Cronache di un paradiso sperduto

di AcchanBaka
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** History ***
Capitolo 2: *** Danger ***



Capitolo 1
*** History ***


Ho finalmente provato a scrivere qualcosa y__y Sono su Efp da secoli, con diversi account (in ordine: Momoka Takahashi – con d

Ho finalmente provato a scrivere qualcosa y__y Sono su Efp da secoli, con diversi account (in ordine: Momoka Takahashi – con diversi simboli che non ricordo – poi Sephta, poi questo) e le storie che pubblicavo con i primi due non sono mai riuscite ad arrivare alla fine – per quanto riguarda le longfic, ovviamente – perché l’ispirazione svaniva, nonostante la gente mi incitasse a scrivere. Adesso, ho ritrovato la mia ispirazione, grazie ad un sogno. Cercherò di rendere quel sogno realtà, di imprimere quelle immagini su carta tramite la tastiera.

Grazie in anticipo per chi leggerà o – eventualmente – recensirà!

Makoto

 

 

 

 

 

History

 

 

Questa storia forse non può essere collocata nel “vostro” tempo. È una storia complicata, ma allo stesso tempo è una storia banale, semplice.

Una storia come tante.

La “mia” storia è un po’ speciale, un po’ ordinaria.

Una storia di amicizia e di amore, sincerità e falsità, di guerra e di pace, di sangue e coraggio.

Vi renderete conto che è difficile raccontare tutto in poche parole.

La nostra storia si svolge in un luogo senza tempo, in un tempo senza circostanze ben definite, in una bolla di sapone che vaga senza meta ai confini del vostro mondo.

 

Il nostro villaggio si trova a metà tra una montagna e un lago, ed è attraversato dal fiume che sgorga dal monte per poi terminare la sua breve corsa in quell’enorme specchio d’acqua dolce.

Siamo suppergiù cinquecento anime e ognuno di noi ha sempre avuto un’occupazione ben precisa, anche gli anziani oramai sul tramonto del loro cammino o i bambini che ancora non sanno parlare.

Tutti venivano ben presto istruiti al lavoro e spesso c’era chi non riusciva più a staccarsene, anche se in tarda età.

Era il caso dell’Anziano – ironico appellativo – che fa parte della cerchia del Consiglio. Sembra una struttura gerarchica classica, che avrete sicuramente ritrovato in diversi romanzi della vostra epoca, ma vi assicuro che era l’unico modo per portare avanti la nostra minuscola società.

L’Anziano è l’uomo più vecchio del paese, si sussurra abbia più di cent’anni, ma solo io e la mia famiglia conosciamo la sua vera età, poiché si tratta del mio trisavolo. Il caro nonnetto può allegramente vantare ben centotrentadue anni, quasi quanto i metri che misura la sua lunga barba bianca, in contrapposizione con la sua “zucca pelata” – come la definisce amorevolmente suo figlio, il mio bisnonno, in carica per diventare il successivo capo del Consiglio.

Essere il pronipote dell’Anziano non significa “lusso” o gratificazioni e agevolazioni di alcun genere: al contrario, sgobbavo e sgobbo come tutti gli altri.

Il villaggio è ragionevolmente diviso in periferia e centro. Nella grande piazza attraversata dal fiume sorgono i negozi di alimentari, la merceria, il palazzo del consiglio – chiamarlo così è esagerato: non è in effetti né più né meno una costruzione come le altre – la scuola e il cancello del villaggio. Tutt’intorno alla piazza sorgono le varie abitazioni, che si estendono fino ai limiti del villaggio perdendosi in un dedalo di vicoli dentro i quali spesso i giovani ancora si perdono.

Non ci sono mura a proteggerci, ma a tale scopo bastano la montagna, il lago e la fitta foresta che ci circonda, popolata da bestie feroci che attaccano i predatori intenzionati a distruggere la tiepida armonia della nostra piccola comunità.

Dal lato del fiume, alle falde della montagna, si sono stabiliti i nostri campi. Portiamo avanti una modesta storia di agricoltori e riusciamo a cavarcela anche con l’allevamento, esattamente dal lato opposto.

Insomma, agli occhi altrui il nostro villaggio è come un paradiso in terra. Un piccolo angolo di mondo sovrastato da un pezzetto di cielo che regala da sempre una splendida pace in tutte le stagioni.

