nessuno deve provare timore nell’interagire con chi presta l’onorevole servizio di servire la Corte”, aveva spiegato la Governatrice a Jude, o almeno aveva specificato che avrebbe dovuto riferire quelle parole alle Sentinelle. E così lui aveva fatto. Il problema era stato che mentre Nadia era venerata, di Jude avevano paura. L’uomo si era dovuto sforzare per non esplodere e per quel motivo, al secondo incontro, aveva deciso di agire diversamente e di mostrarsi da subito più umile, per quanto difficile gli riuscisse.
Il risultato era stato abbastanza buono, visto e considerato che non aveva dovuto puntare la pistola sulla fronte di nessuno. In quel momento era rimasto a sistemare il trambusto fatto dalle Sentinelle che avevano testato i loro collari, solo in compagnia di Ryurik e Izzie.
Jude osservò con attenzione la dedizione che la ragazza impiegava nel sistemare tutto il sistemabile e non gli sfuggì di certo il motivo: Izzie cercava di evitare ad ogni costo il suo sguardo. Ryurik, d’altro canto, si toccava il proprio collare con estrema soddisfazione: all’interno del tubicino scorreva la pozione dello stesso rosso di quella di Jude.
 
- Allora Ryurik, mi sembra che tu stia cominciando ad ambientarti. Non ti spaventa usare il collare? -
 
Il ragazzo si stiracchiò per bene, prima di rivolgersi a Jude con un gran sorriso: - Questo posto è caldo, il sole splende e l’aria che si respira è buona; chiunque vuole andare via di qui è pazzo. – Ryurik sottolineò il suo pensiero picchiettando la tempia con l’indice, così continuò: - E poi amico, questi collari sono una cosa buona, ottima direi! –
 
Jude lo squadrò e a quel punto anche Izzie smise di fare quello che stava facendo e dette ascolto al mago dall’atipico vestiario e lo sguardo sornione.
 
- Vedi, moya mama(2)  è tanto fiera di questo mio potere, ma io non posso sopportare! -
 
- Spiegati meglio. -
 
Ryurik prese a massaggiare l’incavo del naso teatralmente: - Mi scoppia la testa. Tutti quei… come si dice? Sentiti?-
 
- Sentimenti?- Pigolò mestamente Izzie, che rigirava fra le mani un piatto di metallo.
 
- Ecco si, i sentimenti di altri sono quello che mi fa male! Hai idea di cosa vuole dire tutto il giorno sentire sentire sentire... provare tutte le cose che provano altri vicino a te? È terribile, noioso e fastidioso! -
 
Jude accese una sigaretta, poi tornò a puntare gli occhi chiari in quelli di Ryurik: - Però è effettivamente molto utile… dimmi Ryurik, puoi percepire cosa provano le persone strettamente vicine a te? –
 
- Vicine, meno vicine… forse cento metri, si. Ma con questo io non ho più problemi!- Il mago toccò nuovamente il collare con sul viso un’espressione rilassata, poi lanciò uno sguardo a Izzie: - Ad esempio tu! Tutto il tempo prima di dimostrazione stavi lì a provare paura e ansia… io non potevo sopportare! Mi chiedo perché le persone si agitano così. -
 
Sentendosi chiamata in causa e con lo sguardo di entrambi puntato contro, Izzie provò il desiderio di scomparire dalla faccia della terra. Cominciò quindi a tartagliare scuse: - Ma io veramente… non era proprio paura, ero solo agitata per questa storia degli inibitori e… -
 
Ryurik roteò gli occhi al cielo: - Come no! Era proprio paura, invece! Io su questo non posso sbagliare, purtroppo. Comunque se non c’è altro io vado a fare una passeggiata. – Ryurik indicò un punto lontano: - Lì c’è bosco mi pare, non è vero? –
 
Jude sputò il fumo e annuì, un’espressione divertita gli colorì il bel volto: - Si… può accompagnarti Izzie, non è vero? –
 
La ragazza continuò a rigirare con maggiore nervosismo quel piatto metallico fra le dita, mentre Ryurik alzava le spalle e affermava che, con quel collare addosso non aveva alcun tipo di problema. Di contro Izzie non sembrava molto entusiasta dell’ordine impartito da Jude, celato da domanda innocente. Un rumore di zoccoli distrasse i tre e portarono a puntare l’attenzione sulla Sentinella che si stava avvicinando a loro. La ragazza scese da cavallo e corse verso di loro, fermandosi poi davanti a Jude. Portò un pugno chiuso al cuore e si inchinò appena.
 
- Sono stata mandata a informarti che è arrivato un prigioniero… vogliono che sia tu a interrogarlo. -
 
- Grazie Saskia, arrivo subito. Quanto a voi due siete liberi di andare. A più tardi. -
 
Izzie e Ryurik seguirono con lo sguardo Jude e la Sentinella allontanarsi.
 
- C’è sempre tanto movimento in questo posto, nono è vero? -
 
- Purtroppo si. – Sospirò Izzie, prima di fare strada all’altro verso la via che li avrebbe condotti al bosco.
 
Quartier Generale
Studio ingegneristico
 
Yuki stava pulendo con ossessione le superfici libere dalla cancelleria utilizzata da Jabal per lavorare sui propri progetti; venne però richiamata dalla voce profonda, così si avvicinò al tavolo da lavoro per esaminare con scrupolo il suo lavoro. Jabal, squadra e matita in mano, stava disegnando su una grande carta da lavoro tecnico.
 
- Vedi, possiamo fare in modo che questa zona, accanto ai dormitori, possa essere allargata. Dalle perlustrazioni precedenti sono abbastanza certo che il terreno copra una cavità che potrebbe essere molto utile al nostro scopo. -
 
Yuki annuì e si sporse un po’, per osservare il punto indicato da Jabal. – Pensi che riusciremmo ad allargarci a sufficienza? Di quanti metri quadri potremmo disporre secondo te? –
 
L’uomo scosse il capo: - Fin quando non partiamo con gli scavi non possiamo saperlo con certezza, ma stando agli esami preliminari, dovremmo riuscire a strappare una quarantina di metri quadri, il che vorrebbe dire almeno due stanze familiari. -
 
 - E credi che sia sicuro continuare a far dormire la gente nei dormitori in caso? -
 
Jabal sistemò gli occhiali, che usava sempre quando doveva lavorare o leggere, poi incrociò le braccia e scosse il capo: - No, non credo. Per l’intero periodo dei lavori saremo costretti a spostare gli altri nella Sala Grande. –
 
Yuki rabbrividì all’idea del caos e la sporcizia che si sarebbe accumulata durante il periodo dei lavori, ma valutò fra sé che era necessario lavorare per migliorare il Quartier Generale.
 
-È permesso? –
 
Un lieve bussare alla porta, così Dimma entrò nello studio di Jabal. I due notarono che la donna zoppicava un po’.
 
- Ben tornata! – Disse con entusiasmo Yuki.
 
- Grazie… se avete un momento avrei bisogno di una mano. – Dimma mostrò loro una boccetta di vetro colorato contenente un liquido pastoso. – Io l’ho detto di stare bene, ma non mi hanno voluto dare ascolto. – La strega  vestita di un paio di calzoncini aderenti, aveva una gamba stretta in una fasciatura. Si avvicinò al tavolo dove si trovavano i due, e chiese a Yuki di darle una mano a cospargere l’unguento sulla gamba tumefatta.
 
- Beh… non mi sembra che tu sia messa troppo bene. – Accennò Jabal, prima di tornare con lo sguardo sul suo progetto. -
 
- Vorrei poterlo contraddire, ma effettivamente questa fasciatura fa schifo, sfilala, su. -
 
La donna sbuffò con sonorità, asserendo di essere la più competente in materia e che forse avrebbero dovuto smetterla di mettere in discussione il suo giudizio. Tolta la fasciatura, effettivamente Yuki si rese conto che la situazione non fosse particolarmente tragica.
 
- Te l’ho detto, non sono un’incosciente. Bisogna solo mettere l’unguento e passerà tutto in un paio di giorni. -
 
Dimma fece piombare il piede sulla scrivania con una smorfia di dolore sul viso, mentre Yuki si premurava di allontanare la fasciatura, che la donna aveva abbandonato a terra, con un piede. Mentre le spalmava l’unguento che la stessa Dimma aveva preparato, le due cominciarono a parlare di come fosse andata la loro missione, tentando di coinvolgere Jabal. Il babbano si limitava ad annuire, totalmente assorbito dai penosi calcoli tecnici che stava tentando di fare, nonostante tutto quel chiacchierare da parte delle due.
 
- Bene, non ci resta che fasciarla, vado a prendere delle nuove bende. -
 
La bionda sgattaiolò fuori dallo studio. Dimma, la gamba ancora tesa con l’anfibio a poggiare sulla scrivania, incrociò le braccia e lanciò uno sguardo a Jabal.
 
- Che stai combinando? -
 
- Sto cercando di capire come allargare lo spazio oltre i dormitori di destra, senza rischiare di far crollare tutto il Quartier Generale. Inoltre voglio creare un nuovo bocchettone per far arrivare aria pulita; in questo punto qui, - disse, picchiettando la carta con la matita, - vi lamentate che ci sia carenza di ossigeno. -
 
- In mezzo a tutto il tuo progettare, non è che puoi inserire una rinfrescata all’infermeria? Se poi riuscissi anche a trovarmi un valido assistente, te ne sarei grata. -
 
Nel sentire quelle parole Jabal tirò su un angolo della bocca e alzò lo sguardo sulla bella donna che aveva davanti: - Che c’è, vuoi dirmi che non ti basto più io? –
 
- Diciamo che le tue sono manine delicate solo quando hai a che fare con quelle tue carte lì… senza offesa, ma sei pessimo con ago e filo. -
 
Jabal liberò una risata profonda e al contempo alzò le mani: - Ho capito, cercherò di aiutarti a migliorare l’infermeria e intanto ti libererò dalla mia presenza. –
 
- Non sei tu il problema, è la tua… poca delicatezza. Converrai con me che per essere un buon infermiere bisogna avere un tocco delicato. -
 
Yuki rientrò con le bende pulite, con cui prese a fasciare la gamba di Dimma; quest’ultima indicò Yuki: - capisci cosa intendo? –
 
- Senti Dimma… immagino nessuna notizia di Nikko e Ice, altrimenti ce lo avresti detto. -
 
Dimma non era abituata a sorridere e quella con Jabal era la dimostrazione di uno dei rari scambi di spensierata ironia che la vedevano protagonista; purtroppo le parole di Yuki la riportarono alla realtà e la obbligarono a scuotere il capo in segno di diniego.
 
- Nessuna, sembrano scomparsi nel nulla. A un certo punto abbiamo creduto di aver individuato un movimento sospetto nella zona ovest, ma poi niente più. Tenteremo ancora nei prossimi giorni, sperando di tornare con qualche notizia positiva. -
 
Jabal e Yuki annuirono all’unisono, gli sguardi assorti e la mente dedicata alla coppia di coniugi; delle parole arrivarono in maniera sottile nella testa di Yuki, che sistemata la fasciatura di Dimma, la guardò senza aggiungere nulla. Aveva percepito il suo pensiero inespresso e la conclusione non le era piaciuta un granché: Dimma era convinta che non ci fosse molto da fare per i genitori di Jack.
 
La Corte
Cella della Magione di contenimento
 
Quanto tempo era che Stafford non metteva piede alla Corte? Non sapeva dirlo con precisione. La cosa certa era che avrebbe sperato di farlo in un altro modo e non trascinato lì da due Sentinelle mentre sua moglie, con ogni probabilità, era già alle Colonie. Appena aveva oltrepassato la cancellata principale, quei due lo avevano affidato ad altre due Sentinelle di guardia alla torre sud. Staffy non le aveva mai viste prima; essendo entrambi abbastanza giovani sospettò che non fossero cresciuti alla Corte, altrimenti li avrebbe riconosciuti.
Comunque tirò un sospiro di sollievo quando si rese conto che nessuno dei suoi familiari era lì per “accoglierlo”: né suo padre Konstantin – probabilmente ormai in pensione-, né Selina e Stieg, i suoi fratelli.
Quei due, che aveva inteso chiamarsi Lir e Artemisia, lo avevano studiato con attenzione; mentre Lir gli aveva subito posto una serie di domande per capire da dove provenisse, la ragazza era rimasta in silenzio, limitandosi a squadrarlo minuziosamente. Giunti in prossimità di quella che ricordava essere l’edificio di contenimento di chi veniva portato alla Corte, Artemisia si era sporta a sussurrare qualcosa all’altro, sul viso un’espressione di delicata preoccupazione che Stafford aveva colto senza sforzo.
Così fu scortato nel seminterrato della grande magione e chiuso in una cella di modeste dimensioni, adornata solo da una branda e una coperta muffita e illuminata da una finestrella chiusa da sbarre posta molto in alto. Stafford aveva un occhio mezzo chiuso, merito il piacevole regalo inferto dalle Sentinelle che lo avevano portato fino alla Corte, ma nonostante questo non ebbe difficoltà a notare che quei due ragazzi indossavano delle collane tubolari. La cosa gli mise i brividi, ma sarebbe stato molto sciocco aprire bocca per fare qualsiasi tipo di domanda, ragion per cui tacque.
 
- Ritieniti fortunato, stai pur certo che avremmo trovato il modo di farti parlare. - Disse il ragazzo a denti stretti. Stafford non capì che cosa volesse dire.
 
- Forza, andiamo. – La ragazza allungò una mano per tirare appena il gomito del compagno, così i due uscirono lasciandolo solo.
 
Era in condizioni pietose; si sentiva sporco, dolorante e molto stanco, eppure la testa era piena di preoccupazioni che non lo lasciavano in piace: pensava a sua moglie mentre lo stomaco si stringeva in una morsa dolorosa; pensava a Jack e a quanto dovesse essere preoccupato il suo unico figlio, di non vedere i genitori tornare. Fortunatamente, a differenza sua, non c’era ladro al Quartier Generale che non amasse suo figlio quanto lui stesso lo amava, ragion per cui si tranquillizzò all’istante, realizzando che avrebbero fatto in modo di proteggerlo e di non farlo sentire solo. C’era Skog, ma ancor più c’era Micah e Stafford poteva mettere la mano sul fuoco che il ragazzo avrebbe fatto di tutto per tutelare Jack.
Barcollò verso la branda e crollò su di essa, assalito da una stanchezza atavica, alla quale non riuscì in alcun modo a opporsi, così crollò in un sonno senza sogni.
 
 
- Tutto avrei pensato, tranne che rivederti vivo. -
 
Stafford non si era reso conto di essersi addormentato, tantomeno che qualcuno fosse entrato nella sua cella. Non avrebbe avuto nemmeno bisogno di aprire gli occhi: gli era bastata la voce, per riconoscere Jude.
Si mise faticosamente a sedere e alzò lo sguardo ancora appannato dal sonno, per incrociare i suoi occhi; il capo delle Sentinelle teneva le mani nelle tasche di un completo elegante, la giacca slacciata a lasciar intravedere gli straccali di un cupo rosso abbracciare la camicia.
 
- Dove avete mandato Juliette? -
 
Jude alzò un angolo della bocca: - Che c’è, avrai mica dimenticato l’educazione, Staffy? Non si saluta un vecchio amico? –
 
- Nonostante siano passati molti anni, non credevo di dover fare questi giochetti con te. Mi conosci bene Jude. -
 
Il capo delle Sentinelle scosse il capo, mentre il sorriso si allargava sul volto, apparendo fra la barba corta e ben curata: - Certo, eppure sono passati così tanti anni che speravo almeno in un cenno di saluto, un come vanno le cose, sai… quelle frasi di circostanza che si dicono quando incontri qualcuno a cui eri legato. –
 
Stafford non rispose; sfregò gli occhi col pollice e l’indice della mano destra, nel tentativo di mettere in ordine le idee, mentre Jude continuava a guardarlo dall’alto. Dopo un lungo silenzio, il più giovane allungò una mano e gli strinse appena la spalla, attirando così l’attenzione dell’uomo che tornò a guardarlo.
 
- So che il mio potere non ha alcun effetto su di te, ma fidati che non mi servirà questo per farti parlare. Detto questo, in onore dei bei vecchi tempi ormai andati, penso che non avviserò i miei nonni della tua presenza qui, non per ora, così avrai tutto il tempo di riposarti, rimetterti e pensare a quali risposte darmi, prima che Etienne decida di farti aprire la pancia come un capretto nel giorno di Pasqua. Che ne dici? -
 
Stafford strinse le labbra; conosceva molto bene Jude e sapeva che non stava affatto scherzando. Annuì, così il più giovane gli dette un buffetto sulla guancia.
 
- Bene, vedo che ci siamo capiti. Ho già informato le Sentinelle che ti hanno trovato di tenere chiusa la bocca, in modo che nemmeno la tua cara famiglia sappia niente di questa tua improvvisata. Ora riposati, credo tu ne abbia bisogno. -
 
Jude uscì dalla sua cella senza aggiungere altro e solo allora Stafford tirò il fiato. Passò le mani fra i capelli sporchi e ragionò; non gli sarebbe importato di morire, ma mai e poi mai avrebbe permesso che la vita di suo figlio fosse messa in pericolo, quindi con ogni probabilità si sarebbe fatto torturare fino alla morte, pur di tutelare Jack e di conseguenza il Quartier Generale.
 
Quartier Generale
 
Atlas, conosciuto a tutti i ladri come Leaf – talvolta appellato Leaf il temerario- non poteva essere più imbronciato di così. Se ne stava lì, con una mano a sostenere il mento come se la sua testa pesasse quanto un enorme macigno e osservava la donna seduta davanti a lui con assoluto disinteresse. Non sopportava l’idea di essere stato messo in punizione da Sonne e la cosa peggiore era stata la complicità della sua Angelica la quale, una volta rientrati in estremo ritardo al Quartier Generale, si era premurata di dire al mago che la colpa di tutto quel ritardo era stata del suo ragazzo, che aveva fatto di tutto pur di perdere tempo in giro.
Quindi Sonne, il suo più caro amico, aveva pensato bene di tradirlo assegnandogli l’ingrato compito di occuparsi di Oleander e il suo piccolo problemino con le bugie.
La ragazza masticava con sciatteria una gomma e teneva le braccia incrociate, puntando gli occhi chiari in quelli di lui, sebbene questi fossero coperti dagli occhiali da sole. Al proprio fianco invece sedeva Skog, che si era offerto volontario per aiutare Leaf.
 
- Piantala di fare quella faccia. – Lo canzonò Skog, incrociando anche lui le braccia coperte di tatuaggi, mentre esponeva un sorrisetto beffardo – Lo sai benissimo che dobbiamo farlo tutti, a rotazione; eri sfuggito per troppo tempo a questa faccenda. -
 
- E poi vi chiedete come mai preferisco passare il mio tempo nelle Terre di nessuno?! – Rispose indispettito Leaf, aggrottando le sopracciglia, una delle quali compromessa da una spessa cicatrice.
 
- Ehi, voi due! Forse non ve ne siete resi conto, ma io sono qui e ci sento benissimo. Smettetela di parlare di me come di una zavorra! -
 
Leaf ignorò le rimostranze di Oleander, così tornò a fissarla fra il risentito e l’annoiato.
 
- Partiamo da una cosa semplice… è vero che sei stata nelle Colonie? -
 
La bionda strinse le labbra, poi tentò un poco convinto “no”. Appena però pronunciò quell’unica parolina, tirò uno starnuto che lanciò la gomma da masticare fra i capelli di Leaf. Il ragazzo rabbrividì, ma cercò di mantenere la calma, mentre Skog se la rideva di gusto; afferrò la gomma e la accartocciò in un foglietto di carta, poi prese un grande respiro e tornò a concentrarsi sulla ragazza.
 
- Va bene, forse non era così semplice come avevo sospettato. Passiamo a un’altra domanda. Vediamo… - il biondo rimuginò per un minuto buono, poi chiese: - I tuoi capelli sono davvero biondi? -
 
Le labbra di Oleander tremarono nuovamente; la strega chiuse gli occhi, cercando di trovare la forza di mentire, così li riaprì e rispose “si”. Questa volta si limitò a grattarsi il naso, ma parve essere riuscita a mentire senza starnutire. Colta dall’entusiasmo cominciò ad auto elogiarsi, assecondata da Skog che allungò una mano verso di lei per scambiarsi un sonoro cinque. Ma Leaf non era altrettanto entusiasta. Prese a tossire per attirare l’attenzione dei due e con voce incrinata dal disappunto disse: - Non mi sembra ci sia nulla di così entusiasmante. Ti rendi conto che se le Sentinelle ti beccano e ti interrogano, non puoi mentire senza starnutire in faccia a tutti? –
 
Il sorriso sul volto di Oleander si spense all’improvviso e a quel punto piantò le mani sul tavolo che li divideva e si sporse verso di lui: - E secondo te perché mi ritrovo a fare questo giochetto tutte le settimane? Pensi trovi divertente questa situazione, eh?! Sono anni che ci combatto e mi impegno per cambiare le cose, non farmi passare per sprovveduta! –
 
- Beh se ti gonfi solo per questo piccolo risultato direi che troppo c’è da lavorare. – La rimbeccò Leaf, con un sopracciglio inarcato. Prima che Oleander si sporgesse ulteriormente e prendesse il biondo per il collo, Skog decise di intervenire:
 
- Ok, ora calmiamoci. Non abbiamo tempo da perdere con baruffe alla babbana, come dite voi. Comunque… - Mentre Claudia tornava al proprio posto sbuffando come un treno a vapore, Skog lanciò un’occhiata al compagno seduto al suo fianco: - Ogni tanto potresti fartela una risata ragazzo, male non ti farebbe. -
 
Leaf assottigliò lo sguardo dietro gli occhiali da sole; stava per ribattere, quando un’idea gli illuminò la mente; idea che gli fece spuntare un sorrisetto malvagio sul viso.
 
- Senti un po’… - Tornò a rivolgersi a Oleander e incrociò le mani sulle ginocchia: - Gira una voce al Quartier Generale, una voce strana… e io avrei una domanda per te. -
 
Intenzionata a farsi valere, la piccola strega scosse con vigore i capelli biondi, così alzò il naso in segno di sfida: - Spara. –
 
- Ebbene, se insisti… è vero o no che ti sbatteresti Skog volentieri? -
 
Improvvisamente il silenzio si fece pesante, intanto che il volto di Claudia, occhi sgranati dallo stupore e bocca annaspante, assumeva toni del rosso non presenti in natura.
 
- Ma… ma… io… n… n… noeeeetciù! -
 
Skog si spalmò una mano sul viso, prima di mollare un destro sulla spalla di Leaf, il quale aveva cominciato a sghignazzare con soddisfazione. Quando a Oleander, beh, la ragazza cominciò a starnutire senza freno e le leggende narrano che nessuno sia ancora riuscito a porle un freno. 
 
La Corte
 
Erano stati giorni talmente densi, che Lir sentiva di non essersi riposato nemmeno un minuto da quando era tornato dalla sua missione. Prima era stato condannato ad assistere la Sentinella Izzie, dopodiché Etienne, giustamente, aveva richiesto la sua presenza; del resto era pur sempre la sua guardia del corpo. Finiti i compiti assegnatogli da Etienne era arrivato Jude, il quale lo aveva avvisato che avrebbe dovuto affiancarlo nell’incontro con un primo gruppo di Sentinelle e Lir si era trovato, totalmente impreparato (e Jude questa gliel’avrebbe pagata cara), ad affrontare una discreta folla di persone in piena crisi di nervi per la questione dei collari.
Come se non bastasse, quella stessa mattina si era ritrovato, più morto che vivo viste le scarsissime ore di sonno, ad affiancare Artemisia in un turno di guardia decisamente bizzarro; difatti mentre se ne stavano relativamente tranquilli in cima alla torre sud, avevano fatto rientro due Sentinelle con un prigioniero molto particolare, che i due avevano dovuto scortare fino alla cella nella magione di contenimento.
In quel momento erano le sei di pomeriggio e Lir aveva in testa un solo unico obiettivo, ma di vitale importanza: tornare a casa, abbuffarsi quanto gli fosse concesso dal suo stomaco e abbandonarsi a un sano ristoro, possibilmente dormendo almeno una decina di ore.
Mentre attraversava il vialetto di casa fischiettando, Lir faceva rimbalzare le chiavi nella mano, pregustando la sua serata ideale. Certo, ci fosse stata una donna a scaldargli il letto, sarebbe stato decisamente meglio, ma per quella sera poteva accontentarsi della presenza della sua coinquilina con cui scambiare due parole, visto che si sentiva troppo stanco anche solo per pensare di approcciarsi fisicamente a chicchessia.
Ma qualcosa era andato storto e Lir se ne era reso conto non appena aveva aperto la porta di casa: che cos’era quel profumino che carezzava le sue narici come il profumo di peccaminose ninfe, disposte a tutto pur di sedurre i sensi dei comuni mortali?
Inizialmente Lir si limitò a chiudere la porta dietro di sé e socchiudere gli occhi, continuando per un po’ a bearsi di quell’odore, ma l’estasi durò poco: il mago spalancò lo sguardo e strinse contemporaneamente la mascella e i pugni.
 
- Che stronza… ALIDA! – Tuonò, prima di dirigersi a passo di marcia verso il salotto che condivideva con l’amica. La scena che si trovò davanti agli occhi il povero Lir non era che lo specchio dei suoi desideri. Peccato che quello appollaiato sul divano, con una copertina di pile a coprirgli le gambe, davanti alla tv che rimandava le immagini di “El Topo”(3), con in mano una ciotola mezza vuota di noodles fumanti e le guance gravide, non fosse lui.
 
- Non dirmelo… non lo hai fatto davvero! -
 
Ancora nel pieno della masticazione e con le bacchette sollevate a mezz’aria, Alida roteò la testa in direzione di Lir: - Oh, ciao. – Si limitò a sputacchiare.
 
- Spiegami per quale motivo stai mangiando la mia ultima porzione di noodles, mentre guardi i miei film e occupi il mio spazio sul divano. – La voce di Lir si era fatta cavernosa e percepiva le vene del collo pulsare al di sotto del collare.
 
- Beh, tecnicamente non esiste un tuo posto sul divano e questi, - aggiunse lei, sollevando con soddisfazione la ciotola dei noodles – Erano in dispensa da giorni. Sul film ti posso dare ragione, ma anche in questo caso ci tengo a sottolineare che ne ho preso uno a caso dalla nostra libreria. Carino il collare, ti dona! – Concluse allegra, prima di arrotolare un’altra buona quantità di spaghetti intorno alle bacchette, per poi riempircisi la bocca.
Lir voleva bene ad Alida; in verità era una delle pochissime persone che poteva considerare di casa, ma questa volta la ragazza aveva oltrepassato ogni limite; non solo si stava appropriando della sua serenità, bensì era anche arrivata a sbeffeggiarlo.
 
- E tu perché non lo porti?! – Tuonò di nuovo, mentre andava a posizionarsi fra lei e lo schermo, con le braccia conserte.
 
- Dipendere totalmente dalla volontà di Nadia ha i suoi vantaggi, come potrai immaginare; anche se farei volentieri a cambio. – Aggiunse. Lir notò che lo sguardo dell’amica si rabbuiò di botto, ma non demorse: - Non provare a cercare di farmi tenerezza, non ci casco! -
 
Con uno scatto felino, Lir balzò in avanti e tentò di afferrare la ciotola con quel poco che era rimasto al suo interno, ma Alida la sollevò in alto e mise una mano in faccia a Lir, spingendolo via.
 
- Sei impazzito?! Stai lontano dai miei noodles! -
 
- I tuoi?! Questo è troppo! -
 
Fra i coinquilini iniziò una baruffa; Lir tentava di sfilarle la ciotola dalle mani, mentre Alida lo punzecchiava come poteva con le bacchette. A seguito di un movimento di troppo, la strega perse il controllo della ciotola e quella volò in aria; Lir si bloccò e guardò in alto, seguendo con lo sguardo la ciotola dei desideri librare verso il soffitto, per poi avvicinarsi a lui con rapidità. La fine fu delle più prevedibili: la ciotola roteò e finì sulla testa del ragazzo, ricoprendolo di brodo e spaghetti mangiucchiati.
 
- Ops… - Pigolò Alida, che in un attimo sgusciò lontana dal divano, pronta a darsi alla fuga. Lir rimase qualche istante immobile, mentre il liquido caldo gli colava sui capelli e lungo il collo e gli spaghetti andavano ad adagiarsi fra i suoi ricci scuri. Davanti a quell’immagine l’unica cosa che Alida avrebbe voluto fare, sarebbe stata scoppiare a ridere in faccia all’amico, ma sensatamente decise di tacere, scegliendo invece la fuga verso la sua camera.
 
- Questa… questa… IO TI AMMAZZO! -
 
Lir lanciò via la ciotola e rincorse Alida, la quale correva sulle scale di legno che portavano  alle camere. Lir arrivò quasi ad afferrarla, ma lei riuscì a chiudersi in camera per un pelo, con tanto di giro di chiave.
 
- Tanto prima o poi dovrai uscire! – Gridava lui, mentre batteva i pugni sul legno della porta con foga.
 
-E tu prima o poi sarai costretto a farti una doccia! – Rispose lei dall’altro capo della porta, tentando ancora di trattenere la risata. – Anzi, ti consiglio di farla subito… Ah, già che ci sei quando scendi spegni il videoregistratore, grazie! -
 
Senza bacchetta e con quel dannato inibitore a fasciargli il collo, Lir era impotente. Ma la sua vendetta sarebbe arrivata prima o poi; prima Jude, poi Alida: i suoi amici avrebbero pagato lo scotto di avere a che fare con Lir Strong, parola sua.
 
Quartier Generale
Sala Riunioni
 
Ice è arrivato.
Preso dai due tosti.
Abbraccia il russo.
 
I messaggi da parte di Serena erano sempre estremamente concisi, ma dopo anni di conoscenza, sia Ame che Vulkan avevano imparato alla perfezione il suo codice. L’uomo osservava il biglietto scritto dalla sua amica ed evento più unico che raro, un sorriso amaro colorì il suo volto dai lineamenti intransigenti.
 
- Non so se prendere bene la cosa. – Confessò lui, passando nuovamente il biglietto ad Ame, sedutagli davanti. La ragazza prese a giochicchiare con il pezzetto di carta, mentre gli occhi chiari si incastravano in quelli di lui.
 
- Quello che è certo è che dobbiamo agire in fretta, se vogliamo riportarlo al Quartier Generale sano e salvo. -
 
- Chissà che fine avrà fatto Nikko, sul messaggio non se ne fa menzione. – Vulkan incrociò le braccia, meditabondo, mentre Ame scrollò il capo.
 
- Se non è stata portata alla Corte, sai meglio di me che le opzioni da prendere in considerazione sono ben poche. -
 
- Già. – Sussurrò roco Vulkan – O è riuscita a scappare, o l’hanno portata alle Colonie, oppure l’hanno ammazzata. -
 
La franchezza di Vulkan parve non turbare affatto Ame, che si limitò ad annuire, rendendo palese che fosse d’accordo con lui. Per qualche istante rimasero in silenzio, poi l’uomo lanciò uno sguardo sulla cartina appesa dietro Ame: i punti rossi che segnavano i compagni Ladri si trovavano quasi tutti all’interno del Quartier Generale.
 
- Forse potremmo prendere in considerazione l’idea di fare una riunione e decidere di organizzare una missione per cercarla, anche se immagino che se è davvero morta, il suo corpo sarà stato depredato e il resto dato in pasto ai porci e ai coyote. -
 
A quel punto Ame fece una smorfia: - E dai! Ora non esageriamo… preferirei non immaginarmi Nikko fatta a brandelli, tengo molto a lei. – sussurrò infine, riprendendo a giocare con il pezzetto di carta. – Comunque pensavo a una cosa. –
 
- Ti ascolto. -
 
- Beh, è chiaro che Serena faccia riferimento a… Artemisia e Lir, in questo messaggio. -
 
- Lo avevo pensato anche io. – Confessò Vulkan, che aspettava che la ragazza esprimesse i suoi pensieri, poi aggiunse – Li conoscevi bene, vero? -
 
Ame annuì e un accenno di risata, breve e amara come il fiele, uscì dalla sua bocca: -Più che bene, direi. Proprio per questo mi sento di dire di essere sollevata che sia stato proprio Staffy, ad essere stato catturato. – Ame alzò di nuovo lo sguardo dal biglietto che teneva fra le mani, a Vulkan, che la osservava con un accenno di curiosità: - Conosco i poteri di entrambi e ti assicuro che nessuno di noi disarmato e inerme, nelle loro mani, sarebbe uscito da una conversazione con loro senza tirare fuori qualche indiscrezione su questo posto, o su di noi. –
 
Vulkan ripensò al periodo che aveva passato alla Corte. Non aveva mai conosciuto né Lir, né Artemisia, ma sapeva di che pasta era fatto Jude e tanto gli bastò per essere d’accordo con Ame. Preso da un momento di curiosità (cosa che a Vulkan non capitava quasi mai, ma era davvero molto legato alla ragazza, che anni prima aveva visto arrivare con i suoi occhi fra i Ladri), le chiese: - Li hai più rivisti? –
 
- Un paio di volte, in mezzo alle Terre di Nessuno. Ma sono abbastanza convinta che nessuno dei due mi abbia riconosciuta, anche se una volta mi sono trovata molto vicina a Lir e lui ha esitato nell’attaccarmi con quella sua arma assurda. Grazie a quell’esitazione sono riuscita a darmela a gambe, e mi chiedo se in qualche modo non abbia pensato che dietro la maschera antigas ci fossi io. – Un’altra lieve risata e una scrollata di capo – Quel cretino. -
 
Vulkan si rese conto che quello dovesse essere un argomento spinoso per Ame, così decise di non farle altre domande, perdendo di nuovo lo sguardo sulla grande cartina. All’improvviso un bagliore rossastro attirò nuovamente la sua attenzione; tornando con lo sguardo su Ame, vide la ragazza che teneva il foglio di carta in mano e una fiamma ridurlo in cenere.
 
- Ma… Ame! – La rimbrottò. Lei lo guardò accigliata. – Che c’è? -
 
- Devi proprio farlo tutte le volte? -
 
Ame assunse un’espressione basita, come se le avessero appena chiesto se l’acqua fosse bagnata, così alzò le spalle: - Certo, bisogna eliminare le prove, no? –
 
Vulkan si grattò la testa mentre scuoteva il capo: - Va bene, ma non potevi farlo, che ne so, dentro una pentola? Qui dentro rischi di dare fuoco a tutto. –
 
La strega portò l’indice che teneva alla bocca e prese a succhiarlo, era evidente si fosse scottata, dando fuoco a quel messaggio, poi sul viso spuntò il suo sorrisetto più divertito, proprio quello che avrebbe un bambino dopo aver combinato una marachella. Vulkan scosse di nuovo il capo, poi si alzò: - Va bene. A questo punto vai tu ad avvisare Sonne, io devo continuare con la mia routine giornaliera, visto che l’hai spezzata nel mezzo. –
 
Ame lo seguì verso la porta e poi sul corridoio, così i due si divisero una volta giunti nella sala grande; doveva ancora completare gli allenamenti e magari sarebbe uscito con qualche nuovo arrivato per esplorare insieme le Terre di Nessuno più vicine. Mentre si avviava verso la sala pesi, sentì la voce di Sonne gridare il nome di Ame, accompagnato da una lunga serie di imprecazioni decisamente non adatte alla portata delle orecchie dei più piccoli.
Quella ragazza non sarebbe cambiata mai e si domandò perché Sonne ancora sprecasse così tante energie per trasformare il fuoco vivo, in acqua cheta.
 
La Corte
Campo di addestramento
 
Ajax adorava allenarsi con Artemisia. Riconosceva infatti, nella giovane strega, una qualità eccezionale nella scherma e sentiva che da lei avrebbe potuto apprendere molto. Solitamente Ajax prediligeva allenarsi da solo, senza nessuno che si frapponesse fra lui e la sua volontà stacanovista di migliorare le proprie capacità di combattimento, ma quando si trovava in presenza di una come Artemisia, che era in grado di trasformare il fioretto nel prolungamento stesso del braccio, la solitudine volontaria cedeva il passo a un allenamento complice, formato da due parti.
Riuscì a evitare una stoccata e senza darsi per vinto passò all’attacco, ma Artemisia non sembrò impressionata, al contrario era come se danzasse con poco sforzo, mentre parava i suoi colpi e ne restituiva altrettanti.
Ajax indietreggiava, parando con l’arma l’assalto aggraziato della compagna, mentre con lo sguardo ricercava un punto di debolezza; ma senza rendersene conto, continuando a indietreggiare, andò a impattare contro un ostacolo e finì col cadere a terra. Un abbaio unico e pigro indicò la presenza di Atlas, il grande cane di Artemisia che raramente la lasciava sola. Dalla bocca di lei uscì una risata dolce, attutita dalla maschera che si affrettò ad alzare, per poi avvicinarsi a Ajax, ancora a terra, porgendogli la mano.
 
- Mi dispiace! Atlas, cattivo! Torna a cuccia! -
 
Più che un rimprovero, quello sembrò una dolcissima lode. Ajax afferrò la mano di Artemisia e si tirò su, accennando un sorriso; anche lui imitò l’altra Sentinella e portò la maschera sopra la testa: - Questo è giocare sporco. – La canzonò – Io non ho nessun bestione ad aiutarmi ad atterrare i miei nemici. –
 
- Beh, posso sempre prestarti Atlas ogni tanto, vuoi? -
 
Il lupo cecoslovacco abbaiò sonoramente, come se avesse capito cosa avesse detto la padrona e Ajax lo guardò di sbieco, prima di scrollare il capo: - non credo proprio che sia d’accordo e io, in tutta sincerità, tengo molto alla mia vita. –
 
I due abbandonarono nella rimessa le tute d’allenamento, così si concessero una bicchiere di limonata ristoratrice, mentre il sole tramontava sulla Corte, vestendo il campo dinanzi a loro di un abito scarlatto. Ingoiato un bel sorso di limonata, il ragazzo lanciò un’occhiata al collare che indossava Artemisia: - Come va con quello? –
 
In un primo momento la ragazza parve non cogliere, poi capì che l’altro si stesse riferendo all’inibitore. Fece una lieve smorfia prima di rispondere: - Non bene, non mi piace per niente, se proprio devo confessarlo. –
 
- Sai, non credo di poter capire a pieno cosa significhi. Io sono un comune essere umano, figlio di una coppia di esseri umani. Per noi la magia è qualcosa di lontano e sconosciuto, per questo non credo di poter capire cosa voglia dire privarsene. -
 
Artemisia portò il bicchiere alla bocca e si prese qualche istante per rispondere. Una mano andò a ricercare la testa di Atlas, appoggiato alle sue gambe alla ricerca di coccole. – Non ho mai usato la magia, non mi è stato mai permesso… quindi diciamo che in un certo senso capisco il tuo ragionamento. Però il mio potere fa parte di me, un po’ come un braccio, una gamba… ci sono cresciuta, ecco. Non che… non che sia stato facile. –
 
Artemisia però si interruppe. Ajax non la conosceva molto bene, ma aveva di certo capito che la bella strega non fosse tipo da parlare di sé con facilità. Evitò quindi di indagare oltre, vista l’espressione contrita che scorgeva sul suo volto, così cercò con rapidità un argomento che potesse colmare il vuoto della conversazione.
 
- Invece che mi dici del nuovo arrivato? Ho saputo che è stato portato qualcuno e che è stato affidato a te e Lir. È un Ladro? -
 
Artemisia poggiò il bicchiere vuoto sulla balla di fieno alla quale erano poggiati, così scosse il capo: - Non ne ho idea e anche fosse, mi è stato chiesto espressamente di non parlare di lui e non so te, ma a me non piace affatto contraddire Jude. –
 
- No, certo che no, perdonami… non volevo metterti in difficoltà. -
La ragazza accennò un tiepido sorriso: - Nessun problema, la curiosità non è una colpa. Ora credo sia meglio andare, si sta facendo tardi e credo che Atlas pretenderà presto il suo pasto. –
 
I due si avviarono verso l’imbocco della strada; Ajax aprì la sua automobile e si rivolse ad Artemisia: - Tu vivi nel bosco, giusto? Se hai bisogno di un passaggio, ti accompagno ben volentieri. –
 
- Grazie, ma preferisco fare una passeggiata. -
 
- Ma è davvero molto lontano, sei sicura? -
 
La Sentinella annuì, facendo vibrare la sua chioma corvina che con la luce del tramonto aveva assunto sfumature incandescenti: - Più che sicura. Fra l’altro diciamo che ho un vicino di casa che non apprezza molto il sovraffollamento, non vorrei inimicarmelo. –
 
Ajax annuì, alzò una mano in segno di saluto e partì, mentre Artemisia si avviò a piedi, affiancata dal suo fedele compagno.
 
 
Il sole era calato da un pezzo, quando Artemisia arrivò nei pressi della sua piccola casina vicina allo splendido laghetto che sorgeva nel pieno del bosco.  Forse avrebbe dovuto accettare quel passaggio da Ajax, visto che effettivamente ci aveva messo quasi un’ora per arrivare a casa. Proprio quando stava per prendere il vialetto di sassi candidi che si districava fino all’uscio di casa, sentì un lievissimo rumore di automobile, i cui fari rischiararono la strada buia. La ragazza si voltò e osservò la berlina nera avvicinarsi e quando la macchina le passò davanti, alzò una mano per salutare chi vi era dentro. Jude si limitò ad un cenno del capo e poi proseguì fino alla grande magione di legno e pietra che affacciava sul lago.
Ad averlo saputo, che il suo vicino di casa non era ancora rientrato, Artemisia si sarebbe fatta dare volentieri un passaggio da Ajax, per risparmiarsi la lunga passeggiata. Doveva smetterla di farsi tutti quei problemi, per evitare di urtare quel suo vicino tanto musone.

 

(1) Il Dojo è il luogo dove si svolgono gli allenamenti delle arti marziali. Questo termine viene adottato al Quartier Generale per indicare le sale d’allenamento.
 
(2) Mia mamma in russo (grazie come sempre google translate)
 
(3) “El Topo” è un vecchio film di Jodorowsky che credo Lir apprezzerebbe molto.
 
Buonasera cari lettori! Sono molto felice di essere riuscita a pubblicare il nuovo capitolo in un tempo relativamente breve. Come state? Pronti per un Natale scoppiettante fatto di decreti legge davvero ambigui?
Detto questo spero che il capitolo vi sia piaciuto, come sempre aspetto le vostre impressioni con gioia e trepidazione. Ho un paio di domandine per voi.
 
Per tutti: mi mandereste le immagini delle armi e del vestiario dei vostri personaggi? Mi piacerebbe inserirli di tanto in tanto, in modo da riuscire a contestualizzare meglio l’ambientazione e i vostri OC all’interno di essa.
 
Per le Sentinelle: per chi non me lo avesse specificato, vi chiedo anche immagini e/o descrizioni di casa loro. Le Sentinelle possono vivere in giro per tutta la Corte, insieme alle loro famiglie, con altre Sentinelle o soli soletti; ho immaginato che molte vivano nelle case che affacciano sulla grande piazza, ma sentitevi liberi di propormi ciò che volete. Ma non abusate del lago: ci sono già Jude e Artemisia e non credo che Jude sarebbe affatto felice di un sovraffollamento :)
 
Detto questo, se non apparirò intorno a Natale con qualche cosina (vediamo se riesco magari a tirare fuori una os su George per augurarvi buone feste), comincio già con il farvi gli auguri, nella speranza che l’anno nuovo si riveli migliore di questo schifido appena trascorso!
 
Bri

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Capitolo 5
*** Farti sentire in svantaggio è un vantaggio che intendo mantenere ***


CAPITOLO III
“Farti sentire in svantaggio, è un vantaggio che intendo mantenere”
 
Marzo 2197
La Corte
 
Il profumo di muffin caldi aleggiava per l’intera casa di Artemisia; casa che la giovane strega adorava e che condivideva con il suo amatissimo cane Atlas. Proprio quest’ultimo non faceva che girarle intorno da quando aveva sfornato i dolci, deciso a farle quanta più pietà possibile cercando invano di elemosinarne almeno uno.
 
- Prima di tutto per te il cioccolato è veleno, te l’ho detto centinaia di volte, quindi smettila di fare finta di non saperlo… secondo poi sai quanto sia difficile reperire del cacao, quindi mi spiace tesoro, ma dovrai accontentarti di questo. -
 
Figuriamoci se Artemisia si sarebbe risparmiata dal preparare al proprio animale un pasto tutto per lui; difatti la strega, dopo essersi preoccupata dei muffin, aveva preparato un bellissimo sformato salato, che avrebbe lasciato ad Atlas non prima di uscire di casa, sapendo benissimo che quel giorno non avrebbe potuto portarlo con sé.
Sistemati i capelli in una treccia, Artemisia indossò una semplice mise total black, calzò i mocassini che amava e teneva con cura e infine a coprire la sua giacca preferita, dalla quale difficilmente si separava, calò una mantella rossa munita di ampio cappuccio, acquistata giusto qualche mese prima nella bottega di Melvine, la sarta più capace (e più longeva, si sospettava avesse infatti superato i novant’anni) della Corte.
 
- Ci vediamo questa sera, comportati bene. – La ragazza carezzò la testa di Atlas, il quale era troppo preso dal divorare il suo sformato per dedicarle attenzioni, così afferrò l’enorme cesto di vimini con dentro una quantità industriale di dolci e si chiuse la porta alle spalle, per poi incamminarsi lungo il vialetto di casa sua.
 
- Guarda un po’… cappuccetto rosso sta andando a trovare la nonna nel suo giorno libero? -
 
Se non fosse sicura di conoscere la persona dietro a quella voce profonda, Artemisia avrebbe creduto di avere un nuovo vicino di casa. Con gli occhi strabuzzanti, roteò il corpo alla sua sinistra, scontrando lo sguardo con la figura di Jude. L’uomo, illuminato dalla tiepida luce del giovane mattino, era vestito con un completo nero e stava fumando una sigaretta sul viale, mentre ricambiava l’occhiata di Artemisia con un’espressione piuttosto piatta.
 
- Sbaglio o Jude Millan ha appena fatto una battuta? – La strega strinse il cestino con entrambe le mani e accennò un sorriso, mentre si piegava lievemente in avanti in una posa appositamente plastica e fiabesca.
 
- Credo sia colpa della vicinanza con Lir.– Jude alzò appena le spalle.
 
- Beh, è proprio da lui che sto andando. – Artemisia alzò appena il cesto contenete i dolci: - Approfitto del mio giorno libero per accompagnarlo allo Strong. -
 
Jude gettò a terra la sigaretta che schiacciò poi con la punta delle sue scarpe di manifattura costosa, così si avvicinò a lei con passo lento: - Capisco, non sia mai che tu non spenda il tuo tempo libero compiendo qualche buona azione. – Poi estrasse le chiavi dalla tasca e premendo il pulsante, aprì la sua berlina: - Ti do un passaggio. –
 
Cosa stava succedendo? Non solo Jude Millan si era dato all’ironia, ma le aveva davvero appena proposto di darle un passaggio? Presa totalmente alla sprovvista, Artemisia cominciò a balbettare qualcosa: - Ma… ma no ecco… Lir mi, si, mi ha detto che passa lui e… -
 
Nel mentre Jude entrò in macchina, per poi farle segno di salire; sul volto la solita espressione torva. – Eppure lo conosci da sempre. Finirai per congelarti ad aspettarlo qui. Sali. –
 
Non seppe dire se lo stesse facendo per non risultare sgarbata, o perché non voleva rischiare di rovinare il più che inusuale buon umore di Jude, fatto sta che Artemisia salì in auto senza fiatare una sola altra rimostranza. Appena ebbe allacciato la cintura di sicurezza, Jude premette il piede sull’acceleratore e la ragazza poté giurare di intravedere un lieve sorriso solcargli il viso. Che fosse il ghigno del lupo, pronto per divorarla in un sol boccone?
 
Quartier Generale
Maneggio
 
- Passami la cassetta degli attrezzi. -
 
Dire che a Vulkan non piacesse passare il tempo in compagnia, era un eufemismo. Ciò nonostante sapeva anche di dover fare delle cose fondamentali per far si che il Quartier Generale non implodesse e collassasse su se stesso: fra queste cose, rientrava occuparsi di controllare i cavalli, ferrarli e curarli quando ce ne fosse stato bisogno.
 
- Agli ordini capo, la tua schiava è qui per compiacerti! -
 
Nel sentire il tono canzonatorio e provocatorio di Oleander, Vulkan roteò gli occhi al cielo mentre tratteneva una mano tesa e con l’altra carezzava il dorso di Orson, il frisone di Sonne che necessitava, a una prima occhiata, di una nuova ferratura.
 
- Purtroppo ci vorrà più tempo del previsto, credo dovrò rimandare a domani. – Vulkan parlò fra sé e sé, mentre Oleander gli passava la cassetta richiesta.
 
- Già, anche perché non abbiamo tutta la giornata a disposizione. – La strega estrasse la bacchetta assegnatale, con cui faticava ancora ad avere totale confidenza, così cominciò a lanciare nuovi incantesimi di protezione intorno all’area del maneggio che i ladri avevano organizzato al di sopra del Quartier Generale. Vulkan le lanciò un’occhiata, innegabilmente soddisfatto dalla produzione degli incantesimi, per poi tornare a occuparsi di Orson.
 
- Repello inimicum… fianto duri… Beh, non sei curioso di sapere come mai non abbiamo tutta la giornata a disposizione? -
 
- Direi proprio di no, tanto so che me lo dirai tu. -
 
- Protego maximaPro-te-go- maxima! Ma che… umpf. Ho detto PROTEGO MAXIMA! Vulkan, credo di aver rotto la bacchetta! -
 
Un altro roteare di occhi, prima di concentrare nuovamente l’attenzione sulla strega minuta: - Non credo che le bacchette si possano rompere pronunciando male un incantesimo, e comunque come ben sai, non sono la persona adatta con cui parlare di questo. –
 
Vulkan carezzò un’ultima volta la groppa del frisone, per poi alzarsi e avvicinarsi a Oleander.
 
- Allora, dimmi pure cosa ci aspetta questa sera; Sonne ha fatto tabula rasa e tutte le missioni sono state momentaneamente annullate, quindi suppongo ci sia qualcosa di importante sotto. -
 
Lanciato finalmente l’ultimo incantesimo, la strega ripose il legno nella casacca e poi guardò il compagno con aria furbetta: - Riunione di emergenza, una cosa molto molto importante a quanto ho capito, anche se Sonne non ha voluto dirmi niente. Tu ne sai qualcosa, per caso? –
 
L’uomo infilò le mani nelle tasche dei pantaloni e alzò il sopracciglio: - Perché alla fine dei conti dovrei essere io a sapere qualcosa? –
 
- Beh, caro mio… forse perché ho sentito dire da Ame che due giorni fa è andata al suo solito appuntamento con la tua amica e, casualità, al suo ritorno Sonne ha deciso di indire una riunione urgente. Sospetto che le due cose siano collegate e che tu conosca l’oggetto della questione. -
 
- Non facciamo finta che sia io quello a sapere sempre tutto di tutti. – Vulkan si incamminò verso la stalla per nutrire i cavalli, seguito a ruota da un’agilissima Oleander – Comunque credo che questa sera avremo tutte le risposte di cui necessitiamo. Bisogna solo pazientare. -
 
- Sia mai che ti sbottonassi una volta. – Fra lo sbuffare di lei e la distaccata placidità di lui, la coppia si occupò dell’esiguo numero di cavalli, lasciando per ultimo un piccolo puledro nato da qualche giorno. Oleander alzò la mano destra, sovrappensiero, per accarezzare il suo manto fulvo; quando il movimento di questa risultò scattoso e innaturale, a Vulkan venne spontaneo trattenere un commento. I due si guardarono per qualche istante e l’uomo colse il lieve imbarazzo che vestiva il volto della strega dai grandi occhi chiari.
 
- Beh, io vado ad allenarmi. Fammi chiamare quando il principe si degnerà di indire questa benedetta riunione. -
 
Vulkan si allontanò con le mani nelle tasche. Accennò un sorriso, nel sentire Oleander urlargli dietro che l’aveva presa troppo sul serio prima, quando aveva dichiarato di essere la sua schiava personale.
 
La Corte
Casa Lee
 
Appollaiata sulla finestra della sua camera, Izzie era calata nell’intraprendere uno dei suoi hobbies preferiti: osservare la vita al di fuori di essa attraverso gli occhi del suo amato binocolo.
La casa della famiglia Lee affacciava sulla piazza centrale della Corte e fin da quando non era che una bambina, Izzie adorava vedere il via vai di persone che davano vita a quel luogo che ospitava negozi e mercati.
 
- Ancora con quell’attrezzo? Non devi lavorare oggi? -
 
August, suo padre, si era affacciato alla porta della sua camera e la guardava con le braccia conserte. Izzie abbassò il binocolo e scosse il capo: - Oggi ho il giorno libero, ma sto aspettando due colleghi per andare a fare visita all’orfanotrofio Strong. –
 
August aggrottò le sopracciglia: - Lo Strong? Ti è stato per caso ordinato? –
 
- No, macché! – Izzie scivolò via dalla finestra e recuperò la giacca da aviatore che era solita indossare – Penso solo che se voglio dare il massimo, è giunto il momento che io conosca un po’ cosa c’è lì fuori… invece di limitarmi a usare quello. – Con un sorriso limpido, Izzie indicò il binocolo abbandonato sul davanzale, poi infilò la giacca mentre il padre continuava a osservarla con cipiglio. La ragazza lo guardò con perplessità: - Papà, qualcosa non va? -
 
August scosse la testa: - Niente di importante, solo, ecco… stai attenta; non mi entusiasma l’idea che tu visiti luoghi del genere. –
 
- Ma è un orfanotrofio! Cosa vuoi che mi accada! E poi sono una Sentinella, è mio dovere ampliare le mie conoscenze del mondo per compiere il mio dovere con dignità, non credi? Ora sarà meglio che vada, non voglio far aspettare nessuno. -
 
August osservò la figlia salutarlo e chiudersi l’uscio di casa alle spalle, così si spostò davanti la finestra del modesto salotto di famiglia: seguì sua figlia con lo sguardo sgattaiolare fra la miriade di persone, mentre agitava la mano in segno di saluto. Ad August piaceva l’idea che sua figlia fosse diventata parte attiva delle Sentinelle, un ruolo rispettabile e fondamentale all’interno della Corte. La sua era sempre stata una famiglia modesta e lui, al massimo, aveva ottenuto di essere l’autista personale di Jude Millan. Ma se da una parte era fiero di Izzie, dall’altra temeva che sua figlia, una persona buona e dal candore spiccato, potesse risentire dei colpi inferti dal mondo all’infuori della Corte.
Scomparsa alla sua vista, August, si scostò dalla finestra e proseguì a passi lenti verso la cucina; l’unica altra presenza era l’odore del caffè che ancora solleticava le narici, in quanto sua moglie era in pieno orario lavorativo. Con il pensiero di Izzie in testa, l’uomo si preparò dell’altro caffè, sperando che sua figlia non combinasse nessun guaio.
 
Quartier Generale
Infermeria
 
Era assolutamente necessario che Jabal inserisse nei propri progetti di ristrutturazione anche l’infermeria. Dimma, con le mani sui fianchi e la fronte aggrottata, si guardava intorno con nervosismo. Al suo fianco Yuki non riservava un’espressione meno perplessa e infastidita. Effettivamente gli ultimi mesi erano stati particolarmente frenetici e non c’era stato molto tempo da dedicare alla sistemazione dell’intero Quartier Generale, ma lo stato di caos in cui verteva l’infermeria aveva raggiunto dei livelli che avevano portato le due donne a inorridire, davanti a tale macello: ammassate in ogni angolo della stanza c’erano confezioni di bende, siringhe, bottiglie di alcol denaturato, stetoscopi da riparare, insomma tutto ciò che i Ladri, durante le loro missioni, avevano recuperato e ammassato lì. Le lettighe dovevano essere ripulite, i due tavoli operatori da sterilizzare e risistemare.
 
- Mi fa schifo. – Commentò, laconica, Yuki. Capire da dove iniziare a sistemare era davvero complicato; per altro era necessario anche darsi una mossa, perché Francine avrebbe partorito il suo secondogenito da lì a qualche giorno e di certo quello non era luogo per ospitare un parto, proprio no.
 
- Fortunatamente abbiamo tutto l’aiuto che ci occorre. – Dimma congiunse le mani dietro la schiena e roteò su se stessa con scarsa agilità, visto che la gamba aveva ancora bisogno di qualche giorno per sistemarsi a dovere. I suoi occhi chiari, sottili come fessure nel legno, scrutarono la fila di ragazzini alle loro spalle, che spiavano la stanza pronunciando una serie di “oooh!” ricchi di stupore. Ai più piccoli non era mai permesso mettere piede lì dentro se non per stato di necessità, va da sé quindi che la meraviglia nei loro occhi fosse diretta conseguenza del grande onore che veniva fatto loro.
 
- Ragazzi, ora statemi a sentire: dobbiamo fare in modo che questo posto venga tirato a lucido. -
 
Yuki tirò fuori dalla tasca un foglio ripiegato, che spiegò davanti al viso, cominciando poi a elencare i compiti: - Vi divideremo in tre gruppi: Zenia, Narciso e Ruphus si occuperanno di svuotare gli armadi dei medicinali. Avete a disposizione quei sacchi dove mettere tutto ciò che troverete lì dentro. Appena avrete finito, io valuterò con voi come catalogare  ciò che vi è dentro. Invece Jack, Julian e Salomon toglieranno le lenzuola e ne metteranno di pulite. Infine Becca, Karl, Dominique e Eva divideranno quella roba. – Yuki indicò il materiale ammassato negli angoli. – Dimma vi aiuterà. –
 
- Perché io devo stare nel gruppo delle femmine?! – Karl, un ragazzino decisamente alto per i suoi undici anni, allargò le braccia e spalancò la bocca, mentre gli amici avevano cominciato a canzonarlo.
 
- Preferisci tornare a scrostare le pentole di Skog? – Dimma incrociò le braccia e accennò un sorriso divertito, che si allargò quando le rimostranze di Karl cedettero, lasciando spazio a un basso borbottio contrariato.
 
- Bene: al lavoro! -
 
Al Quartier Generale vigevano poche regole non scritte; una di esse era che, superati i sei anni, i bambini dovevano essere responsabilizzati, così da essere in grado di riuscire a coprire ogni mansione di cui ci fosse bisogno. I Ladri non erano in molti e la vita al di fuori della bolla da loro costituita era difficile e crudele; se volevano che i loro figli crescessero con questa consapevolezza, non potevano proteggerli dal mondo in cui vivevano. Per questo durante la settimana coloro che fossero in età scolare studiavano tutto ciò che era possibile studiare e ogni Ladro adulto offriva ai giovanissimi le proprie conoscenze; inoltre venivano impiegati, come in quel caso, in lavori di cooperazione all’interno del Quartier Generale e quando si ritenevano abbastanza grandi allora venivano indirizzati, a seconda della loro indole, ad apprendere nuove competenze.
 
- Salomon, stendi bene quel lenzuolo. Eva, togli subito quel dito dal naso! -
 
- Quanta solerzia! La vecchia sarebbe fiera di voi! -
 
La voce di Sonne, appena entrato nella stanza, richiamò l’attenzione di tutti. Yuki si premurò di ammonire i ragazzini, i quali non dovevano perdere tempo, altrimenti non avrebbero mai finito per la fine della giornata e sarebbero stati costretti a tornare nell’infermeria dopo aver consumato la cena. Quella minaccia riportò il silenzio nella stanza.
 
- Non possiamo più arrivare a una condizione simile. – Dimma si avvicinò al ragazzo mentre ripuliva le mani con uno strofinaccio – Fortunatamente stiamo aumentando di numero, ma questo comporta anche un sovraffollamento dell’infermeria. -
 
Il mago allungò una mano per pizzicare la spalla di Dimma, seguitando poi ad esporre un sorrisetto malizioso: - Sei sempre così tesa, secondo me avresti bisogno di un po’ di sano relax. Facciamo un salto di là? Si è liberata da poco una stanza. –
 
A quell’allusione, a cui era abituata, Dimma reagì mollando un pugno sulla spalla di Sonne; al ragazzo sfuggì un lamento e un’imprecazione.
 
- Caro il mio Sonne, non ho affatto bisogno di rilassarmi, poi con te non di certo. Se sei venuto solo per dire le tue stronzate puoi anche tornare di là, altrimenti infilati un paio di guanti e datti da fare. -
 
- Dio mio, diventi sempre più acida, a riprova di quanto ho detto poco fa. Se dovessi ripensarci, la mia offerta rimane valid… - Questa volta Sonne ebbe la prontezza di tirarsi indietro, riuscendo a sfuggire a un secondo colpo della strega, così alzò le mani in segno di resa: - Ok, calmiamoci ora! Sono venuto solo per avvisarvi che alle ventuno sarete precettate. Ci vediamo nella sala riunioni grande. -
 
- Una riunione dopo una giornata del genere? Che gioia! – Trillò Yuki, tirando su la testa precedentemente immersa in uno scatolone.
 
- Immagino che non si possa sapere il motivo. – Aggiunse Dimma.
 
- Mi spiace, è top secret. – Ciò detto Sonne strizzò l’occhio all’amica: - Buon lavoro, io torno da Rose Madder. -
 
Yuki prese a gridare che anche lei avrebbe preferito mettersi a leggere, piuttosto che stare lì a sgobbare, ma Sonne le ricordò che era suo dovere, prima di dileguarsi ben conscio che se fosse rimasto un solo altro minuto, le donne non avrebbero esitato a scagliargli contro qualsiasi tipo di oggetto fosse capitato loro sottomano, magari anche un paio di ragazzini particolarmente vivaci.
 
Orfanotrofio Strong
 
 
Oramai Lir doveva essersi abituato alle visite all’orfanotrofio Strong, visto e considerato il suo ruolo di Reclutatore. Nonostante questo, ogni volta che si trovava davanti l’edificio mastodontico, dall’intonaco a brandelli e la grande targa di marmo a sormontare il portone d’ingresso, mangiata dall’edera incolta, sentiva lo stomaco chiudersi in una morsa. Non era semplice per lui, non lo era mai stato. Quel luogo aveva la capacità di scaraventarlo nel suo passato con una violenza assolutamente non gradita; un passato da perdente, ingrigito dalla continua lotta alla sopravvivenza per avere un piatto di minestra in più, in cui le risse con i compagni erano all’ordine del giorno. Ma ora era tutto diverso: Lir aveva avuto il proprio riscatto sociale ed era la prova vivente che con la caparbietà, se si possedevano qualità uniche, si poteva arrivare molto in alto. Era questo lo spirito con il quale ogni volta che saliva la breve scalinata per accedere allo Strong, il ragazzo affrontava le visite.
Oltretutto, quel giorno, ad accompagnarlo c’era Artemisia, con la quale era cresciuto e aveva condiviso il medesimo fardello; eppure guardando oltre la ragazza che stringeva una cesta piena di dolci con aria soddisfatta, qualcosa si incrinò.
Perché sarebbe stato naturale in quella sede vedere una matassa di lisci capelli biondi, due enormi occhi azzurri sempre accesi da una scintilla di vita invidiabile e un paio di orecchie a sventola che Lir adorava prendere in giro. Liv era stata per molto tempo il loro anello di congiunzione, ma non era lei a tallonare Artemisia, in quel momento.
Al posto di quell’uragano fatto persona c’era invece Izzie, che aveva passato tutto il tragitto fino allo Strong a trattenere l’agitazione.
 
- Io mi dovrò occupare di parlare con il capo ispettore. Ci pensi tu a lei? – Chiese ad Artemisia, indicando con un cenno del viso Izzie, la quale si premurò all’istante di dire che non avrebbe dato fastidio e si sarebbe limitata a guardarsi intorno.
 
- Certo, e poi io ho una consegna da fare. – Artemisia alzò la cesta e sorrise; fu automatico, per Lir, tentare di accaparrarsi uno dei muffn, ma l’amica tirò a sé il cestino regalandogli uno sguardo severo: - Non sono per te! Non pensi ai bambini? -
 
- Tzk… bambini, bambini… e allora mi spieghi come mai quando Jude ti ha lasciata davanti casa mia se ne è preso uno? Fai favoritismi con il capo, per caso? -
 
Artemisia arrossì vistosamente, rendendo la sua pelle solitamente candida dello stesso colore della mantella che indossava: - Mi ha accompagnata! Era il minimo che potessi fare. E poi sei l’ultimo che può parlare, visto che non faccio altro che portarti da mangiare, ingrato. –
 
- Lir! È un piacere vederti! E oggi è con noi anche la bella Artemisia… e lei chi sarebbe? -
 
Un uomo deficitario in altezza, ma con un ventre abbastanza pronunciato e una calvizie incipiente, con indosso un completo molto antiquato, si avvicinò ai tre con passo allegro.
 
- Buongiorno Mauritius, spero non ti dispiaccia la mia presenza. Io e la mia collega Izzie abbiamo approfittato del nostro giorno libero per accompagnare Lir. -
 
- Siete i benvenuti, prego venite con me, i ragazzi si stanno godendo la loro ora di creatività in cortile. -
 
- Siamo fortunati allora, andiamo tutti nello stesso posto. – Lir infilò le mani nelle tasche del suo improbabile completo tutti i colori+1 e lanciò un’occhiata a Izzie: - Preparati principessina. -
 
Nel sentirsi chiamata in causa Izzie si irrigidì, ma Artemisia le poggiò una mano sulla spalla e le sorrise incoraggiante, mentre seguirono Mauritius affiancato da Lir lungo un corridoio particolarmente buio: - Quello che vuole dire Lir è che… beh, questo posto non è esattamente quello a cui sei abituata, al contrario nostro. Comunque stai tranquilla e rimani vicino a me. –
 
Quartier Generale
Armeria
 
Se era costretto a scegliere un compagno per lavorare sulle armi, Chion andava sul sicuro facendo il nome di Leaf. Il motivo era alquanto scontato in realtà: Leaf era una di quelle personalità che tendeva a farsi gli affari propri, quando si trovava all’interno del Quartier Generale. Non amava spendersi in chiacchiere inutili, caratteristica particolarmente apprezzata dal mago che di certo non poteva definirsi dalla parlantina fluida. Insofferente come un animale in gabbia, quando Leaf si trovava costretto a passare il proprio tempo al Quartier Generale, o lo si trovava in compagnia della sua ragazza, o al fianco di Sonne e di qualche suo amico fidato, oppure con la testa china a completare una delle sue mappe delle Terre di nessuno. Insomma, a Chion Leaf era sempre stato simpatico, perché in lui notava una certa forza d’animo, una voglia irrefrenabile di valicare sempre il confine prestabilito e una determinazione, seppur talvolta fonte di una freddezza spaventevole, che Chion non aveva mai sentito di possedere.
 
- Puoi passarmi quello? -
 
Leaf aveva sfilato momentaneamente gli occhiali da sole e osservava l’interno del mirino del suo strambo fucile. Il suo indicare fece capire a Chion che volesse gli si passasse un piccolo cacciavite a stella, così lui fece.
 
- Questo non va bene, si è crepata una delle lenti, maledizione. -
 
- Passalo a me. – Si limitò a dire Chion, dopo aver messo da parte una carabina sulla quale stava lavorando da settimane; era talmente malconcia che riteneva fosse un miracolo che non gli si fosse ancora sgretolata fra le mani.
Leaf scostò l’occhio dal mirino e puntò lo sguardo in quello dell’altro; era talmente raro vedere il ragazzo senza occhiali da sole, a contatto con la luce artificiale del Quartier Generale, che Chion trattenne un fremito: cerchi scuri circondavano gli occhi di Leaf e le spesse occhiaie risaltavano ancor più il colore brillante, quasi innaturale, delle sue iridi.
 
- Mmm… e va bene, ma fai attenzione. -
 
Il biondo passò il suo fucile a Chion il quale, senza scomporsi, cominciò a maneggiarlo con cura e attitudine. Inforcati nuovamente gli occhiali da sole, Leaf osservò affascinato il lavoro certosino dell’altro, che smontò il mirino con una facilità e una lestezza che nessun’altro fra i ladri possedeva.
 
- Effettivamente è crepato, ma credo di avere il pezzo di ricambio, possiamo adattarlo. Cortesemente: nella vetrina c’è una valigia di pelle, lì dovrebbero esserci gli specchietti. -
 
Leaf portò al maggiore la borsa richiesta e dopo qualche minuto e un’attenta analisi del contenuto, Chion alzò vittorioso un piccolo specchietto esagonale. Si alzò senza dire una sola parola e attivò la macchina molatrice; Leaf osservò Chion molare quel piccolo pezzo di vetro, allontanarlo dalla pietra smerigliatrice, tornare a limarlo e infine riprendere il proprio posto davanti al mirino del fucile dell’altro.
 
- Ecco qui. – Chion aveva inserito il nuovo specchio nel mirino e in men che non si dica lo aveva rimontato. Dal canto suo Leaf lo guardava meravigliato: - Ma come hai fatto? Non è possibile che tu ci sia riuscito a occhio, senza doverlo rifinire un’altra volta. Sicuramente non funzionerà. -
 
Chion accennò un sorriso, sistemò le cuffie antirumore e allungò il fucile al compagno: - Provare per credere. –
 
Il biondo afferrò il fucile non nascondendo una certa aria sospettosa e tornò a ripetere il gesto iniziale: sfilò gli occhiali e guardò all’interno del mirino, passando poi a fissare Chion con sincera ammirazione.
 
- Sei stato grande. -
 
Chion alzò appena le spalle e accennò un sorriso: - Mi piace quel che faccio, tutto qui. –
 
Un forte bussare alla porta dell’armeria e una voce acuta fece sobbalzare i due, che scossero poi la testa nel riconoscere Ame e i suoi modi sempre decisamente poco graziosi. La ragazza entrò spalancando la porta e rivolgendosi a loro in spagnolo e con un pessimo accento.
 
- Tu presencia ed requerida ¡Vamos vamos! -
 
- E ora che sarà mai questa novità? – borbottò Leaf verso Chion.
 
- Ah non chiedermelo, sarà un’altra delle sue fisse passeggere. – Rispose l’altro, ormai rassegnato alla bizzarria dell’amica.
 
La Corte
 
Ryurik si era ambientato nel suo nuovo appartamento. Avevano scelto per lui una casa distante dal caos della piazza centrale, munita di ogni genere di confort possibile e il ragazzo non aveva nemmeno provato a fare il falso modesto e informare Nadia che tutte quelle attenzioni fossero eccessive: Ryurik amava le comodità, perché avrebbe dovuto mentire?
Ma c’era un’unica cosa al mondo che amava fare di più che starsene sdraiato con malavoglia su qualche superfice soffice e fu immensamente contento quando si rese conto di poter sublimare quella sua passione anche alla Corte. Era in questo giardino d’inverno attaccato al piccolo villino di legno, che si trovava in quel momento; con le mani sporche di gesso, gli occhi del più tenue verde marino scivolavano lungo il calco a cui stava dando vita. Guardò con soddisfazione la concavità striata, immaginando cosa sarebbe uscito fuori da essa; nell’osservare il suo lavoro, il mago percepì uno strano senso di felicità cavalcargli nel petto. Lui, che i sentimenti li rifuggiva come fossero fuoco ardente, non riusciva a fare a meno di riempirsi con tutte le sensazioni che scolpire provocava in lui.
Purtroppo quella piacevole sensazione si frantumò in mille pezzi quando sentì un lieve bussare alla porta di vetro del suo studio. Sospirò profondamente, ripulì le mani con uno strofinaccio candido e aprì la porta ad Ajax. La Sentinella piegò un braccio dietro la schiena e portò il pugno destro al cuore, poi si piegò appena. Ryurik inarcò un sopracciglio e chiuse i lunghi capelli in un alto cipollotto improvvisato.
 
- Voi fate tutta questa cosa formale ogni volta che vi vedete? -
 
Ajax si sentì punto nel vivo; avrebbe voluto rispondere a tono a quel ragazzo così fastidiosamente schietto, dall’aria perennemente svogliata di chi pensa “oggi non mi va”. Non lo aveva digerito fin dal primo momento, ma sapeva che c’erano dei motivi se Nadia aveva accettato la sua presenza all’interno della Corte, concedendogli per altro il ruolo di Sentinella senza metterlo alla prova nemmeno una volta. Che fosse per le sue capacità (ai suoi occhi molto nascoste), o perché aveva i contatti giusti, fatto sta che Ajax si trattenne dal rimbeccarlo. Tese la bocca in una linea rigida, prima di parlare: - Sono stato mandato a prenderti; Jude richiede la tua presenza. –
 
- Jude può aspettare, io sto facendo la mia arte nella mia mattina di libertà. Se non hai altro da fare puoi rimanere se vuoi, magari ti uso come modella. -
 
Il viso di Ajax avvampò: - Emh, modello, semmai… -
 
Ryurik agitò una mano con noia: - Quello che è. Comunque sono in bolla ora. –
 
Ajax sospirò con profondità e seguì Ryurik all’interno dello studio. Passò rapidamente in rassegna ciò che esso conteneva, concentrandosi sul calco di gesso sul quale, suppose, il mago stesse lavorando in quel momento così, trovando la forza necessaria a mantenere la calma, tornò a rivolgersi a lui: - Mi spiace, ma non mi è concesso andarmene fin quando non ti avrò portato da Jude. Sai, quello che dice il nostro capo è come se lo dicesse Nadia in persona, se capisci cosa intendo. –
 
- Quindi mi dici che mi costringi a venire con te, dico il vero? -
 
Ryurik roteò gli occhi al cielo e prese a borbottare qualcosa in russo, lingua assolutamente incomprensibile a Ajax, sebbene il ragazzo dedusse che non stesse dicendo nulla di buono, visto il tono infastidito.
 
- E va bene, vengo. Tu però non stare lì come palo e aiutami a rimettere cose a loro posto: non sopporto che nel mio studio ci sta tutto questo caos. -
 
Ajax tentò di replicare ma non fece nemmeno in tempo a farlo, in quando il bel mago gli smollò fra le braccia i suoi strumenti del mestiere, ordinandogli di sistemarli in quell’armadio laggiù.
 
Orfanotrofio Strong
 
Izzie aveva provato a visualizzare la più vasta rosa di scenari possibili, ma le risultò comunque alquanto complicato non mostrarsi destabilizzata, davanti a ciò che stava guardando in quel momento. Quello che aveva immaginato essere un bel giardino rigoglioso, attrezzato con giochi e ricamato da vivide piante –come quelli a cui era abituata alla Corte- non era che un miraggio. Al suo posto trovò una distesa di cemento colato, spaccato in più punti e privo di  qualsiasi colore. Qualche ragazzo giocava con la palla, ma principalmente i gruppetti di ragazzini smagriti e tristi se ne stavano chiusi in piccoli circoli, a farsi gli affari loro, senza alcuna voglia di giocare. Izzie si chiese come fosse possibile che quella fosse la loro ora di creatività, come l’aveva definita quel Mauritius.
Quando quest’ultimo aveva cacciato un urlo, annunciando il loro arrivo, Izzie provò una voglia matta di nascondersi il più velocemente possibile, divorata dai sensi di colpa nel comprendere, prima di quanto fosse umano, quanto la sua fosse stata la vita di una bambina privilegiata, circondata dall’amore della sua famiglia e inserita all’interno di un contesto idilliaco, quale quello della Corte. Tutti quanti, dai bambini più piccoli, ai ragazzi vicini alla sua età, si erano voltati per osservarli, mentre Lir si era già incamminato verso un gruppetto di adolescenti.
Izzie rimase per qualche momento ad osservare la Sentinella che aveva mutato totalmente il suo atteggiamento : Lir si era vestito di un’aura di alterigia, come se brillasse di luce propria e aveva cominciato ad analizzare alcuni ragazzi che evidentemente conosceva già. Artemisia, intanto, aveva richiamato altri dei piccoli ospiti dell’orfanotrofio, che erano corsi da lei con occhi sgranati e sorriso sulla faccia. Anche in questo caso era cosa ovvia che lei li conoscesse tutti.
Mentre Artemisia distribuiva dolci che ragazzini e ragazzine divoravano con voracità, Izzie tentò di farsi da parte, limitandosi ad osservare in silenzio il lavoro di reclutamento di Lir.
 
- Io posso riuscirci, sto migliorando tantissimo! -
 
Lir squadrava una vecchia conoscenza; Roman era un ragazzo che lui aveva visto crescere, dal costato sporgente, una spolverata di corti capelli rossi e una determinazione che poche volte aveva scorto in qualcuno. Gli stava mostrando come riuscisse a manipolare i liquidi; una qualità notevole, che Lir pensò sarebbe stata molto utile per Nadia e la sua Comune.
Al suo fianco c’era un ragazzo più basso e ancora più magro, che si lamentava apertamente dell’arrivo di Lir.
 
- Stavamo finendo una discussione, cazzo. Ci mancavi solo tu. – Sputò senza remore nei confronti del reclutatore. Quest’ultimo sghignazzò, prima di rivolgersi a lui: - E secondo te io sono contento di passare il mio tempo qui dentro? Ma se sono qui è per capire se fra di voi c’è qualcuno di abbastanza capace, in grado di avere la possibilità di lasciarsi alle spalle questo posto schifoso, come al tempo ho fatto io. -
 
- Tzk, a me non frega un cazzo di venire a vivere in quella fogna infiocchettata. Te la puoi anche tenere. – il ragazzo alzò il dito medio, poi informò l’amico che lo avrebbe aspettato dentro e dando loro le spalle, se ne andò.
 
- Scusalo Lir… lui non sa quello che dice, è un po’ toccato, eh. Però gli si vuole bene. -
 
Lir fissò il più piccolo rientrare nell’edificio e fu istintivo portare una mano al collo, attorno al quale era allacciato un piccolo ciondolo di ferro, rappresentante una volpe.
 
- Conoscevo una persona come lui. Anche lei viveva qui e anche a lei non importava di spostarsi alla Corte. – Gli occhi chiari di Lir, persi fino a qualche istante prima nel punto in cui aveva visto sparire l’orfano, tornarono a fissare Roman: - Non so dirti se fosse stupida, matta o fottutamente geniale; però posso dirti questo… - Lir affondò le mani nelle tasche dei pantaloni e diventò incredibilmente serio: - Non so nemmeno se sia ancora viva, o se sia stata divorata dalle Terre di nessuno. Se avesse puntato alla Corte, sono certo che ora sarebbe qui a chiacchierare con noi. Pensaci bene. -
 
Roman  scrollò la testa con energia e strinse i pugni con vigore: - Scherzi?! Farò di tutto per meritarmi un posto alla Corte! Se lui non vuole, che si fottesse, peggio per lui! –
 
Lir allungò una mano a stringere la spalla di Roman; dovette farsi forza per non fare una smorfia, quando percepì quando esposte fossero le sue ossa e per un attimo tornò anche lui a essere il ragazzino mal nutrito, pronto a tutto pur di emanciparsi dalla pessima condizione di orfano dello Strong.
 
- Non vorrei interrompervi, ma volevo portarti questo, prima che ci pensino i tuoi amici a farlo sparire. -
 
Lir e Roman si voltarono alla loro destra e trovarono Artemisia, con un sorriso gentile e una mano tesa con sopra un grande muffin. L’orfano sgranò gli occhi e afferrò il dolce, mormorando parole ricche di gratitudine nei confronti della strega che, proprio come lui, era stata un’ospite dello Strong. Mentre Roman divorava il muffin, le Sentinelle si scambiarono uno sguardo d’intesa, perfettamente consapevoli di cosa stesse pensando l’altro in quel momento. La fame, come la rabbia e la solitudine che l’orfanotrofio aveva elargito loro, non avrebbero potuto dimenticarle mai. In fondo solo chi era cresciuto lì poteva davvero rendersi conto di cosa volesse dire. Per questo all’unisono cercarono Izzie con lo sguardo, che era circondata da un mucchio di ragazzini che cercavano di strapparle di dosso l’ingombrante e usurata giacca da aviatore che indossava.
 
- Sarà meglio che vada a salvarla. Tu continua pure a fare il tuo giro. Speriamo che il prossimo mese qualcuno di loro possa raggiungerci alla Corte, perché questo posto non se lo merita nessuno al mondo. – Disse Artemisia, prima di correre verso Izzie.
 
Quartier Generale
Sala riunioni
 
- C’è un mare di lavoro da fare qui. Come è possibile che ci siamo ridotti in questa maniera? -
 
Mentre Jabal tentava di ordinare il caos che infestava l’enorme tavolo circolare della sala grande delle riunioni, trattenendosi dall’impazzire, Mångata teneva le mani sulle orecchie e lo osservava con occhi sottili. Resosi conto che stesse parlando da solo, l’uomo abbandonò un grande plico sul tavolo e guardò la giovane con una certa perplessità:
 
- Tutto bene? – Chiese poi, sinceramente preoccupato per lo strano atteggiamento di lei.
 
- Tutto bene. – Ripeté Mångata, continuando a fissare la bocca di Jabal, fin quando questo non  mosse dei passi per raggiungerla; a quel punto la ragazza staccò una mano dall’orecchio e la spianò davanti a sé: - Fermo! Devi rimanere a distanza, altrimenti è tutto lavoro inutile! -
 
- Ma di cosa stai parlando? -
 
- Ma riposa sai andando… ma riposa sai andando? No, non ha affatto senso. – Sospirando, Mångata abbassò le mani, decisa infine di dare spiegazioni all’uomo. – Sto tentando di imparare il labiale, ma lo trovo decisamente più difficile di quanto sospettassi. -
 
Jabal portò una mano sul cuore e sospirò con enfasi: - Per fortuna, credevo stessi impazzendo e non avevo intenzione di portarti in infermeria prima della sistemazione di Dimma; credo mi avrebbe sparato un paio di colpi, sai? E io ho ancora bisogno delle mie gambe. – Poi sorrise, intanto che tornò a sistemare alcuni documenti: - E come mai stai cercando di imparare il labiale? È un hobby curioso, sai? –
 
- In realtà ho pensato che sarebbe stato utile in missione; può capitare di dover stare in silenzio con qualche compagno, oppure di spiare delle Sentinelle troppo distanti per capirne bene le parole. – Mångata alzò le spalle –Credo ci sia bisogno di ampliare quanto più possibile le nostre abilità. -
 
- E brava ragazza, effettivamente non hai tutti i torti, sai? -
 
- Vediamo, per ora ci sto prendendo confidenza. – Rinunciato al suo allenamento giornaliero, Mångata si decise ad aiutare Jabal nel suo riordinare, anche se pochi minuti dopo dall’aver iniziato, si distrasse con un volume di artiglieria e tattica militare che era stato inglobato dalle carte che ricoprivano il tavolo. Inutile fu il tentativo di Jabal di attirare di nuovo la sua attenzione: Mångata si era ritirata in un angolo della stanza e si era messa a leggere con avidità. Tornò alla realtà solo quando sentì la porta della sala aprirsi: il primo a mettere piede lì dentro fu Sonne, affiancato da Ame che lo stava rimbambendo con una parlantina spagnola piuttosto grossolana, seguiti da Chion e Leaf. A quel punto Mångata chiuse il volume e si avvicinò al gruppo con entusiasmo.
 
- Finalmente questa benedetta riunione! Non ne potevo più di aspettare! -
 
Sonne si guardò intorno con cipiglio evidente, infine puntò lo sguardo in quello di Jabal: - Amico, abbiamo una concezione molto diversa di ordine. –
 
- Ah, parlane con la piccoletta lì, che ha pensato bene di passare tutto il tempo a leggere, invece di darmi una mano. -
 
- Spione! – soffiò Mångata, per poi regalare un delizioso sorriso a Sonne, intanto che giocava con i suoi lunghissimi capelli sciolti: - Che ci posso fare, quel libro era lì e mi stava richiamando, non potevo non sfogliarlo almeno un po’. -
 
- Ci conosciamo da quanto… nove anni? Hanno mai funzionato le moine, con me? -
 
Sonne portò le mani dietro la schiena e la osservò mettere il broncio: - Ma io… - Poi, decisa a cambiare strategia, incrociò le braccia e inarcò un sopracciglio: - E allora vogliamo parlare di te? Guarda che ti ho visto startene spaparanzato a leggere non più di un’ora fa. -
 
- Vipera. – Sussurrò Sonne, ma non risparmiandole un sorriso così, deciso a cambiare argomento, batté un paio di volte le mani e si rivolse agli altri quattro: - Insieme ci metteremo poco a sistemare, l’importante è che ognuno di noi faccia qualcosa… Liv! Metti subito giù l’accendino! -
 
- Umpf! Era solo per eliminare il superfluo! -
 
La Corte
Magione di contenimento
 
Vista da fuori, la magione di contenimento incuteva timore: un edificio di grandi dimensioni che cozzava con l’armonia del resto della comune; visto dall’alto la sua forma era quella di un esagono grigio, capace di inghiottire i colori dei prati che lo circondavano. Il perimetro era recintato da una barriera di rete metallica e filo spinato e a nessuno veniva permesso di entrarvi, se non chi era autorizzato dal capo delle Sentinelle. L’edificio era tenuto sotto stretta sorveglianza e fuggire da lì era praticamente impossibile. Più si avvicinavano, maggiore era la curiosità di Ajax; il ragazzo allungava occhiate a Ryurik, sicuro di vedere un qualche tipo di reazione spuntargli sul viso. Ma contro ogni previsione, il mago non disse nulla. Non un solo sussurrò uscì dalla sua bocca e le sue sopracciglia rimasero dritte, a sovrastare gli occhi cuciti in pallida noia.
 
- Ebbene? Non hai nulla da dire? -
 
Ajax manteneva sempre il controllo, ma da quando aveva iniziato ad avere a che fare con quel mago dalle origini gelide, capitava sempre più spesso che sentisse moti di rabbia muoversi nel ventre. Alla sua domanda Ryurik inclinò leggermente il capo a destra, smuovendo i lunghi capelli scuri, poi schiuse le labbra: - Umh, no, non devo dire niente. –
 
- Questo posto è stato costruito per volontà di Nadia ben prima di tirare su le abitazioni dei futuri abitanti della Corte; è una prigione munita di ogni precauzione affinché ai galeotti non sia permesso scappare. -
 
- Capisco. Ci sta una così anche nella comune di mia madre, a lei piace chiuderci dentro chi… come si dice… disubbentra? -
 
- Disubbidisce. – Lo corresse con pazienza Ajax.
 
- Esatto. Non mi pare che è speciale questa qui, solo un posto di morte come tutti gli altri. – Con quella sentenza, Ryurik anticipò il passo e giunse davanti la Sentinella a guardia della cancellata. Ajax lo seguì stringendo le labbra. Decisamente no, non sopportava la saccenteria di Ryurik, come non mandava giù il fatto che ogni volta sembrasse sminuire l’incredibile lavoro della Governatrice.
Nemmeno quando scivolarono nel seminterrato della magione, dove la luce era fioca e il freddo si faceva più pungente, Ryurik mostrò alcun tipo di emozione. Solo quando incontrarono Jude, il ragazzo finalmente sorrise e agitò la mano in segno di saluto.
 
- Spero che questo richiamo è importante. Questa è la mia mattina libera e voglio tornare a fare le mie cose. -
 
Ajax era pronto a scommettere che Jude si sarebbe imbestialito davanti alla schiettezza di Ryurik, ma il capo delle Sentinelle non parve minimamente scosso; al contrario, con sua enorme sorpresa, Jude si scusò con Ryurik per averlo disturbato.
 
- Questa è una cosa molto importante. Ti ho già parlato di Stafford Rowley e sai quanto sia particolare il nostro prigioniero. -
 
Ryurik annuì: - Arriva al punto: cosa vuoi che faccio? –
 
Jude fece strada ai due lungo il corridoio: - Sappiamo che Safford non reagisce ai nostri poteri. Ciò nonostante il tuo è davvero molto particolare e lui non ha mai avuto a che fare con nulla di simile, non che io sappia, almeno. Ragion per cui… - Jude arrestò il passo e da sotto la giacca estrasse la sua bacchetta, che agitò in direzione del collare di Ryurik, che si slacciò all’istante. Con un altro movimento di bacchetta l’oggetto fluttuò nelle sue mani. Il mago si tastò il collo, così aggrottò le sopracciglia: - Vedo che tu puoi usare quella tua bacchetta. –
 
Jude non rispose, mentre Ajax tentò di mascherare un sorriso soddisfatto, dinanzi l’evidente fastidio provato da Ryurik.
 
- Ci vorrà poco. – Il capo delle Sentinelle mosse qualche altro passo fino a giungere davanti all’ultima porta di ferro del corridoio. Una volta aperta, Ajax e Ryurik si trovarono davanti l’immagine di un uomo di bell’aspetto, ma coperto da ecchimosi  e piccoli tagli ormai rimarginati; fra di essi era ben visibile una cicatrice che divideva il labbro superiore. L’uomo, seduto sulla branda, con i polsi allacciati da un paio di manette, alzò lo sguardo torvo nella loro direzione, facendolo saltare dall’uno all’altro per poi soffermarsi proprio su Ryurik. Quest’ultimo non sentì nulla, nemmeno quando si concentrò solo sulle emozioni del prigioniero, escludendo dalla sua mente sia Ajax che Jude.
 
- Niente. – Disse laconico Ryurik.
 
- Prova ancora. -
 
Ryurik stava tentando di nuovo, quando sentì il prigioniero trattenere a stento un gemito di dolore e poi il suo sguardo venne catalizzato da una piccola chiazza che si spandeva sulla manica destra.
 
- Si ferisce ogni volta che qualcuno prova a usare un potere su di lui. È un maledetto scudo… non è vero Staffy? -
 
- Spiacente Jude… puoi sempre ritentare la prossima volta… - Un lieve ghigno sporcò il viso di Stafford e bastò quello a far scattare qualcosa in Jude. Il Capo delle Sentinelle si avventò su Stafford, afferrandolo per il collo e schiantandolo contro la parete della cella.
 
- Sei un idiota, ecco quello che sei! Finirai per morire qui dentro, lo capisci o no?! -
 
- Capo! Non farlo! – Ajax si lanciò contro Jude e lo trattenne con forza, per evitare di fargli compiere un gesto avventato; Ryurik, però non riuscì a fare nulla: in quel momento era pietrificato, affogato dall’emozione dell’ira scaricata da Jude. I suoi occhi si spalancarono e il corpo cominciò a tremare. Poi accadde qualcosa che Ryurik non provava da molto tempo. Percepì come se l’ira prendesse forma, acquisendo solidità dentro il suo corpo. Il mago si strinse lo stomaco con le braccia e cadde in ginocchio, cominciando ad annaspare e poi a tossire, nel tentativo di liberarsi di quell’odiosa e pericolosa sensazione tangibile.
E Jude, contemporaneamente, sentì con distinzione la rabbia accecante affievolirsi, fino a farsi piccina piccina e rintanarsi nel suo più intimo angolo della mente. Sbalordito, accolse la calma come fosse una madre premurosa nel cullare il suo piccolo; anche Ajax dovette accorgersi che Jude si fosse calmato, perché allentò la presa fino a lasciarlo totalmente libero. Stafford accennò una risata roca, sputò sangue e si rivolse a Jude: - Controlla il tuo amichetto, non credo stia bene. –
 
In quel momento Jude si allontanò da Stafford per calare su Ryurik; lo afferrò per le spalle e lo scosse appena: -Ryurik, stai bene? Ryurik… dannazione. Ajax, portiamolo via e che nessuno ci veda! –
 
Stafford, definitivamente ignorato da Jude, lo osservò portare via quel ragazzo dai capelli lunghi, aiutato dall’altra Sentinella. Quando la porta della sua cella si chiuse con violenza, Stafford si concesse di sorridere nonostante la ferita che pulsava sul braccio destro.
 
Quartier Generale
Sala riunioni
 
Quella era il genere di situazione che faceva andare fuori di testa Chion e dal quale il ragazzo si sarebbe volentieri tirato fuori. La Sala riunioni, difatti, sovrabbondava di Ladri in vena di alzare la voce. Fortunatamente almeno i piccoli del Quartier Generale erano troppo stanchi per tentare di entrare – come sempre accadeva quando gli adulti si assembravano per fare le cose da grandi-, così Skog e un nutrito gruppo di volenterosi genitori si stava occupando di intrattenerli lontano dalla sala riunioni. Ora bisognava occuparsi dei grandi. Sonne, seduto scompostamente su una delle sedie, osservava Mångata battibeccare con Yuki e Atlas, affiancato dalla sua ragazza pronta a dargli manforte nella discussione. Vulkan se ne stava a braccia conserte al fianco di Chion e Mawja, una dei Ladri più anziani, che da qualche tempo si limitava ad aiutare con l’organizzazione delle missioni assieme a suo marito Dam, anche lui troppo anziano per affrontare le Terre di nessuno. Jabal, Dimma e Oleander discutevano sui progetti dell’uomo, che a detta delle due streghe procedevano troppo a rilento, mentre Ame si massaggiava l’incipit del naso.
 
- Allora? Vogliamo iniziare questa cazzo di riunione? -
 
- Già. – Alle parole di Ame, che miracolosamente portarono l’affievolirsi delle voci dei presenti, Oleander inclinò il capo e puntò lo sguardo in quello di Sonne: - Già. Ci vuoi dire finalmente perché siamo qui e per quale motivo tutte le missioni sono state annullate? -
 
- Concordo. Pretendo di sapere perché diamine siamo costretti a stare chiusi qui! – Intervenne Atlas, indicando il pavimento con l’indice con un gesto eloquente. In quel momento tutte le attenzioni erano su Sonne; quest’ultimo prese a oscillare sulla sedia, facendo leva con gli anfibi puntati contro il bordo del tavolo.
 
- Umh… in realtà… no. -
 
- No… cosa? – Chiese Yuki, invero molto perplessa.
 
- Ho pensato che è meglio non vi dica come mai vi sto per chiedere di fare quello che faremo. -
 
- Perfetto, questa mattina si è svegliato criptico. – Il tono masticato di Vulkan non sfuggì alle orecchie di Sonne, ma il ragazzo fece finta di niente e continuando a ondeggiare sulla sedia, avvicinò i polpastrelli delle mani e cominciò a tamburellarli fra di loro, mentre gli occhi passavano in rassegna i presenti.
 
- Vi ho chiesto di rimanere qui perché ho bisogno di quante più persone possibili per una missione importante, molto… importante. – Sottolineò.
 
- Ma quindi tutto questo non c’entra nulla con… - Ame venne zittita da un gesto secco di Sonne, che la guardò poi con intensità. – Ti avevo chiesto una cosa, ricordi? -
 
- Ops… scusa, dicevi? – Tergiversò lei, così che Sonne tornò a parlare: - Vediamo un po’… mmm… ci sono. Ollie, Ame, Dimma, Leaf… voi quattro farete squadra. -
 
- Potresti essere un tantino più specifico? – Chiese Dimma, con le braccia incrociate e un sopracciglio inarcato.
 
- Più specifico? E va bene… allora diciamo che fra tre giorni voi quattro andrete alla Corte. Dimma sceglierà l’entrata che preferisce. Quello che vorrei che faceste è far esplodere il silo più grande, ma anche qualcos’altro andrà bene. L’importante è che facciate più casino possibile.
 
- Incendio! Yeah! – Esultò Ame, mentre Oleander e Leaf chiesero in coro il motivo di un’azione simile.
 
- Fidatevi di me, l’importante è che facciate esplodere qualcosa di molto grande. – Sonne chiuse le dita e poi le stirò: - Boom. -
 
- Sonne… cosa diavolo stai dicendo? – Yuki assunse la sua espressione più preoccupata.
 
- Quel che ho detto vi deve bastare. L’importante è che vi organizziate fra di voi la mattina stessa dell’incursione. Solo prima di partire Ame verrà da me e mi dirà ciò che avete deciso. -
 
- E noi altri? – La voce di Vulkan vibrò nella stanza, così Sonne espose il sorriso, mettendo in mostra il diastema fra gli incisivi: - Voi verrete con me. -
 
- Perché? – Chiese Mångata.
 
- Non posso dirvelo. – Rispose Sonne.
 
- Quando? – Domandò cauto Chion.
 
- Non posso dirvi nemmeno questo perché… beh, non so nemmeno io quando. Ma fidatevi di me, so quel che faccio. -
 
- Non voglio mettere in discussione la tua parola, ma è evidente che non sia vero, amico mio. – Leaf assottigliò gli occhi coperti dagli occhiali da sole e accennò un sorriso in direzione di Sonne, che scoppiò a ridere d’improvviso, raggelando tutti tranne Ame, che continuava a starsene tranquilla al suo fianco e a sognare ad occhi aperti di incendi spaventevoli.
 
- Effettivamente mi rendo conto che da fuori possa sembrare che non sia così, però è davvero molto importante, in questo momento, affidarci quanto più possibile al caso. C’è una cosa davvero vitale che dobbiamo fare lì dentro e non possiamo permettere che lei riesca a prevenire le nostre mosse. E con questo ho detto tutto. Se non avete altre domande e per inciso, parlo di domande a cui pensate che io possa dare una risposta, direi che questo è quanto. – Sonne lasciò scivolare i piedi a terra e si alzò – Durante questi tre giorni è assolutamente vietato confrontarvi fra di voi; qualsiasi tipo di organizzazione è proibita. -
 
- Quindi cosa diavolo dovremmo fare per tre giorni?! – Oleander spalancò le braccia e sgranò gli occhi, mentre seguiva Sonne che raggiungeva pigramente la porta della sala riunioni. Il mago si fermò poco prima di spingere la maniglia e alzò le spalle: - Non ne ho idea, fate quello che vi piace fare: mangiate, divertitevi, ballate; chi può faccia sesso. Lo farei anche io ma continuo a ricevere due di picche. -
 
Dimma alzò un dito medio nei suoi confronti e Sonne concluse: - Insomma, l’importante è che non pensiate per nessun motivo a quello che ci siamo appena detti. E ora scusatemi, vado a farmi una birra. –
 
- Vengo con te. – Jabal seguì Sonne lungo il corridoio, borbottando che aveva proprio bisogno di bere qualcosa. Gli altri rimasero a guardarsi per un po’ e infine tutti lasciarono la stanza, tranne Ame e Vulkan che si lanciarono uno sguardo d’intesa. Entrambi sapevano di sapere, ma era bene tacere e fare come aveva detto Micah, se desideravano avere anche solo una piccola possibilità che il piano funzionasse.
 
La Corte
Residenza di Nadia
 
- Tesoro, dai un’occhiata a questa per piacere. -
 
Nadia si avvicinò a Etienne, trattenendo una lettera fra le mani; il marito era seduto alla scrivania del loro ampio e luminoso salone, occupandosi di rispondere a una delle Corti del sud. Alida, nel frattempo, esaminava ogni risposta ricevuta da Nadia: aprile era alle porte il che voleva dire che giugno fosse sempre più vicino, ragion per cui avevano bisogno di stringere la morsa sull’organizzazione della festa del raccolto, se non volevano incappare in qualche imprevisto.
 
- Mmm… l’Africana del sud… - Etienne esaminò la minuta scrittura francese: - Chiedono un aiuto per affrontare il viaggio, cherie. -
 
- Stessa cosa per l’Oceanica. Come siamo messi a risorse umane? -
 
Etienne sistemò gli occhiali sul viso, così incrociò le braccia e continuò a guardare la lettera abbandonata sulla scrivania: - Ci sono centinaia di Sentinelle destinate a controllare le vie terrestri della Corte, ma temo sarà necessario organizzare anche delle flotte per le ispezioni marine. Non dobbiamo dimenticarci di quanto è successo quattro anni fa. –
 
- I sovversivi del Giappone. – Nadia si massaggiò la fronte: - Ci hanno fatto uno scherzo bello e buono. No, non possiamo assolutamente permettere che succeda di nuovo; dobbiamo immediatamente scrivere alle Grandi Comuni e chiedere maggiore collaborazione da parte loro, altrimenti potrebbe finire molto male questa volta. -
 
Le parole dei coniugi arrivavano nitide alle sue orecchie, nonostante ciò l’attenzione di Alida non era certo concentrata su di loro; più esaminava le missive, maggiore era la sensazione di straniamento che percepiva intorpidirle i sensi. Per un attimo la testa prese a girare e Alida strinse in automatico i pugni, afflitta dalla stanchezza dovuta al lavoro certosino commissionatole da Nadia. Aveva bisogno di riposarsi, ma non aveva il coraggio di chiederlo. Tastò alle sue spalle ricercando la sedia che tirò a sé e sedette con cautela, stando bene attenta a non attirare l’attenzione; avrebbe riposato solo un pochino, giusto il tempo di riprendere le energie necessarie per potersi concentrare a dovere.
 
- Che orrore… quell’esplosione ha causato centinaia di vittime e affondato tutto il raccolto che stavano trasportando. -
 
Esplosione.
 
Quella parola fu come uno spietato detonatore, per Alida. Un attimo prima stava riprendendo forza mentre sudori freddi le imperlavano la fronte, mentre un attimo dopo Alida non era più lì: I suoi occhi furono illuminati da luce torrida e mortale e un boato ovattò le orecchie e fece tremare la terra sotto i suoi piedi. Poi le fiamme divamparono intorno all’edificio che non riuscì a distinguere con precisione e il calore di esse divenne insopportabile.
 
Etienne e Nadia furono interrotti da un urlo agghiacciante; in un attimo furono accanto a Alida, la quale si era alzata di scatto dalla sedia e si era addossata alla parete, mentre le mani sfregavano le braccia e le lacrime inondavano gli occhi, diventati bianche sfere opache.
 
- Brucia! Tutto brucia! – Gridò la Sentinella, il volto sfigurato dal grido disumano. Etienne e Nadia si guardarono con preoccupazione, così la Governatrice la afferrò per le spalle e puntò gli occhi in quelli assenti della giovane.
 
- Alida, sono qui! Cosa succede? -
 
Alida si addossò ancor più alla parete e scivolò lentamente verso il basso, continuando a sfregarsi le braccia e gridare. Nella sua mente l’immagine del fuoco era vivida, eppure con lentezza quello parve farsi meno intenso, meno reale, intanto che sentiva dapprima come un ronzio, poi più concreta, la voce di Nadia richiamarla alla realtà. Un ansito feroce, poi flebile parole uscirono dalla bocca morbida di Alida; Nadia vide i suoi occhi mutare, dividendosi nuovamente nei cerchi di pupille e iridi.
 
- Cosa hai visto?! Etienne, porta dell’acqua, fa presto. -
 
Alida afferrò il bicchiere portato da Etienne con mani tremanti, faticando ancora ad assopire il tremore che la pervadeva. Era terrore puro, quello che riconobbe Nadia; ma la Governatrice non parve particolarmente sconvolta e non si risparmiò di insistere, tornando a stringere le spalle della giovane strega dopo essersi chinata alla sua altezza. Dopo aver trangugiato un primo bicchiere d’acqua Alida ne chiese un secondo, che Etienne le versò. Nadia, invece, si mostrava impaziente nel capire cosa avesse visto.
 
- Fuoco… un, un’esplosione… - pigolò tremula, poi incastonò di nuovo lo sguardo spaurito in quello rigido della Governatrice: - Un attacco… verranno alla Corte. Credo… credo che faranno esplodere il silo dei cereali… tre giorni. – Queste le poche parole che riuscì a pronunciare con stanchezza Alida, prima che tutto diventasse buio.
 


 
Buon anno a tutti cari lettori! Immagino che le vostre vacanze, come le mie, siano state insolitamente tranquille. Di mio posso dirvi che ho amato il capodanno, festa che odio con tutte le mie forze e che finalmente non sono stata costretta a passare festeggiando e facendo finta di essere allegra e felice.
Bene, so che questo terzo capitolo è stato l’ennesimo capitolo di presentazione, ma come avrete intuito dal prossimo capitolo inizierà ad esserci parecchia azione, ragion per cui godetevi la tranquillità finché potete.
 
Ho una bella domanda per voi: come è mia usanza, anche questa volta si parte con l’indagare i personaggi protagonisti di questa storia, ragion per cui vi chiedo di votare (IN PRIVATO) due OC che vorreste approfondisca nel prossimo capitolo. Di seguito vi lascio la lista da cui pescare. Vi chiedo inoltre di non votare il vostro OC.
 
Ajax
Ame
Leaf
Lir
Mångata
Yuki
 
 
Poi.
Per chi mi segue su instagram questa non sarà una novità: su IG ho già pubblicato due piccolissimi estratti della vita di alcuni personaggi e credo che questa cosa accadrà anche in futuro. Per ora li condivido qui sotto; se ne volete ancora, basterà chiedere! Comunque per vedere collage, leggere estratti e fare due chiacchiere, vi ricordo che potete seguirmi, mi trovate con il nick bri_efp
 
Per ora è quanto, aspetto i vostri voti.
 
Bri
 
 
 
Il Mercato
 
 
Non c'era luogo, in quel mondo spezzato su cui camminava, che Ame amasse di più dei mercati illegali. Nelle Terre di nessuno essi sbucavano come piccole e tenere piantine nelle aree desertificate, a seguito di un'improvvisa pioggia torrenziale. Il paese dei balocchi, questo rappresentava per lei. Perdersi in quel paradiso di bugigattoli improvvisati negli scheletri di qualche casa diroccata, affondare il naso in oggetti dal sapore consumato, analizzare i ninnoli nel tentativo di capire cosa avrebbe potuto farci, come sarebbero potuti diventare, faceva vibrare il suo corpo di salubre eccitazione.
 
- Piantala. - la rimbeccò Sonne, tirandola via per la collottola mentre Ame, con occhi sgranati e sorriso inebetito, stava rigirando fra le mani la cornetta di un telefono babbano.
 
- Prima di tutto hai già comprato troppe cose inutili, secondo poi...- Sonne la fece roteare su se stessa, picchiettandole poi la fronte con l'indice - ... Non hai oro, né nulla con cui scambiare questa robaccia. Come pensi di pagarla?-
 
Ame, sullo sfondo il tripudio di colori formato da tessuti e mobiletti sbilenchi, strinse al petto il vecchio telefono. Sfoderò l'intera fila di denti, prima di rispondere che fosse stato necessario, avrebbe pagato in natura.
 
 
Storiella di Natale
 
 
“Carta, forbici, sasso!” Dissero in coro i due ragazzini, prima di mostrare all’altro il segno scelto. Micah guardò la mano del cugino con un’espressione di delusione sul volto e iniziò a sbuffare con una certa regolarità.
 
“Hai vinto ancora una volta, non ti batterò mai!” 
 
“Ma si che ci riuscirai! Dai, ne facciamo un’altra?” 
 
Ma Jude si rese conto che Micah non avesse più voglia di giocare; i suoi occhi chiari erano persi oltre la linea colorata delimitata dal prato in fiore che li accoglieva.
 
“Ehi, che ti succede?” 
 
“Mmm... “ il più piccolo tornò a guardare Jude di sottecchi.
 
“ Se te lo dico, giuri di non prendermi in giro?” 
 
Jude aggrottò le sopracciglia e lo guardò torvo, come a voler sottolineare con lo sguardo che non si sarebbe mai e poi mai fatto beffa di lui. Poi soffiò un “lo giuro”, così Micah, dopo aver annodato le mani con agitazione, prese coraggio e puntò di nuovo le pupille abbracciate da cerchi azzurri, nelle punte di spillo dell’altro. 
 
“ Ho sentito Staffy parlare di una festa... una festa che noi non conosciamo e che si svolgeva in quasi tutto il mondo, prima che la nonna, beh... insomma: la festa del Natale! Ne sai niente?”
 
Il biondino si grattò la nuca in un atto di forte riflessione, poi annuì: “La festa del Natale... si. Si festeggiava la nascita di qualcuno di importante, una sorta di messia, credo... e un signore ciccione portava i regali a noi bambini.” Jude parve pensarci sù, poi sorrise soddisfatto “ cioè a voi bambini, io sono grande ormai, ho dieci anni!”
 
Micah ignorò l’ultima affermazione dell’altro: “ E a quanto ho capito si prendeva un albero, piccolo però, e ci si mettevano sopra luci e palle colorate e lì sotto quel signore di cui parlavi ti lasciava i regali!” Il bambino si afflosciò sconsolato “Sarebbe stato bello se il Natale si poteva ancora festeggiare.”
 
“Potesse.” Lo corresse orgoglioso, Jude. Micah proseguì “E poi chissà che fine ha fatto quel signore che portava i regali.” Così sgranò gli occhi, terrorizzato “Forse è morto!”
 
 Jude, che era abbastanza convinto che quel grasso signore non fosse mai esistito, si mostrò comunque molto premuroso nei confronti del cugino, così tornò a parlare con estrema serietà “Comunque questa festa era a dicembre, mentre ora siamo ad Agosto. È presto per pensarci! Non vogliamo fare un altro gioco?”
 
Micah allacciò le ginocchia con le braccine secche e annuì piano e con poca convinzione. E no, Jude non lo poteva vedere in quello stato. Allora capì che c’era solo una cosa da fare: si avvicinò a Micah, gli strinse le spalle con un braccio e gli sorrise di cuore: “Facciamo così... quando sarà dicembre, ti prometto che faremo un albero come vuoi tu e che troverò quel signore ciccione per farti portare un regalo. Pensa a cosa vorresti però!” 
 
Il visino pulito di Micah si illuminò e il sorriso si allargò, scoprendo una bella finestra creata dall’assenza di uno degli incisivi, poi abbracciò Jude con tutto il vigore che gli era concesso.
 
“Grazie Jude! Sei il migliore!” 
 
Il più grande ricambiò l’abbraccio, poi sfregò la nuca del cugino e si raccomandò di non fare parola né con i genitori né con i nonni, riguardo a ciò che si erano detti. 
 
“ Ora basta quel muso triste però. Torniamo a giocare: carta, forbici sasso!”

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Capitolo 6
*** Come on baby, light my fire ***


CAPITOLO IV
“Come on baby light my fire”
 
 

“Dún do shúil, a rún mo chroí
A chuid den tsaol, ‘s a ghrá liom
Dún do shúil, a rún mo chroí
Agus gheobhair feirín amárach.”(1)

 
La voce di sua made, dolce e cristallina, arrivava alle sue orecchie mentre sentiva il tocco gentile delle dita di lei fra i riccioli scuri. Non c’era occasione che non venisse addormentato così, ogni volta che i genitori tornavano dalle loro missioni. La mente del piccolo Lir, che passava le giornate in loro attesa in compagnia del nonno, credeva che Saoirse e Liam Gillian fossero agenti segreti in missione; troppo piccolo per comprendere le dinamiche reali in cui i due ribelli erano implicati, non gli era mai stato specificato quale fosse davvero il loro ruolo all’interno del sistema. Ma di una cosa Lir era sicuro: che i genitori fossero grandi persone e che lottavano per sconfiggere il male.
Tornavano sempre e da ogni missione, Lir riceveva in regalo qualcosa ritrovato nelle Terre di nessuno, anche se il gioco che preferiva al mondo risiedeva in un bastoncino che lui stesso aveva provato a intagliare, che utilizzava come bacchetta.
Quando Saoirse e Liam non fecero più ritorno a casa, il piccolo sentì una crepa allargarsi al centro del petto. Suo nonno Aidan fece il possibile per consolarlo, anche se non aveva tempo a disposizione per spiegare al nipote cosa fosse accaduto davvero ai suoi genitori; quelli erano morti da ribelli e lui e Lir non erano più al sicuro in quella casa. Fu così che iniziò il loro peregrinaggio. Aidan faceva in modo di lasciare il piccolo da solo il minor tempo possibile, ma aveva anche bisogno di racimolare qualcosa per non morire di fame.
Fu così che l’uomo iniziò a spacciare finta metropolvere, assai rara ai tempi in cui il regime di Nadia brillava in tutto il suo splendore. Certo, il mestiere del truffatore era pericoloso e di pane in tavola ne riusciva a portare ben poco.
Lir, a soli sei anni, fu costretto a mettere da parte il dolore per la perdita dei suoi genitori e a sostituirlo con i crampi lancinanti che la fame comportava.
Ogni cosa, per il piccino, si trasformava in sostentamento; d’inverno si era trovato in più di un’occasione a raccogliere la neve sporca e immaginare di assaporare frullati di frutta esotica e quando non aveva null’altro, scavava i terreni aridi alla ricerca di radici.
Arrivò al punto, uno sfortunato giorno, di arrivare quasi a inghiottire sassolini, immaginando che quelli fossero caramelle colorate. Venne distratto giusto in tempo dall’arrivo di quattro uomini dall’aspetto minaccioso, che ignorarono lui e le sue grida: erano venuti per sistemare dei conti con Aidan, al quale strapparono via la vita a forza di calci e pugni.
 
“Lasciatelo stare!”
 
La disperazione prese il sopravvento, nel piccolo Lir; fu quella a muoverlo ad afferrare la bacchetta fasulla e ad agitarla contro gli assassini di suo nonno, che dapprima rimasero immobili, ma appena si resero conto che quello non fosse che un legnetto qualunque, non esitarono a tirarlo via dalle mani di Lir e a malmenarlo come avevano fatto pocanzi con Aidan.
 
“ So io un bel posto per questa bacchetta, ragazzino.” Ghignò uno dei quattro, mentre gli tirava giù i calzoncini consumati. Privato di ogni tipo di forza dalla fame, Lir non riuscì a fare nulla, se non tentare di lanciare qualche morso, poi tutto si fece buio.
 
Furono due Sentinelle a ritrovare il piccolo Lir, accucciato a pancia in giù, con ancora i calzoncini abbassati e un legnetto abbandonato al suo lato. Cosa fosse successo, nessuno fu in grado di capirlo, tantomeno il piccolo che venne svegliato da una Sentinella dalla voce gentile, che gli disse che lo avrebbe portato in un posto dove si sarebbero presi cura di lui.
Lir aveva sentito parlare degli orfanotrofi, luoghi che dai racconti non avevano fatto che fargli venire la pelle d’oca. Eppure l’ultima persona a cui voleva bene e che si prendeva cura di lui, giaceva a terra esanime; cos’altro avrebbe potuto fare?
Fu così che acconsentì a seguirli, troppo stanco e affamato per scegliere diversamente, troppo arrabbiato e sconsolato, avviluppato da una tristezza fastidiosa e violenta.
Capì ben presto che l’orfanotrofio Strong poteva fornirgli lo stretto necessario per sopravvivere, ma che nulla era regalato lì dentro. Sarebbe dovuto diventare forte, avrebbe stretto i denti e preteso una vita migliore per sé.
E avrebbe arraffato qualsiasi cosa gli avesse permesso di non morire di stenti.
 
 
28 Marzo
La Corte
 
Tre rintocchi sulla porta, di eguale intensità, non fecero dubitare Lir nemmeno per un momento su colui che si trovava al di là dell’uscio. Poteva infatti affermare di conoscere Jude come le sue tasche al punto da riconoscere il suono del suo pugno chiuso contro la porta.
 
- Sapevo fossi tu. – Così lo accolse Lir, accennando un sorriso che in un’occasione diversa sarebbe stato di certo più caldo, eppure la preoccupazione per Alida lo frenò dall’accogliere il suo amico con il solito fare entusiasta. Il capo delle Sentinelle passò le mani sul bordo della sua giacca: - Sta dormendo?-
 
Lir scosse la testa, così gli fece cenno di entrare: - Sono passato qualche minuto fa, è sveglia, anche se non se la passa troppo bene. –
 
I due salirono le scale e giunsero davanti alla porta della camera di Alida, per l’occasione lasciata socchiusa in modo che se avesse avuto bisogno di Lir, il ragazzo non avrebbe avuto difficoltà a sentirla. Fu Jude a mettere piede dentro la stanza per primo; il suo sguardo chiaro si soffermò immediatamente sul bozzolo avvolto dalle coperte pesanti. Soprassedette rispetto il caos che ingombrava la camera della ragazza: - Posso? –
 
Un fruscio di coperte, seguito da un lieve mugugno, lasciarono intendere ai due che era concesso loro farsi avanti. Lir rimase distante qualche passo dal letto, mentre Jude si avvicinò al lato sotto il quale, sospettava, fosse raggomitolata Alida.
 
- Ciao… - Mormorò lei, prima di far sbucare la testa bionda e fissare gli occhi cerchiati da occhiaie rosse, in quelli decisamente più riposati di Jude.
 
- Come ti senti? – l’uomo sedette al suo fianco senza chiedere il permesso, così Alida si tirò a sedere con non poca fatica, per poi tornare a guardarlo con sospetto: - Che vuoi? Sei venuto per conto di tua nonna? -
 
- Ma guarda tu che stronza. – soffiò Jude, per poi scambiarsi un’occhiata con Lir il quale scosse la testa e alzò le spalle: - Sai che quando sta così diventa particolarmente fastidiosa e insolente. -
 
- Ovviamente no, sono venuto a vedere come ti senti; non trattarmi come se non lo avessi mai fatto prima. -
 
Alida fece una smorfia, un misto di dolore e stizza: - Cosa vuoi che ne sappia, magari questa volta hai solo premura di avere altre informazioni, forse sei stato mandato qui per costringermi ad avere altre visioni! –
 
Jude riempì i polmoni e trattenne il fiato, con la volontà di controllarsi, dopodiché espirò molto lentamente e tornò a fissarla: - Pensi davvero farei una cosa del genere? –
 
D’istinto, Jude allungò una mano per ricacciare dietro il suo orecchio una ciocca bionda, ma si paralizzò e si apprestò a ritrarre la mano; nel compiere quel gesto provò una fitta particolarmente acuta alla bocca dello stomaco. Avrebbe voluto essere premuroso e di conforto, d’altro canto Alida avrebbe potuto pensare che quello non fosse che un subdolo escamotage per esercitare il proprio potere su di lei. Ma rimase stupito quando la strega fece scivolare una mano oltre la coperta, per andare a trattenere la sua. Lo guardò per qualche secondo prima di mormorare semplici parole di scuse; Jude fece cadere l’occhio sulla piccola mano di lei che stringeva appena la sua, così il suo sguardo salì di nuovo a scontrarsi con gli occhi di Alida e un mezzo sorriso gli sfuggì dal volto.
 
- Bene bravi, avete fatto la pace! – Li scimmiottò Lir: - Doveva venire occhioni dolci qui, per farti uscire dalla tana. - 
 
Alida ignorò deliberatamente Lir; senza lasciare la mano di Jude, poggiò la schiena alla testiera del letto e prese a parlare: - Comunque questa volta è stata… brutta. Colpa del fuoco, temo. –
 
- Mia nonna mi ha accennato qualcosa, pare che domani potrebbe andare a fuoco qualcosa di grande nella Corte. Non hai visto altro? -
 
La ragazza scosse appena la testa: - Non so nulla, mi sono ritrovata in mezzo a quel fottuto incendio e non ci ho capito granché, sinceramente non sono nemmeno sicura che fosse il silo. -
 
- Credi possa essere doloso? – Si aggiunse Lir, così Alida alzò le spalle: - Ho già detto tutto quello che so. Solo un grande incendio, spaventoso… ma non ho idea su chi o cosa lo abbia provocato.  -
 
Jude perse momentaneamente lo sguardo oltre le spalle di Alida e la ragazza, sfiancata ma abbastanza lucida da riconoscere il suo piglio meditabondo, gli strattonò appena la mano: - Basterà controllare il perimetro, non c’è da preoccuparsi. –
 
Lir, a braccia conserte, si rivolse a Jude: - Se fosse doloso, vorrebbe dire che qualcuno vuole creare un danno enorme. Pensi ci sia qualcuno nella Corte che tanto imbestialito per fare una cosa così? –
 
- Non lo so. – Rispose laconico il capo delle Sentinelle, prima di tornare a concentrarsi su Alida: - Comunque Nadia mi ha chiesto di dirti di riposare, ci penserà Lir a stare con i miei nonni, anche se nessuno dei due crede ci sia motivo di stare in allerta. -
 
- Forse dovrei aiutarti a organizzare dei turni di sorveglianza. -
 
Alla frase di Lir, Jude scosse il capo e subito dopo si alzò, lasciando che Alida scivolasse di nuovo sotto le coperte: - Non c’è bisogno, ho tutto sotto controllo. Ma a questo punto credo che dovrò parlare con Nadia, meglio che vada. Tu riposati. –
 
- Agli ordini. – Pigolò Alida, esponendosi poi in un grande sbadiglio. Lir seguì Jude fuori dalla stanza e lo accompagnò alla porta; prima che andasse via, Lir gli poggiò una mano sulla spalla: - Non hai ancora detto nulla del prigioniero… è questo che vuoi andare a fare? -
 
Jude annuì: - Credo sia giunto il momento; questa visione di Alida mi insospettisce e non voglio escludere nulla. Quando sentirai la terra tremare, capirai che mia nonna ha saputo di Stafford. –
 
- Sai che farei di tutto per te, mia dolce metà, ma sinceramente questa volta non ti invidio per niente. -
 
- Solo un pazzo lo farebbe. – Rispose Jude, per poi uscire di casa mostrando una tranquillità che Lir invidiava non poco.
 
 
28 Marzo
Quartier Generale
 
- E quindi a questo punto posso calare le carte, giusto?-
 
Mångata era seduta davanti a Roxana; la donna a guardia di una delle entrate del Quartier generale le stava insegnando uno dei giochi con le carte che tanto amava. La più piccola era ben felice di passare un po’ di tempo con coloro che l’avevano accolta quando non era che una ragazzina e Roxana non faceva eccezione anche se di carte, Sophie, non ci aveva mai capito niente.
 
- Fammi un po’ vedere… ma no! Non vedi che quelle sono tutte di semi diversi? Signore, voi giovani non prestate mai ascolto a quello che vi diciamo, chissà dove avete la testa. -
 
La giovane strega avrebbe voluto dirle che la sua, di testa, era impegnata a concentrarsi sulla missione che l’avrebbe vista coinvolta il giorno a seguire, ma evitò di controbattere perché sapeva bene quanto Roxana talvolta risultava petulante e prolissa.
 
- Ho capito, ho capito… ehi! Dove stai andando? -
 
Vulkan spuntò dall’inizio del lungo tunnel che culminava proprio con il passaggio segreto davanti al quale erano sedute Roxana e Mångata; quest’ultima appena lo vide scattò in piedi, guadagnandosi le lamentele di Roxana che ci tenne a informarla che le partite non potevano essere abbandonate a metà.
Vulkan dedicò solo un fugace sguardo alla giovane, prima di mettersi ad armeggiare con i mattoni della parete: - Sto uscendo a perlustrare la zona, come mio solito. –
 
- Ma Sonne ha detto che non dovremmo uscire oggi, è importante essere riposati per domani e… -
 
- Non mi risulta che Sonne sia stato eletto capo, ragazzina. Roxana, tornerò al solito orario. -
 
La donna, ancora stizzita dal comportamento di Mångata, sembrò addolcirsi un po’ davanti al bell’aspetto dell’uomo che l’aveva sempre affascinata, nonostante fosse decisamente più giovane di lei. – Ma certo caro, puoi fare avanti e indietro come preferisci. – Concluse con un occhiolino, mentre Mångata assisteva alla scena con un piglio decisamente perplesso. Quando Vulkan uscì dal passaggio sotterraneo, la ragazza si scusò frettolosamente con Roxana e si apprestò a seguirlo.
 
- Non ho mai detto che Sonne sia il capo, ma abbiamo votato, Vulkan! Siamo tutti d’accordo sul dargli retta e seguire il piano che ci ha proposto! -
 
L’uomo roteò gli occhi al cielo mentre saliva i pioli del vecchio pozzo con Mångata, più tenace che mai, al suo seguito.
 
- Abbiamo votato per la missione, è vero, ma sono io che decido come e quando ritengo di dovermi riposare, non di certo Sonne. Ora se non ti spiace, ho delle cose da fare. Che diavolo stai facendo? -
 
Uscito dal pozzo, Vulkan si trattenne dal dare in escandescenza, visto che la giovane aveva pensato bene di seguirlo. Spolverati i pantaloni, la ragazza pose le mani sui fianchi: - Ho deciso che verrò con te. –
 
- Grazie, ma no. Torna indietro e continua a fare quello che stavi facendo, domani ci aspetta un giorno difficile, te lo sei dimenticato? -
 
 Mångata però sorrise, portò le mani dietro la schiena e si affiancò a lui: - Come hai sottolineato poco fa, siamo gli unici capi di noi stessi, giusto? E dato che esiste il libero arbitrio, io ho appena deciso che voglio seguirti nella perlustrazione. –
 
- Non fare la ragazzina più di quanto tu già non sia. – Sussurrò lui, mentre si massaggiava l’incipit del naso.
 
- Allora? Dove si va? -
 
Bellamente ignorato, Vulkan scrollò le spalle e cominciò a camminare: - Fa un po’ come ti pare, ma se proprio vuoi venire con me vedi di darti una mossa. Non mi piace affatto perdere tempo.-
 
 
 
28 Marzo - La Corte
Residenza di Nadia
 
- Ti ha forse dato di volta il cervello?! -
 
Jude era abituato alle scenate di sua nonna, ragion per cui non sembrava minimamente preoccupato di vedere Nadia sbattere i palmi contro la sua scrivania con una tale irruenza, da far vibrare le finestre dello studio. Ryurik, prelevato dal capo delle Sentinelle poco prima, era rimasto impassibile accanto a Etienne a osservare lo scambio animato dei due.
 
- Non volevo darvi una preoccupazione inutile. Pensavo di riuscire a farlo parlare. -
 
- Tu hai un ruolo importante, Jude! Se ti ho messo a capo delle Sentinelle è perché so di potermi fidare di te come di nessun altro in tutta la Corte! Ma se inizi a nascondermi delle cose tanto importanti, forse è bene che io riveda le mie decisioni! -
 
Il volto di Nadia si era fatto paonazzo per il tanto gridare, ma Jude non aveva perso la calma nemmeno un istante. Al contrario si era seduto con assoluta compostezza, in attesa che la sfuriata avesse fine. – Fammi sapere quando posso ribattere. –
 
Nadia sgranò gli occhi chiari; suo nipote la stava apertamente sfidando, per lo più davanti al giovane Ryurik, Sentinella da poco giunta alla corte nonché figlio di una delle sue più fedeli sostenitrici. Alzò l’indice e lo puntò nella sua direzione e le parole uscirono dalla sua bocca come un sibilo intriso di veleno: -Attento a come ti rivolgi a me, ti sei forse dimenticato chi sono? –
 
- Ci tieni così tanto a ricordarmelo, nonna, che darei mostra di estrema stupidità se dicessi di averlo dimenticato. -
 
- Basta! – Gridò lei. Fu a quel punto che Etienne decise di intromettersi, avvicinandosi al nipote e mettendo le mani sulle sue spalle: - Chérie... calmati. Ho già parlato con Jude e sono sicuro che abbia agito solo per tutelarci. Sei così immersa nell’organizzazione della festa del raccolto, che non voleva crearti una preoccupazione inutile. Almeno non di certo per un uomo qualunque che si è fatto catturare nel bel mezzo delle Terre di nessuno. Nel momento in cui abbiamo riposto la nostra fiducia in lui, abbiamo accettato i suoi metodi e se Jude ha scelto di non rivelarci prima la presenza di Stafford beh, avrà avuto i suoi motivi. -
 
La donna abbassò lentamente l’indice, cercando di recuperare l’autocontrollo; Etienne era l’unica persona al mondo a cui prestava davvero attenzione. A quel punto prese un grande sospiro e affondò sulla sua poltrona: - E va bene, ma che sia l’ultima volta che mi tieni nascosto qualcosa. Questo comportamento non va bene, tesoro. – Concluse, addolcendo appena le parole in direzione del nipote.
 
- Mi dispiace, ma ho ritenuto fosse la cosa migliore da fare. Comunque è esattamente come ricordavo: Stafford non ha subito l’effetto di nessuno dei nostri poteri, ciò nonostante è successa una cosa particolare, che ritengo dobbiate sapere quanto prima. -
 
 - Dio del cielo, sono proprio curiosa a questo punto. -
 
Jude accennò un sorriso, così chiese a Ryurik di farsi avanti; il ragazzo, ben consapevole del motivo per cui era stato portato lì, liberò qualche parola in russo mentre  faceva quanto gli era stato chiesto, così arrivato al suo fianco, si rivolse a Jude: - Mi tratti come cane da circo. –
 
Nel sentire quelle parole unite in un’affermazione piuttosto bislacca, i due coniugi si lanciarono uno sguardo interrogativo, così Jude iniziò a spiegare quanto era successo due giorni prima. A racconto concluso, Nadia portò una mano alla bocca e si rivolse a Ryurik con aria rammaricata: - Oh, caro! Mi dispiace così tanto… spero che tu ora stia bene! Vuoi che informi tua madre di quanto successo? –
 
- Non è la prima volta che succede questa cosa, sto abbastanza buono, però credo che tuo nipote deve fare un corso per gestire tutta quella rabbia. -
 
Jude accennò un sorriso amaro, quando percepì le mani di suo nonno, ancora sulle sue spalle, stringere la morsa. Conosceva Etienne e sapeva benissimo di aver fatto scattare in lui una scintilla, spiegando come il potere di Ryurik si era manifestato in una forma evolutiva davvero particolare. Una forma che si sarebbe potuta rivelare molto utile, invero. Difatti Etienne non ci mise molto per interrompere la moglie, che si stava spendendo in moine per il giovane Ryurik.
 
- Mon garçon,  se mi permetti di aiutarti, vorrei capire con te se esiste un modo per… tutelarti dal tuo potere e contemporaneamente per estrarne tutte le potenzialità. – L’uomo puntò gli occhi in quelli della moglie, che tentò di capire dove volesse arrivare; sorrise, di una sfumatura violenta e maligna che solo Nadia conosceva tanto bene: - Potrebbe essere molto utile per tutti noi, potrebbe essere utile per Alida. -
 
Lo sguardo di Nadia si illuminò e il sorriso si allargò. Non c’era bisogno di aggiungere altro.
L’unico a non capirci nulla fu Ryurik, che si limitò ad alzare le spalle e dire che si trovava alla Corte per prestare servizio a Nadia, sebbene avrebbe gradito non stancarsi più del necessario.


 
 
 
Sporco, caos, talvolta freddo, talvolta un caldo insopportabile. La casa del signor Turner e la signora Le Blanc era tessuta in queste poche parole. Lì, fra la sporcizia e la precarietà, mosse i primi passi Liv.
I due ragazzi non avevano mai avuto accesso a nessuna comune, troppo sbagliati per farne parte, così avevano vissuto la propria vita a fare ciò che era nelle loro facoltà, affinché riuscissero a sopravvivere: derubavano quanto riuscivano a trovare nelle desolanti Terre di nessuno, per poi rivendere la paccottiglia ai Mercati illegali.
Erano maghi, o almeno questo è quanto sapevano, ma non avevano mai avuto la possibilità di usare la magia e sotto un certo punto di vista, non si erano mai nemmeno sforzati per recuperare delle bacchette.
Liv era stata nient’altro che un errore di sistema. Si erano accorti troppo tardi della gravidanza, troppo presi a girare in lungo e in largo i piccoli agglomerati di baracche che sorgevano ai margini della civiltà. Avevano anche pensato, in un raro momento di lucidità, che forse sarebbe stato meglio rintracciare qualche medico pronto a porre fine a quella gravidanza indesiderata ma, novità delle novità, non avevano nulla con cui scambiare un intervento del genere. In un mondo in cui l’essere umano faticava a riprodursi, chi praticava gli aborti lo faceva solo e soltanto per mezzo di laute ricompense.
Così nacque Liv, che imparò ben presto a non fare un fiato, perché le urla, i pianti e i capricci non erano cosa gradita nella casa del signor Turner e la signora Le Blanc: avevano faticato per conquistarsi quella piccola tana sicura e non avrebbero permesso all’errore di sistema di attirare l’attenzione delle Sentinelle.
In un modo tutt’altro che comprensibile, la coppia si era affezionata alla piccolina, nonostante fosse di continuo intralcio al loro lavoro di tossici taccheggiatori, pronti a tutto pur di avere qualche polvere da sniffare: troppo piccola per essere portata in giro, avevano passato i primi anni di vita di Liv ad alternarsi, affinché uno dei due rimanesse con lei mentre l’altro partiva per portare a casa la giornata.
Ciò che Liv ricorda non sono i volti dei suoi genitori, ma l’accumulo di oggetti, ai suoi occhi di bambina giocattoli meravigliosi, che ingombravano lo spazio; così ben presto la piccola iniziò a costruirsi il suo mondo, mettendo in piedi le istallazioni all’interno delle quali dava sfogo alla sua più fervida fantasia. Mentre attendeva che qualcuno si occupasse di lei, portandole qualcosa da mangiare e cambiandola se necessario, Liv si chiudeva nei suoi fortini e riproduceva, con la mente, le poche immagini che avevano composto le sue tristi giornate, passate a sgattaiolare fuori dalla baracca nella speranza di poter giocare con qualche altro bambino. Di bambini, però, nel povero agglomerato di abitazioni in cui erano ubicati non ce n’erano: Liv era l’unica piccola della zona, per quanto ne sapevano i suoi genitori. Ma a lei non importava mica, perché aveva i suoi giochi, le sue costruzioni, i suoi fortini e di tanto in tanto il sorriso di suo padre, meno dipendente dalle droghe di sua madre e quindi meno egoista nell’occuparsi di lei.
 
L’ultimo ricordo dei suoi genitori non è affatto felice.
Boati roboanti e metallici, vetri infranti e la porta di casa loro che veniva abbattuta. Forse il signor Turner urlò di lasciarla stare, che se li avessero ammazzati nessuno si sarebbe potuto occupare di lei.
Ma forse, quelli non erano che ricordi distorti, ricostruzioni mendaci della sua mente di bambina.
Quando un uomo e una donna arrivarono da lei, la trovarono chiusa all’interno di una grande scatola di cartone, la cui apertura era celata da un pezzo di stoffa lurido e consumato. L’uomo trattenne il fiato per qualche istante, poi usò con Liv una voce gentile e la prese in braccio. Odorava di sangue e sudore.
Liv non oppose resistenza; chiese solo di poter prendere alcuni dei suoi giochi, ma non gli fu permesso. Quando uscì da quella che era stata la sua casa per tutti i suoi quattro anni di vita, dagli occhi della piccola non uscì una sola lacrima e nemmeno una volta cercò con lo sguardo i suoi genitori.
Lo sapeva fin dalla nascita, che in quel mondo lì era meglio non fare domande e non farsi vedere tristi, se si voleva sopravvivere.
 
 
“Benvenuta piccina, questa è la tua nuova casa. Qui ci sono tanti bambini come te che diventeranno i tuoi amici. “
 
Gli occhioni di Liv, ancora aggrappata al collo di quell’uomo che l’aveva portata via da casa sua, salirono a osservare la grande targa al di sopra del portone d’ingresso dell’edificio; le pupille si incastrarono fra le linee dure delle lettere che componevano la parola Strong, senza però essere in grado di leggerle.
Da quel preciso momento tutti i ricordi legati  alla sua vita prima dell’orfanotrofio, iniziarono a farsi confusi e ben presto, nella mente di Liv, non rimasero quel caos sporco e familiare, i suoi giochi e il sorriso di suo padre.
 
 
29 Marzo
Quartier Generale
 
- Questa va bene? -
 
Jabal rigirava fra le mani una beretta da poco risistemata da Chion per poi mostrarla a Sonne; quest’ultimo alzò le spalle, quindi lanciò un’occhiata a Yuki che scrollò il capo e sbuffò: - Vorrei solo le mie glock, non ci so fare con quella! –
 
- Lo capisco, ma sono ancora in revisione e questa missione non era affatto programmata. – Jabal mostrò estrema pazienza nel rispondere alla strega: - Credo dovrai accontentarti di questa. -
 
- Andrò da Chion a chiedere se ha finito il lavoro. Ieri sera gli ho messo un po’ di pressione addosso, magari si è deciso a darsi una mossa… oh, ciao cara! -
 
Nell’uscire dalla sala d’armi, Yuki si scontrò con Ame; la biondina era già in tenuta da attacco, non le restava che indossare la sua maschera antigas.
 
- Ciao a te, perfettamente splendida come sempre, vedo! -
 
Yuki cinguettò un ringraziamento prima di scivolare oltre la porta, così Ame si avvicinò a Sonne: - Devo prendere un po’ di cose, credi sia meglio che porti il mitra o la balestra? – La ragazza si fece pensierosa, sottolineando il suo rimuginare con uno sfregamento di mento: - O entrambe? Anche se forse dovrei preparare delle molotov per l’occasione… si, vada per le molotov! E poi Ollie avrà le granate, quindi dovremmo… -
 
Sonne afferrò Ame per le spalle e si chinò per poterla fissare: - Oppure potresti non pensare a cosa andrai a fare, che ne dici? –
 
- Ma io mi devo organizzare in qualche modo, gli incendi non sono una cosa per tutti! -
 
- Lo so mia giovane amica, lo so… proprio per questo ho pensato che solo te saresti stata in grado di ricoprire questo ruolo, complice la tua imprevedibilità che io tanto amo. -
 
Nel sentire quel complimento Ame incrociò le braccia e inarcò un sopracciglio, mentre Sonne le cingeva le spalle con un braccio: - Continua. –
 
- Ebbene… - I due presero a camminare per la stanza, ignorati da Jabal che nel mentre continuava a smistare e selezionare armi.
 
- Sei la numero uno, quando si tratta di generare caos, ragion per cui vorrei che tu agisca nella maniera più imprevedibile che la tua testolina bionda e brillante riesca a fare. Pensi di esserne in grado? -
 
- Va bene, smolla questa manfrina bello, ho capito! Zero piani, pura anarchia. Posso farcela, certo che si. – Ame svicolò dalla stretta di Sonne e prese a recuperare una gran quantità di armi e oggetti più disparati, di cui cominciò a riempire la tracolla e le tasche. Proprio mentre Jabal stava per dirle che forse si stava portando dietro troppe cose, dalla porta entrò Mawja; l’anziana signora dette un bacio sulla guancia di Micah, per poi rivolgersi a Jabal: - Cucciolo, dovresti venire con me; ho parlato con Herb poco fa, dannata me e quando mi è venuto in mente di farlo! Ora esige di parlarti… sai come è fatto, meglio non farlo aspettare troppo. -
 
Nel sentir nominare Herb, Jabal fece un grande sospiro e poggiò le armi con delicatezza, così lanciò un’occhiata a Sonne: - Amico, pensaci tu, io vado a prendermi la mia ramanzina. –
 
- In bocca al lupo! – Gli augurò Sonne, mentre continuava a sfilare cose dalla borsa di Ame, sgridandola perché avrebbe gradito riaverla indietro tutta intera, la qual cosa non sarebbe accaduta se si fosse appesantita al punto di non riuscire a filarsela nel momento giusto.
 
 
La Corte
 
Il discorso che il giorno precedente aveva fatto Jude a tutte le Sentinelle della Corte, risuonava ancora nella sua testa. Izzie aveva difficoltà a inquadrare quell’uomo; se da un lato lo percepiva come autoritario e minaccioso, dall’altra talvolta era talmente criptico che avrebbe avuto voglia di scuoterlo con vigore, per chiedergli cosa cavolo volesse intendere con quelle frasi enigmatiche e avvolte da un perenne alone di mistero. Ma Izzie non era di certo stupida e aveva capito che era meglio non fare domande a Jude, qualora non fosse stato realmente necessario. Per questo quando aveva parlato di un probabile incendio nella comune, si era limitata ad ascoltare.
Come aveva fatto a sapere che ci sarebbe stato un incendio?
Per quale motivo lei e le altre Sentinelle erano state smistate in gruppi di controllo, per perlustrare tutto il perimetro della vasta Corte?
Domande alle quali Izzie non avrebbe avuto risposta, tanto valeva ignorare la vocina insistente nella sua testa e godersi la compagnia del suo gruppo: nello specifico, quella di una certa Sentinella che faceva piegare il bel visetto di Izzie in smorfiette allegre, ogni qualvolta le capitava di avere a che fare con Ajax Willow. Il ragazzo era stato uno delle prime Sentinelle con cui Izzie era entrato in contatto non appena aveva iniziato il suo addestramento; probabilmente, non fosse stato per lui, Jude l’avrebbe frullata via dal campo di addestramento al suo primo giorno, tanto si era dimostrata inadatta all’arte della guerra. Ma Ajax, con il suo portamento impettito e al contempo elegante e il suo fare tanto sicuro, si era mostrato molto comprensivo con la giovane Izzie. A lui fu affidata per il primo periodo di addestramento, molto probabilmente perché fu l’unico a non spazientirsi con lei; Ajax, al contrario di altre Sentinelle (ricordava ancora come Lir Strong, i primi mesi, scappasse a gambe levate ogni qualvolta si ritrovava Izzie vicino), non aveva mai perso la pazienza e al contrario, probabilmente perché si era reso conto di quanto impegno lei ci mettesse, l’aveva spronata a non mollare.
Con quei tiepidi ricordi a miscelarle lo stomaco, Izzie guardava Ajax mentre parlava con altre Sentinelle: a loro era toccato di perlustrare la zona adiacente la Magione di contenimento, un edificio che solo a guardarlo, le metteva i brividi. Si strinse nella sua giacca da aviatore – fortunatamente Artemisia aveva fatto in modo che i ragazzini dell’orfanotrofio non gliela portassero via- e si avvicinò ad ascoltare le parole di Ajax.
 
- Non c’è motivo di allarmarsi, mi è stato assicurato che probabilmente tutta questa faccenda è solo un falso allarme, ma è bene tenere gli occhi aperti. -
 
- Mi chiedo cosa c’entri un ipotetico incendio con tutto questo. – la voce allegra, ma anche sospettosa di Saskia, una sua collega di cui Izzie apprezzava particolarmente la compagnia, espose quella che era la sua stessa domanda.
 
- Potrebbe darsi che sia proprio la Magione di contenimento a essere a rischio incendio. – Con le mani allacciate dietro la schiena in una posa militare, Ajax rispose con fermezza. Adorabile, pensò Izzie sorridendo inebetita. – Alcuni di noi rimarranno a perlustrare il perimetro, altri verranno con me a controllare l’interno dell’edificio, per assicurarci che l’impianto elettrico sia a posto. -
 
- Mi offro volontaria! – Dichiarò Izzie alzando la mano e sorridendo entusiasta: - Ci so fare abbastanza con quelle robe, mio padre mi ha insegnato un mucchio di cose su… -
 
- Bene, tu verrai con me allora. – La stroncò Ajax, - Voi altri rimanete qui fuori. Occhi bene aperti e orecchie pronte a cogliere ogni minimo rumore; Jude ha riposto fiducia in noi e non ho alcuna intenzione di tradirla. Buon lavoro a tutti. -
 
Senza aggiungere altro, Ajax mosse velocemente i passi fino all’ingresso della Magione di contenimento e Izzie, inizialmente immobilizzata, si riebbe e affrettò il passo per poterlo seguire. Una volta al suo fianco, mentre attendevano che i cancelli venissero aperti loro, Ajax lanciò un’occhiata alla ragazza: - Ora che ci penso spero che questo incendio non sia proprio tu a provocarlo, visto il tuo strambo potere. Forse Jude avrebbe fatto meglio al non privarvi di quel collare nemmeno oggi. –
 
Fortunatamente la carnagione scura non permise a Ajax di notare il rossore che aveva avviluppato il viso di Izzie, la quale cominciò a balbettare che era perfettamente in grado di gestire il suo potere.
Stava mentendo spudoratamente, ovviamente. Nel cammino che li portava alle cantine nelle quali si trovava la centralina elettrica, Izzie si ritrovò a pensare, o meglio a sperare, che Ajax non avesse in qualche modo ragione.
 
Quartier Generale
 
Anche avesse camminato su un tappeto di piume, Chion avrebbe comunque sentito i passi di Yuki. Aveva passato gli ultimi due giorni a sistemare ogni tipo di arma che gli era capitata sotto mano, sommerso dalle richieste dei suoi compagni che, come lui, presto sarebbero entrati alla Corte. Si sentiva stanco, ma l’esigenza di accontentare quanti più compagni possibili aveva prevalso sulla stanchezza. Si era quindi rintanato in una delle piccole stanze che cambiavano occasionalmente veste, a seconda dell’esigenza del momento e lì, affiancato di tanto in tanto da qualche compagno, aveva passato tutto il suo tempo. Fu Yuki a ricordargli che quella sera avrebbero fatto irruzione alla Corte, altrimenti probabilmente gli sarebbe passato di mente, preso com’era dal suo lavoro.
 
- Sono passata per… -
 
- Sono lì. – Gli occhi chiari rimasero fissi su una delle balestre che prediligeva Ame, mentre la mano andò a indicare il punto in cui si trovavano le due pistole di Yuki, sistemate e perfettamente funzionanti, La strega si affrettò a recuperarle e non riuscì a trattenersi: si lanciò a stringere le braccia intorno al collo di Chion: - Grazie! Non ci speravo sai? Sei stato davvero bravissimo, senza di quelle mi sento nuda . -
 
Il ragazzo tossicchiò appena, colpa dell’imbarazzo che lo aveva colto non appena a Yuki era venuto in mente di mostrare la gratitudine nei suoi confronti. Non sapendo in quale altro modo comportarsi, si limitò a bofonchiare che si sarebbe dovuta allontanare, visto che stava maneggiando una balestra molto delicata.
 
- Non vorrei ci facessimo male… poi chi lo sente Sonne. -
 
 - Hai ragione, sono la solita sbadata. – Yuki sedette al suo fianco solo dopo aver riposto con cura le glock nei propri foderi, così prese a fissare il mago con insistenza. Ma Chion, che era tornato a concentrarsi sull’arma, non le prestò attenzione.
 
- Sei agitato di tornare alla Corte? -
 
La domanda di lei arrivò come una doccia ghiacciata; strinse il manico della balestra in una morsa rigida. Chion sapeva bene che negare sarebbe stato sciocco e inutile, così annuì appena.
 
- È tanto… tanto tempo che non metto piede lì. – Trovato poi il coraggio di alzare lo sguardo, incrociò lo sguardo dell’amica: - E tu? -
 
Dalla bocca di Yuki scivolò via un lieve sospiro: - Sì, sono agitata anche io. Non per la missione in sé, di qualunque cosa si tratti, ma l’idea di tornare lì e magari, sai, incontrare qualcuno… -
 
Yuki virò appena il capo e incastrò lo sguardo sulla parete ingrigita; non aveva voluto mostrare la sua titubanza davanti ai suoi compagni durante la riunione, eppure la paura si era affacciata presto, non appena aveva messo piede fuori dalla stanza delle riunioni. Sapeva che non era l’unica ad avere avuto un passato alla Corte e quando l’esigenza di confidarsi si era fatta troppo forte, aveva deciso di andare a parlare con Chion. Anche lui, lo sapeva, nel profondo aveva timore di tornare lì.
Il suo pensare fu distratto da un lieve tocco sulla sua spalla: Chion si era allungato e aveva poggiato la sua mano, pronto a garantirle un minimo di conforto. Era un gesto talmente inusuale da parte del ragazzo, che Yuki non era riuscita a evitare di sussultare appena.
 
- Non ti sembra una reazione un po’ esagerata, da parte tua?-
 
- Le tue dimostrazioni fisiche sono merce così tanto rara, che devo ammettere di essermi spaventata. Magari la prossima volta avvisami prima, ok? -
 
I due si guardarono, per poi scoppiare a ridere all’unisono; le loro risa colmarono la stanza e, almeno per un po’, scacciarono via i pensieri molesti che avevano ingombrato le teste. Quel che andava fatto doveva essere fatto, avrebbero avuto tempo di rimuginare sui loro passati una volta tornati, sani e salvi, fra le mura del Quartier Generale.
 
Quartier Generale
 
C’erano ben poche stanze private a disposizione degli abitanti del Quartier Generale; una di quelle era occupata da Herb da tempo immemore. Quando Jabal mise piede al suo interno, affiancato da Mawja, era già pronto a sentire una sequela di insulti scagliarsi contro di lui. Sorprendentemente non furono le brutte parole a raggiungerlo, bensì il corno auricolare che il vecchio Herb utilizzava per capirci qualcosa di quello che gli veniva detto. L’uomo lo prese al volo e sospirò, mentre Mawja, con le braccia sui fianchi, ricordò a Herb che non era quello il modo giusto di comportarsi.
 
- Al diavolo, vecchia strega! Ho tuuuutto il diritto di prendermela con questo irresponsabile! -
 
Munito di sacrosanta pazienza, Jabal si avvicinò al letto su cui sostava vita natural durante Herb, così gli restituì il corno: - Visto che non vuoi ti venga costruito un apparecchio, puoi evitare di lanciarlo con tanta frequenza? È l’unico modo che hai per sentirci. –
 
- Che hai detto?! -
 
- Ecco, appunto. Ho detto che È L’UNICO MODO CHE HAI PER SENTIRCI! -
 
Herb strappò il corno dalle mani di Jabal e gli ordinò di occupare la sedia al suo fianco, dal lato in cui era possibile osservare con attenzione le cicatrici ricamare il viso, nonché il suo occhio di vetro. Quella sedia era tanto piccola e mal messa che ogni volta che veniva obbligato a sedersi, Jabal temeva che quella crollasse sotto la sua stazza, eppure non c’era mai una sola volta che dicesse di no a Herb.
 
- Sentiamo, come mai ce l’hai con me questa volta? -
 
Recuperato il corno, Jabal fu libero di mantenere un tono di voce abbastanza normale. Herb assottigliò lo sguardo e puntò un indice nodoso nella sua direzione: - Come mai? E me lo chiedi, razza di irresponsabile che non sei altro?! Ho saputo da lei che verrai coinvolto in una missione! Non ti rendi conto che questo posto si regge sulle tue spalle?! –
 
- Herb, ne abbiamo parlato tante volte; ognuno di noi deve fare la propria parte all’interno del Quartier Generale, non posso limitarmi a stare chiuso qui dentro a fare progetti, non ti pare? -
 
- Certo che si, invece! Da quando quel ragazzaccio ha messo piede qui dentro qualche mese fa, non hai fatto altro che mettere a rischio la tua vita! -
 
- Herb… - Jabal massaggiò le palpebre con pollice e indice: - Micah è al Quartier Generale da dieci anni, ormai. -
 
- Non osare prendermi in giro, non sono mica rincoglionito! Comunque bada bene a quel che fai, ho speso fin troppo tempo per starti dietro e insegnarti il mestiere, Malik; io non lo posso più fare, non ci vedo più tanto bene ormai. -
 
- Fosse solo quello… -
 
- Quindi è tutto nelle tue mani. Le mura non si tirano in piedi da sole e le famiglie che abitano qui hanno bisogno di te! Manda qualcun altro al posto tuo, qualcuno di meno importante! -
 
Jabal non riuscì a trattenere un morbido sorriso. Quel vecchio acido di Herb dimostrava di tenere così tanto a lui, che non se la sentì di dirgli che non era assolutamente così importante per la comunità e che sarebbe andato in missione. Si chinò verso di lui e appoggiò una grande mano sulla spalla ossuta dell’anziano ingegnere: - Va bene Herb, come vuoi tu. Ora però devo andare, ho molto lavoro da fare. –
 
- Che cosa?! Devi andare a ballare?! Non ti sarà mica venuto in mente di uscire da qui! Dicono che oggi ci sia un tempo da lupi, lì fuori! -
 
- Vecchio sordo. – Borbottò Mawja prima di urlargli contro che ora doveva pensare a riposarsi e che presto gli avrebbe portato il pranzo. Usciti dalla sua stanza, l’anziana guardò Jabal con disapprovazione: - Non dovevi mentirgli. E se dovesse succederti qualcosa? Chi glielo dirà che ti sei fatto ammazzare perché hai fatto comunque di testa tua? Io non di certo, sappilo! -
 
Jabal liberò una risata di cuore: - Allora farò in modo di rientrare sano e salvo, così non sarai costretta a subirti la furia di Herb, d’accordo? –

 
 
 
L’Orfanotrofio non regalò a Lir molti momenti felici. Le sue giornate, all’interno della struttura fatiscente che ospitava lui e gli altri orfani sfortunati, passavano ad agitarsi in una guerriglia costante dettata dall’urgenza di sopravvivere. Le ore che passava a studiare, nelle aule dall’intonaco ingrigito e crepato, erano davvero poche; di libri i bambini non ne avevano molti a disposizione e principalmente veniva insegnato loro a leggere e a scrivere, così come apprendere la storia, ma solo dal giorno in cui Nadia decise di adoperarsi per creare quello che veniva definito “il nuovo mondo”. Per il resto i bambini venivano impiegati in mansioni faticose, mangiavano poco e lottavano fra di loro per primeggiare. Le mura dell’orfanotrofio erano intrise di bullismo animale e primitivo, in cui valeva molto più saperle dare di santa ragione, piuttosto che conoscere i segreti dell’ars oratoria.
Ma Lir non si scoraggiava, mai. Sapeva che avrebbe impiegato tutto se stesso per riscattarsi e fare in modo che un giorno i reclutatori che facevano spesso visita all’orfanotrofio, individuassero in lui un valido futuro membro della Corte.
 
Non aveva amici, nessuno aveva mai arpionato la sua attenzione più del dovuto, se non una bambina piccina, con i capelli color del grano maturo e le orecchie larghe. Quando Lir incrociò per la prima volta il suo sguardo, rimase basito davanti alla fermezza della piccina: se infatti gli altri piccoli della sua stessa età appena portati in orfanotrofio, non facevano altro che piangere a dirotto implorando di poter rivedere i loro cari, quella rimase muta e non fece mai un fiato. Un atteggiamento, quello della piccola Liv, che non era riconducibile a una bambina di soli quattro anni.
Ma fu proprio il suo sguardo duro ad attirare Lir e quando Liv si avvicinò a lui per la prima volta, individuandolo come una sorta di ragazzino prescelto a cui si sarebbe aggrappata per rimanere a galla, il bambino non si tirò indietro.
 
La loro amicizia esplose nell’anormalità fagocitante dell’orfanotrofio. Tante erano le volte che venivano alle mani, tante quelle che l’uno ricercava l’altra quando riuscivano a rubacchiare dalle cucine un pezzo di pane in più; condividevano ogni cosa, mettendo da parte l’egoismo proprio di ogni orfano che riusciva a sopravvivere allo Strong.
Ma più tempo passava, più risultava evidente quanto i loro obiettivi fossero agli antipodi; se Liv credeva che bisognasse contrastare con ogni mezzo il regime instaurato dalla Governatrice, Lir rivedeva nella Corte e nel sistema di Nadia un modo per riscattarsi e per raggiungere un tenore di vita accettabile.
 
Liv voleva stravolgere e combattere, fervida credente di un unico Dio chiamato caos.
Lir avrebbe abnegato i propri ideali, in favore di Nadia e quindi della sua rinascita.
 
Fu con questo pensiero instillato in testa, che scoprì il proprio potere. Inizialmente credette fosse una casualità che Daphne, che lo tormentava con ogni mezzo, a un certo punto fosse impazzita convinta di aver visto un cane randagio, proprio lei che aveva il terrore dei cani. O che Devon che pretendeva un favore da Lir, fosse improvvisamente cosparso di orribili cavallette.
Fu solo quando Steven volle mettersi in mostra davanti ai reclutatori andando incontro a Lir, pronto a conciarlo per le feste, che quest’ultimo capì cosa fosse in grado di fare; gli era bastato concentrarsi abbastanza da poter vedere un’orda di ratti -la cui sola idea faceva saltare di paura quel bullo- attaccarlo alle caviglie. Detto fatto, Steven cominciò a gridare mentre tentava di cacciare via dei topi invisibili dalle proprie ginocchia.
Se non fosse svenuto, per stanchezza o per fame non seppe dirlo, sicuramente Lir avrebbe gioito davanti allo sguardo delle Sentinelle che capirono il suo potenziale.
Era speciale. La sua capacità di rivoltare contro i suoi nemici i più terribili incubi, sarebbe stato il suo lascia passare per la Corte e quando Liv se ne sarebbe resa conto, allora forse avrebbe deciso di seguirlo.
Non avrebbe mai lasciato lì quella ragazzina dinoccolata, scurrile e con lo sguardo acceso d’ira. La stessa che lo torturava con stupidi scherzi, come quando gli nascose una vecchia bambola di porcellana sotto il cuscino, facendolo gridare come una femminuccia perché Lir odiava le bambole. Ma anche la stessa che aveva spaccato il naso di Devon, quando il ragazzo aveva osato rubare il pranzo a Lir.
Lir era profondamente egoista, ma non quando si trattava di Liv; e se lei non possedeva un potere non importava, il suo sarebbe bastato per entrambi.
 
 
6 PM
La Corte
 
- Siamo dentro. -
 
Il sole si prestava al tramonto, quando Ame, Leaf, Oleander e Dimma misero piede all’interno della Corte grazie a quella che, nove anni prima, era stata la via di fuga di Dimma. Quest’ultima fece cenno al gruppo di tacere e si scambiò un cenno del capo con Leaf: il ragazzo annuì e cominciò a guardarsi intorno, mentre Oleander guardò Ame; quest’ultima si stava guardando intorno cercando di analizzare la campagna che li circondava.
 
- Pensavo a quel grande silo di cui mi hai parlato, potremmo far esplodere quello, creerebbe un bel po’ di casino. -
 
La donna annuì: - Va bene, allora seguitemi. Leaf, occhi bene aperti, siamo nelle tue mani.-
 
- Sai bene che alla mia vista non sfugge nulla. – Rispose il biondo, che si ritrovò a guardia del piccolo gruppo di Ladri.
 
- Oleander, tu puoi produrre un clone per anticipare i nostri passi?–
 
- Basta chiedere, baby. – Mentre Leaf continuava a ispezionare la zona con lo sguardo, il gruppo si fermò per dare la possibilità a Oleander di concentrarsi; la strega socchiuse gli occhi e in men che non si dica, dal suo corpo si scisse una sua copia identica in tutto e per tutto, persino nell’abbigliamento che ne celava i lineamenti. Dimma indicò all’originale dove avrebbe dovuto mandare il clone e Oleander annuì, rivolgendosi poi alla sua copia: - Procedi in quella direzione. Fai attenzione e torna subito indietro se dovessi incontrare qualcuno. -
 
Il clone annuì e corse verso la direzione indicata.
 
- Il silo grande dovrebbe trovarsi lì; bisogna fare molta attenzione perché al suo interno ci sono riserve in grado di sfamare tutta la corte per buoni sei mesi, quindi l’incendio potrebbe sfuggire facilmente al nostro controllo. -
 
Tutelati dal pattugliamento del clone di Oleander e dalla vista infallibile di Leaf, i quattro procedettero verso il silo senza intoppi, quando qualcosa attrasse lo sguardo di Ame, celato agli altri dalla maschera antigas: lungo il sentiero battuto immerso in una distesa di grano non ancora maturo, spuntava un grande mulino. Probabilmente quello serviva per coprire parte dell’energia elettrica necessaria alla Corte. Il suo viso venne illuminato da un sorriso, in quanto la ragazza realizzò che avrebbero non solo raggiunto il proprio scopo, bensì avrebbero creato nell’imminente un grande danno alla Corte.
 
- Fermi! Cambio di programma. - Affermò, indicando il mulino. – Ollie, manda il tuo clone a controllare che non ci sia qualche guardiano e se così dovesse essere, che faccia in modo di attirarlo lontano: fra poco quel posto verrà ridotto in cenere. -
 
Detto fatto, il clone di Oleander fece quanto ordinato; fu Leaf a riferire alle altre che quei due piccoli puntini che vedevano agitarsi in lontananza erano proprio il clone, rincorso da qualcuno che, come da previsione, doveva essere il guardiano del mulino.
 
- Sbrighiamoci. – Disse Oleander ad Ame:  - Non abbiamo troppo tempo e vorrei evitare che la mia zolletta di zucchero si scontrasse con quel tipo; mi toglierebbe un sacco di energie e non sarebbe gradevole. -
 
- Perfetto. Forza, andiamo! – I quattro corsero verso il mulino  e arrestarono la loro corsa solo per preparare le armi; scambiatosi un segno, Oleander afferrò una granata, mentre Ame consegnava una molotov artigianale a Dimma, che la rigirò fra le mani con soddisfazione. Anche lei ne trattenne una nella destra, mentre con la sinistra estrasse il suo accendino in argento, dal quale non si separava mai.
 
- Io mi occupo di coprirvi le spalle. Peccato che Angelica non sia qui, si sarebbe divertita un mondo! – Affermò Leaf mentre sfilava il suo fucile dalle spalle, per poi cominciare a compiere una traiettoria semi circolare intorno alle tre compagne.
 
- Inizio io, poi Oleander alimenterà l’esplosione con le granate, infine Dimma lancerà la sua molotov. -
 
- Sei proprio organizzata! – Rispose Oleander con entusiasmo.
 
- Piccola, è la mia materia. -
 
In una frazione di secondo Ame accese la fiamma dello zippo e la avvicinò all’innesco; appena questo si accese, Ame caricò il braccio e con un lancio perfetto, la molotov si schiantò contro la finestra del mulino, infrangendone il vetro e originando una fiammata violenta.
 
- Come cazzo è possibile?! – Chiese Dimma, mentre Olender tirava via con la bocca la chiusura di sicurezza dalla sua bomba a mano, pronta a lanciarla.
 
- Semplice: ho caricato le bottiglie col polistirolo, che si è incollato per bene alle superfici di…. Oh al diavolo! Non è il momento per insegnarvi come fare bene il mio lavoro! -

 
 
Ormai aveva perso il conto delle punizioni che aveva accumulato nel corso dei dieci anni passati dentro lo Strong, ma non c’era stata mai una volta che Liv si fosse tirata indietro nel dire o fare ciò che riteneva rientrare nella sfera della propria morale. C’era stato un episodio, uno solo, ad averla traumatizzata al punto di non riuscire a dire una sola parola per giorni, fin quando la sua più grande amica non insistette fino allo sfinimento per farla parlare.
 
“ Puoi darla a bere a chiunque, ma non di certo a me: tu hai un problema, Liv, e io non mi muoverò di qui fin quando non ti deciderai ad aprire la bocca.” Artemisia, che intanto stava sistemando il loro dormitorio facendosi aiutare dalla propria ombra, dedicava l’attenzione a Liv, raggomitolata sul letto e con lo sguardo, solitamente acceso e vispo, che vagava per la stanza.
C’erano volute ore per smuoverla, ma Artemisia era una ragazzina accogliente e paziente, qualità che l’avevano portata a ottenere i risultati sperati, nonostante quella sera avesse dovuto rinunciare alla cena, visto che Liv non si era mostrata intenzionata a mettere piede fuori dalla stanza che le due condividevano con altre sei ragazze.
 
“ Io non credo mi farò mai toccare da nessuno. “
 
Quell’affermazione, un pigolio soffiato fra le ginocchia strette al seno, era suonata davvero strana alle orecchie di Artemisia; ciò nonostante aveva atteso i tempi della ragazza.
Quando Liv confessò di aver assistito a un abuso fisico da parte di uno dei reclutatori nei confronti di uno dei più piccoli ospiti dello Strong, Artemisia sentì la gola stringersi in un nodo e il cuore palpitare più forte che mai. Alla richiesta di ulteriori spiegazioni, Liv si era ammutolita e aveva trovato il coraggio di continuare a parlare solo dopo qualche minuto. Aveva così confessato ad Artemisia, mentre quest’ultima le carezzava la schiena con fare incoraggiante, che durante l’ispezione di alcune Sentinelle, si era ritrovata a spiare uno dei “colloqui” con i ragazzi; ciò che aveva visto, così come il pianto incessante del bambino, Liv lo voleva cancellare dalla sua mente per sempre. Aveva provato a intervenire, ma era prima stata scaraventata via e poi, da quel che Artemisia era riuscita a capire, l’uomo l’aveva minacciata; insomma, se Liv avesse aperto bocca, la volta dopo sarebbe tornato non per far male a lei, bensì per porre fine alla vita del povero piccolo.
 
Liv arrivò ben presto a una semplice, drammatica e raccapricciante conclusione: per quanto si fossero sforzati, gli orfani sarebbero rimasti sempre e soltanto i reietti della società che aveva messo in piedi la Governatrice Nadia e nulla avrebbe cambiato questa condizione, se non la ribellione. Potevano infatti tentare di opporsi apertamente alle Sentinelle, ma erano loro che detenevano il potere. A chi avrebbero dato ascolto nei piani alti? A un fedele servitore di Nadia, o a una ragazzina pelle e ossa a malapena istruita?
 
“Non ci resta che distruggere questo sistema. Distruggere, purificare, purificare, si. “
 
Artemisia si rese conto che quell’evento aveva creato una crepa profonda nell’animo di Liv e che lei da sola non poteva aiutarla. Per questo si decise a rivolgersi all’unica altra persona in tutto l’orfanotrofio che aveva sempre mostrato affetto nei confronti dell’amica.
 
Quando Artemisia si presentò da Lir, il ragazzo rimase abbastanza sorpreso; Artemisia si era sempre mostrata come una ragazzina dolce, benché poco determinata e ancor meno incline al dialogo; non fosse stata per la presenza di Liv, probabilmente i due non avrebbero avuto proprio nulla a che fare.
E infatti era per Liv, che Misia era andata da lui, o per meglio dire per chiedere il suo aiuto.
 
L’essersi confidata con Artemisia non aveva migliorato molto la condizione di Liv. Mangiava lo stretto necessario per tenersi in piedi e quando non era impiegata nelle lezioni o nei compiti che le venivano assegnati, passava il suo tempo ad accendere e spegnere uno zippo d’argento che aveva rubato a uno dei tutori dell’orfanotrofio. Era accucciata in un angolo del chiostro interno, con il suo accendino in mano, quando Lir arrivò da lei. La guardò dall’alto e senza dire una sola parola, allungò la mano nella sua direzione.
 
“ Adesso ti spiego che cosa faremo, bambolina. “
 
Liv rimase per qualche istante a fissare la mano di Lir, prima di accoglierla e incastrare gli occhioni infossati nelle occhiaie, in quelli del ragazzo. Fu così che Lir costrinse Liv a farsi dire il nome della Sentinella che aveva abusato il piccolo Vincent e quando l’uomo tornò a fare visita all’orfanotrofio, Liv corse a cercare Lir, per indicargli quel porco. Il ragazzo non disse nulla, limitandosi invece ad annuire.
Sarebbero passati tre anni prima che Lir avesse modo di vendicare la sua amica che da quell’orribile episodio ne era uscita spezzata.
Quel che seppe Liv quando ai suoi diciassette anni Lir tornò all’orfanotrofio in veste di reclutatore, era che gli era stato chiesto di prendere il posto di quella Sentinella che, da un giorno all’altro, era scomparsa nel nulla. Alcune voci nella Corte dissero che Richard Malone era in realtà un rivoltoso e che era fuggito dalla Corte per unirsi a un gruppo di dissidenti.
Non fosse che giorni dopo la sua scomparsa, il suo cadavere fu ritrovato incastrato in uno dei vecchi impianti fognari della città.
 
 
6 PM
La Corte
 
Non poteva farci niente: Artemisia non riusciva a trattenere la preoccupazione, sorta dal momento in cui, la sera prima, si era ritrovata a parlare con Jude. Non che l’uomo le avesse detto più di tanto, ma aveva colto dal suo viso quanto egli fosse preoccupato per qualcosa.
 
“ Dobbiamo fare molta attenzione. Ho bisogno di dividere le Sentinelle in gruppi di controllo e vorrei che tu fossi a capo di uno di essi. Devo potermi fidare. Te la senti?”
 
Per quanto Artemisia avesse tentato di insistere, sebbene con tutta la delicatezza di cui fosse capace, non era riuscita a scucire una sola parola dalla bocca di Jude, più criptico che mai in merito alla questione che lo crucciava. C’era stata una riunione con tutte le Sentinelle che erano presenti in quel momento alla Corte e Jude aveva spiegato loro che ci sarebbe potuto essere un incendio il giorno dopo e che loro dovevano occuparsi di controllare la Corte da cima a fondo, per tentare di evitare l’inevitabile. Alla fine il capo delle Sentinelle aveva creato una decina di piccoli gruppi e si era congedato, non prima di proporre a Artemisia un passaggio per casa. Proprio quando stava per scendere dall’auto la ragazza, reprimendo tutta la sua timidezza, si era decisa a insistere con Jude.
 
“ Non ti sto chiedendo di dirmi cosa c’è sotto, ma mi sembra chiaro che qualcosa non va.”
 
“ Sei… gentile, ma ho tutto sotto controllo.”
 
Jude era stato posato ma anche così laconico, che Artemisia aveva intuito che non avrebbe dovuto forzare troppo la mano, consapevole che il capo delle Sentinelle non avrebbe detto una sola altra parola. Scesa dalla macchina si era arrestata un momento, aveva preso un gran respiro e poi si era voltata di nuovo, con la mano trattenuta sullo sportello ancora aperto.
 
“ Se hai bisogno di parlare, sai dove abito.“
 
Beh, almeno si era guadagnata un sorriso da parte di Jude; persino una mezza risata era uscita dalla sua bocca. Inutile dire, ovviamente, che Jude non aveva bussato alla sua porta. Non che Artemisia si sarebbe aspettata un comportamento diverso, certo. Così il giorno dopo quella riunione aveva fatto come le era stato chiesto e si era infine ritrovata a girare, con il sole sulla via del tramonto, fra le rigogliose campagne della Corte assieme a quattro giovani reclute. Jude aveva ritenuto, infatti, che per ispezionare quella zona della Corte non avrebbe avuto senso affiancare ad Artemisia Sentinelle più esperte.
Ma un frastuono assordante, creato dal matrimonio di una serie di boati che assordarono le loro orecchie, fece subito rendere conto alla strega che forse avrebbe avuto bisogno di un supporto maggiore. I suoi occhi chiari si illuminarono con la danza di una grande fiamma che si innalzò a un paio di centinaia di metri da loro.
 
- Oh maledizione. Seguitemi! – Ordinò alle reclute tremanti che a seguito dell’esplosione avevano cominciato a urlare per la paura.
Ma per frignare non c’era tempo; dovevano agire in fretta.

 
 
 
Lir ci mise un batter d’occhio ad ambientarsi alla Corte e a godere degli agi che essa gli offriva: aveva un letto caldo e comodo, cibo a volontà e molto potere nelle sue mani. Gustò il lusso e lo sfarzo e il duro lavoro non gli pesava affatto, al contrario: Lir era intenzionato a mostrare la parte migliore di sé e avrebbe acconsentito a svolgere qualsiasi compito, pur di spiccare davanti agli altri. In poco tempo fu individuato da Nadia; Lir era stato affidato a Jude e fu lo stesso nipote a suggerire alla nonna che il ragazzo fosse molto speciale e sufficientemente disperato da potersi rivelare molto utile.
Per questo motivo Nadia decise che sarebbe stato la perfetta guardia del corpo del suo amato marito, inizialmente restio alla compagnia di Lir, o almeno fin quando non ne comprese a pieno le capacità.
Non furono poche le volte che la nuova recluta venne messa alla prova, e se con “l’affare Claudia Decour” se la cavò bene, altrettanto non fu quando ebbe la sfortuna di incontrare una giovane coppia con un bambino di non più di quattro anni, in mezzo alle Terre di nessuno. Lir non poté fare a meno di entrare in empatia col piccino tutto pelle ossa, per quel motivo riuscì a convincere i viandanti ad andare alla Corte. Lì avrebbe trovato a loro un lavoro e il piccolo Solomon non avrebbe più patito la fame.
Fu l’ultima volta che Lir Strong decise di salvare qualcuno; la sua fiducia, difatti, venne presto tradita: una notte in cui la Sentinella si recò a casa della coppia, il panico prese il possesso visto che dei tre non ce n’era nemmeno l’ombra. Il dubbio si instillò presto in lui, che prese a perlustrare la Corte in lungo e in largo e infine, con suo rammarico, li trovò. Avevano appena attraversato il confine della Corte sfruttando una falla nella recensione, complice il buio della notte.
Stavano scappando. Coloro che aveva salvato, di cui si era preso la responsabilità, stavano abbandonando la Corte di soppiatto.
La furia accecò il suo sguardo e divorò in un batter d’occhio ogni barlume di rimostranza; la sua spada morbida colpì mortalmente Bart e mentre quello agonizzava a terra, Lir lanciò con precisione chirurgica il giavellotto, che colpì Elene al centro della schiena. L’urlo di lei squarciò il silenzio che cullava la Corte con violenza raccapricciante.
Eppure non riuscì a colpire il piccolo Solomon; non riuscì a scordare gli occhi sbarrati e terrorizzati del bambino che tanto gli somigliava e proprio quelli servirono a risparmiargli la vita. Lasciò che scappasse nelle Terre di nessuno e dentro di sé sperò che qualcuno lo trovasse, mentre recuperava la bacchetta che i due erano riusciti a rubare, non si sa come, alla residenza di Nadia.
Lir era talmente sconvolto da quanto era appena successo che non si rese conto di una presenza che arrivò alle sue spalle, impreparato a quel colpo che arrivò alla testa e che gli fece perdere i sensi.
La prima cosa che vide, una volta rinvenuto, fu lo sguardo gelido e crudo di Jude; il ragazzo non gli dette modo di dire una sola parola: lo alzò di peso e lo attaccò alla parete del mulino accanto al quale era stato sorpreso.
 
“ Dammi un solo motivo per cui non dovrei farti tagliare la testa. “
 
Non si fidava. Jude non si fidava. Voleva capire cosa fosse successo, come mai le due persone che lui stesso aveva fatto entrare alla Corte, erano ormai freddi cadaveri al di là della recinsione. Era convinto che Lir nascondesse qualcosa e che fra lui e quei due ci fossero degli accordi, magari andati in frantumi. In quel momento una buona parte di Jude lo riteneva un traditore.
Si sorprese però, quando Lir con gli occhi spalancati e una vena di follia a illuminarli, lo afferrò per il collo della camicia, cominciando ad urlare come mai aveva fatto prima.
 
“Toccami, forza! Usa il tuo potere e dimmi ‘bugiardo’ se sto mentendo. Io non lo farei mai!”
 
Jude ritirò le mani e si ritrasse di qualche passo, lasciando con sua stessa sorpresa che l’altro continuasse a parlare.
 
“Siete stati la mia salvezza e questo non potrò mai dimenticarlo… mi avete trascinato fuori dal nulla. Fallo, ma sappi, caro Jude, che per quanto scomodo ti stia questo ruolo, tu sei mio amico e non ti farei mai una cosa simile!”
 
E poi Lir consegnò a Jude la bacchetta che aveva recuperato dalla coppia di traditori. Il maggiore allungò la mano ma non per usare il proprio potere, bensì per afferrare la bacchetta che gli veniva offerta. Comprese che Lir avesse ragione: non lo avrebbe mai tradito, perché lo considerava un amico, il migliore che avesse.
 
 
6:30 PM
La Corte - Residenza di Nadia
 
 
Lir continuava a passeggiare avanti e indietro in uno degli studi della residenza dei coniugi Millan. Solitamente apprezzava la compagnia di Etienne, che con lui si era sempre comportato in modo protettivo e gentile, ma in quella precisa circostanza Lir sentiva che qualcosa non andasse e che il suo posto non doveva essere lì. Aveva parlato a lungo con Jude e con il confronto avevano messo insieme i pezzi: per quale motivo Alida aveva avuto la visione di un grande incendio alla Corte? Le risposte che avevano tirato fuori erano due:
L’incendio che aveva visto la loro amica durante la visione era di origine involontaria, causato magari da un cortocircuito o da un gesto non volontario da parte di qualche abitante.
L’incendio era di origine dolosa e qui avrebbero dovuto prendere in considerazione qualche cittadino che, particolarmente scontento per qualcosa, si era cimentato in un atto tanto violento.
C’era anche una terza opzione, in quanto entrambi pensarono istantaneamente che forse la presenza di Stafford alla Magione di contenimento potesse in qualche modo c’entrare con questa futura spiacevole faccenda, anche se dall’uomo non erano riusciti a ricavare nessuna informazione. Non sapevano da dove fosse venuto, dove vivesse, né se faceva parte di qualche gruppo insurrezionalista, come i Ladri di bacchette. C’era però qualcosa che aveva smosso gli ingranaggi di entrambi. Non avevano idea del perché, ma Stafford poteva rientrare fra una delle motivazioni che avevano scatenato la visione di Alida.
 
- Ragazzo, a camminare così finirai per bucare il pavimento che mia moglie ama tanto e non so te, ma io non sono pronto a sentire le sue urla. -
 
Richiamato dalla voce di Etienne, fino a qualche istante prima immerso nella lettura, Lir finalmente si fermò. – Scusami, ma non mi sento tranquillo. –
 
- Non avevo bisogno di questa conferma. – Etienne chiuse il tomo e fissò il giovane: - Ma non devi preoccuparti; sai meglio di me che quella ragazza ha spesso visioni distorte e che spesso finiscono in un buco nell’acqua. Inoltre mio nipote sta facendo pattugliare tutta la Corte, mentre noi abbiamo qui te a tutelarci. -
 
- Hai ragione, forse non è niente, anzi probabilmente è proprio come dici tu. -
 
- Non ti devi preoccupare, è tutto sotto controllo. Ora fammi una cortesia, versa per entrambi qualcosa da bere e siediti, hai bisogno di distendere i nervi. -
 
Lir sospirò, ma fece come gli era stato chiesto da Etienne, che aprì nuovamente il suo libro in attesa di essere servito.
 
- Sai che cosa è successo con Ryurik? –
 
- Ho saputo, un risvolto molto interessante del suo potere. – Rispose Lir mentre gli porgeva un bicchiere di gin: - Mi spiace molto per lui; assorbire la rabbia di Jude non deve essere una passeggiata. -
 
Etienne accennò una risata dopo aver ingoiato un sorso di gin: - Già, conoscendo Jude neanche io lo invidio affatto, eppure stavo pensando che potremmo ottenere grandi risultati, affiancandolo a Alida, non credi? –
 
Lir quasi si strozzò; ciò che aveva appena detto Etienne non gli era passato nemmeno lontanamente per la testa. Sapeva quanto Alida soffrisse a seguito delle proprie visioni, specialmente quando quelle venivano indotte con insistenza; in confronto assorbire la rabbia di Jude, valutò, doveva essere come fare una scampagnata.
 
- Non… non ci avevo pensato. Quindi hai intenzione di… -
 
- Per la tutela di questo posto, credo che chiunque di noi dovrebbe essere pronto a qualsiasi cosa, Lir. Sono certo che Ryurik e i suoi genitori sarebbero onorati di servire la Corte. – Etienne, che fino a quel momento aveva tenuto lo sguardo sul bicchiere, lo alzò in direzione di Lir, che lo osservava senza riuscire a trattenere lo stupore: - Questo posto è il cuore del mondo e sai bene che il corpo muore, se il cuore smette di battere. -
 
Lir avrebbe voluto avere più tempo a disposizione per riflettere su ciò che gli aveva appena rivelato Etienne, ma la loro conversazione fu interrotta da Nadia, la quale entrò nello studio del marito avvolta da un alone tetro. Lo fissò con sguardo duro, un’occhiata che non lasciava spazio all’interpretazione.
 
- Che succede? -
 
- Oh caro… è appena arrivata una Sentinella ad avvisarci: hanno sentito una grossa esplosione nella zona del mulino. -
 
Per poco Lir non perse la presa del bicchiere che tratteneva nella destra; Alida ci aveva visto giusto, a quanto pareva.
 
6:30 PM
La Corte – il Mulino
 
Leaf si distrasse giusto il tempo di osservare lo spaventoso incendio che stava divorando il mulino. Sebbene la luce tanto intensa gli desse fastidio, rimase affascinato dal rogo; capiva perché Ame ne fosse così attratta. Ma il tempo a loro disposizione era davvero poco.
 
“Atlas, devi assolutamente fare in modo di filarvela il prima possibile. Le Sentinelle alla Corte non sono poi molte, considerando che buona parte di loro saranno in giro per compiere gravose missioni in nome della vecchia, ma non dobbiamo sottostimare chi rimarrà alla sua guardia. Scappate appena avrete causato abbastanza caos. “
 
“ Come sempre sai che puoi contare su di me. “
 
“ Non sarà immediato portare via Ame, pensa prima di tutto a lei. Claudia e Andra saranno molto più lucide. “
 
“ Certo, prima Ame.”
 
Aveva impresso nella testa lo scambio con Micah con metodicità, per questo si riebbe presto e gridò alle ragazze: - Abbiamo fatto abbastanza! Dobbiamo andare via! –
 
Leaf corse verso Ame, imbambolata davanti al suo capolavoro, quando una voce acuta arrivò alla sua destra.
 
- Chi siete?! Giù le maschere! -
 
Fu solo in quel momento che Ame riuscì a staccare gli occhi dalle lingue di fuoco che avvolgevano il mulino; quella voce lì, Liv non avrebbe mai potuto dimenticarla. Si voltò di scatto verso il suono della voce che si era rivolta a loro e si paralizzò, quando lo sguardo impattò contro quella che era stata la sua prima amica, la sorella senza legami di sangue su cui aveva potuto contare per gli anni passati in orfanotrofio.
Nonostante il vestiario peculiare e il buio della notte, Liv non aveva alcun dubbio: Artemisia era a una manciata di metri da loro e nel suo sguardo poté leggere terrore, ma anche rabbia e raccapriccio.
Leaf puntò il suo fucile contro di loro e lo stesso fece Dimma con la SIG Sauer.
 
- Merda, sapevo dovevamo sbrigarci! – Gridò Leaf mentre lanciava un colpo contro una delle Sentinelle che li avevano sorpresi. Quella venne colpita a una spalla e mentre un’altra la soccorreva, il resto del gruppo antagonista seguì l’ordine di Artemisia di attaccare. Erano numericamente in vantaggio, oltretutto Ame sembrava come pietrificata, tanto che Dimma dovette spingerla via, prima che dei colpi arrivassero a colpirla.
 
Artemisia impartì ordini al gruppo, dicendo loro di rimanere quanto più possibile nell’ombra; lei al contrario si mosse con agilità, avvicinandosi al chiarore delle fiamme; sebbene il sole fosse ormai tramontato, era quantomeno certa di poter sfruttare la luce dello spaventoso rogo.
 
Le due fazioni non si risparmiavano in colpi: Leaf e Oleander si mostravano letali nei loro attacchi, mentre Dimma difendeva Ame come poteva.
 
- Reagisci, cazzo! -  Le gridò. Dimma però non poteva sapere quale fosse il vero motivo per cui Liv non stesse riuscendo a fare alcunché; se era vero che la maggiore aveva conosciuto Artemisia all’orfanotrofio, gli otto anni che le distanziavano non avevano mai fatto approfondire il loro rapporto, ragion per cui nel buio della notte e in un frangente simile, era chiaro che non avrebbe potuto ricollegare la Sentinella, alla bambina che stava sempre appiccicata a Liv. E quest’ultima non poteva pronunciare il nome di Artemisia, altrimenti avrebbe rischiato di essere riconosciuta e di conseguenza scoperta.
Cosa diavolo avrebbe dovuto fare? Non poteva permettere che lei venisse ferita, perché in cuor suo sentiva che se fosse successo, nonostante facessero ormai parte di due fazioni opposte, non si sarebbe mai più ripresa.
 
Tentò di ritrovare lucidità e sangue freddo, Ame, e proprio quando era riuscita a tirare fuori la calma necessaria per capire come sarebbe stato meglio agire, sentì come un tentacolo gelido salire sulle sue scarpe e aggrapparsi al suo corpo. Quasi le venne da ridere, nonostante la tragicità del momento. Conosceva assai bene quel potere, anche se era la prima volta che Artemisia lo usava contro di lei; erano state così tante le volte in cui aveva spronato l’amica a non temere il suo stesso potere, esternandone invece le incredibili qualità e non avrebbe mai pensato che prima o poi quello le si sarebbe rivoltato contro.
In quel momento Ame era paralizzata e con rassegnazione, seppe che nulla poteva contro la volontà dell’ombra di Artemisia, che si era appena impossessata del suo corpo. Cercò scioccamente di resistere al proprio braccio che si piegava dietro la schiena, causandole un mugolio di puro dolore vista la torsione, mentre l’altro saliva verso la maschera. Mentre Dimma attaccava le Sentinelle che sparavano colpi nella loro direzione, affiancata da Leaf intento a scovare i ragazzi nascosti nell’ombra, Artemisia si avvicinava a Ame, compiendo quei movimenti che si riflettevano sulla bionda. La mano della Sentinella saliva verso il proprio viso e specularmente Ame faceva lo stesso: voleva che tirasse via la maschera antigas, era ovvio.
 
“Devo… resistere!” Pensò Ame, nonostante resistere era impossibile; sarebbe stato presto inevitabile rivelare la propria identità e a quel punto la scelta sarebbe stata amara e impossibile da prendere. Avrebbe tutelato la propria identità, attaccando mortalmente Artemisia? Oppure si sarebbe sacrificata facendo scappare i propri compagni, ma consegnandosi a quella che un tempo era stata come una sorella?
Ma nel momento esatto che stava per sfilare via la maschera dal viso, già parzialmente scoperto, sentì la forza dell’ombra farsi più tenue, fino a scivolare via da lei: nella confusione dell’attacco, Oleander era riuscita a riprodurre un suo clone, che era andato all’attacco di Artemisia. Nella corsa uno sparo l’aveva colpita alla gamba, facendo urlare la vera Oleander di dolore, eppure aveva resistito fin quando il clone non era riuscito a saltare su Artemisia, gettandola nel buio del campo.
 
- Via! Ora! – Gridò Dimma non prima di abbattere un’altra giovane Sentinella che gli stava dando del filo da torcere. Intanto Oleander, dolorante più che mai, riassorbì il clone e si preparò alla fuga.
Libera dal potere di Artemisia, Ame recuperò il fiato; i suoi occhi saettarono su Leaf, che non sembrava intenzionato a seguire le altre; il suo fucile puntava su Artemisia, la quale si stava rialzando con fatica.
 
- No! – Gridò Ame, scagliandosi sul compagno e facendo giusto in tempo a deviare la traiettoria del suo fucile; il colpo sfiorò la Sentinella di qualche centimetro.
 
- Perché?! – Gridò lui, fuori di sé dalla rabbia, ma Ame non gli dette alcuna spiegazione, così gli afferrò una mano e lo trascinò via, prendendo a correre dietro a Dimma e Oleander che stavano percorrendo la strada a ritroso, pronte a darsi alla fuga. Durante la corsa sentirono delle grida e alcuni spari intenzionati a colpirli; raggiunsero la via di fuga per puro miracolo e saliti a bordo della vecchia decappottabile di Andra, si dettero subito alla fuga senza guardarsi indietro.
 
 
Giunta la notizia, Etienne aveva dato a Lir il permesso di andare a vedere cosa fosse successo al mulino. Per la strada verso i campi, si rese conto che il buio aveva inglobato alcune zone della comune e che quindi con ogni probabilità, il mulino doveva aver subito grandi danni. Stava per arrivare al punto in cui vedeva le fiamme divampare, quando fu distratto da un gruppo di persone che correvano via dall’incendio; tento di rincorrerle, ma era troppo tardi: sparirono nel nulla dei campi.

 
 
 
Non era passato giorno da quando Liv aveva assistito a quell’abuso, che non avesse passato a pensare quanto quel posto le fosse stretto. Ogni volta che i reclutatori della Corte erano giunti all’orfanotrofio, la ragazza si era sempre fatta indietro, respingendo l’idea di entrare a far parte di quel sistema che ripudiava. Non le interessavano i racconti idilliaci riguardo alla comune in cui risiedeva la Governatrice suprema, per quanto la riguardava quelle non erano che favolette per allocchi. Più volte si era confrontata con Artemisia riguardo alla sua idea di voler scappare dall’orfanotrofio, cercando di convincerla che quello non era il posto che spettava loro e che sarebbe stato molto meglio affrontare le Terre di nessuno, piuttosto che andare ad alimentare il sistema corrotto di Nadia.
 
Erano passati tre anni da quando Lir aveva lasciato l’orfanotrofio per entrare a far parte delle Sentinelle; ogni volta che il ragazzo era tornato in veste di reclutatore, aveva cercato di convincerla che meritasse un posto alla Corte; era vero, Liv non possedeva alcun potere particolare, a differenza di Lir e Artemisia, ma aveva dimostrato di valere come dieci di loro, almeno a detta di Lir.
Liv era vulcanica, forte, coraggiosa e possedeva la tempra adeguata per affrontare ogni compito le sarebbe stato assegnato. Ma a Liv non interessava minimamente; ormai la giovane si era definitivamente convinta che l’unico modo per migliorare il mondo orribile in cui viveva, non era che sovvertire il sistema non preoccupandosi di dare sfogo alla violenza. Non c’era alcun tipo di obiettivo nella sua mente, ma solo una missione, ovvero raggiungere lo stato di anarchia.
Così organizzò con minuzia il suo piano di fuga.
 
“ Non posso farlo Liv, non posso venire con te. Ti prego, ripensaci! Fuori da qui non sappiamo che cosa ci aspetta e non voglio che ti accada nulla di male! “
 
Nessuna delle parole di Artemisia riuscirono a smuovere Liv dal suo obiettivo, così come non fu mai convinta dalle richieste di Lir di entrare alla Corte. Ormai era deciso, Liv sarebbe scappata e si sarebbe lasciata alle spalle il mondo falso costruito da Nadia; nel farlo, avrebbe oltretutto fatto in modo di recare più danni possibili all’orfanotrofio, che mai aveva percepito come casa, ma solo come un luogo dove ogni giorno lei e i suoi compagni venivano istruiti per diventare carne da macello alla mercé della Governatrice.
Informò così Artemisia che quella notte sarebbe scappata, fornendole l’orario preciso nel caso l’amica avesse cambiato idea, decidendo di seguirla.
 
“ Non te ne vorrò se deciderai di rimanere qui, ma pensaci bene Misia. Quel mondo non ti appartiene, non ci appartiene.”
 
La notte della fuga, Liv scivolò via dal suo letto e lanciò un’occhiata a quello vuoto di Artemisia: che l’amica avesse deciso di seguirla? Raccolse le poche cose che aveva con sé, così sgattaiolò fuori dal dormitorio. Doveva fare un paio di cose prima di fuggire; una di queste fu nascondere un biglietto e un ciondolino a forma di volpe, che lei stessa aveva costruito, sotto il cuscino di Lir, ospite per qualche giorno al dormitorio in veste di reclutatore.
 
Il ragazzo fu svegliato alle quattro del mattino dalle urla di tutori e ragazzi. Avvolto nel suo pigiama di seta viola, corse fino al pian terreno, laddove si trovavano le cucine dell’orfanotrofio: quelle erano avvolte da un incendio mostruoso e ci volle molto impegno per spegnerlo del tutto.
Solo il giorno dopo si accorsero che all’appello mancasse Liv, della quale il reclutatore trovò il ciondolo sotto al proprio cuscino, con un biglietto allegato che gli fece incastrare un sorriso sul viso.
 
Caro Imbecille. Se stai leggendo questo biglietto vuol dire che ancora una volta mi sono dimostrata più furba di te. Ho fatto il fagotto alla fine e ho lasciato questo posto di merda; mi auguro per te che prima o poi sceglierai per il meglio anche tu, anche se visto il tuo scarso QI non credo accadrà. Spero che se ci incontreremo di nuovo, non sarà per trapanarti la faccia. Stammi bene <3
Liv
P.S. Ti ho lasciato due regali, quello carino è accanto a questa lettera, l’altro lo troverai nelle cucine di questa fogna.
 
E Liv l’aveva fatto davvero, di lasciarsi la sua vecchia vita alle spalle. Con coraggio si era spostata da un rifugio all’altro nelle Terre di nessuno che circondavano la Corte, nascondendosi dalle Sentinelle che erano state mandate a cercarla e sfidando la sorte, giorno e notte. Non aveva una meta, era vero, ma non le importava. Nonostante sentisse la mancanza dei suoi amici, sentirsi libera valeva molto di più di quei legami; inoltre si rese conto ben presto che le Terre di nessuno non erano luoghi così terribili come le era stato raccontato. Nutrivano invece una vita inaspettata, fatta di mercati colorati e gente pronta a gonfiarti la testa di racconti provenienti da tutto il mondo. Certo, bisognava fare attenzione perché le fregature si nascondevano dietro ogni angolo, ma la dura vita all’orfanotrofio l’aveva ampiamente formata e Liv aveva imparato a difendersi; aveva passato la sua vita a pensare per sé, consapevole di non avere una famiglia a tutelarla.
Una sera di luglio, immersa in uno dei Mercati che aveva preso a seguire con assiduità, Liv si scontrò con un paio di uomini molto insistenti nel voler avere informazioni su di lei; la pazienza non era di certo una sua qualità e la lingua spesso anticipava il pensiero razionale, così Liv si ritrovò a informarli che potevano prendere le loro domande e ficcarsele nei pertugi nascosti dalle loro brache.
Probabilmente sarebbe morta, se non avesse incontrato un tipaccio alto che a vederlo Liv non avrebbe dato un soldo, ma che ci mise un batter d’occhio a ridurre male quelle che si erano rivelate essere due Sentinelle annoiate, decise a passare il loro tempo libero fra i piaceri oscuri dei Mercati.
 
“ Che cazzo ci fa una ragazzina come te in un posto così? Hai perso la mamma per caso?”
 
“ No che non l’ho persa, lavora in quel bordello insieme alla tua! “
 
Il ragazzo aprì la bocca, stupito più che mai dall’insolenza di quella ragazzina che aveva appena rischiato la vita, ma poi una risata sgorgò da essa, risata che Liv non seppe interpretare, se non con il pensiero di aver incontrato un altro pazzo e che forse era meglio darsela a gambe il prima possibile. Ma non ci riuscì, perché quello lì l’aveva presto trascinata via. “Dopo quello che è appena successo, meglio battersela. Allora vuoi dirmi come ti chiami, biondina?”
 
“ Liv. E tu chi sei, brutto tipo? “
 
“ Mi chiamo Sonne e ora mi devi un favore, visto che ti ho salvato la vita!”
 
Quando Sonne la portò al Quartier Generale, Liv capì in un attimo che quel luogo aveva il profumo di casa. Finalmente era riuscita a trovare il suo posto nel mondo, in compagnia di gentaglia idealista, che comprendeva e apprezzava.
E poi c’era Micah, colui che le aveva davvero fatto capire cosa volesse dire avere una famiglia al di fuori dello Strong. Il ragazzo curò le sue ferite emotive, la addestrò per migliorarsi, ma specialmente non la giudicò mai. L’aveva individuata come suo pari e Liv fece lo stesso.
Fu lui a chiamarla Ame, come la pioggia che avrebbe scacciato la siccità, come l’acqua che è motore di vita. Uno scopo nobile, che dette a Liv un motivo per rimanere a rafforzare i Ladri di bacchette, come una salvifica pioggia estiva, caduta dal cielo, per aiutare la natura nel difficile processo del sopravvivere.
 
 
7:35 PM
La Corte
 
- Sei sicuro che sia questa la strada giusta? -
 
Alla domanda di Sonne, Chion annuì; prima di scappare dalla Corte, il giovane Auden aveva vagliato una lunga serie di ipotesi e ispezionato tutte le possibili vie di fuga. Alla fine aveva trovato una via più o meno sicura all’interno del bosco della Corte. Fu lì che spuntò il gruppo dei ladri capitanati da Sonne, il quale lanciò un’occhiata a una grande villa che affacciava sulle sponde del lago che tanto aveva amato da bambino. Il ragazzo sentì una strana morsa allo stomaco, mentre gli occhi chiari percorrevano i lineamenti dell’edificio avvolto dal buio; aveva fantasticato più volte con Jude di andare a vivere insieme proprio lì, in quella radura che sembrava prestarsi alla perfezione per la costruzione di una bella casa, se mai i nonni glielo avessero permesso.
E quindi, alla fine, il cugino lo aveva fatto, si ritrovò a pensare con una nota di amarezza.
 
- Quindi ora che si fa? – La voce di Vulkan, un sussurro leggero, destò Sonne dai dolorosi pensieri.
 
- Si va, seguitemi. -
 
Attraversarono il bosco stando attenti a fare meno rumore possibile, quando Chion frenò di botto e aggrappò una mano al braccio di Sonne: - Dei rumori, non siamo soli. –
 
- Già, sento odore di essere umano. – Masticò Vulkan assottigliando gli occhi. Nemmeno un minuto più tardi videro la luce di una torcia che si avvicinava e che, infine, puntò nella loro direzione.
 
- Voi! Uscite allo scoperto! – Urlò la voce di colui che puntò contro di loro la torica e la pistola; il poveretto, però, non ebbe il tempo di premere il grilletto: la kusarigama di Sonne mulinò nella sua direzione e la catena si avvolse intorno al collo della Sentinella, colpito infine alla testa dal peso agganciato a una delle sue estremità. L’uomo cadde a terra lamentando il dolore e quando alzò di nuovo lo sguardo, si ritrovò faccia a faccia con un volto celato da un paio di grandi occhiali dalle lenti arancioni  e una bandana rossa. Con un movimento di rapidità disarmante, Sonne recuperò l’arma, per poi tagliare di netto la gola della Sentinella con il falcetto della sua kusarigama, che riagganciò alla cintura.
Infine, intanto che la Sentinella agonizzava a terra, premendosi le mani sulla gola, Sonne si voltò verso il gruppo di compagni, che non poterono vedere il sorriso compiaciuto e sinistro solcargli il viso.
 
- Ora si inizia a fare sul serio. -

 

(1) Ninnananna gaelica
     *Chiudi gli occhi, cuore mio
     mia gioia quotidiana, 
     chiudi gli occhi amore, cuore mio
     e avrai un premio domani.*


 
Buona sera a tutti cari lettori. Lo so, questo capitolo è uscito fuori lunghissimo nonostante i personaggi non siano stati tutti approfonditi (addirittura Stafford non appare: sorry Staffy, ma non mi era poprio possibile mostrare il tuo bel faccino a questo giro, recupererò presto, non temere). Spero che il prossimo sarà un tantino più corto! Detto questo spero vi sia piaciuto, specialmente che abbiate apprezzato Ame e Lir, i fortunatissimi stramegaultra votati la volta scorsa. E a proposito di voti, vi chiedo sempre di farmi due nomi (in privato) per il prossimo capitolo. Vi lascio la lista da cui pescare.
 
Ajax
Leaf
Mångata
Yuki
Izzie
 
Altra domanda molto importante per voi. Rullo di tamburi, è arrivato il momento di cominciare a pensare alle coppie! Ad alcuni di voi sembrerà presto, eppure ho davvero bisogno di cominciare a confrontarmi con voi per ciò che riguarda i vostri oc. La storia è molto complicata e qualora si sviluppassero delle coppie, ho bisogno di tempo e contesto per farlo. Vi avviso che non essendo una storia con caratteristiche romantiche, non è detto che ogni vostro personaggio finirà accoppiato. Detto questo aspetto i vostri messaggi in privato quanto prima (vi prego di farmi dei nomi di oc fattibili. Ad esempio è molto difficile che un ladro e una sentinella che non si conoscono, possano avere a che fare sotto un profilo amoroso.)
 
Grazie per tutte le recensioni lasciate per lo scorso capitolo. Ci sentiamo presto!

Bri
 
 
 

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Capitolo 7
*** L'Arrocco ***


CAPITOLO V
“L’arrocco”


 
All’apparenza, la vita del piccolo Atlas Whitelaw poteva annoverarsi fra i sogni di molti dei bambini che abitavano la Terra governata da Nadia. Era pur sempre il nipote dei governatori di una Comune e di certo i suoi genitori non gli avevano mai fatto mancare nulla. Munito di una curiosità notevole, il bambino aveva passato i primi anni di vita ad esplorare quella sorta di castello di Siddharta in cui era nato. Proprio la sua spiccata sete di conoscenza, tendenzialmente atipica per un bambino che non aveva necessità di scoprire in quanto ogni cosa di cui aveva bisogno gli veniva fornita, lo portò a un incontro che avrebbe cambiato la sua vita, stravolgendola in maniera irreversibile.
Tredici anni chiusi in un corpo esile e dinoccolato, pronto a spingersi in una delle viette più isolate della Comune; fra un saltello e un’arrampicata, il giovane Atlas arrivò a fare la conoscenza del vecchio Walter, un vero e proprio enigma. Ma era chiaro da molto tempo che Atlas amasse gli enigmi e gli indovinelli e Walter risultò per lui una sfida da superare, perché il vecchio che si trovava sulla via, probabilmente per fare ritorno alla propria dimora, si arrestò solo per gettare un’occhiata a quel ragazzino e a rivolgergli una domanda che sembrava non avere né capo né coda, almeno non per i comuni mortali.
 
“Cosa significa essere un mago?”
 
Un mago? Atlas sapeva di appartenere a una famiglia in cui scorreva sangue magico, ma da fieri sostenitori di Nadia e dei suoi ideali, Ginevra ed Ernest si erano sempre ben guardati dall’approfondire  il discorso con il figlio, convinti che la magia andasse abolita e soppressa per il bene comune. Quindi con la naturalezza che gli era propria, Atlas rispose di non saperlo.
Non si aspettava di certo che quel vecchio si mettesse a ridere, sbeffeggiandolo senza pudore dicendogli che fosse solo un ignorante. Walter rientrò a casa, non avendo probabilmente la minima idea di cosa avesse scatenato nella mente del giovane.
I dubbi e le domande cominciarono ad ammassarsi nella testa di Atlas che voleva solo saperne di più, non accettando l’idea di essere reputato ignorante da chicchessia, anche se questo non era che un anziano con qualche rotella fuori posto. Così cominciò a rivolgere apertamente domande ai propri genitori. Quale era la differenza fra un mago e un babbano? Come si usa una bacchetta e perché loro non potevano più farlo?
Se inizialmente i genitori si limitarono a rimanere pietrificati, minacciando il figlio di severe punizioni se avesse continuato ad andare in giro a fare quelle domande, davanti all’inarrestabile curiosità di Atlas non ci videro più.
Iniziarono le punizioni, prima piccoli divieti e pasti saltati, eppure Atlas non sembrava propenso ad abbandonare la sua battaglia per amor di conoscenza; venire alle mani fu l’automatica conseguenza per Ernest e Ginevra, nei quali brillava il fuoco della passione per la Governatrice e non c’era amore che tenesse, nemmeno quello nei confronti del loro unico genito.
I lividi aumentavano, sul fragile corpo di Atlas, ma ancora una volta non demorse e se possibile, il fatto che i suoi genitori si rifiutassero di dargli risposte restituendo invece percosse su percosse, aumentò i dubbi. Se Nadia si trovava nella ragione, per quale motivo trattavano le sue domande come dogmi assoluti?
Era chiaro come il sole che quella Comune, ricamata di belle parole e che faceva parte di un tessuto ampissimo che ammantava il mondo intero, fosse solo lo specchio per le allodole di coloro che ne facevano parte.
Oltre di essa, infatti, dovevano nascondersi alcune delle risposte alle sue domande e Atlas non avrebbe rinunciato facilmente ad averne, non certo per qualche costola rotta.
 
 
 
Quartier Generale
 
Skog lanciava sguardi preoccupati intorno a lui, mentre impartiva ordini per risistemare la cucina e il refettorio. Un gruppo nutrito di suo compagni era partito per una missione importantissima e l’uomo sperava che almeno buona parte di loro riuscissero a fare ritorno. L’unica cosa che gli dava speranza, era che si fidasse di loro, specialmente di Sonne; il ragazzo sapeva quel che faceva e lui non poteva che appoggiarlo.
Quando, intorno alle undici di sera, sentì un gran baccagliare all’entrata della grande ala comune, tirò un sospiro di sollievo. Si affrettò a catapultarsi nel luogo da cui provenivano le voci mentre ripuliva le mani con uno strofinaccio consumato; Vide Ame e Leaf, la prima con la maschera antigas stretta fra le piccole mani pallide e tremanti di rabbia, che camminava con passo marziale e il secondo che la seguiva imprecando. Dietro di loro Oleander aggrappata a Dimma, zoppicava un po’.
 
- Kleine vogel(1) , che ti è successo? -
 
La minuta ragazza alzò gli occhioni in direzione di Skog e gli rivolse un gran sorriso, mentre Dimma gli chiedeva aiuto e prese a spiegare al posto suo.
 
- Ci siamo scontrati con delle Sentinelle e una di loro ha colpito il suo clone, niente che non si sistemi con una buona medicazione e un massaggio. -
 
Skog aggrottò le sopracciglia, così fece segno a Dimma di lasciare che fosse lui a sostenere Oleander e subito dopo lanciò un’occhiata a Leaf e Ame, ancora immersi in un’accesa discussione.
 
- Che è successo a quei due? – e poi, indurito il tono, alzò la voce: - Calmatevi! I ragazzini dormono! -
 
- Ame ha impedito che Leaf facesse fuori una di loro… e questo è il risultato. – Oleander seguì con un verso di dolore, mentre massaggiava una gamba.
 
- Skog, puoi occuparti tu di lei? Io devo risolvere questa questione. In infermeria troverai tutto l’occorrente per medicarla; la ferita non è grave visto che il riflesso dell’attacco al clone, ma è bene non sottostimare il colpo. -
 
L’uomo annuì e seguì con lo sguardo Dimma avvicinarsi decisa verso i due. Sapeva che la donna non avrebbe avuto problemi a gestire la discussione, così lanciò un mezzo sorriso alla strega aggrappata a lui: - Forza, andiamo a vedere cosa è successo. Se ti comporti bene mi adopererò per eseguire uno dei famosi massaggi alla Skog, la panacea di ogni male! –
 
Oleander annuì trattenendo un singulto imbarazzato; pensò che avrebbe fatto di tutto per comportarsi bene: quando le sarebbe ricapitata un’occasione simile?
 
La Corte
Il mulino
 
La berlina nera sfrecciava lungo la strada buia che lo avrebbe condotto al mulino; dietro di lui tre Sentinelle lo seguivano a cavallo. La velocità con cui procedeva era incontrollata, ma saputo dell’esplosione, Jude non ci aveva pensato due volte a mollare la ricognizione e catapultarsi lì, sperando di riuscire a beccare i responsabili di quel disastro.
Frenò di colpo, quando vide delle ombre procedere a bordo strada; spalancò lo sportello della berlina e si affrettò per raggiungere Artemisia, Lir e un paio di reclute malconce; notò immediatamente che il suo amico teneva un braccio intorno alle spalle di Artemisia nel tentativo di confortarla e per quello Jude sentì una spiacevole morsa allo stomaco. Sapere che la ragazza stesse bene era diventata una priorità.
Lir, che conosceva a fondo Jude, cercò i suoi occhi chiari nel buio della notte; fortunatamente almeno i fari della berlina fecero in modo di dare consistenza al gruppo.
 
- Sta bene; purtroppo un paio di reclute sono ridotte molto male, mentre una di loro non ce l’ha fatta. Un colpo, sai, l’ha beccata proprio al centro della fronte. Quelli sapevano come usare le armi. -
 
Jude annuì: - Hai mandato qualcuno a chiedere aiuto? –
 
- Ho spedito una delle reclute che non ha subìto colpi; a breve dovrebbero arrivare i soccorsi. -
 
Artemisia era rimasta ammutolita per tutto il tempo; sguardo basso e pugni stretti. Si mosse solo quando percepì la figura di Jude posizionarsi davanti a lei e fu automatico portare il pugno stretto al cuore e piegare la testa per salutare il capo delle Sentinelle, ma trovò difficoltà ad alzare gli occhi chiari.
 
- Stai bene? -
 
Era vero, le parole di Lir lo avevano tranquillizzato, ma Jude sentì comunque l’esigenza di avere conferma diretta da parte di Artemisia, la quale annuì con poca convinzione.
 
- Sto bene, mi sono difesa. Purtroppo non si può dire lo stesso per gli altri. -
 
Ci volle molto poco a far si che la preoccupazione di Jude tramutasse in rabbia; afferrò il pacchetto di sigarette dall’interno della giacca e ne accese una con foga. Solo a quel punto tornò a rivolgersi ad Artemisia.
 
- Guardami. -
 
La strega inizialmente esitante, alzò lo sguardo per scontrarsi con quello gelido di Jude. Solo a quel punto il capo delle Sentinelle tornò a parlare; la sua voce la fece tuffare in un torrente di acqua gelida.
 
- Spiegami come è possibile. Spiegami come cazzo è stato possibile tutto questo. – La mano che tratteneva la sigaretta puntò verso il mulino ormai distante ma ancora in fiamme.
 
- Cosa vuoi che ti spieghi, con esattezza? – Seppure notevolmente scossa, Artemisia tentò di trovare la giusta stabilità per affrontare l’imminente scontro con Jude; alla sua domanda il mago assottigliò lo sguardo e dalla sua bocca uscì qualcosa di simile a un sibilo: - Cosa voglio che mi spieghi? Ad esempio come hai fatto a far distruggere il mulino e a farli scappare. Potremmo partire da questa banalità, che ne dici? -
 
- Ci ho provato, ma erano in quattro, o in cinque… tutti esperti. E io ero sola con un branco di novellini che tu mi hai affiancato; ho fatto del mio meglio. -
 
- Io mi fidavo di te! – Sbottò Jude, facendo sobbalzare Artemisia, mentre Lir aspettò per intervenire: - Ho pensato che fossi abile abbastanza da far fronte a una situazione così, invece guarda che cazzo è successo! Ah… ma l’idiota sono io, che ho pensato di poterti affidare un compito simile. - Jude lasciò cadere la sigaretta a terra e la schiacciò con rabbia sotto la suola. A quel punto Lir mosse un passo in direzione di Jude e gli strinse una spalla: - Jude… non era prevedibile, sai che non è colpa sua. -
 
Non lo era? Certo che no, ma Jude era troppo scosso in quel momento. Aveva tentato di muoversi al meglio dopo la visione di Alida e aveva sperato che le sue Sentinelle fossero sufficienti per far si che il futuro potesse mutare. Ma il destino si era compiuto, per questo dentro di sé il mostro dell’ira aveva smesso di ronfare e aveva preso il sopravvento.
Con uno strattone si liberò dal tocco gentile di Lir, per poi puntare l’indice in direzione di Artemisia: - Mi fidavo. – Ribadì: - e mi hai deluso. Ora vattene a casa, tanto con questo fottuto buio il tuo potere è inutile. Lir vieni con me, cerchiamo di trovare i responsabili di questo disastro. -
 
Artemisia non poteva e non voleva credere a quelle parole. Ormai conosceva Jude da molti anni; se all’inizio lei non era che una ragazzina impaurita davanti a un uomo intransigente e che trasmetteva pericolo con una sola occhiata, con il tempo aveva imparato a capirlo, a comprendere i meccanismi più intricati che appartenevano all’enigmatica figura di Jude. Lei aveva dato prova di essere forte, di adempiere al ruolo di Sentinella nonostante non avesse mai sentito di essere speciale e lui aveva cominciato a smettere di guardarla come fosse una mocciosa impaurita.
Era arrivato il rispetto reciproco, la comprensione e la fiducia.
Artemisia lo sapeva che quando Jude reagiva in quel modo, un velo rosso calava davanti ai suoi occhi che non permetteva al capo delle Sentinelle di analizzare con lucidità le situazioni, come sapeva che le parole sibilate con sprezzo, come quelle appena rivolte nei suoi confronti, erano frutto dell’incapacità dell’uomo di sopire la furia.
Eppure si sentiva ferita. Ferita, addolorata e insicura.
 
- Ok, Jude. Scusami. – sussurrò mentre lo fissava con maggiore sicurezza ora, poi gli dette le spalle e si incamminò verso il centro della città.
Lir mosse lo sguardo verso Jude, che non staccava gli occhi dalla schiena di Artemisia che si allontanava sempre più, finendo per essere inghiottita nel buio. Ma in quel momento Lir non era l’amico di Artemisia, o di Jude; era una Sentinella, guardia del corpo di Etienne e fedele braccio destro del capo delle Sentinelle. Non commentò, limitandosi invece di eseguire l’ordine di Jude il quale marciò verso l’automobile alla quale regalò una violenta manata sul bordo dello sportello, prima di montare dentro e partire, con Lir, a tutta velocità verso il punto in cui quest’ultimo aveva visto sparire gli intrusi.
 
*

 
La vita della piccola Eleanor era sempre stata tranquilla senza intoppi di sorta; i suoi genitori la amavano e dimostravano amore l’un l’altra e vivere nella Corte costituiva un ulteriore elemento di tranquillità. All’interno delle mura della grande comune, infatti, ogni cosa sembrava essere al posto giusto e ogni persona finiva per incastrarsi nel sistema di Nadia con disarmante semplicità.
Dagli occhi di una bambina, quello sembrava un piccolo paradiso; Eleanor non conosceva la vita al di fuori della Corte e l’unica cosa che destava in lei delle preoccupazioni, erano quelle Sentinelle che di tanto in tanto entravano nelle case dei loro vicini e magari portavano via qualcuno. Una sera, a cena, la piccola Eleanor chiese ai genitori ‘come mai quelle persone si comportano così’; in buona sostanza la bambina era curiosa di sapere per quale motivo Nadia ordinasse la deportazione di quelli che erano alcuni dei genitori dei suoi amichetti, ma essendo una bambina di soli otto anni, non poteva di certo comprendere le dinamiche che erano sottilmente nascoste dietro il regime della Governatrice.
I genitori, comunque, ignorarono la sua domanda, o meglio le dissero che non doveva preoccuparsi di cose così.
 
“Ma io voglio sapere!” Si lamentò la piccola Eleanor, sputacchiando pezzetti di broccolo qui è lì e facendo arrabbiare Maggie, la quale rispose che il cibo, in quel mondo lì, non era mica cosa da buttar via.
 
Sostanzialmente le domande della piccola Eleanor non ottennero risposta, ma lei non se ne preoccupò più per un po’ di tempo; del resto aveva tutto ciò che potesse desiderare: una bella casetta in cui vivere, degli amici con cui giocare e dei genitori che la alleavano con amore. Non fosse per quel giorno nefasto, tutto sarebbe proseguito a gonfie vele, per la giovane strega.
 
Presente quelle Sentinelle che di tanto in tanto passavano nelle case dei suoi amichetti, quelle stesse Sentinelle che portavano via i loro genitori, che poi non facevano più ritorno?
E se questa volta fosse toccato proprio alla piccola Eleanor, mentre giocava in cortile con la mamma e pettinava la sua bambola preferita?
Se suo padre Daniel avesse gridato, poi fosse entrato in cortile e fosse corso ad abbracciare moglie e figlia (per un attimo le parve di vedere Maggie nascondere una pistola sotto la gonna) chiedendo scusa, prima di essere trascinato via dalle Sentinelle?
Così, la vita della piccola Eleanor cambiò da un giorno all’altro, o per meglio dire venne spezzata in più parti; era passata da piccola abitante della Corte, circondata da affetto e serenità, alla figlia di un ‘rivoltoso’ (che era il termine che usavano per chiamare il suo papà) e di una donna ormai ridotta uno straccio.
Già, perché Maggie dal momento in cui vide portarsi via l’amore della sua vita da davanti agli occhi, passò dall’essere una leonessa, donna forte e temprata, a l’ombra di se stessa.
E la piccola Eleanor, che man mano cresceva diventando solamente ‘Eleanor’, imparò a farsi forza da sé, sebbene addolorata e segnata dalla scomparsa di Daniel dalla sua vita e da tutto il mondo che, da quel giorno, sembrò crollarle addosso, pezzo dopo pezzo, come un architettura antica abbandonata a se stessa.
 
 
La Corte
 
Yuki aveva notato come Chion, al suo fianco, fosse rimasto scosso da quello che aveva appena fatto Sonne. Il mago si era irrigidito e stretto con automatismo nelle spalle, evitando i commenti; nonostante per la strega non ci fossero problemi, si sentì comunque di prendere la parola; lo fece con cautela e non solo perché la situazione lo richiedeva, bensì perché aveva sempre rispettato Sonne e le sue scelte. Insomma: lo stava facendo solo per clemenza nei confronti di un compagno che percepiva in un certo modo fragile.
 
- Era necessario ucciderlo? – Chiese quindi. Sonne nel frattempo stava ripulendo la lama della sua arma e nonostante indossasse i suoi peculiari occhiali dalle lenti gialle, Yuki poté comunque percepire i suoi occhi puntati su di lei.
 
- Me lo stai chiedendo davvero? -
 
Yuki non si lasciò intimidire dall’amico, tutt’altro: raddrizzò la schiena e annuì, per poi parlare con voce ferma, sebbene il tono fosse dei più bassi: - Credo solo che quella Sentinella sarebbe potuto essere chiunque, magari addirittura uno dei nostri familiari, o amici, o… -
 
Inaspettatamente per Yuki, fu Jabal a rispondere al posto di Sonne; l’uomo che si stava già occupando insieme a Vulkan di trascinare il corpo della Sentinella in un tratto oscuro del sottobosco, si fermò per parlarle con franchezza: - In un momento del genere non possiamo permetterci di porci dilemmi morali, Yuki. Siamo qui per salvare un nostro compagno e se avessimo anche solo stordito questo sgherro di Nadia, una volta ripreso avrebbe potuto lanciare l’allarme. –
 
Dentro di sé Yuki sapeva che Jabal avesse ragione, eppure non poteva non immedesimarsi in Chion, il quale possedeva un punto di vista diverso.
 
- Beh avremmo potuto fare diversamente, magari uno di noi poteva rimanere qui a sorvegliarlo e… -
 
- E se ne arriveranno altri? – La incalzò Vulkan, particolarmente spazientito: - Ci mettiamo a fare i babysitter e ‘fanculo Stafford? -
 
- Vulkan ha ragione- annuì Jabal, - Non abbiamo tempo per questo, dobbiamo agire in fretta. -
 
- Ma io volevo dire che… -
 
- Basta. – Decretò Sonne, rimasto in silenzio fino a quel momento: - Ne riparleremo una volta tornati al Quartier Generale; Dimma, Leaf, Ollie e Ame hanno rischiato la vita per crearci un diversivo e non ho nessuna intenzione di perdere quest’occasione. -
 
- Hai ragione, scusami. – Concluse Yuki stringendo appena i pugni. Che cosa le fosse passato per la testa proprio non seppe dirlo; era stata sciocca, non aveva mai alzato polemiche in momenti così delicati, proprio lei che in battaglia si trasformava in una macchina da guerra. Mentre seguivano Sonne, però, Chion le si accostò; il ragazzo accennò un sorriso e sussurrò un grazie, che la lasciò inizialmente spiazzata. Scosse la testa e ricambiò il sorriso, ma convinta a non aprire più bocca fino alla fine della missione.
 
Quartier Generale
 
- Sei stata muta per tutto il tragitto, ora hai intenzione di dire qualcosa?!-
 
Leaf era fuori di sé dalla rabbia. Trovava il comportamento di Ame inaccettabile e non era intenzionato a rimanere in silenzio; doveva capire per quale motivo gli avesse impedito di uccidere quella pericolosa Sentinella la quale, per altro, stava per farla scoprire e che con ogni probabilità, non fosse intervenuta Oleander, l’avrebbe anche uccisa. Ma Ame si era rifiutata di dire anche solo una parola, nemmeno una spiegazione mozzicata; chiusa nel silenzio non aveva reagito fino a quel momento e una volta arrivati sani e salvi al Quartier Generale, aveva cominciato a prenderlo a male parole.
 
- Ho le mie motivazioni, cazzo! – Urlò lei, mentre alcuni Ladri ancora svegli gettavano a loro occhiate interrogative, curiosi di capire se fosse andato storto qualcosa durante la missione.
 
- Non puoi limitarti a dire così! – Gridò Leaf, con gli occhi sgranati e le vene delle tempie che si gonfiavano a ogni urlo – Siamo una fottuta squadra e il tuo comportamento ha rischiato di farci scoprire! Claudia è rimasta ferita per aiutarti! -
 
La strega aveva preso a mordersi con ferocia la bocca, per poi passare alle cuticole del pollice; guardava Leaf come fosse in procinto di esplodere, ma era ovvio che stesse facendo di tutto per trattenersi. Poi si voltò di scatto, intenzionata ad andare nel suo dormitorio. Doveva sedare l’ira, altrimenti nemmeno lei sapeva che cosa sarebbe potuto accadere se fosse andata fuori controllo. Ma Leaf non mollò, tutt’altro: la raggiunse a grandi falcate, afferrò la spalla destra e la fece voltare con vigore arrivando a farla barcollare: -Tu non vai da nessuna parte. – Masticò fra i denti.
 
- Lasciala stare. – La voce gelida di Dimma arrivò al suo fianco – Non lo vedi che è sconvolta? -
 
- Voglio capire, abbiamo il diritto di sapere perché ha messo a repentaglio la nostra vita per salvare una maledetta serva di Nadia! -
 
- Non è una Sentinella qualsiasi! -
 
Ame lo gridò con tutto il fiato che aveva in gola e l’eco delle sue parole spaziò nell’architettura sconnessa della sala centrale. Dimma la guardò di tralice: Ame tremava.
 
- Lei… lei è mia sorella. -
 
Inizialmente sbigottito, Leaf finì per strofinarsi con eloquenza il viso: - Mi prendi per il culo? So benissimo che non hai una sorella. –
 
- Non di sangue, ma… ma è come se lo fosse. È l’essere umano più vicino a una sorella che ho. -
 
Rispose con un tono più misurato, incerto e tremante; fu a quel punto che Dimma trattenne il fiato, giunta alla consapevolezza di aver capito. Alzò quindi una mano e la pose con cura delicata sulla spalla sporgente di Ame; pensò che sebbene non la superasse che di un paio di centimetri in altezza, la più giovane sembrasse proprio un uccellino indifeso e affamato.
 
- Liv… quella ragazza era Artemisia? -
 
Ame spostò il viso quel tanto che bastò per incontrare il suo sguardo, poi annuì. Andra annuì a sua volta, per indicare che avesse compreso. Con tutto quel trambusto e il buio, non aveva riconosciuto la ragazzina dello Strong che stava sempre in sua compagnia; ma effettivamente quello strano e inquietante potere non poteva che essere il suo.
 
- Qui ci penso io, tu vai a farti una doccia e riposare, hai bisogno di riprenderti. -
 
Ame si limitò ad annuire, poi lanciò un’occhiata glaciale a Leaf e in un attimo corse verso il dormitorio. Quanto a Leaf, era chiaro che il ragazzo volesse fermarla, ma Dimma puntò l’indice sul suo petto, mentre i suoi occhi si erano fatti sottili e la sua bella bocca morbida era mutata in una linea rigida: - Tu non hai la minima idea di che cosa possa aver passato Liv poco fa; stavi per uccidere un pezzo di lei, lo capisci? –
 
- Un pezzo di lei? – Un verso di scherno volò dalle labbra del ragazzo: - Sarà, ma quel pezzo è una Sentinella e aveva tutta l’intenzione di ammazzarci. -
 
 - Non sto dicendo che hai agito erroneamente, ma che è ovvio che lei ti abbia fermato. -
 
- E quindi non posso nemmeno più dire la mia, ora? Una di noi fa una stronzata colossale e noi dobbiamo stare muti solo perché rischiamo di ferire i suoi sentimenti? -
 
Poche cose al mondo avrebbero fatto tremare Leaf; una di queste era lo sguardo che Andra Strong gli stava riserbando in quel preciso istante. La donna  fece un passo e arrivò a pochi centimetri da lui: - Non parliamo di sentimenti, razza di imbecille: in questo momento Ame è fuori di sé, è… instabile. Sai cosa potrebbe accadere se non riuscisse a contenersi, questa notte? Ti piacerebbe vedere un bel falò di Ladri, Atlas? –
 
Ovviamente, Leaf deglutì e scosse il capo in segno di diniego, sebbene mantenesse un’aria compita.
 
- Allora la prossima volta vedi di ragionare, prima di incalzarla in un momento tanto delicato. -
 
- Ho capito. – Sputò il ragazzo, prima di stringere gli occhi con le dita; un lieve verso di dolore fece inarcare il sopracciglio di Dimma, che lo osservò poi con sospetto: - Da quanto tempo è che non ti fai controllare gli occhi? Appena tornerà Malik vai da lui per un controllo. -
 
- Non mi serve… sto bene. – Ciò detto, Leaf si allontanò proprio mentre Angelica era arrivata nella sala grande. Si fermò accanto a Dimma, mentre guardava il suo ragazzo andare via.
 