L’organizzazione del lavoro è semplice.

Una parte degli abitanti, circa un centinaio, è relegata all’agricoltura e un altro centinaio all’allevamento. Il resto consiste in gente comune che lavora per il Consiglio, oppure in un proprio negozio, che fosse di piacere o qualche articolo di alimentari.

La mia famiglia gestisce la macelleria, perché da parte di madre siamo allevatori da generazioni.

Fin da piccolo sono stato istruito a leggere, scrivere e far di conto per poter tenere i libri contabili e non farsi fregare dai clienti sul prezzo – o non fregare loro, possibilmente. Il mio cervello si è sviluppato abbastanza da permettermi un certo sarcasmo o ironia, a seconda della situazione, e sono diventato una creatura silenziosa che si esprime solo quando si rende assolutamente necessario.

Sono sempre stato affascinato dai meccanismi con i quali si muove il Consiglio; tempo fa, non appena avevo un minuto libero, ero sempre al palazzo, cercando di sbirciare attraverso i complicati ingranaggi che tenevano e tengono in piedi la cittadinanza. Ero riuscito a sapere abbastanza da potermi rendere conto che tutto era organizzato secondo una scala in base al grado di età e di abilità della persona.

A questo punto si penserà che fosse l’Anziano il capo del nostro villaggio e colui che prende le decisioni più importanti.

Ma in realtà c’è qualcuno ancora più in alto di lui, colui al quale ci siamo sempre rivolti nei momenti di difficoltà.

Il nostro personalissimo Dio.

Non è un Dio come gli altri: andiamo, nel vostro mondo ne esistono di divinità sotto le più varie forme e dalle storie più svariate.

Il nostro Dio è… una bollicina. Anzi, diverse bollicine. Vive racchiuso in una grotta sotterranea all’ingresso di un tunnel, simile a quella che voi chiamate “terme”, e si rivela ai nostri occhi sotto l’aspetto di una massa d’acqua rossastra, come vino, al centro della quale si raccolgono milioni di bollicine sussurranti.

La sua storia è affascinante, ma molto lunga e complicata, e non è il momento di svelarla.

Quella grotta non è certo un luogo di piacere, ed è difficile riuscire a parlare con il Dio. Bisogna arrivarci digiuni e solo al tramonto, quando la divinità è generalmente disposta ad ascoltare. Chi l’ha disturbata la mattina presto, si dice non sia più tornato indietro.

In ogni caso, non si tratta di una divinità malvagia, come si può immaginare; al contrario, è la sua protezione a permetterci di andare avanti e l’Anziano ogni due giorni si reca in visita a porgergli i suoi omaggi e a chiedere consiglio.

Lo chiamiamo “Dio Bolla” per comodità. Con lui, il villaggio ha un rapporto amichevole e quando la gente si reca a parlargli – ovviamente con tutte le disposizioni del caso – ha a che fare quasi con un suo pari. È sempre stato molto piacevole, opinione di tutti.

 

Forse avrete pensato che il mio villaggio sia fuori dalla sua epoca, totalmente estraneo ai conflitti che intanto devastavano il resto del mondo.

Non è così.

Anche se non siamo collegati alle nostre terre tramite treni o navi, possediamo qualcosa che si rende notevolmente più utile.

Il nostro Oracolo.

È una donna, di circa trentacinque anni. Da che ho memoria non è mai cambiata di una virgola, e stando ai libri di storia non ha mai variato il suo aspetto da quando fece la sua comparsa al villaggio, circa tre secoli fa.

È abbastanza alta da riuscire a catalizzare l’attenzione di chiunque quando di tanto in tanto si muove per il villaggio. Per quanto il Consiglio tenti di proteggerla, lei asserisce che non ce ne sia bisogno, in quanto la sua protezione era il villaggio stesso, e viceversa.

Ho avuto occasione di parlarle soltanto una volta, dalla mia nascita.

Per quanto lei sia sempre presente in mezzo a noi, è impossibile avvicinarla. Non perché abbia un’aria truce, una scorta indistruttibile o ignorasse ipotetici tentativi di conversazione; ma è la sua aura che ci impedisce quasi di guardarla negli occhi.