- Ma che diavolo è successo? Sono corsi ad avvisarmi del vostro rientro, ero in doccia… dicono che stava discutendo con Ame. -
 
 - Siamo solo stanchi e tesi; va da lui… avrà bisogno di sfogarsi. Ah… e convincilo a farsi visitare da Jabal al suo rientro. -
 
*

 
Probabilmente aveva commesso un grosso errore, quando aveva deciso di rubare una bacchetta che alcune Sentinelle avevano portato alla comune; ma era stato più forte di lui, perché nonostante gli ultimi anni erano stati un vero e proprio calvario e il suo rapporto con i genitori fosse andato drasticamente peggiorando di giorno in giorno, Atlas non riuscì a resistere all’opportunità di tenere in mano una bacchetta.
Bighellonava nella residenza degli zii, in cui veniva regolarmente spedito nella speranza che mettesse la testa a posto, stando a contatto diretto con i governatori, quando sentì l’arrivo delle Sentinelle, alle quali venne ordinato di riporre le bacchette ‘ nel solito posto ’, ovvero uno studio a cui di certo lui non aveva accesso. Creare un diversivo per le Sentinelle non fu difficile e quelle dimenticarono di richiudere subito la stanza. Poveri stolti.
Atlas scivolò dentro e afferrò una delle bacchette contenute in una valigia appena depositata sopra lo scrittoio della zia, in attesa che lei stessa le riponesse e così come era arrivato, scappò via nascondendo il legno sotto i vestiti.
Avrebbe dovuto riconsegnarla, Atlas lo sapeva. Il problema però fu che trovò troppo inebriante maneggiare quella bacchetta; per la prima volta in vita sua, sebbene non conoscesse incantesimi, il diciassettenne percepì il suo sangue magico reagire. La bacchetta non sprigionava che qualche scintilla ogni qualvolta la faceva ondeggiare, eppure era per lui la dimostrazione del fatto che la repressione della magia fosse un atto disumano, contro la loro stessa natura.
Ogni giorno che passava la prima cosa che Atlas faceva, appena aperti gli occhi, era afferrare la bacchetta, per poi riporla nel fedele ripostiglio e raccontarsi che il giorno dopo avrebbe fatto in modo di riconsegnarla; magari l’avrebbe lasciata in una sacca proprio davanti alla porta della residenza degli zii.
Ma rimandava, ancora e ancora, perché distaccarsi da quella che percepiva come un naturale prolungamento del braccio stava diventando impossibile.
Sì, aveva commesso un grave errore, il giovane Atlas.
Le Sentinelle non ci misero molto a scoprirlo, considerato che con ogni probabilità si erano subito accorti che all’appello mancasse una bacchetta – merce rarissima, ai tempi di Nadia – e riferito l’accaduto agli zii, arrivare ad Atlas era stato abbastanza semplice.
Venne braccato durante il suo solito girovagare per la comune, con la bacchetta stupidamente fra le mani; era in una strada molto isolata, chi mai avrebbe potuto vederlo?
 
“ Atlas Whitelaw! Consegnaci immediatamente la bacchetta e vieni con noi! Hai commesso un crimine e dovrai subire le conseguenze della tua stupidità! “
 
Un’altra persona sarebbe stata sopraffatta dal panico e i meno temerari avrebbero nell’imminente consegnato la bacchetta, nella speranza che facendo ammenda quello potesse passare come il gesto sconsiderato di uno che era poco più di un ragazzino. Ma Atlas non era una persona comune.
Si rifiutò, pronto a darsi alla fuga, ma le Sentinelle sfoderarono le armi e cominciarono a sparare; che fosse un Whitelaw non aveva alcuna importanza, fintanto che si ostinava ad assumere atteggiamenti che potevano essere associati ai rivoltosi.
Atlas tirò fuori dalla fondina la pistola che si era procurato anni prima, rifiutandosi di andare in giro senza, così senza pensarci su rispose al fuoco, finendo per colpire a morte una delle Sentinelle.
Non avrebbe voluto farlo, ma lo avevano costretto a rispondere al loro attacco, fu questo che pensò Atlas davanti alla vista della caduta al suolo della Sentinella che aveva colpito poco prima. Tremò, perché davvero non avrebbe voluto uccidere nessuno e in un batter d’occhio venne catturato.
 
Inutile dire che Ginevra ed Ernest non ne vollero sapere nulla, di quel figlio che era stato per loro e per tutta la famiglia soltanto una disgrazia, fin dal suo primo vagito. Un disonore, una macchia indelebile.
Atlas si era permesso di contrastare il volere di Nadia in persona nel peggiore dei modi e questo gli fece meritare un biglietto di sola andata per le Colonie più vicine.
 
Atlas non provò nemmeno a negoziare con i propri genitori; se ai loro occhi lui non era che un danno da riparare, loro per Atlas avevano assunto il mostruoso aspetto di persone senza morale e dignità.
 
Le Colonie lo accolsero solo dopo un paio di giorni e l’unica settimana che Atlas vi passò all’interno, bastò per creare in lui una crepa profonda; se esisteva l’inferno, cosa di cui il giovane mago dubitava fortemente, quello doveva trovarsi proprio lì, fra i fumi tossici delle scorie e i colpi di tosse rancida dei prigionieri, costretti a lavorare quattordici ore al giorno in condizioni che sarebbe un eufemismo definire disumane.
Ma forse, come esisteva una flebile possibilità che esistesse l’inferno, egualmente doveva esserci da qualche parte un motore ‘ divino ‘, che concesse ad Atlas la possibilità di salvarsi. Questa possibilità si concretizzò in una rivolta che esplose fra i prigionieri e le Sentinelle di guardia e che in breve coinvolse l’intera Colonia in cui risiedeva.
E ’ letteralmente ‘ esplose, nel senso che una devastante esplosione fece saltare una parte della recinsione elettrificata che serviva a contingentare i malcapitati che finivano in quell’incubo.
Atlas ne approfittò, impiegando tutta la sua agilità e scaltrezza per utilizzare quel varco come via di fuga e dentro di sé ringraziò i prigionieri artefici di quell’esplosione, che gli aveva appena permesso di andare incontro a quella libertà non sperata, fatta di fumo denso e scuro e un orizzonte di rottami d’altri tempi.
 
 
La Corte
 
Sonne aveva preso da parte Mångata e Jabal e aveva cominciato a spiegare loro che cosa avrebbero dovuto fare, mentre Vulkan, Chion e Yuki li osservavano in silenzio, senza riuscire a interpretare quelle parole sussurrate. Poi il nipote della governatrice tirò fuori dal suo zaino delle ampolle, che consegnò ai due:
 
- Sono le uniche dosi che abbiamo. Ci abbiamo messo secoli a reperire gli ingredienti e Dimma le custodiva con gelosia; non la prenderà molto bene quando scoprirà che abbiamo dato fondo alle scorte. -
 
Mångata annuì e intascò le ampolle, poi gettò uno sguardo a Jabal: - Pronto compagno? –
 
- Certo che si, piccoletta. – Il babbano rivolse poi lo sguardo a Sonne: - fra un’ora esatta al punto in cui siamo entrati. -
 
Sonne annuì, indicò loro la strada da seguire e li guardò allontanarsi nel buio; scomparsi alla sua vista, piroettò su se stesso e si rivolse agli altri: - Bene, a noi il compito ingrato di far si che nessun pezzo grosso si avvicini alla Magione di contenimento, fico eh? –
 
Vulkan roteò gli occhi, Chion si strinse nelle spalle e Yuki mostrò reale eccitazione; Vulkan fu il primo a porre la scomoda domanda: - Quindi che cosa hai in mente di preciso? Possiamo farla finita con tutto questo mistero, ora? –
 
- Dobbiamo assicurarci che Jabal e Mångata riescano ad agire in totale sicurezza e dobbiamo metterci meno tempo possibile, visto e considerato che qualcuno potrebbe vederci e scoprirci. -
 
- Qualcuno? – Chiese Chion aggrottando le sopracciglia, - Lo stesso qualcuno per il quale ti sei dato tanto da fare per tirar su il diversivo? -
 
- Già… a lei non sfugge nulla. - La bandana rossa nascose un sorriso amaro, spuntato sul viso di Sonne con spontaneità.
Chion e Yuki si scambiarono uno sguardo interrogativo, mentre Vulkan rimase in silenzio, lasciando intendere di aver idea a chi si stesse riferendo Sonne. Sebbene anche gli altri due avessero vissuto alla Corte, erano davvero poche le persone che conoscevano Alida e lo straordinario potere che possedeva la ragazza, visto con quanta premura la Governatrice la teneva distante dalla maggior parte degli abitanti della comune. Vulkan non aveva mai avuto rapporti diretti con la giovane, ma non per questo non era riuscito a capire perché Nadia la tenesse sempre al suo fianco.
 
- Andiamo, dobbiamo perlustrare la Magione. Quella prigione ha un suo impianto elettrico autonomo, ragion per cui non sarà rimasta priva di elettricità nonostante l’esplosione del mulino. Dobbiamo essere cauti… Chion, presta attenzione al tuo udito e tu Vulkan, qualsiasi movimento o odore particolare dovessi sentire, avvisaci. Yuki, confido in te per tenere la mente bene aperta. -
 
I tre annuirono e seguirono Sonne nel buio, mantenendo le mani sulle proprie armi, pronti a colpire qualora ce ne fosse stato bisogno.
 
*

 
“Eleanor, siediti qui per piacere.”
 
La giovane aveva appena finito di rassettare la cucina e con uno strofinaccio ancora fra le mani, prese posto al tavolo, proprio di fronte la madre. Erano passati solo cinque anni da quando Daniel era stato portato via dalle Sentinelle, ma su Maggie erano pesati come macigni; era invecchiata, pensava Eleanor con amarezza.
Sua madre prese un grande sospiro, così arrivò a ricercare lo sguardo chiaro della figlia, quello stesso sguardo che tanto le ricordava suo marito.
 
“Credo sia giunto il momento che tu sappia per quale motivo tuo padre è stato portato via. “
 
Eleanor aveva atteso quel momento per molto tempo. Aveva quindici anni, ma proprio come sua madre, in lei si era innescato un meccanismo di crescita precoce e da parecchio tempo la ragazza si riconosceva come una donna adulta; ciò nonostante sua madre si era sempre rifiutata di raccontarle la verità, fin quando non aveva deciso che fosse giunto il momento che anche sua figlia sapesse; vessata dagli altri ragazzi, additata come figlia di un ribelle, un rivoltoso, Eleanor aveva diritto di sapere la verità.
La ragazza ascoltò in silenzio ogni singola parola della madre, trattenendo spesso il respiro come se dovesse fare meno rumore possibile, per non rischiare di incrinare la fragilità delle parole materne.
 
“Tuo padre era un grande guerriero, tesoro. Quello che vedi qui, la vita che vivi, non è che una menzogna; lei non è nel giusto… “ Quelle parole le sussurrò, Maggie, intimorita. “All’interno della Corte e delle altre comuni si vive una vita che potremmo definire idilliaca, ma fuori da qui troveresti solo distruzione, fame, paura… si lotta per la sopravvivenza, perché lei si è approfittata della guerra che ha decimato la Terra, creando così un mondo a sua immagine e somiglianza. A tuo padre e a tanti altri come noi, questo non stava bene; noi a vivere nella bambagia di una chimera, sedati dalla prosperità, ma incatenati e obbligati a non poter usare la magia che scorre dentro di noi… e là fuori, Eleanor… la gente soffre, lotta, combatte ogni giorno per riappropriarsi di ciò che ci è stato strappato via.”
 
Maggie raccontò come Daniel fosse in contatto con vari gruppi di rivoltosi sparsi per l’intero territorio che un tempo veniva definito Gran Bretagna e che, nascosti chissà dove, esistevano quelli che venivano chiamati ‘Ladri di bacchette’. Non erano in molti, ma si battevano ogni giorno per ricostituire uno stato libero dal regime di Nadia.
Fu in quel momento che Eleanor riuscì a mettere insieme i pezzi: nessuno poteva usare la magia, nessuno possedeva una bacchetta tranne qualche raro eletto di Nadia; chi osava ribellarsi al suo volere, come suo padre, veniva ammazzato, o spedito nelle Colonie che erano luoghi concreti e orribili e che nulla avevano a che fare con il racconti propagandistici, che descrivevano le Colonie come luoghi in cui si prestava servizio per liberare la Terra dalle scorie tossiche. O almeno lo erano, ma lì si veniva trascinati contro la propria volontà; nelle Colonie avvenivano soprusi inimmaginabili e la gente si ammalava in fretta.
 
“Papà è lì? È nelle Colonie?”
 
Maggie scosse il capo con rassegnazione “Non lo so amore mio. Probabilmente si, ma temo che ormai lui… lui… “ Un singhiozzo violento scosse il fragile corpo di Maggie. Eleanor tentò di dare conforto alla madre, mentre nella mente si aggrovigliava un piano: Eleanor avrebbe fatto in modo di integrarsi alla perfezione nella Corte, facendo si di non destare alcun sospetto; sapeva che lei e sua madre fossero sotto osservazione per essere figlia e moglie di Daniel, così Eleanor avrebbe impiegato tutte le sue energie per riscattare la sua immagine.
Studiava senza sosta e intanto aveva trovato un impiego nel Giornale della Corte, un posto in cui sperava di poter strappare quante più informazioni possibili. Inoltre decise di iniziare a prendere lezioni di karate in gran segreto, così entrò in contatto con un vecchio sensei che da subito l’aveva presa sotto la sua ala protettiva; di giorno studiava e lavorava e quando arrivava la sera, non importava quanto fosse stremata, Eleanor si allenava senza sosta per apprendere la disciplina che le avrebbe permesso di far emergere il suo lato più micidiale. D’altro canto il suo fine era uno: scappare dalla Corte e capire che fine avesse fatto suo padre; avrebbe fatto di tutto per sapere la verità e per unirsi a coloro che volevano sovvertire il regime di Nadia.
 
 
La Corte
Magione di contenimento
 
Ajax, tallonato da Izzie, si era assicurato che l’impianto della Magione di contenimento non avesse subìto nessun tipo di danno. Dopo un’attenta, lunga e meticolosa analisi, Ajax decise di rivolgersi a Izzie: - So che con questa roba te la cavi abbastanza bene, vuoi dare un’occhiata? –
 
Colma di felicità nel sentirsi abbastanza utile da essere presa in considerazione, Izzie si diede da fare. Era tutto regolare, ne era più che certa. Stavano quindi per varcare il cancello della Magione con un sorriso carico di soddisfazione dipinto sul volto (quantomeno su quello di Izzie, mentre Ajax si limitava ad incurvare impercettibilmente gli angoli della bocca), quando furono raggiunti da Saskia; la Sentinella aveva l’aria trafelata di chi aveva appena intrapreso la maratona del secolo, ragion per cui Izzie cominciò a darle dei lievi colpetti di incoraggiamento sulla spalla.
 
- Non… non vi siete resi conto che… che siamo al buio? – Prese a spiegare lei intanto che tentava di riprendere fiato. Ajax e Izzie si guardarono e poi rivolsero lo sguardo intorno a loro: effettivamente esclusa la prigione, il resto della Corte sembrava immerso in un tetro buio. Finita la spiegazione, il ragazzo drizzò la schiena e portò un pugno chiuso al petto: - Non dobbiamo perdere tempo, il nostro capo avrà bisogno di tutto il nostro sostegno. -
 
Le ragazze annuirono, sebbene fosse ovvio come il sole che sorge che Izzie stesse tentando di nascondere un certo timore. Ciò nonostante i tre iniziarono a confrontarsi per capire se sarebbe stato meglio trovare Jude, oppure partire alla ricerca di coloro che avevano causato l’incendio, quando Ajax sentì dei colpetti sulle spalle.
La Sentinella si voltò, trovandosi davanti due figure bardate fin sopra ai capelli; l’uomo, imponente e mastodontico, puntò i grandi occhi di pece nei suoi.
 
- Buh. – Disse quello, prima di caricare un destro che stese Ajax in una frazione di secondo, facendogli perdere contemporaneamente i sensi, senza che avesse alcuna possibilità di replica.
 
Quartier Generale
 
Quella che si erano conquistati, era una stanza piccolissima, sufficiente a contenere un letto sgangherato e poco altro; però era la loro stanza, dove Leaf e Angelica, nota fra i ladri come Hail, si rinchiudevano quando tornavano dalle missioni e dove passavano molto tempo a confrontarsi, condividere e non per ultimo fare l’amore. Leaf e Hail non amavano stare chiusi al Quartier Generale, ma amavano quel piccolo spazio tutto per loro, ragion per cui quando la ragazza decise di raggiungerlo dopo lo scontro con Dimma, non aveva alcun dubbio su dove trovarlo.
 
- La prima missione che fai senza di me e non mi hai nemmeno salutata? – Hail si chiuse la porta alle spalle, incrociò le braccia e accennò un lieve sorriso che andò a increspare il volto pallido, incorniciato dai lunghi capelli chiari come la luna. Leaf, sdraiato sul letto con un braccio a coprire gli occhi, nel sentirla entrare ricambiò il sorriso; che la sua ragazza fosse una delle poche persone che riusciva a farlo sorridere di cuore era ormai noto a tutti.
 
- Stare lì senza di te è stato orribile. – Rispose lui, sinceramente scosso, mentre Hail sedeva sul bordo del letto – Quanti anni erano che non ci dividevamo? -
 
- Mpf, impossibile contarli. Vuoi dirmi cosa è successo? La missione non è andata bene? -
 
A quel punto Leaf spostò il braccio e puntò gli occhi innaturalmente chiari in quelli di lei: - Abbiamo fatto ciò che andava fatto, ma ho avuto a che ridire con Liv. –
 
- Me ne sono accorta; è talmente raro che ti arrabbi in quel modo, che Rosée è venuta a chiamarmi. Ho pensato che dovesse essere davvero grave. -
 
Allungò una mano per carezzare i capelli di Leaf, sparpagliati sul letto ma incredibilmente luminosi e puliti; il ragazzo bofonchiò – Mi sono lasciato prendere dal momento… e non ho preso in considerazione  le sue emozioni. –
 
- Spiegati meglio. -
 
Così Leaf tirò il corpo magro a sedere e riferì alla sua bella che cosa fosse accaduto; le spiegò la tensione del momento, che non si capacitasse del fatto che una come Ame si fosse lasciata fregare dalle emozioni e che c’era stato il rischio che il loro piano andasse in fumo. Hail si limitò ad annuire e alla fine, quando Leaf ritenne di aver concluso il proprio resoconto, si permise di carezzargli il viso.
 
- Sei un imbecille. – Disse poi, in totale contrasto con il suo atteggiamento fisico.
 
- Lo so. – Ammise lui, lasciandosi accarezzare; quando strinse gli occhi, Hail aggrottò la fronte e lo ispezionò con attenzione.
 
- Andra mi ha detto che non ti vuoi far visitare, ti rendi conto che non puoi rimandare? -
 
- Da quando Malik ha sostituito Herb… non è la stessa cosa. Non fraintendermi, lo trovo estremamente capace, ma un conto è occuparsi di edifici, un altro di occhi. -
 
- Ti direi di farti controllare da Herb, ma non credo sarebbe molto utile. -
 
- Certo… rischierebbe di cavarmi un occhio con quel suo corno da sordo. -
 
I due si guardarono, per poi scoppiare a ridere all’unisono; Leaf trovò che ridere in quel modo fosse liberatorio e anche se la voglia di scolarsi una bottiglia si era fatta sempre più impellente, con quella risata quella scomparve. Angelica gli trattenne il viso con le mani e con un gesto agile salì a cavalcioni su di lui; quello che gli dedicò fu un sorriso malizioso e uno sguardo carico di promesse peccaminose e poi, con un cinguettio morbido e suadente, gli disse che dovevano festeggiare il suo ritorno al Quartier Generale.
Atlas si trovò totalmente in accordo con la sua ragazza e lo dimostrò affondando la bocca in quella di lei, pronto a strapparle via i neri vestiti che le fasciavano il corpo.
 
*

 
Entrare a tutti gli effetti a far parte dei Ladri di bacchette non era stato difficile: Atlas possedeva una vastissima conoscenza delle Terre di nessuno, un carattere temerario e un odio spassionato nei confronti del regime di Nadia, ma a livello personale aveva avuto non poche difficoltà nell’integrazione. Non era semplice avere a che fare con lui, munito di una tempra indipendente e che mostrava grandi difficoltà a rimanere all’interno del Quartier generale; quel ragazzo che sembrava potersi rompere in mille pezzi ad un solo soffio di vento o lo si amava, o gli si stava alla larga. Micah era stato uno dei pochi, agli inizi, a riuscire ad entrare davvero in confidenza con lui; si staccavano di qualche anno e entrambi venivano da un contesto privilegiato, ma che li aveva portati a scappare per rimpolpare le fila dei rivoltosi.
Un’altra figura fondamentale per la sua permanenza al Quartier Generale fu senza ombra di dubbio Angelica, conosciuta come Hail, così simile ad Atlas per aspetto e temperamento; la giovane era cresciuta fra i ladri, ragion per cui a lei era stato affidato l’arduo compito di seguire Atlas nella fase di formazione, condividendo con lui le missioni e ritrovandosi, in più di un’occasione, a spiegare al ragazzo cosa poteva e cosa ‘ categoricamente ‘ non poteva permettersi di fare.
Se all’inizio fra i due era scattata una chimica tutta intellettuale, basata sulla reciproca quanto morbosa passione per la scoperta, col passare del tempo era sopraggiunta l’attrazione fisica, alla quale Atlas trovò soluzione lasciando un biglietto nel cappotto di Angelica, in cui con poche e semplici parole esprimeva i suoi sentimenti.
L’amore arrivò nella vita dei due, dapprima compagni di missione, poi compagni sotto ogni punto di vista; e sarebbe stato perfetto così, non fosse che Atlas (ormai divenuto Leaf, o anche detto ‘ Leaf il temerario’, epiteto che lui mal sopportava) di stare chiuso fra quattro mura, proprio non aveva voglia.
Ogni occasione era sempre stata utile per prendere la porta d’uscita e gettarsi in quella che definiva con amore ‘ la grande distesa ‘, affamato di scoprirne ancora e ancora e Angelica, sebbene lievemente più accorta di lui, lo seguiva di gran carriera.  Ma quando Leaf tornava al Quartier generale guardava alla bottiglia con cupidigia, esigente di estraniarsi da quel luogo che non gli concedeva la stessa adrenalina delle Terre di nessuno.
La dipendenza dall’alcol fu inevitabile e aumentò a dismisura quando un terribile incidente incise sui suoi occhi.
Gettato in una delle tante missioni in cui si infilava senza esitazione, Leaf non aveva tenuto in considerazione le parole di Ladri molto più esperti d lui.
 
“Non andare in quella direzione, ci sono ancora le mine. “ Gli disse un compagno, davanti alla sua volontà di ispezionare un lembo di territorio per lui ancora inesplorato.
 
“ So quel che faccio, conosco questo posto meglio di tutti voi messi insieme. “ Aveva risposto, sinceramente convinto di quel che diceva. Purtroppo per lui dovette pagare il suo debito nei confronti dell’inesperienza: una mina antiuomo saltò prima che lui fosse realmente in grado di mettersi in salvo e alcuni frammenti di essa colpirono gli occhi.
 
Quando Leaf fu trascinato al Quartier Generale, nessuno avrebbe scommesso sulla sua sopravvivenza, o almeno sulla sua vista; ma Herb, affiancato da Malik, aveva in serbo per il ferito una soluzione, seppur incerta e sconsiderata.
Ci vollero ore per praticare l’intervento, che consistette nell’applicare ai suoi bulbi oculari delle lenti speciali, figlie di un’innovazione ingegneristica che aveva visto la luce qualche anno prima dell’avvento di Nadia, ma che il mentore di Herb aveva salvato e custodito con cura, insegnando al suo discepolo come costruirle, insieme a molti altri segreti dell’avanguardia scientifica.
Sperarono che il corpo non rigettasse le lenti, che sarebbero state utili a riottenere la vista, almeno per un periodo limitato di tempo; le cose andarono meglio del previsto, complice con ogni evidenza la magia che scorreva nel corpo di Atlas, che aveva fatto in modo di ottenere una miracolosa fusione delle lenti agli occhi. Con esse non solo il ragazzo aveva riacquisito la vista, bensì era arrivato a svilupparne una più che speciale, in grado di fargli vedere dettagli che nessuno era in grado di cogliere.
Ma la degenza era stata lunga e la bottiglia lo aveva chiamato di nuovo a sé; un giorno Angelica esplose, andando da lui con Micah e urlandogli contro che, così facendo, sarebbe morto prima di chiunque di loro e che se proprio doveva buttare la sua vita, almeno che fosse in una missione, tanto per rendersi utile alla causa.
Il percorso di disintossicazione fu lungo e difficile, ma Leaf detto il temerario, poté contare sull’appoggio della sua famiglia, l’unica che avesse mai avuto: i Ladri di bacchette.
 
 
La Corte
 
La voce di Sonne, ferma e intransigente, tradiva però urgenza e apprensione. Se Chion avesse potuto scontrarsi con i suoi occhi, era certo sarebbe venuto in contatto con un maremoto emotivo; non potevano fallire, Chion lo sapeva bene. Se fosse successo, per loro non ci sarebbe stata nessuna speranza di sopravvivenza: finire nelle Colonie sarebbe stato il finale meno indolore, il che era tutto dire. Così ritrovò la calma che lo distingueva e ascoltò gli ordini di Sonne, deciso ad eseguirli al meglio e senza lasciarsi prendere né dal panico, né da emozioni che lo avrebbero potuto far vacillare. La stesso valeva per Yuki, ovviamente.
Vulkan invece era calmo e nella sua testa non vi era che una sola parola: vittoria. Per Vulkan vi era solo un obiettivo e non ci sarebbe stato alcun margine di errore; avrebbero salvato Stafford e sarebbero tornati tutti sani e salvi al Quartier Generale.
Chion strinse gli occhi, poi scambiò una rapida occhiata con Vulkan.
 
- Hai sentito anche tu? -
 
L’uomo annuì – Inequivocabile… si stanno avvicinando dei cavalli… e un’automobile. –
 
- Un’automobile, hai detto? – Chiese in un sussurro Sonne. Vulkan annuì di nuovo. – Potrebbe essere lui. -
 
- Non possiamo permettere che arrivi qui. – Addossato al muro di cinta della Magione di contenimento, Sonne incrociò le braccia e si fece per un po’ meditabondo, poi alzò di scatto la testa: - Yuki, Chion: correte in quella direzione. Fate rumore, sparate dei colpi in aria, spaventate i cavalli e se riuscite fermate l’automobile, io e Vulkan rimarremo qui e ci occuperemo di fermare le Sentinelle che usciranno dalla prigione. Sentiranno il baccano e correranno fuori per dare aiuto. -
 
Così fecero. I due ragazzi corsero nel campo che costeggiava la strada della prigione non risparmiando il fiato; era importante che agissero in una zona parzialmente buia e se fossero rimasti nei pressi della Magione di contenimento, avrebbero potuto vederli. Appena l’auto si fece più vicina, Yuki cercò consenso da parte di Chion, così afferrò le sue pistole, le alzò entrambe in aria e sparò un paio di colpi ciascuna, ottenendo il risultato sperato: la berlina ormai molto vicina rallentò la corsa e le Sentinelle che la seguivano a cavallo dovettero lottare per tranquillizzare gli animali che si erano imbizzarriti. A quel punto Chion estrasse dalla cinta due delle sue shuriken, quatto quatto si avvicinò al bordo della strada e quando la berlina fu sufficientemente vicina, sebbene stesse rallentando parecchio con la volontà di arrestarsi, lanciò con meticolosa precisione le armi contro la ruota anteriore destra, che affondò a causa dell’incisione profonda. Con il cuore che batteva all’impazzata nel petto si addentrò nuovamente nel campo di tutta fretta, mentre Jude e Lir uscivano dall’automobile e le Sentinelle a cavallo si radunavano intorno all’auto.
 
- Ma che… - Lir osservò lo squarcio e subito riferì a Jude che doveva esserci qualcuno nelle vicinanze, così corse verso il campo alla ricerca del colpevole di quel danno. A salvare Chion dall’essere scoperto ci pensò Yuki: la ragazza si era allontanata di molto e aveva sparato altri colpi, pronta a depistare il capo delle Sentinelle e i suoi sottoposti.
 
- Voi, andate di là! – Gridò Jude alle Sentinelle, indicando il punto in cui doveva trovarsi Yuki. Chion era convinto gli sarebbe esploso il cuore, tanto quello non la smetteva di martellare; non aveva fatto in tempo ad allontanarsi a sufficienza e colui che aveva riconosciuto come Lir, la guardia del corpo di Etienne, era così vicino…
Si convinse non sarebbe morto solo quando gli ordini di Jude fecero sì che Lir cambiasse direzione.
Yuki era distante e sapeva bene che non l’avrebbero mai trovata, ora non restava che attendere che si allontanassero gli altri per poter fare ritorno al punto di incontro e aspettare il resto dei Ladri.
 
*

 
Eleanor non voleva più tornare indietro, così un giorno si decise a parlare con sua madre. Aveva preso la difficile decisione di seguire le orme paterne, ma non lo avrebbe fatto dall’interno della Corte.
Maggie non voleva accettare la decisione di sua figlia, nonostante avesse sempre appoggiato gli ideali di Daniel, condividendo con lui il malcontento nei confronti del Regime, l’ultima cosa al mondo ora che lui non c’era più è che alla sua unica figlia toccasse la sua stessa sorte.
 
“Non accadrà. Sono forte mamma, saprò cavarmela. E poi me lo avete insegnato voi, che non vale la pena di vivere una vita finta e vuota, in un mondo che non riconosciamo. La libertà, mamma… dobbiamo pretendere la libertà. “
 
La donna soffriva, ma la fiamma dell’orgoglio si accese in lei; sua figlia, la sua Eleanor, era diventata ciò che lei non aveva più avuto il coraggio di essere. Non aggiunse nessuna parola, limitandosi invece ad annuire e cambiare argomento.
 
“Forza, apparecchia la tavola, la cena è quasi pronta. “
 
Quella stessa sera, Eleanor si recò dal suo sensei. Il vecchio maestro la accolse al solito con entusiasmo, quando d’un tratto la giovane gli aveva chiesto di poter parlare.
 
“Ebbene, sono qui in ascolto, cosa c’è che ti turba?” Chiese lui, porgendole intanto una tazza di profumata tisana. Eleanor strinse la tazza e per un po’ indugiò con lo sguardo chiaro sul liquido fumate, infine parlò.
 
“ Ho bisogno di sapere tutto quello che sai sui Ladri di bacchette. Ogni dettaglio, anche dove pensi che possa trovarne alcuni.”
 
Inizialmente restio, il sensei la studiò a fondo. Le chiese come mai quella domanda e a quel punto Eleanor iniziò a parlare a fiume, riferendo all’uomo del confronto che aveva avuto con la madre e della sua decisione di scappare dalla Corte per unirsi a coloro che condividevano gli ideali di Daniel. Aggiunse di non essere né una sciocca, tantomeno una sprovveduta; si allenava da anni e ormai sapeva di essere in grado di affrontare il mondo là fuori e quelle che tutti chiamavano Terre di Nessuno.
Fu così che il suo sensei le spiegò di essere stato un grande amico e compagno di suo padre; passarono buona parte della notte a parlare degli ideali dei ladri di bacchette e l’uomo spiegò nel dettaglio, carta alla mano, dove si sarebbe potuta recare per sperare di avere un contatto con qualcuno di loro.
 
“Sarà difficile e pericoloso, te la senti davvero? “
 
Un cenno d’assenso decretò la volontà di Eleanor e il sensei sorrise, fiero anche lui di quella sua allieva che possedeva una forza interiore ineguagliabile.
 
Eleanor abbandonò così la Corte senza guardarsi indietro. Non disse mai a sua madre il giorno in cui avrebbe deciso di scappare, né la saluto quella gelida mattina d’inverno, perché sapeva che avrebbe potuto metterla in pericolo.
Faceva freddo, ma a Eleanor non importava; doveva raggiungere la meta designata dal suo maestro, l’ombelico di vecchi ruderi che un tempo dovevano essere una splendente cittadina. Giunta lì fece l’unica cosa che gli era possibile: attese, fin quando non si sentì assalire alle spalle; l’impatto con il terreno fu doloroso e Eleanor cominciò ad annaspare sotto la presa di una mano forte, che le stringeva la gola. Possibile che sarebbe stato quello il giorno della sua morte? Aveva ancora così tante cose da fare, così tanto da scoprire.
Salvifica fu la distrazione del suo assalitore, che solo per un momento alzò lo sguardo a seguito di un urlo, così Eleanor riuscì a caricare un calcio che colpì il ragazzo al centro dello stomaco, riuscendo a ribaltare, per un soffio, la situazione; ora era lei a trovarsi sopra di lui, con il suo stiletto dal quale mai si separata, puntato sulla gola del nemico.
Eleanor rimase di sasso quando una risata limpida oltrepassò la bandana che copriva il viso di lui.
 
“Agguerrita, la ragazza, Mi piaci. Ora per piacere puoi spostarti? Hai superato la prova, ma se mi ammazzi temo sarà stato inutile. “
 
Scossa, Eleanor esitò a ritirare lo stiletto, ma si convinse per forza di cose a farlo quando notò di essere stata accerchiata da altre quattro persone.
Quel giorno, Eleanor aveva fatto la conoscenza di Sonne e di altri futuri compagni Ladri.
 
 
Quartier Generale
 
-… E così siamo riusciti a scappare, però è stata davvero tosta questa volta. Per un momento ho temuto per il peggio, sai? –
 
Dopo aver constatato che la gamba di Oleander non avesse riportato ferite dannose, Skog aveva mantenuto la promessa e si era dedicato a un massaggio delicato, atto a sciogliere le contrazioni più ostiche, mentre la ragazza raccontò come fosse andata la missione.
 
- La piccoletta sta bene? – Chiese poi, riferendosi ad Ame. Oleander però fece una lieve smorfia: - Fisicamente si, ma di testa non molto; non si è mai comportata così, quindi credo che quella Sentinella le abbia fatto scattare qualcosa. Speriamo che con il dovuto riposo riesca a riprendersi. Jack invece? -
 
Skog aveva smesso per un momento di massaggiarle il polpaccio, così Oleander aveva stiracchiato la gamba lasciando intendere che avrebbe preferito continuasse. L’uomo accennò una risata profonda e scosse il capo – Te ne stai approfittando.- ma riprese comunque il massaggio, tornando serio: - Sta bene, non ha capito cosa siate andati a fare. Io e gli altri abbiamo fatto di tutto per distrarre lui e il resto di quei piccoli ficcanaso. –
 
- Vi siete messi a giocare a nascondino? – Chiese lei in uno sbeffeggiamento bonario.
 
- Peggio: lezione di cucina! Un groviglio di piccole mani sudice sulle mie pentole e padelle, è stata un’agonia vera e propria! -
 
- Ma piantala! Sono sicura che ti sarai divertito come un pazzo a strillare improperi nei loro confronti; quale miglior valvola di sfogo? -
 
- Tu scherzi, ma ho perso la voce a suon di grida! Fortunatamente non ero solo, sono troppo vecchio per queste cose ormai. -
 
Oleander sgranò gli occhi, poi scoppiò in una risata ampia e coinvolgente: - Ma che vai dicendo! Tu non sei vecchio, sei perfettamente splendido! – Disse poi imitando Ame e facendo arrossire il babbano.
 
- Dico solo che ci sono già passato con i miei figli e… - Ma Skog si ammutolì di botto e la serenità che fino a quel momento riempiva l’infermeria si dissolse. Succedeva ogni volta che Skog arrivava a nominare i suoi figli, per questo Oleander non si stupì affatto. Al contrario era intenzionata a non permettere che l’uomo cadesse nella tristezza, così allungò la mano destra a posarsi su quelle di Skog, ancora allacciate intorno alla sua gamba. Un sospiro profondo, poi alcune parole.
 
- Sono passati tanti anni ormai, ma certe volte non mi sembra passato un giorno. -
 
- Certi dolori non passano e certi vuoti non si colmano, ma ciò che puoi fare è continuare a lottare ogni giorno, senza dimenticarti che lo stai facendo affinché la loro morte e quella di tanti come loro non venga dimenticata. -
 
Gli occhi di lui si erano fatti lucidi, mentre le mani si spostarono, per chiudere quella di Oleander, che lo guardava con un sorriso comprensivo e carico di speranza.
 
- Grazie di ricordarmi qual è la mia battaglia, kleine vogel. -
 
- Non pensare lo faccia per te, è che non sopporto di vederti triste. Se crolli te rischiamo di venirti tutti appresso. -
 
- Certo, piccola bestiolina dal cuore di pietra, lo so. Poi chi te li farebbe questi massaggi? -
 
Oleander annuì e mai il sorriso abbandonò il volto: - Vedo che ci siamo capiti, mio bel musone. –
 
La Corte
Magione di Contenimento
 
Riposare, in quella cella, era diventato praticamente impossibile. Stafford aveva fatto di tutto per mantenere la mente salda alla realtà, cercando di mettere da parte l’immagine di sua moglie e pensare, invece, a quella di suo figlio. Jack era senza ombra di dubbio l’unico pensiero felice che gli era rimasto e lo aiutava a subire gli interrogatori, le violenze e il dolore; era solo per lui che stava mantenendo la bocca cucita e la speranza di poterlo riabbracciare lo aiutava ad architettare i piani per poter evadere di prigione.
Purtroppo Stafford era anche una persona estremamente realista; conosceva alla perfezione le dinamiche della Corte e sapeva che evadere con le sue sole forze sarebbe stato praticamente impossibile. L’unica cosa che sperava davvero era di non incontrare i suoi familiari, anche se ben consapevole che prima o poi Jude avrebbe aperto bocca; suo padre e i suoi fratelli, con ogni probabilità, sarebbero stati gli assi nella manica del capo delle Sentinelle.
Sentì lo sferragliare della sua cella e il rumore gli ricordò che quella sera non aveva ancora ricevuto il suo pasto; beh, se era come i precedenti, valutò fra sé mentre si metteva a sedere sulla branda in attesa dei suoi carcerieri, sarebbe rimasto a digiuno senza troppi pensieri.
Quando vide entrare una ragazza dai ricci capelli scuri, gli occhi dolci e la pelle di seta scura, a Stafford venne da sorridere; non aveva mai incontrato prima quella Sentinella che doveva essere molto giovane e inesperta. Se fosse stata sola, forse avrebbe avuto l’occasione di disarmarla e fuggire; purtroppo però la ragazza non parve essere sola, visto che sulla soglia apparve, di schiena, una sagoma mastodontica che faceva il suo ingresso camminando all’indietro, come stesse trascinando un grosso sacco pesante.
 
- Forse dalla cucina mi avete portato un grosso cinghiale da mangiare a morsi? – Chiese Stafford, stranamente divertito. Ma quando capì chi era l’uomo di spalle, non esitò a saltare in piedi.
 
- Jabal. Tu… lei. -
 
La ragazza portò il dito alla bocca facendogli segno di rimanere in silenzio, poi strizzò l’occhio ed estrasse un’ampolla dalla tasca interna della giacca mentre Jabal sistemava una sentinella svenuta che Stafford aveva già visto, sulla sua branda. Nel frattempo la giovane strappò dei capelli dalla nuca di Staffy senza troppi complimenti.
 
- Tappati il naso e bevi. – Disse lei porgendogli la pozione, senza dargli ulteriori spiegazioni. Per la prima volta da molto tempo quello che sbocciò sul bel volto di Stafford, fu un sorriso ampio e ricco di speranza.
 
 
 
- Ahia! – mugugnò Ajax e il suo primo istinto fu quello di portare una mano alla guancia; era stato svegliato con un ceffone vigoroso. Ma appena tentò, si rese conto di essere impossibilitato a muoversi: con mani e piedi legati, era steso sul letto di una piccola cella umida e in piedi davanti a lui, con uno sguardo truce che non le apparteneva affatto, Izzie lo stava fissando.
 
- Ti sei fatto un bel sonnellino, eh? – Lo canzonò lei, sotto lo sguardo allibito di Ajax, che la fissava incredulo.
 
- Izzie… cosa diavolo sta succedendo? -
 
- Cosa diavolo sta succedendo… - fece il verso lei e poi con un movimento rapidissimo tappò il naso di Ajax, facendo si che la Sentinella aprisse in automatico la bocca; infine gli cacciò l’ampolla fin quasi in gola e Ajax fu costretto a deglutire per non soffocare.
A seguire un considerevole numero di colpi di tosse, che gli fecero meritare uno scappellotto da parte di Izzie, arrivò la rabbia: - Che diavolo ti prende?! Cosa mi hai fatto bere?! Questa roba fa schifo… Izzie! –
 
- Mammamia quando cazzo parli, sei davvero insopportabile. – Rispose la ragazza, mostrando poi ad Ajax la soluzione al suo problema di loquacità; sfilò infatti dalla tasca una benda, con la quale imbavagliò il ragazzo: - La tua amichetta si è portata dietro un intero kit di medicazione… purtroppo per lei è stato solo utile a farti chiudere questa boccaccia. Ciao ciao bello! -
 
La falsa Izzie ondeggiò la mano in segno di saluto, poi scomparve oltre la porta della cella, lasciando Ajax legato e imbavagliato, oltre che terrorizzato nel percepire il proprio corpo cambiare contro la sua volontà.
 
La Corte
Fuori la Magione di contenimento
 
Come da previsioni, nel sentire il gran trambusto le Sentinelle erano uscite dalla Magione di contenimento, con l’intenzione di capire che cosa stesse succedendo. Ci pensarono Vulkan e Sonne a occuparsi di loro; ne stordirono senza sforzo ben quattro con un’abilità sorprendente, anche se decisero di non ucciderle. Evidentemente Yuki aveva stimolato in Sonne il senso di colpa e il ragazzo valutò che oramai dovevano mancare pochi minuti alla loro fuga, ragion per cui potevano permettersi di risparmiare loro la vita.
A Vulkan non importava in realtà; che vivessero o morissero, l’importante era che non intralciassero i loro piani. Nascosti quindi nell’ombra, avevano legato e imbavagliato le Sentinelle con i loro stessi indumenti in quanto, come Sonne aveva ribadito più di una volta, nessuno alla Corte deve impossessarsi di qualcosa di nostro, altrimenti per noi potrebbe essere la fine. Quella era una delle tante frasi emblematiche elargite da Sonne che a Vulkan avevano sempre dato enormemente fastidio. Erano pochissimi i Ladri ad avere l’onore di conoscere i segreti di Micah Millan e Vulkan non sempre rientrava fra essi.
Ma durante le missioni Vulkan non faceva domande e così era stato anche in quell’occasione.
Comunque avevano sistemato quelle Sentinelle ed erano rimasti in attesa, a contare i secondi mentre il sudore gelido colava sulle loro fronti.
Accadde poi quello che Sonne aveva sperato non si sarebbe mai avverato. Era solo e questo era un bene, ma anche in solitaria, Jude poteva rivelarsi letale.
Micah sentì la gola chiudersi mentre gli occhi iniziarono a tremare al di sotto delle lenti gialle; era chiaro che Yuki e Chion fossero riusciti ad allontanare tutti, tranne che lui. Vulkan, al suo fianco, si irrigidì e con l’altro rimase immobile nell’ombra a fissare Jude avvicinarsi alla cancellata d’ingresso della Magione.
 
- Cosa facciamo ora? – Sussurrò Vulkan, sinceramente curioso di capire come avrebbe reagito Sonne. Quest’ultimo aveva i pugni serrati e tentava di regolarizzare il battito e il respiro. Non era la prima volta che si ritrovava nelle vicinanze di Jude da quando era scappato dalla Corte, ma non era mai accaduto prima che si trovasse a dover decidere se attaccare il cugino; aveva sempre cercato di evitarlo e ci era riuscito con successo, quelle rare volte in cui aveva incrociato la strada di Jude durante le missioni.
Ma quella, lo sapeva, era un’occasione diversa e per quanto odiasse ammetterlo, non poteva permettersi di fare favoritismi. I Ladri erano la sua famiglia, non più Jude, un’amara consapevolezza che Micah ci aveva messo anni ad accettare e che infine aveva accolto in sé, perché nel momento in cui era diventato Sonne, aveva sottoscritto un tacito patto con i Ladri di Bacchette, un patto che non prevedeva Jude nella sua vita.
Esitante, la mano scivolò alla cintura alla quale era allacciata la sua kusarigama, mentre Vulkan seguiva quel movimento con lo sguardo.
Si fermò non appena quest’ultimo gli fece cenno: - Sento qualcuno… sta arrivando qualcuno. –
 
Si sporsero nella penombra quel tanto che fu sufficiente per vedere due Sentinelle al fianco di Jabal e Jude, rivolgendosi alle due, indicò il loro compagno Ladro. Una delle due iniziò a gesticolare, indicando Jabal e se stessa, così dopo qualche istante Jude annuì, fece alle due un vago cenno e varcò il cancello. Fu a quel punto che Sonne e Vulkan si guardarono per poi annuire e ritirarsi nell’ombra, intenti a raggiungere il bosco.
 
La Corte
Residenza di Nadia
 
Era stata così sciocca a pensare di poter riposare almeno un paio di giorni in più. Così sciocca.
Tanto quanto lo era stata nel sorprendersi di sentire uno scampanellare insistente, che l’aveva costretta a scendere dal letto e trascinarsi fino alla porta; non si era nemmeno stupita della luce che era venuta a mancare, troppo stanca per darsi una spiegazione qualsiasi.
Perciò nel ritrovarsi davanti Ryurik, quello strambo ragazzo arrivato da poco alla Corte che parlava la sua stessa lingua d’origine, rimase a bocca aperta.
 
- Mi spiace averti disturbata a quest’ora, fosse stato per me sarei rimasto ad oziare, sai… ma Nadia mi ha chiesto di venirti a prelevare e portarti da lei; suppongo sia successo qualcosa di grave, ma non chiedermi maggiori informazioni, perché non ne ho. -
 
Ryurik si era rivolto a lei in russo, parlando con una proprietà di linguaggio che a lei mancava da tempo; nonostante ciò Alida pensò che fosse piacevole poter riprendere a parlare in russo, lingua che altrimenti avrebbe finito per dimenticare.
Aveva chiesto al ragazzo di attendere un momento, il tempo di mettersi qualcosa addosso e così lui fece, prendendo a girovagare con noia nella sala d’ingresso; infine lo seguì, salendo con lui a cavallo fino ad arrivare da Nadia.
La donna era fuori di sé dalla rabbia: aveva velocemente spiegato ad Alida che la sua visione si era avverata e al fianco di Etienne aveva cominciato ad incalzarla, affinché avesse altre visioni.
 
- Ci sto provando… - mormorò Alida dopo molto sforzo, - ma sono stanca… tanto stanca. Sai che quando sto così non riesco a… -
 
- Ci devi riuscire! Devo capire che cosa è successo e chi sono i bastardi che hanno fatto una cosa simile! -
 
Ryurik, che era stato nuovamente privato del suo collare, osservava la ragazza stringendosi lo stomaco con le braccia mentre al suo fianco Etienne non aveva occhi che per lui. Ryurik provava una pena che non voleva provare, così come si sentì assalire da una stanchezza vorace. Intanto che Nadia insisteva con Alida, Etienne prendeva appunti e chiedeva a Ryurik come si sentisse e se pensava di essere in grado di risucchiare la negatività della ragazza.
 
- Non funziona così. – Sibilò Ryurik con frustrazione – Non posso decidere io, non succede mai. -
 
- Per ora… forse è perché non lo hai mai davvero voluto. Sarebbe comprensibile, sai… -
 
Così, dopo una buona mezz’ora e un incredibile sforzo, Alida crollo sulla sedia accogliendo una vaga e nebulosa visione.
 
Che posto era quello? Forse il bosco della Corte? Era forse la casa di Jude, quella che vedeva in lontananza?
E chi c’era nell’ombra?
Un gruppetto esiguo di persone, le parve di contarne tre o quattro. Poi vide arrivare qualcun altro.
Assurdo, non poteva essere… aveva riconosciuto una Sentinella, una ragazza di nome Saskia e si avvicinava a qualcuno, con un sorriso stanco sul viso.
Doveva essere un ragazzo… era così alto, ma non riusciva a identificarlo, bardato com’era.
Un abbraccio fra i due, forte e vigoroso. Alida capì che dovessero conoscersi molto bene, perché quella lì era una stretta complice, intima.
Ma per quale motivo stava vedendo quella scena, inizialmente non lo capì. Forse la Sentinella Saskia era coinvolta nell’incendio del mulino? E quelli erano cittadini della Corte, oppure dissidenti venuti da fuori, magari Ladri di bacchette?
Sussultò, Alida, quando sentì l’alto uomo parlare.
 
- È bello riaverti con noi, Stafford. -
 
Non poteva riconoscerne il volto, ma la strega era certa di una cosa: avrebbe potuto confondere la voce di chiunque al mondo, ma quella di Micah no, non l’avrebbe potuta dimenticare mai e poi mai. Lo stomaco prese a fare le capriole, esprimendo un miscuglio di sentimenti dalle più varie sfumature.
Era Micah, era vivo… ed era coinvolto con quella storia.
 
La Corte
Il bosco
 
Sonne e Vulkan erano corsi verso il bosco e fortunatamente non avevano incontrato nessuno, probabilmente in quanto la maggior parte delle Sentinelle presenti alla Corte si era riversata nel luogo dell’incendio. Si erano così ricongiunti con Yuki e Chion e i quattro si erano scambiati un rapido resoconto, nell’attesa dell’arrivo di Jabal, Mångata e Ice, il loro compagno finalmente ritrovato.
Una manciata di minuti più tardi sentirono dei rumori e con estrema gioia si resero conto che i tre erano riusciti a raggiungerli; Mångata aveva ripreso le sue sembianze, mentre quello che doveva essere Stafford aveva ancora l’aspetto di una giovane ragazza. Sonne non ci pensò un solo istante ad allungare il passo per stringere il Ladro in un abbraccio.
 
- È bello riaverti con noi, Stafford. -
 
Stafford ricambio, dando delle calorose pacche sulle spalle di Sonne: - Grazie di essere qui. –
 
- Come avete fatto a sfuggire a Jude? – chiese Vulkan che appena aveva visto arrivare il capo delle Sentinelle aveva pensato che per loro sarebbe stata la fine. Mångata, con i capelli ancora stranamente ricci, spiegò con entusiasmo che Jude si era avvicinato a loro e si era subito insospettito riguardo Jabal.
 
- Gli ho detto che fosse un mio parente giunto in giornata da una comune vicina e che me l’ero portato dietro perché è un bravo elettricista. -
 
- Io mi sono presentato, - sghignazzò Jabal, per poi imitare il dialogo avvenuto poco prima con Jude: - Sono onorato di conoscerti, mia nipote mi ha parlato così bene di te! -
 
- Geniali. – Decretò Sonne prima di dare un’altra stretta a Stafford nelle vesti di Saskia – Ora però andiamo senza perdere altro tempo! -
 
Il gruppo cominciò a muoversi con discrezione e Yuki, in coda, si fermò a dedicare attenzione a Chion; il ragazzo era paralizzato e osservava Stafford con occhi tremanti.
 
- Tutto bene? – Sussurrò lei – Dovremmo… andare, ora. -
 
- Io… ecco… si. Jabal, aspetta. -
 
D’improvviso Chion affrettò il passo per raggiungere l’uomo, che si era voltato per dargli ascolto.
 
- Devo chiederti… quella ragazza di cui ha assunto l’aspetto Ice… -
 
- Credo dovremmo rimandare le chiacchiere a più tardi. – Sussurrò bonariamente Jabal, pronto a rimettersi in marcia; ma Chion gli afferrò un polso: -Voglio solo sapere… l’avete… - Esitò, perché anche solo pronunciare quelle parole era per Chion impossibile. Jabal inarcò un sopracciglio: - Stordita? Si. A quest’ora si sarà ripresa insieme all’altra. Andiamo. -
 
La preoccupazione scivolò così via da Chion; certo, il destino gli aveva giocato proprio un bello scherzo, in quanto fra tutte le Sentinelle che avrebbero potuto incontrare e utilizzare per la polisucco, era toccato proprio alla sua amica di una vita. Ma non era il momento per perdersi in pensieri contorti quello lì. Riprese quindi a camminare, sentendo il cuore un po’ più leggero di prima.
 

 
(1) Uccelletto

 
Buongiorno a tutti voi, cari lettori. Ce l’ho fatta, sono riuscita a pubblicare il quinto capitolo e spero che vi abbia soddisfatti. Ora avete capito per quale motivo il titolo è “l’arrocco”? Se non siete informati riguardo alle mosse di scacchi (io pure sono una ciofeca, ma lasciamo stare), vi lascio qui di seguito la spiegazione di nostra madre suprema wikipedia, sempre sia lodata.
 
L'arrocco (sostantivo maschile, derivato di arroccare) è una mossa particolare nel gioco degli scacchi che coinvolge il re e una delle due torri. È l'unica mossa che permette di muovere due pezzi contemporaneamente nonché l'unica in cui il re si muove di due caselle.
 
Fondamentalmente, quindi, avviene uno scambio fra Re e Torre, come nel nostro caso è avvenuto fra Ajax e Staffy.
 
Spiegazioni futili a parte, anche questa volta vi fornisco la lista degli Oc da votare. Vi chiedo di farmi arrivare due voti (privatamente) quanto prima: non preoccupatevi se i commenti al capitolo tarderanno ad arrivare, l’importante per me è avere i voti in modo da potermi mettere a lavoro. Ah, ribadire non costa nulla, quindi vi chiederei di non votare il vostro stesso personaggio.
 
Auden (Chion)
Izzie
Malik (Jabal)
Sophie (Mångata)
Ryurik
 
Grazie inoltre per i messaggi e le recensioni. Lo so sono pessima e non ho risposto che a pochi di voi, cercherò di rimediare, credete in me.
 
Bri

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Capitolo 8
*** È solo dopo aver perso tutto che siamo liberi di fare qualsiasi cosa ***


CAPITOLO VI
“È solo dopo aver perso tutto, che siamo liberi di fare qualsiasi cosa”
 
29 Marzo
Quartier Generale
 
A seguito di un sonno particolarmente agitato, Jack aveva finito per aggrovigliarsi nella coperta dalla quale sbucava solo un piedino, a penzoloni oltre il bordo del letto del dormitorio. Da quando i genitori erano partiti per la missione, era stato spostato a dormire in uno dei dormitori assieme a qualche adulto e a una manciata di orfani, fra cui Solomon che sonnecchiava placido nel letto accanto al suo. Quando percepì una mano carezzargli la spalla, Jack si trovava nel pieno di un sogno agitato: stava giocando con gli altri nella cucina di Skog, quando sul più bello avevano sentito dei rumori fortissimi e qualcuno che si era messo a gridare; spinto dalla curiosità si era catapultato nella sala centrale e si era ritrovato davanti ad Ame, vestita con un lungo vestito di lustrini d’argento e sul capo quella che doveva essere una parrucca di capelli lunghi e ricci.
 
“Lasciami stare! È mia sorella!” gli aveva gridato, poi Ame si era trasformata in qualcun altro e con gli altri adulti si era messa a parlare del tempo fuori il Quartier Generale.
 
Aprì gli occhi a fatica, mugugnando qualcosa di incomprensibile, visto che era ancora mezzo addormentato. Quella mano che doveva averlo svegliato, era passata così a carezzargli la nuca bionda; Jack era confuso, assonnato e non riusciva a capire chi lo avesse svegliato e perché, ma doveva essere ancora notte, visto che le luci del dormitorio erano spente e il silenzio la faceva da padrone.
 
- Che succede…? – Riuscì a chiedere a fatica intanto che le mani chiuse a pugni salirono per sfregarsi gli occhi; solo dopo una bella stropicciata riuscì a mettere meglio a fuoco, sfruttando la luce del corridoio che penetrava attraverso la porta in parte aperta. Percorse la sagoma possente, intercettò un barlume chiaro degli occhi che lo fissavano e infine osservò il sorriso tipicamente agrodolce che conosceva tanto bene.
 
- Papà… - sussurrò prima, ancora incredulo mentre le lacrime correvano a ingombrare gli occhi, poi alzò la voce, chiamandolo di nuovo e fregandosene degli altri con cui condivideva il dormitorio.
 
- Papà!- In un attimo Jack si era svincolato dalla coperta e aveva gettato le braccia intorno al collo di Stafford, che lo strinse a sé facendo di tutto per trattenere la commozione del momento. Così, mentre suo figlio singhiozzava di gioia nell’incavo fra collo e spalla, Stafford lo strinse ancora più forte; era avvenuto un miracolo in cui non avrebbe mai sperato.
Era evaso dalla Magione di contenimento della Corte e stringeva di nuovo Jack a sé.
 
29 Marzo
La Corte
 
Con un strana sensazione attaccata ai vestiti, Jude si era catapultato nella Magione di contenimento e con passo modulato era sceso al piano inferiore, per raggiungere la cella in cui era rinchiuso Stafford. Notò con estremo stupore che non ci fossero controlli e non gli bastò, come spiegazione, il fatto che le Sentinelle dovessero essere disperse qua e là per far fronte all’emergenza del Mulino. Così era giunto alla porta della cella e prima di entrare, spiò attraverso la grata rettangolare che permetteva di controllare l’interno della stanza. Notò Stafford agitato, imbavagliato e legato sulla branda, cosa che lo portò a sospettare ancor più.
Entrò senza aspettare ancora e si avvicinò al prigioniero mentre sentiva, ancora una volta, la rabbia montare dentro di lui; Stafford lo guardò con occhi sgranati e prese a mugugnare più forte, così con un gesto secco Jude gli strappò via il bavaglio.
 
- Chi diavolo ti ha legato senza la mia autorizzazione? -
 
- Io non so cosa mi… - un colpo di tosse per schiarirsi la gola, prima di riprendere a parlare -… cosa mi hanno fatto. – Poi d’improvviso Stafford si paralizzò, davanti al viso aggrottato di Jude: - La mia voce… la mia voce! -
 
- Devi essere totalmente impazzito. – Disse Jude con rassegnazione.
 
- Capo! Cosa mi hanno fatto?! Dov’è Izzie?! -
 
- Izzie? È stata quella Sentinella a legarti come un salame? E poi perché mi chiami capo? Mi sembra un po’ tardi per decidere di tornare dei nostri. – Jude non riuscì ( e nemmeno volle) a mascherare un tono soddisfatto.
 
- Tornare… dei vostri? Io sono sempre stato dei vostri! Capo, potrei essere slegato ora? – Ajax tentò di mettersi a sedere; sentiva il suo corpo molto pesante e stranamente… lungo; i vestiti gli andavano stretti e si domandò ancora una volta che cosa cazzo gli avesse fatto bere Izzie.
 
- Se la mia Sentinella ti ha legato un motivo c’è di sicuro, Stafford. -
 
Jude dichiarò poi di volere andare a cercarla per avere spiegazioni, quando dalle suo spalle partì la voce alterata del prigioniero.
 
- Stafford?! Io non sono Stafford! Sono Ajax Willow! -
 
*
 
L’aria era irrespirabile, quello che veniva definito cibo immangiabile e l’acqua potabile razionata a stento bastava per non far morire i prigionieri di sete. Questa era la condizione in cui si trovava Ellery, mentre accarezzava il proprio ventre sperando di riuscire a portare a termine la gravidanza. Era stata portata in quella Colonia da un mese e nessuno aveva mostrato pietà per lei per il fatto di essere incinta; al contrario, per Ellery McInnes nessuno avrebbe dovuto provarne apertamente, Nadia era stata molto chiara a riguardo; perché? Perché con i ribelli non bisognava farsi scrupoli, a maggior ragione se si trattava di ex governatrici.
Ellery era stata Governatrice, una giovanissima governatrice, fedele più che mai al regime instaurato da Nadia, di cui condivideva il progetto alla base del nuovo mondo che aveva costruito. Tutto era andato bene, fin quando il sospetto non aveva cominciato ad instillarsi in lei, quando aveva cominciato a vedere con i propri occhi cosa accadeva a chi dimostrava di non apprezzare ogni singola virgola del sistema di Nadia. Le torture psicologiche e fisiche, le uccisioni in pubblica piazza e in assoluto la Costituzione delle Colonie, avevano pian piano fatto cambiare idea ad Ellery e l’asta della sua morale aveva cominciato ad oscillare pericolosamente. Quel mondo lì non poteva essere giusto, ci doveva essere di sicuro un altro modo per far si di riportare la Terra a uno stato di pace reale; per questo Ellery, nonostante fosse la Governatrice di una Comune, aveva cominciato a prendere parte ad alcune difficili missioni: necessitava di vedere con i propri occhi come si viveva fuori dalle mura dorate delle comuni.
Inutile dire che i suoi larghi occhi blu si riempirono presto di pena e orrore, ma Ellery fece di tutto per mascherare lo sdegno e la disapprovazione che cominciava a provare per Nadia.
 
Fu durante una di queste spericolate missioni che la giovane donna, che portava in grembo un bambino ma che ancora non sapeva di essere rimasta incinta di una delle sue Sentinelle, conobbe il mondo dei Ladri di bacchette. Riuscì ad entrare in contatto con loro e per Ellary abbracciare la loro causa fu un passaggio naturale; ma come da previsioni, quel gruppo di Ladri a cui lei voleva unirsi, dopo aver abbandonato la sua comune da un giorno all’altro, non fu né comprensivo, tantomeno indulgente. Lo sapevano tutti chi lei fosse; come era possibile che la governatrice Ellery McInnes avesse cambiato bandiera d’improvviso?
L’unica cosa che il gruppo di Ladri fece, fu di risparmiarle la vita, ma fra di loro non c’era spazio per chi serviva Nadia Millan, nonostante Ellery tentò in tutti i modi di provare che la sua visione fosse cambiata e che con la vita da governatrice, lei non voleva più averci nulla a che fare.
Si, ebbe salva la vita, ma il prezzo da pagare fu molto alto: era incinta, a pochi mesi dal parto e costretta a cavarsela da sola, fra le Terre di nessuno che non risparmiavano i fragili.
 
Per qualche tempo Ellery tentò di sopravvivere, ma la gravidanza procedeva e la caccia all’uomo era partita il giorno dopo la sua fuga, non appena Nadia aveva ricevuto la notizia. Così vennero spediti frotte di Sentinelle per cercarla e presto Ellery venne catturata e portata in una delle Colonie nord africane, a risaputa di tutti una delle peggiori Colonie esistenti al mondo.
Così Ellery si ritrovò sola, sottoposta al duro lavoro quotidiano e alle angherie di coloro che si trovavano a condividere la prigionia con lei, perché nessuno era pronto a credere che una persona del genere avesse realmente tradito il Regime.
 
Fu dopo due mesi dal suo arrivo che Auden venne alla luce; l’unico medico di cui disponeva la Colonia non si era minimamente preoccupato del parto, convinto che se non fosse stato quello a uccidere madre e figlio, ci avrebbero pensato i fumi tossici della Colonia. Non valeva di certo la pena spendere energie per far nascere un neonato che, con ogni probabilità, sarebbe venuto alla luce con qualche orribile deformazione. Per fortuna del piccolo Auden McInnes, non fu così: il bambino dai grandi occhi blu nacque sano e forte e dette ad Ellery un motivo per ritrovare un briciolo di felicita. Almeno, fin quando Auden, poco più di un anno dopo la sua nascita, non le venne strappato via.
La partenza del piccolo Auden venne accompagnata dalle urla di disperazione di sua madre che a quel punto, senza nemmeno suo figlio da accudire, non era che una prigioniera come tutti gli altri.
Nadia, di suo, si premurò di far mandare il figlio della sua ex fedele in un orfanotrofio ben distante dalla Colonia nord africana; fu così che le Sentinelle portarono Auden all’orfanotrofio Welt, sito nella terra centro europea.
Il piccolo mago, mai avrebbe dovuto sapere di essere il figlio di una Sentinella e una Governatrice ribelle; forse in quel modo, avrebbe avuto salva la vita.
 
*
 
29 Marzo
Quartier Generale
 
Il ritorno del gruppo dei Ladri dalla missione per salvare Stafford, era stato accolto con clamore da chi si trovava ancora sveglio. Ice si era limitato a lanciare un paio di mesti sorrisi, ma la prima cosa che aveva voluto fare era andare a svegliare Jack; non avrebbe atteso un minuto di più per ricongiungersi con suo figlio. Jabal, invece, aveva deciso avrebbe aspettato la mattina dopo per svegliare la piccola Zenia per spupazzarla un po’; così lui, Mångata, Yuki e Chion fra uno sbadiglio e l’altro, avevano dato a tutti la buonanotte e si erano ritirati nei bagni per permettersi una meritata doccia.
Sonne, invece, di dormire non aveva alcuna intenzione; aveva ancora l’adrenalina a girargli nel corpo, così come il pensiero fisso di Jude a ingombrargli la mente.
Una birra, o magari un bel bicchiere di whisky, era quello che ci sarebbe voluto per sciogliere i nervi. Dimma arrivò da lui proprio mentre stava affondando su uno dei divani a disposizione nella sala centrale, anche lei con un bicchiere in mano.
 
- Ho visto Staffy; mi ha chiesto dove fosse Jack ed è schizzato via. -
 
- Credo che sia l’unica cosa che importi a Stafford in questo momento, ed è giusto così. – Sonne buttò giù un lungo sorso di whisky, poi accennò un sorriso stanco all’amica seduta al suo fianco: - Abbiamo dato fondo alla polisucco. -
 
-A tutta la polisucco? –
 
Sonne annuì: - Non potevo dirtelo prima. Se lo avessi fatto poi avresti capito dove volessi arrivare e il piano sarebbe diventato prevedibile. A quel punto Alida avrebbe potuto vederci. –
 
Dimma bevve a sua volta, poi annuì con consapevolezza: - Ora è tutto chiaro. Beh, è servita per una buona causa, da domani ci organizzeremo per andare ai mercati e cominciare a reperire di nuovo qualche ingrediente; prima o poi riuscirò a farla di nuovo. –
 
Sonne scolò il bicchiere e senza pensarci un attimo lo riempì di nuovo, così Dimma gli lanciò un’occhiata in tralice: - Qualcosa non va? Hai nominato Alida, l’hai forse vista? –
 
- No, lei no e per fortuna. Non che non abbia la curiosità e… la voglia, di rivederla, ma sai che vedere Alida equivale a vedere mia nonna, visto che non la lascia mai esporsi in missione da sola. Però ho visto Jude. -
 
L’espressione sempre seria e misurata di Dimma si fece d’un tratto sorpresa: - Jude? Seriamente? E ti ha riconosciuto? –
 
Sonne si affrettò a scuotere il capo: - No, ma mi sono trovato a tanto così- avvicinò pollice e indice in un gesto eloquente: - a doverlo colpire. Era solo e non credo avrei avuto problemi a farlo fuori. –
 
La strega annuì e improvvisamente sentì l’esigenza di ingollare anche lei ciò che rimaneva nel bicchiere e poi imitò Sonne, versandosene un altro: - Se fosse stato necessario, so che avresti fatto la cosa giusta. –
 
- Io non ne sono poi così sicuro. -
 
Lo sguardo di entrambi finì sulla figura di Vulkan, il quale sedette sulla poltrona dismessa davanti a loro. Sonne bevve di nuovo, prima di puntare gli occhi resosi acquosi dall’alcol sul compagno seduto davanti a lui : - Ti ho forse dato motivo per pensarlo? Ero vicino a te, sai che lo avrei fatto. –
 
- Hai esitato troppo; Jude è un tuo punto debole su cui è evidente tu debba lavorarci ancora su. Non ti fai problemi ad ammazzare chiunque tu non conosca, ma puoi dire davvero che per la tua vecchia famiglia, o i tuoi passati amori, o amici, sia lo stesso?-
 
Sonne tentò di trattenersi eppure Dimma, che dentro di sé stava imprecando perché non aveva nessuna intenzione di trovarsi ancora una volta nel fuoco di una lite, era certa che il ragazzo fosse troppo provato e stanco per riuscirci davvero.
 
- Questa è la mia famiglia, ora… ma vedo che a distanza di tutti questi anni tu continui a metterlo in dubbio. -
 
Vulkan alzò le spalle: - Mi preoccupo per il Quartier Generale; lo sappiamo tutti che se volessi, potresti rovinarci. -
 
- Bene! – Sonne si alzò di scatto, ingoiò ciò che rimaneva dell’alcol nel bicchiere e poi scoppiò a ridere, davanti a un impassibile Vulkan: - Allora facciamo una diavolo di riunione e mettiamo la mia presenza qui ai voti, così la smetterai di rompere il cazzo. Che ne dici, ti sta bene Nikolai? -
 
Vulkan strinse i pugni, ma non si alzò: - Non chiamarmi così. –
 
Dimma a quel punto finì il suo bicchiere, poi alzò le mani con rassegnazione: - Avete intenzione di scatenare una discussione proprio a quest’ora? Se è così, mi defilo. –
 
Sonne rise di nuovo; una risata rabbiosa e satura, quella che gli uscì dalla bocca: - No… meglio lasciar perdere. Vado a farmi un giro, ho bisogno di prendere aria. –
 
I due osservarono l’alto mago avviarsi di gran carriera verso l’uscita dalla Sala grande e una volta perso di vista, Vulkan fissò Dimma: - Sono solo preoccupato per la nostra sopravvivenza. - 
 
- Lo siamo tutti, anche Micah. Lo sa di avere dei punti deboli, ma io mi fido di lui e credo che finalmente dovresti farlo anche tu. -
 
Vulkan non rispose, limitandosi a tornare con lo sguardo sul punto in cui era sparito Sonne poco prima intanto che la donna, che non ne poteva più di fare da paciere, si alzò e si incamminò verso il dormitorio.
 
*
Khalid e Page avevano deciso di votare la loro vita a quella che ritenevano la giusta causa; del Regime avevano un’idea che sarebbe riduttivo definire pessima, così assieme ad altri ribelli, decisero di ritirarsi in alcune miniere abbandonate ormai da tempo nel Nord dell’Inghilterra. Fu lì, in quegli accampamenti improvvisati ma pieni di gioia, che nacque prima Malik e due anni dopo Noreen; due bambini cresciuti nell’amore dei genitori e del resto del gruppo, che non avevano mai risentito della condizione di vita precaria, sempre sospesa sul filo del rasoio. Andò tutto per il meglio fin quando Malik non raggiunse gli undici anni; presi di mira ormai da tempo, l’accampamento fu assaltato da un nutrito gruppo di rigattieri che avevano come proposito non solo quello di ripulire gli emarginati di tutto ciò che possedevano, bensì arraffare tesori ben più grandi: il capitale umano.
La battaglia non fu lunga, in quanto i rigattieri erano meglio organizzati e in numero decisamente maggiore e lasciarono sul campo una scia di morti.
Il primo grande trauma che investì il giovanissimo Malik, fu veder morire i suoi genitori davanti ai suoi occhi; ma il ragazzino e la sorella non avevano nemmeno avuto il tempo di disperarsi, perché chi non era stato ammazzato o si era rivelato troppo debole, era stato portato via. Così Malik e Noreen rientrarono nel gruppo di coloro che vennero catturati e trascinati lontani dalle macerie dell’accampamento, che per tutti quegli anni era stato per loro una casa e una famiglia.
 
I Mercati illegali pullulavano in tutto il mondo e per buona parte di loro veniva chiuso un occhio da parte delle Sentinelle, che intervenivano per gli smantellamenti solo quando non avevano da ricavarne qualcosa di buono. Essi nascondevano ben più che tavolate di oggetti di ogni forma e colore; esistevano veri e propri bordelli, dove donne e uomini di piacere prestavano il loro servizio, così come venivano messe in piedi le aste più disparate. Fra queste, non era raro che gli oggetti all’asta fossero esseri umani, venduti a prezzi altissimi; Malik e Noreen, giovani, forti e graziosi, erano quindi un bottino succoso e la loro asta si rivelò uno scontro feroce, vinto infine da una delle donne più potenti e temute che frequentava con assiduità i Mercati; Evelyn Beringar, con i suoi settant’anni di età, si aggiudicò la coppia di fratelli. La sorte per Malik fu quello di diventare il suo ‘uomo di fatica’ , mentre per la piccola di soli nove anni fu quella di cameriera; inoltre Evelyn, la cui anima bruciava già da tempo nelle fiamme dell’inferno, non mancò di lasciare che i suoi ospiti più famelici potessero approfittare della compagnia della piccina e con Malik, ogni qualvolta tentava di ribellarsi anche solo con le parole pur di difendere la sua giovanissima sorella, non si faceva alcuno scrupolo a tirare fuori la frusta.
 
La schiena di Malik veniva regolarmente martoriata e Evelyn in più di un’occasione lo colpì talmente forte, che la carne si squarciò fino a far intravedere le ossa. Purtroppo la vita dei fratelli Khuda crollò con rapidità in una spirale malsana e desolante, dalla quale uscirne con l’unico ausilio delle loro forze, sarebbe stato arduo, se non impossibile.
 
*
 
29 Marzo
La Corte – Residenza di Nadia
 
- E quindi, cara… stavate controllando che l’impianto della Magione di contenimento non avesse subito nessun danno, giusto? -
 
Nadia era seduta al fianco di Etienne sul grande divano in pelle che l’anno precedente le era stato donato dalla governatrice della Comune africana; pelle di elefante, nello specifico e Nadia aveva particolarmente apprezzato quel regalo. Davanti ai coniugi si trovavano in fila Jude, Ajax (uno strano miscuglio con Stafford), Izzie e Saskia; era ad Izzie che Nadia si stava rivolgendo in quel momento. La giovane Sentinella era totalmente diversa da come Ajax l’aveva vista non più di un’ora prima e nonostante gli fosse stato chiarito che quella che lo aveva costretto a bere la fantomatica pozione polisucco non fosse lei, non riusciva comunque a non provare una sottile stizza per come era stato trattato.
Insomma, Izzie era diversa, ma non assomigliava nemmeno alla solita Izzie: lo sguardo era trasognante e non faceva altro che lanciare occhiate e sorrisi docili a Jude, in piedi al suo fianco il quale la incoraggiò a rispondere.
 
- Non avere timore, dì pure alla Governatrice quello che hai già riferito a me. -
 
- Per te farei qualsiasi cosa. – cinguettò Izzie in risposta, farcendo la voce di un’inclinazione frivola. Mentre si rivolgeva a Nadia, Izzie si avvicinò ancor più a Jude e si strinse al suo braccio con delicatezza: - Ci siamo resi conto che andava tutto bene, poi Saskia è arrivata da noi informandoci che c’era stato un incendio, così abbiamo iniziato a chiederci che cosa avremmo dovuto fare, quando due persone, un uomo grande come un armadio e una ragazza ci hanno assaliti; prima hanno stordito Ajax, poi è toccato a noi due. Quando mi sono svegliata, Saskia era al mio fianco e ancora non si riprendeva. Ci avevano legato le mani e abbandonate in un angolo buio della prigione. -
 
Saskia annuì, lo sguardo era basso e del sorriso che solitamente dominava il suo volto, non ce n’era nemmeno l’ombra. Izzie si prese un momento per alzare lo sguardo su Jude, il quale annuì concedendole dei colpetti di incoraggiamento sulle mani strette intorno al suo braccio, così Izzie tornò a raccontare: -Fortunatamente sono riuscita a farla svegliare, abbiamo incontrato una Sentinella che ci ha slegato le mani e… -
 
- Non c’è bisogno di essere così dettagliata. – Specificò Nadia esasperata, così Izzie si rabbuiò: - Ma io sto solo cercando di rendere felice Jude, lui mi ha chiesto… -
 
- Puoi asciugare un po’ il racconto, non preoccuparti. – Le disse con pazienza Jude e sentendosi rassicurata, Izzie si strinse ancor più al suo braccio, sul quale poggiò la guancia; prese poi a ondeggiare un po’, trasognante: - Fortunatamente nella cella abbiamo trovato Jude. Era molto arrabbiato con quel prigioniero e stava dando calci a tutto quello che aveva intorno… -
 
- Ecco, quando dico asciugare, intendo proprio questo. -
 
- Ma lo capisco! Anche lei lo capisce, no? Si è fatto scappare da sotto il naso il prigioniero, il mio povero Jude! -
 
- Basta così. – Disse Nadia e Jude si preparò a subire la sua ira. In fondo era andata esattamente così; si era fatto fregare per la seconda volta nell’arco di una stessa giornata e sua nonna sarebbe andata su tutte le furie. Eppure rimase sbalordito quando notò un lieve sorriso spuntare dalle labbra di Nadia.
 
- So già cosa stai pensando, tesoro, - prese a dire poi, rivolgendosi al nipote – ma la colpa non è di nessuno, se non mia. -
 
- Ma chère… non devi dire così. – Si intromise Etienne, stringendole la mano e la moglie gli sorrise con assoluta dolcezza: - C’è un motivo se l’intera popolazione mondiale ha deciso di darmi credito; un buon leader sa sfruttare le sue capacità, è vero, ma prima di tutto sa riconoscere i propri difetti e limiti. Ed io come Governatrice non ho saputo prevenire questo piccolo disastro. – Così spostò di nuovo lo sguardo su Jude al quale era ancora aggrappata Izzie con tenacia: - Tu hai fatto il possibile con i mezzi che avevi a disposizione Jude, sono molto fiera di te. Ora però è giunto il momento di prender in mano la situazione. – Nadia si alzò in piedi, allacciò le braccia sotto il seno e prese a misurare la stanza con gran passi: - Dobbiamo capire molte cose, in primis se all’interno della Corte c’è qualcuno che ha contribuito alla fuga di Stafford. Organizzeremo delle ricognizioni nelle case dei cittadini e cercheremo tracce che possano dimostrare che vengono preparate illegalmente delle pozioni. Intanto perlustreremo l’intero territorio della Corte; mi sembra chiaro che esistano dei modi per uscire che non conosciamo. Troveremo ogni singolo accesso e lo chiuderemo. -
 
- Mi permetta di occuparmi personalmente della questione. – Disse Ajax muovendo un passo avanti e portando il pugno al cuore – Ho bisogno di espiare la mia colpa. -
 
- Oh Ajax, fossero tutti così fedeli come te sono sicura potrei dormire sonni tranquilli. Ma anche tu non hai colpe di quanto successo. Detto ciò sarò lieta di affidarti questo compito. Per il momento siete congedati, andate a riposarvi, ormai quel che è fatto è fatto. -
 
Il gruppo annuì e Jude, prima di allontanarsi per riaccompagnare a casa Izzie, la quale non mollava la sua presa per nessun motivo al mondo, si girò ancora una volta verso la nonna: -L’incendio è stato domato, ma la corrente non potrà essere ripristinata prima di domani. –
 
- Vorrà dire che gli abitanti di quel lato della Corte passeranno una bella serata a lume di candela. -
 
*
 
Fortuna volle che in quell’orfanotrofio, Auden avesse trovato fin dal primo giorno una figura dal quale non si sarebbe separato per i successivi ventuno anni; così diversi, eppure inseparabili, Auden e Saskia Welt in qualche modo si erano riconosciuti. Come fosse possibile che i due piccini avessero stretto un saldo legame fin da subito, era per tutti un mistero. I loro tutori spesso scherzavano riferendosi a loro, interrogandosi se fossero anime gemelle, o gemelli separati alla nascita: se Auden era un bambino taciturno, tendente all’isolamento, dal carattere mite e docile, Saskia di contro era un vero e proprio uragano, sempre piena di energia e con l’innata capacità di stringere legami con chiunque. Due personalità agli antipodi, ma che si erano stretti le mani per non lasciarsi più, sostenendosi l’un l’altra durante i difficili anni passati in orfanotrofio. Mai accadeva che Auden si spostasse senza la vicinanza di Saskia, la quale era sempre in grado di dargli la forza necessaria e che si spendeva a difenderlo.
Condividevano tutto, così come insieme avevano cominciato a darsele per gioco, arrivando pian piano a diventare sempre più bravi, precisi e forti; quello che era iniziato come un gioco, nato comunque da un necessario spirito di sopravvivenza che non doveva mancare a chi voleva sopravvivere negli orfanotrofi, era diventato presto il loro passaporto per la libertà.
Fu proprio grazie ai loro combattimenti che i reclutatori li notarono e solo in un secondo momento capirono che Auden possedeva, per altro, un potere che si sarebbe potuto rivelare molto utile .
Così una sera, dopo l’ennesima visita dei reclutatori al Welt, Saskia si precipitò carica di entusiasmo dal suo amico.
 
“Auden, ma ti rendi conto? Se ci dovessero scegliere per noi sarebbe la fine di un incubo e l’inizio di un sogno!” Iniziò lei, faticando addirittura a star ferma, tanto era emozionata. “ Dobbiamo fare di tutto per convincere i reclutatori a farci uscire di qui… potremmo chiedere loro di portarci non a una comune qualsiasi, ma proprio alla Corte! “
 
Auden, che fra i due era di certo quello con i piedi per terra, si limitò ad abbozzare un sorriso davanti l’entusiasmo irrefrenabile della sua migliore amica.
“Per te magari vale questo discorso, ma io… non lo so Saskia, non credo di essere abbastanza, per la Corte. “
 
“Sai Auden, mi sono sempre vantata di te con tutti rimarcando quanto sei intelligente, ma quando ragioni così mi fai ricredere, lo sai? “
 
E quella ad avere ragione, alla fine, fu proprio Saskia. Raggiunta la maggiore età i due non ebbero alcun problema ad entrare alla Corte e diventare reclute; entrambi erano molto abili nel combattimento e Auden, dalle origini evidentemente magiche, aveva persino quello che Saskia definiva “il super potere strafico”. Per loro la Corte rappresentò davvero un sogno che si realizzava; il sistema aveva funzionato, dando la possibilità ai più capaci di servire il Regime.
I due inseparabili amici si trasferirono con la loro manciata di averi all’interno di una casina modesta, essendo impensabile l’idea che si potessero separare; erano stati inseparabili per diciassette anni e quel loro legame aveva solo contribuito a renderli ancora più forti.
Per festeggiare l’inizio di quel loro meraviglioso “viaggio” decisero di condividere lo stesso tatuaggio; fu Auden, a disegnarlo per entrambi. Una stella a quattro punte, che ricordava la stella di una bussola.
 
Non attesero di certo per iniziare l’addestramento per diventare delle Sentinelle a tutti gli effetti e la loro vita sembrava davvero aver subito un’impennata di qualità, a maggior ragione quando la Governatrice in persona aveva preso a gironzolare intorno ad Auden, secondo l’entusiasta Saskia a causa del suo potere tanto interessante.
Inizialmente lusingato, non passò molto tempo prima che il giovane mago iniziasse a insospettirsi dell’interesse mostrato da Nadia, la quale aveva cominciato a indagare in maniera apparentemente innocente, riguardo al suo passato.
“Ricordi qualcosa dei tuoi genitori? Sai da dove vieni?” Queste erano il genere di domande che resero Auden sospettoso. Certo, lui non lo poteva mica sapere di essere la copia carbone di Ellery e che Nadia, vedendolo fra le giovani leve di suo nipote, si era posta la domanda se per caso quel bel ragazzo dagli occhi magnetici non fosse il figlio della governatrice ribelle.
 
*
 
30 Marzo
00:35 AM – Quartier Generale - Maneggio
 
Neanche si era reso conto di essere corso fuori il Quartier Generale ed essere arrivato al maneggio. Afferrò dall’interno del cappotto una sigaretta che portò alla bocca e la accese, cercando di ritrovare un barlume di lucidità che il whisky, unito alle parole di Vulkan, gli avevano portato via. Si avvicinò alle stalle e si soffermò a fissare Orson, perdendo lo sguardo sul manto scuro del suo cavallo che probabilmente dormiva da un po’.
 
- Mi hanno detto fossi qui. Sono contento che la missione sia andata bene. -
 
Leaf si affiancò a Sonne e anche lui concentrò lo sguardo sul cavallo dell’amico, attendendo che lui rispondesse. Sonne tirò un’altra boccata dalla sigaretta, ma non disse nulla, il che era un evento assai raro. Da quando lo aveva conosciuto, le volte in cui lo aveva visto scoprirsi emotivamente erano state davvero poche; Sonne era sempre su di morale, con i piedi piantati a terra e un’energia invidiabile. Pronto a trovare sempre una soluzione a tutto, molto raramente ricercava conforto da qualcuno. Leaf sospettò che quella potesse essere una di quelle volte, per questo alzò una mano e gliela poggiò sulla spalla.
 
- Tutto bene amico?-
 
- No. – Rispose lui, senza mezzi termini, - Ma non ho voglia di parlarne. -
 
- Eppure la missione è andata bene. Non l’ho visto, ma mi hanno detto che Ice è tornato con voi. -
 
- Si, ce lo siamo ripresi. – D’improvviso Sonne scoppiò a ridere, facendo inarcare di molto un sopracciglio di Leaf: - Ma pare che qualsiasi cosa io faccia, alla fine c’è sempre un qualche cazzo di motivo per farmi capire che comunque non vado bene. -
 
- Io credo di non riuscirti a seguire. – Leaf continuò a seguire con lo sguardo il compagno, che alternava risate nervose a boccate di fumo.
 
- E non c’è proprio niente da capire. Senti vai, davvero io sto bene, c’è Orson qui con me, non è vero Orson? –
 
Leaf alzò lo sguardo al cielo; non aveva nessuna intenzione di lasciare Micah da solo, quando era evidente che avesse bisogno di parlare con qualcuno. Non che lui fosse proprio la persona migliore per parlare, ma almeno con lui non aveva mai avuto problemi; del resto sarebbe stato meglio di un cavallo dormiente, ragionò, prima di sentire qualcuno avvicinarsi a loro. Si girò di scatto pronto a reagire nel caso si fosse presentata una presenza indesiderata nonostante gli incantesimi di protezione che circondavano il maneggio, ma si rese presto conto che non ci sarebbe stato da tirar fuori le armi: Stafford si stava avvicinando a loro con le mani in tasca e la sua solita espressione neutra sul viso.
I due si salutarono con una stretta di mano e una pacca sulla spalla, dopodiché Ice, con gli occhi puntati su Sonne, disse a bassa voce a Leaf  che gli sarebbe piaciuto poter fare una chiacchierata con l’altro da soli. Il più giovane annuì, in realtà grato di essere stato liberato dall’arduo compito e si ritirò di nuovo, pronto a tornare dalla sua bella Hail.
Ice, invece, sostituì lo spazio di Leaf al fianco di Sonne e il ragazzo, che teneva i gomiti poggiati sulla balaustra della stalla, nemmeno lo guardò.
 
- Hai svegliato Jack? -
 
- Non avrei mai potuto resistere fino a domani mattina. Mi ha chiesto di lei… ma gli ho detto che ne avremmo riparlato domani; sono riuscito a farlo riaddormentare non so nemmeno io per quale miracolo. -
 
- Bene. – Sonne si permise un bieco sorriso, prima di rabbuiarsi di nuovo. Ice, come lui, puntò lo sguardo all’interno della stalla. – Non ti ho ancora ringraziato per quello che hai fatto. Non sarei qui, non fosse stato per te. -
 
Il più giovane scrollò il capo: - Ci avrebbero pensato gli altri a riportarti qui; fai parte della famiglia. –
 
- Sappiamo entrambi che non è così. – Commentò Stafford, senza che il rammarico incrinasse in alcun modo la sua voce profonda; intimamente, Sonne era consapevole che non tutti all’interno del Quartier Generale avrebbero fatto carte false per Staffy, ma decise di accantonare quel pensiero, per darne voce a un altro: - Avresti potuto parlare; un paio di informazioni valide e ti avrebbero lasciato andare. -
 
- Non avrei mai parlato. – Accennò un sorriso, Stafford.
 
- Per Jack, lo so. Questo ti fa onore. -
 
I due rimasero per un po’ in silenzio, fin quando non fu Sonne a spezzarlo: - Ho visto Jude. Da lontano… lo stavo per attaccare, avrei dovuto farlo, sai… non c’erano alternative. –
 
- Micah. – Disse l’altro richiamando così il suo sguardo – Jude… devi sapere che ha fatto di tutto per non mettermi davvero nei guai; lo so, lo conosco bene. Avrebbe potuto avvisare subito tua nonna e per me sarebbe stata la fine, ma non l’ha fatto. -
 
Sonne incastrò lo sguardo in quello di Ice a lungo, senza avere il coraggio di dire nulla. Infine, tornò con lo sguardo su Orson e il resto dei suoi compagni equini e Ice, lievemente rigido, posò una mano sulla sua spalla  rispettando il suo silenzio come tante altre volte aveva fatto nel corso di tutti quegli anni, fin da quando Micah non era che il nipote prediletto della Governatrice.
 
30 Marzo
10:40 AM – La Corte
 
Disturbata da un tiepido sole pronto a inondare di luce la sua camera, Alida continuava a rigirarsi nel letto, senza riuscire a riposare ancora. Avrebbe dovuto farlo, visto che nell’arco di soli tre giorni era stata costretta ad avere ben due visioni, eppure non ci riusciva. Pensò che il merito dovesse essere in parte della vicinanza con Ryurik; quel ragazzo così bislacco le andava davvero a genio, ragion per cui Alida si sentì incredibilmente in colpa nei suoi confronti, anche se intimamente era ben consapevole che non aveva voluto lei quella situazione.
Incapace di riposare ancora, si alzò dal letto e scese lentamente le scale, convinta di ritrovarsi da sola; al contrario, nel salone inondato della luce mattutina, c’era la presenza ingombrante, colorata e eccentrica di Lir, che sorseggiava caffè mentre leggeva il quotidiano della Corte.
 
- ‘Giorno… - Quasi sussurrò lei, arricchendo il saluto di uno sbadiglio e l’amico prontamente si alzò in piedi e si avvicinò alla caraffa del caffè: - Finalmente ti sei alzata! Proprio te stavo aspettando, voglio che mi racconti ogni singolo dettaglio di quanto successo ieri sera. Non ho fatto altro che girare come una trottola da un lato all’altro della Corte e non ci ho capito niente! -
 
Alida si trascinò fino al bancone di legno della loro cucina a vista e affondò su uno sgabello; l’ultima cosa che avrebbe voluto era senz’altro fornire un racconto dettagliato a Lir.
 
- Ma tu non dovresti, che ne so, lavorare, magari? – Biascicò lei mentre afferrava la tazza di caffè porta da Lir.
 
- Cara mia, io ho dormito ben cinque ore, poi mi sono alzato, ho fatto un salto a fare colazione e mi sono dato al primo giro di ricognizione della Corte. -
 
- Quando dici fare colazione intendi che sei andato da Artemisia, alle sette del mattino, a pregarla di darti da mangiare? -
 
- A mia discolpa, - rispose lui prendendo posto accanto all’amica – posso dirti che Artemisia era sveglia da tempo immemore e aveva appena infornato la seconda torta. Credo sia un po’… arrabbiata per la discussione avuta con Jude. -
 
-Uuuh… gossip! – Improvvisamente sveglia, Alida si strinse a Lir e mise su la sua espressione più furbetta: - Che è successo fra quei due? –
 
- Te lo racconterò solo dopo che tu mi avrai fornito il tuo resoconto, non penserai mica di sfuggire al mio interrogatorio. -
 
- Mpf… c’è poco da dire. – Alida sorseggiò il caffè, prima di tornare a parlare: - Ho avuto un’altra visione, Nadia non mi ha lasciata stare un secondo… ho visto un gruppo di persone parlottare ai margini del bosco e fra loro c’era Saskia. -
 
Lir quasi si strozzò col suo caffè: - Saskia?! –
 
- Già, ma non era lei… uno di loro l’ha chiamata Stafford; pare che abbiano sfruttato la pozione polisucco per portarlo via. -
 
- E non sei riuscita a riconoscere nessuno di loro? -
 
Alida si affrettò a scuotere il capo. Se c’era una persona in tutta la Corte in cui riponeva fiducia, quello era proprio Lir, ma nemmeno a lui avrebbe mai detto di essere sicura di aver riconosciuto la voce di Micah, tantomeno lo avrebbe fatto con Jude. Alida mentì a se stessa, raccontandosi che aveva tenuto nascosto quel piccolo dettaglio proprio per tutelare il capo delle Sentinelle, perché aveva l’idea che non avrebbe preso per niente bene la notizia. Ma la verità, quella che si era premurata di ignorare, era che non sarebbe mai riuscita a tradire Micah. Il solo pensarlo, ricordare il suono della sua voce con quelle poche parole apprese durante la visione, l’avevano privata del sonno e in quel momento sentì di nuovo lo stomaco fare le capriole e il battito accelerare.
Lir la guardò di sottecchi: - Sei proprio sicura che non hai altre informazioni da darmi? Mi sembri più strana del solito questa mattina, il che è tutto dire. –
 
- Vuoi proprio farti una doccia bollente? – Lo minacciò lei, agitando la sua tazza di caffè fumante: - E poi non ti ci mettere anche tu… ho già fin troppe persone ad assillarmi, almeno a casa mia ho bisogno di essere lasciata stare. Comunque ora sta a te: raccontami dettagliatamente cosa è successo fra Jude e Artemisia. -
 
A quel punto Lir decise di soprassedere; Alida non gliela raccontava giusta, ma era certo che non celasse nulla di davvero importante, altrimenti nasconderlo sarebbe andato contro i suoi stessi interessi. Così si inclinò e sorrise con fare cospiratorio: - E va bene, diciamo che il nostro caro Jude si è comportato come suo solito, tranne che per un dettaglio. –
 
- Smettila di fare così, racconta! – Lo incalzò lei prendendo a rimbalzare sullo sgabello con eccitazione.
 
- Quella povera ragazza si è ritrovata da sola a gestire un branco di reclute inesperte, mentre il mulino veniva assaltato da quel gruppo… e Jude se l’è presa con lei. -
 
- Ah beh, niente di nuovo sotto il sole, avrà fatto il suo solito show. Ne potrei contare a centinaia da diciannove anni a questa parte. -
 
- Ma non è questo il punto! Quando è arrivato, il nostro caro vecchio amico era tutto preoccupato. – Lir allacciò le mani davanti al viso e alzò gli occhi sognanti, iniziando poi un’imitazione tutta personale di Jude : - Misina sicura stai bene? Non ti hanno ferita?! Li troverò e li sgozzerò uno ad uno per difendere il tuo onor ferito! -
 
Lo sguardo di Alida si appiattì: - Jude non avrebbe mai parlato così, sei davvero poco credibile. –
 
- Sì, ok- Lir scosse una mano come a voler scacciare una mosca, - Forse l’ho caricata un po’, ma comunque la sostanza non cambia. Te lo dico io Lilly, Jude era seriamente preoccupato per lei! Tralasciamo che poi l’ha umiliata senza motivo, come suo solito, ma questi sono dettagli. -
 
- Beh, io al suo posto gli avrei tirato un cartone in faccia. – Alida tornò a sorseggiare il suo caffè e Lir le picchiettò una spalla con la mano: - Perché tu sei delicata come una scaricatrice di porto, mentre Artemisia è un piccolo fiorellino delica…AHIA! MA SEI PAZZA?!-
 
Lir prese a massaggiarsi la cute dopo che Alida aveva pensato bene di tirare una delle sue preziose ciocche ricciolute.
 
- Tu ridammi della scaricatrice di porto e vedrai che a fine giornata ti ritroverai pelato. – Il cinguettio di Alida venne accompagnato da un sorriso mellifluo e subito dopo tornò a sorseggiare il suo caffè, mentre Lir si lamentava oltre misura.
 
 
30 Marzo
Quartier Generale
 
La prima cosa che aveva fatto Jabal appena aperti gli occhi, era stato andare a svegliare Zenia. La piccola, nel pieno dell’eccitazione, si stava rifiutando di andarsi a lavare, pronta invece a coinvolgere lo zio nei suoi giochi più eccentrici. Jabal era ben contento di poter passare del tempo con la sua nipotina, eppure da quando sua sorella era morta aveva dovuto farsi carico anche della sua educazione, quindi con malavoglia le aveva spiegato che era davvero importante non trascurare la propria igiene personale.
 
- Eccomi qui! Ora possiamo giocare, zio? -
 
Seduto al refettorio, mentre consumava la colazione, Jabal lanciò un’occhiata alla nipote che per la fretta di tornare si era infilata la maglietta al contrario. Trattenne una risata a stento.
 
- Prima la colazione, un buon pasto… -
 
- Ma uffa! Quante cose sono importanti? Non basta che mi sono lavata e vestita? -
-Sia… - la corresse Jabal, ben consapevole che Zenia non lo stesse ascoltando.
 
- Ecco qui. – Skog apparse dietro la bambina e poggiò sul tavolo il vassoio che supportava un bicchiere di latte e qualche biscotto appena sfornato – Sono i biscotti fatti con l’impasto che abbiamo preparato ieri insieme. -
 
Zenia sgranò gli occhi e pervasa dall’eccitazione di poter gustare qualcosa a cui lei stessa aveva contribuito, sedette e cominciò a riempirsi la bocca di biscotti.
 
- Mastica! – La riprese Jabal, terrorizzato dall’idea che con quei bocconi tanto grandi avrebbe finito per soffocarsi. In quel momento vennero raggiunti da altri cinque affamatissimi bambini, fra cui Jack che nell’immediato si precipitò a informare l’amichetta che il papà era tornato.
 
- Woooow! È spettacoloso! E la tua mamma? – Chiese poi Zenia con apprensione, mentre Jabal avrebbe preferito che l’entusiasmo della sua vispa nipotina non si fosse esteso con quella domanda. La sera precedente, durante il tragitto per tornare al Quartier Generale, Stafford aveva raccontato loro come erano andate le cose. Lo avevano informato che sua moglie era finita nelle Colonie, quali che fossero ovviamente non lo sapeva. Jabal fu il primo a rendersi conto che sarebbe stato impossibile reperire e salvare Nikko; il mondo al di fuori il Quartier Generale era crudele e non risparmiava nessuno, anzi infieriva colpi mortali sui ribelli al regime di Nadia. Se si era fortunati e abbastanza forti, come era stato lui a suo tempo, si poteva sperare di salvarsi la vita, diversamente si sarebbe dovuta sperare una morte precoce e indolore.

 
 
 
Uno dei passatempi preferiti da Evelyn era senz’altro la partecipazione agli incontri illegali che si tenevano ai Mercati; la donna, stimata e temuta, possedeva un team in continua proliferazione di ragazzi che venivano schierati per ricavarne profitto. Gli incontri si svolgevano alla vecchia maniera e senza alcuna regolamentazione, ovvero venivano schierati due avversari che dovevano battersi senza esclusione di colpi, fin quando in piedi non ne fosse rimasto solo uno. Si trattava di scontri mortali, senza vie di mezzo e si metteva fine all’incontro solo nel momento in cui uno ammazzava l’altro; la pietà non era certo di casa in quegli ambienti e Evelyn, che di scrupoli non se ne era mai fatti nella vita, non faceva altro che reclutare dei campioni il cui unico scopo era vincere più incontri possibili senza perire.
 
Compiuti i dodici anni, Malik fu visto dalla sua padrona sotto una nuova luce; sebbene la giovane età, Evelyn si rese conto del grande potenziale del ragazzino, che stava sviluppando un fisico possente e che, con un po’ di buon allenamento, sarebbe potuto diventare presto il suo nuovo campione.
Quando si ritrovò a proporgli la questione, Malik intravide nell’immediato la possibilità di migliorare la sua condizione e quella della sorella.
 
“Accetterò di combattere per te, ma tu dovrai risparmiare Noreen; non dovrai mai più permettere che i tuoi amici si approfittino di lei, mai più. “
 
Con un sorriso diabolico a incresparle il volto, Evelyn accettò l’accordo, consapevole che il bisogno di tutelare la sorella avrebbe reso Malik una vera e propria macchina da guerra il che si traduceva, per lei, in una miniera d’oro.
 
E così fu. Più cresceva, più il potenziale fisico di Malik si espandeva, dandogli la possibilità di vincere un incontro dietro l’altro; le cicatrici delle frustate inferte da Evelyn andarono a sommarsi a quelle che si guadagnò pian piano sulle arene, ma a Malik non importava affatto, purché avesse continuato a sopravvivere e vincere, per tutelare Noreen. Diventò in poco tempo una leggenda nei Mercati: se inizialmente nessuno aveva riposto fiducia in quel ragazzino, più passava il tempo più i campioni che avrebbero dovuto scontrarsi con Malik scarseggiavano.
 
L’ennesima e fondamentale svolta nella vita del giovane babbano arrivò quando incontrò per la prima volta William Baxter; un uomo eccentrico, quel William, che aveva preso a girovagare per i Mercati e presenziare agli incontri clandestini e che da subito aveva mostrato interesse per Malik, ma in una maniera che quest’ultimo comprese essere totalmente diversa da quella di Evelyn. William faceva di tutto per avvicinarlo e chiedere informazioni su di lui, sul suo passato e su come mai si fosse ritrovato, a diciassette anni, a rischiare la propria vita sulle arene.
Con William, Malik fece anche la conoscenza di suo figlio Ryan, un ragazzo della sua stessa giovane età ma che mai aveva mostrato timore nello sguardo e che al contrario affrontava le visite ai Mercati con visibile spensieratezza.
Giorno dopo giorno il giovane Malik, che aveva cominciato a stringere con quel ragazzo e suo padre, cominciò a comprendere che i due dovevano essere dei ribelli del Regime e grazie a loro sentì accendersi una flebile fiammella di speranza.
 
Il suo riscatto arrivò presto, nel momento in cui una notte a fare irruzione durante un incontro massacrante, fu un nutrito gruppo di Ladri di bacchette capitanati proprio da William Baxter; armati fino ai denti e con forza brutale, i Ladri cominciarono a dar battaglia ai rigattieri e i mercenari fautori degli incontri illegali. Molti spettatori riuscirono a scappare prima di essere ammazzati, ma tanti altri perirono sotto i colpi letali di William e dei suoi. Malik capì in quel momento che doveva approfittarne, così afferrò la sua ascia di battaglia e cominciò a colpire senza pietà, unendosi all’attacco dei liberatori.
Evelyn stava per scappare, ma la giovane Noreen, in sua compagnia ad assistere all’incontro del fratello, la afferrò prima che riuscisse ad imboccare la via di fuga, dando la possibilità a Malik, nei cui occhi riluceva la vendetta, di sferrare il colpo con tutta la potenza che riuscì ad impiegare, riuscendo così a tagliare la testa di colei che per anni era stata la loro aguzzina.
I Ladri liberarono così i campioni e William e Ryan trascinarono Malik e Noreen lontano da quell’inferno, conducendoli infine al Quartier Generale, la loro salvifica oasi di libertà.
 
 
 
- Ziiio! Mi stai ascoltando? -
 
Jabal si sfregò gli occhi, tentando di ricacciare nel più profondo del suo intimo i ricordi che lo avevano appena assalito.
 
- Scusami pulcino, mi stavi dicendo? -
 
- Lo so che ti avevo promesso che stavamo insieme, però Jack mi ha chiesto se posso stare con lui perché il papà ha da fare questa mattina. Posso andare a giocare con lui? -
 
L’uomo sorrise alla piccola: - Vai pure, però quando sarà ora dovrete comunque fare i compiti, sono stato chiaro? –
 
- Non ho sentito niente! Ciao ciao! – Zenia corse lontana da Jabal e quest’ultimo scrollò il capo con rassegnazione. Ci pensò lui a portare nelle cucine entrambi i vassoi, ma se la svignò prima che qualcuno provasse a inglobarlo in qualche faccenda. Un po’ di sano allenamento sarebbe stato di gran lunga migliore rispetto a lavare pentole e padelle.
 
Quartier Generale
Dojo grande
 
- Attacca, ora! -
 
Chion tentava di riprendere fiato, ma né Dimma, tantomeno Yuki mostravano l’intenzione di volergli dare tregua. Specialmente Yuki si dimostrava intransigente, quando era il momento di allenarsi, motivo per il quale Chion da un lato l’apprezzava, dall’altro tremava quando c’era da mettersi sotto con l’allenamento fisico.
Dimma osservava lo scontro fra i due coprendo le veci di maestro; mani allacciate dietro la schiena, sguardo duro, occhi vigili e specialmente nessuna pietà dalle sue parole. Yuki era in posizione di guardia e fissava il suo sfidante, attenendo che fosse lui a colpire come per richiesta di Dimma. Facile per lei, pensò Chion tentando di mantenere l’equilibrio; difatti, essendo per lui un punto debole non indifferente, Dimma aveva deciso che si sarebbero dovuti allenare in bilico su una sbarra. Aveva già perso l’equilibrio cinque volte e probabilmente quella sarebbe diventata presto la sesta. Ciò nonostante Chion tentò l’attacco muovendo un precarissimo passo verso Yuki, per poi tentare di lanciarle un destro. Se non che alla ragazza bastò farsi indietro di mezzo passo per mandare il colpo di Chion a vuoto.
 
- Che cos’era quello? – Chiese Dimma, rimanendo rigida nella sua postazione.
 
- I… io volevo… oh! – Distratto dalle parole della donna in un battito di ciglia il mago era di nuovo a terra.
 
- Cavolo! Ti sei fatto male? -
 
Mentre Yuki scendeva dalla sbarra per aiutare il compagno a rialzarsi, nella sala fece il proprio ingresso Jabal, con un asciugamano intorno alle spalle lasciate scoperte dalla canotta nera che utilizzava per allenarsi. L’uomo affiancò Dimma e sorrise divertito nel guardare la scena.
 
- Cos’è, dai anche lezioni di balletto ora? -
 
La strega trattenne un sorriso e passò una mano fra i corti capelli neri: - Mi piacerebbe, ma per quello converrebbe chiedere a Vulkan, non a me. –
 
 A quel punto Jabal non riuscì a trattenere la risata e a lui si unì Yuki mentre Chion, di nuovo in piedi benché dolorante, chiese perché mai Vulkan avrebbe dovuto dare lezioni di ballo.
 
- Non lo hai mai visto ballare? – Chiese stupita Yuki, per poi sghignazzare un po’ – Non sai quante volte l’ho trovato a muovere dei passi di danza. -
 
- A dimostrazione che ognuno di noi nasconde un cuore tenero. – Si intromise Jabal. Dimma avrebbe davvero voluto ridere, ma scelse di riportare ordine nella sala: - Forza, non perdiamo la concentrazione. Voi due riprendete. Tu invece… - disse rivolgendosi a Jabal: - Ti va di combattere contro di me? -
 
- Sono qui per questo. – Rispose l’uomo, mostrando il più candido dei suoi sorrisi.
 
 
 
Dopo un’ora abbondante in cui i quattro si erano allenati duramente senza risparmiare energie, decisero che fosse giunto il momento di darsi un po’ di tregua. Jabal e Yuki sedettero sull’asta, mentre gli altri due optarono per il pavimento; Chion fu lieto di sfilare i tappi e passare alle cuffie anti rumore perché sebbene i primi fossero più pratici per allenarsi, non portavano gli stessi risultati delle cuffie, il che voleva dire che aveva dovuto sopportare quelli che per lui erano veri e propri strilli d’aquila. Ritrovata una parziale serenità, il ragazzo si decise a parlare di ciò che era successo la sera precedente.
 
- Senti Jabal, vorrei chiederti un’opinione. -
 
- Dimmi  pure, se posso ti risponderò volentieri. -
 
- In realtà vorrei confrontarmi anche con voi due, ecco. – Chion abbassò lo sguardo sulle proprie mani, allacciate sulle gambe incrociate e attese un po’, prima di decidersi a parlare.
 
- Io trovo che potremmo evitare di uccidere quando magari c’è una soluzione alternativa. -
 
Jabal inarcò un sopracciglio: - Stai parlando di come è andata ieri, di quella Sentinella uccisa da Sonne, immagino. –
 
Chion annuì con incertezza, davanti allo sguardo interrogativo di Dimma e quello comprensivo di Yuki. Fu quest’ultima a spiegare all’altra che cosa fosse successo.
 
- Dico solo che, magari… magari non tutte le Sentinelle meritano di fare quella fine; molte di loro hanno famiglia e non sanno neanche perché sono alla Corte, a servire un Regime di cui non conoscono le sfumature… -
 
Chion cominciò a grattarsi con inconsapevolezza il tatuaggio della bacchetta spezzata che riposava sul polso destro; andare con il pensiero su Saskia fu immediato, anche se ancora una volta, come spesso accadeva, il ragazzo lo tenne per sé.
 
 
I sospetti non lo abbandonavano, ma per la prima volta in tutta la sua vita Auden aveva tenuto per se la cosa, evitando di condividere i dubbi con Saskia. Con il raggiungimento dei ventuno anni di età era anche arrivato, per il due, il momento di diventare a tutti gli effetti delle Sentinelle e fu dopo aver avuto quel riconoscimento che Auden, con la scusa di voler fare visita ai vecchi tutori e magari individuare qualche futura recluta, ottenne il permesso di tornare al Welt.
Ma la sua visita aveva tutt’altro scopo; Auden era ben voluto all’orfanotrofio, specialmente da quando si era venuto a sapere che era diventato una Sentinella, così rubare le informazioni sul suo passato fu per lui un gioco da ragazzi.
Non erano molte, ma abbastanza da accrescere i suoi dubbi; ad esempio, venne a conoscenza di essere nato e aver passato il primo anno della sua vita in una Colonia nord africana. E se era vero, questo voleva dire che i suoi genitori dovevano essere persone che non andavano molto a genio alla Governatrice, d’altronde come tutti coloro che finiscono nelle Colonie.
Ma allora perché Nadia continuava a indagare, facendogli di tanto in tanto quelle strane domande?
Voleva forse dire che conosceva bene i suoi genitori?
 
Tutto ciò spinse Auden a voler approfondire le proprie ricerche, stando bene attento a tenere all’oscuro Saskia perché l’ultima cosa che avrebbe voluto sarebbe stata ferirla e rovinare il suo entusiasmo per questa loro nuova vita. Auden sentiva che più a fondo fosse andato, più marcio avrebbe scoperto e questo avrebbe voluto dire mettere a repentaglio la felicità dell’unica persona che lui poteva considerare ‘famiglia’ .
Con velocità, Auden cominciò a comprendere che il mondo idilliaco in cui credeva di trovarsi non fosse che un bell’involucro, custode di una più turpe verità fatta di violenza, soprusi e dolore.
 
Il destino volle per lui che, come per sua madre, l’incontro con i ladri, nello specifico con uno di loro durante una missione, lo aiutasse ad aprire davvero gli occhi: uno scontro impari era stato e Auden non si era dovuto sforare affatto per atterrare quel Ladro che avrebbe potuto ammazzare con un sol colpo, visto che aveva il fucile puntato alla fronte. Ma l’intenzione di Auden non era affatto quella di uccidere; si limitò, con grande stupore da parte dell’uomo, a fargli un sacco di domande riguardante i Ladri di bacchette, ma non domande su dove si nascondessero, bensì quesiti davvero anomali, per provenire da una Sentinella.
Auden gli chiese che cosa volesse dire essere un Ladro, perché si sceglieva di farne parte, quali motivazioni c’erano alla base di quella scelta di vita; quando il Ladro ebbe risposto a tutte le sue domande, il giovane mago alzò il fucile e gli disse di andare via. Non gli torse nemmeno un capello.
 
La visione di Auden stava mutando con estrema rapidità, portandolo a porsi dilemmi morali che Saskia, purtroppo, non avrebbe mai potuto comprendere per davvero. Aveva assunto la consapevolezza che tutti coloro che avevano deciso di servire il Regime per il bene del mondo, stessero prendendo un terribile abbaglio. Nadia era corrotta dal potere, che l’aveva portata a prendere decisioni orribili quali la costituzione delle Colonie, le torture, le condanne a morte, l’emarginazione di classi sociali deboli e difficilmente integrabili all’interno delle comuni, l’abolizione dell’istruzione e quella ancor più atroce dell’uso della magia, che per i maghi era naturale. Esistevano gruppi nutriti di rivoltosi pronti a vivere in bilico costante fra la vita e la morte pur di soverchiare il Regime di Nadia e Auden non era più pronto a far finta che quelli fossero solo degli anarchici insurrezionalisti, senza motivazioni se non il trascinare il mondo nel caos ingovernabile.
 
Dunque il tempo scorreva e Auden pensava, pensava, fino ad arrivare alla difficile e triste consapevolezza di non voler più rimanere alla Corte. Il suo posto era dall’altro lato della barricata, anche se questo significava spostarvici senza Saskia. Alla sua amica e sorella non avrebbe mai potuto dire che la sua intenzione era quella di scappare per unirsi ai Ladri, altrimenti sapeva che Saskia avrebbe fatto di tutto per convincerlo a rimanere, tentando di farlo ragionare, invano, su una decisione che lui aveva già preso e alla quale non avrebbe potuto rinunciare.
 
Così una notte attese che Saskia andasse a dormire e si soffermò sulla soglia della sua stanza a guardarla. Non si sarebbe mai perdonato di averle lasciato un misero biglietto, in cui le chiedeva scusa; senza un parola, senza un abbraccio.
Auden scivolò via, nel silenzio che tanto amava, senza che Saskia se ne rendesse conto. Poi affrontò il buio al di fuori della Corte, pronto a trovare la sua strada, ma con il rimorso di non averle detto nemmeno addio, guardandola nei suoi caldi occhi scuri.
 
 
 
- Chion… ciò che ho detto ieri è quello che penso e ti assicuro che il mio ragionamento non è mutato. – Jabal adottò per l’occasione un tono bonario, ma Chion scorse nei suoi occhi una consapevolezza di cui lui era privo.
 
- Purtroppo Jabal ha ragione. – Si intromise Dimma, incrociando le braccia: - Ci sono dei momenti in cui l’unica cosa che abbiamo il dovere di fare è tutelare noi stessi. Non possiamo permetterci di porci troppi dilemmi morali, perché rischieremmo di farci ammazzare, lo capisci? -
 
Ancora una volta, Chion annuì e Yuki lo osservava sentendo una gran pena smuoverla nel profondo; si decise a dire la sua tentando di essere delicata quanto più possibile: - Tanti di noi sono stati per molto tempo alla Corte; io per prima e anche Andra ha passato parecchi anni lì. Micah è il primo fra noi… lui che nella Corte ci è nato e cresciuto è sicuramente quello che ha più legami, quindi penso che se prende certe decisioni magari da certi punti di vista… drastiche, lo fa con la consapevolezza che sia la cosa migliore. –
 
Chion sgranò gli occhi e agitò le mani: - Non stavo dicendo che Sonne sbagli, non mi permetterei mai; la mia era solo una questione morale… etica. –
 
Jabal e Dimma si lanciarono uno sguardo e poi fu lui a parlare: - Guarda che su un argomento del genere non esistono giusto e sbagliato.  È normale avere  la propria opinione in merito e nessuno ti giudicherà per questo. Ti consiglierei quindi di mettere da parte il timore ed esprimere la tua opinione quando ritieni giusto farlo, magari non nel pieno di una missione… - Jabal lanciò un’occhiata e un sorrisetto a Yuki che ritrasse il collo nelle spalle e sorrise con sguardo colpevole: - Però il confronto è importante. Siamo una squadra tutti noi e non devono esserci opinioni celate che rischierebbero di incrinare le relazioni che abbiamo. Insomma, quello che voglio dire è… -
 
Dimma interruppe bruscamente Jabal: - Ciò che intende il nostro caro Jabal, maestro dei giri di parole a quanto vedo, è che se pensi di dover dire la tua a Micah o a chicchessia fallo e basta. –
 
A quel punto Chion accennò un sorriso tiepido. Nonostante non erano passati molti anni da quando si era unito al gruppo dei Ladri di Bacchette, poteva sostenere senza dubbi di sorta che essere liberi di esprimersi non sarebbe mai stato un problema. Certo, difficilmente lui lo avrebbe fatto, perché la sua stessa natura glielo impediva, ma con il tempo, forse, sarebbe potuto migliorare un pochino.
Si alzarono e si avviarono verso l’uscita del dojo. Prima di dividersi, Yuki si affiancò a Chion che rallentò appena il passo quando comprese che la ragazza volesse dirgli qualcosa.
 
- Penso di aver capito che cosa ti affligge, ma non voglio insistere; voglio solo che tu sappia che devi poterti sentire libero di parlare con me. In qualsiasi momento e… per qualsiasi cosa. Se vuoi sfogarti non farti problemi, va bene? -
 
- Grazie Yuki, lo apprezzo molto, come ho apprezzato che tu ieri abbia detto ciò che hai detto. -
 
La ragazza accennò una risata misurata: - E che scema che sono stata! – esclamò, prima di correre verso i bagni, intenzionata a gettarsi sotto la doccia quanto prima: non sia mai che qualche germe le rimanesse attaccato addosso.
 
 
30 Marzo
La Corte
 
Di tregue, Artemisia, non se ne era concesse nell’arco di tutta la giornata. Sebbene fosse stata dispensata dal lavorare si era comunque svegliata all’alba -con gran disappunto di Atlas che non aveva alcuna voglia di fare una passeggiata a quell’ora infame- si era messa a cucinare dolci come una forsennata, aveva accolto Lir che aveva ingozzato con enorme gioia di lui, poi si era dedicata al giardinaggio e, di nuovo, dolci su dolci.
Aveva, sempre a suo modo, imprecato contro quello scorbutico di Jude, che la sera prima l’aveva trattata come l’ultima delle nullità, mentre Atlas la guardava perplesso e si era guardato bene da richiedere più attenzioni del necessario.
Era giunto così il pomeriggio senza che Artemisia se ne accorgesse, tanto era carica per la rabbia. Così, quando sentì suonare il campanello (fortunatamente viveva in una zona in cui la corrente non era mancata), si chiese chi altro potesse essere. Si affrettò ad andare alla porta puntando su Lir, che evidentemente era venuto a riscuotere il secondo giro di leccornie.
 
- Vieni dentro, - Si anticipò mentre apriva la porta con una mano e agitava il mattarello nell’altra; lo sgomento si impadronì presto di lei quando al di là della porta non trovò Lir, bensì la figura elegante e composta di Jude, che la ispezionò con un sopracciglio inarcato.
 
- Grazie ma non sono venuto per farti visita. Piuttosto volevo dirti di preparati, se non hai di meglio da fare. -
 
- Ma… ma tu, ma io… cosa ci… -
 
Nel frattempo Jude estrasse una sigaretta dal pacchetto e la portò alla bocca: - Ti aspetto qui se non è un problema, così avrai modo di toglierti la farina dai capelli. –
 
Artemisia si paralizzò; avrebbe voluto minacciarlo col mattarello, urlargli che non era affatto carino presentarsi a casa sua e darle ordini dopo quanto successo la sera prima, ma l’unica cosa che riuscì a fare fu balbettare qualcosa di sconclusionato e correre al bagno per darsi una sistemata, il tutto sotto lo sguardo sempre più perplesso di Atlas.
 
 
 
- Mi piacerebbe sapere dove stiamo andando, se non è di troppo disturbo. -
 
La berlina guidata da Jude sfrecciava di gran carriera sulle strade della Corte; il mago si limitò a lanciarle uno sguardo in tralice, prima di tornare a fissare la strada: - Avevi forse altro da fare, oltre che cucinare? –
 
- Questo non dovrebbe interessarti. – Rispose lei alzando il naso e incrociando le braccia, in un vago tentativo di mostrarsi sostenuta; Jude accennò un sorriso sghembo ma non aggiunse altro, limitandosi invece a condurre Artemisia verso una meta a lei sconosciuta.
Quando l’automobile si arrestò, il sole era in procinto di lasciare il posto alla notte; fortunatamente l’elettricità doveva essere stata ripristinata, visto e considerato che il vialetto di sosta e il negozio a bordo strada erano ben illuminati. Negozio che Artemisia conosceva assai bene.
 
- Il mondo di Penny(1)… - recitò Artemisia in un sussurro, mentre scendeva dall’automobile, poi si voltò verso Jude: - Mi spieghi cosa ci siamo venuti a fare? -
 
Ancora una volta Jude non rispose, invece allargò il braccio in un gesto galante, chiedendole di precederlo all’interno del negozio. Erano state molte le volte in cui Artemisia aveva messo piede lì dentro, ma altrettante quelle in cui ne era uscita a mani vuote. Penny era la sarta più rinomata della Corte, una stilista unica, che dettava le ultime tendenze in fatto di moda; e Artemisia era di certo molto sensibile ai bei vestiti: amava indossare capi eleganti, scomode ma raffinate scarpe col tacco e gioielli delicati. Il problema però era non solo che le occasioni per vestirsi con capi tanto belli fossero davvero poche, per una Sentinella come lei, ma specialmente che non aveva mai abbastanza soldi per poterseli permettere. La Governatrice si era sempre espressa a riguardo: quelli erano da considerarsi beni di lusso in un mondo come quello, di conseguenza per poterseli permettere si doveva spendere un patrimonio, o barattare oggetti di estremo valore. Artemisia non aveva né uno né l’altro, purtroppo.
La ragazza venne accolta da lady Penny, l’eccentrica sarta, con un gran sorriso:
 
- Bene arrivati! Jude… mio caro, mi hai fatto un piacere immenso, avvisandomi della vostra visita! -
 
Artemisia si guardò intorno stupefatta ed eccitata e i suoi occhi blu brillavano, alle luci calde dell’atelier. Schiuse la bocca con stupore un paio di volte, prima di voltarsi verso Jude e lady Penny; quest’ultima non fece altro che farcirla di complimenti.
 
- Una bellezza come la tua è cosa rara, dolcezza! – Jude non poté che assentire, mentre guardava Artemisia non riuscendo a trattenere un sorriso soddisfatto.
 
- Vi ringrazio ma… Jude, puoi spiegarmi qualcosa? -
 
Il mago infilò le mani nelle tasche e mosse qualche passo nella sua direzione, così si inclinò un po’ per parlarle con confidenza: - Ho chiesto a lady Penny di seguirti e acconsentire ad ogni tuo desiderio. Sei libera di scegliere quello che più ti aggrada dal negozio, o se preferisci lady Penny sarà ben lieta di cucire per te ciò che vorrai. –
 
Artemisia stentò a crederci. Le sembrava di trovarsi nel pieno di uno dei suoi più bei sogni; d’altronde in un mondo come quello lì, potersi permettere dei bei vestiti era qualcosa di straordinario. Lo guardò non riuscendo ancora a capacitarsi di quanto stesse succedendo.
 
- Ma… perché? – Riuscì a chiedergli poi, così Jude prima di rispondere, chiese a lady Penny, rimasta fino a quel momento con le orecchie bene aperte pronta a trasformare quella visita nel pettegolezzo più succoso dell’anno, un po’ di privacy.
 
- Ma certo mio caro! Vado a controllare come se la stanno cavando i miei ragazzi… non vorrei che l’abito nuziale della giovane Romy venga rovinato! Chiamami pure quando avrai bisogno di me. -
 
Appena Lady Penny si fu allontanata, Jude tornò a dedicare attenzioni ad Artemisia, pronto a rispondere alla sua domanda.
 
- Penso di essere stato eccessivo nei tuoi confronti, ieri sera. Ho pensato che questo fosse un buon modo per porre rimedio; francamente penso che non sia giusto che questi bei vestiti rimangano a prendere polvere e tu meriti di appropriartene. -
 
Avrebbe dovuto sentirsi lusingata, o almeno qualsiasi ragazza al suo posto si sarebbe sentita così. Jude Millan, il nipote della Governatrice del mondo, le stava per fare un regalo enorme.
Eppure Artemisia sentì la rabbia montare; si sentì stupida per essersi eccitata alla sola idea di poter mettere le mani su uno di quei vestiti favolosi.
Raccolse le forze nel mentre che il sorriso si spegneva sul volto, così puntò gli occhi blu in quelli più tenui di lui e parlò senza risparmiarsi nulla.
 
- Mi stai prendendo in giro? Non è questo il modo di comportarsi, Jude. -
 
Jude aggrottò le sopracciglia e fu subito pronto a ribattere, ma Artemisia alzò una mano che ebbe la capacità di zittirlo: - Non è il modo di riparare agli errori. Non puoi pensare che i sentimenti delle persone che ti circondano possano essere comprati. Che razza di persona pensi che io sia, me lo spieghi? –
 
Il mago si schiarì la voce e poi accennò una risposta: - Comprarti? Non era questo il mio scopo, io volevo solo… -
 
- Qualsiasi cosa tu volessi fare, hai sbagliato. Non credere che io non capisca la responsabilità di cui ti fai carico ogni singolo giorno… e so che può succedere di perdere le staffe; ma lasciati dire che se proprio avessi voluto farti perdonare, sarebbe bastato chiedermi scusa, magari invitandomi a bere un caffè. Ma questo no… questo non fa altro che sottolineare quanto ti ritieni migliore di tutti noi. Il ben volere non si compra, mio caro Jude, si conquista. -
 
- Artemisia, hai frainteso… -
 
Jude tentò di allungare una mano verso di lei, ma Artemisia si tirò indietro: - Non credo proprio di aver frainteso; ti ringrazio davvero per il pensiero, ma non mi sento di accettare questo… regalo. Il motivo te l’ho spiegato, ora sta a te fare in modo di comprendere o meno le mie motivazioni. Buona serata Jude. –
 
Mentre usciva dall’atelier, lasciando Jude sgomento a fissarla, incapace di fare altro, Artemisia percepì con distinzione due emozioni scontrarsi dentro di sé: da un lato la tristezza per aver trattato male Jude premeva per farle fare dietrofront e scusarsi con lui, dall’altro però la felicità incommensurabile di sapere di essersi fatta valere. Se davvero ci teneva a scusarsi con lei, Jude avrebbe dovuto trovare un modo più appropriato; lei di certo non avrebbe ceduto, nossignore.
 
*

 
Grazie a William, che aveva preso molto a cuore Malik e Noreen, i fratelli entrarono a tutti gli effetti a far parte dei Ladri di bacchette. L’uomo li aveva praticamente adottati, donando loro affetto e insegnandoli a leggere e a scrivere; il Quartier Generale, insomma, aveva accolto i due sfortunati nella loro famiglia, fornendogli una possibilità di riscatto che non avrebbero mai  sperato di avere.
Ryan e Malik divennero inseparabili e il primo, che fin dal primo sguardo posato su Noreen aveva perso la testa per la ragazza, aveva iniziato il suo corteggiamento. La giovane però era traumatizzata da quanto la vita le aveva riserbato; la bambina solare, allegra e sempre positiva aveva lasciato il posto a una ragazza prevalentemente diffidente, ma la vicinanza di Ryan, estremamente accorto e delicato nei suoi confronti, aveva iniziato ad ammorbidirla, anche se la sua scorza dura non era così semplice da scalfire.
Noreen cominciò a farsi assegnare missioni su missioni, mentre Malik preferì evitarne; tanto giovane, ma già stanco di lottare, aveva preferito concentrarsi sul Quartier Generale, ammaliato dall’affascinante figura di Herb Collins, l’ingegnere che aveva tirato su il luogo che aveva accolto così tanti Ladri di bacchette.
 
La conoscenza con Herb fu formativa per Malik, il quale trovò nell’uomo un esempio da seguire e un vero e proprio mentore; Herb era intransigente, scontroso e acido, ma munito di un acume invidiabile e una caparbietà unica. Non stupì Malik apprendere che era stato il capo ingegnere della Corte per molto tempo, fin quando non decise di togliere le tende nel momento in cui la Governatrice gli aveva affidato il compito di progettare la magione di contenimento. Fortemente contrario a una simile mostruosità, Herb si dette alla fuga con sua moglie; una fuga che a causa di una forte esplosione, costò all’uomo un occhio, deficit motorie e vuoti di memoria evidenti; eppure tutto questo non aveva arrestato la forza vitale di Herb, che capì subito che Malik sarebbe diventato il suo allievo migliore.
 
Intanto che Malik studiava duramente al fianco di Herb, Ryan e Noreen si avvicinarono molto, fino a scambiarsi amore reciproco, sposarsi e dare alla luce una bellissima bimba che chiamarono Zenia, la grande gioia dello zio Malik. Ormai diventato un uomo, Malik era riuscito a lasciarsi alle spalle il suo drammatico passato, anche se le cicatrici sulla schiena unite a quelle sparse nel resto del corpo fungevano da memento; vivere in quel mondo richiedeva un prezzo da pagare e non bastò versare una prima quota salata, per sperare di sfuggire ai dolori della vita.
 
Gli amari traumi non erano finiti per Malik e con fatalità si realizzò il suo incubo maggiore. Noreen e Ryan persero la vita da eroi, vittime di un’imboscata organizzata da alcune Sentinelle per sgominare il Quartier Generale; fu grazie al loro e al sacrificio di altri Ladri, che il corpo armato di Nadia non riuscì a scoprire dove si trovassero gli ingressi del loro covo, ma quando la notizia arrivò a Malik, l’uomo crollò nella disperazione. Affogò nei sensi di colpa per non aver partecipato a quella missione, convinto che forse con la sua presenza avrebbe potuto cambiare il destino e salvare sua sorella e il suo migliore amico.
L’unico fattore che fece in modo di non farlo crollare, fu la presenza della piccola Zenia che aveva un solo anno e che aveva bisogno che qualcuno si occupasse di lei; per questo Malik si rimboccò le maniche, accogliendo la piccina come fosse una figlia per amore di sua sorella.
 
L’ultimo pezzo della sua famiglia a lasciarlo, fu infine William; fu per colpa di una complicazione polmonare dovuta a una forte influenza che aveva attaccato il Quartier Generale, che William esalò l’ultimo respiro.
 
“ Abbandonarti mi addolora. “ Sussurrò William, stringendo le mani di Malik “Tu che per me sei come un figlio sei di nuovo da solo. Perdonami se non potrò aiutarti con Zenia.”
 
E prima di chiudere per sempre gli occhi, William confidò a Malik di essere fiero di lui e consapevole che con lui il Quartier Generale sarebbe stato in buone mani. Malik dovette crederci per forza, a queste parole d’addio; i Ladri di bacchette erano la sua famiglia, la prima che avesse avuto dopo la precoce perdita dei suoi genitori e quella di Noreen. Avrebbe fatto ogni cosa in suo potere, per salvaguardarli e lottare per vincere la guerra contro la Governatrice.
 
 
*
30 Marzo
Quartier Generale
 
Ame, Oleander e Mångata erano chine intorno a una grande mappa, una delle tante che Leaf aveva disegnato per il Quartier Generale. Ame aveva dei grandi cerchi rossi a contornarle gli occhi, segno che non avesse chiuso occhio tutta notte.
 
- Oggi ti saresti dovuta riposare. – La riprese Mångata, sinceramente preoccupata da quando le avevano raccontato della litigata avuta con Leaf la notte precedente; era impossibile tenere qualcosa di nascosto in quel posto. Ame fece spallucce continuando a puntare gli occhi sulla mappa.
 
- Ho sentito che anche Sonne e Vulkan hanno avuto una discussione- disse Oleander – Cioè, più che una discussione, Sonne se l’è presa per la rinomata indelicatezza di Vulkan. – Aggiunse poi. Nel sentire quelle parole, Ame tirò subito su la testa: - Davvero? Che tipo di discussione? -
 
- Pare che Vulkan lo abbia messo in discussione, di nuovo. Non capisco perché se la sia presa infatti, ormai è risaputo che Vulkan non si fidi molto di lui. - Mångata si allungò per tracciare un percorso leggero sulla mappa. –Mmm… meglio non passare di qui, di questi tempi la zona ovest è un manipolo di Sentinelle. -
 
- Infatti mi pare strano… Micah e la sua faccia da culo non rispondono alle provocazioni. – Ame aggrottò le sopracciglia – Insomma, non si lascia mica scalfire; e poi è passato da un pezzo il tempo in cui veniva additato per essere il nipote della vecchia pazza! -
 
Mångata rispose con assoluta tranquillità, neanche stesse parlando di cosa aveva mangiato a colazione- Beh, credo che c’entri il fatto che ha incontrato il cugino. -
 
- Cosa?!- Gridò Ame strabuzzando gli occhi.
 
- Ha incontrato Jude?!- Replicò Oleander, tanto sconvolta quanto l’amica bionda. Mångata le guardò come se fossero entrambe impazzite, poi si rese conto che forse non era stato appropriato dire solamente che avesse incontrato il cugino.
 
- Ok calmatevi. Non lo ha davvero incontrato, cioè lui non sapeva mica che Sonne fosse lì. – Lo sguardo della più giovane saltò dall’una all’altra, rimaste in attesa di spiegazioni maggiori: - Nel senso: Sonne e Vulkan erano nascosti, così pare… e hanno visto da lontano Jude che stava per mandare all’aria il piano di recupero di Ice. Sonne sarebbe dovuto intervenire, ma fortunatamente io e Jabal abbiamo salvato la situazione. – La strega dai lunghi capelli scuri sorrise furbetta e alzò indice e medio in segno di vittoria. Così Oleander e Ame tirarono un grande sospiro di sollievo, mentre Mångata le guardava basita: - Ma vi pare che se si fossero davvero incontrati quei due, non lo sareste venute a sapere prima di subito? Se e quando avverrà quell’incontro, sappiamo tutti che sarà uno scontro epico! -
 
- Su questo non c’è dubbio, ma la prossima volta magari evita di farci prendere un colpo con queste false notizie! Ora torniamo al percorso…- Oleander chinò di nuovo la testa sulla mappa - dobbiamo raggiungere i mercati di questa zona. Abbiamo una lista infinita di cose da comprare e dobbiamo cominciare a tentare di reperire qualche ingrediente per la polisucco, sempre che esistano ancora nel mondo. -
 
Ame batté le mani con entusiasmo; quando si trattava di andare a infilarsi in qualche mercato illegale, la ragazza ritrovava d’improvviso la vitalità: - Niente paura! Sono certa che il mio grande amico Scuttle saprà rimediarci tutto ciò che ci occorre! –
 
- Emh… tesoro… - fece Mångata, che conosceva bene Ame e sapeva con quanta facilità si facesse fregare: - Fossi in te la smetterei di andar dietro a quel tipo; va sempre a finire che ti rifila delle paccottiglie spacciandole per roba rarissima! -
 
- Dici così solo perché l’ultima volta ti sei accattata dello sterco di emù al posto di una maschera per il viso. -
 
Mentre Mångata, punta nel vivo, aveva cominciato ad elencare le incredibili proprietà dello sterco di emù, Oleander sbuffò, per poi tornare sulla mappa che stavano analizzando e Ame, chinandosi un po’ per raggiungere la sua altezza, prese a fissare il suo profilo con insistenza: - Che ti succede paperina? –
 
- Questa che ha segnato Sophie è la zona in cui sono stati beccati Stafford e Juliette… dobbiamo evitarla con attenzione, ma questo allungherà di non poco il nostro percorso. – Poi borbottando un po’, aggiunse che avrebbe preferito andare a recuperare Juliette. Le altre due si lanciarono un’occhiata.
 
- Juliette manca a tutti noi, - disse Mångata con tono serio, - E spero davvero che sia ancora viva, ma non abbiamo idea di quale sia la Colonia in cui è stata mandata e… -
 
Si interruppe un momento, così fu Ame a dare fiato al pensiero delicato della più giovane: - Quello che vuole dire è che sarà impossibile ritrovarla. Dobbiamo essere contenti di aver salvato Stafford, questo è quanto. –
 
Oleander si rabbuiò: - Lo so, ma se avessi potuto scegliere non avrei avuto dubbi a riguardo. Non mi sono mai fidata di Stafford, mentre Juliette… lei è una grande amica. –
 
- Anche Stafford merita il suo posto qui, se l’è guadagnato e Juliette ha sempre riposto grande fiducia in lui. – Mångata tentò di prendere le parti dell’uomo, ottenendo come risultato un’alzata di occhi di Oleander: - Parli così solo perché è da quando sei una ragazzina che sei circondata da persone che si vogliono bene e che hanno sempre lottato per la sopravvivenza dell’altro. Avessi avuto la sfortuna di entrare a contatto con certi soggetti di mia conoscenza, la penseresti diversamente. -
 
Nel sentire quell’affermazione, Ame deglutì sonoramente; sapeva bene a chi si stesse riferendo Claudia, visto che parlavano di una loro conoscenza comune. Decise quindi di cambiare ben presto argomento, intenzionata a non aprire una diatriba con l’amica sulla dubbia morale del soggetto in questione; Oleander era piccina, ma in grado di ridurre a brandelli chiunque con sforzo irrisorio.
 
- Va bene signore, direi di tornare a concentrarsi su cose davvero importanti, no? Diamoci da fare, così fra qualche giorno potremmo essere sulla strada per i Mercati. – La biondina strinse le mani in grembo assumendo una posa bambinesca e regalò alle altre il suo sorriso più dolce: - Non lo trovate perfettamente splendido?-
 
30 Marzo
9:30 PM – La Corte
 
Ancora fuori di sé dalla rabbia, Ajax aveva passato la giornata a darsi da fare; nonostante non fosse stato accusato da nessuno per la fuga del prigioniero, comunque lui non si era dato pace e intenzionato a dimostrare a Jude e la Governatrice di essere ancora una brava Sentinella, aveva lavorato senza sosta arrivando a saltare il pranzo.
Si era fatto fregare. Proprio lui si era fatto fregare! Come era stato possibile, continuò a chiederselo ma purtroppo non riuscì a trovare una risposta al suo dilemma.
Dopo essere stato ripreso dai suoi colleghi di guardia, aveva finalmente deciso di fare ritorno a casa; un uomo stanco e con lo stomaco vuoto non sarebbe stato molto utile, perciò a malincuore Ajax decise che sarebbe stato meglio ritirarsi per quel giorno.
 
- E quella Izzie… - ricominciò a borbottare fra sé, mentre mescolava con vigore la minestra di legumi che aveva preparato con meticolosa attenzione: - Prima si fa sostituire da un impostore, poi si lascia abbindolare dal potere del capo! -
 
La rabbia nei confronti della povera Izzie era totalmente irrazionale, Ajax lo sapeva bene, ma con qualcuno avrebbe pur dovuto prendersela.
Una scampanellata vigorosa alla porta lo fece sobbalzare; chi mai poteva essere a quell’ora tarda? Quando aprì la porta, la prima reazione che ebbe fu quella di strabuzzare gli occhi, per poi ritrovare la sua solita compostezza e rivolgersi con disinvoltura alla graziosa ragazza dai capelli rossi e il sorriso candido: - Salve, ha bisogno di qualcosa, signorina? –
 
La ragazza lo guardava mentre intrecciava l’indice intorno a una ciocca di capelli: - Sei Ajax Willow, per caso? –
 
- Corrisponde al mio nome, si. E lei sarebbe…? -
 
La bella fanciulla gli porse una lettera sulla quale c’era scritto il suo nome: - Mi hanno chiesto di consegnarti questa. Ora devo proprio andare, ci vediamo la prossima settimana! –
 
E così come era apparsa, la ragazza scomparve. Ajax rigirò la lettera fra le mani con sguardo interrogativo; una volta recuperato il suo fedele tagliacarte, estrasse il biglietto che lesse ad alta voce.
 
- Party Hard in the air… Sei invitato alla festa che si terrà il giorno sette aprile nell’atelier di Ryurik Volkov. È vietato presentarsi con abiti da lavoro… porta da bere. Smack smack. -
 
Ajax rimase per qualche secondo immobile.
 
- Smack smack… - ripeté. Infine alzò braccia e occhi al cielo e lanciò via l’invito: - Quello è tutto matto! – concluse, prima di tornare alla sua minestra di legumi.

 

 
 
(1) Questo è un omaggio a Signorina Granger e la favolosa Penelope Cavendish, regina assoluta della sua interattiva ormai conclusa “War of the Roses”. Perché diciamocelo, Penny sta bene davvero ovunque.
 
 
Buon pomeriggio a tutti! Come procede la vita in zona rossa?
Come al solito la vostra Bri è pronta per una modesta ramanzina. Per questo capitolo sono letteralmente impazzita con le votazioni; nonostante abbia chiesto la cortesia di ricevere i voti in tempi celeri, molti sono arrivati in questi ultimi giorni, stravolgendo i miei piani. Ho deciso quindi di non prenderli in considerazione, altrimenti avrei dovuto trattare Ryurik al posto di Malik, Per questo motivo vi dico che dalla prossima volta prenderò in considerazione solo e soltanto i voti che mi arriveranno entro la prima settimana anche perché, siamo onesti, mandarmi due nomi credo vi tolga esattamente un minuto del vostro tempo.
A questo punto, dato che se la sono battuta alla grande, non vi chiedo di votare per il prossimo capitolo; vi avviso già che saranno Izzie e Ryurik i grandi protagonisti del capitolo VII.
Per il resto vi ringrazio per le recensioni! Non sono riuscita a mantenere la promessa, così adesso volo a rispondere a tutti. Abbraccetti virtuali per ognuno di voi!

 
 

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Capitolo 9
*** Musica Leggerissima ***


CAPITOLO VII
Musica Leggerissima

7 Aprile
La Corte
 
- Più verso di destra, attenta a quella lì, è di mia arte che si tratta. -
 
Gli occhi chiari ispezionavano l’ambiente che lo circondava, mentre un via vai di giovani uomini e donne che abitavano la Corte, si muovevano nel suo atelier sistemando tavoli pronti ad essere imbanditi e l’impianto stereo con tanto di console da dj.
Ryurik si sistemò sulla poltrona, portando la sinistra alla cute e lamentandosi con la bella ragazza che stava appuntando dei grandi fiori candidi nella sua lunga chioma di pece.
 
- Più piano, non è una pista di macchine da scontro, è la mia testa. -
 
- Oh, scusami Ryurik! – Cinguettò melodiosa; Ryurik abbozzò un sorriso e toccò con distrazione il collare che gli cingeva il collo, grato per quell’involontario dono fatto da Etienne; il mago aveva subìto – e con ogni probabilità avrebbe continuato a farlo-  le particolari attenzioni che il consorte di Nadia gli dedicava, trovando in lui un grande tesoro, visto e considerato l’effetto positivo che ne scaturiva con la vicinanza ad Alida. Quest’ultima, Ryurik lo aveva intuito fin dal primo momento, era fondamentale per la Governatrice e aver trovato il modo di alleviare il suo dolore durante le visioni era stata una grande conquista. L’unico motivo per cui Ryurik non si era ancora apertamente lamentato con la coppia, non era di certo dovuto alla paura di una loro reazione esagerata, tantomeno per un’indole pavida che di certo non possedeva.
Era quel collare, che motivava Ryurik ogni singolo giorno e che lo portava a subire il trovarsi, di tanto in tanto, nello spiacevole ruolo di “risucchio” della negatività di Alida. Aveva presto compreso che valesse la pena provare un giorno di sofferenza, per settimane di pura gioia scaturita dalla possibilità di non essere costretto a sentire i sentimenti altrui.
Non sarebbe stato di certo a cavillare su una cosuccia del genere, quindi; la Corte era un luogo meraviglioso, un paese di marzapane e zucchero filato, messa a confronto con la Comune governata da sua madre e quindi se lo scotto da pagare era quello, Ryurik non si sarebbe tirato indietro.
Tutto, pur di assopire quanto più possibile il suo potere, che lo accompagnava dalla nascita.

 
 
Feona Volkov era una delle più grandi sostenitrici di Nadia; l’enorme stima che la strega provava per la Governatrice suprema, aveva fatto sì che fra le due si fosse venuto a creare un saldo legame di amicizia, al punto da spingere Nadia a proporre alla stessa Feona l’assunzione della pozione, creata da suo marito, per rallentare l’invecchiamento. Feona aveva inizialmente acconsentito e per alcuni anni, non più di una ventina, lei e suo marito Ioann avevano fatto uso del miracoloso rimedio contro l’invecchiamento, fin quando all’età di cinquantasei anni non aveva dato alla luce Ryurik, dopo anni passati a tentare l’ardua impresa. Il mondo in cui vivevano non era affatto clemente con la razza umana; era difficile mettere al mondo dei figli a seguito delle penose battaglie che avevano coinvolto la forza nucleare e sicuramente la pozione di Etienne aveva aiutato la coppia, che altrimenti avrebbe rinunciato ad avere degli eredi molti anni prima. Apparentemente Ryurik era un bambino come tutti gli altri, in quanto la magia presente nella linea materna non si era mai manifestata; Feona cominciò a sospettare qualcosa quando il piccolo, alquanto precoce nel linguaggio, aveva cominciato a lamentarsi di sentire molte cose.
Il mistero venne svelato nel momento in cui Isey venne al mondo tre anni dopo; Ryurik si mostrò fin da subito estremamente curioso nei confronti del fratellino, sebbene quello non facesse altro che rigirarsi nella sua culletta, piangere, mangiare e dormire.
 
“Sento che ha male.” Disse un giorno alla madre, che stava tentando di calmare il pianto irrefrenabile di Isey; Feona si stupì, perché sapeva quanto bene parlasse il suo primogenito nonostante la giovanissima età.
 
“Vuoi dire che ‘credi’ stia soffrendo?” Gli chiese intanto che cullava Isey; il neonato rifiutava la poppata e la sua isteria aumentava di minuto in minuto. Ryurik però sgranò gli occhi e scosse il capo con veemenza, a rafforzare ciò che voleva intendere “Ma no, mamma! Lui ha proprio dolore, io lo sento, lo capisco… “ Cominciò quindi a sfregare la pancia con la manina “Ha dolore qui, gli fa male la pancia più del solito; lo puoi aiutare?”
 
Lì per lì Feona non si soffermò a interrogarsi su cosa e come avesse intuito Ryurik, ma percepì di fidarsi ciecamente di lui; Ryurik si era legato al fratellino fin dal giorno in cui era nato e ciò che aveva letto nei suoi occhi verdi non era che preoccupazione allarmante.
Non fosse stato per Ryurik, probabilmente non avrebbero potuto  fare nulla per salvare la vita di Isey. Feona e Ioann avrebbero continuato a scambiare i lamenti del secondo genito come conseguenze di banali coliche e si sarebbero accorti troppo tardi dell’infezione all’appendice, estremamente rara nei bambini di pochi mesi come Isey.
Fu così che i genitori cominciarono a farsi delle domande su Ryurik; sembrava che il piccolo avesse capito chiaramente che forma di dolore avesse provato il fratello, come se lui stesso provasse la stessa cosa. E più il tempo passava, più Ryurik esprimeva felicità e disagio a tratti nei confronti di quella sua sensibilità emotiva che spesso e volentieri gli toglieva il sonno. Talvolta era piacevole, per lui, percepire i sentimenti degli altri, specialmente se si trattava dei bambini che condividevano con lui le ore del gioco. Eppure quando aveva a che fare con gli adulti, Ryurik si lamentava di non voler avere a che fare con loro.
Un giorno, approfittando della primavera che stava trascinando via la neve , Ioann si allontanò dal centro della comune col figlio maggiore in modo da farlo distrarre un po’; fu in quel contesto, mentre calpestavano il terreno di una radura assolata, che Ryurik si confidò con lui.
 
“ Voi grandi provate cose troppo brutte, papà. È per questo che non mi piace stare con voi, perché io sento tutto, sento troppo. Non credo sia giusto; la mamma dice che sono troppo piccolo per capirvi e non  vuole spiegarmi certe cose. Ma io capisco, sai?”
 
Ioann tentò di limitare la spiacevole sensazione di disagio e dolore che provò nel vedere suo figlio di appena sei anni parlare in quel modo; Ryurik soffriva moltissimo e nonostante il padre fosse consapevole che quello era un mondo crudele e che tutti avrebbero dovuto abituarsi il prima possibile a provare dolore, pensò comunque che fosse troppo presto per suo figlio, che assumeva il suo identico cipiglio triste quando si faceva pensieroso.
Doveva trovare una soluzione per lui, un qualcosa che avrebbe alleviato il suo dolore.
 
 
- Che ne dici? – La ragazza passò uno specchio a Ryurik, che osservò la sua immagine riflessa nello specchio con media soddisfazione.
 
- Può andare bene. – Annuì infine, tornando a rilassarsi sulla poltrona nella speranza di scacciare via i fastidiosi ricordi legati alla sua infanzia.
 
7 Aprile
Quartier Generale
 
- Sssshh… fai piano! -
 
- Io sto facendo piano, sei te che ti muovi come un elefante! -
 
- Buone, voi due! Rischiate di svegliarlo, così! -
 
- Certo è che se continuate a parlare, si sveglierà di sicuro… -
 
Un fastidioso ronzio permeò nella mente assopita di Micah, che in quel momento stava passeggiando, o meglio correva, su uno dei prati fioriti della Corte mentre, in un misto di risate, con gli occhi vagava sugli alti alberi alla ricerca di qualcuno. Sarebbe stato bello proseguire con quel sogno, ma il ronzio inizialmente attutito, cominciava a farsi più forte.
Micah tentò di ignorare il frastuono; poi d’improvviso, sentì toccarsi alle spalle: girò su se stesso con consapevolezza ed esposte lo spazio fra gli incisivi, quando incontrò quello sguardo blu, circondato dai capelli chiari come la pallida luna. Sorrise a sua volta, quel visetto grazioso e Micah sentì esplodergli la felicità in petto; quel tanto girovagare aveva trovato il suo limite nel sorriso morbido dell’amica.
 
“Cucciolino… svegliati.”
 
Micah fece d’istinto un passo indietro e inarcò un sopracciglio: non si aspettava di certo che dalle sue labbra uscisse una voce tanto profonda e testosteronica.
 
“Scusa… puoi ripetere? “ Chiese poi tentando di esprimere maldestramente una certa disinvoltura. La giovane avvicinò le mani al suo volto e con estrema delicatezza lo avvicinò di nuovo. Micah si lasciò trascinare, arrivando ad inclinarsi non di poco per raggiungere il viso di lei, la quale puntò gli occhi nei suoi.
 
“Svegliati!”
 
Sonne aprì gli occhi di botto e il viso sorridente di Jabal che trovò a pochi centimetri dal suo, lo fece urlare di brutto.
 
- AAAAAHHHH!- Urlò, per l’appunto, mentre con le mani spinse via la faccia dell’amico; nel frattempo rischiò di rimetterci l’udito, quando la voce squillante di Ame esplose nel suo orecchio destro gridandogli “Buon compleanno!”, in contemporanea a quella di Yuki, che trillò in quello sinistro.
 
- State cercando… state cercando di ammazzarmi?! – Il ragazzo con uno slancio di spirito d’autoconservazione aveva afferrato il cuscino e lo aveva premuto intorno alla testa; adesso aveva ben chiaro come dovesse sentirsi Auden ogni secondo della propria vita.
 
- Che barboso che sei. – Ame gli strappò via il cuscino con un colpo secco  prima di gettarsi a peso morto su di lui, cingergli il collo con le braccia e cominciare a cospargergli la faccia di baci. Ovviamente tenendosi ben distante dalla sua bocca.
Nel frattempo che Sonne tentava di divincolarsi dalle attenzioni fisiche dell’amica – Ame sapeva molto bene che non apprezzasse affatto tutto quel contatto fisico- Yuki aveva ben pensato di infilargli in testa un cappellino a punta, fatto di cartone colorato.
 
- E non è tutto, caro mio. – Dopodiché Yuki fischiò neanche fosse la pastorella descritta da Cavalcanti: un terremoto scosse il dormitorio con vigore, anticipando l’orda dei bambini urlanti del Quartier Generale. I bambini corsero intorno al letto del povero sventurato, quand’ecco che Jabal dette loro il via e quelli presero a cantare, a squarciagola, la canzone di buon compleanno più stonata che orecchie avessero mai udito.
Certo era che passare dalla compagnia di Alida a quello, avrebbe creato un grande trauma, nel neo trentunenne Micah Millan.
 
*
 

La stanza era immersa nel buio, non fosse stato per una lucina calda che fuoriusciva da una tenda improvvisata sul suo letto a ponte. All’interno del magico mondo, la piccola Izzie era immersa in una delle sue proibitissime letture preferite; i suoi genitori non volevano che leggesse di storia e di guerre, considerando che avesse solo otto anni, ma Izzie proprio non poteva rinunciare a quella che, sicuramente, sarebbe diventata la sua materia preferita. Tutto ciò che narrava di fatti accaduti, per la bambina era un continuo motivo di stupore e delizia e ad ogni nozione assimilata la sua curiosità accresceva famelica, esigendo di nutrirsi ancora e ancora. Certo, sarebbe stato molto meglio se quelle domande che si sommavano nella testolina di ricci scuri avesse potuto rivolgerle ai suoi genitori, invece sua madre non faceva altro che dirle di non curarsi di cose tanto più grandi di lei, che non era che una bambina.
Gli occhi scuri incespicavano fra le righe che narravano della battaglia fra i maghi e i non magici, quando il cigolio della porta la fece sussultare; chiuse il libro d’istinto e contemporaneamente un piccolo scoppio precedette il lamento di August.
 
“Izzie, cosa stai combinando?! È scoppiata un’altra lampadina, il che mi lascia pensare che tu non stia facendo nulla di buono!” L’ombra del padre si avvicinava pian piano alla tenda dietro alla quale era nascosta Izzie che, di tutta fretta, cercò di nascondere il libro sotto uno dei cuscini. Quando August fece capolino oltre la coperta, si scontrò col gran sorriso della sua bambina che teneva le manine nascoste dietro la schiena.
 
“Papi! Sei venuto a darmi la buonanotte? “ Chiese lei, con un tono di voce particolarmente acuto; August intanto infilò la mano sotto il cuscino, provocando un gran brontolare della figlia. Sconsolato l’uomo estrasse il libro che aveva maldestramente nascosto Izzie. “Tesoro, se la mamma sa che leggi ancora questo… non lo avevo nascosto nel mio studio?”
 
“ Beh… non è che lo hai proprio proprio nascosto… lo hai solo messo nel ripiano più alto della libreria.”
 
“ E tu hai usato la scala per arrampicarti e prenderlo, non è vero?”
 
Il sorriso di Izzie mutò presto in uno dalla sfumatura più malandrina. “Beccata. Però senti papà, io ho tante cose da chiederti! Mi puoi rispondere? “
 
Un ampio sospiro accompagnò August mentre prendeva posto nel piccolo spazio a lui concesso accanto alla bambina; si chiese come fosse possibile che fosse tanto difficile dirle di no.
 
“Vediamo se posso risponderti. “ Le concesse poi, facendo salire l’eccitazione di Izzie alle stelle; così saltò sulle ginocchia e cominciò ad agitare freneticamente le mani, iniziando poi a raccontare di quanto stesse leggendo fino a poco prima.
 
“Pensi di potere arrivare al punto prima che tua madre venga qui per sgridarci per bene? “
 
“ Hai ragione, non voglio che la mamma si metta a gridare! Allora mi chiedevo… io faccio scoppiare le cose, no? “
 
“Almeno una al giorno.” Confermò l’uomo cercando di trattenere uno sghignazzo.
 
“ E questa non è una cosa tanto normale… insomma, non è che lo sanno fare tutti! A scuola con me c’è un bambino che sa accendere le luci con gli occhi, ma è una cosa diversa e… “
 
“ Izzie, vieni al punto.”
 
“Va beeeene! Allora se io so fare questa cosa vuol dire che sono una strega, non è vero? “
 
“ Questo è molto probabile tesoro, ma ormai non ci occupiamo più di queste differenze, sai. La nostra saggia Governatrice afferma che tutti noi esseri umani siamo uguali, non importa se qualcuno ha sangue magico o meno. “
 
“ Ma quindi,” insistette Izzie, ignorando le parole del padre “se io ho sangue magico vuol dire che i genitori tuoi o della mamma avevano sangue magico. Mi parli di loro? Che persone erano, cosa facevano. Ah! Hai mai visto una bacchetta? Una volta ti ho sentito parlare con la mamma del prozio, dicevi che lui costruiva le bacchette con cui fare le magie! “
 
August si irrigidì di botto e il tono della voce si piegò, diventando rigido e duro. “ Izzie, non voglio che tu origli ancora i discorsi che faccio con la mamma, sono stato chiaro? Queste cose non ti devono interessare, sei troppo piccola e non puoi capire.”
 
Izzie assottigliò gli occhi e mise il broncio, affatto intimorita dal tono ammonitore di August. “Io non sono piccola, ho otto anni! “
 
August represse una sgridata, comprensivo del fatto che sua figlia in parte avesse ragione. Ciò nonostante scivolò oltre la tenda e le ordinò di mettersi a dormire; magari un giorno le avrebbe parlato come si fa tra persone adulte, ma quel giorno era ben lontano e l’uomo non mancò di sottolinearlo. Così, a luce finalmente spenta, Izzie scivolò sotto le coperte e ragionò a lungo su quanto detto dal padre, fino a quando il sonno non prese il sopravvento e lei crollò, sognando di battaglie fatte di luci rosse e verdi.
 
 
La Corte
Casa di Izzie
 
Quel che era successo a seguito dell’incendio, Izzie non avrebbe mai potuto dimenticarlo, tanta era la vergogna che aveva provato nei giorni a seguire. Il suo diretto capo aveva usato il suo spaventevole potere con lei e nonostante Izzie non ricordasse bene cosa fosse successo (quel maledetto potere aveva l’effetto di una droga pesante), non le erano stati risparmiati i racconti delle ventiquattro ore seguenti il magico tocco. In buona sostanza Izzie aveva passato tutto il tempo a inseguire Jude in ogni angolo della Corte; la mattina seguente all’incendio, così le aveva raccontato timidamente Artemisia, era stata trascinata via proprio da quest’ultima mentre lei, munita di mandolino, si era piazzata davanti alla porta di Jude intenta a fargli una serenata. Messa alle strette da Izzie, Artemisia le aveva detto in un pigolio di essere stata svegliata dal suo cantare e che l’unico modo per portarla via di lì, era stato farle presente che Jude non si trovasse in casa.
Izzie-voleva-sotterrarsi.
Sì, scavare una bella buca profonda, buttarcisi dentro e chiedere pietosamente a qualche buon’anima di coprirla con una colata di cemento, sarebbe stata l’unica soluzione plausibile. Ricevuti quei racconti, Izzie si era data malata per due giorni, fin quando sua madre non era entrata in camera sua e l’aveva trascinata a forza sotto la doccia, rammentandole che lasciarsi perire di stenti non sarebbe stata una soluzione e che se proprio aveva intenzione di farlo, si sarebbe dovuta allontanare da casa in quanto lei non aveva alcuna intenzione di rimuovere il suo cadavere.
Grazie tante, madre degenere, aveva pensato Izzie infuocata dall’imbarazzo di trovarsi ancora su quel mondo.
Dopodiché aveva passato i restanti giorni a farsi assegnare qualsiasi tipo di compito che l’avrebbe tenuta ben lontana da Jude; era molto meglio spalare il letame dei cavalli, piuttosto che rischiare di incontrare il suo capo dopo quella figura meschina, o per usare un linguaggio più appropriato alla situazione, quella figura di merda.
Come se non bastasse a peggiorare la situazione, Izzie aveva incontrato Ajax il giorno prima; la sua visione, pensò con ingenuità, le avrebbe risollevato il morale, non fosse che Ajax l’aveva trattata neanche fosse un’appestata.
E ora sarebbe dovuta andare alla festa di Ryurik, rischiando di incontrare lui, Jude e tutta l’allegra brigata?
No signore!
Un bussare alla porta strappò Izzie dal suo piano per continuare a vivere una vita nell’ombra.
 
- Cuore mio, è arrivata la tua amica. -
 
Il faccione di suo padre sbucò dalla porta mostrandole un candido sorriso; Izzie, con un mollettone in testa a trattenere la matassa di ricci indomiti e un maglione extralarge addosso, fissò suo padre con cipiglio.
 
- Chi? -
 
- Saskia, la tua collega. Dice che è qui per la festa. -
 
- Grazie papi, puoi dirle che sono morta e che non serve facciano commemorazioni in mio onore; non voglio che il mio epitaffio reciti che sono crepata come una stalker! -
 
August roteò gli occhi al cielo più del dovuto, in quanto Izzie si mostrò pronta a sbattergli la porta in faccia e tornare nel suo covo fatto di vergogna e autocommiserazione. Se non che, a salvare il naso dell’uomo dalla tagliola dell’anta, ci pensò Saskia che scivolò sotto ad August e si affacciò nella stanza, regalando un grande sorriso ad Izzie.
 
- Sappi che non accetterò un no come risposta, quindi ora ti aiuterò a prepararti e poi andremo a quella benedetta festa! -
 
Izzie sospirò con rassegnazione: sapeva che Saskia non avrebbe ceduto; doveva solo trovare un modo per camuffarsi al meglio, in modo che nessuno si accorgesse da lei. Forse avrebbe potuto infilarsi in un calco di gesso e fare compagnia alle statue del padrone di casa.
Sperava solo di non far scoppiare il suo sarcofago presa dall’ansia.
 
Quartier Generale
 
- Ah-ah! Sapevo ti avrei trovato qui! -
 
Chion sapeva che quello sarebbe stato un giorno particolarmente movimentato al Quartier Generale, visto e considerato che ogni sette aprile, da quando era entrato a far parte del gruppo dei Ladri di Bacchette, tiravano su feste memorabili. Solitamente la serata si concludeva con metà degli adulti sparpagliati in giro, tramortiti dall’alcool ingerito in grandi quantità, mentre i bambini erano totalmente fuori controllo lasciati in balia di loro stessi. Per questo motivo Chion aveva fatto in modo di sgattaiolare via, prima che qualcuno pensasse bene di affibbiargli qualche compito ingrato per la preparazione della festa di Micah.
Si era così rintanato nella sua sala d’armi preferita, la più piccina e confortevole a suo modo di vedere, lontano dai rumori e dalla gente.
Fin quando Oleander non aveva spalancato la porta con un calcio e lo aveva sorpreso a sistemare pistole e fucili malandati. Chion, sospirando con rassegnazione, si chiese cosa avesse fatto per meritarsi quella punizione; forse avrebbe preferito andare in missione con Vulkan, lungimirante mago lui, che aveva fatto in modo di defilarsi il giorno prima.
 
- Buongiorno Oleander. – Borbottò Chion, sistemandosi le cuffie anti rumore sulla testa, - qual buon vento ti porta qui? -
 
La strega roteò l’indice nella sua direzione: - Pensavi forse di sfuggirci, brutto malandrino? Beh ti sbagli di grosso. –
 
- Non… non pensavo niente, volevo solo recuperare un po’ di lavoro arretrato, le armi, sai… non è mica che si sistemano da sole. -
 
- Non ci provare! Ti ricordo che la sottoscritta è stata nelle colonie, di modi per evitare il lavoro sporco ne ho visti a bizzeffe. -
 
Un altro mesto sospiro scivolo dalle labbra di Chion mentre le spalle andavano a incurvarsi; era stato così sciocco a pensare di poterla fare franca. Così sciocco.
Poggiò con estrema delicatezza i suoi strumenti del mestiere sul tavolo, quindi incrociò le dita sul grembo e puntò gli occhi chiari in quelli di lei: - Ho capito. Cosa vuoi che faccia? –
 
- Così mi piaci, aspetta un attimo. – La piccola strega scivolò di nuovo oltre la porta, per poi riapparire trascinando un carrello con la mano. Un grande carrello, sul quale dormiva nella polvere un mastodontico impianto stereo, al quale Chion dedicò un’occhiataccia: - Non dirmi che è quello dello scorso anno. Ti prego, non dirmelo. -
 
- Proprio lui! – Trillò lei con allegria: - Sono sicura che riuscirai a rimetterlo in sesto. Purtroppo non abbiamo altro se non quello stereo che Ame e Sonne tengono come fosse un oracolo, ma non è abbastanza potente per far festa! -
 
Chion spianò una mano ad indicare quello che lui riteneva essere uno strumento del paleolitico: - Oleander… su questo ci ha vomitato sopra Mångata lo scorso anno. –
 
- Oh, lo ricordo bene. Un momento epico, forse tutte quelle piroette dopo aver tracannato mezza bottiglia di gin non le hanno fatto bene. Ciò detto non abbiamo di meglio. Sono più che sicura che riuscirai a rimetterlo a nuovo entro questa sera! -
 
Oleander agitò una mano per salutarlo ed era pronta a scappare via, quando sentì Chion alzare la voce. – Ehi! Ma è stato almeno ripulito dall’anno scorso?! –
 
Oleander si premurò di non rispondere e Chion prese quel silenzio come un no. Maledetti compagni ubriaconi.
 
La Corte
Casa di Alida e Lir
 
- Che ne dici di questo? -
 
Perché si era fatta incastrare da Lir non lo aveva ancora capito. Forse l’amico aveva messo qualcosa nel suo caffè mattutino, una sorta di droga che l’aveva fatta accondiscendere a monitorare le sue sfilate. Che poi Alida nemmeno voleva andarci, a quella festa. A seguito della serie di visioni che era stata costretta ad avere, aveva passato quasi l’intera settimana a trascinarsi in giro come uno zombie e arrivato finalmente il weekend, credeva di potersi riposare un po’. Ma Lir l’aveva assillata, dandole della vecchia zitella acida e ricordandole che se avesse continuato a fare l’eremita, non avrebbe mai incontrato nessuno di abbastanza folle da voler intrecciare con lei una relazione di qualsivoglia natura. Era stato inutile ricordare a Lir che il fatto che lei non avesse mai la possibilità di pensare a cose frivole come quelle era dovuto alla Governatrice, che la trattava come una cavia da laboratorio da che ne avesse memoria.
 
- Davvero elegante quel viola effetto neon. – ironizzò squadrando l’eccentrico vestito che indossava Lir :- Mi domando come sia possibile che tu riscuota così tanto successo con le donne, visto che ti conci come uno scappato di casa. -
 
Lir ignorò il commento di lei, proseguendo invece a roteare davanti allo specchio della sua camera. – Mmm… non risalta il mio fisico; sarebbe un vero peccato nasconderlo. Passiamo ad altro.  –
 
Alida scivolò sul letto di Lir in un’elegantissima posa da bradipo; sapeva che il mago ci avrebbe messo almeno dieci minuti prima di mostrarle il prossimo outfit. Mentre attendeva il cambio d’abito, Alida cominciò a pensare al vero motivo per il quale, di far festa, proprio non aveva alcuna voglia; era così ogni sette di aprile. Solitamente qualsiasi fosse il giorno in cui cadeva quella data, lei e Jude finivano per incontrarsi di sera. Non c’era mai volta che uno dei due nominasse Micah, mai; però Jude le portava una bottiglia di buon vino, che consumavano magari davanti a una cena improvvisata. Era una tradizione sancita dal tempo che ad Alida infondeva sicurezza.
Certo era che quell’anno lo avrebbe comunque passato con un altro spirito, visto che era più che certa di aver visto Micah in una delle sue visioni; saperlo vivo aveva smosso qualcosa in lei che aveva fatto in modo di strapparla all’apatia in cui ormai era scivolata in maniera impietosa.
 
- Così sono perfettamente splendido! -
 
Alida posò placidamente lo sguardo su Lir, che si era presentato con indosso un paio di pantaloni di pelle, gilet coordinato e un boa di piume dello stesso tono del viola di quell’orrendo vestito a circondargli le spalle. Trattenere una risata fu un’impresa titanica per lei, ma per buona pace della loro convivenza riuscì nell’ardua impresa.
 
- Ma credi sia necessario? Non sei già abbastanza appariscente di tuo? -
 
Lir allacciò i pollici alla cintola dei pantaloni e mosse dei passi verso il letto, assumendo l’andatura di un vero cow boy: - Piccola, non si è mai abbastanza appariscenti. Ora alza il culo dal letto e preparati, ho proprio voglia di accalappiare qualche biondina, questa sera. –
 
Quartier Generale
 
- Paaaarlami d’amore, Mariùùùùùù! -
 
Dopo essersi schiarita la voce, Ame si era portata una mano al petto e aveva preso a cantare a squarciagola nel bel mezzo della sala centrale del Quartier Generale, sotto lo sguardo attonito di Mångata. Quest’ultima, che aveva passato gli ultimi due giorni a ricaricarsi, dedicandosi a una sana solitudine in compagnia di un libro, era pronta per affrontare la festa per il compleanno di Sonne. Aveva così acconsentito a seguire Ame in uno dei suoi deliri, che prevedeva la preparazione per l’esibizione canora in cui si sarebbe cimentata da lì a qualche ora.
 
- Che razza di lingua è, questa qui? – Chiese la più giovane, divisa tra curiosità e sincero imbarazzo per l’amica bionda.
 
- Il nobile italiano, cara mia. Una lingua che in molti stanno dimenticando. Ma devi sapere che i più famosi pezzi lirici usano la lingua italiana! -
 
- Capisco. – Mångata incrociò le braccia e trattenne una risata, così Ame si bloccò dal proseguire la sua esibizione e portò le mani ai fianchi: - Perché stai ridendo? -
 
- Non sto ridendo, sto trattenendo una risata, è diverso. -
 
- Mpf… maledetta pignola. Insomma, perché stai trattenendo una risata? -
 
Mångata avrebbe tanto voluto dire ad Ame che sarebbe stato un bellissimo regalo di compleanno per Micah, se lei si fosse risparmiata di mettersi a cantare. Fortunatamente venne tratta in salvo da Leaf: lui e Angelica stavano correndo verso le cucine e sostenevano con le braccia dei sacchetti di carta.
 
- Ehi! Dove state andando? -
 
- Abbiamo gli ingredienti per la torta e dobbiamo portarli subito a Skog, prima che si incazzi come suo solito. È sempre così esagerato nelle reazioni. – Borbottò trafelato Leaf.
 
- Sta omettendo che avrebbe dovuto fargli avere uova e latte ieri, ma se ne è ovviamente dimenticato. -
 
-Me ne sono dimenticato… - si sbrigò a sottolineare Leaf, - Perché stavo revisionando il percorso per arrivare ai Mercati, che mi sembra decisamente più importante di una stupida torta. -
 
- Tu e la tua scala di priorità- Ame iniziò a scacciare il vento con la mano – Non c’è nulla di più importante che la festa per il compleanno di Micah! -
 
- Voi due! – La voce di Skog fece saltare sia Leaf e Angelica, rischiano che al ragazzo finisse per fare una bella frittata: - Vi sto aspettando da ore! E tu… - I quattro si voltarono in direzione di Skog, che brandiva la mannaia con aria minacciosa in direzione di Ame: - Non ne posso più di sentirti cantare, vai a gonfiare i palloncini! -
 
- Ma… - Mångata tentò di mostrarsi conciliante, visto che Ame si era paralizzata come un cerbiatto davanti ai fari di un’automobile: - Veramente non ne abbiamo trovati… sai non si producono più da tempo e… -
 
- E allora andate a fare dei festoni, basta che ve ne andate da un’altra parte! – Ciò detto Skog rientrò nella cucina con passo militare facendo ondeggiare la porta basculante e lasciando i quattro paralizzati ancora per un po’, prima che Hail e Leaf seguissero il cuoco con il terrore negli occhi.
 
La Corte
 
Artemisia era intenzionata a rendersi utile per la festa di Ryurik, di conseguenza aveva speso il suo tempo libero degli ultimi due giorni a cucinare; aveva poi lustrato la sua bicicletta color crema e margheritine, diviso le cibarie fra portapacchi e cestino ed era partita alla volta della casa di Ryurik con al fianco Atlas. Avrebbe potuto chiedere un passaggio al suo simpatico vicino di casa, era vero, ma dal fatidico giorno all’atelier del “mondo di Penny” (Artemisia si pentì amaramente di non essersi accaparrata nemmeno un vestito), non gli aveva più rivolto la parola. Eh no, mica poteva essere così semplice per Jude; doveva essere lui a fare la prima mossa, era chiaro.
Mentre il tiepido sole primaverile si apprestava al tramonto, Artemisia attraversava la Corte a cavallo della sua graziella; percepì il rumore del motore di un’auto dietro di lei rallentare, finché Ajax non si accostò alla sua destra seguendo l’andatura lenta.
 
-Vuoi un passaggio?- Chiese il ragazzo dal finestrino abbassato.
 
- Se potessi portare queste te ne sarei grata; ho paura di far cadere qualcosa a terra! -
 
Accostati al bordo strada, Ajax e Artemisia cominciarono a effettuare il passaggio delle vivande dalla bicicletta all’automobile, quando l’inconfondibile berlina di Jude passò loro accanto; Ajax si sbrigò ad agitare la mano in segno di saluto, mentre Artemisia girò volontariamente lo sguardo, imitata da Atlas. Jude rallentò, ma non si fermò.
 
- Qualcosa non va? – Provò a chiedere Ajax, ma Artemisia cambiò subito argomento: - Ancora un paio di cose e ci siamo! Ecco qui… muffin salati e… tutto fatto. Ci vediamo lì, grazie! -
 
La strega montò di nuovo in sella e sfrecciò via, sotto lo sguardo aggrottato di Ajax; poi il ragazzo fece spallucce e anche lui tornò in auto, alla volta della festa.
 
Quartier Generale
 
Alla fine Chion era riuscito a compiere il miracolo, nonostante l’impresa fosse più che ardua persino per lui. L’impianto stereo era stato aggiustato (e ripulito) e posizionato sulla stanza vetrata e soppalcata presente nella sala grande, dalla quale i giovani Ladri adolescenti si erano prefissati di mandare musica per tutta la sera, improvvisandosi dj. Dimma entrò nella sala tenendo le mani in tasca e guardandosi intorno senza esporre particolari emozioni; l’unico motivo per cui non era evaporata a seguito del suo solito programma di allenamento, era che fosse il compleanno di uno dei suoi più grandi amici. Quando sentì posarsi qualcosa sulla sua testa, fu istintivamente pronta a girarsi, afferrare il braccio dello sprovveduto che aveva pensato di toccarla e ridurlo in lacrime. Poi ricordò di essere al Quartier Generale.
Alzò dunque le mani sulla testa e percepì quella che doveva essere una coroncina di fiori; le venne da ridere, ma si limitò a roteare su se stessa e puntare lo sguardo in quello di Jabal, visibilmente soddisfatto di ciò che aveva appena fatto.
 
-Molto meglio così, spezza un po’ tutto questo nero. – Disse l’uomo, roteando l’indice ad indicare il solito abbigliamento di Dimma.
 
- Anche tu sei vestito sobriamente, come al solito. Perché io dovrei indossare questa cosa e tu no? -
 
- Beh, perché io ho questo. – Jabal tirò fuori da dietro la schiena un cappellino colorato, che andò a infilarsi sulla testa.
 
- Bell’arnese, maschione! Ma se vuoi nascondere la tua bella pelata, faresti bene a trovare un cappello a falda larga! -
 
Era praticamente impossibile non ridere a quel punto, ma miracolosamente Dimma riuscì comunque a mantenere serio il volto mentre osservava Mångata, con un bicchiere in mano, prendere in giro Jabal.
 
- Molto divertente, piccoletta, ma non ho alcun motivo di celare il mio testone lucido. Tu piuttosto non dovresti iniziare subito a bere, se non vogliamo che finisca come lo scorso anno… e fidati, non lo vogliamo. -
 
Mångata mostrò un gran sorriso e il dito medio, mentre Jabal alzava la mano e Dimma gli dava il cinque.
 
- Forza! Qui non è abbastanza pulito! Voglio essere in grado di sedermi qui sopra senza avere un conato di vomito dietro l’altro! Oh voi tre, avete idea di dove siano finiti gli altri? Micah sta per arrivare! -
 
Yuki, la coordinatrice ufficiale della festa insieme ad Ame, raccordava un modesto numero di Ladri affinché tutto fosse abbastanza pulito; compito che la più giovane le aveva lasciato con estremo piacere. Dimma, Mångata e Jabal rivolsero l’attenzione all’uragano delle pulizie.
 
- Ti vedo agitata, forse dovresti rilassarti Yuki, tutto questo stress non fa bene al tuo fisico. – Disse Dimma, che si era già dimenticata di avere una coroncina di fiori in testa e che probabilmente avrebbe indossato per tutta la sera, per regalare inconsapevole gioia ai suoi compagni. Yuki chiuse un paio di volte l’occhio destro: - Stressata? Non lo sono affatto! Voglio solo che tutto sia perfetto. Per-fet-to. Non credo sia chiedere troppo, no? VOI LASSÙ! FATE PARTIRE LA MUSICA! SIAMO A UNA FESTA, NON A UN CAZZO DI FUNERALE!-
 
Così Yuki partì a razzo verso le cucine, farfugliando qualcosa a proposito del ritardo del catering e che Skog avrebbe dovuto permetterle di mettersi ai fornelli. I tre sentirono le urla dei due provenire dalle cucine e decisero di non intromettersi, limitandosi invece ad attendere l’arrivo del festeggiato e l’inizio vero e proprio del party.
 
*
 
Gli insegnanti si erano caldamente raccomandati con i propri studenti riguardo alla presenza all’esecuzione in pubblica piazza che si sarebbe tenuta quel pomeriggio stesso. Erano rare le volte in cui la Governatrice arrivava a tanto e gli adulti avevano spiegato ai giovani abitanti della Corte che, quando questo accadeva, il condannato aveva sicuramente fatto qualcosa di molto grave. Izzie e i suoi compagni conoscevano a menadito l’operato di Nadia, tante erano le volte che si era parlato del suo Regime, in classe così come in famiglia: le Colonie erano state create appositamente per far sì che i malfattori che avevano osato tentare di sovvertire quel sistema di pace, potessero usare le proprie energie per migliorare il mondo, lavorando affinché questo venisse ripulito dai detriti tossici della grande guerra.  Quando però si era compiuto qualcosa di troppo grave e irreparabile, la Governatrice era ‘costretta’ ad adottare la condanna a morte.
Izzie non sapeva bene cosa pensare di tutto ciò; da una parte le era sempre stato insegnato che Nadia Millan si trovasse nel giusto e che gli esseri umani erano stati fortunati ad aver ricevuto quel Messia, intervenuta per salvarli e evitare che finissero di ammazzarsi fra di loro. D’atro canto un nodo le si formava alla bocca dello stomaco ogni qualvolta si soffermava, con la testa, sui sistemi ‘forse’ eccessivi di Nadia come, per l’appunto, la condanna a morte.
Non aveva intenzione di assistere, Izzie. Che fosse per paura –troppo pavida forse per catturare con i propri occhi la morte di un altro essere umano-, o per un sopito discorde impulso nei confronti del sistema della Governatrice, Izzie non sapeva dirlo.
Ma non aveva saputo impuntarsi, quando le sue amiche avevano deciso che tutte loro, nessuna esclusa, avrebbero dovuto assistere alla fucilazione di Edward Flatch che sarebbe avvenuta di lì a poche ore. Izzie aveva provato inizialmente a dire la sua mettendo in mezzo qualsiasi scusa, persino che il giorno dopo avrebbero dovuto presentare la ricerca alla quale stavano lavorando da giorni, ma Alley, Sarah e Ginny si erano espresse chiaramente a riguardo; fu così che Izzie era stata trascinata nella Piazza Centrale che per l’occasione era stata sgomberata dai banchi del mercato e al centro della quale era stato installato un palco minuscolo, sul quale venne fatto salire il condannato a morte.
La quattordicenne non si capacitava dell’eccitazione che strisciava fra le sue amiche, le quali tentavano di guadagnarsi uno spazio di visuale dignitoso; lei, di contro, lasciava che il proprio sguardo si facesse spazio fra la popolazione della Corte perché non aveva alcuna intenzione di soffermarsi su Edward Flatch, che veniva fatto salire sul suo podio di morte.
Intravide la Governatrice e suo marito e al loro fianco i loro nipoti; il più grande, Jude, teneva le mani nelle tasche dei pantaloni e puntava lo sguardo sull’uomo che di lì a poco sarebbe stato ammazzato per ‘aver rubato e consegnato ai ribelli delle bacchette’, mentre il più giovane, Micah, aveva le braccia allacciate strette, il viso pallido e lo sguardo rivolto altrove. La Governatrice allacciò le mani intorno al suo braccio e lo strattonò appena in modo che l’alto nipote potesse chinarsi appena per ascoltare le parole che lei sussurrò nel suo orecchio.
 
“ Ecco, ci siamo!” Sarah si attaccò al suo braccio con forza e Izzie poté sentire con distinzione un fremito di eccitazione attraversarle il corpo; allontanò quindi lo sguardo dalla Governatrice e suo nipote, costringendosi a incastrarlo in quello di Edward Flatch. Come potevano, le sue amiche, essere così eccitate? Sapevano benissimo che quello era lo zio di Joan e anche se non frequentava la loro classe era pur sempre un loro compagno. Pe un momento pensò di essere al suo posto e sentì un dolore mai provato prima; tentò di reprimerlo, perché sapeva che quando provava emozioni molto forti, poteva finire che qualcosa intorno a lei esplodesse e non voleva che accadesse, non di certo durante una condanna per fucilazione.
 
“Edward Flatch.” Una voce acuta la fece di nuovo tornare alla realtà, “Sei accusato di alto tradimento nei confronti del mondo intero. Il consiglio ha decretato che questa è la giusta sorte per i cancri come te.” L’uomo che decretò l’amara sentenza volse lo sguardo verso Nadia, la quale annuì; così quello passò a guardare rapidamente le tre Sentinelle che si trovavano davanti al condannato e che tenevano contro di lui i fucili spianati. Bastò un gesto della mano, per far scaricare le armi sul corpo di Edward Flatch.
Il rumore degli spari assordò le orecchie che Izzie coprì con gesto automatico, mentre stringeva gli occhi senza mai chiuderli davvero.
Una trivella di colpi. Il sangue. E le urla.
Il corpo di Edward Flatch cadde sul palco privo di vita e Izzie fu costretta a trattenere un urlo d’orrore; nella sua testa, intanto, si domandava con frenesia se ciò a cui aveva appena assistito fosse giusto e si chiedeva come avrebbe fatto a guardare di nuovo Joan negli occhi, dopo ciò a cui aveva appena assistito.
Era giusto o sbagliato?
Giusto, o sbagliato?
 
 
La Corte
Atelier di Ryurik
 
La musica era sparata a tutto volume e le luci stroboscopiche rimbalzavano sulle statue dell’atelier, creando un gioco di colori davvero curioso e intrigante. Quando Izzie entrò tentando di nascondersi dietro Saskia, però, non dette importanza né a quello, tantomeno alla folla di gente che si dimenava, beveva e mostrava di divertirsi; il suo scopo primario era, per l’appunto, fare in modo di non incrociare il suo capo.
 
- Smettila di fare così, ti stai rendendo ridicola. – La rimbrottò l’amica e collega, al contrario più che pronta a fare festa.
 
- Sul serio? Quindi vuol dire che qualcuno ha notato la mia presenza! Oh, che imbarazzo. -
 
- Quello che voglio dire… - rispose Saskia, sbuffando come un treno a vapore – è che sei una Sentinella, non puoi farti mortificare per una cosa contro la quale, per altro, non potevi fare assolutamente nulla. Ora perché non provi a divertirti? -
 
Izzie avrebbe voluto rispondere che per lei era facile parlare, ma non aveva voglia di discutere; il suo unico interesse era che quella serata finisse il prima possibile, così con un grande sospiro si avvicinò quattamente a uno dei tavoli imbanditi, cercando qualcosa da bere. Finì quasi per strozzarsi quando notò entrare Lir e Alida, non tanto per il vestiario stravagante del ragazzo, al quale tutti erano abituati, quanto perché nella testa si annidò nell’imminente un pensiero drammatico: se c’erano loro, con ogni probabilità c’era anche Jude e lei non aveva proprio intenzione di vedere Jude. Si affrettò quindi a vorticare su se stessa, per tornare dritta dritta da Saskia; aveva cambiato idea con rapidità disarmante e l’ansia aveva preso il sopravvento. Non le sarebbe importato di discutere, sarebbe filata via di lì il più presto possibile.
Già, non fosse che sentì un delicato ticchettio sulla spalla destra. Izzie si voltò con estrema cautela e colui che si ritrovò davanti era la materializzazione di ogni suo incubo.
 
- Ciao. – Si limitò a dire Jude, esponendo un sorriso da star, quelle di quei vecchi film che non disprezzava affatto. Izzie sentiva la voce di Sam Cooke librarsi nella stanza; era tutto fottutamente ingiusto, perché lei amava Sam Cooke (che poi come diavolo fosse possibile che un suo brano fosse finito a fare da colonna sonora a quella festa era ancora da capire), ma in quel momento la voce calda e vibrante aveva gli occhi e il sorriso di Jude.
 
- Bbbb….buon….buo….bah! – L’ansia di Izzie esplose in un gorgoglio di suoni incomprensibili e culminò con delle acute parole di scuse. Infine corse via, sotto lo sguardo placido del capo delle Sentinelle. Jude infilò le mani in tasca e si avvicinò a Lir e Alida; fu quest’ultima a rifilargli una gran pacca sulla spalla: - Sei un gran bastardo, lo sai? -
 
- Io mi sono spaccato. – Sghignazzò Lir, incapace di trattenersi, ma ricevuta una bella gomitata da parte di Alida, cercò di tornare serio: - Ma ha ragione lei, sei un gran bastardo. -
 
- Hai questo modo malato di divertirti… ma l’hai vista, poverina? – Riprese Alida indicando la giovane Sentinella ormai eclissata dall’altro lato della stanza.
 
- Ma dai… non l’ho mica sgridata, l’ho solo salutata. – Jude accennò un sorriso candido, quando intorno a loro cominciarono a esplodere bottiglie; Lir fece giusto in tempo a tirarsi avanti evitando così delle schegge particolarmente taglienti, quindi si rivolse all’amico: - Ok, forse ora è il caso di andarti a scusare se non vogliamo che questa festa si trasformi in un party alla Tarantino! -
 
Jude alzò eloquentemente un sopracciglio, così Lir spalancò braccia e bocca: - Quentin Tarantino! Possibile che tu non lo conosca? –
 
Jude stava per dire che non aveva la minima idea di chi fosse quel tale, quando sentì le parole incastrarsi in gola; colpa dell’entrata di Artemisia affiancata da Ajax, sospettò Alida cogliendo l’occhiata di Jude, ma si guardò bene dal farlo notare all’amico. Al contrario prese sia Lir che Jude sotto braccio, facendoli voltare a forza: - Non abbiamo ancora salutato il padrone di casa, credo sia il caso di rimediare! –
 
*
 
Ioann amava Feona; si era innamorato di lei quando non erano che dei ragazzini e aveva insistito così tanto nel corteggiarla che, alla fine, la ragazza aveva ceduto. Nonostante l’affetto incondizionato che mai era scemato negli anni, caratterialmente i due erano molto diversi; Feona era una donna di polso, si era addestrata a lungo per raggiungere la posizione di governatrice e con l’incarico ricevuto gli spigoli del suo carattere si erano acuminati sempre più. Feona amava i suoi due figli, ma non prestava loro molta attenzione, troppo presa da tutto ciò che riteneva giusto fare durante la giornata per portare avanti la Comune.
Fra i due, Ioann era di certo il più sensibile ai bisogni dei figli; proprio per questo motivo da quando aveva parlato con il figlio maggiore dei problemi che ingiustamente gli tempestavano la testa, Ioann aveva deciso che avrebbe fatto di tutto per aiutarlo. Non gli importava affatto se Ryurik avesse dimostrato di avere qualche particolare potere, ci teneva solo a far si che non diventasse un peso per lui e magari che pian piano potesse acquisire la capacità di gestirlo al meglio.
La rivelazione arrivò un anno dopo la passeggiata durante la quale il figlio si era confidato con lui, mettendo sul piatto ciò che più lo turbava. Ioann non dimenticò mai il bagliore che vide illuminare lo sguardo spento di Ryurik nel calcare la siluette della statua che si trovava al centro della piazza maggiore della loro comune, come se la vedesse per la prima volta.
 
“Papà, chi è quella donna?”
 
“Lei è Nadia, la Governatrice massima.”
 
Ryurik si fece assorto e per qualche istante rimase incantato al cospetto del marmo lucido e brillante; di punto in bianco, proprio quando Ioann gli stava per dire che era ora di andar via, Ryurik gli chiese se poteva avvicinarsi.
 
“Va bene, ma non toccarla, è un monumento importante per tutti noi.”
 
Annuì, Ryurik, per poi schizzare in direzione della statua sulla quale era posato un delicato strato di neve candida, l’ultima che sarebbe caduta quell’anno, considerò Ioann tenendo d’occhio il figlio maggiore; poi si avvicinò con passi misurati al bambino, che girava intorno alla statua come a volerne prendere le misure con il solo sguardo. Gli occhi correvano dai capelli alle venature delle mani con fremente agitazione, mentre le labbra si tesero a scoprire la bocca piena di finestrelle, offrendo alla statua una smorfia sorridente e stupita.
 
“ Vuoi sapere qualcosa su Nadia, tesoro?”
 
Ancora sorridente, Ryurik volse lo sguardo al padre. “ Papà! Come si fa a fare questa statua? “
 
Sorpreso, Ioann inarcò un sopracciglio e passò una mano fra i folti capelli scuri. “ Intendi come si fa a scolpire? È questo il termine che devi usare. “
 
“Scol-pi-re…” sillabò Ryurik un paio di volte “ Sai, è proprio una bella parola, scolpire.” Il bambino tornò a guardare la statua con più attenzione e una maggiore consapevolezza, come se l’aver appreso quella parola avesse aumentato il valore della sua rivelazione. “ Papà, io voglio farlo, mi insegni a scolpire?”
 
“ Purtroppo non ne sono capace, è davvero difficile, lo sai? Ma perché pensi di voler imparare a scolpire?”
 
Di nuovo il bambino si fece silenzioso, con la fronte corrugata a sprimacciare i pensieri affinché essi potessero emergere con efficacia; dare concretezza ed esattezza alle parole era fondamentale per Ryurik, perché era per lui l’unico modo di catalogare il disagio che derivava dal proprio potere speciale. Infine, scovate le parole adatte, tornò a incastrare lo sguardo in quello identico di suo padre.
 
“ Quella faccia è immobile in un’espressione; sembra che lei non possa provare altro che quella sicurezza, papà…” una breve pausa interruppe la sua spiegazione “… e magari se io imparo a scolpire, posso chiudere quello che sento nelle statue. Sarebbe bello, sai. “
 
Ioann avrebbe voluto dire a Ryurik che non era così semplice, ma probabilmente qualsiasi cosa avesse detto, avrebbe infranto il sogno di suo figlio sul nascere e non era ciò che voleva. Si disse che se per Ryurik esisteva una possibilità di credere di poter gestire il proprio potere, lui avrebbe fatto in modo di appoggiarlo. Per questo motivo, qualche giorno dopo, portò il maggiore dei suoi figli alla bottega dello scultore che aveva realizzato il monumento raffigurante Nadia Millan, in modo che Ryurik potesse comprendere e fare sua la nobile arte della scultura.
Ryurik rimase galvanizzato dall’incontro con quella forma d’arte; appena ne aveva l’occasione correva alla bottega dello scultore e passava ore ed ore a osservare i blocchi di marmo prendere vita sotto lo scalpello. Il fascino della vita che si nascondeva sottraendo materia si fece epifania quando gli venne concesso di prendere in mano gli strumenti per approcciare al marmo, cosa che avvenne solo dopo tre intensi anni di studio della prospettiva e dell’anatomia, applicandosi con la creta che si fece mezzo per manifestare quanto aveva imparato. Ma Ryurik non voleva modellare, Ryurik voleva ‘togliere’ quanto più possibile, come se con quel gesto potesse eliminare tutti quei sentimenti umani non suoi che si accumulavano al suo interno, in pericoloso procinto di strabordare.
Pian piano tutto il resto divenne meno importante: gli affetti, la famiglia, suo fratello. Niente e nessuno aveva su di lui l’effetto calmante dello scolpire il marmo.
Almeno fin quando nella sua vita non fece capolino Michelle.
 
 
Quartier Generale
 
Sonne, per l’occasione chiamato da tutti col suo nome vero, era stato trascinato via dal Quartier Generale per una ragione a lui tecnicamente oscura. Come se non fosse consapevole che l’intenzione dei suoi compagni fosse quella di preparargli una “festa a sorpresa”. Tutto sommato comunque, nonostante non amasse festeggiare il suo compleanno, apprezzava l’affetto dimostratogli. I suoi compagni giovani e anziani si erano alternati, trascinandolo qui e lì per coinvolgerlo in faccende di ogni natura: si era occupato di nutrire gli animali, rinforzare gli incantesimi di protezione, controllare che le trappole disseminate lungo il perimetro sovrastante il Quartier Generale fossero funzionanti (e specialmente che non ci fosse nessun essere umano intrappolato in esse). Certo, per essere il suo compleanno non è che gli avessero risparmiato mezza fatica, tutt’altro. In quel momento, affiancato da Oleander che era andata a recuperarlo dalla sua ultima fatica, stava facendo rientro; all’entrata della zona sud venne accolto da Roxana, che lo cosparse di baci e buffetti affettuosi e dalla quale lui si divincolò con estrema fatica; man mano che camminava lungo il cunicolo umido poi, intanto che Oleander lo tirava come fosse un carro bestiame, sentiva la musica aumentare.
 
- Oh… ma cosa sarà mai questa musica? – Chiese con tono fintamente stupito, al quale Oleander rispose con un risolino: - Tu non hai idea di ciò che ti aspetta lì dentro. -
 
E in parte la strega aveva ragione, perché mai si sarebbe aspettato, Micah, di essere accolto da Ame che per l’occasione aveva indosso, trovato non si sa bene dove, un lungo vestito di lustrini d’argento, un paio di scarpe dal tacco vertiginoso (che Ollie disse poi con baldanzosa allegria di aver rubato lei stessa durante una missione) e una parrucca di lunghi riccioli biondi.
 
- Porca merda… - Riuscì solo a dire Micah, prima che tutti si voltassero verso di lui e cominciassero a gridare buon compleanno. Ame si avvicinò a lui ondeggiando sbilenca sui tacchi e con una spazzola in mano a mo’ di microfono, iniziò la sua azzardata presentazione dell’ospite d’onore.
 
- Cari tutti, è per me un grande piacere e immenso onore accogliere sua maestà… Micah...Millan! Forza, voglio sentire un grande applauso! -
 
Battiti di mani, fischi e canzoni travolsero il mago, che portando la mano al cuore si espose in vari inchini: - Grazie a tutti fedeli compagni di brigata. Devo dire che proprio non mi aspettavo un’accoglienza tanto calorosa! –
 
Leaf gli arrivò le spalle e piazzò sulla sua testa una corona di cartapesta, poi con tono estremamente serioso decretò che il suo compito per la serata era finito.
 
- ora che il valletto ha fatto quel che doveva… - Ame venne insultata ripetutamente da Leaf, ma lo ignorò – Possiamo dare il via alle danze, non credi? -
 
- Certo che si, ti voglio proprio vedere a ballare su quei trampoli. – Micah spalancò poi le braccia e gridò che la festa poteva avere inizio e i Ladri tutti, o quasi, esultarono e cominciarono a darci dentro con musica e alcol.
 
La Corte
Atelier di Ryurik
 
Messo piede all’interno dell’atelier, non senza aver strabuzzato gli occhi davanti ad alcuni ragazzi e ragazze vestiti da coniglietti, Artemisia si affrettò a sistemare con Ajax quanto aveva portato per la festa, dopodiché puntò gli occhi chiari in quelli del collega: - Credo dovremmo andare a salutare Ryurik, non trovi? –
 
Ajax annuì serio in volto, portando Artemisia a pensare che forse quel ragazzo avrebbe dovuto lasciarsi un po’ andare, di tanto in tanto. Così i due si fecero largo fra la folla già ampiamente scatenata tentando di rintracciare il padrone di casa; beh, non ci misero molto a individuarlo: in mezzo all’atelier, sdraiato su un triclinio di nero ebano e con una sovrabbondanza di peonie e rose bianche intrecciate fra i lunghi capelli, Ryurik si stava facendo imboccare da una graziosa signorina. Con dell’uva. Acino per acino.
Artemisia e Ajax si scambiarono uno sguardo, la prima sottintendendo puro stupore, il secondo vera e propria rassegnazione. Ajax conosceva da poco Ryurik, ma da abbastanza per arrivare alla conclusione che quello lì fosse davvero un personaggio unico nel suo genere. Comunque talmente tanto era il suo sgomento, che Artemisia si accorse troppo tardi che accanto a Ryurik vi erano non solo Lir e Alida, bensì anche Jude che sorseggiava un bicchiere di vino con aria placida. Avrebbe ben volentieri fatto dietro front, ma disse a se stessa che non sarebbe stato il modo di comportarsi quello lì. Fra l’altro non aveva intenzione di battere in ritirata solo perché Jude se ne stava lì, con il suo bel vestito e circondato da uno sciame di ragazze che tentavano di attirare la sua attenzione e quella di Lir in ogni modo.
La strega dunque drizzò la schiena, prese un gran respiro e si avvicinò al gruppo.
 
- Buonasera. – Disse Ajax accennando un cenno del capo.
 
- Buonasera… -  Imitò timidamente Artemisia, mostrando poi un flebile sorriso a Ryurik, il quale roteò lentamente gli occhi verdi nella sua direzione con la bocca ancora semi aperta per accogliere l’ennesimo acino d’uva: - Devo farti i complimenti, questa festa sembra splendida. -
 
Intanto Lir si era affiancato a lei per poi stringerle le spalle con un braccio: - Finalmente sei arrivata, amica cara! Scommetto che hai portato un sacco di cose buone da mangiare e sappi che il mio stomaco non aspettava al… -
 
Le moine di Lir vennero interrotte da un movimento brusco di Ryurik, movimento che fece volare via l’uva dalla mano della ragazza che lo stava imboccando. In un insolito gesto di arzilla vivacità quello si era tirato a sedere e poi era scattato in piedi, cominciando a squadrare Artemisia in maniera inquietante; quando le si piazzò davanti, Artemisia si strinse appena a Lir. Quel gesto attirò l’attenzione di Jude che fino a quel momento aveva fatto finta che i due colleghi non fossero arrivati.
 
- Ti vedo teso, successo qualcosa, cucciolo? – Cinguettò Alida a braccia conserte al suo fianco, canzonandolo con quel tono che solo lei poteva permettersi di usare. Jude rispose con un incrocio fra uno sbuffo e un grugnito e i suoi occhi saltarono solo rapidamente sull’amica accanto a lui, prima di farli rimbalzare nuovamente da Ryurik ad Artemisia.
 
- Tu… ma tu oggi sei brillosa! – Ryurik accompagnò la bislacca esclamazione con lo scorrere delle mani, che indicarono l’intera figura di Artemisia, per l’occasione chiusa in un delizioso vestitino a pois.
 
- Intendi brillante, suppongo. – Lo corresse Ajax, ormai avvezzo a coprire quel ruolo. Intanto Artemisia stentava ancora a capire.
 
- Quello che dici tu. – Ryurik scosse la mano, per poi tornare ad ispezionare Artemisia con minuziosa attenzione; la strega deglutì: - Emh… grazie, anche tu stai molto bene, adoro i tuoi fiori. – Aggiunse con la sua cortesia diplomatica; Ryurik però non parve darle ascolto. Sembrava in trance, sotto l’effetto di qualche fungo allucinogeno proveniente dritto dritto dai mercati illegali. Nel frattempo Alida tirò una lieve gomitata a Jude, convinta che se non l’avesse fatto, quello avrebbe finito per consumare i denti a causa di un digrigno teso. Ryurik cominciò a girare intorno ad Artemisia e Lir, dedicando però attenzioni solo alla prima; infine tornò a posizionarsi davanti a lei e si permise di afferrarle le mani e sorriderle come nessuno dei presenti gli aveva mai visto fare prima: - Mi fai il piacere di essere la mia modella? Tu mi fai pensare a Katrina, strega di rivoluzione del mio paese; anche a lei piaceva tanto di indossare i pallini, sai? -
 
Lir intercettò lo sguardo di Alida; lei indicò con il pollice Jude, che non si filava nessun’altro se non Ryurik e Artemisia mentre Ajax alla richiesta di Ryurik, schiuse la bocca oltraggiato.
 
- Fammi capire: chiedi di farti da modella a tutte le persone che ti circondano?! – Intervenne poi, inconsapevole del motivo per il quale si sentiva così tanto infastidito; Ryurik sembrò non capire, così sciolse la presa dalle mani di Artemisia e fece spallucce: - Solo a persone che trovo di interesse. – Poi tornò su Artemisia: - Tu pensa bene e fammi sapere, posso fare un’arte ottima con te. -
 
Artemisia non aveva idea di cosa avrebbe dovuto rispondere, ma di una cosa era certa: il suo collega Ajax aveva ragione,    quel Ryurik era davvero strano!

 
 
Ryurik era cresciuto cercando di accontentare sua madre quanto più possibile, purché lei gli concedesse di scolpire. Aveva imparato ad andare a cavallo, era diventato un asso nel tiro con l’arco, così come si era fatto sempre più capace nello scontro fisico; inutile dire che a Ryurik tutte quelle cose non interessavano affatto, perché l’unico momento in cui sentiva di essere davvero in pace con il mondo era quando afferrava scalpelli e lime.
Eppure Ryurik rimaneva pur sempre il primogenito, colui a cui la madre avrebbe passato il comando. A seguito della nascita di Isey, difatti, Ioann e Feona smisero di tentare di avere altri figli, sebbene il desiderio di una femmina fosse forte nella donna, che sperava di avere una degna erede a cui passare il testimone un giorno; ma i medici le sconsigliarono di tentare ancora, sottolineando che fosse già un miracolo che la coppia di Governatori fosse riuscita ad avere due figli. A malincuore quindi accantonarono l’idea e smisero di assumere la pozione di Etienne, che era risultata fondamentale per mettere al mondo dei figli ma che a quel punto non avevano più motivo di assumere.
A Feona non rimase che puntare su Ryurik, o meglio sulla compagna che si sarebbe trovato e che, ufficiosamente, l’avrebbe sostituita. Una ragazza che in qualche modo la rispecchiasse, cresciuta con i suoi stessi forti ideali nella convinzione che quello di Nadia fosse il giusto modo di mandare avanti il mondo; di fatto qualcuna che avrebbe mosso segretamente i fili legati a suo figlio, il quale non aveva mai mostrato il benché minimo interesse nei confronti della politica.
Purtroppo per Feona, la ragazza che spuntò nella vita di Ryurik non era propriamente ciò che si aspettava: Michelle arrivò nella vita di Ryurik come una mano spianata a schiaffeggiargli l’anima.
Ella si presentò allo studio di Ryurik una sera, in compagnia di Isey; suo fratello gli aveva dato il tormento in quanto non riusciva a trovare una modella adatta alla creazione che aveva da tempo in mente e Isey, con pazienza, aveva cercato qualcuno che potesse rispecchiare il suo ideale.
Aveva ventisei anni, eppure Ryurik non si era mai innamorato di nessuno, uomo o donna che fosse; al contrario si era sempre ben guardato da aprirsi sentimentalmente, perché erano sempre stati i sentimenti a causargli dolore, per questo non fu preparato all’arrivo di Michelle.
Quello che per il primo periodo non fu che un rapporto professionale mutò con una rapidità inaspettata, calda di tempesta estiva, estenuante marea che Ryurik fu incapace di contrastare, facendosi invece trascinare in mare aperto da essa.
Michelle era solare, spigliata, energica. Michelle era speciale.
Così distante da lui, si era insinuata nella sua mente, mentre le mani aggredivano il marmo che voleva rispecchiarne l’anima; Ryurik si accorse ben presto che per la prima volta nella sua vita sentiva essere più impellente condividere con qualcuno, piuttosto che portare a compimento una scultura.
Giorno dopo giorno il tempo passato a scolpire diminuiva, in favore di quello trascorso a cavalcare con Michelle, a insegnarle a tirare con l’arco o più semplicemente a parlare fino all’alba fin quando, stremati, non crollavano addormentati sul pavimento dello studio di Ryurik. Persino fare sesso con lei era subordinato alla voglia di eviscerarsi lo spirito vicendevolmente e quando accadeva che si strappassero di dosso i vestiti e Ryurik affondasse con foga famelica nell’intimo di Michelle, raramente chiudevano gli occhi, desiderosi di non perdere un solo istante l’uno dell’altra.
In poche parole si amavano come si amano i giovani che hanno tutto da mettere in gioco.
Se da un lato Ioann era felice che il suo ragazzo, così storto e rotto e così unico avesse trovato in Michelle l’infermiera della sua anima, Feona non fu altrettanto entusiasta, appena scoprì le origini della giovane ragazza dallo sguardo selvatico.
Michelle faceva parte di una famiglia di rigattieri che vivevano di illegalità ai margini della corte; erano inaffidabili come tutti i rigattieri lo sono e Feona era certa che nessuno avesse insegnato a Michelle ciò in cui credere, perché gente così viveva a scapito di tutto e tutti, facendo solo i loro interessi e girandosi come bandiere al primo colpo di vento quando facesse loro comodo. Non avrebbe mai permesso che Ryurik arrivasse con quella a un punto di non ritorno ed era pronta a fare di tutto, pur di allontanarla dal figlio.
Feona agì alle spalle di Ioann e Isey, entrambi troppo accecati dall’amore provato nei confronti di Ryurik; sia ben chiaro, anche Feona amava suo figlio, ma prima di essere madre lei era la Governatrice della Comune più fedele a Nadia, dai dettami, forse, ancor più rigidi di quelli della Corte stessa e non avrebbe mai potuto mettere a rischio l’equilibrio del suo piccolo regno.
 
 
Le carezzava i capelli, Ryurik. La baciava con la volontà di divorarla, ispezionava il suo corpo senza darsi mai tregua; da un po’ di tempo il mago credeva che il suo potere si fosse assopito, forse perché era così grande la felicità che lui stesso provava, che quella era stata capace di assorbire qualsiasi sentimento non suo, almeno fino a quella sera.
 
“Michelle.” Sussurrò sulla sua bocca, con gli occhi sempre irrimediabilmente calamitati ai suoi.
 
“Ryu.” Rispose lei imitando un timido sorriso, con le dita incastrate nei capelli lunghi di lui che le solleticavano le spalle nude.
Ryurik, però non disse nulla; non lo fece non perché gli mancasse il fiato – Con Michelle questo non accadeva mai- ma perché provò fastidio e, infondo al petto, un pizzico di terrore. Aveva sentito qualcosa di strano in lei, qualcosa che non gli piaceva affatto: insicurezza, paura, indecisione, tristezza. Non si era mai sbagliato prima e fu certo di non essere in errore nemmeno in quell’occasione, ma decise di tenersi la cosa per sé, deciso ad approfondire per conto suo. Magari, per una volta, si stava sbagliando.
 
 
Scoprire l’orrore fu semplice. Bastò fare qualche domanda giusta, ficcanasare nelle lettere di sua madre e spiarne un paio di conversazioni, per scoprire che Feona aveva ottenuto un colloquio con Michelle, durante il quale le aveva promesso una lauta ricompensa se fosse scomparsa dalla vita di Ryurik; terre prosperose da coltivare per la sua famiglia, di modo che non avrebbero più dovuto girare per mercati, a patto che Michelle rinunciasse a suo figlio.
Il mondo si sgretolò sotto i suoi piedi e il cuore che lui aveva donato a quell’essere umano tanto speciale, si inaridì inesorabilmente.
Ryurik non fece nulla per impedire a Michelle di abbandonarlo, nonostante fosse consapevole della scelta che la ragazza aveva preso; durante gli ultimi giorni che passarono insieme l’unico sentimento che emanava la ragazza era rimorso e Ryurik sperò fino all’ultimo che lei cambiasse idea. Sarebbe stato bello.
 
Quando Michelle scomparve nel nulla senza lasciare nemmeno un biglietto, Ryurik si rinchiuse per giorni nel proprio studio scatenando preoccupazione nella famiglia, convinti che difficilmente si sarebbe ripreso. Non lo sapevano, che Ryurik aveva deciso di finire quella sua opera incompiuta, nata con quell’amore che non avrebbe provato mai più. Con l’ultima levigata, il giovane scultore rinchiuse tutto ciò che aveva provato per Michelle all’interno della statua e abbracciò con rassegnazione l’apatia giunta a coccolarlo.
Michelle l’aveva tradito per volere di sua madre e a Ryurik non restò che progettare un modo per farsi allontanare da Feona, alla quale non avrebbe permesso di usarlo a suo piacimento mai più.
Cominciò a disobbedire apertamente, a mancare le riunioni politiche della comune, ad allenarsi. L’unica cosa che faceva era scolpire portando così Feona all’esasperazione, fin quando la governatrice non decise che l’unico modo per rimettere in riga suo figlio era quello di spedirlo nell’unico luogo al mondo nel quale non avrebbe potuto fare di testa sua.
Quando Ryurik partì per la Corte, ciò che lesse nello sguardo di padre e fratello era tristezza; eppure nonostante l’atmosfera desolante, non riuscì a trattenere un sorriso quando sentì Feona provare rabbia cieca perché, per la prima volta in tutta la sua vita, era stata sconfitta.
 
Quartier Generale
 
La festa di compleanno per Micah era ormai arrivata a quel punto per il quale era assolutamente necessario che i più piccoli fossero portati a dormire; Leaf si era guardato bene dall’assumersi l’ingrato compito, nonostante fosse l’unico davvero sobrio di tutto il Quartier generale, ragion per cui fu ben lieto di sostituirlo Chion, il quale venne assistito dalle misericordiose Mångata e Yuki; la più giovane rischiò di essere messa a letto lei al posto dei piccini visto il suo stato pietoso, ma tutto sommato alla fine riuscirono a cavarsela.
Quando il gruppo di tre raggiunse nuovamente la grande sala centrale, si trovarono davanti l’immagine di Ame e Micah abbracciati e ondeggianti, che cantavano canzoni stonate e continuavano a brindare con chiunque (la parrucca di lei era finita in testa al mago), mentre Oleander, Skog, Jabal e Dimma erano in disparte insieme ad altri ladri. Yuki, incuriosita dal circolo, afferrò la mano di Chion senza pensarci su: - Andiamo, credo stiano facendo un gioco! –
 
Più che imbarazzato, ma forse troppo brillo per opporsi, Chion si fece trascinare, mentre Mångata dopo aver intercettato Ice uscire dalla stanza che condivideva con il figlio, disse che li avrebbe raggiunti più tardi.
 
- Che cosa fate? – Chiese eccitata Yuki; gli sguardi dei componenti dell’insolito cerchio si spostarono su di lei.
 
- Visto le carte che hanno sulla fronte, credo stiano giocando a qualcosa. – Chion parlò reprimendo un singhiozzo, poi sistemò le cuffie antirumore con automatismo.
 
- Stiamo cercando di indovinare il personaggio che ci hanno assegnato… - Jabal, sulla cui fronte aveva una carta con su scritto “Hermione Granger”, si sforzò moltissimo di illustrare il gioco ai due: - Al momento è il turno di Andra… cioè Dimma… cioè… vabbè, avete capito. -
 
Dimma aveva ancora sulla testa la coroncina di fiori e la stava sfruttando per reggere la sua carta; su di essa spuntava il nome “Nadia Miller”, cosa che portò Chion e Yuki a reprimere una risata. Sembrava la più lucida del gruppo, nonostante non avesse mai smesso di bere da quando era iniziata la festa.
 
- Non distraetemi, è già complicato così. Dicevamo… sono un personaggio reale e sono ancora in vita. Vediamo…. – ricapitolò Dimma, che incrociò le braccia e mise su un fare meditabondo: - Ho più di cinquant’anni. – Affermò infine. Una risata fragorosa si scatenò fra i partecipanti al gioco e Jabal, che dal tanto ridere per poco non fece cadere la propria carta, affermò che certamente era così.
 
- Allora mi butto: sono Skog! -
 
L’uomo, fino a quel momento complice della risata generale, si fece d’improvviso di marmo, in perfetta contrapposizione con il resto del gruppo che si scatenarono in una risata sguaiata. – Ma che stronza! – Gridò poi indignato,  mentre Oleander che singhiozzava risate, si era aggrappata al suo braccio. Persino Dimma non rinunciò a una moderata risata davanti all’indignazione di Skog da lei stessa volontariamente provocata: - Scusami, è stato impossibile resistere. –
 
- Ridi ridi, vecchia befana dittatrice che non sei altro! -
 
A quel punto fu la volta di Dimma a trasformarsi in una statua di sale: - Come prego? –
 
L’equivoco andò avanti parecchio e per i ladri fu impossibile smettere di ridere, fin quando non arrivò Micah a scaldare ancor più la situazione, gettandosi letteralmente addosso a Chion, cominciando a carezzargli il viso e profilando scuse e apprezzamenti davvero confusi. Il più giovane si chiese come diavolo fosse finito in una situazione come quella.
 
La Corte
Atelier di Ryurik
 
Lir non ci aveva pensato un attimo ad approfittarsi della situazione per tornare alle buon vecchie abitudini; mentre Ryurik si stava impegnando a reclutare la nuova modella, le giovani che fino a poco prima stavano dedicando attenzioni al padrone di casa si erano spostate su di lui. La guardia del corpo di Etienne aveva preso fin da subito in simpatia Ryurik e nei suoi confronti si erano ammassati sentimenti di mista natura; principalmente provava ammirazione e sconcerto, non capacitandosi di come, in così poco tempo, il mago era riuscito ad attirare così tanto l’attenzione su di sé, specialmente perché Ryurik non aveva mai dimostrato di impegnarsi per ottenere certi risultati.
E a proposito di quest’ultimo, una volta congedata la povera Artemisia, si era girato su se stesso pronto a tornare al suo passatempo preferito della serata, non fosse che della bella ragazza dai capelli rossi che lo stava imboccando non c’era più traccia e che per altro, seduta sul suo triclinio, c’era Alida. La fronte gli si corrugo appena, creando una deliziosa piega fra le sopracciglia che sovrastavano gli occhi, intenti a correre lungo il corpo della Sentinella che ricambiava il suo sguardo senza trasmettere particolare emozione.
 
- Ci sono così tanti posti per sedersi, è davvero necessario che tu occupi il mio? -
 
- Sii un buon padrone di casa e concedimi un po’ di spazio, i miei amici hanno già trovato come passare la serata e io non so cosa fare. -
 
Alida si spostò alla destra del divano, facendo segno a Ryurik di prendere posto accanto a lei; il ragazzo sedette non senza mostrare disappunto: - Puoi fare una miriade di cose- Ryurik cominciò a indicare vari punti della stanza: - Lì c’è il cibo, lì si può ballare, lì ci sono angoli scientemente bui così che chi vuole può appartarsi… ci sono persino dei libri a disposizione per i più asociali; vuoi ancora dirmi che non sai cosa fare? –
 
Alida assunse un’espressione pensierosa e rimase in silenzio per qualche secondo, fin quando non tornò a fissarlo: - Beviamo qualcosa. –
 
Il mago socchiuse gli occhi e iniziò a sistemare alcuni fiori sulla propria nuca: - Puoi benissimo bere da sola, non capisco perché dovresti coinvolgermi; desidero solo tornare a ciò che stavo facendo, ero davvero felice fino a poco fa. –
 
- Nessuno di questi qui riesce a reggere i miei ritmi e scommetto che anche tu non sei da meno; insomma, sarai stato cresciuto a latte e vodka! -
 
- Mpf, latte! Non ricordo nemmeno che sapore abbia, il latte. – Alida era riuscita a smuovere l’accidioso Ryurik e nello specifico il suo orgoglio; nessuno in quel luogo avrebbe retto una gara alcolica se lui era uno dei partecipanti, nemmeno quella lì la quale, nonostante fosse nata nelle terre russe, erano troppi anni che viveva alla Corte.
 
- Ti propongo un accordo, facciamo una gara e se cederai prima di me, allora dovrai sloggiare e restituirmi il trono, che tra l’altro mi spetta di diritto. -
 
Alida mosse le labbra in un sorrisetto soddisfatto, così allungò una mano verso Ryurik per sancire l’accordo. A quel punto il ragazzo richiamò a gran voce alcuni degli pseudo camerieri vestiti da coniglietti e chiese loro di preparare il necessario per un duello alcolico; in men che non si dica Alida e Ryurik furono circondati da tutti i partecipanti della festa che cominciarono ad incitarli a darci dentro.
 
Quartier Generale
 
Mångata allacciò le mani dietro la schiena e ondeggiò -definire la sua andatura in altro modo non sarebbe possibile- fino ad arrivare a Stafford; l’uomo si era versato un generoso bicchiere di liquore ambrato e osservava la festa poggiato ad una parete; sul volto, la solita espressione accigliata che quasi mai lo abbandonava.
 
- Come va? Jack dorme? -
 
Stafford bagnò di nuovo le labbra con il liquore e annuì: - Non fa altro che chiedermi di sua madre. –
 
Anche la ragazza si poggiò al muro e perse lo sguardo fra i Ladri; ognuno sembrava divertirsi molto: - E tu cosa gli rispondi? –
 
- La verità. Amo mio figlio e proprio per questo non ho nessuna intenzione di mentirgli. Gli ho detto che siamo stati catturati e che l’unica cosa che mi hanno detto, è stato che Jul è finita in una Colonia. – Stafford sospirò a lungo prima di proseguire: - Si è straziato; ha detto che dovremmo andare a cercarla, che potremmo salvarla. È questa la parte più difficile. -
 
- Le Colonie sono parecchie e sparse ovunque. È complicato… -
 
Nel sentire quelle parole Ice accennò un sorriso amaro: - Puoi dire anche impossibile; lo so che trovarla sarebbe un’impresa, sempre che sia ancora viva. –
 
La voce di Stafford era profonda, sempre stabile, priva di alterazione; era praticamente impossibile capire che cosa gli passasse per la testa, ma in quel caso Mångata la sentì tremolare appena, come se stesse cercando di cacciare via un grosso e ingombrante nodo. Non glielo fece notare.
 
- Pensi che chiederai comunque agli altri di organizzare delle spedizioni per ritrovarla? -
 
L’uomo scosse il capo con vigore, scolò tutto d’un fiato il liquore nel bicchiere e rispose: - No; non sapremmo da dove partire e io non voglio coinvolgere nessuno. Pensavo di andare io, da solo. –
 
La giovane sgranò gli occhi: - Da solo? E Jack? Lo lasceresti di nuovo?  E poi non pensi a tutti noi? Abbiamo corso un bel pericolo per portarti via dalla Corte, immagino che questo tu lo sappia!-
 
- Jack è l’unico motivo per cui mi trovo ancora qui. – Ice si scostò dalla parete con un movimento brusco intenzionato ad andarsi a rimboccare il bicchiere e Mångata lo avrebbe fermato pretendendo maggiori spiegazioni, non fosse che entrambi vennero catturati dalla baraonda creata dal gruppo di Ladri che stava giocando e su cui Micah si era fiondato poco prima. Così Stafford colse al volo l’occasione per lasciare sospeso quel discorso: - Vado a recuperarlo, credo abbia bisogno di farsi una dormita, o quantomeno di un po’ di aria fresca. -
 
- Povero Chion, credo che preferirebbe spararsi piuttosto che farsi stropicciare così da Micah. -
 
Stafford abbandonò il bicchiere vuoto e si avvicinò agli altri con passo misurato, seguito da una barcollante Mångata; Yuki rideva a crepapelle insieme ad Ame, Ollie, Skog e Jabal, mentre Dimma osservava la scena con sguardo vacuo e un sorriso appena accennato. L’alcol faceva davvero miracoli.
 
- Oh… Staffy! Amico mio! – Accortosi della presenza dell’uomo, il più giovane si sganciò da Chion; quest’ultimo sembrava terrorizzato e con una mossa improvvisa si strinse al fianco di Yuki, ancora percossa dalle risate.
 
- Che dici, vogliamo fare due passi all’aria aperta? Credo tu abbia bevuto abbastanza, per questa sera. -
 
- Vorrei dirti che non è così. – Disse Micah, agitando un indice in direzione di Stafford – Ma io dico sempre e solo la verità, sono famoso per questo… DICO BENE VULKAN?!- Gridò, per poi prendere a guardarsi intorno: - Ehi, ma dov’è il nostro Vulkan? -
 
- Andiamo, su. – Stafford aiutò Micah a mettersi in piedi e il ragazzo salutò il gruppo con calore, prima di farsi trascinare fuori dall’uomo.
 
- Per fortuna è andato via… cominciavo a temere non mi sarei mai svegliato da questo incubo. – Commentò Chion in un borbottio sommesso,  guadagnandosi l’ennesima risata da parte del gruppo.
 
*

 
Alla fine, fra tutto quello che avrebbe ‘forse’ voluto fare, Izzie si era ritrovata ad addestrarsi con altre reclute, per intraprendere la carriera di Sentinella. Nel corso degli anni aveva sviluppato una serie di abilità e passioni, come ad esempio curare le ferite, oppure la meccanica; eppure alla fine aveva accantonato tutto per accontentare i suoi genitori.
Si chiese in più di un’occasione come fosse possibile che le avessero permesso di iniziare l’addestramento e che fossero già trascorsi alcuni mesi senza che il capo delle Sentinelle l’avesse sbattuta fuori a calci; Izzie non si era mai ritenuta speciale e adatta, non fosse stato per il suo potere che comunque messo a paragone con quello di altre Sentinelle, era abbastanza inutile.
Izzie non sapeva andare a cavallo, non era capace di imbracciare un fucile e non sapeva combattere; certo, era pur vero che i compiti delle Sentinelle erano molteplici e non si riducevano al combattimento in campo aperto, ma nemmeno essere totalmente incapaci in quel frangente, perbacco.
In più di un’occasione si era chiesta se per caso non fossero servite le raccomandazioni di suo padre, che era pur sempre l’autista personale di Jude Millan, colui che lo accompagnava ovunque fuori dalla Corte e con il quale aveva sicuramente un rapporto mediamente confidenziale. Eppure Jude, nonostante le mettesse una paura fottuta addosso, le sembrava comunque una persona di principio, che non si sarebbe lasciata influenzare dalle chiacchiere di suo padre. Forse dunque qualcosa di buono doveva pur averlo, Izzie Lee.
Fra le sue qualità risiedeva la buona volontà, perché Izzie non si stancava mai di mettersi alla prova in quanto voleva dimostrare in primis ai suoi familiari e solo in seconda istanza a se stessa, di essere capace e competente. Durante l’addestramento aveva fatto la conoscenza di molte Sentinelle già esperte, fra cui un tale di nome Ajax; ecco, Izzie si era infatuata all’istante del ragazzo, che rispecchiava esattamente tutto ciò che Izzie voleva essere: inscalfibile, affidabile, pragmatico e forte. Ma Ajax non era stato il solo ad attrarre la sua attenzione: c’era stata Artemisia Strong, con quel suo potere inquietante e pericoloso, o ancora Saskia, grintosa e scaltra, per non parlare di qualche pezzo grosso come nel caso di Lir, spietato nell’usare il proprio potere quanto quel suo giavellotto.
Insomma, la lista di quelli che erano migliori di lei poteva durare all’infinito, perciò continuare a interrogarsi per quale motivo lei non fosse stata cacciata dall’addestramento era più che lecita, per quella personcina insicura di Izzie.
 
Mescolava così il tè nella tazza e osservava i rivoli di vapore scappare via da esso, intanto che la madre finiva di preparare la cena e il padre era piegato sul tavolo nel bieco tentativo di riparare la scheda elettronica del telecomando del video registratore; quella sera la coppia avrebbe voluto godersi un bel film in santa pace, ma quell’arnese aveva deciso di smettere di funzionare.
 
“ Passalo a me, ci penso io.”
 
August continuava a sbalordirsi davanti alle capacità della figlia, che riuscì ad aggiustare il telecomando in un tempo ridicolo. Nonostante gli elogi da parte sua, però, Izzie continuava a tenere su il broncio.
 
“ Che ti succede? “ Chiese sua madre a seguito di un cenno da parte del marito.
 
“ Non capisco perché Nadia in persona non abbia ancora dato l’ordine di farmi fuori. Sono un totale disastro rispetto ai miei compagni.” Borbottò timidamente; era tornata a rimescolare il tè, ormai freddo.
 
La coppia si scambiò un’occhiata, poi fu l’uomo a parlare “Non dire scemenze, evidentemente Jude ha scorto del potenziale in te e crede che tu possa essere utile per Nadia e la corte. “
 
“ Ma non credo proprio! Papà, siamo realistici… io valgo un terzo di quanto contano tutti gli altri miei compagni! Mi chiedo quindi se mi sto impegnando così tanto per niente. “
 
“ Per niente?” August spianò entrambe le mani sul tavolo “ Izzie, questa è un’occasione d’oro, lo capisci? Hai idea di quanta fortuna tu abbia a far parte delle Sentinelle? Fra qualche anno potresti diventare una persona di potere, potresti arrivare a contare davvero qualcosa in questo sistema.”
 
Izzie si dedicò a una risatina amara “ Sappiamo tutti che questa cosa non accadrà mai… e sinceramente ancora non capisco se voglio farne parte davvero, di questo sistema qui. “
 
“ Come hai detto? “
 
Izzie si alzò “ Niente, lasciamo stare. Tanto è sempre così, ogni volta che ci avviciniamo a questi argomenti le reazioni da parte vostra sono due: o cambiate argomento, o vi arrabbiate e io questa sera non ho intenzione né di essere presa in giro, tantomeno di litigare. “
 
“ Izzie, torna qui!” Si intromise sua madre quando la vide imboccare la via per camera sua, ma August la bloccò impedendole di seguirla. “Lasciamola stare, credo sia un po’ sconfortata. Lo sappiamo che non pensa davvero certe cose; le abbiamo insegnato a supportare Nadia e che questo è l’unico sistema possibile per non tornare ad ammazzarci fra di noi. Nel suo intimo lo sa. “
 
 
Chiusa in camera sua, Izzie si gettò sul letto e come sempre accadeva, la testa cominciò a lavorare. Pensava al suo addestramento, a Jude Millan e ad Ajax, alle altre compagne Sentinelle e a Nadia; forse non era adeguata come Sentinella, forse non lo sarebbe mai stata. Fugacemente si ritrovò a chiedersi se per caso non c’entrasse il fatto che talvolta era arrivata a mettere in dubbio la Governatrice e per questo motivo, forse, non riusciva ad applicarsi come avrebbe dovuto e potuto.
Izzie però scosse la testa; doveva smetterla di continuare a porsi tutte quelle domande, altrimenti avrebbe rischiato di inciampare in qualcosa di sconveniente. Un qualcosa che, magari, andava contro il volere dei genitori e sopra ogni altra cosa Izzie voleva che stessero bene e renderli fieri.
Il resto non importava.
Forse.
 