Il suo aspetto è quello di una qualunque donna della sua età: capelli castani, lisci e portati in un caschetto un po’ più lungo della media, ricadono in ciuffi sbarazzini sul viso e spesso coprono gli occhi, molto grandi e belli. Sono di un verde polveroso, affascinante. Il resto del corpo e del volto non hanno caratteristiche particolari: un mento un po’ troppo pronunciato, un naso un po’ troppo sporgente e forme un po’ troppo abbondanti.

Quella donna è davvero un po’ troppo comune, per essere un personaggio così di spicco.

Forse l’espressione del viso, forse il fatto che qualunque cosa uscisse dalla sua bocca diveniva realtà, o forse era proprio il tono di voce così melodioso e ritmico, ma nessuno poteva avvicinarsi a lei a testa alta e guardandola negli occhi.

È impossibile.

Riuscii a parlare con lei una sera di tempesta, nell’autunno gelido dei miei undici anni.

Anche se “parlare” non è esattamente il termine adatto.

Avevo fatto tardi a lezione e stavo correndo a casa, sollevando schizzi di fango e scusandomi a caso con gente che magari non avevo neanche sfiorato.

Finché non la vidi, al centro della strada. La pioggia non sembrava minimamente sfiorarla e – forse un’allucinazione – la sua figura pareva circondata da un alone biancastro. Mi immobilizzai anch’io, imbambolato da quell’apparizione improvvisa, quando lei si mosse. I suoi piedi non sembravano smuovere la fanghiglia a terra e li seguii, ipnotizzato, finché lei non mi fu di fronte.

«Così ti bagnerai», aveva sussurrato con quella sua voce da usignolo. Si era sfilata la mantella e me l’aveva appoggiata sul capo e sulle spalle. Ero forse troppo sconvolto per accorgermi dell’ondata di calore e di asciutto che quegli indumenti mi avevano provocato.

Mi aveva sorriso, prima di superarmi, e io mi pietrificai sul momento, tanto che rimasi per un minuto buono in mezzo alla strada finché non ero riuscito a smuovermi per correre a casa. Mi ero voltato per poterla guardare allontanarsi, ma era sparita dalla strada, forse in un vicolo secondario, forse no.

Quella mantella fu restituita il giorno dopo, asciutta e intatta, e di tanto in tanto gliela vedo ancora addosso e ricordo quel nostro incontro fugace. Se mi incontrasse ancora una volta per strada, mi riconoscerebbe? Mi userebbe di nuovo la stessa cortesia? È un dubbio che mi dilania.

Ed è un dubbio che sicuramente non troverà mai sbocco.

La vita dell’Oracolo coincide con la vita del villaggio. Per questo a lei piace così tanto girare per le strade, perché dice di sentire una connessione intima con ogni pietra di ogni vicolo.

Si dice che sia anche collegata al Dio delle bollicine, ma forse nessuno troverà mai la risposta a questo quesito.

Solo grazie a lei conosciamo le guerre che devastavano il pianeta, solo grazie a lei i nostri raccolti e le nostre bestie possono trovare terreni favorevoli. Grazie a lei conosciamo in tempo le catastrofi naturali e grazie a lei riusciamo a vivere serenamente.

 

La storia del villaggio che ci insegnano a scuola è zeppa di falle, che io ho potuto colmare grazie alle mie incursioni nel palazzo del Consiglio.

Dalla sua nascita, il villaggio ha dovuto far fronte a due catastrofi naturali e due guerre più o meno disastrose. Forse vi starete chiedendo come potevamo combattere, visto che non ho menzionato né un esercito né qualcosa che ci somigliasse.

Semplice: non combattiamo.

La nostra offensiva è la difesa, come dice quel vecchio detto.

Avvisati dall’Oracolo, tutto il villaggio rimaneva a digiuno per riunirsi nella grotta del Dio, al tramonto. La divinità, soddisfatta da quei sacrifici e dai doni che gli venivano fatti, proteggeva il villaggio, in un ciclo eterno.

Sembra così semplice, così ovvio, così stupido, ai vostri occhi, vero?

Sembra così facile rimanere a digiuno tutto il giorno e pregare con l’intensità di ogni singola fibra del corpo, vero?

Conoscete la parola “sacrificio”?

Veniva scelta una pecora, di solito.