 
La Corte
Atelier di Ryurik
 
Ajax faticò a mantenere un’espressione di disapprovazione davanti allo spettacolo a cui stava assistendo. Sembrava di stare al centro di un’arena attorno alla quale un branco di casi umani incitavano delle bestie a combattere; certo era che la gara aveva, man mano, attirato lo sguardo di tutti, perché Alida e Ryurik continuavano a buttare giù bicchierini di liquore come fossero acqua fresca senza dare mostra di cedimento.
 
- Che qualcuno li fermi! – Commentò poi ad alta voce – O finiranno per collassare! -
 
Sulla sua spalla si poggiò la mano di Jude; l’uomo per niente scomposto lo guardò inarcando un sopracciglio, mentre continuava a degustare il suo drink: - Sai Ajax, penso proprio che dovresti farti una risata di tanto in tanto. –
 
- E se te lo dice il re dei musi lunghi io ci rifletterei su. – Commentò Lir alla quale erano avvinghiate due ragazze, per poi tornare con loro a fare il tifo per Alida. Jude mosse appena un angolo della bocca verso l’alto e sarebbe volentieri tornato a guardare lo show, non fosse che con la coda dell’occhio intercettò Izzie Lee avvicinarsi alla porta d’ingresso con passo felpato. Jude si soffermò a riflettere per qualche secondo, ma alla fine decise di seguire la ragazza, borbottando fra sé che si stava decisamente rammollendo.
Izzie, di suo, aveva deciso di approfittare della distrazione generale, specialmente di quella del suo cane da guardia Saskia, per tornarsene a casa; come da ogni previsione non si stava affatto divertendo.
 
- Izzie, fermati un attimo. -
 
La voce di Jude la pietrificò, ma si costrinse a voltarsi molto lentamente perché nonostante tutto era il suo capo che l’aveva appena chiamata. Trovandosi faccia a faccia con lui, Izzie sentì la bocca seccarsi e le braccia intorpidirsi.
 
- Stavo… stavo… andando via. -
 
- Lo vedo, ma prometto di rubarti solo qualche minuto. -
 
Jude cercò le parole più appropriate per confrontarsi con quella ragazza; non era affatto abituato a situazioni di quel genere e fornire spiegazioni non rientrava nelle sue abilità, ma lo scontro verbale che aveva avuto con Artemisia aveva smosso qualcosina in lui, inutile negarlo.
 
- Voglio che sia chiaro che non sono qui per scusarmi con te, in quanto ritengo di avere agito rispettando il mio ruolo, ciò nonostante credo di aver sottovalutato quanto il mio potere possa averti scossa. -
 
Izzie non riuscì a dire una sola parola; si sentiva in parte mortificata, in parte fortemente imbarazzata, per questo motivo lasciò che Jude si esprimesse liberamente.
 
- Noi siamo Sentinelle, il che vuol dire che serviamo la Corte e che il nostro scopo primario e fare in modo che tutto fili liscio. Per questo motivo dobbiamo mettere in campo ogni mezzo a nostra disposizione, questo è ciò che vi ho insegnato anche in fase di addestramento, ricordi? -
 
- Certo. – Si affrettò a confermare lei.
 
- In quel momento avevo bisogno di capire quanto prima cosa fosse successo e tu sei stata il mio mezzo; ripeto, non mi pento di averlo fatto, ma in qualche modo ho esigenza di dirti che mi dispiace se la cosa ti ha messo a disagio. -
 
Jude Millan, il suo capo, l’uomo che l’aveva addestrata, le aveva appena detto che le dispiaceva per lei. Probabilmente se qualcuno le avesse raccontato una cosa smile, Izzie non ci avrebbe mai creduto. La testa si sovraffollò, come sempre, di una serie di complicati pensieri e valutazioni perché se da un lato Jude la aveva sempre incusso un certo timore, dall’altro in quel momento stava svelando un lato umano che la stupì; si dette della stupida: lei era una Sentinella, dannazione! Come era possibile che aveva reagito in una maniera tanto esagerata? Così rispose, senza soffermarsi troppo sui pensieri ammassati in testa.
 
- Hai ragione quando dici che siamo Sentinelle e che è prima di tutto nostro dovere servire la Corte; sono… sono stata sciocca a reagire così, mi dispiace. -
 
Jude alzò una mano: - Direi che ci siamo chiariti. Comunque questa sera non siamo in servizio, torniamo dentro a goderci la festa. –
 
Rossa in viso, Izzie annuì e dopo aver spiegato un sorriso nei confronti del proprio capo tornò sui suoi passi per gettarsi nuovamente nella baraonda. Jude attese un po’ ad entrare e proprio quando stava per farlo, vide spuntare Atlas dal nulla che lanciò nei suoi confronti un paio di abbai pigri. A quel punto il mago accese una sigaretta e parlò al nulla.
 
- Non te l’hanno insegnato che non è educato origliare? -
 
Artemisia spuntò fuori dall’ombra di un angolo buio con Atlas a girarle intorno; la ragazza accennò un sorriso: - Ero venuta a controllare Atlas, non mi aspettavo di certo di trovarmi spettatrice di un evento così raro. Jude Millan che chiede scusa… questa devo proprio raccontarla a Lir. –
 
- Non ho chiesto scusa, ho solo detto che mi è dispiaciuto per lei, è molto diverso. – Sottolineò Jude, allungando il passo verso di lei. I due si trovarono faccia a faccia e per un po’ l’unico suono percepito nell’aria era scaturito dalle boccate di fumo tirate da Jude.
 
- Hai fatto la scelta giusta, credo che per Izzie sia stato importante questo confronto. -
 
- Lieto di sapere che non mi consideri un mostro, fino a poco fa avevo idea del contrario, sai? -
 
 Artemisia scosse il capo e roteò gli occhi al cielo, ma spiegò comunque le labbra in un sorriso: - Sei un buon capo e una brava persona, hai solo bisogno di ricordartelo, ogni tanto. –
 
Jude lasciò cadere a terra ciò che era rimasto della sigaretta e infilò nuovamente le mani nelle tasche dei pantaloni, tornando poi a fissarla con quell’intensità che ad Artemisia faceva sempre girare un po’ la testa: - Quindi ora tornerai a rivolgermi la parola, o devo insultare per poi dispiacermi con qualche altra Sentinella, prima? –
 
Dalla bocca di Artemisia sgorgò una risata cristallina che la aiutò a stemperare quella strana tensione: - Sarai anche una brava persona ma io lo sono più di te, non vorrei mai che qualche mio collega soffrisse come è successo per la povera Izzie! –
 
- Vestitino a pois, bicicletta a fiori… già, sei l’incarnazione della bontà. Potresti benissimo essere un personaggio di fantasia. -
 
- Fossi in te, capo, eviterei di sottovalutarmi. Talvolta le persone meno sospette sono quelle che nascondono i lati più temibili. -
 
- Ne riparleremo quando abbandonerai quella ridicola bicicletta per un mezzo di trasporto più dignitoso. – Concluse Jude, avviandosi poi nuovamente verso l’entrata dell’atelier; Artemisia lo seguì per un po’ con lo sguardo, prima di andargli dietro parlandogli con un tono alterato: - A me non importa come fai di cognome, caro Jude Millan! Ti proibisco in ogni caso di parlare in questo modo della mia bicicletta! -
 
Quartier Generale
 
Quando fece rientro in piena notte, attraversando la sala centrale Vulkan dovette scavalcare più di un compagno evidentemente troppo ubriaco per ritirarsi nei dormitori. Guardando il caos nascosto dalla penombra, Vulkan pensò di aver preso la decisione giusta quando aveva scelto di uscire in missione; sicuramente sarebbe stato esentato dal compiere le pulizie il giorno a seguire.
Si recò silenziosamente in bagno per darsi una rapida sciacquata prima di affondare nel letto; era colto da una tale stanchezza, che era più che certo ci avrebbe messo pochi istanti per addormentarsi.
Il dormitorio che lo ospitava era immerso nel buio e un russare sommesso proveniva da ogni angolo della stanza, ma anche quello non gli avrebbe di certo impedito di abbandonarsi al sonno in men che non si dica.
Raggiunse il proprio letto in punta di piedi e lentamente e tentando di fare il minor rumore possibile, Vulkan scostò le coperte pronto a infilarsi sotto di esse, ma qualcosa nei suoi piano andò più che storto; Mångata si agitava nel letto accanto al suo e Vulkan pensò che quella doveva essersi ubriacata come l’anno precedente e che molto probabilmente stava avendo gli incubi.
Non si aspettava che Mångata spalancasse gli occhi e saltasse a sedere cominciando a urlare mentre il respiro agitato le scuoteva il petto. Vulkan si piegò verso di lei e le afferrò le spalle: - Piano! Sveglierai tutti così! – Sussurrò fissando lo sguardo in quello terrorizzato di lei, ormai totalmente sveglia e ansimante.
 
- Ho… ho visto… ho visto! Morirà! Morirà! – Prese a gridare Mångata e raggelando Vulkan con quelle semplici, terrificanti parole.
 
 


Spero vivamente che qualcuno di voi abbia colto la citazione all’opera da cui questa storia prende il nome (e no, non mi riferisco a Lir e la sua passione per Quentin Tarantino!)
Inoltre il titolo della canzone non è mica casuale: per chi segue le mie follie su instagram, sa che tempo fa c’è stato il mio personalissimo festival di Sanremo con tutti gli oc di questa storia, in cui Ryurik e Ajax hanno partecipato proprio con “Musica leggerissima”.
 
Mi scuso. Mi scuso mi scuso mi scuso! Di che, forse vi starete chiedendo? In primis di averci messo così tanto a pubblicare. In realtà questo capitolo era mezzo pronto già due settimane fa, ma aprile è un mese intensissimo per la sottoscritta, in quanto il 90% della mia famiglia (compresa me medesima) è nata in questo mese; ragion per cui fra pasque, compleanni e lavoro, ho finito per rimandare ancora e ancora la stesura definitiva del capitolo. Inoltre mi scuso in quanto so che questo è un mattone; io vi assicuro che nella mia testa doveva essere un capitolo breve, allegro, per far prendere un po’ di respiro a tutti voi, invece alla fine mi sono ridotta in questa maniera ignobile. Purtroppo a questo punto temo che fin quando non finirò di indagare gli oc, i capitoli verranno tutti molto lunghi.
Perdonatemi!
 
Ma buonasera cari lettori, spero che stiate tutti bene. Questa volta vi chiedo di votare due fra questi personaggi, che saranno i protagonisti del prossimo capitolo. Vi chiedo di votare in tempi umani ( prenderò in considerazione solo i voti che mi arriveranno durante la prima settimana)
 
Ajax
Artemisia 
Vulkan
Mångata
 
Al solito, attendo con ansia i vostri pareri. Abbraccetti!
Bri

 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 10
*** Capitolo VIII ***


CAPITOLO VIII
Perdere la testa per una donna come te, è sempre la cosa giusta da fare
 
La Corte
Residenza di Nadia
 
Jude ascoltò a braccia conserte quanto Nadia avesse da dirgli. Il discorso che sua nonna aveva cercato di infiocchettargli non gli era andato per niente a genio, cosa che Nadia stessa aveva sospettato ragion per cui, come sempre avveniva in quei casi, aveva chiesto il supporto di Etienne.
 
- Devo partire per forza. Manca molto poco alla festa del raccolto e devo sistemare delle questioni, lo capisci? -
 
Lir e Alida, fianco a fianco, si scambiavano occhiate silenziose, mentre Etienne sfogliava un libro sovrappensiero; a quel punto Nadia guardò suo marito, sgranò gli occhi e spalancò le braccia spazientita: - Non hai intenzione di darmi una mano? –
 
- Vedo che te la cavi benissimo da sola, mon amour. – Etienne sorrise placido alla moglie la quale scosse il capo con rassegnazione, per poi tornare su Jude che non aveva fatto altro che controbattere ad ogni parola che gli era stata rivolta. – Non è che io mi diverta ad andarmene in giro, lo sai? -
 
- Lo capisco nonna, quello che invece proprio non capisco è per quale motivo dovrebbero accompagnarti loro e non io. – Disse, indicando le due Sentinelle presenti che non avevano alcuna intenzione di intervenire nella discussione fra la Governatrice e il loro Capo.
 
- Tesoro, certe volte mi pare proprio che non mi ascolti, eppure mi sono sempre tanto vantata della tua intelligenza con chiunque. – Affermazione, quella, che portò Jude a roteare gli occhi; Nadia non dette adito all’espressione esasperata di suo nipote e riprese a spiegare come si fa con gli infanti: - Prima di tutto non ci saranno solo Alida e Lir, bensì verranno con me altre Sentinelle; non molte, perché come ti ho già spiegato, nessuno sa e deve sapere di questo mio viaggio tranne voi. Secondo poi se dovesse succedermi qualcosa strada facendo, cosa che ovviamente non mi auguro, c’è bisogno che tu sia presente alla Corte; ti sei per caso dimenticato che sei il nostro unico erede? -
 
- Quello che tua nonna vuole dire, - finalmente Etienne decise di alzare gli occhi dal libro e intervenire in soccorso di sua moglie – è che la Corte non deve mai rimanere senza uno di voi due. Se disgraziatamente dovesse appunto succedere qualcosa di brutto, saresti te a prendere il comando. Questo tu lo sai bene. -
 
A Jude non rimase che annuire e accettare, a malincuore, la decisone presa dai suoi nonni: - E a te chi penserà? Se Lir parte con la nonna chi sarà la tua guardia del corpo? –
 
- Manda da me la Sentinella che ritieni più idonea, mi fido del tuo giudizio. Ora scusatemi ma vado a controllare di aver fornito tutto il necessario per la partenza di mia moglie. – Etienne si alzò dalla poltrona e prima di uscire dallo studio si avvicinò a Nadia; quest’ultima inizialmente infastidita dalla noncuranza del marito, si era ammorbidita a seguito del suo intervento e non si tirò indietro quando Etienne si sporse per baciarla. Jude seguì con lo sguardo il nonno lasciare lo studio, infine infilò le mani nelle tasche e tornò a rivolgersi a Nadia: - Lo so bene che mi stai nascondendo qualcosa. Non vuoi dirmi qual è davvero il motivo per il quale stai partendo. -
 
- E non sono tenuta a dirtelo, mio caro. – rispose velatamente piccata la Governatrice – Ora se vuoi scusarmi ho bisogno di finire di sistemare le mie cose. – Nadia si rivolse poi ad Alida e Lir: - Anche voi preparate i vostri bagagli, partiremo questa notte in modo che non si sparga la voce. Ah, qualcuno avvisi Ryurik, verrà con noi.-
 
I due si sbrigarono ad annuire per poi filarsela via, anche se non riuscirono a dileguarsi prima di Jude: il capo delle Sentinelle a malapena augurò buon viaggio alla nonna, così uscì dallo studio premurandosi di sbattere la porta. La reazione fece sospirare Nadia: - Certe volte mi sembra di avere ancora a che fare con il bambino che batteva i piedi quando perdeva a qualche gioco con i suoi amichetti. –
 
*
Anastasia Eve Kschessinska aveva passato i primi diciannove anni della sua vita in terre ostili all’essere umano. Quella che una volta veniva identificata come Russia a seguito della guerra che aveva visto coinvolti maghi e babbani, era mutata drasticamente dividendosi fra territori aridi e distese gelide; in entrambi i casi era molto difficile vivere dignitosamente e la popolazione russa era andata via via decimandosi. Ma Anastasia era una ragazza dalla ferrea volontà, per questo decise di intraprendere un viaggio difficile alla volta della Corte; forse le sarebbe costata la vita, ma se aveva anche solo una piccola possibilità di sopravvivere, voleva coglierla al volo.
Fu così che Anastasia prese il cammino in solitaria, lasciandosi alle spalle la sua vita nella speranza di un futuro migliore; si trovò in più di un’occasione a lottare per la sopravvivenza, scontrandosi contro le calamità naturali e gli esseri umani disperati che tentarono di ucciderla per strapparle via quel poco che aveva con sé. Ma la ragazza era stata fortunata; lungo il suo viaggio fece la conoscenza di un uomo con il quale strinse un saldo rapporto e che decise di accompagnarla nel suo viaggio. Non era una persona qualunque, l’uomo di cui Anastasia si invaghì e di cui rimase incinta molto presto: lui era un Ladro di bacchette, che fu in grado di convincere Anastasia a lottare con lui e i suoi compagni per quello che era, a suo modo di vedere, uno scopo nobile. Le spiegò chi fossero i Ladri di Bacchette e per quale motivo lei sarebbe stata una valida infiltrata alla Corte; una ragazza giovane, scappata da terre inospitali, che avrebbe mostrato di voler fare di tutto pur di vivere una vita degna di quel nome. Anastasia ci mise poco a convincersi a riporre fiducia in lui; in fondo le parole che la Governatrice professava e che venivano diffuse dalle voci dei governatori minori sparsi in tutto il mondo, sapevano di bugia. Come poteva infatti volere un mondo migliore, Nadia, quando la maggior parte della popolazione mondiale viveva delle vite misere in luoghi in cui era praticamente impossibile proliferare?
 
Quando Anastasia mise al mondo Nikolai era ormai una cittadina della Corte; il piccolo crebbe in un contesto idilliaco agli occhi della madre, che nel frattempo aveva fatto di tutto per essere ammessa all’addestramento per diventare Sentinella, così da poter aiutare i Ladri di bacchette dall’interno.
Quando il piccolo Nikolai aveva solo cinque anni, Anastasia era ormai ufficialmente una Sentinella in cui i suoi compagni riponevano fiducia; era abile con i fatti e con le parole, al punto che quando ci fu un grande furto di bacchette – un carico che era stato portato di territori ovest-europei- e tutte le Sentinelle vennero interrogate, nessuno sospettò di lei.
Non fu di certo l’ultimo dei furti all’interno della Corte: quelli si ripeterono annualmente e cinque anni dopo, involontariamente, Nikolai ne scoprì l’autore. Aveva dieci anni e una notte si svegliò a seguito di un incubo che lo portò a scendere al piano inferiore della loro casina modesta alla ricerca del conforto materno.
La vocina del piccolo Nikolai si confuse con il brusio che arrivava dalla cucina alla quale si affacciò, scoprendo con sua enorme sorpresa che la madre non fosse sola; infatti la donna era in compagnia di due uomini vestiti di scuro, visibilmente sporchi, ma dall’aria che Nikolai per qualche assurda ragione non trovò minacciosa.
Fu uno dei due a fissare Nikolai e a chiedergli di avvicinarsi; il bambino cercò lo sguardo della mamma con apprensione e si mosse nel momento in cui Anastasia lo incitò a farlo, spiegandogli docilmente che quelli erano dei suoi amici e che non doveva avere paura.
L’uomo fece sedere Nikolai sulle ginocchia e lo fissò in un modo che Nikolai non seppe tradurre; sembrava affettuoso, quasi paterno.
Non ricordò mai cosa gli disse quella notte, ma Nikolai non scordò mai lo sguardo accesso, così simile al suo. Uno sguardo che riscoprì dopo parecchi anni, in circostanze tragiche.

 
*
Quartier Generale
 
Quando aprì gli occhi, Oleander non capì immediatamente dove si trovasse. Era così abituata a dormire all’interno del proprio dormitorio, che il senso di straniamento dovuto all’occupare un altro ambiente del Quartier Generale era più che giustificato. Stropicciò gli occhi con il pollice e l’indice e poi coprì la bocca con la stessa mano per celare un grande sbadiglio; sbadiglio al quale seguì subitamente un grande sorriso, mentre il suo sguardo si spostava sull’uomo ancora dormiente al suo fianco sinistro. Percorse, con i larghi occhi chiari, i tatuaggi che gli ricoprivano il corpo semi coperto dalla coperta e infine si soffermò sul viso a riposo, che raramente aveva visto senza occhiali.
Non riusciva proprio a non sorridere. Le sembrava impossibile quello che stava succedendo e che ormai andava avanti da qualche giorno; galeotta fu la festa di compleanno per Micah, che aveva dato il via a quella appassionante (e segreta) relazione.
Oleander scivolò nuovamente sotto le coperte e quel movimento fece sì che Skog uscisse dalla fase del sonno profondo, per approdare di nuovo nella realtà; si girò piano e allargò il braccio, permettendo alla strega di raggomitolarsi nuovamente accanto a lui.
 
- ‘giorno… - sussurrò lui aprendo appena gli occhi per trovare quelli di Claudia.
 
- Buongiorno, dormito bene? -
 
- Mmm… direi di si. – Un sorriso comparve sul viso di Skog e non riuscendo a trattenersi, la donna allungò il viso per posargli un bacio all’angolo della bocca: - Anche io, ma credo dovremmo alzarci. Non ho idea di quando quei due torneranno dalla missione e non vorrei ci trovassero nella loro stanza. -
 
Un lieve sbuffo uscì dalla bocca dell’uomo: - La stanza in loro concessione, al massimo… qui non esiste proprietà privata; e poi… - Skog si sporse appena per lanciare un’occhiata alla sveglia poggiata sul tronco reciso che fungeva da comodino: - è ancora prestissimo, possiamo rimanere ancora un po’. –
 
- Se non prepari la colazione verremo assaliti da un branco di bambini affamati; sinceramente ci tengo ancora a vivere qualche anno. -
 
- Vorrà dire che ci penserà Yuki. – Mugugnò Skog mentre la attirava di nuovo a sé; il corpo nudo di Claudia scivolò sul suo e una sfumatura malandrina le colorì il viso tutt’occhi: - Jairo… Yuki è partita per i mercati con gli altri, te lo sei dimenticato?-
 
- Maledette missioni, maledetti mercati e maledette colazioni. È pure ora che in questo posto si impari a cavarsela da sé, non ti pare?- Le mani dell’uomo scivolarono sui fianchi di Oleander, che dovette reprimere un pigolio di piacere che la presa le scatenò. Si chinò, sorridendogli a fior di labbra: - Ti conosco, dureresti cinque minuti lontano dalle cucine e poi correresti lì, urlando a squarciagola perché qualcuno si è permesso di toccare le tue cose; so bene che quando si tratta della cucina le tue stronzate sulla proprietà privata inesistente vanno a farsi benedire. -
 
- Guarda, credo di poter resistere ancora un po’. Certo è che se proprio hai tutta questa smania di correre via… - Le dita di Skog salivano e scendevano sulla sua schiena con lentezza calcolata: - … chi sono io per fermarti? -
 
Claudia dedicò una rapidissima occhiata all’orario, giusto il tempo di alleviare il suo senso di colpa. L’orologio segnava le sei e quindici del mattino e a pensarci bene avevano ancora un po’ di tempo, prima di doversi infilare di nuovo nella routine del Quartier Generale.
 
- Va bene signor De Vries, ma se qualcuno dovesse entrare qui dentro, dirò che sono stata stordita. -
 
Skog inarcò un sopracciglio: - Ti vergogni di me? –
 
- Non dire cazzate, semmai è il contrario; sei tu quello che non fa altro che ripetere di essere troppo vecchio per una ragazzina come me. -
 
- Dico solo che potresti trovare di meglio, sei giovane, forte e speciale, Claudia. -
 
La strega si chinò nuovamente e posò un bacio morbido sulle sue labbra, poi si scostò quel poco per poter rispondere: - Che ne dici se rimandiamo l’argomento? Ho tutta l’intenzione di approfittarmi del poco tempo che abbiamo. –
 
Skog arrestò per un momento il movimento delle dita; poi sorrise, con velocità ribaltò Oleander sotto di lui e sancì quell’accordo con una lunga serie di baci sul suo collo pallido.
 
 
Terre di Nessuno
 
- Avremmo dovuto usare i cavalli, perché diavolo non abbiamo usato i cavalli? -
 
Sonne teneva le mani sul volante e tentava di evitare i crateri che costellavano il percorso che li avrebbe condotti ai Mercati della zona sud mentre Ame al suo fianco, con il viso coperto da un paio di grandi occhiali da sole a forma di cuore recuperati chissà dove, gli stava dando il tormento. Dietro di loro Jabal e Chion stavano tenendo d’occhio la mappa disegnata da Leaf nel tentativo di non sbagliare strada. Nonostante avessero fatto quel percorso decine di volte, le Terre di Nessuno della zona sud erano particolarmente aride e i punti di riferimento a loro disposizione si contavano sulla punta delle dita.
 
- Nonostante te lo abbia già detto ieri notte quando ci siamo fermati a riposare, ora mi ripeterò affinché tu mi liberi dal tedio delle tue domande, mia cara amica. In due giorni di viaggio avremmo rischiato di finire le razioni d’acqua e i cavalli sarebbero, con ogni probabilità, morti dissetati. Ci tengo ad Orson e ancor più ci tengo a non rimanere in mezzo alla desolazione delle terre di Nessuno. -
 
- Ma con i cavalli saremmo stati più comodi, invece dobbiamo usare questo scassone che rischierà di farci rimanere a piedi da un momento all’altro! E la cosa no es bonita, entiende amigo? -
 
- Calmati ragazzina, ci siamo portati dietro Chion per questo motivo. – Jabal passò un braccio intorno alle spalle di Chion il quale, con lo sguardo ancora chino sulle mappe, alzò indice e medio in segno di vittoria.
 
- E poi alle brutte c’è Dimma. – Sonne alzò lo sguardo per controllare, tramite lo specchietto retrovisore, che Dimma e Yuki continuassero a seguirli in moto.
 
- Mpf. – Ame incrociò le braccia e piegò le ginocchia in modo da poggiare i piedi sul cruscotto, - Se prendi un’altra buca rischio di volare fuori dal finestrino. -
 
- Fra poco dovremmo incontrare una torretta radio, dobbiamo girare a destra, poi subito a sinistra circondando questo… - Chion avvicinò la mappa alla faccia e assottigliò gli occhi – … credo sia… un pollo. – Il ragazzo borbottò qualcosa a proposito del fatto che gli sembrasse improbabile fosse davvero un pollo, quella macchia di colore sulla mappa.
 
- Giusto! Il cartello del kfc! – Esclamò Ame – Chion spiegami un po’ come mai è la prima volta che ti decidi a venire ai Mercati con noi, guarda che sono divertenti! -
 
- Abbiamo un concetto molto diverso del divertimento. – Rispose il ragazzo intanto che Sonne sterzava in maniera drastica a destra, così da rischiare che Ame gli finisse addosso.
 
- Ahia! E lo sapevo! – Si lamentò lei, finendo poi schiacciata sul finestrino dopo la seconda sterzata di Sonne, che se la sghignazzava per bene.
 
- Siamo quasi arrivati, bisogna coprirci. -
 
Ciò detto Jabal calò il passamontagna sulla faccia, Ame sfilò gli occhiali da sole per indossare la sua maschera antigas, Sonne alzò l’iconica bandana rossa fin sopra il naso e Chion fece lo stesso con la propria.
 
- Ci siamo quasi, Sonne gira lì, possiamo lasciare l’auto accanto a quella pompa di benzina. -
 
Lo scheletro di un ex erogatore di benzina anticipava una serie di bizzarri edifici che sembravano scavati nella stessa roccia; dopo aver riposto la mappa nella tracolla, Chion alzò lo sguardo per osservare quello che per lui era uno scenario nuovo. Che ci fossero i mercati lo si poteva solo intuire da un paio di teloni di cotone che coprivano dei banchi sormontati da montagne di polvere colorata, ma il grosso doveva trovarsi all’interno degli edifici.
 
- Ci siamo! – Appena Sonne fermò l’auto, Ame si catapultò fuori dalla macchina per correre verso la moto di Dimma e abbracciare Yuki con slancio entusiasta. La maggiore sfilò il casco e scosse la testa mentre si apprestava a coprire il volto; Chion invece lanciò un’occhiata a Jabal, che sembrò indurire lo sguardo. Era evidente agli occhi del giovane mago, che Jabal non fosse altrettanto felice di trovarsi in quel posto, che per anni era stato per lui un luogo di tortura.
 
*

Le dita correvano intorno alla medaglietta che portava sempre allacciata al collo, mentre osservava con affetto smisurato la sua piccola correre con gli altri bambini del Quartier Generale. Cassandra Crawley si riteneva una donna fortunata.
Era vero, aveva perso il proprio compagno, spedito in chissà quali Colonie dopo essere stato catturato, ma quel dolore insopportabile in parte era colmato dalla presenza della loro splendida Artemisia, speciale e unica ai suoi occhi di madre.
Di tanto in tanto la giovane donna mentre affrontava le missioni con i propri compagni pensava che avrebbe preferito per Artemisia una vita diversa, magari in una piccola casina tutta per loro, con un fazzoletto verde su cui piantare piante e fiori profumatissimi, ma quei pensieri passavano così come erano arrivati: Cassandra credeva fermamente nello scopo dei Ladri di Bacchette e pensava che la sua bambina non avrebbe potuto ricevere educazione migliore, in quel luogo in cui l’uguaglianza, la parità di genere e di razza regnavano sovrane.
 
“ Artemisia! Vieni un momento qui.”
 
La bambina smise all’istante di far fluttuare un suo piccolo amico in aria grazie alla sua ombra – come ridevano di quel gioco! – e dopo averlo fatto scendere con grazia, corse dalla mamma che puntava con gli occhioni sgranati, di quel blu proprio identico a quelli di lei.
 
“ Mammina! Non è che vai di nuovo lì fuori, non è vero? “ La piccina ci mise un secondo a mettere il broncio, così Cassandra allungò la mano per stringere quella di lei “ Vieni con me, facciamo una passeggiata fino al maneggio. “
 
Mentre nutrivano i cavalli dei Ladri, Cassandra osservava sua figlia che era sempre così entusiasta di avere a che fare con quegli animali, motivo per il quale aveva deciso di affrontare l’argomento proprio così, facendo intrattenere Artemisia con la sua più grande passione.
 
“  Tesoro, tu lo sai che queste missioni che andiamo a fare sono davvero tanto importanti, la mamma te lo ha spiegato tante volte, no? “
 
Il sorriso allegro della piccola si ridusse drasticamente mentre tornava con lo sguardo alla madre; una manciata di fieno ancora stretta fra le piccole dita. “ Lo so, lo fate per noi… così possiamo uscire di qui e vivere nel mondo senza dovere più fare la guerra. “
 
Artemisia aveva da poco compiuto sei anni; nonostante la bambina fosse molto arguta, era ancora difficile per lei capire tutti i meccanismi complicati che stavano dietro allo scopo dei Ladri di Bacchette. Cassandra la incitò a dare a uno dei cavalli il fieno che teneva stretto, poi si inginocchiò di modo da poterla guardare negli occhi “ Lo facciamo per stare tutti meglio; voi piccoli vi meritate un mondo decisamente migliore di questo schifo, tesoro.”
 
“ Mamma!” si lamentò la figlia “Non si dice schifo!”
 
Cassandra scoppiò a ridere in una delle sue risate dolci e piene, che Artemisia non avrebbe mai dimenticato, poi si slacciò dal collo la catenina e la lasciò nelle mani della piccola “Voglio che la tenga tu; ormai sei grande e devi avere una cosa bella da indossare. “
 
Artemisia fissò lo sguardo sulla medaglietta riuscendo a stento a trattenere l’emozione. Ne calcò l’incisione della rosa che si trovava al centro di essa e chiese alla mamma di allacciargliela; solo a quel punto si lanciò fra le braccia di Cassandra ringraziandola con entusiasmo.
 
“ Ti voglio tanto bene, amore mio. Tanto bene. “
 
 
Per i compagni che erano tornati dalla missione con Cassandra, fu dolorosissimo parlare con Artemisia. Dovettero spiegarle, con tutto il tatto di cui erano capaci, che la sua mamma era morta durante la missione da cui loro erano tornati vivi per miracolo. Come si poteva spiegare a una bambina di soli sei anni che Cassandra l’aveva lasciata? Un padre Artemisia non lo aveva già da tempo e la compagna era tutto ciò che le rimaneva.
Quando i Ladri trovarono il coraggio di dirle cosa fosse successo, la prima cosa che fece Artemisia fu stringere il ciondolo allacciato intorno al collo; era troppo piccola, incapace di razionalizzare, di capire davvero che era all’ordine del giorno che la gente morisse come mosche nel deserto. Per lei, di soli sei anni, l’unica cosa che importava davvero era che la sua mamma non ci fosse più. Non l’avrebbe più coccolata, non l’avrebbe più educata, avrebbe smesso di farle credere in se stessa, di non avere timore del proprio potere.
Quando la mattina seguente i Ladri del Quartier Generale si svegliarono, della piccola Artemisia non c’era più traccia; come diavolo era potuto accadere che una piccina fosse scomparsa nel nulla? C’era una falla nella sicurezza dell’avamposto che non conoscevano?
Un via vai di adulti si divise per ispezionare tutte le entrate che riconducevano alla Sala Grande del Quartier Generale, quando l’arcano fu infine scoperto. Il Ladro a guardia dell’entrata Ovest era a terra, svenuto e quando riuscirono a farlo riprendere, raccontò loro di aver solo sentito una stretta disumana intorno al collo che gli aveva fatto perdere i sensi.
Partirono immediatamente delle squadre di ricerca per rintracciare la figlia di Cassandra, ma dopo un paio di giorni i Ladri persero le speranze, con il cuore spezzato e il senso di colpa a mangiare loro lo stomaco: Artemisia Crawley era stata inghiottita dalle Terre di Nessuno.
 
*
 
La Corte
- Fortuna che ho da fare, non ce la faccio più a sentirti sbuffare. -
 
Ajax era visibilmente innervosito dalla presenza per l'appunto sbuffante  di Ryurik, che continuava a lamentarsi del fatto che gli avessero tolto ancora una volta quel benedetto collare. Aveva seguito gli ordini del suo capo e aveva dato via agli interrogatori nella Corte, per capire se qualcuno fosse coinvolto in qualche modo nell’incendio del mulino. Sfortunatamente come compagno gli era stato assegnato Ryurik, che era sempre di pessimo umore quando gli veniva sottratto il collare.
 
- Anche io devo fare di una cosa, ma non ho voglia. -
 
Ajax sorrise con soddisfazione: qualsiasi cosa dovesse fare Ryurik, non sarebbe stato equiparabile all’onorevole compito di sostituire momentaneamente Lir come guardia del corpo di Etienne, in quanto la Governatrice si sarebbe dovuta assentare per una missione top secret.
 
- Strano che tu non abbia voglia, non succede mai. – Ajax scosse la testa e gettò uno sguardo all’orologio: - Meglio che mi avvii, dovrò fare rapporto a Jude prima di fare ciò che devo fare. -
 
Così salutò rapidamente Ryurik e si avviò verso la propria auto, parcheggiata a una manciata di metri da lì. Una volta dentro, inarcò un sopracciglio quando vide Ryurik raggiungerlo, salendo dal lato del passeggero.
 
- Emh, ti ho detto che sono molto di fretta. -
 
- Anche io, quindi mi devi dare… come è che dite voi qui? Un taglio? -
 
- Uno strappo. – Lo corresse con pazienza Ajax, anche se non si risparmiò di berciare che non aveva la minima intenzione di ritardare; doveva raggiungere la residenza di Nadia entro dieci minuti. Sentendo ciò, Ryurik batté le mani con soddisfazione: - Direi che è buono, anche io devo andare lì! -
 
Ajax aggrottò le sopracciglia e lo guardò con aria sospetta: - Trovo curioso che anche tu debba raggiungere la residenza della Governatrice. Non vorrai mica convincere mister Millan a rimetterti il collare, sarebbe molto irrispettoso da parte tua. –
 
Ryurik ignorò la domanda indiretta posta da Ajax e abbassò lo specchietto davanti al posto del passeggero prendendo poi a sistemarsi i capelli; per un po’ stettero in silenzio, almeno fin quando, spinto dalla curiosità, Ajax non tornò a parlare: - Allora mi vuoi dire che accidenti devi fare? –
 
- E tu cosa devi fare? – Chiese in risposta Ryurik, rendendo evidente che se non avesse risposto, Ajax non avrebbe ottenuto a sua volta una risposta. Poco male, pensò prima di sorridere con soddisfazione: - Non posso dirti il motivo, ma sappi che dovrò stare un po’ di tempo al fianco di Etienne Millan; sarò la sua guardia del corpo. -
 
Ma la sua boriosa felicità si sgonfiò nel momento in cui Ryurik non sembrò affatto stupito. Dopo altro silenzio, ormai insopportabile, Ajax chiese di nuovo: - Allora?! Perché diavolo non dici nulla?! –
 
- Siete tutti molto agitati in questo posto, forse è colpa di acqua che si beve qui. – Ryurik parlò più a se stesso che ad Ajax, poi  appoggiò il gomito al finestrino e abbandonò mollemente il mento sulla mano: - Se ci tieni tanto a sapere questa cosa, io devo passare del tempo con Nadia; piace tanto quando sto vicino a Alida. -
 
Ajax frenò con un moto di rabbia e guardò furioso Ryurik: - Sei qui da uno sputo di tempo e già la Governatrice ti porta con lei in missione?! –
 
Di tutta risposta Ryurik ribadì che era più che sicuro che il problema degli abitanti di quella comune dovesse essere proprio nell’acqua, altrimenti non si spiegava perché fossero uno più pazzo dell’altro.
 
Quartier Generale
 
Quando Vulkan fece rientro al Quartier Generale, provato e affamato, era ancora mattina. Effettivamente si aspettava di trovare pochi Ladri presenti, visto che buona parte degli adulti si trovava chi in missione, chi in visita ai Mercati della zona sud. Si recò silenziosamente in refettorio, dove trovò Oleander con la faccia trasognante mentre faceva colazione, ma appena la strega lo vide entrare cambiò subito espressione.
 
- Che ci fai qui? Ero convinta che fossi andato con gli altri! -
 
Vulkan non disse niente limitandosi invece a chiedere a Skog, sbucato dalle cucine con una caraffa di caffè fumante, se ci fosse qualcosa da mettere sotto i denti. Oleander lo squadrò e nonostante si fosse resa conto che l’uomo fosse molto stanco, non mollò il colpo: - Quindi? Siete scomparsi sia te che Mångata e Ice, mi vuoi dire cosa sta succedendo? Non era prevista nessuna missione per voi. –
 
- Fra poco, prima ho bisogno di acqua e cibo. -
 
A quel punto Olenader comprese la situazione, così si alzò lei stessa per andare a recuperare cibo e acqua per Vulkan. Quando tornò, l’uomo mormorò un ringraziamento e poi attaccò le cibarie, intervallando il masticare con grandi sorsate d’acqua.
 
- Sai, è una situazione… complicata. – L’abbondante colazione fece tornare a Vulkan il dono della parola e Oleander rimase in ascolto, stando bene attenta che nessun ragazzino girovagasse lì intorno, anche se tecnicamente in quel momento erano tutti impegnati nello studio.
 
- Non ho fretta. -
 
- Credo sia successo un casino, però promettimi di non farne parola con nessuno. -
 
Oleander annuì: - Muta come una tomba. –
 
Dopo aver soppesato la situazione, Vulkan si decise a vuotare il sacco.
 
- La sera del compleanno di Sonne… tre sere fa ormai, beh… sono tornato dalla mia missione e quando sono andato nel dormitorio mi sono ritrovato davanti a una scena abbastanza surreale. Pare che la ragazzina abbia fatto uno dei suoi sogni. -
 
- Parli di Mångata? -
 
- Proprio lei. Sembrava su un altro pianeta, urlava di una persona che sarebbe morta, ho dovuto tapparle la bocca e poi convincere tutti coloro che stavano dormendo che andasse tutto bene. Il problema è che lei è svenuta senza aggiungere altro. A quel punto ho aspettato la mattina dopo per parlarci. -
 
Oleander annuì e lo incitò ad andare avanti, cosa che Vulkan fece, seppur con difficoltà.
 
- Quando ci ho parlato, pare non si ricordasse assolutamente nulla, lamentava un forte mal di testa, ma inizialmente lo aveva attribuito alla serata passata a scolarsi qualsiasi cosa. Poi siamo andati nella sala riunioni e lì ho continuato a insistere; sappiamo bene che se sogna qualcosa lei c’è da preoccuparsi. -
 
- E non poco. – Commentò Olenader reprimendo un brivido.
 
- Alla fine qualcosa è saltato fuori. Ha detto di non ricordare praticamente nulla, se non una persona con degli stracci addosso e un luogo davvero molto scuro, qualcosa che non aveva mai visto prima. Ho ipotizzato che magari potevano essere delle Colonie. -
 
- Se Mångata non ha riconosciuto lo scenario, probabile sia così. Hai altri dettagli? Magari possiamo capire se si tratta di quelle in cui sono stata io. -
 
- Claudia, non è questo il punto. – A quel punto Vulkan sfregò il viso con la mano e poi puntò gli occhi chiari in quelli di lei: - Il mio udito, il mio olfatto… mentre parlavo mi sono reso conto che qualcuno ci stesse ascoltando dietro la porta, così mi sono alzato per andare a vedere di chi si trattasse, anche se avevo riconosciuto il suo odore. Ecco, Stafford ci ha sentiti e da quel poco che ha ascoltato, ha evidentemente dedotto che Mångata parlasse di Juliette. Si è convinto si trovi alle Colonie nella zona ovest della Corte e ha deciso di andare a cercarla. -
 
- Che cazzo dici?! -
 
- Fammi finire. – Vulkan alzò le mani e con quel gesto Oleander tornò a sedersi, anche se ebbe difficoltà a mantenere la calma.
 
- Non è partito subito, è stato più macchinoso. Sai come è fatto Stafford, è molto, molto intelligente; ha fatto finta di calmarsi, ci ha fatto credere che non avesse intenzione di muoversi, poi la sera ha messo Jack a dormire ed è partito. Quando Mångata lo ha scoperto era passata giusto un’ora, pare glielo abbia detto Logan, che si trovava a guardia dell’ingresso da cui è uscito. A quel punto è andata nel panico, si è fatta divorare dai sensi di colpa; ha recuperato i suoi coltelli ed è corsa fuori per seguirlo. -
 
- E tu cosa hai fatto? -
 
- Non potevo fare altro che seguirla, ma ho perso praticamente subito le sue tracce, perché siamo entrati in collisione con una squadra di Sentinelle in perlustrazione e quindi ci siamo dovuti dividere. Mi sono nascosto e ho atteso un po’ di tempo, poi ho cercato di seguire le sue tracce ma è stato inutile. -
 
- Mi vuoi dire che sia lei che Stafford sono scomparsi? -
 
Vulkan aggrottò la fronte e annuì debolmente.
 
- Merda. Questa è una vera merda. – Concluse Oleander e a Vulkan non restò che concordare con lei.

 
*
 
Fu all’età di tredici anni che Nikolai comprese di essere in qualche modo speciale. Fino a quel momento la sua vita era stata semplice, principalmente fatta di giochi con i suoi coetanei e giornate passate in compagnia di sua madre, quando Anastasia non era impegnata in qualche missione; poi cominciò a rendersi conto di qualcosa di strano quando gli odori che arrivavano al suo naso erano davvero troppo forti, o i rumori che dovevano essere lontani sembravano così vicini, al punto di arrivare a lamentarsi con sua madre. La donna capì presto che suo figlio aveva sviluppato un potere speciale e che probabilmente nel suo sangue o in quello dell’uomo con cui aveva giaciuto, risiedeva una linea magica.
Anastasia, ferma ormai da un paio di anni nella cooperazione con i Ladri di bacchette in quanto si era fatto troppo pericoloso, aveva deciso di impiegare le proprie energie per aiutare il figlio a gestire al meglio il proprio potere; fu così che iniziarono i loro allenamenti segreti, durante i quali la Sentinella si adoperò per insegnare al figlio l’arte del combattimento e con lui trovò la giusta via per far si che il suo potere non risultasse per lui una condanna, bensì una benedizione.
E Nikolai più cresceva più diventava forte, scaltro, coraggioso; era l’orgoglio di sua madre, che riconosceva nel figlio un potenziale enorme che sarebbe maturato giorno dopo giorno con il giusto allenamento.
Passarono così altri tre anni. Anastasia continuava a svolgere servilmente il suo lavoro di Sentinella mentre Nikolai si allenava, dedicando al resto poco tempo, sebbene non si risparmiasse di incontrare i ragazzi con cui era cresciuto alla Corte di tanto in tanto. Nikolai non poteva saperlo che un innocente pomeriggio passato a chiacchierare con i propri coetanei avrebbe di lì a poco stravolto la sua vita.
Poco più piccolo di lui, capitava che Jude –che Nikolai conosceva fin dall’infanzia- si vedesse con quel gruppetto di coetanei quando gli veniva permesso da Nadia. Uno sfortunato giorno i Ladri erano tornati a farsi vivi con Anastasia proprio mentre nel cortile esterno alla casa di Anastasia, Nikolai Jude e altri ragazzi stavano giocando a palla; i Ladri parlavano di un grande carico che sarebbe arrivato alla Corte e che Anastasia avrebbe dovuto recuperare e Jude, rientrato per bere, si fermò giusto in tempo sul corridoio che portava alla cucina e origliò ciò che stavano dicendo.
Ormai Nikolai aveva diciassette anni, era un uomo ed era pronto ad aiutare la madre per dimostrare di essere pronto a iniziare l’addestramento per diventare Sentinella; dei traffici di Anastasia sembrava non sapere nulla, o almeno questo era ciò che voleva credere così quando Anastasia gli chiese di aiutarla perché doveva svolgere un lavoro per Nadia, Nikolai acconsentì subito. Insieme i due si recarono nel luogo della Corte dove la ribelle sotto copertura sapeva avrebbero portato le bacchette, la residenza di Nadia. Nikolai si dava da fare trasportando scatoloni e Anastasia era poco distante da lui, con il fucile sulle spalle e un’espressione velatamente ansiosa.
Quando Nikolai sentì il primo sparo, non poté che mollare istantaneamente la scatola per coprirsi le orecchie; i rumori tanto forti erano ancora difficili da sopportare per il giovane. Nel momento in cui si riprese e gli occhi si schiusero con insicurezza, di orrore si invase la sua vista.
Anastasia, poco distante da lui, aveva mollato la presa del fucile e lo guardava, mentre lentamente scivolava sulle ginocchia per poi cadere a terra, bagnata di vivido rosso umido e acre. L’avevano colpita. L’avevano ammazzata.
 
“Mamma… mamma! No! “ Nikolai corse verso di lei e sul basso si chinò, inorridito e sconcertato da quello a cui non era affatto pronto.
 
“ Mamma! Ti prego… ti prego… “ Non sapeva cosa fare; tentò di scrollarla con tutta la delicatezza di cui era capace, ma il corpo ancora caldo di Anastasia non reagiva. Gli occhi chiari di Nikolai percorsero il suo corpo e mentre senza razionalizzare afferrava il fucile, salì a guardare verso l’alto, incrociando così lo sguardo serio di Jude Millan, che lo osservava dal balcone della residenza della Governatrice.
Nikolai si alzò; le gambe tremavano come a sorreggere un peso eccessivo, ma lui si disse che non era quello il momento di cedere. Guardò le Sentinelle intorno a lui con sguardo fugace e lesse in ognuna di loro tristezza e dolore, per aver dovuto colpire la compagna di una vita.
Poi iniziò la sua corsa verso l’uscita della Corte, mentre tratteneva il fucile fra le mani ancora inesperte; sentì delle urla, degli ordini di cattura, ma nessuna Sentinella si mosse abbastanza rapidamente per riuscire a catturarlo e probabilmente, ma questo Nikolai lo intuì solo più in là nel tempo, quello fu il modo degli ex compagni di sua madre di scusarsi per aver messo fine alla sua vita, dando al figlio una possibilità.
Gli occhi appannati di lacrime avevano difficoltà a capire la direzione verso la quale stava correndo e l’unica cosa che realmente realizzò, fu di aver superato il cancello principale della Corte.
Infine con il fiato mozzo e la palpitazione che gli spaccava il petto, si accasciò a terra abbandonandosi allo svenimento. L’unica cosa che vide prima di perdere i sensi fu il movimento di un mantello scuro. E poi il buio.
 
*
La Corte
Casa di Artemisia
 
Gli occhi di Izzie saltavano dalla figura di Lir, sbocconcellante una torta sfornata da poco e Atlas, il cane della padrona di casa che guardava la Sentinella con sguardo famelico. Lei continuava a sorseggiare il proprio tè lievemente divertita da quella scena; nonostante non avesse molta confidenza con Lir, quel ragazzo le stava simpatico anche se dopo che lo aveva visto adoperarsi durante una missione, aveva capito che sotto quel bel faccino sempre sorridente, si nascondeva un uomo micidiale che, all’occorrenza, non si faceva nessuno scrupolo a far fuori il nemico.
Comunque in quel momento non era che il solito, simpatico Lir, che tentava maldestramente di trattenere per sé le cibarie, mentre quell’adorabile cagnolone lo guardava implorante.
 
- Potresti dargliene un pezzetto, non morirai di fame per così poco. – commentò Izzie fra un sorso di tè e l’altro.
 
- Non se ne parla. A breve partirò per una missione che non so quanto di preciso durerà. Magari passerò mesi lontano dalla Corte, durante i quali il mio unico pasto sarà qualche brodazza immangiabile a fine giornata! -
 
- Ogni giorno che passa ti fai sempre più melodrammatico. – La voce di Artemisia giunse nel salotto ad anticiparne la figura; nel sentirla Atlas si girò istantaneamente e corse verso la padrona, lasciando perdere Lir e il suo cibo.
 
- Vai tesoro, è pronta la pappa. – A quel punto il cane si fiondò all’istante verso il punto indicato dalla padrona, scomparendo così oltre la porta della cucina.
 
- E poi… - proseguì Artemisia prendendo posto accanto ad Izzie: - Quale missione ti tratterrebbe mai così tanto tempo lontano dalla Corte? -
 
- Già, sebbene non sia proprio da tanto tempo che sono fra le Sentinelle, non ho mai sentito di missioni così tanto lunghe. Sinceramente non vorrei mai partecipare a una di esse. – Izzie trattenne un brivido per poi tornare a sorseggiare la bevanda ancora calda.
 
- Penso semplicemente che non si possa mai sapere e in questo mondo è sempre bene essere previdenti, care mie. A tal proposito… - Lir adocchiò la torta quasi intera sul tavolo.
 
- Te la preparo, così puoi portartela via. – Artemisia roteò gli occhi al cielo e poi borbottò che senza di lei con ogni probabilità l’amico sarebbe morto di fame.
Mentre i due continuavano a parlare, lo sguardo di Izzie vagò intorno alla stanza; la piccola casina di Artemisia aveva sempre la capacità di essere in perfetto ordine e non c’era mai stata una volta che non ci fosse profumo di fiori nell’aria. Quella volta però Izzie notò una serie di strani oggettini, dei pupazzetti fatti con materiali di ogni genere dalla fattura infantile, poggiati con casualità su un angolo del tavolo del salotto che li stava ospitando.
 
- E quelli? – Chiese poi, non pensando minimamente che davanti a se aveva una ragazza riservata, che difficilmente si apriva per raccontare qualcosa di sé. Quando Artemisia capì a cosa si riferisse Izzie, si irrigidì appena: - Oh… sono dei vecchi ricordi, li avevo messi lì per pulirli. -
 
- Ehi, ma io questi li riconosco… - Izzie pensò fosse alquanto strano che Lir si distraesse dall’allettante torta per dedicare l’attenzione a qualcos’altro; evidentemente dovevano proprio essere degli oggetti particolari.
 
- Già, felice che te ne sia ricordato. – Sul volto di Artemisia comparve un accenno di malinconico sorriso e osservò Lir avvicinarsi a quegli oggetti; quando ne prese uno in mano ebbe l’istinto di fermarlo e ordinargli di rimetterlo al proprio posto vista la fragilità di quei ricordi, ma si trattenne consapevole che non poteva farlo, non con Lir. Quest’ultimo portò quel cagnolino fatto di bulloni e alluminio davanti agli occhi, poi sussurrò: - Questi li ha fatti Liv. -
 
- Li ho portati con me quando ho lasciato lo Strong. – Che sciocca, quelle sue stesse parole le suonarono come una giustificazione per quello che aveva fatto.
 
- Ecco… - Izzie abbassò la tazza del tè e cominciò a far rimbalzare lo sguardo fra i due: - Chi sarebbe Liv? -

 
 
La Sentinella Ross Renegan stentò a credere ai suoi occhi, quando in mezzo ai ruderi delle Terre di Nessuno trovò una bambina apparentemente da sola. Nel momento in cui la avvicinò, preoccupato che qualche reietto stesse usando la piccola per tendere una trappola al gruppo di ricognizione, la bambina dimostrò diffidenza; aveva i vestiti strappati, gli occhi arrossati di lacrime, i capelli arruffati.
 
“ Come ti chiami? Dove stanno la tua mamma e il tuo papà? “
 
Nel sentir nominare i genitori, Artemisia scoppiò di nuovo a piangere e Ross Renegan capì ben presto che quelle lacrime erano sincere e che nessuno stava tendendo loro un’imboscata. Non restava da capire cosa ci facesse una bambina così piccola da sola in mezzo al nulla e specialmente come fosse riuscita a sopravvivere, dato che una volta calmata la bambina raccontò di chiamarsi Artemisia, che erano due giorni che vagava da sola e che stava cercando la sua mamma.
Ross Renegan non ci mise molto a capire come fosse riuscita a sopravvivere, la piccola Artemisia, visto che involontariamente aveva scatenato la sua ombra, che si era messa a guardia personale non appena la Sentinella si era avvicinata a lei più del dovuto.
L’uomo riuscì a convincere Artemisia con dell’acqua e del cibo a dargli fiducia e non mancò di complimentarsi per la sua bellissima e fortissima ombra, sottolineandole che fosse un dono speciale. Probabilmente – e Ross Renegan questo non poteva saperlo- furono quelle parole a far abbassare la guardia ad Artemisia, essendo per assurdo le stesse che sua madre le ripeteva da che avesse memoria.
Fu così che la Sentinella Renegan riuscì a portare la bambina all’orfanotrofio Strong, fortunatamente non troppo distante dal punto in cui l’aveva trovata. L’entrata di quel luogo terrorizzò Artemisia, che ben presto comprese che non avrebbe più avuto speranze di ritrovare la sua mamma e di tornare con lei al Quartier Generale; era lo Strong ad essere la sua nuova casa.
Inserirsi in quel contesto fu terribilmente difficile; la maggior parte dei bambini la tenevano distante, impauriti dal suo potere che a differenza di quello che sempre le era stato detto, definivano come una mostruosità.
 
Sei un mostro.
State lontani, o la sua ombra vi strangolerà.
Ci ammazzerà tutti.
 
Artemisia passava le sue giornate a far fronte al maltrattamento da parte dei compagni di orfanotrofio e questo la fece chiudere ancor più in se stessa; l’autostima crollò e cominciò seriamente a pensare che tutto quello che le era stato detto da sua madre e dagli altri non fossero che bugie, che in realtà lei fosse davvero un mostro e che meritava quelle angherie.
Fu una zazzera di capelli biondi, dalla faccia malandrina di chi la sapeva lunga, a offrire una mano amica ad Artemisia; Liv si dimostrò ben presto una bambina speciale, molto diversa dalla maggior parte degli altri ospiti dell’orfanotrofio. Non solo, infatti, fin dal loro primo incontro aveva mostrato vero e proprio entusiasmo nei confronti del potere di Artemisia, definendolo ‘una gran ficata’ ‘pazzesco’ e ‘perfettamente splendido’ un modo di dire che Artemisia imparò ad associare alla sua coetanea; inoltre Liv, secca come un chiodo ma energica come un leone, le insegnò a proteggersi dalle angherie degli altri.
 
“ Tu non sei mica scema! “ le disse una volta, dopo aver scacciato tre bulletti da Artemisia, minacciandoli di pelarli come un sacco di patate, “ perché ti fai trattare così? Guarda che per stare qui e non farti schiacciare devi imparare a reagire! “
 
Con gli occhi rossi di pianto, la piccina confessò a Liv che il suo unico desiderio fosse quello di scappare di lì e rimase a bocca aperta quando la bionda scoppiò a ridere, mostrando la bocca con una manciata di denti da latte in meno: “ Provaci pure se vuoi, io ci ho provato già un sacco di volte e non ci sono mai riuscita! “
 
Come era possibile che Liv, che non aveva che sette anni scarsi, avesse già provato a scappare di lì? Artemisia rimase scossa dalla vitalità di Liv, che nonostante tutto non mostrava cenni di scoraggiamento e che al contrario dava segno di voler continuare ad insistere, perché prima o poi, a detta sua, dall’orfanotrofio sarebbe scappata.
Fu così che le due piccine crebbero insieme, facendosi scudo vicendevolmente; erano diverse come la luna e il sole, quelle due, ma questo non impedì loro di diventare inseparabili e di creare quel legame necessario alla sopravvivenza.
E proprio tramite Liv, Artemisia si avvicinò con il tempo anche ad un ragazzino parecchio più grande di loro, con cui non avrebbe un granché avuto a che fare non fosse stato proprio per Liv. C’era da dire che Lir Artemisia e Liv, quando si trovavano fianco a fianco, fossero davvero buffi, ma al contempo molto potenti e con la loro amicizia Artemisia sentì il senso di inadeguatezza e inferiorità assottigliarsi un pochino.
Non ci fosse stato Lir nella vita di Artemisia, probabilmente non sarebbe mai riuscita davvero a superare la fuga di Liv – unica all’orfanotrofio a conoscere qualche dettaglio su sua madre-, la quale giunta ai diciassette anni, decise di architettare un piano infallibile per fuggire dallo Strongo e lasciarselo alle spalle. Piaoe che ovviamente la biondina, che ormai l’aveva staccata in altezza di un po’ di centimetri, aveva condiviso con lei in stretta confidenza.
 
“ Ti rendi conto che noi questo posto ce lo dobbiamo dimenticare? Fa tutto schifo qui dentro. “
 
Liv, concitata e ansiosa, tentò di convincerla che lo Strong non fosse più posto per loro e che lì fuori sarebbero riuscite a trovare il loro riscatto. Ma Artemisia, che mai aveva smesso di sentirsi debole, fu terrorizzata dall’idea di scappare.
 
“ Non sono… ‘abbastanza’, Liv. Non sono come te. “
 
“ Non sei come me?! Tu hai uno stracazzo di potere mega assurdo, Misia! Con quello non ci fermerebbe nessuno; potremmo diventare delle leggende nelle Terre di Nessuno! Ci pensi? I nostri nomi sarebbero sulla bocca di tutti e magari anche i nostri identikit. Ho sempre sognato di avere una taglia sulla testa! “
 
Artemisia non poteva che ridere nel sentire le fantasticherie dell’amica, ma smise nel momento in cui si rese conto che Liv faceva sul serio; lei voleva scappare davvero e le stava offrendo l’opportunità di seguirla.
La notte in cui Liv decise di attuare il suo piano, Artemisia non si fece trovare; sapeva che Liv non l’avrebbe condannata per la sua scelta, ma niente e nessuno le tolse dalla testa che, in fondo, la sua amica la considerasse una codarda, incapace ad andare contro a quel sistema che le voleva o pronte a servire la Corte, o relegate ai margini della società.
 
Con Liv lontana dalla sua vita, ad Artemisia non rimase più nessuno di importante e nulla le impedì di accettare l’invito di Lir di seguirlo alla Corte, per mettere al servizio della Governatrice il proprio potere. Il ragazzo la incitò, dicendole che alla Corte avrebbe trovato tutto ciò di cui aveva bisogno, tutto quello che desiderava; Lir descrisse la Comune di Nadia come un paradiso vero e proprio, così lontano dall’algido orfanotrofio in cui era cresciuta e in cui aveva dovuto imparare a lottare per un po’ di cibo dignitoso, o semplicemente per non trovarsi in continuo stato di sofferenza psicologico.
Così dopo circa un anno dalla fuga della sua più grande amica, Artemisia recuperò le quattro cose che aveva accumulato nel corso dei dodici anni passati allo Strong, fra cui tutta una serie di strani pupazzetti che aveva costruito Liv e che le aveva lasciato, per poi seguire Lir in marcia verso la Corte.
Sarebbe stata dura, ma che cosa aveva da perdere?
Sua madre era morta da tempo e anche se lei non si era mai data pace, continuando invece a reperire delle informazioni sul suo conto e su quanto le era successo, non era più lì con lei.
Liv, quella sua strana amica che considerava come una sorella se ne era andata, facendo si che le loro strade si dividessero forse per sempre.
Magari alla Corte avrebbe trovato un po’ di pace e i sensi di colpa per essere stata sempre troppo debole e che si erano riacutizzati con la fuga di Liv, incapace di scegliere cosa fosse meglio per sé, si sarebbero attutiti un po’.
O almeno questo era ciò che sperava con tutta se stessa.
 
Terre di Nessuno
Mercati Sud
 
  
Yuki amava con tutta se stessa andare ai Mercati, specialmente quando si trovava in compagnia di Ame. L’amica, infatti, riusciva sempre a coinvolgerla nelle sue mirabolanti avventure e ogni volta con lei riusciva a conoscere qualche persona nuova. Certo, spesso e volentieri questi non erano che rigattieri loschissimi, dal passato torbido e dalla voglia di strappare ad Ame ogni suo avere ma per quello, per fortuna, c’erano Sonne e gli altri pronti sempre ad intervenire e ad impedire che Ame non tornasse al Quartier Generale in mutande.
A Yuki piaceva acquistare, o barattare, trucchi, bei vestiti, scarpe che mai avrebbe potuto probabilmente usare. Così come passava volentieri una serata diversa, a mangiare nelle taverne sommerse dei Mercati, a bere e cantare; in qualche modo quelle gite restituivano un senso di normalità alla sua vita, che era definibile in ogni modo fuorché normale, ecco.
Diverso era per Chion: il ragazzo non aveva mai messo piede prima al Mercato della zona Sud, in assoluto il più grande di tutta la zona del territorio inglese e quello più stabile; difatti mentre la maggior parte dei Mercati smontavano e rimontavano le loro tende in continuazione, visto e considerato che le Sentinelle mandate dalla Governatrice Millan organizzavano retate un giorno si e l’altro pure, al contrario quello non era mai stato dismesso. Era come se fosse una piccola cittadina scavata nella roccia, all’interno della quale era tutto lecito e era ovvio che Nadia chiudesse un occhio riguardo a quello.
Proprio perché i Mercati della zona Sud erano così stabili, Chion se ne era sempre tenuto alla larga; al loro interno non solo si vendeva di tutto, ma si vedeva di tutto. Il ragazzo rimase troppo scosso dai racconti di Jabal, che in quel posto ci aveva vissuto; la montagna del Quartier Generale aveva più volte raccontato degli incontri illegali a cui aveva partecipato per parecchio tempo, del giro di prostituzione di cui le Sentinelle per prime approfittavano senza remore, del contrabbando di armi, pozioni, animali. Perché mai Chion avrebbe dovuto infilarsi in un posto simile?
Ma a quel punto non aveva più potuto tirarsi indietro. Al Quartier Generale stavano rimanendo in pochi; la generazione dei piccoli non era ancora matura per poter affrontare nessun genere di missione e gli anziani si stavano facendo troppo anziani, per non contare poi tutti i loro compagni che partivano per le missioni e che finivano per non fare più ritorno, spediti nelle colonie o morti ammazzati nelle Terre di Nessuno. Così che i più forti del gruppo dovevano adoperarsi per imparare a usare la magia al meglio, scovare e coinvolgere nuove persone per unirsi ai Ladri e infoltire la rete per il recupero delle bacchette. In poche parole Chion doveva prendersi le proprie responsabilità e mettersi in gioco, proprio come tutti gli altri.
Yuki gli aveva detto di rimanergli accanto, tenere le cuffie ben piantate sulla testa perché di rumori ce ne sarebbero stati fin troppi e di affidarsi a loro, cosa che comunque Chion aveva intenzione di fare (dove diavolo pensava che se ne sarebbe andato, Yuki? A farsi le passeggiatine? )
 
- Guarda! Secondo me in quel banco possiamo trovare qualche pezzo di ricambio per le tue armi! -
 
Yuki aveva capito come prenderlo per la gola. Una volta che si erano infilati nei buchi rocciosi, Chion aveva scoperto un mondo coloratissimo e stravagante, ma non per questo la voglia di rimanere in quel posto era cresciuta, almeno fino a quando Yuki, con la sua arguzia, non lo aveva irretito con i banchi delle armi, sul quale Chion si era poi gettato con entusiasmo.
Beh, il giovane mago stava cominciando a capire come mai le sue compagne fossero così entusiaste di frequentare i Mercati.
 
- Emh, mi scusi buon uomo… - tentò lui alzando un dito in direzione dell’energumeno a braccia conserte dietro il banco. Yuki, ovviamente, scoppiò a ridere.
 
- Scusalo, è rimasto un po’ stordito dal pranzo. – la ragazza si coprì la bocca con la destra e bisbigliò in direzione del rigattiere: - Credo gli abbiano rifilato qualche schifezza alla taverna di Homer. -
 
Quel brutto ceffo, da che sembrava voler rompere il cranio di Chion con lo sguardo (tra l’altro chi lo aveva mai visto a quel ragazzino così ripulito?), nel sentire le parole di Yuki si rilassò e annuì con convinzione: - L’ho sempre detto che di quello lì non ci si può fidare, ho smesso di andarci a mangiare secoli fa! Dovreste andare da Pauline, lei sì che vi farà leccare i baffi tutta notte! –
 
Yuki asserì che avrebbero fatto in modo di recarsi lì per cena e ringraziò sentitamente il rigattiere mentre sbatteva le ciglia in maniera graziosa; Chion assistette a quella scena con tanto d’occhi e quando si allontanarono un po’, le ricordò che non avevano mai mangiato da questo tale Homer.
 
- Tu sei davvero molto intelligente, ma spesso pecchi di ingenuità, fiocchetto di neve. -
 
Sentendosi appellare così, Chion arrossì di colpo e prese a balbettare appena, fortunatamente il suo imbarazzo fu rotto da uno strillo così acuto, che avrebbe rischiato di spaccargli i timpani in maniera irreversibile. Yuki e Chion si voltarono verso destra e fra la miriade di banchi intercettarono Ame, con alle spalle Sonne, Dimma e Jabal, che gridava allegra verso un uomo allampanato che sembrava conoscere molto bene.
 
- Meglio raggiungerli, credo che Ame ne combinerà presto una delle sue e forse saremo costretti a scappare. -
 
Yuki poggiò una mano sulla sua spalla e sorrise: - Scappare? Ti sei dimenticato di Jabal? Finché siamo con lui nulla di male ci accadrà. Tutti lo temono qui nei Mercati sud. –
 
La Corte
 
Seduto compostamente sul divano, Jude puntò la bacchetta verso Alida; un colpo fluido e il collare intorno al suo collo si sganciò, facendola sospirare non poco.
 
- Tieni, portalo a tuo nonno. – Borbottò la ragazza mentre passava il collare a Jude, il quale lo ripose nella tasca interna della sua giacca. Dopodiché si alzò e lisciò i pantaloni con i palmi delle mani.
 
- So che ti pesa, ma Ryurik sarà con te; se dovesse succedere qualcosa vi dividerete la pena. -
 
- Guarda che questa cosa non mi rasserena affatto. – Alida si innervosì all’istante; l’idea che quel povero ragazzo fosse usato per assorbire il suo dolore la disgustava e non mancò di sottolineare la cosa a Jude. L’uomo però non si scompose affatto: - Beh, per quanto trovi la cosa non troppo etica, è la tua salute a starmi a cuore. Comunque si sta facendo tardi ed è stata una giornata pesante, ho voglia di andare a bermi un buon bicchiere di gin. A proposito, - Jude si guardò intorno: - Dov’è Lir? Partirete fra un paio di ore. -
 
- Dove vuoi che sia? A scroccare cibo da Artemisia, è ovvio. Senti io approfitterei della tua bellissima automobile da figlio di papà, o per meglio dire da cocco di nonna; devo recuperare quel demente, altrimenti rischiamo di fare tardi e non ho alcuna voglia di sorbirmi una ramanzina della Governatrice. -
 
- Dopo tutti questi anni ancora non ti sei abituata al suo caratterino? – Jude pose la domanda mentre si avviava alla porta d’ingresso e al contempo Alida sbuffò: - Non credo mi abituerò mai. -
 
I due si chiusero la porta alle spalle e si avviarono verso l’automobile parcheggiata a qualche metro di distanza dalla piazza; Alida non smetteva di lamentarsi della sua condizione e del viaggio che non aveva alcuna intenzione di affrontare e Jude sorbì le sue lamentele con estrema pazienza, fin quando proprio mentre stava entrando nell’auto, si espose in un commento che raggelò Alida.
 
- Beh, se ti pesa così tanto puoi sempre valutare l’idea di scappare. C’è chi è riuscito a farlo con successo. -
- Che stai dicendo? – Alida fece finta di non capire che Jude si stesse riferendo a Micah, ma chissà perché, d’improvviso trovò il posto del passeggero particolarmente scomodo. Jude trattenne le mani sul volante per qualche istante, prima di voltarsi verso di lei e parlare senza mostrare nessuna sfumatura di emozione: - Sai bene di chi sto parlando. Sono convinto che sia ancora vivo e che mia nonna non si darà pace fin quando non lo riporterà alla Corte. –
 
Dopodiché Jude tornò a guardare davanti a sé, accese la macchina e partì a tutta velocità. Alida, dal canto suo, non riuscì a pronunciare una sola altra parola per tutto il tragitto.
 
*

 
Quando aprì gli occhi, la prima persona che Nikolai vide fu qualcuno di familiare; ci mise un po’ per capire chi fosse, poi realizzò che quello altri non fosse che uno dei due uomini che anni prima aveva trovato nella cucina di casa sua, in compagnia di sua madre.
 
“Chi… chi sei? Mia madre è… “
 
L’uomo annuì, la bocca tirata parzialmente coperta dalla barba incolta. Così quell’uomo spiegò a Nikolai dove si trovasse e chi lui fosse.
 
“ Il mio nome è Elijah Woodstock e questo è il Quartier Generale dei Ladri di bacchette che risiedono in queste zone; tua madre era una di noi, Nikolai… “
 
Elijah ed altri compagni spiegarono a Nikolai come funzionasse la loro struttura e quale era il loro scopo.
 
“ Sono stato io a salvare tua madre, quando si mosse dalle terre russe; le abbiamo affidato la missione di infiltrarsi alla Corte, confondersi fra le Sentinelle e agire per la nostra causa in gran segreto. Anastasia era una di noi. “
 
Assimilare quella verità non era affatto semplice per lui, al quale mai la madre aveva confessato della sua doppia identità. “ E perché non mi ha mai detto nulla, eh? Perché mi ha tenuta nascosta una cosa così, visto che per lei doveva essere tanto importante? “
 
“ Credo tu sappia la risposta, ragazzo. Tua madre voleva salvaguardarti, evitare per quanto le era possibile che suo figlio ci andasse di mezzo; sei cresciuto alla Corte, fra famiglie che credono nella Governatrice e che accettano la repressione della magia. Se ti avesse raccontato tutto ti avrebbe messo in serio pericolo. “
 
Nikolai ed Elijah continuarono a parlare a lungo, per giorni e giorni, fin quando il giovane non esaurì le domande da fare. Il Ladro gli chiese di unirsi al loro, di passare dalla parte di sua madre, che credeva fermamente in ciò che facevano e che era morta per quello; difatti fu riferito a Nikolai che si trovavano davanti alla Residenza di Nadia proprio perché sarebbe dovuto arrivare un grande carico di bacchette, che Anastasia avrebbe dovuto rubare e portare da loro.
Nikolai pensò a Jude, alla sua presenza sul balcone proprio nel momento in cui avevano sparato a sua madre; si chiese per molto tempo se in qualche modo non fosse stato lui a capire cosa nascondesse Anastasia andando poi a riferirlo alla Governatrice.
 
I giorni passarono, poi i mesi. Nikolai pian piano si mescolò ai Ladri di bacchette e affiancava con costanza Elijah, che lo addestrava con pazienza e lo trattava come se fosse un figlio; che poi non lo disse mai, Elijah, di essere davvero il padre naturale di Nikolai; quest’ultimo lo sospettò in più di un’occasione perché l’uomo spesso smussava la sua durezza quando aveva a che fare con il giovane, ma Nikolai non si era mai sentito di porgli la domanda diretta ed Elijah non si era mai sentito di fare una simile confessione.
La vita fra i Ladri gli calzò a pennello; in qualche modo era come se Nikolai, a cui era stato dato lo pseudonimo Vulkan, avesse trovato il suo posto.
 
Quando arrivò la piccola Serena, di soli quindici anni, Vulkan ne aveva ormai venticinque; la ragazzina era spaventata, parlava solo in tedesco e raccontò a Vulkan, che aveva appreso quella lingua, di essere scappata da un orfanotrofio molto lontano. Il ragazzo la prese sotto la sua ala protettiva e instaurò con lei un rapporto speciale, molto intimo, basato sulla fiducia che uno avrebbe potuto riporre sempre nell’altra. Quando non partivano per qualche missione Vulkan le dava lezioni di inglese e lei, fra le risate, lo invitava a ballare perché “non potevano passare la vita a pensare alle missioni”.
Non ci fosse stata Serena, probabilmente non avrebbe mai superato la morte di Elijah, avvenuta tre anni dopo l’arrivo della giovane; un’imboscata da parte delle Sentinelle, così dissero i Ladri veterani a Vulkan appena tornato da una missione con Serena alla ricerca dell’appoggio di nuovi compagni, al quale raccontarono che Elijah Woodstock era caduto con onore per difendere il Quartier Generale.
Ma nonostante la vicinanza di Serena, quello ricevuto fu comunque un durissimo colpo per Vulkan, che contribuì ad indurire ancor più il suo carattere; le persone più importanti della sua vita – Anastasia prima, Elijah poi- erano morte per la causa in cui credevano. Ma Vulkan sapeva che il mondo in cui vivevano esigeva costantemente lauti compensi di sangue e che se i Ladri avessero voluto sovvertire il regime di Nadia, avrebbero dovuto spendersi al massimo dando anche la vita, se necessario.
Fu il ricordo di sua madre a fargli capire che figure come quelle di Anastasia erano necessarie, per questo motivo una sera, con un bicchiere di birra fra le mani, propose a Serena di infiltrarsi alla Corte e diventare per loro una spia. Avrebbe agito in silenzio, senza farsi notare, senza dare nell’occhio, facendo finta di essere una ragazza semplice, con esigenze semplici.
 
“ Mi avete accolta, mi avete salvata. È grazie a voi se sono ancora viva… avete fatto in modo di farmi capire qual è il lato giusto in cui stare, che vale la pena combattere ogni giorno per la libertà del mondo intero. Farò il possibile per il Quartier Generale, è una promessa.”
 
Così Serena partì alla volta della Comune e Vulkan, che intimamente mai avrebbe voluto lasciarla andare, non poté fare altro che cacciare nel profondo del suo intimo l’esigenza che sentiva di averla al fianco, nella speranza di poter ballare ancora una volta con lei, una volta conquistata la vittoria.

 
*
 
Terre di Nessuno
Mercati Sud
 
Dietro a un banco sommerso di paccottiglie di ogni genere spuntava un uomo; alto, allampanato, con il volto scavato, gli occhi perennemente sgranati e caratterizzato da un costante grattarsi il viso e le braccia, era conosciuto da tutti come Scuttle. Uno dei rigattieri più scoppiati dei Mercati della zona Sud, era l’incontro preferito di Ame ogni qualvolta la ragazza si apprestava a farvi visita.
Anche questa volta la ragazza non aveva fatto eccezione alla regola e una volta arrivati ai margini dei Mercati, si era fiondata nell’immediato laddove sapeva si appostasse Scuttle con il suo banco il quale, vedendola arrivare, assunse la stessa espressione di un minatore alla scoperta di una montagna di diamanti grezzi.
Ame era una fonte inestimabile di guadagno, per Scuttle; quell’uomo riusciva ogni volta a rifilare alla ragazza qualsiasi genere di schifezza che non era stata ancora in grado di barattare con nessuno e che non faceva che prendere polvere sui suoi banchi, come quando riuscì a rifilarle un vecchio telefono del 1960, spacciandolo come un pezzo di antiquariato che era in grado di far comunicare le persone per magia a chilometri di distanza. Peccato che le linee telefoniche non esistessero più da molto tempo e che quell’aggeggio era assolutamente inutile.
Così quando Scuttle vide quella testolina bionda dirigersi verso di lui, percepì la salivazione aumentare e il prurito costante, dovuto alla mancanza prolungata di assunzione di sostanzine stupefacenti di cui faceva largo uso nel quotidiano, alleviarsi di botto. Certo, notare che non fosse sola, ma che fosse accompagnata da quel secco e lungo con la bandana rossa non gli era di molto conforto, ma in qualche modo sapeva sarebbe riuscito comunque a fare qualche affare.
Ame lo aveva salutato con entusiasmo e in poco tempo si era gettata a rovistare fra le sue cose, mentre il ragazzo lo fissava con le braccia incrociate. Scuttle tentò di non farsi intimidire da quello sguardo glaciale, così alzò un angolo della bocca facendo mostra di un canino mancante, per poi gracchiare: - Beh? Che vuoi? –
 
- Che voglio? – Sonne sorrise, continuando a tenere le braccia strette al petto: - Dato che l’ultima volta hai rifilato alla mia amica degli ingredienti- Sonne enfatizzò la parola mimando delle virgolette con le dita, per poi tornare a incrociare le braccia: - Che si sono rivelati escrementi di bufalo essiccati, credo sia il caso di stare qui a controllare, non ti pare? -
 
- La tua amica sa quello che fa, la ritieni una stupida, eh? -
 
Scuttle fu fiero di constatare come riusciva a tener testa a quel tipo, eppure la sua sicurezza si spezzò come un fuscello durante un tornado, quando vide l’enorme figura di Malik comparire alle sue spalle, affiancato da una donna dalla bellezza mozzafiato, ma da un’espressione raggelante.
 
- Ciao Scuttle, vedo che fai schifo come al solito. -
 
- M-Ma-Ma-Malik n-non credevo d-di trooov-varti q-q-qui. -
 
- E invece guarda un po’, ci sono anche io. Ti dispiace? -
 
Scuttle ebbe l’istinto di scappare via fregandosene di abbandonare i suoi tesori più preziosi alla mercé degli avventori dei Mercati. Ma prima che potesse muoversi di un solo millimetro, Malik si sporse sul bancone e lo afferrò per una spalla; con un movimento netto lo attirò a sé: - Dimmi un po’, quand’è l’ultima volta che ti sei preso gioco di me, Scuttle? –
 
- N-n-non è m-m-m-mai suc-c-cesso! – Balbettò terrorizzato.
 
- Esatto, perché sai che con me non si scherza, vero? Ora veniamo a questo fiorellino. -
 
Sentendosi chiamata in causa, Ame drizzò la schiena e osservò i due mentre tratteneva fra le braccia una miriade di oggetti di ogni forma e dimensione.
 
- Se ti prendi gioco di lei, è proprio come se cercassi di fottere me, lo capisci? E visto che effettivamente ti sei preso gioco di lei, sai cosa vuol dire questo. -
 
Scuttle, gli occhi fuori dalle orbite, deglutì prima di tornare a balbettare: - I-io non s-s-s-apevo che quella roba f-f-f-fosse… -
 
Quella giustificazione raffazzonata non fece che far stringere la presa di Malik, che strattonò Scuttle sotto lo sguardo degli altri compagni; ad ogni sbatacchiamento, i sorrisi di Dimma e Sonne si allargavano sempre più: - Non venirmi a dire che non sapevi che stavi vendendo della fottuta merda spacciandola per ingredienti per le pozioni. Non. Dirmi. STRONZATE. –
 
Probabilmente Malik avrebbe finito per spaccare l’osso del collo di Scuttle, se quello non si fosse messo a piagnucolare fino ad arrivare a supplicarlo, chiedendogli che cosa avrebbe potuto fare per ripagare il proprio debito.
 
- Ah, questo non so dirtelo. Hai qualcosa di utile per me? E bada bene, non una delle tue porcherie da rigattiere, parlo di qualcosa di unico, di prezioso. -
 
Malik sibilava quelle parole a un centimetro dal viso rovinato di Scuttle e quest’ultimo, dopo aver sudato sette camice, si decise a parlare.
 
- Non… non ho oggetti di valore, cioè nulla che… che possa interessare te. -
 
- Allora di pure addio a questo mondo. -
 
-Fammi f-f-finire ti prego! Oggetti non ne ho… - Scuttle si guardò rapidamente attorno, prima di abbassare notevolmente il tono della voce: - Ma ho un’informazione che sono sicuro mi risparmierebbe la vita! –
 
- Sentiamo. – Malik allentò la presa quel tanto che bastò per far sì che Scuttle potesse parlare senza sentire un nodo alla gola. Trovato il coraggio, scovato grazie a un latente spirito di sopravvivenza, Scuttle si aprì in una rapida confessione.
 
- Fossi in voi rimarrei un paio di notti; so per certo che dopodomani, Salko riceverà una persona importante. – Poi sottolineò: - Molto, molto importante. La persona più importante che esista al mondo. -
 
Fu a quel punto che Malik si voltò per raccordarsi allo sguardo di Sonne e la voce di Ame spuntò quasi dal nulla.
 
- Porca puttana, non possiamo farci sfuggire una spiata alla stronza! -
 
La Corte
Casa di Artemisia
 
Artemisia rimase più che sorpresa quando sentì bussare nuovamente alla sua porta; in casa sua c’erano già Lir e Izzie, non credeva di aver ricevuto mai così tante visite contemporaneamente. Atlas, che si era andato comodamente a riposare dopo aver consumato il suo pasto, appena percepì il bussare delicato drizzò subito le orecchie e seguì la sua padrona fino alla porta, facendo sorridere la strega che comunque lo rassicurò; pensò che se avesse potuto, probabilmente Atlas avrebbe aperto la porta al posto suo e avrebbe intimato a chiunque di andarsene e lasciar stare la sua padrona.
Artemisia strabuzzò appena gli occhi quando si ritrovò davanti Alida; la ragazza portò due dita alla fronte e accennò un sorriso, che Artemisia ricambio con lieve imbarazzo. Quella sì che era una cosa proprio strana, visto che era convinta che Alida non fosse mai andata a trovarla, non essendo le due particolarmente legate.
 
- Perdona l’intrusione, ma sono venuta a recuperare quello scapestrato del mio coinquilino. -
 
- Nessun problema, entra pure. – Artemisia si spostò per permettere ad Alida di entrare, quando si rese conto che sul vialetto, a qualche metro di distanza dalla Sentinella, ci fosse Jude; in realtà se ne accorse solo perché Alida, prima di entrare, si voltò verso l’uomo e gli disse che non doveva di certo stare lì a fare la guardia e che, a quel punto, poteva andarsi a scolare il suo benedetto gin.
 
- Ho sentito la voce di Lilly, per caso? – Lir sbucò dietro le spalle di Alida e al suo fianco apparve anche Izzie; quest’ultima si sentiva in imbarazzo a rimanere da sola.
 
- Mi state mettendo in difficoltà, - scherzò Artemisia – Non è necessario rimanere sulla porta, ho persino dei divani che possono ospitarvi, sapete? -
 
Effettivamente si era creato un bislacco sovraffollamento intorno all’entrata della casa; Jude si era avvicinato anche se non sembrava particolarmente convinto, Lir vedendo il suo amico si era infilato fra Alida e il montante della porta per salutarlo, mentre Artemisia e Izzie erano vicine, ben difese da Atlas che aveva cominciato ad abbaiare indefessamente, probabilmente molto scontento di vedere tutto quel movimento inusuale in casa sua.
 
- Grazie dell’invito, ma non abbiamo tempo. Lir prendi le tue cosine e muoviamoci; devi ancora preparare i bagagli e non ho proprio voglia di starti dietro! -
 
Ci fu a quel punto una momentanea migrazione verso il salotto; Lir aveva infatti ricordato ad Artemisia che avrebbe dovuto preparargli la torta da portare via, visto che ormai glielo aveva promesso e le promesse, almeno quelle fatte a lui e specialmente che riguardavano del cibo, dovevano sempre essere mantenute.
Non appena Alida riuscì a trascinare Lir fuori di casa Izzie ne aveva approfittato per defilarsi a sua volta; si era infatti guardata intorno e non aveva la benché minima intenzione di rimanere a bere tisane con il capo, doveva ancora finire di digerire gli episodi delle scorse settimane che li avevano visti coinvolti.
 
- Non so come tu faccia, io non sopporterei di avere così tanta gente in casa. -
 
Jude era rimasto in piedi, mani in tasca ed espressione particolarmente accigliata; ad Artemisia venne comunque da ridere e pensò che essendo la sua vicina di casa, aveva da tempo compreso che Jude non fosse un amante delle visite, ma si guardò bene dal dirglielo.
 
- In realtà è stata una pura casualità. Comunque mi infastidisce non poco vederti in piedi; siedi, su. -
 
- Veramente ho solo dato un passaggio ad Alida, non sono qui per rimanere, tantomeno per disturbarti. -
 
Artemisia si mordicchiò sovrappensiero il labbro, intanto che Jude si muoveva per avviarsi alla porta; non aveva poi molto da fare e non le sarebbe dispiaciuto se, per una volta, Jude fosse rimasto a scambiare due parole con lei.
 
- Aspetta! – Disse agitata, stupendosi lei stessa di quel desiderio in fondo allo stomaco che l’aveva spinta ad alzare la voce. Quando il mago si voltò, Artemisia portò le mani dietro la schiena e fece un gran sorriso: - Ho salvato un pezzo della torta dalle grinfie di Lir; ti va? -
 
 Per qualche istante Jude non rispose, come se quella posta da Artemisia fosse una domanda a cui nessuno al mondo sarebbe stato in grado di trovare risposta; quando si decise a parlare, era passato un considerevole numero di secondi: - Beh, è quasi ora di cena, non mi sembra il momento di mangiare la torta. –
 
- Cos’hai da fare a casa? Se vuoi, sai, possiamo mangiare una cosa insieme, come fanno normalmente dei colleghi di lavoro, no? -

 
Mercati Sud
Taverna di Pauline
 
- Dobbiamo prendere delle stanze, altrimenti finiremo per dormire in mezzo al niente. -
 
Chion osservava il resto della brigata che non si stava affatto preoccupando di organizzarsi per la notte; si erano riempiti la pancia e poi avevano cominciato a bere boccali su boccali di birra. Dimma ingollò un’altra sorsata abbondante prima di rispondergli: - Calmati Chion, stai pur certo che un posto lo troveremo. Rilassati piuttosto, fatti una bevuta, offro io. –
 
Chion sospirò e comprese che se persino Dimma si mostrava così serafica, probabilmente non c’era davvero motivo di preoccuparsi. Proprio la donna spostò poi l’attenzione su Jabal, seduto davanti a lei: - Ma in effetti dovremmo proprio trovare un posto dove passare queste due notti. Hai contatti? –
 
- Per chi mi hai preso? Sfortunatamente qui ci sono cresciuto, conosco ogni pezzente che popola questo posto. – Jabal allargò il sorriso, poi spostò lo sguardo oltre le spalle di Dimma e a quel punto il sorriso si spanse ancor più.
 
- Amico- disse rivolgendosi a Sonne – Oggi è la nostra serata fortunata. -
 
Il più giovane, gli occhi chiari fattosi lucidissimi per tutto l’alcol ingerito, sembrò non capire, fin quando non diede retta al cenno di Jabal di girarsi.
 
- Scarlett! Oh, divina provvidenza, ebbene esisti! -
 
Jabal agitò un braccio e la donna più bella che avesse mai messo piede ai Mercati e che era appena entrata nella taverna, colse quel gesto. Yuki, Ame e Dimma si voltarono, mentre Chion deglutì davanti a tanta bellezza. Le gambe affusolate si muovevano con sicura eleganza su delle lucide decolleté nere e muovevano il vestito di raso che cingeva il corpo dalle forme perfette.
 
- Tesoro! Che sorpresa vederti qui! – La donna si accorse solo in seguito della presenza di Sonne, che si era alzato per accoglierla a dovere.
 
- E non sei solo, per mia fortuna… - Le labbra piene si piegarono ad elargire un sorriso malizioso al più giovane, che afferrò entrambe le mani di Scarlett avvicinandole poi alla bocca.
 
- Per fortuna di entrambi, mia meravigliosa amica. -
 
- Chi è? – Sussurrò Chion in direzione di Ame.
 
- Lei è Scarlett, una vecchia conoscenza di Jabal e una grande fan di Sonne. Gnocca, eh? -
 
- Ame! - Come da previsioni, il volto di Chion assunse molteplici sfumature di rosso mentre Yuki scoppiò a ridere di gusto. Intanto la meravigliosa Scarlett, circondata da un profumo paradisiaco che era riuscito a scacciare l’olezzo di quella taverna, aveva lasciato che Sonne la presentasse, poi un volenteroso ragazzo le aveva portato la sedia più pulita che fosse presente nella locanda.
 
- Quindi rimarrete un paio di notti. Come mai se posso permettermi di chiederlo? -
 
- Purtroppo abbiamo noiosissimi affari da sbrigare, nulla di interessante. – Sviò cautamente Sonne al suo fianco; Scarlett non sembrava affatto aver bevuto quelle scuse, ma decise di soprassedere: - Per il momento non ti chiederò altro, ma forse più tardi potrei tentare di sfilarti qualche informazione… - una risatina leggera cinguettò dalla sua bocca e le dita dalle unghie laccate afferrarono il mento di Sonne, scuotendolo appena bonariamente. Il ragazzo, totalmente imbambolato da Scarlett, rise come un demente.
 
- Puoi trovarci un posto dove passare la notte in tranquillità? – Le chiese Jabal.
 
- Sarete miei ospiti, è ovvio, se vi accontenterete di dividervi tre camere. Purtroppo le altre sono occupate dai clienti. -
 
- Ne basteranno due, sei un tesoro. -
 
Scarlett strizzò l’occhio a Jabal e gli lanciò un bacio, poi tornò a concentrare l’attenzione su Sonne: - Se non sei in compagnia di una di queste belle ragazze, potrei farti un po’ di spazio nella mia suite; sai, questa sera ho la serata libera. –
 
- Pensavo di essere venuto all’inferno, invece ho trovato il paradiso. – Fu questo il commento di Sonne al quale tutti risero, tranne Chion che doveva ancora riprendersi e Dimma, la quale aveva ricominciato a bere non mostrando particolare interesse per le allusioni che quei due si scambiavano.
Svariati bicchieri dopo il gruppo, capitanato da Scarlett, si mosse verso l’uscita della locanda.
Jabal cominciava a mostrare i primi cenni di cedimento e accennò ad una risata rivolgendosi a Dimma al suo fianco: - Ah, l’età… non reggo più l’alcol come una volta. –
 
- Ti sei scolato tre birre e quattro bicchieri di whisky, io dico che te la cavi ancora bene. – Seguitò poi a dare un buffetto sulla sua spalla e stranamente, cosa che Jabal si sarebbe aspettato, il lieve sorriso sul bel volto di Dimma non scomparve.
 
- Sorridi. -
 
- Ogni tanto accade. – Rispose lei alzando appena le spalle; Jabal comunque non demorse: - Mi sembri felice. -
 
- Sai, stavo riflettendo sulla tua proposta. -
 
Nel sentirla pronunciare quelle parole, l’uomo si bloccò di colpo lasciando che il resto del gruppo li staccasse di qualche metro. –Intendi… quella proposta? -
 
Dimma roteò gli occhi al cielo e tornò a sorridere: - A quale altra proposta potrei fare riferimento? Certo. Quella proposta.-
 
- È quella proposta a farti sorridere? -
 
- Può essere. -
 
Notando che Dimma non sembrava intenzionata ad aggiungere altro, Jabal riprese lentamente a camminare e lei lo seguì con fare serafico. Poi parlò di nuovo, di punto in bianco.
 
- Ho deciso di accettare quella  proposta. Uscirò con te, Malik. -
 
Se avesse potuto, l’uomo avrebbe afferrato Dimma per la vita e l’avrebbe fatta roteare in aria, ma quello sprazzo di lucidità che non era stato divorato dalla sbronza lo fece desistere, consapevole che probabilmente se avesse tentato di fare una cosa simile, la strega avrebbe ritirato tutto ciò che aveva detto. Quindi si limitò a infilare le mani nelle tasche e a sorridere: lui si, che poteva definirsi felice, in quel momento lì.
 
La Corte
Casa di Artemisia
 
 
 
Nel momento in cui si era sfilato la giacca, arrivando persino ad arrotolare le maniche della camicia fin sopra i gomiti, Artemisia aveva compreso che Jude fosse finalmente arrivato a sentirsi a suo agio. Era riuscita a convincerlo a mangiare qualcosa con lei, specificando che avrebbe improvvisato sul momento. Alla fine Artemisia aveva portato in tavola primo secondo e contorno senza dare mostra del minimo sforzo mentre Jude, stranamente sereno, era passato a casa a recuperare una bottiglia di pregiatissimo vino rosso (una di quelle cose che solo il nipote della governatrice suprema potrebbe avere in cantina) e una bottiglia di gin, aprendo poi le danze e rimanendo perplesso quando la ragazza, nonostante avesse asserito di non essere affatto un’assidua bevitrice, aveva sorseggiato un paio di bicchieri senza battere ciglio.
In tutto questo Atlas era sempre rimasto nel suo angolo privilegiato, su una cuccia grande quanto il tavolo su cui avevano pasteggiato le due Sentinelle.
 
- Mi chiedo dove tu abbia imparato a cucinare, considerato che vieni da un orfanotrofio e da quando sei alla Corte, beh… non credo abbia avuto molto tempo per apprendere l’arte culinaria. -
 
- Beh, mi è sempre riuscito bene- Artemisia afferrò il bicchiere e lanciò solo uno sguardo a Jude – e mi rilassa. -
 
- Bhe, ora capisco per quale motivo quel pozzo senza fondo di Lir si pianti a casa tua da mattina a sera. – L’uomo accennò un sorriso e alzò il bicchiere di gin verso Artemisia: - Un brindisi è più che meritato. -
 Artemisia lo seguì nel gesto e dopo aver bevuto si lasciò scappare l’ennesimo sorriso della serata, che l’altro ricambiò senza sforzo.
 
- Mi ha fatto bene passare una serata in compagnia, considerando che avevo in programma di nascondermi dietro le tende del mio salone e abbandonarmi al gin in solitaria(1) . -
 
- Felice di averti scardinato dalla tua solitudine; sai, mi è parso di vederti particolarmente teso in questi ultimi due giorni. -
 
- Pensieri, ne ho piena la testa. – Quello non fu che un soffio sul bicchiere che abbandonò nuovamente sulla bocca. Artemisia rimase a guardare quello sguardo chiaro, fattosi di nuovo cupo e assente; l’uomo aveva assunto di nuovo quella che Artemisia definiva “l’aria alla Jude” e si dispiacque non poco per questo. La sottile infelicità che emanava Jude era una costante e Artemisia non faceva che chiedersi, da quando lo aveva visto per la prima volta, a cosa fosse dovuta o se magari non fosse che una sua percezione. Artemisia, del resto, possedeva uno spirito empatico e non era strano che percepisse delicate venature dell’animo umano, magari invisibili ai più.
Quando lo aveva visto sorridere quella sera aveva sentito la pancia traboccare di felicità, perché le rare volte in cui lo percepiva vertere in uno stato positivo era quando si trovava in compagnia di Lir o di Alida; fu lieta quindi di essere riuscita a portare un minimo di serenità nel turbamento del suo cielo emotivo dopo otto anni di conoscenza.
Ma ora eccolo di nuovo lì, ad arruffare lo sguardo nell’alcol e allontanarsi con il pensiero. Nonostante lo scoraggiamento iniziale, Artemisia sapeva bene come trattare con persone che subivano sbalzi d’umore, per questo pigolò che non doveva parlarne se non si sentiva di farlo: - Ma se invece vorrai… insomma Jude, abbiamo tutti un piccolo male da tirare fuori, prima o poi. Reprimerlo non è sempre un bene. –
 
Stranamente a sentire quelle parole Jude si riebbe e tornò a fissare Artemisia. Sul serio. Di nuovo su questa terra.
 
- Mi sento… sopraffatto. E stanco. Dimmi, lo puoi capire? -
 
- Non vivo la tua condizione, ma so cosa vuol dire sentirsi sopraffatti e stanchi; è umano come tu lo sei, anche se come ti ho già detto, forse tendi a dimenticare di non essere un superuomo. -
 
Così Jude non solo sorrise, bensì si abbandonò a una risata posata, ma di cuore; quel suono profondo destò Atlas che scattò sulle zampe e corse dalla sua padrona; non abbaiò nei confronti di Jude, ciò nonostante puntò gli occhi in quelli dell’uomo, che ricambiò lo sguardo mantenendo un’aria divertita.
 
- Alla fine ce l’ha fatta, eh? – Chiese poi, mantenendo lo sguardo su Atlas. Artemisia allungò una mano per accarezzare la testa del cane e annuì: - Merito tuo, è la prima cosa buona che hai fatto per me. -
 
L’addestramento fra le Sentinelle ebbe una durata ridicola; dal momento in cui aveva messo piede alla Corte, Artemisia non solo aveva dimostrato di possedere un potere spaventoso che fece subito gola alla Governatrice, bensì tirò fuori spiccate capacità da cavallerizza e spadaccina. Sebbene non fosse mai stata dotata di una particolare forza fisica – in realtà deficitava nello scontro corpo a corpo- Artemisia fu in grado di compensare con la sua ombra e con la scherma. Montava a cavallo come se non avesse mai smesso di farlo da quando non era che una bambina, tirava di scherma in maniera eccellente e ben presto fu chiaro a Jude, che era già a capo delle Sentinelle e che si occupava personalmente degli addestramenti delle reclute, che quella ragazzina non aveva bisogno di altro tempo per conquistarsi la sua prima missione.
Sebbene quindi la sua ‘carriera’ proseguisse con il vento in poppa, tutto il resto della sua vita non andava bene. Artemisia era sempre stata una ragazza gentile e accorta nei confronti del bisogno altrui, ma quando si trattava di aprirsi con qualcuno, si tirava subito indietro, non permettendole nemmeno di prendere in considerazione il corteggiamento da parte di qualche giovane della Corte.
 
In lotta continua fra quelli che erano stati gli insegnamenti di sua madre e la vita che stava pian piano abbracciando, la solitudine non faceva che farsi strada in lei con sempre maggiore facilità.
A nulla era servito tatuarsi  sul costato sinistro quella frase latina che la mamma le ripeteva sempre –‘Fortis cadere, cedere non potest’ (2)- per non dimenticare quella parte di lei che come una flebile fiammella bruciava ancora nel suo animo, perché comunque per la maggior parte del tempo Artemisia non faceva che condannarsi per ciò che aveva scelto di diventare.
Insomma, Artemisia non si amava e non poteva essere davvero amata. Soffriva perché si sentiva una codarda e soffriva di sentirsi sola, nonostante il suo amico Lir condividesse del tempo con lei alla Corte e facesse in modo che la sua amica d’infanzia provasse ad ambientarsi un po’.
 
Fortunatamente uno spiraglio di felicità giunse a scaldarle il cuore quando, durante la sua seconda missione, fece un incontro molto intimo. Stava facendo ritorno dai suoi compagni quando, dalle macerie della desolazione che stavano ispezionando, sentì un guaito sommesso. Mitra alla mano, Artemisia decise di capire da dove provenisse quel lamento sommesso e la sua curiosità la portò da un cucciolo di cane –avrebbe poi capito essere un cane lupo cecoslovacco- che era rimasto intrappolato chissà come nelle assi di un pavimento divelto di un vecchio rudere abbandonato ormai da tempo. La strega non ci pensò due volte a liberare quel piccolo cucciolo, nasconderlo sotto il suo mantello e portarlo con sé alla Corte. Atlas, quello è il nome che gli diede, diventò un amico inseparabile e Artemisia con il suo accudimento sentì di nuovo di non essere sola. Alla fine l’animale non era che un suo riflesso: come lei, Atlas era rimasto solo, senza una mamma a prendersi cura di lui, abbandonato ai pericoli costanti delle Terre di Nessuno.
 
Il nuovo arrivato accompagnava Artemisia ovunque, tranne nelle missioni che la strega reputava più pericolose; la sua lungimiranza probabilmente salvò la vita ad Atlas, in quanto decise che era meglio per lui rimanere alla Corte, prima di partire per una missione che quasi le avrebbe costato la vita. Fino a quel momento, Artemisia non aveva mai sfiorato davvero la morte, ma quando la lama del coltello di un uomo con cui si stavano scontrando le trafisse lo stomaco, la giovane Sentinella apprese che quelle battaglie non risparmiavano nessuno.
Cadde per la prima volta da cavallo, eppure quasi non sentì gli effetti della caduta; doveva fare i conti con un dolore molto più intenso, quello di una lama che continuava a rigirarsi dentro di lei e che con ogni probabilità era manovrata da qualcuno che possedeva un potere speciale.
Forse l’adrenalina, forse un improvviso istinto di autoconservazione, fatto sta che l’ombra di Artemisia prese vita e agguantò l’uomo che la stava uccidendo; il braccio di lui che tratteneva un altro coltello si alzò, manovrato dall’ombra di Artemisia, e impossibilitato a contrastare la volontà del potere della Sentinella, si tagliò di netto la gola.
Quando la riportarono alla Corte, Artemisia era in fin di vita ma Nadia fece sì che i suoi guaritori di fiducia la salvassero da morte certa; ma cosa rimase di quello scontro, insieme alla paura?
Si guardava allo specchio e osservava quella orribile cicatrice che partiva dallo stomaco e le arrivava all’inguine che faticava a rimarginarsi del tutto e si vedeva ripugnante; non si piaceva fisicamente, in parte si disprezzava come persona, come sarebbe mai potuta piacere davvero a qualcuno?
 
La riabilitazione durò un paio di mesi, durante i quali Artemisia non permetteva a molte persone di prendersi cura di lei; di tanto in tanto qualche Sentinella andava a trovarla, eppure lei diceva di stare bene e li liquidava in poco tempo. Avrebbe solo voluto che qualcuno si occupasse di Atlas, che lo accompagnasse durante qualche passeggiata, che non si sentisse solo, ecco.
Quando una sera non lo vide ripercorrere il vialetto di casa, Artemisia entrò nell’immediato in stato di allarme, perché da quattro anni a quella parte l’animale non si era mai allontanato da lei più di un’ora scarsa.
 
“ Atlas! Atlas dove sei?! “
 
Si muoveva a fatica fra le vie del bosco alla ricerca disperata del proprio animale, ma Atlas non stava tornando da lei; il sole stava lasciando spazio alla notte e Artemisia era convinta che fosse accaduto qualcosa di orribile al suo cane. Mai, la ragazza, avrebbe potuto far fronte all’ennesima perdita, che avrebbe segnato un’altra cicatrice profonda in lei, incapace ancora una volta ad occuparsi di qualcuno che amava.
Fu giunta sulle sponde del lago, con le lacrime a inondare gli occhi chiari, che sentì un uggiolio mite; con una mano a premere sulla ferita dolorante, Artemisia si voltò di scatto perché, si, aveva riconosciuto il lamento di Atlas. Ciò che vide la lasciò di stucco: Jude Millan, il suo capo, si stava avvicinando a lei e fra le sue braccia c’era proprio Atlas.
 
“ Atlas! Amore mio… Atlas! “ Arrancò verso di loro fin quando non arrivò tanto vicina, da permettere al cane di leccarle una guancia con scarso entusiasmo.
 
“ L’ho trovato di ritorno dal maneggio, è stato ferito non ho idea da cosa. Dovresti tenere d’occhio il tuo animale, lo sai? “
 
Era la prima volta che Jude Millan metteva piede in casa sua; quell’uomo che lei aveva sempre visto con timore, contraddistinto da un cipiglio torvo ad adombrargli il volto e temuto da buona parte della Corte, adagiò Atlas sulla cuccia con una delicatezza di cui Artemisia – e di questo se ne vergognò- non credeva capace. Ancora scossa, la strega guardava Jude che esaminava Atlas, per poi comunicarle con tono cupo che avrebbe fatto mandare da lei un veterinario di sua conoscenza per controllare la sua ferita.
Fu la prima volta che Artemisia colse una sfumatura diversa in Jude Millan. Fino a quel momento non era stato per lei che il capo da rispettare e temere e si chiese se le voci che circolavano su di lui alla Corte non avessero contribuito a creare un’idea fuorviante di quel mago. Insomma, si era premurato di riportarle Atlas sano e salvo… magari era solo un agnello vestito da lupo cattivo.
E ad Artemisia, invero, piacque pensarla così.
 

 
 
(1) Piccola immagine allegorica tutta per Signorina Granger.
 
(2) I forti possono cadere, ma non possono cedere.
 
 
Questo è ufficialmente il capitolo più lungo scritto fino ad ora. Buongiorno e buona domenica cari miei, come state?
Non voglio dilungarmi troppo con le note, ma devo dirvi un paio di cose. La prima è che purtroppo l’autrice di Stafford si è dovuta ritirare dalla storia per motivi personali; sto ancora decidendo il da farsi con Staffy, ma probabilmente lo adotterò e anche se non lo approfondirò come sto facendo con il resto dei personaggi, credo rimarrà nella storia, in primis perché la sua autrice è stata davvero molto cortese ad avvisarmi e poi perché Staffy è il papà di Jack e la sua storia è bene intrecciata con quella dei cugini.
In secondo luogo da questo momento non vi farò più votare. Sono rimasti pochi personaggi e deciderò io di mostrarvi il loro passato a seconda dell’ordine che riterrò opportuno.
Vi lascio le immagini di Scarlett e Scuttle, così da farvi un'idea di questi personaggi. 
Detto questo ci “vediamo” presto, ma ancor prima con coloro che si sono iscritte e i cui oc verranno selezionati per partecipare a “The Good Place”.
 
Bri

  Scarlett (E chiamiamolo scemo a Micah. )

  Scuttle

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Capitolo 11
*** Armati contro tutto ciò che non ti rende libera. Ribellati contro tutto ciò che ti incatena. ***


CAPITOLO IX
"Armati contro tutto ciò che non ti rende libera. Ribellati contro tutto ciò che ti incatena"
 
 
 
 
Mercati Est
Stanza Privata di Scarlett
 
Una nuvola di fumo scappò lentissima dalle morbide labbra di Micah; passò poi la lingua sui denti, rimarcando lo spazio che sussisteva fra gli incisivi. Di sigarette non è che ne avessero sempre a disposizione al Quartier Generale e poter usufruire dei confort offerti da Scarlett, quando capitava di passare per i Mercati, era sempre piacevole. Da quando erano stati presentati da Malik, la donna aveva mostrato da subito una grande passione per lui e offrirgli sigarette, buon cibo e un posto nel suo enorme letto dal materasso morbido e confortevole diventò presto la prassi.
Micah, ovviamente, aveva accettato di buon grado; non solo Scarlett era bella da mozzare il fiato, come si suol dire: carismatica, dalla mente attraente, potente, scaltra. Quella donna possedeva tutte le carte in regola che l’avevano portata ad assumere un ruolo di grande potere e rimanerne affascinati era inevitabile. Il ragazzo si riteneva fortunato, quindi, ad essere entrato di diritto fra le sue grazie; poco importava che la bella Scarlett facesse il mestiere più antico del mondo, perché lei stessa ne andava molto fiera, così fiera da far ribaltare l’opinione che la media delle persone riservava alle prostitute. Scarlett si era conquistata con il tempo molto potere, fino ad arrivare a gestire la casa di piacere dei Mercati Est, in cui applicava regole di assoluta parità per chiunque lavorasse alle sue dipendenze. Sicuramente l’essere di così larghe vedute e avere il pugno di ferro contro coloro che provavano ad approfittarsi di lei e delle sue dipendenti, l’aveva portata a raggiungere quella posizione tanto elevata, tanto da rivaleggiare con Salko in persona.
E proprio Salko divenne il loro argomento, mentre il fumo si intrecciava alle lenzuola di seta che coprivano a stento i corpi dei due amanti.
 
- Senti un po’, Malik ieri ha torchiato Scuttle. – Le dita lunghe della mano destra continuavano ad incastrarsi fra i lunghi capelli di lei, con la testa poggiata sul suo torace; gli uscì uno sbuffo ridanciano, così proseguì: - Ammetto che è stato divertente vederlo tremolare sotto la stretta di Malik. -
 
- Malik è un tesoro prezioso, ma so bene che è meglio non farlo arrabbiare. – Scarlett si spostò appena, allungò una mano e Micah le passò la sigaretta, così che anche lei potesse tirarne una boccata: - E che cosa è riuscito a tirare fuori da quel poveretto? -
 
- Beh, per una volta si è rivelato davvero molto utile. – Con delicatezza Micah si tirò su lasciando totalmente scoperto il busto. Scarlett lo imitò e fra una boccata e l’altra, passò lo sguardo sul tatuaggio della bacchetta spezzata inciso sul pettorale sinistro.
 
- Pare che Nadia in persona stia arrivando qui e domani avrà un colloquio con Salko. -
 
- Che cosa?! – Ben presto il volto di Scarlett si piegò alla furia: - Come è possibile che io non sappia di una notizia del genere?! È inaccettabile! – A quel punto Scarlett scivolò via dal letto e spense la sigaretta, si avviò verso la poltroncina su cui era poggiata con cura la sua vestaglia da camera con la quale, con enorme tristezza di Micah, la donna coprì il corpo nudo: - Quel bastardo… Ma sei sicuro che Scuttle non abbia detto una frottola? -
 
- Credo non avrebbe mai il coraggio di raccontare bugie a Malik. – Rispose Micah con tono sereno, senza allontanare gli occhi chiari dalla figura di lei. 
 
- Giusto, se così fosse sarebbe più pazzo di quanto pensassi… - Così, con movimenti scattosi, Scarlett versò due generosi bicchieri di gin per sé e per il compagno di letto. Ovviamente nella sua suite non mancava di certo un piccolo quanto ben nutrito mobile bar.
 
- Grazie. – Micah accettò il bicchiere: - Su bambina, non starti ad agitare tanto, puoi sederti qui? -
 
Scarlett, seppur sbuffando, acconsentì a sedersi al suo fianco: - Ha fatto di tutto per nascondermi una cosa così. – quasi un sibilo fu la sua voce nel pronunciare con amarezza quelle parole.
 
- Certo, ma perché ti stupisci tanto? Sai bene che Salko ti teme. -
 
- Hai ragione. – Micah sapeva bene come soddisfare l’ego di Scarlett e il risultato fu evidente; difatti la donna si rilassò un po’ e subito puntò gli occhi in quelli di Micah: - Comunque perché mi stai dicendo una cosa simile? -
 
- Perché ho bisogno che tu ci dia una mano, Scarlett. Devi fare in modo di farci origliare la conversazione fra la vecchia e Salko, credi di esserne in grado? -
 
Scarlett si fece meditabonda: - Mi chiedi molto, ci saranno energumeni ovunque a tutelare l’incolumità di entrambi. Ma questo non vuol dire che io non abbia i miei assi nella manica. –
 
- E quindi? – Le dita di Micah presero a giocare con l’orlo della veste di Scarlett e quest’ultima inclinò il capo nella sua direzione, piegando le labbra in un mellifluo sorriso carico di significato: - E quindi quell’idiota ha bisogno di una sana lezione. Domani sera riuscirete ad assistere all’incontro, stanne certo. -
 
- Sei davvero un angelo, sapevo di poter contare su di te. – Detto ciò Micah scostò da sé il lenzuolo e attirò la donna verso di lui. La veste scivolò via in fretta atterrando, leggera e futile, sul pavimento freddo.
 
Terre di Nessuno
 
La carovana agitava l’arida terra, di quel tratto che collegava la Corte ai Mercati Est. La sosta per rifocillarsi era stata breve, in quanto Nadia aveva mosso il desiderio di fermarsi per il più breve tempo possibile. Era importante sfruttare la notte per compiere il tragitto più lungo e alle prime luci dell’alba, in effetti, si trovavano già a buon punto.
Ryurik non sembrava particolarmente stanco, nonostante non avesse praticamente chiuso occhio; guardava con curiosità il territorio spoglio e abbacinante che avvolgeva il loro incedere, mentre tentava di tenere a bada il turbinio di emozioni che le Sentinelle in sua compagnia muovevano nell’animo. Nadia era stata molto chiara a riguardo: doveva concentrarsi sulle sensazioni che avrebbe potuto percepire estranee al gruppo in movimento e così stava tentando di fare, anche se non era propriamente facile. Ad esempio Alida, che trottava al suo fianco, non gli stava dando pace; Ryurik percepiva con distinzione la sua agitazione, un tumulto continuo paragonabile ad un veliero in balia della più spietata tempesta.
 
- Non sei abituata a mettere piede fuori dalla Corte, suppongo. -
 
Come appena destata, gli occhi che sbucavano da un velo scuro che avvolgeva il viso, scattarono nella sua direzione.
 