Ma in anni di magra l’Oracolo sceglieva una persona.

La seconda guerra avvenne quando avevo tredici anni. Aveva provocato pestilenze e sofferenze incredibili, stando a quel che ci diceva l’Oracolo, e non eravamo stati in grado di trovare un animale che fosse abbastanza in forze da soddisfare le esigenze del Dio.

Così l’Oracolo scelse una persona.

Mia madre.

Era una donna forte e non si sottrasse alla volontà del cielo. Sapevano tutti che l’Oracolo e il Dio Bolla erano in connessione e se entrambi volevano che fosse lei a sacrificarsi, allora lo avrebbe fatto.

Ricordo come avessi tentato di invadere la dimora del Dio Bolla, imprecando ad alta voce contro il suo volere, la sua crudeltà, ricordo come dovettero tenermi buono due uomini adulti per impedirmi di fare del male a me stesso e agli altri.

Mia madre, sorridendomi, mi si era avvicinata e mi aveva accarezzato i capelli.

«La mamma vi salverà, piccolo mio» mi sussurrò con dolcezza, e sentii i miei bollenti spiriti calmarsi, lasciando posto a una violenta vergogna, che accese di rosso le mie guance. Lei sorrise ancora e avanzò fino alle scale scavate nella pietra che conducevano nell’acqua, dal Dio.

Chiuse gli occhi mentre continuava a scendere fino a scomparire.

Gridai il suo nome con tutte le mie forze, accasciandomi a terra.

Fui il primo, insieme all’Oracolo, ad iniziare la preghiera che si levò alta, rimbombando nelle pareti della grotta.

Quell’anno non ci furono altre perdite e la guerra riuscì a non scalfire ulteriormente la nostra civiltà.

 

Da allora sono passati cinque anni.

L’Oracolo ci assicura che nelle terre vicine gli imperatori hanno stipulato armistizi e contratti di pace e solo due anni fa ci fu una battaglia particolarmente violenta che rischiò di colpire anche il nostro piccolo paradiso, ma fortunatamente così non successe.

Quest’anno festeggiamo il raggiungimento di un primo lustro felice e abbondante, e la ricorrenza del sacrificio della mamma.

Quest’anno è il termine di un’era, e l’inizio di un’altra.

L’inizio della fine.

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Capitolo 2
*** Danger ***


People

Danger

 

 

Come si dice: il buongiorno si vede dal mattino.

Non appena apro gli occhi, mi rendo conto di una cosa: mia sorella maggiore, che di solito dorme nel letto accanto al mio e fino a tardi, non è tra le lenzuola e non c’è traccia di lei nella camera che condividiamo pacificamente dalla nascita.

Mi tiro lentamente a sedere, con calma, e mi stropiccio gli occhi cercando di svegliarmi, scuotendo la testa. Lynn – mia sorella – mi prende in giro asserendo che scuoto spesso la testa per fare in modo che i miei pochi neuroni facciano contatto.

Molto. Divertente.

Conclusa l’operazione di sveglia, più o meno, provo a chiamarla.

«Lynn?»

Primo tentativo: fallito.

Mi acciglio appena – per quanto me lo permettano i miei muscoli ancora intorpiditi dal sonno – e con molta fatica faccio scivolare le gambe giù sul pavimento, rabbrividendo per il freddo del suolo a contatto con la pianta nuda dei piedi.

«Lysanne?» a voce più alta, provo col nome completo, visto che lei lo odia e tira un calcio a chiunque osi chiamarla in questo modo.

Niente.

A questo punto è chiaro che Lynn non è in camera – nascosta nell’armadio, magari – o comunque non si trova in un luogo della casa dal quale avrebbe potuto sentirmi. È tutto molto strano; da che io ricordi, mia sorella è sempre stata un tipo alla buona, ritardatario e molto pigro, anche se una gran lavoratrice.

Lancio distrattamente un’occhiata al cielo, per avere un’idea dell’orario, e mi inquieto ulteriormente: è prestissimo, non è che si è addormentata da qualche altra parte?

Scarto l’ipotesi: se non dorme sul suo cuscino, mia sorella semplicemente non dorme.

Mi alzo e stiracchio ogni singolo muscolo del corpo, le mani chiuse in deboli pugni tirate verso l’alto per tendere le braccia.