- Non mi è permesso, non lo è mai stato. Succede molto di rado e sempre in sua compagnia. -
 
Con un lieve cenno del capo, Alida indicò Nadia, affiancata da un paio di Sentinelle e anch’essa bardata in modo da non rendersi riconoscibile.
 
- Non hai mai pensato di lasciar perdere tutto e andartene? Francamente da quello che sto constatando in questi mesi, la tua vita è un vero inferno. -
 
Come a suo solito Ryurik parlò senza risparmiarsi di rigettare una verità diretta e pungente. Ad Alida venne da sorridere, sotto quel velo di cotone tinto d’oblio: - Strano che te ne sia accorto. – Disse poi, punta d’ironia: - Comunque credo di averci pensato centinaia di volte. Ho anche provato a scappare. – Alida non seppe dire come mai si stesse confidando con Ryurik; forse parlare in russo le concedeva una piacevole sensazione di protezione visto che sapeva per certo che Nadia non conoscesse la difficile lingua, forse era perché nel corso del tempo trascorso con lui, stava imparando a capire che quello strano mago le somigliasse più di quanto avrebbe creduto. Anche lui non voleva ricoprire il ruolo assegnatogli, eppure reagiva con un menefreghismo tale, da fare invidia alla strega. Avrebbe persino continuato a raccontargli, spiegandogli come e quando fosse successo di tentare di scappare da Nadia e la Corte. Gli avrebbe confidato del suo rapporto con Jude e di quello diverso ma così profondo che aveva con Micah, di cui ormai non aveva che un ricordo frammentato e instabile, ma che faceva ancora così male.
E proprio quando stava per parlare di nuovo, Ryurik raddrizzò la schiena e assottigliò lo sguardo. Proseguì nel trotto ma roteò appena per raggiungere con lo sguardo Lir, a pochi metri di distanza da loro e gli fece segno di avvicinarsi.
 
- Ho sentito qualcuno, sono sicuro. – Bisbigliò al mago, con il quale cercò il confronto per non allertare Nadia.
 
- Ne sei sicuro? In che direzione? -
 
- Di lì. – Aggiunse Ryurik mentre con l’indice spianato indicò un cumulo di macerie infestate da grovigli di rovi.
 
- Bene, te la senti di venire con me? -
 
Ryurik si limitò ad annuire e Alida seguì i due con lo sguardo mentre si allontanavano verso il punto indicato da Ryurik; solo a quel punto incitò il cavallo e galoppò fino a raggiungere Nadia, che non si era nemmeno accorta del movimento delle Sentinelle.
 
- Ryurik ha percepito qualcuno, lui e Lir sono andati in ricognizione. -
 
- E tu non hai visto nulla? – Chiese preoccupata Nadia, ricevendo come risposta un diniego con il capo.
 
- Bene, allora non c’è da preoccuparsi, vuol dire che non sarà nulla di grave, o quantomeno niente che il nostro Lir non possa risolvere. -
 
Terre di Nessuno
Mercati Est
 
Chion osservava con sconcerto Ame divorare con voracità la colazione; uova, filetti di pancetta ancora sfrigolanti, succo di mango, generose fette di pane multi cereali. Insomma, un pozzo senza fondo.
 
- Mi spieghi come fai? – Le chiese poi con ingenuità. Solo a quel punto Ame alzò lo sguardo dal piatto per ricambiare lo sguardo sbigottito del suo amico.
 
- A fare cosa? -
 
- A mangiare tutta quella roba. Sei sveglia da, quanto, quindici minuti e hai già ingurgitato un pasto completo giornaliero! -
 
- Guarda che quello strano sei tu, caro mio. – Ame lo indicò con la forchetta, mentre mandava giù un grande boccone di pane: - Quando ti capita di mangiare questa roba al Quartier Generale? Sì e no riusciamo a mangiare tante proteine una volta ogni due settimane, dobbiamo approfittarne ora. -
 
Effettivamente Ame non aveva tutti i torti, valutò Chion abbassando lo sguardo sulle sue uova fritte ancora intonse. Intorno a loro la vita dei Mercati echeggiava fra gli avventori giunti da poco per concludere grandi affari. Di lì a poco i due ragazzi vennero raggiunti da Yuki, incredibilmente sistemata alla perfezione, come fosse appena uscita da un salone di bellezza.
 
- Ragazzi, voglio proprio trasferirmi qui. – Dichiarò, sedendosi al fianco di Ame mantenendo sul viso un’aria soddisfatta: - Vi rendete conto che hanno persino un hammam? Scarlett mi ha dato una sorta di lascia passare e ne ho approfittato subito, sono stata servita e riverita! -
 
- Ficata! Che donna, quella Scarlett. Dovremmo proprio convincerla a venire con noi al Quartier Generale, credo che Micah ne sarebbe entusiasta. -
 
- Mmm, Scarlett ha i suoi affari e i suoi obiettivi qui, non credo metterebbe mai piede al Quartier Generale nemmeno sotto tortura. – Yuki rispose ad Ame e solo in seguito spostò l’attenzione su Chion, sorprendendolo a fissarla con una strana espressione sul viso.
 
- Tutto bene?- Gli chiese non celando la preoccupazione. Chion si affrettò ad annuire e tornare con lo sguardo sulla sua colazione; borbottò qualcosa che aveva a che fare con l’aspetto rilassato e luminoso di Yuki. La strega sorrise con imbarazzo e sentì un leggero rossore colorarle il viso; non era molto abituata ai complimenti, specialmente da parte di quel musone di Chion.
 
- Quindi la volete sapere la novità? – Fu Ame a spezzare quella strana, stranissima tensione che si era venuta a creare; Chion si affrettò ad annuire e Yuki non si risparmiò di fare lo stesso.
 
- Allora, ieri sera ho parlato un po’ con Dimma mentre ci sistemavamo per la notte. -
 
- Che carina, parli come una donnina del novecento! – La derise Yuki e Ame le fece notare che tutto quel confort probabilmente doveva averle dato alla testa.
 
- Insomma mentre ci stavamo lavando le ho detto che ho notato un certo avvicinamento fra lei e la nostra montagna di fiducia. -
 
- Uuuh, gossip! – Yuki fece scontrare le mani, sovraeccitata dalla notizia; Chion continuava a mangiare con estrema lentezza, non dando mostra di interessarsi affatto al racconto di Ame.
 
- Pare che quei due non ce l’abbiano raccontata per niente giusta! Credo ci sia un reciproco interesse già da un po’, così Malik le ha strappato un appuntamento. -
 
Quello che uscì dalla bocca di Yuki assomigliò in maniera inquietante ad uno squittio; avvenimenti del genere non erano mica cosa di tutti i giorni, per loro.
 
- Quindi lei ha detto si?! Dimmi che ha detto di si! Oh, Malik è così meraviglioso! E Dimma poi, lei è per… -
 
- Stavate parlando di me? -
 
 La voce dal tono piatto di Dimma sorprese Yuki alle spalle, costringendola a deglutire per interrompere il suo elogio a quella che, nella sua testa, era già una coppia assodata. Ame cominciò a tossire e cercò giovamento in un bicchiere d’acqua, mentre Chion si limitò a scuotere la testa con rassegnazione, per poi commentare con un “ridicole”.
Dimma, con un piatto di uova in mano, prese posto accanto a Chion. Poggiata la portata della colazione sul tavolo, incrociò le mani davanti al viso e accennò un sorriso in direzione di Ame. Un sorriso che, è bene specificarlo, raggelò la più giovane. Dimma non disse nulla, si limitò a fissarla, fin quando Ame non esplose: - Oh, e va bene! Sono un’inguaribile pettegola! –
 
- Riconoscere il problema è il primo passo verso la guarigione. – Affermò Dimma; eppure non poteva farci niente, voleva un gran bene a quella ragazzina alta e secca, che come lei era cresciuta fra le mura livide dell’orfanotrofio Strong.

 
 
 
Della vita prima dell’orfanotrofio, Andra non ricordava praticamente nulla. Non fosse stato per sua sorella Irma, di soli due anni più grande, probabilmente Andra non avrebbe mai saputo nemmeno che i suoi genitori si chiamavano Nora Doyle e Micheal Jones e che fossero dei ribelli del Regime. Non avrebbe saputo che avevano passato la loro vita a sfuggire alle Sentinelle e che per mano di esse vennero uccisi, dopo aver combattuto con le unghie e con i denti per difendere la loro famiglia e gli ideali in cui credevano.
Così Andra, a cui non era rimasta che sua sorella, finì a soli tre anni all’orfanotrofio Strong. La vita nell’orfanotrofio era dura come per tutti i bambini con cui condividevano i dormitori e l’unica nota positiva della sua vita era rappresentata proprio da sua sorella Irma, che per quanto possibile tentava di aiutarla a gestire episodi di magia incontrollata che non erano ben visti all’interno delle mura dell’orfanotrofio.
Gli educatori, con i bambini che mostravano cenni di magia, non erano affatto gentili: le punizioni non si risparmiavano e in più d un’occasione qualche bambino era costretto a passare giornate intere in attesa che le proprie ferite si rimarginassero.
E poi, laddove non arrivava la fredda malvagità degli educatori, ci pensavano gli stessi bambini ad aumentare il peso di trovarsi orfani, con nessuno al mondo su cui contare; le risse erano all’ordine del giorno, la parola bullismo la faceva da padrone e i soprusi non si sprecavano, in quell’ambiente animale in cui se si voleva sopravvivere bisognava crearsi una scorza così dura, che nessuno sarebbe stato in grado di scalfire.
Purtroppo per Andra, Irma soffriva di una salute più che cagionevole che sovente l’aveva portata su quel filo sottile che divideva la vita dalla morte; la piccola Andra impiegava anima e corpo per assistere come poteva Irma, rubando per lei dalle cucine in modo che la maggiore potesse nutrirsi a sufficienza e rinunciando in più di un’occasione al proprio pasto per cederlo ad Irma. Non che ad Andra la cosa importasse, perché l’importante, per la piccina, era che l’altra stesse bene; il suo sogno recondito era di uscire da lì con lei, mano nella mano, per iniziare una vita al di fuori dello Strong.
 
Il senso della vita su quella terra, Andra non lo aveva mai compreso davvero; come era possibile che tante persone fossero costrette a passare buona parte della loro esistenza nella sofferenza? Perché mai una giovanissima ragazza di soli tredici anni, che aveva sempre lottato contro la malattia, aveva dovuto abbandonare le armi così presto?
Gli strascichi di una polmonite non diagnostica e di conseguenza non curata, portarono alla morte di Irma; con la sua perdita, Andra perse l’unica persona che si era sempre presa cura di lei e che le aveva fatto conoscere il senso delle parole ‘amore’ e ‘famiglia’. Il suo nido ormai spoglio si era sfaldato e Andra, a undici anni, si era trovata da sola a fronteggiare gli educatori e i suoi compagni.
La morte di Irma causò nella giovanissima strega una frattura che non aveva possibilità di rimargino, perché il senso di abbandono arrivò inevitabilmente a comprometterne la stabilità emotiva, facendo in modo di trasformare Andra in una ragazzina taciturna e schiva.
L’unica cosa che la aiutò a cambiare in meglio la sua vita, fu l’apparizione di Irma in un sogno; bella e luminosa come mai l’aveva vista in vita, Irma le parlò con dolcezza e affetto, ma anche con polso fermo: Andra doveva andare avanti con le proprie forze, non doveva crollare sotto il peso della sua assenza.
Così Andra agì di conseguenza. Tentò la fuga più di una volta non abbandonando mai la speranza di lasciare l’orfanotrofio il più presto possibile e la sua tenacia venne un giorno ripagata. Andra aveva quindici anni, ma era forte, distaccata, possedeva uno sguardo che nessun altro bambino aveva e questo i reclutatori lo compresero subito. Non possedeva poteri speciali, era vero, ma quelli avevano capito che la giovane contenesse un potenziale enorme e che sarebbe stata, con il giusto allenamento, una validissima Sentinella.
Andra si lasciò lo Strong alle spalle all’età di quindici anni, nella speranza di trovare nella Corte un certo senso di sollievo. Magari quel senso di abbandono si sarebbe sopito e lei sarebbe stata in grado di costruirsi la propria vita.
Forse, Andra Strong, avrebbe avuto modo di capire davvero cosa fosse la felicità, anche se le sarebbe bastato smettere di sentirsi così sperduta e sola.
 
 
La Corte
 
Mentre Saskia rimetteva al proprio posto il taccuino su cui aveva preso appunti, Izzie soffermò per qualche istante lo sguardo sulla porta che si chiudeva. Era il terzo colloquio che effettuavano quel giorno e anche quella famiglia, secondo le due Sentinelle, non sembrava avere nulla da nascondere. Izzie, però, era più meditabonda che mai e questo Saskia non faticò ad intuirlo.
 
- Allora? Cosa ti ronza in testa?- Le chiese mentre si avviavano verso i cavalli con cui stavano girando per la Corte. Saskia montò agilmente sul suo dorso e incitò Izzie a fare lo stesso. Quest’ultima si prese qualche secondo, fece un grande respiro e infine salì in groppa al cavallo; nonostante la sua scelta fosse ricaduta sul più mansueto del maneggio, non è che fosse ancora particolarmente confidente con quegli animali.
 
- Beh… avviamoci intanto, ti dirò strada facendo. -
 
Saskia annuì, incitò il proprio cavallo a prendere il passo e Izzie fece lo stesso. Allontanate con andatura lenta seppur costante dall’agglomerato di abitazioni, Izzie si decise ad aprire bocca: - Io credo che tutto questo sia inutile; ormai mi sembra scontato che nessuna delle persone con cui stiamo parlando ne sa qualcosa di quanto è successo al mulino. E ti dirò di più, oltre a perdere tempo, stiamo anche terrorizzando quella povera gente. –
 
- Terrorizzando? Esagerata! – Saskia mosse una mano verso l’alto, poi tornò ad afferrare le redini con sicurezza: - Stiamo solo facendo il nostro lavoro e mi pare ci stiamo mostrando molto collaborative. -
 
 - Sarà- ribatté Izzie alzando appena le spalle vestite della sua giacca da aviatore: - Questo può valere per gli adulti, ma hai visto i bambini? Ci guardano come se fossimo il male incarnato; a te piace che guardino alle Sentinelle in quel modo? A me per niente. -
 
- Ti lasci sopraffare dai tuoi sentimenti e ti immedesimi troppo; noi stiamo eseguendo la volontà di Nadia e non facciamo che adempiere agli ordini impartiti da Jude. Questo è il nostro lavoro Izzie. -
 
Ma Izzie non demorse, al contrario sembrò indispettirsi non poco: - E quindi se Jude ti dicesse di buttarti da un burrone, tu lo faresti solo perché è il tuo capo? –
 
- Frena un po’. – Ora a indispettirsi fu Saskia, che lanciò all’amica e collega un’occhiataccia di sbieco: - Mi stai dando forse della stupida? È ovvio che le situazioni debbano essere valutate caso per caso! -
 
- No che non voglio darti della stupida! – Izzie si morse il labbro inferiore, concentrandosi sulle parole da utilizzare, tanto che si ritrovò ad ondeggiare pericolosamente sul dorso del cavallo. Ci mancava perdesse l’equilibrio e cadesse ad una velocità di dieci chilometri orari scarsi, a quel punto sarebbe diventata lo zimbello di tutte le Sentinelle.  – Ecco, penso semplicemente che in certi casi non sono troppo certa di agire per il meglio; pensaci bene… se ci fosse qualche ribelle nascosto alla Corte, stringergli la morsa intorno al collo non farebbe altro che farlo allontanare ancora di più. Invece se potessimo cercare un vero dialogo con loro, forse riusciremmo a far capire che Nadia vuole solo il nostro… il nostro bene. -
 
I cavalli continuavano a procedere con lentezza e Saskia mantenne lo sguardo sul profilo della compagna, con occhi sottili e animo sospettoso. Le parole di Izzie non la convinsero affatto; a saper leggere bene fra le righe, si poteva intuire quanto quella frase fosse distante dal vero sentire di Izzie; dava l’impressione, o almeno questo è ciò che arrivò a Saskia, che Izzie non fosse per niente convinta di ciò che stava dicendo. Fosse fosse che Izzie cominciasse a nutrire del disappunto verso il Regime?
Questo pensiero, a Saskia fece male; arrivò improvviso e tagliente e risvegliò una piccola parte di sé, quella che tentava di sopire da tempo. Quella tradita dalla fuga improvvisa di Auden, che evidentemente non credeva affatto nella Governatrice e al contrario, che si sentiva così soffocato da fuggire senza lasciarle nemmeno uno straccio di spiegazione.
Nonostante Saskia sapeva che fosse sbagliato mettere a paragone Izzie e Auden, specialmente perché quelle su Izzie non erano che stupide supposizioni, la Sentinella non riuscì proprio a mantenere la calma. Serrò la mandibola e tornò a guardare davanti a sé e così, senza dare alcun preavviso ad Izzie, puntò i talloni e incitò il cavallo a darsi una mossa.
 
- Ehi… Saskia! Ma sei impazzita?! Aspettami! -
 
Izzie tentò di incitare il proprio cavallo nel tentativo di raggiungere Saskia, ma l’animale non dette alcun cenno di volersi muovere a galoppo. Al contrario, l’equino rallentò ancor più il proprio passo, fino a fermarsi del tutto.
Izzie si sentiva proprio un’incapace, quando si trattava di avere a che fare con i cavalli.
 
*

 
L’amore ai tempi del Regime non era un sentimento scontato. Era difficile incontrare la famosa anima gemella, ancor più complicato generare dei figli. Eppure Oscar Marceau e Simone Docour erano stati così fortunati da ottenere entrambe le cose. Cresciuti nella nazione che un tempo era chiamata Québec, il sangue magico scorreva nelle vene di entrambi; ma era Simone a custodire un segreto enorme, che mai turbò l’animo del suo innamorato. La ragazza veniva da una famiglia di fabbricanti di bacchette e la sua eredità la sfruttò egregiamente; possedere una gran quantità di istruzioni per costruire le bacchette e l’innata capacità di farlo era una gran cosa, anche se purtroppo, il mondo in cui vivevano era quasi del tutto privo del legno necessario e dei nuclei adatti alla costruzione di bacchette funzionanti.
Fu così che Simone cominciò a costruire dei surrogati di bacchette, utili giusto a sputare qualche flebile incantesimo, ma con l’ottima capacità di vendita di Oscar, i loro loschi affari  erano sempre andati per il meglio e Claudia, bambina nata dall’unione dei due, aveva passato i primi sei anni di vita ignari del lavoro dei genitori e del loro muto appoggio nei confronti dei Ladri di bacchette.
Forse sarebbe andato tutto per il meglio se Hugo Decour, fratello di sua madre, non li avesse traditi; era per lui inaccettabile il mestiere di sua sorella e ancor più sapere che Oscar e Simone fossero animati da uno spirito ribelle, che gli avrebbe causato senza ombra di dubbio grossi guai. Hugo non aveva spina dorsale e di guai non ne voleva affatto, per questo decise di tradire il suo stesso sangue, allertando le Sentinelle sulla vera natura dei coniugi Decour.
Quando le Sentinelle fecero irruzione a casa loro, Claudia era nascosta nella cantina; Hugo non poteva permettere che una bambina con un potere così portentoso fosse notata, perché di sicuro l’avrebbero portata via, magari per consegnarla alla Corte. Alla piccola, in buona sostanza, non venne nemmeno permesso di dire addio ai suoi genitori, che tanto l’avevano amata e che mai l’avrebbero vista crescere.
 
Hugo prese così la decisione di partire con la bambina alla volta dei territori adiacenti alla Corte; il suo potere che si era manifestato già in tenera età era speciale e gli sarebbe stato molto utile per la sopravvivenza. L’uomo faceva ciò che era in suo potere per sopravvivere al meglio e di certo non si risparmio di vendere ai mercati alcune formule che la sua famiglia tramandava di generazione in generazione; in questo gioco ingannevole Claudia assunse un ruolo fondamentale, perché con la produzione d un clone, la bambina lo aiutava nelle vendite.
Ben presto però voci malevole si diffusero fra i rigattieri; Hugo Decour e la ‘coppia di gemelle fulve’ vennero presto additati come scrocconi e raggiratori e più il tempo scorreva, maggiore diveniva l’insofferenza di Claudia per quel suo zio che la costringeva a dichiararsi orfana da sempre e che la sfruttava solo per migliorare la sua condizione di vita.
 
Il punto di svolta, nella vita della piccola, avvenne quando la sua strada si incrociò con Atticus Heatherfild, fedelissimo di Nadia che girava per le Terre di nessuno con lo scopo di reclutare bambini speciali e segnalare i potenziali sovversivi del Regime. Hugo Decour, per un uomo come Atticus, non era che una preda come tante altre e mettersi sulle sue tracce, fino a rintracciare la catapecchia in cui viveva con le gemelle, fu per Atticus un gioco da ragazzi.
Nella sua vita Atticus aveva avuto a che fare con molti piccoli esseri umani con poteri speciali, ma scoprire Claudia fu comunque sconcertante, perché mai avrebbe creduto che quelle due gemelle di cui tanto si parlava fra i banchi dei mercati, in realtà, non fossero che una sola persona in grado di riprodurre copie fedeli di sé con strabiliante maestria. Ad Atticus apparve chiaro quando la bambina sviluppò un terzo clone davanti ai suoi occhi per mettersi a guardia delle altre due, che poco dopo tornarono a condividere un solo corpo.
Il destino di Hugo fu presto segnato; come era stato per sua sorella e suo cognato, anche lui fu spedito alle Colonie e l’uomo, pavido e incapace di reagire, non tentò nemmeno di battersi per fuggire con sua nipote.
E Claudia, frastornata dall’ennesimo grande cambiamento della sua vita, fece giusto in tempo grazie l’ausilio di un suo clone, a recuperare e nascondere lo scrigno di sua madre contenente pagine di istruzioni per fabbricare le bacchette.
 
*
Terre di Nessuno
 
- Lì! – Ryurik, una mano stretta attorno alle briglie del cavallo, indicò nuovamente il punto da cui sentiva distintamente aumentare il sentimento della paura. Lir incitò il cavallo, affinché quello aumentasse la sua velocità, mentre dalla cintura tirava via la sua spada Urumi; intanto Ryurik, con maestria invidiabile, caricò il suo arco con una freccia e coprì le spalle del compagno pronto all’attacco.
 
- Bambolotti! – Cantilenò Lir mentre si avvicinava: - Sappiaaaamo che siete lì. Coraggio, uscite fuori! -
 
Lir frenò la corsa del cavallo incitandolo al trotto e i suoi occhi chiari ispezionavano quel cumulo di macerie fagocitate dalla sterpaglia spinosa; anche Ryurik rallentò la corsa e puntò l’arco, in attesa di colpire eventuali nemici.
 
- F-fermi! Non abbiamo cattive intenzioni! -
 
Un uomo sbucò fuori dal nascondiglio con le mani alzate subito prima che Lir potesse fare il giro con il cavallo per braccarlo. La Sentinella scese da cavallo e cominciò a roteare la spada Urumi con aria beffarda: - Sappiamo che non sei solo, chi c’è lì con te? –
 
- Nessuno! Non c’è nessun altro! – Gridò quell’uomo dall’aria trasandata e il ventre sporgente oltre la cintola dei pantaloni.
 
- A noi Sentinelle non piacciono le bugie, lo sai? – Lir mosse alcuni passi verso l’altro il quale arretrava ad ogni suo movimento.
 
- Ti sto dicendo il vero! -
 
- Hai sentito? – Lir roteò la testa in direzione di Ryurik con la freccia puntata verso lo sconosciuto: - Dice di essere solo; tu che mi dici amico mio? -
 
- Stronzate. – Questa l’unica parola di Ryurik, seguita da una calda risata di Lir che tornò a puntare l’attenzione verso l’uomo che stava lentamente abbassando le mani.
 
- Visto? Il mio compagno dice che racconti le bugie; forse è meglio che dia un’occhiata personalmente , sai? -
 
Lir si avvicinò ancora e a quel punto dalle macerie spuntarono anche una donna dai capelli lunghi e stopposi e un ragazzo più giovane; quest’ultimo aveva lo sguardo terrorizzato e mentre la donna tentava di darsi alla fuga, Lir inchiodò gli occhi in quelli dell’uomo: - Nessuno fotte Lir Strong. –
 
Ryurik cambiò repentinamente il suo obiettivo e scagliò la freccia in direzione della donna; questa andò a conficcarsi nella gamba destra della fuggitiva facendola stramazzare al suolo, fra imprecazioni di dolore. Lir, sereno come un bambino sull’altalena, non staccò mai gli occhi dal primo uomo che avevano scovato; preso un grande respiro, la Sentinella decise che cosa sarebbe stato giusto fare.
 
- Nessuno. – Sibilò, prima di espirare nuovamente e con profondità. Cosa stesse accadendo, la povera vittima del potere di Lir non lo comprese all’istante; inizialmente ciò che percepì fu un senso di rarefazione sensoriale, come se il suo olfatto, l’udito e la vista si fossero assottigliati. L’incubo vero, però, era già pronto a invaderlo ed abbatterlo con forza micidiale: un ronzio dapprima lontano, si fece sempre più vicino e invadente, portandolo a guardarsi intorno con circospezione.
 
-Cosa?! Dove sta? Dove sta?! – Infine l’uomo notò un insetto di notevoli dimensioni avvicinarsi a lui, portandolo a scacciarlo con la mano e riuscendo nella sua impresa. Peccato che con il primo, decine di altri arrivarono circondandolo e cominciando ad attaccarsi al suo corpo con morsi famelici di sangue umano.
Scacciarli tutti era impossibile e a quell’uomo non restò che accasciarsi a terra, fra grida disumane tinte dal dolore dei morsi degli orribili insetti che non gli davano tregua, volenterosi di privarlo di ogni singola goccia di sangue che scorreva nel corpo.
 
Il ragazzo non aveva tentato di seguire la donna, probabilmente immobilizzato dal terrore di essere attaccato; nel sentirla gridare aveva avuto l’istinto di soccorrerla, ma Ryurik lo aveva intimato di rimanere immobile, se non avesse voluto finire ammazzato e così lui aveva obbedito. Al giovane non rimase che spostare l’attenzione sul compagno adulto, che in pochi secondi aveva visto rotolare a terra in preda a spasmi e urla che invocavano aiuto. Non sapeva di certo che quello fosse vittima del potere della Sentinella che lo teneva sotto scacco; sapeva solo che qualsiasi fosse il motivo per il quale dimostrava di soffrire così, non avrebbe voluto provarlo sulla sua pelle.
 
Quando vennero raggiunti da Nadia in persona, affiancata da Alida e altre due Sentinelle, la situazione era la seguente: la donna era stata colpita da una seconda freccia scoccata dalla mira chirurgica di Ryurik, mentre l’adulto rantolava a terra, ormai libero dal terrore diurno di Lir ma troppo debilitato per pronunciare qualsiasi parola di senso compiuto. A quel punto Nadia si rivolse direttamente al giovane del gruppo, scivolato a terra sotto ordine di Ryurik. La Governatrice lo lasciò parlare e spiegare che erano un gruppo di rigattieri del deserto alla ricerca di qualche gruppo nomade da depredare, ma che non avevano intenzione di attaccarli visto che avevano notato quanto il suo gruppo fosse bene organizzato.
 
- Risparmiateci, vi supplico! – Balbettò il ragazzo, sdraiato a terra e con le mani strette sopra la nuca; Nadia si avvicinò al giovane e si inginocchiò, per fare in modo che quello riuscisse a guardarla. Quanto lesse nello sguardo di quella donna, il giovane rigattiere non lo avrebbe mai dimenticato, se la vita gli fosse stata risparmiata, chiaro.
 
- Nel mio mondo non c’è spazio per parassiti come voi. Avete scelto la strada sbagliata e lo pagherete a caro prezzo, mio caro ragazzo. -
 
Nadia si alzò e dette le spalle per avviarsi con lentezza verso il proprio cavallo; bastò un suo gesto della mano, per far si che Lir, Ryurik e le altre Sentinelle falciassero la vita dei tre rigattieri, lasciando i loro corpi sulla terra arida per far si che essi diventassero banchetto prelibato, per le creature selvagge che dominavano le Terre di nessuno.
 
 
Terre di Nessuno
Mercati est
 
Il fatto atipico, nel contesto desertico e inospitale di buona parte dei territori che circondavano le sporadiche comuni, era senza ombra di dubbio trovarsi davanti a scenari così suggestivi. Andra, in realtà, al di fuori degli anni passati alla Corte, non poteva dire di aver mai potuto osservare una vista simile.
Malik aveva deciso che non avrebbe voluto perdere altro tempo così, approfittando dell’insolita gita ai Mercati e dopo aver ricevuto dalla donna una risposta positiva la sera prima, le aveva detto che prima di convergere con gli altri Ladri per assistere all’incontro della Governatrice con il capo dei Mercati, aveva in serbo per lei qualcosa di speciale. Andra non si era fatta grandi aspettative, eppure aveva scientemente deciso di non porsi troppe domande e di lasciarsi un po’ andare.
Quando Malik le aveva chiesto un appuntamento, inizialmente si era irrigidita; lei, che di appuntamenti non ne aveva mai avuti, non sapeva proprio come agire. Ma ormai conosceva quell’uomo da anni e sarebbe stato sciocco negare a se stessa che Malik le piacesse davvero, ritenendosi anche fortunata in un certo qual modo, per avere incontrato in quel luogo così povero di esseri umani, qualcuno che le andasse a genio.
Così, con il cuore incastrato in gola, lo aveva seguito fuori dagli atipici agglomerati di roccia che cullavano i Mercati; un viottolo nodoso di terriccio rosso condusse lei e Malik in cima a una collina quasi totalmente priva di vegetazione e dalla cima, con il sole che si apprestava ad affondare nell’orizzonte, gli occhi verdi di Andra saltarono lungo i tendoni colorati dei banchi esterni, sui quali erano incastrate lucine fioche. Oltre i tendoni, la distesa di terra arida si tingeva di un rosso cupo, coadiuvata dal calare del sole e su di essa vide muoversi bestie lontane.
Era bellissimo.
 
- Sai, non ho molto da offrire, ma questa è stata la mia casa e devi sapere che quando ne avevo occasione, sgattaiolavo via per venire quassù; di tanto in tanto ci portavo anche mia sorella. Mi ha sempre dato un senso di pace e in qualche modo di speranza. -
 
Andra allungò la mano per dedicare al braccio di Malik una stretta tiepida. Per un po’ non disse nulla, fin quando non tornò con lo sguardo su quel mondo che da lassù sembrava molto diverso da quello da lei conosciuto. – Prendevi un po’ di respiro dalla tua vita, questo posto deve essere stato di grande ristoro. –
 
Malik annuì, così sedette a terra e Andra lo imitò; insieme persero un po’ di tempo ad osservare il tramonto e solo il brusio lontano del mercato solleticava le loro orecchie. O almeno fino a quando non sentirono un rumore di passi giungere dallo stradello, dal quale con gli occhi fuori dalle orbite e l’affanno in canna, spuntò Scuttle carico come un ciuchino.
 
- Ho dovuto lasciare il mio banco a un tipaccio per venire qui; vediamo di fare presto! -
 
- Dovresti scegliere meglio i tuoi amici, che ti sia di lezione. – Rispose solenne Malik, nonostante Andrà notò un inconfondibile sorriso trattenuto. Non chiese nulla, si limitò a guardare Scuttle svuotare la sgangherata valigia che si trascinava dietro e con sua enorme sorpresa, il rigattiere sfoderò una tovaglia che srotolò loro davanti, sulla quale posizionò una bottiglia di vino, due bicchieri spessi e opachi e un paio di portate d’arrosto, accompagnate con patate e verdure grigliate.
 
- E buon appetito. – Grugnì Scuttle prima di fuggire via, terrorizzato dall’idea che Malik potesse decidere di trattenerlo per qualche altro motivo.
Mentre Malik svitava il tappo e colmava i bicchieri, Andra lo osservava stupita: - Hai davvero fatto tutto questo solo per la nostra uscita? –
 
- Non mi sembra poi molto, ma ho pensato che sarebbe stato carino passare un po’ di tempo qui prima di tornare al Quartier Generale; converrai con me che lì, di privacy, non ne avremmo avuta. -
 
 - Ha ragione milord, mi alzerei per farle una reverenza… - Andra afferrò il bicchiere passatole da Malik - … ma si sta così bene seduta quaggiù. -
 
 - E va bene, farò finta che ti sia comportata come converrebbe a qualsiasi ragazza di buona famiglia. – I due fecero scontrare i bicchieri in un brindisi e con quelli ampi e reciproci sorrisi sbucarono sui visi. Dopo aver bevuto un primo sorso Andra tornò a parlare: - Questa mattina  ho sorpreso Ame a spettegolare su questo. -
 
- Di già?! Non mi ha dato nemmeno il tempo di rovinare tutto con qualche mossa falsa! Piccola ragazzaccia pettegola che non è altro. – Malik accennò a una risata mentre scrollava il capo con rassegnazione. Andra volle seguirlo in quella risata e lo fece senza sforzarsi affatto. Non glielo avrebbe detto, non subito almeno, ma in cuor suo era abbastanza sicura che Malik non avrebbe potuto rovinare nulla; al contrario sentiva che sarebbe andato tutto fin troppo bene, al punto da dover scendere a patti col fatto che immaginarsi una vita al suo fianco era un pensiero piacevole.
Ma tempo al tempo, si disse Andra.
Certo, che cosa diavolo avesse combinato Malik per far sbriciolare la sua ferrea razionalità, non sapeva proprio dirlo.

 
 
Andra non dovette attendere a lungo per ottenere un riconoscimento; l’addestramento per diventare una Sentinella ebbe inizio a pochi giorni dal suo arrivo alla Corte, per questo motivo non ebbe neanche il tempo di soffermarsi – e sorprendersi- dinanzi alle meraviglie che quel piccolo mondo conteneva. Certo, riconosceva che le differenze con l’Orfanotrofio fossero abissali, visto che nella Corte Andra era ben nutrita, poteva studiare, conoscere dei coetanei che non cercassero in continuazione di prevaricare su di lei, o più semplicemente assaporare la piacevole sensazione dell’erba tenera sotto i piedi. Eppure lei, in continua lotta per la sopravvivenza, aveva un unico obiettivo, ovvero diventare molto forte e raggiungere lo stato di sincera serenità.
Sul campo d’addestramento fece la conoscenza di Jude Millan, della sua stessa età e del cugino più piccolo Micah; quest’ultimo, Andra lo capì con il tempo, non si allenava per diventare una Sentinella al contrario di Jude, bensì per volontà della Governatrice Nadia.
Jude, sfrontato, superbo e arrogante, possedeva doti fisiche evidenti e un potere che via via imparava a gestire sempre meglio, mentre Micah più acerbo nel fisico ma al contempo più spigliato caratterialmente, non aveva mai dato mostra di possedere alcun tipo di potere particolare. Andra si trovò più volte a chiedersi quale fosse il motivo che aveva spinto Nadia Millan a fare addestrare il nipote minore, visto che Micah non dava segni di voler diventare una Sentinella e la stessa Nadia, secondo le parole dei due cugini, non voleva che questo accadesse.
Andra li osservava da lontano, sottilmente invidiosa del rapporto che legava i due cugini, diametralmente opposti, eppure così affiatati; era ovvio che Jude si occupasse del più piccolo non perché obbligato ma mosso da sincero affetto, come era ovvio che negli occhi brillanti di Micah, quando rivolgeva lo sguardo al maggiore, rilucesse vera e propria ammirazione. Anche lei avrebbe voluto avere ancora sua sorella in vita e più e più volte, durante le sue passeggiate di ritorno dal campo d’addestramento, si ritrovò a chiedersi come sarebbe stato avere Irma lì con lei. Ma Irma non c’era più e la Corte, apparentemente un’oasi di pura felicità dove i vicini si sostengono l’un l’altro, non riusciva a fornirle nessun tipo di calore.
 
Con l’arrivo della maggiore età, Andra venne ufficialmente riconosciuta come Sentinella insieme al coetaneo Jude. Fu con lui che condivise la prima vera missione al di fuori della Corte e fu sul contesto delle Terre di nessuno che Andra dette davvero mostra delle sue evidenti capacità nel combattimento. Jude, che fino a quel momento si era sempre posto in maniera più che altezzosa nei suoi confronti, mostrò per la prima volta di considerarla una sua pari e fu da quel momento che i due, che possedevano caratteri spigolosi ma a tratti molto simili, cominciarono a legare.
Probabilmente fu proprio perché si sentì autorizzato a farlo, visto il loro rapporto, che Jude spinto dalla curiosità, un giorno tentò di usare il proprio potere su Andra. Durante l’allenamento allungò una mano nella sua direzione, ma Andra capì dal suo sguardo cosa il ragazzo stesse tentando di fare.
 
“ Fermo. “ Con velocità sbalorditiva, Andra aveva estratto la pistola dalla fondina e aveva puntato lo sguardo feroce in quello del compagno.
 
“ Non ti azzardare a provarci un’altra volta, o puoi stare certo che ti faccio saltare la testa prima ancora che tu possa metterti a frignare, sono stata chiara? “
 
Jude aveva ritirato la mano e con grande stupore di Andra, rispose a quell’affermazione con una fragorosa risata.
 
 
 
“ Mi spiace per quello che ho fatto prima, non so nemmeno io perché l’ho fatto. “
 
Seduti sulla staccionata del maneggio, in ripresa dagli allenamenti, Andra osservava il suo compagno con cipiglio torvo. “Te lo dico io perché, perché sei un coglione. “
 
“ Beh, forse hai ragione, sono proprio un coglione. “ Jude accennò ad un sorriso e Andra non riuscì a resistere a lungo. Scivolò dalla staccionata e si posizionò, con braccia conserte, davanti all’altro. “ Chiariamo una cosa… io non sono un ragazzino con cui puoi divertirti a sperimentare la tua amortentia del cazzo, chiaro? Ormai mi conosci, sai che non temo né te, tantomeno il tuo stupido potere, quindi non provarci davvero mai più. Non hai bisogno di questi giochetti con me. “
 
Poi Andra fece una cosa che inizialmente stupì Jude: gli porse la mano. Esitante da principio, infine Jude si decise a cogliere quel gesto, che mise fine alla discussione. Andra non lo temeva e gli stava dimostrando che si fidava di lui.
 
La strana amicizia arrivò a sfogare in qualcosa di altro, a seguito di ritorno da una missione. I due erano stanchi, provati, ma sentivano ancora forte l’adrenalina circolare nel corpo; la strada che portava alla piazza centrale dove Andra viveva era buia e gli unici a solcarla, in quel momento, non erano che loro due. Jude non poteva negare che quella ragazza fosse di una bellezza da mozzare il fiato e Andra, che mai aveva disdegnato la compagnia maschile, poteva dire altrettanto di Jude. Fu così che in un batter di ciglia i due si ritrovarono in mezzo all’erba alta dei campi gravidi d’estate, a scambiarsi baci e provocazioni, per poi privarsi dei vestiti quel tanto che bastasse per unirsi in un atto che con l’amore non aveva nulla a che fare.
In quel momento avevano abbandonato il ruolo di Sentinelle per tornare ad essere due adolescenti qualsiasi, vogliosi di condividersi con l’altro senza dover fornire alcun tipo di spiegazione a nessuno.
Il pensiero razionale era stato accantonato senza rimorsi,  per lasciare spazio a Jude e Andra, due ragazzi così giovani e belli, da meritarsi un po’ di spensieratezza in più.
 
 
Quartier Generale
 
Mani allacciate dietro la schiena, labbra tese, occhi abbracciati da sopracciglia contratte, ad ispezionare la grande mappa delle Terre di Nessuno appesa al centro della sala delle riunioni. Claudia osservava, in silenzio, i puntini rossi sparsi sulla distesa di carta e nel suo intimo sentiva la preoccupazione montare. Al suo fianco Vulkan stava facendo la stessa cosa; osservava meditabondo i segnali che indicavano i loro compagni.
 
- Non va affatto bene. – Disse lei, in un soffio appena accennato. Inconsciamente si accarezzò la mano offesa. Erano davvero troppi i Ladri in missione, anche se a preoccuparla non erano di certo il gruppo che si era recato ai mercati con Sonne. Oh no, Claudia sapeva bene che loro se la sarebbero cavata e che tutti avrebbero fatto ritorno, illesi, al Quartier Generale. Il problema era invece presentato da Mångata, all’inseguimento di Stafford e da Atlas e Angelica, partiti per una missione di avanscoperta da molti giorni.
Così Claudia mosse qualche passo per avvicinarsi alla mappa e puntò due puntini su di essa con l’indice: - Avevano detto sarebbero tornati nel giro di un paio di giorni; niente di pericoloso. –
 
- Già. – Confermò Vulkan con gli occhi sottili incastrati sul punto indicato da Oleander: - A sentire Leaf dovevano limitarsi ad ispezionare quella zona grigia, senza spingersi oltre. Mi chiedo cosa sia potuto accadere nel mentre. -
 
- Loro fanno sempre ritorno, sempre. Angelica non è sconsiderata tanto quanto Leaf e non gli avrebbe mai permesso di fare qualcosa che li avrebbe messi in pericolo. -
 
- Forse un agguato. – Valutò Vulkan: - O forse si sono dovuti riparare per qualche motivo. Voglio credere che sia così. -
 
- Mmm… ho un bruttissimo presentimento. -
 
Oleander sospirò e si ritrasse dalla mappa, per poi avvicinarsi nuovamente al grande tavolo su cui errano sparpagliate altre mappe. Spianò le mani su di esso e perse lo sguardo fra le crepe di una pergamena; Vulkan si concesse di sospirare, prima di avvicinarsi alla porta.
 
- Vado a chiamare Skog, avviserò anche Mawja… credo sia necessaria una riunione per capire cosa sia meglio fare. -
 
La strega annuì, ma non lo stava ascoltando davvero. Nella sua testa era vivida l’immagine terribili delle Colonie. Claudia temeva che uno dei suoi compagni potesse essere finito in una di esse, come probabilmente era accaduto a Juliette. Strinse i pugni e ingoiò a vuoto, consapevole che quasi nessuno fosse in grado di uscire vivo dalle Colonie; lei ci era riuscita, era vero, come era vero che la stessa buona sorte fosse toccata ad Atlas in passato. Ma la grande differenza stava nel fatto che ad Atlas non toccò che rimanerci per un tempo davvero breve e se era riuscito a scappare fu grazie a un caso più che fortuito.
Al contrario, Claudia aveva dovuto combattere per liberarsi dalle catene di quell’inferno e i segni, pensò mentre guardava la sua mano meno reattiva, erano rimasti, per ricordarle l’orrore che era stata costretta a subire.
 
 

Con il suo arrivo alla Corte, Claudia sperava di rimanere con quell’uomo che si era mostrato tanto gentile e premuroso nei suoi confronti. Effettivamente Atticus fu autorizzato da Nadia a tenere Claudia con sé, ma non fu nella sua casa che la piccola finì per vivere, bensì in quella che venne presentata come la sua compagnia, una donna di nome Nancy Birch.
I rapporti con lei non furono dei migliori: Nancy era scorbutica, dura e non riservava mai a Claudia una parola gentile, persino quando la ragazzina, una volta cominciato a frequentare la scuola nella Corte, si era decisa a tirare fuori un lato di lei più femminile, mostrando tutta la sua volontà di emergere per le sue qualità.
 
“ Guardati, non sei che una piccola sciocca. Potrai apparire graziosa quanto vuoi, ma questo non ti servirà a nulla nella vita, se non a esserti di danno! Non faranno che approfittarsi di te per il tuo bel faccino e i tuoi modi cortesi. “
 
Le parole di Nancy arrivavano sempre micidiali a Claudia, che si trovava sempre più spesso a sperare che Atticus, durante le sue sporadiche comparsate a casa della donna, si decidesse di portarla via con sé. Perché l’uomo era sempre così gentile nei suoi confronti, sempre ben predisposto e Claudia non pensava ci fosse nulla di male se quello, di tanto in tanto, indugiasse qualche secondo in più con la mano sulla sua guancia o gli occhi solcavano la sua ancora immatura siluette.
 
Tutto sommato il tempo alla Corte scorreva piacevole e Claudia cresceva in un contesto idilliaco, facendo per altro la conoscenza di vari ragazzi, fra cui Micah e Jude Millan, i nipoti della Governatrice. Micah le smuoveva innata simpatia, mentre nei confronti del bello quanto criptico Jude, Claudia possedeva delle riserve; quel ragazzo non la convinceva affatto e si sentiva intimorita da lui e da quel suo acerbo potere a tratti spaventoso ai suoi occhi. In assoluto però, la ragazzina munita del dono del disegno, era conquistata da Etienne Moreau; dirlo ad alta voce sarebbe stato sciocco, così Claudia si limitava a fare dei ritratti del consorte di Nadia. Ritratti che strapparono a Micah una bella risata, quando un giorno la sorprese a produrne uno.
 
“ Non ti ho dato il permesso di guardare! Sei un gran maleducato, lo sai?! “
 
Punta sul vivo e rossa in volto, Claudia attirò a sé il blocco da disegno; Micah però non riuscì a smettere di ridere e solo quando placò la fragorosa risata, seppur continuando a sorridere, si decise a parlarle.
 
“ Sai Claudia, non dovresti idealizzare così tanto mio nonno. “
 
“ Non lo sto idealizzando! È solo… è solo molto gentile con me e penso che sia una persona da onorare, ecco tutto! “
 
Lo sguardo del ragazzino si addolcì appena. “ Lo dico per te… hai un potere interessante e conoscendolo, la cosa non è passata inosservata a mio nonno. “
 
 
Solo qualche anno dopo Claudia avrebbe capito quelle parole, rimaste nebulose per molto tempo. Il primo dubbio le si instillò a seguito della scomparsa del ragazzo, ma la giovane era ancora troppo accecata dalla vita idilliaca che faceva alla Corte, per ispezionarsi nel profondo e decidere di porsi chissà quali domande a riguardo. Se ci fu un campanello d’allarme, Claudia lo sopì e mise a forza da parte la notizia della fuga di Micah, per concentrarsi sull’addestramento che l’avrebbe fatta diventare una Sentinella. Aveva vent’anni, era bella, forte e con un potere invidiabile, in breve possedeva tutte le qualità di cui aveva bisogno per sbocciare e brillare come una stella nel firmamento della Corte di Nadia.
Fu in quel periodo che nella sua vita spuntò Lir Strong, colui che sottoscrisse la sua condanna, ma che in tempi non sospetti rappresentò per Claudia la prima vera cotta, che presto la giovane tradusse in vero amore. Lir era ambizioso, alla mano, socievole e scaltro e in un certo modo le ricordava quel suo amico dalla lingua tagliente scomparso d’improvviso. Era talmente accecata dalla piega più che positiva che aveva preso la sua vita, che non provò la necessità di approfondire le particolari dinamiche che vigevano con Atticus e Nancy; Claudia aveva per lungo tempo pensato che l’atteggiamento ostile di Nancy fosse dettato dalla gelosia nei confronti di Atticus, che con ogni evidenza le riserbava attenzioni particolari. Per questo non fu facile comprendere le parole della donna quando ella, spazientita e allarmata, l’aveva costretta ad ascoltarla.
 
“ Devi ascoltarmi bene Claudia, perché la comprensione di ciò che sto per dirti ne varrà della tua sopravvivenza. “
 
Nella loro cucina, davanti a un piatto di tiepida minestra, Nancy fece in modo di fare aprire gli occhi ciechi di Claudia.
 
“ Tu pensi che Atticus sia un brav’uomo, una persona per bene, che ti ha salvata da un destino infame. Dimmi dunque, non ti sei mai resa conto del modo in cui ti guarda? Di come si comporta con te? “
 
“ Io… non ti capisco Nancy, Atticus mi vuole bene e… “
 
“ Stronzate!” tuonò la donna e il battere della sua mano fece vibrare pericolosamente i piatti “ Lui non è che un uomo spregevole, uno schifoso bastardo che approfitta della sua posizione per fare i suoi porci comodi ed è ora che te ne renda conto anche tu! “
 
Così Nancy confessò a Claudia chi fosse davvero Atticus; una persona che aveva passato la vita a ‘salvare’ giovani ragazze per poi prenderle con sé, irretirle con il ricatto della presunta salvezza e usarle a proprio piacimento, per poi spedirle con qualche scusa nelle Colonie per poter passare alla ragazza successiva.
 
“ Io sono l’ultima di quelle ragazze, Claudia… e la prossima sarai tu, se non ti decidi a cambiare la tua vita. Ho frugato fra le sue carte e ho trovato un certificato con sopra il mio nome… vuole deportarmi alle Colonie; al fianco c’era anche il vostro contratto di matrimonio. “
 
D’improvviso a Claudia crollò il mondo addosso. Si era davvero sbagliata tutta la vita? Nancy che lei aveva sempre additato come matrigna cattiva voleva solo proteggerla, mentre Atticus aveva l’unico obiettivo in mente di approfittarsi di lei.
Tormentata dal dubbio di cosa sarebbe stato giusto fare per la sua vita, Claudia capì che aveva solo un’opzione, ovvero confidarsi con la persona che le aveva rapito il cuore e a cui si era concessa in ogni forma; a nulla valsero i consigli di Nancy di stare alla larga da quella Sentinella, che lei aveva ben compreso. Secondo Nancy Lir non era che un arrivista, pronto a tutto pur di conquistarsi un posto d’onore alla Corte. La avvisò che l’unica cosa da fare era quella di darsi entrambe alla fuga, senza dire nulla a nessuno, men che meno a persone così vicine alla stretta cerchia di Nadia.
Se Claudia le avesse dato ascolto, probabilmente le cose sarebbero andate molto diversamente, ma la giovane strega non riuscì a escludere Lir dalla sua vita e alla fine, mossa dall’amore, confessò tutto a quel ragazzo.
Gli disse che in verità lei veniva da una famiglia di fabbricanti di bacchette e che teneva con sé alcune pergamene con su scritto i grandi segreti della costruzione dei legni magici. Gli parlò volontariamente di Atticus e altrettanto volontariamente evitò di citare Nancy e ciò che le aveva detto, forse perché una piccola parte di sé non si fidava davvero di Lir e mettere nei guai Nancy era l’ultima cosa che avrebbe voluto. Infine, disse al ragazzo che sarebbero dovuti scappare insieme, perché lei alla Corte non poteva rimanerci più.
Fare buon viso a cattivo gioco era una caratteristica di Lir, niente affatto intenzionato ad abbandonare la Corte; al contrario la Sentinella non si risparmiò di correre da Jude a riferirgli tutto ciò che aveva appena saputo da Claudia.
Claudia passò i giorni a seguire continuando a condurre la sua vita normalmente; si recava agli allenamenti e manteneva  un sorriso gradevole sul volto, sebbene nel mentre sapeva che Nancy stesse organizzando la loro fuga. Così quando arrivò il giorno in cui anche Claudia avrebbe dovuto preparare le sue valige, la ragazza decise di presentarsi comunque agli allenamenti; doveva vedere, almeno per l’ultima volta, il ragazzo di cui si era innamorata.
E proprio sul campo d’addestramento la ragazza fu assalita dai suoi colleghi e trascinata alla Magione di contenimento, dove avrebbe subito un estenuante interrogatorio da parte di Jude Millan.
 
 
La Corte
Zona di addestramento
 
Che Jude fosse particolarmente nervoso lo avrebbe capito chiunque lo conoscesse anche solo di vista. Artemisia aveva visto il suo capo accanirsi con le reclute come poche volte aveva fatto nella vita. Il significato delle parole comprensione e pazienza era stato dimenticato da Jude e non aveva fatto passare niente ai giovanissimi che si erano ritrovati ad avere a che fare con lui. Fortunatamente Artemisia, che spesso assumeva lo scomodo ruolo di mediatore durante gli allenamenti, era riuscita a non far saltare la testa di nessuno.
 
- Forse dovresti prenderti una pausa. – Gli disse, passandogli un asciugamano per tirare via il sudore dalla fronte; Jude aveva appena scacciato un paio di quei ragazzi e stava riprendendo fiato dopo una dura dimostrazione di scherma. Afferrato l’asciugamano con poca grazia e senza spiegarsi in ringraziamenti, aveva poi cominciato ad asciugarsi il collo.
 
- Sono degli incompetenti, ragazzini senza spina dorsale. E io dovrei mettere la sicurezza della Corte in quelle mani? Mi maledicessero pure, ma questa cosa non avverrà mai! -
 
Artemisia raccolse sufficiente pazienza per entrambi, cercò di non roteare gli occhi e per mezzo della sua ombra passò un generoso bicchiere d’acqua a Jude, il quale lo scolò in un batter d’occhio.
 
- Sono solo dei ragazzi, non puoi prendertela con loro. -
 
Jude puntò l’indice nella sua direzione. Nonostante fosse seduto sulla staccionata, riusciva comunque a guardarla dall’alto al basso tanto era la loro differenza d’altezza.- Tu non eri così quando sei arrivata. Non difenderli, ti supplico. –
 
- Beh… - Artemisia arrossì appena e quello che uscì dalla sua bocca non fu che un pigolio sottile, incomprensibile, al punto che Jude aggrottò le sopracciglia e si trovò costretto a chiederle se non le si fosse incastrato qualcosa in gola.
 
- No ecco, è che io non sono della tua stessa opinione, semplicemente mi sono dovuta adattare all’orfanotrofio. -
 
Spazientito, Jude si alzò di scatto e gettò le braccia al cielo: - Ti prego! Eri la migliore del tuo gruppo. Ti avrò addestrata per quanto, cinque mesi? Smettila di sminuirti! – L’uomo prese a borbottare fra sé parole che alle orecchie di Artemisia arrivarono come bizzarre minacce. Era chiaro che persino quando Jude era intenzionato a dispensare complimenti, non ne fosse in grado.
 
- Forse è meglio mandare quei poverini a casa per oggi. – Artemisia prese in mano la situazione e si voltò verso al gruppo dei giovani tremolanti che stavano attendendo di sapere di che morte morire: - Per oggi può bastare così. Riponete le armi al loro posto e qualcuno di voi pensi ai cavalli. -
 
Un coro di “grazie” volò verso la strega e in un attimo le reclute sparirono alla sua vista. Jude la fissò sconcertato: - Hai mandato via le mie reclute. –
 
- Era necessario, hai bisogno di rilassarti un po’. -
 
- Ma… ma il capo sono io. -
 
- Certo che lo sei, ma un buon capo sa sempre quando è il caso di cedere il comando, almeno momentaneamente. Ora vuoi dirmi che cos’è che non va? Sei preoccupato per la Governatrice? -
 
Jude era rimasto così stranito dal polso fermo di Artemisia, che rimase per un po’ in silenzio a fissarla; le uniche persone che avevano il coraggio di contravvenire a qualche suo ordine erano sempre state Lir e Alida, ma si trattava pur sempre del suo più grande amico e di quella che era come una sorella minore. Insomma, dopo la scomparsa di Micah, nessuno tranne quei due si era mai posto in quel modo nei suoi confronti. Ma la cosa più strana di tutta quella faccenda era la sua reazione: Jude non si era infervorato. Con chiunque altro al posto di Artemisia, probabilmente il capo delle Sentinelle avrebbe dato in escandescenza, eppure con la giovane Sentinella questo non era successo.
 
- Tutto bene? Forse hai bisogno di riposare un po’. -
 
La voce di lei lo tirò via dal groviglio di elucubrazioni in gestazione nella sua mente, così Jude si limitò a scuotere il capo; poi entrambi si voltarono verso la Sentinella che si stava avvicinando in sella a un cavallo.
Saskia smontò in fretta e si avvicinò ai due, salutò Jude portando il pugno al cuore e chinando appena il capo e ad Artemisia fece un accenno di sorriso.
 
- Sono venuta a fare rapporto sui colloqui che la Sentinella Lee ed io abbiamo effettuato quest’oggi. -
 
qualche minuto dopo, mentre Saskia era già immersa in una fitta conversazione di resoconto con Jude, Artemisia vide arrivare un cavallo al galoppo, evidentemente fuori controllo e sopra di esso vi era Izzie, aggrappata al collo dell’animale e con lo sguardo terrorizzato; con prontezza Artemisia risvegliò la sua ombra, che si impossessò del cavallo e nel giro di pochi istanti l’animale si immobilizzò, per poi piegarsi dolcemente a terra.
 
- Mi hai salvata! – Una volta con i piedi ben piantati a terra, finalmente al sicuro, Izzie volò fra le braccia di Artemisia e strinse la coetanea in un abbraccio, che quest’ultima ricambiò con goffaggine. Dopodiché Izzie rivolse lo sguardo in direzione di Saskia, talmente amareggiata che Artemisia dovette accorgersene.
 
- Tutto bene? Oggi deve esserci qualcosa di strano nell’aria, vi vedo tutti molto agitati. -
 
Izzie si affrettò a scuotere il capo: - Niente, solo che… no, niente di che. – La strega si affrettò a sorridere e tentare di cambiare argomento; lanciò uno sguardo a Saskia e Jude e poi diede di gomito ad Artemisia: - Allora, passi sempre più tempo col capo, eh? –
 
Come da previsioni Artemisia strabuzzò gli occhi e in un attimo le sue guance divamparono, donandole un corposo color pomodoro: - Eh?! No! Cioè, si, ma solo per lavoro! –
 
- Ceeeerto, come no. Solo per lavoro. Immagino che anche ieri sera, quando si è fermato da te, sia stato solo per lavoro. -
 
Artemisia guardò allarmata Jude il quale, casualmente, aveva lanciato uno sguardo nella loro direzione e le aveva fatto un cenno, poi abbassò il tono della voce fino ad arrivare a un bisbiglio: - E tu come fai a sapere che abbiamo cenato insieme?! –
 
Un ghigno comparve sul volto di Izzie: - Non lo sapevo ma lo avevo supposto e tu non hai fatto altro che darmene la conferma. –
 
Per fortuna Izzie non era una persona pettegola, altrimenti Artemisia avrebbe dovuto trovare rimedio alla sua ingenuità. Tornò per un attimo a guarda Jude tentando di far passare il rossore dal viso e chiese a se stessa per quale motivo si agitasse così tanto.
In fondo aveva solo cenato con un amico, non c’era nulla di male.
O no?
 
*
 
Andra possedeva tutte le qualità per essere una Sentinella e lo aveva dimostrato fin dal suo primo incarico; lei sapeva da che parte si trovasse e nonostante la Corte continuasse a non farle dono di quella felicità in cui tanto sperava, la ragazza aveva continuato a dare il meglio di sé nel suo lavoro. Quando aveva qualche ora libera, ciò che faceva era studiare la medicina per essere quanto più utile possibile sul campo di battaglia e nel momento in cui lo stress raggiungeva picchi insopportabili, si dedicava alla meditazione. Meditare, per Andra, era necessario e in essa ricercava l’equilibrio che percepiva mancarle; fermamente convinta che dovesse essere bene allineata quando metteva piede fuori dalla Corte a causa di tutto ciò con cui veniva a confronto in ogni missione, la strega pensava che almeno nei momenti di tranquillità che le erano concessi, dovesse focalizzarsi su se stessa. Solo così era in grado di uccidere senza pietà quando le veniva chiesto di farlo, solo così non si sarebbe lasciata sopraffare.
Qualcosa però cambiò quando durante il corso dei suoi ventitré anni , proprio nel mezzo di una delle missioni a lei assegnate.
Andra era stata addestrata per colpire, ferire e uccidere senza pietà e ciò era quello che aveva sempre fatto, eppure qualcosa andò storto, nel momento in cui attraverso il mirino del suo fucile di precisone, si ritrovò davanti una famiglia spaventata, a riparo dietro carcasse di automobili divorate dal tempo. Andra deglutì, esitò ma non sparò. Tentò più volte, ma l’indice si limitò a tremolare sul grilletto del fucile senza mai premere davvero.
Non che a quella famiglia andò bene, sia chiaro; fu un suo collega a prendere in mano la situazione e svolgere l’ingrato compito al posto suo, ma conoscendo Andra e sapendo quanto la ragazza fosse spietata, non si sprecò neanche nel farle una scenata, convinto che la compagna avesse avuto un momento di confusione.
Tornata alla Corte però il cervello di Andra continuava a lavorare le informazioni senza darle tregua, privandola persino del sonno; per quale motivo aveva esitato?
In verità a ragionar bene, Andra conosceva la risposta; era da tempo difatti che il Regime aveva perso di credibilità ai suoi occhi e che dopo ben otto anni passati ad affondare sempre di più nei meccanismi della Corte, aveva capito che quella non fosse la fazione per lei.
Grazie ai racconti di Irma, che Andra non aveva dimenticato, sapeva da quale famiglia provenisse e che erano state proprio delle Sentinelle come lei a ridurre in pezzi il suo nido; fino a quel momento, però, non aveva davvero ben chiaro chi fosse nel giusto. Fu quell’ultima missione, per lei un grande fallimento, ad aprirle definitivamente gli occhi.
 
C’era stata però un anno prima una grande altra avvisaglia, che aveva corrotto il rapporto con Jude. La fuga di Micah, del quale Andra aveva approfondito la conoscenza con il passare degli anni. La ragazza non aveva idea del motivo per il quale il più giovane dei nipoti Millan fosse sparito da un giorno all’altro, anche se tutto sommato aveva notato che da un po’ di tempo Micah si comportasse in maniera ambigua; aveva preso le distanze dalle Sentinelle e i suoi saluti si erano fatti freddi e distaccati, come il suo sguardo più simile oramai a un lago di ghiaccio.
Jude, neanche a dirlo, quella sparizione non l’aveva presa affatto bene, al contrario aveva dato di matto. Fra le tante persone che si era trovato ad interrogare, c’era finita anche Andra. Jude era preda dell’ira e questo Andra lo sapeva, ma ciò non bastò a farle tollerare il suo atteggiamento. L’aveva messa sotto torchio, convinto che Andra fosse a conoscenza del motivo per il quale suo cugino fosse sparito e dove si fosse nascosto.
 
“ Dopo tutti questi anni non ti fidi di me?! Ti ho detto che non so nulla! “ Tuonò lei, in parte ferita dai modi bruschi di Jude.
Alla fine risultò chiaro che Andra non ne sapesse nulla, ma quel giorno fu causa del raffreddamento del loro rapporto.
 
Dopo un anno, Andra si ritrovò a pensare se per caso Micah non fosse scappato di sua volontà, perché anche lui magari sentiva di non riconoscersi in quel luogo, in quel Regime, in Nadia Millan.
Spinta inconsapevolmente da Micah, Andra razionalizzò di non voler rimanere più all’interno della Corte, a servire una dittatura che mal sopportava e che riteneva, giorno dopo giorno, sempre più sbagliata. Così organizzò il suo piano di fuga, che riuscì ad attuare senza sforzo qualche mese dopo quella missione. Anche lei si lasciò la Corte alle spalle e si gettò nelle Terre di nessuno, vivendo alla giornata, imparando a rubare per sopravvivere, alla disperata ricerca di un luogo da poter chiamare casa e una missione da portare nel cuore.
Fu fortunata, Andra Strong, a trovare lungo la sua strada i Ladri di bacchette e con essi il Quartier Generale, diametralmente opposto alla Corte, ma senza nulla da invidiare ad essa. Ritrovò Micah, la piccola Liv che aveva visto crescere nell’orfanotrofio e tanti altri compagni che erano passati per la Corte e fece la conoscenza di nuove e meravigliose persone.
Se da un lato Andra sentiva un grande senso di colpa ruggire nel petto, d’altro canto capì che doveva lasciarsi il passato alle spalle. Aveva fatto delle scelte sbagliate nella vita, ma solo per sopravvivere.
Sarebbe ripartita dal Quartier Generale, lottando per uno scopo in cui finalmente si era riconosciuta e per quella che, con tutti i difetti del caso, aveva potuto finalmente definire famiglia.
E non sarebbe stata sola, mai più.
 
*
 
Quartier Generale
 
- Mia cara, la situazione è preoccupante, non lo nego. -
 
Mawja, seduta al fianco di Oleander, le concesse dei lievi colpetti sulle mani che la più giovane teneva allacciate sulle ginocchia; Skog e Vulkan annuirono, mentre Dam prese a lamentarsi al fianco della moglie Mawja: - Quanto ancora mi toccherà sentire queste lamentele?! Quando abbiamo dato vita ai Ladri di bacchette sapevamo perfettamente a quali pericoli saremmo incorsi! –
 
- Hai ragione- Disse Oleander fra i sospiri: - Ma eravate anche in numero maggiore. -
 
- Stronzate! – L’uomo si alzò dalla sedia facendo leva sul bastone che utilizzava per spostarsi con maggiore agilità: - Inizialmente, forse, ma abbiamo perso decine di compagni lungo la strada nell’arco di pochissimo tempo. Questo non ci ha mai demoralizzati! -
 
 - Nessuno sta ritrattando il passato- questa volta fu Vulkan ad intervenire: - Ma il problema ora si sta facendo evidente; abbiamo tanti bambini di cui occuparci e sempre meno adulti pronti a combattere. -
 
A quel punto Dam, guadagnandosi con il suo atteggiamento una sospiro esasperato della moglie, puntò l’indice contro il più giovane: - Guarda che noi abbiamo subìto un attacco e abbiamo perso il nostro vecchio Quartier Generale; non ci fosse stato Herb al tempo, saremmo stati nella merda senza un altro posto dove andare. –
 
- Ma eravate molti adulti! Qui ci sono frotte di ragazzini ancora inadatti alla fuga, figuriamoci al combattimento! -
 
- Quello che Vulkan sta cercando di dire, - fu nuovamente Oleander a intromettersi nel parapiglia verbale: - è che ora come ora se dovessimo subire qualsiasi genere di attacco o imboscata, non avremmo le capacità per combattere, né per darci alla fuga. Siamo obbligati a trovare una soluzione al problema e dobbiamo farlo il più in fretta possibile. -
 
- Attualmente sono fuori diciassette persone in missione. Escluso il gruppo di Sonne ai Mercati est, non sappiamo in quanti faranno ritorno; la situazione è ambigua, Dam. -
 
Skog si rivolse a Dam tenendogli una mano sulla spalla e per quelle parole, che servirono a calmarlo, Mawja lo ringraziò, per poi rivolgersi furiosa al marito: - Vecchio tonto, ti farai venire un infarto ad agitarti così. Questi ragazzi stanno solo mostrando la loro preoccupazione e vogliono evitare di far fare la fine dei topi in gabbia a tutti noi. Quindi ora siediti e ragiona insieme a noi, altrimenti vai a sentire se Herb ha bisogno di qualcosa e lasciaci parlare in santa pace! –
 
Alla furia di Mawja, Dam non ebbe possibilità di rispondere. Fu così che fra un bofonchio e l’altro tornò a sedersi, dando di nuovo modo a Oleander di prendere la parola. La ragazza si alzò e si avvicinò alla mappa che indicò sovrappensiero: - è chiaro che non possiamo permetterci di andare in giro per cercare di recuperare i dispersi; ciò che sappiamo è che Atlas ed Angelica sarebbero dovuti tornare almeno tre giorni fa, così come Julius e Sahara. Purtroppo Stafford è stato seguito da Mångata e anche in quel caso non abbiamo idea di dove siano finiti. Mi spezza il cuore dover dire una cosa simile, ma non ci resta che organizzarci per reclutare qualche nuovo Ladro. –
 
- Qualche idea? – Le chiese Vulkan; Oleander annuì: - Secondo me dobbiamo sfruttare i nostri contatti che sappiamo giungeranno alla Corte per la Festa del Raccolto. È importante far capire loro che se vogliamo portare avanti questa battaglia, non possiamo limitarci a consegnare loro le bacchette recuperate. – La minuta strega poggiò le mani sul tavolo intorno al quale erano seduti i compagni e li guardò uno ad uno: - Di fatto il grosso del lavoro parte da qui. Siamo noi che siamo vicini alla Corte ed è nella comune di quella maledetta stronza che arrivano i carichi di bacchette. -
 
- Quindi credi che dovremmo chiedere maggiore collaborazione? -
 
- Esatto. – Oleander annuì in direzione di Vulkan: - Dobbiamo convincere qualcuno di loro a rimanere con noi dopo la festa del raccolto. -
 
- La trovo un’ottima idea tesoro. – Disse Mawja, stranamente appoggiata da quel musone di suo marito Dam. – Credo sia giunto il momento di dare una bella sterzata ai Ladri di bacchette. -
 
- Questo è lo spirito giusto! – Commento Dam stringendo il pugno con orgoglio, al che Oleander sposto lo sguardo su Skog: - Tu cosa ne pensi? -
 
- Penso che quella testolina finto bionda contenga un mare di risorse. – Rispose lui, concludendo con una strizzata d’occhio. Oleander sorrise, nuovamente speranzosa. Dam in fondo aveva ragione, non avrebbero mai dovuto perdere la speranza. Avrebbero combattuto con ogni mezzo a loro disposizione per mantenere viva la fiamma della dissidenza.

 
 
 
La visita alla Magione di contenimento era stata fugace, durata il tempo necessario per essere interrogata da Jude. L’interrogatorio di Claudia fu estenuante e Claudia fece il possibile per resistere con tutta se stessa al potere terribile scatenato dalle mani di quello che era stato, seppur per breve periodo, il suo capo.
Jude non si era risparmiato nulla, deciso a strappare dalla bocca di Claudia la conferma di quanto riferitogli da Lir: la ragazza proveniva davvero da una famiglia di fabbricanti di bacchette? Ne custodiva i segreti? E per quale motivo non aveva informato nessuno? Chiari erano, agli occhi del capo delle Sentinelle, i segnali che indicavano una possibile ribelle che stretta dalla morsa di quell’amore fittizio, aveva infine risposto alle domande di Jude. Fortunatamente Claudia era stata abbastanza furba da non menzionare il nome di Nancy a Lir, così che quando Jude l’aveva interrogata, si era limitato a chiedergli informazioni su Atticus.
Il destino di Claudia fu così segnato e la deportazione nelle Colonie per alto tradimento fu la pena scelta per lei.
Claudia non sapeva cosa le sarebbe spettato, ragion per cui l’unica cosa che avrebbe voluto prima di partire, sarebbe stata guardare per l’ultima volta in faccia quel bastardo di Lir Strong e chiedergli dove nascondeva il mostro che l’aveva tradita con tanta leggerezza. Inutile dire che Lir non si presentò e Claudia partì, con la rabbia tracotante a spingere nel petto.
 
Le Colonie furono la materializzazione del peggiore degli incubi. La giovane strega passava il suo tempo a smistare residui tossici sotto la stretta sorveglianza di Sentinelle dalla scorza dura, senza anima. Beveva e mangiava lo stretto necessario per non morire di stenti, in quanto ogni volta che ingeriva acqua o cibo, il suo corpo dava segni di squilibrio; la dissenteria, la nausea continua e il vomito erano solo alcuni degli effetti collaterali dovuti al suo sostentamento.
Sapere che Atticus era stato catturato a seguito del suo interrogatorio e apprendere della fine che gli era spettata, probabilmente avrebbe alleviato le pene di Claudia che era ormai perfettamente inserita nel buio antro delle Colonie.
 
A seguito del colloquio con Atticus, avevano appreso il suo viscido gioco e quando Lir gli tolse la vita, dopo aver visto che il suo peggior incubo fossero donne emaciate e coperte di stracci – il vestiario basilare che spettava a chi finiva nelle Colonie- non provò alcun tipo di rimorso. Claudia se l’era cercata; le era stata data la possibilità di confessare spontaneamente e la sua confessione avrebbe portato alla sua semi libertà, eppure aveva preso una scelta diversa e Lir non si sentì in colpa per averla consegnata a Jude. Ma Atticus si era comunque rivelato un uomo spregevole che non meritava di rimanere al mondo.
 
Claudia dovette abituarsi alla vita nelle Colonie e un grande aiuto, per lei, fu il costante pensiero di Nancy, l’unica persona che in fine aveva dimostrato sincero affetto nei suoi confronti; si impresse quindi come modello da seguire e ogni volta che Claudia si trovava a dover prendere una decisione, si chiedeva cosa avrebbe fatto Nancy al posto suo e ben presto la giovane strega passò dall’essere una ragazzina frivola, a una donna con grande spessore e arguzia. Decise persino di intessere una relazione con William North, una Sentinella che aveva mostrato interesse nei suoi confronti e che le aveva riferito che la sua presenza lì non fosse affatto casuale; a suo dire fuori dalle Colonie c’era una persona che lo aveva mandato lì per lei.
Non è che Claudia non si fidasse delle sue parole, semplicemente non voleva farlo, troppo scottata dal tradimento di Lir che le aveva fatto perdere grande fiducia nell’umanità tutta. Per un po’ di tempo, dunque, lei continuò semplicemente a condividere con lui il letto, fin quando una notte William non le disse di prepararsi.
 
“ Quel contatto, quella persona amica ti farà scappare. Ti faremo uscire di qui, ma tu devi essere molto cauta e devi fidarti di me, hai capito?”
 
Cos’aveva da perdere? La sua vita era finita l’istante in cui aveva messo piede nelle Colonie e se anche quello fosse stato un tranello, un brutto scherzo per dare diletto alle Sentinelle, non sarebbe importato. Doveva provarci.
Claudia dovette quindi fingersi morta, così che William e un suo collega potessero portarla fino allo scivolo in cui venivano infilati brutalmente i cadaveri, che finivano al di fuori del perimetro delimitato di quel carcere di massima sicurezza. Claudia non dimenticò mai il momento in cui l’altra Sentinella stava per sentirle il battito, per assicurarsi che fosse davvero morta.
 
“ Ci ho pensato io. Smettiamola di perdere tempo e portiamo via il cadavere prima che cominci a puzzare. Ora vai, ci sono altri corpi da portare qui, di questo mi occuperò io.”
 
Claudia sentì l’altra Sentinella allontanarsi e presto i passi sempre più distanti si sostituirono a una voce dolcemente familiare.
 
“ Ce l’hai fatta, piccola! “
 
Aprire gli occhi e trovarsi davanti l’immagine di Nancy fu per Claudia una sorpresa inattesa che in breve le colmò il cuore di felicità. L’abbraccio intenso scacciò via l’odore nauseabondo di quell’abitacolo sbilenco in cui venivano portati i cadaveri per essere infilati nello scivolo e le parole fluirono assieme alle lacrime, fin quando non vennero raggiunte da William che le incitò a muoversi.
Lo avrebbero fatto, se non fossero stati sorpresi da alcune Sentinelle che, insospettite dall’atipico comportamento del loro collega, lo avevano raggiunto. 
A freddare Nancy fu un unico colpo in testa, mentre a Will toccarono due dolorosi colpi d’ascia, da cui sgorgò tanto sangue da imbrattare la stessa Claudia, che schivò un proiettile per puro miracolo. I colpi cominciarono a partire  e le travi marcite vennero colpite; Claudia recuperò in tutta fretta lo scrigno di famiglia che Nancy aveva portato con sé e fece giusto in tempo a infilarsi nello scivolo, evitando così il crollo di quella stalla.
Scivolò tenendo gli occhi stretti e trattenendo il respiro, Claudia. Scivolò per poi atterrare bruscamente sulla collina di corpi in decomposizione in attesa di essere gettati nelle fosse comuni. Quel cimitero a cielo aperto era stato, in un certo senso, la sua salvezza. Rotolò giù senza essere in grado di vedere nulla visto il buio intenso della notte e fatale fu l’oblio, perché la sua mano finì su una vecchia tagliola arrugginita; il dolore fu insopportabile, ma più forte era la voglia di sopravvivere. Non seppe dire con quale forza riuscì ad aprire la tagliola per tirare via la mano irrimediabilmente offesa e con le forze al minimo storico scappò nel bel mezzo delle Terre di nessuno fin quando non riuscì a trovare un nascondiglio in cui mettersi al riparo e fasciare alla buona la mano, dopodiché svenne di stanchezza e dolore.
I due giorni a seguire furono per lei il peggiore degli incubi; Claudia non aveva la forza di scappare ancora e specialmente non aveva idea di dove andare. L’unica cosa sensata che fu in grado di fare, mentre sentiva la vita abbandonarla, fu produrre un clone; quest’ultimo non aveva l’aspetto della forte e vigorosa ragazza, bensì di una bambinetta tutta pelle e ossa, muta e debilitata. Nonostante ciò il clone si allontanò da Claudia, al riparo dentro una buca scavata da qualche animale; quella sarebbe stata l’ultima possibilità per lei di sopravvivere.
I minuti divennero ore che passò fra il sonno e la veglia, fin quando la sua vista offuscata le permise di individuare due figure sbucare dall’entrata della tana; il suo clone teneva per mano un uomo con il volto coperto, il fisico possente e un’ascia allacciata alla cintura.
 
“ Quindi lei è la tua mamma? Forza, aiutami a tirarla su, dobbiamo portarla via di qui. “
 
 
Terre di nessuno
Mercati est
 
Ame era ben consapevole che si stesse avvicinando l’orario del tanto atteso incontro fra la Governatrice e Salko, ragion per cui si era ben premurata, assieme ai suoi compagni di sventure, di calarsi nuovamente la maschera sul viso e di coprirsi quanto più possibile. Essere visti o peggio ancora scoperti sarebbe stata l’ultima cosa che sarebbe dovuta accadere, ragion per cui dovevano essere il più cauti possibili.
La cautela, solitamente, non faceva propriamente parte di Ame, diciamo che non era impressa nel suo DNA e accadeva spesso che la giovane finisse per combinare qualcosa di sconsiderato anche senza volerlo.
Nel caso specifico, finire praticamente addosso a Lir, era risultata una di quelle sconsideratezze involontarie; ma cosa poteva farci lei? Si stava recando quatta quatta con Yuki e Chion nel punto che nella tarda mattinata, un rilassatissimo e spensierato Sonne le aveva indicato; certo non avrebbe immaginato che una Sentinella curiosa, che lei non vedeva da anni, si sarebbe messa a gironzolare fra i banchi dei mercati prima di raggiungere la sala privata di Salko.
 
- Ehi! – Lir sembrò vagamente scocciato dal fatto che una persona non meglio identificata, con una maschera antigas calata sul viso, lo avesse appena urtato rischiando di macchiargli il suo gilet preferito.
Ame, dal canto suo, aveva sentito il cuore schizzarle in gola. Si era immobilizzata come un tenero cerbiatto puntato nella caccia e aveva perso la lucidità per dire o fare alcunché; sapeva che non avrebbe dovuto aprire bocca e probabilmente non ci sarebbe riuscita neanche volendo.
Lir osservò la strana figura allampanata, con le mani sospese in aria e pensò, fra sé, che quei posti ospitavano soggetti piuttosto bislacchi.
 
- Non si usa chiedere scusa in postacci come questo? – Disse poi, con un tono volutamente burlone; non se l’era presa sul serio, piuttosto era perplesso e al contempo incuriosito dal soggetto ancora imbalsamato davanti a sé.
 
- Scusaci. -
 
Lir concentrò l’attenzione su un uomo che si era affiancato a miss o mister maschera antigas – verosimilmente un mister anche abbastanza malnutrito, vista la totale assenza di curve femminili-, un ragazzo dal volto semi coperto da una bandana scura e delle grosse cuffie calate sulla testa che afferrò l’altro per un braccio e poi disse: - Hai dimenticato le tue medicine, non è vero? Forza, andiamo. –
 
- Meglio che badi al tuo amico, secondo me non arriva a ‘sta notte. – Commentò in direzione dei due, che vide allontanarsi con rapidità e di cui perse ben presto tracce e interesse. Alzò le spalle e anche lui si avviò, deciso a raggiungere la Governatrice che dopo essersi sistemata nella stanza migliore dei Mercati, lo avrebbe atteso per recarsi da Salko.
 
 
Ufficio di Salko
 
Quando il gruppo venne scortato verso quello che doveva essere l’ufficio di Salko, Alida non riponeva grandi aspettative. Non era avvezza a frequentare luoghi al di fuori della Corte, tutto sommato si era fatta a grandi linee un’idea dei Mercati est sulla base dei nebulosi ricordi legati ai Mercati russi. Un ammasso di banchi più o meno sudici, bordelli, taverne fumose e topi che sgattaiolavano in giro sentendosi padroni di casa.
L’ufficio di Salko non era da meno. In un certo modo era chiaro avessero fatto in modo di sistemarlo al meglio per l’arrivo della Governatrice, eppure il caos e la polvere regnavano comunque nella stanza buia e maleodorante. Nadia, però, non sembrava scomporsi affatto; aveva sempre quest’aria conciliante, come se non esistesse nulla che i suoi occhi chiari non avessero già visto. Probabilmente porsi, quantomeno nelle apparenze al livello dei comuni mortali, era stata una delle carte vincenti per farle acquisire la massima posizione di potere.
Alida, Ryurik e Lir furono gli unici ad entrare nello studio insieme alla Governatrice, mentre le altre Sentinelle erano rimaste a guardia fuori dallo studio, con il comando di destare meno sospetti possibili.
 
- Benvenuti. -
 
Un uomo non troppo alto, dal fisico piazzato e dalla testa lucida, ricamata di tatuaggi sbiaditi, accolse i suoi ospiti speciali; ad Alida quello risultò particolarmente scontroso e burbero: i suoi occhi sottili e scuri non lasciavano tracce di umiltà e il suo sorriso era plastico, appositamente indossato per l’occasione. Nadia si accomodò sulla poltrona più comoda, posizionata dinanzi a quella che ospitava Salko, il quale era affiancato da due fedelissimi che fissavano le Sentinelle con aria scontrosa.
 
- Grazie a te per averci accolti. – celiò Nadia, con la volontà di smorzare il tono serioso di Salko. Alida pensò che fosse il modo della Governatrice per mettere subito al suo posto il capo dei Mercati.  Per qualche minuto ci furono solo convenevoli; vennero offerti bicchieri di liquore, rifiutati dalle Sentinelle che non avevano intenzione di perdere la loro lucidità e a seguito della futile ritualità, Nadia congiunse le mani e puntò l’attenzione su Salko: - Cominciamo a parlare del motivo per cui sono qui, credo sia giunto il momento. -
 
Soffitta
 
Scarlett non aveva avuto alcun tipo di problema ad ottenere quella scomoda, seppur funzionale, postazione per origliare l’incontro fra la Governatrice e il capo dei Mercati. Specificò a Sonne e Malik che avrebbero dovuto fare assoluto silenzio, in quanto la soffitta munita di due piccole grate si trovava esattamente sopra il suo ufficio, ma Sonne non sembrò particolarmente preoccupato e il motivo fu presto chiaro ai compagni; il ragazzo infatti sfilò dall’interno della sua giacca la sua bacchetta per porre un incantesimo anti-rumore sull’affollata soffitta. Non succedeva praticamente mai che Sonne sfoderasse la sua bacchetta, bene prezioso di cui era fortemente geloso, ma quella era il genere di occasione per il quale valeva la pena sfruttare il legno, visto che gli unici presenti erano dei suoi fedeli compagni.
Fu così che il gruppo si stese intorno alle piccole grate in modo da poter osservare la situazione; certo le minuscole bocche di lupo poste ai due angoli della stanza non permettevano chissà quale visuale, ma almeno erano in grado di ascoltare tutto ciò che si dicevano.
 
- Non hai capito chi ho incontrato. – Bisbigliò Ame all’orecchio di Sonne: - Lo vedi quel ragazzo con i capelli ricci e vestito come un demente? -
 
Sonne assottigliò lo sguardo e annuì: - Mi pare di averlo già incontrato nelle Terre di Nessuno, ma forse mi sbaglio. – Ma Sonne non permise ad Ame di aggiungere altro. Accanto a quello, notò una ragazza che stava abbassando lo scialle con cui era coperta; riconobbe all’istante quegli occhi grandi e vacui, le sue labbra abbondanti, i ciuffi biondi che incorniciavano l’ovale del viso pallido.
Non avrebbe mai creduto che Nadia se la sarebbe portata dietro, ma evidentemente in quei dieci anni erano cambiate molte cose, anche per Alida. Un tremolio mosse lo stomaco e le palpitazioni lo fecero arrossire di botto; in quel momento non gli sarebbe importato di essere scoperto e catturato, avrebbe solo voluto entrare in quell’ufficio e guardarla davvero. Le avrebbe urlato contro, avrebbe distrutto tutto ciò che li circondava. Poi le avrebbe vomitato addosso tutto il suo risentimento, quello che si era tenuto dentro per così tanto tempo.
E poi, cosa avrebbe fatto Micah?
L’avrebbe portata via con sé?
 
- Ehi frugolo, tutto bene? – Ame lo fissò con preoccupazione e al suo fianco Andra, la quale aveva riconosciuto sia Lir che Alida, fece cenno ad Ame di tacere. Micah si aspettava che con Nadia ci fosse Jude, i due ne avevano parlato a lungo la sera precedente. Andra gli aveva anche confidato che sarebbe stato strano vederlo di nuovo, mentre Micah che aveva rivisto il cugino durante l’assalto alla Comune, confessò di essere preparato a quell’evenienza.
Ma non si sarebbe aspettato Alida.
 
- Zitti, cominciano a parlare! – Bisbigliò Yuki dall’altro capo della stanza, sdraiata al fianco di Jabal e Chion.
 
Ufficio di Salko
 
 - Sai bene che la festa del raccolto è alle porte e quest’anno pretendo che tutto fili liscio. – Nadia cominciò a parlare rivolta solo ed esclusivamente a Salko, su cui era aggrappato lo sguardo mai esitante: - Lo scorso anno è stato un vero e proprio disastro. Le strade dal sud erano impraticabili a causa dei briganti e rigattieri in cerca di fortuna. Per non parlare della nave in arrivo dai territori est asiatici che è stata assaltata; lo ricordi, vero Salko? -
 
- Ricordo bene, Governatrice. Purtroppo controllare tutto il mondo non è possibile, questo dovrebbe saperlo meglio di me. -
 
Nadia non riuscì ad evitare di tirare le labbra, indispettita dal tono di Salko.
 
- Metti in dubbio la mia posizione, per caso? -
 
 Il capo dei mercati si affrettò ad alzare le mani: - Non è assolutamente ciò che ho detto. –
 
- Ebbene… quello che voglio, o meglio che pretendo da te è il massimo della collaborazione. Conosci moltissime persone e sono sicura che sarai il primo a sapere quali gruppi saranno intenzionati a invadere di nuovo le strade della Corte; voglio che con le tue parole e il tuo potere riesca a portarli dalla mia parte. Non ho un numero sufficiente di Sentinelle per controllare ogni singola strada, ma portando un buon numero di briganti dalla mia, sarà tutto più semplice. Passerebbero da depredare a controllare che le carovane non vengano depredate. -
 
- Perdoni la mia schiettezza, Governatrice… - Salko si chinò in avanti e poggiò i gomiti sulle ginocchia; se possibile assottigliò ancor più gli occhi, che quasi sparirono sotto le palpebre: - Cosa ci guadagnerei? -
 
Nadia accennò un sorriso: - Fino ad oggi sono stata magnanima e vi ho concesso di occupare abusivamente queste terre; se riuscirai a fare un buon lavoro, i Mercati est non saranno più illegali, bensì avrete concessa l’opportunità di stanziare legalmente. Nessuna Sentinella potrà venirvi a minacciare e vi sarà concesso di allargare i Mercati stessi. –
 
Nel sentire quelle parole, gli occhi di Salko si allargarono nuovamente e sul suo viso squadrato comparve un sorriso soddisfatto: - Questa mi sembra un’ottima offerta, Governatrice. Direi che possiamo ragionare insieme sui dettagli, ma posso anticiparle che ha già conquistato il mio appoggio. –
 
Alida, Lir e Ryurik si scambiarono una fugace occhiata; ancora una volta Nadia aveva dato mostra di essere un’abilissima stratega, perché in men che non si dica era riuscita a portare Salko dalla sua.
 
- Ne sono lieta! – Nadia fece scontrare le mani con entusiasmo, poi alzò un indice: - Ma prima di spingerci in dettagli, ho un’altra cosa molto importante da discutere. -
 
- Sono in ascolto. – Commentò Salko.
 
Gli occhi di Nadia corsero lungo le pareti della stanza, fino a soffermarsi sulla parete dietro il tavolo malconcio che fungeva da scrivania. A quel punto la donna si alzò e camminò verso di essa, ispezionando le pergamene con cui era essa tappezzata; queste non erano che identikit di personaggi sulla qual testa era stata posta una taglia. Criminali di ogni tipo e Nazione, che non erano ancora stati trovati. Fra di esse ve ne era una che aveva da subito conquistato l’attenzione della Governatrice; Nadia allungò la mani e la staccò dalla parete e un sorriso carico di nostalgia la invase, mentre solcava con lo sguardo il disegno del giovane viso di Micah, fermo ai suoi vent’anni.
 
- Voi tutti avete sempre detto di non averlo mai visto, ma io sono sicura che mio nipote sia ancora vivo. – Con la pergamena stretta nella mano, Nadia tornò a fissare Salko: - Pretendo che Micah Millan venga trovato e portato alla Corte, vivo. Non voglio gli venga torto un capello, altrimenti la taglia cadrà, insieme alla testa della persona che si sarà dimostrata tanto idiota da contravvenire a questo mio ordine. -
 
Acqua gelida scosse l’animo di Alida nel sentire le parole inaspettate della Governatrice. Il capo dei mercati, intanto, sembrò perplesso: - La taglia sulla testa di suo Nipote è già molto alta e credo che chiunque avesse avuto la possibilità di catturarlo lo avrebbe fatto. Mi permetto di dirle che qualsiasi sarà la somma per alzare la posta, non cambierebbe molto le cose. –
 
- Oh, ma io non parlo di denaro. – Nadia si avviò di nuovo verso la sua poltrona e sedette, prima di continuare: - Poco distante dalla Corte vi è uno spazio unico, una piccola oasi nelle terre desertiche; le mie Sentinelle si stanno già occupando da tempo di recintare la zona e porla a tutela, in attesa di trasformarla in una comune. Ebbene, colui o colei che mi porterà mio nipote, Diventerà Governatore di diritto. -
 
Soffitta
 
Il potere delle parole di Nadia ammutolì il cincischiare sommesso dei Ladri. Chion, Yuki, Jabal, Dimma e Ame, in sincrono, si voltarono per puntare le loro espressioni sbalordite su Sonne, ancora pietrificato da quanto aveva appena ascoltato.
 
- Questo si che è un cazzo di problema. – Commentò Ame e Sonne non poté fare altro che convenire.
La vecchia era passata al gioco sporco, maledetta lei.
 


 
Buongiorno a tutti lettori!
Vi avverto in modo che possiate prepararvi a queste note, che attualmente mi trovo in modalità da guerriera. Sarò sincera nel dirvi che sono davvero molto, molto amareggiata, per non dire davvero arrabbiata e il perché suppongo possiate immaginarlo da voi. Queste note saranno per chi è sempre stato partecipe alla mia storia, soltanto una presa visione e mi sento di sottolineare che non mi sto rivolgendo a chi è stato per l'appunto sempre presente, che sia stato in recensione o in privato (o entrambe le cose, ovviamente).
Iniziamo?
Quando ho dato il via a questa storia ero ancora scossa dalla fine de "il giardino segreto" una storia che ho scritto sempre con grande passione e che si è trovata, nelle battute finali, a ricevere scarsa considerazione. Mi sono però detta che non sarebbe stato giusto farmi sopraffare da chi non ha mostrato interesse per il mio elaborato e, in fin dei conti, la cosa davvero importante era divertirmi e dare spazio alle mie idee, ragion per cui mi sono decisa a concretizzare questa nuova interattiva. Purtroppo non mi sarei mai aspettata di arrivare al nono capitolo in queste condizioni, costretta ad eliminare ben tre personaggi in una volta sola, dimezzarne uno e adottarne un altro. A questo punto dichiarerò una cosa, sperando che sia l'ultima volta perché sinceramente sto cominciando ad innervosirmi più di quanto avrei voluto: questo è il mio modo di spendere il tempo libero che ho a disposizione. Mi sono laureata sia in triennale che in specialistica, lavoro, ho una vita privata ricca di oneri di cui occuparmi. Ho problemi come tutti ne hanno, ho impegni come tutti ne hanno e sì, mi piace usare il tempo libero per scrivere e la modalità con cui lo sto facendo negli ultimi tempi è tramite l'interattiva, che prevede per l'appunto interazione.
Parliamoci chiaramente, io non sono un fulmine a pubblicare e alcuni dei motivi per cui non lo faccio sono stati appena elencati; ciò che ho richiesto a chi ha voluto partecipare a questo gioco è stato lo stretto indispensabile: datemi i voti quando ve li chiedo e siate partecipi, se non pubblicamente almeno in privato, per farmi sapere cosa ne pensate. Chiariamoci bene, io non vi chiedo di votare a caso, tantomeno vi chiedo di mandarmi dei feedback perché vi voglio mettere in difficoltà; se lo faccio è in primo luogo per coinvolgervi nel gioco e in secondo luogo perché la storia ha una sua complessità e se mi viene stravolta di punto in bianco capirete bene che la storia rischia di andare all'aria in quattro e quattr'otto. Ad esempio c'è una logica dietro ai nomi che vi ho proposto nelle votazioni, in quanto ci sono dei personaggi che per il corretto svolgimento della trama era cosa buona e giusta trattare prima di altri. Ora vi chiedo: era così difficile spendere un minuto esatto del vostro tempo per mandarmi dei voti? Ok abbiamo tutti tanti impegni, ma sono dell'idea che se si è così tanto impegnati al punto di non riuscire a mandare dei voti, forse non è la scelta giusta quella di decidere di partecipare a un'interattiva. Ancor più il discorso vale per i feedback: cosa ci vuole a mandarmi un messaggio e dirmi cosa ne pensate QUANTOMENO del vostro oc, in modo da farmi sapere se lo sto trattando bene o se avete delle riserve a riguardo? Va da sé che nel momento in cui non ricevo uno straccio di rigo da parte vostra, avrò conseguentemente difficoltà a trattare il vostro oc e sviluppare la trama.
A questo punto agli autori latitanti o furbetti - in questo secondo caso mi rivolgo direttamente a coloro che si limitano a lasciare due righe di recensione ogni tre capitoli giusto per non farsi eliminare il personaggio- mi sento di darvi un consiglio spassionato, in parte anche egoistico: evitate di partecipare, perché è evidente che il gioco non sia fatto per voi e così facendo evitate a noi autori, che vi assicuro investiamo MOLTO TEMPO per scrivere i capitoli a cui voi FORSE dedicate attenzione, di impazzire per capire come portare avanti la storia.

Alla luce di queste considerazioni annuncio l'eliminazione DEFINITIVA e senza possibilità di reinserimento di: Atlas/ Leaf, Sophie/Mangata e Ajax e al passaggio a personaggio secondario di Vulkan. Per come stanno ora le cose Vulkan rimane nella storia, ma se ovviamente la sua autrice dovesse smettere di recensire, da personaggio secondario passerà ad essere eliminato.
Ho pensato a lungo se riaprire le iscrizioni visto che sto ancora al nono capitolo e già ho dovuto praticamente eliminare 5 personaggi (fra cui un ritiro), ma sinceramente per la storia in sé non avrebbe senso; non voglio altre complicazioni, voglio solo godermi la mia storia con le persone che dimostrano partecipazione e quel minimo di impegno richiesto.
I personaggi non sono stati eliminati apertamente in questo capitolo perché non avrebbe avuto alcun senso inserire combattimenti, morti o deportazioni alle Colonie a caso, solo per trovare il pretesto di eliminare i personaggi; questi verranno quindi eliminati UFFICIALMENTE quando la trama stessa lo richiederà. Come di sul dire "Di necessità virtù" giusto?
 
Lo so, questo è uno sfogo bello lungo, ma sinceramente sono proprio stufa; detesto dovermi arrabbiare per qualcosa che dovrebbe solo divertirmi, invece è successo ed è molto fastidioso. Sono stata paziente e disponibile, vi ho fornito la possibilità di contattarmi anche su Instagram. Detto questo da adesso in poi mi auguro non succeda più una cosa del genere.
A tutti gli altri, presenti e disponibili, va il mio più sentito ringraziamento! Mi diverto un sacco a scrivere questa storia e con voi sono ancor più motivata a farlo.
 
Bri

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Capitolo 12
*** Capitolo 10 - parte 1 ***


CAPITOLO X
“La bambolina”
Parte 1
 
 
Quartier Generale
 
Il gruppo di Ladri che si era spinto fino ai Mercati della zona Est e aveva assistito all’incontro della Governatrice con Salko, era tornato alla base da un paio di giorni. Era stato difficile interpretare l’umore dei compagni per chi, al contrario, era rimasto al Quartier Generale in loro attesa. E non solo.
Sonne andava dicendo di essere molto stanco e, di pessimo umore, si era praticamente barricato nella stanza occupata solitamente da Atlas e Angelica. Usciva di tanto in tanto per mangiare qualcosa, prendere qualche libro e farsi la doccia, ma aveva chiesto a Oleander, impaziente e smaniosa di comunicare con lui, di aspettare un paio di giorni, perché aveva bisogno di schiarirsi le idee. La strega si era inalberata e dopo l’ennesimo tentativo di comunicazione andato a vuoto, aveva preso ad urlargli dietro che non era quello il modo, che anche loro avevano il diritto di sapere e, specialmente, che la festa del Raccolto era sempre più vicina e i loro compagni sempre più in deficit numerico; era come se l’avvicinarsi dell’occasione che rappresentava, per i ladri tutti, una succulenta gallina dalle uova d’oro, avesse cominciato a decimarli per farli arrivare impoveriti e sguarniti all’evento tanto desiderato.
Sonne si era voltato a osservare Oleander che gli puntava contro un cucchiaio di legno così, dopo essersi stretto ancor più una vecchia coperta infeltrita addosso – eh si, se ne andava in giro così da quando era tornato-, le aveva comunicato che se proprio non poteva aspettare, avrebbe potuto parlare con Malik.
In buona sostanza Micah era tornato dai Mercati in un decadente stato depressivo.
 
- Possibile mai si sia ridotto in quelle condizioni? L’ultima volta che l’ho visto così, era stato rifiutato da una ragazza(1). -
 
Claudia, a quel punto, era andata dritta da Liv. Se qualcuno conosceva la motivazione per il quale Micah se ne andava in giro come fosse un burrito, nonostante non facesse affatto freddo al Quartiar Generale, quella doveva essere lei. L’aveva scovata immersa nella paccottiglia che si era portata dietro dai Mercati, felice come un fanciullo fra le braccia di mamma e papà.
 
- E non sei andata lontano, sorella. – Con ago e filo in mano, Liv stava riparando l’occhio di una  bambola di pezza dai capelli biondi – Ma non fare quella faccia, non è per sua nonna che è ridotto così. Alla riunione c’era anche lei. -
 
- Non ci credo!- Claudia quasi finì per lanciare il cucchiaio di legno in aria e Ame pensò che passasse davvero troppo tempo a contatto con Skog, poiché andava assomigliandogli sempre più.
 
- Beh, a quanto dice Micah c’era da aspettarselo. La Governatrice non si muove mai senza Alida. – La bionda alzò per un attimo lo sguardo dalla bambola, in modo di poter incontrare lo quello dell’amica: - Fiorellino, non c’è mica da preoccuparsi. Starà bene, ti dico! Il nostro Sonne è fatto così, sentimentale e dalla vena tragica, quando si tratta di Alida. -
 
Messo da parte l’argomento, Claudia decise che non avrebbe disturbato Malik, visto che si trovava già in argomento con Liv: - Dunque si può sapere che cosa è uscito fuori da questo fantomatico incontro? I tempi stringono e non possiamo permetterci di perdere altro tempo. –
 
- In realtà mi aspettavo qualcosa di più, tanta fatica per nulla. - Ame passò a rattoppare il vestitino: - Fondamentalmente Nadia ha chiesto aiuto al capo dei Mercati per rinforzare i controlli delle strade che portano alla Corte, è terrorizzata possa accadere quello che è successo gli anni passati. Inoltre ha aumentato di gran lunga la taglia sulla testa di Micah. -
 
- Non demorde, la stronza. – Borbottò Claudia incrociando le braccia: - E a quanto sarebbe arrivata questa fantomatica taglia? -
 
- Oh beh, niente di che… - Ame portò la bambola davanti agli occhi, per tentare di capire se il suo fosse stato un lavoretto dignitoso: - Ha solo promesso il posto da governatore di una Comune a chiunque porti Micah da lei vivo e vegeto. -
 
- Cosa?! – L’urlo di Claudia percorse l’intero Quartier Generale: - E lo dici così?! Ma ti rendi conto che ora mezzo mondo si metterà a cercare Micah?! Sarà impossibile entrare con lui alla Corte per la festa del raccolto! Oh, questa è una tragedia, una tragedia! -
 
Claudia immerse le mani fra i capelli in un gesto assolutamente disperato, mentre l’altra non sembrò scomporsi affatto: - Datti una calmata, peperoncina. Prima di tutto sono passati dieci anni da quella foto segnaletica di Micah, che è a sua volta bella datata; è praticamente irriconoscibile. Secondo poi abbiamo trucco e parrucco dalla nostra, Yuki si è già ingegnata a tal riguardo. E terzo noi possediamo un arma che quasi nessuno ha. –
 
- E quale sarebbe, di grazia? -
 
Il sorriso si allargò sul viso magro di Liv: - Ma è la magia, ingenuotta! –
 
*
 
Fu durante il tiepido cinque luglio del 2169, all’interno delle sicure mura di una Corte che occupava il cuore del territorio russo, che Selina partorì la sua secondogenita, alla quale lei e suo marito Boris dettero il nome di Lyuba.
‘Amore’, quello era il significato di quel nome, concesso alla bambina con speranza e fede. E Lyuba Kozlov, in effetti, inizialmente crebbe nell’amore: amore dei suoi genitori e di suo fratello maggiore Elizar.
Dall’animo curioso, vivace, increspato dalla spasmodica voglia di scoprire e conoscere, Lyuba passava le sue giornate d’infanzia ad attraversare la Comune, finendo poi per arrampicarsi fin sopra la cima degli alberi fra cui si appostava, come fosse un piccolo usignolo. Amava gettare lo sguardo chiaro oltre le mura della Comune, a solcare le terre di Nessuno che tutti raccontavano essere pericolose e impervie; eppure Lyuba non temeva nulla: mossa dall’ingenuità infantile e dalla sete di conoscenza, la piccola sognava di attraversare i cieli come i liberi uccelli, di esplorare il mondo tutto, sebbene ne parlassero tutti così male.
Lyuba Kozlov era una figlia educata, una sorella con cui Elizar poteva condividere le ore del gioco, una guida positiva per la sorellina più piccola Veronika. Era una bambina per bene, sempre pronta ad offrire una parola gentile agli estranei. Apparentemente non aveva problemi, eppure il suo sangue nascondeva un potere che adombrò nell’imminente i pensieri dei coniugi Kozlov.
Le visioni di Lyuba si palesarono molto presto, ma inizialmente non erano che visioni brevi e sporadiche; eppure quel potere allarmò ugualmente Selina e Boris, che ordinarono a Lyuba di non farne parola con nessuno.
Ma come poteva? Non solo quel potere faceva parte di lei, costruiva la sua persona, inoltre Lyuba ne era fortemente affascinata e non percepiva il potenziale pericolo. Tutt’altro: Lyuba aveva iniziato ad utilizzare il suo potere per aiutare i genitori in più di un’occasione; una volta, ad esempio, evitò che il loro raccolto andasse perso, a causa di una tempesta che divelse il granaio. Come poteva essere brutto, qualcosa che faceva bene agli altri?
Ogni visione chiamava un’altra visione, che cominciavano a presentarsi a distanza sempre più ravvicinata e ciò comportò l’impossibilità di tenere il potere nascosto ancora a lungo; inizialmente su Lyuba non giravano che voci e pettegolezzi, ma ben presto la portata di quelle dicerie diventò enorme e le ripercussioni nei confronti della piccola non tardarono ad arrivare.
Lyuba veniva scansata e maltrattata dai suoi compagni, emarginata perché i grandi, quelli che avrebbero dovuto tutelarla, avevano cominciato ad additarla come un mostro. Elizar faceva ciò che era in suo potere per difendere Lyuba, mentre la piccola Veronika la consolava come poteva, ma di fronte la crudeltà di un’intera comune, cosa potevano fare due bambini?
Fu fin troppo semplice trasformare il potere della piccola in qualcosa di orribile, pericoloso, di cui bisognava disfarsi, per ciò a nulla valse la buona volontà di Lyuba, che faceva il possibile per rimanere integrata in una comunità che la detestava e la utilizzava come capro espiatorio per colpe non sue.
Il punto di rottura arrivò con l’ennesima visione che Lyuba non fu in grado di tenersi per sé; del resto era così piccola, come poteva non tentare di avvisare il Signor Golubev di stare attento? Lei lo aveva visto, aveva guardato la morte dell’uomo con occhi impauriti e aveva sentito l’impellenza di cercare di tutelarlo.
 
“Se non rimarrà solo andrà tutto bene. La prego signor Golubev, solo tre giorni… il suo cuore potrebbe cedere!”
 
Il signor Golubev, uno degli uomini più rispettabili della Comune, non aveva intenzione di dare retta agli sproloqui di una bambina di sette anni, che aveva osato predire la sua morte davanti a moltissimi testimoni. Oh, commise un errore fatale quando decise di scacciare Lyuba, senza dare una possibilità alle sue parole. Tre giorni dopo trovarono il signor Golubev privo di vita, abbandonato sul freddo pavimento di casa; il medico della Comune disse che era stato un attacco di cuore a strapparlo al mondo.
 
“Sei la bambina del malauguri! Nevezeniye! Nevezeniye!”(2)
 
Questo era ciò che dicevano i ragazzini nei confronti di Lyuba, la cui famiglia fu investita dalla medesima brutta fama, così che la piccola Veronika arrivò a tenersi lontana dalla sorella maggiore per non essere accostata costantemente a lei e suo fratello tentava l’arduo compito della mediazione, sebbene di parole gentili, per Lyuba, non sembrava averne più.
La vita della piccola era diventata insopportabile e frustrante ed era un fatto, che il popolo di quella Comune non avesse la benché minima intenzione di tollerare ancora la presenza ingombrante del temibile potere di Lyuba.
La piccola, però, non riuscì a resistere dall’allertare tutti, quando la visione di un terremoto che avrebbe devastato la Comune, giunse a coglierla alla sprovvista. Lyuba, in parte ormai forgiata dalle parole di fuoco e dal maltrattamento che subiva con costanza, decise che il bene delle persone con cui era cresciuta fosse più importante.
La Comune, grazie all’avviso di Lyuba, fu in grado di salvare il salvabile e fortunatamente nessuno perse la vita; ma non era abbastanza. Quella era la prova del nove, perché era chiaro che la presenza di Lyuba fosse fonte di sfortuna; ormai ogni sgradevole evento, dal più piccolo al più catastrofico, era riconducibile alla figlia dei Kozlov, quindi che cosa avrebbero dovuto fare per salvaguardarsi da tutto quel male che Lyuba trascinava dietro di sé?
La prima, irreparabile frattura nella fragile anima di Lyuba, si aprì il giorno del suo nono compleanno, quando Selina e Boris compirono l’atto più disonorevole per un genitore.
No, di certo la piccola Lyuba non si sarebbe mai aspettata che i suoi genitori, che l’avevano cercata e voluta, che avevano voluto trasferire tutto il loro amore nel nome che le avevano assegnato, l’avrebbero venduta a dei Rigattieri che abitavano lugubri mercati delle Terre di Nessuno.
I pianti disperati della piccina non sortirono alcun effetto, quantomeno non smossero di certo Selina e Boris, né la piccola Veronika e il più grande Elizar che rimasero impassibili e silenziosi come statue di sale, ad osservare parte della loro famiglia che veniva portata via da loro.
Per un momento Lyuba riuscì a divincolarsi dalla presa di quegli uomini che avevano appena comprato la sua libertà, per aggrapparsi a suo fratello.
 
“Ti prego! Fai qualcosa, Elizar! Tienimi con te! Tienimi con te!”
 
Lyuba non avrebbe mai dimenticato lo sguardo sprezzante e rancoroso di suo fratello, che la allontanò con uno spintone.
 
“ Tu non sei mia sorella. Lasciaci stare!”
 
Quelle parole si marchiarono a fuoco nella sua mente, lacerandole il cuore e innescando il primo grande cambiamento nella giovane Lyuba, che era appena stata venduta dalla sua famiglia, per un pugno di monete.
 
 
La Corte
 
Affrontare quel viaggio era stato anche divertente, ma Lir non poteva negare di sentire una certa stanchezza sulle spalle. Nonostante ciò non si sarebbe di certo tirato indietro proprio in quel momento, perché sapeva che Jude contava su di lui. A pensare a come si fosse dovuto sentire l’amico costretto a rimanere alla Corte, Lir provò uno strano e immotivato senso di colpa; sapeva bene che non avrebbe potuto far nulla per far cambiare idea alla Governatrice, ciò nonostante sentiva di averlo in qualche modo derubato, sostituendosi a lui sebbene per volere di sua nonna.
Proprio per quel motivo, nonostante avrebbe preferito farsi una bella dormita, una volta rientrato alla Corte si era fatto una doccia ed era corso da Jude.
Nell’attraversare la stradina nel bosco, Lir si lasciò catturare dal sospiro del vento che, assieme alla nebbia tinta di rosa delle prime luci del mattino, generava un appagante atmosfera di quiete. Notò una flebile lucina provenire dalla casa di Artemisia, già sveglia a quell’ora valutò Lir, ma non si soffermò preferendo invece proseguire oltre, per raggiungere la casa del capo delle Sentinelle.
Quella casa a Lir aveva messo sempre una certa tristezza: apparentemente bello ed imponente, il grande chalet di legno affacciava su una delle sponde del lago della Corte. Lir aveva idea che quella fosse troppo grande per una persona sola, come se fosse stata progettata e creata per ospitare qualcuno in più; il giovane non aveva mai voluto chiedere al suo amico se quella sua intuizione attingesse alla realtà, ma sospettava fortemente fosse così. Lir credeva, difatti, che l’idea all’origine fosse quella di voler condividere la casa con Micah, il cugino tutt’ora ricercato dalla governatrice.
Quando Jude aprì la porta, la Sentinella capì che quello probabilmente aveva dormito solo una manciata di ore; era più che raro, difatti, scorgere Jude Millan in quello stato, con occhiaie profonde a solcare gli occhi e i capelli biondi scombinati. I due si scambiarono un abbraccio fugace, così Jude gli fece cenno d’entrare.
 
- Cos’è, hai fatto festa per caso? – Chiese Lir per spezzare la tensione dovuta alla vista del salone di casa, discretamente ordinato come sempre, sebbene un paio di bottiglie mezze vuote abbandonate sul tavolino posto davanti al divano. Jude lanciò un’occhiata a quelle e ai bicchieri usati, poi alzò le spalle, come non gli importasse che potesse trasmettere trasandatezza.
E no, non era proprio da Jude, pensò Lir, arrivando alla conclusione che quella appena trascorsa e la notte precedente, dovevano essere state teatro di buie elucubrazioni mentali, per il nipote della Governatrice.
 
- Vieni, ti preparo del caffè. Voglio che mi racconti tutto nei più piccoli dettagli. -
 
Fra un sorso di caffè e l’altro, Lir aveva tentato di tergiversare quanto più possibile; aveva parlato dei mercati, dell’impressione che gli aveva fatto Salko, incontrato per la prima volta dopo averlo sentito nominare così tanto spesso. Gli aveva detto di essere rimasto sorpreso dalle capacità di Ryurik Volkov, con cui aveva fatto squadra.
 
- E poi ogni volta mi sorprendo di che gente strana si incontri in quei mercati puzzolenti! Soggetti toccati dalla dura vita delle Terre di Nessuno. – Concluse meditabondo Lir, mentre tornava momentaneamente con la mente a quello smilzo con la maschera antigas contro cui era andato ad impattare.
 