Scuoto di nuovo la testa – i neuroni fanno contatto – e mi passo una mano fra i capelli.

Direi che è il caso di mettersi in moto per andare a cercare quella svampita di mia sorella, decisamente.

Dopo una breve corsa in bagno per ovviare ai problemi mattutini, mi avvicino all’armadio, aprendo entrambe le ante.

Su quella sinistra svetta lo specchio che mia sorella ha fatto installare, e lancio un’occhiata alla mia immagine riflessa: ho proprio la faccia di chi vorrebbe passare tutta la vita a letto e non solo. Sospiro.

Lo specchio riflette le sembianze di un ragazzo alto sul metro e settanta, dai capelli corti e castani, perennemente scompigliati a qualunque ora del giorno, e dai brillanti occhi verde scuro. L’unica cosa del mio viso che non mi piace è il naso, fin troppo pronunciato, ma non sono mai stato granché vanesio, dunque non ne faccio un dramma.

E poi Lysanne – ops, Lynn – continua ad asserire che anche con quella patata in faccia resto comunque un bel ragazzo. E qui c’è da aggiungere: se lo dice lei…

Scelgo scarpe comode, un pantalone leggero e una camicia senza maniche, visto che fa un caldo infernale e se devo correre qua e là per cercarla ho bisogno di qualcosa che non mi faccia sudare troppo.

Una volta vestito mi guardo attorno istintivamente, senza alcun motivo preciso, e infilo la porta uscendo nell’aria estiva che avvolge il villaggio come una cappa.

Abitiamo nei pressi del fiume e lì l’aria è – se possibile – ancora più calda e afosa.

Incrocio il vecchio signor Jag, che come al solito porta il suo cane in giro per la passeggiatina mattutina.

«Buongiorno, signor Jag!» lo saluto, per educazione.

Mi lancia un’occhiata burbera come al solito e bofonchia qualcosa che potrebbe assomigliare a un “buongiorno”, ma solo con parecchia immaginazione e una dose non indifferente di pazienza.

Sorrido, e mentre mi avvio alla piazza principale vengo quasi investito da una figura coperta da uno scialle vaporoso, che mi dà una spallata mentre corre verso la parte opposta.

A causa del leggero urto mi giro, e inconsciamente con gli occhi seguo la figura, che senza preavviso si infila in uno dei tanti vicoli. Serro le labbra. Ce n’è di gente strana qui, per quanto tutti conoscano tutti ogni tanto c’è qualcuno che dà di matto.

Riprendo dunque a camminare, quando finalmente da lontano intravedo Lynn, con i suoi inconfondibili capelli biondo cenere, che le incorniciano la testa come una nuvola e scendono in una cascata lungo la schiena.

Faccio per sollevare un braccio e chiamarla, quando la vedo in compagnia della vecchietta dei profumi, Amaranta.

Viene chiamata così perché possiede una bottega di profumi vari, ma in realtà tutti sanno che si occupa delle cure tramite le erbe e viene interpellata per fare delle diagnosi quando non si capisce subito la malattia della persona in questione.

Vedere Lysanne in sua compagnia non mi preoccupa più di tanto. Di recente stanno spesso insieme, perché mia sorella sta compiendo presso la vecchia un apprendistato in modo da poterla aiutare o eventualmente prendere il suo posto, in futuro.

Continuo ad avvicinarmi, e più lo faccio più noto altre persone, sparse in gruppetti più o meno folti, ma quello più numeroso si trova sotto la porta della casa di Gaiwan, un mio grande amico.

Non ne comprendo il motivo e preferisco non fare ipotesi, così mi accingo a raggiungere Lynn il più velocemente possibile.

Una volta accanto a lei mi faccio notare sia dal mio respiro vagamente affannato, sia dal confuso «Che succede, Lynn?» che bofonchio una volta arrivato accanto a mia sorella e alla vecchia Amaranta.

Lynn sgrana gli occhi nel vedermi, forse per la sorpresa, poi il suo viso si trasforma in una maschera di tristezza, da quel che mi sembra di vedere.

«Ti sei svegliato…» nota, invece di rispondere. La cosa mi tocca un tantino i nervi, dunque chino la testa di lato, sarcastico.

«No, sono sonnambulo. Che cosa succede? Lei sa dirmelo, signora Amaranta?» mi rivolgo dunque all’anziana donna, visto che mia sorella non è in grado di fornirmi una spiegazione come si deve.

So che la vecchietta saprà rispondermi sinceramente: è famosa per la sua schiettezza e la capacità di arrivare sempre dritta al punto senza perdere tempo in giri di parole.

«La signorina Cat si è ammalata» annuncia senza alcun tono particolare.

Cat è la sorellina di Gaiwan, ha dodici anni ed è un tesoro, sempre pronta a dare una mano.

Sulle prime non mi allarmo granché: se la signora Amaranta è qui, significa che non c’è nulla di cui preoccuparsi… no?

Perso in queste elucubrazioni non rispondo, accogliendo la notizia con una calma fredda che mi fa guadagnare uno schiaffo sulla nuca da parte di Lynn.

«Non ti addormentare in piedi e ascolta il resto!» mi redarguisce.

Allora c’è qualcos’altro, mi rendo conto.

Amaranta non dà segno di essersi sconvolta per quella scenetta tra fratelli e sospira.

«Probabilmente non guarirà più.»

Si può maledire la schiettezza delle persone?

Lysanne a quel punto non si trattiene ulteriormente e due grosse lacrime le rigano le guance.

«Stamattina Rie è passato a chiamarmi…» racconta singhiozzando – Rie è il suo fidanzato, nonché vicino di casa di Gaiwan – e le circondo le spalle con un braccio. «Non sapevo cosa fosse successo e non ti ho svegliato, scusa…» scuoto la testa, strofinandole la mano contro la spalla, a disagio.

Non sono mai stato una cima nel consolare le persone.

«Lynn, non importa, adesso sono qui. Continua» la esorto calmo, ancora.

Lei annuisce.

«Rie mi ha detto… che Gaiwan l’ha svegliato all’alba pallido come un cencio… dicendo che Cat era svenuta e sembrava avere un’altissima temperatura corporea…» continua, mentre pian piano si appoggia a me. Lynn è di tre anni maggiore ed è alta quanto me, ma quando è giù e si accoccola fra le mie braccia, sembra una mocciosa di tredici anni, per quanto diventa piccola.

«Abbiamo chiamato subito Amaranta, mentre intanto… beh… si era sparsa la voce…» le sue ultime parole sono una frecciatina di odio verso il capannello di persone riunite sotto casa di Gaiwan. A quanto pare, la voce si era sparsa a macchia d’olio.

Forse c’entra qualcosa con quella figura coperta dallo scialle che mi aveva dato una spallata, fuggendo?

Non dico ancora nulla, visto che Lynn sembra avere altro da dire.

«Ma Amaranta ha… ha detto di non aver mai sentito di una malattia simile e… e…» a questo punto è chiaro che mia sorella non ha più forze psicologiche o fisiche per aggiungere altro, e Amaranta prende la parola, forse spazientita da quel continuo balbettare.

«Ho cercato delle erbe e infusi che potessero alleviarle il dolore, ma la bambina sembra insensibile a qualunque tentativo di dissipare il male che la corrode da dentro» spiega, in termini semplici che anche chi non si intende di medicina come me può comprendere.

Sospiro.

«Allora non c’è… proprio niente da fare?» soffio, arrivando al punto della questione.

La vecchia dei profumi scuote lentamente la testa con aria grave. In quel momento Rie esce quasi di corsa dalla casa di Gaiwan, fendendo la folla, e sorregge Lynn che di lì a poco scoppia a piangere più violentemente di prima.

«Ah, finalmente sei arrivato!» esclama il ragazzo, guardandomi, trafelato. Sembra sconvolto. «Gaiwan ti cerca, sua sorella…»

«È malata, lo so--»

«No, non è solo questo, dice che solo tu puoi capire che cos’ha!» il suo tono è così convinto che, nonostante la palese assurdità delle sue affermazioni, mi persuade a lasciare Lysanne alle sue cure e ad affrontare la folla per riuscire ad entrare in casa.

Accarezzo i capelli di mia sorella con affetto e mi avvio verso la porta. Chiedo educatamente permesso e riesco a guadagnarmi l’ingresso.

Salgo le scale nell’atrio e trovo la porta del loro piccolo appartamento spalancata, forse per far passare l’aria o per permettere a qualunque volenteroso di entrare.