- Tutto questo girarci intorno, Lir… -
Le dita di Jude, chiuse a serrare la propria tazza di caffè, presero a tamburellare sulla porcellana sbiadita dal tempo mentre i suoi occhi chiari, sormontati da sopracciglia aggrottate che vestivano lo sguardo di tetro piglio, si inchiodarono nei suoi: - Se ci stai mettendo così tanto ad arrivare al dunque, vuol dire che sei preoccupato nel riferirmi qualcosa. Per caso è successo qualcosa di male ad Alida? Mia nonna ha esagerato ancora?-
 
Lir, però si affrettò a scrollare la testa in segno di diniego: - Oh no, Lilly sta bene, anche se, ecco… lei ha accusato molto questo incontro. Credo che tu ne sappia qualcosa, Jude. –
 
Finalmente Lir parlò. Spiegò a Jude che inizialmente Nadia aveva preso accordi con il capo dei Mercati est per salvaguardare la Festa del Raccolto che si sarebbe tenuta da lì a poco, per poi arrivare alla questione più spinosa, quella che, Lir purtroppo ne era certo, avrebbe fatto sanguinare il cuore dell’amico: - E quindi Jude… sai che tua nonna è convinta che tuo cugino sia ancora vivo. Ha aumentato la taglia sulla sua testa: che gli venga portato vivo e illeso e in cambio… beh… ha promesso una cosa che fa davvero gola. –
 
Lir illustrò i termini della taglia che Nadia aveva concordato con Salko e poi tacque, attendendo una reazione da parte di Jude.
Quest’ultimo  era rimasto con lo sguardo inchiodato in quello di Lir senza dire una sola parola, fin quando non si decise ad aprire bocca: - E Alida? –
 
- Beh, come ti dicevo mi è sembrata strana… non capisco se abbia avuto una visione o se fosse semplicemente… scossa. Tu sai che quel nome per lei è un tabù, quindi io non ne so molto… però speravo che tu potessi dirmi qualcosa a riguardo.-
 
- Parlerò con lei più tardi. – Jude liquidò la domanda indiretta posta da Lir e quest’ultimo sospirò, consapevole che neanche quella volta avrebbe ricevuto delucidazioni sulla strana e misteriosa figura di Micah Millan.
 
- Ma come mai tua nonna è così ostinata? Fosse anche ancora vivo… Jude… perché mai ci tiene così tanto a riaverlo alla Corte! Insomma se è ancora vivo e nessuno ha mai chiesto un riscatto in questi dieci anni, vuol dire solo una cosa… -
 
- Che è un disertore. – Fu Jude a mettere in fila quelle parole, ciò che Lir non aveva trovato il coraggio di proferire.
 
- Sapevo che ci fosse qualcosa sotto. Altro che volermi tenere al sicuro, stronzate! – Jude batté con violenza una mano sul tavolino della cucina che li ospitava, facendo tremare le tazze di caffè ormai quasi vuote.
 
- Jude, ora calmati… - Lir alzò le mani, ma Jude ignorò quel gesto, continuando invece ad inveire. I suoi occhi si erano fatti ancora più cupi e la sensazione era che i cerchi scuri intorno ad essi si fossero inspessiti: - Non le frega un cazzo della mia incolumità. Sapeva che se ci fossi stato anche io, non sarebbe riuscita a fare quella richiesta così apertamente. Voleva evitare grane! -
 L’uomo si alzò di botto e prese a misurare la cucina con grandi passi, sotto lo sguardo preoccupato di Lir Strong: - Lei e le sue idee assurde… perché dovrebbe essere migliore di me, eh? Sono io quello che è rimasto!- il dito indice a puntellarsi il petto, -Sono io quello che non l’ha tradita! Oh, ma mi sentirà, e come se mi sentirà. Vado a parlarci. –
 
- Amico, calmati o le tue urla arriveranno fino a casa di Artemisia. - Non era la prima volta che Lir si impegnava per sedare l’ira di Jude, che esplodeva con l’irruenza di un vulcano: - Sappiamo entrambi che non risolverai nulla andandoci a parlare ora, in questo stato. Con tua nonna bisogna andarci cauti. -
 
Il miracolo avvenne e Jude, dopo aver sbraitato ancora un po’ contro il sangue del suo sangue, si calmò e ritrovò la lucidità. Fu solo a quel punto che Lir tornò ad insistere, chiedendo a Jude come mai, secondo lui, Nadia Millan si fosse così ostinata a voler ritrovare il nipote. La bocca di Jude si deformò in un sorriso sbieco, appesantito dall’idea di Micah: - Tu sai che per mia nonna è il sesso femminile a contare davvero, per quanto riguarda il governo delle Comuni e, su tutte, della stessa Corte. Beh… - Jude tornò a sedere, così puntò di nuovo lo sguardo in quello di Lir: - Mia nonna ha avuto due figli. Indovina un po’ chi fra me e Micah, ha avuto la fortuna di nascere progenie di sua figlia? –
 
Quartier Generale
 
Quella visita ai Mercati era stata particolarmente estenuante, ma Yuki era anche consapevole che avevano avuto un gran colpo di fortuna, ad aver incrociato la Governatrice in persona. Grazie ai loro contatti erano riusciti ad assistere alla riunione fra la nonna di Micah e quello che era conosciuto come il capo dei Mercati est, davvero un gran colpo di fortuna. Certo, c’era anche da dire che si erano allarmati non poco quando avevano capito che Nadia Millan non solo avesse ancora delle mire ben precise sul nipote, bensì che era pronta a concedere un premio così ambito e succoso, pur di riaverlo con sé. E questo, Yuki lo sapeva bene, comportava non pochi problemi.
La ragazza aveva così passato tutto il viaggio di ritorno sul chi va là, mentre la sua testa macinava informazioni; non si capacitava come alcuni di loro riuscissero ad essere così spensierati, quando con loro c’era Sonne, conosciuto in tutto il mondo come il nipote della Governatrice, ricercato numero uno, miniera d’oro e passaporto per la vita migliore che si potesse desiderare. Persino Micah stesso non sembrava particolarmente turbato.
Va bene, c’era da dire che erano passati davvero molti anni da quando Micah era scappato dalla Corte e nessuno era mai stato capace di acciuffarlo; inoltre il tempo aveva fatto il suo corso e Micah era passato dal sembrare uno spaventapasseri dalla testa di rapa, a essere un uomo fatto e finito. Per altro erano partiti immediatamente dopo aver assistito alla riunione, di modo che Salko e i suoi non avessero ancora avuto il tempo di diffondere il nuovo identikit di Micah.
Yuki era stata allarmata tutto il tempo, forse in maniera ingiustificata, ma comunque un enorme problema continuava a sussistere, nonostante fossero rientrati sani e salvi al Quartier Generale da un paio di giorni: la Festa del Raccolto. Ebbene i Ladri continuavano a decimarsi e Sonne era il ricercato numero uno, come sarebbero potuti entrare alla Corte senza essere scoperti?
L’organizzatissima e brillante Yuki, nonostante tutto, aveva le idee chiare e con quelle si recò da Claudia, a seguito della riunione che quest’ultima aveva tanto desiderato e richiesto. Sonne si era finalmente lasciato trascinare fuori dal suo bozzolo pietoso ed aveva acconsentito ad aggiornare tutti su quanto appreso dal loro viaggio ai mercarti e Oleander, lettere alla mano, aveva spiegato che la cosa migliore da fare, era comunicare con quanti più Ladri possibili in modo che quelli arrivassero organizzati alla Festa del Raccolto, dove si sarebbero dovuti incontrare.
 
- Come sappiamo, per costruirci delle nuove identità non ci bastano dei nomi nuovi e una storia credibile da raccontare a quelle dannate Sentinelle, se ci dovessero fare qualche domanda di troppo. – Yuki osservava i presenti nella stanza cucire con attenzione, sotto le direttive di Claudia: - Dobbiamo anche avere l’aspetto di abitanti delle Comuni. Persone come noi: - Proseguì poi, indicando Oleander e se stessa: - sanno bene che la maggior parte delle Sentinelle di Nadia sono persone addestrate egregiamente; chiunque sia in grado di concludere l’addestramento con Jude Millan, ne esce più che fortificato. -
 
- Già. – Concordò Olenader, finendo per aggiustare il tiro di un ragazzo che con ago e filo sembrava non andare molto d’accordo.
 
- Insomma, entrare alla Corte sarà davvero tosto: ci ispezioneranno, ci faranno molte domande, ci osserveranno con attenzione, ci requisiranno le nostre armi. Non dobbiamo farci cogliere impreparati assolutamente, motivo per il quale ognuno di noi dovrà trasformarsi totalmente. A proposito… - Yuki si rivolse di nuovo ad Olenader: - A parrucche e cappelli come siamo messi?-
 
- Oh, non ti ho fatto vedere?! Siamo stati così fortunati ultimamente! Siamo riusciti a portarci via un bel po’ di vestiti in discrete condizioni dalle ultime missioni, nonché qualche scalpo! -
 
- Ottimo. – Annuì Yuki, non riuscendo a frenare l’entusiasmo di Claudia intenta a parlare di scalpi come fossero rare figurine da collezione. Così anche lei prese nuovamente a cucire, intenzionata a non posare ago e filo, fin quando non sarebbe stata abbastanza soddisfatta del suo lavoro.
 
La Corte
 
Aveva promesso a Lir che non sarebbe esploso e non avrebbe tentato di ribaltare casa di sua nonna e questo era ciò che aveva fatto; ma Jude era comunque arrabbiato. Non che questo sentimento mancasse mai all’appello, ma era difficile che desse in escandescenza per colpa dei suoi nonni. Comunque doveva portare a casa la giornata e non poteva evitare di recarsi da loro; avrebbe potuto darsi malato? Certo, peccato che Jude non si ammalava praticamente mai e se Etienne avesse ricevuto una simile notizia, avrebbe capito subito che c’era qualcosa fuori posto, il che lo avrebbe costretto a fornire spiegazioni che, ne era certo, avrebbero comunque portato ad incazzarsi con sua nonna.
Così, controvoglia e con spirito irrequieto, Jude trascurò di rasarsi il viso, indossò un vecchio e consumato completo e con la sigaretta stretta in bocca, lasciò casa sua.
Fuori da casa trovò ad aspettarlo il sorriso di August Lee, pronto a scortarlo fino alla meta della giornata. L’uomo ormai conosceva molto bene Jude e non ci mise molto a capire che, forse, avrebbe fatto bene ad aprire la bocca il meno possibile.
 
- Dove siamo diretti oggi? -
 
- Portami da mia nonna. Grazie, August. -
 
Già, era decisamente meglio starsene nel suo, pensò August mentre guidava l’automobile di Jude fino alla residenza della Governatrice; era cosa rara che Jude ringraziasse e, diversamente dal resto del mondo, non era quasi mai un segno positivo.
Stavano per giungere nel cortile sul quale si affacciava il portico della residenza di Nadia, quando Jude intravide sulla strada un’inequivocabile chioma scura ondeggiare sulle spalle rivestite dal cappotto nero che Artemisia prediligeva.
 
- Lasciami qui e porta la macchina al cortile, arrivo fra poco. -
 
August fece ciò che gli era stato chiesto, così Jude scivolò fuori dalla macchina e si avvicinò alla ragazza la quale, accortasi della presenza, scese dalla sella della sua bicicletta.
 
- Buongiorno capo. – Pigolò Artemisia, accompagnando il saluto con un sorriso; d’improvviso, la giornata sembrava prendere una piega meno spiacevole, per Jude.
 
- Buongiorno. – Rispose, per poi accendere la sigaretta e fare segno ad Artemisia di tornare a camminare. Al suo fianco Atlas guardava incuriosito Jude.
 
- Smetterai mai? – Chiese apprensiva lei, lanciando un’occhiata alla sigaretta che Jude consumava con avidità; l’uomo accennò una cupa risata: - Quando mi abbandoneranno nelle profondità del lago della Corte, temo. -
 
- Non ti fa bene. – Insistette lei, sbriciando il viso di Jude con la coda dell’occhio mentre spingeva la propria bicicletta.
 
- E cosa fa bene, signorina Strong? Comunque non parliamo di questo, è ancora molto presto e io sono già terribilmente infastidito. -
 
Qualche passo li divideva dal cortile della Governatrice, quando Artemisia si fermò e squadrò l’altro con uno sguardo fra il divertito e il perplesso: - Lo vedo, è così strano vederti vestito… così!-  Artemisia trattenne una risata, poi riprese a camminare mentre Jude con espressione perplessa, osservava il proprio vestiario: - Beh? Cos’è che non va in quello che ho addosso? –
 
- Non so, forse… tutto? – Jude la raggiunse, così i due continuarono lo scambio di battute nel bel mezzo del cortile, mentre il sole cercava di farsi spazio fra la nebbia del primo mattino.
 
- È solo uno dei miei tanti vestiti, ecco tutto. -
 
- Allora hai avuto problemi a lavare quelli buoni. Se vuoi puoi sempre lasciarmi un fagotto da lavare davanti casa, vedo che ne hai davvero bisogno. -
 
A quel punto Jude rise di buon cuore, portando allegria anche nell’animo di Artemisia, sempre contenta di essere fonte di buon umore.
 
- Ho capito, questo completo è brutto. Ho solo pescato la prima cosa che mi è capitata… e poi effettivamente hai ragione, sono in arretrato con il bucato. -
 
- Mmm… Jude Millan che indossa la prima cosa che gli capita a tiro, deve esserci proprio qualcosa che non va. Sai che oltre a fare un ottimo bucato, so anche essere una valida ascoltatrice. Dovessi averne bisogno… -
 
- Lo ricordo bene. – Controbatté Jude, gettando a terra ciò che rimaneva della sigaretta e infilando poi le mani nelle tasche di quel completo che, effettivamente, era proprio ora di buttare via. – Ma avrei anche bisogno di fare un salto dalla signora Penny; se ti fa piacere, potresti accompagnarmi uno di questi giorni. -
 
Nel sentir nominare quella meravigliosa boutique in cui, per orgoglio, non aveva avuto il coraggio di acquistare nulla, Artemisia sentì l’emozione intorpidirle la bocca.
 
- Oh… sarebbe così carino poterci tornare; ma questa volta senza nessuna offerta, intesi? Verrò solo per aiutarti a scegliere qualcosa che ti si addica di più rispetto a un terribile completo marrone. Mi chiedo come ti sia venuto in mente! -
 
- Per quanto tempo dovrò sorbirmi le tue prese in giro? -
 
- Almeno fin quando non te lo vedrò più addosso. – Artemisia sorrise, prima di aggiungere che era giunto il momento, per lei, di recarsi alle scuderie. Doveva preparare i cavalli per l’addestramento delle nuove reclute.
 
- Diligente, signorina Strong. Mi piace. Allora per quell’appuntamento da Miss Penny, attendo che tu mi faccia sapere quando hai un pomeriggio a disposizione. -
 
Artemisia annuì e agitò una mano, poi richiamò Atlas e si avviò verso le scuderie. Jude la seguì per un po’ con lo sguardo: aveva dimenticato di essere molto, molto arrabbiato, doveva rimediare subito.
 
 
La Corte
Residenza di Nadia
 
Dopo essersi debitamente riposata, Nadia aveva espresso il desiderio di passare qualche ora in compagnia di suo marito, senza essere costretta a pensare a tutte le incombenze che, da Governatrice della Corte, le spettavano. Capitava talvolta che trascurasse Etienne e la cosa, per quanto la riguardava, era accettabile solo e soltanto se proprio non poteva fare altrimenti. Non che suo marito si lamentasse mai della cosa; Etienne era perennemente assorbito dai suoi esperimenti, ragion per cui comprendeva e accettava che Nadia non avesse molto tempo da passare in sua compagnia. Quello della coppia era un equilibrio che perdurava da decenni e solo una volta era stato sul punto di rompersi, una singola occasione, che entrambi avevano tentato di dimenticare, purtroppo fallendo miseramente nell’intento.
Disgraziatamente, Nadia era ben consapevole che per quanto lo desiderasse, certi eventi non potevano essere cancellati e anzi, quelli si ripresentavano alla mente con cadenza regolare, come fossero una tortura costruita a pennello.
 
- A cosa stai pensando ma chère? Hai bisogno di altro riposo per caso?-
 
Etienne la conosceva più di qualunque altra persona al mondo; ogni impercettibile movimento del suo viso, il mago era in grado di interpretarlo con invidiabile capacità, per questo Nadia neanche tentava più di nascondergli qualcosa. Si avvicinò a lui, con in mano una fumante tazza di caffè e gliela portò via con un sorriso neanche troppo forzato.
 
- Pensieri, nulla che tu non sappia già. – Dopo aver ingollato un sorso amaro, gli occhi chiari della Governatrice fluttuarono verso la porta dello studio, oltre la quale si trovavano sia Ryurik che Alida: - Piuttosto ora che siamo tornati, Lir potrà riappropriarsi del suo posto come tua guardia del corpo, tesoro. -
 
- Sarebbe il caso, ho sentito la mancanza delle sue battute fuori luogo. – Sghignazzò Etienne prendendo nuovamente possesso della propria tazza di caffè, prima di aggiungere che, in realtà, aveva avvertito in generale un po’ di solitudine.
 
- Perché mai? Sai come la penso tesoro… ogni tanto dovresti prenderti una pausa e uscire da quel tuo laboratorio, non ti fa bene passare così tanto tempo da solo e ci tengo alla tua salute mentale. – Nadia fece scivolare le mani sotto il braccio del marito e gli riservò uno sguardo dolce e apprensivo al contempo, che lui ricambiò con un sorriso candido: - Ti do ragione, ma questa volta non è stata colpa mia. Quel ragazzo al quale mi hai affidato, Ajax… beh non lo vedo da un paio di giorni. -
 
- Cosa?! E perché non me lo hai detto prima?! Hai avvisato Jude?! Non è accettabile un comportamento del genere! -
 
- Nadia, amore, ora calmati s'il te plaît! Sapevo ti saresti agitata inutilmente… - Il mago afferrò la consorte per le spalle prima che quella potesse correre fuori dallo studio, sbraitando affannosa: - Come puoi ben vedere sto bene, non mi è successo nulla. Avevo già in mente di avvisare Jude; a quanto ho capito Ajax è sempre stato molto affidabile, è nato e cresciuto qui; se non si è presentato potrebbe essere perché gli è successo qualcosa, non credi? -
 
Quando si trattava della sua famiglia, capitava che Nadia perdesse la lucidità; anche in quel caso non aveva pensato che la spiegazione più plausibile fosse che Ajax, una fedele Sentinella, potesse non trovarsi nella condizione di adempiere al proprio lavoro. Si ritrovò a dare ragione al marito, così decise di uscire dallo studio e recarsi nel salone, nel quale Alida e Ryurik erano assorbiti da una partita a scacchi. Nel sentire i coniugi fare irruzione nella stanza, i giovani scattarono in piedi.
 
- Ryurik, devi farmi un favore caro, ho bisogno che tu capisca che fine ha fatto Ajax Willow. Disgraziatamente sono appena venuta a sapere che sono un paio di giorni che non si fa vedere, questo non è certo un comportamento da lui! - Nadia strinse appena il braccio del ragazzo: - Ah, non andare da solo, richiama un paio di sentinelle con te; in questi casi non è mai bene muoversi in solitaria. Potrebbe non essergli successo nulla, come potrebbe essere vittima di un agguato; la prudenza non è mai troppa! -
 
Così Ryurik annuì e lasciò la stanza mentre Alida, mani allacciate dietro la schiena e postura più che eretta, osservava in silenzio la Governatrice avvicinarsi alla grande finestra che rimandava sul patio della sua magione.
 
- Alida, vieni qui, sii gentile.-
 
Così fece: la giovane strega si avvicinò alla finestra e gettò un’occhiata in direzione del punto indicato da Nadia; ciò che vide non era motivo di particolare interesse, ma evidentemente qualcosa nella figura di Jude, mentre parlava con Artemisia che annuiva di frequente (Alida sospettava che Jude le stesse impartendo qualche ordine ben preciso), doveva aver stimolato la curiosità della donna. Forse il motivo risiedeva nello strano sorriso che così di rado appariva sul bel viso di Jude Millan?
 
- Dimmi, quella sentinella si chiama Artemisia… Artemisia Strong, giusto? -
 
- Corretto.- Annuì Alida, non capendo dove l’altra volesse arrivare.
 
- Ultimamente mi pare che lei e mio nipote passino parecchio tempo insieme, non ti pare? -
 
- Sinceramente non più del solito, non mi pare. – Con un’incerta scrollata di spalle, Alida tentò di apparire disinvolta e sincera, ma anche a lei era sembrato che quei due, da qualche tempo, se la intendessero.
 
- Non sei brava a mentire, te l’ho detto un sacco di volte! – Nadia assottigliò lo sguardo, così avvicinò ancor più il viso al vetro, costringendosi poi a spannarlo a più riprese con la manica.
 
- Una Strong… una ragazzetta senza provenienza, senza passato! Non mi piace affatto. -
 
Nel sentire quelle parole, Alida fu costretta a trattenere una smorfia; la noncuranza del tono di Nadia, la malcelata superiorità, la supponenza, le davano il voltastomaco. Checché ne dicessero i suoi sudditi prediletti, Nadia Millan non riteneva che tutti gli esseri umani fossero uguali, tutt’altro; semplicemente era molto brava a dare agli altri una visione migliore di sé.
 
- Non conosco molto bene Artemisia, ma Lir si; è una brava ragazza e una valida sentinella. – Alida sentì di spendere buone parole per Artemisia, nonostante le due non avessero mai avuto chissà quale rapporto. Il suo tentativo fu comunque inutile e Alida lo dedusse dal rotear d’occhi di Nadia. Sempre così plateale, pensò lei.
 
- Sei ancora così tanto ingenua, ragazza mia. Credo invece che quella lì stia cercando di farsi amico mio nipote, di piacergli. Guardala! Guarda quante moine che fa!-
 
Nadia picchiettò l’indice contro il vetro e Alida fu così costretta a guardare di nuovo nella direzione dei due giovani.
 
- Veramente io la vedo solo annuire; ti starai di certo preoccupando troppo e… -
 
- Voglio che tu capisca cosa c’è sotto. Più tardi va da lei e parlaci; se una qualsiasi Artemisia Strong sta cercando di circuire mio nipote, nonché futuro governatore della Corte, io lo devo sapere. Ora va, io riposerò ancora un po’. Etienne! Tesoro! Cosa ne dici di un bagno caldo? -
 
Così Nadia tornò nell’altra stanza e lasciò Alida a deglutire e sospirare; il suo sguardo tornò oltre il vetro, fino a soffermarsi sul profilo di Jude, il futuro governatore. Quelle parole rimbombarono nella sua testa e l’immagine del più piccolo dei cugini Millan andò a sostituire quella del maggiore, contribuendo a dare una bella strizzata allo stomaco di Alida. Succedeva sempre così, ogni volta che Micah le tornava alla mente.
 
*
 
Un animale. Ecco come venne trattata Lyuba Kozlov durante i sei mesi che passò nella pessima compagnia dei Rigattieri. Questi si divertivano a metterla in mostra, mostrandola a tutti come se quella non fosse nemmeno viva.
Le catene circondavano perennemente i suoi polsi e le esili caviglie e nessuno prestava attenzione al visino infantile incorniciato dagli sporchi capelli pallidi, ai grandi occhi chiari imploranti la libertà. Nessuno, ma proprio nessuno degli avventori dei mercati in cui veniva sballottata, percepiva Lyuba come quel che era, ovvero una persona.
Il primo a trattarla come fosse un gioiello prezioso era Roman Lebedev, il suo proprietario. Omuncolo avido, privo di alcun sentimento positivo, mostrava le capacità di Lyuba con orgoglio, come se il merito fosse il suo e mai voleva separarsi da lei.
Di proposte per comprarla ne ricevette moltissime, perché era chiaro che Lyuba possedesse un dono davvero speciale, unico; la bambina aveva delle visioni nitide e specifiche e Roman non aveva mai visto niente del genere prima di comprarla. Proprio per questo motivo non si sognò mai di venderla, in quanto aveva compreso il valore inestimabile racchiuso in lei.
Ovviamente Roman aveva tratto enorme guadagno da  Lyuba, facendo pagare grosse cifre di denaro a coloro che volevano ricevere una visione e per produrne di continue, la bambina veniva seviziata senza alcuna pietà.
Furono sei interminabili mesi, durante i quali Lyuba non aveva mai smesso di combattere nonostante le angherie subite; poi, come avesse agito una mano divina, un giorno fu strappata via dalle catene di Roman Lebedev grazie all’intervento di alcune Sentinelle del territorio.
Fu sorprendente, per quelle persone, scoprire l’incredibile capacità di Lyuba; chiunque venisse a contatto con il suo potere non poteva fare a meno di riconoscerne la grandiosità, motivo per il quale quelle Sentinelle, dopo aver arrestato Roman e messo sulla via delle Colonie più vicine, decisero che la bambina avrebbe dovuto essere portata immediatamente da Nadia in persona.
Incontrare Lyuba, fu per la Governatrice un momento davvero speciale. La piccola le venne presentata con ancora gli stracci consumati che portava ogni giorno, sporca, con una lunga catena a stringere i polsi e una museruola a tapparle la bocca.
Nadia sembrò sconvolta e si rivolse piena di sdegno alle Sentinelle che avevano portato la bambina da lei.
 
“Perché diavolo avete fatto una cosa simile?!” Urlò, indicando la museruola che fasciava la bocca di Lyuba. Tremante come una foglia, un uomo si fece avanti.
 
“Mia signora, mi ha fatto di questo.” Balbettò, mostrando a Nadia l’avambraccio, marchiato dal segno profondo di un morso.
 
“Non siete comunque giustificati a trattarla come fosse un cane rabbioso, non lo vedete che è una bambina?” Gli occhi di Nadia si incastrarono in quelli di Lyuba, “Deve essere terrorizzata. Lasciateci sole.”
 
“Ma, veramente non credo…”
 
“Fuori, subito.” Nadia scacciò i presenti, poi si avvicinò con cautela a Lyuba e si chinò per trovarsi alla sua altezza. Accennò un sorriso gentile, così le rivolse parole rassicuranti, dopodiché rimosse la museruola e sciole le sue catene. La reazione di Lyuba, fu quella di fuggire in un angolo e sebbene fosse terrorizzata, tentò di mostrarsi furente nei confronti di Nadia, alla quale la piccola ricordò un felino che tentava di difendersi contro il suo predatore.
Ci volle tempo e pazienza per far calmare Lyuba, ma fortunatamente Nadia non era mai stata manchevole né dell’uno, né dell’altra. Quando, grazie alle sue parole cortesi e al suo tono conciliante, la Governatrice riuscì finalmente a tranquillizzare la piccola, le chiese che cos’è che desiderasse.
 
“Libertà.”
 
Quella parola fece sorridere Nadia, di un sorriso che Lyuba male interpretò e di cui arrivò a comprendere il significato solo anni dopo.
 
“Come ti chiami? Hai un nome, non è vero?”
 
A quella domanda, Lyuba si rabbuiò ancor più; ci volle un po’ prima che trovasse il coraggio di rispondere.
 
“Mi chiamo… mi chiamavo Lyuba, ma poi sono diventata uno oggetto. Ora io non lo so più cosa sono, non so più  il mio nome.”
 
Gli occhi della bambina si velarono di lacrime non appena ebbe pronunciato quelle parole, così Nadia allungò con cautela una mano nella sua direzione.
 
“Oh, piccina mia, tu non sei un oggetto, sono quei mostri che ti hanno trattata così. Però tu sei stata davvero forte e battagliera, lo sai?”
 
Nadia prese una pausa, in attesa che la bambina accettasse la sua mano; a quel punto tornò a parlare.
 
“Visto il tuo spirito battagliero, che ne dici di Alida?”(3)
 
“Alida…” Ripeté la bambina “Mi piace Alida, ha un bel suono”.
 
“Allora sarà così che ti chiamerai, da adesso in poi.”
 
Quella sera stessa Alida venne lavata, sfamata e le fu offerta una stanza con un letto comodo. Un letto vero, dopo mesi passati a riposare sulla pietra nuda; quello non doveva essere che un sogno, o forse si era appena risvegliata da un incubo?
Passarono i giorni, durante i quali la piccola venne trattata con cura, sottoposta a molte visite mediche per accertarsi del suo stato di salute; Nadia fece di tutto per rimetterla a nuovo e per darle tutto ciò che poteva esserle utile per riabilitarla.
Finalmente, con lentezza, Alida cominciava a provare un briciolo di serenità, anche se più di un dubbio si instillò nella sua mente, quando percepì che qualcosa stonasse in quel luogo che le sembrava un paradiso.
I suoi dubbi trovarono fondamento, quando un giorno Nadia la mandò a chiamare. Così Alida fu condotta da una Sentinella fino ad una delle stanze di quella grande magione, in cui trovò la donna seduta su un divano spazioso –oh, Alida non ne aveva mai visti di così belli- che la invitò a sedersi.
 
“Ti ho spiegato come funzionano le cose alla Corte, giusto? Qui, bambina mia, tutti collaborano affinché le cose funzionino. Persino mio nipote ci mette del suo; lui ha cinque anni più di te, ti piacerebbe conoscerlo?”
 
Alida annuì con entusiasmo. Da quando era stata venduta dalla sua famiglia, non aveva mai avuto rapporti con altri ragazzi.
 
“Ti farò conoscere Jude allora. Con lui potrai studiare meglio l’inglese e insieme a Etienne, mio marito… lo hai conosciuto, ricordi? Beh, con loro imparerai a sfruttare meglio le tue capacità. “
 
“Le mie capacità? Ma io sono… non faccio cose buone, io porto male.” Pigolò la piccina, terrorizzata all’idea di avere altre visioni. Del resto aveva passato buona parte della sua vita a sentirsi dare della iettatrice, mentre gli ultimi mesi erano stati una vera e propria tortura, proprio per colpa del suo potere visionario.
 
“Tu non porti male e il tuo potere è strabiliante; sarà estremamente utile a me come Governatrice e a tutta la Corte. Tu farai del bene al mondo, devi credermi.”
 
Nadia le carezzò una ciocca di capelli, portandola dietro un orecchio; eppure per quanto quella donna le sorridesse e le parlasse con garbo, Alida ebbe un pessimo sentore. C’era qualcosa che non andava in lei, nella Corte, nell’intero sistema. Ma che cos’era?
E lei come ne sarebbe uscita?
 
 
Quartier Generale
Dojo piccolo
 
Che cosa gli stesse davvero dicendo, Malik non lo sapeva. Non faceva altro che far saltare gli occhi dalla bocca di Andra, morbida e assurdamente sensuale, ai suoi occhi magnetici, tinti di un verde che raramente aveva avuto il piacere di scovare in natura.
Avevano parlato a lungo, avevano persino avuto un appuntamento, un bellissimo, perfetto, primo appuntamento e i sentimenti erano ormai ben chiari ad entrambi: Jabal e Dimma dei Ladri di bacchette avevano lasciato alle spalle rispetto e ammirazione reciproca, facendo proprie diverse emozioni quali l’affinità, l’attrazione, e molto altro appartenente alla sfera emotiva delle coppie.
Non restava che rendere concreti i comuni intenti e quale modo migliore per iniziare, se non quello di appropriarsi di quella bocca che gli stava facendo girare moltissimo la testa?
 
Baciami, stupidone…
 
Malik annuì, inebetito, nel sentire quelle parole sussurrate.
 
- Non mi stai ascoltando, non è vero? Mi spieghi per quale dannato motivo stai ridendo?!-
 
Andra teneva le braccia incrociate sotto il petto e attendeva con impazienza che il suo interlocutore la smettesse di perdere i pensieri chissà dove. Malik le aveva promesso non avrebbero perso tempo e si sarebbero subito allenati, una volta tornati al Quartier Generale, eppure erano cinque minuti buoni che se ne stava lì ad annaspare.
 
- Questo è un dojo, non una piscina. La smetti di boccheggiare? -
 
Come si fosse appena svegliato da un bellissimo sogno, Malik si strofinò il viso prima di tornare a concentrare le sue attenzioni sulla compagna. Andra, davanti a lui, era visibilmente spazientita.
 
- Scusami. – Una lieve risata gli sfuggì dalle labbra; risata che Malik non riuscì a trattenere e che fece indispettire Andra ancor più: - Mi vuoi spiegare che cos’hai? Che c’è, ti avranno mica drogato ai Mercati?-
 
- Devi scusarmi stellina…-
 
- Non chiamarmi così!-
 
Malik la ignorò e sorrise di nuovo mentre allungava un paio di passi nella sua direzione: - è che, vedi… stavo pensando a una cosa che ti riguarda, una cosa davvero molto bella, sia chiaro; per questo non riesco a smettere di stare così. È colpa tua sai. –
 
- Oh certo, colpa mia di un qualcosa di cui non sono a conoscenza. – Andra poggiò le mani sui fianchi, ma a quel punto anche il suo viso fu illuminato da un mite sorriso: - Allora sentiamo, cos’è che ti fa assomigliare alla bella copia di Micah appena uscito dalle stanze di quella Scarlett? -
 
Le parole della strega suscitarono una sguaiata risata da parte di Malik: - Questa, questa si che me la devo rivendere! Povero ragazzo, certo che lo tratti davvero male!-
 
- Lo prendo solo in giro, in realtà lo sai, che gli sono affezionata… e che lo stimo come guerriero. Per non parlare di quel suo bel faccino. -
 
- Ora mi stai prendendo in giro, lo so bene che non hai fatto altro che respingere le sue avance negli ultimi anni. – A quel punto Malik si era fatto vicino abbastanza da far sì di sostituire le mani di Andra con le proprie; con un piccolo gesto la attirò a sé e la donna non oppose resistenza, sebbene non dette comunque a Malik la soddisfazione di lanciarsi fra le sue braccia.  Si guardarono a lungo, uno sguardo d’intesa, uno di quegli sguardi che nasconde una chiara volontà di intenti; poi Malik parlò, non smettendo mai di sorridere e se possibile si fece ancor più vicino ad Andra, oramai a un soffio dal viso di lui.
 
- Ho lasciato in sospeso una cosa… importante, davvero importante, una cosa che voglio fare da un mucchio di tempo. -
 
- Giuro che non opporrò resistenza, signor Khuda. L’importante è che non sia nulla per cui sarei costretta a prendere la pistola.-
 
Inizialmente volutamente rigida, Andra si sciolse; le sue mani salirono fino a poggiarsi sui pettorali ampiamente allenati di Malik. Nei segreti della sua mente, Andra si disse che non le sarebbe affatto dispiaciuto conoscerne per bene la forma. A quel punto Malik le strinse il viso con estrema cura e rimase per qualche istante ad osservarla in silenzio; si sarebbe avvicinato, lo avrebbe fatto a momenti, eppure scosse il viso ridendo e si scostò un po’, generando palese disappunto in Andra.
 
- Beh? – Chiese confusa. Gli occhi d’intenso verde seguirono la traiettoria della mano destra di Malik, che andò ad indicare la porta del dojo.
 
- Ora accadrà. -
 
- Accadrà… cosa? – Chiese, sempre più confusa.
 
- Accadrà che qualcuno entrerà e interromperà quello che potrebbe essere il momento più bello della mia vita negli ultimi 10 anni. È matematico, posso scommetterci una gamba. -
 
Andra era sicura che Malik non fosse un veggente. Se per questo, Malik non aveva nessun tipo di potere magico, quindi fu più che certa che la stesse prendendo in giro.
 
- Senti, non mi piace questo scherzo… -
 
La porta del dojo si spalancò proprio nel momento in cui Andra si stava divincolando dalla stretta del braccio di Malik e la voce squillante di Zenia rimbombò per tutta la sala d’allenamento.
 
- Zio, ma allora sei qui! Ti ho cercato per tuuuuuutto il Quartier generale!-
 
- Come se fosse immenso. – Commentò Mawja alle sue spalle. L’anziana signora pose le mani sui fianchi con gesto di finto rimprovero nei confronti di Zenia, la quale si era già lanciata fra le braccia di Malik: - Ti sei resa conto che hai interrotto il loro allenamento?-
 
Zenia allargò le narici e comincio ad annusare platealmente lo zio, che scuoteva la testa con rassegnazione: - A me non pare si stiano allenando, zio non sta sudando! E comunque non è colpa mia, è Herb che ci ha mandate qui! Ti vuole parlare, dice che è molto urgente. –
 
- Per Herb tutto è sempre urgente, comunque vedrò di andare da lui. – Malik mise di nuovo a terra la nipote e poi lanciò un’occhiata ad Andra: - Aspettami qui, così possiamo riprendere da dove siamo rimasti. – Con una strizzata d’occhio, Malik lasciò il dojo insieme a Mawja, la quale si lamentava di essere stufa di fare la segretaria di Herb. Nell’attesa, Andra afferrò le fasce d’allenamento e prese ad avvolgere le mani intanto che Zenia, con le mani dietro la schiena e un sorriso furbetto sul viso, la osservava con vivo interesse.
 
- Allora?- Chiese infine, non vedendo alcun tipo di reazione da parte della donna, concentrata sul sistemare le fasce per l’allenamento.
 
- Allora cosa?- Andra lanciò uno sguardo con la coda dell’occhio a Zenia, prima di tornare sulle proprie mani.
 
- Allora lo zio ti ha chiesto di uscire alla fine? Avete avuto l’appuntamento?-
 
Tutto si sarebbe aspettata, tranne che una bambina di otto anni le facesse una domanda del genere; Andra sentì il viso bruciare e con esso, la sua credibilità di ladra guerriera.
 
- Io, Jabal, voglio dire Malik… ma tu perché sai queste cose?! -
 
- Ti ho messa in imbarazzo? Oh! Per piacere non dirlo allo zio! Sono sicura mi sgriderebbe se lo venisse a sapere! -
 
Zenia aveva finito per raccogliere le mani davanti al viso in una richiesta misericordiosa e Andra, nonostante l’imbarazzo, non riuscì a fare a meno di intenerirsi davanti a quegli occhioni imploranti. C’era da dire che Zenia era proprio una bambina furba, sapeva come giocarsi le carte vincenti e ad Andra piacevano moltissimo i bambini che mostravano furbizia e mobilitavano l’ingegno. Così la donna scosse il capo e le accennò un sorriso: - Puoi stare tranquilla; ma dovresti proprio rispondermi… come sai… dell’appuntamento? Hai origliato qualche conversazione? –
 
Di tutta risposta la piccola sgranò gli occhi ed assunse la più indignata delle espressioni; le sue parole soffiarono dalla bocca con impeto: - Origliare?! Io?! Non lo farei mai! Mi sarà capitato un paio di volte con Solomon e gli altri… ma mai l’ho fatto con lo zio! Gliel’ho suggerito io di chiederti di uscire, visto che era così tanto tempo che ci stava a pensare! –
 
- Glielo hai detto tu? – Chiese fra il dubbioso e il divertito l’adulta della situazione; Zenia annuì e tornò a rivolgere il suo sorriso più furbo: - Certo che si, altrimenti non si sarebbe mai deciso, lento com’è! Comunque dalla tua faccia, secondo me ce lo avete avuto e come l’appuntamento!-
 
La piccola sedette a terra e circondò le ginocchia con le braccia, mentre lo sguardo era fisso in quello di Andra; disse poi a quest’ultima che non si sarebbe mossa di lì, fin quando non le avesse snocciolato qualche dettaglio.
 
- E va bene, ma promettimi che sarai tu questa volta, a non dire nulla a Malik. -
 
- Acqua in bocca!- urlò Zenia, prima di mettersi all’ascolto.
 
La Corte
 
Chiedere a Saskia di prendersi una giornata di libertà, voleva dire darle la possibilità di sfogare le proprie energie nelle maniere più variegate e fantasiose, quantomeno per persone non ipercinetiche come lei. Quel pomeriggio, ad esempio, Saskia aveva deciso che si sarebbe dedicata alla lotta corpo a corpo, una delle sue attività preferite; perché? Ovvio: Saskia detestava stare ferma, perdere tempo, oziare, di conseguenza come unire l’utile al dilettevole, se non con il duro allenamento?
Inoltre la sua discussione con Izzie l’aveva turbata – ragion per cui aveva bisogno di sfogarsi- e anche se continuava a raccontare a se stessa che il motivo altro non fosse che mal sopportava il fatto che la sua amica desse cenni di insofferenza nei confronti del sistema nella quale vivevano serenamente(sostanzialmente sputava nel piatto dove mangiava quotidianamente, Izzie!), quella era solo in parte la verità. Già, perché Saskia stessa si era ritrovata, sovente, a porsi delle domande da quando Auden aveva lasciato la corte, probabilmente per unirsi a qualche gruppo di ribelli tipo i famigerati Ladri di bacchette (quegli esaltati dissidenti). Lei stessa, per l’appunto, aveva cercato di comprendere per quale motivo la persona più cara che aveva al mondo avesse deciso di allontanarsi dalla Corte; per la fuga di Auden, Saskia aveva passando anche intere notti in bianco.
Forse Auden aveva visto nel regime di Nadia qualcosa che lei, povera cieca, non aveva colto? Forse non era propriamente vero che le parole della Governatrice del mondo intero, attingessero alla verità?
E se Nadia non fosse altro che una delinquente assetata di potere?
E magari lei e le altre Sentinelle, non erano che pedine di una maniaca dall’ego smisurato?
Saskia se le era poste queste domande, ma non si era mai voluta dare una vera risposta e notare che Izzie stava facendo lo stesso, probabilmente con maggiore accuratezza nel trovare responsi ai propri quesiti, le dava molto fastidio. Saskia non voleva mettere in dubbio il Regime di Nadia, i propri valori, i motivi per cui era diventata una Sentinella. Perché se avesse scoperto di avere torto, di trovarsi dalla parte sbagliata della barricata, non sapeva se avrebbe retto. L’orfanotrofio d’altro canto era stato un periodo orribile della sua vita; di fatto non fosse stato per Auden, difficilmente Saskia sarebbe arrivata alla Corte, punto in cui avevano deciso di riiniziare la loro vita. Quest’ultima rappresentava, per i due ragazzi cresciuti come fossero fratelli di sangue, una sorta di oasi salvifica: il mondo cadeva a pezzi, le guerre imperversavano, ma nella Corte ci si sentiva al sicuro, nella Corte si lottava per costruire un futuro migliore.
No, non poteva essere diversamente da così, non doveva essere diversamente da così.
Con la testa gonfia di quei pensieri, Saskia sferrava calci e pugni contro la povera Sentinella che si era ritrovata ad allenarsi con lei; con Elena, Saskia c’era anche finita a letto un paio di volte, ma l’interesse nei suoi confronti era volato via così come era arrivato e in quel momento l’unico scopo della donna davanti a lei, era quello di fungere da sacco da box.
Un fischiettio, fortunatamente per Elena, pose fine a quell’allenamento massacrante. Saskia si arrestò di botto, distratta dal suono delicato che quasi le costò un gancio in pieno volto e con un’espressione truce, volse lo sguardo scuro nella direzione del fischio; elegante, strafottente, dall’aria fortemente annoiata, Ryurik era poggiato con la spalla ad una delle colonne della palestra che stava ospitando le due Sentinelle a cui non dava, in realtà, la benché minima attenzione. Gli occhi verdi dal taglio sottile erano tutti per le unghie della mano sinistra, come se esse contenessero chissà quale segreto.
 
-Una di voi deve venire con me, dobbiamo fare delle cose che vuole Nadia. – disse infine; il tono della sua voce rispecchiava la noia delle sue movenze. Elena prese subito a lamentarsi, visto e considerato che quella tecnicamente doveva essere la sua mattina libera (che per altro stava passando tentando di non farsi uccidere dalla sua ex amante), ma non ebbe bisogno di sbattere i piedi più di tanto, perché sul viso di Saskia si dipinse un sorriso raggiante:
 
-Io! Vengo io a fare delle cose per Nadia! –
 
- Ma questa non è anche la tua, di mattina libera?- Elena la guardò con un sopracciglio inarcato, incapace di comprendere dove trovasse tutta quella energia. Mentre Saskia correva verso gli spogliatoi, gridò a Ryurik di aspettarla qualche istante, giusto il tempo di potersi cambiare, mentre ignorò quanto le aveva detto Elena, la quale piroettò lo sguardo su Ryurik. Il ragazzo alzò appena le spalle e con un lieve movimento si discostò dalla colonna. Se avesse potuto, avrebbe delegato quell’affare a qualcuno come Saskia, eppure in un certo senso aveva voglia di capire che fine avesse fatto Ajax, che conosceva da poco, ma abbastanza da capire che uno come lui, non sarebbe mai sparito nel nulla, contravvenendo in tal modo ad un ordine della governatrice suprema.
No, c’era sicuramente qualcosa sotto.
 
-Eccomi! Sono pronta! Ci sono!- Come un fulmine Saskia raggiunse Ryurik e dopo aver salutato Elena, ben felice di andarsi a disinfettare le ferite appena infertole, quasi prese a saltellare intorno all’alto giovane:
 
-Allora dove si va? Cosa si fa? Quanto durerà la missione?- Prese a chiedere lei con entusiasmo.
 
- Spero meno di tempo del mondo. – Rispose Ryurik, prima di recuperare il cavallo con cui era giunto fin lì.
 
*
 
Jude era stato un bellissimo regalo da parte di Nadia. Visto tutto ciò che aveva subìto e come suo fratello l’aveva trattata proprio il giorno in cui i genitori avevano deciso di venderla, trovare al proprio fianco una figura come quella dell’adolescente era stato come passare un unguento medicamentoso su una ferita ancora aperta.
Jude aveva quindici anni, era di poche parole, spocchioso, ma fondamentalmente gentile e andava da lei ogni volta che aveva un po’ di tempo a disposizione. Per Alida era rigenerante passare del tempo con lui, che tempestava di domande e con il quale prendeva sempre maggiore confidenza.
Le sarebbe piaciuto poter uscire da quella casa in cui era relegata, per andare a giocare fuori con Jude Millan; magari avrebbe potuto conoscere i suoi amici che, era certissima, non l’avrebbero trattata come un fenomeno da baraccone. A quanto aveva capito, infatti, la Corte era piena di persone che possedevano poteri speciali come lei; Jude le aveva spiegato che le persone che possedevano la magia nel loro sangue, potevano sviluppare poteri speciali. Anche lui aveva un potere e presto, a suo dire, glielo avrebbe mostrato.
La piccola Alida era al settimo cielo, nonostante una parte di lei era terrorizzata, perché sapeva che quel giorno sarebbe coinciso con un altro incontro con Etienne, era stata Nadia stessa a dirglielo.
Quando il fatidico giorno arrivò, fu Jude incaricato di andare a prendere Alida per portarla da suo nonno. Usciti dall’ingresso della residenza di Nadia, Alida afferrò la mano di Jude senza pensarci un solo istante: intorno a lei uno strato di neve ricopriva il cortile e i campi e uomini e donne vestiti da Sentinelle si spostavano sia a cavallo che a piedi. Nessuno si voltò a guardarli e la cosa rassicurò Alida, che finalmente trovò la forza di riprendere fiato.
 
“Non è lontano, il laboratorio di mio nonno è proprio qui dietro. Forza, non avere paura.”
 
Jude scosse la mani di Alida, entrambe tenacemente avvinghiate alla sua e infine le sorrise. Alida ricambiò, seppur con sforzo.
Il laboratorio di Etienne non era come lo aveva immaginato; era un’esplosione di colori, racchiusi in ampolle di diverse dimensioni e l’aria era permeata da un piacevolissimo profumo di fiori. Alida pensò fosse molto strano percepire quel profumo così intenso, quando fuori c’era ancora la neve. Era un marzo terribilmente freddo, quello lì.
 
“Accomodati pure bambina.”
 
Alida aveva avuto paura di Etienne fin dal primo istante in cui lo aveva conosciuto, ma avere Jude al suo fianco le infuse fiducia. Per questo non se lo fece ripetere e sedette dinanzi l’uomo, che prese a studiarla con attenzione.
Etienne le spiegò che durante quel periodo, aveva capito delle cose sul funzionamento del suo potere, ad esempio che si scatenava in maniera più o meno violenta a seconda delle emozioni provate.
 
“Purtroppo ho notato che la paura è una delle emozioni che attiva le visioni, così come la tristezza e la rabbia. Temo, mon petit oiseau, che dovremo lavorare su questi sentimenti in futuro.”
 
“Ma io non… io non voglio avere paura.”
 
Etienne spiegò con pazienza ad Alida che tutto quello che facevano, era in funzione della Corte, perché se la corte godeva di buona salute, allora tutto il mondo sarebbe stato bene di conseguenza.
Secondo Etienne bisognava fare dei sacrifici per il bene comune, persino Jude ne avrebbe fatti.
 
Quel giorno Alida entrò in contatto con il terribile e spaventoso potere di Jude, costretto da suo nonno a testarlo su Alida, che improvvisamente sentì che avrebbe fatto di tutto per Jude, come se quello fosse stato davvero suo fratello.
Il ragazzo le ordinò, seppur con reticenza, di provare ad avere una visione e quando Etienne si rese conto che il comando di Jude non avrebbe funzionato, ordinò al nipote di insultare Alida; quest’ultima sotto l’effetto dell’amortentia tattile, cominciò a piangere con disperazione, in quanto la persona a cui teneva di più al mondo stava dichiarando di non sopportare la sua presenza. Così, più Alida soffriva e piangeva, più piccole visioni cominciavano a prodursi, fin quando Jude urlo a suo nonno che non sarebbe più andato avanti, perché non voleva farle male.
 
“Come puoi fare questo? È solo una bambina, è più piccola di Micah!”
 
Fra i singhiozzi e il dolore, Alida non registrò subito quel nome, che sentiva pronunciare per la prima volta da quando era stata portata alla Corte.
Davanti alle rimostranze del nipote, Etienne decise che per quel giorno sarebbe bastato così; avrebbero ripreso gli esperimenti più avanti.
Alida fu riportata nella sua stanza, diventata a tutti gli effetti la sua nuova prigione. Era vero, non aveva catene attaccate alle caviglie e veniva ben nutrita; poteva lavarsi e indossare abiti che non fossero stracci e nessuno le diceva di essere un mostro.
Ma cosa importava, se ancora una volta lei veniva percepita solo e soltanto in base a quel suo maledetto potere?
 
Gli esperimenti con Etienne proseguirono, sebbene Jude non ne prese più parte. Alida sospetto che il ragazzo si fosse rifiutato di imporsi ancora una volta, perché tutte le volte che veniva portata da Etienne, Jude non si faceva vedere.
Neanche troppo lentamente, Alida capì ben presto che Nadia l’aveva resa prigioniera negandole la libertà di scegliere di essere solo una bambina come le altre. Ogni volta che usciva dalla villa veniva guardata a vista e mai veniva lasciata sola.
Alida era solo una bambolina nelle mani della Governatrice del Mondo e se possibile era ancora peggio di vivere in un villaggio fra persone che provavano solo sentimenti di odio nei suoi confronti.
 
Una sera, sdraiata nel suo letto, Alida non riusciva a prendere sonno. Si girava e rigirava, con addosso quell’irrequietezza che solitamente precedeva qualche visione.
Ma non fu una visione a farla scattare a sedere, bensì un rumore sordo alla finestra, come se qualcuno stesse bussando. Con il cuore in gola, Alida rimase immobile ad osservare il vetro scorrere e una figura farsi spazio nel buio. Ben prima che la bambina cominciasse ad urlare, la persona che era saltata dentro alla sua stanza buia le fece verso di stare zitta, poi le bisbigliò di accendere una luce.
Alida allungò una mano per agganciare l’interruttore della lampada che teneva al fianco del letto, così la fioca luce dette consistenza alla figura di un ragazzino: una zazzera di capelli scuri circondava un viso magro, il sorriso malandrino mostrava un notevole spazio fra gli incisivi superiori e due grandi occhi chiari la fissarono curiosi.
 
“E quindi tu devi essere Alida, finalmente sono riuscito a venire qui senza essere scoperto!”
 
Nel rendersi conto che quello che aveva davanti non poteva avere che qualche anno in più di lei, Alida si rilasso, così chiese con sospetto.
 
“E tu chi saresti? Come sai il mio nome?”
 
“Oh io so molte cose su di te. “ Il ragazzino allungò una mano, pretendendo una stretta da parte sua.
 
“Piacere, io sono Micah e sono il nipote di Nadia.”
 
 

(1) Scena che strizza l'occhio a "Il castello errante di Howl". Chi non lo conosce dovrebbe davvero, davvero rimediare al più presto. Lo dico per voi, fa bene al cuore. 
(2) Nevezeniye, ovvero "sfortuna" in russo.
(3) Alida, ovvero "eroina", "guerriera".

 
Buon pomeriggio a tutti! No, non sono un miraggio, sono tornata davvero dopo moltissimo tempo. Prima di tutto devo scusarmi con tutti voi per la mia lunga assenza, ma ho avuto una lunga serie di motivi per assentarmi per così tanto tempo, in primis tutta una serie di cose molto importanti (e belle) che mi hanno però sottratto tempo libero.
Ma potevo mai abbandonare Bastardi senza gloria? No, non lo avrei mai fatto, tengo troppo a questa storia e nonostante lo sterminio che ho dovuto compiere, sono intenzionata a portarla avanti fino alla fine.
Ora un paio di cosine (vi erano mancate le mie note chilometriche, ditemi la verità!):
 
Questa appena pubblicata è solo la prima parte del lungo capitolo che vede protagonista Alida; visto che sono arrivata a sfiorare le quaranta pagine, ho chiesto su instagram se avrei dovuto dividere il capitolo in due e la maggior parte di voi ha votato si. Quindi eccovi qui la prima metà, ma voglio rassicurarvi dicendovi che la seconda parte del capitolo arriverà fra una settimana, giusto il tempo di darvi modo di metabolizzare questa lettura.
 
E sempre per quanto riguarda questa prima parte, avrete notato che Izzie e Auden non sono presenti. Ci tengo a specificare che la loro assenza non è assolutamente legata ad una presunta eliminazione dei personaggi, semplicemente dividendo il capitolo in due, i paragrafi con Izzie e Auden sono finiti entrambi nella seconda metà. Non vogliatemene, presto tornerete a leggere anche di loro!
 
Detto questo passiamo alla “selezione”. Alla fine delle varie schede che ho ricevuto, ho ritenuto opportuno selezionare la già presente Saskia (grazie infinite Em per aver revisionato la scheda), che diventa a tutti gli effetti un personaggio primario.
Per quanto riguarda i ladri, ho selezionato un signorino che non apparirà subito, bensì nel primo capitolo della festa del raccolto (non manca molto, abbiate pazienza). Vi lascio quindi con foto e informazioni sui due personaggi selezionati: benvenuti a bordo!
 
Che altro dire, è passato così tanto tempo che non so più se aggiungere altro o meno. Facciamo che va bene così: ci vediamo fra una settimana!
 
Ah, volevo dire a chi non mi segue su instagram che oggi è il compleanno di Micah, buon compleanno sole mio <3
 
Bri

 
Saskia Welt

Babbana
28 anni
Armi: pistola semiautomatica Desert Eagle Mark XIX.
Bisessuale
 
 
 Saveliy Volkov

Pseudonimo “Vind” (vento in svedese)
Mago
26 anni
Armi: falce dacica
Bisessuale
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 13
*** Capitolo XI ***


CAPITOLO XI
“La bambolina”
Parte 2

 
Da quando Nadia aveva fatto iniziare gli esperimenti su di lei, Alida aveva cominciato a tentare di scappare. Se c’era una cosa, infatti, che non mancava alla bambina, erano grinta e spirito battagliero, in questo la Governatrice aveva perfettamente ragione.
Purtroppo Alida scoprì in fretta che fuggire dalla Corte, per lei, era assolutamente impossibile, perché ogni qual volta ci provava, qualche Sentinella riusciva ad acciuffarla e riportarla nella sua stanza.
La cosa peggiore era che ogni volta che falliva nel suo intento, riceveva in cambio una punizione; non una punizione fisica, Nadia non aveva mai permesso che le venisse torto anche solo un capello. La donna puntava a scalfire la sua mente, inciderla e farla sanguinare, per avere poi la possibilità di poterla curare; in poche parole la violenza psicologica e la manipolazione, erano due fra le armi preferite da Nadia Millan.
Così Alida veniva rinchiusa in stanze senza finestre, in cui il confine fra il giorno e la notte si assottigliava, o meglio perdeva totalmente la sua consistenza; Alida era costretta ad implorare per avere cibo e per poter avere un luogo dove poter espletare i propri bisogni, senza essere costretta a farlo negli angoli della stanza.
In quei momenti, l’odio cresceva nel suo petto e questo cedeva poi il posto alla desolazione, al senso di sconfitta, alla pena. Al dolore.
Nadia faceva poi in modo di portarle conforto e ristoro. Manipolava la ragazzina, dicendole che lei era troppo preziosa per poter lasciarla andare, considerandola come la freccia più letale del suo arco.
 
“Le tue visioni potrebbero essere in grado di tutelare la mia vita e con essa, salvaguarderesti l’intero mondo. Capisci perché non posso lasciarti andare, non è vero? Tu sei troppo importante, Alida.”
 
Le parole lusinghiere di Nadia erano in grado di far passare la rabbia in Alida, anche se, durante i primi anni alla Corte, aveva continuato a tentare di scappare, seppur invano. Il desiderio di ottenere la libertà continuava a scalpitare con irruenza nel suo petto.
Di suo, Nadia faceva il possibile per far dimenticare alla ragazzina di essere una persona: l’isolamento forzato, gli esperimenti con Etienne, l’impedirle di avere a che fare con ragazzini della sua stessa età. L’unica persona con cui le permetteva di avere un contatto era Jude, perché suo nipote era grande, maturo ed era già plasmato per servire la Corte; Alida, come da previsione, lo aveva preso come punto di riferimento e Nadia sapeva di poter contare su di lui.
Di contro però non le era possibile passare il proprio tempo con nessun altro.
 
Nadia, però, non aveva considerato Micah in quell’equazione.
 
Micah era stimolato da una vivida curiosità, era testardo, ma specialmente era annoiato. Per questo si era incaponito, quando aveva sentito parlare di Alida, mentre origliava una conversazione privata fra i suoi nonni. Nel momento esatto in cui il ragazzino era venuto a sapere dell’esistenza di una bambina, segregata in una stanza della residenza di sua nonna e con un potere molto speciale, aveva fatto della sua conoscenza una missione personale.
Inizialmente Alida reagì con estrema diffidenza nei suoi confronti – tentò persino di morderlo, durante il loro primo incontro-, eppure Micah non si era lasciato abbattere e aveva continuato ad intrufolarsi nella stanza di Alida.
Alida lo detestava. Non capiva perché il nipotino della Governatrice doveva provare interesse proprio per lei, riempendola ogni volta di sfilze di insopportabili domande!
 
“Quando sei nata?”
“Da quale Comune vieni?”
“Perché i tuoi genitori ti hanno mandata qui?”
“Sei mai stata nelle Colonie? Ne parlano tutti come luoghi terribili!”
“Hai mai mangiato il gelato? Vieni con me a prendere un gelato? Non se ne accorgerà nessuno!”
“Jude ti sta simpatico?  Lui è il migliore che ci sia in tutta la Corte! È troppo forte, voglio essere come lui!”
 
“Ed io? Io ti sono simpatico?”
 
 
Alida aveva tentato ogni tecnica per tenere distante Micah, dal gioco del silenzio –ovvero chiudersi in un assoluto mutismo ogni volta che lui si intrufolava nella sua stanza- alle minacce, ma a nulla le sue rimostranze erano servite. Sembrava proprio che Micah non avesse nessun interesse nel lasciarla stare e col passare dei mesi, Alida cominciava a trovare sempre più sopportabile la sua presenza, fino ad arrivare a sperare di vederlo sbucare con qualche nuovo gioco fra le mani.
Così i mesi diventarono anni, durante i quali le volte in cui Alida tentava di scappare diminuivano proporzionalmente alle piccole libertà che le venivano concesse. Aveva cominciato a poter girare per la Corte, inizialmente strettamente sorvegliata, e pian piano lasciata libera di girare da sola, ma con la promessa di dichiarare dove era intenzionata ad andare e a che ora precisamente avrebbe fatto ritorno, benché non le fosse comunque concesso di passare liberamente del tempo con i suoi coetanei.
Per un po’, Alida si sentì di nuovo la bambina grintosa di un tempo, quella che amava esplorare e che sognava ad occhi aperti, ma ogni volta che si ritrovava a spiare da lontano i gruppi di bambini che si divertivano, un’ondata di dolore la invadeva, ricordandole che non sarebbe mai più stata quella di un tempo; non era più Lyuba Kozlov, bensì l’arma di Nadia Millan.
 
Micah, però, rimase una costante nella sua vita; il ragazzo rappresentava, da quasi quattro anni, l’unico raggio di sole in grado di illuminare il suo tetro cammino. Non faceva che ricordarle che lei fosse speciale non per il suo potere, ma perché nonostante tutto quello che aveva passato, era ancora forte e resistente come un’antica quercia.
 
Alida ormai aveva quattordici anni, quando realizzò che forse provava per Micah quello che ogni ragazza della sua età avrebbe provato al posto suo. Micah, l’allampanato sedicenne con quel brutto diastema, imperfetto, debole e senza poteri speciali, chiacchierone e intransigente, furbo e diretto da far male; l’opposto del suo amato cugino Jude, per Alida ormai diventato una vera e propria figura familiare.
Quando quel giorno di piena estate riuscì a portarla in un angolo nascosto del lago senza che nessuno li vedesse, segnò indelebilmente ciò che Alida provava per Micah Millan.
 
“Andiamo, non puoi avere paura, è solo acqua!”
 
“Io non ho paura dell’acqua, ho paura che ci vedano!” Con una canottiera scura a coprire il torso magro, Alida teneva le braccia strette sotto al seno e osservava con cipiglio il ragazzo, che dalla sponda del lago le faceva segno di raggiungerlo.
 
“Guarda che non ci viene mai nessuno qui. Questo posto lo conosciamo solo io e Jude, ti puoi fidare!”
 
Il pensiero che qualcuno potesse scoprirli e la punizione che ne avrebbe fatto seguito la fece rabbrividire, ma Micah era stato convincente.
 
“Vedrai che nessuno ci scoprirà e se pure dovesse essere, ricordati che sono il nipote di Nadia, io.”
 
Alida era arrivata a riporre piena fiducia in Micah, che durante tutti quegli anni non le aveva mai detto una sola bugia e che le aveva sempre dato prova di potersi affidare a lui. Così, sebbene con passo incerto, s’avvicinò alla mano tesa di Micah e la afferrò, per poi scoppiare a ridere di cuore con lui.
 
“Un passo avanti l’altro. Brava bimba!” (1)
 
Le risate argentine saltarono sulle sponde del lago, mentre i due giovani correvano nell’acqua, fino ad arrivare a tuffarsi in quello specchio di verde cristallo. Alida sentiva il cuore rimbombare nella testa ed era spaventata, eccome se lo era; Ma Micah continuava a tenerla per mano anche sott’acqua, permettendole di lasciare andare le preoccupazioni lontano da sé, con la certezza che sarebbe stato lui ad occuparsi di tutto.
Aprì con coraggio gli occhi e vide i raggi del sole tagliare l’acqua e illuminare la chioma fluttuante di Micah, davanti a lei, con il respiro trattenuto in un sorriso.
Era bello. Era tutto incredibilmente magnifico.
 
Quando riemersero, s’affrettarono ad uscire dall’acqua e si gettarono su un telo portato fin lì dal ragazzo. I respiri riempivano lo sterno e le risate tiravano i volti dei due giovani, con le mani ancora strette, come se lasciarsi fosse impossibile.
Alida nemmeno si accorse subito che Micah aveva smesso di ridere e si era girato su un fianco, fin quasi a sovrastarla; se ne accorse perché la sua nuca coprì il sole che la costringeva a tenere chiusi gli occhi e dai suoi capelli mossi, gocce d’acqua le bagnavano il viso.
Si guardarono per un po’, Micah con l’espressione dubbia e al contempo curiosa, Alida con l’aria di chi non è in grado di capire l’intento altrui. Di certo non si aspettava di vederlo avvicinarsi così tanto al suo viso, per poi tentennare, e ancora cambiare idea e spingersi fino alla sua bocca.
Quel tocco accennato di labbra le infuocò il volto, mentre nel petto maremoti scrollavano i sensi di ragazza e vulcani risalivano la gola e schizzavano alla testa.
Quando Micah si ritrasse per osservarla, Alida sentì di pietrificarsi, ma lui non dovette intenderlo perché tornò a farsi vicino e approfittò di nuovo delle sue labbra, palesando la volontà di farle schiudere a dovere.
Quel bacio era umido e caldo, o ad essere umida e calda era la pelle di Alida, forse; era così confusa, perplessa e destabilizzata che non fu in grado di capirlo. Una cosa però era certa: le piaceva da impazzire, essere baciata da Micah Millan.
 
“Cosa... Micah. “
 
“Mh?”
 
Si era scostato ed era tornato ad osservarla con meno curiosità e più decisione, così Alida trovò la forza di assemblare qualche parola e dare vita a una domanda di, più o meno, senso compiuto.
 
“Perché lo hai fatto?”
 
Ma la risposta che Micah le dette, fu come una doccia fredda, che la riportò alla realtà con irruenza.
 
“Io… non lo so. Volevo provare; vorrei riprovare, in realtà… “
 
Il secondo tentativo di Micah non solo andò a vuoto, ma gli fece anche guadagnare una spinta così violenta da farlo ribaltare al suolo.
Alida si sentiva ferita. Chiusa nei suoi difficili quattordici anni, incapace di far fronte con l’adulta razionalità a ciò che sentiva di provare, non fu in grado di spiegare a Micah che quella non sarebbe dovuta essere la risposta da darle; avrebbe, invece, dovuto dirle che le piaceva, per questo le aveva dato il bacio più bello che, ne era sicura sebbene non fosse che il primo, avrebbe mai ricevuto in tutta la sua vita!
Invece tutto ciò si tradusse con una spinta e una lunga sequenza di offese.
 
Micah e Alida non parlarono mai più di quel bacio, che trovò la sua culla nei loro non detti.
Troppo giovani, difficili e disperati, per fare altrimenti.
 
 
Quartier Generale
Dojo piccolo
 
Herb aveva sempre la capacità di strappare a Malik un sacco di tempo. Per altro le loro non erano quasi mai conversazioni particolarmente piacevoli, al contrario Herb non faceva altro che minacciare Malik di tirargli addosso il suo corno (quando questo non accadeva davvero), e di rimproverarlo, perché doveva passare più tempo ad occuparsi dei lavori per il Quartier generale, invece di andarsene in giro a bighellonare rischiando la pelle. Certo, come se le missioni come quella che avevano appena affrontato, fossero un modo pratico per sottrarsi ai propri doveri.
Magari, ad avere a disposizione schiere di assistenti, invece purtroppo Malik doveva occuparsi quasi di tutto da solo. C’era Mångata ad apprendere il mestiere e dargli una mano, ma la giovane era corsa dietro a Stafford e i suoi colpi di testa così che, alla fine, Malik era di nuovo rimasto sguarnito di assistenti.
Ancora una volta, l’ennesima per la precisione, Malik aveva tentato di spiegare ad Herb che erano davvero in pochi al Quartier generale in quel momento e che se persino Micah usciva per affrontare le missioni, chi era lui per tirarsi indietro?
Herb a quel punto aveva inveito contro Micah –questa volta sembrò ricordarsi del ragazzo- dicendo che il mago dal sangue blu se la tirava un bel po’ e che non era di certo più importante di Malik stesso per i Ladri di Bacchette, tutt’altro.
Ancora una volta Malik si era limitato ad annuire e ad evitare lanci di oggetti contundenti; l’uomo, per altro, non vedeva l’ora di potersela svignare, perché solo un pazzo avrebbe preferito la compagnia di Herb a quella di Andra.
Già, Andra… chissà se lo stava ancora aspettando o se si era stufata; conoscendola, Malik pensò che la donna non sarebbe rimasta con le mani in mano a lungo.
Un po’ sconsolato e rassegnato all’idea di aver perso la sua migliore occasione, Malik tornò nel dojo per raccogliere le proprie cose. Come volevasi dimostrare, Andra non era lì, così Malik si avvicinò alla parete attrezzata su cui aveva appeso la propria felpa, quando alle sue spalle sentì la voce di lei.
 
- Alla buon’ora, straniero. -
 
Girandosi, Malik si scontrò con Andra, la quale era appena entrata dalla porta, trascinandosi dietro un delizioso odore di pulito; con i capelli ancora umidi e dei diversi vestiti addosso, Andra allungò il passo nella direzione di Malik, di nuovo preda di un persistente sorriso deliziato.
 
- Purtroppo è sempre così quando vengo richiamato da Herb; credimi… avrei preferito rimanere qui con te. -
 
- Dai, è una persona piacevole Herb… - Andra congiunse le mani dietro la schiena, avvicinandosi ancor più a Malik: - Quando non urla, quando non dimentica chi sei, ma specialmente quando non ti scambia per una Sentinella da combattere. -
 
Malik accennò una risata, poi le disse: - Sono contento tu sia tornata, ero già pronto a chiudermi nelle cucine e ripulire gli avanzi della giornata, mentre mi piangevo addosso. –
 
- Che immagine terribilmente triste. – Andra scosse il capo, infine allungò una mano per afferrare quella di lui, per poi attirarlo a sé: - Non avrei mai potuto permettere che accadesse. E poi abbiamo una cosa in sospeso, noi due. -
 
Era assurdo come la presenza di Andra lo facesse sentire di nuovo un ragazzino inesperto; non che Malik avesse avuto un’adolescenza normale, sia chiaro, ma quella non era di sicuro la prima volta che si approcciava –o si lasciava approcciare, come in questo caso- da qualcuno che gli piacesse davvero. Eppure nel sentirla così vicina, percepire il tocco gentile, benché risoluto della sua mano, perdersi in quegli occhi di quel tono di verde così unico, tutto ciò aveva fatto sì di accelerare il battito del suo cuore.
Rimase paralizzato per un po’, Malik, fino a quando non gridò a se stesso di aver superato ostacoli ben più grossi nella vita: con un colpo secco attirò Andra a sé e in un attimo si ritrovò ad assaggiare la sua bocca con un lungo, quanto mai perfetto bacio.
Anche ad Andra parve che il cuore volesse schizzare fuori dal petto, quando le labbra di Malik arrivarono ad abbracciare le sue; ancor più quando il bacio si aprì, facendosi più intenso e al contempo più adulto. Andra avvolse il collo di Malik con le braccia, fermamente convinta a voler rimanere quanto più tempo possibile in quello stato di grazia, che la sola presenza di lui le stava concedendo.
Andra Strong poteva dichiarare di non essere stata mai e poi mai così tanto felice in tutta la sua vita. Che fosse per merito di un uomo, però, non l’avrebbe detto mai.
 
La Corte
 
Quel Ryurik era davvero un soggetto strano.
E poi tutti mi dicono che quella strana sono io! Pensò Izzie, mentre rigirava fra le dita l’assurdo biglietto che la sentinella le aveva fatto recapitare; tornata a casa per consumare il pranzo, sua madre le aveva detto che un tipo dallo strano accento si era presentato poco prima e che doveva parlare con Izzie, per svolgere con lei una molto segreta missione, o almeno così aveva capito la donna. Chissà come mai, Izzie non ebbe alcun dubbio sull’identità del misterioso figuro che si era presentato alla porta di casa sua, individuando subito in Ryurik il mandante del messaggio; in quel biglietto, il mago le chiedeva di farsi trovare in un punto non troppo lontano dalla piazza centrale della Corte al crepuscolo e Izzie, non affatto abituata a non rispettare un ordine, così aveva fatto.
Non si spiegava cosa volesse proprio da lei, Ryurik Volkov, ma presto lo avrebbe scoperto, perciò smise di porsi domande a riguardo e attese, seduta sulla staccionata che si trovava sulla via che, almeno credeva di aver capito, il mittente aveva disegnato sul biglietto.
Se lo chiese, Izzie, come mai non le avesse dato appuntamento in un punto un po’ più specifico, senza bisogno di disegnare strane e fraintendibili mappe, eccome se se lo chiese, ma tant’era…
Un bambino alto un metro e una manciata di dita le passò davanti, mentre teneva stretta fra le mani una fetta di torta, che sbocconcellava con estrema lentezza. I due si scambiarono un lungo sguardo, fin quando non fu il bambino a rompere il silenzio, sputacchiando pezzi di pasta frolla di qua e di là:
 
- Che stai facendo?-
 
- Sto aspettando una persona.-
 
-Beh, questo non è mica un posto dove aspettare le persone.- Replicò il bambino, prima di dare una sorsata alla spremuta d’arancia che teneva nell’altra mano.
 
- Se è per questo, non mi sembra nemmeno l’ora di fare merenda, eppure è quello che stai facendo tu. – Rispose Izzie, sorridendo con soddisfazione. Fu a quel punto che il bambino, nel pieno della masticazione, le disse che non erano affari suoi e che sua nonna lo faceva mangiare quando voleva, così Izzie rispose, stizzita, che allora non erano affari suoi di cosa facesse lei in quel punto della Corte. Il bisticcio andò avanti fin quando, esasperata, Izzie non finì col far scoppiare la torta in faccia a quel bambino, il quale inizialmente non capì cosa fosse successo, poi si toccò la faccia e cominciò a piangere con disperazione.  Corse via senza dare la possibilità ad Izzie, mortalmente mortificata, di scusarsi e spiegarsi.
 
- Quindi il tuo di fare scoppiare delle cose è vizio. -
 
Scesa dalla staccionata, Izzie era intenzionata a rincorrere il povero, sventurato (e impiccione) bambino, ma la voce di Ryurik la fece voltare. Il ragazzo era affiancato dalla sua amica Saskia, che stava tentando di trattenere una risata, così la salutò a mezza bocca e Izzie fece lo stesso, ancora dispiaciuta e indisposta dalla discussione che si erano ritrovate ad avere. Si rivolse poi a Ryurik nel tentativo di dissipare il lieve strato di tensione che si era venuto a creare.
 
- Allora cosa serve che faccia? -
 
- Ho pensato che tu volevi venire con me a fare questa cosa. Tu sai che Ajax è sparito?-
 
Dall’espressione del suo viso, Ryurik capì che non ci sarebbe nemmeno stato bisogno di una risposta da parte di Izzie, così riprese a parlare: - Dobbiamo andare a casa sua, capiamo dove è andato a finire. Però prima facciamo altri giri.– Concluse, prima di incamminarsi. Saskia fece per seguirlo, ma si bloccò e si decise a guardarsi indietro; conosceva ciò che Izzie nutriva per quella sentinella e immaginava quanto la notizia potesse averla scioccata.
 
- Andiamo, sono sicura che sta bene. – Le disse regalandole poi un rassicurante sorriso; a quel punto Izzie annuì e in un batter di ciglia, la tensione che si era creata fra le due amiche, fu spazzata via. D’altronde quelle erano sciocchezze, in confronto alla scomparsa di un loro collega, verso il quale Izzie sembrava riporre un occhio di riguardo.
 
 
Quartier Generale
Armeria
 
- Secondo te c’è modo di modificarlo? Quando arriveremo alle porte della Corte ci perquisiranno e ci requisiranno tutte le nostre armi; dobbiamo riuscire a portare dentro qualcosa. -
 
Nel sentire ciò che aveva da dire Sonne, Chion annuì. Il primo gli passò l’oggetto in questione, un fumogeno che faceva parte di una serie di armi che era stato lui stesso a costruire insieme a Leaf. Lo osservò con attenzione, poi lo passò di nuovo a Sonne: - Possiamo fare in modo di farlo passare per un giocattolo, mentre questo e un altro paio così,- aggiunse mostrandogli una bomba carta, - possiamo trovare il modo di mimetizzarli nelle riserve per i cavalli. –
 
Sonne annuì, poi aggiunse: - E che mi dici di fucili e pistole? Per non parlare di lei.- Sconsolato, il ragazzo indicò la propria Kusarigama: - Non vorrei davvero lasciarla qui, o peggio ancora nelle mani delle Sentinelle. –
 
Chion si fece meditabondo, poi sistemò con timidezza le cuffie anti rumore sulla testa prima di rispondere: - Non credo sia possibile confondere una cosa del genere. Comunque… hai pensato alla trasfigurazione? –
 
L’espressione rassegnata di Sonne, nell’ascoltare le parole di Chion si tinse di speranza: - Hai ragione! Potrei vedere se Claudia in quel suo  taccuino ha per caso qualche incantesimo che fa al caso mio! Grazie mille amico, mi sentirò sicuramente più sicuro con la mia kusarigama con me! –
 
-Beh, fossi in te io penserei più a quelli- Con un gesto quanto più eloquente, Chion si indicò gli incisivi, sottolineando un’invisibile spazio fra essi: - Potrai anche essere cambiato, ma il tuo diastema è abbastanza… inconfondibile, ecco. –
 
- Mpf, hai ragione.- Sovrappensiero Sonne passò la lingua sopra i propri incisivi, chissà se sarebbe stato in grado di aggiustare quel problemino giusto il tempo di superare i controlli d’ingresso alla Corte, o se avrebbe finito per combinare un disastro irreversibile. Sempre alquanto pensieroso, il ragazzo incrociò le braccia e tornò ad osservare Chion :-Beh, anche tu dovresti fare in modo di camuffarti, sicuro qualcuno potrebbe riconoscerti, come la tua amica… -
 
-Saskia. Si. – Chion concluse la frase al posto dell’altro e tutto d’un tratto si rabbuiò; lo sguardo puntò alle mani, che aveva cominciato ad attorcigliare con nervosismo: - Io non so cosa… cosa potrebbe accadere se dovessimo incontrarci di nuovo. Credo che mi odi, come darle torto, del resto. –
 
- Buona parte di noi ha dei sospesi alla Corte, Chion. – Sonne si alzò e camminò nella sua direzione, finendo per stringergli la spalla: - Per quel che può valere il mio pensiero, non dovresti fartene un cruccio; hai solo fatto ciò che hai ritenuto più giusto. Tu lo sai, di essere dalla parte giusta; se lei ti vuole davvero bene e se mai dovreste avere un confronto in futuro, sono sicuro che quantomeno ti ascolterà. Diversamente, beh… si fottesse con tutta la Corte e i suoi zimbelli. Ora andiamo dalle ragazze, devo capire da Ollie se riusciamo a tirare fuori qualche incantesimo valido. -
 
Sonne uscì per primo dall’armeria e Chion poco dopo lo seguì, mentre la sua testa rimbombava di pensieri. Magari era come diceva Micah, magari Saskia non lo odiava. Ma se fosse stato così? Lui cosa avrebbe fatto, come avrebbe reagito? Era stato vigliacco, era scappato via come un topo senza dire nulla all’unica persona che poteva definire famiglia e sicuramente l’aveva fatta soffrire molto più di quanto aveva sofferto lui. Probabilmente trovandosi al posto di Saskia, Auden non si sarebbe ripreso. L’unica sua consolazione era la certezza che Saskia fosse davvero molto diversa da lui: Saskia era più forte e meno codarda, probabilmente non aveva passato molto tempo a piangersi addosso.
Proprio mentre stava per mettere piede nella stanza in cui tecnicamente stavano lavorando Yuki e Oleander, Sonne uscì con passo felpato, facendo segno al ragazzo di fare piano.
 
-Non mi ero reso conto fosse già così tardi, dovremmo portarle nel dormitorio. –
 
Chion entrò con discrezione e notò sia Oleander che Yuki, la prima con la guancia spiaccicata sul tavolo da lavoro, la seconda con il viso abbandonato su un braccio piegato, mentre la mano del braccio disteso tratteneva ancora un ago da cucito.
Il mago rimase ad osservarla a lungo; ne studiò il profilo accennando un sorriso con spontaneità, per poi ritrovarsi a chiedersi, senza volerlo, se a Saskia sarebbe piaciuta Yuki. Non ricordava se le due si fossero mai incontrate alla Corte, anche se, tutto sommato, la cosa era più che probabile.
Auden mosse così qualche passo e si fermò accanto ad Eleanor, deciso a prenderla in braccio per portarla al suo dormitorio. La afferrò quindi con tutta la delicatezza di cui era capace e se la strinse a sé, evitando alcun tipo di movimenti bruschi.
Eleanor strinse in automatico le braccia intorno al collo di Auden e quello che disse, non risultò che un delicato sussurro.
 
- Grazie… -
 
- E di cosa? – Chiese retorico Auden, sussurrando a sua volta mentre trasportava la ragazza.
 
- Lo hai pensato… - mugugnò lei, fra il sonno e la veglia -… che sono bella. Grazie, Auden… -
 
Non rispose nulla, Auden. Deglutì, avvampò e pensò che fosse vero, che lo aveva pensato sul serio che Eleanor fosse forse la cosa più bella ospitata dal Quartier Generale. Chissà come mai, alla fine concluse che Saskia non avrebbe potuto detestare qualcuno che lo faceva stare così bene, che lo aiutava giornalmente ad uscire dal suo granitico guscio. Qualcuno che gli faceva riporre un minimo di fiducia in quel mondo devastato, desolato, inospitale, apparentemente senza futuro.
No, non l’avrebbe mai odiata; al contrario l’avrebbe ringraziata per essersi presa cura di quel suo fratello non di sangue, che aveva così tanto bisogno di non navigare nella sua solitudine.
Il pensiero, lo fece sorridere ancor più.
 
*
 
Se da un lato, dunque, la vita di Alida procedeva sul binario costruito appositamente per lei, dall’altro la giovane ragazza trovava il suo sfogo nella compagnia di Jude, anche se era la presenza di Micah, ad essere fondamentale per lei.
Micah le dava la possibilità di sentirsi viva, la stimolava a fare sempre meglio e, sebbene non approvasse il metodo di sua nonna, era felice che lei fosse lì, nella Corte. Sia chiaro, Alida non era mai scesa nei dettagli di quello che Nadia e Etienne, i suoi nonni, le avevano fatto, per ben due motivi: il primo e quello più importante, ovvero oramai Nadia era riuscita a plasmarla così bene, da farle credere che quella fosse la cosa migliore da fare, arrivando a normalizzare una violenza ingiustificabile. In secondo luogo, non voleva che Micah stesse male per lei. Micah non aveva i genitori, che proprio lui a soli sette anni aveva ritrovato morti, assieme ai suoi zii; aveva Jude, ma più passava il tempo più il cugino dimostrava di avere meno tempo a disposizione per lui, impegnato a diventare il numero uno fra le sentinelle e Micah per primo era sempre molto solo. Tutti dimostravano una preferenza per Jude e il più piccolo non eccelleva nel fisico e questo invalidava un suo possibile percorso per diventare a sua volta una Sentinella.
 
Comunque il fatto era che la codardia, in Alida, aveva ormai preso il posto del coraggio e della grinta; aveva tentato la fuga un’infinita serie di volte, finendo però per desistere, grazie alla manipolazione di Nadia che continuava a ripeterle che lei era importantissima, fondamentale per la giusta causa e che solo rimanendo al suo fianco avrebbe reso giustizia al suo ruolo.
 
Cosa voleva di più? Viveva nel lusso, aveva Jude, un fratello maggiore che dimostrava di volerle davvero bene e poi… beh, poi c’era Micah, l’unica persona al mondo che la capiva davvero, che dimostrava di credere in lei e che le instillava fiducia. Probabilmente sarebbe andato bene così, tutto quello le sarebbe dovuto bastare.
Quindi Alida decise di abbandonare definitivamente l’idea di scappare.
Finalmente, dopo quasi otto anni passati alla Corte, era riuscita a trovare un vero e proprio passaggio che l’avrebbe condotta fuori di lì, costituito da una botola sita nelle cucine del grande refettorio che ospitava le feste della comune, in cui i cuochi usavano tenere cibo e vino in fresco; l’aveva esplorata più volte, fino a scoprire che quella era collegata a un vecchio passaggio metropolitano e che, sufficientemente liberata, conduceva in una zona paludosa. Era stata più volte tentata di spingersi fino in fondo e trovare la libertà nelle acque di sabbia mobile di quella palude maleodorante, ma per vigliaccheria e timore, non l’aveva mai fatto.
Giunta ai suoi diciotto anni, Alida realizzò che fosse stato meglio così.
 
Ma presto, più presto di quanto avrebbe mai voluto, una turbolenza violenta avrebbe offuscato i suoi cieli e si sarebbe scatenata una calamità tale che non sarebbe stata in grado di contrastare. Non credeva di vivere un sogno, Alida, ma non si aspettava che si sarebbe catapultata nel peggiore dei suoi incubi. Quello, purtroppo, si manifestò attraverso la figura di Micah, ormai ventenne.
Da qualche giorno Alida credeva di vederlo molto strano e la stessa cosa valeva per Jude. Aveva ovviamente incontrato i due separatamente e ugualmente aveva notato ci fosse qualcosa di insolito nei loro comportamenti. Jude, ad esempio, le era sembrato particolarmente nervoso e dopo un paio di giorni quel nervosismo si era trasformato in quella collera che faceva così tanta paura a tutti.
Micah invece era agitato e i suoi occhi chiari e bellissimi, si erano velati di cupa preoccupazione. Alida lo aveva convinto ad assecondarla in una delle loro uscite, lontani da occhi e orecchie indiscrete, ma per quanto si fosse impegnata e avesse tentato di essere convincente, Micah non aveva voluto rivelarle assolutamente che cosa lo preoccupasse tanto. Alida pensò solo che, di qualsiasi cosa si dovesse trattare, erano coinvolti ambedue i cugini Millan.
Cercò quindi di captare qualcosa dalla stessa Nadia, senza ovviamente azzardare una sola domanda, ma la donna sembrava spensierata come sempre, forse giusto un tantino più guardinga del solito.
‘Devo essermi suggestionata, sicuramente non è niente di importante.’ Questo andava ripetendosi Alida cercando di tranquillizzare la sua mente spaventata.
Purtroppo grazie al suo sesto senso, o più semplicemente alla sensibilità che aveva sviluppato nei confronti dei cugini Millan, Alida non si era affatto sbagliata.
Dopo tre giorni dal loro ultimo incontro, Micah era di nuovo andato a trovare Alida e le aveva chiesto di seguirlo con febbrile agitazione. Mentre lo seguiva in una ‘passeggiata notturna’, con il cuore in gola, Alida si domandò se quello strano atteggiamento potesse essere riconducibile alla fuga di Stafford Rowley-Nysberg, uno dei fedelissimi di Nadia, nonché tutore e addestratore di Jude. Da quando l’uomo se ne era andato, si era generato un grande scompiglio fra le Sentinelle.
 
“Allora hai intenzione di fermarti e dirmi cos’è successo? O vogliamo continuare a camminare fin quando non sorgerà di nuovo il sole?”
 
Alida tentò di smorzare l’atmosfera fattasi pesante e Micah, effettivamente, si arrestò di botto, guardandosi in giro e rendendosi forse finalmente conto di aver camminato troppo.
 
“Un ultimo sforzo, raggiungiamo il granaio, parliamo lì… sono sicuro non ci sarà nessuno e potrò… andiamo, dai.”
 
Una mite lampada ad olio proiettava le loro ombre sulle pareti del granaio, dando l’impressione che non fossero davvero soli. Alida attese con pazienza che Micah, seduto davanti a lei, si decidesse a dire una sola parola, eppure dopo alcuni minuti in cui il ragazzo si ostinava a fissare il vuoto alla sua destra, la strega allungò una mano per carezzargli il viso.
 
“Andiamo, dove è finito Sonne?”
 
Nel sentire quel nomignolo che anni prima Alida gli aveva assegnato, Micah accennò un sorriso. Se ne uscì di punto in bianco, durante il periodo in cui Nadia la stava spingendo ad imparare quante più lingue possibili, perché secondo la Governatrice Alida doveva essere i suoi occhi sul futuro e le sue orecchie sul presente; gli disse che lui era così, come un sole buio, che portava energia e scaldava, ma che nascondeva un nucleo scuro.
Ogni tanto tornava a chiamarlo Sonne, quando Micah si mostrava pieno di energie, Schwarze Sonne, quando invece si incupiva, oppure quando litigavano perché Micah mostrava, nei suoi confronti, l’empatia di un sasso.
 
“Alida… ti devo parlare.”
 
Così la ragazza ritrasse la mano ed annuì, prima di bisbigliare una risposta “Lo avevo capito effettivamente.”
 
Non era pronta a sentire, però, le parole che di lì a poco avrebbe pronunciato il ragazzo.
 
“Io devo scappare, devo andare via dalla Corte. “
 
“Che vuol dire che devi scappare?” Alida tentò di mostrarsi calma “Hai litigato con Jude per caso? L’ho visto parecchio strano in questi giorni.”
 
Micah si morse il labbro, dando segno di voler trattenere molto più di quanto avrebbe detto.
 
“Lil… è complicato, troppo. Non ti posso spiegare, non lo posso fare. “
 
“Ma come non puoi spiegarmi? Mi dici… mi dici che devi scappare ma non vuoi dirmi per quale motivo?”
 
Alida si sentiva arrabbiata e ferita; era convinta da tempo che lei e Micah fossero in intima confidenza e che non c’era nulla che l’altro non sapesse, come non esisteva al mondo che non si appoggiassero a vicenda. Ma allora come mai Micah si rifiutava di dirle che cosa si nascondeva sotto quei solchi scuri che gli cerchiavano gli occhi, sotto alle labbra tormentate dagli incisivi, sotto le cuticole del pollice che staccava con palese nervosismo?
 
“Io non te lo posso dire. Dammi retta, meno sai di questa dannata storia, meglio è per te. Ma tu devi fidarti di me, se ti dico che devo andare via, che qui non sono più il benvenuto. Fa tutto schifo, cazzo.”
 
Micah affondò le mani nei capelli scuri con gesto disperato e Alida rimase paralizzata ad osservarlo, incapace di capire quale sarebbe stata la cosa migliore da dire o da fare. Tentò altre volte di strappargli informazioni, ma lui non cedette mai; era chiaro, comunque, che la questione fosse davvero molto grossa, perché non era mai successo che Micah si comportasse in quella maniera. Lui era forte, temerario e non aveva mai paura di niente; anzi, si poteva dire che uno dei suoi più grandi difetti fosse proprio la spavalderia con cui affrontava le cose del mondo.
Rimasero a lungo in silenzio, fin quando Micah non uscì dal suo groviglio e tornò a puntare gli occhi in quelli di Alida.
 
“Vieni via con me.”
 
 
La Corte
 
Si stava facendo buio, così Artemisia finì di dare da mangiare ai cavalli del maneggio, per poi uscire fuori dalla stalla seguita da Atlas. Salutò Gus, l’uomo che si occupava in maniera periodica di provvedere alla manutenzione delle stalle e inondata dal cupo rosso del sole serale, si avviò verso la sua bicicletta, sebbene non fece in tempo a montarvici in sella, in quanto Atlas cominciò ad abbaiare in una direzione ben specifica. D’istinto, Artemisia portò le mani alla ricerca della sua mitragliatrice, per poi ricordarsi che non l’aveva portata con sé; comunque appena si rese conto che Atlas stesse abbaiando verso una presenza conosciuta, la ragazza ebbe modo di rilassarsi e di accennare un cordiale sorriso.
 
- Ciao, ti serve qualcosa? Se cerchi Lir o Jude non sono qui. -
 
Alida scosse il capo e sorrise di rimando: - Veramente stavo tornando a casa, poi ti ho vista ed ho pensato di… salutarti, ecco!-
 
Ad Artemisia parve molto strano il comportamento di quella ragazza, che quasi mai abbandonava il fianco di Nadia senza essere affiancata dai due uomini appena citati; cordiale ed educata di natura, comunque, non fece notare la cosa ad Alida, che nel frattempo osservava Atlas continuare ad abbaiarle contro.
 
- Amore, fai il bravo, Alida è un’amica. Vieni qui, forza.-
 
Data la dovuta dose di coccole ad Atlas, Artemisia tornò a rivolgersi ad Alida, ancora impalata davanti a lei: - Se non hai nulla da fare puoi venire a casa mia, sono abbastanza certa di avere ancora un po’ di torta; preparo un tè, ti va?-
 
Seppure con lieve imbarazzo, Alida accettò l’invito; non solo non era mai stata sola con Artemisia: in generale erano così rare le occasioni in cui non era in compagnia di qualche fedelissimo di Nadia –se non di Nadia stessa-, che quell’invito l’aveva lasciata destabilizzata. Consapevole però della volontà della Governatrice, aveva pensato fosse la cosa giusta da fare, così le due si incamminarono verso il bosco.
Giunte davanti al delizioso vialetto che anticipava l’ingresso della casina di Artemisia, Alida si irrigidì quando notò un gatto fermo davanti alla porta, intento a leccarsi una zampina; fu impossibile non notare l’irrigidimento della ragazza, che si sciolse solo dopo che Atlas ebbe cacciato il micio a suon di abbai.
 
- Emh… tutto bene? Hai paura dei gatti? –
 
- Paura? Io? Eeeeh… non proprio. Quindi che facciamo, entriamo?- (3)
 
Decisamente bizzarra, pensò Artemisia che intanto si sforzava di non fare espressioni che dessero adito a fraintendimenti o che, peggio ancora, la facessero passare per maleducata. Fece quindi accomodare immediatamente l’altra e, come prima cosa, mise su un bollitore per il tè.
Intanto Alida si limitava a guardarsi intorno; quella casa profumava di fiori e di pulito, valutò con una punta di invidia. Casa sua non era mai stata così ed il fatto di essere in due, per altro senza animali che spargevano peli in giro, non migliorava per nulla la sua posizione, al contrario. I suoi pensieri a proposito della delicatezza antica di quell’abitazione trovarono una conclusione quando Artemisia giunse a portarle torta e tè.
È anche una perfetta padrona di casa, si disse mentre assaggiava il buonissimo ciambellone guarnito con della marmellata.
 
- Ti preparo una porzione da portare a Lir, sono sicura ne sarà felice. E poi se venisse a sapere che sei stata qui e non gli ho fatto mandare nemmeno un dolce, sono sicura che si presenterebbe alla mia porta con torcia e forcone.-
 
- Per carità, non ho alcuna intenzione di sentirlo brontolare. – Borbottò Alida, sempre più invidiosa delle strabilianti capacità di Artemisia. Eh si, quella torta era davvero buonissima.
La padrona di casa preparò nell’immediato un cestino da recapitare all’amico, prima di sedersi con misurata discrezione davanti l’altra ed iniziare a sorseggiare la propria tazza di tè.
Un silenzio a dir poco imbarazzante calò presto fra le due, che ben poco avevano di cui discutere; Alida mise in moto gli ingranaggi per tentare di trovare il giusto aggancio e fortunatamente non ci volle molto prima che la provvidenza – in quel caso di nome Jude- la salvò: con il sole ormai nascosto, il buio aveva preso possesso del bosco, per questo fu semplice notare il bagliore dei fari dell’auto di Jude al di fuori della finestra della cucina.
 
- Toh, guarda, deve essere tornato il tuo vicino. – Disse quindi Alida, per poi guardare Artemisia caricandosi di tutta l’innocenza che non possedeva affatto: - Voi vi vedete spesso? Ultimamente mi pare che passiate parecchio tempo insieme.- In conclusione, Artemisia affondò buona parte del viso nella tazza e per poco non si guadagnò una bella ustione provocata dall’infuso bollente e i suoi vapori .
Nel sentire Alida rivolgerle quella domanda, il sorriso di Artemisia scomparve dal volto e contemporaneamente un lieve rossore scaldò le gote pallide. La ragazza non era affatto abituata a parlare dei suoi affari personali, specialmente con persone con cui non era in confidenza. Che fosse Lir a farle una domanda del genere sarebbe andato bene, ma Alida era un mistero per Artemisia e con lei non aveva avuto sempre e soltanto che un rapporto formale e di fredda cortesia.
 
- Non… veramente non mi sento di rispondere a questa domanda, scusami. – Si limitò a rispondere, traghettando lo sguardo lontano da Alida. Quest’ultima si era sentita immediatamente una stupida; nonostante avesse passato le due ore precedenti a prepararsi a quel momento, ripassando mentalmente quello che avrebbe potuto chiedere all’altra per non sembrare una pettegola, aveva comunque finito per risultare indiscreta. Così deglutì sonoramente e accennò un sorriso, accompagnato da un’espressione accigliata: - Mi dispiace, non credevo di metterti in imbarazzo, Sai, conosco Jude da… sempre, per me è come avere un fratello. Mi sono solo fatta trascinare dalla curiosità, visto che è tanto tempo che non lo vedo così… sereno, ecco. Con te, intendo, mi sembra… sereno, si. -
 
- Sul serio? – Evidentemente quelle parole colpirono Artemisia, che cominciò a sbattere più volte gli espressi occhi chiari, decisamente incuriosita. Resasi conto di essersi esposta, la più giovane tentò di recuperare: - Cioè, voglio dire, sono contenta di sapere che le persone si trovino bene in mia compagnia e… e Jude è una persona e quindi… insomma se lui è sereno io sono…-
 
Colpita e affondata. Era evidente che la reazione della ragazza celasse qualcosa di più di ciò che volesse lasciare intendere.
 
- Non preoccuparti, ho capito. Fa strano comunque, Jude è così musone, ti assicuro che scorgere in lui sprazzi di spensieratezza è un evento più unico che raro; devi avere un dono… -
 
Ancora una volta Micah fece capolino nei pensieri di Alida, con una mazza ferrata in mano pronto a demolire il suo cuore. Fu impossibile non pensarlo, non paragonarlo a Jude. Quest’ultimo torvo, cupo… triste. Mentre Micah era una forza della natura, manifesto di energia, senza veli oscuri a tormentargli l’anima. Luminoso come il sole, il suo sole.
Stupida che non sei altro. Non è il tuo sole. Non è mai stato tuo.
Artemisia poggiò con delicatezza la tazza sul piano del vecchio tavolo di legno che accoglieva i suoi pasti, così inclinò leggermente il capo di lato e osservò Alida, dallo sguardo perso e triste.
 
- Tutto bene? – Le chiese con garbo.
 
- Io… si, stai tranquilla. Pensavo solo che Jude è molto diverso da suo cugino. Ne hai mai sentito parlare? Jude magari… ti ha mai accennato a lui?-
 
- Parli di… Micah Millan, mi pare si chiamasse… -
 
Un moto di rabbia attraversò Alida, che si affrettò a correggere Artemisia: - Chiama.  Si chiama. Lui è ancora vivo. –
 
- Oh, scusami, io non volevo… -
 
Resasi conto di avere avuto una reazione eccessiva, Alida si affrettò ad agitare le mani e a scusarsi per il suo tono. Artemisia sorrise, così continuò: - Comunque qualcosa mi ha accennato, è vero. Ma non molto, ho idea che sia un argomento davvero molto delicato per lui. –
 
- Lo è. – Alida annuì: - Neanche noi ne parliamo mai. Nadia… lei vorrebbe che Micah tornasse, è molto legata ai suoi nipoti. -
 
- Me ne sono resa conto, sembra davvero molto protettiva nei confronti di Jude, quindi non mi sorprende quello che dici. -
 
- A tal proposito… - Alida sorseggiò di nuovo il tè, lasciando uno spazio d’esitazione prima di proseguire: - Fossi in te starei attenta, non sottovaluterei questo attaccamento… iperprotettivo di Nadia. -
 
Perché lo stava facendo? Perché Alida sentiva di dover mettere in guarda Artemisia?
 
- Io credo di non capire, non sto facendo niente di male, cerco di ottemperare ai miei doveri di Sentinella. Non voglio di certo mettere i bastoni fra le ruote a nessuno, specialmente a Jude! -
 
Vagamente agitata, Artemisia adottò un tono acuto della voce che rese chiaro ad Alida quanto fosse allarmata.
 
- Non fraintendermi, il problema non è questo, Nadia non ha da ridire del tuo lavoro di Sentinella… bensì della tua vicinanza a Jude, non so se mi capisci. -
 
- Non so cosa ci sia da capire. – Rispose irrigidita Artemisia.
 
Alida poggiò la tazza ormai vuota sul tavolo, poi tornò a puntare gli occhi in quelli dell’altra: - Non sottovalutare Nadia e la sua scala di valori, tutto qui. Io te l’ho detto. –
 
- Beh, questa suona quasi come una minaccia. -
 
- Ti assicuro che non è così. Semplicemente, ecco… ho provato sulla mia pelle che cosa vuol dire mettersi contro il volere di Nadia e non lo auguro a nessuno... – Alida scivolò giù dalla sedia e dette una sistemata al suo vestiario all black, prima di concludere la frase: -…tantomeno a qualcuno a cui tiene Jude. -
 
Artemisia non seppe replicare; in quel momento aveva raggiunto un tale livello di imbarazzo, che l’unica cosa che fu in grado di fare fu seguire Alida in silenzio, mentre si avvicinava alla porta d’ingresso.
 
- Grazie per il tè, ora è meglio che vada. Vado da Jude, scroccherò un passaggio da lui. -
 
 
 
Circa quaranta minuti più tardi Artemisia attendeva sul vialetto di casa che Atlas tornasse dalla sua passeggiata notturna; i fari dell’auto di Jude illuminarono di nuovo la strada. Quando le passò davanti, l’auto rallentò e i due si guardarono, poi Jude accennò un sorriso e fece un cenno del capo, prima di proseguire  verso casa sua. Artemisia agitò le dita della mano per salutarlo e lo seguì con lo sguardo, fin quando non vide Atlas tornare verso di lei.
 
- Andiamo cucciolo, la mamma ha bisogno di essere coccolata. -
 
*
 
Aveva rimuginato a lungo, prima di confessare a Micah di avere una soluzione per lui, di conoscere una via di fuga affidabile, sebbene credeva fosse davvero difficile uscire illeso dalla palude in cui il condotto segreto andava a finire.
Alida tentò di farlo ragionare, ma Micah di ragioni non ne voleva sentire, per questo motivo alla fine cedette e si dette con lui appuntamento per tre giorni dopo. Micah l’aveva lasciata così, dicendole di andare via con lui.
 
“Di cosa hai paura? Questo posto non è più sicuro di quello che c’è la fuori. Lo so per certo. Lil, scappiamo insieme… ho la mia bacchetta e posso trovarne un’altra per te. “
 
Alida sapeva che Nadia facesse istruire di nascosto i suoi nipoti all’uso della magia; qualche volta era persino capitato che Micah le mostrasse qualche semplice incantesimo e lei aveva persino provato a prendere la sua bacchetta, ottenendo però scarsi e pessimi risultati. Non era quindi una sicurezza, che Micah sarebbe riuscito a procurarle una bacchetta, visto e considerato che non sapeva svolgere incantesimi.
Ma poi perché sarebbe dovuta andare via? Seguire Micah avrebbe voluto dire tradire Nadia e il proprio ruolo nel mondo.
E poi Alida lo sapeva, che era impossibile fuggire; lei ci aveva provato decine di volte e non c’era stata una sola volta in cui era riuscita nel suo intento. Se li avessero trovati, era sicura che Micah se la sarebbe cavata senza conseguenze, ma lei poteva dire lo stesso?
 
Quando si incontrarono, di tempo per parlare non ne avevano molto. Micah era nascosto nell’oscurità della notte, dietro una delle mura che costituivano il refettorio e aveva con sé giusto uno zaino; però era pronto per partire, era tutto vero.
Fu quando lo guardò negli occhi, che Alida non riuscì a trattenere le lacrime.
 
“Ti… ti prego, non andare. Qualsiasi cosa sia successa, la possiamo affrontare insieme! Io ti posso aiutare… noi possiamo cambiare le cose dall’interno.”
 
Lo sguardo di Micah la bruciò come fuoco ardente; si, perché il mago aveva capito che Alida non sarebbe andata con lui, troppo codarda per affrontare le possibili conseguenze di quella fuga.
 
“Tu qui non sei che un animale in gabbia e mia nonna… Nadia, lei ti sta sfruttando, non te ne rendi conto?”
 
“Lo fa per il bene di tutti noi… lo so che è difficile da capire ma… “
 
“Stronzate!” Micah si ritrovò ad alzare la voce; la sua espressione la spaventò. “Ti stai raccontando un sacco di stronzate solo perché hai paura, ma devi fidarti di me; se rimani al mio fianco, ti giuro Lil…” Mosse un paio di passi verso di lei e con le lunghe mani afferrò il viso di Alida, bagnato di lacrime “Ti giuro che ti proteggerei. Mi ammazzerei, piuttosto che permettere ti catturino ancora. Sarai libera, la mia coraggiosa Alida.”
 
Una parte di Alida –la più grande- tentennò, perché avrebbe preferito una vita nella paura di essere scoperti, ma al fianco del ragazzo che rappresentava tutto il suo mondo, piuttosto che vivere negli agi della Corte, ma senza di lui. Eppure, per quanto lo volesse, più forte era il peso della mano di Nadia, che aveva lavorato per anni riuscendo infine ad assoggettarla totalmente a lei.
Nadia l’aveva convinta di non meritarsi niente, se non il ruolo che le spettava al suo fianco. Alida era una bambolina di grande valore, ma provare sentimenti non le spettava di diritto. Seguendo Micah lo avrebbe messo in pericolo, perché Nadia li avrebbe scoperti e non avrebbe accettato quella fuga senza prendersela con lei e Micah si sarebbe messo in mezzo pur di difenderla.
No, non poteva permetterlo.
Così, seppur con estrema fatica, Alida allontanò le mani di Micah dal suo viso e gli indicò l’entrata del refettorio, prendendo poi a spiegargli cosa avrebbe dovuto fare per raggiungere la palude in sicurezza. Lo accompagnò fino all’ingresso della botola, ma si fermò lì, con i pugni talmente stretti da far male.
Micah le dava le spalle, ma indugiò davanti alla botola aperta, fin quando non si voltò per osservarla un’ultima volta.
 
“Resti? O vieni via con me?”
 
Alida avrebbe voluto che le parole di Micah bastassero per scacciare la sua codardia. Le sarebbe piaciuto lasciarsi la Corte alle spalle e accettare quella mano tesa; si sarebbe abbandonata alle promesse di Micah, lo avrebbe fatto.
Ma non ci riuscì. Il terrore di essere tradita come l’aveva tradita la sua famiglia e ancor più il timore di metterlo in pericolo con la sua presenza, la fecero desistere.
 
“Micah. Resta, ti prego. “
 
Il ragazzo sentì come se qualcuno gli avesse lanciato contro un secchio di acqua gelida. Accennò un sorriso amaro, poi tornò a farsi serio e rivolte ad Alida le sue ultime, dure parole, prima di lasciarla lì e infilarsi in quella botola che lo avrebbe separato per sempre da lei.
 
“Come immaginavo. La vigliaccheria ti ha dato talmente tanto alla testa, da non capire che ti stai rovinando con le tue stesse mani. Rimani pure qui, è il posto che ti spetta di diritto, quello al fianco di quella bastarda. Addio, Lil.”
 
Non fu in grado di accompagnarlo, se non con lo sguardo. Ogni parola morì nella bocca di Alida, i cui occhi si inondarono di lacrime, che tornarono a rigarle il viso mentre Micah si faceva sempre più lontano.
 
*
 
 

 
I primi tempi senza Micah furono dolorosi in maniera insopportabile. Non solo lui, il ragazzo di cui era irrimediabilmente innamorata –finalmente se ne era resa conto- non era più lì con lei, inoltre Micah aveva anche dimostrato che scappare era possibile. Nessuno infatti, sebbene Nadia e Etienne mobilitarono mezzo mondo per ritrovarlo, era riuscito nell’arduo compito, ragion per cui si sospettava che Micah fosse riuscito davvero a mettersi in fuga.
Quindi?
Ecco la dimostrazione che Alida non era che una codarda, che aveva rinunciato alla felicità al fianco del ragazzo tanto amato, per pura paura. Non si era fidata delle sue parole, quando Micah le aveva chiesto di credere in lui e le conseguenze di quella mesta decisione si rispecchiavano in lei, diventata ormai l’ombra di se stessa.
Alida era catatonica, profondamente infelice, irrimediabilmente compromessa nel profondo.
E Jude si mostrò infelice tanto quanto lei, seppur in lui spiccava il sentimento della rabbia cieca; il ragazzo, ormai una validissima Sentinella, aveva scatenato il putiferio a Corte e aveva chiesto ai suoi nonni di poter uscire lui stesso in missione per cercare il cugino che, era chiaro vista l’assenza di biglietti di riscatto, si era allontanato di sua spontanea volontà.
Missione dopo missione e con lo scorrere del tempo, ben presto la famiglia Millan e tutti coloro che avevano fatto parte della vita di Micah, dovettero accettare che non c’era più molta speranza di riportare il più piccolo dei cugini a Corte.
Tutto quel trambusto non pesò particolarmente su Alida, sprofondata in uno stato depressivo senza eguali di cui fortunatamente Nadia nemmeno si accorse, tanto era presa a fare i conti con il proprio dolore. Ma a Jude non sfuggì affatto la cosa.
Fu grazie alla sua presenza, che Alida riuscì a tirarsi su. Jude la scosse con poco garbo; sebbene Alida e Micah avessero sempre tentato di nascondere la loro profonda conoscenza, Jude era pur sempre la persona a cui il minore era più legato al mondo e aveva inteso che Micah conoscesse intimamente Alida ormai da anni.
Un giorno il ragazzo si fece concedere il permesso di portare Alida con sé in una ricognizione nella Corte e con l’occasione, non mancò di risvegliarla dal suo torpore.
 
“Ma non ti guardi? Sei diventata una nullità. Lo so che la tua vita è sempre stata complicata e che hai sofferto molto, ma ora devi smetterla di autocommiserarti. Non puoi più permettere che la tua felicità dipenda interamente da qualcun altro, che sia mia nonna, o che sia… una persona speciale. Devi reagire, altrimenti meglio che ti lasci morire, piuttosto che vivere in queste condizioni. “
 
“Alida, devi scegliere che cosa fare. O qui, con noi e con onore, o fuori di qui. “
 
Quelle parole, Alida se ne rese conto con il tempo, furono fondamentali per innescare il suo cambiamento radicale.
Passarono i mesi, così un giorno Alida decise di chiedere udienza a Nadia, bisognosa di comunicarle qualcosa di molto importante.
 
“Non ti ho mai chiesto nulla, per questo sono certa che non potrai rifiutare queste due richieste. Se lo farai, ti prometto che non avanzerò nessun altra richiesta in futuro. “
 
Nadia le chiese di andare avanti, stranamente incuriosita dal fuoco che percepiva ardere negli occhi chiari della giovane strega.
 
“Primo: ti chiedo che nessun altro bambino con capacità particolari, subisca lo stesso trattamento che ho subito io. Nessuno dovrà più essere maltrattato né sfruttato. “
 
“Cos’altro?”
 
“Chiedo vendetta.”
 
Alida espresse il desiderio di vendicarsi della sua comune di provenienza e, in particolar modo, della sua famiglia. Il risveglio da quel torpore aveva acceso in lei una fiamma abbacinante, intrisa di spietate rivendicazioni verso coloro che le avevano rovinato la vita.
Nadia acconsentì, a patto che fosse Jude e altre fra le sue Sentinelle più fidate ad accompagnarla e che non avrebbe ucciso nessuno.
 
Fu così che, tre giorni dopo, Alida partì al fianco di Jude verso la sua vecchia Comune. Era un torrido giorno d’estate e si soffriva persino nei territori russi, ma Alida non sentiva il caldo, né la siccità sebbene la bocca si seccava con frequenza. 
Il suo corpo era invece percorso da un’atipica eccitazione che mai aveva provato in vita sua; ormai aveva deciso con rassegnazione che quella sarebbe stata la sua vita ed era giunta ad accettare di essere una codarda, ma non aveva dimenticato che, se era diventata così, la colpa non era sua. Altri, invece, avevano fatto in modo che Lyuba non esistesse più ed era questo il pensiero che tenne a mente, mentre attuava il suo piano. Sapeva infatti che gli abitanti della sua vecchia comune, quel sette agosto, si sarebbero riuniti nella piazza adiacente ai campi di grano, per festeggiare la fine dell’estate e prepararsi al rigido inverno.
Mentre tutti festeggiavano,  Alida con Jude al suo fianco e le altre Sentinelle, dette fuoco ai granai della Comune, bruciando non solo l’intero raccolto che sarebbe servito per la loro sopravvivenza, ma anche il mangime per il bestiame, senza il quale sarebbe presto morto di fame. Per giunta l’incendio divampò fino a raggiungere buona parte delle abitazioni di quel villaggio.
Alida aveva rispettato il volere di Nadia non uccidendo direttamente nessuno, ma quella era stata una vera e propria condanna a morte.
Jude la affiancò, chiedendole se fosse soddisfatta di ciò che aveva fatto.
 
“Manca ancora una cosa. Aspettami qui.” Rispose la giovane, prima di allontanarsi con passo misurato. Così, Alida scivolò fra gli abitanti della Comune che allarmati dall’incendio correvano da un lato e dall’altro per porre rimedio a quella disgrazia; fra la folla, intercettò la sua famiglia che osservava orripilata la loro casa avvolta dalle fiamme. Inizialmente non riconobbero la figura che si faceva vicina, ma quando la riconobbero, il terrore aumentò a dismisura.
Alida sorrideva, mentre s’avvicinava e s’arresto solo quando fu sufficientemente vicina; c’erano i suoi genitori, sua sorella e suo fratello, stretto a quella che doveva essere diventata sua moglie e con in braccio un bambino molto piccolo.
Alida riconobbe la moglie di Elizar, realizzando che fosse proprio una delle bambine che più l’aveva presa di mira, quando si trovava ancora nella comune; il suo sorriso si allargò senza che fosse in grado di frenarsi.
Fu con quel sorriso diabolico stampato sul viso, che agguantò il bavero della camicia di Elizar, per poi parlare ad alta voce in modo che quante più persone possibili potessero sentire ciò che aveva da dire.
 