«Gaiwan…?» tento, ancora perplesso dalle parole di Rie che mi vorticano nella testa.

Non sono un dottore, non sono esperto delle cure con le erbe come Amaranta, non me ne intendo di medicina.

Com’è possibile che solo io posso capire cos’ha Cat? Non ha alcun senso, neanche se mi inerpico per qualche strampalata spiegazione che di reale ha davvero poco.

«Gaiwa--»

«Shhh…» sento l’inconfondibile voce del mio amico dalla stanza di Cat, e un attimo dopo la sua testa mora sbucare dall’uscio. «Non fare troppo rumore» soffia, il suo tono sempre basso e calmo ora venato dalla stanchezza e dalla preoccupazione, che l’avevano reso quasi roco.

Annuisco, senza aggiungere altro, e lo raggiungo immediatamente.

Gaiwan sospira greve e indica il letto, dove giace la sorellina. Le coperte sono scomposte come se agitandosi nel sonno Cat le avesse spinte via da sé.

Il respiro è veloce, gli occhi sono chiusi, serrati con forza. Il corpo pallido ha come unica nota di colore le guance rosse. I capelli corvini sono raccolti in due piccoli codini, e quando ci avviciniamo il fratello le scosta amorevolmente delle ciocche libere dal viso sudato.

«Gaiwan» sussurrò il suo nome «Rie mi ha detto che--» ma vengo interrotto ancora una volta.

Il mio amico mi osserva quasi insofferente. «Ascoltala, dovrebbe succedere di nuovo tra poco» annuncia.

È tutto così strano, allucinante, senza nessuna spiegazione che abbia un minimo di logica.

«Li…am…»

Una voce flebile mi riporta bruscamente alla realtà.

Abbassando gli occhi stralunati su Cat mi rendo conto che è stata lei a parlare.

E ha pronunciato il mio nome.

«Li…am…» ripete, le labbra violacee si schiudono piano per esalare quell’unica parola.

Che non è un sospiro solitario, come scopro qualche attimo dopo.

«Stai… attento…» drizzo le orecchie, a quella palese raccomandazione, sebbene non abbia né capo, né coda. «Lore… è in… agguato…» Lore? È un nome di persona? «Tu sarai… il nuovo… Orac…» a metà parola, presumibilmente, questa specie di discorso sconclusionato e soffiato malamente si conclude, senza aver raggiunto nessuno scopo tranne quello di avermi inquietato.

Alzo gli occhi su Gaiwan; nei suoi si legge sconforto e anche curiosità, noto, mentre nei miei soltanto sconcerto e incredulità.

«Che cosa… significa?» domando, davvero senza comprendere.

«Io non lo so, Liam» sospira lui, a ragione.

Mi lancia un’occhiata che vuol dire tutto e niente.

«Dovresti provare a chiedere… all’Oracolo.»

 

 

«Hai colpito la bambina?»

«Sì. È tutto in ordine. Chissà se il moccioso coglierà l’amo…»

Una frecciatina, risate soffocate e uno sguardo rassegnato e scettico.

«Dovrebbe andare tutto come hai progettato, non stare a preoccuparti…»

«Sei sempre così approssimativo» un digrignare di denti lucenti brilla nella penombra «Ricorda che me l’hai promesso!»

Un altro sorriso, stavolta strafottente.

«Ti porterò il cuore dell’Oracolo. Stanne certa.»

 

 

 

 

 

 

 

Ringraziamenti: alla mia neesan (Shichan) per avermi fatto da beta, per avermi incoraggiato a scrivere e per le recensioni/critiche costruttive che mi aiutano a migliorare. Grazie <3

Note (non) degne di nota: grazie alla neesan e a zia Yoko per aver commentato. Sono contenta che il setting sia piaciuto e anche l’immagine dell’Oracolo o del Dio Bolla. Ci tengo a loro! XD

E grazie a chi ha letto e non ha commentato, e chi so che l’ha fatto, come Manny, Ally, Wichi, Hachi o Ve, tanto per citare quelli che mi ricordo… grazie mille per i consigli, i complimenti e le critiche che mi avete fatto in separata sede, non sapete quanto mi servano <3

Al prossimo capitolo!

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