“La sfortuna si è abbattuta su di voi e vi ha portato via tutto, come voi avete fatto con me. Non vedo l’ora di vedervi strisciare come i vermi che siete.”(2)
 
Infine, come se provasse ribrezzo a toccare il fratello, Alida abbandonò la presa e dette le spalle alla sua famiglia, lasciando il gruppo nello sconcerto e nell’impotenza, perché sapevano bene che, ad accompagnare quella che un tempo era la loro Lyuba, vi era il nipote della governatrice.
Con quel rogo una parte di lei era morta, ma come una fiera fenice Alida era rinata, accettando la decisione che aveva preso, che le confermava il suo ruolo accanto a colei che l’aveva ridotta a essere poco più di una pedina su una scacchiera.
Ma anche se non avrebbe smesso di soffrire di quella condizione, come della mancanza di Micah, almeno Alida aveva avuto la sua vendetta.
Il boccone sarebbe stato meno amaro da mandare giù, ne era certa.
 
 
 
La Corte
 
Prima di recarsi a casa di Ajax, Ryurik aveva voluto fare una serie di deviazioni e le due compagne lo avevano seguito senza fare obiezioni. Essendo una persona molto discreta, il ragazzo non aveva voluto catapultarsi nell’immediato a casa di Ajax, preferendo prima fare un giro della Corte, attraversare i luoghi solitamente frequentati da Ajax ed assicurarsi che quello non fosse finito in qualche fossato, magari durante qualche giro di perlustrazione.
Ryurik conosceva a malapena Ajax eppure era certo, come certe erano Saskia e Izzie che avevano a che fare con lui da molto più tempo, che un tipo come Ajax non si sarebbe allontanato volontariamente dalla Corte, tanto più se aveva ricevuto ordini ben precisi da parte di Nadia e consorte.
No, non era assolutamente da Ajax.
Izzie si sentiva particolarmente agitata e ogni qualvolta si fermavano da qualche parte per chiedere informazioni, lei rischiava di far scoppiare tutto. Perché non aveva indosso quei maledetti – o benedetti in questo caso- collari progettati da Etienne? In revisione, mpf! Che diavolo c’è da revisionare?!  Chiese amareggiata a se stessa.
Saskia aveva percepito il suo nervosismo ben prima di sentire Ryurik lamentarsi dello stato d’animo di Izzie, che stava assorbendo come fosse una spugna.
 
- Ti prego, tieni di freno la tua amica. – Disse rivolto a Saskia, mentre stringeva l’incipit del naso e strizzava gli occhi con enfasi: - Mi sta esplodendo la mia testa con tutto questo suo essere nervoso. -
 
- Secondo te posso farci qualcosa?- La risposta di Izzie fu un misto di stizza e desolazione, allorché Saskia allungò una mano a stringere la spalla dell’amica, mentre i tre si avviavano verso casa di Ajax; ahimè il loro giro ricognitivo non aveva portato alcun frutto e si erano trovati costretti ad esplorare l’ultima spiaggia.
 
- Dai Izzie, se non pensi positivo rischi di far scoppiare la Corte intera. Poi chi glielo dice a Nadia che sei stata tu? -
 
Saskia conosceva bene la sua amica e sapeva che parole utilizzare per tranquillizzarla. In effetti nel sentirla scherzare, Izzie non poté fare a meno di accennare una risata, a qual punto Ryurik roteò gli occhi al cielo e mormorò un ringraziamento in russo a Saskia che, purtroppo, non riuscì a comprendere.
 
- Insomma, a quanto pare anche i genitori di Ajax non si vedono da un paio di giorni. – Izzie tallonò Ryurik, in testa ai tre, mentre si avvicinava al portone d’ingresso della casa dei Willow. La piazza centrale era ormai vuota e a colorarla non vi erano che le luci baluginanti che spuntavano dalle finestre delle abitazioni.
 
- E di sicuro non sono andati a fare una gita di piacere nelle Terre di Nessuno. – Saskia incrociò le braccia e si fece meditabonda: -Forse si sono ammalati! Ricordate quell’epidemia terribile dello scorso anno? Metà delle Sentinelle è stata messa fuori gioco. -
 
- E secondo te non avrebbero avvisato Etienne? Impossibile. – Izzie scosse il capo con vigore: - La famiglia di Ajax è una delle più grandi sostenitrici di Nadia. Sono Sentinelle da generazioni, radicati nella Corte. Se pure si fossero ammalati, avrebbero trovato il modo di fare avere loro notizie quantomeno a Jude. -
 
- Non ci resta che scoprire, non serve parlare qui fuori dalla porta. -
 
Ryurik bussò con veemenza un paio di volte e Saskia li annunciò ad alta voce. Nessuna risposta.
 
- Che fai? Non è educato!- Izzie allungò le mani per trattenere Ryurik, il quale non ricevendo alcuna risposta, aveva deciso di aprire la porta e entrare. Saskia commentò che quella fosse l’unica cosa da fare e Izzie, dopo aver sospirato, annuì e si accodò ai due.
 
- Salve, c’è nessuna? -
 
- Si dice nessuno, non nessuna. – Saskia si apprestò a correggere Ryurik, che fece un vago gesto con la mano prima di tornare a palesarsi con la propria voce. Effettivamente l’appartamento sembrava deserto; tutte le luci erano spente, tranne quella che illuminava il modesto salotto e uno strano odore impregnava gli ambienti. I tre rabbrividirono nello stesso momento, quando si resero conto che l’olezzo proveniva dalla tavola da pranzo, sulla quale giacevano i resti di cibo non del tutto consumato, come se i commensali si fossero interrotti nel bel mezzo del pranzo e avessero abbandonato la tavola.
 
- Questa cosa non mi piace per niente, proprio per niente. – Commentò Saskia e Izzie annuì, approfittandone poi per stringersi un po’ all’amica, lievemente impaurita.
 
- Mi pare davvero strano, come si può abbandonare un pasto così, di punto in bianco? – Saskia afferrò una forchetta e con essa picchiettò il polpettone che si trovava in un piatto. Era duro come il marmo, dunque erano almeno un paio di giorni che dovevano trovarsi lì.
 
- Vogliamo dividerci?-
 
- Non se ne parla! – Rispose Izzie, poi tentò di giustificare la sua risposta a dir poco veemente, accampando la scusa che Nadia non avrebbe voluto che in una situazione così ambigua loro, specialmente Ryurik, potessero mettersi in pericolo.
Così i tre perlustrarono la casa, fino a spingersi alle camere da letto. Trovarono la prima vuota, anche se abbastanza disordinata.
Fu la seconda stanza, che fece trattenere il fiato ai tre; lo scenario che si trovarono davanti era di caos totale: l’armadio era spalancato e buona parte dei vestiti riversi a terra e la stessa sorte era toccata all’umile cassettiera di legno chiaro.
Ma la cosa più inquietante era senz’altro il messaggio scritto sullo specchio sopra di essa; dovevano aver usato qualcosa di compatto e scuro, magari del rossetto.
 
Morte ai seguaci di Nadia
 
Ryurik, Saskia e Izzie si scambiarono lunghi sguardi, senza riuscire a dire una sola parola.
Una cosa era certa, senza bisogno di confrontarsi: quel messaggio non lasciava ben sperare per la sorte di Ajax e della sua famiglia.
 

(1) Altro inevitabile riferimento al Castello errante di Howl.
(2) Questa frase, pronunciata da Alida, l'ho presa para para dalla sua scheda, quindi è farina del sacco di Chemy.
(3) Ci sarà tempo prossimamente per approfondire lo strano rapporto che Alida ha con i gatti, non temete.
 
Ben trovati! Ecco qui la seconda parte del capitolo dedicato ad Alida. Che dire? Sono davvero contenta di essere stata accolta con grande entusiasmo da parte di coloro che sono rimaste; sappiate che ho letto le vostre recensioni e che vi risponderò a dovere, ma intanto voglio ringraziarvi per l’attenzione e l’affetto palesato per questa storia. Grazie <3
Ma mettendo da parte i sentimentalismi: la storia di Alida e Micah è ormai delineata e forse si incomincia anche a capire qualcosa rispetto al passato della famiglia Millan; mi piacerebbe ricevere (in privato!) le vostre teorie a riguardo.
Preparatevi, perché il prossimo capitolo sarà dedicato alla storia di Jude e Micah e finalmente avrò modo di raccontarvi cosa è successo e come mai è avvenuta una rottura di tale portata fra questi due cugini che si volevano immensamente bene. Non vedo l’ora!
Non ho domande per voi, al contrario se voi avete richieste da farmi, io sono ben disposta a prenderle in considerazione.
A presto e grazie di essere qui <3
 
Bri

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Capitolo 14
*** Capitolo XII ***


CAPITOLO XII
La famiglia Millan

 
Quelli non erano tempi semplici, nient’affatto. Procreare, invero, era impresa assai ardua e la causa con ogni probabilità bisogna andare a ricercarla nella terribile guerra in cui i babbani si schierarono contro chi possedeva sangue magico. La popolazione mondiale si decimò e le donne dapprima partorivano figli affetti da gravissime disabilità, fin quando questi non presero a venire al mondo privi di vita, morti; infine le gravidanze si ridussero sempre più e rimanere incinta era dono assai raro.
Probabilmente grazie alla pozione di lunga vita che aveva rallentato il loro processo di invecchiamento, fatto sta che Nadia ed Etienne riuscirono a ricevere in dono ben due figli: Harry, così chiamato in onore del famoso Harry Potter, colui che aveva sacrificato più volte se stesso per portare la pace fra i maghi, nacque per primo e tre anni dopo, Nadia dette finalmente alla luce una femmina, anche lei con indosso il nome di una grandissima strega che aveva dato battaglia per riportare la pace nel vecchio mondo: Minerva.
I coniugi non potevano desiderare niente di più dalla vita, perché mettere al mondo due figli forti e capaci era qualcosa di sensazionale, di straordinario.
Quando Minerva venne al mondo il piccolo Harry, che aveva già dimostrato di possedere un carattere dolce e riservato, rimase tutta la notte ad osservare quella minuscola creatura, le piccole dita delle manine racchiuse, il respiro che gonfiava il corpicino, la boccuccia umida che alternava gli sbadigli ai vagiti. Pensò, di un pensiero non ancora totalmente formato tipico dei bambini della sua età, che Minerva fosse proprio un bellissimo regalo che i suoi genitori avevano voluto fargli e che lui, qualsiasi cosa fosse successa, l’avrebbe accudita e coccolata e le avrebbe insegnato a giocare con le spade di legno, a nascondino, ad arrampicarsi sugli alberi.
Ed effettivamente con il passare degli anni, il pensiero che illuminò la testolina dai capelli ramati di Harry quella notte di Settembre, assunse forma concreta, perché Minerva divenne la sua più grande amica. La piccolina, vitale ed energica, non si allontanava mai dal fratello maggiore e con una parlantina precoce e loquace, passava le sue giornate a chiedere ad Harry di insegnarle tutto ciò che lui conosceva. E quando non era Harry a meravigliarla e accudirla, ci pensava suo padre Etienne, che non perdeva occasione di tenerla stretta a sé e di ricordarle quanto fosse felice di averla nella propria vita.
 
“Tu es lune qui illumine mon ciel, tu es la lumière de papa.” “Sei la luna che illumina il mio cielo, sei la luce di papà.”

 
 
Quante volte Etienne le aveva ripetuto questa frase, Minerva non sarebbe stata in grado di contarle; nel guardarli interagire, sovente Nadia provava anche un velo di invidia, perché era chiaro quanto suo marito fosse cambiato dalla nascita di sua figlia. Non che non fosse affezionato ad Harry, ma probabilmente il fatto che il figlio maggiore fosse così simile a lui caratterialmente, gli aveva sempre impedito di costruire con lui un rapporto più intimo. Ma con Minerva era semplice, perché la piccola era così spigliata, naturalmente affettuosa, loquace fino allo sfinimento, che era impossibile non adorare la sua presenza.
Anche Nadia provava una predilezione per Minerva, ma nel più profondo del suo animo, era chiaro che il motivo fosse che riponeva nella sua unica figlia femmina la speranza che un giorno potesse sostituirla nel difficile ruolo di Governatrice Suprema. Mai, Nadia Millan, aveva preso in considerazione che potesse essere Harry a prendere in mano il timone, nonostante il ragazzo fosse naturalmente portato al comando e avesse mostrato, fin dalla pubertà, qualità militari e diplomatiche invidiabili.
Minerva non si rese contro troppo presto di quale sarebbe dovuto essere il suo fardello mentre Harry, più maturo e centrato, aveva compreso quali fossero i piani che Nadia riservava per sua sorella, fin quando un giorno aveva deciso di parlare con sua madre della situazione.
 
“Posso entrare?”
 
Nadia era china sul modellino di quello che sarebbe presto diventato il nuovo granaio della Corte, quando alzando gli occhi incrociò lo sguardo chiaro del suo giovane figlio; un sorriso illuminò il viso della donna, nell’osservare il suo Harry dall’aria così composta e matura, benché non avesse che sedici anni.
 
“Tesoro, vieni qui, stavo osservando il modello che mi ha portato Markl. Mi sembri preoccupato, è successo qualcosa?”
 
Harry si accertò di non essere stato seguito dalla costante presenza di Minerva, così chiuse la porta alle sue spalle e si avvicinò alla madre con titubanza; dovette ingoiare un gran quantitativo di saliva, prima di rivelare a sua madre quali fossero i pensieri che oscuravano i suoi occhi limpidi.
 
“Io non credo che Minerva abbia la giusta indole per prendere in mano la gestione della Corte, lei… è molto candida, lo sai. “
 
Fu in quel momento che lo sguardo di Nadia si vestì di sospetto. “Cosa vorresti dire con questo?”
 
“Mamma, non sono più un bambino. Mi alleno per diventare una Sentinella da ormai due anni e so bene che in questo posto ma non solo, anche al di fuori della Corte, non è tutto oro quel che luccica. C’è tanto, tanto sporco sotto la tua coperta che ti ostini a lavare ogni giorno.”
 
Le parole di Harry arrivarono alle sue orecchie come stilettate, benché il tono del ragazzo fosse sereno; d’altronde era difficile da accettare che suo figlio l’avesse appena accusata di agire nell’ombra. Gli chiese di ripetere ciò che aveva appena avuto il coraggio di dire e Harry, con calma disarmante, tornò a dire ciò che pensava: che era convinto che lei e suo padre si sporcassero le mani in più di un’occasione e che le decisioni che venivano prese, spesso avevano una ripercussione negativa sugli esseri umani, ma che al contempo si rendeva conto che forse era necessario per governare al meglio.
 
“Io sono in grado di capire queste cose, ma Minerva non ci riuscirà; arriverà il momento in cui ti chiederà di lasciarla stare, di non coinvolgerla in questo arido meccanismo. Sono qui per chiederti di far si che possa essere io a prendere il suo posto, io sono più pronto.”
 
Ma Nadia, come spesso accadeva, fraintese le parole di Harry; lei che non era in grado di provare empatia, non aveva capito che suo figlio aveva come unico interesse il benessere e la salvaguardia dell’amata sorella minore. Per Nadia non era altro che un arrivista, desideroso di ottenere quanto più potere possibile. Ragion per cui, dopo averlo congedato con un sorriso di cortesia e averlo rassicurato dicendogli che ci avrebbe pensato su, quella sera stessa Nadia parlò con suo marito, decidendo con lui che la cosa migliore per far si che Harry non crescesse con la convinzione di poter ottenere con semplicità ciò che desiderava, sarebbe stata anche la più difficile.
Così, qualche settimana dopo, a soli sedici anni, Harry Millan diventò a tutti gli effetti una Sentinella e venne spedito nella Colonia più vicina. Il giovane non tentò nemmeno di replicare quando sua madre, carezzandogli le guance e con gli occhi lucidi, gli disse che lo stava facendo solo per il suo bene, in modo che in lui esplodesse il vero talento.
Harry partì con i singhiozzi della sorella a contargli i passi, mentre nel suo cuore prendeva piede la consapevolezza che i suoi genitori fossero molto peggio di quanto avesse sempre sperato.
La lunga esperienza nelle Colonie indurì il suo cuore, almeno fino a quando non incontrò la giovane, talentuosa e magnifica Lillie.
 
*

 
“Minerva! Ti prego, scendi da quell’albero altrimenti tuo padre mi metterà sulla gogna!”
 
“Beh allora preparati a rimetterci l’osso del collo, io da qui non ho nessuna intenzione di muovermi!”
 
Da quando suo fratello era stato praticamente esiliato, Minerva era entrata a tutti gli effetti nella sua fase di ribellione. Inutili erano le parole di Harry che le arrivavano tutte le settimane sotto forma di lettera, perché Minerva non avrebbe comunque mai accettato l’idea di immaginare suo fratello a spaccarsi la schiena alle Colonie. E poi senza di Harry, la giovane Minerva si era ritrovata improvvisamente sola, perché non gli era stato mai permesso di stringere forti legami con suoi coetanei.
Aveva passato i primi mesi a lamentarsi e chiedere di continuo che le fosse accordato il permesso di andare a trovare suo fratello, ma i genitori erano sempre stati più che evasivi, con lei; d’altronde come poter spiegare alla propria figlia che cosa erano davvero le Colonie e quanto quelle fossero pericolose anche per le stesse Sentinelle? I rifiuti e i fumi tossici non risparmiavano nessuno e l’unica arma a favore delle Sentinelle erano le maschere antigas, ma certo quelle non facevano miracoli.
Anche se rispetto ai suoi colleghi Harry poteva avvalersi dell’ausilio della bacchetta, benché Nadia ed Etienne si fossero raccomandati di non farsi mai vedere da nessuno nel momento in cui praticava gli incantesimi di protezione sul proprio corpo.
Comunque Minerva era totalmente all’oscuro di qualsiasi tipo di dinamica che poteva coinvolgere Harry all’interno delle Colonie e l’unica cosa che percepiva, era il vuoto lasciato da suo fratello.
 
“Sai che non ti posso lasciare lì ancora. I tuoi ti cercano da questa mattina, sono preoccupati da morire!”
 
Gli occhi vispi di Minerva corsero ad incontrare quelli di Violet, la Sentinella incaricata di occuparsi dell’addestramento di Minerva, nonché colei che le teneva compagnia. A Minerva, Violet non era mai piaciuta; non le piacevano i suoi modi accondiscendenti e pacati, né la sua voce cantilenante. Detestava passare il tempo in sua compagnia, specialmente da quando non era diventata che l’unica presenza costante nella sua vita, al di fuori dei genitori.
 
“Se proprio ci tieni, puoi sempre pensare di prendere ascia e sega e buttare giù l’albero, così che quando rimarrò schiacciata da questo tronco potrai smettere di preoccuparti della tua sopravvivenza, visto che mio padre di taglierà la gola con un sol colpo!”
 
Fu istintivo, per Violet, portarsi la mano a tastare il collo. Avrebbe voluto far tacere quella piccola e insopportabile strega con un ceffone ben assestato, se non fosse stato per il piccolo particolare che, effettivamente, la sua vita sarebbe stata recisa in men che non si dica. E come se il suo più grande terrore si fosse materializzato alle sue spalle, la voce di Etienne fece sussultare la povera Violet che, per poco, non si ritrovò a dover gestire un bel colpo al cuore.
 
“Minerva, scendi da quell’albero s’il voul plaît. Non è per niente carino far attendere ancora i nostri ospiti e non voglio trovarmi a dire di nuovo che mia figlia ha un forte mal di pancia. “
 
“Scusa papà, ma non mi interessa! Lo so perché la mamma ha fatto venire quelli lì; pensa che possano sostituire Harry, che io la smetta di tenere il broncio.” Minerva si premurò di mostrare a suo padre la sua faccia accigliata “E per la cronaca non lo sto facendo, solo che non voglio che mamma pensi di potermi comprare così, non sono più una bambina!”
 
Etienne sospirò, ma al contempo un sorriso sfuggì dal suo viso. Si ritrovò a pensare che quel lato così battagliero di sua figlia, fosse lo stesso che tanto amava di sua moglie.
 
“Se è vero quello che dici, allora dimostralo e scendi di lì. Le situazioni spinose non si risolvono scappando.”
 
Io non sto scappando!”
 
“E allora torna a casa con me, sei libera di dire a tua madre quello che pensi senza avere paura; ti appoggerò io, vedrai.”
 
Lo sguardo di Minerva si fece sospettoso e titubante; certo era che in quattordici anni d’età –quasi quindici-, non c’era stata mai una volta che suo padre le avesse mentito: perché avrebbe dovuto iniziare in quel momento?
Durante tutto il tragitto in automobile fino a casa, Minerva non rivolse a suo padre nemmeno una parola di sua spontanea volontà; braccia conserte e sguardo ostinatamente concentrato sul paesaggio fuori dal finestrino, mentre Etienne le rivolgeva, con pazienza, alcune domande alle quali rispondeva controvoglia. Non sopportava quella parte di lei che l’aveva data vinta a suo padre, perché alla fine finiva sempre così. Altro che sua madre! Era suo padre che riusciva sempre ad avere la meglio con lei.
Quando arrivarono al cortile, Etienne lasciò che una delle sue più fedeli Sentinelle parcheggiasse la macchina e Minerva non mosse un passo prima di suo padre; procedette, invece, alle sue spalle come fosse la sua ombra. Così entrarono in casa e attraversarono un lungo corridoio e più si facevano vicini alla grande sala in cui Nadia soleva ricevere visite, più risonanti arrivavano le voci alle sue orecchie.
Arrivati davanti alla porta, Etienne si girò per lanciare un’occhiata a sua figlia, che solo per un’istante ricambiò il suo sguardo prima di voltare il capo e irrigidire la bocca, portando l’uomo a trattenere una risata.
 
“Cercherai almeno di mostrarti un po’ educata con i nostri ospiti? Lo faresti per me?”
 
“Non penso proprio potrò riuscirci, visto che questo è un raggiro in piena regola.”
 
Etienne aprì la porta e, di nuovo, Minerva si attaccò a lui, mantenendo le braccia incrociate e un’aria che avrebbe fatto paura a un drago.
 
“Oh, finalmente a mia figlia è passato il mal di pancia!” La voce di Nadia, gioviale come sempre, interruppe il silenzio venutosi a creare con il loro arrivo nella sala, così Minerva si sentì costretta a rivolgere lo sguardo ai presenti. Etienne e Nadia si occuparono di presentare Grace Roberts, la donna seduta compostamente sulla poltrona accanto a quella di sua madre.
 
“Lei è una nostra cara amica, nonché la Governatrice di una Comune limitrofa.”
 
“Così cara che non ne ho mai sentito parlare.”
 
“Minerva!” la riprese Nadia, che subito si scusò con un certo imbarazzo; l’affermazione di Minerva regalò un sorriso a Grace, ma ad attirare l’attenzione della giovane Millan non fu lei, bensì una bassa risata di gusto che proveniva dall’angolo destro della sala, dove una grande finestra si affacciava sul cortile interno della Magione.
 
“Pare che mio figlio apprezzi il tuo spirito. Bene, questa conoscenza sta iniziando con il piede giusto!”
 
Grace si alzò in piedi, così fece cenno al ragazzo di avvicinarsi. Minerva si ritrovò a scrutare due espressivi occhi scuri incastrati in un viso pallido e squadrato, incorniciato da una voluminosa chioma nera. I giovani si guardarono a lungo, fin quando non fu l’ospite a muovere qualche passo nella direzione di Minerva, regalandole un sorriso calibrato, ma che alla ragazza scaldò istintivamente il cuore.
 
“Piacere di conoscerti, io sono Enoch.”
 
*

 
Dopo quattro anni passati quasi sempre nelle Colonie, se non per qualche sporadica visita alla Corte, Harry poteva dire di aver visto davvero tutte le cose peggiori di quel mondo. I racconti che erano giunti alle sue orecchie quando ancora si trovava alla Corte non erano nemmeno lontanamente paragonabili all’orrenda realtà in cui le Colonie erano inserite: chilometri e chilometri di zone desertiche, con cumuli di sostanze tossiche che i disertori di Nadia erano costretti a smistare e, in maniere nocive e spesso inefficaci, tentarne lo smaltimento; condizioni di lavoro disumane, con i prigionieri guardati a vista dalle Sentinelle, che avevano l’ordine di non mostrare alcuna pietà davanti a qualche colpo di testa o tentativo di fuga. Acqua per lavarsi putrescente –tanto valeva non lavarsi affatto- e razioni di acqua potabile e cibo scarsissime. Inizialmente Harry fu tentato di scappare egli stesso, ma benché fosse munito di bacchetta magica, era ancora troppo giovane e sapeva che non sarebbe resistito a lungo fuori dalle recinsioni delle Colonie.
Arrivò a pensare, il giovane Millan, di trovarsi meno in pericolo lì, piuttosto che con sua madre alle calcagna, il che era un pensiero orribile, lo sapeva bene.
Comunque con il passare del tempo, il mago si fece sempre più forte e contemporaneamente distaccato, arrivando a non provare più alcuna empatia nei confronti di quelle persone che si trovavano lì, senza acqua, ai lavori forzati, senza maschere antigas a tutelare i loro polmoni. Di fatto Harry era diventato uno spietato automa che si limitava a svolgere il suo lavoro e che non batteva ciglio se uomini e donne cadevano davanti ai suoi occhi come mosche, perché l’unica cosa che importava, per lui, era poter tornare presto alla Corte.
Fin quando un giorno – da poco aveva compiuto vent’anni- una nuova Sentinella con solo un paio d’anni più di lui era arrivata a quelle Colonie; fra tutti i suoi colleghi, Harry era rimasto subito affascinato dalla giovane Laurie Lemoine –che tutti chiamavano Lillie-, non tanto per il suo bell’aspetto, senz’altro innegabile, quanto per la fiamma viva che riluceva nei suoi occhi chiari. Lillie aveva polso fermo nonostante la giovanissima età, non sembrava affatto impaurita da quell’ambiente e in pochissimo tempo aveva conquistato la fiducia dei suoi colleghi.
Improvvisamente, con accanto Lillie, Harry tornò a provare una, seppur minima, sfumatura di emozioni umane.
Con il passare dei mesi i due entrarono in confidenza, sebbene Harry nascondesse a lei, come a tutti gli altri, la sua vera identità; Lillie invece si aprì totalmente con Harry, spiegandogli di provenire da una piccola comune sita nel territorio francese e di aver scelto di sua spontanea volontà di recarsi in quella Colonia, sapendola una delle più grandi e meglio gestite di tutto il territorio ex europeo.
 
“I miei genitori sono disertori e un giorno sono scomparsi di punto in bianco, lasciandomi da sola a gestire l’odio che la mia comune aveva accumulato per loro. È stata davvero dura, ma non mi sono lasciata abbattere; ho pensato fosse meglio stringere i denti e combattere, così ho iniziato il percorso per diventare una Sentinella. All’inizio è stato… complicato, ecco. Diciamo che il mio superiore non mi vedeva di buon occhio e ancora porto i segni delle legnate che mi sono beccata; ma quando ha capito che non mi sarei piegata in alcun modo, allora ha deciso di darmi una possibilità e alla fine sono praticamente diventata il suo braccio destro, ci crederesti?“
 
Harry si sentì minuscolo in confronto a quella ragazza che non sembrava avere sangue magico, ma che aveva dimostrato una forza incredibile.
 
“Alla fine ho deciso di venire qui; lui non l’ha presa tanto bene. Voleva che rimanessi a gestire gli affari della nostra comune, ma non era possibile, io avevo bisogno di fare questa cosa qui.”
 
Solo un anno dopo quella conversazione, Harry capì davvero per quale motivo Lillie aveva deciso di lavorare in un posto simile, quando chiunque altra Sentinella che si trovava lì, aveva commesso qualcosa di davvero grosso, tanto da far meritare una punizione simile.
Harry girava per il territorio della Colonia, in un giro di ronda di routine. Stranamente, quel giorno, nessuno aveva alzato la voce nei confronti delle Sentinelle, né vi erano stati tentativi di fuga. Una calma anomala e preoccupante accompagnava il crepuscolo, Harry lo sentiva.
Si lasciò il refettorio alle spalle e proseguì fino al recinto dei maiali, che grufolavano nella speranza di ricevere qualcosa in più da mangiare. Fu uno strano rumore ad attirare l’attenzione del mago, come una sorta di squittio, ma più forte, meno acuto, umano.
Quando vide un uomo e una donna rannicchiati contro una parete, proprio a fianco di un buco  nella rete di contenimento, Harry puntò contro di loro il mitra.
 
“Lasciali stare, ti prego. Dai la colpa a me, ma lasciali andare.”
 
Harry si ritrovò costretto a girarsi per qualche istante.
 
“Fatti avanti! Getta la pistola e vai dove stanno loro, forza!”
 
Aveva riconosciuto subito la voce di Lillie, la quale fece come le era stato ordinato; Harry la osservò inorridito da dietro la maschera anti gas: cosa diamine stava tentando di fare?
La ragazza sfilò la propria maschera, la gettò a terra accanto alla pistola e infine alzò le mani, ma i suoi occhi si incastrarono nelle orbite scure della maschera di Harry.
 
“Harry, dammi la possibilità di spiegarmi e dopo se vorrai potrai anche farmi saltare in aria la testa.”
 
“Dimmi perché dovrei farlo, eh? Stai facendo fuggire queste persone, stai disertando!”
 
“Persone innocenti che non meritano di essere qui. Harry… so che in cuor tuo vuoi capire perché sto facendo questo; lasciali andare, tieni me al posto loro. Se ora dovessero rimanere qui saresti costretto ad ucciderli ed avresti sulla coscienza due persone che non hanno colpe, se non quella di aver tentato di salvare i loro due figli da morte certa.”
 
Harry era combattuto e in quel momento percepì la sua testa e il suo cuore andare in conflitto; fino all’arrivo di Lillie alla Colonia, Harry era una Sentinella dal cuore indurito dalle mostruosità a cui aveva assistito, ma dal suo arrivo qualcosa era cambiato; tutte le sere passate a parlare, persino a ridere, avevano avuto un effetto positivo sulla sua persona. Sentire i racconti di Lillie, della sua vita nella comune, di come aveva combattuto per tutto ciò in cui credeva nonostante fosse rimasta sola, avevano fatto pensare ad Harry che il mondo, in fondo, era un posto migliore di quanto avesse sospettato, che esisteva ancora qualcuno di genuinamente buono.
Harry sapeva che se non avesse permesso a quelle persone di scappare e a Lillie di spiegarsi, probabilmente non se lo sarebbe mai perdonato, mai. Così abbassò il mitra, lentamente.
 
“Andate, sbrigatevi.”
 
Harry riuscì a leggere la gratitudine nei volti terrorizzati della coppia, che non attese un secondo di più prima di attraversare quel buco e sparire nel nulla delle Terre di Nessuno. Solo quando furono lontani dal suo sguardo, solo allora Harry sfilò la propria maschera per poi puntare gli occhi grigi in quelli della Sentinella.
 
“Hai dieci minuti di tempo per convincermi a non denunciarti, né ammazzarti.”
 
Lillie non perse tempo e dalla sua bocca un fiume di parole –sincere quanto sconvolgenti- travolse Harry in pieno. Lillie spiegò al compagno che tutto quello che gli aveva raccontato fosse vero, tranne che quella non era la prima Colonia in cui si era ritrovata a prendere servizio, bensì la seconda.
 
“Ecco spiegata la naturalezza con cui hai approcciato il lavoro qui.” Affermò stizzito e rassegnato Harry, mentre a sé stesso dava dell’idiota per non aver capito niente. Lillie proseguì a spiegarsi: gli disse che durante il suo addestramento aveva lungamente pensato ai suoi genitori, così aveva fatto delle ricerche e aveva scoperto che, probabilmente, quelli si erano uniti a gruppi di dissidenti che agivano contro Nadia per soverchiare il suo potere corrotto. Era arrivata alla conclusione che non l’avessero abbandonata, ma che se le avessero lasciato anche solo un biglietto di spiegazioni, l’avrebbero messa in serio pericolo.
Lillie aveva dunque deciso che sarebbe diventata una Sentinella e avrebbe sfruttato la propria posizione per aiutare chi si trovava ingiustamente nelle Colonie, facendo un distinguo con i veri criminali.
 
“Ho fatto evadere decine di persone dalla precedente Colonia, persone che come loro,” aggiunse indicando con un gesto del capo il buco nella rete “non avevano alcun motivo per essere condannati ad un simile destino. Poi ad un certo punto i miei compagni hanno cominciato a nutrire dei sospetti; non sospettavano di me, sia chiaro, del resto perché mai sospettare di una ragazzina dall’aria innocente come la sottoscritta? No, loro puntarono il dito contro un mio collega, quindi capii che era giunto il momento di levare le tende e spostarsi in una Colonia più grossa, perché se fossi rimasta lì, probabilmente avrei finito per farci rimettere qualcuno che non aveva nessuna colpa. Quindi eccomi qui.”
 
 
Harry ascoltò in silenzio quanto Lillie aveva da dire e solo una volta che la ragazza si fu zittita, decise di parlare: Ora è chiaro per quale motivo quei prigionieri sono riusciti a scappare… tutte quelle persone scomparse nel nulla senza lasciare traccia: sei stata tu, li hai fatti evadere e poi hai coperto le loro tracce.”
 
In quel momento Lillie chiese ad Harry di potergli mostrare una cosa; il ragazzo acconsentì, ma fu abbastanza furbo da puntare nuovamente il mitra contro di lei per non avere strane sorprese. Fu così che Lillie estrasse dall’interno della sua giubba quella che Harry riconobbe subito essere una bacchetta.
 
“Non provare ad usarla, altrimenti ti sparo!”
 
“Sai Harry, se avessi voluto avrei potuto spararti prima, oppure usare la magia quando hai trovato loro… ma non l’ho fatto. Non voglio farti del male, perché sono convinta che, in fondo, anche tu pensi che tutto questo sia giusto. Mi fido di te Harry, voglio fidarmi.”
 
“Tu non hai idea…” Harry deglutì “…non hai idea in quale persona hai riposto la tua fiducia.”
 
Per la prima volta dall’inizio di quel bizzarro confronto, Lillie si mostrò turbata.
 
“Io non capisco…”
 
“Abbassa la bacchetta.” Gli ordinò Harry, così lei acconsentì. Ma lo stupore illuminò il suo viso, quando anche Harry estrasse la propria bacchetta, mostrandogliela con aria impassibile.
 
“Anche io so utilizzare la magia, ma non è l’unico segreto che possiedo.”
 
Nonostante non ci fosse proprio nulla da ridere in quella situazione disastrosa, Lillie non riuscì a trattenere una tiepida risata, adducendo la sua reazione alla faccia tanto misteriosa che Harry aveva messo su.
 
“Credo che ormai tu possa dirmi tutto, tanto temo di avere i minuti contati con te. Allora dimmi Harry, quale sarebbe questo segreto?”
 
Lillie si trovò a perdere il sorriso in un batter d’occhio, non appena il ragazzo che aveva di fronte aprì nuovamente la bocca.
 
“Io mi chiamo Harry… Harry Millan. Sono il figlio di Nadia, quella Nadia.”
 
*
 
Harry non ritenne saggio parlare della sua relazione con Lillie ai suoi genitori; anche se sarebbe stata sua sorella a diventare Governatrice al posto della madre, il giovane Millan sapeva che Nadia preferiva sempre munirsi di un piano B –qualità che d’altronde le avevano permesso di trovarsi nella massima posizione di comando-; questo si traduceva in una cosa alquanto semplice: Nadia in persona avrebbe dovuto decidere con chi far sposare e procreare il figlio.
Così da quando quella con Lillie era passata dall’essere una collaborazione insurrezionalista a una vera e propria relazione, Harry si era limitato a far visita alla Corte giustificando la presenza della compagna asserendo che Laurie si trovasse lì, in quanto ci teneva a presentarla al capo delle Sentinelle della Corte, vista la sua incredibile capacità di combattimento e l’attitudine a risolvere prontamente qualsiasi situazione spinosa.
 
Tutto questo durò qualche anno, fin quando un giorno i coniugi Millan si ritrovarono una bella sorpresa in casa loro: Harry portò da loro Lillie e il suo vistoso pancione, scatenando la gioia di Minerva, ma sentimenti ben diverse dai genitori. La reazione di Etienne fu decisamente più calibrata rispetto a quella della sua consorte, che passò dallo sgomento, alla rabbia, alla paura. Sgomento in quanto Nadia non riuscì a credere che suo figlio non l’avesse messa al corrente della relazione che intercorreva con quella ragazza – e per questo si sentì raggirata ed esclusa-; poi arrivò la rabbia, perché lei stessa aveva permesso ad Harry di stare lontano dalla Corte per troppo tempo, senza guida né supervisione da parte loro, che erano i suoi genitori e che avrebbero dovuto essere in grado di condurre il figlio nella direzione migliore per la loro famiglia. Poi Nadia pensò che, nonostante tutto, nella pancia di quella sgualdrinella cresceva un suo potenziale erede; sapeva bene quanto fosse difficile mettere al mondo dei figli e non era detto che Minerva ci sarebbe riuscita, quindi l’essere umano a cui Harry aveva dato la vita doveva essere tutelato ad ogni costo. Lapalissiana fu dunque la reazione di Nadia, nel rendersi conto dove fosse stata concepita la sua progenie e in quali pessime condizioni stesse crescendo fino a quel momento.
Fu così che Harry fece definitivamente ritorno alla Corte per volere della madre e con lui la sua compagna, che presto diventò sua moglie.
Etienne fece erigere per suo figlio una bellissima casa accanto alla loro, convinto che quel gesto fosse gradito; i coniugi non sospettavano affatto che il loro Harry era diventato un nemico di quel sistema che stavano costruendo da anni.
 
Il tempo passò in fretta e Lillie dette alla luce Jude in un caldo giorno d’agosto; quel bambino rappresentò una gioia immensa per tutta la famiglia, ancor più perché da subito mostrò evidenti segni di magia. Potente magia.
Il piccolo Jude era l’unico a possedere un potere e di questo Nadia fu ovviamente entusiasta; Etienne non perse l’occasione per studiare l’affascinante potere di suo nipote, mentre sua moglie mostrava Jude con orgoglio al suo popolo.
In realtà né Harry, tantomeno Lillie erano affatto contenti che il loro bambino venisse esposto come fosse un trofeo, ma il primo era convinto –e spiegò con pazienza a sua moglie- che quello fosse l’atteggiamento giusto da seguire.
 
“Tu non li conosci, non hai idea di quanto siano bravi a nascondere chi sono davvero. Se gli lasciamo concentrarsi su Jude, noi saremo liberi di continuare a svolgere il nostro lavoro, tanto loro hanno ottenuto ciò che vogliono.”
 
Alle parole del marito, Lillie rabbrividì e mentre stringeva il proprio bambino, assottigliò lo sguardo in quella maniera minacciosa che aveva sempre spaventato Harry.
 
“Stai dicendo che dovremmo usare Jude? Dico, sei forse impazzito? Lui è tuo figlio, Harry, credevo lo amassi!”
 
“Stai fraintendendo le mie parole…” Harry si avvicinò alla moglie ed allungò una mano per carezzare la testolina bionda di Jude, ma la donna lo allontanò da lui; rimase però in silenzio, dando la possibilità a suo marito di porre rimedio a ciò che aveva appena detto.
 
“È vero, i miei genitori si sono rivelati di tutt’altra pasta rispetto a il modello che mi ero costruito nella mente, ma fidati se ti dico che non farebbero mai del male a Jude, né al sottoscritto. E poi farli affezionare a lui, permettere loro di fornirgli la migliore educazione che possa avere è la cosa migliore che possiamo fare…”
 
Con un sospiro, Harry sedette al fianco di Lillie, la quale aveva rilassato l’espressione ed aveva preso ad ascoltarlo con sincero interesse. “…Facciamo cose pericolose, che mettono a repentaglio la nostra vita giorno dopo giorno, Lillie. Ti sei chiesta che cosa succederebbe se ci scoprissero?”
 
“Non hai appena detto che non ti farebbero mai del male?”
 
“Non farebbero del male al figlio che credono di avere, ma non sono sicuro che non ci sarebbero estreme conseguenze se venissero a sapere che proprio il loro primogenito agisce contro quello che costruiscono da anni. Noi liberiamo persone da morte certa, Lillie. Persone che mio padre e mia madre hanno fatto in modo che venissero rinchiuse; persone che secondo le regole di questo nuovo mondo non meritano di vivere.”
 
Uno spesso silenzio calò fra i due, fin quando non fu Lillie a spezzarlo: “Quindi cosa c’entra Jude?”
 
“Jude e il loro passaporto per assicurarsi che questo loro sistema continui a funzionare per molto tempo ancora; credo…” La bocca di Harry si fece asciutta e ci mise molto impegno per dare una forma ai pensieri che si erano incastrati in gola “Credo che anche se dovessi fare una brutta fine, loro farebbero di tutto per tutelare lui. Jude è al sicuro.”
Così Harry prese in braccio suo figlio e lo osservò mugugnare, lasciando che un mite sorriso illuminasse il viso intristito da quei pensieri. A quel punto, come se avesse realizzato in un sol momento, Lillie poggiò una mano sulla gamba di suo marito e a lui regalò uno dei suoi sorrisi più rassicuranti.
 
“Scusami, non volevo dubitare di te, è che questa situazione mette anche a me a dura prova, senza considerare il fatto che anche un cieco capirebbe che tua madre mi guarda con così tanto disprezzo da farmi raggelare. Credo che non mi abbia ancora gettata ammanettata nelle Terre di nessuno solo perché ho portato in grembo suo nipote!”
 
“Consolati, a mio padre piaci parecchio, sarà che vi accomunano le origini francesi.”
 
I due ragazzi liberarono una risata, per poi scambiarsi un tenero bacio; ormai raramente avevano tempo e modo di scambiarsi effusioni, specialmente per la presenza di quell’esserino dai capelli chiari, che soleva attirare tutte le attenzioni su di sé.
Per mezzo anche della sua peculiare capacità magica che sfruttava di tanto in tanto in maniera involontaria, chiaro.
 
*

 
Era successo esattamente ciò che Nadia ed Etienne avevano programmato; da quando Harry aveva lasciato la Corte, i due coniugi si erano spesi per trovare il modo di calmare l’irascibile figlia e la sua propensione alla ribellione. Quale poteva essere la mossa giusta, che non avrebbe comportato radicali cambiamenti nei loro piani di formazione nei confronti di Minerva?
Avrebbero dovuto trovare qualcuno che riuscisse a sostituire la presenza di Harry, non solo come figura di riferimento, ma anche e soprattutto come amico; Minerva aveva bisogno, come tutti i ragazzi, di persone con cui passare il tempo, confidarsi, condividere sogni e passioni; ma contemporaneamente questo qualcuno doveva guadagnarsi la fiducia dei due, provenire possibilmente da una famiglia verso la quale provavano stima.
Fu Etienne ad avere l’idea di contattare Grace Roberts; la donna era la governatrice della comune più grande adiacente alla Corte. Contava circa quattordicimila abitanti e aveva la fama di essere la meglio gestita; pare che le Sentinelle che venivano addestrate lì, fossero le più integerrime e le più spietate seconde solo a quelle della stessa Corte e ovviamente questo era motivo di grande vanto per Grace e suo marito Conrad. Quest’ultimo era un grande amico di Etienne e fu tramite lui che Nadia conobbe Grace; la donna le piacque così tanto che, dopo qualche anno passato a stretto contatto alla Corte, Nadia aveva deciso di affidarle la gestione di quella comune che sembrava essere ingestibile. Infatti, prima di Grace e Conrad, ben due governatrici avevano abdicato, rinunciando al proprio ruolo senza particolari rimpianti. Quando Grace prese in mano la situazione, aveva appena dato alla luce la sua primogenita Allison e nonostante tutto dimostrò di essere nata per ottemperare a quel dovere.
La comune di Grace crebbe e divenne famosa per la formazione del corpo delle Sentinelle, al punto che molte giovani leve da varie parti del territorio europeo venivano mandate a formarsi proprio lì.
 
Comunque dopo cinque anni dalla nascita di Allison, Grace aveva dato alla luce Enoch, che a conti fatti aveva la stessa età di Harry; il motivo per cui ad Etienne venne in mente di chiedere a Grace e Conrad di poter conoscere e ospitare il loro figlio, derivava dalle minuziose descrizioni che quest’ultimo faceva nel loro frequente scambio epistolare, che avevano scatenato la curiosità del pozionista. Enoch veniva descritto da suo padre come un ragazzo posato, elegante, mansueto sebbene niente affatto remissivo; un giovane scaltro, portato per l’equitazione che amava dialogare con chiunque attraesse il suo interesse, con una grande sete di conoscenza e, pare, uno spiccato senso dell’umorismo.
Tutte qualità, quelle, che si rivelarono vere e che ci misero poco a conquistare anche Minerva.
Quello con Enoch fu un amore che nacque di colpo, senza bisogno di passare mesi e mesi per conoscersi davvero. Bastò giusto qualche giorno, prima di scambiarsi il loro primo bacio –non è ben chiaro chi dei due fece la prima mossa- .
Enoch e Minerva divennero inseparabili e non riuscirono a nascondere a lungo la loro relazione, al punto che le due famiglie festeggiarono una sorta di fidanzamento ufficiale quando Minerva non aveva nemmeno compiuto i diciotto anni di età.
Vicino ad Enoch, la giovane futura Governatrice sentiva di essere sinceramente felice; il ragazzo divenne il suo migliore amico, il suo confidente, colui su cui sapeva di poter contare senza provare il timore di essere tradita. Amava ogni singola cosa di Enoch, persino quel suo aspetto stravagante e il suo sguardo talvolta triste, forse perché in qualche modo le ricordava quello di suo fratello.
 
“Senti, credo dovremmo sposarci.”
 
Un giorno, a diciannove anni appena compiuti, Minerva sentì Enoch pronunciare quelle parole; non era stato un gesto che poteva essere definito romantico, visto che proprio in quel momento stavano cambiando i ferri dei cavalli di proprietà della famiglia Millan. Forse per questo le venne così tanto da ridere.
 
“Ok che mi trovi buffo, ma non è molto carino da parte tua ridere così. Sono serio… ehi, smettila!”
 
Uno dei motivi per cui sentiva di amarlo così tanto era senza ombra di dubbio che Enoch riusciva a strapparle le risate più sentite. Cercò di calmarsi per quanto le fu possibile – l’immagine del suo fidanzato con la zampa di un cavallo in mano intento a pulirgli lo zoccolo non era proprio fra le più romantiche-, infine con estremo sforzo ci riuscì.
 
“Credo anch’io che dovremmo sposarci; in fondo, sai, penso di averlo sempre desiderato, da quel giorno in cui ti ho incontrato per la prima volta e ti ho sentito ridere in quel modo. Sei stato la mia prima e unica cotta, Enoch Roberts.”
 
“Anche tu te la cavi abbastanza, Minerva Millan.”
 
Quando finalmente Minerva riuscì a rimanere incinta, credeva di aver ottenuto tutto ciò che voleva dalla vita; nonostante la prospettiva di diventare Governatrice al posto di sua madre avrebbe allettato qualsiasi essere umano, in cuor suo la giovane Millan sentiva di stare a posto così. Avrebbe solo voluto vivere con serenità con suo marito e crescere la persona che si stava formando nel suo ventre nel miglior modo possibile.
La nascita di Micah, sebbene fosse anche lui un maschio, portò nuova gioia per tutti; Harry e Lillie continuavano a mantenere un basso profilo, intanto che tentavano di salvare quante più persone destinate alle Colonie o al deserto delle Terre di nessuno e l’uomo non aveva fatto parola con sua sorella di ciò che faceva con la sua compagna; per quello, ci volle qualche anno prima di un confronto fra i due fratelli, così che anche Minerva ed Enoch poterono aprire gli occhi.
Ma intanto c’era Micah, un neonato vivace, poi un bambino curioso, reattivo, tenero da far commuovere. Tenacemente attaccato alla gamba dei genitori, l’unica altra presenza che totalizzava la sua attenzione era senz’altro Jude.
Enoch e Minerva erano traboccanti di felicità e Nadia ed Etienne, sebbene nessuno dei due figli avessero dato alla luce una femmina, mostrarono amore sincero verso i nipoti che rappresentavano la promessa del proseguo della dinastia. Minerva, ormai da qualche anno, era l’ombra di sua madre, sebbene la sua indole fosse decisamente più morbida e non vedesse di buon occhio alcune scelte prese da Nadia.
Così un giorno, lasciato Micah di soli due anni a suo marito, Minerva decise di recarsi da suo fratello, intenta a confidare quella stonatura che risuonava da tempo nella testa e che lei, in mancanza di strumenti di comprensione, non era in grado di decifrare.
 
“Sono qui perché so che sei l’unica persona al mondo che non mi giudicherebbe mai e poi mai.”
 
Harry aveva fatto in modo di accogliere Minerva da solo; appena entrò in casa capì immediatamente che una sottile agitazione era presente in lei, così la invitò a sedersi, per poi porgerle una tisana fumante. Era molto tempo che loro due non si trovavano da soli, a confidarsi come quando erano poco più che bambini, ma Minerva non percepì nulla fuori posto, nonostante fosse cambiato tutto nelle loro vite.
Allungò una mano per stringere quella del fratello e parlò a bassa voce, come se avesse il terrore di farsi sentire.
 
“Sento che c’è qualcosa che non va; tutto questo tempo che passo accanto alla mamma, non so… Harry. Sono molto confusa. Ho notato degli strani movimenti e mamma certe volte sembra così arrabbiata, tanto, troppo arrabbiata. Provo a consigliarla, abbiamo anche discusso perché le ho detto che dovrebbe lasciarmi più libertà di parola, visto che tecnicamente dovrei diventare Governatrice al suo posto, ma lei mi sembra restia certe volte. “
 
Harry annuiva e lasciava che la sorella si confidasse, senza lasciare la presa della sua mano.
 
“Ho provato a parlare dei miei dubbi anche a papà, ma mi sembra sempre più chiuso nel suo laboratorio, a portare avanti esperimenti e mi sembra poco lucido, un po’ distante dalla realtà. L’unica cosa su cui insiste è che noi due prendiamo quella dannata pozione per allungare la vita. Per il resto sai, credo che mamma faccia delle cose… poco etiche, se così vogliamo dire e lui non dica nulla. Ora ci sono anche i bambini, non sei preoccupato per Jude?”
 
Harry aveva pensato a lungo se parlare o meno a Minerva del movimento di liberazione che da anni stava costruendo con Laurie. Fino a quel momento aveva deciso di lasciarla stare, non volendole addossare nessun carico e non voleva destabilizzarla, portandola a scegliere da che parte stare; ma a quel punto Harry capì che la cosa migliore da fare sarebbe stata essere totalmente sincero con lei.
Così Harry le raccontò tutto: di come erano davvero le Colonie, in quelle condizioni per il volere di Nadia stessa; quanto la gente soffrisse e quanti innocenti venissero condannati a morte certa perché non rispettavano pedissequamente le regole imposte dalla loro stessa madre.
 
“Io non so se nostra madre sia sempre stata così… so solo che è arrivata a spedire suo figlio di sedici anni alle Colonie, solo perché… beh, perché qualcosa delle mie parole non gli è andato giù. Mi ha sempre detto che l’ha fatto per farmi crescere, forgiare il mio carattere, ma se tu solo avessi visto l’orrore che ho visto io in questi anni, non crederesti possibile che nostra madre lo abbia fatto a fin di bene.”
 
Tutto, delle parole di Harry, scosse nel profondo la giovane Minerva. Possibile che lei non si fosse mai accorta di nulla? Come poteva dire di amare così profondamente suo fratello, di essere la sua più grande amica, se non era mai stata in grado di comprendere davvero quanto stesse soffrendo? A seguito delle lacrime che presero a sgorgare senza soluzione di continuità, Harry tentò di rassicurarla dicendole che la colpa non era di certo la sua, essendo stato lui stesso a premurarsi di nasconderle ciò che accadeva alla sua vita.
Parlarono a lungo, si abbracciarono e piansero come mai avevano fatto prima e quando Lillie rientrò a casa con il piccolo Jude, quest’ultimo saltò sul divano e carezzò le guance del padre e della zia, chiedendo loro perché stessero piangendo. Lo rassicurarono ed Harry spiegò al figlio che piangere non è una cosa negativa e che è null’altro che l’espressione di quello che si prova.
 
Giorni a seguire, si tenne fra fratelli e coniugi una riunione segreta, sulle sponde del lago della Corte in un punto che, ne erano certi, nessuno si recava quasi mai.
A sentire i loro discorsi, i loro piani per il futuro, assistettero solo le fronde degli alberi che si affacciavano pigri sulle acque lacustri e i pesci che si muovevano indisturbati nelle acque ancora fredde. Decisero dunque che anche Enoch e Minerva avrebbero appoggiato i cognati e avrebbero fatto di tutto per muoversi in maniera più che discreta, almeno fino a quando non sarebbe stata la stessa Minerva a ricoprire il posto di Governatrice suprema. Solo a quel punto avrebbero soverchiato il sistema marcio e corrotto che Nadia aveva costruito. Fino a quel momento, però, nessuno avrebbe dovuto scoprirli, altrimenti per loro sarebbe stata la fine.
 
 
Maggio 2164
 
 
 
“Micah! Ehi Micah! Vieni a vedere cos’ho trovato!”
 
Jude, nove anni d’età –o quasi dieci, come amava ripetere- faceva segno al cugino di raggiungerlo sotto il grande albero dove, poco prima, aveva scavato una buca per nascondere al suo interno il loro tesoro, ovvero una scatola piena di cianfrusaglie rubate in casa. Il più piccolo abbandonò la sua missione: tenere d’occhio eventuali nemici con il binocolo che gli aveva regalato il padre era la sua attività preferita, ma quando era Jude a richiamarlo, ogni cosa perdeva d’interesse. Micah corse così verso il cugino e in un batter d’occhio s’accovacciò al suo fianco, pronto a stupirsi di qualsiasi cosa egli gli avrebbe mostrato.
 
“Credo sia una collana… aspetta, sembra… sembra una medaglia!” Jude, sopracciglia aggrottate e bocca storta, cominciò a pulire la medaglietta con il lembo della maglia scura, mentre Micah tratteneva la voglia di strappare al cugino l’oggetto di mano.
 
“Cosa pensi che sia?”
 
“Credo…” Jude assottigliò gli occhi velati di grigio e prese a studiare l’oggetto con aria assorta “Credo sia una di quelle medagliette che i soldati tenevano al collo. Deve essere molto, molto antica!”
 
L’interesse di Micah andò aumentando e i suoi occhi si sgranarono, intanto che la bocca andò a produrre un verso di puro stupore. Tutto ciò che apparteneva al passato lo affascinava, se poi era Jude a spiegargli le cose, allora si poteva scommettere che Micah sarebbe tornato a casa decisamente appagato. Nessuno dei due aveva mai avuto fratelli o sorelle, per questo fu naturale che i figli di Harry e Minerva crescessero insieme, come se fossero fratelli a loro volta. E grazie alla presenza dell’altro, i bambini non avevano mai sofferto di solitudine. Jude aveva preso a cuore il ruolo di fratello maggiore, occupandosi del più piccolo e da sempre più fragile senza che la cosa gli pesasse affatto; Micah non possedeva nessun potere particolare, mentre Jude dava sfoggio delle sue incredibili facoltà che –lo stesso Etienne si era ritrovato a giudicare tali con un certo orgoglio- erano fra le più strabilianti di tutta la Corte.
Non per questo, però, Jude aveva mai fatto lo spavaldo con Micah e anzi, utilizzava il suo potere spesso in favore del cuginetto.
Micah, di suo, aveva sviluppato una predilezione per Jude, giudicandolo come il bambino più portentoso di tutta la Corte e provando un’ammirazione smodata nei suoi confronti; perché se era vero che Jude fosse un po’ sbruffone con gli altri, dandosi vanto di quanto fosse già incredibilmente potente, mai lo aveva fatto con Micah, che lo seguiva come un’ombra e pendeva dalle sue labbra.
 
Fu per tutto questo che, una volta finita di lucidare la medaglietta, Jude la allungò al più piccolo e quando quest’ultimo la prese in mano con grande stupore, Jude annuì con serietà.
 
“So che è una cosa che vuoi tanto, perciò prendila, è tua. Ora aiutami a mettere il nostro tesoro: dobbiamo fare una mappa, altrimenti rischiamo di dimenticarci dove lo abbiamo nascosto! Hai portato carta e penna come ti avevo chiesto di fare?”
 
Nel pieno della felicità, Micah spalancò la bocca in un sorriso e si affrettò a mettere la medaglietta intorno al collo, poi annuì e portò la sinistra alla fronte. “Signorsì, signor Capitano! Vado subito a prenderle!”
 
Micah si alzò di scatto e corse poco più in là, dove aveva abbondano una borsa di tela con all’interno tutto il necessario per compiere la loro segretissima missione. Fu naturale per lui afferrare il binocolo e gettare uno sguardo intorno all’area, per poi accorgersi con meraviglia di una figura ben nota che si avvicinava sempre più velocemente. Abbassato il binocolo, Micah tornò trafelato da Jude.
 
“Sta arrivando Stafford! Forse vuole giocare con noi!”
 
Sentito il nome del ragazzo più grande, il visetto di Jude si fece paonazzo, così si sbrigò a ricoprire la buca come meglio poteva. Una volta arrivato da loro il quindicenne, Jude si era già alzato in piedi, le mani sporche di terra nascoste dietro la schiena e i piedi ben piantati sopra la zolla di terra ancora fresca.
 
“Dite un po’, che cosa stavate combinando?” Disse loro con un certo divertimento a trapelare dalla voce. Micah stava per gridare con entusiasmo che avevano appena nascosto il loro tesoro, ma Jude lo precedette.
 
“Ho solo accompagnato Micah a fare una cosa. Non può certo andarsene in giro tutto da solo, capito? E tu come mai sei qui?”
 
Gli occhi di Staffy saltarono di nuovo dall’uno all’altro dei cugini; ebbe l’idea che i due avessero appena combinato qualcosa di grosso, ma la cosa non gli importava affatto. Se era lì, lo doveva a suo padre che aveva insistito tanto che si occupasse quanto più possibile dei figli dei Governatori, che lui serviva con onore da molti anni e verso i quali provava una stima incommensurata.
 
“Sono qui per voi due; sono appena tornato dagli allenamenti con le Sentinelle e vi devo riportare a casa. Forza, prendete la vostra roba e andiamo.”
 
Jude affiancò nell’immediato Stafford, mentre Micah raccoglieva con gran difficoltà le sue cose e le infilava in tutta fretta nella borsa di tela, chiedendo loro di aspettarlo. Per il più grande dei cugini, Stafford era un modello da seguire e non aveva intenzione di farsi beccare da lui a fare giochi da bambini. Così dissimulò, lanciando occhiatacce a Micah ogni qualvolta quello tentava di intromettersi nella conversazione che stavano avendo a proposito degli allenamenti del più grande.
 
“Anche io voglio diventare una Sentinella!” Gridò Jude.
 
“Anche io!” lo imitò prontamente Micah, così Staffy prese a sbeffeggiare il più piccolo, dicendogli che ci sarebbero voluti parecchi anni di allenamento per lui, prima che diventasse anche solo lontanamente decente.
 
 
18 Luglio 2168
 
Il giorno in cui Nadia Millan venne a sapere che entrambi i suoi figli erano dei traditori, il sole scaldava feroce i campi della Corte e la Magione di contenimento strabordava di criminali. Uno di loro aveva cantato con estrema facilità, nel momento in cui gli era stata fatta la promessa che avrebbe avuto salva la vita, se solo si fosse deciso a riferire chi fosse stato a liberare i suoi compagni dalla Magione. Promessa che, neanche a dirlo, fu infranta nel momento in cui Konstantin Nysberg aveva avuto il piacere di estrapolare dalla sua bocca impastata, tutto ciò che riteneva di dover sapere. Il padre di Stafford poteva essere considerato il braccio destro di Etienne, per questo quando i coniugi Millan vennero a sapere di quanto gli era stato riferito, furono colpiti in pieno e con violenza da quella che, purtroppo ne erano consapevoli, non era che la verità.
Questo non vuol dire che Nadia ed Etienne non spesero il loro tempo per fare le dovute ricerche, sperando di poter smentire le parole di quello che forse aveva raccontato una bugia tanto grossa, nel tentativo di avere salva la vita. Perché Harry e Minerva Millan erano nomi grossi, nomi ingombranti, nomi che potevano esser fatti solo allo stremo delle forze.
Così passarono i mesi, durante i quali con estrema fatica Nadia ed Etienne tentarono di non mostrare alcun tipo di turbamento, benché l’impresa fosse fra le più ardue della loro esistenza. Come era possibile che i fiori del male crescessero proprio nel loro giardino?
Nadia cercava di non pensare alla possibilità che proprio i frutti del suo grembo remassero contro di lei, mentre Etienne lentamente si spegneva, perdendo quel sorriso che gli illuminava il viso ogni qualvolta aveva a che fare con sua figlia.
Quando appurarono che fosse vero, che i loro figli e i rispettivi coniugi tramavano ogni giorno da chissà quanto tempo contro il regime, fu come se un terremoto di violenza inaudita fosse giunto a mettere a dura prova le mura del loro nido.
 
10 Ottobre 2168
 
Ottobre aveva appena preso il posto del caldo Settembre, quando Nadia fronteggiò suo marito, pregandolo di ascoltarla. Quello che la donna disse, nulla aveva a che fare con ciò che una madre avrebbe pensato: in quel momento – Etienne lo percepì con disagio e per la prima volta paura-, era la Governatrice a parlare.
 
“Deve esserci un’altra soluzione. Deve!” Gridò l’uomo, alzandosi di scatto dalla poltrona del suo studio, per poi scatenare tutta la rabbia e la frustrazione accumulate con un colpo violento, sul pianale della scrivania. Come a beffeggiarlo, il ritratto incorniciato di sua figlia vibrò.
 
“Pensi non ci abbia pensato a lungo? Ma quelli non sono i nostri figli, Etienne. Non lo sono più! Loro non avrebbero mai fatto una cosa simile, mai e poi mai.”
 
Quella notte discussero a lungo, i coniugi Millan, tanto che le Sentinelle di guardia alla loro Residenza non videro spegnersi le luci all’interno prima dell’alba.
 
Il giorno seguente, Harry e Laurie vennero catturati mentre facevano un giro di ricognizione intorno alla Corte; il loro intento era quello di andare a trovare Jude, ormai quattordicenne, al campo di addestramento delle Sentinelle.
Enoch invece fu assalito a casa propria; le Sentinelle avevano bussato alla sua porta e lui non aveva fatto nemmeno in tempo ad intuire qualcosa, tanta era stata la velocità con cui lo avevano braccato e tramortito.
In quanto a Minerva, forse fu a lei che toccò la sorte peggiore.
La ragazza era arrivata da poco alla residenza dei suoi genitori e fu Nadia in persona ad aprirle la porta, per poi condurla nel proprio studio, dove trovò due Sentinelle ad attenderla. Le ultime parole che sua madre le rivolse, prima che le donne a suo servizio potessero portarla via, le raggelarono l’anima.
 
“Pagherai per aver ricambiato il mio amore con l’odio.”
 
La Corte
6:40 pm
 
“Stafford! Ehi Stafford, aspettami!”
 
A Stafford non era mai piaciuto particolarmente Micah; lo trovava un moccioso noioso e petulante, sempre incollato a Jude, ma interessante la metà rispetto al maggiore dei nipoti della Governatrice. Ma non poteva nemmeno permettersi di mostrare sempre fastidio nei suoi confronti; per questo si fermò quando sentì il suono della sua voce e, dopo un flebile sbuffo, si girò per puntare lo sguardo in quello di Micah.
 
“Scusami ma ho da fare. Mio padre vuole che vada ad assistere all’esecuzione che si sta per tenere e non posso dirgli di no, altrimenti rischio grosso.”
 
“Quale esecuzione?!” Chiese fortemente curioso Micah, che fu prontamente deluso da un’alzata di spalle di Stafford.
 
“Non lo so nemmeno io, ma so che si tiene in gran segreto e che saremo pochi ad assistere. Dice che vuole che assista a certe esecuzioni per capire quanto in pericolo si può trovare chiunque si trovi a disertare il Regime di tua nonna. Devono essere pezzi grossi… beh, ora torna a casa, o mi farai fare tardi.”
 
Stafford gli dette le spalle intenzionato a proseguire per la sua strada, ma Micah lo tallonò.
 
“Ti prego portami con te! Voglio poter assistere anche io, guardare negli occhi chi prova a mettersi contro i miei nonni!”
 
Staffy trovò esilarante quanto appena detto dal ragazzino, al punto di esibire una delle sue rarissime quanto fragorose risate.
 
“Ma se sei solo un moccioso! Non resisteresti un secondo a guardare una roba così!”
 
“Non è vero, lasciamelo dimostrare! Non mi avete accettato fra le matricole per diventare Sentinella, ma io voglio farti vedere che ho abbastanza stomaco per diventare uno di voi! Ti prometto che non mi farò vedere.”
 
“Non scherziamo.” Il tono di Stafford tornò a farsi serio “Rischi solo di mettermi nei guai.”
 
“Oh, io non sto affatto scherzando.” Così Micah sorrise, esponendo il vistoso spazio fra gli incisivi. “Mettiamola così, tu mi porterai con te e io non dirò ai miei nonni di quelle scommesse clandestine che fate ai Mercati; guarda che non sono mica scemo, ti ho sentito quando lo hai raccontato a Jude.”
 
Stafford provò l’istinto di prendere Micah per il collo della maglietta e sbatterlo con forza contro il muro, fino a frantumare ogni singolo ossicino di quel corpo rachitico che si ritrovava. Sapeva, però, che quella non sarebbe stata di certo la scelta migliore così, dopo dei primi attimi di esitazione, mugugnò la sua risposta.
 
“E va bene, ma ti infilerai dove ti dirò io e devi promettere che se mai ti dovessero scoprire, non ti azzarderai a fare il mio nome, chiaro?”
 
“Se faccio la spia, che io possa crepare!” (1)
 
 
 
La Corte
Magione di contenimento - 6:55 pm

 
 
Era la prima volta in tutta la sua vita che Micah metteva piede all’interno della Magione di contenimento, a lui ancora severamente vietato l’ingresso in quanto troppo piccolo. Jude, che invece ci era già stato, gliel’aveva descritta come niente di che, non fosse per il grande cortile interno costruito appositamente per le condanne a morte. Suo cugino rabbrividì quando gli descrisse l’ambiente, a sua detta lugubre e con il tanfo di morte sempre presente. Va da sé che Micah era estremamente curioso di visitarlo e non si sarebbe fatto scoprire per  nulla al mondo, altrimenti chissà quando avrebbe potuto farlo.
Così attese che Stafford distraesse suo padre all’ingresso e sgattaiolò velocemente all’interno, poi attese di essere raggiunto.
 
“Sali in cima a quelle scale, non dovrebbe esserci nessuno. In cima c’è una porticina e da quella stanza puoi affacciarti per vedere la condanna. Ricorda che se ti beccano non devi provare a fare il mio nome!”
 
Il martellante battito del cuore accompagnò i passi felpati del ragazzino, che fece esattamente come gli era stato detto da Stafford. Effettivamente in cima alle scale vi era una stanza polverosa, a cui Micah dedicò solo uno sguardo fugace; in un altro contesto si sarebbe di certo soffermato a ispezionare per bene l’ambiente, ma la curiosità nei confronti dell’esecuzione aveva vinto su quella per la stanza in cui si trovava così, estremamente cauto, fece capolino dalla finestra sperando di non essere visto.
Il tramonto, finalmente, segnò l’arrivo dei pochi presenti all’esecuzione, che rimasero in piedi davanti al patibolo sul quale erano stati preparati quattro cappi; Micah fremette, quando vide gli ultimi raggi del sole ricadere proprio su di essi, nell’immaginarsi con una punta d’orrore che tramite quelle sarebbero morte delle persone.
 
“Oh, eccoli.” Mormorò fra sé non appena vide entrare nel cortile i suoi nonni; era molto distante, eppure riuscì comunque a notare che i volti dei due erano tesi e pallidi come non mai. Non capì quale fosse la ragione, non subito, almeno, perciò non poté che rimanere in silenzio, nell’attesa che i condannati a morte fossero portati all’interno del cortile.
Quando quattro figure incappucciate e con le mani legate furono portate sul patibolo dai boia, d’istinto Micah ricercò con lo sguardo Stafford, in piedi a braccia conserte accanto a suo padre, poi tornò a concentrarsi sui nonni, nello specifico su Nadia, che aveva preso la parola. La voce arida, la gola secca.
Cosa stava succedendo?
 
“Non uso assistere alle esecuzioni, ma oggi Etienne ed io siamo qui per dimostrarvi quanto amiamo tutti voi. Credetemi… “Prese un momento di pausa prima di continuare “Quando vi dico che questo dolore non si cancellerà tanto facilmente.”
 
Nadia fece un cenno ai boia, che a quel punto sfilarono i cappucci dalle quattro teste dei condannati.
Micah perse un battito. Lui non era mai svenuto in tutta la sua vita, ma percepì i sensi venire meno, quando mise a fuoco il viso dei suoi genitori e dei suoi zii. Sua madre aveva gli occhi gonfi, come se avesse appena smesso di piangere, mentre suo padre la guardava silenzioso.
 
“Cosa succede… deve essere uno scherzo, quel bastardo di Stafford… è un’allucinazione.”
 
Micah strinse le mani attorno alla mostra della finestra, terrorizzato dall’idea di fare qualsiasi altra cosa; non riusciva a muoversi, percepiva le gambe come paralizzate e un ronzio affollò la testa di bambino.
 
“Oggi una parte di me morirà con loro.” Nadia allungò una mano ad indicare Minerva ed Harry. “Non credevo che sarebbe mai potuta accadere una cosa tanto crudele. A me, a noi.” Si corresse lanciando un’occhiata verso Etienne, che non ricambiò: con lo sguardo perso in un punto indefinito, il mago non dava segni di reattività.
 
“Eppure è accaduto. A noi che abbiamo donato ogni istante delle nostre vite affinché questo mondo potesse diventare migliore, per accogliere proprio loro, i nostri figli nel miglior modo possibile. Abbiamo lavorato per costruire loro qualcosa di meglio rispetto allo schifoso mondo che ci siamo ritrovati a vivere noi. E ditemi, qual è il risultato? Loro, proprio loro ci hanno accoltellati alle spalle, coloro per cui abbiamo dato tutto.”
 
Nadia camminò fino a posizionarsi davanti a Minerva ed Harry, centrali rispetto ai coniugi. Passò un minuto buono a fissare prima l’uno e poi l’altra, fin quando non fu Harry a proferire parola.
 
“Abbiamo combattuto la tua ingiustizia, le tue mostruosità. E sappi che lo rifaremmo per altre mille vite ancora se ci fosse possibile.”
 
Minerva intervenne e per un attimo Micah credette che lo sguardo della madre incrociasse il proprio. “Noi non siamo i vostri figli…” La donna ricercò Etienne con lo sguardo, ma quest’ultimo guardava ostinatamente in un’altra direzione; vedendo che da parte dell’uomo non avrebbe avuto riscontro, tornò a fissare Nadia “Abbiamo smesso di esserlo nel momento stesso in cui abbiamo capito che razza di mostri siete. Avidi, egoisti, crudeli.” Infine sua madre ricercò lo sguardo dello zio Harry e a lui dedicò un lieve sorriso “Nessun rimpianto, mai.”
 
Micah non fu più in grado di distinguere la realtà; fece in tempo ad apprendere vaghe parole di suo padre e di sua zia, poi, di nuovo, sua nonna si rivolse a loro con un tale disprezzo che stentò a riconoscerla. Infine Nadia ordinò loro di tacere per sempre.
 
“Procedete.” Disse secca ai boia, dando le spalle ai quattro condannati.
 
“No…no… no!” Le sillabe sgorgarono dalla bocca di Micah con rabbiosa violenza. L’ultima cosa che vide, il giovane Millan, furono gli occhi dei suoi genitori che guardarono in alto, alla ricerca di quella voce tanto familiare, quanto disperata. Infine le corde si strinsero intorno ai loro colli e per Micah, non fu altro che buio. Fagocitante, terrifico buio.
 
*
 
La Governatrice e il suo consorte passarono al setaccio ogni singola persona presente all’esecuzione, per capire come diavolo fosse stato possibile che un bambino – e non uno qualunque, proprio loro nipote- fosse riuscito ad entrare nella Magione di contenimento. La prima cosa che venne in mente loro, fu la mossa di qualche nemico, che aveva fatto in modo di rendere la situazione ancor più difficile da gestire. Fatto sta che non riuscirono ad avere alcuna risposta.
Stafford ovviamente tenne cucita la bocca, consapevole che se avesse detto al padre che era stato lui a far entrare Micah Millan nella Magione di contenimento, probabilmente sarebbe sopravvissuto a stento alle terribili punizioni corporali che avrebbe ricevuto.
Comunque, qualunque fosse stata la persona che aveva permesso che Micah assistesse alla condanna dei suoi genitori e zii, il danno era fatto. Appena avevano sentito le sue urla disperate, Etienne e Nadia avevano puntato l’attenzione sulla finestra dalla quale si era affacciato il nipote; fu Etienne a ritrovarsi in un batter d’occhio proprio lì, a prendere in braccio Micah che aveva perso i sensi, mentre i corpi dei suoi figli ancora oscillavano sulla forca.
Micah venne immediatamente portato a casa loro e lì venne trattenuto per giorni; intanto il loro piano doveva andare avanti, ragion per cui Jude era stato prelevato da un paio di Sentinelle che lo avevano condotto da Nadia in persona la quale, con occhi ancora spiritati per quanto successo, gli aveva detto che, purtroppo, i suoi genitori e quelli di suo cugino erano stati ritrovati senza vita poco fuori dalla Corte.
La reazione di Jude, nemmeno a dirlo, fu devastante; sebbene con una strana compostezza –quel ragazzo sembrava già adulto e a Nadia ricordò immediatamente suo figlio Harry-, Jude pianse senza riuscire a trattenersi e dopo pochi istanti il suo primo pensiero andò al cugino.
 
“Dove sta Micah?! Voglio andare da lui, voglio essere con lui quando glielo direte! Io non lo posso lasciare da solo, lui è fragile! Nonna… nonna…”
 
Così Nadia strinse le mani di suo nipote e trattenne il respiro; trovò, sebbene con grande fatica, il coraggio di guardare negli occhi quel ragazzo già tanto più alto di lei e dette voce alla messinscena che avevano concordato poco prima con suo marito.
 
“Tesoro ascolta… Micah purtroppo è già a conoscenza di quanto è successo. È sotto shock… temo che non sia possibile per te vederlo. Devi sapere che è capitata una cosa davvero orribile al nostro bambino.”
 
Così Nadia raccontò a Jude che era stato proprio il povero Micah a ritrovare i corpi esanimi dei loro genitori. Pare che il ragazzino fosse sgattaiolato di nuovo fuori dalle mura e si fosse imbattuto in quel terribile evento; probabilmente vittime di qualche facinoroso che aveva voluto dimostrare qualcosa al Regime, aveva concluso la donna. Jude associò i suoi occhi lucidi e il visibile stordimento, al tragico evento; del resto sua nonna aveva appena perso entrambi i suoi figli e il suo nipote minore era quello che li aveva ritrovati.
 
Durante i giorni seguenti Etienne, ancora sotto shock anche lui ma consapevole di dover procedere in tal senso, iniziò un difficile lavoro su Micah; il ragazzino si rifiutava di mangiare, gridava contro di lui e sua nonna, piangeva disperato e si tratteneva raramente dal farlo. Il mago si munì di pazienza e cominciò ad instillare nel nipote il falso ricordo che avrebbe portato avanti la loro tesi.
 
Ma vie, ora cerca di calmarti. Il nonno e la nonna non potrebbero mai aver fatto una cosa del genere a mamma e papà. Noi… noi li amavamo, li amavamo così tanto… “ riprese “No, purtroppo sta accadendo una cosa prevedibile: la tua mente ti sta tutelando, Micah. Avrai sentito qualche brutto racconto e ora ti stai convincendo di aver visto l’esecuzione dei tuoi genitori, ma non è così.”
 
Etienne spiegò a Micah che era stato lui stesso a ritrovare genitori e zii; cominciò a indurgli dei falsi ricorsi, descrivendogli come erano vestiti i genitori, specificando che Minerva ed Enoch si tenevano per mano. Gli faceva delle domande, come davvero non ti ricordi di essere passato dal cancello ovest? Ci hai portato tu lì, dietro a quel grande cespuglio di rovi. Tenta di ricordare, Micah. Provaci.
E il giorno successivo accade di nuovo, e quello dopo ancora, fin quando il falso ricordo non sostituì davvero quello vero, nella mente sovraccarica dell’undicenne.
Quando fu permesso a Jude di incontrare Micah, la prima cosa che fece fu di abbracciarlo con tutta la forza che aveva e Micah, anima distrutta, ricambiò fra i singhiozzi disperati. Raccontò a Jude cosa era successo, o almeno quello che credeva fosse realmente successo e Jude gli disse di non preoccuparsi, che non erano soli perché c’erano i loro nonni a prendersi cura di loro, ma specialmente c’erano l’uno per l’altro.
Da quel momento sarebbero stati sempre insieme e avrebbero affrontato il mondo fianco a fianco, come due veri fratelli.
 
*
 
 Aprile 2174
 
 
“E in quello lassù vedo un veliero. Immenso e pieno di vele!”
 
Alida guardava il cielo con una certa curiosità, con le mani allacciate sopra la pancia; quando Micah nominò quella parola, non riuscì a trattenere una risata.
 
“Ma quale veliero! Ma come ti è venuto in mente, poi!”
 
Il ragazzo sgranò gli occhi e roteò subitamente la testa in direzione dell’amica “Impossibile che tu non riesca a vederlo. Guarda poi, ha anche una sirena che spunta sulla prua!”
 
“Si certo, ci mancano le sirene. Stai studiando troppo ultimamente, dovresti prenderti una pausa.”
 
Il sorriso che si era formato con spontaneità sul viso scavato, morì con estrema rapidità. Con un sospiro e un colpo di reni, Micah sedette, per poi darsi un’altra spinta ed alzarsi in piedi. Alida rimase per qualche istante a guardarlo interdetta, prima di imitarlo nel gesto e posargli una mano sull’avambraccio. “Ehi, ho detto qualcosa di sbagliato?”
 
Micah scosse il capo e tentò di sorridere di  nuovo “Macché, solo che purtroppo devo tornare a studiare davvero, o mia nonna si farà venire una sincope se non mi vede.” A quel punto il ragazzo allungò il braccio per cingere le spalle di Alida “E devi rientrare anche tu, se non vuoi finire nei guai.”
 
La giovane strega annuì, sospirando a sua volta prima di compiere un pezzo di strada con Micah. A pensare alla vita di lui, provava sempre una stretta allo stomaco; nonostante la sua esistenza fosse totalmente devoluta in favore della Governatrice, le veniva naturale provare pena per il suo amico, che era costretto a seguire le orme di Nadia senza volerlo. Micah, lei lo sapeva bene, avrebbe sempre voluto diventare una Sentinella come Jude, ma questo non gli era mai stato concesso. Doveva invece studiare, apprendere la magia, diventare un grande stratega, visto e considerato che un giorno sarebbe diventato Governatore della Corte e di conseguenza del mondo tutto. Che pensiero spaventoso.
Micah, invece, non era attratto dal potere. Aveva sempre pensato che Jude sarebbe stato molto più capace di lui, in una posizione di comando. E non troppo ironicamente, spesso aveva detto al cugino che ci doveva pur essere un motivo se era nato con un potere del genere, capace di piegare alle proprie volontà qualsiasi essere vivente al mondo.
 
Invece Jude era diventato una Sentinella e senza alcun tipo di stupore da parte di nessuno, una delle più capaci. Aveva solo vent’anni, ma fra le mani stringeva un potenziale esplosivo. Questo, però, lo stava rendendo sempre più solo e Micah ne soffriva molto, perché sapeva quanto Jude fosse meritevole di rispetto, stima, ma specialmente amore. Jude era un ragazzo capace anche senza quel suo strabiliante potere, ma quasi nessuno sembrava capirlo, in primis i loro nonni che spesso e volentieri lo trattavano più come un fenomeno da baraccone, che come il loro nipote, bravo e lodevole.
Fortuna, pensò Micah in quel momento mentre ancora stringeva il braccio sulle spalle di Alida –erano sufficientemente lontani dal centro abitato della Corte quindi poteva permettersi quel contatto intimo-, Jude aveva accanto persone come quella testolina bionda che era al suo fianco; poi c’erano Andra e Stafford, quest’ultimo che dimostrava di tenere davvero alla sua formazione. E anche se non ci fosse stato nessuno di loro, Jude poteva comunque contare su di lui, che mai e poi mai lo avrebbe abbandonato e che avrebbe continuato a ripetergli quanto fosse speciale per tutto il resto della loro vita.
 
“Sento i pensieri sfrecciare nella tua testa, Sonne.”
 
Micah sfoderò un mite sorriso e arrestò il passo. Non si era reso conto che a forza di camminare, erano giunti ai margini del lago, sulla sponda opposta a quella che ospitava un grande cottage di legno. E proprio sulla struttura finì lo sguardo chiaro del ragazzo, che allungò un braccio per indicarlo.
 
“Quello lì è un posto speciale. I miei nonni lo avevano fatto costruire per loro, ma poi hanno preferito un posto meno soggetto all’umidità, per costruire casa loro. Però io e Jude la adoriamo e presto ci andremo a vivere noi.”
 
La ragazza osservò il cottage, poi annuì. “Ci sono passata molte volte davanti e mi sono sempre chiesta perché non fosse abitato. Strano, non mi è mai passato per la mente di chiedere a te o a Jude.” Alida prese una pausa, infine spostò l’attenzione su di Micah, andando a ricercare il suo sguardo.
 
“Siete molto fortunati, anche a me piacerebbe vivere in un posto così, sai?”
 
“Beh, ma tu sarai sempre la benvenuta quando ci trasferiremo lì. Sono sicuro che anche Jude sarà contento di avere la tua fastidiosissima presenza in mezzo ai piedi.”
 
“Ehi! Io non sono fastidiosa!”
 
“Possiamo anche negare la realtà se la cosa può in qualche modo confortarti.”
 
Micah schivò il pugno che Alida aveva tutta l’intenzione di indirizzare alla sua spalla destra, così prese a correre, ma non al massimo della velocità, consapevole di avere le gambe ben più lunghe di quelle di lei.
Che poi a dirla tutta, non aveva nessuna intenzione di non farsi prendere.
 
 
Ottobre 2177
 
Se Jude avesse saputo che stava portando avanti una comunicazione epistolare con una ladra di bacchette, sarebbe rimasto scioccato, senza ombra di dubbio. Il fatto è che da quando Juliette –così si chiamava- lo aveva salvato, qualcosa nella sua testa aveva cominciato a cambiare. Stafford era sempre stato fedele al Regime di Nadia, anche se più per l’educazione impartitagli dal padre che per un reale moto spontaneo; fatto sta che a ventotto anni stava mettendo in dubbio tutto: dalla sua educazione, per l’appunto, alla sua intera vita come Sentinella e tutor di Jude.
Era ormai giunto alla conclusione, Stafford, che anche se non era affatto convinto che i Ladri di bacchette agissero per il meglio, comunque il sistema che la Governatrice Nadia aveva messo in piedi, fosse malfunzionante in alcuni ma fondamentali meccanismi. Questo a prescindere di cosa pensasse delle Sentinelle e della tipologia di addestramento che si trovavano ad affrontare, perché in fondo quello in cui vivevano era un mondo crudele e spietato, e altrettanto spietata doveva dunque essere la preparazione per la sopravvivenza.
Così, che fosse colpa o merito di Juliette non aveva la capacità di comprenderlo, arrivò il giorno in cui Stafford Rowley-Nysberg decise di abbandonare la Corte e con essa la sua intera vita.
 
Ma prima di fuggire, Stafford si sentì in dovere di liberare quel segreto che aveva trascinato con sé per dieci lunghi anni; in fondo sebbene non fosse il più grande fan di Micah Miller e preferendo di gran lunga Jude a lui, sapeva bene quanto quell’evento traumatico –rimosso e modificato- avesse in qualche modo cambiato la sua vita. Stafford riteneva inoltre che a vent’anni, una volta saputa la verità sulla fine di genitori e zii, Micah avrebbe davvero potuto scegliere la via migliore per sé.
E va aggiunto, evento di non poca rilevanza, che una parte di lui si sentiva incredibilmente in colpa per quanto successo, perché se non fosse stato per lui, Micah Millan non avrebbe mai assistito alla condanna a morte di Minerva ed Enoch –condanna al tempo ritenuta da lui anche giusta, ma che con il passare degli anni Stafford aveva in qualche modo rivalutato-.
Quindi, in un ultimo quanto eroico gesto prima di darsi alla fuga, Stafford aveva dato appuntamento a Micah, raccomandandosi di raggiungerlo da solo, cosa che il ragazzo fece.
 
Quando Micah arrivò ai confini della zona paludosa delle Terre di Nessuno, trovò Stafford con una sacca sulla mano destra, che lo attendeva con aria rilassata; era il crepuscolo, il che lasciò intendere al più giovane che ci fosse qualcosa di molto strano nell’atteggiamento del maggiore.
 
“Stai partendo per qualche missione?” Chiese retoricamente Micah, che non si stupì affatto quando l’altro gli rispose che, in verità, stava per lasciare per sempre la Corte.
 
“Prima di farlo, credo di doverti qualcosa. È probabile che non mi crederai e che delicato come sei, potresti non reggere a una simile notizia.”
 
Non ci furono parole più o meno adatte per rivelare a Micah la verità sulla morte dei suoi genitori, o almeno Stafford non ne aveva trovate. Inizialmente il nipote della Governatrice sfoderò una bella risata, chiedendogli che razza di scherzo fosse mai quello, ma contestualmente alla serietà del suo volto, rammentò quanto Staffy non fosse affatto una persona di spirito.
 
“Mi stai dicendo che quello che ricordo sulla morte dei miei genitori è una menzogna? No, non è possibile.” Ancora una risata, ma questa volta decisamente più flebile e meno convinta della precedente “Fidati, ricordo perfettamente i corpi dei miei genitori accanto a quelli dei miei zii; è un’immagine che non mi toglierò mai più dalla mente.”
 
Stafford a quel punto scosse vigorosamente il capo “Io c’ero quel giorno. Sono stato io a farti entrare nella Magione di contenimento, è per colpa mia che hai visto i tuoi nonni condannare a morte tuo padre e tua madre.”
 
A quel punto il buio stava fagocitando l’intera area, così Stafford affermò che il suo tempo fosse scaduto.
 
“Se ancora non ci credi, puoi sempre andare a leggere il libro su cui vengono segnate tutte le condanne a morte avvenute nella Corte. Lo puoi trovare proprio nella Magione di contenimento, ormai sei grande abbastanza per andarci da solo.”
 
Micah si rifiutò ancora di credere a quanto gli aveva appena riferito Stafford, sebbene l’idea di andare a controllare il registro gli stuzzicasse la mente. Stafford, di suo, alzò le spalle con stentata rassegnazione. “Io ti ho avvisato, ora la mia coscienza è libera. Fai pure ciò che ritieni più giusto per te, ma se vuoi accettare un ultimo consiglio da parte mia, smetterei di fidarmi tanto ciecamente dei tuoi nonni. Mettili in discussione, fallo per Jude.”
 
Un rapido cenno della mano, così Stafford scomparve nell’oscurità delle Terre di Nessuno, mentre Micah ne seguiva la figura con lo sguardo chiaro, fin quando questa non venne assorbita dal nero più profondo.
Tornando a casa fu impossibile frenare i pensieri e dopo aver passato le prime ore della notte a tentare di prendere sonno, decise che lo avrebbe fatto: il giorno a seguire avrebbe trovato il modo di accedere a quel registro e solo con quel pensiero, finalmente il ragazzo riuscì a prendere sonno.
 
La mattina aseguente Micah non esitò a recarsi alla Magione di contenimento, con l’intenzione di recuperare quel maledetto registro di cui Stafford gli aveva parlato. Non gli fu difficile intortare la Sentinella a guarda della piccola biblioteca presente all’interno dell’edificio, d’altronde lui era il nipote di Nadia e colui che avrebbe preso il suo posto come Governatore; in tal senso, Micah aveva carta bianca e si spostava sempre con grande libertà all’interno della Corte.
Riuscì a recuperare il registro, che sfogliò con estremo coraggio solo una volta trovatosi nella solitudine della piccola radura adiacente al cottage che sarebbe diventato presto casa sua. Tornò indietro, fino al dieci ottobre del 2168, lo fece con estrema fatica, mentre percepiva il palato farsi arido e la sudorazione aumentale, assieme al ritmo cardiaco. Infine quando il suo sguardo ricadde sulla pagina, sentì il cuore saltare un battito.
Nessun nome era presente alla data della scomparsa dei suoi genitori. Allora che cosa era successo? Perché Stafford gli aveva raccontato che le cose fossero andate diversamente? Era un modo sadico per applicare una vendetta per sua nonna, forse? 
“Non capisco…è tutta una bugia forse, come è possibile…”
 
Micah lasciò che il registro gli scivolasse dalle mani e rimase così, col respiro sospeso e la brutalità della realtà a prenderlo a pugni. Eppure lui ricordava il corpo dei suoi genitori. Erano lì, a terra, legati e freddi proprio come i suoi zii. Ricordava gli occhi scuri di suo padre Enoch, così come quelli vitrei di suo zio Harry.
E quelli di sua madre, così… vivi.
No, i ricordi non tornarono alla mente con velocità, ma con minuscoli passi. Micah si sforzò di ricordare, di ritornare a quel giorno in cui aveva incontrato Stafford, in cui voleva seguirlo. Ma Stafford gli aveva detto di no, e allora lui che aveva fatto?
E poi, d’improvviso, l’immagine dei corpi dei quattro che si faceva sempre più sbiadita, sempre più difettosa.
Tornò ancora indietro: era uscito di casa, aveva incontrato Stafford, lui gli aveva detto che stava per andare a un’esecuzione importante, non lo voleva con sé. Ancora il vuoto, di nuovo i corpi dei suoi genitori.
Di nuovo indietro: incontrò Stafford, lui stava andando ad assistere ad un’esecuzione, era suo padre che lo voleva. Non sapeva chi stesse per morire.
 
Portami con te!
Non se ne parla, mi metterai nei guai!
 
Ma ecco, l’immagine di una forca, quattro cappi, poi di nuovo l’immagine dei suoi genitori e dei suoi zii. Ma questa volta erano in piedi, vivi.
Sentiva come se la testa stesse per scoppiare da un momento all’altro, ma non poteva permettersi di fermarsi proprio in quel momento, quando qualcosa si stava smuovendo.
 
Jude cercò suo cugino in lungo e in largo. Aveva dato ordine a chiunque di interrompere quel che stavano facendo, per poterlo trovare. Ci mancava solo Micah, aveva pensato Jude indispettito, anche se una parte di lui era seriamente preoccupata per il cugino, che era scomparso da ormai un giorno intero. Il giorno precedente avevano lanciato l’allarme per la scomparsa di Stafford, che chissà che fine aveva fatto.
Quando Jude lo ritrovò, Micah era seduto davanti la porta di quel cottage, semi nascosto dal buio della notte. Se ne stava immobile, con lo sguardo perso a contare le fessure nascoste fra il legno degli scalini su cui era seduto.
 
“Micah, ehi Micah, che è successo?”
 
Jude sedette accanto al cugino, per poi cingergli le spalle con un braccio; era gelido, chissà da quanto tempo si trovava lì, in quella condizione. Inizialmente Micah non reagì; si limitò a chiedere a Jude di mandare via le Sentinelle lì presenti e solo una volta rimasti soli, allora Micah incastrò gli occhi glaciali in quelli del cugino.
 
“Devo dirti una cosa, ma i nonni non devono sospettare di nulla, o per me è la fine.”
 
*

 
“I ricordi sono ancora confusi, ma credo… credo che le cose siano andate così.” Poi le parole gli morirono in gola e un singhiozzo ininterrotto schizzò dalla bocca; Jude, dal canto suo, era raggelato. L’unica cosa che il ragazzo fu in grado di fare, si concretizzò con un abbraccio intenso; nell’immediato l’idea di quello che Micah aveva potuto subire e che quel ricordo –seppur sottotraccia- aveva potuto provocare in lui, lo faceva sentire male. Jude non era diventato una persona in grado di provare affetto per molte persone, ma il suo amore nei confronti del cugino non era mai stato messo in discussione e mai come con Micah sentiva di provare quei livelli di empatia.
Lo teneva stretto e carezzava la sua nuca di capelli scuri, perché nient’altro era in grado di fare, perché troppi orribili pensieri stavano occupando la sua testa.
Cosa avrebbe dovuto fare?
Aveva appena scoperto che le persone che avevano cresciuto lui e suo cugino, erano i fautori della morte dei genitori. Mani macchiate di sangue, quelle di Etienne e Nadia, per giunta il sangue dei loro stessi figli; che cosa sarebbe successo se avessero scoperto che Micah aveva recuperato i ricordi?
Jude aveva bisogno di pensare: in quel momento non gli era possibile abbandonarsi al dolore e alla rabbia; i suoi nonni erano potenti e dalla loro avevano un intero popolo, pronto a scagliarsi contro di loro che, con ogni probabilità, avrebbero fatto la stessa fine dei loro genitori.
E se quello era un destino che, tutto sommato, poteva accettare per se stesso, mai la stessa cosa poteva valere per Micah. Aveva solo vent’anni, aveva passato nove anni della sua vita a sentire sulla schiena una responsabilità che non voleva, con un ricordo atroce tanto quello reale a corrodergli la testa; ora era giunto il momento che Jude facesse qualcosa per lui. Doveva comportarsi da fratello maggiore, dandogli la possibilità di fuggire dalla Corte.
E Jude sapeva bene che per fare in modo che quello accadesse, per dargli il tempo sufficiente per salvarsi, avrebbe dovuto sacrificarsi lui; insomma, i suoi nonni dovevano concentrarsi su Jude, di modo che Micah potesse allontanarsi senza essere seguito nell’imminente.
 
“Ehi, stammi a sentire. Ora smetti di piangere, ci penserò io.”
 
Micah riuscì a trattenere a stento quel pianto a dirotto e tentò di capire che cosa Jude avesse in mente di fare, ma quest’ultimo gli disse solo che doveva prima di tutto calmarsi, perché Nadia ed Etienne non dovevano sospettare nulla. Avrebbero fatto ritorno a casa e lui avrebbe dovuto prepararsi per lasciare la Corte.
 
“Ma tu verrai con me, non è vero?”
 
“Certo che verrò con te. Fidati di me.”
 
*
 
Ai coniugi Millan dissero che Micah doveva avere incontrato qualche strano animale fantastico che lo aveva confuso; Jude asserì che proprio un paio di giorni prima era stata avvistata uno stormo di creature volatili aggirarsi intorno alla zona sud della Corte e che più di una Sentinella ne era rimasta stordita. Così spiegarono lo strano –quasi catatonico- comportamento del ragazzo, che passò i successivi due giorni barricato in camera, uscendo solo di tanto in tanto per mangiare qualcosa.
Intanto Jude si stava preparando per affrontare suo nonno; non poteva, infatti, parlare anche con Nadia, perché era consapevole che insieme i due lo avrebbero messo velocemente all’angolo.
Quel che fece, fu tentare di rimanere il più sereno possibile, almeno all’apparenza e attendere qualche giorno prima di recarsi da Etienne, il tempo almeno di dare la possibilità a Micah di prepararsi per allontanarsi dalla Corte.
 
“Posso entrare?”(2)
 
Etienne, sguardo chino su un qualche strano intruglio, fece cenno a Jude di farsi avanti, così il ragazzo attese che il nonno gli prestasse attenzione. Etienne alzò infine lo sguardo preparando un largo sorriso in favore di Jude, ma nell’istante stesso in cui incrociò il suo sguardo, il sorriso morì con velocità.
 
“Non ti vedo bene, è successo qualcosa?” Preoccupato, Etienne chiese al nipote di sedersi. Jude trasse un profondo respiro, si assicurò che al di fuori del laboratorio di Etienne non girovagasse nessuno, infine si decise a parlare.
 
“So cosa è successo davvero a papà, mamma e agli zii.”
 
La schiettezza del nipote arrivò violenta al suo animo e per Etienne non fu affatto difficile associare l’immagine di Jude a quella di Harry.
L’unica cosa che contemplò di fare, fu di mentire spudoratamente; era ciò che Etienne aveva fatto con Jude e Micah per nove anni, non avrebbe di certo smesso in quel momento.
 
“Scusami Jude, non ti seguo.”
 
“Prevedibile.” Soffiò il ragazzo, che accompagnò quella secca parola con un sorriso tetro “Ma vedi nonno, non ho voglia di iniziare questo gioco puerile in cui io ti racconto dei fatti e tu menti, e io insisto, e tu menti di nuovo… che ne dici se saltiamo quella parte?”
 
“Ti vedo molto scosso, spiegami che cosa è successo e farò in modo di aiutarti come posso.”
 
“L’unico modo in cui puoi darmi una mano, è non prendermi in giro. Qualsiasi altra cosa puoi anche lasciarla perdere. “
 
Etienne pensò con rapidità; per deduzione giunse alla conclusione che sarebbe stato meglio far parlare Jude, perché se non aveva idea di ciò che veramente sapeva, non avrebbe potuto smentire sensatamente. Così lo fece parlare e dovette trattenersi dal mostrarsi sconvolto, quando Jude gli raccontò per filo e per segno del giorno dell’esecuzione dei suoi ragazzi.
 
“E non chiedermi chi me lo ha detto, ti basti sapere che è una fonte sicura.”
 
Per un qualche miracolo ad Etienne non venne in mente Micah, piuttosto fece un’associazione semplice, quanto perfettamente funzionate, il giorno dell’esecuzione era presente anche il giovane Stafford Rowley-Nysberg che, casualmente, era sparito da qualche giorno dalla Corte. Era possibile che fosse stato proprio lui a rivelare a Jude cosa fosse realmente successo quel giorno? Etienne poteva praticamente metterci la mano sul fuoco.
 
“Jude, per piace… ascoltami.”
 
“No, nonno, sarai tu ad ascoltare me.”
 
Jude spiegò ad Etienne che non aveva la minima intenzione di lasciare Micah in balia dei loro deliri di onnipotenza; se fino a quel momento il minore dei cugini era stato l’ombra di Nadia e aveva seguito pedissequamente le sue regole, affinché lei potesse plasmarlo a suo piacimento, le cose sarebbe presto cambiate.
 
“Micah non è un giocattolo, una marionetta da piegare e gestire come più vi fa comodo. Micah è vostro nipote, che ha sofferto più di tutti noi e che andava solo protetto, invece voi l’avete solo sfruttato.”
 
Jude percepì la rabbia montargli dentro. Fino a quel momento quel sentimento non l’aveva mai fatta da padrone nella sua persona; eppure quella cresceva sempre più e il pericolo d’esplosione era imminente. Etienne dovette accorgersi di questo cambio repentino del nipote e tentò di bloccarlo, ma Jude non volle sentire ragioni: continuò a parlare obbligando il nonno a tacere.
 
“Non hai diritto di proferire una sola altra parola. Tu hai fatto uccidere i miei genitori, i tuoi figli, sei… sei mostruoso. Entrambi lo siete.”
 
Mantenere la calma in quel contesto non era affatto facile. Etienne aveva tentato di sotterrare quel ricordo per anni, perché non c’era giorno in cui una parte di lui non sentiva di essersi pentito di ciò che aveva fatto, nonostante i suoi figli avessero agito contro di lui e contro Nadia, l’amore della sua vita.
Per questo ascoltare le parole di Jude era doloroso, estremamente difficile, quasi impossibile invero.
 
“Quel che farò sarà andare da Micah, parlargli di quello che ho scoperto e poi lo farò allontanare dalla Corte, tanto sono sicuro starà meglio nelle Terre di Nessuno che fra le mura della vostra prigione. Dopodiché mi occuperò di voi; so bene che non posso fare davvero qualcosa per ostacolarvi, ma ho quantomeno bisogno di tutelare lui, che non si merita tutto questo.”
 
Aveva fatto intendere a suo nonno che Micah fosse all’oscuro di tutto, era stata la cosa migliore da fare. A quel punto Jude allungò una mano per afferrare la propria bacchetta all’interno della giacca del suo completo.
 
“Era solo un bambino.” Mormorò disgustato, ma prima che lui stesso potesse essere in grado di compiere qualsiasi magia, Etienne sfoderò il proprio legno, lo puntò contro Jude e lo immobilizzò con un incarceramus.
 
Agitarsi fu totalmente inutile da parte sua. Etienne osservava affranto il corpo di suo nipote tentare di dimenarsi, mentre lui pensava alla cosa migliore da fare. Poteva usare l’incantesimo di obliviazione, ma lo aveva escluso con Micah al tempo, ritenendolo pericolosamente reversibile, sarebbe stato sciocco utilizzarlo in quel momento con Jude.
Allora passò lo sguardo sulla grande vetrina contenete le sue pozioni, fin quando lo sguardo non ricadde su una boccetta di vetro blu.
La afferrò e mentre la rigirava fra le dita, pensò che fosse la cosa migliore da fare con suo nipote; a quel punto Etienne piroettò su se stesso e si avvicinò cautamente a Jude, che manteneva su di lui gli occhi sbarrati.
 
“Questa è una pozione contenente veleno di Swooping Evil(3). Ti cancellerà i ricordi negativi e sarà come se tutto questo non fosse mai successo. Tu padre e tua madre, i tuoi zii… loro morirono per mano di alcuni nostri nemici e fu tuo cugino a trovarli, ma è stato tanto tempo fa. Non crederai a nessuno che ti dirà il contrario, hai capito Jude?”
 
Jude tentò di combattere fino al momento in cui Etienne non spinse la fiala della pozione nella sua bocca, costringendolo a berne il contenuto. Per quanto frustrante potesse essere, il ragazzo abbandonò i reali ricordi con una speranza, seppur minima. Perché sapeva che Micah si stesse preparando per andarsene e lui stesso lo aveva tutelato, non rivelando ad Etienne che era stato proprio suo cugino a ricordare quanto successo quel dieci ottobre di nove anni prima.
 
Imperius.”
 
Etienne concluse la sua opera con quella che un tempo veniva definita maledizione senza perdono.
 
“Ti recherai da chiunque ti ha rivelato le falsità riguardante la morte dei tuoi genitori e difenderai me e tua nonna ad ogni costo. Hai capito?”
 
“Ho capito.” Si trovò a ripetere Jude contro la sua volontà, poi abbandonò lo studio di Etienne, lasciando l’uomo a fare i conti con un passato che era tornato a bussare alla porta con prepotenza.
 
*
 
Oramai Micah aveva pronta ogni cosa gli sarebbe stata utile per scappare dalla Corte; aveva messo in uno zaino lo stretto indispensabile per sopravvivere fino ai Mercati più vicini, poi aveva preso con sé il diario di suo padre, un ritratto di sua madre e un amuleto che gli aveva fatto Alida e che, a detta della ragazza, sarebbe stato utile a tenerlo lontano da ogni guaio –sempre che l’avesse portato con sé giorno e notte-. Ovviamente custodiva la sua bacchetta nella tasca interna della giaccia e si era premurato di rubarne anche un’altra dallo studio di sua nonna, assieme a un paio di pistole sufficientemente leggere e maneggevoli.
Ormai non gli restava che attendere Jude, che gli aveva detto di aspettarlo al loro posto segreto –quel lato del lago che nessuno frequentava-, così Micah obbedì. Finalmente Jude arrivò all’appuntamento, proprio quando Micah stava per perdere la lucidità e cedere all’impazienza.
 
“Finalmente sei arrivato! Allora come è andata?”
 
Qualcosa nello sguardo di Jude non gli quadrò. Il cugino sembrava assente, come se non fosse davvero presente a se stesso. Micah fu costretto a ripetere la domanda per una seconda volta, prima che il maggiore dei cugini gli rispondesse.
 
Umh? Andata cosa?”
 
“Devi essere te a dirmelo.” Rispose Micah, che prese a grattarsi meccanicamente un gomito, investito d’improvviso da uno sgradevole senso di disagio.
 
“Non capisco a cosa ti riferisci.”
 
“Beh ecco… dovevi parlare con lui, no? Con il non…con Etienne di quanto successo. Jude, ma si può sapere che hai?”
 
Jude alzò la destra e andrò a stringe l’incipit del naso, come se un forte mal di testa fosse giunto all’improvviso.
 
“Non ho niente, però non so di cosa parli e ho molto da fare, si…”
 
“Ma cosa stai dicendo!” Micah si posizionò davanti al cugino che conseguentemente afferrò per le spalle “Dovevi parlargli della morte dei nostri genitori, della condanna a morte che gli è toccata per mano loro! Ora ti è più chiaro?” Micah assottigliò lo sguardo e si ritrovò a pensare che ci fosse qualcosa di davvero ambiguo nello sguardo pallido di Jude. Quando quest’ultimo ascoltò il racconto di Micah, lo allontanò con un gesto brusco, tale da prendere il cugino in contro piede.
 
“Ma che cazzo vai dicendo, eh? Possibile mai che tu dia retta ai discorsi di uno come Stafford?”
 
“Jude… Stafford è il tuo mentore.”
 
“Ed è un maledetto disertore!” Gridò a quel punto il maggiore “Ti sei reso conto che è scappato qualche giorno fa? Probabilmente ti ha raccontato queste stronzate per metterci contro i nonni, per fare in modo di creare qualche grosso casino all’interno della nostra famiglia! Possibile che tu sia così ingenuo?”
 
A Micah cominciava ad essere chiaro che fosse successo qualcosa a suo cugino, che stava avendo in quel momento una reazione non solo sconsiderata, ma anche totalmente opposta a quella avuta fino a qualche ora fa. Jude sembrava cambiato, diverso, come se anche a lui fossero stati modificati i ricordi. Ma se questo era possibile con un ragazzino fragile come lo era stato lui, traumatizzato da un evento aberrante come quello al quale aveva assistito, la stessa cosa non sarebbe stata possibile con un adulto; Jude aveva ventitré  anni, non si sarebbe mai fatto manipolare da Etienne, a meno che… quello non avesse usato la magia su di lui.
Allora Micah tentò una nuova forma di dialogo con Jude, ripercorrendo quanto successo solo qualche giorno prima e dicendogli quanto fosse stato strano che sul registro della Magione di contenimento, la pagina dedicata al dieci ottobre del 2168 fosse rimasta immacolata, non registrando nemmeno un’entrata o un’uscita.
Questo purtroppo non fece che scatenare una rabbia profonda in Jude, che aggredì Micah con violenza, arrivando a spintonarlo.
 
“Tu sei un vero idiota! Non capisco come sia possibile che nostra nonna voglia affidare a te il Governo della Corte; sei così stupido e ingenuo che finirai per farci saltare in aria!”
 
“Ti prego Jude, non sei in te…” Micah tentò di allungare una mano per afferrare con conforto il braccio del cugino, ma Jude non glielo permise. Quel che fece invece fu tirarsi indietro ed estrarre la pistola dalla fondina, per poi puntargliela contro.
 
“Oh, io sono lucidissimo, ma sono stufo di doverti stare dietro. Dovrei essere io il tuo braccio destro? Davvero? Tu che vai in giro a raccontare queste cose sulla nostra famiglia, dovresti sostituire la nonna? Sai che c’è Micah… faresti un favore a tutti se sparissi dalla circolazione. Mi eviteresti l’imbarazzo di portarti dai nonni e dare loro spiegazioni su questa cosa.”
 
“Senti Jude, prendiamoci tempo. Dammi solo il modo di capire che cosa ti hanno fatto, perché è chiaro che qualcosa deve essere accaduto poco fa.”
 
La risposta di Jude, per volere della maledizione Imperius, fu quella di caricare il grilletto della pistola. A quel punto Micah si paralizzò; si rese conto che non solo non avrebbe potuto fare nulla per il cugino, ma che se avesse continuato ad insistere ci avrebbe rimesso la vita e Jude non si sarebbe mai perdonato di averlo ucciso, sebbene probabilmente contro la propria volontà. Alzò quindi le mani e fece qualche passo indietro.
 
“Va bene Jude, ritiro tutto quello che ho detto. Ho sbagliato, non è successo niente, Stafford mi ha sicuramente raccontato delle cazzate…”
 
“Vattene.” Lo intimò Jude. I due cugini rimasero a fissarsi per qualche istante, fin quando Micah percepì di non poter più rimanere lì. Si abbassò lentamente per raccogliere il suo zaino da terra, poi scappò quanto più velocemente gli fosse concesso. Jude rimase fermo nella sua posizione, l’unica cosa che fece fu tenere sotto tiro il cugino, che nel giro di poco scomparve nel fitto bosco che conduceva alle sponde del lago. Infine, come se nulla fosse accaduto, Jude abbassò la pistola e tornò alla Residenza dei suoi nonni con estrema calma. Presto l’effetto della maledizione Imperius sarebbe scomparso e lui non avrebbe ricordato molto di quel suo ultimo incontro con Micah, se non un confusionario botta e risposta. Ciò che invece gli sarebbe rimasto in presso nella mente sarebbe stato che Micah, l’essere umano a cui teneva di più al mondo, si era dato alla fuga dopo aver ascoltato i racconti deliranti di un disertore come Stafford, che probabilmente covava nell’ombra di Nadia da chissà quanto tempo.
E lui sarebbe rimasto solo, senza la guida di quello che riteneva essere il suo mentore, né delle parole di addio da parte di Micah, il quale con gesto codardo avrebbe preferito il nulla delle Terre di Nessuno, alla loro famiglia.
La sua scomparsa avrebbe segnato un solco profondo nell’animo di Jude, che difficilmente sarebbe stato in grado di ricucine e con quello un senso profondo di biasimo verso se stesso, inconsapevole che se lui stesso non si fosse sacrificato, Micah avrebbe perso certamente la vita come era accaduto ai suoi genitori.
O peggio ancora, sarebbe finito alla mercé totale di Nadia, in una condizione ancora peggiore di quella di Alida.
Ma no, tutto questo Jude Millan non poteva saperlo e da quel momento sarebbero rimasti solo astio, rancore e dolore a colmargli l’animo.
E solitudine, implacabile e amara, senza la presenza di Micah nella sua vita.
 

 
(1) Credo l’abbiate riconosciuto tutti, comunque è il giuramento dei piccini del cartone Disney di Robin Hood.
 
(2) In qualche modo si ripete la scena che vide protagonisti, tanti anni prima, Harry e Nadia.
 
(3) Lo Swooping Evil è una creatura fantastica che, a quanto ho capito, appare anche nell’ultimo film della saga di Animali fantastici.
 
Credo di non avere più parole da usare, dopo aver sfornato questo lungo e faticoso capitolo. Mi scuso per il clamoroso ritardo, eppure mi sento di giustificarmi dicendovi che per scrivere questo capitolo qui avevo bisogno di qualche giorno di tranquillità e solitudine, cosa che finalmente ho ottenuto dopo tanto tempo.
In realtà non ho molto da dire e preferirei passare la parola a voi, per sapere cosa pensate della storia della famiglia Millan visto e considerato che, finalmente, è chiaro perché i cugini abbiano preso strade tanto diverse.
Però ci tengo a precisare un paio di cose prima di concludere le note. In primis è la faccenda dei ricordi modificati di Micah; so che può sembrare una forzatura, ma purtroppo non lo è e accade molto più spesso di quanto uno possa immaginare. Nello specifico l’idea mi è venuta in mente ascoltando il podcast sui Diavoli della Bassa, un caso di cronaca davvero terribile che vi invito a recuperare (dal podcast hanno fatto anche una serie Netflix) Sia il podcast che la serie si chiamano “Veleno”.
 
E poi un’altra cosina riguarda Jude. Eccolo qui, il vero Jude, il mio tesoro grande: coraggioso, altruista, capace di provare tutto quell’amore per suo cugino. Sono davvero felice che finalmente abbiate avuto la possibilità di scoprirlo nella sua interezza.
Così come sono altrettanto felice che abbiate conosciuto la storia di Micah, che davvero ha subito il gesto più malvagio che Nadia potesse mai compiere e nonostante tutto è ancora in piedi; certo, emotivamente mezzo rotto, ma ancora funzionante. Lo so, mi maledico da sola per aver fatto questo al mio Micah, che proprio non se lo meritava.
E niente, ricordatevi che Jude e Micah si sono voluti tanto, tantissimo bene.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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